Anemie - Farmacist33

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CAPITOLO 48
Clara Camaschella
Giovanni Gromo
Anemie
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Franca Pellò
Maurizio Storti
Maria D. Cappellini
© 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati.
Considerazioni generali*
L’anemia è definita dalla diminuzione del patrimonio
emoglobinico totale dell’organismo; poiché l’emoglobina
(Hb) è contenuta nelle emazie, si ha anemia quando è
diminuita la massa eritrocitaria. In condizioni fisiologiche
si ammette che la distribuzione delle emazie nell’organismo
sia omogenea, per cui la stima, nell’unità di volume di
sangue periferico, della concentrazione di Hb (g/dL) e della
quota del volume ematico occupato dagli eritrociti (valore
ematocrito o Hct) dà valori ben correlati all’entità della
massa eritrocitaria. Invece, non è significativo in questo
senso il numero dei globuli rossi (GR), che, in alcune forme di anemia, come, per esempio, la talassemia minor,
può essere normale o anche aumentato, con contenuto
corpuscolare medio di emoglobina ridotto e quindi con
diminuzione della concentrazione di emoglobina nell’unità
di volume di sangue; queste emazie hanno costantemente
anche volume corpuscolare medio ridotto, da cui una
riduzione di Hct.
Tenendo presente il concetto di massa totale eritrocitaria
riuscirà più facile la comprensione di alcune situazioni di
anemia o di poliglobulia solo apparenti.
Classificazione
La massa eritrocitaria normale nell’uomo corrisponde a
un volume di 30 ± 5 mL/kg; gli eritrociti hanno una vita
media di circa 120 giorni, per cui si è calcolato che circa lo
0,8% della massa eritrocitaria debba essere sostituito giornalmente a opera del midollo osseo. La massa eritrocitaria
(M) è proporzionale alla quantità di emoglobina prodotta
giornalmente (H°) per la vita media dei GR in giorni (T),
ossia M = H° × T. Si ha anemia quando M è inferiore alla
norma.
La formula permette una classificazione patogenetica delle
anemie, per riduzione di H° o di T o di entrambi i termini;
all’interno di ciascun gruppo i meccanismi responsabili
possono essere diversi.
• Anemie per diminuita produzione di emoglobina:
– da ridotta eritroblastogenesi per mieloftisi e per
distruzione o alterazione funzionale delle cellule
staminali;
– da ridotta eritrogenesi per distruzione dei
precursori nel midollo con eritropoiesi inefficace;
– da ridotta o difettosa sintesi della globina o dell’eme.
• Anemie per riduzione del tempo di sopravvivenza
dei GR:
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F. Pellò
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– da perdita secondaria a emorragie acute
o croniche;
– da distruzione a opera di un meccanismo
emolitico.
Le due situazioni possono coesistere e la massa eritrocitaria può ridursi per il sommarsi dei due meccanismi
patologici (riduzione sia di H° sia di T).
In genere l’insufficiente produzione di GR e l’eritropoiesi inefficace sono caratterizzate da un basso numero di
eritrociti giovani (reticolociti) nel sangue periferico; al
contrario, le anemie postemorragiche e quelle emolitiche
dimostrano nel sangue periferico segni di iperattività midollare, con incremento del numero dei reticolociti, presenza di emazie con policromasia o punteggiatura basofila
o addirittura con la comparsa di qualche eritroblasto.
Altre alterazioni sono pure caratteristiche delle anemie
emolitiche, come l’aumento della lattato-deidrogenasi
(LDH) del siero, derivato dalla lisi delle emazie, l’iperbilirubinemia indiretta e l’urobilinuria (si veda il Capitolo 30),
l’incremento dell’urobilinogeno fecale, la diminuzione
della concentrazione di aptoglobina e l’aumento del turnover del ferro plasmatico.
Tuttavia, l’aumento della LDH del siero è presente pure
nell’eritropoiesi inefficace, che può anche determinare
un certo aumento della bilirubinemia (iperbilirubinemia
da shunt).
È molto importante tenere presente questa classificazione
patogenetica per risalire dall’anemia alla diagnosi della
malattia che ne è all’origine; infatti, l’anemia è in alcuni
casi un elemento di evenienza secondaria e non obbligatoria nel corso di una forma morbosa a dignità nosografica
ben definita. In altri invece costituisce il rilievo clinico più
importante della malattia, che da essa prende il nome (per
esempio, anemia megaloblastica, anemia aplastica ecc.).
Bisogna tenere presente, però, che il primo approccio
alla situazione anemica è fornito dall’esame emocromocitometrico, con i valori di emoglobina (11,5-16 g/
dL nella donna e 12,5-17 g/dL nell’uomo), il numero di
GR (4-5 milioni/mm3 nella donna, 4,5-5,5 milioni/mm3
nell’uomo) e l’ematocrito (36-42% nella donna e 40-45%
nell’uomo) dai quali si calcolano le costanti corpuscolari,
e dall’esame dello striscio del sangue periferico, che dà
informazioni significative sulla forma dei GR e sulla loro
affinità tintoriale.
Le seguenti formule forniscono il valore dei cosiddetti
parametri derivati:
Hct × 10
MCV (80-100 m3) = _________________
3
milioni di GR per mm
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Hb × 10
MCH (27-31 pg) = _________________
3
milioni di GR per mm
Hb × 10
MCHC (30-36 g/dL) = _______
Hct
L’indice emocromocitometrico indiretto di anisopoichilocitosi e anisocromia è espresso numericamente come
ampiezza della distribuzione eritrocitaria (RDW, Red
cell Distribution Width). I reticolociti possono essere
espressi in numero assoluto (25.000-100.000/mm 3) o
percentuale (5-20 per mille); l’indice reticolocitario, che
ha un signifi cato analogo rispetto al valore assoluto,
consiste nella correzione della percentuale dei reticolociti per il grado di anemia:
reticolociti % × ematocrito/ematocrito normale (45).
In base ai valori di volume corpuscolare medio (MCV, Mean
Corpuscular Volume), contenuto corpuscolare medio di
emoglobina (MCH, Mean Corpuscular Hemoglobin) e
intensità di colorazione si costruisce la seguente classificazione cosiddetta morfologica delle anemie:
• anemia ipocromica microcitica (MCV < 80 fL;
MCH < 27 pg, emazie ipocolorate);
• anemia normocromica normocitica (MCV: 89-94
fL; MCH 29,5 ± 2,5 pg);
• anemia macrocitica (MCV > 94 fL; MCH > 32 pg).
Non vi è una correlazione precisa tra meccanismo patogenetico dell’anemia e tipo morfologico; tuttavia, per
ciascuno di questi gruppi vi sono delle frequenze obbligate
e delle frequenze preferenziali.
• Anemia ipocromica microcitica:
– anemia sideropenica;
– anemia sideroblastica;
– talassemie, alcune emoglobinopatie;
– rari casi di carenza di rame, di piridossina.
• Anemia normocitica:
– anemie emolitiche acquisite;
– sferocitosi ereditaria;
– emoglobinuria parossistica notturna;
– alcune emoglobinopatie;
– anemia aplastica;
– anemia da mielosostituzione;
– anemia delle malattie croniche.
• Anemia macrocitica:
– anemia da deficit di vitamina B12 o di acido folico
(anemia megaloblastica);
– anemia delle epatopatie croniche;
– anemia dell’ipotiroidismo;
– alcuni casi di anemia aplastica; alcune fasi
in corso di anemia emolitica.
Da questa classificazione, in un certo senso “semeiotica”,
deve partire il ragionamento diagnostico che, con l’aiuto
di ulteriori esami indicati caso per caso, permett di stabilire
il meccanismo patogenetico dell’anemia e di risalire alla
causa determinante.
Fisiopatologia
Il GR, con il suo contenuto di emoglobina, è un anello
essenziale nella catena di trasporto dell’ossigeno; questo dipende sia dall’integrità della molecola di emoglobina sia dalla sua funzione, che può essere modificata
dall’interazione con altri composti contenuti nell’emazia. In questa modulazione della funzione emoglobinica
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è principalmente coinvolto il 2,3-difosfoglicerato (2,3DPG), la cui concentrazione è regolata dall’attività glicolitica dell’emazia; esso stabilizza la conformazione deossi
dell’emoglobina e riduce l’affinità per l’ossigeno; 2,3-DPG
e ossigeno sono leganti competitivi per l’emoglobina.
In realtà, l’effetto del 2,3-DPG è praticamente nullo alle alte
pressioni parziali di ossigeno, così che non interferisce con
l’assunzione di ossigeno da parte dell’emoglobina nei polmoni, mentre è significativo alle basse pressioni parziali di ossigeno, in modo che ne venga favorita la cessione ai tessuti.
Un’alterazione del trasporto di ossigeno da parte dell’emazia può quindi derivare da:
• riduzione della massa globulare (anemia classica);
• abnorme funzione dell’emoglobina per anomalie
strutturali;
• concentrazione inappropriata di 2,3-DPG.
L’ipossia tissutale induce una serie di modificazioni compensatorie mediante risposte di adattamento volte ad
aumentare la circolazione del sangue e l’estrazione di ossigeno dall’Hb arteriosa, a livello soprattutto degli organi
vitali (cervello, cuore, rene, fegato e ghiandole surrenali).
Questo si verifica per:
• aumento della ventilazione alveolare;
• aumento della portata cardiaca;
• ridistribuzione del sangue da organi non vitali (cute,
tratto gastroenterico ed estremità) a organi vitali;
• diminuzione dell’affinità dell’emazia per l’ossigeno,
mediante diminuzione del pH cellulare e aumento
del 2,3-DPG;
• stimolazione dell’eritropoiesi (per quanto possibile).
La velocità con cui insorge l’anemia è molto importante ai
fini dell’entrata in funzione di questi meccanismi di adattamento; infatti, un’anemia a lenta progressione permette
che essi si instaurino gradualmente e raggiungano la loro
massima efficacia. È noto come l’anemia cronica consenta
una vita relativamente normale, per lo meno a riposo, anche per valori di emoglobina notevolmente ridotti.
In presenza di lieve anemia entra in azione piuttosto lentamente (circa in 10 ore) il 2,3-DPG, che riducendo, come
si è visto, l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno ne permette un’aumentata disponibilità per i tessuti; è questo
un meccanismo di compenso “biochimico” che richiede
un certo tempo per realizzarsi.
Nell’anemia grave entra in gioco un meccanismo dinamico
costituito dall’aumento della portata cardiaca; all’inizio
esso è dovuto prevalentemente a un aumento della gittata sistolica, con buon rendimento energetico. Quando
l’anemia è molto grave, aumenta considerevolmente la
frequenza cardiaca, con basso rapporto efficienza/lavoro.
Il livello di emoglobina in cui l’anemia diviene funzionalmente limitante e il grado di compromissione sono inversamente proporzionali al grado di massimo adattamento e
direttamente proporzionali all’intensità dell’attività fisica,
e conseguentemente, poiché il lavoro fisico è principalmente aerobico, alle richieste di ossigeno.
Sintomatologia
Ogni tipo di anemia ha caratteristiche peculiari, trattate
nei rispettivi paragrafi, mentre la sintomatologia generale,
secondaria all’ipossia e all’esaltata funzione di compenso
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Capitolo 48 - ANEMIE
cardiorespiratorio, è comune a tutte le forme di anemia e
viene qui brevemente esposta.
Il sintomo più comune riferito dal paziente, che è il solo
presente nella maggioranza dei casi, è l’astenia, soprattutto
sotto sforzo. In casi particolari possono sopravvenire disturbi da diminuita ossigenazione di vari distretti corporei
(per lo più quando la loro irrorazione è già compromessa
per lesioni aterosclerotiche) e si possono avere claudicatio
intermittens, crampi notturni, vertigini, cefalea, episodi
di sincope, dolore precordiale di tipo anginoso.
Il segno più tipico dell’ipossia tissutale è il pallore cutaneo e
mucoso, che va esplorato in determinate sedi quali il palmo
della mano, il padiglione auricolare, la mucosa dell’interno
delle labbra, la congiuntiva palpebrale; in presenza di anemia emolitica il pallore è accompagnato da subittero.
La cute può talora essere piuttosto succulenta per la tendenza all’edema ai malleoli e alle parti declivi, espressione
di iniziale scompenso di circolo e i capelli sono opachi
e fragili. Nelle anemie croniche le unghie possono avere
forma “a vetrino di orologio”; si nota uno stato di scarsa
ripienezza dei grossi tronchi venosi superficiali.
L’esaltata funzione di compenso cardiorespiratorio ha
come sintomi iniziali la dispnea da sforzo e le palpitazioni;
l’esame obiettivo rileva polso molle e frequente, ipotensione arteriosa, tachicardia, soffi funzionali a livello cardiaco
e dei grossi vasi del collo, secondari all’aumentata velocità
di circolo e alla ridotta viscosità del sangue.
Con l’aggravarsi dell’anemia si arriva a una situazione
di scompenso di circolo ad alta gittata, con ortopnea e
dispnea a riposo, cardiomegalia, edemi importanti, talvolta
ascite.
Le alterazioni elettrocardiografiche non sono patognomoniche e possono riscontrarsi segni aspecifici di ischemia
diffusa.
Un altro meccanismo di compenso attivo in alcune anemie è costituito dall’iperplasia eritroide midollare secondaria alla riduzione emoglobinica, da cui derivano ipossia
renale e aumentata secrezione di eritropoietina (EPO).
In caso di anemia di particolare gravità e di insorgenza
precoce (come, per esempio, nelle anemie emolitiche
congenite), l’espansione eritropoietica invade gli spazi
midollari disponibili, può anche fuoriuscire dalla cavità
midollare ed è causa di modificazioni patologiche ossee
ed extraossee.
Infine, nell’anemia si riscontra talvolta una diminuita
resistenza alle infezioni, forse per un’alterata risposta
immunitaria cellulo-mediata.
In conclusione, va sottolineato che la probabilità di comparsa della sintomatologia clinica dovuta ad anemia va
considerata in modo dinamico, ossia come rapporto tra
richieste di ossigeno e capacità di soddisfarle mediante i
meccanismi di compenso.
Di conseguenza, tranne che per gradi estremi di riduzione
emoglobinica, si ha una grande variabilità individuale
del quadro clinico, in dipendenza dalle modificazioni
istantanee metaboliche e funzionali.
In sostanza, l’attività fisica è il fattore più importante
nel determinare il fabbisogno totale di ossigeno, perché
essa provoca aumenti significativi nel metabolismo dei
muscoli scheletrici e, in minor misura, del miocardio;
pertanto, la sintomatologia può diventare manifesta solo
in coincidenza di lavoro fisico particolarmente intenso.
Anemia aplastica
L’anemia aplastica è definita come una pancitopenia
del sangue periferico con ipocellularità del midollo osseo,
da difetto primitivo o secondario dei progenitori ematopoietici.
Come si è visto dallo schema dell’emopoiesi, le cellule
in grado di replicarsi sono le cellule staminali (CFU-L-M
e CFU-S), quindi un loro pool adeguato e normalmente
funzionante ha significato critico per il mantenimento
della normale crasi ematica. Queste cellule in condizioni
normali si trovano per lo più in G0 e funzionano da serbatoio di riserva per gli elementi ematici; quando si verifica
una situazione che richiede un’esaltata emopoiesi, esse
possono essere reclutate in ciclo e procedere verso l’una o
l’altra delle due vie (autoreplicazione o differenziazione)
insite nella loro potenzialità evolutiva.
Una distruzione o un’alterazione delle cellule staminali,
conseguente a danni di genesi diversa, ha come conseguenza un progressivo impoverimento del tessuto parenchimale midollare, perché gli elementi a valle delle CFU-S
nel processo di differenziazione emopoietica, via via che si
dividono e muoiono, non possono venire rimpiazzati. Si
crea quindi una pancitopenia limitata alle serie di derivazione mieloide (eritrociti, granulociti e piastrine), perché
i linfociti hanno capacità di replicarsi sino allo stadio di
avanzata maturazione, quindi, il loro pool è relativamente
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indipendente dal continuo rifornimento da parte delle
cellule staminali.
Il termine aplastic anemia (anemia aplastica) coniato dalla
letteratura anglosassone ed entrato nell’uso potrebbe essere opportunamente sostituito da mielosi totale aplastica,
secondo la scuola italiana, che meglio definisce l’aplasia
a carico delle tre serie midollari; per mielosi parziale aplastica si intende la citopenia a carico di una singola serie
(o di due di esse).
L’anemia aplastica può venire distinta in acquisita
(Tab. 48.1) e costituzionale.
Tabella 48.1
Anemia aplastica acquisita
Idiopatica
Secondaria a farmaci
– Chemioterapici
– Agenti con meccanismo dose-dipendente
– Agenti con meccanismo idiosincrasico
Da agenti chimici e tossine
Da radiazioni
Da infezioni, in particolare da epatite
In rare altre circostanze (gravidanza; timoma)
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Eziopatogenesi
Anemia aplastica acquisita
1. La forma idiopatica è così denominata perché
non si è trovato uno specifico agente eziologico
responsabile; sarebbe forse più esatto parlare
di anemia aplastica a eziologia sconosciuta.
Osservazioni cliniche e sperimentali sono a favore
di un meccanismo immunologico responsabile
della soppressione dell’emopoiesi. Dal punto di
vista clinico conforta questa ipotesi l’osservazione
che una quota notevole di trapianti di midollo tra
fratelli singenici attuati per la terapia di un’anemia
aplastica richiede il precondizionamento del ricevente
con un’immunosoppressione per evitare il rigetto.
Inoltre, in questa malattia sono stati ottenuti buoni
risultati terapeutici con la globulina antitimocitica e le
globuline antilinfociti del dotto toracico (che svolgono
un’azione immunodepressiva). Nelle esperienze di
cocoltura in cui linfociti di pazienti con anemia
aplastica sono stati mescolati con cellule midollari
normali istocompatibili, si osserva l’inibizione dello
sviluppo di normali colonie da parte dei precursori
emopoietici normali. Come in molti altri disordini
autoimmuni, anche nella cosiddetta anemia aplastica
idiopatica vi è, rispetto alla popolazione generale, un
eccesso di un particolare antigene di istocompatibilità,
l’HLA-DR 15.
2. L’anemia aplastica da farmaci ha meccanismi e modi
di insorgenza distinti.
Nel caso di farmaci chemioterapici l’effetto
mielosoppressivo è prevedibile ed è dose-dipendente;
essi danneggiano le cellule bloccandone la
replicazione e hanno azione non selettiva sulle
cellule con intensa attività proliferativa, quindi
anche sui progenitori e precursori ematopoietici;
pertanto esercitano un’azione tossica sul midollo.
Nel caso di farmaci non citostatici può esserci,
in alcuni pazienti, un effetto citopenizzante
dose-dipendente, che si verifica durante la
somministrazione del farmaco, con ripristino
della normale attività midollare alla sospensione.
Un’azione di questo tipo si può avere, per esempio,
con il CAF, la difenilidantoina, la cloropromazina, il
tiouracile, la metilcillina. Pare che lo sviluppo di una
soppressione eritroide reversibile sia dovuto a blocco
della sintesi dell’eme; morfologicamente nell’anemia
aplastica da CAF si ha spiccata vacuolizzazione del
citoplasma eritroblastico. I farmaci non citostatici
possono indurre anemia aplastica mediante un altro
meccanismo, detto “idiosincrasico” o da reazione
di ipersensibilità. L’aplasia, rara ma spesso fatale, si
sviluppa settimane o mesi dopo l’inizio della terapia
e per essa si sospetta una predisposizione genetica,
sostenuta dal riscontro (nel caso del CAF e della
difenilidantoina) di un’aumentata incidenza familiare.
Lo stesso farmaco può dare aplasia sia dose-correlata sia
con meccanismo idiosincrasico; le due modalità non si
verificano nello stesso paziente.
3. Composti chimici. La maggior parte dei composti
chimici in grado di provocare anemia aplastica
contiene benzolo, presente in numerosi solventi,
derivati dal carbone e prodotti del petrolio; anche
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alcuni insetticidi sono veicolati da solventi a base
di petrolio, da cui la possibilità di un duplice
effetto lesivo sul midollo. Per il benzolo hanno
soprattutto importanza le esposizioni lavorative
negli agricoltori, nei lavoratori della pelle (calzolai),
negli operai che usano collanti. L’incidenza di rischio
ematologico aumenta con l’intensità e la durata
dell’esposizione. Una curiosa possibilità, rara in
Italia ma frequente in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti, è l’anemia aplastica dei “fiutatori di colla”
(un’abitudine voluttuaria psicologicamente correlata
con le tossicodipendenze). L’emopatia benzolica
non si limita però all’aplasia; nella maggior parte dei
casi l’azione lesiva a livello delle cellule staminali
induce la formazione di precursori eritroidi difettosi,
con atipie morfologiche (gigantismo cellulare,
polinuclearità), incapaci di giungere a maturazione
e integranti quindi un’eritropoiesi inefficace.
L’alterazione qualitativa dei precursori predispone
all’insorgenza di leucemia acuta non linfatica.
4. Radiazioni. L’esposizione a dosi massive di radiazioni,
per esempio nei sopravvissuti alle esplosioni nucleari
di Hiroshima e Nagasaki, ha determinato una quota
rilevante di casi di anemia aplastica. Incidenti
possono verificarsi anche nei lavoratori addetti agli
impianti nucleari; una ventina di anni fa alcuni fisici
jugoslavi investiti da notevole irradiazione per un
errore nella lavorazione furono sottoposti al primo
trapianto di midollo per anemia aplastica. Uno dei
pazienti morì; negli altri, anche se il midollo non
attecchì, durò un tempo sufficiente a consentire al
midollo residuo di riprendere a funzionare. I raggi
Roentgen usati nella terapia antitumorale possono,
per irradiazione estesa e protratta, determinare
un danno alle cellule staminali e quindi anemia
aplastica. Anche nei radiologi, negli anni dal 1948
al 1961, si è trovata negli Stati Uniti un’incidenza
di anemia aplastica di 20 volte superiore alla
popolazione controllo; attualmente, con le moderne
attrezzature radiologiche, il rischio è notevolmente
ridotto. Il danno indotto dalle radiazioni è a carico
della replicazione del DNA, per cui le cellule staminali
si dividono “a vuoto”, consumandosi; non si ha
quindi un’azione lesiva diretta ma un esaurimento.
5. L’anemia aplastica è di riscontro occasionale o
frequente in alcune infezioni virali (da virus epatitici,
da virus di Epstein-Barr, da cytomegalovirus, da
parvovirus, da virus dell’herpes zoster e varicella),
nella toxoplasmosi, nella brucellosi, raramente nella
tubercolosi.
Di particolare importanza è l’anemia aplastica
postepatitica, più spesso conseguente a epatite non
A-non B, ma anche a epatite A o B; vi è preferenza
per il sesso maschile e per l’età giovanile, sotto i 20
anni. Di solito l’anemia aplastica si riscontra entro 2
mesi dall’inizio dell’epatite, in pochi casi vi è stato
un intervallo anche di mesi o anni.
6. Vengono segnalati pochi casi sicuri in cui l’anemia
aplastica si è sviluppata in gravidanza ed è regredita
dopo il parto; viene ipotizzato uno squilibrio tra
l’azione promuovente dell’eritropoietina e l’effetto
mielosoppressore degli estrogeni.
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Capitolo 48 - ANEMIE
Anemia aplastica costituzionale Il termine costituzionale indica una malattia congenita o familiare, cioè una
predisposizione al deficit midollare; lo sviluppo dell’aplasia può essere innescato da alcuni agenti sopra ricordati
(farmaci, virus, ecc.).
L’anemia aplastica costituzionale comprende:
• anemia di Fanconi;
• anemia aplastica familiare;
• discheratosi congenita;
• sindrome di Shwachman-Diamond.
I pazienti con anemia di Fanconi mostrano alla nascita
caratteristiche anomalie fisiche, con incidenza diversa a
seconda dei casi, che includono: pollice assente o ipoplastico, aplasia radiale, anomalie renali, ritardo mentale,
microftalmia e microcefalia, strabismo, sordità, deficit
staturale. Le manifestazioni ematologiche e l’iperpigmentazione compaiono di solito verso i 5-10 anni e l’eredità è
autosomica recessiva. Nelle famiglie di pazienti con anemia
di Fanconi si possono ritrovare anomalie fisiche del tipo
descritto, leucemie, tumori, diabete mellito, anche senza
aplasia midollare. Il reperto di laboratorio più caratteristico
è la rottura di cromosomi e il loro riarrangiamento osservati in colture di cellule midollari e di linfociti periferici,
espressione di un deficit nel ripristino del DNA.
Le altre forme elencate sono di riscontro più raro; nella
discheratosi congenita si hanno iperpigmentazione reticolare, unghie distrofiche e leucoplachia delle mucose;
può associarsi pancitopenia.
Manifestazioni cliniche
I sintomi sono secondari alla pancitopenia, con anemia,
piastrinopenia, granulocitopenia e diminuzione dei monociti. L’entità dei sintomi dipende con buona correlazione dal grado della citopenia; l’anemia aplastica grave è
definita da parametri ematomidollari molto compromessi,
con grave ipoplasia midollare: piastrine < 20 × 109/L, granulociti < 0,5 × 109/L e reticolociti (con valore corretto
per Hct) < 1%.
Il quadro clinico varia a seconda della rapidità con la quale
si manifesta la forma: forme acute, a rapida instaurazione,
e forme croniche, a lenta instaurazione. Nelle forme acute
prevalgono i sintomi conseguenti alla granulocitopenia
(vita media dei granulociti: circa 1 giorno) e alla piastrinopenia (vita media delle piastrine: circa 9 giorni); l’anemia
richiede molto più tempo per instaurarsi, data l’emivita
dei GR di circa 120 giorni.
La granulocitopenia molto spiccata predispone alle infezioni, che si sviluppano più facilmente nelle sedi ove
si trovano organismi saprofiti, come a livello dell’anello
faringeo e dell’orifizio anale; la manifestazione infettiva è
frequentemente accompagnata da fenomeni ulcerativi.
La piastrinopenia è causa di manifestazioni emorragiche,
rappresentate da porpora, prevalente agli arti inferiori, alle
mucose del cavo orale, alle congiuntive, al fondo dell’occhio. Si hanno inoltre ecchimosi, gengivorragie, epistassi,
menorragie o metrorragie, ematuria e melena.
Nelle forme croniche l’anemia ha il tempo di manifestarsi e
domina quindi il quadro clinico, con i sintomi già descritti
(da cui il nome di anemia aplastica, per la forma di pancitopenia), mentre granulocitopenia e piastrinopenia di solito sono
più lievi e non danno luogo a sintomi molto evidenti.
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Esami di laboratorio
L’esame emocromocitometrico dimostra un’anemia normocromica normocitica, raramente macrocitica, leucopenia
con linfocitosi relativa, granulocitopenia e monocitopenia
assolute, piastrinopenia. Lo striscio del sangue periferico
dimostra la normocromia delle emazie con anisopoichilocitosi nei limiti di norma. Non si osservano di regola forme
immature in circolo né eritroidi né mieloidi; in sostanza lo
striscio mostra l’aspetto del “sangue diluito”.
Nella presunzione di anemia aplastica, l’esame del midollo
va eseguito direttamente con la tecnica della biopsia con
prelievo del cilindretto osteomidollare; l’esame istologico
dimostra il reticolo dell’impalcatura stromale con maglie
riempite principalmente da tessuto adiposo, alcuni linfociti
e plasmacellule nei punti nodali ed estrema povertà della
componente parenchimale. Nel caso dell’emopatia benzolica il quadro midollare è caratteristico, con eritroblasti di
grandi dimensioni, qualche volta di tipo megaloblastico,
frequentemente polinucleati; anche a carico dei precursori
mieloidi si notano aumento di dimensioni, specie dei mieloblasti e promielociti, ipergranulosità azzurrofila e specifica,
curva maturativa granuloblastica tendente all’inibizione.
Poiché, come si è visto, l’esame del midollo è effettuato su
un campione casuale di tessuto, è possibile che il prelievo
cada su uno dei piccoli foci di midollo ipercellulare ancora
presenti. In questo caso l’esame dà reperto di normalità
e pone un quesito di diagnosi differenziale con l’anemia
refrattaria; è opportuno allora eseguire, meglio se in anestesia generale, uno o più altri prelievi in sedi diverse, per
confermare la presenza di anemia aplastica.
Tra gli altri esami di laboratorio significativamente alterati
vanno segnalati la sideremia elevata, con saturazione
quasi completa della transferrina, e le prove di emostasi
ed emocoagulazione, che forniscono risultati abnormi in
rapporto alla piastrinopenia.
1043
8
Diagnosi
La diagnosi differenziale deve tenere conto delle situazioni
di pancitopenia periferica non accompagnate da ipocellularità midollare; questo si ha obbligatoriamente in caso
di anemia mieloftisica, cioè di mielosostituzione da parte
di elementi neoplastici delle serie ematologiche (leucemia
acuta, mieloma multiplo) o anche, più raramente, da parte
di elementi neoplastici metastatizzati nel midollo (linfomi, neoplasie epiteliali), in caso di anemia refrattaria con
midollo iperplastico ed eccesso di mieloblasti.
La pancitopenia periferica può verificarsi nell’anemia
megaloblastica da carenza di vitamina B12 o di acido folico, in alcuni rari casi di anemia sideropenica e di anemia
sideroblastica.
L’emoglobinuria parossistica notturna con midollo spesso ipoplastico si differenzia dall’anemia aplastica per la
caratteristica situazione emolitica.
L’anemia aplastica va anche differenziata dalla pancitopenia da ipersplenismo, ossia da quella condizione di
cospicua splenomegalia (da qualsiasi causa provocata)
con sequestro degli elementi ematici circolanti; anche
in questo caso l’esame del midollo è discriminante, in
quanto esso si presenta polimorfo, con elementi morfologicamente normali e curve maturative inizialmente stimolate, nel tentativo di sopperire alle perdite periferiche.
A lungo andare, se non si interviene con la splenectomia,
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1044
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
si determina una carenza di costituenti essenziali per l’eritropoiesi, in particolare folati e, infine, si può arrivare a
una fase di esaurimento midollare, in genere transitoria,
ma che può anche esitare in vera aplasia.
Decorso e prognosi
Sono differenti per i diversi tipi di anemia aplastica; le
forme secondarie a farmaci citostatici o agli altri farmaci
ad azione dose-dipendente regrediscono di solito alla sospensione della sostanza responsabile. In caso di citopenia
da meccanismo idiosincrasico la regressione non è obbligatoria e può anche instaurarsi un’aplasia definitiva. L’aplasia
postepatitica è molto grave, la remissione spontanea è assai
rara e la mortalità a 1 anno è intorno al 90%.
La forma acquisita idiopatica ha decorso diverso in funzione di alcuni fattori prognostici; sono da considerare sfavorevoli il sesso maschile, la rapidità di comparsa dei sintomi, le
manifestazioni emorragiche precoci, il quadro periferico di
“anemia aplastica grave”. In alcuni pazienti l’anemia aplastica sembra essere associata allo sviluppo di cloni abnormi;
l’anomalia più comune, probabilmente di natura clonale,
è lo sviluppo di una popolazione di cellule che presenta le
caratteristiche dell’emoglobinuria parossistica notturna. La
trasformazione in leucemia acuta, osservata nel 5-10% dei
casi di anemia aplastica a oltre 2 anni dalla diagnosi, sia per
la forma acquisita sia per quella congenita, è probabilmente
espressione di una seconda malattia clonale.
Terapia
Nell’anemia aplastica secondaria a farmaci, a esposizione a tossici o a raggi X, il primo provvedimento è la sospensione del farmaco o l’allontanamento
dall’agente responsabile.
La terapia dell’aplasia stabilizzata, sia congenita sia
acquisita, primitiva o secondaria, prende in considerazione tre tipi di intervento:
• stimolazione con androgeni;
• terapia immunosoppressiva con globulina antilinfociti T, con ciclosporina, con farmaci immunosoppressori;
• trapianto di midollo.
La terapia con androgeni è basata sul loro effetto stimolante la produzione di eritropoietina e l’induzione
in ciclo delle cellule staminali, con sintesi di DNA;
in questo modo si ha un maggior numero di cellule
EPO-sensibili sottoposte a una più intensa attività
eritropoietinica. È ovvio che questo tipo di effetto
richiede una residua presenza di progenitori disponibili, e quindi gli androgeni trovano indicazione
nell’anemia aplastica non di estrema gravità.
La terapia con globulina antilinfocitaria, associata o
meno a farmaci immunosoppressori come la ciclofosfamide, è utilizzata nell’anemia aplastica acquisita
idiopatica in cui è ipotizzato un danno alle cellule staminali mediato dai linfociti T; nell’aplasia eritroblastica pura associata a timoma va eseguita l’asportazione
del timoma e, successivamente, può essere impiegata
la ciclofosfamide. Nei casi non associati a timoma, a
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sospetta patogenesi autoimmunitaria, trova indicazione teorica l’uso della terapia immunosoppressiva.
Il trapianto di midollo, da fratello HLA identico, è la
terapia di elezione dell’anemia aplastica grave, in età
giovanile, in particolare dell’aplasia postepatitica.
Aplasia pura della serie eritroide
(o eritroblastopenia pura)
Nel midollo può verificarsi una situazione di aplasia
elettiva del compartimento eritroide, ossia una mielosi
parziale aplastica, acquisita o congenita, che ha come
conseguenza anemia, non accompagnata da granulocitopenia e piastrinopenia.
L’aplasia eritroide pura acquisita ha andamento cronico,
si verifica negli adulti, molto spesso associata a timoma;
si ipotizza una patogenesi autoimmune con meccanismo
operante la distruzione intramidollare dei precursori eritropoietici e/o l’inibizione della normale differenziazione
eritropoietica. Nel siero dei pazienti si sono dimostrati:
• un anticorpo citotossico complemento-dipendente
che lisa elettivamente gli eritroblasti midollari;
• un anticorpo o immunoglobuline (Ig) G anti-EPO;
• un anticorpo che interferisce con il legame
dell’eritropoietina con i precursori eritroidi e quindi
inibisce la differenziazione delle BFU-E.
L’aplasia eritroide pura acquisita, di solito transitoria, può
verificarsi in corso di anemia emolitica cronica, di lupus
eritematoso sistemico, durante la terapia con alcuni farmaci (per esempio, aminopirina, CAF, clorpropamide,
fenilbutazone, isoniazide ecc.), con meccanismo per lo più
dose-dipendente. Una forma particolare è stata osservata
in pazienti con anemia da insufficienza renale cronica che
assumono eritropoietina a scopo terapeutico. In alcuni di
essi si è osservato un aggravamento dell’anemia dovuto
ad aplasia pura della serie rossa, a causa dello sviluppo
di anticorpi neutralizzanti ad alta affinità diretti contro
l’EPO. Questa sostanza, impiegata a scopi terapeutici, è
di natura ricombinante e differisce da quella endogena
per la sua componente carboidrata. Tuttavia, gli anticorpi
che si possono produrre in questo caso non sono diretti
contro carboidrati che entrano nella molecola dell’EPO,
ma verosimilmente contro un epitopo conformazionale
della proteina. Le conseguenze di questa reazione immunitaria sono molto negative, perché gli anticorpi stimolati
dall’eritropoietina ricombinante reagiscono anche contro
l’eritropoietina endogena, determinando un’aplasia pura della serie rossa. Non sono descritti casi simili negli
sportivi, soprattutto ciclisti, che assumono eritropoietina
come una forma di doping, ma questo evento avverso è
teoricamente possibile.
L’aplasia eritroide congenita o anemia di Diamond-Blackfan
è una malattia rara; è accompagnata da lievi anomalie
fisiche, del tipo di quelle descritte per l’anemia di Fanconi.
Il tipo di trasmissione ereditaria è autosomico recessivo;
i livelli di eritropoietina sono elevati, probabilmente vi è
un deficit a livello delle BFU-E, incapaci di rispondere al
normale stimolo maturativo.
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Capitolo 48 - ANEMIE
Anemie megaloblastiche
Viene definita megaloblastica un’anemia caratterizzata da
presenza di eritroblasti anomali, detti megaloblasti, nel
midollo e da macrovalociti nel sangue periferico. Essa è
determinata da un difetto nella sintesi di DNA conseguente a carenza di vitamina B12 e/o folati. L’alterazione biochimica alla base (difettosa sintesi di DNA) influenza tutte le
cellule provviste di elevata attività proliferativa, tra le quali i precursori emopoietici hanno un posto preminente.
Fisiologia
Per spiegare la genesi della megaloblastosi, che di per sé
non è necessariamente accompagnata da anemia, non
si può prescindere da una breve premessa sulle modalità
di sintesi del DNA e sulle principali caratteristiche della
vitamina B12 e dell’acido folico, che in essa hanno importanza essenziale.
Per una migliore comprensione del discorso che segue, si
riporta nella tabella 48.2 la nomenclatura dei costituenti
degli acidi nucleici.
Com’è noto, i costituenti del DNA differiscono da quelli
del RNA (acido ribonucleico) per due caratteristiche: sono
deossiribosidi anziché ribosidi e comprendono la timina
in luogo dell’uracile.
La timina differisce dall’uracile perché ha un gruppo metilico in più; perciò la metilazione dell’uracile, e la sua conversione in timina costituiscono un passo fondamentale per la
sintesi del DNA, che è essenziale per la divisione cellulare.
In realtà la metilazione non avviene direttamente a livello
dell’uracile, ma nel corso della seguente successione:
(1) Uridina → (2) Deossi-uridina → (3) Deossi-uridilato
→ (4) Timidilato → DNA
La metilazione avviene nel passaggio da (3) a (4), a opera
dell’enzima timidilato-sintetasi. Il deossi-uridilato si trasforma in timidilato ricevendo un metile da un coenzima
folico, il 5-10 metilene-tetraidrofolato (5-10 metilene THF),
che, come si vedrà per i coenzini folici, ha una notevole
capacità di trasferire unità monocarboniose. Dopo cessione
della unità monocarboniosa, il 5-10 metilene THF è trasformato in diidrofolato, una forma che necessita l’acquisizione
Tabella 48.2
Acido
nucleico
RNA
DNA
Base
Nucleoside
Nucleotide
Adenina1
Guanina1
Citosina2
Uracile2
Adenosina
Guanosina
Citidina
Uridina
Adenilato
Guanilato
Citidilato
Uridilato
Adenina1
Guanina1
Citosina2
Timina2
Deossi-adenosina
Deossi-guanosina
Deossi-citidina
Timidina
Deossi-adenilato
Deossi-guanilato
Deossi-citidilato
Timidilato
Basi puriniche.
Basi pirimidiniche.
1
2
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Nomenclatura degli acidi nucleici
1045
F. Pellò
5-metil-THF
Deossi-uridina
THF
Deossi-uridilato
Omocisteina
Vitamina B12
Metionina
8
Serina
Glicina
TIMIDILATOSINTETASI
5-10-metilene-THF
Diidrofolato
Timidilato
Diidrofolatoreduttasi
DNA
Figura 48.1
Sintesi del DNA
a partire dal
timidilato. Ruolo
dei coenzimi
folici e della
vitamina B12.
di altri due atomi di idrogeno, a opera dell’enzima diidrofolato-reduttasi, per convertirsi in tetraidrofolato (THF,
Tetrahydrofuran) ed essere così in grado di rigenerare il 5-10
metilene THF, assumendo gruppi metilenici dalla serina che
si trasforma in glicina (Fig. 48.1).
La sintesi del DNA richiede quindi che ci sia a disposizione
una quantità sufficiente di acido THF; esso però non si
trova nei depositi come tale, ma come coenzima folico
N5-metil-tetraidrofolato, che per trasformarsi in acido
THF cede un gruppo metilico alla vitamina B12 (questa
da cobalamina diventa metilcobalamina, funzionando
da accettore di metile), la quale a sua volta lo trasferisce
all’omocisteina che si trasforma in metionina (reazione catalizzata dall’omocisteina-metionina metil-transferasi).
In caso di deficit di vitamina B 12, non può verificarsi
quest’ultima reazione di trasferimento del gruppo metilico
e si ha quindi “intrappolamento del metil-tetraidrofolato”;
il suo accumulo riduce il pool disponibile dei coenzimi
folici, ivi inclusi l’acido THF e il 5-10 metilene-tetraidrofolato, necessario, come si è visto, per la sintesi del DNA.
Vitamina B12 La molecola consiste di due parti principali,
un nucleotide (5,6-dimetil-benzimidazolo) e un anello corrinico (gruppo planare) che assomiglia alla porfirina. L’anello corrinico contiene al centro un atomo di cobalto.
Nell’uomo si trovano due coenzimi principali della vitamina B12:
• la deossi-adenosil-cobalamina, presente
principalmente nel fegato, in cui il gruppo anionico
legato al cobalto è il 59-deossi-adenosile; è il coenzima
richiesto per la conversione del metilmalonato
coenzima A in succinil-coenzima A. La sua carenza
porta ad aumento dell’escrezione di metilmalonato;
• la metil-cobalamina, presente nel plasma, in cui il
gruppo anionico è il metile; è il coenzima implicato
nelle reazioni con i folati per la sintesi di DNA,
come si è già visto. La vitamina B12 catalizza anche la
riduzione dei ribosidi, contenuti nell’RNA a desossiribosidi, contenuti nel DNA.
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Le preparazioni in commercio sono l’idrossicobalamina,
in cui il gruppo anionico è l’ossidrile, e la cianocobalamina, con il gruppo -CN legato al cobalto.
La vitamina B12 si trova negli alimenti di origine animale
ed è resistente alla cottura; una dieta media quotidiana ne
contiene da 5 a 30 g, di cui solo una piccola parte viene
assorbita attraverso un’opportuna mediazione rappresentata dal fattore intrinseco.
Il fattore intrinseco è una glicoproteina costituita da due
catene polipeptidiche, prodotta dalle cellule parietali del
corpo e del fondo gastrico. La vitamina B12 si lega a esso
molto avidamente, formando un complesso che viene
assorbito a livello dell’ileo, ove la membrana dei microvilli delle cellule della mucosa ha recettori con un’elevata
affinità per questo complesso. Dopo l’assorbimento la
vitamina B12 viene staccata dal fattore intrinseco, pare a
livello dell’orletto a spazzola della mucosa, ed è veicolata
nel sangue dalle transcobalamine.
Le transcobalamine sono indicate con i numeri I, II e III. La
I e la III sono assai simili, rappresentando frazioni diverse
della cobalofillina, una glicoproteina presente nei granulociti normali e di leucemia mieloide cronica, nella saliva,
nel latte, nel liquido amniotico, nella bile; rappresenta in
un certo senso una forma di deposito, perché lega piuttosto
intensamente la vitamina B12. Il tempo di dimezzamento
della vitamina a essa legata è di circa 9-10 giorni.
Il contenuto totale di vitamina B12 nell’organismo è di
2-5 mg, di cui circa la metà è contenuta nel fegato. Dal
fegato una certa quota è eliminata attraverso la bile e
recuperata completamente mediante riassorbimento con
il fattore intrinseco (circolo enteroepatico). Il fabbisogno
giornaliero nell’adulto è inferiore a 1 g.
La transcobalamina II ha un peso molecolare di circa 30.000,
non è una glicoproteina, lega la vitamina B12 con scarsa energia, il suo tempo di dimezzamento è circa di un giorno e costituisce il veicolo che somministra la vitamina B12 ai tessuti.
Nel siero il valore normale di vitamina B12 è 160-900 ng/L.
Acido folico (o acido pteroilglutamico) La molecola è
costituita da tre parti: pteridina, acido p-amino-benzoico
e acido glutamico (Fig. 48.2). Questo acido è contenuto
principalmente negli alimenti vegetali, nel fegato crudo,
nel lievito, sotto forma di poliglutammati, costituiti da
catene di sette o più residui di acido glutamico attaccati
l’uno all’altro.
COOH
CH2
C1
Figura 48.2
Molecola di acido
folico. Gli atomi
segnati con pallini
neri legano gli atomi
di idrogeno nella
conversione a THF.
Le linee tratteggiate
indicano gli atomi
che possono
legare le unità
monocarboniose C1.
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O
NH
10
OH
C
N
N
NH2
Pteridina
N
NH
CH
COOH
Acido paraaminobenzoico
N
CH2
Acido
glutamico
Notevoli quantità di folato possono essere assorbite dai
poliglutammati della dieta, principalmente a livello del
digiuno prossimale, previa idrolisi a opera di un enzima denominato “coniugasi”, presente nella mucosa intestinale.
L’acido pteroilglutamico non si trova però come tale nei tessuti in quantità significativa e non è biochimicamente attivo; esso è il capostipite di una serie di composti (coenzimi
folici), ottenuti da reazioni di riduzione (diidro o tetraidro)
per aggiunta di idrogeni nelle posizioni 5, 6, 7, 8 dell’anello
pteridinico e per sostituzione di un C in posizione N5 e/o
N10 con gruppi chimici contenenti un solo atomo di carbonio (formilici, metenilici, formiminici e metilici [unità monocarboniose]). La riduzione enzimatica dell’acido
pteroilglutamico è catalizzata dalla diidrofolico-reduttasi.
L’acido folinico è l’acido 5-formil-tetraidrofolico.
Il deposito normale di folati è dell’ordine di 5-10 mg; il
fegato ne contiene una gran parte sotto forma di 5-metiltetraidrofolato, che sembra essere la forma principale di
folato normalmente circolante.
Il fabbisogno quotidiano di folati per un adulto è di 100200 g, la concentrazione di acido folico nel siero è di
10 g/L, mentre la concentrazione nei GR è 30 volte tanto:
300 g/L. La vitamina B12 è di fondamentale importanza
per permettere l’ingresso dell’acido folico nelle cellule; in
caso di carenza di B12 si ha aumento del rapporto acido folico siero/acido folico GR. I coenzimi folici sono implicati
in tutte le reazioni in cui vi è un trasferimento di un’unità
monocarboniosa; esse includono:
• sintesi delle purine;
• biosintesi della pirimidina (mediante metilazione
dell’acido deossi-uridilico ad acido timidilico);
• tre conversioni di aminoacidi: della serina a glicina,
dell’istidina ad acido glutamico, dell’omocisteina a
metionina, che richiede la vitamina B12.
Eziopatogenesi
In linea teorica una carenza può determinarsi per:
• insufficiente introduzione, per ridotto apporto
con la dieta;
• malassorbimento;
• aumentato fabbisogno, per aumento delle richieste
in situazioni fisiologiche o patologiche;
• inadeguata utilizzazione.
Verranno prese in considerazione separatamente le cause
di deficit di vitamina B12 e di acido folico, anche se molte
malattie accompagnate da malassorbimento sono in grado
di provocare una carenza di entrambe le vitamine.
Cause di carenza di vitamina B12 Il deficit di apporto
nutritivo è un’evenienza che non si verifica in pratica,
date l’esiguità del fabbisogno giornaliero (meno di 1 g),
l’entità delle scorte dell’organismo (circa 5 mg) e la ridotta eliminazione (circa lo 0,1% giornaliero della quantità
totale presente); occorrerebbero molti anni di dieta vegetariana per esaurire le scorte.
Il malassorbimento è la causa di gran lunga prevalente di
carenza di vitamina B12. Esso può verificarsi in una serie
di condizioni morbose e precisamente:
• in caso di alterazioni quantitative o qualitative del
fattore intrinseco: anemia perniciosa, gastrectomia;
• nelle malattie intestinali accompagnate
da malassorbimento (sprue tropicale, malattia celiaca
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Capitolo 48 - ANEMIE
dell’adulto ecc.) o in alterazioni intestinali anatomiche
(ileite terminale, resezione ileale, sindrome dell’ansa
cieca, fistole e anastomosi intestinali);
• per consumo della vitamina B12 da parte
di microrganismi o parassiti intestinali (come avviene,
per esempio, nelle infestazioni da botriocefalo).
Esistono condizioni di malassorbimento congenito della
vitamina B12, come nella sindrome di Imerslund-Gräsbeck,
che si accompagna a proteinuria, oppure in casi di fattore
intrinseco abnorme o assente e, infine, in caso di alterazioni nel trasporto e immagazzinamento della vitamina
B12 per deficit di transcobalamina I e II.
Si è già detto come il punto debole nell’assorbimento della
vitamina B12 sia la disponibilità del fattore intrinseco; se
esso manca, la vitamina B12 alle dosi fisiologiche non
viene assorbita (in grandi quantità è possibile che una
certa quota diffonda attraverso le pareti della mucosa); in
assenza di fattore intrinseco non viene neppure assorbita
la vitamina che esce dal fegato, per cui si interrompe
il circolo enteroepatico. A ciò consegue un aumento di
escrezione, il fabbisogno quotidiano si sposta da 1 a 3 g
e le scorte si possono esaurire in tempo minore.
L’anemia perniciosa è l’anemia megaloblastica che si accompagna a gastrite cronica atrofica, con secrezione di fattore intrinseco ridotta o assente e malassorbimento di vitamina B12.
Non è completamente chiarita la genesi dell’atrofia gastrica, anche se nei pazienti con anemia perniciosa si
sono trovati anticorpi anticellule parietali, con percentuali
dell’85-90% nel siero, del 75% nel succo gastrico e del 60%
nelle plasmacellule della mucosa gastrica; questi reperti
hanno significato diagnostico, ma non sono sicuramente
indicativi della patogenesi autoimmune della malattia.
Anche nella gastrite cronica apparentemente idiopatica,
senza anemia perniciosa, l’anticorpo anticellula parietale
è presente nel 30-60% dei casi.
Un secondo tipo di anticorpi diretti contro il fattore intrinseco
è stato trovato in un numero minore di pazienti con anemia perniciosa. Gli anticorpi antifattore intrinseco sono
di due tipi; il tipo I (anticorpo bloccante) blocca il sito
combinatorio del fattore intrinseco per la vitamina B12,
mentre il tipo II (anticorpo legante) si lega al complesso
fattore intrinseco vitamina B12.
L’anticorpo di tipo I è stato dimostrato nel 75% dei sieri
di anemia perniciosa, l’anticorpo di tipo II in circa il 45%
dei casi e di solito sempre in presenza anche dell’anticorpo
di tipo I. Anticorpi di tipo I e II sono stati dimostrati nel
succo gastrico e di tipo II nelle plasmacellule della mucosa
gastrica. Nel siero predominano anticorpi di tipo IgG, nel
succo gastrico di tipo IgA.
L’ipotesi, ritenuta assai probabile, di una patogenesi autoimmune dell’anemia perniciosa è sostenuta anche da considerazioni di ordine clinico; per esempio, nello stesso paziente può
coesistere un’altra malattia a patogenesi sicuramente (tiroidite
di Hashimoto) o presumibilmente autoimmune (malattia di
Addison, ipoparatiroidismo, vitiligine). Anche nei parenti di
pazienti con anemia perniciosa è stata rilevata un’aumentata
incidenza nel siero di anticorpi anticellule parietali.
Cause di carenza di acido folico L’insufficiente apporto
dietetico si verifica, per esempio, nelle persone anziane,
negli alcolisti, nelle persone che assumono una dieta quasi
priva di frutta e verdure fresche.
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Il malassorbimento è una causa molto frequente e si ritrovano qui alcune delle malattie già citate per il malassorbimento di vitamina B12 (sprue tropicale, malattia celiaca) e
in genere le malattie appartenenti al vasto capitolo della
patologia dell’intestino tenue, comprendenti deficit di
secrezioni esocrine e malattie primitive della parete intestinale. Alcuni farmaci anticonvulsivanti (difenilidantoina, primidone e barbiturati) ostacolano l’assorbimento
dei poliglutammati per inibizione della coniugasi intestinale. La carenza di acido folico da malassorbimento
è evenienza più frequente della carenza di vitamina B12,
perché le scorte di acido folico si esauriscono in un tempo
relativamente breve (circa un mese), mentre le scorte di
vitamina B12 richiedono anni per esaurirsi; nelle sindromi
da malassorbimento si potrà avere inizialmente anemia
megaloblastica da carenza di acido folico e solo successivamente, dopo 1 tempo relativamente lungo, anche da
carenza di vitamina B12.
L’aumentato fabbisogno ha luogo in tutte le condizioni
in cui nell’organismo vi è una rapida proliferazione cellulare; ciò può verificarsi in condizioni fisiologiche in
gravidanza, perché l’acido folico è necessario per la sintesi
del DNA dell’embrione e del feto, durante l’allattamento
e nei bambini prematuri. In condizioni patologiche, un
aumentato fabbisogno si ha nelle neoplasie caratterizzate
da rapido accrescimento cellulare; il prototipo è rappresentato dalle leucemie. Nelle anemie emolitiche, in cui
la notevole riduzione del ciclo vitale degli eritrociti che
vanno incontro a rapida distruzione determina il reclutamento di cellule di riserva dal midollo che aumenta di
3-4 volte la sua attività eritropoietica, si ha esaltata attività
sintetica di DNA e, quindi, maggior fabbisogno di folati;
se questi non vengono riforniti in quantità sufficiente, al
meccanismo emolitico si somma la carenza di folati come
causa di anemia. In alcune malattie infiammatorie (artrite
reumatoide, malattia di Crohn, dermatite esfoliativa) e
metaboliche (tireotossicosi, omocistinuria) in cui si ha
probabilmente un aumentato turnover di cellule, come
leucociti, cellule cutanee, può crearsi, anche se non abitualmente, una carenza di folati.
L’inadeguata utilizzazione è tipica nel deficit di vitamina
B12 che, come si è visto, serve ad estrarre il folato dalla
trappola del metilfolato; un elevatissimo apporto di acido
folico potrebbe prescindere dalla presenza di vitamina
B12, la quale resta però sempre il fattore essenziale in
caso di apporto fisiologico di folati. Un ridotto utilizzo
si ha anche in corso di terapia con farmaci antifolici,
somministrati intenzionalmente come chemioterapici
(methotrexate), che inibiscono la diidrofolico-reduttasi,
enzima che converte il diidrofolato in tetraidrofolato.
Azione analoga possiedono altri farmaci (per esempio,
pirimetamina, trimetoprim) come effetto collaterale indesiderato.
L’anemia megaloblastica si verifica, al di fuori delle situazioni di carenza di vitamina B12 e acido folico, in altre
condizioni iatrogene o spontanee che hanno come conseguenza un’alterata sintesi di DNA. Si ricorda, in primo
luogo, la somministrazione, nel corso di chemioterapia
antitumorale, di farmaci classificati come “antimetaboliti”
e precisamente di antagonisti della sintesi purinica (6-mercaptopurina, azatioprina) e pirimidinica (5-fluorouracile,
6-azauridina) e di altri, come, per esempio, la procarbazina
e l’idrossiurea, tutti inibitori della sintesi del DNA.
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Esistono, infine, alcune sindromi di carenza enzimatica,
come la sindrome di Lesch-Nyhan, da deficit dell’enzima
ipoxantina-guanina transferasi, implicato nella sintesi
delle purine, e l’orotico-aciduria, in cui il deficit enzimatico si situa sulla via sintetica dell’uridina, nucleotide
pirimidinico.
Fisiopatologia
Nell’anemia megaloblastica, la sintesi di RNA avviene
normalmente, mentre il processo di sintesi del DNA, che
precede ogni divisione mitotica, avviene con difficoltà. L’intervallo di tempo che passa tra una replicazione
cellulare e l’altra, per le cellule in rapida replicazione, è
allungato; si ha quindi una produzione normale di RNA e
una maggiore quantità di DNA nel nucleo. In un midollo
megaloblastico numerose cellule hanno una quantità
intermedia di DNA tra diploide e tetraploide.
Queste (megaloblasti) appariranno più grosse, a livello sia
del nucleo sia del citoplasma, perché la fase di prolungata
sintesi nel ciclo cellulare permette la formazione in eccesso
di alcuni composti citoplasmatici, inclusa l’emoglobina
che blocca la successiva replicazione, e quindi passerà più
tempo tra una divisione cellulare e l’altra. Questo vale per
tutte le cellule in rapida replicazione, in particolare per
i precursori eritropoietici; così, mentre negli eritroblasti
normali (normoblasti) il nucleo tende a rimpicciolirsi con
l’evoluzione verso la cellula matura ed è tondo e compatto,
nei megaloblasti il nucleo è grosso, con reticolo cromatinico fine e lasso. Queste cellule spesso non arrivano neppure
a dividersi, morendo nel midollo senza riuscire a maturare
e realizzando così un’eritropoiesi inefficace.
Poiché la difficoltà di sintesi del DNA ha luogo in tutte le
cellule, pur essendo l’anemia il fenomeno principale, sono
presenti granulocitopenia e piastrinopenia e si ha sofferenza
anche a livello delle cellule di tessuti in rapida proliferazione, non dei precursori emopoietici. Ciò vale principalmente
per le cellule delle mucose delle vie digerenti, del naso,
dei bronchi, delle vie urinarie e genitali. Nella carenza di
vitamina B12 esiste una manifestazione patologica ulteriore
(che non si ha nel deficit di acido folico), determinata da
un’alterazione nella sintesi della mielina. Si è visto che il
processo di isomerizzazione del metil-malonil-coenzima
A in succinilcoenzima A sia mediato dalla deossi-adenosilcobalamina. Inoltre, il metil-malonil-coenzima A deriva
dall’acido propionico, il quale a sua volta deriva dal metabolismo di molti aminoacidi; quindi, questa sostanza è presente nell’organismo in discreta quantità e per poter essere
metabolizzata completamente necessita della conversione a
succinil-coenzima A da parte della vitamina B12. In carenza
della vitamina si determina accumulo di tutti i metaboliti
a monte, con incorporazione di acidi grassi anomali nella
molecola della mielina. Da ciò deriva una sintomatologia
neurologica caratteristica, che interessa soprattutto i cordoni spinali e specialmente quelli posteriori.
Manifestazioni cliniche
L’anamnesi familiare è importante, in quanto possono
essere riscontrate forme di anemia non necessariamente
macrocitica, ma anche aplastica sideropenica o emolitica;
endocrinopatie a patogenesi autoimmune (si sono già
ricordati la tiroidite, alcune forme particolari di diabete,
l’ipoparatiroidismo, la malattia di Addison), più raramente
cirrosi biliare primitiva e ipo--globulinemia acquisita.
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L’anamnesi fisiologica prenderà in considerazione l’eventualità di una gravidanza o di un allattamento in epoca
recente, le abitudini alimentari (dieta povera di verdura e
frutta fresca, abuso di alcolici), la presenza di diarrea, l’assunzione di farmaci (antimetaboliti, anticonvulsivanti).
Nell’anamnesi patologica remota verranno indagate in
modo particolare malattie di tipo immunitario o a patogenesi autoimmune; forme precedenti di anemia (per
esempio, anemia sideropenica), interventi chirurgici (di
gastroresezione, di resezione ileale), malattie intestinali
accompagnate da sindrome da malassorbimento.
I sintomi che portano il paziente dal medico sono di tipo
aspecifico, comuni alle altre forme di anemia e anche ad
altre malattie non accompagnate da anemia; il paziente
accusa astenia ingravescente, sonnolenza, aumentata
sensibilità al freddo, sensazione di peso epigastrico e di rallentamento della digestione. Solamente in caso di deficit
di vitamina B12 si potrà avere una sindrome neurologica,
con parestesie alle mani e ai piedi, difficoltà a mantenere
la stazione eretta e alla deambulazione, più raramente
difficoltà all’uso delle mani; possono aversi anche paresi
spastica e disturbi visivi da neurite retrobulbare. È opportuno ricordare che questa sindrome neurologica può
essere riscontrata anche in pazienti che non presentano
anemia; si tratta di pazienti in cui l’anemia megaloblastica da carenza di vitamina B12 è stata trattata con dosi
elevate di acido folico. Come si è visto dallo schema di
interreazione metabolica tra vitamina B12 e acido folico,
questo a dosi elevate può sopperire alla mancanza relativa
di B12 e innescare ugualmente la sintesi del timidilato;
tuttavia, la conversione del metil-malonil-coenzima A
in succinil-coenzima A richiede necessariamente la presenza di vitamina B12; in sua assenza si ha accumulo del
metil-malonato, ritenuto responsabile delle alterazioni
neurologiche.
Esame obiettivo
L’esame obiettivo mette in evidenza cute pallida con sfumatura giallastra (colore “cera vecchia”), la lingua appare
arrossata e lucida (glossite di Hunter) e ha perso il normale
aspetto vellutato, perché le papille sono spianate per difetto di rigenerazione cellulare.
Sarà inoltre possibile rilevare una modesta epatosplenomegalia per l’aumentata attività del sistema reticoloistiocitario, secondaria all’aumento dell’eritrocateresi.
Esami di laboratorio
• Quadro ematologico: l’esame emocromocitometrico
dimostra una diminuzione del contenuto
di emoglobina di entità minore rispetto alla
diminuzione dei GR; una diminuzione del
valore dell’ematocrito, un aumento del volume
corpuscolare medio e del contenuto corpuscolare
medio di emoglobina mentre la concentrazione di
emoglobina corpuscolare media è normale. Non
si ha ipercromia, solamente i GR sono più grandi
e quindi contengono più emoglobina, ma la sua
concentrazione per ogni unità di volume di GR
è normale. Si ha anemia perché è notevolmente
diminuito il numero dei GR. L’esame dello striscio
del sangue periferico è abbastanza patognomonico, in
quanto dimostra la presenza di macrociti, talvolta
a forma ovoidale (macrovalociti), policromasia
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Capitolo 48 - ANEMIE
diffusa o punteggiatura basofila, eccezionalmente
rari megaloblasti policromatofili o ortocromatici. I
granulociti hanno nucleo ipersegmentato; l’esistenza
di tre elementi presentanti cinque lobi o anche di un
solo elemento con sei lobi permette di diagnosticare
quasi sicuramente un’anemia megaloblastica. Vi
sono inoltre discreta leucopenia con neutropenia
e modesta piastrinopenia. Solamente con l’esame
del midollo, però, è possibile documentare con
certezza l’anemia megaloblastica; nei casi tipici e
conclamati all’esame a piccolo ingrandimento, si
osservano una straordinaria ricchezza di elementi
cellulari e una prevalenza di voluminosi elementi
a citoplasma basofilo (cosiddetto midollo blu).
L’osservazione a forte ingrandimento dimostra il
reperto più caratteristico, la presenza di megaloblasti,
in numero variabile ma sempre considerevole, non
solo in fase basofila, ma anche policromatofila e
perfino ortocromatica. Si tratta di elementi cellulari
di grandi dimensioni, con sviluppo asincrono del
nucleo e del citoplasma, con nucleo di aspetto
lasso, reticolato, a cromatina delicata, citoplasma
ampio, che in fase basofila ha una basofilia
disomogenea, con fenomeno di disbasofilismo,
consistente in zone di citoplasma a sfumatura grigio
rosata commiste alle zone decisamente basofile.
Come si è già detto, l’asincronismo maturativo
nucleo-citoplasmatico è anch’esso conseguenza
del difetto di sintesi del DNA. Va tenuto presente
che la megaloblastosi non è un fenomeno “tutto
o nulla”, per cui, nel midollo, accanto ad elementi
francamente megaloblastici si trovano una quota di
elementi con aspetto intermedio tra megaloblasti e
normoblasti e anche una discreta quota di elementi
francamente normoblastici; evidentemente il difetto
sintetico del DNA responsabile della morfologia
megaloblastica non colpisce uniformemente tutti
gli elementi. Infine, occorre sottolineare come una
dose anche piccola di vitamina B12, insufficiente
per svolgere un’azione terapeutica completa, sia in
grado di provocare a livello del midollo, nel volgere
di poche ore, modificazioni della morfologia dei
megaloblasti, che tendono ad assumere l’aspetto dei
normoblasti; si possono quindi incontrare difficoltà
diagnostiche anche considerevoli, per cui è molto
importante che il paziente esegua gli esami prima
di qualsiasi intervento terapeutico e che comunque
venga fatta un’anamnesi accurata per accertare
se sia stata eseguita in precedenza una terapia per
l’anemia cosiddetta “ricostituente”, di solito a base
di estratto epatico e vitamina B12. Anche a carico
della serie granuloblastica si osservano modificazioni
caratteristiche; i promielociti e specialmente i
mielociti presentano dimensioni più grandi che
di norma e nucleo con aspetto bizzarro (“a tronco
d’albero”, “a gozzo”), per cui viene a mancare quasi
completamente il normale stadio a nucleo rotondo
e dal promielocito si passa quasi direttamente,
attraverso queste forme bizzarre, al granulocito
gigante ipersegmentato, ormai definitivamente
maturo. L’alterazione della serie granuloblastica
risente in modo minore di eventuali piccole dosi
di vitamina B12 somministrate in precedenza e
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costituisce spesso un dato di utile orientamento
diagnostico nei casi in cui la morfologia della serie
eritroide sia meno tipica, perché parzialmente
modificata da una terapia intempestiva e inadeguata.
• Altri esami: nel siero è presente spesso lieve
iperbilirubinemia, di tipo indiretto, espressione
di un’accentuata attività emolitica, secondaria
all’eritropoiesi inefficace. Nell’anemia perniciosa
l’esame del succo gastrico, in condizioni basali,
dimostra achilia, che rimane invariata dopo
stimolazione con istamina o pentagastrina. Nei
casi in cui vi sia sindrome da malassorbimento,
l’esame delle feci dà il reperto caratteristico, come
è stato descritto nel Capitolo 26 relativo alle
malattie dell’intestino. In presenza di un’anemia
megaloblastica, è importante discriminare se vi sia
all’origine una carenza di vitamina B12 o di acido
folico. Il metodo più diretto consiste nel dosare
la vitamina B12 nel siero e l’acido folico nel siero
e nelle emazie. Poiché la vitamina B12 è di fatto
indispensabile per permettere l’ingresso dell’acido
folico nelle cellule e quindi, tra le altre, nei GR, in
carenza di essa si ha aumento del rapporto acido
folico del siero/acido folico dei globuli, che, come
si è visto, in condizioni normali è circa 1:30. La
carenza di acido folico non ha alcuna influenza
sulla ripartizione della vitamina B12, a meno che
non sia di grado tale da determinare atrofia gastrica
e/o intestinale e da compromettere l’assorbimento.
Altri metodi diagnostici sono basati sullo studio
di processi metabolici elettivamente condizionati
dalla vitamina B12 o dall’acido folico. La carenza di
vitamina B12 è responsabile di mancata conversione
del metil-malonil-coenzima A in succinilcoenzima
A; si avrà quindi escrezione urinaria di acido
metil-malonico, di entità maggiore se sarà stato
somministrato in precedenza un carico di aminoacidi
(valina o isoleucina). L’acido folico è importante
nel metabolismo dell’istidina ed è necessario
come coenzima per la trasformazione dell’acido
formominoglutammico in acido glutamico; se
si somministra un carico di istidina in carenza
di acido folico, si ha eliminazione di acido
formominoglutammico con le urine. Un metodo
molto semplice è quello della prova terapeutica, che
consiste nel trattare il paziente per una decina di
giorni con il fattore che si ritiene più verosimilmente
in causa come responsabile dell’anemia; la prova
va fatta somministrando dosi minime (1 g/die
nel caso della B12 e 100 g/die nel caso dell’acido
folico), perché con dosi elevate si può avere una
risposta positiva anche se il fattore in causa non è
quello in prova. La risposta è considerata positiva se,
entro 1 settimana, si verifica un franco incremento
numerico di reticolociti. Il procedimento seguito sin
qui ha portato ad accertare la presenza di anemia
megaloblastica e a determinare qual è fattore
carente; il successivo passaggio diagnostico è volto a
ricercare la causa della carenza in termini di apporto
inadeguato, malassorbimento, aumentate richieste
o alterata utilizzazione più o meno variamente
combinati. La carenza di vitamina B12 è dovuta quasi
esclusivamente a un difetto di assorbimento ed
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8
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1050
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
esiste un test specifico, chiamato test di Schilling, che
consente di verificare le modalità dell’assorbimento
stesso. In pratica vengono somministrati per via orale
2 g di vitamina B12 radioattiva (57CoB12), seguita da
un’iniezione intramuscolare di 1000 g di vitamina
B12 non radioattiva, al fine di saturare i depositi. Si
raccolgono le urine delle 24 ore e poi si iniettano altri
1000 g di vitamina B12 non radioattiva e di nuovo si
raccolgono le urine per 24 ore; normalmente nelle 24
ore viene escreta con le urine una quantità superiore
al 5% della dose orale somministrata. Se non si
ottiene un risultato normale, si ripete il test dopo
aver aggiunto alla vitamina B12 radioattiva il fattore
intrinseco; nell’anemia perniciosa, in questo secondo
caso, si ha normalizzazione del test. Quando invece
l’alterato assorbimento non è secondario a deficit
di fattore intrinseco, ma, per esempio, a malattia
intestinale con malassorbimento, l’escrezione della
vitamina radioattiva è scarsa anche dopo l’aggiunta
di fattore intrinseco. È di grande importanza che
il test di Schilling venga eseguito solo dopo che
con l’esame del midollo è stata accertata l’anemia
megaloblastica e dopo che il trial terapeutico ha
permesso di discriminare il fattore responsabile;
infatti, la grande quantità di vitamina B12 iniettata
per saturare i depositi è in grado di alterare entrambe
le prove. In tutti i casi di anemia megaloblastica va
eseguito uno studio radiologico completo del tubo
digerente, data l’importanza che riveste la patologia
di questo apparato per il malassorbimento di B12 e di
folati. In presenza di anemia perniciosa va eseguito
anche un esame gastroscopico con prelievo bioptico,
per documentare la presenza e l’entità della gastrite
atrofica; va inoltre eseguito l’esame chimico del succo
gastrico prelevato mediante sondino a intervalli di
tempo successivi e dopo stimolazione, per indagare la
presenza o meno di achilia.
Diagnosi
La diagnosi di anemia megaloblastica è basata sul rilievo
di anemia macrocitica all’esame del sangue periferico e
di una megaloblastosi midollare.
L’anemia macrocitica può trovarsi in alcune forme di
anemia emolitica; in questi casi si hanno consistente
iperbilirubinemia ed elevata reticolocitosi; nell’anemia
aplastica con macrocitosi l’aspetto dei GR non è quello dei macro-ovalociti, mancano i granulociti neutrofili
ipersegmentati e coesistono marcate leucopenia e piastrinopenia; anemia macrocitica può verificarsi nelle leucemie, sia prima della terapia sia in corso di chemioterapia,
Anemie sideropeniche
L’anemia sideropenica si manifesta quando la disponibilità di ferro nell’organismo è insufficiente per un’adeguata sintesi di emoglobina.
La sua caratteristica distintiva è perciò la diminuzione
del contenuto corpuscolare medio di Hb, che si
accompagna a una riduzione del volume medio dei GR
(microcitosi).
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nell’anemia sideroblastica, nel mixedema, nell’alcolismo
cronico. Il midollo in questi casi non è di solito di tipo
megaloblastico, tranne che in casi particolari di leucemia
e di anemia emolitica.
Se l’anemia megaloblastica è associata ad altre situazioni
patologiche responsabili di anemia ipocromica, per esempio
carenza di ferro, gli indici ematologici danno valori compatibili con anemia normocitica o anche microcitica; ciò può
verificarsi nei gastroresecati, con malassorbimento della
vitamina B12 e del ferro, nel deficit di folato da inadeguata
nutrizione in cui coesistono carenze multiple (di folati, di
ferro, di proteine) o in caso di carcinoma gastrico sanguinante, in cui lo stillicidio cronico causa la carenza di ferro.
Decorso e prognosi
Il decorso è diverso, a seconda dell’eziologia dell’anemia
megaloblastica. In ogni situazione in cui la causa della
carenza viene spontaneamente a cessare o può essere completamente rimossa, un’opportuna terapia atta a reintegrare i depositi riporta la situazione in condizioni di assoluta
normalità. Quando non è possibile una terapia eziologica,
per esempio nell’anemia perniciosa, in caso di resezione
gastrica o ileale, la terapia sostitutiva con il fattore ritenuto carente riporta alla normalità il quadro clinico ed
ematologico; è ovvio che in questi casi la terapia debba
essere perseguita per tutta la vita. La prognosi è buona e
l’aspettativa di vita dei pazienti è nei limiti della norma.
Terapia
La terapia deve essere, se possibile, eziologica, volta
cioè a correggere la situazione patologica responsabile dell’anemia; anche se ciò è possibile, vanno
reintegrati i depositi di vitamina B12 o di acido folico.
Se la condizione morbosa di base non può essere
rimossa, la terapia sostitutiva va continuata indefinitamente.
La via di somministrazione sarà parenterale per il
deficit di B12, generalmente secondario a malassorbimento, e per i casi in cui il deficit di folato riconosce
questo meccanismo. Negli altri casi il folato può essere somministrato per via orale.
Nell’anemia perniciosa, che, come si è visto, riconosce probabilmente una patogenesi autoimmune,
sono stati fatti tentativi terapeutici con prednisone,
associato o meno a vitamina B12; questo indirizzo
terapeutico non è però codificato e viene riservato a
casi particolari.
C. Camaschella, G. Gromo, M. Storti
Epidemiologia
La carenza di ferro è la causa di anemia oggi conosciuta più
comune in tutto il mondo (Paesi sottosviluppati e non).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito
il concetto di anemia come un valore di Hb inferiore ai
14 g/dL nell’uomo, ai 12 g/dL nella donna e agli 11 g/dL
nella donna gravida.
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Capitolo 48 - ANEMIE
Tabella 48.3
Distribuzione del ferro nei suoi
compartimenti
Ferro totale corporeo (%)
Compartimento funzionale
Hb
Mioglobina
Enzimi
Transferrina
Immagazzinamento
Ferritina (65%), emosiderina
(35%)
Uomini
72
10
0,2
0,2
82,4
17,6
Donne
73,5
13
0,4
0,2
87,1
12,9
100
100
Questo criterio non precisa però lo stato clinico di sideropenia latente (si veda oltre, Eziopatogenesi).
Nei Paesi maggiormente sviluppati l’incidenza della sideropenia è del 3% tra gli uomini adulti, del 20% tra le
donne e del 50% tra le donne gravide.
Queste percentuali sono maggiori quando si prendono in
esame alcuni Paesi dell’Africa o dell’Asia in cui una dieta
ridotta e un’eccessiva perdita di ferro provocata dalla
presenza di parassiti intestinali portano l’anemia sideropenica a interessare più del 50% della popolazione. Tra gli
adulti è soprattutto il sesso femminile a venire colpito, in
particolare durante l’età fertile.
Diverso l’andamento nell’uomo, nel quale si riconoscono
infatti due picchi di incidenza, durante l’adolescenza e
dopo i 30 anni.
L’incidenza massima comunque si verifica tra i 6 e i 20
mesi di vita (indifferentemente tra maschi e femmine),
in particolare nei prematuri. Il deficit di ferro, infine, è
più frequente nei ceti meno abbienti che non nelle classi
medio-alte (61% versus 39%).
Metabolismo del ferro*
Il ferro è un elemento essenziale per molte funzioni biologiche, tra cui il trasporto di ossigeno, il metabolismo
ossidativo e la proliferazione cellulare. In condizioni fisiologiche, il ferro totale dell’organismo è di circa 3-4 g,
con ampie variazioni tra i sessi (35-50 mg/kg nell’uomo;
25-35 mg/kg nella donna) (Tab. 48.3). Il ferro dell’organismo è distribuito in tre compartimenti: funzionale, di deposito e di trasporto. Il ferro funzionale è il più importante
ed è rappresentato dall’emoglobina (il 70% pari a circa
2000 mg), da mioglobina (10%, circa 300 mg) ed enzimi
(in minima quantità). Il ferro di deposito è presente come
ferritina ed emosiderina per un totale di circa 1000 mg,
soprattutto nel fegato e nel sistema reticolo-endoteliale
(milza e midollo osseo). Il ferro di trasporto è legato alla
transferrina, che ne contiene 3-4 mg (0,1%), una quota
minima, ma rapidamente scambiabile con i tessuti. Il
metabolismo del ferro è conservativo; il ferro recuperato
dall’emocateresi viene riciclato dai macrofagi e prontamente ceduto alla transferrina circolante (20-25 mg/die) e
solo 1-2 mg di ferro, perduti per desquamazione cellulare,
vengono ricambiati giornalmente (Fig. 48.3).
* C. Camaschella
C0240.indd 1051
Il mantenimento dell’omeostasi del ferro è assicurato dalla
regolazione dell’assorbimento intestinale, in quanto non
esiste un meccanismo di escrezione del ferro. L’assorbimento, che è mediato dal peptide di produzione epatica epcidina (si veda oltre), è incrementato in relazione alle esigenze
dell’eritropoiesi e ridotto quando i depositi di ferro sono
abbondanti. Le perdite di ferro nell’uomo e nella donna
dopo la menopausa ammontano a circa 1 mg/die (desquamazione di cellule intestinali, della cute, delle vie urinarie).
Nella donna in età fertile le perdite sono incrementate in
considerazione del ciclo mestruale (normalmente fino a
circa 25 mg/ciclo) e delle gravidanze, in quanto, dal concepimento al parto, si ha una perdita di ferro aggiuntiva di
circa 700 mg; la perdita dovuta ad allattamento è di circa
1 mg/die. Il fabbisogno quotidiano di ferro varia quindi in
diverse condizioni fisiologiche, anche tenendo conto delle
esigenze correlate all’accrescimento corporeo (Tab. 48.4).
Una dieta “comune” comporta l’assunzione di 10-20 mg
di ferro al giorno, ma in condizioni normali solo il 5-10%
(1-2 mg circa) viene assorbito. Se il fabbisogno è aumentato,
l’assorbimento può anche arrivare al 10-20%.
Il processo attraverso il quale il ferro è reso disponibile
per le necessità dell’organismo può essere riassunto in tre
fasi principali:
• tipo di alimentazione, che influenza il trasporto
intraluminale e l’estrazione del ferro emico e non
emico;
• assorbimento mucoso;
• trasporto nel circolo sanguigno.
1051
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Tipo di alimentazione Esistono due sistemi di assorbimento, diversi a seconda che il ferro si presenti nella struttura porfirinica dell’eme o sotto forma di sali inorganici di
ferro. Nel primo caso (mioglobina, emoglobina, proteine
di origine animale), il ferro è assorbito come eme e viene
liberato nelle cellule epiteliali intestinali. Questo tipo di
assorbimento, che verosimilmente coinvolge un trasportatore intestinale di membrana, è scarsamente sensibile
alle modificazioni di pH e quindi poco influenzato dalla
dieta. Nel secondo caso, invece, il ferro deve essere ridotto
da ferrico, che tenderebbe a precipitare nel lume intestinale, a ferroso. Ai fini di questo processo è importante la
presenza di acido cloridrico gastrico e del normale tempo
di svuotamento gastrico. Infatti, l’ambiente acido libera
il ferro non emico dagli alimenti e ne facilita il legame
con mucopolisaccaridi o sostanze a basso peso molecolare
(zuccheri, aminoacidi, acido ascorbico ecc.), direttamente
assorbiti nel duodeno o digiuno. In ambiente alcalino,
invece, il ferro si lega in forma indissociabile a proteine ad
alto peso molecolare, non viene assorbito e può ritrovarsi
come ione ferrico nelle feci. Anche la stessa alimentazione
influisce sull’assorbimento del ferro; ossalati, fitati, tè,
fibre, uova, fosfati lo ritardano, perché formano con il
ferro composti relativamente insolubili. Viceversa, alcol
e sostanze riducenti (acido ascorbico, cisteina, fruttosio
ecc.) lo favoriscono.
Assorbimento mucoso Le cellule della mucosa duodenale e digiunale presentano sulla superficie luminale il
trasportatore di ferro DMT1 (Divalent Metal Transporter
1), che coopera con una ferroreduttasi della membrana per
recuperare dal lume il ferro sotto forma di ferro ferroso.
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1052
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Macrofagi
splenici
Enterociti
duodenali
20-25 mg/die
1-2 mg/die
Desquamazione
cellulare
Fegato
Eritrociti
Figura 48.3
Schema del
ricambio del ferro
nell’organismo.
Midollo
osseo
Perdite
di sangue
1-2 mg/die
L’espressione del trasportatore e della reduttasi è incrementata in carenza di ferro e soprattutto in condizioni di
ipossia. Nella cellula intestinale il ferro va incontro a destinazioni diverse a seconda delle necessità. In condizioni di
sideropenia viene esportato ed entra in circolo legandosi
alla transferrina circolante. Questo processo coinvolge una
proteina della membrana basolaterale dell’enterocita denominata ferroportina e un’ossidasi (efestina) per l’ossidazione a ferro ferrico. In condizioni di eccesso di ferro, una
quota elevata viene depositata nelle cellule della mucosa
sotto forma di ferritina e, come tale, verrà perduta nel lume
intestinale; una piccola quota, infine, viene direttamente
utilizzata per le esigenze delle cellule intestinali.
Regolazione dell’assorbimento intestinale È rimasto
a lungo ignoto in che modo la cellula intestinale riceva
l’informazione per modulare in modo intelligente l’assorbimento di ferro, che è aumentato nelle situazioni di
sideropenia e in caso di esaltata eritropoiesi, mentre si
riduce nelle situazioni di sovraccarico marziale. Recentemente il principale regolatore dell’assorbimento intestinale di ferro è stato identificato e denominato epcidina.
Si tratta di un piccolo peptide di produzione epatica, che
Tabella 48.4 Fabbisogno quotidiano di ferro (mg/die)
Uomo adulto normale
Donna mestruata
Donna gravida
Donna che allatta (con amenorrea)
Donna postmenopausa
Adolescente
Bambino
Neonato
0,5-1,0
0
5-1 0
1,2-2,0
2,4-4,8
0,5-1,0
0,5-1,0
1,0-2,0
0,4-1,0
0,5-1,5
N.B. Solitamente viene assorbito il 5-10% del ferro ingerito; nel caso
della donna in gravidanza non è possibile raggiungere simili dosaggi
con la sola dieta, è dunque necessario aggiungere ferro con uno
dei preparati a disposizione.
C0240.indd 1052
Muscolo e altri
organi
ha la struttura dei peptidi antimicrobici. Il peptide attivo
è formato da 25 aminoacidi a partire da un precursore di
84 aminoacidi prodotto nel fegato. L’epcidina controlla
l’espressione di superficie dell’esportatore cellulare di
ferro ferroportina, legandosi alla ferroportina e inducendone l’internalizzazione e la degradazione lisosomiale.
L’epcidina è quindi in grado di bloccare l’assorbimento in
caso di eccesso di ferro. La trascrizione dell’epcidina è aumentata nel sovraccarico di ferro e nell’infiammazione e
soppressa nella sideropenia, nell’ipossia e nell’espansione
eritropoietica, condizioni in cui è necessario incrementare l’assorbimento di ferro per le esigenze dell’eritropoiesi.
La soppressione della sintesi di epcidina lascia inalterata
la ferroportina, permettendo l’assorbimento di quote
ingenti di ferro (Fig. 48.4). A questa scoperta si è arrivati
tramite lo studio di modelli animali (il topo in cui il
gene di epcidina è costitutivamente inattivato sviluppa
sovraccarico di ferro, mentre il topo che iperesprime
epcidina muore alla nascita per anemia sideropenica
grave) e dell’emocromatosi ereditaria, che è una patologia tipica da sregolazione dell’assorbimento. Inoltre
l’epcidina è una proteina di fase acuta, indotta dalla flogosi in risposta a citochine infiammatorie, in particolare
all’interleuchina 6 (IL-6). La sua aumentata produzione
nell’infiammazione blocca l’assorbimento di ferro e causa
sequestro di ferro nei macrofagi, entrambe caratteristiche
dell’anemia delle malattie infiammatorie croniche, con
la finalità di sottrarre un fattore di crescita di eventuali
microrganismi.
Trasporto del ferro nel circolo sanguigno Il ferro, entrato
nel torrente circolatorio, si trova in un sistema chiuso in
cui viene costantemente riciclato tra plasma e tessuti. Il
midollo osseo ne impiega la gran parte per l’eritropoiesi; spetta invece al sistema reticolo-endoteliale (cellule
macrofagiche del midollo, e soprattutto della milza e del
fegato) fagocitare le emazie al termine del loro ciclo vitale
di 120 giorni circa, recuperare il ferro e ritrasmetterlo nuovamente agli eritroblasti attraverso due vie, la transferrina
(la quota maggiore) e il meccanismo della rofeocitosi (dal
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Capitolo 48 - ANEMIE
1053
Enterocita
8
TF-diferrica
HJV
TFR2
HFE
Fe
?
?
TFR1
FPN
Fe
TF
HAMP
Epcidina
FPN
Epatocita
Fe
Eritrociti
Macrofago
Figura 48.4
Schema della
regolazione
dell’assorbimento
intestinale e del
rilascio di ferro
dai macrofagi.
Il peptide epatico epidina controlla l’espressione di membrana di ferroportina dell’enterocita e del macrofago. In presenza di epcidina meno ferro viene rilasciato alla circolazione e quindi
la transferrina diferrica è poco rappresentata. Al contrario, quando l’epcidina è ridotta, più ferro è disponibile per la transferrina. La transferrina diferrica a livello dell’epatocita si lega a TFR1 e
internalizza il ferro, ma funge anche da segnale per il complesso delle proteine (HFE e TFR2) dell’emocromatosi. Si sa che il segnale è poi trasmesso dall’emogiuvelina (HJV) per attivare la
trascrizione del gene HAMP che codifica per l’epcidina, anche se i meccanismi molecolari sono in parte ignoti (?).
greco rofeo, “aspirare”), ovvero direttamente dai macrofagi
agli eritroblasti (la quota minore).
Nel plasma il ferro circola veicolato dalla transferrina,
una glicoproteina sintetizzata dal fegato. Essa è formata
da una catena polipeptidica singola, del peso molecolare
di circa 80.000, provvista di due siti specifici di legame
per il ferro, situati agli estremi N-terminale e C-terminale
della molecola. La sua concentrazione plasmatica è di
240-280 mg/dL. Può essere misurata in termini di capacità
ferro-legante totale del plasma (TIBC, Total Iron-Binding
Capacity), in genere 300-400 g/dL. Normalmente la sideremia è circa 100-130 g/dL, per cui la transferrina è
saturata per circa un terzo. La transferrina esiste in forma
di apotransferrina (cioè priva di ferro), transferrina monoferrica (con un solo legame saturo) e transferrina diferrica
(con entrambi i legami saturi). La quantità di transferrina diferrica sarebbe il segnale captato da sensori epatici
che trasmettono il segnale per la produzione di epcidina
(si veda Fig. 48.4). Questi ultimi includono le proteine
mutate nell’emocromatosi ereditaria (si veda il Capitolo
34). Sulla superficie della maggior parte delle cellule sono
situati recettori per la transferrina; la captazione cellulare
del ferro ha inizio con lo stabilirsi di un legame tra il complesso transferrina-ferro e il recettore della transferrina. La
differenza nel numero di recettori adatta la captazione del
ferro alle necessità del singolo tessuto; i recettori tissutali
mostrano un’avidità preferenziale per la transferrina diferrica. Le cellule con maggior numero di recettori sono
i trofoblasti placentari e i precursori eritroidi del midollo
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durante la loro maturazione in relazione alle necessità di
produrre emoglobina. Il meccanismo di captazione del
ferro avviene attraverso un fenomeno di endocitosi in cui
il recettore, la transferrina e il ferro vengono internalizzati
dalla cellula in un ciclo endosomico. Il ferro viene rilasciato al pH acido dell’endosoma e, mediante il trasportatore
di membrana DMT1, viene rilasciato al citoplasma per le
esigenze cellulari, mentre il recettore e l’apotransferrina
vengono riciclati sulla superficie cellulare e iniziano un
nuoco ciclo. Recentemente è stato dimostrato che anche
HFE, il gene mutato nell’emocromatosi ereditaria, si associa al recettore della transferrina in questo ciclo endosomico, verosimilmente con funzione regolatoria.
Deposito di ferro Il ferro di deposito viene immagazzinato sotto due forme, ferritina ed emosiderina. La ferritina è una molecola proteica di peso molecolare 440.000,
costituita da catene leggere L e pesanti H, con funzioni
diverse. La proteina forma una sorta di guscio che ricopre
un nucleo di sale ferrico insolubile, comprendente sino
a circa 4500 atomi per molecola. Il ferro ferritinico è rapidamente mobilizzabile. La ferritina è presente nel siero
dove riflette, con buona approssimazione, i depositi di
ferro nell’organismo e può essere dosata con metodo RIA
(Radio Immuno Assay). Esistono differenze tra i sessi per
quanto riguarda i livelli di ferritina sierici, che possono
anche essere inficiati da processi infiammatori, anche
di lieve entità. L’emosiderina, costituita da aggregati di
molecole di ferritina, rappresenta una forma di deposito
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1054
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
più stabile da cui il ferro è scarsamente mobilizzabile; in
passato veniva distinta dalla ferritina per la sua insolubilità e la positività alla colorazione con il blu di Prussia nelle
preparazioni microscopiche. La diminuzione, o assenza,
di emosiderina a livello midollare rappresenta la prima
spia di un deficit di ferro nell’organismo, che può verificarsi con anticipo anche di parecchi mesi sulla comparsa
dell’anemia.
Nelle anemie emolitiche il ferro liberato dalle emazie lisate
viene captato a livello del sistema reticolo-endoteliale, in
grado di mobilizzarlo prontamente, e i livelli di epcidina
non sono significativamente variati. Nelle situazioni di
eritropoiesi inefficace l’assorbimento di ferro aumenta
soprattutto in relazione alla riduzione della produzione di
epcidina, che si verifica anche in presenza di livelli elevati
di ferro di deposito. Questo fenomeno sottolinea come
le necessità dell’eritropoiesi prevalgano nell’organismo,
ma in presenza di eritropoiesi inefficace favoriscono lo
sviluppo di sovraccarico di ferro.
Eziopatogenesi
Uno stato di carenza marziale può essere determinato da:
• apporto inadeguato;
• aumentato fabbisogno;
• assorbimento inadeguato;
• perdita protratta di ferro.
Un diminuito apporto senza che vi siano problemi di assorbimento o di fabbisogno è evento raro. Questo avviene
più spesso nei vegetariani, perché anche se frutta e verdura contengono percentuali discrete di ferro1è altrettanto vero che vi si trovano nitrati, fosfati e carboidrati
che tendono a chelare il ferro e a ridurre l’assorbimento
(si veda in precedenza, Metabolismo del ferro). Durante il
primo anno di vita, come si è detto, possono comparire
anemie sideropeniche su base alimentare, dal momento
che il latte materno e, soprattutto, quello artificiale sono
poveri di ferro.
Le condizioni nelle quali si registra un fabbisogno aumentato di ferro sono sostanzialmente tre: infanzia, gravidanza
e allattamento. Nel primo anno di vita il bambino triplica
il proprio peso corporeo e ha bisogno di 150 mg di ferro
per espandere la propria massa eritrocitaria circolante e
produrre proteine contenenti ferro quali la mioglobina. Il
latte materno di per sé non è sufficiente; occorrono quindi
alimenti ricchi di ferro come i cereali e la carne, oppure
un apporto farmacologico supplementare. Più complesso
invece il bilancio del ferro in gravidanza.
Ciascuna gravidanza comporta una perdita da parte della
madre di circa 680 mg di ferro, equivalente a 1300 mL di
sangue. Considerato che il pool totale in una donna di 5055 kg si aggira sui 2000 mg di ferro, se ne può facilmente
dedurre che la perdita totale è di un terzo, in gran parte
dovuta all’espansione della massa eritrocitaria (450 mg,
recuperabili) e in misura minore alle necessità del feto, alle
perdite fisiologiche, alla placenta, al cordone ombelicale,
alle emorragie durante il parto. Subito dopo la gravidanza, la lattazione rappresenta un ulteriore impegno per la
1
Che gli spinaci ne siano particolarmente ricchi è però una leggenda
nata da un errore nella compilazione delle prime tabelle del contenuto
di ferro di vari alimenti.
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madre. La perdita di ferro è stimata attorno a 0,5-1 mg/die.
Il fabbisogno medio legato a questa particolare fase della
vita di una donna è pari circa a quello delle mestruazioni,
inibite nel post partum. Questo è il motivo per cui non si
assiste a un’anemizzazione ingravescente.
Il diminuito assorbimento è raramente causa di tale anemia.
Tuttavia, conviene ricordare, a questo proposito, il ruolo
svolto dall’acido cloridrico di derivazione gastrica (si veda
in precedenza Metabolismo del ferro). Logico quindi che
tutte quelle condizioni caratterizzate da achilia presto o
tardi alterino l’assorbimento del ferro; è il caso della gastrite atrofica o di una gastroresezione con asportazione
del piloro. È da notare come la stessa anemia sideropenica
possa provocare a sua volta achilia (si veda in precedenza Manifestazioni cliniche) per alterazione della mucosa
gastrica. Infine, possono determinare sideropenia tutte
le malattie che sono causa di malassorbimento, quali
malattia celiaca, sprue tropicale, linfomi a localizzazione
addominale ecc.
La causa più comune di anemia sideropenica è la perdita
protratta di ferro. Nell’uomo e nella donna dopo la menopausa la sede più frequente di sanguinamento cronico è
il tratto digestivo. Infatti , l’anemia può datare da tempo
senza dare segno di sé, ovvero riconoscere sovente una
causa benigna non destinata a un’evoluzione progressiva.
Possono così trascorrere molti anni prima che si manifesti
una situazione carenziale, fatta eccezione nel caso di una
pregressa gravidanza o di mestruazioni particolarmente
abbondanti che abbiano già intaccato le scorte dell’organismo. Le sedi e le cause più frequenti di sanguinamento
sono emorroidi, varici esofagee, ernie iatali, ulcere gastriche
e duodenali, poliposi, gastriti emorragiche, cancro gastrico,
diverticolosi, diverticolo di Meckel, colite ulcerosa, malattia
di Crohn, cancro del colon e cause iatrogene (salicilati,
corticosteroidi, farmaci antinfiammatori non steroidei).
È da notare, inoltre, che i sanguinamenti dalle porzioni
distali del tubo digerente (per esempio, emorroidi) vengono
considerati di solito un disturbo banale e come tale sottovalutati anche nel caso di una perdita ematica di proporzioni
cospicue. Circa il 20% dei sanguinamenti dovuti a ulcere
peptiche non comporta una sintomatologia dolorosa tale
da richiamare l’attenzione sulla presenza o meno di una
condizione emorragica. Eppure è sufficiente una piccola
perdita anche di soli 10-15 mL/die per provocare nell’individuo adulto anemia sideropenica. È necessaria quindi una
ricerca di sangue occulto nelle feci, dopo dieta acarnea e per
un congruo numero di giorni (almeno 3); infatti, spesso i
sanguinamenti sono intermittenti.
Anche l’ernia diaframmatica paraesofagea (iatale) rappresenta una condizione relativamente frequente di anemia
sideropenica nell’età avanzata. Può accompagnarsi anche
sintomatologia dolorosa e dispeptica.
Infine, sono da citare le neoplasie del tratto digerente e
in particolare quelle del colon destro (tratto ascendente),
perché solitamente non si accompagnano a fenomeni di
occlusione (più precoci se la neoplasia interessa il colon
di sinistra) e perché il sanguinamento è di grado difficilmente rilevabile, comunque modesto.
Nelle donne in età fertile, oltre alle situazioni sopra menzionate, la causa più frequente va ricercata in eventuali emorragie dell’apparato genitale (alterazioni del ciclo mestruale,
metrorragie da cause organiche, meccaniche o ormonali).
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Capitolo 48 - ANEMIE
Tabella 48.5
Fattori eziologici della sideropenia*
Apporto inadeguato
Dieta
Aumentato fabbisogno
Infanzia
Gravidanza
Lattazione
Assorbimento inadeguato
Acloridria
Chirurgia gastrointestinale
Malattia celiaca
Altre malattie che provocano malassorbimento
Perdita protratta di ferro
Sanguinamento a partenza gastrointestinale (causa più
frequente nel sesso maschile)
Menorragia (causa più frequente nel sesso femminile in età
fertile)
Donatori di sangue
Emoglobinuria
Sindrome di Goodpasture
Teleangectasia emorragica ereditaria
Disturbi dell’emostasi
*Possibile sovrapposizione di più fattori eziologici contemporaneamente
nello stesso paziente.
Giova prendere in considerazione anche eziologie meno
comuni, quali epistassi frequenti, emorragie in varia sede
da disordini emocoagulativi, gravi ematurie, varie forme di
emoglobinuria, stillicidio intestinale da anchilostoma o da
Necator americanus. Infine, è importante segnalare anche
l’anemia sideropenica, possibile nei donatori di sangue.
Vi sono poi numerosi casi che non rientrano necessariamente in una delle quattro cause principali esposte
sopra, ma in un loro reciproco combinarsi. Per esempio,
la gravidanza, in cui all’instaurarsi dell’anemia ferro-priva
concorrono sia un diminuito apporto sia un aumentato
fabbisogno (Tab. 48.5).
Fisiopatologia
Il termine sideropenia è impiegato per definire una condizione nella quale tutto il contenuto in ferro dell’organismo è ridotto, senza menzione alcuna delle cause. Dal
momento che le riserve di ferro possono esaurirsi prima
che si manifesti una riduzione dell’eritropoiesi, l’anemia
è uno stadio tardivo della sideropenia.
Tabella 48.6
In altre parole, si può parlare di una sideropenia prelatente quando, prima ancora di avere una diminuzione del
ferro circolante, la presenza di emosiderina a livello del
sistema reticolo-endoteliale midollare è notevolmente
ridotta. Non sembra esserci evidenza biochimica di
questo stato, fatta eccezione, forse, per una modificazione dei livelli di ferritina sierica. In questa fase si
assiste a un aumento compensatorio dell’assorbimento
del ferro.
C’è poi uno stato di sideropenia latente, con cui si intende
la sideropenia che si accompagna a una diminuzione del
ferro plasmatico, ma non ad alterazioni ematologiche.
Da ultimo, si verifica uno stadio di eritropoiesi sideropenica, nel quale la produzione di emoglobina è via via sempre più limitata dalla ridotta quantità di ferro plasmatico
(Tab. 48.6). Questa limitazione avviene regolarmente ogni
qualvolta la saturazione della transferrina scende sotto il
16%. Non sempre, però, ridotti livelli ematici significano
eritropoiesi sideropenica, dal momento che talora questi
dipendono da anormalità del metabolismo del ferro anche
in assenza di sideropenia, come nel caso dell’anemia delle
malattie croniche.
Una volta sviluppatasi la sideropenia, con il passare dei
mesi compare una microcitosi, perché nella maturazione
della serie eritrocitaria le duplicazioni avvengono fino a
quando il contenuto in Hb non abbia raggiunto una certa
quantità. Se vi è carenza di ferro la duplicazione procede
ugualmente, ma con perdita di massa cellulare e immissione nel torrente circolatorio di eritrociti più piccoli. Si tratta,
però, di una microcitemia che, inizialmente, interessa solo
una minoranza delle cellule, almeno in questa fase, non si
accompagna a una diminuzione significativa dell’MCV, la
quale, viceversa, compare quando la sideropenia perdura
ormai da lungo tempo.
Perché vengano prodotti eritrociti maturi occorre dunque
che negli eritroblasti venga formata una congrua quantità
di Hb. Se le scorte di ferro (che è costituente essenziale di
Hb) sono esaurite, il singolo eritrocita avrà quantità insufficienti di Hb al suo interno. È opportuno sottolineare
l’espressione “se le scorte di ferro sono esaurite”; infatti,
l’organismo intacca le proprie risorse prima di palesare un
difetto nella produzione di Hb. Al microscopio ottico, con
i comuni metodi di colorazione, si osserva così ipocromia
dapprima ristretta a pochi elementi e, solamente più tardi,
una diffusa riduzione della concentrazione emoglobinica.
In condizioni ordinarie si tratta dunque di una situazione
caratterizzata da ipocromia, microcitosi e minore trasporto di ossigeno ai tessuti.
1055
8
Diversi livelli di sideropenia
Normale
Ferro del sistema
reticoloendoteliale
Sideremia
Anemia
Ipocromia/microcitosi
Aumentato assorbimento di Fe
Alterazioni epiteliali
MCV/MCHC
Normale
Sideropenia
prelatente
Ridotto
Sideropenia
latente
Assente
Anemia
iniziale
Assente
Anemia
severa
Assente
Normale
No
No
No
No
Normali
Normale
No
No
Sì
No
Normali
Ridotta
No
No
Sì
No
Normali
Ridotta
Sì (modesta)
Sì (alcune cellule)
Sì
No
Normali
Ridotta
Sì (grave)
Sì (diffusa)
Sì
Sì
Ridotti
MCV (Mean Corpuscular Volume) = volume corpuscolare medio; MCHC (Mean Corpuscolar Hemoglobin Concentration) = concentrazione corpuscolare
media di emoglobina.
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1056
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Il rene, però, risponde a questa ipossigenazione secernendo EPO, che a sua volta stimola il midollo. Si tratta però
di un compenso apparente; in realtà le emazie in via di
maturazione che hanno difficoltà a fabbricare e incorporare l’Hb nel proprio citoplasma sono anche più fragili
e più difficilmente arrivano a completa maturazione.
Infatti, una quota di GR può morire nel midollo stesso
(eritropoiesi inefficace), rendendo vano il compenso dovuto a un’aumentata produzione numerica degli elementi
della serie rossa. In linea teorica non ci dovrebbero essere
modificazioni a carico degli altri stipiti cellulari (globuli
bianchi e piastrine); in realtà non è raro il riscontro di
granulocitopenia e trombocitosi, di oscura interpretazione. Tuttavia, il metabolismo del ferro non riguarda
esclusivamente l’Hb e, infatti, entra nella mioglobina e
in molti coenzimi, principalmente nei citocromi, nelle
catalasi, perossidasi e nelle metalloflavoproteine. Un suo
deficit, quindi, provoca conseguenze soprattutto in quelle
cellule caratterizzate da rapido turnover. Si notano inoltre
alterazioni a livello di epiteli di rivestimento, annessi
cutanei, cavo orale e mucosa gastrica.
Manifestazioni cliniche
La maggior parte dei pazienti presenta una progressione
estremamente lenta e graduale della sintomatologia.
Il paziente affetto da ulcera peptica, per esempio, o da
neoplasia dell’apparato digerente, o ancora la donna che
lamenta mestruazioni abbondanti o frequenti, quando si
rivolgono al medico curante, presentano già dei valori di
Hb inferiori a 8 g/dL.
Clinicamente il paziente lamenta disturbi generali comuni
a tutte le forme di anemia quali cefalea, astenia ingravescente, tachicardia, dispnea da sforzo, facile irritabilità,
insonnia, labilità emotiva, pallore. Caratteristica invece
dell’anemia sideropenica sembra essere la “voglia” di
particolari sostanze (pica), di argilla, di amido da bucato
o di ghiaccio (pagofagia).
In una parte dei pazienti, soprattutto in quelli in cui l’anemia dura da tempo, possono comparire lesioni a carico
della cute, degli annessi cutanei e delle mucose. La frequenza di questi segni (peculiari anch’essi dell’anemia
sideropenica) è diversa a seconda della popolazione presa
in esame. In Europa e negli Stati Uniti sono piuttosto rari,
a differenza del Sud-Est asiatico, ma le ragioni di questa
curiosa distribuzione non sono ben chiare. La cute diventa secca, anelastica, i capelli sono sottili, fragili, radi e le
unghie opache, fragili, rigate longitudinalmente, talvolta
appiattite o addirittura concave (coilonichia). I disturbi a
carico delle mucose riguardano soprattutto il cavo orale
e, più raramente, il faringe.
Le labbra presentano piccole ragadi alle commissure (cheilite angolare); la mucosa orale è arrossata, la lingua liscia,
levigata, pallida. Al confine tra ipofaringe ed esofago si
possono notare creste mucose che sporgono all’interno
del lume, riducendone il calibro. Ciò causa disturbi della
deglutizione (disfagia sideropenica). La triade sintomatologica comprendente anemia, glossite ed esofagite viene
definita sindrome di Plummer-Vinson o Paterson-Kelly. Si
possono registrare anche disturbi gastrici.
A tutt’oggi i rapporti sideropenia-atrofia della mucosa
gastrica con acloridria non sono ancora del tutto chiariti.
I dati esistenti, infatti, divergono soprattutto in ragione
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del sistema impiegato per stimolare la secrezione gastrica. Oggi si può affermare che la presenza di una gastrite
riduce l’assorbimento del ferro, la cui carenza peggiora
ulteriormente la sintomatologia gastrica. Nelle donne è
frequente l’atrofia della mucosa vaginale.
Esami di laboratorio
Quando il quadro clinico è conclamato, l’anemia è tipicamente microcitica. Il patrimonio emoglobinico e l’ematocrito sono sempre inferiori alla norma. Nel caso dell’Hb si
possono toccare valori molto bassi, ma più comunemente
ci si mantiene attorno agli 8 g/dL.
Quanto ai GR, raramente scendono sotto i 3 × 1012/L e
nelle forme lievi si mantengono ai limiti inferiori della
norma. Tutti diminuiti, invece, sono i parametri corpuscolari.
Al microscopio si osserva una particolare diafania della
parte centrale dei GR (ipocromia), che sono anche più piccoli (microcitemia). Inoltre, proprio perché l’eritropoiesi
è anomala, si troveranno emazie di grandezza differente
(anisocitosi) e di forme bizzarre (poichilocitosi).
L’entità delle alterazioni morfologiche è proporzionale
alla gravità dell’anemia. Il numero dei reticolociti può
essere aumentato, se l’attività del midollo stimolato supera la quota di eritropoiesi inefficace; in caso contrario
sono diminuiti, anche se più spesso si mantengono nella
norma.
Il parametro ematochimico fondamentale ai fini della
diagnosi è la concentrazione di ferro nel siero, cioè la
sideremia. Nelle anemie sideropeniche si possono avere
valori molto bassi (5-10 g/dL).
Il ferro nel siero è legato alla transferrina, la quale viene
dosata solitamente come TIBC, che, confrontata con la
concentrazione di ferro sierico, permette di valutare la percentuale di transferrina saturata dal ferro, normalmente
il 20-35%. La concentrazione di transferrina nel siero è
inversamente proporzionale ai depositi di ferro, per cui
in caso di sideropenia l’aumentata sintesi di transferrina,
che risulta scarsamente saturata, porta ad aumento del
valore della TIBC e della LIBC.
Un altro dato determinante ai fi ni diagnostici è rappresentato dalla ferritina. Può circolare nel plasma in
piccole quantità (12-300 g/L) e bene si correla con la
quantità di ferro presente nell’organismo. Solitamente la
diagnosi di anemia sideropenica non richiede il puntato
sternale a fini diagnostici. Comunque, nel caso venga
eseguito, si potrebbero osservare una perdita dei depositi
di ferro (negativa la colorazione con il blu di Prussia
per la presenza di emosiderina) e una quota ridotta di
sideroblasti. Il numero dei leucociti è nella norma, ma
talvolta può ridursi; le piastrine possono arrivare a 6001000 × 109/L e il meccanismo responsabile dell’aumento
non è noto.
Diagnosi
La diagnosi di anemia sideropenica è basata essenzialmente sui dati di laboratorio. Esistono peraltro anemie
microcitiche ipocromiche che possono essere scambiate
per una carenza di ferro. Nel caso di anemie sideroblastiche e talassemie, la distinzione è sufficientemente facile,
dal momento che si tratta di patologie associate a una
concentrazione di ferro normale o elevata. Nelle anemie
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Capitolo 48 - ANEMIE
delle malattie croniche, invece, in cui è presente una riduzione della sideremia, la diagnosi differenziale è posta
grazie alla transferrinemia e alla ferritinemia. Nelle anemie
sideropeniche, infatti, si avranno sideremia e ferritinemia
diminuite, ma transferrina aumentata; se si dosa poi la
TIBC, risulterà un aumento assoluto della transferrinemia.
Invece, nel caso dell’anemia delle malattie croniche, sideremia e transferrinemia sono ridotte, mentre la ferritina è
normale o aumentata.
Va sottolineato che, per quanto riguarda la ferritina,
un suo tasso sierico inferiore a 12 g/L è correlato sicuramente a una carenza di ferro, mentre il riscontro
di un valore normale o anche aumentato non è da ritenere significativo per escludere un’eventuale carenza
marziale, perché il livello di ferritina si modifica nel
corso di infezioni o infiammazioni (come sopra citato,
per esempio, nel caso delle malattie croniche), per cui
sul valore finale possono interferire due meccanismi di
segno opposto.
Si può ricorrere, infine, anche al puntato sternale e alla
valutazione dei depositi di ferro con metodo citochimico;
nell’anemia sideropenica, come si è detto, si osserva una
loro deplezione.
Prognosi
Si può parlare di prognosi solo facendo riferimento alla
causa che ha provocato l’anemia, diversa nel caso di un
carcinoma gastrico sanguinante o di emorroidi. Raramente il paziente giunge a morte per l’anemia in quanto tale,
1057
ma piuttosto per la causa di essa. Frequenti sono le ricadute (33% dei pazienti donne e il 25% degli uomini).
Terapia
Il trattamento di elezione è rappresentato dal ferro
(vi sono più di cento preparati in commercio). Quasi
tutti i pazienti con anemia sideropenica rispondono
ai preparati per os. Nelle gastriti atrofiche si somministra solfato ferroso, che non necessita di acido
cloridrico per essere assorbito.
Conviene somministrare ferro per via endovenosa
(o intramuscolare) solo nei casi documentati di malassorbimento.
A eccezione di quei pazienti con perdita di ferro cospicua e continua, la correzione dello stato anemico
può essere raggiunta in circa 2 mesi.
Una volta corretta l’anemia, si deve continuare la
terapia per altri 6 mesi, allo scopo di ripristinare le
riserve del ferro.
Quanto alle lesioni epiteliali, quelle riguardanti le unghie e la lingua si risolvono entro 3-6 mesi, ma già dopo 2 settimane si osservano segni di miglioramento.
Non responsiva del tutto (o meno responsiva) sembra essere la disfagia sideropenica, come anche la
gastrite e i difetti di secrezione gastrica, soprattutto
negli adulti.
8
Anemia delle malattie infiammatorie croniche2
L’anemia delle malattie infiammatorie croniche è di riscontro abbastanza frequente, isolata o associata ad altre
forme di anemia; essa si riscontra in pazienti portatori di
neoplasie, infezioni croniche, malattie infiammatorie
croniche, tipica tra queste l’artrite reumatoide.
Si tratta di un’anemia ipoproliferativa da lieve a moderata con iposideremia, transferrinemia ridotta, basso
indice reticolocitario, aumento della protoporfirina delle
emazie, depositi reticoloendoteliali di ferro normali o
aumentati, con assenza o notevole riduzione dei sideroblasti.
Eziopatogenesi
Non è definitivamente chiarita, ammettendosi la responsabilità di tre meccanismi principali tra loro interagenti
in misura diversa: ridotta sopravvivenza delle emazie,
ridotta attività proliferativa del midollo e alterata liberazione del ferro nel plasma, per blocco a livello del sistema
reticolo-endoteliale.
Il punto chiave sembra l’incapacità del midollo di incrementare la produzione di emazie per sopperire alla perdita
2
Questa anemia era tradizionalmente chiamata “anemia delle malattie
croniche”. Il nome è stato abbandonato perché potrebbe generare
confusione; l’ipertensione arteriosa e il diabete infatti sono malattie
croniche nelle quali non si verifica questa anemia. In realtà, anche la
denominazione attuale non è perfetta perché, oltre che nelle infiammazioni croniche, questa anemia si può osservare anche nelle neoplasie.
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dovuta alla modesta emolisi, per cui una situazione emolitica di grado lieve è sufficiente a provocare anemia.
In ricerche sperimentali con colture di midollo si è dimostrato che i macrofagi attivati, e non i macrofagi in stato
di quiete, sopprimono la formazione di colonie eritroidi;
ciò si verifica anche in presenza di un piccolo numero di
macrofagi, indicando così la responsabilità di un fattore
solubile. Questo è da identificare con il Tumor Necrosis
Factor (TNF) o cachettina, che inibisce lo sviluppo delle
cellule ematopoietiche a livello di CFU-GEMM, CFUGM, BFU-E e CFU-E. Per l’inibizione delle BFU-E e CFU-E
si sono dimostrate efficaci concentrazioni picomolari,
simili a quelle prodotte spontaneamente da monociti
isolati di pazienti anemici portatori di neoplasia. Infine,
per la patogenesi di questa forma di anemia, viene tradizionalmente riconosciuta l’importanza del cosiddetto
“blocco reticolo-endoteliale del ferro”. Con metodiche di
ferrocinetica si è effettivamente dimostrata una difettosa
capacità del sistema reticolo-endoteliale di reimmettere
il ferro in circolo e di renderlo in tal modo disponibile al
midollo, ma il deficit è di entità modesta e non tale da
rendere completamente conto dell’anemia. Tale blocco,
tuttavia, può spiegare l’iposideremia di questa particolare
forma di anemia.
La transferrinemia è bassa non solo per la prevalenza del
catabolismo proteico, ma anche perché, di fatto, le scorte
di ferro nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale sono
aumentate (Fig. 48.5).
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1058
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche sono soprattutto quelle riferibili
alla malattia di base; affaticabilità, perdita di peso, astenia,
anoressia, pallore possono instaurarsi insidiosamente nella
gran parte delle affezioni croniche. È perciò difficile stabilire il reale apporto dello stato anemico a questi sintomi.
Raramente una ridotta quantità di Hb rappresenta il primo riscontro di una malattia di base fino a quel momento
ignorata. Esiste comunque una correlazione grossolana tra
entità dello stato anemico e attività della malattia di base
Figura 48.5
Relazioni tra
sideremia (S) e
concentrazione
di transferrina
(T) nel siero,
nel normale
(N), nell’anemia
sideropenica (AS)
e nell’anemia
delle malattie
infiammatorie
croniche (AMC).
T
T
T
S
S
N
AS
S
AMC
qual è indicata dalla febbre, infiammazione, suppurazione
o calo ponderale.
L’anemia può essere normocitica e normocromica quando
prevalgono la diminuita sopravvivenza degli eritrociti e la
ridotta attività midollare, oppure microcitica se viceversa
prevale la tendenza a trattenere ferro nei depositi.
L’Hb è solitamente compresa tra 8-12 g/dL, i reticolociti nella norma o di poco ridotti. Caratteristicamente vi
sono iposideremia, marcata diminuzione della TIBC e
normale o moderata riduzione della saturazione di transferrina, RDW normale (si veda in precedenza, Diagnosi
differenziale).
La ferritina sierica e il ferro midollare sono normali o
aumentati, mentre i sideroblasti nel midollo sono ridotti
o assenti.
Da segnalare, inoltre, è un discreto aumento della cupremia, della protoporfirina libera eritrocitaria e della
escrezione urinaria di coproporfirine.
È importante sottolineare come lo studio della crasi ematica sia di scarso aiuto nel precisare l’esatta natura della
malattia cronica presente. Si tratta infatti di un segno
aspecifico comparabile all’aumento del numero dei granulociti o alla velocità di eritrosedimentazione elevata.
L’unica terapia efficace è quella diretta nei confronti della
malattia cronica esistente.
Anemia dell’insufficienza renale cronica
L’anemia presente nei pazienti con insufficienza renale
cronica è di grado variabile ed è correlata con i valori di
creatininemia. È un’anemia iporigenerativa ed è conseguente alla ridotta attività endocrino-secretrice di secrezione di eritropoietina a livello renale proporzionale
all’entità del deficit di attività escretrice, condizionando
una riduzione dell’emivita degli eritrociti. Le caratteristiche ematologiche dell’anemia consistono in un patterrn
normocromico, con eritrociti dismorfici (“echinociti”) per
irregolarità del profilo citoplasmatico; la conta reticolocitaria è diminuita e l’assetto marziale può essere sovrapponibile al quadro di sideropenia, in caso di concomitanti
perdite ematiche croniche prevalentemente dal tratto
gastroenterico per ridotta funzionalità piastrinica nell’ambito dello stato uremico; in alternativa, questo assetto può
essere simile a quello dell’anemia degli stati infiammatori cronici, se concomitano quadri di flogosi croniche,
come pielonefriti croniche.
La terapia di questa forma di anemia è costituita dall’eritropoietina umana ricombinante (rhEPO); il dosaggio
del recettore solubile della transferrina (TfR) costituisce
un indicatore precoce sensibile di risposta favorevole alla
terapia, in quanto è direttamente proporzionale alla massa
eritroblastica midollare.
Anemie diseritropoietiche congenite
Costituiscono un raro gruppo di anemie iporigenerative
familiari, trasmesse come carattere autosomico recessivo
(tipo I e II) o dominante (tipo III), caratterizzate da un’anemia di grado da lieve a moderato, con ittero ed epatosplenomegalia di entità moderate. La patogenesi si basa
sulla precoce distruzione intramidollare degli eritroblasti
con conseguente eritropoiesi inefficace; raramente concomita emolisi cronica.
• CDA tipo I: eredità autosomicà recessiva;
caratterizzata da macrocitosi con eritroblasti
con nucleo frammentato o con ponti cromatinici,
anisopoichilocitosi, sovraccarico marziale
C0240.indd 1058
M.D. Cappellini
M.D. Cappellini
e negatività del test anti-I (antigene marcatore
dell’eritropoiesi fetale) e del test del siero acidificato,
da cui l’acronimo HEMPAS (Hereditary Erythroblastic
Multinuclearity with a Positive Acidified Serum test).
• CDA tipo II: eredità autosomica recessiva;
caratterizzata da normocrocitosi con eritroblasti
bi- o multinucleati sottoposti a fenomeni
di carioressi, anisopoichilocitosi, assenza di
sovraccarico marziale e positività del test anti-I e del
test del siero acidificato.
• CDA tipo III: eredità autosomica dominante;
caratterizzata da macrocitosi con eritroblasti
6/9/10 3:08:59 PM
Capitolo 48 - ANEMIE
multinucleati giganti sottoposti a fenomeni di
carioressi, anisopoichilocitosi, sovraccarico marziale e
negatività del test anti-I e del test del siero acidificato.
Nell’ambito delle anemie diseritropoietiche congenite
è inoltre compresa l’anemia sideroblastica congenita,
trasmessa come carattere X-linked, caratterizzata da
Anemie sideroblastiche
Le anemie sideroblastiche sono un gruppo eterogeneo di
disordini caratterizzati dalla presenza di eccessive quantità di ferro nei mitocondri perinucleari dei normoblasti.
Questa anomalia si rende evidente negli strisci midollari
colorati per il ferro (blu di Prussia), dove compaiono eritroblasti con un anello più o meno completo attorno al
nucleo (sideroblasti ad anello).
Eziologia
Molti sono i disordini associati all’anemia sideroblastica e altrettanto numerose le classificazioni proposte
(Tab. 48.7).
Una prima suddivisione riguarda la presenza di una forma
acquisita e di una ereditaria. Quest’ultima è trasmessa
come un’anomalia legata al cromosoma X, con penetranza variabile (ci sono segnalazioni anche in favore di una
trasmissione autosomica-recessiva).
La forma acquisita (molto più frequente) può osservarsi
in associazione con una grande varietà di farmaci, di
infiammazioni croniche, di neoplasie. Spesso può capitare di non riuscire a identificare una possibile causa e
allora si parla di anemia sideroblastica acquisita idiopatica refrattaria; essa appartiene alle mielodisplasie e sarà
descritta più avanti.
Tabella 48.7
Classificazione delle anemie sideroblastiche
Ereditarie
Legata al cromosoma X (deficit di Δ-aminolevulinico-sintetasi)
Autosomica recessiva
Acquisite
Idiopatica refrattaria (una delle forme di mielodisplasia)
Secondaria a:
– farmaci antagonisti della vitamina B6 (isoniazide, L-dopa,
ecc.); tossine mitocondriali (cloramfenicolo ecc.);
meccanismo d’azione ignoto (azatioprina ecc.)
– alcolismo
– intossicazione da piombo
– malattie mieloproliferative (per esempio, mielofibrosi,
leucemia)
– malattie linfoproliferative (per esempio, linfoma, mieloma)
Cause varie (per esempio, tubercolosi, artrite reumatoide,
malattie della tiroide, porfirie, neoplasie ecc.)
C0240.indd 1059
sideroblasti e siderociti, microcitosi, ipocromia e ipersideremia, con alterato metabolismo porfirinico. Questo
tipo di anemia risponde alla terapia con piridossina a dosi
elevate; nei casi resistenti viene posta indicazione alla
terapia trasfusionale e, di conseguenza, ferro-chelante.
Nella CDA II la splenectomia in alcuni casi può limitare
o eliminare il supporto trasfusionale.
1059
8
G. Gromo
Patogenesi
L’abnorme accumulo di ferro nei mitocondri degli eritroblasti ha fatto sì che l’interesse si concentrasse sugli aspetti
mitocondriali della sintesi dell’eme (per la regolazione
della sintesi dell’eme e il metabolismo delle porfirine si
veda Fig. 69.3 nel Capitolo 69).
La prima tappa comporta la formazione di acido Δ-aminolevulinico, a partire da glicina e succinil CoA. Questa
reazione è catalizzata da un enzima mitocondriale, l’acido
Δ-aminolevulinico-sintetasi (ALA-sintetasi), che è l’unico
enzima della catena metabolica limitante la velocità di
reazione e richiede l’intervento del piridossal-5-fosfato,
che è la forma coenzimatica attiva della vitamina B6. Esiste
quindi una relazione tra vitamina B6 e sintesi di Hb. La
trasformazione dell’acido Δ-aminolevulinico in porfobilinogeno, uroporfirinogeno III, coproporfirinogeno e protoporfirina IX si verifica a livello delle creste mitocondriali
o nel citoplasma, mentre la coniugazione tra le molecole
di ferro e le protoporfirine è mediata dall’eme-sintetasi,
un enzima mitocondriale.
Esiste infine un meccanismo a feedback negativo sull’attività dell’ALA-sintetasi; se c’è molto eme si accentua
l’inibizione, se l’eme manca si riduce l’inibizione.
La difettosa sintesi dell’eme, ritenuta il meccanismo
patogenetico principale, può conseguire dunque ad alterazioni del metabolismo della vitamina B6 e a modificazioni di attività dell’ALA-sintetasi, dell’eme-sintetasi
o di qualcuno degli altri enzimi implicati nella sintesi
porfirinica.
Tra i casi ereditari, complessivamente rari, la forma più frequente, trasmessa come carattere legato al cromosoma X a
penetranza variabile, sembra potersi ascrivere a un deficit
di ALA-sintetasi oppure di coproporfirinogeno-ossidasi,
l’enzima che catalizza il passaggio da coproporfirinogeno
III a protoporfirinogeno IX.
Come si è accennato, l’anemia acquisita idiopatica refrattaria appartiene al gruppo delle mielodisplasie e, quindi,
delle malattie delle cellule staminali ematopoietiche a
evoluzione clonale, analogamente alle leucemie.
Nel caso delle forme acquisite secondarie a numerosi farmaci
e ad alcolismo, l’alterazione principale è a livello del metabolismo della vitamina B6, per il frequente verificarsi di
un deficit condizionato da un aumento del fabbisogno e
non da un diminuito apporto.
Infine, nell’intossicazione da piombo il quadro ematologico
può essere correlato a diversi effetti biochimici. In primo
luogo si ha inibizione dell’acido Δ-aminolevulinico-deidratasi, della coproporfirinogeno-ossidasi e dell’eme-sintetasi,
enzimi, come si è visto, interessati alla sintesi dell’eme. Ma
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1060
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
il piombo interferisce anche sulla pompa del sodio della
membrana dei GR inibendo l’ATPasi (ridotta sopravvivenza delle emazie; si veda a proposito della sferocitosi), nel
metabolismo del DNA e dell’RNA (inibizione della pirimidin-nucleotidasi) e infine nei processi calcio-dipendenti,
compresa la respirazione mitocondriale; quest’ultima
alterazione, unita alla compromissione della sintesi
dell’eme, può contribuire alla formazione di sideroblasti
ad anello.
Fisiopatologia
Le anemie sideroblastiche sono caratterizzate da una
difficoltosa formazione di emoglobina, in quanto il
ferro che viene normalmente assunto dagli eritroblasti,
a causa delle alterazioni enzimatiche citate, non viene
regolarmente incorporato nelle molecole di emoglobina e si deposita all’interno degli eritroblasti stessi,
in particolare nei mitocondri perinucleari. L’anemia
si presenta, in una parte di casi, con gli stessi caratteri
dell’anemia sideropenica, con ipocromia e microcitosi
a distribuzione non uniforme; in altri casi il volume
corpuscolare medio è normale e talvolta addirittura
aumentato. Questa variabilità di reperti indica, oltre
all’esistenza di un disturbo nella sintesi dell’emoglobina, anche un’alterata maturazione degli eritroblasti,
che si accompagna a una certa quota di eritropoiesi
anomala e inefficace.
Manifestazioni cliniche
Nella forma ereditaria l’anemia può essere presente
nei primi mesi di vita, ma di solito viene diagnosticata
per la prima volta nei giovani adulti di sesso maschile, anche se non è chiara la ragione di questo ritardo
diagnostico.
L’anemia acquisita idiopatica refrattaria si verifica soprattutto nei soggetti di oltre 50 anni (età media 66 anni); è
comunque possibile che sia sottodiagnosticata e come tale
molto più frequente di quanto non si pensi.
Le forme ereditarie e quelle acquisite (a eccezione di quella
idiopatica) si comportano in maniera abbastanza simile e
non si discostano, per quanto riguarda la sintomatologia,
dalle altre anemie.
Il grado di anemizzazione (mediamente 6,5/g/dL di Hb),
come pure l’ipocromia e la microcitosi, è notevole. Al
microscopio si osservano anisopoichilocitosi, cellule a
bersaglio, granulazioni basofile e un relativo dimorfismo
eritrocitario. Per confermare la diagnosi è necessario l’esame di un preparato midollare colorato con blu di Prussia,
per la dimostrazione del ferro; mentre il midollo normale
presenta circa il 30-50% di eritroblasti contenenti alcuni
granuli di ferro disposti nel citoplasma in modo del tutto
casuale (sideroblasti), in condizioni patologiche sono
stati descritti due tipi di sideroblasti. Un primo tipo è
caratterizzato da un aumento generalizzato del numero
e del diametro dei granuli citoplasmatici e si riscontra in
numerose affezioni quali emosiderosi, emocromatosi, talassemie, anemie ipoplastiche ed emolitiche; un secondo
tipo, proprio delle anemie sideroblastiche, mostra il ferro
localizzato elettivamente nei mitocondri perinucleari
(sideroblasti ad anello).
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Il quadro midollare presenta anche, con discreta frequenza, un’iperplasia eritroblastica con prevalenza
degli elementi basofili e talvolta una piccola quota di
megaloblasti. La sideremia è elevata, la transferrinemia
bassa.
Al quadro sopra descritto fa eccezione la forma idiopatica refrattaria, che presenta alcune peculiarità. L’esame
obiettivo è generalmente nella norma, a eccezione di
un’epatosplenomegalia modesta (40% dei casi). Quanto
alle costanti ematologiche si rileva, più di frequente, una
macrocitosi (MCV 100 fL), talvolta associata a piastrinopenia e granulocitopenia. Da segnalare, inoltre, a livello
midollare un’iperplasia eritroide (M:E = 1:1), modificazioni in senso megaloblasticoo e il 43-95% di sideroblasti
ad anello.
La percentuale di saturazione della transferrina è notevolmente aumentata, come pure la ferritina. Nel 50% dei casi
ci sono anomalie cromosomiche.
La sopravvivenza mediana di questi pazienti è di 10 anni,
destinata comunque ad aumentare nei casi in cui non si
richiede terapia trasfusionale. Nel 7% l’evento terminale
è una leucemia mielomonoblastica acuta.
Diagnosi
Le anemie sideroblastiche devono essere distinte da altre
cause di anemia microcitica ipocromica. Nel corso di una
carenza di ferro, sideremia e ferritina sono ridotte, TIBC
aumentata e, negli strisci midollari, macrofagi ed eritroblasti
sono privi di ferro colorabile con il blu di Prussia. L’anemia
delle malattie croniche è caratterizzata da sideremia bassa,
ridotta TIBC, ferritina normale e depositi di ferro midollare
normali o modestamente aumentati. Quanto ai sideroblasti
patologici, pur essendo presenti, non hanno mai la caratteristica struttura “ad anello”.
Nell’anemia sideroblastica idiopatica refrattaria la macrocitosi e la presenza di megaloblasti a livello midollare
potrebbero ricordare una carenza primaria di B12 o acido
folico. Anche se i sideroblasti ad anello possono essere
presenti in queste forme, tuttavia il loro numero è notevolmente inferiore. Resta pur sempre la possibilità di una
sovrapposizione, cioè di una carenza di folati secondaria
ad anemia sideroblastica.
Terapia
La terapia è possibile nei casi in cui esista un deficit
condizionato di vitamina B6, quindi nelle forme acquisite secondarie ad altre malattie, a farmaci o ad
agenti tossici. Assai di frequente, però, le dosi curative sono molto elevate, nell’ordine delle centinaia
di milligrammi.
Le forme ereditarie non sempre rispondono alla piridossina e non di rado si osservano comportamenti diversi tra i membri affetti di uno stesso nucleo
familiare.
Nella forma idiopatica, viceversa, non vi è praticamente nulla da fare, anche se si registrano alcuni casi
sensibili alla somministrazione di piridossal-5-fosfato
(supposto deficit di piridossal-chinasi).
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Capitolo 48 - ANEMIE
Talassemie
Le talassemie sono un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate dalla ridotta o abolita produzione di una o più
catene peptidiche che costituiscono la porzione globinica
dell’emoglobina.
Questa situazione comporta un alterato rapporto tra catene peptidiche globiniche di diverso tipo, precipitazione
intracellulare delle catene peptidiche, che risultano in
eccesso, e alterazioni sia dell’eritropoiesi sia della sopravvivenza degli eritrociti che in queste condizioni vengono
prodotti.
Le talassemie sono molto comuni in una fascia geografica
che va dalle coste del Mediterraneo ai Balcani, al Medio
Oriente, all’India, all’Asia sudorientale, fino alla Nuova Guinea. In Italia una forma particolare di talassemia
(-talassemia) è particolarmente comune nelle regioni insulari, nel meridione della penisola e nel delta padano (con
particolare concentrazione nella provincia di Ferrara).
Regolazione genetica della sintesi di emoglobina
La porzione proteica della molecola emoglobinica, o globina, è formata da quattro catene peptidiche a due a due
uguali (Fig. 48.6). Nell’adulto la maggior parte dell’emoglobina comprende due catene di 141 aminoacidi, dette
, e due catene di 146 aminoacidi, dette . La costituzione
dell’emoglobina dell’adulto (HbA) viene perciò indicata
come 22.
In realtà, i geni strutturali che codificano la sintesi
dell’emoglobina sono ben più di due (uno per le catene
e uno per le catene ) e possono essere distinti in due
gruppi. Il primo, che per comodità sarà chiamato di tipo
, include due geni strutturali presenti sul cromosoma 16,
indicati (dal nome della catena peptidica che codificano)
con le lettere greche zeta () e alfa ().
Questi ultimi sono presenti in due copie su ciascun cromosoma 16.
Il secondo gruppo, che per comodità sarà chiamato di
tipo non , include ben quattro geni strutturali, presenti
sul cromosoma 11, indicati con le lettere greche epsilon
(ε), gamma (), delta () e beta (). I geni e sono contigui e sono presenti ciascuno in una singola copia. Per
le catene esiste, in realtà, un blocco di geni strutturali
definiti rispettivamente G1, G2 e A, così che le catene
sintetizzate sono in realtà una miscela eterogenea.
Le differenze sono però così trascurabili che, ai fini pratici,
si possono considerare le catene come se fossero omogenee e codificate da un singolo gene.
L’organismo utilizza tutti questi geni nelle varie tappe del
suo sviluppo, alcuni di essi in successione in una specie
di staffetta, dando origine a vari tipi di Hb in base alla
regola che si ha una combinazione due a due tra le catene di tipo e le catene di tipo non prodotte in un
particolare momento.
Nella vita embrionale vengono utilizzati, sul cromosoma
16, prima i geni che codificano le catene e poi i geni che
codificano le catene , mentre, sul cromosoma 11, vengono utilizzati prima i geni che codificano le catene ε e poi i
geni che codificano le catene . Il risultato è che vengono
prodotte in successione prima un’emoglobina definita Hb
Gower 1 (2ε2), poi una miscela tra un’emoglobina definita
C0240.indd 1061
1061
F. Pellò
Cromosoma 16
Due copie di una
tra le seguenti
catene di tipo α:
ζ, α
Cromosoma 11
Due copie di una
tra le seguenti
catene di tipo non α:
ε, γ, δ, β
8
Figura 48.6
Rappresentazione
schematica della
struttura delle
emoglobine.
Gli spicchi rappresentano le catene peptidiche della globina. I cerchi con il segno + i gruppi
eme, uno per ciascuna catena peptidica. A fianco sono indicate le possibili catene peptidiche
dei due tipi che, nelle emoglobine normali, sono sempre a due a due uguali.
Hb Gower 2 (2ε2)e un’emoglobina definita Hb Portland
(22), e infine un’emoglobina definita Hb F (22) o emoglobina fetale; questa denominazione dipende dal fatto
che questa emoglobina predomina nettamente durante
tutta la vita fetale.
Nella vita fetale, tuttavia, inizia l’utilizzo di altri due geni
strutturali del cromosoma 11, prima quelli che codificano le catene e poi quelli che codificano le catene .
Può perciò iniziare la formazione dell’emoglobina di tipo
adulto o HbA (22) e di HbA2 (22). L’utilizzo del gene
che codifica le catene cresce con il tempo e va di pari
passo con una minore espressione del gene che codifica
le catene . Ne consegue che all’aumentare della formazione di HbA corrisponde una riduzione nel tempo della
formazione di HbF.
Alla nascita l’HbF è circa il 60% di tutta l’Hb, mentre al
termine del primo anno di età è ridotta a quantità trascurabili e tale resterà per il resto della vita (circa 0,5%).
La formazione di catene prosegue nella vita adulta,
ma sempre in misura modesta, così che l’HbA2 si aggira
normalmente sul 2,5% del totale. Perciò, nella vita adulta l’HbA costituisce normalmente circa il 97% di tutta
l’emoglobina.
Uno schema con la successione temporale della sintesi
delle varie Hb è presentato nella figura 48.7.
Eziopatogenesi
Le talassemie dipendono da un’anomalia di uno o più
geni codificanti le catene peptidiche della globina, la cui
Cromosoma 16
ζ
ε
α
γ
60%
40%
β
Cromosoma 11
δ
Embrione
Feto
100%
0,5%
97,0%
2,5%
1° anno
dopo il 1° anno
Figura 48.7
Successione
temporale della
sintesi delle varie
emoglobine.
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1062
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
produzione viene abolita del tutto o in parte. In teoria,
il difetto può interessare uno qualsiasi di questi geni, ma
in realtà i difetti che contano sono a carico dei geni codificanti le catene (-talassemia), dei geni codificanti le
catene (-talassemia), o, in forma combinata, dei geni
codificanti le catene e quelle (--talassemia).
Natura dell’alterazione genetica La normale espressione dei geni delle catene peptidiche dell’Hb comporta
la loro trascrizione primaria in lunghe molecole di RNA
(detto RNA eterogeneo nucleare o HnRNA).
Nel nucleo degli eritroblasti, queste molecole sono trasformate nella forma più piccola e definitiva dell’RNA
messaggero (mRNA) grazie a un’operazione definita processing, che consiste nell’eliminazione di questi segmenti
dell’HnRNA, i quali corrispondono agli introni (porzioni
di DNA non destinate a essere tradotte) e nella congiunzione (splicing) dei segmenti che corrispondono agli esoni
(porzioni di DNA destinate a essere tradotte). Successivamente, l’mRNA è tradotto nella globina sui poliribosomi
del citoplasma con coinvolgimento di RNA transfer, che
trasporta gli aminoacidi specifici sui polipeptidi globinici
in crescita. Le catene di tipo e di tipo non complete,
che vengono costruite su ribosomi separati, vengono
liberate, si inserisce il gruppo eme e si forma il tetramero
di emoglobina.
Molte forme di -talassemia e alcuni tipi di - o --talassemia
dipendono dalla delezione totale o parziale dei geni corrispondenti. Nella maggior parte dei casi di -talassemia,
l’alterazione genetica è di tipo differente ed è per lo più
legata a mutazioni puntiformi che interferiscono con una
qualsiasi delle tappe che conducono alla trascrizione e
alla traduzione dei geni così mutati, o che condizionano
la formazione di catene globiniche altamente instabili,
distrutte subito dopo essere formate. Le possibilità sono
varie, per cui va ricordato che, sul piano della genetica
molecolare, esistono diverse forme di -talassemia e per
molte di queste il meccanismo molecolare non è ancora
stato accertato.
Un caso particolare è rappresentato dal gene Lepore, che
deriva da un crossing-over asimmetrico tra il gene che codifica le catene e quello che codifica le catene (Fig. 48.8);
l’Hb Lepore ha normali catene combinate con catene
derivanti dalla fusione tra i residui NH2 terminali della
catena e i residui COOH terminali della catena .
Il punto di fusione è variabile, per cui si hanno tipi diversi
di Hb Lepore, per diversa lunghezza dei residui e nella
catena non .
Il gene Lepore sintetizza la corrispondente catena peptidica in misura quantitativamente ridotta rispetto alle
normali catene , da qui deriva la classificazione di questa
anomalia tra le talassemie.
Le emoglobine anti-Lepore sono i prodotti reciproci, in
cui persistono un gene e un gene completo più il
prodotto di fusione consistente delle porzioni di geni e persi nell’Hb Lepore; le principali sono l’Hb Miyada
e l’Hb P-Nilotic.
Una situazione correlata alle talassemie è la persistenza
ereditaria di Hb fetale (HPFH, Hereditary Persistence of
Fetal Haemoglobin), in cui la produzione di quantità relativamente grandi di Hb fetale continua nella vita adulta,
in assenza di anomalie ematologiche importanti.
L’HbF è distribuita uniformemente nelle emazie, al contrario di quanto avviene nella -talassemia; la condizione
è dovuta al mancato switch perinatale F → A.
Varianti genetiche
• Difetto di catene : come si è visto, l’-talassemia
è dovuta, nella maggior parte dei casi, a delezione
genetica. Essendo presenti in due copie sui
cromosomi 16 i geni che codificano le catene , ne
consegue che esistono due alterazioni possibili a
livello del singolo cromosoma: 1) delezione
di entrambe le copie del gene della catena (situazione indicata con la notazione 0) e 2)
delezione di una sola copia del gene della catena
(situazione indicata con la notazione +). Le
combinazioni genetiche possibili sono indicate nella
tabella 48.8. Come si vede, l’assenza di una sola delle
quattro copie normalmente disponibili del gene per
le catene (due per ciascuno dei due cromosomi) è
priva di equivalente clinico e comporta solo
lo stato di portatore silente. L’assenza di due copie
del gene determina un’alterazione ematologica lieve
compatibile con un buono stato di salute, definita
trait -talassemico (si veda oltre). L’assenza di tre
copie del gene è invece accompagnata
da un quadro clinico molto grave con presenza nelle
emazie di un’emoglobina anomala formata
da tetrameri di catene (HbH = 4). L’assenza di tutte
e quattro le copie del gene è incompatibile con
la vita, entrando le catene nella costituzione di
tutte le emoglobine a partire dalla vita fetale. Ne
Tabella 48.8
Figura 48.8
Crossing-over
asimmetrico
che conduce a
formazione del
gene Hb Lepore
e anti-Lepore.
C0240.indd 1062
Combinazioni genetiche possibili
nella -talassemia e corrispettivi clinici
Geni
Genotipi
= (normale)
/–, (+) portatore silente
– = +
–/–, (+/+) trait talassemico
– – = °
/– –, (/°) trait talassemico
– –/ –, (°/+) malattia da HbH (4)
– –/– –, (°/°) idrope fetale con Hb
Barts (4)
6/9/10 3:09:00 PM
Capitolo 48 - ANEMIE
risulta la morte intrauterina con il quadro dell’idrope
fetale. La scarsa quantità di emoglobina che si forma
in queste condizioni è anomala e formata
da tetrameri di catene (Hb Barts = 4). Una variante
di -talassemia importante per la conferma del
modello genetico è quella associata alla presenza
nel sangue della cosiddetta emoglobina ConstantSpring (HbCS), che contiene catene normali e una
catena abnormemente lunga, con 172 (CSI) o 169
(CSII) aminoacidi (in luogo dei normali 141) situati
all’estremità C terminale della catena CS. L’HbCS
è sintetizzata in quantità ridotta; allo stato
omozigote vi è il 5-6% di HbCS, HbA2 normale,
tracce di Hb Barts e il resto è costituito da HbA, a
indicare che esistono loci normali nell’omozigosi
CS e quindi che il locus è duplice (CS/CS).
L’emoglobina Constant-Spring è diffusa nel Sud-Est
asiatico, dove è presente nel 3% della popolazione.
• Difetto di catene (semplice o associato): si è visto che
i meccanismi molecolari alla base della -talassemia
sono molteplici e diversi da un caso all’altro.
Tuttavia, fortunatamente per il clinico, i risultati
possono essere solo due: 1) assenza completa
di sintesi di catene , e i geni corrispondenti
vengono indicati con la notazione 0; 2) ridotta
sintesi di catene , e i geni corrispondenti vengono
indicati con la notazione +. Lo stesso può dirsi per
la --talassemia, nella quale il condizionamento
genetico può comportare la mancata produzione
di entrambe le catene peptidiche (-)0 o la loro
produzione in quantità ridotta (-)+ (è questa una
forma che influenza la sintesi delle catene globiniche
in forma molto lieve e che ha importanza soprattutto
per la discendenza). È da segnalare che in alcune
forme di -talassemia con il gene + e in tutte le
forme di --talassemia con il gene (-)0 si ha una
persistenza a livelli superiori alla norma di HbF; ciò
si traduce in una minore gravità del quadro clinico
in caso di omozigosi. Le combinazioni genetiche
possibili in queste forme morbose sono indicate nella
tabella 48.9. Il significato dei termini ivi impiegati
verrà spiegato in seguito (si veda oltre, Manifestazioni
Tabella 48.9
Combinazioni genetiche possibili
nella -talassemia e corrispettivi clinici
Gene
+
Omozigote
Talassemia major
o intermedia
Eterozigote
Talassemia minor
o minima
°
Talassemia major
Talassemia minor
o intermedia
(-)°
Talassemia intermedia
Talassemia minor
(-)
Non descritta
Portatore* silente
Lepore
Talassemia major
con Hb Lepore
Talassemia minor
con Hb Lepore
+
*
Menomazione della sintesi delle catene e molto lieve e che
ha importanza solo nella discendenza qualora il coniuge sia portatore
di -talassemia (si veda il testo).
C0240.indd 1063
cliniche delle -talassemie). Risulta perciò chiaro che
i pazienti con le forme più lievi di talassemia sono
eterozigoti e quelli con le forme più gravi omozigoti.
Nel caso di matrimonio di un eterozigote con un
normale, esiste una probabilità del 50% che nascano
figli talassemici, essi pure con la forma eterozigote
della malattia. Nel caso del matrimonio di due
eterozigoti esiste una probabilità del 25%
che nascano figli con la forma omozigote della
-talassemia e del 50% che nascano figli con la forma
eterozigote. Perciò, i pazienti affetti da talassemia
major dovrebbero avere entrambi i genitori affetti
dalla forma più lieve della malattia. In casi nei quali
solo uno dei genitori è apparso in realtà affetto,
lo studio della sintesi delle catene globiniche negli
eritroblasti del genitore apparentemente sano ha
dimostrato che anche questi presenta un difetto che
può essere ricondotto a una forma eterozigote
di (-)+ talassemia. Deve essere aggiunto che,
derivando per lo più il difetto genetico della
-talassemia da mutazione del gene per la catena
peptidica corrispondente (e non da delezione
genetica), è facile che questa forma sia diffusa in aree
geografiche dove coesistono altre anomalie ereditarie
della sintesi dell’emoglobina, sempre prodotte
da mutazione del gene delle catene , ma che
conducono alla sua sintesi in forma qualitativamente
alterata (emoglobinopatie). Si possono perciò avere
casi di doppia eterozigosi tra il gene della
-talassemia e quello dell’emoglobina anomala.
1063
8
Fisiopatologia
L’emopoiesi talassemica è dominata dallo sbilancio sintetico /non . Nelle forme più gravi di -talassemia (un
solo gene funzionante) si ha un eccesso di catene che
formano tetrameri di HbH (4); questa Hb è altamente
instabile e può precipitare nelle cellule.
Nella -talassemia si ha diminuita produzione di catene globiniche ed eccesso relativo di catene che,
quando non vengono incorporate in HbA o in HbF,
sono relativamente instabili in soluzione e tendono ad
aggregarsi e a precipitare; in quantità relativamente piccole si trovano anche catene libere. Nei pazienti non
talassemici il rapporto : è all’incirca 1; nei reticolociti
della -talassemia eterozigote esso è intorno a 2, mentre
negli omozigoti, quando le catene sono dimostrabili,
varia tra 5 e 25.
Il materiale globinico aggregato può essere visto alla microscopia elettronica sia nei nuclei sia nel citoplasma degli
eritroblasti e nei reticolociti. La precipitazione dell’eccesso
di catene ha luogo quando procede l’emoglobinizzazione
degli eritroblasti e compare già negli eritroblasti policromatofili. La quota di cellule che contengono inclusi aumenta progressivamente con la maturazione eritroblastica;
in alcuni casi di grave deficit delle catene le inclusioni
possono assumere le dimensioni del nucleo picnotico dei
normoblasti maturi.
Gli effetti della precipitazione intracellulare dell’eccesso
di catene possono essere così riassunti:
• eccessiva liberazione di radicali liberi che provocano
la perossidazione della membrana, formazione
di metaemoglobina e danno a diversi processi
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1064
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
talassemia major questo si verifica in una fase molto
precoce dello sviluppo, con conseguenti alterazioni della
struttura e della forma delle ossa, aventi come risultato
la facies simil-mongoloide.
Successivamente il midollo può uscire attraverso i fori vascolari, provocando formazioni pseudotumorali vicino al
luogo della sua origine, di solito in sede paravertebrale.
I precursori eritroidi -talassemici contenenti le inclusioni
di aggregati di catene vanno incontro in buona parte a
morte intramidollare (nel midollo si è osservata la fagocitosi
di interi eritroblasti); quando essi giungono a maturazione,
i corpi inclusi nelle emazie vengono elettivamente
“snocciolati” dalla milza e si originano in questo modo
eritrociti dalla forma bizzarra (schistociti, eritrociti “a
lacrima” ecc.).
In sostanza, il destino di ogni cellula dipende dal grado del
danno subito durante i vari stadi di sviluppo; quelle più
gravemente lese sono incapaci di abbandonare il midollo
e muoiono in situ, mentre quelle con minori precipitati nel
passaggio attraverso la milza possono essere private degli inclusi
e ritornare in circolo oppure venire distrutte.
La milza va incontro ad aumento di volume per iperplasia
della componente reticolare macrofagica; di conseguenza
aumenta il sequestro splenico delle emazie, da cui emolisi
più intensa, instaurando così un circolo vizioso.
Nell’organismo talassemico si viene a creare un accumulo
marziale dovuto al processo emolitico, all’aumentato
assorbimento di ferro che si ha quando è stimolata l’eritropoiesi (si veda in precedenza, Metabolismo del ferro) e
all’apporto di ferro coincidente con la terapia emotrasfusionale, necessaria nei casi più gravi. La conseguenza è una
siderosi dei vari parenchimi, in particolare del miocardio,
del fegato, del pancreas.
metabolici che hanno come effetto un aumento della
rigidità dell’emazia;
• inibizione della proliferazione delle cellule eritroidi,
con blocco in fase G1 e morte in situ (eritropoiesi
inefficace);
• alterata fosforilazione delle proteine della membrana
che causa una spiccata distorsione dell’emazia;
queste emazie con membrana difettosa, unitamente
agli eritrociti provvisti di corpi inclusi, che vengono
ulteriormente danneggiati dal passaggio attraverso la
milza (con asportazione dei corpi inclusi), causano un
rallentamento a livello del microcircolo.
La mancanza di catene e l’eccesso dannoso di catene
sono parzialmente compensati dalla riattivazione della
sintesi delle catene e , le quali sono in grado di aumentare l’emoglobinizzazione del GR con la formazione di
Hb F e A2 e la “neutralizzazione” di alcune delle catene libere. Ugualmente, nella --talassemia e nella HPFH la
mancanza della sintesi –globinica ha un minore effetto
sul bilancio /non , perché la sintesi di catene compensa in parte quella di catene .
La fisiopatologia dei sintomi della talassemia ha come punto
centrale l’anemia (Fig. 48.9), dovuta a prematura mortalità
intramidollare degli eritroblasti (eritropoiesi inefficace), al
minor volume delle emazie (microcitosi), al minor contenuto corpuscolare medio di emoglobina (ipocromia), alla
diminuita sopravvivenza eritrocitaria per esaltata emocateresi splenica secondaria al danno di membrana.
L’anemia cronica stimola l’eritropoiesi che si espande a
livello midollare in aree dalle quali essa è normalmente
assente, come le ossa lunghe, e anche a livello extramidollare, nel fegato, nella milza, nei linfonodi. Nella
Prematura mortalità intramidollare
degli eritroblasti
(eritropoiesi inefficace)
+
Poche cellule in circolo, microcitiche
ipocromiche, talora con corpi inclusi
Ridotta sopravvivenza delle emazie
Processo emolitico
ANEMIA CRONICA
SPLENOMEGALIA
+
Aumentato assorbimento
di ferro
Stimolo
all’eritropoiesi
+
Terapia
emotrasfusionale
ACCUMULO DI FERRO
Figura 48.9
Schema
sintetico della
fisiopatologia
dei sintomi delle
talassemie.
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Miocardiosiderosi
Epatosiderosi
Espansione
eritropoietica
Altre
Modificazioni ossee
Alterato sviluppo
e accrescimento
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Capitolo 48 - ANEMIE
Comuni sono anche le alterazioni endocrine per il danneggiamento di pancreas, tiroide, paratiroidi e surreni,
che sono le complicanze più comuni per accumulo di
ferro nei pazienti adulti. Negli adolescenti l’accumulo di
ferro nell’ipofisi anteriore disturba la maturazione sessuale
in circa il 50% dei casi.
Manifestazioni cliniche delle -talassemie
Qui di seguito verranno affrontate prima la -talassemia
e poi la -talassemia; la -talassemia è infatti diffusa
nell’area mediterranea e in Italia, mentre l’-talassemia
lo è soprattutto nel Sud-Est asiatico.
Nella descrizione clinica delle singole forme talassemiche
occorre una precisazione terminologica. La più ampia varietà di forme cliniche è stata descritta per la -talassemia,
per la quale si sono considerate tre possibilità:
• anemia grave con sopravvivenza impossibile
oltre l’età infantile in assenza di emotrasfusioni,
talassemia major;
• anemia grave, ma con sopravvivenza possibile fino
all’età adulta, anche in assenza di emotrasfusioni,
talassemia intermedia;
• anemia modesta spesso compatibile con uno stato
di salute normale, trait talassemico, tradizionalmente
indicato nella letteratura italiana come talassemia
minor o malattia di Greppi-Rietti-Micheli.
Tuttavia, possono esserci forme di talassemia minor totalmente irrilevanti e altre di qualche significato; queste
sono definite nella letteratura anglosassone come stati
di silent carrier (portatore silente) ed erano indicate tradizionalmente nella letteratura italiana con il termine di
talassemia minima. Si ritiene perciò giustificato adottare
per le prime la dizione, da alcuni abbandonata, di talassemia minima (o trait talassemico).
Considerazioni generali Le manifestazioni cliniche della
-talassemia hanno intensità diversa in rapporto a:
• riduzione della HbA normale;
• età di comparsa di ridotta sintesi di emoglobina;
• entità dello sbilanciamento sintetico /non , con
presenza più o meno rilevante di catene libere con
i caratteristici precipitati che danno luogo ai corpi
inclusi;
• presenza di altre Hb che possono esercitare una
funzione di relativo compenso, in particolare
HbF.
Com’è indicato nella tabella 48.9, i tre principali quadri
clinici di talassemia major (o malattia di Cooley), talassemia intermedia e talassemia minor (o malattia di RiettiGreppi-Micheli) riconoscono una pluralità di genotipi,
anche se le forme più gravi sono preferenzialmente associate all’omozigosi e la talassemia minor all’eterozigosi.
A questi tre fenotipi principali vanno ancora aggiunti
la talassemia minima (o trait talassemico) e lo stato di
portatore silente.
Va però sottolineato che l’eccessivo schematismo non
inquadra tutti i genotipi possibili, tenendo conto anche
dei casi di doppia eterozigosi tra due geni talassemici o tra
un gene talassemico e un gene responsabile di emoglobinopatia. D’altra parte, poiché la fisiopatologia del processo
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talassemico è unitaria, il quadro clinico ed ematologico
è caratterizzato da alcuni sintomi fondamentali presenti,
con diversa intensità e con passaggio sfumato e graduale,
nelle forme di talassemia di diversa gravità.
␤-talassemia major (malattia di Cooley) È la forma più
grave di anemia emolitica congenita. Le manifestazioni
cliniche compaiono a 4-6 mesi di vita, quando nel soggetto normale ha luogo il passaggio dalla prevalenza della
produzione di catene alla prevalenza della produzione
di catene e .
I pazienti hanno i sintomi di una grave anemia. All’esame
obiettivo si nota ipoevolutismo somatico, con peso e statura inferiori alla norma. La cute è pallida con un colore
caratteristico dovuto alla combinazione di ittero e aumentata deposizione di melanina. La facies è mongoloide, con
ossa zigomatiche prominenti, ossa del cranio ispessite,
radice del naso infossata, palpebre tumide, allargamento
delle mandibole con malocclusione.
È costante una cardiomegalia, per il sommarsi dell’ipossia
cronica e della siderosi miocardica, con segni di scompenso di circolo; costante è anche l’epatosplenomegalia.
L’epatomegalia di solito è meno spiccata della splenomegalia, ma raggiunge dimensioni notevoli dopo splenectomia, esercitando una specie di funzione vicariante
della milza per quanto riguarda le funzioni filtranti e di
emopoiesi extramidollare. Si possono anche avere epatiti
da trasfusione, epatopatia cronica da sovraccarico marziale, da scompenso di circolo congestizio, da deficienze
nutritive.
La splenomegalia, per l’ingombro addominale, può determinare eventuale compressione dello stomaco e del
rene sinistro; inoltre, la milza ingrandita può andare incontro, anche se raramente, a infarto splenico e, infine,
può instaurarsi un ipersplenismo con pancitopenia (si
veda il Capitolo 55).
La maggior parte di questi segni può essere notevolmente
ridotta, se il paziente è regolarmente e adeguatamente
trasfuso; in questo caso, tuttavia, risultano particolarmente gravi i segni derivanti dalla deposizione di ferro
nel miocardio e in altri parenchimi.
1065
8
Esami di laboratorio L’esame emocromocitometrico rivela un’anemia molto spiccata, con diminuzione
dell’emoglobina e del numero dei GR, microcitosi con
MCV spiccatamente diminuito e ipocromia con MCH
ridotto e MCHC normale. È di fondamentale importanza
l’esame morfologico dello striscio del sangue periferico; i
GR hanno un aspetto estremamente polimorfo e questo
è il reperto più caratteristico della malattia di Cooley,
cioè l’estrema anisopoichilocitosi. Si osservano infatti
normociti, macrociti, leptociti ipocromici quasi trasparenti, sferociti, cellule a bersaglio, eritrociti “a lacrima”
(specialmente dopo che la milza ha “snocciolato” i corpi
inclusi costituiti dai precipitati di catene ), eritrociti
con punteggiatura basofila o policromatofila, eritrociti
“a biscotto”, schistociti ecc. È di frequente riscontro la
presenza in circolo di eritroblasti, per lo più ortocromatici,
ma talvolta anche policromatofili e perfino basofili.
L’elettroforesi dell’emoglobina dà reperti diversi a seconda
del genotipo responsabile della talassemia major, com’è
indicato dalla tabella 48.10.
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1066
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Tabella 48.10
+
+
Emoglobine presenti nei vari tipi
di -talassemia
Tipo di
talassemia
Talassemia
Talassemia
con alta F
Omozigote
Eterozigote
Talassemia
major
Hba + F + A2
Talassemia minor
Aumento HbA2
Talassemia
intermedia
HbA + F + A2
Talassemia minor
5-12% HbF
°
Talassemia
Talassemia
major
HbF + A2
Talassemia minor
o intermedia
Aumento HbA2
(-)°
Talassemia
o F talassemia
Talassemia
intermedia
Solo HbF
Talassemia minor
Talassemia
Non descritta
Lepore
Talassemia
major
HbF + Lepore HbA
(-)+
HbF 5-15%
HbA2 normale
Portatore silente
HbF e A2 normali
Talassemia minor
+ Lepore + A2
L’esame del midollo dimostra una ricchezza cellulare con
iperplasia della serie eritroide costituita da eritroblasti, per
lo più di piccole dimensioni (microeritroblasti), e curva
maturativa eritroblastica stimolata.
Lo studio delle resistenze globulari all’ipotonia salina rivela un’aumentata resistenza osmotica, con una notevole
quota di cellule intatte sino a concentrazioni di NaCl più
basse della soglia emolitica media normale di 4,0-4,45 g/L.
La diminuita fragilità osmotica è dovuta alla presenza di
emazie appiattite (leptociti) in cui il rapporto volume/
superficie è molto diminuito.
Gli altri dati di laboratorio dimostrano: 1) aumento della bilirubina non coniugata e modesto aumento dei reticolociti, secondario all’iperemolisi; 2) aumento della
sideremia e diminuzione della transferrinemia totale; 3)
parametri caratteristici dell’eritropoiesi inefficace, cioè un
aumentato turnover del ferro plasmatico e una diminuita
incorporazione del 59Fe nelle emazie.
La radiografia delle ossa, specie di quelle corte e piatte, dimostra un assottigliamento della trabecola più esterna e la
presenza di una striatura perpendicolare tra i tavolati; nella
porzione alta dell’osso frontale e nell’osso parietale del
cranio le trabecole si dispongono perpendicolarmente alla
superficie, dando luogo al cosiddetto “cranio a spazzola”.
Nelle vertebre ci sono aspetti particolari detti a ragnatela,
per il reticolo a maglie larghe formato dalle trabecole.
Decorso e prognosi La malattia di Cooley in senso stretto è
una malattia grave, caratterizzata da una cronica per cui spiccata
anemia, per cui il paziente arriva con difficoltà all’adolescenza.
Questi pazienti, dipendenti dalla terapia emotrasfusionale,
vanno incontro a un sovraccarico marziale iatrogeno che si
aggiunge, come si è visto, al ferro derivante dall’aumentato
assorbimento e dal processo emolitico. Ne consegue, in
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assenza di altre complicanze intercorrenti come infezioni o
emorragie, una situazione di emocromatosi secondaria con
siderosi miocardica e scompenso di circolo irreversibile.
Talassemia intermedia
Questo termine è utilizzato per indicare un gruppo di
pazienti che presenta un quadro clinico ed ematologico
di gravità intermedia tra la forma major e la forma minor
di talassemia.
I genotipi responsabili della talassemia sono indicati nella
tabella 48.10; a questi vanno aggiunte alcune situazioni
di doppia eterozigosi e, precisamente, la doppia eterozigosi per la - e --talassemia e la doppia eterozigosi per
la -talassemia e la persistenza ereditaria di emoglobina
fetale. Si suppone che alcuni pazienti omozigoti per la
-talassemia possano avere una capacità aumentata di
degradare le catene globiniche libere prevenendone le
conseguenze dannose, mentre il contrario sembra avvenire in pazienti eterozigoti che presentano importanti
precipitati -globulinici a livello degli eritroblasti.
Lo sviluppo psichico e fisico di questi pazienti è normale;
le deformazioni ossee sono scarse o assenti, per cui la facies
microcitemica è molto sfumata e l’intensità del pallore è
variabile a seconda della gravità dell’anemia. Si ha costante epatosplenomegalia con siderosi epatica; frequente è la
colelitiasi, mentre rare sono le ulcere trofiche malleolari.
Il quadro ematologico è qualitativamente analogo a quello descritto per la forma di talassemia major, però l’anemia
ipocromica microcitica è meno spiccata ed è quasi sempre
associata a elevata reticolocitosi.
La sopravvivenza è variabile, data la variabilità del quadro
clinico ed ematologico; in alcuni pazienti essa è abbastanza lunga, anche in assenza di terapia emotrasfusionale.
Talassemia minor (malattia di Rietti-Greppi-Micheli)
È la forma eterozigote della -talassemia, i cui possibili
genotipi sono elencati nella tabella 48.10.
Il paziente è un soggetto cronicamente anemico sin
dall’infanzia, con anemia non grave; spesso essa è riconosciuta solo occasionalmente in coincidenza di un esame
di laboratorio eseguito per altri motivi.
Talvolta la sintomatologia è limitata ai sintomi e segni
generali dell’anemia; in altri casi si può osservare colorito
giallognolo della cute per l’ittero secondario alla componente emolitica, la quale può anche portare alla colelitiasi
da calcoli di bilirubina. In questi pazienti la colelitiasi,
a cui paiono predisposti, può anche essere costituita da
calcoli di colesterolo.
Altri dati obiettivi sono la splenomegalia, non costante
e comunque non cospicua, e la presenza, rara, di ulcere
ai malleoli, fenomeno caratteristico di tutte le anemie
emolitiche croniche.
Esami di laboratorio L’esame emocromocitometrico
dimostra un’anemia da lieve a media (Hb dai 9 ai 12 g/dL)
con numero di emazie spesso aumentato (poliglobulia),
con volume corpuscolare medio ridotto (microcitosi) e
contenuto corpuscolare medio di emoglobina ridotto
(ipocromia). I reticolociti sono notevolmente aumentati,
a valori oltre il doppio del normale.
L’esame dello striscio del sangue periferico mette in evidenza l’anisopoichilocitosi tipica di queste malattie, ma
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Capitolo 48 - ANEMIE
Portatore silente
È la situazione eterozigote per la +-talassemia. Nei soggetti portatori di questo trait talassemico manca ogni manifestazione di malattia e l’esame emocromocitometrico
dà poliglobulia con microcitosi e ipocromia; lo striscio
del sangue periferico dimostra i leptociti e gli schistociti
e l’elettroforesi dell’emoglobina mette in evidenza l’aumento di HbA2 a valori oltre il doppio del normale (si
veda Tab. 48.10).
Il riconoscimento di questi individui è molto importante
ai fini della profilassi eugenetica della talassemia.
In Italia esistono numerosi centri per lo studio e la prevenzione delle microcitemie, che sottopongono le fasce
di popolazione a rischio a esami di laboratorio (resistenze globulari, elettroforesi dell’emoglobina) in grado di
svelare il trait talassemico; ovviamente la possibilità di
prevenzione per i discendenti è affidata alla scelta libera
e responsabile di ogni persona.
Manifestazioni cliniche delle -talassemie
Si distinguono quattro fenotipi principali di -talassemia.
La situazione più grave è l’idrope fetale con Hb Barts, in
C0240.indd 1067
100
E molis i (%)
in grado meno pronunciato di quanto non si abbia nella
forma di talassemia major; la presenza di qualche eritroblasto ortocromatico in circolo è occasionale, mentre è
quasi costante il rilievo di punteggiatura basofila e policromatofila negli eritrociti.
Le resistenze globulari all’ipotonia salina sono aumentate
quasi costantemente (Fig. 48.10); l’elettroforesi dell’emoglobina permette di quantificare la quota di HbA2 e di HbF
e di differenziare l’eterozigosi di -talassemia, con HbA2
aumentata, dalla eterozigosi di --talassemia, con HbF
aumentata; negli eterozigoti di Hb Lepore essa rappresenta solo il 15% del totale, in quanto la restante emoglobina è costituita da HbA e HbA2 (si veda Tab. 48.10).
La --talassemia, in passato denominata F-talassemia,
è caratterizzata da elevati livelli di HbF negli eterozigoti
e da presenza di sola HbF negli omozigoti, in assenza di
HbA e di HbA2, per delezione genica.
La persistenza ereditaria di Hb F (PEHbF) è una sindrome
talassemica caratterizzata dalla presenza nella vita adulta di elevati livelli di HbF omogeneamente distribuita
all’interno degli eritrociti, anch’essa in assenza di catene
globiniche - e -globiniche; esiste una forma da delezione e da non delezione, per mutazioni puntiformi nel
promotore globinoco. La differenza tra le due sindromi consiste nell’entità della delezione genica, più ampia
nella PEHbF rispetto alla --talassemia, condizionando
una maggiore produzione di HbF e un compenso ottimale nella vita adulta nella PEHbF, suggerendo inoltre un
coinvolgimento della regione circostante il gene nella
regolazione dell’espressione della globina, responsabile
dell’azione repressiva postnatale sui geni a favore dei
geni . Allo stato di eterozigosi la quota di HbF raggiunge
il 25%, mentre allo stato di omozigosi l’HbF rappresenta il 100% dell’emoglobina. Una particolare condizione
di PEHbF è quella di tipo eterocellulare, in cui l’HbF è
eterogeneamente distribuita negli eritrociti, nota come
PEHbF di tipo svizzero; questa è caratterizzata da modesti
incrementi di HbF (2-3%) negli eterozigoti, con riduzione
dell’HbA e dell’HbA2.
Emazie normali
Emazie
di talassemia
8
50
0
0,5
1067
0,4
0,3
0,2
NaCl (%)
Figura 48.10
Resistenze
globulari
all’ipotonia salina.
cui la sintesi di catene è completamente assente, per
cui non si ha HbA né HbA2 né HbF; virtualmente tutta
l’emoglobina presente è un tetramero di 4 chiamato Hb
Barts, inefficiente dal punto di vista respiratorio, data la
sua alta affinità per l’ossigeno. In questo caso si ha morte
intrauterina del feto.
In ordine di gravità decrescente vi è la malattia da HbH
(4); la sintesi di catene è ridotta a circa il 30-60% della
sintesi delle catene ; le emazie dei pazienti portatori di
questa malattia contengono circa il 15% di HbH e l’85% di
HbA. Si tratta di una malattia grave analoga all’omozigosi
di -talassemia, pur potendosi avere anche un quadro di
gravità minore, con modesta anemia e splenomegalia non
cospicua; rare sono le modificazioni ossee.
L’esame emocromocitometrico dà anemia ipocromica di
grado da intenso a discreto con evidente anisopoichilocitosi. L’incubazione delle cellule con il blu brillante di
cresile dà luogo alla precipitazione di corpi inclusi, dovuti
alla precipitazione in vitro di HbH; dopo splenectomia
si osservano corpi di Heinz in alcuni eritrociti. I casi di
malattia da HbH in cui il genotipo contiene il gene per
l’HbCS hanno livelli più alti di HbH e un maggior numero di cellule con corpi inclusi; anche la splenomegalia è
di maggiori dimensioni. La manifestazione clinica più
importante per entrambi i genotipi di malattia da HbH è
l’insorgenza di episodi acuti di emolisi dopo infezioni.
Le altre due sindromi di -talassemia e gli eterozigoti
per l’HbCS sono essenzialmente asintomatici; nel trait
talassemico si hanno lieve ipocromia e microcitosi, con
un rapporto : di 0,7-0,8.
Lo stato di portatore silente è una condizione praticamente non rilevabile dal punto di vista clinico ed ematologico,
analogamente al portatore silente della -talassemia.
Gli omozigoti per l’HbCS sono sintomatici, con lieve
anemia, ittero e splenomegalia; l’MCV è normale e spesso
le emazie presentano punteggiatura basofila; il tasso di
HbCS è circa il 5% di Hb totale.
Diagnosi
I reperti clinici ed ematologici in caso di -talassemia
omozigote e di malattia da HbH sono così caratteristici
che di solito non presentano difficoltà diagnostiche.
L’anamnesi riguarda principalmente la razza, la presenza
di anemia nella famiglia, l’età di insorgenza dell’anemia, il
tipo di sviluppo; l’esame obiettivo rileva il pallore, l’eventuale ittero, la splenomegalia, le deformità scheletriche.
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1068
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
L’esame emocromocitometrico, l’esame dello striscio del
sangue periferico e l’elettroforesi dell’emoglobina danno
i reperti già descritti.
Gli stati di eterozigosi presentano maggiori difficoltà diagnostiche, però le alterazioni caratteristiche nelle emoglobine F e A2 di solito chiarificano la situazione.
Molto importante è la diagnosi differenziale con l’anemia
sideropenica, ugualmente ipocromica e microcitica; i
criteri differenziali più importanti in quest’ultima forma
sono la bassa sideremia con bassa saturazione della transferrina, il basso valore di reticolociti (prima della terapia
marziale) e la normalità del quadro emoglobinico.
Diagnosi prenatale Le cellule o i tessuti per la diagnosi
prenatale possono essere ottenuti mediante biopsia dei
villi coriali (per via transcervicale o mediante aspirazione
per via transaddominale), oppure mediante amniocentesi
o fetoscopia.
La biopsia dei villi coriali permette di ottenere il DNA fetale
nel primo trimestre di gravidanza (9-12 settimane di gestazione), l’amniocentesi in periodo più tardivo (17-18 settimane di gestazione); per la fetoscopia l’epoca del prelievo è
a 19-22 settimane. Tutte queste metodiche comportano un
rischio di perdita del feto, con percentuali che variano tra le
diverse casistiche, comunque intorno al 4% per la biopsia
dei villi coriali e intorno al 2% con la tecnica dell’amniocentesi. La fetoscopia presenta il rischio maggiore.
L’analisi del DNA può essere eseguita con metodo indiretto o diretto; il primo si basa sullo studio dei polimorfismi
di siti per enzimi di restrizione (enzimi batterici che tagliano il DNA a livello di sequenze molto specifiche) del
gruppo dei geni globinici, per mezzo dei quali è possibile
marcare un carattere genetico e seguirne l’ereditarietà.
Essendo basato su studi di linkage3 è necessario studiare
preventivamente non soltanto la coppia di genitori, ma
anche un altro figlio affetto o normale.
Il metodo diretto si basa sull’identificazione del difetto
molecolare (preventivamente noto); le delezioni e le mutazioni puntiformi possono essere riconosciute direttamente attraverso analisi con enzimi di restrizione, o con
oligonucleotidi sintetici marcati con 32P e usati in test di
ibridizzazione per il DNA normale e talassemico.
In epoca tardiva di gestazione si ricorre al prelievo di
sangue fetale, su cui viene eseguita l’analisi quantitativa
delle catene globiniche fetali sintetizzate in vitro.
Nelle forme omozigoti per 0 talassemia non si evidenzia
alcuna sintesi di catene globiniche, mentre nelle forme
omozigoti per + talassemia esse vengono prodotte in
quantità molto ridotta rispetto al soggetto normale, con
possibilità di sovrapposizione tra gli omozigoti + con
produzione di catene globiniche relativamente alta ed
eterozigoti con bassa produzione; il rischio di errore diagnostico è intorno all’1%.
Terapia
I pazienti gravemente anemici, come nella -talassemia
omozigote o in alcune forme di talassemia intermedia,
devono essere sottoposti a trattamento trasfusionale. In
3
Associazione su uno stesso cromosoma di geni che segregano insieme
nella meiosi.
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passato era stato raccomandato il cosiddetto trattamento “ipertrasfusionale”, allo scopo non solo di correggere
l’anemia, ma anche di sopprimere l’eritropoiesi (il che è
utile per evitare i danni dell’eritropoiesi inefficace) e di
inibire l’assorbimento gastrointestinale di ferro. Come
si vedrà, infatti, l’accumulo di ferro nell’organismo è il
principale problema di questi pazienti, indipendentemente dal fatto che siano trattati con trasfusioni. Oggi
si è visto che l’eccesso di trasfusioni, di per sé, è in grado di generare un sovraccarico di ferro nell’organismo
e perciò si preferisce aderire allo schema proposto da
autori italiani (Cazzola et al., 1997), che hanno raccomandato un approccio più prudente, suggerendo di
trasfondere sangue solo se, prima di ogni trasfusione,
i livelli di Hb non superano i 9,5 g/dL. Si è visto che
questo regime è associato a un’adeguata soppressione
midollare e a un inferiore accumulo di ferro.
Comunque, il problema dell’accumulo di ferro resta e
deve essere affrontato con la regolare somministrazione
di un chelante. A questo scopo il farmaco ordinariamente impiegato è la desferoxamina, che deve essere
somministrata per via parenterale, endovena, sottocute
o intramuscolo. Il farmaco è sicuramente efficace e,
in pazienti già affetti da fibrosi epatica per eccessivo
accumulo di ferro, si è dimostrato in grado di impedire
la progressione in cirrosi. La somministrazione di desferoxamina deve essere regolata in base all’accumulo
di ferro nell’organismo e ciò viene comunemente fatto
basandosi sui livelli ematici di ferritina. Questo è un
parametro impreciso, perché si stima che indichi in
maniera affidabile le scorte organiche di ferro solamente in circa il 50% dei casi. Un metodo molto più
preciso, che non può però essere eseguito con troppa
frequenza, è la valutazione del ferro in biopsie epatiche,
considerando che un carico di questo elemento non
superiore a 15 mg/g di peso secco diminuisce notevolmente il rischio di manifestazioni cliniche da iperaccumulo di ferro. L’impiego di immagini ottenute con la
risonanza magnetica è invece inaffidabile. Esiste, per la
verità, una tecnica incruenta per misurare la quantità
di ferro depositata nel fegato, chiamata “suscettometria
magnetica”. Tuttavia, le apparecchiature in grado di
praticarla sono poche in tutto il mondo.
Un trattamento più radicale della malattia di Cooley
è il trapianto di midollo da donatore HLA-identico.
Il successo di questa misura è tanto più probabile
quanto minori sono i danni già instauratisi per accumulo di ferro. In bambini indenni da questi danni
la sopravvivenza senza segni di malattia supera il
90% a 3 anni dal trapianto, mentre in quelli che già
li presentano e nella maggior parte degli adulti la
percentuale scende al 60%.
Sono allo studio terapie sperimentali, come l’impiego
di un chelante attivo per somministrazione orale, il
deferiprone, che però è risultato deludente sia dal
punto di vista dell’efficacia sia da quello degli effetti
collaterali, oppure come i tentativi di aumentare la
sintesi di emoglobina fetale con l’uso di vari farmaci,
per lo più chemioterapici con discreta tossicità. Anche
questi ultimi tentativi sono stati finora deludenti.
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Capitolo 48 - ANEMIE
Un nuovo approccio terapeutico, di tipo eziopatogenetico, si attende dalle ricerche di biologia molecolare, che hanno portato un notevole contributo alla
comprensione delle fini alterazioni genetiche delle
talassemie e dei conseguenti meccanismi di alterata
sintesi delle catene globiniche. Poiché, come si è visto,
lo sbilanciamento sintetico /non è di importanza
preminente per la fisiopatologia del processo talassemico, mediante metodiche di manipolazione genetica
potrebbe essere indotta la riattivazione della sintesi
delle catene globiniche e o la soppressione dell’eccesso di sintesi di catene ; inoltre, il gene patologico
potrebbe essere sostituito con un gene purificato.
Esiste una condizione naturale a riprova dell’importanza
che lo sbilanciamento sintetico tra le catene globiniche
riveste per la patogenesi del quadro clinico della -talassemia. Questa condizione si verifica nei soggetti portatori
del doppio trait -talassemico e -talassemico; il rapporto
:, che è 2,5 nel trait -talassemico, in questi casi è 1. La
sintesi globinica bilanciata porta a un’alterazione minore
delle emazie e il volume corpuscolare medio è normale.
Infine, la recente scoperta di sottopopolazioni di eritroblasti capaci di sintetizzare preferenzialmente HbF
potrebbe portare all’identificazione di farmaci in grado
di incentivare la proliferazione di cellule sintetizzanti
HbF, che possiede una buona attività funzionale.
Emoglobinopatie
Sono condizioni ereditarie caratterizzate dalla sintesi di
Hb strutturalmente anomale. Sono state descritte almeno
1000 varianti di emoglobine anomale, ma solo in un
terzo dei casi l’alterazione strutturale comporta “malattia”. Più del 90% delle emoglobinopatie è attribuibile alla
sostituzione di un solo aminoacido nella struttura primaria di Hb per mutazione puntiforme nella corrispondente
tripletta del gene strutturale. Altre varianti si caratterizzano per la sostituzione di uno o più aminoacidi, per la
produzione di Hb a catena allungata o per la fusione di
geni differenti dopo crossing-over (per esempio, Hb Lepore e anti-Lepore).
Sono malattie trasmesse con carattere autosomico a dominanza parziale; è cioè possibile la presenza nello stesso
individuo di due varianti emoglobiniche (ereditate l’una
dal padre e l’altra dalla madre).
Le emoglobine patologiche, per convenzione, vengono
indicate con lettere dell’alfabeto o nome del luogo dove
sono state scoperte, seguite dalla lettera dell’alfabeto greco che dà il nome alla catena polipeptidica della globina
interessata dall’anomalia strutturale, dal numero che precisa la posizione nella catena polipeptidica occupata dal
residuo mutato e dal nome del nuovo aminoacido (per
esempio, Alabama 39 Gln → Lys). Le emoglobine patologiche sono caratterizzate da quattro alterazioni funzionali
principali, responsabili di altrettanti quadri clinici:
• alterata affinità per l’ossigeno, che provoca cianosi o
poliglobulia a seconda di una diminuita o aumentata
affinità per l’ossigeno;
• formazione di HbM con metaemoglobinemia
e cianosi;
• presenza di emoglobine instabili accompagnate
da corpi di Heinz ed emolisi;
• HbS e HbC (meno frequenti HbD, E, O)
con formazione di tattoidi.
Emoglobinopatie dovute
a emoglobine con alterata affinità per O2
Alcune varianti strutturali sono caratterizzate da uno
spostamento dell’equilibrio tra ossi- e desossi-emoglobina
verso la forma ossigenata o non ossigenata.
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1069
8
G. Gromo, M. Storti
Aumentata affinità
In questo caso l’emoglobina ha una struttura più stabile
nella forma ossigenata, il che significa una minore cessione di ossigeno ai tessuti. La produzione di eritropoietina è
aumentata e ne consegue eritrocitosi di compenso.
Quando la massa di GR è cresciuta in modo tale da compensare l’ipossia tissutale, anche l’eritropoietina torna a
valori normali. Si tratta comunque di una patologia rara
(45 varianti in poco più di 200 casi segnalati) e limitata
a gruppi familiari ben distinti. I pazienti sono pletorici,
asintomatici, con alti valori di Hb (> 16 g/dL) e di Hct
(45-65%), e raramente necessitano di salassi. Piastrine e
leucociti sono nella norma (si veda Poliglobulie o eritrocitosi
secondarie, Capitolo 49).
La diagnosi non è facile e non sempre è possibile grazie a
una comune elettroforesi di Hb, dal momento che più del
50% delle varianti ad alta affinità migra in modo del tutto
regolare. Viceversa, la curva di dissociazione dell’ossiemoglobina, completamente deviata a sinistra, è diagnostica
(Fig. 48.11).
Diminuita affinità
La struttura di Hb è più stabile nella forma deossigenata,
per questo motivo l’ossigeno viene rilasciato ai tessuti
assai rapidamente. Si tratta comunque di un’anomalia
ancora più rara delle precedenti. I pazienti sono cianotici, talvolta c’è modesta anemia, riferibile a diminuita
eritropoietina e a una ridotta sopravvivenza delle emazie
dovuta alla contemporanea presenza di Hb instabile.
Emoglobinopatie da HbM
Prima di entrare nel dettaglio della patologia conviene fare una breve digressione sul significato della cianosi. Per
cianosi si intende una colorazione azzurrognola o bluastra
della cute o delle mucose, prodotta da un incremento della
concentrazione assoluta di Hb ridotta nei capillari o dalla
presenza di composti anomali di Hb (metaemoglobina o solfoemoglobina). La cianosi diventa manifesta quando sono
presenti 5 g o più di Hb ridotta per decilitro di sangue ovvero
1,5-2 g/dL di metaemoglobina o 0,5 g/dL di solfoemoglobina, composta da emoglobina e solfuri solubili instabili.
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1070
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Sa02 (%)
100
80
60
40
20
Figura 48.11
Curva di
dissociazione
ossiemoglobinica.
0
0
20
40
60
80
100
Pa02 (mmHg)
Le emoglobinopatie da HbM sono caratterizzate da una sostituzione aminoacidica (nella catena o ) responsabile
dell’irreversibile ossidazione del ferro emico a ferro ferrico, in uno stato cioè non più suscettibile di riduzione a
opera della NADH metaemoglobin-reduttasi o di qualsiasi
altro sistema di metaemoglobin-reduttasi del GR. Si tratta
dunque di una metaemoglobinemia congenita, in cui
solo lo stato di eterozigosi permette la sopravvivenza.
Rara in tutto il mondo, è comunque l’emoglobinopatia
più importante in Giappone. Le forme acquisite di HbM,
più frequenti rispetto alle congenite, derivano dall’esposizione a farmaci o a sostanze tossiche in grado di ossidare
direttamente l’eme. Tra i farmaci in grado di indurre la
formazione di metaemoglobina ci sono i sulfamidici,
la fenazopirina e alcuni anestetici locali, mentre tra le
sostanze tossiche sono inclusi l’acqua ricca di nitrati e
alcuni pesticidi.
I pazienti hanno un quadro clinico variabile, a seconda
della sostituzione specifica. Negli eterozigoti, solo il 2530% dell’Hb totale è HbM; ciò è dovuto verosimilmente
alla diminuita velocità di sintesi di Hb anomala. Vi può
essere metaemoglobinemia anche in presenza di emoglobina instabile; tuttavia questa è transitoria e precede
il momento della precipitazione (si veda oltre, Emoglobinopatie da emoglobine instabili).
La cianosi compare dopo la nascita se il difetto è sulla catena (interessa infatti anche l’HbF), ma solo 3-6 mesi più
tardi se è la catena a essere interessata. Si tratta di una
condizione destinata a durare tutta la vita, asintomatica e
per la quale il trattamento non è né indicato né possibile.
Utili a fini diagnostici sono l’esame spettrofotometrico di
un emolisato acido e l’elettroforesi delle emoglobine (a
pH 7,1 migrano più rapidamente dell’HbA).
Si deve inoltre porre la diagnosi differenziale con la metaemoglobinemia da deficit di NADH-reduttasi e da agenti
tossici (per esempio, nitrati, chinoni, clorati).
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Emoglobinopatie da Hb instabili
Sono caratterizzate dalla precipitazione intracellulare
dell’Hb, che causa la formazione di inclusi (i corpi di
Heinz) ed emolisi. L’affezione è pienamente espressa nello stato eterozigote; l’omozigosi è incompatibile con la
vita.
I GR alterati dalla precipitazione dell’emoglobina hanno ridotta deformabilità, incontrano difficoltà a superare il microcircolo e vengono trattenuti nel passaggio
dai cordoni splenici ai sinusoidi. In molti casi i corpi di
Heinz sono rilasciati nella milza (fenomeno del pitting);
la parte restante del GR richiude la sua membrana e
ritorna in circolo, ma solitamente è più suscettibile ai
processi emolitici. Da qui il riscontro, dopo splenectomia, di un numero superiore di GR contenenti corpi
di Heinz.
Il quadro clinico è molto variabile, soprattutto a causa
delle notevoli differenze strutturali fra le varianti di Hb
instabili. Ne sono state identificate più di 70, comunemente classificate in quattro gruppi in relazione alla
gravità dei segni e dei sintomi: da una modesta emolisi
senza anemia ad anemia emolitica intensa, con reticolociti aumentati, ittero, splenomegalia ed epatomegalia.
Per dimostrare la presenza dei corpi di Heinz si incubano
le emazie con coloranti ossidanti come il cristalvioletto
e il blu di metilene. Talvolta è necessaria l’aggiunta di
un altro agente ossidante come l’acetilfenilidrazina. La
diagnosi di anemia emolitica secondaria a Hb instabile
può essere fatta con il riscontro dei corpi di Heinz e
con alcuni test specifici (che possono essere reperiti su
manuali specialistici). L’elettroforesi di Hb è indicativa
solo nella metà dei casi, dal momento che l’anomalia
strutturale implica una modificazione di carica della
molecola non sempre evidenziabile con una “normale
elettroforesi”.
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Capitolo 48 - ANEMIE
1071
Emoglobinopatie da HbS, C, D, E
8
Emoglobinopatia da HbS
È una malattia ereditaria dovuta alla presenza nei GR di
HbS, che polimerizza in particolari condizioni di ipossigenazione e deforma i GR impartendo loro una conformazione falciforme. In inglese si chiama sickling cell
disease e da sickle (falce) viene la lettera S con cui è indicata
l’emoglobinopatia.
L’HbS è presente con un polimorfismo bilanciato4 e una
frequenza del 10-40% in alcune popolazioni esposte alla
malaria endemica, particolarmente tra i neri dell’Africa
centrale e occidentale, tra i loro discendenti emigrati e in
alcune popolazioni caucasiche del Mediterraneo del Nord,
Medio Oriente e India. Attualmente l’8% dei neri nordamericani, latinoamericani e dei Caraibi ha un trait falcemico,
lo 0,16% ha anemia drepanocitica e lo 0,18% una doppia
eterozigosi (HbSC 0,06%; HbS -talassemia 0,12%). Fra le
popolazioni di origine mediterranea, l’HbS/-talassemia è
la più comune forma di malattia drepanocitica. In Italia le
regioni più interessate sono la Calabria e la Sicilia.
Eziopatogenesi
L’HbS differisce dall’HbA soltanto per la sostituzione
dell’acido glutammico in posizione 6 della catena con la
valina. Esiste dunque una catena alterata codificata da un
gene anomalo. Questo gene può essere allo stato omozigote
per l’HbS e dare anemia a cellule falciformi, eterozigote per
l’HbS (trait falciforme), di doppia eterozigosi HbS e HbC o
HbD ovvero HbS/-talassemia (microdrepanocitosi).
Si osserva il fenomeno della falcizzazione ogni qualvolta
la pressione parziale di O2 scende sotto i 50-60 mmHg. La
desossi-HbS, infatti, è meno solubile della desossi-HbA e
tende a polimerizzare perdendo la propria disposizione
secondo una geometria casuale e formando, all’interno
dell’eritrocita, fasci di fibre tubulari a decorso parallelo
dette “tattoidi” (Fig. 48.12). Ciascuna fibra è a sua volta
composta da 6-8 filamenti disposti a spirale lungo un asse
centrale. Ogni filamento è costituito da numerosi tetrameri di HbS polimerizzati a formare una struttura rigida e
ordinata, longitudinale, di molecole impilate. Questi fasci
deformano la membrana del GR, che assume l’aspetto a
falce. Il fenomeno è osservabile direttamente con la microscopia elettronica e indirettamente misurando le alterazioni di viscosità e filtrabilità. L’equilibrio di HbS fra la
sua fase amorfa (liquida, irregolare, casuale) e quella solida
(cristallina, regolare) è condizionato, come si diceva, dalla
diminuita pressione parziale di O2. Tuttavia, intervengono
anche altri fattori:
• la disidratazione o l’aumento dell’osmolarità
plasmatica, che favoriscono la fuoriuscita di H2O
dalle emazie e l’aumento della concentrazione
di HbS nelle cellule;
• le alte temperature, che aumentano la velocità
di polimerizzazione di HbS; dal momento, però, che i
valori cui bisogna arrivare sono al di fuori
4
Questo significa che gli eterozigoti hanno un vantaggio sugli omozigoti sia per il gene normale sia per quello patologico. Nel caso della
HbS il vantaggio potrebbe essere derivato da una maggiore resistenza
delle loro emazie al parassita malarico.
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O2
Figura 48.12
Formazione
dei tattoidi
in coincidenza
di una riduzione
della pressione
parziale di O2.
di quelli fisiologici, si tratta di un dato a esclusivo
uso “di laboratorio”;
• la concentrazione di HbS (se è inferiore al 50%
non c’è falcizzazione) e il tipo di Hb che è associata
all’HbS nel GR; se l’HbS si trova associata a HbF,
il tasso di falcizzazione è notevolmente ridotto
perché in questa mescolanza viene inibita
la polimerizzazione.
Con l’HbA (l’eterozigosi di riscontro più comune) la situazione si discosta di poco dalla norma.
Viceversa, il quadro si presenta molto grave con grado di
falcizzazione estremamente elevato nei soggetti portatori
di HbS/C (situazione, questa, non rara, dal momento
che entrambe le Hb sono diffuse nelle medesime zone
geografiche).
In caso di doppia eterozigosi HbS/-talassemia si registra
un aggravamento della sintomatologia anemica, più di
quanto non avvenga nei soggetti portatori di talassemia
minor.
Fisiopatologia
I GR rigidi e deformati dopo che ha avuto luogo il processo di falcizzazione sono intrappolati nel microcircolo,
soprattutto nella milza, dove la filtrazione si verifica in
condizioni di ipossia, acidosi e lento flusso ematico. La
trasformazione a falce dei GR provoca un incremento
della viscosità del sangue, ne ostacola il flusso nei piccoli
vasi, aggrava l’anossia locale, favorisce un’ulteriore falcizzazione e innesca in tal modo un circolo vizioso.
Il fenomeno della falcizzazione è inizialmente reversibile e in presenza di una normale pressione di ossigeno
l’HbS si depolimerizza e le cellule riassumono una forma
normale. Ciascun ciclo di falcizzazione provoca però
una perdita, da parte del GR, di acqua, potassio e calcio,
per cui esso alla fine non sarà più in grado di riprendere
la sua forma regolare biconcava. Infatti, negli individui
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1072
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
con anemia falciforme (omozigosi per il gene HbS), è
sempre presente una quota di cellule (dal 4 al 44%) che
non riacquista la forma normale allorché il sangue viene
riossigenato, cioè una quota di GR che rimane irreversibilmente falciforme. Definite Irreversibly Sickled Cell
(ISC), sono quelle cellule che si vedono negli strisci di
sangue periferico allestiti senza particolari accorgimenti
(si veda oltre, Esami di laboratorio). Le emazie così alterate hanno una sopravvivenza nettamente abbreviata
e, per questa ragione, nei soggetti nei quali si ripetono
nel tempo varie crisi di falcizzazione interviene anche
un’anemia emolitica.
Inoltre, la presenza nell’emazia di HbS non solo provoca
le profonde alterazioni di forma del GR in condizioni di
ipossigenazione, ma è anche causa di effetti secondari che
ne modificano le proprietà della membrana a livello dei
fosfolipidi e delle proteine.
Si è osservato che l’emazia a falce ha una netta tendenza
ad aderire in modo abnorme alle cellule endoteliali, ai monociti e ai macrofagi; l’abnorme adesività è stata attribuita
alle modificazioni di membrana che, accanto all’aumento
di viscosità e alla presenza di emazie deformate e rigide, è
responsabile dei fenomeni di occlusione vascolare tipici
della malattia.
HbS/S (omozigosi)
Manifestazioni cliniche
La malattia esordisce solitamente nel corso del primo anno di vita. Quando il bambino nasce presenta all’incirca
il 50% di HbF e il 50% di HbS; con il passare dei mesi la
quota di HbF, protettiva ai fini delle crisi di polimerizzazione dell’emoglobina S, diminuisce; aumenta invece
quella di HbS e i primi segni dell’anemia emolitica cronica
cominciano a manifestarsi.
Due aspetti sono particolarmente interessanti: l’aumentata suscettibilità a contrarre infezioni e le crisi dolorose.
Per quanto riguarda il primo punto, principale responsabile di un’elevata mortalità infantile (10% dei casi nel
primo anno di vita), si riconoscono numerose cause tra
le quali viene soprattutto attribuita importanza a un danneggiamento della microcircolazione splenica in cui le
cellule falcizzate ristagnano. Con il passare del tempo
questo organo, sottoposto a una serie di numerosissimi
infarti, diviene fibroso e si atrofizza. La milza, cioè, non
è più in grado, fin dai primi anni di vita, di assolvere alle
sue consuete funzioni di filtro dei microrganismi, anticorpopoiesi, emocateresi ecc.; si verifica sostanzialmente
una condizione di asplenismo.
Le crisi dolorose sono invece dovute a fenomeni di occlusione vascolare acuta a opera delle ISC e delle cellule
falciformi reversibili che più a lungo si trattengono nel
microcircolo. Non è viceversa dimostrato che la trombosi
in quanto tale svolga un ruolo primario nella produzione
di infarti tissutali, anche se l’aumentata distruzione di
emazie rilascia in circolo materiali ad attività tromboplastinica (si veda oltre, Emoglobinuria parossistica notturna).
Le crisi dolorose possono essere avvertite in varie sedi:
torace, addome, più spesso agli arti, alle dita delle mani
soprattutto nei bambini, o dei piedi. La frequenza delle
crisi è variabile da giorni ad anni, così come la durata, da
ore a giorni. Sono scatenate da fattori occasionali: ipossia,
stress emotivi, malattie respiratorie, episodi infettivi acuti,
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abbassamento della temperatura corporea o disidratazione. I ricorrenti episodi ischemici provocano, con l’andare
del tempo, danni irreversibili agli organi e agli apparati
interessati.
• Cuore. Nella circolazione coronarica vi è sempre una
considerevole estrazione di ossigeno dai GR, perciò
facilmente si avrà comparsa di falcizzazione, ingorgo
dei vasi e arresto del flusso ematico. Nell’80% dei
casi, dopo i 5 anni di età, si osserva cardiomegalia,
dopo i 40 anni scompenso cardiaco congestizio e
raramente infarto. I reperti auscultatori mimano
quelli dell’insufficienza mitralica.
• Polmone. È l’organo più frequentemente colpito.
Anche in pazienti asintomatici, con le prove di
funzionalità respiratoria si dimostrano alterazioni
di perfusione e di diffusione dovute verosimilmente
al danno endoteliale esercitato cronicamente sulle
pareti vascolari da parte dei GR rigidi e deformati.
La malattia polmonare cronica, che spesso provoca
cuore polmonare cronico, è la più frequente causa
di morte negli adulti.
• Rene. La midollare del rene, a causa
dell’iperosmolarità, è particolarmente suscettibile
all’infarto da falcizzazione. Frequente è la comparsa
di ematuria spontanea non dolorosa. Il difetto
principale consiste in una ridotta capacità
di concentrare le urine; nella maggior parte
dei pazienti vi è isostenuria.
• Ossa. Possono verificarsi infarti ossei, soprattutto
alle ossa lunghe in vicinanza delle articolazioni
e ai corpi vertebrali. Una complicanza tutt’altro
che rara è l’osteomielite. Gli agenti patogeni più
frequentemente responsabili sono le salmonelle
e lo stafilococco. Possono verificarsi anche fratture
patologiche e schiacciamenti. Probabilmente
la deformità più invalidante è la coxopatia cronica
secondaria a necrosi asettica del femore (fabbisogno
di O2 aumentato in relazione all’accrescimento
da un lato, insufficiente vascolarizzazione dall’altro).
Meno frequente è la necrosi asettica dell’omero;
entrambe le lesioni sono generalmente bilaterali.
Una complicanza possibile durante l’infanzia
è la cosiddetta sindrome mano-piede, dovuta
a microinfarti della midollare del carpo e del tarso.
Le lesioni scompaiono senza terapia, ma lasciano
residui radiologici simili all’osteomielite.
• Occhi. Vi sono aree di degenerazione retinica
con infarti, emorragie del vitreo, distacco
di retina e retinite proliferativa. Nel 90% dei casi
si riscontrano microaneurismi nei vasi superficiali
della congiuntiva bulbare.
• Cute. Ulcere atrofiche degli arti inferiori, soprattutto
alla superficie mediale della tibia e della caviglia.
• Apparato genitale maschile. Di non raro riscontro è il
priapismo.
• Sistema nervoso. Circa il 25% dei pazienti affetti
da anemia falciforme presenta lesioni neurologiche,
che comprendono emiplegia, amaurosi, paralisi
dei nervi cranici. Di solito queste manifestazioni
si verificano prima dei 15 anni. Più raramente
il quadro si complica fino alla comparsa di episodi
convulsivi, stato soporoso, coma.
6/9/10 3:09:01 PM
Capitolo 48 - ANEMIE
• Fegato e vie biliari. Un terzo dei pazienti sviluppa
colelitiasi a metà adolescenza, solo il 10% di essi
presenta ostruzione biliare. Sono descritti anche
necrosi e infarti splenici. L’epatomegalia è costante.
L’anemia ha un andamento cronico, esacerbato da crisi
emolitiche e di aplasia. Le crisi aplastiche frequentemente
dovute al parvovirus provocano una franca anemizzazione con reticolociti diminuiti e ipoplasia midollare.
L’aplasia può durare dai 7 ai 10 giorni; al termine, la ripresa dell’emopoiesi è segnalata da una crisi reticolocitaria e
dalla comparsa di eritroblasti in circolo. Talvolta si instaura
carenza di acido folico con megaloblastosi midollare ed
eritropoiesi inefficace. Il quadro è attenuato dall’elevata
percentuale di HbF che non solo inibisce la polimerizzazione di HbS, ma possiede anche un’elevata affinità per l’O2.
Esami di laboratorio
Si tratta di un’anemia emolitica normocitica normocromica, con Hb fra i 6-9 g/dL, salvo riduzioni ulteriori in
occasione di crisi emolitiche o di aplasia.
A partire dai 6 anni di vita, quando iniziano la fibrosi
splenica e l’autosplenectomia, si osservano percentuali
variabili di ISC. La loro sopravvivenza in circolo è breve,
hanno basso MCV e alta MCHC. I reticolociti sono aumentati (10-20%) e talvolta ci sono eritroblasti. Le piastrine sono normali, discretamente aumentati invece sono i
granulociti neutrofili. A dispetto dell’anemia, la velocità
di eritrosedimentazione è normale per le anomalie morfologiche degli eritrociti.
Diagnosi
Il classico test di falcizzazione su vetrino consiste nell’incubare del sangue con una sostanza riducente (metabisolfito di sodio) al di sotto di un coprioggetto, sigillato per
favorire lo stato di ipossia dei GR.
Un altro test indicativo, ma non sicuramente specifico, è
quello della precipitazione di Hb (rilevabile attraverso un
intorbidamento della soluzione), quando un emolizzato
che contiene questa emoglobina viene diluito con una
soluzione contenente un’alta concentrazione di fosfati.
D’altra parte, l’elettroforesi dell’emoglobina in condizioni
standard non consente, in quanto tale, la diagnosi di anemia
drepanocitica, dal momento che sono più di 50 le varianti
emoglobiniche che presentano la medesima migrazione
elettroforetica di HbS. La diagnosi è tuttavia possibile con tecniche particolari (per le quali si rinvia ai testi specialistici).
Decorso e prognosi
Con una buona nutrizione e il rapido controllo dei processi infettivi, la lenta crescita prepubere dei soggetti affetti
da anemia falciforme è compensata da una pubertà ritardata, per cui lo sviluppo alla fine è normale. Nei pazienti
che superano il primo decennio di vita la prognosi è migliore e la mortalità inferiore al 5%. Raramente il paziente
sopravvive fino a 50-60 anni.
La gravità del quadro clinico è variabile e la malattia decorre con peggioramenti improvvisi o crisi, intervallati da
periodi di relativo benessere.
Le infezioni e gli infarti tissutali rappresentano spesso un
problema clinico di notevole entità, molto più dell’anemia in quanto tale.
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1073
Terapia
Non esiste terapia specifica in grado di migliorare le
manifestazioni cliniche della malattia. Infatti, l’impiego di sostanze che inibiscono la gelificazione di
HbS e bloccano la falcizzazione si è rivelato finora
inefficace, se non addirittura tossico. Le crisi dolorose
devono essere trattate tempestivamente somministrando sufficienti quantità di liquidi, ossigeno in
modo intermittente e analgesici.
Benché non esistano studi controllati, un’exsanguinotrasfusione parziale (ogni 3-6 settimane) con GR
HbA/A concentrati riduce i GR HbS/S al di sotto del
50%, fa cessare la crisi o previene ulteriori infarti.
Si dovrebbe limitare comunque questo tipo di trattamento a situazioni di crisi dolorose gravi, persistenti e
refrattarie, e alle donne in stato di gravidanza.
8
Eterozigosi per HbS (trait falcemico)
Il trait falcemico consiste in una condizione solitamente
asintomatica, senza emolisi o alterazioni clinicamente
significative.
Si è già detto in precedenza della distribuzione geografica,
tuttavia è utile ricordare come l’elevata presenza del gene
S sia dovuta a un vantaggio selettivo dello stato eterozigote (AS) rispetto agli stati omozigoti (AA e SS), cioè a un polimorfismo bilanciato. Il vantaggio è probabilmente legato
a una protezione contro la malaria. Infatti, il plasmodio
sopravvive meno all’interno degli eritrociti HbS.
La sopravvivenza eritrocitaria è normale perché la percentuale di HbS contenuta nelle emazie non è sufficiente a innescare
la falcizzazione. In condizioni normali gli unici effetti notati
sono lesioni alla midollare del rene (ematuria e ipostenuria
per danno tubulare), oltre a saltuari infarti splenici.
Questo può verificarsi nel corso di esercizi fisici intensi,
voli ad alta quota in aerei non pressurizzati, immersioni
marine, anestesia ecc.
La durata della vita media dei pazienti portatori di trait
non è significativamente diminuita. L’Hb nel trait è costituita dal 25-45% di HbS, dal 55-75% di HbA, da quantità
normali di HbF e HbA2. Il test di falcizzazione e quello di
solubilità di Hb sono positivi.
HbS/␤-talassemia
Se il gene della -talassemia è un 0 o un + che comporta
un’alterazione grave dell’eritropoiesi, il quadro clinico
può essere indistinguibile da quello della forma omozigote
HbS/S. Se invece il gene della -talassemia è un + che
comporta una forma lieve, il quadro clinico che ne risulta
è una forma lieve di anemia a cellule falciformi.
HbS/C
Il gene C prevale nelle popolazioni dell’Africa occidentale.
Il quadro è simile a quello dell’omozigosi HbS/S, anche se di
entità più lieve. Le complicanze sono dovute principalmente
all’alta viscosità ematica e consistono in crisi dolorose, lesioni retiniche, necrosi asettiche della testa del femore, ematuria e priapismo. Il grado di anemia è modesto, frequente è la
splenomegalia, mentre le ISC sono rare nello striscio.
L’emoglobina è costituita dal 50% di HbS, 50% di HbC;
A2 e F sono normali.
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1074
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
HbS/D
Emoglobinopatie da HbD
L’Hb D (Punjab) proviene dal nord dell’India. L’anemia
è assai modesta, poco frequenti sono le complicanze
infettive e le crisi dolorose. Al tracciato elettroforetico di
routine su acetato di cellulosa non può venire distinta
di HbS/S.
La variante più comune, D Punjab, è dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con la glutammina nella
posizione 121 della catena .
La frequenza di questo gene in India è del 3%; vi sono
solo rarissime segnalazioni di omozigosi per il gene D.
In questo caso si osserva solo lieve anisocitosi, ma non
anemia, ittero o splenomegalia.
L’eterozigosi per l’emoglobina D è asintomatica. La fragilità osmotica è ridotta, mentre è aumentata l’affinità per
l’O2 se confrontata con quella dell’HbA.
Da segnalare infine che la solubilità di HbD è simile (allo
stato deossigenato) a quella di HbA, perciò i test di falcizzazione e di solubilità di Hb sono negativi. Quando è
ereditata insieme con HbS, attenua in modo significativo
le manifestazioni cliniche di quest’ultima.
Emoglobinopatie da HbC
L’HbC è dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico
con la lisina nella posizione 6 della catena dell’emoglobina.
È frequente soprattutto fra le popolazioni nere dell’Africa
occidentale (40% nel nord del Ghana). Nei neri americani
l’incidenza del trait si aggira attorno al 2%.
Manifestazioni cliniche dello stato omozigote (HbC/C)
La malattia da omozigosi causa di solito un’anemia emolitica cronica di lieve entità, il più delle volte asintomatica.
La splenomegalia è costante. Vi può essere ittero e la colelitiasi è frequente nell’adulto. La fragilità osmotica dei
GR è diminuita. Lo striscio di sangue contiene numerose
(50-90%) cellule a bersaglio ben emoglobinizzate. Per la
diagnosi definitiva occorre identificare la presenza di HbC
(la quasi totalità) e l’assenza di HbA o di altre emoglobine
anomale all’elettroforesi. La C migra lentamente insieme
con la A2. Non comporta una mortalità più elevata della
norma.
Manifestazioni cliniche dello stato eterozigote
I pazienti sono asintomatici e non presentano anemia. Vi
sono molte cellule a bersaglio (20-50%) nel periferico e
la fragilità osmotica appare diminuita. L’HbC raggiunge
il 30-40% del totale.
Emoglobinopatia da HbE
È dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con
la lisina nella posizione 26 della catena . Si trova
nel Sud-Est asiatico (in Thailandia raggiunge il 30%) e viene
ereditata come trait autosomico dominante. L’elevata frequenza, poi, nelle stesse regioni della - o -talassemia comporta alte probabilità di associazione tra i due disordini.
Lo stato omozigote può avere lieve anemia con microcitosi ed emazie a bersaglio. L’emoglobina E è instabile e può
quindi andare incontro a emolisi accelerata, se esposta ad
agenti ossidanti. Lo stato eterozigote è asintomatico.
Nel caso di un doppio eterozigote tra HbE e -talassemia,
condizione diffusa tanto da essere considerata la più comune seria emoglobinopatia in tutto il mondo, si possono
avere quadri clinici molto variabili, che vanno da una
condizione non distinguibile dalla talassemia major a forme molto più lievi che non necessitano di trasfusioni.
Alterazioni dello scheletro della membrana eritrocitaria
Negli ultimi anni sono state identificate numerose alterazioni dello scheletro della membrana eritrocitaria; alcune
di esse consistono in alterazioni primitive, di tipo strutturale o funzionale, delle proteine costituenti lo scheletro
della membrana, risultanti in anomalie morfologiche
dell’emazia, con o senza ridotta sopravvivenza eritrocitaria. Attualmente sono sicuramente ascrivibili a questo
gruppo la sferocitosi ereditaria, l’ellissocitosi ereditaria
con le sue varianti e la piropoichilocitosi ereditaria, a
esse strettamente collegata.
Prima di trattare delle malattie da difetto primitivo della
membrana, viene premessa una breve descrizione della
struttura della membrana eritrocitaria.
Se mediante lisi ipotonica si vuota l’emazia del suo contenuto (Hb), l’ombra della membrana che rimane è denominata con la parola inglese ghost per descriverne l’aspetto
evanescente, appunto come un fantasma.
Essa è costituita per circa il 41% di lipidi, per il 52% di
proteine e per il 7% di carboidrati. I lipidi sono costituiti in parti uguali da fosfolipidi e da colesterolo libero;
i fosfolipidi appartengono a quattro classi principali:
sfingomielina, fosfatidilcolina, fosfatidiletanolamina e
fosfatidilserina.
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F. Pellò
I fosfolipidi formano intorno all’emazia un doppio strato,
con le estremità polari in contatto con la fase acquosa (citoplasma o plasma) e le catene degli acidi grassi orientate
verso la faccia interna dello strato stesso.
Le proteine della membrana sono divise in due gruppi, le
proteine periferiche, che formano un reticolo all’interno dello strato lipidico, rivolto verso il citoplasma, e le proteine
integrali, che attraversano i lipidi sia dal lato intracellulare
sia dal lato extracellulare, e che sono perciò anche dette
proteine transmembranose.
Queste proteine sono indicate con particolari denominazioni o con numeri che si riferiscono alla loro mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide (la quale è dipendente
dal peso molecolare delle proteine che vengono fatte migrare), contando dall’estremità catodica a quella anodica
del gel.
Con il termine di scheletro della membrana si indica l’insieme di quelle proteine che residuano dopo estrazione
dei ghost con il detergente non ionico Triton X-100, che
allontana i lipidi. A differenza del citoscheletro delle più
complesse cellule eucariotiche, che forma strutture intracellulari (microfilamenti, filamenti intermedi, microtubuli), nei GR lo scheletro è molto più semplice e fa parte
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Capitolo 48 - ANEMIE
della superficie citoplasmatica della membrana cellulare;
perciò è chiamato scheletro della membrana.
La proteina principale di questo scheletro è chiamata
spectrina ed è un dimero (SpD) formato da due proteine
filamentose, le proteine 1 e 2 (dette anche, più comunemente e ). Le due proteine decorrono affiancate
con l’estremità amino-terminale della catena posta
accanto alla estremità carbossi-terminale della catena ( Fig. 48.13 ). Queste due estremità appaiate formano
quella che viene chiamata la “testa” della spectrina (e
perciò le estremità opposte rappresentano la “coda”).
Due unità di spectrina possono associarsi testa contro
testa formando dei tetrameri. Le code delle unità di spectrina non possono associarsi direttamente, ma riescono
a farlo legandosi a un’altra proteina dello scheletro della
membrana, la F-actina (proteina 5). Questo legame è
notevolmente stabilizzato dal coinvolgimento di un’altra proteina, che è indicata con il numero 4.1. Perciò,
sia per collegamento diretto tra di loro delle unità di
spectrina, sia grazie all’intermediazione del complesso
F-actina-proteina 4.1, sulla superficie citoplasmatica
della membrana eritrocitaria si forma una rete composta da molteplici unità di spectrina. Questa rete deve
essere ancorata alle proteine integrali della membrana
e, attraverso di esse, al doppio strato lipidico. L’ancoraggio avviene in due modi; la proteina 4.1 (che, come
si è visto, costituisce uno dei punti nodali della rete) si
lega con la porzione intracitoplasmatica della proteina
integrale glicoforina A. Le catene della spectrina sono in
grado di legarsi a una proteina detta anchirina o proteina 2.1 (il legame avviene in prossimità delle giunzioni
testa-testa delle unità di spectrina) che, a sua volta, si
attacca alla porzione intracitoplasmatica della proteina
integrale designata con il numero 3. Tanto la glicoforina
A quanto la proteina 3 sono glicoproteine. La glicoforina
A determina la specificità dei gruppi sanguigni M e N
a seconda dei residui aminoacidici situati in posizione
1 e 5. La proteina 3 è implicata nel trasporto del glucosio
e degli anioni. Quindi, le proteine principali dello scheletro interagiscono tra loro secondo un piano orizzontale,
parallelo alla membrana, e secondo un piano verticale,
perpendicolare alla membrana. Le interazioni secondo
Interazione
Sp-4.1 Glic.-A
il piano orizzontale, cioè le interazioni tra i dimeri di
spectrina, e tra i dimeri di spectrina, la proteina 4.1 e la
F-actina servono ad assicurare la continuità del reticolo
proteico submembranoso, organizzato in una struttura
bidimensionale; le interazioni verticali, tra spectrina,
anchirina e proteina 3 e tra spectrina, proteina 4.1 e
glicoforina assicurano la connessione del reticolo dello
scheletro ai costituenti integrali della membrana.
È probabile che alterazioni delle interazioni proteiche
secondo i due diversi piani siano responsabili di modificazioni di forma differenti del GR.
1075
8
Sferocitosi ereditaria
Si tratta di un’anemia causata da un’anomalia intrinseca
della membrana eritrocitaria che ne modifica la forma
da biconcava in sferica, ne riduce la deformabilità e ne
favorisce l’intrappolamento a livello splenico. È una malattia congenita con modalità classica di trasmissione
ereditaria di tipo autosomico dominante, raramente di
tipo autosomico recessivo.
Più comune tra le popolazioni del Nord Europa, è tuttavia
segnalata in tutte le razze. Colpisce i due sessi con uguale
frequenza e la prevalenza è di 20 casi/100.000 persone.
Eziopatogenesi
Il difetto primario, trasmesso ereditariamente, è a livello
della membrana dei GR; nel 25% dei casi le alterazioni della
membrana sono di riscontro apparentemente sporadico.
I tipi di deficit sono due, la mancanza totale o parziale
di una proteina dello scheletro della membrana e l’interazione anomala delle proteine periferiche tra loro o
con una proteina integrale. Le anomalie di riscontro più
frequente sono
• una diminuzione della spectrina;
• una riduzione della proteina 3 associata alla
riduzione di spectrina;
• un difetto molecolare all’estremità distale (coda)
della spectrina, risultante in un legame difettoso con
la proteina 4.1;
• un assemblaggio alterato dei dimeri della spectrina.
Interazione
Sp-2.1-3
Proteina 3
Doppio
strato lipidico
Glicoforina-A
Ankirina
Proteina
4.1
Profilamento
F-actina
Interazione
Sp-actina 4.1
C0240.indd 1075
Interazione
SpD-D
Catena
Catena
Spectrina
Proteina
4.1
Figura 48.13
Modello dello
scheletro della
membrana del
GR. (Si veda il
testo.)
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1076
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
È stata osservata, inoltre, anche una netta riduzione dei
fosfolipidi e del colesterolo della membrana.
Si ammette che la modificazione della forma del GR da
discocita a sferocita sia dovuta a una riduzione del rapporto superficie/volume, per riduzione della superficie da
instabilità e perdita di membrana, dovuta a sua volta ai
vari difetti della spectrina.
Infatti, il deficit di spectrina fa sì che vi siano aree in cui
il doppio strato lipidico, privo di sostegno, va incontro
a perdita di materiale, con conseguente instabilità anche
delle proteine integrali.
I GR a tipo di sferociti vanno incontro a importanti modificazioni delle loro proprietà, cioè acquisiscono una
diminuita plasticità e deformabilità, un alterato metabolismo cellulare, soprattutto a livello del trasporto degli ioni
attraverso la membrana, un’aumentata fragilità osmotica,
un aumento della viscosità del citoplasma con aumento
della concentrazione di emoglobina, attribuita a lieve
disidratazione cellulare.
L’alterato metabolismo cellulare è rappresentato principalmente da un aumento della permeabilità eritrocitaria agli ioni sodio e potassio. Perché la concentrazione
intracellulare di sodio e potassio si mantenga nei limiti
fisiologici, è necessario che nei GR di questi soggetti si
abbia un incremento di attività del sistema enzimatico
noto come pompa sodio/potassio. Esso è legato alla membrana dell’emazia ed è stato descritto come ATPasi Na+/
K+ dipendente, volendo con ciò indicare che si tratta di
un sistema che idrolizza l’ATP a una velocità che dipende
dalla concentrazione dei cationi; si rende quindi necessaria un’elevata produzione di ATP, che negli sferociti si
realizza grazie a un incremento della glicolisi anaerobia.
È per questo aumento di funzione della pompa Na+/K+
che le cellule si deprivano di ATP in assenza di glucosio.
Non è però perfettamente nota la natura di questa anomala permeabilità dei GR al sodio in corso di sferocitosi
ereditaria.
Nelle emazie di SE si è anche dimostrato un basso livello
di 2,3-difosfoglicerato unitamente a una riduzione del pH,
che ne è probabilmente la conseguenza.
L’aumentata fragilità osmotica si ritiene sia dovuta al fatto
che la configurazione di sferocita, cioè con un volume
dell’emazia aumentato rispetto alla superficie, predispone
di per sé alla lisi osmotica in presenza di concentrazioni
più alte di cloruro di sodio rispetto a quanto si verifica nei
GR normali a forma di discocita; infatti anche i discociti,
prima di andare incontro alla lisi, assumono la forma di
sferocita.
Fisiopatologia
Il punto chiave nella sferocitosi ereditaria è, come si è
visto, un’anomalia intrinseca all’emazia che la rende suscettibile a una distruzione prematura nella milza.
La diminuita sopravvivenza dei GR nella sferocitosi ereditaria è causata dal loro intrappolamento nei sinusoidi
splenici; dopo splenectomia, infatti, migliora sensibilmente l’anemia e la sopravvivenza degli eritrociti ritorna
a valori pressoché normali. Durante il passaggio nella
polpa rossa della milza, i GR devono deformarsi per attraversare il microcircolo splenico, superare i cordoni,
i seni e passare poi nel circolo venoso. Gli sferociti, in
ragione della loro ridotta deformabilità, si trattengono
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a lungo nella milza, dove non trovano una quantità di
glucosio (energia) sufficiente a mantenere il loro elevato
metabolismo, esauriscono progressivamente il contenuto
in ATP e perdono i lipidi di membrana. Si forma così una
popolazione di microsferociti fagocitati dai macrofagi e
destinati a una rapida emolisi. È importante ricordare,
infine, come gli eritrociti di pazienti affetti da sferocitosi
ereditaria abbiano una sopravvivenza ridotta quando
vengono trasfusi in soggetti sani, normale quando invece
il ricevente è splenectomizzato. Come pure è normale la
vita media di emazie isogruppo trasfuse a un soggetto con
sferocitosi. Ciò significa che il difetto è intrinseco al GR e
che vi è emolisi solo in presenza della milza.
Pertanto, la sferocitosi ereditaria è caratterizzata da
un’emolisi extravascolare e quindi da iperbilirubinemia
indiretta con urobilinuria. Il midollo può incrementare la
sua attività eritropoietica in misura tale da mantenere in
termini modesti l’anemia, anche se in certi periodi questo
compenso può essere difettoso e si possono sviluppare episodi di più marcata anemizzazione (crisi “aplastiche”).
Manifestazioni cliniche
La triade sintomatologica della malattia è rappresentata da anemia emolitica con sferocitosi periferica, ittero,
splenomegalia. Tuttavia. l’espressività dei sintomi e segni
è assai variabile, a seconda della gravità della malattia. Si
distinguono infatti tre forme principali:
• una forma lieve, che interessa circa un quarto
dei pazienti, senza anemia, perché la produzione
midollare di eritrociti è in grado di compensare
completamente la distruzione. Gli altri membri
della famiglia possono anch’essi presentare questa
forma lieve oppure essere affetti dalla forma grave.
I segni di emolisi e la splenomegalia possono essere
modesti o assenti, ma la situazione può aggravarsi
in occasione di malattie virali (per esempio,
mononucleosi infettiva), di uno sforzo fisico
importante, della gravidanza;
• una forma moderata che interessa circa i due terzi
dei pazienti, con distruzione emolitica degli eritrociti
non compensata e periodi intermittenti di ittero,
spesso collegati a infezioni virali; la splenomegalia
è di solito presente, di entità variabile;
• una forma grave, che interessa una piccola quota
di pazienti (< 10%), con anemia grave, spesso
richiedente emotrasfusioni di concentrati di GR;
questi pazienti possono presentare un ritardo
di crescita e andare incontro a modificazioni
nella struttura delle ossa del cranio, con la tipica
turricefalia (per ispessimento delle ossa frontali
e parietali). Nelle forme più gravi possono comparire
anche ulcerazioni agli arti inferiori, soprattutto
perimalleolari, simili a quelle di facile riscontro nella
talassemia minor e nella drepanocitosi.
Frequente è la colelitiasi, complicanza peraltro di molti
disturbi emolitici cronici.
Tutti i pazienti, ma con probabilità e frequenza maggiori
quelli affetti dalla forma grave, possono andare incontro
a due tipi di crisi: emolitica e aplastica.
La crisi emolitica può essere precipitata da un’infezione o
dallo stress ed è caratterizzata da aumento della bilirubi-
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Capitolo 48 - ANEMIE
nemia indiretta, splenomegalia e anemia; di solito non è
molto grave e richiede una terapia trasfusionale.
Le crisi aplastiche sono molto più gravi e possono anche
avere esito fatale; si presentano con febbre, dolore addominale, vomito, reticolocitopenia e anemia, talvolta
anche neutropenia e piastrinopenia. La crisi dura da 10
a 14 giorni e la fine è contrassegnata dalla comparsa dei
reticolociti nel sangue periferico. L’eziologia della crisi
aplastica è molto verosimilmente virale, in particolare
da parvovirus.
I parvovirus sono comuni agenti di malattia negli animali;
il loro nome (da parvus, piccolo) è dovuto al fatto che sono
i più piccoli virus (15-28 nm di diametro alla microscopia
elettronica) contenenti DNA in grado di infettare cellule
animali.
Il parvovirus fu descritto nel 1975 e si è rivelato l’agente
eziologico, nelle persone normali, della quinta malattia
nei bambini e di una sindrome di tipo poliartralgico negli
adulti.
L’infezione da parvovirus è molto contagiosa e il riscontro,
nel 50% degli adulti normali, di anticorpi antiparvovirus nel siero presuppone un’immunità acquisita nell’età
scolare.
La nomenclatura ufficiale è parvovirus B19, che è il termine impiegato dallo scopritore del virus.
Questo virus è importante in ematologia perché la prima
malattia che è stata associata all’infezione da parvovirus
B19 è la crisi aplastica transitoria osservata in pazienti
con drepanocitosi; successivamente si è dimostrato che
il parvovirus B19 può indurre crisi aplastiche transitorie
in pazienti affetti da numerosi processi emolitici di base:
la già ricordata drepanocitosi, la sferocitosi ereditaria,
la talassemia, l’anemia emolitica da deficit degli enzimi
eritrocitari, l’anemia emolitica autoimmune. Talvolta la
crisi aplastica rappresenta l’esordio clinico di un’anemia
emolitica misconosciuta. Le crisi aplastiche transitorie sono caratterizzate dalla brusca insorgenza di grave anemia,
talvolta accompagnata da granulocitopenia e piastrinopenia, con assenza di reticolociti e presenza nel midollo di
scarsi precursori eritroidi.
I pazienti con crisi aplastiche spesso non hanno altri sintomi, oppure possono presentare febbre con sintomi di
infezione delle vie aeree superiori, gastroenterite o malattia simil-influenzale.
Nelle prove in vitro con colonie in mezzo semisolido,
l’effetto inibente del parvovirus B19 si è dimostrato altamente specifico per la linea eritropoietica e privo di effetto
sul numero di colonie derivate dalla CFUGM.
Vi sono, infine, alcune segnalazioni molto recenti che
in soggetti immunodepressi, per esempio portatori di
sindromi di immunodeficienza congenita, di neoplasie in
terapia chemioterapica, di AIDS, gli episodi di improvviso
deficit midollare che talvolta si verificano possono essere
dovuti a infezione da parvovirus.
Esami di laboratorio I valori di emoglobina sono generalmente compresi tra 8 e 11 g/dL, anche se, in occasione delle
crisi “aplastiche”, l’anemia può aggravarsi notevolmente.
Lo striscio di sangue periferico presenta circa il 20-30%
della popolazione eritrocitaria con una forma rotondeggiante, intensamente e omogeneamente colorata (priva
cioè della consueta area centrale chiara).
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L’anisopoichilocitosi è marcata; il volume corpuscolare
medio è di solito normale, mentre la CHCM il più delle
volte si presenta elevata. Vi è una reticolocitosi (5-20%)
che può anche essere notevolmente superiore, soprattutto nel periodo che segue immediatamente una crisi
“aplastica”.
Nel midollo emopoietico si osserva una spiccata iperplasia della serie rossa, talvolta con inversione del rapporto
leuco/eritroblastico. La bilirubina indiretta nel siero è
aumentata, l’aptoglobina sierica assente o diminuita.
L’escrezione urinaria di bilinogeno è aumentata, le feci,
poi, hanno elevatissimi quantitativi di bilinogeno.
Non esistono esami di per sé specifici della sferocitosi
ereditaria. La diagnosi poggia quindi su di una costellazione di dati che, presi nel loro complesso, suggeriscono
l’esistenza della malattia.
Tra questi, di particolare importanza sono il test di fragilità
osmotica e il test di autoemolisi. Gli sferociti, rispetto agli
eritrociti normali, presentano minore superficie per unità di volume e quando vengono incubati con soluzioni
ipotoniche si lisano più facilmente. Il sangue di un paziente con sferocitosi ereditaria comincia a emolizzare alle
concentrazioni 0,5-0,7% di NaCl (normalmente l’emolisi
inizia con NaCl allo 0,45%). La presenza poi di una “coda” osmoticamente resistente riflette la percentuale di
reticolociti presenti.
La sferocitosi presenta una netta riduzione delle resistenze
globulari osmotiche, quando i GR vengono preincubati
a 37 °C per 24 ore e poi sottoposti allo stress iposmotico
(infatti c’è un’ulteriore deplezione di ATP). Nei casi lievi
quest’ultima avvertenza permette di “sensibilizzare il sistema” ed evidenziare ugualmente la presenza dell’anomalia,
altrimenti non dimostrabile.
Nel test di autoemolisi il sangue è incubato a 37 °C, sterilmente, per 48 ore. In condizioni normali il rilascio di
Hb arriva al massimo al 4%; nella sferocitosi ereditaria,
viceversa, può raggiungere anche il 40%.
Questa non è la sola malattia nella quale l’autoemolisi
sia incrementata; tuttavia è possibile restringere ulteriormente il campo delle ipotesi aggiungendo ATP o glucosio
nel mezzo di sospensione. Una marcata riduzione del
fenomeno dopo aggiunta di queste sostanze è fortemente
suggestiva di sferocitosi ereditaria, anche se un risultato
analogo è osservabile nell’anemia emolitica da deficit di
triosofosfato-isomerasi.
La sopravvivenza eritrocitaria, infine, con emazie marcate
con 51Cr è diminuita nei pazienti non splenectomizzati e
normale in quelli che sono stati sottoposti all’intervento
chirurgico. Ulteriori conferme alla diagnosi si ottengono
con uno studio della famiglia del paziente. Lo screening
può essere fatto molto semplicemente con emocromocitometria, conta dei reticolociti, esame dello striscio di
sangue periferico.
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8
Diagnosi
Nell’anemia emolitica autoimmune è possibile che si verifichi una certa sferocitosi a carico degli eritrociti. Questa
forma è però facilmente differenziabile dalla sferocitosi
ereditaria per la positività del test di Coombs e per la
normalità del test di autoemolisi. Un possibile problema,
in presenza di ittero evidente e lieve anemia, come può
capitare nella sferocitosi ereditaria, è la differenziazione da
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1078
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
una sindrome di Gilbert (si veda il Capitolo 30). Quest’ultima, tuttavia, non si accompagna di regola né a urobilinuria né ad alcuna delle stigmate ematologiche proprie
della sferocitosi.
Decorso e prognosi
La malattia ha un andamento cronico, con saltuarie esacerbazioni dell’anemia, caratterizzate da splenomegalia
dolente, ittero franco, reticolocitosi, iperbilirubinemia
indiretta in occasione delle crisi emolitiche. Come si è
visto, raramente insorgono crisi aplastiche con carattere
di maggiore gravità.
Complessivamente la prognosi è buona, perché si ha a
disposizione una terapia patogenetica in grado di normalizzare il quadro ematologico, rappresentata dalla splenectomia.
Terapia
La splenectomia è l’unica terapia utile. Una volta
eseguita, il difetto intrinseco dei GR persiste; tuttavia
il quadro ematologico si normalizza a eccezione della
comparsa di lieve trombocitosi e leucocitosi. Talvolta
la mancanza di guarigione è ascrivibile alla presenza
di milze accessorie, più spesso a diagnosi non esatta.
L’aumentata frequenza di batteriemie che si osserva
nei bambini di età inferiore a 5 anni dopo splenectomia impone che l’intervento sia ritardato per quanto
possibile (almeno dopo il decimo anno di età). Non
di rado l’emolisi cronica e l’eritropoiesi accelerata che
ne consegue richiedono l’istituzione di una terapia
con acido folico.
Ellissocitosi ereditaria
Il nome della malattia deriva dall’aspetto ellittico dei GR
nel sangue periferico. Si tratta di una malattia eterogenea, sia in termini di espressione clinica sia di morfologia
delle emazie. Sulla base della forma dei GR si possono
distinguere tre gruppi principali: 1) la forma comune in
cui l’emazia è biconcava; 2) la forma sferocitica, che rappresenta un fenotipo ibrido tra la sferocitosi ereditaria e
l’ellissocitosi; 3) la forma stomatocitica (emazie a forma di
scodella), comune nelle popolazioni della Malesia che, a
differenza delle altre due forme di ellissocitosi, conferisce
resistenza all’infestazione malarica.
L’ellissocitosi comune, la più frequente delle tre forme, si
trasmette ereditariamente come carattere autosomico a
dominanza incompleta; allo stato eterozigote costituisce
o una condizione asintomatica con normale sopravvivenza delle emazie o si esprime con un’emolisi da lieve
a moderata. Gli omozigoti hanno di solito grave anemia
emolitica con evidenti micropoichilocitosi, microellissocitosi e microsferocitosi.
La piropoichilocitosi ereditaria, malattia strettamente correlata all’ellissocitosi, è trasmessa con modalità autosomica
recessiva, caratterizzata da spiccatissima micropoichilocitosi e instabilità termica delle emazie.
Il difetto molecolare alla base dell’ellissocitosi e della
piropoichilocitosi ha luogo a livello delle proteine del
citoscheletro della membrana, che possono essere qualitativamente alterate, con deficit funzionale, o ridotte
quantitativamente.
Il difetto più comune riscontrato in circa un terzo dei pazienti con ellissocitosi ereditaria e in quasi tutti i pazienti
con piropoichilocitosi è costituito da un difetto di assemblaggio dei dimeri della spectrina in tetrameri e oligomeri,
per un difetto strutturale delle catene della spectrina.
La notevole instabilità delle emazie riscontrata nelle forme
gravi di ellissocitosi e piropoichilocitosi, con conseguente frammentazione dei GR, poichilocitosi ed emolisi, è
verosimilmente dovuta a instabilità dello scheletro della
membrana.
Non è completamente chiarito il meccanismo di formazione degli ellissociti; si suppone che i GR normali assumano
transitoriamente una forma ellittica quando sottoposti
allo stress dovuto all’attrito da scivolamento sulla parete
endoteliale; poiché, come si è già visto, l’alterazione a
livello dello scheletro della membrana ne riduce la flessibilità e la plasticità, cioè lo rende più rigido, esso non
sarebbe in grado di riprendere la forma iniziale al venir
meno dello stress.
Anemie da deficit degli enzimi eritrocitari
Si tratta di anemie emolitiche ereditarie secondarie a ridotta attività di uno degli enzimi necessari al metabolismo
glucidico eritrocitario, ovvero gli enzimi della via glicolitica di Embden-Meyerhof e quelli dello shunt dell’esosomonofosfato. Le forme di più comune riscontro sono
quelle causate da deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6-PD) e di piruvato-chinasi (PK).
Cenni sul metabolismo eritrocitario
Durante il suo sviluppo, il GR perde molte delle “vie biochimiche” presenti nella cellula nucleata. Il GR maturo, infatti,
non può sintetizzare acidi nucleici, lipidi, enzimi, glucidi
ed eme. Non possiede gli enzimi del ciclo degli acidi tricarbossilici, la catena respiratoria e la fosforilazione ossidativa.
Gli eritrociti maturi mantengono unicamente integri la
glicolisi anaerobia e il ciclo del glucosio-6-fosfato.
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G. Gromo
Infatti, nonostante un’attività metabolica molto limitata, l’eritrocita richiede energia per mantenere flessibile
la membrana cellulare, regolare il flusso degli ioni sodio
e potassio, far funzionare il sistema ossido-riduttivo
capace di proteggere la cellula dall’azione di sostanze ossidanti endogene ed esogene. Questi obiettivi vengono
raggiunti grazie alla glicolisi, in particolare mantenendo appropriati livelli intracellulari di alcune molecole
specifiche quali ATP, GSH, NADH, NADPH e 2,3-DPG
(Tab. 48.11).
Circa il 90% del glucosio che giunge nell’eritrocita viene metabolizzato ad acido lattico attraverso la glicolisi anaerobia.
È questa la sola via utilizzata dal GR per produrre ATP.
Per ogni mole di glucosio vengono prodotte due moli di
ATP sufficienti a mantenere attive le funzioni ATP-dipendenti, cioè il trasporto attivo attraverso la membrana di
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Capitolo 48 - ANEMIE
Tabella 48.11 Composti intermedi metabolici
di fondamentale importanza nel globulo rosso
Composto
ATP
Funzione principale
Fornisce energia per il trasporto attraverso
la membrana di ioni sodio, potassio e calcio;
trasferisce gruppi fosforici ad alta energia alle
proteine di membrana
2,3-DPG
Riduce l’affinità di Hb per l’O2 e consente una
maggiore cessione di O2 ai tessuti
GSH
Fornisce gruppi sulfidrilici utilizzabilil per
metabolizzare le sostanze endogene ed esogene ossidanti; contribuisce alla detossificazione
della H2O2
NADPH
Fornisce protoni per rigenerare il glutatione
ridotto dal glutatione ossidato
NADH
Cofattore nella reazione che previene
l’accumulo di metaemoglobina
La principale funzione di questa via è di produrre NADPH
e di mantenere così il glutatione in forma ridotta (GSH)
(Fig. 48.14). Il GSH protegge i GR dalle sostanze ossidanti
(ioni superossido e perossido di idrogeno) liberate da
macrofagi e granulociti durante la fagocitosi o prodotte
dagli stessi GR dopo assunzione di determinati farmaci.
Non viene generato, invece, ATP.
La quantità di glucosio che entra nel ciclo dei pentosi non
è costante, ma è in funzione della quantità di NADP e può
aumentare fino a 30 volte.
1079
8
Anemie da difetto degli enzimi
della glicolisi anaerobia
Sono anemie rare. Il 90% dei casi è provocato da deficit
di PK, il 4% da deficit di glucosiofosfato-isomerasi (GPI,
GlucosePhosphate Isomerase) e i restanti casi dalla carenza di altri enzimi della via glicolitica anaerobia.
Anemia emolitica da deficit
di piruvato-chinasi (PK)
Si tratta di una malattia diffusa in tutto il mondo, anche
se la gran parte dei casi è stata segnalata nella popolazione
europea.
ioni calcio, sodio e potassio, la fosforilazione delle proteine di membrana e la glicolisi stessa. Attraverso la glicolisi
anaerobia si produce anche NADH, un cofattore di fondamentale importanza nelle reazioni di ossidoriduzione. Lo
shunt di Rapaport-Luebering, la via alternativa nel passaggio da 1,3-difosfoglicerato a 3-fosfoglicerato, permette
poi la sintesi e la degradazione di 2,3-DPG, un importante
regolatore del processo di ossidazione dell’emoglobina.
Solo il 10% del glucosio che penetra nel GR viene normalmente catabolizzato attraverso il ciclo dei pentosi.
Eziopatogenesi
Il difetto enzimatico è ereditato come carattere autosomico recessivo; maschi e femmine vengono interessati
in egual misura.
La malattia conclamata si ha solo negli omozigoti ed è
associata a un’attività dell’enzima PK pari al 5-25% dell’attività normale.
Negli eterozigoti l’attività della PK è ridotta di circa il 50%
senza che vi sia un’evidenza clinica del difetto; tuttavia
H2O2
H2O2
Glutatione-perossidasi
GSH
GSSH
Glutatione-perossidasi
GLUCOSIO
NADP
Glicolis i a na e rob ia
GLUCOSIO-6-FOSFATO
PIRUVATO
LATTATO
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Glucosio-6-fosfato-deidrogenasi
Shunt
dell’esosomonofosfato
Piruvico-chinasi
NADPH
6-FOSFOGLUCONATO
6-fosfoglucodeidrogenasi
PENTOSOFOSFATO
Figura 48.14
Ruolo della
glucosio6-fosfatodeidrogenasi
nella produzione
di NADPH e nel
mantenimento
del glutatione
in forma ridotta
(GSH).
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1080
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
una sintomatologia, se pur meno marcata, è presente anche in alcuni pazienti con eterozigosi per due mutazioni
distinte e interagenti (doppia eterozigosi). È importante
inoltre ricordare che nei tessuti umani sono presenti tre
isoenzimi della PK; il tipo I è contenuto nei GR e nel fegato, il tipo II nei reni e il tipo III in leucociti, piastrine,
fegato, reni, muscoli e cervello.
Non sempre esiste una correlazione fra entità dell’anemia
ed entità del deficit enzimatico. La ridotta attività della PK
è dovuta, nella gran parte dei casi, a un difetto quantitativo; in altri casi sono state riconosciute varianti strutturali
con alterate proprietà cinetiche.
Fisiopatologia
La PK eritrocitaria è un tetramero con un peso molecolare
di 225.400. Catalizza la conversione da fosfoenolpiruvato
in piruvato e interviene così in una delle due reazioni
glicolitiche capaci di produrre ATP (l’altra è catalizzata
dalla fosfoglicero-chinasi).
La carenza di PK, quindi, provoca una riduzione della
sintesi di ATP, un accumulo dei metaboliti che precedono
questa tappa nella sequenza glicolitica (PEP; 3 PG; 2,3DPG) e una diminuzione dei substrati a valle (piruvato
e lattato). Il danno metabolico principale dei GR carenti
di PK è la diminuita produzione di ATP con conseguente
riduzione di tutte le funzioni ATP-dipendenti.
Compaiono lesioni funzionali della membrana eritrocitaria che provocano riduzione della concentrazione
intraeritrocitaria di potassio e accumulo di ioni calcio. La
membrana diviene più rigida, meno elastica, e possono
comparire, alla superficie, protuberanze e spicole (acantocitosi). Le emazie così modificate vengono riconosciute
dal sistema reticolo-endoteliale del fegato e della milza e
fagocitate. Da segnalare che anche i reticolociti (capaci
di sfruttare la fosforilazione ossidativa mitocondriale per
produrre ATP) sono distrutti nella milza, dal momento
che quest’organo costituisce un ambiente sfavorevole (pH
basso, ridotta PO2, bassa concentrazione di glucosio) per
il metabolismo mitocondriale dei reticolociti.
nello striscio periferico: policromasia, anisocitosi, poichilocitosi e GR nucleati. Talvolta sono osservati acantociti ed
echinociti. La reticolocitosi è spiccata (5-15%) e aumenta
ulteriormente dopo splenectomia (50%). Normali sono i
leucociti e le piastrine. La bilirubina indiretta è aumentata,
la sideremia normale, le urine presentano un’elevata escrezione di urobilinogeno, il midollo osseo è ipercellulare con
intensa iperplasia della serie eritropoietica.
Diagnosi
In passato, il primo esame di screening da eseguire nel
sospetto di un deficit di PK era il test di autoemolisi. Si può
infatti osservare una percentuale di emolisi del 20-30%
(valore normale 4%), corretta dall’aggiunta di ATP ma non
di glucosio (a differenza di quanto avviene nella sferocitosi ereditaria). Oggi si preferisce dosare direttamente l’attività dell’enzima presente nei GR del paziente, calcolando
la velocità di ossidazione dell’NADH a NAD.
Nei pazienti con deficit di PK dei GR (isoenzima I) è ancora presente la PK leucocitaria (isoenzima III). Si deve porre
quindi particolare attenzione nell’allontanare i leucociti,
dal momento che l’attività della PK leucocitaria è 300
volte maggiore di quella dei GR e potrebbe inficiare il
risultato del test. Il deficit di PK si presenta comunemente
come un’anemia emolitica normocitica normocromica.
La diagnosi differenziale, dopo avere escluso i più comuni processi emolitici, deve comprendere le anemie
emolitiche ereditarie da emoglobina instabile e le altre
enzimopatie ereditarie dei GR.
La presenza di emoglobina instabile può essere dimostrata
ricorrendo al test della stabilità al calore o a quello della
precipitazione con isoproterenolo, le altre enzimopatie
vengono dimostrate con dosaggi quantitativi dell’attività
dei diversi enzimi. Quanto poi alla sferocitosi, il quadro
periferico e le resistenze globulari dovrebbero essere sufficienti a dirimere eventuali dubbi diagnostici.
Terapia
Manifestazioni cliniche
L’espressione della malattia è variabile; talvolta si manifesta alla nascita con grave ittero neonatale, altre volte il deficit di PK viene diagnosticato, del tutto occasionalmente,
durante l’età adulta. In genere, comunque, anemia e ittero
compaiono nel corso dell’infanzia. La sintomatologia è,
con buona approssimazione, simile a quella osservata nelle anemie emolitiche croniche (anemia, ittero, reticolociti
aumentati, splenomegalia).
L’incidenza di litiasi biliare è elevata, mentre rare sono
le ulcere agli arti inferiori, come pure le modificazioni
ossee (soprattutto bozze frontali) associate a iperplasia del
midollo emopoietico, quali si osservano in altre forme di
anemie emolitiche croniche ereditarie.
Esami di laboratorio
L’anemia normocitica normocromica è di gravità variabile, il tasso di Hb può variare da 6 a 12 g/dL e l’Hct dal 17
al 37%. Non esistono solitamente fluttuazioni nell’entità
dell’anemia; rare sono le esacerbazioni in occasione di infezioni o interventi chirurgici. Tutti i parametri morfologici caratteristici di un’eritropoiesi accelerata sono presenti
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Non esiste terapia specifica e le cure sono essenzialmente di supporto: acido folico per compensare
l’aumentato consumo dovuto alla marcata eritropoiesi, terapia trasfusionale nelle forme più gravi. La
splenectomia spesso migliora il quadro clinico, benché raramente si assista a una completa risoluzione
dell’anemia emolitica.
Anemie emolitiche da deficienza
di altri enzimi della glicolisi anaerobia
Sono forme molto rare. Il deficit è trasmesso solitamente
come carattere autosomico recessivo ed è causa di anemia
solo se è presente allo stato omozigote. Unica eccezione è
la carenza di fosfoglicero-chinasi (PGK), che è trasmessa
come carattere legato al sesso. I maschi sono affetti da
grave anemia, mentre le femmine no.
In alcuni casi il difetto è localizzato solo nei GR (deficit di
esochinasi), altre volte anche nei leucociti, che peraltro
mantengono le loro normali funzioni (deficit di fosfoglicero-chinasi e glucosio-fosfato-isomerasi).
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Capitolo 48 - ANEMIE
Da ricordare, poi, il caso della triosofosfato-isomerasi,
in cui l’enzima è diminuito nei leucociti, nelle cellule
muscolari e nel liquido cefalorachidiano. L’anemia sarà
allora accompagnata da frequenti infezioni e gravi disturbi
cardiaci e neurologici.
La diagnosi di questi deficit si ottiene determinando
l’attività degli enzimi glicolitici eritrocitari. La terapia è
sintomatica.
Anemie da difetto degli enzimi
dello shunt dei pentosofosfati
Il deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6-PD) è
l’anomalia più importante dello shunt dei pentosi. Si
calcola che oltre 100 milioni di persone nel mondo ne
siano portatrici.
Gli altri difetti enzimatici sono rarissimi e solo sporadicamente sono stati documentati casi di carenza di glutatione-sintetasi e glutatione-reduttasi.
Anemia emolitica da deficit
di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6-PD)
Il deficit di G-6-PD nei GR maturi è il risultato della sintesi
di un enzima instabile e con emivita ridotta. Meno comunemente il deficit è dovuto a una ridotta sintesi o alla
sintesi di un enzima inattivo o cineticamente anomalo.
Questo difetto enzimatico è stato riscontrato in tutte le
popolazioni, ma con particolare frequenza in una zona
geografica che comprende il bacino mediterraneo, l’Africa
occidentale e centrale, l’Asia minore e quella sudorientale.
In Europa l’incidenza è dello 0,1% e in Italia dello 0,4%;
fra le popolazioni nere del Nord America raggiunge il
10%.
La distribuzione geografica è simile a quella della talassemia, della malaria e della drepanocitosi. Si ritiene che
questo difetto enzimatico costituisca un vantaggio selettivo nei confronti della malaria da Plasmodium falciparum.
Infatti, i GR con deficit di G-6-PD sono meno frequentemente parassitati rispetto ai GR normali in vitro.
Il gene per la G-6-PD è posto sul cromosoma X, la trasmissione ereditaria è pertanto legata al sesso. Quindi, i
maschi che portano il gene per il deficit di G-6-PD sono
emizigoti. In questi soggetti esistono solo geni anomali
per la G-6-PD, da cui deriva un interessamento generale
della popolazione eritrocitaria. Le donne che presentano
il gene anomalo, invece, sono comunemente eterozigoti.
Infatti, ogni cellula eritropoietica presenta, a caso, uno
solo dei due cromosomi X attivo, mentre l’altro è inattivato precocemente durante la vita embrionale (ipotesi di
Lyon). Una femmina eterozigote per il deficit di G-6-PD
ha quindi due popolazioni di GR, una normale e l’altra
carente. Tuttavia, poiché il processo di inattivazione del
cromosoma X è casuale (l’ampiezza di ciascuna popolazione, infatti, può non essere esattamente del 50%), la
gravità dell’anemia dipenderà dal numero complessivo
di GR carenti di G-6-PD.
Eziopatogenesi
La ridotta efficienza dell’enzima è provocata, nella quasi
totalità dei casi, dalla presenza di varianti strutturali di
G-6-PD con caratteristiche biochimiche e cinetiche alte-
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rate, quali la stabilità al calore, l’affinità per i substrati, il
grado di inibizione prodotto dal NADPH, il pH ottimale di
attività, la mobilità elettroforetica e cromatografica.
La variante corrispondente a un’attività enzimatica “normale”, definita G-6-PD B+, è la più comune ed è considerata lo standard di riferimento.
La variante seconda in ordine di frequenza e ad attività
enzimatica solo lievemente ridotta (pari all’84%) è la G6-PD A+. Rispetto alla B+ è elettroforeticamente più veloce
e differisce strutturalmente per un singolo aminoacido.
Si trova nel 30% della popolazione nera maschile statunitense e, in genere, tra quanti originano dall’Africa
occidentale e centrale.
Le varianti patologiche più comuni sono la G-6-PD A– e
la G-6-PD Mediterranea.
La G-6-PD A– si osserva in individui di discendenza africana e ha un’attività pari al 5-15% di quella dell’enzima
normale. La migrazione elettroforetica è sovrapponibile a
quella della G-6-PD A+, ma la G-6-PD A– è estremamente
instabile e con caratteristiche cinetiche anomale.
La G-6-PD Mediterranea è maggiormente frequente tra i
caucasici. L’attività enzimatica nei GR maturi degli individui con questa variante è quasi assente per deficiente
sintesi dell’enzima stesso. La mobilità elettroforetica è
identica a quella della G-6-PD+.
Altre varianti a ridotta attività che si osservano con relativa frequenza sono la G-6-PD Canton e la G-6-PD Debrousse.
La G-6-PD Oklahoma è caratterizzata da ridotta affinità
dell’enzima per il suo substrato.
Sono state descritte finora più di 160 varianti, raggruppabili, in base alle caratteristiche biochimiche e ai quadri
clinici che determinano, in diverse classi.
• Classe I: varianti con grave deficienza enzimatica
associata ad anemia emolitica cronica.
• Classe II: varianti con grave deficienza enzimatica
non associata ad anemia emolitica cronica. Tra
queste è compresa la Mediterranea. In questa
classe alcuni farmaci, infezioni e alimenti possono
scatenare un’emolisi acuta.
• Classe III: varianti con modesto deficit enzimatico.
La più frequente è la A–.
• Classe IV: varianti con attività enzimatica normale
o quasi, tra cui la A+ e la B+.
• Classe V: varianti con attività enzimatica aumentata.
1081
8
Fisiopatologia
Nei soggetti normali l’attività della G-6-PD decresce lentamente e progressivamente durante l’invecchiamento
fisiologico dei GR; tuttavia, dopo 120 giorni, è ancora
sufficiente a mantenere una quantità di NADPH e di GSH
tale da preservare l’integrità dell’eritrocita. Diverso, invece, è il comportamento del GR con deficit di G-6-PD.
Infatti, le varianti patologiche comportano un decremento di attività enzimatica più rapido, così da raggiungere
prima dei 120 giorni il livello critico oltre il quale il GR
viene rimosso dal sistema reticolo-endoteliale (emolisi
extravascolare). In alcune varianti quali A– e Mediterranea
questo processo avviene quando il GR ha 90-100 giorni
di età, il che comporta un quadro di emolisi spontanea,
che però è del tutto compensato dall’aumento dell’attività eritropoietica. Invece altre varianti (per esempio,
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1082
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Tabella 48.12
Farmaci responsabili di emolisi
negli eritrociti con deficit di G-6-PD
Sulfamidici (sulfacetamide, sulfanilamide ecc.)
Antipiretici e analgesici (aminopirina, acetofene ecc.)
Antimalarici (primachina, pamachina)
Nitrofurani (nitrofurantoina, furazolidone ecc.)
Varie (vitamina K, isoniazide, probenecid, acido nalidixico,
CAF ecc.)
New York o Oklahoma) presentano una diminuzione
critica dell’enzima dopo soli 20 giorni. In questi casi vi
è sempre anemia emolitica cronica, più o meno grave a
seconda del tipo di variante.
La carenza di G-6-PD è anche causa di crisi emolitiche
acute. Infatti, quando i GR sono sottoposti a uno stress
ossidativo (farmaci, infezioni, alimenti), l’attività di G6-PD richiesta a difesa dell’integrità e funzionalità della
membrana è più elevata.
Tuttavia gli eritrociti normali, anche nel corso di queste
evenienze, non sono distrutti. Infatti, le sostanze ossidanti
sono ridotte nel GR dal sistema del glutatione in cui sia
GSH sia NADPH fungono da donatori di H+. In carenza di
G-6-PD vengono meno questi substrati e le emazie divengono sensibili all’azione tossica delle sostanze ossidanti.
Da parte sua, il sistema delle catalasi non è sufficiente da
solo a proteggere le cellule.
Alcuni farmaci (Tab. 48.12), direttamente o generando perossido di idrogeno, ossidano i lipidi di membrana, il gruppo
emico di Hb e le catene globiniche. La conversione, poi, di
Hb in meta-Hb insieme alla produzione di ione superossido
comporta un effetto dannoso per la membrana.
La molecola dell’emoglobina diventa instabile e precipita
nel GR sotto forma di corpo di Heinz. I corpi di Heinz (visibili al microscopio ottico in uno striscio di sangue dopo
colorazione con cristalvioletto o altri coloranti sopravitali)
sono dei microprecipitati delle dimensioni di 0,2-2 .
In una prima fase si trovano al centro del citoplasma
eritrocitario, poi aderiscono alla membrana alterandone
il trasporto ionico. Le emazie che contengono i corpi di
Heinz vengono trattenute nella microcircolazione splenica. Prima di essere nuovamente rilasciate in circolo vengono liberate da questi corpi inclusi (pitting splenico), il che
porta a un ulteriore danno di membrana. Anche durante
la fagocitosi, in occasione di processi infettivi, vengono
liberate sostanze ossidanti dai granulociti e dai macrofagi.
Ovvero l’emolisi potrebbe essere provocata dall’azione
ossidante di sostanze endogene prodotte in corso di alcune malattie. Per quanto riguarda gli alimenti, sono
soprattutto da ricordare le fave. Da questi legumi è stata
isolata una sostanza capace di interferire nel metabolismo
del glutatione; si tratta del dopachinone, un metabolita
della L-dopa, che catalizza l’ossidazione del GSH.
Manifestazioni cliniche
La carenza di G-6-PD può dare origine a:
• anemia emolitica cronica non sferocitica;
• crisi emolitica acuta in occasione di assunzione
di farmaci;
• crisi emolitica acuta in corso di infezioni;
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• crisi emolitica acuta in occasione di assunzione
di particolari alimenti;
• ittero neonatale.
Anemia emolitica cronica non sferocitica Le varianti
associate a questo quadro sono circa 50. Di recente sono
stati segnalati alcuni casi anche tra i portatori della variante Mediterranea. Il decorso è sovrapponibile a quello di
altre anemie emolitiche croniche. Può esordire alla nascita
con ittero emolitico neonatale e talvolta complicarsi con
improvvise crisi di emolisi, che compaiono in occasione
di infezioni o dopo assunzione di alcuni farmaci.
Crisi emolitica acuta secondaria a farmaci Sono assai
numerosi i farmaci in grado di scatenare una crisi emolitica in un paziente portatore di deficit di G-6-PD.
Uno stesso farmaco, poi, può scatenare crisi in alcune varianti e non in altre. Per esempio, il CAF induce emolisi
nei portatori di variante Mediterranea ma non in quelli di
variante A–. La crisi di solito si manifesta improvvisamente
dopo 1-3 giorni dall’assunzione del composto. L’anemia è
molto marcata, l’emoglobinuria intensa, compaiono i corpi
di Heinz, aumenta la bilirubinemia e l’ittero si fa manifesto.
Spesso tutto questo si accompagna a senso di profondo malessere, brividi, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e
lombari. Dopo 5 giorni circa compare intensa reticolocitosi,
cui fa seguito un sostanziale miglioramento dell’anemia.
Nella variante A– l’emolisi è di breve durata e autolimitante,
cioè il quadro emolitico non peggiora anche se continua
la somministrazione del farmaco alle medesime dosi che
hanno scatenato la crisi. Infatti, dopo la brusca emolisi
iniziale della metà più vecchia dei GR, il processo emolitico
si riduce perché le cellule più suscettibili sono state ormai
distrutte. D’altra parte, le emazie con meno di 50 giorni di
vita dispongono di una maggiore quantità di enzima G-6PD e sono meno suscettibili, o del tutto insensibili, ai danni
ossidativi. A questo punto l’emolisi è presente, ma solo una
piccolissima percentuale di emazie è distrutta giornalmente,
per cui può essere compensata dall’eritropoiesi midollare.
Nelle varianti a deficit enzimatico più grave (per esempio,
Mediterranea), invece, l’anemia si aggrava se il composto
non viene subito sospeso. Infatti, in queste varianti l’attività enzimatica è inadeguata a fronteggiare le richieste
aumentate anche nei GR giovani e nei reticolociti. Tra
una crisi emolitica e l’altra il quadro ematologico è nella
norma, senza reticolocitosi o splenomegalia.
Crisi emolitica acuta secondaria a infezioni Sono state
documentate con certezza crisi emolitiche in corso di
polmonite lobare, insufficienza renale acuta, influenza,
epatite, chetoacidosi diabetica, salmonellosi. Il miglioramento è lento a causa di una diminuita produzione di
reticolociti e sovente inizia dopo che l’infezione è guarita
o l’alterazione metabolica è stata corretta.
Crisi emolitica acuta secondaria ad alimenti (favismo)
Che l’esposizione alle fave (Vicia fava) fosse tossica e talvolta mortale è cosa risaputa fin dai tempi di Pitagora, ma
solo di recente si è scoperto che questo rischio riguarda
esclusivamente alcuni portatori di variante Mediterranea,
mentre non è mai stato riscontrato nei portatori di variante A– o di altre varianti.
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Capitolo 48 - ANEMIE
L’emolisi può essere molto grave e inizia solitamente alcune ore dopo l’esposizione ai pollini o 2 giorni circa dopo
l’ingestione di fave. Circa il 90% degli attacchi di favismo
acuto è causato da ingestione di semi freschi o cotti della
pianta, mentre i restanti casi sono dovuti all’esposizione a
pollini di fave (soprattutto in primavera), particolarmente
in Sardegna, ove l’incidenza della variante G-6-PD Mediterranea raggiunge il 35%. In alcuni casi la crisi è mortale.
Si pensa a una predisposizione genetica, dal momento che
solo pochi individui con variante Mediterranea, per lo
più appartenenti allo stesso nucleo familiare, presentano
sensibilità alle fave.
e cellule carenti di G-6-PD e questo può mascherare la
presenza del difetto. Le due principali classi di anomalie che possono simulare un deficit di G-6-PD sono la
riduzione della concentrazione intracellulare di GSH e le
emoglobine instabili.
Le cause, oltre al deficit di G-6-PD, che provocano la riduzione di GSH intracellulare sono molto rare. È sufficiente ricordare il deficit di glutation-sintetasi o di -glutamil-sintetasi.
Le emoglobine instabili, da parte loro, possono essere facilmente differenziate mediante la dimostrazione di un’alterata
mobilità elettroforetica o con test di precipitazione.
Ittero neonatale Il deficit di G-6-PD è la causa più frequente di ittero neonatale dopo la malattia emolitica del
neonato (incompatibilità materno-fetale per il fattore Rh).
L’abnorme suscettibilità all’emolisi (talvolta così grave
da rendere necessaria l’exanguinotrasfusione) può essere
dovuta a ipoglicemia, a ridotta attività della glutationperossidasi, all’azione ossidante della vitamina K talora
somministrata ai neonati. L’ittero neonatale è raro nella
mutazione G-6-PD A– Africana.
Diagnosi
L’anemia emolitica da deficit di G-6-PD non presenta un
quadro ematologico caratteristico. Il mezzo più specifico
per porre diagnosi è la valutazione dell’attività dell’enzima
mediante dosaggio quantitativo spettrofotometrico della
velocità di riduzione del NADP a NADPH. Questo esame
può dare falsi negativi in pazienti ammalati se è effettuato subito dopo la crisi emolitica, quando la popolazione
eritrocitaria residua è molto giovane.
Le femmine eterozigoti rappresentano un problema diagnostico, dal momento che coesistono cellule normali
Eziopatogenesi
La EPN è caratterizzata da un’anomala sensibilità di GR,
piastrine e granulociti alla azione litica del complemento.
Questo è facilmente dimostrabile, in vitro, con l’impiego
di un antisiero contenente anticorpi antieritrociti fissanti il complemento. I GR EPN fissano più C1 per unità
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8
Terapia
Il più importante provvedimento consiste nell’evitare
la somministrazione di farmaci che causano emolisi
per stress ossidativo nei GR carenti di G-6-PD. La
splenectomia raramente si dimostra efficace; talvolta
è necessaria la terapia trasfusionale nelle crisi emolitiche di pazienti portatori della variante Mediterranea.
Anemie emolitiche da deficienza
di altri enzimi dello shunt dei pentosi
Sono stati segnalati, benché assai rari, deficit congeniti della
-glutamil-cisteina-sintetasi e della glutation-sintetasi.
Poiché questi due enzimi partecipano alla sintesi del glutatione, queste affezioni presentano quadri clinici analoghi
a quelli del deficit di G-6-PD.
Alcuni episodi di ittero emolitico neonatale vengono poi
attribuiti a deficit di glutation-perossidasi.
Emoglobinuria parossistica notturna
L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN), o sindrome
di Marchiafava-Micheli, è un’anemia emolitica causata da
un difetto acquisito della membrana eritrocitaria che
rende una popolazione di GR notevolmente sensibile
all’azione litica del complemento, comunque esso venga
attivato. Clinicamente è caratterizzata, nella forma classica, da attacchi di emolisi intravascolare ed emoglobinuria, talora notturni. Nella gran parte dei pazienti, tuttavia,
si osservano anemia emolitica cronica senza una precisa
correlazione con la notte, pancitopenia, sideropenia e
ricorrenti episodi trombotici.
La EPN colpisce indifferentemente individui di ambo i
sessi, per lo più tra i 20 e 40 anni; raramente la si incontra nell’infanzia e tra gli anziani. Non vi è familiarità né
predisposizione razziale.
1083
G. Gromo, M. Storti
di anticorpo presente alla loro superficie di quanto non
facciano le cellule normali. A sua volta, il C1 promuove
una maggiore fissazione del C3 (per molecola di C1) (per
l’attivazione della cascata del complemento, si veda il
Capitolo 73).
Tuttavia, la presenza dell’anticorpo non è necessaria per
la lisi dei GR di pazienti con EPN; infatti, il C3 si fissa di
preferenza attraverso la via alternativa (properdinica).
Non tutte le emazie in corso di EPN sembrano risentire
della lisi complemento-mediata. Dopo attente ricerche
si sono potute identificare tre sottopopolazioni: EPN I
normale, EPN II, sensibile 6-7 volte più del normale al
complemento, e infine EPN III, 20-25 volte più sensibile.
Le tre popolazioni possono coesistere nel sangue dei pazienti in tutte le combinazioni possibili, dando così vita
a differenti quadri clinici, riferibili, comunque, soprattutto alla percentuale di EPN III presente. Tuttavia, in una
buona parte di pazienti affetti da EPN viene riscontrata
nel sangue una semplice miscela di cellule EPN I e EPN
II. L’aumentata sensibilità delle cellule EPN II e EPN III al
complemento non ha però ancora trovato una spiegazione davvero soddisfacente.
6/9/10 3:09:02 PM
1084
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Le ricerche intraprese al fine di accertare eventuali alterazioni a livello di membrana non hanno fornito ancora
dati certi, a eccezione di una ridotta o assente attività
acetilcolinesterasica di membrana nelle popolazioni EPN
II e III. Studi più recenti sembrano aver identificato come
base patogenetica il deficit alla superficie delle emazie di
due proteine importanti per tenere a freno l’attivazione del complemento; una è indicata con la sigla MIRL
(Membrane Inhibitor of Reactive Lysis) o CD59, e l’altra
è contrassegnata dalla sigla DAF (Decay Accelerating
Factor) o CD55. In realtà è sufficiente la carenza della
prima proteina, che antagonizza le tappe avanzate della
cascata del complemento, per rendere le emazie suscettibili alla lisi.
Queste due proteine (e altre) sono vincolate alla superficie
cellulare in una maniera particolare. Infatti, non attraversano la membrana cellulare a tutto spessore grazie a
un segmento idrofobico della loro catena peptidica, ma
sono tenute ancorate grazie al legame con un oligosaccaride contenente GPI e perciò detto GPI-àncora. Questa
molecola è immersa nello strato esterno del doppio foglietto lipidico e la sua assenza fa sì che tutte le molecole
proteiche che le sono ordinariamente collegate non siano
più trattenute alla superficie cellulare. Perciò, nella EPN il
difetto fondamentale riguarda la sintesi della GPI-àncora,
che avviene in maniera difettosa in conseguenza di mutazioni somatiche.
Sono stati individuati vari geni importanti per la sintesi
della GPI-àncora. Il più importante è chiamato PIG-A, è
situato sul cromosoma X ed è necessario per il primo passo
della sintesi della GPI-àncora, ossia l’aggiunta di N-acetil
glucosamina a fosfatidil inositolo.
La EPN può essere assimilata al gruppo di forme morbose
classificate come “sindromi mielodisplastiche”.
Si tratta di malattie che presentano alterazioni in tutte e
tre le linee staminali, ma – a differenza delle forme mieloproliferative – sono caratterizzate da una situazione
“ipoproliferativa” (si veda il Capitolo 51).
Interconversioni tra le diverse patologie sopra elencate
non sono rare, e il rapporto EPN/anemia aplastica ne è un
esempio. Tutte queste forme, a loro volta, possono poi esitare in leucemia mieloide acuta (si veda il Capitolo 51).
Fisiopatologia
L’alterazione più caratteristica della EPN è l’insorgenza di
crisi notturne intravascolari con emoglobinuria.
La frequenza di queste crisi è variabile e in larga misura
dipende dalla percentuale di GR EPN III patologicamente
sensibili al C. Se sono inferiori al 20%, l’emolisi, seppure
rilevabile, sarà di modestissima entità; tra il 20-50% si
presenta emoglobinuria saltuaria, che diventa costante
quando superano il 50%. In pazienti con eritrociti appartenenti alla popolazione EPN II, raramente si ha emoglobinuria. Tali crisi sembrano essere legate più propriamente
al sonno. Infatti, avvengono di giorno in quei soggetti che
presentano un ritmo sonno/veglia invertito, dal momento
che svolgono la loro attività nel corso della notte. Anni
fa si ipotizzava che la ridotta attività dei centri respiratori
durante il sonno, con relativo aumento della pressione
parziale di CO2 ematica e lieve riduzione del pH, favorisse l’attivazione della via alternativa del C e l’emolisi
delle popolazioni EPN II e III. Oggi questa ipotesi sembra
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raccogliere però meno consensi. Analoghe spiegazioni
sono state prese in considerazione in relazione al ritmo
circadiano di secrezione del cortisolo. Anche lo sforzo
fisico continuato e l’acidosi che ne deriva potrebbero
scatenare la crisi di EPN.
Un’altra caratteristica dei pazienti con EPN è un’aumentata propensione alle trombosi venose. Anche per questa
alterazione è stato supposto un ruolo della carenza di una
proteina, questa volta alla superficie dei leucociti e delle
piastrine. Si tratterebbe del recettore per l’attivatore del
plasminogeno a opera dell’urochinasi (uPAR, urokinase
Plasminogen Activator Receptor), che è importante per la
generazione di plasmina e perciò per la fibrinolisi.
Un punto importante è la riconosciuta associazione
della EPN con l’anemia aplastica. A questo proposito si
è supposto che in tale condizione, immunologicamente
mediata, le cellule staminali emopoietiche, alterate per
la mutazione somatica che conduce alla EPN, godrebbero di un vantaggio selettivo, in quanto più resistenti ai
meccanismi di distribuzione immunologica e, in modo
particolare, all’azione delle cellule natural killer (NK).
Infine, i pazienti con EPN hanno una notevole propensione alle infezioni batteriche, attribuibile in parte alla
leucopenia (per la frequente associazione con anemia
aplastica) e in parte a menomazione delle funzioni dei
granulociti, probabilmente in conseguenza del fatto che,
per la maggior parte, sono derivati da un clone abnorme di cellule ematopoietiche (lo stesso che dà origine
agli eritrociti particolarmente suscettibili all’azione del
complemento).
Manifestazioni cliniche
L’emoglobinuria è presente all’esordio solo in un quarto
dei casi, ma nel decorso della malattia compare quasi
in tutti i pazienti, talora con esacerbazioni emolitiche
notturne.
In questi pazienti, oltre alla ritmicità del sonno/veglia
degli episodi emolitici, si registrano crisi di emolisi acuta
di varia durata (pochi giorni/qualche settimana) con
anemizzazione intensa. Solitamente la causa di queste
crisi rimane sconosciuta, anche se talvolta esse si accompagnano a infezioni virali, trasfusioni, mestruazioni,
interventi chirurgici, vaccinazioni o assunzione di sali
di ferro. L’emoglobinuria non è mai correlata all’esposizione al freddo. I sintomi di queste crisi sono dolori
retrosternali, lombari (forse dovuti all’iperattività delle
cellule dei tubuli prossimali nel riassorbire l’Hb, con
iperemia renale), addominali (a tipo colica, della durata
di 1-2 giorni).
Compaiono inoltre astenia, pallore, febbre, cefalea e subittero. Talvolta nausea e vomito (si suppone per via riflessa,
dopo distensione della capsula renale). Il quadro clinico
delle crisi è in parte sovrapponibile a quello di una reazione da incompatibilità trasfusionale.
Le complicanze più frequenti sono aplasia midollare,
trombosi venose e infezioni. Quanto all’anemia aplastica, la sua associazione con la EPN è stata documentata almeno in tre circostanze: nell’anemia di Fanconi, nell’anemia aplastica farmacoindotta e nell’anemia
anemia aplastica idiopatica. Di solito la diagnosi di EPN
segue quella di pancitopenia e solo raramente si verifica
l’opposto.
6/9/10 3:09:03 PM
Capitolo 48 - ANEMIE
Le trombosi venose rappresentano la principale causa di
morte dei pazienti con EPN (50%). Vengono interessati
i distretti degli arti inferiori, il sistema portale, il circolo
cerebrale e quello mesenterico. Importante, dunque, è
porre la massima attenzione ai dolori addominali talvolta
segnalati dal paziente, i quali, in assenza di emolisi acuta,
trovano una possibile eziologia nella trombosi.
In particolare va presa in considerazione l’ipotesi di una
trombosi delle vene epatiche (nausea, coliche addominali,
epatomegalia improvvisa, ascite), un fatto questo che,
destinato a essere rapidamente fatale, si verifica in circa
il 30% dei pazienti con EPN. Anche la cefalea potrebbe
essere dovuta a piccole trombosi o rappresentare il segno
premonitore di una complicanza cerebrovascolare.
Va segnalata, inoltre, la presenza di gravi disfagie e odinofagie in correlazione con le crisi emolitiche. Studi sulla
peristalsi hanno infatti evidenziato contrazioni esofagee
10 volte superiori a quelle normali. La patogenesi di questo fenomeno è sconosciuta. Le infezioni sono assai frequenti; il 10% dei decessi può essere ascritto alle infezioni,
perché, anche se di scarsa entità, favoriscono comunque
l’insorgenza di un processo emolitico ovvero di una crisi
di aplasia midollare.
Esami di laboratorio
Il quadro ematologico è spesso grave, con Hb inferiore a
6 g/dL. I GR solitamente sono macrocitici, ma l’anemia
può anche essere normocitica o microcitica per le notevoli quantità di ferro perse nel corso delle crisi di emoglobinuria. I reticolociti sono percentualmente aumentati,
anche se in valore assoluto si mantengono su valori bassi
a causa della gravità dell’anemia e per il sovrapporsi di
un’anemia aplastica. Nel 50% dei casi si ha leucopenia
con possibile neutropenia e relativa linfocitosi. La vita
media dei GR è ridotta, mentre è normale quella dei neutrofili, con riduzione della fosfatasi alcalina leucocitaria,
chemiotassi, fagocitosi e attività acetilcolinesterasica.
Anche la trombocitopenia è assai frequente, ma vita media e funzioni piastriniche appaiono del tutto normali,
il che sembra in contraddizione con le segnalazioni di
alterazioni di membrana che ne modificherebbero la sensibilità al C. Sembra dunque esserci, per quanto riguarda
piastrine e leucociti, un problema di produzione ridotta
piuttosto che di aumentata distruzione.
Durante la crisi il plasma si presenta color bruno-oro e
riflette la presenza di elevati livelli di bilirubina non coniugata, emoglobina e metemalbumina. La sideremia è
bassa, il test di Coombs negativo, le LDH molto elevate.
Nelle urine l’urobilinogeno aumenta e talvolta c’è emoglobinuria; le cellule dei tubuli prossimali metabolizzano
l’Hb dopo averla riassorbita ed eliminano il ferro sotto
forma di emosiderina. Questo spiega perché l’emoglobinuria non sia un segno sempre costante al pari della
emosiderinuria.
Utile si rivela strisciare su di un vetrino parte del sedimento urinario, colorarlo con il blu di Prussia e confermare
così la presenza o meno di granuli di emosiderina. Alta,
infine, è l’incidenza di alterazioni renali, sia funzionali sia
anatomiche (ematuria, ipostenuria, alterazioni tubulari,
ridotta clearance della creatinina).
Il midollo osseo mostra ampia variabilità di reperti,
dall’iperplasia normoblastica con lieve riduzione dei
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megacariociti all’aplasia parziale o totale. Studi citogenetici non hanno evidenziato alcuna alterazione
cromosomica diagnostica di EPN, anche se le segnalazioni sono numerosissime (delezione della Y, trisomia
9 ecc.).
Diagnosi
La diagnosi di EPN deve essere considerata in ogni paziente che presenta i segni di emolisi intravascolare, in
presenza di: emoglobinuria ed emosiderinuria; pancitopenia in associazione con emolisi, con midollo sia ipo- sia
normocellulare; persistente e grave iposideremia soprattutto se in concomitanza di crisi emolitiche; ricorrenti
trombosi venose, specialmente addominali; inspiegabili
ma ricorrenti coliche addominali; cefalee accompagnate
da un quadro di emolisi cronica. Deve comunque essere
differenziata dalle anemie emolitiche immuni e dall’emoglobinuria parossistica a frigore.
1085
8
Esami diagnostici
La diagnosi di EPN si fonda sulla possibilità di stabilire la
presenza di “emazie troppo sensibili al C”.
Il classico test in vitro per la diagnosi di EPN consiste
nell’incubare i GR del paziente in presenza di siero umano
acidificato (test di Ham). In ambiente acido, infatti, il C
viene attivato per la via secondaria e provoca emolisi.
È importante risospendere le emazie nel siero di un altro
soggetto compatibile, perché quello del paziente può
avere i fattori del C consumati, data la ripetuta attivazione
sui GR sensibili.
Tra gli altri test in vitro che permettono di svelare la malattia, il più comunemente usato è la lisi al saccarosio.
Quando il siero e i GR sono incubati in una soluzione
di carboidrati a debole forza ionica (per esempio, il saccarosio), si attiva il C sia per la via classica sia per quella
alternativa. Dal momento che l’attivazione è pur sempre
di modesta entità, soltanto le emazie EPN subiranno una
certa emolisi, non quelle normali.
C’è poi il test della trombina o test di Crosby. Una sospensione acidificata di emazie viene messa a contatto con
trombina bovina. L’emolisi che si verifica è attribuibile
alla presenza di anticorpi emolitici eterofili contaminanti
la preparazione di trombina bovina. Il test è di più facile
realizzazione dei precedenti, ma meno specifico. Da ultimo, il test al calore: se il sangue di un paziente affetto
da EPN è lasciato a 37 °C per 1-3 ore si verifica emolisi; si
tratta di una prova aspecifica, dal momento che risulta
positiva anche con gli sferociti e con le emazie di pazienti
affetti da alcuni tipi di anemie emolitiche autoimmuni.
D’altra parte, la sua negatività costituisce una prova a
sfavore della diagnosi di EPN.
Decorso e prognosi
Si tratta di una malattia cronica con sopravvivenza mediana intorno ai 10 anni. La gravità del quadro e la prognosi
dipendono soprattutto da tre fattori:
• ampiezza della popolazione patologica (EPN II/III);
• grado di ipoplasia midollare;
• frequenza delle complicanze trombotiche e infettive.
In una piccolissima percentuale di pazienti la malattia regredisce completamente, mentre in un 50% si registra un
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
discreto miglioramento della popolazione complementosensibile, anche se persiste la positività ai test sierologici
specifici. Nella maggioranza dei casi, però, l’evento terminale è un’aplasia midollare globale; occasionalmente la
EPN esita in leucemia mieloide acuta o in mielofibrosi.
di attecchimento, comunque, scompaiono i cloni
sensibili all’azione del complemento.
Gli androgeni si sono rivelati solo saltuariamente utili
(si veda in precedenza, Anemia aplastica), mentre i
corticosteroidi a dosi elevate possono arrestare una
crisi emoglobinurica.
Le trasfusioni di GR lavati in soluzione fisiologica
correggono momentaneamente l’anemia, perché le
emazie trasfuse vivono regolarmente nel paziente e
inoltre sopprimono transitoriamente la produzione
di cloni EPN II/III.
Terapia
A eccezione del trapianto di midollo osseo, non vi
è terapia specifica, ma solo sostitutiva, dell’anemia.
Sono stati tentati, fino a oggi, pochi trapianti. In caso
Anemie immunoemolitiche
Con il termine immunoemolisi si indica un processo per il
quale le emazie sono prematuramente distrutte a causa
dell’interazione con anticorpi diretti contro antigeni propri della loro membrana o contro antigeni estranei all’organismo (farmaci), in grado di stabilire con la membrana
eritrocitaria vari tipi di associazione.
La produzione degli anticorpi responsabili dell’immunoemolisi può far parte della normale risposta immunitaria
verso gli antigeni riconosciuti come non facenti parte
del self.
Dato che molti antigeni sulla membrana delle emazie
presentano un polimorfismo (ossia sono, per condizionamento genetico, diversamente ripartiti tra gli individui), è possibile che questo avvenga quando le emazie
veicolanti un particolare antigene vengono a contatto
con il sistema immunitario di un soggetto che è sprovvisto di quell’antigene e che perciò lo riconosce come
estraneo a se stesso. Le reazioni immunoemolitiche di
questo tipo vengono dette da alloimmunizzazione o, più
comunemente, da isoimmunizzazione e sono provocate da
trasfusione di sangue incompatibile o da incompatibilità
materno-fetale.
Un processo immunoemolitico può anche essere provocato da anticorpi prodotti dallo stesso soggetto cui appartengono le emazie, per un errore del sistema immunitario
nella discriminazione tra self e non self. Le reazioni di
questo tipo vengono dette da autoimmunizzazione.
I farmaci possono indurre reazioni emolitiche principalmente in quanto riconosciuti come sostanze estranee
all’organismo. Si vedrà, tuttavia, che non è impossibile
che provochino genuine reazioni autoimmunitarie verso
costituenti della membrana eritrocitaria. Tenendo conto
di tutto questo, le anemie immunoemolitiche sono perciò
distinte come segue (Tab. 48.13):
• anemie emolitiche da isoimmunizzazione;
• anemie emolitiche autoimmuni (tra le quali possono
essere incluse anemie immunoemolitiche indotte
da farmaci).
Le anemie immunoemolitiche sono normocitiche normocromiche, presentano aumento del numero dei reticolociti, sferocitosi, iperbilirubinemia indiretta, iperplasia
eritroide del midollo osseo e splenomegalia. La sopravvivenza eritrocitaria è diminuita con emazie sia autologhe
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G. Gromo
sia di donatore compatibile. È invece normale quando
gli eritrociti di un paziente affetto da anemia emolitica
autoimmune vengono trasfusi in un soggetto sano. Si
tratta di malattie che nella forma pura (non coesistendo
altre forme morbose) sono piuttosto rare. Più frequenti,
viceversa, sono le forme associate ad altre malattie.
Considerazioni generali
Le variabili importanti per la comprensione delle caratteristiche peculiari delle anemie immunoemolitiche sono:
• natura degli antigeni implicati;
• proprietà degli anticorpi;
• meccanismo dell’emolisi.
Antigeni Come si è detto, gli antigeni che sono bersaglio delle reazioni immunoemolitiche possono essere
costituenti propri della membrana eritrocitaria o sostanze
estranee all’organismo. La natura chimica degli antigeni
propri della membrana eritrocitaria è nota molto imperfettamente. Una distinzione utile è però tra antigeni
polisaccaridici e antigeni proteici.
Gli antigeni polisaccaridici sono più resistenti ai processi di estrazione e purificazione e possono essere meglio
Tabella 48.13
Classificazione delle anemie
immunoemolitiche
Anemie immunoemolitiche da isoanticorpi
Reazioni emolitiche post-trasfusionali
Malattia emolitica del neonato da isoimmunizzazione
materno-fetale
Anemie immunoemolitiche da autoanticorpi
Anemie da anticorpi incompleti caldi
– Idiopatiche
– Sintomatiche di malattie linfoproliferative, malattie
autoimmuni e processi infettivi
– Secondarie all’assunzione di farmaci
Anemie da anticorpi completi freddi
– Idiopatiche
– Sintomatiche di malattie linfoproliferative e processi infettivi
Anemie da emolisine bifasiche
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Capitolo 48 - ANEMIE
caratterizzati chimicamente. In realtà si tratta di sostanze
largamente diffuse in natura e presenti anche in strutture
come la parete cellulare dei batteri, le cellule vegetali ecc.
Dato che questi antigeni sono resistenti ai processi di
digestione, essi, quando sono liberati da microrganismi
intestinali o sono ingeriti con alimenti vegetali, possono
essere assorbiti come tali nell’intestino e stimolare il sistema immunitario.
Questo processo avviene naturalmente in maniera diversa da un individuo all’altro, nel senso che ciascun
individuo reagisce solo agli antigeni che non possiede
alla superficie delle proprie cellule. A causa dell’ampia
distribuzione in natura di queste sostanze e del loro
polimorfismo, sono moltissimi coloro che posseggono
nel sangue anticorpi di questo tipo che, non essendo
derivati da un’immunizzazione manifesta con cellule
incompatibili, sono chiamati anticorpi naturali . Sono
antigeni polisaccaridici quelli del sistema ABH-Lewis
e del gruppo P (glicolipidi), e quelli indicati come I e i
(glicoproteine).
Gli antigeni proteici sono sostanze chimicamente molto
meno note, a causa della facilità con la quale vengono
alterate nel processo di purificazione. Non esistono anticorpi naturali contro questi antigeni; d’altro canto, anche
se fossero largamente diffusi in natura, questi antigeni
non potrebbero indurne la formazione perché sono degradati dai processi digestivi. Sono antigeni proteici quelli
dei sistemi Rh, Kell e Duffy.
Anticorpi Gli anticorpi implicati nelle reazioni immunoemolitiche possono essere distinti in isoanticorpi se
reagiscono con antigeni eritrocitari propri della specie, ma
assenti nell’individuo che li ha prodotti, e autoanticorpi
se reagiscono con antigeni eritrocitari posseduti dall’individuo che li ha prodotti. Alcune caratteristiche di questi
anticorpi meritano di essere considerate.
• Classe immunoglobulinica: molto spesso una risposta
anticorpale è inizialmente e transitoriamente
con anticorpi della classe IgM, e successivamente
e persistentemente con anticorpi della classe
IgG (o IgA). Il passaggio dall’una all’altra classe
immunoglobulinica, ferma restando la specificità
anticorpale, viene indicato con il termine inglese
switch. Nel caso degli anticorpi impegnati nelle
reazioni immunoemolitiche, lo switch avviene
limitatamente quando sono diretti contro gli
antigeni polisaccaridici. Perciò gli anticorpi
di questo tipo, siano essi naturali o immuni, sono
generalmente, ma non esclusivamente, della
classe IgM. Dato che gli anticorpi della classe
IgM sono incapaci di attraversare la placenta,
ne consegue che le incompatibilità materno-fetali
per antigeni polisaccaridici provocano raramente
anemia emolitica del neonato. Lo switch avviene
regolarmente quando gli anticorpi sono diretti
contro antigeni proteici della membrana eritrocitaria
e contro farmaci a essa associati. Gli anticorpi di
questo tipo (che, come si è visto, sono sempre
immuni) sono perciò in larga parte della classe
immunoglobulinica IgG e sono capaci di attraversare
la placenta e di provocare anemia emolitica del
neonato nel caso di incompatibilità materno-fetale.
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• Termicità: una caratteristica importante
degli anticorpi impegnati nelle reazioni
immunoemolitiche è la temperatura ottimale
alla quale essi più facilmente reagiscono. Gli
anticorpi diretti contro gli antigeni polisaccaridici
(che, come si è visto, sono più spesso della classe
IgM) reagiscono in genere meglio a temperature
più basse di 37 °C e sono detti anticorpi freddi.
Si pensa che questo fatto sia dipendente da
alterazioni di conformazione, o degli antigeni
o dei siti ricognitivi anticorpali, indotte dalla
bassa temperatura. L’ambito di termicità è molto
variabile da un anticorpo all’altro. Gli anticorpi
diretti contro gli antigeni del sistema ABH, pur
reagendo meglio a temperature più basse, lo fanno
comunque in maniera sufficiente anche a 37 °C. Gli
altri anticorpi di questo tipo, tuttavia, reagiscono
significativamente solo al di sotto di 32 °C e questo
limite viene assunto per definire “freddo” un
anticorpo. Gli anticorpi diretti contro gli antigeni
proteici e contro i farmaci reagiscono meglio a 37 °C
e sono perciò detti anticorpi caldi.
• Capacità di agglutinare le emazie: fisiologicamente
gli eritrociti sono in sospensione nel plasma e non
agglutinano fino a che non subentra “qualcosa”
a far da ponte tra l’uno e l’altro. Gli anticorpi
sono detti completi o incompleti a seconda che
siano o meno capaci di agglutinare direttamente
le emazie. La maggior parte dei GR, infatti, è
dotata alla superficie di carica elettrica negativa,
presenta cioè un potenziale detto z di circa 15 mV
che determina un reciproco allontanamento. Le
IgM, che sono pentameri, riescono a superare la
repulsione tra GR e a provocare agglutinazione
e sono perciò dette anticorpi completi. Le IgG,
invece, pur essendo bivalenti, non riescono a
vincere il potenziale z e ad avvicinare due GR e
sono perciò dette anticorpi incompleti (Fig. 48.15).
1087
8
15 mV
a
b
Figura 48.15
Rappresentazione
schematica
di anticorpi
incompleti IgG
(a) che non
riescono a vincere
la repulsione
delle cariche
elettriche negative
sulle emazie. La
repulsione può
essere invece vinta
dagli anticorpi IgM
(b), detti perciò
completi.
6/9/10 3:09:03 PM
1088
Figura 48.16
Test di Coombs
diretto (a) e
indiretto (b).
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
a
b
Tuttavia, si è potuto ugualmente dimostrare la
presenza di anticorpi incompleti tipo IgG alla
superficie dei GR o nel siero nonostante non siano
in grado di agglutinare spontaneamente. Ciò è
dovuto a un test di emoagglutinazione in vitro
chiamato test di Coombs. Con il test di Coombs
diretto si rileva la presenza di anticorpi (o di frazioni
del complemento) adesi alle emazie, con il test di
Coombs indiretto, la presenza di anticorpi liberi
nel siero (Fig. 48.16). Come schematizzato nella
figura 48.16 a, nel test di Coombs diretto i GR del
paziente sono già ricoperti di anticorpi incompleti
caldi (IgG antieritrociti) (1); dopo essere stati
opportunamente lavati, sono incubati con siero di
coniglio anti-immunoglobuline (Ig) umane (siero
di Coombs) o con sieri specifici anti-IgG, anti-IgA,
anti-IgM, anti-C3 o anti-C4 (2). Se sulle membrane
a
Figura 48.17
Capacità di
anticorpi IgG
di fissare il
complemento
sulle emazie.
b
c
La probabilità che questo avvenga è bassa se il titolo anticorpale è modesto (a), mentre
con titolo più elevato (b) è più probabile che due molecole anticorpali siano giustapposte
e venga attivata la sequenza complementare (c).
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dei GR sono adesi gli anticorpi o le frazioni
complementari corrispondenti, si avrà reazione
con gli anticorpi presenti nel siero di Coombs,
e questi ultimi riusciranno a formare ponti tra
le singole cellule e a indurre agglutinazione (3).
Come schematizzato nella figura 48.16 b, nel test
di Coombs indiretto, gli anticorpi sono liberi
nel siero del paziente (1); il siero in esame viene
incubato con emazie di altro soggetto dotate
dell’antigene nei riguardi del quale sono diretti
gli anticorpi di cui si va alla ricerca (2). Se gli
anticorpi sono presenti nel siero in esame, essi si
legheranno alla superficie delle emazie, per cui la
successiva aggiunta del siero di Coombs provocherà
agglutinazione con lo stesso meccanismo con cui
questo avviene nel test diretto (3).
• Capacità di fissare il complemento: la reazione
tra antigeni e anticorpi attiva la sequenza del
complemento per la via classica, cioè a partire dai
componenti della frazione C1. Perché la fissazione
del complemento possa avvenire, occorre che
due unità anticorpali giustapposte reagiscano
con l’antigene. Per gli anticorpi della classe IgG,
che sono monomeri, questo ha poca probabilità
di accadere se la concentrazione anticorpale nel
siero non è molto elevata. Infatti, gli anticorpi si
distribuiscono casualmente alla superficie delle
emazie e la probabilità che ve ne sia un numero
significativo di così strettamente adiacenti da
realizzare la giustapposizione necessaria dipende
dalla loro distanza media. La probabilità che
questo accada è, ovviamente, molto più elevata
se la concentrazione di anticorpi nel siero è alta
(Fig. 48.17). Diverso è il caso degli anticorpi della
classe IgM, che sono dei pentameri e perciò possono
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Capitolo 48 - ANEMIE
facilmente fissare il complemento grazie alla reazione
con l’antigene di due subunità della loro molecola.
Tuttavia, la termicità degli anticorpi ha molta
importanza ai fini dello sviluppo della cascata del
complemento, una volta che si sono realizzate le
condizioni per il suo inizio. Infatti, l’attivazione del
complemento procede bene a temperature intorno
ai 37 °C e si verifica in misura molto minore a
temperature inferiori. Ne consegue che gli anticorpi
della classe IgG, che sono caldi e quindi dotati della
termicità adatta per l’attivazione del complemento,
possono fissare il complemento raramente, e cioè
solo quando sono molto concentrati nel siero.
Al contrario, gli anticorpi della classe IgM, che
facilmente fissano il complemento, sono di regola
freddi e perciò agiscono a temperature poco adatte
per l’attivazione complementare.
Meccanismo dell’emolisi
L’immunoemolisi può verificarsi tanto con un meccanismo intravascolare quanto con un meccanismo extravascolare. L’emolisi intravascolare è possibile solo quando la
sequenza complementare alla superficie delle emazie si
svolge fino all’attivazione delle frazioni C8 e C9. Come
si è visto, questo può avvenire solo se la fissazione del
complemento è adeguata e se il processo della sua attivazione avviene a 37 °C. In pratica questi due requisiti,
per le ragioni precedentemente esposte, sono soddisfatti
solo per gli anticorpi della classe IgG a concentrazione
molto elevata nel plasma e per gli anticorpi della classe
IgM diretti contro gli antigeni del sistema ABH, che, pur
essendo definibili in senso lato anticorpi freddi, si legano
significativamente alle emazie anche a 37 °C.
Nella maggior parte dei casi si verifica perciò un’emolisi
extravascolare, che dipende da un’accelerata distruzione
negli organi emocateretici delle emazie ricoperte di immunoglobuline e/o frazioni del complemento (si veda
Fig. 48.17). Gli anticorpi della classe IgG sono incompleti, ossia incapaci di agglutinare le emazie. Essi possono
tuttavia essere adesi con i loro siti leganti l’antigene alle
emazie normalmente circolanti, esponendo perciò alla
superficie di queste cellule la regione della loro molecola
che corrisponde al frammento Fc. Quando le emazie così
ricoperte attraversano gli organi emocateretici tendono
a essere trattenute e distrutte dai macrofagi, i quali sono
dotati di una struttura di superficie complementare alla
regione Fc delle IgG (cosiddetto recettore per Fc). Questo
processo avviene prevalentemente nella milza, dove i GR
sono normalmente concentrati e, se ricoperti con IgG,
beneficiano meno dell’azione competitiva che le IgG circolanti nel plasma possono esercitare per il recettore per
il Fc dei macrofagi (azione che interferisce con l’emolisi
e risulta protettiva). L’attività distruttiva dei macrofagi,
o eritrofagocitosi, può essere completa o solo parziale;
in questo caso viene rimossa una porzione più o meno
estesa della membrana delle emazie e ne risultano cellule
frammentate, sferociti, poichilociti che vengono sequestrati quando passano attraverso la milza o il fegato. Può
anche capitare che i GR circolanti siano ricoperti da frazioni complementari. Questo può dipendere dall’effetto
di anticorpi della classe IgG sufficientemente concentrati
da iniziare la fissazione del complemento, ma non tanto
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da provocare l’emolisi intravascolare (e in questo caso le
emazie saranno ricoperte tanto da IgG che da frazioni
complementari). Può dipendere anche dall’azione di anticorpi freddi della classe IgM, che fissano il complemento
nel microcircolo periferico di quelle regioni corporee
(viso, mani) dove, per esposizioni ambientali, può essere
raggiunta la temperatura adatta per la loro azione.
In questo caso, mobilizzandosi verso la circolazione generale e riportandosi a 37 °C, le emazie si liberano dal
legame con questi anticorpi, però rimangono ricoperte
di frazioni del complemento che era stato fissato, ma
non sufficientemente attivato (e in questo caso le emazie
saranno ricoperte solo da frazioni complementari, e non
da anticorpi).
La frazione complementare importante a questo riguardo è il C3b (il C3 attivato si scinde in C3b, che resta
attaccato alle emazie, e C3a, che passa in soluzione). I
macrofagi posseggono, infatti, un recettore per il C3b e
le emazie ricoperte da questa frazione complementare
sono preferenzialmente trattenute e distrutte negli organi
emocateretici.
Questo processo si differenzia da quello analogo che ha
luogo per le emazie ricoperte da IgG per due caratteristiche. In primo luogo, non esistendo C3b circolante nel
plasma, manca l’azione competitiva per il recettore dei
macrofagi e la distruzione delle emazie ha luogo anche
al di fuori della milza; in realtà, essa avviene largamente
nel fegato a opera delle cellule di Kupffer.
In secondo luogo, quando le cellule sono ricoperte solo
da C3b, l’emolisi è molto meno efficiente di quando
sono ricoperte da IgG. Ciò dipende anche dal fatto che,
nella gran parte dei casi, prima che l’emazia venga fagocitata, il C3b si scinde in C3c e C3d grazie a un enzima
fisiologicamente presente nel plasma (C3b inattivatore). La frazione C3c rimane adesa al macrofago, quella
C3d (riconosciuta dal siero anti-C3 nel test di Coombs
diretto) al GR.
Perciò, l’emolisi dipende sia dal numero di frazioni C3b
adese, sia dal grado di efficacia del C3b inattivatore. Per
un’emolisi massiva la fissazione del C deve essere rapida
e “superare la protezione” dell’inattivatore. Quando i GR
sono ricoperti tanto da IgG che da C3b, l’emolisi è invece
di intensità maggiore rispetto a quando sono ricoperti solo
da IgG, dato che si addizionano i due meccanismi che i
macrofagi mettono in opera per trattenerli e distruggerli
negli organi emocateretici.
1089
8
Anemie immunoemolitiche da isoanticorpi
Considerazioni generali sui gruppi sanguigni
I gruppi sanguigni sono caratterizzati da antigeni presenti
alla superficie dei GR. Ne esistono più di 300, raggruppati
in sistemi, e vengono trasmessi come caratteri autosomici codominanti. Il solo che presenta una trasmissione legata al sesso (cromosoma X) è quello denominato
Xga. È possibile suddividere i principali sistemi antigenici
(Tab. 48.14) in relazione alla loro associazione con isoanticorpi immuni o naturali.
Gli isoanticorpi naturali sono immunoglobuline la cui origine è ancora oggetto di discussione, ma che compaiono
al di fuori di ogni stimolo antigenico dimostrabile. Alcuni
anticorpi (Ab) sono presenti sistematicamente nel plasma
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1090
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Tabella 48.14
Principali sistemi di gruppi sanguigni
Gruppi
Antigeni principali
Caratterizzati da anticorpi naturali
AB0
A1A2BH
Lewis
LeaLe
P1
P1Pk
Ii
Ii
MNSs
MNSs
Caratterizzati da anticorpi immuni
Rh
CDEec
Kell
KkJsa
Kidd
JkaJkb
Duffy
FyaFyb
Lutheran
LuaLub
MNSs
MNSs
di individui le cui emazie sono portatrici di determinati
antigeni. È questo il caso degli anti-A, anti-B, e anti-AB,
sempre dimostrati negli individui di gruppo B, A, 0, e detti
Ab naturali regolari.
Anche se generalmente appartengono alla classe IgM,
possono essere anche IgG o IgA. In genere i soggetti di
gruppo A e di gruppo B posseggono pressoché esclusivamente Ab naturali della classe IgM, mentre quelli di
gruppo 0 hanno anche una significativa quantità di Ab
naturali della classe IgG.
Altri Ab sono più rari, come gli anti-P, riscontrati nei
soggetti P1 anti-Lea,b,x nei soggetti Le, e sono definiti Ab
naturali irregolari.
Gli isoanticorpi immuni compaiono in risposta a stimoli antigenici noti. Moltissimi Ab di gruppi sanguigni
sono di questo tipo. Gravidanze e trasfusioni sono responsabili dell’isoimmunizzazione anti-Rh, Kell, Duffy,
Kidd. Gli Ab formati in questo modo risultano di regola
prevalentemente della classe IgG. Una prima immunizzazione induce la produzione transitoria di IgM, mentre il persistere del medesimo stimolo antigenico o più
stimolazioni ripetute determinano la sintesi di IgG. Nel
discorso che segue si parlerà esclusivamente dei sistemi
AB0 e Rhesus.
Sistema AB0
L’espressione fenotipica degli antigeni (Ag) A e B è sotto
la dipendenza di due geni interdipendenti, il gene H e il
gene A o B.
Il gene H (il cui allele inattivo è il gene h), presente nella
gran parte della popolazione umana, produce un enzima
che permette, grazie alla fissazione di un L-fucoso su di
un mucopolisaccaride “di base”, la formazione dell’Ag o
sostanza H. I soggetti che hanno sul secondo gene l’allele
A producono a loro volta un enzima capace di fissare la
N-acetilgalattosamina al complesso polisaccaride-L-fucoso
(o sostanza H) originando la sostanza A. Tutti i soggetti
di gruppo A hanno in comune una stessa sostanza di
gruppo A, ma l’80% di essi ha inoltre una sostanza supplementare A1. Costoro vengono chiamati di gruppo A1,
mentre il restante 20% che possiede A ma non A1 viene
chiamato A2. I soggetti A2 o A2B presentano in circolo un
Ab naturale anti-A1.
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I soggetti che hanno sul secondo gene l’allele B presentano una galattosio-transferasi in grado di annettere al
complesso polisaccaride-L-fucoso il galattosio, originando
così la sostanza B.
Coloro che non hanno né l’allele A né l’allele B sono incapaci di modificare la sostanza H e sono perciò di gruppo 0.
Ci sono poi alcuni soggetti che non possiedono il gene H
(sono cioè omozigoti per h). Costoro, anche se ereditano il
gene A o B, non posseggono sui loro GR gli antigeni (Ag)
A o B corrispondenti, poiché sono privi del precursore H.
Peraltro, possono trasmettere l’antigenicità A o B alla prole, nel caso che questa acquisisca la capacità di produrre
la sostanza H dall’altro genitore. Sono detti di fenotipo
Bombay e presentano nel siero Ab anti-A, anti-A1, anti-B e
anti-H. Per quanto riguarda gli anticorpi, gli anti-A e antiB sono anche detti agglutinine, rispettivamente, e ; il
titolo anticorpale può variare, per l’anti-A tra 1:64 e 1:512,
per l’anti-B tra 1:16 e 1:64. Nei soggetti di gruppo 0, oltre
agli Ab anti-A e anti-B, esistono anticorpi la cui molecola
è in grado di reagire sia con l’antigene A sia con quello B
(attività cross-reattiva anti-AB), Ab anti-A, A1, B e H.
Sistema Rhesus
Il sistema Rhesus (Rh) riveste un’importanza capitale in
biologia umana e comprende determinanti antigenici
principali CDE-ce. Un sistema genetico complesso controlla la presenza di tali sostanze sui GR. I geni DCE sembrano
essere situati in tale ordine sul medesimo cromosoma C, c
(come pure E, e), sono alleli e si esprimono separatamente,
cioè il soggetto eterozigote C/c avrà le due sostanze sui
GR, mentre gli omozigoti ne avranno una sola. Quanto
a d, invece, designa semplicemente l’assenza di D. Non
esistono quindi Ab anti-d.
D è l’antigene più immunogeno di questo e di tutti i sistemi di gruppi caratterizzati dalla produzione di anticorpi
immaturi (si veda Tab. 48.14). L’85% dei soggetti di razza
bianca è Rh-positivo, cioè è omozigote o eterozigote per
l’AgD, mentre il 15% è Rh-negativo, cioè non presenta
l’antigene D.
L’immunogenicità dell’antigene D è molto importante,
perché, dopo una sola trasfusione di GR Rh-positivi (o
D+) AB0 compatibile, il 30-50% dei riceventi Rh-negativi
(o D–) sviluppa un anti-D nei 6 mesi successivi. Questa
frequenza dipende dalla quantità di emazie trasfuse. Il
rischio è minore per gli antigeni c, E (1,5%) e minimo per
C, e (inferiore allo 0,05%).
Le tecniche di ricerca degli anticorpi del sistema Rh devono tenere conto della classe di questi anticorpi: IgM,
dopo la prima stimolazione, ma più spesso IgG e solo
eccezionalmente IgA.
Altri sistemi di gruppi sanguigni
Oltre al sistema AB0 e a Rh, esistono numerosi altri sistemi
di gruppi sanguigni che costituiscono allotipi o marcatori
genetici, vale a dire Ag di cui nella specie umana esistono
molte varianti; è questo un esempio di polimorfismo
genetico (si veda Tab. 48.14).
Alcuni di questi sistemi come Kell, Duffy, Kidd assumono
una grande importanza nella pratica trasfusionale; per
esempio, il rischio di immunizzazione è particolarmente
elevato per gli antigeni del sistema Kell (5%). Altri sistemi, come il Lutheran, rappresentano eccellenti marcatori
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Capitolo 48 - ANEMIE
genetici negli studi familiari e delle popolazioni. Infine,
come già detto, il sistema Xg è, fino a oggi, l’unico tra i
sistemi di gruppi sanguigni conosciuti che sia controllato
dal cromosoma sessuale X.
In un secondo tempo, entro 12 ore, compare ittero franco.
Quando l’emolisi è massiva, il rischio più grave è quello
di shock irreversibile con insufficienza renale acuta da
necrosi tubulare.
Reazioni trasfusionali
Distruzione dei GR del ricevente Si tratta di un’evenienza molto più rara della precedente, che tuttavia può avere
conseguenze assai gravi quando, per errore, in caso di
estrema necessità, sangue di gruppo 0 contenente Ab immuni anti-A o anti-B ad alto titolo (superiore a 1:200/300)
viene trasfuso a un paziente di gruppo A o B. Quando,
invece, gli anticorpi anti-A e anti-B sono presenti a basso
titolo nel sangue trasfuso, essi possono venire assorbiti
dalle sostanze A e B solubili eventualmente presenti in
circolo nel ricevente.
È importante ricordare, infine, come talora la reazione
emolitica sia ritardata (da 3 a 15 giorni dopo la trasfusione) e si manifesti con riduzione dell’emoglobina e ittero.
Si verifica in persone già immunizzate (gravidanze, trasfusioni) con isoanticorpi a titolo molto basso non accertabili
con le comuni tecniche di gruppaggio.
Nonostante i suoi benefici, la trasfusione di emocomponenti può dare luogo a complicanze importanti, che
possono essere suddivise in due gruppi principali:
• reazioni di tipo non immune;
• reazioni di tipo immune.
Reazioni di tipo non immune
Queste reazioni, che esulano dalla trattazione del presente
capitolo, si possono manifestare durante la terapia infusionale
come shock settico da contaminazione batterica massiva del
sangue trasfuso (evenienza divenuta rara da quando si impiegano materiali di plastica monouso), scompenso cardiaco
congestizio, oppure a distanza come infezioni batteriche o
virali (per esempio, epatite virale, AIDS, sifilide, malaria, toxoplasmosi, brucellosi, infezioni da cytomegalovirus), danni
da sovraccarico di ferro (emosiderosi) o di citrato (ipocalcemia) quando vengono infuse grandi quantità di sangue.
Reazioni di tipo immune
Comprendono invece la sindrome brivido-ipertermia
(secondaria alla presenza di leucoagglutinine acquisite per
immunizzazione precedente del paziente; analoga situazione si ha nel caso di isoimmunizzazione antipiastrine),
la porpora trombocitopenica post-trasfusionale, le reazioni allergiche (orticaria, prurito, edema di Quincke, crisi di
asma), ma soprattutto le reazioni emolitiche trasfusionali.
Benché serie e spesso fatali, esse sono oggi abbastanza
rare. Sono provocate dalla distruzione delle emazie del
donatore o del ricevente in seguito all’infusione di sangue
immunologicamente incompatibile.
Distruzione dei GR del donatore Nella maggior parte
dei casi è provocata da isoanticorpi immuni e si verifica
soprattutto in pazienti precedentemente immunizzati
(politrasfusi, pluripare). Va sottolineata, a questo proposito, l’importanza degli Ab anti-Rh, Kell, Duffy e Kidd.
Trattandosi di IgG e data la dispersione degli Ag Rh sulla
membrana eritrocitaria, l’emolisi è extravascolare.
La gravità della reazione dipende dalla quantità di emazie
trasfuse, come pure dal titolo anticorpale (in questo caso
Ab immuni). Questo principio è valido per ogni tipo di
reazione trasfusionale emolitica.
La sintomatologia è caratterizzata da nausea, brivido e
febbre. Shock e insufficienza renale sono assai rari. Talvolta l’emolisi può essere provocata da isoanticorpi naturali
(errore di tipizzazione del gruppo, scambio delle sacche di
sangue) nell’ambito del sistema AB0. Trattandosi di IgM,
sono capaci di fissare il C e provocare quindi emolisi intravascolare. Immediatamente dopo l’inizio della trasfusione il
malato riferisce cefalea, dolori lombari, brividi, palpitazioni,
tachipnea, nausea e vomito. L’ipotensione è la regola, il rialzo termico invece è lievemente ritardato. Talvolta compare
il quadro della coagulazione intravascolare disseminata.
Sono presenti tutti i segni di emolisi intravascolare: emoglobinemia elevata, emoglobinuria senza ematuria, metalbuminemia, diminuzione del tasso di aptoglobina.
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8
Terapia
Il sospetto di incidente trasfusionale impone la sospensione immediata della trasfusione di sangue.
Le reazioni allergiche in genere regrediscono dopo
antistaminici e antipiretici, talvolta è necessario ricorrere all’uso di corticosteroidi. Per i provvedimenti da
adottare in caso di shock e insufficienza renale acuta
si vedano i Capitoli 3 e 39.
L’emorragia secondaria a coagulazione intravascolare
disseminata può essere controllata con eparina e infusione di fattori plasmatici della coagulazione, oltre
che con antitrombina III, piastrine e fibrinogeno.
Isoimmunizzazione materno-fetale
Si definisce isoimmunizzazione materno-fetale l’insieme
delle manifestazioni patologiche che hanno come causa
l‘immunizzazione della madre determinata da un alloantigene cellulare presente nel feto e, come conseguenza, la
malattia più o meno grave di quest’ultimo.
È la causa più frequente di ittero neonatale non fisiologico.
Il passaggio attraverso la placenta di IgG materne provoca
nel feto la distruzione delle sue emazie qualora presentino un antigene di gruppo ematico ereditato dal padre
ed estraneo alla madre. La quasi totalità dei casi osservati
riguarda incompatibilità nell’ambito dei sistemi Rhesus e
AB0. Quest’ultimo tipo di isoimmunizzazione, due volte
più frequente, presenta però un quadro clinico assai sfumato e non sempre rilevabile.
Malattia emolitica del neonato
da incompatibilità Rh
Eziologia e patogenesi
Si osserva una malattia emolitica del neonato (MEN) ogni
qualvolta la madre è Rh-negativa e il feto Rh-positivo. Più
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
spesso è interessato l’antigene D (90% dei casi), ma vengono segnalati casi di incompatibilità per gli antigeni c ed E.
Questa osservazione avviene soprattutto da quando viene
eseguita di routine, al momento del parto, la profilassi
materna con Ig anti-D.
Non trattandosi di anticorpi naturali, la presenza di immunoglobuline anti-D (o Rh) nella madre è necessariamente secondaria a precedente immunizzazione.
Il passaggio dei GR attraverso la placenta può verificarsi a
partire dalle 5 settimane di gravidanza, ma è soprattutto
al momento del parto che queste “trasfusioni” sono di
entità notevole.
Sarebbero favorite da manovre ostetriche: versione esterna, prelievi di liquido amniotico, scollamento manuale
della placenta.
Oltre alla via placentare, il passaggio di emazie dal feto alla
madre sarebbe possibile attraverso i capillari mesenterici
e attraverso quelli delle tube del Falloppio (in caso di
parto cesareo). Infine, questo passaggio avviene in donne
Rh-negative che sono state trasfuse inavvertitamente con
sangue Rh-positivo.
Il rischio di immunizzazione della madre è in funzione del
numero dei GR che attraversano la barriera placentare. Il test
di Kleihauer (eluizione di Hb adulta mediante acido citrico a
pH 3,3) ha consentito di mettere in evidenza (in percentuale)
la presenza di GR fetali sullo striscio di sangue materno.
Un limite di questa prova è la presenza fisiologica di HbF
(0,5-1,0%) nell’adulto. Approssimativamente 1 GR fetale
per 100.000 GR materni corrisponde a 0,02 mL.
Recenti studi eseguiti in donne primipare con figlio Rhincompatibile segnalano alcuni dati:
• passaggio non rilevabile di GR del feto: rischio
di immunizzazione pari a 1,3%;
• passaggio di circa 0,25 mL di GR del feto: rischio dell’8%;
• passaggio di circa 0,25-3 mL di GR del feto: rischio
del 20%;
• passaggio superiore a 3 mL di GR nel feto: rischio
del 50%.
Vi è tuttavia notevole variabilità; infatti circa il 25-30%
delle donne Rh-negative, nonostante ripetute stimolazioni, non è in grado di sintetizzare anticorpi anti-Rh.
L’incompatibilità AB0 possiede un certo effetto protettivo
e previene l’isoimmunizzazione, se pur in modo non del
tutto completo. Verosimilmente in questo caso le emazie
fetali vengono rapidamente distrutte dagli “anticorpi naturali” della partoriente, prima che si possa sviluppare una
risposta anticorpale per il sistema Rh; la protezione sembra
più completa in presenza di anticorpi anti-A (90%) che non
anti-B (55%).
Il rischio di MEN nel corso della prima gravidanza è minimo, sia perché il passaggio dei GR del feto alla madre
avviene prevalentemente al momento del parto, sia perché la risposta immune primaria provoca la sintesi di
IgM che non attraversano la placenta. Nel caso di una
seconda gravidanza incompatibile, le prime emazie fetali che entrano nel circolo materno determinano una
nuova stimolazione, provocando una rapida produzione
di anticorpi, questa volta di tipo IgG (tutte le sottoclassi
sono interessate). Le IgG anti-D materne si fissano alla
superficie delle emazie fetali e ne facilitano la distruzione
(per lo più extravascolare).
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Fisiopatologia
L’anemia che consegue alla distruzione delle emazie fetali comporta iperplasia della serie eritroide midollare ed
eritropoiesi extramidollare compensatoria.
I reticolociti saranno aumentati di numero e si avrà presenza in circolo di eritroblasti. Qualora l’emolisi sia di
entità tale da superare le capacità di compenso del feto,
compare marcata ipossia tissutale che si traduce in gravi
lesioni epatiche, cardiache e turbe della funzione di scambio a livello placentare.
L’ittero alla nascita generalmente è assente perché la bilirubina viene eliminata attraverso la placenta. Compare però
nelle prime 24 ore di vita. La bilirubina indiretta aumenta
poi rapidamente sia perché il processo emolitico continua,
sia perché l’attività della glucuronil-transferasi epatica nel
neonato è molto bassa. Quando il pigmento biliare raggiunge valori superiori ai 20 mg/dL soverchia la capacità
legante dell’albumina e si deposita nei tessuti ricchi di
lipidi (per esempio, nell’adipe sottocutaneo, nella corticale del surrene), ma soprattutto nei nuclei grigi centrali
del cervello, in quanto la barriera ematoencefalica non è
ancora capace di impedire il passaggio del pigmento.
Questo porta a gravi complicazioni neurologiche di tipo
extrapiramidale (ittero nucleare), capaci di determinare
la morte del neonato oppure complicanze psicomotorie
drammatiche e irreversibili.
Manifestazioni cliniche ed esami di laboratorio
Le manifestazioni cliniche più importanti della MEN sono
rappresentate da anemia, ittero, epatosplenomegalia e, nei
pazienti non trattati, ittero nucleare (o kernittero).
Le conseguenze della malattia vanno da un processo emolitico non sempre evidenziabile, nonostante la positività
per il test di Coombs (30-40% dei casi), a malattia emolitica grave più o meno tardiva (40-50%), a idrope fetale
subito dopo il parto (5%), a morte intrauterina del feto a
25-35 settimane (15%).
• Idrope fetale: qualora l’emolisi fetale sia estremamente
grave, dapprima si registra un incremento
compensatorio dell’eritropoiesi epatica, destinata a
sovvertire, entro breve, la struttura parenchimale del
fegato. Compaiono poi ipertensione della vena porta
e di quella ombelicale, edema placentare, ipertrofia
trofoblastica. Come risultato finale si hanno
gravi turbe della circolazione feto-placentare con
riduzione dell’apporto nutritivo al feto. Si registrano
edemi generalizzati, versamenti ascitici, pleurici e
pericardici con abnorme distensione dell’addome
e del torace (anasarca). L’epatosplenomegalia è
imponente. I piccoli pazienti presentano inoltre
estese soffusioni emorragiche cutanee secondarie a
deficit di sintesi dei fattori epatici della coagulazione.
I feti, in genere, vengono partoriti prevalentemente
a 7-8 mesi e le possibilità di sopravvivenza non
superano il 10-20%.
• Anemia emolitica grave: qualora non la si affronti
tempestivamente, si tratta di una situazione spesso
mortale. La maggior parte dei pazienti affetti da
MEN alla nascita non presenta particolare pallore
e la concentrazione emoglobinica nel cordone
ombelicale spesso è solo ai limiti inferiori della
norma. Tuttavia, entro le prime 24 ore di vita i valori
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Capitolo 48 - ANEMIE
scendono a livelli estremamente bassi. Compare
ittero che raggiunge il massimo di intensità nella
quarta giornata. La bilirubina supera i 20 mg/dLl e,
tra il secondo e il quinto giorno, possono comparire
segni di ittero nucleare (ipotonia, modificazione
della tonalità del pianto, sonnolenza, perdita del
riflesso della suzione e della prensione, irregolarità
nella respirazione). Subentrano poi, qualora la
sintomatologia si aggravi, opistotono e contrazioni.
Nella maggior parte dei casi, però, i neonati non
muoiono, ma sviluppano nel tempo paralisi
cerebrale con disturbi motori, paresi con movimenti
involontari distonici o atetosici, ipoacusia e disturbi
dell’intelligenza. I parametri ematologici evidenziano
la presenza di anemia, reticolocitosi marcata e
GR nucleati in circolo. L’anemia è macrocitica
con intensa poichilocitosi; la sferocitosi è assente,
caratteristica della MEN da incompatibilità AB0.
I reticolociti possono raggiungere valori del 60%.
Uno degli aspetti più caratteristici dei neonati affetti
da MEN è però sicuramente il riscontro in circolo
di precursori dei GR nucleati (eritroblastosi fetale).
A fronte dei normali 0,2-2 × 109/L nei bambini nati
a termine o prematuri, nei casi di MEN il numero
degli elementi nucleati della serie rossa raggiunge i
10-100 × 109/L. Sono aumentati di volume ma non
si tratta di megaloblasti, come in passato alcuni
autori hanno sostenuto. Compare anche leucocitosi
(30 × 109/L) e bene si correla alla gravità dell’anemia.
Si deve tuttavia ricordare che alla nascita i
valori normali sono compresi tra 15 e 20 × 109/L.
Aumentano soprattutto i granulociti neutrofili.
Il numero delle piastrine invece è normale.
Occasionalmente il quadro di anemia emolitica
compare dopo alcune settimane dal parto. Non è
ancora del tutto chiarito il meccanismo patogenetico
responsabile di questa anemia “tardiva”, ma sembra
dovuto alla persistenza in circolo di anticorpi
anti-D o a momentaneo “esaurimento” midollare.
Quest’ultima ipotesi è in parte negata dalla
reticolocitosi quasi sempre rilevabile. L’anemia è di
grado modesto, l’ittero assente, come pure assenti
sono gli eritroblasti in circolo. Il quadro solitamente
è transitorio e regredisce spontaneamente a 8
settimane.
Diagnosi perinatale e postnatale
La diagnosi in corso di gravidanza si basa sulla presenza di
isoanticorpi anti-D nel siero della madre e sull’esame del
liquido amniotico.
La sensibilizzazione materna e la MEN sono rare nel
corso della prima gravidanza, salvo che la donna non
sia stata immunizzata in precedenza con trasfusioni Rhpositive. Perciò solo l’1,5-2% delle primipare presenta
anticorpi anti-D al termine della gravidanza. L’immunizzazione avviene soprattutto al momento del parto e
gli anticorpi IgM divengono titolabili solo circa dopo 8
settimane.
La concentrazione anticorpale rimane comunque bassa
fino alla seconda gravidanza, allorquando un nuovo passaggio di sangue fetale (di solito nel secondo trimestre)
provoca l’aumento del titolo anticorpale.
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Questa volta gli anticorpi sono IgG. Si effettua una prima
determinazione a 16 settimane e una seconda a 28-32 settimane. Qualora si registri un incremento di anticorpi anti-Rh
si eseguono ulteriori controlli ogni 1-2 settimane.
Nella gran parte dei casi l’entità è correlabile alla gravità della MEN. Ulteriori informazioni si possono ricavare a 28-32
settimane eseguendo un prelievo di liquido amniotico e valutandone il contenuto di bilirubina e l’eventuale presenza
di anticorpi anti-Rh. In genere lo studio spettrofotometrico
del liquido amniotico permette di valutare con precisione
la concentrazione di pigmento presente (in gran parte bilirubina) e quindi l’aumentata emolisi fetale.
Da questo si può dedurre quale condotta adottare: astensione terapeutica, parto provocato o trasfusione intrauterina.
La diagnosi alla nascita è soprattutto immunologica e si
basa sull’incompatibilità materno-fetale (AB0, Rh) e sul
test di Coombs diretto, la cui positività dimostra l’avvenuta sensibilizzazione delle emazie del neonato. Il test di
Coombs va eseguito sul sangue del cordone ombelicale.
Il test di Coombs indiretto effettuato sul sangue materno
invece è positivo.
La diagnosi è anche biologica, dal momento che si fonda
sull’anemia ingravescente, sul dosaggio della bilirubina
indiretta e sulla comparsa di ittero.
1093
8
Terapia
In corso di gravidanza, quando i dati di laboratorio
indicano la presenza di una grave forma di MEN,
è utile anticipare il travaglio anche a 34 settimane.
Qualora invece si manifesti rischio di morte intrauterina prima di 34 settimane, si deve provvedere alla
plasmaferesi del sangue materno (per eliminare gli
anticorpi circolanti) e alla trasfusione intrauterina del
feto. Così facendo si ottengono risultati soddisfacenti
nel 60-70% dei casi.
Alla nascita, in tutti quei casi che presentano Hb inferiore ai 12 g/dL e bilirubina maggiore di 5 mg/dL
nel sangue del cordone ombelicale, si deve eseguire
exsanguinotrasfusione. In questo modo si rimuovono
dal circolo del neonato i GR ricoperti di anticorpi, si
corregge l’anemia e si riduce l’iperbilirubinemia.
La selezione del sangue da trasfondere ovviamente
è in rapporto ai gruppi sanguigni della madre e del
neonato.
La somministrazione di albumina (capace di fissare
una certa quantità di bilirubina) e la fototerapia (esposizione del bambino ai raggi ultravioletti) costituiscono importanti supporti alla terapia trasfusionale.
Profilassi
La profilassi della MEN si realizza principalmente nel
prevenire, al momento del parto, l’immunizzazione della madre nei confronti degli Ag fetali del sistema RH. Si
inoculano 300 g di -globuline anti-D entro le prime 72
ore dal parto alle madri Rh-negative, non immunizzate
nei confronti dell’antigene D, con figlio Rh-positivo (ivi
compresi i figli con D debole).
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1094
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Si ritiene che le gammaglobuline anti-D rimuovano con
rapidità i GR Rh-positivi dal circolo materno, ovvero blocchino direttamente i siti antigenici dei GR fetali.
La prevenzione è oggi concepita come un fenomeno temporaneo e quindi va ripetuta a ogni gravidanza incompatibile.
La profilassi è indicata anche nei casi di aborto, di amniocentesi o quando sussiste il fondato sospetto di una
emorragia transplacentare.
Malattia emolitica del neonato (MEN)
da incompatibilità AB0
Sono anemie emolitiche caratterizzate da un’emolisi secondaria alla formazione di anticorpi diretti contro eritrociti normali (autoanticorpi antieritrociti). Gli anticorpi caldi
appartengono solitamente alla classe di IgG, più raramente
a quella IgA. Di solito sono diretti specificamente contro
determinanti antigenici del sistema Rh (soprattutto il D).
In genere si distinguono forme idiopatiche e secondarie. Queste ultime compaiono in associazione a malattie
immunoproliferative, autoimmuni, infezioni batteriche,
virali o vengono provocate da farmaci (Tab. 48.15).
Eziologia e patogenesi
Si tratta di un evento non eccezionale (due volte più
frequente della MEN da incompatibilità Rh) dovuto
alla distruzione intravascolare delle emazie di un feto
di gruppo per lo più A (talvolta B) fi glio di madre di
gruppo 0.
Infatti, solo le donne di gruppo 0 (curiosamente) possono sintetizzare anticorpi anti-A di tipo IgG che passano la placenta, entrano nel circolo fetale e lisano le
emazie.
Statisticamente circa il 20% di tutte le gravidanze presenta
incompatibilità AB0 del tipo che potrebbe portare a MEN,
ma l’incidenza di fatti emolitici significativi è di 1:150
nascite, e circa un quinto dei bambini a rischio presenta
ittero.
Epidemiologia
Non sembra esserci una particolare predisposizione razziale, anche se la maggior parte degli studi riguarda la razza
caucasica. L’incidenza annuale si aggira su 1 caso/80.000
individui. Vengono colpite tutte le età (picco di incidenza
sotto i 40 anni), con una leggera prevalenza per il sesso
femminile, soprattutto nelle forme cosiddette idiopatiche.
Queste ultime costituiscono circa il 40% delle AEA, anche
se l’incidenza reale (20-81%) risulta assai difficile da valutare
con precisione a causa della diversa importanza attribuita
a malattie concomitanti e soprattutto al periodo di osservazione. Le forme sintomatiche, che interessano di norma
una popolazione di età superiore ai 45 anni, rappresentano
circa il 60%, di cui un 20% è secondario all’assunzione di
farmaci.
Manifestazioni cliniche
L’ittero di media gravità compare entro il primo giorno
di vita e non causa quasi mai sintomatologia neurologica
tipo kernittero.
Anche l’anemia è modesta. Di particolare interesse è la
sferocitosi assai spiccata. Compaiono inoltre iperplasia
eritroide a livello midollare e reticolocitosi.
Il test di Coombs diretto, espletato sul sangue ombelicale,
spesso è negativo, perché gli anticorpi, dato il loro esiguo
numero, occupano siti distanti sulla membrana delle
emazie. Nella gran parte dei casi il decorso è benigno e la
prognosi favorevole.
Si differenzia dalla MEN da incompatibilità Rh per i seguenti motivi:
• pari frequenza di interessamento del primo nato
e dei seguenti;
• né il rischio né la gravità della malattia aumentano
nelle maternità successive se il primogenito è affetto
da MEN;
• media gravità della sintomatologia clinica.
Patogenesi
Il meccanismo fondamentale consiste nell’autoimmunizzazione verso qualche antigene dei GR. In alcuni casi si tratta
di autoantigeni, in altri di antigeni estranei che si trovano
occasionalmente sui GR e che evocano una risposta anticorpale. Le emazie sono per lo più coperte solo da IgG e
non c’è complemento, perché la disposizione casuale degli
anticorpi rende poco probabile che ve ne sia una significativa quantità di contigui l’uno all’altro (per attivare il complemento, infatti, sono necessari almeno due anticorpi,
molto vicini tra loro, fissati al bersaglio). Viceversa, quando
Principi di terapia
Raramente trova giustificazione l’exsanguinotrasfusione;
di solito è sufficiente la fototerapia.
Anemie emolitiche autoimmuni
(o anemie immunoemolitiche da autoanticorpi)
Sulla base delle caratteristiche chimicofisiche degli autoanticorpi è possibile stabilire una classificazione delle
anemie emolitiche autoimmuni (AEA):
• AEA da anticorpi incompleti caldi;
• AEA da anticorpi completi freddi;
• AEA da emolisine bifasiche.
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AEA da anticorpi incompleti caldi
Tabella 48.15
Farmaci che provocano anemie
immunoemolitiche
Farmaci che agiscono provocando la formazione
di autoanticorpi
a-metildopa
Levodopa
Acido mefenamico
Farmaci che agiscono come apteni
Penicilline
Cefalosporine
Farmaci che agiscono mediante la formazione di
immunocomplessi (tipo “astante innocente”)
Chinidina
Fenacetina
Acido para-aminosalicilico
Sulfonamidi
Isoniazide
Altri
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Capitolo 48 - ANEMIE
la concentrazione anticorpale è molto elevata si può fissare
il complemento con le IgG. Le cause e i meccanismi che
determinano la formazione di autoanticorpi antieritrocitari
sono in gran parte sconosciuti, anche se numerose ipotesi
sono state formulate a questo proposito.
Nelle anemie emolitiche da anticorpi caldi l’emolisi è
intrasplenica, come è stato spiegato nella trattazione generale di questo argomento. Raramente l’emolisi può essere
di tipo intravascolare. Questo si verifica in presenza di un
titolo particolarmente alto di anticorpi, quando è completata l’intera sequenza di attivazione del complemento.
Manifestazioni cliniche
Esami di laboratorio L’esordio e il decorso variano da
caso a caso. Il quadro clinico non è particolare, ma richiama quello già descritto per altre anemie. Più spesso
la malattia si sviluppa in modo insidioso con un’anemia
emolitica di modesta gravità che si accompagna a subittero e lieve splenomegalia. Si tratta di un’anemia normocitica normocromica; la lieve macrocitosi saltuariamente
presente è riferibile alla reticolocitosi (i reticolociti sono
infatti del 10% più grandi delle normali emazie). Nei casi
più gravi, a esordio fulminante e spesso letale (emolisi
improvvisa, febbre, quadro di shock), si possono trovare
nel sangue periferico segni di un’intensa rigenerazione
midollare dei GR quali, a carico delle emazie, la presenza
di punteggiature basofile, una colorazione grigiastra anziché rosa (al May-Grünwald Giemsa). Inoltre, sullo striscio
periferico ci sono numerosi sferociti. Infatti, il GR con
adese le IgG può non essere completamente distrutto dal
macrofago, fagocitato in parte, alterato nella sua normale
configurazione e tendere alla sferocitosi. La sopravvivenza eritrocitaria è sempre ridotta e le emazie da donatore
sano hanno anch’esse emivita ridotta. Nella gran parte
dei casi sono presenti iperbilirubinemia indiretta, elevata
escrezione di bilinogeni urinari e fecali, e una diminuzione dell’aptoglobina sierica. La sideremia può essere
elevata. Una volta accertata la presenza di un’anemia di
tipo emolitico, se ne dimostra con maggior precisione la
natura grazie al test di Coombs diretto, capace di rilevare
la presenza o meno di anticorpi e/o di frazioni complementari sulle emazie del paziente in esame. Nei casi più
lievi può anche mancare l’anemia e l’unico sintomo è la
positività per il test di Coombs diretto per le IgG. Solitamente, invece, è presente anemia di media gravità con test
di Coombs diretto positivo per le IgG e negativo per la
frazione C3 del complemento. Il test di Coombs indiretto,
invece, è per lo più negativo. Quando invece l’anemia è
grave, il test di Coombs diretto è positivo sia per le IgG
sia per il C3; infatti, il numero di Ig fissate al GR è alto e
le IgG, occupando siti vicini, permettono la fissazione del
complemento. In alcuni casi si può positivizzare anche il
test di Coombs indiretto a testimonianza della presenza
tanto di anticorpi adesi alle emazie quanto di anticorpi
circolanti. Da segnalare, infine, come un ristretto numero
di pazienti affetti da AEA presenti test di Coombs diretto
negativo. Ciò si verifica in circa il 3% dei casi e sembra
dovuto al basso numero di anticorpi adesi all’eritrocita.
Con gli antisieri in commercio, infatti, il test di Coombs
risulta positivo quando il numero di anticorpi adesi a ciascuna emazia è compreso tra 500 e 100. I “casi negativi”
ne presentano solitamente meno di 10.
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Il più delle volte, comunque, si usano sieri di Coombs diretti contro globuline umane totali, scarsamente sensibili,
che reagendo sia con le frazioni complementari (soprattutto C3b) sia con le IgG non permettono di differenziare
ciò che è fissato in realtà alle emazie.
Decorso e prognosi
L’andamento della malattia è cronico ed è contraddistinto
da un alternarsi di remissioni e riacutizzazioni del processo
emolitico. Nel 20-30% dei casi l’evoluzione è fatale (emolisi particolarmente acuta, embolie polmonari, processi
trombotici); la sopravvivenza a 5 anni è del 70% circa.
Gli episodi infettivi riguardano in particolare i pazienti
splenectomizzati o sottoposti a terapia con citostatici.
1095
8
Terapia
I pazienti con test di Coombs positivo ma senza segni
clinici di emolisi solitamente non richiedono alcuna
terapia. Viceversa, nei casi caratterizzati da importante emolisi il trattamento di elezione è rappresentato
dai corticosteroidi.5
Nel 70% (alcune statistiche parlano del 90%) dei casi
il quadro ematologico migliora nettamente, con il
20-30% di remissioni definitive. Il più delle volte,
tuttavia, è necessario proseguire la terapia di mantenimento a dosi scalari per lunghi periodi (mesi o
anni), perché un’eventuale sospensione è seguita
immediatamente da ricadute.
Nei pazienti che non hanno tratto alcun beneficio
dalla terapia steroidea (20%) e in quelli che hanno
bisogno di elevate terapie di mantenimento, si ricorre
anche all’impiego di farmaci immunosoppressori.
La splenectomia è destinata a migliorare l’emolisi
nel 50% dei casi, percentuale che aumenta qualora
la sede di distruzione dei GR sia prevalentemente
splenica (e non epatica, per esempio). Le trasfusioni
devono essere praticate solo nei casi di estrema necessità e comunque presentano un’utilità limitata,
dal momento che i GR trasfusi vengono agglutinati
e lisati. Recentemente si è dimostrato che la somministrazione endovenosa di -globuline umane ad alte
dosi può essere utile.
Forme sintomatiche di malattie
linfoproliferative autoimmuni
e di processi infettivi
Si possono sviluppare in corso di linfomi maligni, leucemie
(soprattutto linfatica cronica), mielomi, più raramente altre
neoplasie (carcinomi renali, della prostata, del colon).
Talvolta si associano ad artrite reumatoide, epatite cronica
attiva, colite ulcerosa, ma soprattutto lupus eritematoso
sistemico.
5
La AEA idiopatica trae beneficio dai corticosteroidi non tanto per la
loro generica attività immunosoppressiva, quanto perché interferiscono con le capacità fagocitarie dei macrofagi, riducendo il numero dei
loro recettori per Fc e C3.
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1096
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Da ultimo, sono presenti processi infettivi, batterici, virali
e fungini. I quadri ematologico e sierologico sono del
tutto sovrapponibili a quelli dell’AEA idiopatica, anche
se talvolta la sintomatologia è largamente influenzata
dal tipo di patologia associata. Da ricordare, infine, come
l’anemia emolitica possa anticipare di mesi o anni la malattia di base, costituendone l’unico segno rilevabile.
Forme secondarie all’assunzione
di farmaci (si veda Tab. 48.15)
Diversi sono i farmaci che possono scatenare un’emolisi
di tipo autoimmune.
-metildopa È un agente antipertensivo di largo uso. Si
ritiene che il farmaco stabilisca un legame con un auto-Ag,
determinando per questa via la cooperazione dei linfociti
T e quindi l’autoimmunizzazione. L’auto-Ag sarebbe un
antigene di superficie delle emazie di solito appartenente al
sistema Rh. Il farmaco e i suoi metaboliti non partecipano
direttamente alla reazione emolitica. Una volta che si sono
formati, gli anticorpi, infatti, si legano alle emazie anche in
assenza del composto. Oltre agli anticorpi anti-GR è possibile dimostrare, nei pazienti che fanno uso di -metildopa,
la presenza di altri autoanticorpi quali ANA, fattore reumatoide, anticorpi antimucosa gastrica. Si tratterebbe dunque
dell’induzione di un fenomeno autoimmunitario da parte
di un fattore estrinseco che non sembra prendere poi parte
direttamente al processo immunitario generato.
Non tutto è stato ancora chiarito circa il meccanismo responsabile dell’induzione di questi autoanticorpi. Dati
recenti dimostrerebbero che l’-metildopa possiede attività
inibente sui linfociti soppressori sia in vivo sia in vitro, come
pure sulla risposta dei linfociti ai mitogeni policlonali.
Questi effetti, che perdurano a lungo anche dopo sospensione del farmaco, sarebbero mediati da un persistente aumento
dell’AMP ciclico intralinfocitario. I fattori genetici, poi, sembrano rivestire un qualche ruolo nel determinare o meno una
suscettibilità a questo o quel farmaco. Infatti, una larga parte
di coloro che sviluppano una positività per il test di Coombs
presenta l’antigene di istocompatibilità HLA B27.
L’uso della -metildopa rende positivo il test di Coombs
diretto con siero anti-Ig totali o con siero anti-IgG nel
10-30% dei casi, ma solo l’1% (o meno) accusa anemia
emolitica. Questo dipende dagli autoanticorpi e dall’affinità tra autoanticorpi e auto-Ag (fattori entrambi variabili). Di solito il test di Coombs diviene positivo dopo
3-6 mesi dall’inizio del trattamento. Questo intervallo di
tempo rimane invariato anche quando il farmaco viene
somministrato a un paziente che abbia già avuto in una
precedente occasione una positività del test di Coombs
indotta da -metildopa.
Sospendendo la terapia si assiste a una negativizzazione
del test di Coombs in un tempo che varia da poche settimane a 2 anni. Altri farmaci si comportano con meccanismo analogo alla -metildopa e sono la L-dopa e l’acido
mefenamico.
La L-dopa non determina comparsa di anemia emolitica,
anche se viene riscontrata positività per il test di Coombs
nel 6-8% dei soggetti che ne fanno uso.
Il quadro clinico dell’anemia emolitica autoimmune provocata dalla -metildopa (e farmaci a comportamento
simile) presenta un esordio insidioso e un decorso lento
mai ingravescente.
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Non sono stati descritti quadri clinici particolari e la sintomatologia è del tutto sovrapponibile a quella già descritta
per la AEA idiopatica da anticorpi incompleti caldi.
La reticolocitosi è modesta, come pure l’iperbilirubinemia. Di solito la sospensione del farmaco è sufficiente ad
arrestare l’emolisi.
Penicillina È un preziosissimo antibiotico usato per un
numero elevato di infezioni. Si lega alla membrana del GR e
causa la produzione di anticorpi (IgG) diretti contro il complesso farmaco-emazia. La penicillina si comporta da aptene,
per cui non sarebbe in grado di determinare la produzione
di anticorpi se non si legasse alle proteine di membrana dei
GR dando luogo a un Ag completo; ovvero gli anticorpi
emolizzano solo gli eritrociti che hanno il farmaco legato alla
superficie. Tra gli effetti collaterali della penicillina, l’AEA è
di gran lunga meno frequente della comparsa di fenomeni
allergici (talvolta fino allo shock anafilattico) o della malattia
da siero, fenomeni dose-indipendenti.
L’AEA può invece venire indotta soltanto in caso di
trattamento prolungato e a dosi estremamente elevate
(20.000.000 U o più nelle 24 ore), il che si verifica nella
sola endocardite infettiva. Circa il 3% dei pazienti che
ricevono dosi analoghe per via endovenosa presenta un
test di Coombs diretto positivo per le IgG, ma solo una
percentuale minima sviluppa AEA. Alla sospensione del
trattamento il test di Coombs si negativizza prontamente.
L’emolisi non è mediata dall’attivazione del complemento
(test di Coombs diretto per il complemento negativo), ma
è secondaria a sequestro splenico ed eritrofagocitosi.
Il quadro clinico dell’AEA da penicillina è improvviso e si
manifesta pressoché esclusivamente nei pazienti sottoposti a terapia con dosi molto alte di penicillina. L’emolisi
è prevalentemente extravascolare. All’interruzione della
terapia segue una rapida guarigione e il test di Coombs
diretto diventa negativo nel giro di qualche giorno o settimana.
Cefalosporine Anche gli antibiotici della classe delle
cefalosporine provocano raramente AEA con meccanismo
analogo a quello della penicillina. Tuttavia, le cefalosporine, quando sono impiegate ad alte dosi e/o sono somministrate negli uremici, possono rendere positivo il test di
Coombs (in assenza di anemia emolitica) anche con un
altro meccanismo. Questi farmaci, infatti, modificano (se
somministrati ad alte dosi), con meccanismi non immunologici, le membrane eritrocitarie in modo tale che a esse
si legano per assorbimento passivo varie proteine sieriche
(albumina, fibrina, immunoglobuline, talvolta frazioni del
complemento). Questa sensibilizzazione aspecifica non
sembra però indurre emolisi.
Chinidina Si tratta di un composto abbastanza frequentemente impiegato in cardiologia. Il farmaco, dopo essersi
legato a una proteina plasmatica, induce la produzione
di anticorpi del tipo IgM, IgG o entrambe.
L’immunocomplesso, per ragioni non del tutto chiarite,
tende a fissarsi alla membrana dei GR. Responsabile di
questo legame sarebbe l’attivazione del complemento a
opera degli immunocomplessi, dato che le emazie hanno
affinità per il C3b, allo stesso modo dei macrofagi. Il più
delle volte l’immunocomplesso, dopo attivazione del
6/9/10 3:09:05 PM
Capitolo 48 - ANEMIE
complemento, si stacca dalla membrana dell’eritrocita ed
è libero di agire con altre cellule. Le emazie dunque sono
“astanti innocenti”, dal momento che vengono emolizzate senza neppure partecipare alla reazione immunitaria.
Questo fatto rende ragione di due fenomeni:
• positività del test di Coombs diretto per il
complemento e non per IgM e IgG;
• assenza di correlazioni tra quantità di farmaco
ed entità dell’emolisi.
Reazioni analoghe sono state documentate per numerosi
altri farmaci (si veda Tab. 48.15).
Il quadro di anemia si manifesta all’improvviso in modo
particolarmente grave e, come detto, non è correlato alla
dose di farmaco assunta.
L’emolisi è prevalentemente intravascolare con emoglobinemia, emoglobinuria e intensa reticolocitosi.
Da segnalare la possibile comparsa di trombocitopenia
e/o neutropenia, insufficienza renale (50% dei casi) e
coagulazione intravascolare disseminata.
Si deve sospendere immediatamente il farmaco responsabile ed eventualmente ricorrere a terapia trasfusionale. Gli
steroidi in questo caso non presentano alcuna utilità, dal
momento che l’emolisi è prevalentemente intravascolare.
AEA da anticorpi completi
freddi (crioagglutinine)
Sono anemie emolitiche caratterizzate da un’emolisi secondaria alla formazione di anticorpi diretti contro eritrociti normali (autoanticorpi antieritrocitari). Gli anticorpi
freddi appartengono alla classe di IgM. Si legano ai GR
tra 0 e 4 °C e tendono a staccarsi a temperature superiori
ai 32 °C. Fissano il C, la cui sequenza di attivazione viene
però raramente completata. La maggior parte presenta
una specificità per i determinanti antigeni del sistema I/i
e, più raramente, per Ag H, M, N.
Ogni essere alla nascita presenta alla superficie eritrocitaria
una sostanza polisaccaridica, le cui qualità antigeniche
vengono identificate dalla lettera i. Con il passare del tempo la massima parte degli individui cambia questo antigene in una sostanza diversa chiamata I, che può essere considerata, per la sua diffusione, un “antigene pubblico”.
Come si è detto, nella maggior parte dei casi gli autoanticorpi in questa forma morbosa reagiscono o con l’antigene I presente nelle emazie della maggior parte degli adulti
o con l’antigene i del sangue del cordone ombelicale.
Esistono pazienti che hanno anticorpi che reagiscono con
le emazie di ambedue i tipi e che perdono la capacità di
reagire, se le emazie sono trattate con enzimi proteolitici.
Gli anticorpi di questo tipo sono chiamati anti-Pr.
Di questa forma di AEA esistono forme idiopatiche e forme sintomatiche e l’andamento clinico può essere acuto
o cronico.
Forme idiopatiche
L’autoanticorpo è monoclonale (a differenza della gran
parte delle altre forme); presenta infatti, per cause imprecisate, un solo tipo di catena leggera, più spesso k. La
malattia sembra dovuta al fatto che una cellula capace di
produrre questo particolare autoanticorpo (linfocita B)
sfugge ai meccanismi di regolazione e si mette a proliferare
autonomamente. Si realizza così, in breve tempo, un clone
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cellulare di dimensioni tali da produrre quantità elevate,
in proporzione, di questo particolare autoanticorpo.
Questa AEA da anticorpi freddi è di più facile riscontro
nei soggetti anziani (maggiori di 50 anni) e presenta un
andamento per lo più cronico.
Forme sintomatiche di malattie linfoproliferative
Si hanno in corso di macroglobulinemia di Waldenström,
linfomi, leucemia linfatica cronica e mieloma. In questi
casi le agglutinine possono essere specifiche sia per l’antigene I sia per l’Ag i. Spesso sono monoclonali e possono
formare crioprecipitati in vitro.
1097
8
Forme sintomatiche di infezioni
In queste circostanze si verifica la produzione di crioagglutinine di tipo policlonale. Nelle infezioni da Mycoplasma
pneumoniae (PPLO), la produzione di crioagglutinine (specificamente dirette contro l’Ag eritrocitario I) è comune, ma
raramente compare emolisi. Il Mycoplasma provoca più di
una reazione autoimmune e si ritiene lo faccia attraverso
reazioni crociate. Nella mononucleosi infettiva, invece, le crioagglutinine sono dirette contro un Ag eritrocitario. Tuttavia,
poiché questo Ag si trova di solito nei GR del feto, mentre
ne sono sprovvisti gli eritrociti dell’adulto, l’emolisi non
dovrebbe verificarsi. In realtà, anche se rara, può capitare.
Patogenesi
Le crioagglutinine e il complemento si fissano ai GR nelle
aree periferiche (punta del naso, mani, piedi, lobi delle orecchie) della circolazione superficiale, dove la temperatura è
più bassa e facilmente si ha vasocostrizione e quindi stasi.
Quando gli eritrociti fanno ritorno nei tessuti a temperatura più elevata, l’anticorpo si stacca dai GR, mentre il
complemento vi rimane legato. La capacità delle crioagglutinine è massima a 4 °C e decresce progressivamente
fino ai 31 °C. Al contrario, il complemento comincia a
fissarsi a 12 °C e raggiunge il massimo della sua attivazione a 37 °C. Quindi, a 37 °C il test di Coombs diretto per
le IgM sarà negativo, mentre sarà positivo quello per il
complemento (si veda Fig. 48.17). Nella gran parte dei casi
la sequenza di attivazione non è completa, ma si arresta
allo stadio C3b (Fig. 48.18).
C3a
C3b
C3c
C3d
Figura 48.18
Scissione della
frazione C3 del
complemento
durante
l’attivazione
della sequenza
complementare.
Alla superficie
delle emazie è
fissata prima la
frazione C3b, poi
residua solo la
frazione C3d.
6/9/10 3:09:05 PM
1098
Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
I GR ricoperti di C3b sono riconosciuti soprattutto dalle
cellule del Kupffer e distrutti (in misura minore, però,
rispetto a quando sono ricoperti da Ig). La presenza,
poi, di C3d sulla superfi cie dei GR, che residua dopo
la scissione del C3b ad opera del C3 inattivatore, li
protegge da una nuova attivazione della sequenza del
complemento indotta dagli autoanticorpi e li preserva
dalla lisi.
Manifestazioni cliniche
In corso di polmonite da M. pneumoniae, di mononucleosi
infettiva, di influenza spesso vengono prodotte crioagglutinine; tuttavia, raramente la loro concentrazione è tale da
provocare emolisi. Quando ciò avviene, il quadro sintomatologico è quello di anemia emolitica acuta: pallore, febbre,
ittero, vomito, diarrea, dolori lombari e addominali, reticolocitosi, leucocitosi neutrofila, lieve epatosplenomegalia.
Nelle forme idiopatiche e sintomatiche di malattia linfoproliferativa, l’anemia insorge gradualmente e la sintomatologia tende ad aggravarsi con la stagione fredda.
Spesso l’unico sintomo è rappresentato dall’acrocianosi,
secondaria all’agglutinazione di emazie nei capillari
cutanei delle estremità. Il fenomeno raramente porta
alla gangrena ischemica e regredisce di solito con il
riscaldamento.
Il test di Coombs diretto è positivo per il complemento
e negativo per le IgM. È possibile comunque dimostrare
direttamente la presenza di anticorpi completi freddi inducendo l’agglutinazione delle emazie in presenza del siero
del paziente a freddo (a 4 °C). Si usano GR presi dal cordone ombelicale per ricercare anticorpi anti-i ed eritrociti di
adulto per gli anticorpi anti-I. L’agglutinazione è reversibile,
cioè scompare, riportando le emazie incubate con il siero
del paziente a 37 °C. Solitamente il titolo non è molto alto
(1:32; 1:128), tranne che nelle forme idiopatiche (1:1000;
1:256.000 e oltre).
L’agglutinazione spontanea delle emazie in vitro rende
difficile o impossibile il conteggio eritrocitario e conferisce un aspetto tipico agli strisci di sangue in cui tutti
i GR sono impilati. Il numero dei reticolociti è normale, talvolta è presente iperbilirubinemia. Il midollo
osseo presenta un aumento del numero assoluto degli
eritroblasti e spesso dei linfociti. Da segnalare, a questo proposito, come un quadro di linfocitosi midollare
associato a iper--globulinemia di tipo M monoclonale avvicini la forma cronica idiopatica alla malattia di
Waldenström.
Terapia
Il paziente deve evitare esposizioni al freddo, così da
precludere l’insorgenza di crisi emolitiche.
Le forme sintomatiche di malattie infettive guariscono spontaneamente e pertanto non richiedono
alcun trattamento.
Le forme idiopatiche e sintomatiche di processi
linfoproliferativi talvolta rendono necessario un
trattamento volto a limitare il processo emolitico.
Splenectomia e corticosteroidi raramente si sono
rivelati utili.
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Infatti, i cortisonici intervengono nel rapporto regione
Fc delle IgG/macrofagi, che, come si è detto, ha luogo
essenzialmente nella milza, mentre nelle anemie di
questo tipo gli anticorpi della classe IgG non sono
implicati. Qualche risultato in più sembrano invece
ottenere gli schemi terapeutici che ricorrono ai farmaci immunosoppressivi. In alcuni casi è stata utilizzata,
con successo, la plasmaferesi, che riduce il tasso di
anticorpi circolanti.
AEA da emolisine bifasiche
(emoglobinuria parossistica a frigore)
È una rara forma di AEA caratterizzata dalla presenza
di anticorpi bifasici (emolisina di Donath-Landsteiner)
che appartengono alle IgG. È da rilevare che si tratta di
anticorpi freddi, che cioè fanno eccezione alla regola che
vede prevalenti gli anticorpi della classe IgM tra quelli
con queste caratteristiche termiche. Sono specifici per
gli antigeni eritrocitari del sistema Pp (ma soprattutto
P). La malattia può essere idiopatica, sintomatica di
sifilide (acquisita o congenita), di infezioni virali quali
rosolia, parotite, varicella, influenza e morbillo. Il meccanismo di formazione di questi particolari anticorpi è
sconosciuto.
Patogenesi
A 37 °C l’emolisina bifasica è priva di qualsiasi attività sulle emazie. Solo in presenza di basse temperature,
nel microcircolo delle aree corporee periferiche in cui
il raffreddamento può raggiungere il sangue circolante,
ha luogo il legame dell’anticorpo con le emazie, e di
solito il titolo anticorpale è sufficientemente elevato da
fissare il C.
Trattandosi di un anticorpo incompleto, non si ha nessuna agglutinazione delle emazie e nessuna stasi di
queste cellule nelle aree fredde. Il rapido passaggio dei
GR che hanno interagito con l’anticorpo nella circolazione generale, a 37 °C, consente il veloce completamento della attivazione complementare e l’emolisi
intravascolare.
Manifestazioni cliniche
La malattia non presenta preferenza né di sesso né di
età. La sintomatologia è caratterizzata da crisi emolitiche
accessionali cui seguono periodi di remissione completa.
In corrispondenza dell’esposizione di tutto il corpo o di
parti di esso alle basse temperature o anche alcune ore
dopo (fino a un massimo di 8), si ha comparsa di brividi, febbre, dolori lombari, crampi addominali, vomito
e diarrea.
Dopo l’attacco compare emoglobinuria (urine color lavatura di carne), che dura per circa 24 ore.
Il grado di anemizzazione, reticolocitosi e iperbilirubinemia indiretta dipende dall’entità della crisi, che solitamente non si prolunga oltre le 2 ore. Ben presto compare
leucopenia, cui segue granulocitosi.
Talora è presente splenomegalia e possono presentarsi
disturbi tipo fenomeno di Raynaud.
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Capitolo 48 - ANEMIE
Il test di Coombs diretto per le IgG non è positivo, dato
l’allontanamento delle Ig dagli eritrociti alla temperatura
di 37 °C. Positivo invece è il test di Coombs diretto per il
complemento.
La diagnosi si basa sul riscontro diretto dell’anticorpo di
D-L e su alcune prove quali il test omonimo, che consiste
nella dimostrazione di emolisi in vitro riscaldando a 37 °C
per 30 min un campione di sangue in precedenza tenuto
a 0 °C per 10 min.
La diagnosi differenziale è posta soprattutto con l’emoglobinuria da marcia, l’emoglobinuria parossistica notturna,
la mioglobinuria.
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Terapia
La prognosi è molto buona nel caso di una forma
sintomatica di morbillo e di parotite; al cessare della
malattia si avrà infatti completa reversibilità del quadro ematologico senza alcuna terapia specifica.
La forma idiopatica (molto rara) tende ad avere andamento cronico, mentre quella sintomatica di sifilide
si attenua curando l’infezione.
La splenectomia e l’uso di corticosteroidi sono inutili;
spesso l’unica terapia possibile è di evitare le esposizioni del paziente al freddo.
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Altre anemie emolitiche
Un meccanismo emolitico contribuisce alla patogenesi di
molte delle anemie di cui si è parlato in precedenza e per
alcune è l’esclusivo fattore patogenetico. Nella maggior
parte dei casi dipende da fattori intraglobulari, ossia da
anomalie insite nelle emazie che ne accorciano la sopravvivenza. Nel caso delle anemie immunoemolitiche le
emazie sono normali, ma è qualcosa che agisce dall’esterno che le conduce a una distruzione precoce. Questo è un
esempio di anemia emolitica da fattori extraglobulari. Ne
esistono vari altri elencati nella tabella 48.16.
Dell’anemia emolitica in corso di ipersplenismo si è parlato nel Capitolo 32. Tra le altre anemie emolitiche ci si
sofferma in modo particolare sull’anemia emolitica microangiopatica. Questa è dovuta a rottura dei GR circolanti
per l’impatto traumatico contro trombi che si vengono
a formare nella microcircolazione. Esistono tre cause di
anemia emolitica microangiopatica:
• coagulazione intravascolare disseminata (si veda
il Capitolo 56);
• anomalie della parete vasale nel corso di situazioni
come l’ipertensione maligna e la sclerodermia
(microangiopatia trombotica secondaria),
l’eclampsia, il rigetto di un trapianto renale
e le vasculiti;
• microangiopatia trombotica primitiva (porpora
trombotica trombocitopenica, sindrome emoliticouremica), di cui si parlerà nel Capitolo 56.
Dal punto di vista clinico, l’anemia emolitica microangiopatica è normocromica normocitica, con reticolocitosi
e aumento della LDH nel siero e diminuzione dell’aptoglobina. La sua caratteristica distintiva è la presenza
sullo striscio del sangue periferico di eritrociti deformati
o frammentati (schistociti).
Tabella 48.16
Anemie emolitiche da fattori extraglobulari
Anemie immunoemolitiche
Anemia in corso di splenomegalia (ipersplenismo)
Anemia da effetti tossici diretti sulle emazie
Da veleni chimici
Da veleni di serpenti
Da agenti biologici (infezione da clostridi, malaria)
Anemie da fattori fisici
Ustioni
Radiazioni
Trauma meccanico
— Emoglobinuria da marcia
— Turbolenza nelle cavità cardiache (protesi valvolari, stenosi
aortica calcifica)
— Anemia emolitica microangiopatica
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