Il dilemma del libero arbitrio di Dennis Overbye Mente & Cervello, n.36 dicembre 2007 Ero un uomo libero, padrone del suo destino: finché non è arrivato il menù dei dolci. C'era uno di quei tortini con il cuore di cioccolato fuso. E io fui improvvisamente trascinato senza scampo verso un tragico destino calorico, sospinto verso l'orlo di un buco (di cioccolato) nero. Mentre le immagini dell'attacco cardiaco di mio padre mi scorrevano davanti agli occhi, sul viso di mia moglie si dipinse un'espressione rassegnata. Questa scena si ripete ogni volta che usciamo, e non ci sono dubbi su come va a finire. D'accordo, riesco a immaginare che cosa state pensando: «Grazie a Dio, non è il mio caso». Dopo tutto, siamo esseri liberi, non schiavi, né robot o animali destinati a ripetere in continuazione gli stessi stupidi errori. Come scrisse William James nel 1890, tutto «il vigore e l'eccitazione» della vita viene «dalla nostra sensazione che le cose si decidano da un momento all'altro e che l'esistenza non consiste nel monotono sferragliare di una catena forgiata molti secoli fa». La scimmia e la tigre Ma negli ultimi anni una miriade di esperimenti ha indicato che la mente conscia è come una scimmia che cavalca una tigre di decisioni subconscie e azioni in divenire, inventandosi affannosamente delle storie per illudersi di averne il controllo. Fisici, neuroscienziati e informatici si sono così uniti ai filosofi nel dibattito su che cosa sia il libero arbitrio, se ne siamo davvero dotati, e, in caso contrario, per quale ragione abbiamo mai pensato di esserlo. La misura in cui questo ci rassicura o ci angoscia potrebbe dipendere da cosa si intende per libero arbitrio. La definizione tradizionale è quella di libero arbitro «libertario» o «profondo»: gli esseri umani sono agenti morali cui azioni non sono predeterminate. Questa scuola di pensiero dice, in pratica, che l’intera catena di causa ed effetto nella storia dell’universo si arresta di colpo mentre ci fermiamo a riflettere di fronte al menù dei dolci. A quel punto, tutto è possibile. Qualsiasi scelta facciamo è libera, e potrebbe essere stata diversa, ma non è casuale. Siamo responsabili di qualunque danno alle nostre finanze e alle nostre arterie. «A molti questo appare incoerente», osserva Michael Silberstein, filosofo della scienza all'Elisabethtown College in Pennsylvania, e sottolinea che ogni sistema fisico mai studiato si è dimostrato o deterministico o casuale. «Entrambe le possibilità sono una cattiva notizia per il libero arbitrio», spiega. Se le azioni umane non possono essere né determinate né casuali, «di che cosa si tratta? Di qualche arcano potere magico?» Chi crede che gli esseri umani siano magici non avrà problemi a vederla in questo modo. Ma qualsiasi cosa sia quel potere - che lo si chiami anima o spirito deve spiegarci come fa a esistere indipendentemente dall'universo fisico, e tuttavia arrivare dal mondo immateriale e mescolarsi al nostro, interferendo con le nostre cellule cerebrali fino a farci pronunciare le parole «cioccolato fuso». Un voto a favore del libero arbitrio arriva da alcuni fisici, secondo cui si tratta di un prerequisito per elaborare teorie e progettare esperimenti. Questo vale soprattutto per la meccanica quantistica, quella strana, paradossale teoria che attribuisce una casualità microscopica al fondamento della realtà. Di recente Anton Zeilinger, fisico quantistico dell'Università di Vienna, ha affermato che la casualità quantistica non è «una prova, ma solo un indizio, che abbiamo il libero arbitrio». Bambole voodoo Negli anni settanta Benjamin Libet, dell'Università della California a San Francisco, collegò alcuni volontari a un elettroencefalografo e chiese loro di eseguire movimenti a caso, come premere un pulsante o tamburellare con un dito. Osservo così che i segnali cerebrali associati a quelle azioni si verificavano mezzo secondo prima che il soggetto fosse cosciente di aver deciso di eseguirle. La sequenza delle attività cerebrali sembrava anteporre la percezione del movimento alla decisione di compierlo, e non viceversa. In pratica, il cervello conscio si stava solo mettendo alla pari con quello che il cervello inconscio stava già facendo. La decisione di agire era un'illusione: era la scimmia che si inventava una storia su ciò che la tigre aveva già fatto. 1 risultati di Libet sono stati riprodotti più volte nel corso degli anni, insieme ad altri esperimenti che indicano che ci inganniamo facilmente quando si tratta di rivendicare la paternità delle nostre azioni. In alcuni test i soggetti sono stati spinti a credere di star rispondendo a stimoli che non potevano aver visto in tempo utile per reagire a essi, oppure sono stati messi nella condizione di essere lodati o biasimati per cose che non potevano aver fatto. Prendiamo il caso dell'«esperimento voodoo» ideato da Dan Wegner, psicologo ad Harvard, ed Emily Pronin, di Princeton. L'esperimento consiste in un gioco con due persone. Una di loro, il vero soggetto del test, è lo «stregone», e scaglia una maledizione sull'altra infilando degli spilli in una bambola. La seconda persona è la «vittima», ma, all'insaputa della prima, è d'accordo con i ricercatori, e si comporta o in maniera così odiosa da farsi detestare dallo «stregone», oppure fa in modo di risultare piacevole. Dopo un po' la «vittima» comincia a dire di avere un gran mal di testa. 1 ricercatori hanno scoperto che nei casi in cui la falsa vittima si era comportata in maniera detestabile, lo «stregone» tendeva a rivendicare la propria responsabilità nel causare il mal di testa. Iceberg a due punte Questo è un buon esempio di «pensiero magico» realizzato in laboratorio, lo stesso che spinge i tifosi di baseball a indossare il berretto scaramanticamente alla rovescia per portare fortuna alla squadra del cuore. Potremmo dire che un tipo analogo di pensiero magico è responsabile dell’esperienza del libero arbitrio? «Noi vediamo le due punte dell’iceberg, il pensiero e l’azione – ha affermato Wegner – e tracciamo un collegamento». Ma la maggior parte dell’azione si svolge sotto la superficie; di fatto, spesso la mente conscia fa da freno a molte attività. Un giocatore di golf che pensa troppo può essere bloccato dalla tensione nervosa. I piloti ottengono migliori risultati guidando in automatico. Molti romanzieri raccontano di scrivere in una sorta di stato d trance, in cui non fanno altro che mettere giù ciò che viene dettato loro dalle voci e dai personaggi che hanno in testa. Naturalmente questi esperimenti non sono esenti da critiche, ed è tutto da discutere se si debba usare o no la parola «illusione» per descrivere il libero arbitrio. Lo stesso Libet ha affermato che i suoi risultati lasciano spazio a una versione ridotta di libero arbitrio, sotto forma di un potere di veto su ciò che percepiamo di stare facendo. In effetti, il cervello inconscio propone e la mente dispone. In un saggio del 1999, Libet scriveva che questo arbitrio semilibero, anche se non sembra un granché, basta a soddisfare gli standard etici: «I Dieci Comandamenti sono in gran parte imperativi che iniziano con "non"». L'amico Caso Daniel C. Dennett, filosofo e scienziato cognitivo della Tufts University, che ha scritto moltissimo sul libero arbitrio, è tra coloro che hanno cercato di ridefinirlo in modo che da un lato non implichi una fuga dal mondo materiale e dall'altro offra una sufficiente autonomia per la responsabilità morale: il che, a quanto pare, è ciò che preme a tutti. La convinzione che la tradizionale idea intuitiva di un libero arbitrio svincolato dalla causalità sia un paradosso metafisico inflazionato, dice Dennett, riflette una visione dualistica del mondo ormai superata. Al contrario, è proprio il nostro essere immersi nella causalità e nel mondo materiale che ci libera. L'evoluzione, la storia e la cultura ci hanno fornito di sistemi di feedback che ci danno la capacità esclusiva di riflettere e ponderare le cose e di immaginare il futuro. Libero arbitrio e determinismo possono coesistere. Secondo Dennett, «tutte le varietà di libero arbitrio che vale la pena avere, noi le abbiamo. Abbiamo il potere di mettere il veto ai nostri veti. Abbiamo il potere dell'immaginazione, di vedere e immaginare il futuro». In questa prospettiva, la causalità non è un nostro nemico, bensì un amico, e ci dà la capacità di guardare avanti e fare progetti. «E' questo quello che ci rende agenti morali. Non serve un miracolo per avere la responsabilità». Altri filosofi non sono concordi sull'estensione e sulla natura di questa «libertà». Le loro argomentazioni sono parzialmente incentrate sulla misura in cui aggregazioni di cose, che si tratti di elettroni o di persone, possono trascendere le proprie origini e produrre fenomeni nuovi. Libertà e complessità In teoria i cosiddetti fenomeni emergenti, come l'intelligenza e i mercati azionari, o l'idea della democrazia, crescerebbero in modo naturale secondo le leggi della fisica. Ma una volta che ci sono giocano seguendo nuove regole, e possono persino agire sui propri costituenti: un concetto a volte noto come «causalità verticale». Studiare i quark non è di alcun aiuto nel prevedere gli uragani: è fisica pura. Ma questo vale anche per il mercato azionario o il cervello? Queste regole sono elusive solo perché non riusciamo a risolverne le equazioni o perché accade qualcosa di fondamentalmente nuovo quando aumentiamo i numeri e i livelli di complessità? Il grado di indipendenza dei fenomeni emergenti dalle leggi della fisica (e quindi la misura della nostra libertà) è oggetto di discussione. Secondo Michael Silberstein, «non vi è nulla nella fisica fondamentale che indichi di per sé che non possiamo avere queste proprietà emergenti quando raggiungiamo livelli differenti di complessità». E George R. F. Ellis, cosmologo all'Università di Città del Capo, sostiene che la libertà potrebbe emergere anche da un contesto simile. «Una bomba atomica, per esempio, deflagra secondo le leggi della fisica nucleare. Che esploda davvero o no, invece, è determinato da considerazioni politiche ed etiche, che fanno parte di una categoria completamente diversa». Devo ammettere che trovo queste idee attraenti, se non addirittura liberatorie. Ma non vorrei che stessero cercando di vendermi una nuova versione della macchina per il moto perpetuo. Così ho cercato di fare chiarezza rivolgendomi a matematici e informatici. Secondo i quali, in base a impenetrabili principi matematici, anche le macchine possono diventare così complicate da comportarsi in modo imprevedibile, vittime anch'esse dell'illusione del libero arbitrio. Il computer illuso Se con «libero arbitrio» intendiamo la capacità di scegliere, anche un semplice computer portatile ha qualche grado di libero arbitrio, afferma Seth Lloyd, esperto di informatica quantistica e docente di ingegneria meccanica al Massachusetts Institute of Technology. Ogni volta che clicchiamo su un'icona il sistema operativo del computer decide come allocare lo spazio libero della memoria, in base a istruzioni di carattere deterministico. Tuttavia, «se gli chiedessi quanto tempo ci metterà ad avviarsi fra cinque minuti, il sistema operativo risponderebbe: "Non lo so, aspetta e stai a vedere, io prenderò le decisioni e ti farò sapere"». Perché i computer non sono in grado di dire che cosa faranno? Nel 1930 il filosofo austriaco Kurt Gödel dimostrò che in qualsiasi sistema logico formale, che comprende la matematica e quella specie di computer ideale che chiamiamo la macchina di Turing, ci sono affermazioni che non possono essere provate né vere né false. Di questa categoria fanno parte, per esempio, le affermazioni autoreferenziali come il famoso paradosso di Epimenide di Creta, il quale disse che tutti i cretesi sono bugiardi: se stava dicendo la verità, in quanto cretese, significa che stava mentendo. Da questo discende che nessun sistema può contenere una rappresentazione completa di stesso. Un'ulteriore implicazione è che non esiste nessun algoritmo in grado di determinare quando, o se, un dato programma del computer terminerà un certo calcolo. Il solo modo per saperlo è lasciarlo lavorare e vedere cosa succede. Qualsiasi modo per scoprirlo equivarrebbe a effettuare il calcolo. «Non esistono scorciatoie nel calcolo», spiega Lloyd. Ciò significa che quanto più ragionevolmente si cerca di agire, tanto più si è imprevedibili, per lo meno rispetto a se stessi. Anche se vostra moglie sa che ordinerete il tortino al cioccolato, dovete vivere la vostra vita per scoprire se lo farete davvero. Secondo Lloyd questa è una sorta di libero arbitrio, che vale per le macchine come per noi. Che importa se le nostre azioni sono determinate? Noi non sappiamo quali saranno finché il cameriere non avrà portato il menù. Cameriere! Ma come la mettiamo con Hitler? La morte del libero arbitrio, o il fatto di presentarlo come una comoda illusione, temono alcuni, potrebbe avere effetti devastanti sul nostro senso di responsabilità morale e legale. Le persone non sarebbero responsabili delle loro azioni più di quanto lo siano gli asteroidi o i pianeti. Tutto sarebbe permesso. Wegner ha scritto: «Temiamo che spiegare il male finisca per condonarlo. Dobbiamo mantenere acceso il nostro sdegno verso Hitler. Ma non sarebbe bello avere una teoria sul male da usare in anticipo per impedirgli di arrivare al potere?». Wegner è convinto che presentare il libero arbitrio come un'illusione non avrebbe un grande effetto sulla vita delle persone o sui loro sentimenti di autostima. 1 più continuerebbero a negarlo. «E’ un'illusione, ma un'illusione molto persistente; continua a ripresentarsi», ha detto, paragonandolo a un gioco di prestigio visto e rivisto. «Anche se sappiamo che è un trucco, ci caschiamo tutte le volte. Le sensazioni non se ne vanno». In un saggio sul libero arbitrio del 1999, Libet concluse citando lo scrittore Isaac Bashevis Singer, che una volta, durante un'intervista al Paris Review, disse: «Il dono più grande che l'umanità abbia ricevuto è la libertà di scelta. E’ vero che siamo limitati nel nostro uso della libertà di scelta. Ma la poca libertà di scelta che abbiamo è un dono talmente immenso e ha un valore potenzialmente così elevato che è un fatto per cui da solo vale la pena di vivere». In fin dei conti potrei rinunciare al tortino di cioccolato. Davvero, potrei. Ma chi se ne importa? Cameriere! Dennis Overbye è fisico di formazione, ma si occupa di giornalismo e saggistica scientifica. Attualmente è redattore del New York Times. Tra i suoi libri, Einstein innamorato. La vita di un genio tra scoperte scientifiche e passione romantica. Questo articolo è stato pubblicato sul New York Times Magazine del 2 gennaio 2007.