BRESCIANI C., Un dialogo non ancora iniziato, in Famiglia Oggi

PSICOTERAPIA E PASTORALE
Un dialogo non ancora iniziato
di Carlo
Bresciani
(docente di Psicologia pastorale e Teologia morale, Studio teologico Paolo VI di Brescia)
Il rapporto fra pastori e psicoterapeuti non è mai stato facile. Molte incomprensioni sono
causate dalla scarsa conoscenza reciproca. Ma basterebbero pochi chiarimenti a rendere
efficace la loro collaborazione. Lo esige il bene dei coniugi.
Si rileva spesso che le persone impegnate nella pastorale familiare reagiscono in maniera molto
diversificata nei confronti della psicoterapia applicata alla famiglia. Alcune hanno attese certamente
esagerate rispetto alle effettive possibilità di aiuto che la psicoterapia può dare, altre esprimono un rifiuto
pressoché globale, segno evidente che le idee non sono chiare e che, probabilmente, la conoscenza
reciproca è limitata. Esiste, dunque,
molta confusione sulle possibilità di collaborazione proficua
tra due discipline che si interessano entrambe del bene del matrimonio e della famiglia, nonché
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delle persone che in essi vivono. Anzi, forse il dialogo non è neppure avviato .
Spesso il prete che si occupa di pastorale non sa che cosa fare di fronte a un matrimonio in crisi o a una
coppia in difficoltà relazionale. Conosce molto bene quale sia, dal punto di vista dogmatico, canonistico e
morale, la dottrina della Chiesa sul matrimonio e si sente pronto a ribadirla con convinzione. Avverte però
una incapacità ad entrare nelle problematiche relazionali e conflittuali della coppia e, quindi, delega
semplicemente il tutto allo psicoterapeuta, indirizzando a lui la coppia. Li invita a rivolgersi allo
psicoterapeuta, a volte anche senza preoccuparsi neppure troppo del tipo di indirizzo psicologico e di
quale attenzione ai valori cristiani abbia lo specifico operatore. Altre volte assistiamo a una specie di
affido della coppia, anche nel corso di preparazione dei fidanzati al matrimonio, allo psicologo, il quale si
fa carico di tutto l'aspetto formativo alla relazione.
Il pastore (il sacerdote) è intimidito da ambiti nei quali si sente insicuro o che vede carichi di
problematiche, preferisce delegare completamente ad altri che ritiene più competenti, ritirandosi sul
terreno "più sicuro" dei principi. Ciò porta a una sopravvalutazione ideologica della psicologia in funzione
preventiva e della psicoterapia in funzione curativa del matrimonio.
La domanda che, in tale modo di procedere, resta scoperta è se la funzione propria della pastorale possa
essere appiattita sull'aspetto umano, quasi che le tematiche inerenti la relazione di coppia siano solo una
questione psicologica e sulle quali la fede non abbia nulla da dire e da offrire. Per quanto sia importante
l'aiuto della psicoterapia in alcuni casi, compito del pastore, nell'ambito suo proprio, non può venir meno.
D'altra parte la psicoterapia non si propone alcuna forma di evangelizzazione, evidentemente.
Nell'approccio della delega, resta, quindi, inevasa la domanda su quale debba essere il posto o il ruolo
della grazia non solo nel sacramento e nella vita da esso generata, ma anche nel superamento delle
difficoltà e delle crisi nel rapporto di coppia. Non ha forse la fede, con le verità antropologiche in essa
contenute, anche una valenza terapeutica?
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Cfr. Baumgartner I., Psicologia pastorale, Borla, Torino 1993, p. 411.
Questa seconda reazione del pastore potrebbe sembrare la risposta pertinente alle obiezioni appena
sollevate nei confronti dell'approccio della delega. in realtà siamo di nuovo di fronte a una incapacità a
valutare adeguatamente i distinti piani, umano e religioso, in relazione tra di loro.
A volte il rifiuto totale della psicoterapia è una reazione a forme di intervento che o banalizzano ed
escludono completamente il discorso religioso o riducono tutto al benessere emotivo/relazionale della
coppia, trascurando altri fondamentali valori propri del matrimonio, come quelli dell'indissolubilità,
dell'unità e della fedeltà, oppure diffondono un idealismo matrimoniale che rende insopportabile e
invivibile qualsiasi limite relazionale.
Ciò che spesso preoccupa il pastore sono alcune prospettive psicoterapeutiche che sembrano vanificare il
valore della fedeltà coniugale fino a farla diventare un'utopia, suggerendo con una certa disinvoltura
separazioni, divorzi e seconde nozze.
Le irrealistiche promesse di un rapporto di coppia da cui sembra si voglia escludere la possibilità di
sofferenza rendono sospettoso e perlomeno cauto il pastore. Non di rado, egli ha l’impressione che la
psicoterapia sia suscitatrice di attese sconfinate, quasi che il coniuge debba e possa essere qualcosa di
molto simile a un salvatore e il matrimonio possa essere una specie di paradiso secolarizzato. In questa
maniera, sono i matrimoni migliori che rischiano di fallire a causa dello scontento provocato dalla non
realizzazione delle irrealistiche prospettive di benessere emotivo totale che il matrimonio avrebbe dovuto
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soddisfare .
«Un'eccessiva idealizzazione del matrimonio, proveniente da una quanto mai dubbia antropologia,
contribuisce decisamente a rendere vulnerabile la fedeltà coniugale. Si tratta di un'antropologia che
sembra non tenere in giusto conto sia le povertà intrinseche dell'essere umano, sia la realtà della
presenza in lui del limite con tutto quello che ciò comporta nel rapporto con sé stesso e con l'altro.
«L'amore di cui si parla sembra incapace di comprendere e di farsi carico delle povertà della persona
umana; tale concezione le chiede quello che con tutta buona volontà spesso non è in grado di dare. Per
questo il rapporto si avvia su un declino segnato da più o meno esplicite ripicche e ricatti per quello che
non si riesce a ottenere. Dal rammarico, vissuto come il subire qualcosa di ingiusto, a forme più o meno
sorde di accusa e alla successiva ricerca altrove di illusorie compensazioni, se non nel comportamento,
almeno nella fantasia, il passaggio è breve. L'amore e la fedeltà devono fare i conti con la povertà e i
limiti della persona umana. Se manca questa capacità non resta spazio se non per un amore forse molto
esaltato, ma impossibile. Una psicoterapia che sembra essere poco conscia dei suoi limiti, di quelli che
anche nell'amore più vero debbono essere accettati e tollerati (non tutte le impostazioni
psicoterapeutiche peccano di queste esagerazioni, ma non tutti i pastori fanno queste distinzioni), porta a
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reazioni che non sempre sono giustificate» .
Il pastore che rifiuta la psicoterapia pensa e agisce come se la convinzione dei valori e la volontà, da sole,
potessero risolvere le incomprensioni e i problemi relazionali della coppia. Egli stesso pecca, quindi, di
idealismo. Ma, d'altro canto, il pastore non può che guardare con occhio severo un approccio alla famiglia
che sembra ignaro di tutti i valori che ne sono coinvolti. Una terapia, che sembra suggerire con troppá
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«Come risultato possiamo aver creato la situazione paradossale che sono i buoni matrimoni che stanno fallendo, i
migliori impieghi che vengono lasciati e i genitori più aperti e più coscienziosi che vengano lasciati dai loro figli,
tutto a causa delle aspettative sconfinate che abbiamo contribuito a creare» (Farson R., The Technology of
Humanism, in "Journal of Humanistic Psychology", 18, 1975, 2, p. 11)
Bresciani C., Fragilità umana e fedeltà coniugale, in "Quaderni teologici del Seminario di Brescia, IX: il
matrimonio", Morcelliana, Brescia 1999, pp. 224-225.
disinvoltura la dissoluzione del vincolo matrimoniale come risposta ai problemi relazionali con il coniuge,
non può essere da lui condivisa.
Questa forma di rifiuto, alquanto diffusa in verità, pecca di una visione soprannaturalizzata del vincolo
matrimoniale. La grazia non elimina certo la natura - il carattere delle persone e le loro immaturità
relazionali -, corrobora nel portarla a compimento, ma non si sostituisce alle dinamiche umane né
all’impegno che la coppia deve porre nella costruzione su basi realistiche del proprio rapporto.
Quali valori comuni devono guidare la coppia nella costruzione della propria relazione? Il problema dei
valori non può essere disatteso da una terapia della famiglia.
Un falso dilemma
Per qualcuno sembra che sia su questa falsa altemativa che le due discipline - pastorale e psicoterapia - si
scontrano e si differenziano. In verità, una tale contrapposizione non è per nulla soddisfacente per
nessuna delle due discipline. Una rappresentazione della pastorale della famiglia e del matrimonio, come
se essa fosse interessata solo alla difesa dell'istituto matrimoniale a scapito del bene delle persone, e una
rappresentazione della psicoterapia, come se essa fosse interessata solo alla felicità e al benessere delle
persone coinvolte, sono molto riduttive ed eccessivamente semplificanti la realtà.
Non esiste contrapposizione vera e propria tra istituzione e persona, per quanto in alcuni casi così possa
apparire. L'istituzione matrimoniale è un ambito nel quale si esprime necessariamente la vita dei coniugi e
la loro libertà si rende possibile. L'istituzione matrimoniale, con le esigenze che le sono proprie, è a
servizio della persona e del bene dei coniugi, non è solo un'esigenza della società che si impone
costrittivamente su di loro.
L'istituzione matrimoniale sta a difesa e a sostegno delle persone unite in matrimonio. Lo ricorda
opportunamente la già citata esortazione apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II:
«L'istituzione matrimoniale non è un'indebita ingerenza della società o dell'autorità, né l'imposizi
estrinseca di una forma, ma esige interiore del patto d'amore coniugale che pubblicamente si afferma
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come unico ed esclusivo» . La crescita della persona verso la maturità relazionale deve comportare lo
sviluppo della capacità di accettare e di vivere le esigenze intrinseche del matrimonio, accettando anche i
limiti che sono propri di ogni relazione interpersonale. Il richiamo della pastorale all'insuperabile
dimensione istituzionale della realizzazione della persona – la persona si realizza solo all'interno delle
istituzioni e non in contrapposizione ad esse – è corretto e doveroso. Rimane, tuttavia, necessario che
essa adotti una concezione dinamica del matrimonio e della famiglia, concezione che è molto ben
presente all'approccio psicoterapeutico. Accettare una prospettiva dinamica non significa, né deve
significare, accettare forme di relativismo morale, ma prendere atto che il sacramento celebrato è il punto
di partenza di una crescita insieme, non necessariamente lineare, priva di conflittualità e di possibili
momenti critici. Per questo, lo sviluppo della convivenza matrimoniale può aver bisogno di molteplici aiuti
e sostegni, sia prima che abbiano a manifestarsi crisi particolari, sia per il loro superamento una volta che
siano venute in piena luce.
Tra gli aiuti di cui la convive matrimoniale ha bisogno si inserisce la fede con il suo dinamismo proprio che
ha anche un'indubbia valenza terapeutica. Riconoscerlo non significa in alcun modo attribuire alla fede
valore strumentale o ricorrere ad essa per scopi che non le competono (le cerimonie religiose, per il
credente, non hanno nulla a che fare con forme di psicodramma, per esempio). Tale dinamismo
terapeutico deve essere tenuto presente, sia teoricamente sia praticamente, in qualsiasi approccio alle
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Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, 22-11-1981, n. 11.
crisi del matrimonio di coniugi cristiani. Ciò dovrebbe valere anche per lo psicoterapeuta che lavora con
una coppia cristiana.
La valenza terapeutica della fede si inserisce sul dinamismo proprio delle relazioni umane, non
sostituendolo, ma sorreggendolo, fornendogli ispirazioni ideali, rimotivando un amore che trova difficoltà
ad esprimersi, mettendo davanti ai coniugi il modello Cristo-Chiesa, donando i mezzi propri della grazia
che opera nell'essere umano. Poiché la fede e la grazia non sostituiscono il dinamismo delle relazioni
umane, resta uno spazio per un valido intervento della psicoterapia, con gli strumenti che le sono propri,
quando la coppia con i suoi mezzi da sola non riesce a venire a capo delle difficoltà in cui si dibatte.
Anche la dimensione morale, con le norme di comportamento che essa richiede, è certamente né
opinabile né arbitraria nella vita di coppia: bisogna però che il pastore superi una visione moralistica che
tende a far leva solo sulla volontà e sulla predicazione delle norme, quasi che da sole bastino a formare le
persone alla relazione d'amore come dono di sé. D'altra parte, occorre che la psicoterapia della famiglia
superi una visione estrinsecistica della morale, quasi si trattasse di una sovrastruttura autoritaria che
contribuisce semplicemente a mettere in crisi o a complicare senza necessità la vita matrimoniale.
È necessario che la psicoterapia adotti una concezione del matrimonio e della famiglia in grado di rendere
ragione non solo delle dinamiche emotive relazionali, ma anche delle esigenze morali intrinseche del
rapporto coniugale, esigenze che non possono essere inventate e rimodellate a piacimento, con un
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dinamismo auto-poietico, come ricorda il sociologo P.P. Donati . Detto in altri termini, è necessario che la
psicoterapia affronti seriamente il problema dell'oggettività dei valori e delle norme morali onde dare
forma e contesto solidi e duraturi all'espressione dell'emotività e dell'affettività coniugale.
L’antropologia cristiana
Su quali linee è pensabile un possibile rapporto tra psicoterapia e pastorale familiare? Affinché si possa
stabilire un dialogo proficuo tra le due discipline, su basi che promettano di essere feconde, quel dialogo
che secondo Baumgartner non è neppure iniziato, è necessario che venga messa a tema e resa esplicita
l'antropologia sottesa ai diversi approcci psicoterapeutici. Non è pensabile un approccio psicoterapeutico
che non sottenda, almeno implicitamente, un'antropologia della coppia e della relazione. Un'antropologia
contraria a quella cristiana non può certo rivendicare di poter essere di aiuto nella pastorale matrimoniale
della Chiesa.
Ciò non significa rivendicare un ruolo "dittatoriale" del pastore nei confronti della psicoterapia, ma
soltanto ricordare che quest'ultima deve rispondere alle richieste di fedeli in difficoltà matrimoniale, i quali
non chiedono di staccarsi dai valori della propria fede o di rinunciare al sacramento, con quanto esso
richiede e dona, ma di essere aiutati a superare le difficoltà per vivere pienamente il sacramento nel
quale si sono reciprocarnente consacrati.
Il pastore è portatore di istanze antropologiche e valoriali fondamentali, che provengono dalla rivelazione
di Gesù Cristo, ma non è certo l'unico competente sul modo di aiutare i fedeli a viverle e scoprirle in
profondità o, nel caso della psicoterapia, sul modo di aiutare i fedeli a superare quelle difficoltà che si
frappongono al loro desiderio di viverli. Lo spazio nel quale il confronto e il dialogo potrebbe essere
proficuo per entrambe le discipline, purché vogliano ascoltarsi e arricchirsi reciprocamente, è quello
dell'antropologia cristiana.
Se si prende in considerazione l'antropologia, non si può evadere la domanda su quale risposta sia
possibile dare alle attese di felicità con le quali i coniugi abbracciano il progetto matrimoniale.
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Cfr. Donati P.P., L'emergere della famiglia auto-poietica, in "Primo rapporto Cisf sulla famiglia".
L'innamoramento rende coscienti gli amanti che la loro felicità dipende dall'altro ed è un suo dono. Le
attese di felicità dal matrimonio in sé non sono errate, ma nessun matrimonio potrà mai dare risposta
piena alle attese di compimento e di felicità. Il motivo sta nella limitatezza intrinseca di ogni essere
umano e, quindi, anche di ogni relazione umana. Nessuno sarà mai in grado di soddisfarle
completamente, eppure quelle attese non possono essere immediatamente derubricate a illusioni.
Occorre riconoscere in esse una verità, una dinamica intrinseca che apre al trascendente, un'apertura che
passa attraverso i rapporti umani, verso la dimensione religiosa una nostalgia che solo il divino può
essere in grado di soddisfare. Il cristiano vede in questa tensione una chiamata - una vocazione - inscritta
da Dio stesso nel rapporto uomo-donna, cui insieme i due coniugi devono rispondere. Insieme sono
chiamati a riconoscere che solo in Dio, e non nell'uomo, le loro attese avranno pieno compimento. Il loro
rapporto attuale è solo una figura, un'anticipazione, immersa nelle gioie e nelle fatiche relazionali, di
quella che sarà la comunione piena e beatificante in Dio.
Tenere viva questa nostalgia è tutt'altro che negativo per il rapporto coniugale. Se essa è vissuta in modo
adeguato, è addirittura liberante il rapporto stesso di coppia: permette ai due coniugi di non chiedere al
matrimonio, e quindi al coniuge, quello che non potrà mai dare e nello stesso tempo di gustare le gioie
limitate, ma vere, da esso donate. I coniugi diventano così capaci di portare creativamente, nel sostegno
reciproco, i limiti, e a volte anche i momenti di eroismo, che segnano il loro rapporto.
L'antropologia che sottostà alla psicoterapia non può non tenere conto di tutto questo. La psicoterapia
non può promettere quella felicità che non è di questo mondo, secolarizzando così l'escatologia. Ciò non
significa togliere o banalizzare il suo impegno nella terapia delle patologie che segnano il rapporto
coniugale e familiare. E di questo il pastore ha bisogno.
Carlo Bresciani
I DUBBI SOLLEVATI DALLA CHIESA
La Chiesa ha sempre ritenuto uno dei suoi compiti primari la cura del matrimonio e della famiglia, anche,
sia pure non solo, per il loro valore religioso altamente simbolico. La famiglia, infatti, è fondata sul
sacramento del matrimonio, il quale rimanda intrinsecamente al rapporto tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef
5,21ss). Il matrimonio, in tutta la sua realtà anche umana, non è che un simbolo, la cui verità è il rapporto
tra Cristo e la sua Chiesa. In questo rapporto archetipale tra Cristo e la Chiesa il cristiano trova il modello
di ogni amore matrimoniale: «mariti amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei» (Ef 5,25).
Inoltre, la Chiesa individua nel matrimonio e nella famiglia uno dei luoghi principali della formazione
umana e cristiana della persona, formazione che è diritto-dovere proprio di ogni famiglia nei confronti dei
suoi membri. Recentemente la ricchezza della dottrina e della pastorale della Chiesa in questo ambito è
stata ripresa, in maniera più organica di quanto non sia mai stato fatto nel passato, nell'esortazione
apostolica Familiaris Consortio (22 novembre 1981).
È interessante notare che nella parte pastorale di questo documento non viene mai fatto cenno al
contributo che la psicoterapia potrebbe dare alla famiglia, contributo che sarebbe molto importante
almeno di fronte alle tante difficoltà relazionali che oggi si manifestano e alle crisi matrimoniali che
segnano il mondo occidentale. Ciò appare sorprendente, dal momento che a un primo approccio
sembrerebbe di dover dire che sia la pastorale della Chiesa sia la psicoterapia trovano un punto di
incontro nell’aiuto alla coppia in difficoltà nella ricerca di una buona riuscita umana del matrimonio e della
famiglia. Evidentemente si scontano anche in ambito pastorale le problematiche generali di un rapporto
tra la Chiesa e la psicologia/psicoterapia che non sempre è stato facile. Alcuni chiarimenti sono avvenuti,
soprattutto, nei confronti della psicologia, ma qualche difficoltà rimane per la psicoterapia.
c.b.