Sempre di più. Logan il cane, il dottor Freud ed il

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Logan è uno splendido Labrador Retriever di circa tre anni. Lo incontro spesso sotto casa e nel bar
dove accompagna i suoi padroni. Atletico e socievole, grande amico dei bambini, gli manca solo la
parola. Anzi no, perché si fa capire perfettamente: in particolare è goloso di focaccia e di cornetti
con lo zucchero a velo. Chiede la sua parte con buffi movimenti del muso e tendendo la zampa.
Mangia felice i bocconcini che gli offriamo e ringrazia leccando la mano o con musate amichevoli
nelle gambe. La sua gratitudine è sincera e se un avventore maltratta, anche per scherzo, uno dei
suoi benefattori, ringhia deciso, per far capire da che parte sta. Dopo alcune degustazioni, se gli si
offre altro cibo, per quanto i labrador abbiano un appetito leggendario, smette, con atteggiamenti
chiarissimi di rifiuto. Un istinto sicuro lo guida: è sazio, e rinuncia alla deliziosa focaccia ligure.
Ho la sensazione che l’uomo occidentale contemporaneo avrebbe molto da imparare da Logan: non
solo in termini di lealtà e simpatia, ma soprattutto perché lui conosce il suo limite. Il corredo
genetico ricevuto, le informazioni trasmesse da generazioni della sua razza sono la bussola del suo
essere nel mondo.
Noi, tutto il contrario. La nostra parola d’ordine è “sempre di più”. Affrancati da ogni frontiera,
liberati da qualsiasi limite, vogliamo sempre di più, di qualsiasi cosa, merce, profitto o esperienza. E’
una novità profonda, una caratteristica che l’uomo di ieri non possedeva, o che, quanto meno, era
trattenuta, frenata, tenuta a bada da credenze diffuse, principi morali, idee religiose introiettate
dalla gran massa.
Il capitalismo ha fatto la differenza, plasmando l’homo oeconomicus, che pretende di massimizzare il
proprio interesse materiale e ne fa il centro della vita. Poi ha inventato l’homo consumens et
desiderans, il cui immaginario simbolico è dominato dal feticismo delle merci (Marx l’aveva ben
compreso) e da un delirante, compulsivo desiderio di sensazioni ed esperienze sempre nuove, il cui
limite è progressivamente spostato più in alto, come l’asticella nelle gare di salto.
Era già chiaro ai padri greci che il desiderio, illimitato per natura, è l’ostacolo più grande alla
felicità, e la lezione di Epicuro fu il riconoscimento che il piacere, pur essendo un sommo bene,
consiste nella saggezza di sapersi accontentare della propria vita, godersi ogni momento come se
fosse l’ultimo, senza preoccupazioni per l’avvenire. La condotta umana, quindi, deve essere
improntata verso una grande moderazione: meno si possiede, meno si teme di perdere. Egli distinse
un piacere che chiamò cinetico, che dura per un istante e lascia più insoddisfatti di prima: sono
piaceri cinetici quelli legati al corpo, alla soddisfazione dei sensi. Poi individuò un piacere
catastematico, durevole, che sa valutare i desideri, catalogandoli come naturali e necessari, naturali
e non necessari, ed altri né naturali né necessari, “ma nati solo da vana opinione”. La vita, per
Epicuro, è un banchetto che può terminare in qualsiasi momento. Il saggio, pertanto, non gozzoviglia
né attende le portate più ricche, ma si accontenta di ciò che ha avuto, pronto ad uscire di scena
senza rimpianti.
Aristotele fu il grande teorizzatore della misura (metron) e della saggia intelligenza che definì
phrònesis, ma l’intero mondo ellenico si attenne al rispetto del limite, chiamando arroganza la
dismisura (hybris). L’uomo contemporaneo europeo ed occidentale è uscito definitivamente dalla sua
stessa civiltà; egli ama, anzi vuole oltrepassare ogni limite, attraversare qualsiasi confine con
scarponi chiodati, abbattere ogni remora, ignorare ogni scrupolo. Oswald Spengler chiamò tale
atteggiamento “faustiano”. Il liberalcapitalismo ultimo vive di questo, ed alimenta continuamente il
desiderio con la trappola del consumo compulsivo.
Non è un caso che la pseudo scienza della psicoanalisi sia nata e cresciuta, sino a trasformarsi in un
criterio generale di giudizio sulla realtà, da quando si è dispiegata la potenza, creatrice e distruttrice
insieme, dell’universo capitalista. In particolare, il suo fondatore, Sigmund Freud, teorizzò il
cosiddetto “lustprinzip” o principio di piacere. L’uomo desidera la felicità, nel senso
Ereticamente
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dell’appagamento immediato, irrazionale, dei suoi desideri e pulsioni. Il desiderio, lustprinzip, si
scontra con la realtà, costituita dalle costrizioni e dalle consuetudini morali che impediscono il pieno
soddisfacimento del piacere. Ciò genera la frustrazione, che è però temperata dall’altro principio che
governa la vita umana, quello di realtà, il regolatore che agisce nel senso di rinviare l’appagamento
del desiderio, trattenere l’aspettativa di piacere, accordare la gratificazione a situazioni avverse. Il
principio di realtà agisce inoltre come equilibratore dell’intero funzionamento psichico, e
corrisponde al concetto di “super io”, mentre il principio di piacere è la modalità di funzionamento
dell’Es , che rappresenta la voce degli istinti nell’animo dell’uomo.
La non ideologia liberista, pensiero fintamente debole, in realtà fortissimo nella sua carica
nichilistica e dissolutrice è il sistema che ha meglio compreso, da pensiero esclusivamente
strumentale qual è, la potenza dirompente delle teorie del dottor Freud, specie la parte che assegna
il primato alle pulsioni più basse e nascoste dell’animo umano. L’alternanza di eros (pulsione al
piacere) e thànatos, istinto incontrollato di morte e distruzione, indirizzato allo scarico totale di tutti
gli impulsi è, se adeguatamente compreso ed indirizzato, l’alleato naturale del capitalismo di
consumo. Thànatos può provocare comportamenti autodistruttivi, ovvero essere convogliata verso
l’esterno come energia passionale; la società-mercato ne è l’ambiente privilegiato, poiché provoca la
dissoluzione di tutto ciò che è suscettibile di fungere da freno, a partire dalle leggi morali che
reprimono la soddisfazione immediata di capricci e bramosie. In questo senso, l’economia liberista,
dai classici in poi, è guidata anche a livello teorico più dal desiderio che dalla soddisfazione del
bisogno.
Bernard Mandeville, anzi, teorizzò, nella Favola delle Api, i vizi privati che diventano virtù in quanto
alimentano lo scambio. Forse l’unico sincero fino in fondo, il medico anglo olandese economista
dilettante. Il filosofo francese Jean Vioulac ha scritto di recente “Il liberalismo, nella misura in cui si
definisce tramite l’esigenza della deregulation e della de-istituzionalizzazione di ogni attività umana,
è il progetto politico di smantellamento completo dell’ordine della legge, e in questo è uno dei più
potenti motori del nichilismo”. Principio di piacere, più Eros e Thanatos, uguale assenza di limite,
revoca delle leggi morali, individualismo esasperato, discredito di ogni comunità o solidarietà,
riduzione dell’Altro a mezzo, reificazione di tutto, da misurare in valori monetari e capacità di
causare piacere, nelle forme più varie e triviali.
Prigioniero del principio di piacere, nemico della realtà, che gli ricorda la fatica, la necessità, la
caducità della vita, l’occidentale moderno e progressista, liberato “da”, libero “di”, per dirla con il
lessico della psicologia analitica, ha posto il Super Io (ovvero la coscienza critica, dove risiede il Sé),
al servizio dell’Es, lo scatenamento pulsionale, infero, istintuale. Apollo sovraordinato a Dioniso,
avrebbe detto Nietzsche.
Sua Maestà il mercato ha innalzato per lui una nuova trinità: piacere, ricchezza, immagine. A
differenza di Logan, che in questo periodo non è in calore, trascura le cagnoline, non degna di uno
sguardo i botoli ringhiosi di piccola taglia, litiga il giusto con i maschi più grandi e rifiuta l’ennesima
offerta di leccornie, il nostro Homunculus è goloso, obeso, sovraccarico di desideri compulsivi e
consuma innanzitutto se stesso.
Homunculus è la creatura artificiale prodotta in laboratorio da Wagner, l’allievo di Faust, nella
seconda parte del capolavoro goethiano. Antesignano dell’odierna tecnoscienza, Homunculus rompe
la provetta e vuol provare tutti quei piaceri che Faust ha ottenuto dal patto con Mefistofele, specie
quelli della carne. Alla fine pure lui, omino artificiale, postumano in anticipo di secoli desidera
“provare infine se mi riesca a nascere davvero in piena regola”. Dunque, ha riflessi di vita autentica.
Più artificiale sembra l’umano postmoderno, che insegue tutto senza mai raggiungerlo. Questa è la
logica del consumo: desideri sempre diversi, nuovo contro vecchio, il più nuovo che sconfigge la
moda di ieri, ma sarà già sfiorito al tramonto, come certe rose.
Ereticamente
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Milioni di giovani sballano in discoteca al ritmo di musiche ripetitive, ora violente, ora ipnotiche.
Bevono, assumono farmaci o droghe per reggere il ritmo, prolungare il piacere, estenderne
l’intensità sinché la fisiologia prende il sopravvento. Certi Romani avevano un rapporto tanto
distorto con la ricchezza ed il cibo da provocarsi il vomito per poi ricominciare. Credo sia capitato a
tutti di essere testimoni di conati di sballati sfiniti. Il sesso diviene consumo, coazione a ripetere,
indifferenza verso i partners, perché mio è il piacere, mia l’esperienza, la sensazione, l’Altro è solo il
mezzo, l’oggetto. Spesso intercambiabile, non di rado è indifferente che sia uomo, donna o chissà
che altro, probabilmente in cerca anch’esso delle medesime emozioni. Altri farmaci, viagra, adesso
anche la sostanza che stimola il piacere femminile, e, su tutto, il mito del corpo, della giovinezza.
Immagine…
Una volta si teneva all’onore, non senza qualche distorsione, ma l’onore era essenzialmente il senso
di sé entro la comunità ed i valori in cui ci si riconosceva. Persino il mercante teneva in conto il
proprio onore, che consisteva sì nella solvibilità, ma soprattutto nel rispetto della parola data. Ora,
teniamo all’immagine, ovvero alla fotografia unidimensionale ma coloratissima di come vogliamo
sembrare.
E’ una volgarizzazione fognaria di George Berkeley : “esse est percipi”, ogni cosa esiste solo in
quanto viene percepita da noi. Piacere ed immagine si possono conseguire, o inseguire, solo se si
hanno mezzi economici. La chirurgia estetica e la mania del corpo, “fitness”, costano, come gli abiti
firmati e le vacanze in certi luoghi deputati dove si appare e si insegue il piacere, specie quello
sessuale, che sarebbe poi, di per sé, il più naturale di tutti.
Un giro in uno di quei centri commerciali chiamati outlet – che invero significa rimanenza – è più
istruttivo della lettura di interi manuali di sociologia o antropologia culturale. La famigliola, talora
con nonna al seguito, fa cento chilometri in autostrada, paga allegra pedaggio e benzina con carta di
credito e, nei sotterranei, magia, trova parcheggio, altro che in centro. Ammira i fabbricati
commerciali con gridolini di entusiasmo, e mette mano alla fotocamera dello smartphone: vie e
costruzioni sono l’imitazione dell’architettura tradizionale della zona, solo più banale, devitalizzata,
ma biodegradabile. Immagine…
Intanto, acquista. E’ tutto “di moda”, e c’è davvero di tutto, tranne i libri e gli altri prodotti culturali.
Strilli accompagnano la vista dei negozi intitolati ai vari marchi e brand gestiti in franchising (oh,
l’english di massa!), dove ogni prodotto costa un paio di euro meno che in città e le offerte speciali
allettano i gonzi in libera uscita. I bimbi piccolissimi, che non sono ancora consumatori, sono
parcheggiati in appositi recinti con babysitter gentilmente fornita dalla direzione, comode panchine
ai quadrivi ospitano i nonni che non si potevano proprio lasciare a casa (spesso pagano loro), giusto
nelle vicinanze di parafarmacie e negozi di articoli sanitari.
In altri settori, si attardano i giovani, tra bar simil-pub, videogiochi ed abbigliamento generazionale.
Mamma e papà pagano con carta di credito anche articoli di poco prezzo, tanto lì il POS ce l’hanno
tutti.
Per i nostalgici del contante, vicino all’ipermercato od ai negozi più cari ci sono i bancomat. Tutto
per la felicità del consumatore, che tornerà a casa esausto, ma felice di aver riempito l’automobile
con merci per lo più inutili, sino a quando, in coda, si accorge di aver dimenticato proprio quella
cosa lì, a cui teneva tanto, e per la quale aveva affrontato il viaggio. Pazienza, tornerà, magari
indebitato con il credito al consumo, ma domani mostrerà in ufficio le fotografie scattate, ed i selfies
di fronte alla piazza finta, in cui è venuto così bene, per merito del comodo bastoncino allungabile in
vendita da immigrati itineranti di varie nazionalità.
Piacere, immagine, ricchezza. Quella sognata, o perseguita senza scrupoli, riguardi o senso morale.
Ereticamente
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Quella che permetterà la crociera di lusso o il viaggio nelle capitali più “cool”, in cui visiterà devoto
altri templi del commercio, del piacere e della movida. Ricordate il Bataclan, in cui tanti sono morti
ascoltando un brano musicale in cui si invitava a baciare il diavolo? Se di soldi ne abbiamo pochini,
niente paura. Possiamo imitare i ricchi (perbacco, c’è la democrazie e vige l’uguaglianza!) con il “low
cost”. Tutti in gregge a basso prezzo, e pazienza se così non lavorano più connazionali od europei,
ma solo poveracci multietnici.
L’importante è che “ci siamo divertiti” e possiamo apparire su Facebook : principio di piacere più
immagine. Sempre più in là, sempre di più. Homunculus senza neppure la nostalgia di una nascita
vera, della vita da persona che animava l’esserino del Faust.
Sempre di più, ma verso il basso. Quel basso che non conosce il mio amico a quattro zampe Logan,
che mi lecca la mano se gli offro la focaccia, ma non pretende tutto il forno, che ama la cagnette, ma
solo al tempo suo, Logan che farebbe del male solo per paura o per difendere il suo padrone.
Homunculus, bianco europeo del XXI secolo in rapida, meritata estinzione, distillato nell’alambicco
del progresso, che vivi per possedere, apparire, bramare, guardati allo specchio come Narciso.
Davvero, vuoi essere meno del tuo cane?
ROBERTO PECCHIOLI
Ereticamente
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