FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
SEZIONE DI DIRITTO PUBBLICO
Dottorato di ricerca in diritto amministrativo
XXV ciclo
LE FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA:
POLITICHE PUBBLICHE E PROCEDIMENTI DI
AUTORIZZAZIONE
Tutor:
Candidato:
Chiar.mo Prof. Giacinto della Cananea
Dott.ssa Laura Immè
LE FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA: POLITICHE
PUBBLICHE E PROCEDIMENTI DI AUTORIZZAZIONE
INDICE
Introduzione …………………………………………………….. 1
CAPITOLO I
La disciplina giuridica delle fonti energetiche rinnovabili
1.
La politica energetica comunitaria …………………………................... 7
1.1. Gli interventi comunitari nella lotta al cambiamento climatico: dal
Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-20-20» ………………………... 14
1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia alternativa …. 18
2.
L’energia nell’ordinamento giuridico italiano ……………………….. 22
2.1. L’avvento della Costituzione ………………………………………... 24
2.2. Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali ……………….. 31
2.3. Le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10 ………………………………… 37
2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del mercato
energetico …………………………………………………………… 41
3.
Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in materia di
energia ………………………………………………………………….. 46
3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del titolo V della
Costituzione ………………………………………………………... 47
3.2. La riforma del titolo V della Costituzione …………………………... 50
4.
La disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili …... 59
4.1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 ……………………… 59
4.1.1.
Le Linee Guida nazionali per la promozione delle energie
rinnovabili ………………………………………………….. 64
4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 .…………………………… 70
5.
Gli strumenti di pianificazione energetica ……………………………. 71
5.1. La Strategia energetica nazionale ……………………………………. 72
5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili ………………. 76
6.
Considerazioni di sintesi ……………………………………………… 79
CAPITOLO II
Il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di
produzione di energia rinnovabile
1.
Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica
italiana…………………………………………………………………... 83
1.1. La prima fase degli studi pubblicistici ……………………………….. 85
1.2. La teoria di Oreste Ranelletti ………………………………………... 88
1.3. La dottrina post Ranelletti ………………………………………...… 95
I
1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della nozione di
procedimento ……………………………………………………… 97
1.5. Gli sviluppi della dottrina recente ………………………………….. 100
1.5.1. La situazione giuridica soggettiva incisa ……………………. 102
1.5.2. L’effetto tipico ……………………………………………... 104
1.5.3. Gli interessi in gioco ……………………………………….. 107
2.
Modelli alternativi alle autorizzazioni ……………………………….. 112
2.1. La denuncia di inizio attività (oggi SCIA)…………………………... 115
2.2. Il silenzio-assenso …………………………………………………. 123
3.
Il procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di
impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili …………………... 125
3.1. Il procedimento di autorizzazione unica …………………………… 131
3.1.1. Il termine di conclusione del procedimento ………………... 135
3.1.2. La Conferenza di servizi …………………………………… 141
3.1.3. Il rapporto tra VIA e autorizzazione unica ………………… 152
3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS ……………….. 163
3.3. Il regime di attività libera …………………………………………... 170
4.
La diversificazione della legislazione regionale in assenza delle Linee
Guida nazionali: i procedimenti regionali ………………………….. 171
4.1. I c.d. provvedimenti di moratoria …………………………………. 172
4.2. Il contingentamento della potenza massima autorizzabile e la fissazione
di un numero massimo di impianti installabili ……………………… 176
4.3. La localizzazione degli impianti ……………………………………. 178
4.4. Le misure compensative …………………………………………… 180
4.5. Le condizioni di accesso al mercato ………………………………... 184
4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di DIA …… 186
5.
Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali …………….. 195
5.1. Situazione attuale ………………………………………………….. 197
6.
Considerazioni di sintesi …………………………………………...… 202
CAPITOLO III
Il sistema di incentivazione e promozione delle energie
rinnovabili
1.
Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili……………………………………………………………… 207
1.1. L’attività di incentivazione …………………………………………. 212
1.2. La natura giuridica di incentivo……………………………...……… 226
2.
Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili ………....... 234
2.1. La tariffa CIP 6/92 ………………………………………………… 237
2.2. I certificati verdi …………………………………………………… 242
2.3. La tariffa omnicomprensiva ………………………………………... 252
2.4. Il Conto Energia …………………………………………………… 254
2.4.1. Il primo Conto Energia ……………………………………. 255
2.4.2. Il secondo Conto Energia………………………………….. 256
II
2.4.3. Il terzo Conto Energia ……………………………………..
2.4.4. Il quarto Conto Energia ……………………………………
2.4.5. Il quinto Conto Energia ……………………………………
2.5. Il nuovo sistema delle aste …………………………………………
2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro dedicato ……………………………
257
258
261
264
268
3.
Criticità dell’attuale sistema di incentivazione ……………………… 272
3.1. La lesione del principio del legittimo affidamento come corollario della
mancanza di certezza normativa: il particolare caso del fotovoltaico in
Italia ……………………………………………………………….. 277
4.
Analisi comparata: l’esperienza spagnola e tedesca ………………... 292
4.1. Spagna …………………………………………………………….. 294
4.2. Germania …………………………………………………………. 300
5.
Considerazioni di sintesi …………………………………………….. 307
Conclusioni ……………………………………………………………… 311
Bibliografia ………………………………………………………………. 321
III
IV
INTRODUZIONE
Una società, per sua stessa natura, tende inevitabilmente ad un sempre
maggiore sviluppo economico, per garantire più elevati standard di qualità della vita
ai suoi consociati.
L’energia, senza dubbio, rappresenta uno dei fattori fondamentali in grado
di assicurare la competitività dell’economia e la qualità della vita di una
popolazione. Essa, infatti, costituisce una fonte di sviluppo essenziale per l’essere
umano: la fruizione dei servizi energetici di base rappresenta l’elemento cardine
per migliorare notevolmente la qualità della vita della popolazione, che necessita
di energia per usufruire di scuole, di strutture ospedaliere, nonché per il
riscaldamento degli edifici e per la conduzione delle attività imprenditoriali.
L’interesse alla produzione di energia ha quindi assunto, da sempre,
carattere primario nell’ambito della politica energetica del nostro Paese, anche
considerato che il contributo effettivo delle risorse energetiche nazionali sono
sempre state assai ridotte rispetto al fabbisogno energetico complessivo.
Invero, le politiche energetiche sono state per molto tempo, e in parte sono
ancora oggi, dettate dalle esigenze dell’offerta; sono cioè state concepite senza
tenere in debito conto delle reali necessità dei consumatori. Fino ad un passato
recente, infatti, il progressivo aumento della richiesta di energia è sempre stato
assunto come un dato di fatto e non è stata messa in discussione l’inefficienza con
cui le sempre crescenti quantità di energia venivano utilizzate; né l’appropriatezza
delle forme di energia utilizzate, né tantomeno il fatto che alcuni obiettivi di
sviluppo potevano essere raggiunti ugualmente utilizzando un numero minore di
risorse o, addirittura, evitando l’uso di qualsiasi tecnologia energetica attiva.
Tale processo di perseguimento dello sviluppo economico, orientato alla
mera soddisfazione di sempre nuove esigenze materiali dell’uomo, attraverso una
produzione incontrollata di beni e servizi, ha tuttavia manifestato nel tempo serie
criticità, soprattutto nel suo potenziale conflitto con aspetti di fondamentale
rilevanza, primo tra tutti quello ambientale. È noto, infatti, come i processi di
produzione dell’energia e lo sfruttamento indiscriminato delle fonti energetiche
tradizionali abbiano comportato gravi rischi sia in termini di danni nei confronti
dell’ambiente (come ad esempio la drastica riduzione delle risorse naturali
primarie), sia nei confronti della salute (in termini di inquinamento atmosferico).
1
È diventata pertanto opinione condivisa che lo sviluppo economico di una
società debba avvenire attraverso tempi e modalità compatibili con la
conservazione delle risorse ambientali. Così, il valore della conservazione
dell’ambiente, delle condizioni di vita, della stessa salvezza del pianeta ha assunto
una progressiva rilevanza nella scala degli interessi da tutelare e ha posto un limite
al valore dello sviluppo economico, mettendo altresì in luce come la crescita,
intesa come aumento della produzione di beni e servizi – che fino in tempi
recenti, è stata considerata e vissuta come un processo in grado di generarsi da sé
– si possa, ad un certo punto, indebolire e addirittura arrestare.
In tale contesto, l’apprezzamento degli interessi nel settore energetico si è
reso, allora, sempre più complicato nel tentativo di trovare una mediazione tra le
esigenze della salubrità ambientale, da un lato e quelle della conservazione dei
livelli di sviluppo economico, dall’altro.
Vivace e talvolta aspro è stato il dibattito tra coloro che hanno osteggiato
l’incremento del fabbisogno energetico, ponendo l’accento sui rischi e sui pericoli
per la salute umana e per le condizioni ambientali, e quelle forze istituzionali e
non che, pur facendosi carico dei suddetti problemi, si sono richiamati alla
necessità di assicurare alla collettività nazionale delle condizioni di sviluppo al
passo con l’evoluzione tecnologica e con il progresso dei Paesi più avanti sul
piano industriale.
D’altronde, queste due forze direttrici si confrontano anche sul piano del
nostro ordinamento costituzionale. Se da un lato, infatti, l’interesse alla
produzione di energia e il connesso interesse allo sviluppo economico ed
industriale del Paese trovano diretto riscontro nell’articolo 41 della Costituzione;
dall’altro, non vi è dubbio che, pur in mancanza di un’affermazione generale e
solenne, esistano diverse norme che, direttamente o indirettamente, si richiamano
ai valori ambientali. Basti pensare all’articolo 9, comma 2, della Costituzione nella
parte in cui prescrive che «la Repubblica tutela il paesaggio» e all’articolo 32 che
tutela «la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della
collettività»; articoli che oramai ricevono da diversi anni il massimo dell’attenzione
e dispiegano tutta la loro forza espansiva.
Prescindendo dal problema se il nostro ordinamento consideri l’ambiente
come unitario centro di riferimento di valori molteplici, fruibili collettivamente o
2
individualmente dai cittadini, o se la tutela sia invece puntuale, riferita cioè a
particolari aspetti e valori nei quali si manifesta, è comunque da sottolineare quella
tendenza che ritiene che tutte le norme costituzionali sopra richiamate si prestino
a dar vita ad una sorta di graduatoria degli interessi pubblici e privati di cui
occorre tener conto non solo nell’esercizio della funzione legislativa, ma anche
nell’ideazione ed attuazione di programmi di intervento sul territorio e
sull’ambiente nei vari livelli di Governo.
Nell’ambito del citato contemperamento degli interessi costituzionali, la
salvaguardia del bene ambientale non va intesa però come valore assoluto e
preminente rispetto alle concorrenti esigenze di tipo economico-produttivo; al
contrario, la tutela ambientale accordata dalla Costituzione si ispira a una funzione
di coordinamento, e non di conflitto, tra autorità e libertà, ponendosi appunto
come esigenza di controllo dell’inquinamento, di sforzo progressivo di
miglioramento territoriale e di mediazione delle esigenze collettive tra loro
eterogenee.
La stessa Corte costituzionale afferma che «in una società economicamente
avanzata non si può attribuire alla tutela dell’ambiente una valenza assoluta, ossia
tale da comportare la costante e permanente illiceità delle azioni (…) modificative
dell’ambiente, proprio per la compresenza degli interessi relativi allo sviluppo
economico, che essendo comunque sentiti come fondamento della comunità
nazionale devono essere mediati e resi compatibili con l’ambiente stesso
attraverso una delicata opera di conciliazione legislativa e amministrativa». Tutto
ciò risponde, tra l’altro, al modello di Stato sociale fatto proprio dalla Costituzione
che è un modello pluralista, che individua i vari complessi interessi pubblici e
privati, ne affida la cura a diversi centri d’imputazione e ne disciplina i rapporti in
chiave di confronto dialettico.
Ad oggi, oramai non vi è dunque più dubbio che il modello di riferimento
per ricostruire il conflitto tra le opposte esigenze di tutela dell’ambiente e
realizzazione di attività di produzione di beni e servizi sia quello del
bilanciamento. E proprio coerentemente a questa concezione si è affermata la
formula dello «sviluppo sostenibile», nata appunto per sintetizzare la necessaria
composizione fra le esigenze dello sviluppo e quelle dell’ambiente.
3
Tale concetto è stato ben espresso nella definizione proposta nel 1987 dalla
Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, secondo la quale «lo
sviluppo sostenibile è uno sviluppo in grado di garantire il soddisfacimento dei
bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far
fronte ai loro bisogni». Si tratta, in altri termini, di tener conto dell’utilizzo delle
risorse del pianeta, per fare in modo di non intaccare un patrimonio comune in
modo eccessivo, o addirittura irreversibile, e per consentire anche a chi verrà dopo
di noi di poterne usufruire.
In tempi recenti, l’attuale crescente sfruttamento delle fonti fossili di energia
e l’andamento sempre più preoccupante dell’inquinamento ambientale hanno
messo in evidenza la difficoltà di avvicinarsi a uno sviluppo di questo genere. Per
un verso, infatti, l’aumento della popolazione del nostro pianeta è destinata a
generare un notevole incremento della domanda globale di energia; per altro
verso, però, a tale domanda non è possibile fare fronte con le risorse energetiche
di tipo tradizionale attualmente utilizzate, posto che la grande maggioranza di esse
derivano da combustibili fossili, che sono esauribili e inquinanti. In particolare,
per il petrolio e il gas si sono già manifestati problemi di scarsità, aggravati oltre
tutto dalla particolare collocazione geografica delle risorse residue, distanti dai
centri di consumo e concentrate in zone politicamente a rischio. Il carbone,
invece, è il combustibile fossile più abbondante ma anche quello che, a parità di
resa energetica, produce più anidride carbonica degli altri.
In tale contesto, tenuto conto che l’utilizzo dei combustibili fossili non può
essere illimitato e l’ambiente ha una capacità finita di assorbire i rifiuti prodotti
dall’attività economica, appare chiaro allora l’enorme rilievo strategico che
assumono le fonti energetiche c.d. rinnovabili, in quanto esse possono
rappresentare una possibile soluzione al problema del consumo delle risorse
energetiche e dell’inquinamento ambientale, nonché alla questione della sicurezza
energetica degli Stati.
Le fonti c.d. rinnovabili sono quelle forme di produzione di energia che,
nella versione più pura, utilizzano gli elementi primordiali: il sole, l’aria, l’acqua, i
vegetali nella loro condizione naturale senza processi di trasformazione tali da
determinare inquinamento e/o il consumo della materia. Si tratta, pertanto, di
4
forme di produzione energetica per le quali il problema della composizione con il
valore ambientale non esiste o è comunque particolarmente attenuato.
Attraverso il ricorso alle fonti di energia alternativa, infatti, la tutela
ambientale perde quella connotazione oppositiva rispetto allo sviluppo
economico, che la rendeva, per certi versi, un limite alla crescita economica. Al
contrario, le fonti rinnovabili perseguono, attraverso la riduzione delle emissioni
nocive e il contrasto ai cambiamenti climatici, un interesse non più conflittuale,
ma anzi convergente con quello della tutela ambientale. In tale contesto, energia e
ambiente, pur trovandosi in una posizione di naturale antagonismo, riescono a
comporsi perfettamente, sintetizzandosi nella formula dello sviluppo sostenibile:
l’interesse ambientale al contenimento delle emissioni di gas a effetto serra
derivanti dalla produzione energetica e l’interesse allo sviluppo economico
sottostante alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici si coniugano
agevolmente, favorendo lo sviluppo delle fonti energetiche con uno scarso, o
pressoché nullo, impatto ambientale.
Ciò spiega, allora, l’incrementarsi negli ultimi decenni delle politiche di
sostegno e di incentivazione a favore di queste fonti di energia alternativa.
Scopo del presente lavoro di ricerca è quello di enucleare le politiche
pubbliche assunte nel settore e valutarne la loro idoneità a raggiungere gli obiettivi
che le stesse, su impulso del diritto comunitario, si sono prefissate, ovvero sia
l’incremento della produzione di energia alternativa e il conseguente
miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta.
L’insieme delle regole e delle misure di promozione e sviluppo sono state
elaborate sia a livello nazionale che sovranazionale. Nel primo capitolo
cercheremo di ricostruire l’intera disciplina giuridica della materia, partendo dal
livello comunitario fino ad arrivare a quello nazionale, dando anche atto
dell’attuale ripartizione di competenze tra i vari di livelli di Governo, ed in
particolare di quello regionale.
Lo sforzo ricostruttivo – seppur necessario nell’ambito di un contesto
normativo e regolamentare alquanto disorganico e non coordinato – non è fine a
se stesso, ma è funzionale a porre le questioni di cui si tratterà specificatamente
nei capitoli successivi, con il tentativo di trarne anche alcune considerazioni utili.
5
In particolare, nell’ambito dei procedimenti autorizzatori previsti per
l’installazione degli impianti ad energia alternativa, saranno oggetto di specifico
approfondimento gli istituti di semplificazione – nel secondo capitolo – e gli
strumenti di incentivazione – nel terzo capitolo – introdotti dal Legislatore italiano
al fine di ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera e rendere più competitive le
fonti di energia alternativa rispetto a quella convenzionale. Infine, sarà effettuata
un’analisi comparata con altri Paesi dell’Unione europea, soggetti come l’Italia
all’adempimento degli obblighi comunitari in materia, allo scopo di verificare
l’effettiva sostenibilità e l’efficacia delle scelte operate nel nostro ordinamento, e
nell’intento di trovare la c.d. best practice, in grado di stimolare l’effettivo sviluppo
dell’energia da fonti rinnovabili nel nostro Paese.
6
CAPITOLO I
La disciplina giuridica delle fonti energetiche rinnovabili
SOMMARIO: 1. La politica energetica comunitaria 1.1. Gli interventi comunitari
nella lotta al cambiamento climatico: dal Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-2020» 1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia alternativa 2.
L’energia nell’ordinamento giuridico italiano 2.1. L’avvento della Costituzione 2.2.
Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali 2.3. Le leggi 9 gennaio 1991,
n. 9 e n. 10 2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del
mercato energetico 3. Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in
materia di energia 3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del
titolo V della Costituzione 3.2. La riforma del titolo V della Costituzione 4. La
disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili 4.1. Il decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 4.1.1. Le Linee Guida nazionali per la
promozione delle energie rinnovabili 4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28
5. Gli strumenti di pianificazione energetica 5.1. La Strategia energetica nazionale
5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili 6. Considerazioni di
sintesi.
1.
La politica energetica comunitaria.
Sin dalla nascita del fenomeno comunitario, l’energia ha costituito una
priorità della Comunità, prima, e dell’Unione europea, oggi: basti pensare che già
due delle tre Comunità europee – Ceca ed Euratom – riguardavano, infatti,
l’energia.
L’energia, inoltre, è una merce ed è quindi, in astratto, soggetta pure alla
prima delle libertà fondamentali previste nel Trattato CE1.
In realtà, per molto tempo, i mercati energetici degli Stati membri sono
rimasti del tutto immuni da ogni forma di contaminazione derivante dalle norme
relative al mercato comune, essendo generalmente organizzati secondo modelli
monopolistici pubblici, gestiti cioè da imprese di proprietà degli Stati membri.
Se, infatti, da un lato, i due Trattati istitutivi della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (CECA) e della Comunità europea dell’energia atomica
(EURATOM o CEEA), riguardavano in modo preminente i settori energetici del
Sulla libertà di circolazione delle merci, vedi CARTABIA M., La costituzione del mercato comune, in
CARTABIA M. – WEILER J.H.H., L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000,
241 ss.
1
7
carbone e dell’energia nucleare, assegnando direttamente all’amministrazione
comunitaria ampie funzioni di intervento; dall’altro, però, il Trattato istitutivo
della Comunità economica europea (CEE) non recava, almeno originariamente,
alcuna specifica previsione per l’energia intesa in senso generale, relativamente
cioè a quei comparti energetici non contemplati nei Trattati speciali.
Le ragioni di questa mancata previsione erano varie: la complessa struttura
dei rapporti commerciali tra i Paesi europei e i Paesi produttori di petrolio,
l’estrema asimmetria degli assetti ordinamentali interni ai singoli Stati membri, le
differenti scelte in merito alle tipologie di fonti di approvvigionamento, nonché il
fatto che il problema della scarsità delle risorse energetiche non era, all’epoca del
Trattato di Roma, nel 1957, un argomento di attualità2.
Solo di recente, infatti, seppur nell’ambito di un processo tuttora
incompiuto, l’Unione europea ha adottato norme di armonizzazione in chiave di
liberalizzazione3 idonee a rivoluzionare largamente, seppur non esclusivamente, i
mercati energetici europei4.
Invero, l’esigenza di elaborare una politica energetica comune a livello
europeo si è manifestata chiaramente all’indomani della crisi petrolifera del 1973,
che ha rilevato in modo drammatico il problema della dipendenza energetica
dell’Europa dall’estero5. Tale contingenza ha dato impulso all’approvazione, alla
Per una ricostruzione delle evoluzioni comunitarie nel campo dell’energia, AICARDI N., Energia,
in CHITI M.P. – GRECO G. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007. Si veda
anche NAPOLITANO G., L’energia elettrica e il gas, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto
amministrativo, Milano, 2003.
3 La liberalizzazione del mercato dell’energia è ancora in una fase critica, sotto vari profili. Lo
sviluppo di un mercato europeo integrato ed effettivamente competitivo è ostacolato dalle
differenti discipline adottate dagli Stati membri con riguardo, ad esempio, ai poteri delle autorità di
regolamentazione (che appaiono in generale insufficienti rispetto all’obiettivo di instaurare reali
meccanismi concorrenziali), alle regole che disciplinano le reti, ai livelli di indipendenza dei loro
gestori. Senza considerare che il processo di privatizzazione è ancora in itinere ed è tutt’altro che
simmetrico nei vari ordinamenti degli Stati membri. Del resto il Libro Verde sull’energia
testimonia la perdurante assenza di una strategia europea unitaria in questo campo. Sul punto,
MUNARI F., Il nuovo diritto dell’energia: il contesto comunitario e il ruolo degli organi europei, in Il diritto
dell’Unione Europea, 2008, 881 s.
4 V. MUNARI F., op.cit., 881 s.
5 Sotto questo aspetto le crisi energetiche internazionali sono state salutari perché hanno fatto
emergere la consapevolezza dell’importanza, nell’interesse generale, di poter contare su una
politica energetica comune e coordinata, tesa a ridurre la dipendenza dall’estero, garantire la
2
8
metà degli anni Settanta, di alcune risoluzioni del Consiglio6, alle quali si fa
convenzionalmente risalire l’avvio della politica energetica comunitaria.
In quegli anni viene varato il primo Piano della CEE di obiettivi decennali,
finalizzato a ridurre la dipendenza della Comunità dall’energia importata7 ed a
garantire un approvvigionamento sicuro e durevole, nel rispetto della protezione
ambientale e a condizioni economiche soddisfacenti8.
Gli obiettivi fissati nel decennio 1975-1985 furono sostanzialmente
raggiunti – per una serie di circostanze fortunate difficilmente ripetibili9 – e venne
così dato impulso alla predisposizione di un ulteriore Piano energetico decennale
per gli anni 1985-199510.
Quest’ultimo Piano presenta una linea strategica innovativa e di
fondamentale importanza rispetto al Piano decennale precedente: da una filosofia
monistica, basata prevalentemente sull’aspetto «esterno» per garantire la sicurezza
dell’approvvigionamento energetico della Comunità, si passa ad una filosofia
sicurezza dell’approvvigionamento, liberalizzare i mercati nazionali dell’energia abolendo i
monopoli legali e di fatto e, soprattutto, facendo accrescere il convincimento che la «dimensione
geopolitica dei problemi energetici» è fondamentale, per cui la cooperazione energetica
internazionale multilaterale non può essere considerata un’opzione, anche se rilevante, ma diventa
un’imprescindibile necessità. Cfr. BASTIANELLI F., La politica energetica dell’Unione europea e la
situazione dell’Italia, in La Comunità internazionale, III, 2006, 443 ss.
6 Il primo esempio di politica energetica comunitaria risale al Consiglio europeo di Parigi del
dicembre 1972 e alla risoluzione adottata dal Consiglio il 17 settembre 1974 su «una nuova
strategia per la politica energetica della Comunità» e alla risoluzione del Consiglio del 17 dicembre
1974 su «Obiettivi per il 1985 della politica energetica comunitaria».
7 Si puntava a ridurre le importazioni globali di energia della Comunità dal 61% del 1973 al 50%
del 1985. Per ridurre le importazioni, il Piano puntava a modificare la struttura del consumo di
energia intensificando l’uso dell’elettricità di derivazione nucleare, mantenendo costante il livello
della produzione di carbone e sviluppando la ricerca e la produzione di gas naturale comunitario.
Ultimo aspetto, particolarmente qualificante, consisteva nel ridurre le importazioni di petrolio
comunitario da Paesi terzi da 640 milioni di tonnellate a 540 milioni di tonnellate.
8 Per raggiungere gli obiettivi del Piano decennale ci si fonda su tre principi: gli obiettivi energetici
comunitari dovevano costituire una serie di «elementi quantificati», cioè di punti di riferimento per
la politica energetica a lungo termine per i Governi, le imprese e i cittadini della Comunità; gli
obiettivi vengono previsti da una risoluzione del Consiglio che, quindi, non ha carattere vincolante
per i destinatari; gli obiettivi prevedono la cooperazione a livello internazionale per risolvere i
problemi energetici sia con i Paesi produttori, sia con quelli consumatori, operando all’interno
dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. V. BASTIANELLI F., op. cit., 443 ss.
9 Lo sviluppo dei giacimenti di idrocarburi situati nella piattaforma continentale inglese e olandese,
la realizzazione del programma di installazione delle centrali elettronucleari in Francia.
10 Cfr. risoluzione del Consiglio del 16 settembre 1985 su «Linee direttrici per le politiche
energetiche degli Stati membri».
9
dualistica che abbina l’aspetto «esterno» alla realizzazione del mercato interno
dell’energia (aspetto «interno») inteso come riduzione e, possibilmente,
eliminazione di tutti quegli ostacoli che si erano riscontrati nel decennio
precedente, quali importanti differenze di prezzo, marcate differenze tra regimi
fiscali, indisponibilità di fonti energetiche da porre in concorrenza non solo
all’interno di ogni singolo Stato membro, ma nell’intera Comunità11.
Tuttavia, il secondo Piano decennale, a differenza del primo, fallì
clamorosamente. Le ragioni del fallimento sono rinvenibili in diversi fattori e, tra
questi, in primis, nell’inadeguatezza dello strumento utilizzato.
La risoluzione, infatti, che altro non è che la manifestazione di volontà
politica comune agli Stati membri, non è un atto vincolante e, in quanto tale, non
può imporre obblighi ai destinatari. Il rispetto da parte degli Stati membri degli
obiettivi comuni così fissati restavano, dunque, asseverati a vincoli di carattere
eminentemente politico, data l’assenza di meccanismi giuridicamente formalizzati
di concertazione e di cooperazione tra Stati e Comunità in materia energetica12.
Il fallimento del secondo Piano decennale segna, pertanto, anche la fine di
azioni in materia di politica energetica basate su previsioni aleatorie, sul
raggiungimento di obiettivi qualitativi e quantitativi per singole fonti energetiche,
nonché sull’impossibile coordinamento «spontaneamente convergente» delle
singole politiche energetiche nazionali in assenza di una struttura comunitaria
centralizzata di programmazione e controllo.
Nel 1992, con l’adozione del Trattato di Maastricht, che ha inserito tra le
attribuzioni della CE anche l’adozione di «misure in materia di energia», si realizza,
invece, definitivamente, il riconoscimento espresso di una generale competenza
comunitaria in materia energetica.
V. BASTIANELLI F., op. cit., 443 ss.
Sono state, infatti, soprattutto le marcate differenze di strategia e di comportamento in politica
energetica adottata dai più importanti Stati membri, oltre alla differenza tra chi aveva raggiunto
l’autosufficienza energetica e gli altri Stati che, a vario livello, erano più o meno dipendenti dalle
importazioni di energia, a determinare il fallimento del secondo Piano energetico comunitario e ad
ostacolare la realizzazione di una politica energetica comunitaria attraverso strumenti adeguati.
11
12
10
Ad una tale esplicita previsione consegue anche un mutato approccio delle
istituzioni comunitarie sulla materia, al punto che l’azione comunitaria, andando
oltre i fini di coordinamento delle politiche nazionali, si orienta anche verso la
definizione di obiettivi da perseguire direttamente, mediante atti vincolanti sia di
natura normativa che amministrativa13.
In verità, la Commissione aveva redatto un progetto di capitolo,
denominato «Energia», da inserire nel Trattato di Maastricht, che venne però
ritirato sia per la constatazione della mancanza di consenso politico, sia a causa
dell’insufficiente dibattito all’interno delle istituzioni comunitarie e delle
organizzazioni sociali ed economiche dell’Unione.
Tuttavia, nonostante basi giuridiche incerte e incomplete nei Trattati, viene
comunque dato impulso alla realizzazione del mercato interno dell’energia
attraverso un primo pacchetto di direttive14, orientate alle politiche di
liberalizzazione nei mercati dell’energia. In questa prima fase, il processo di
liberalizzazione ha avuto un iter lungo e contrastato, a causa del non facile accordo
politico, raggiunto poi su soluzioni di compromesso, di fatto attenuate rispetto
all’originaria portata liberalizzatrice delle proposte della Commissione15.
Al fine, quindi, di rilanciare la liberalizzazione del settore, peraltro sollecitata
anche nel quadro della cd. «strategia» di Lisbona (che menzionava l’accelerazione
della liberalizzazione nei settori dell’energia elettrica e del gas tra le riforme
economiche finalizzate al conseguimento di un mercato interno completo e
V. AICARDI N., op.cit., 92. A testimonianza di questo nuovo approccio si vedano i seguenti
documenti programmatici della Commissione: Libro Verde per una politica energetica dell’Unione
europea dell’11 gennaio 1995, che apre un vasto dibattito e un processo di consultazione anche
sulla realizzazione del mercato interno dell’energia, allo scopo di garantire la libera circolazione del
bene «energia» mettendo in competizione le varie fonti energetiche ovunque situate all’interno
dell’Unione; e il Libro bianco una politica energetica per l’Unione europea del 13 dicembre 1995,
che contiene proposte ufficiali di azione comunitaria per la realizzazione del mercato interno
dell’energia, per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e per proteggere l’ambiente.
14 Per la liberalizzazione del mercato dell’elettricità (direttiva 96/92/CE del 19 dicembre 1996), per
la liberalizzazione della ricerca e produzione di petrolio e di gas eliminando le restrizioni alle parità
di accesso tra le imprese (direttiva 94/22/CE del 1° gennaio 1997, nota tra gli addetti come
«direttiva licenze»), per la liberalizzazione del mercato del gas naturale (direttiva 98/30/CE del 22
giugno 1998).
15 V. AICARDI N., op.cit., 94.
13
11
pienamente operativo)16, l’Unione europea, a distanza di qualche anno, ha adottato
un secondo pacchetto di direttive17, che recano una disciplina complessiva
dell’organizzazione e del funzionamento dei settori dell’energia elettrica e del gas,
incentrata su più interessi pubblici, anche diversi dalla concorrenza18.
Nel marzo 2006, la Commissione ha poi presentato un Libro verde volto a
delineare «una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura»,
con l’intento di collocare l’energia al centro dell’azione comunitaria. In questo
contesto si inscrive anche il terzo pacchetto normativo19, predisposto dalla
Commissione nel settembre 2007 e approvato dal Consiglio e dal Parlamento nel
luglio 2009. Le misure normative ivi contenute mirano a realizzare quel mercato
unico europeo aperto e integrato che i precedenti provvedimenti non erano
riusciti a conseguire, al fine di rafforzare la sicurezza energetica e la competitività
dell’Unione europea.
Oggi, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stipulato a
Lisbona, le basi normative per l’intervento comunitario diventano più forti.
Sebbene infatti la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile figuravano già tra gli
obiettivi dei precedenti Trattati, il Trattato di Lisbona ne dà una definizione più
precisa e rafforza l’azione dell’Unione europea in questi campi.
Si afferma espressamente che l’Unione ha una competenza concorrente con
quella degli Stati membri nel settore dell’energia (art. 4). In conseguenza di ciò, nel
titolo XXI20, compare una norma specificamente intestata alla materia
Si vedano le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo
2000, punto 17.
17 La direttiva 2003/54/CE per completare la liberalizzazione del mercato interno dell’elettricità in
tutti i comparti (generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura dell’energia elettrica); la
direttiva 2003/55/CE del 26 giugno 2003 per completare la liberalizzazione del mercato interno
del gas naturale in tutti i comparti (trasporto, distribuzione, fornitura e stoccaggio del gas naturale).
Entrambe le direttive abrogano le due precedenti del 1996 e del 1998.
18 V. NAPOLITANO G., La politica europea per il mercato interno dell’energia e il suo impatto sull’ordinamento
italiano, in Federalismi.it, 4, 2012.
19 Cfr. regolamento n. 713/2009 che istituisce un’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori
nazionali dell’energia, direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE in materia di energia elettrica e gas
naturale, e regolamenti n. 714/2009 e n. 715/2009 in materia di accesso alla infrastrutture di
trasmissione-trasporto.
20 Cfr. art. 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
16
12
dell’«energia» (art. 194 del TFUE), che dispone che «nel quadro dell’instaurazione
o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell’esigenza di
preservare e migliorare l’ambiente», la politica dell’Unione nel settore dell'energia,
«in uno spirito di solidarietà tra Stati membri», persegue quattro obiettivi
fondamentali.
In primo luogo, l’Unione europea mira a «garantire il funzionamento del
mercato dell’energia». La previsione costituisce una forte copertura per l’adozione
di norme volte a conformare l’assetto dei mercati nazionali, le modalità di gestione
di reti e infrastrutture, nonché l’assetto istituzionale degli organismi nazionali ed
europei chiamati ad assicurare la concorrenza e la tutela dei consumatori.
In secondo luogo, la politica europea ha come scopo quello di «garantire la
sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione». Ciò giustifica sia la
definizione in via regolamentare di meccanismi e clausole di salvaguardia, sia
l’assunzione di iniziative diplomatiche e negoziali nei confronti di Paesi terzi.
In terzo luogo, l’Unione europea intende «promuovere il risparmio
energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili». Si
rafforza così l’ambito di influenza che l’Unione può esercitare rispetto allo
sviluppo di fonti alternative.
In quarto luogo, spetta all’Unione «promuovere l’interconnessione delle reti
energetiche». Ciò consente di sviluppare le misure di coordinamento tra i gestori
delle reti di trasmissione introdotte con il terzo pacchetto e i relativi meccanismi
istituzionali di controllo.
Per conseguire l’insieme di questi obiettivi, il Parlamento europeo e il
Consiglio possono adottare tutte le misure ritenute necessarie, deliberando
secondo la procedura legislativa ordinaria.
Chiarendo infine il contenuto prescrittivo del principio di sussidiarietà e il
significato della competenza concorrente tra diversi livelli istituzionali, la norma
precisa altresì che le misure in questione, in ogni caso, «non incidono sul diritto di
uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti
energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo
approvvigionamento energetico».
L’introduzione di una specifica base normativa nei Trattati, che esplicita
principi, obiettivi e ambiti esplicativi dell’intervento comunitario, pone le
13
premesse per nuovi e ulteriori sviluppi della politica energetica europea e per la
ricerca di equilibri più avanzati tra competenze statali inderogabili e ambiti di
cooperazione e integrazione sovranazionale.
1.1.
Gli interventi comunitari nella lotta al cambiamento climatico:
dal Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-20-20».
Nell’ambito della politica europea attinente al settore energetico, fin dalle
prime risoluzioni in materia, grande rilevanza è stata riconosciuta al risparmio
energetico e all’uso efficiente dell’energia, alla promozione delle energie
rinnovabili e all’innovazione tecnologica21. Gli interessi sottesi alle azioni di
intervento in questi settori erano, già allora, evidenti: la riduzione della dipendenza
energetica
dall’estero
e
il
conseguente
incremento
della
sicurezza
dell’approvvigionamento, la diversificazione delle fonti energetiche, lo sviluppo
dell’efficienza e della competitività dell’industria comunitaria, la promozione della
concorrenza nel mercato comunitario dell’energia attraverso l’ingresso di nuovi
operatori, nonché – soprattutto – la protezione dell’ambiente22. In particolare,
emergeva forte la convinzione che, attraverso l’utilizzo delle fonti di energia
alternativa, si potesse dar luogo ad una imponente riduzione delle emissioni
nocive, necessaria nella lotta al Climate Change.
Proprio in quest’ottica, infatti, il 4 febbraio 1991 il Consiglio ha autorizzato
la Commissione a partecipare, a nome della Comunità europea, ai negoziati della
Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottata a
New York il 9 maggio 1992. La Convenzione-quadro ha contribuito
notevolmente alla definizione di principi-chiave in materia di lotta internazionale
ai cambiamenti climatici, definendo in particolare il principio di «responsabilità
La decisione dell’Unione europea di assegnare grande rilevanza alle politiche ambientali risale
alla metà degli anni novanta, prima quindi che il Protocollo di Kyoto divenisse giuridicamente
vincolante. V. MACCHIATI A., Le politiche contro il cambiamento climatico nell’Unione europea e in Italia, in
MACCHIATI A. – ROSSI G., La sfida dell’energia pulita. Ambiente, clima e energie rinnovabili: problemi
economici e giuridici, Bologna, 2009.
22 V. AICARDI N., op.cit., 94.
21
14
comuni ma differenziate» e contribuendo ad una maggiore sensibilizzazione al
problema dei cambiamenti climatici23.
Durante la prima Conferenza, svoltasi a Berlino nel marzo 1995, le Parti
contraenti della Convenzione hanno deciso di negoziare un Protocollo contenente
le misure atte a ridurre le emissioni di gas a effetto serra24 nei Paesi industrializzati.
È stato quindi adottato e sottoscritto, in data 7 dicembre 1997, il c.d. Protocollo di
Kyoto, il quale prevede che ogni Parte contraente, al fine di promuovere lo
sviluppo sostenibile, «deve applicare e/o elaborare politiche e misure, in
conformità alla sua situazione nazionale», come ad esempio, il «miglioramento
dell’efficacia energetica in settori rilevanti dell’economia nazionale» e la «ricerca,
promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili e
di tecnologie avanzate e innovative compatibili con l’ambiente»25. A tal fine, i
Paesi industrializzati firmatari (i c.d. Paesi annex I26) si impegnano a ridurre entro il
periodo 2008-2012 le proprie emissioni di gas a effetto serra del 5,2% rispetto ai
livelli rilevati nel 1990.
Il Protocollo di Kyoto, che fa seguito alla Convenzione-quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è sicuramente il primo documento
importante in materia di promozione e sviluppo di fonti di energia rinnovabile.
Esso, infatti, rappresenta la normativa principale, a livello internazionale,
contenente alcune prescrizioni volte all’incremento dello sfruttamento delle fonti
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata nel 1992, è il
primo strumento normativo internazionale dedicato alla lotta globale ai cambiamenti climatici. E’
stata ratificata dalla Comunità europea con decisione 94/69/CE del 15 dicembre 1993 e dall’Italia
con legge 15 gennaio 1994, n. 65.
24 La categoria dei gas a effetto serra è costituita dall’anidride carbonica, metano, protossido di
azoto, idrofluoro carburi, per fluorocarburi, esafluoruro di sodio.
25 Cfr. art. 2, comma 1, del Protocollo di Kyoto.
26 Con l’espressione Paesi Annex I ci si riferisce ai Paesi industrializzati come identificati dalla
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (1992) ed elencati nell’Annex I
della Convenzione stessa. L’elenco include i Paesi OCSE e i Paesi con economia in transizione. Il
testo del Protocollo di Kyoto si riferisce a tali Paesi come Paesi Annex I, e li riprende nell’Annex B,
all’interno del quale sono indicati i tetti di emissioni assegnati a ciascun Paese. I due elenchi si
differenziano in quanto l’Annex I alla Convenzione include anche Bielorussia e Turchia, che non
sono invece inserite nell’Annex B poiché non hanno ratificato il protocollo.
23
15
energetiche rinnovabili, nell’ottica di una lotta al cambiamento climatico attraverso
la limitazione delle emissioni nocive nell’atmosfera.
La Comunità europea ha firmato il protocollo il 29 aprile 1998 e con
decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002, il c.d. burden sharing
agreement, il Protocollo è stato approvato a nome della Comunità ed è stato fissato
l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per gli Stati membri
pari all’8% per il periodo 2008-201227.
Al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni, con direttiva
2003/87/CE è stato istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni
nocive, denominato emission trading system – ETS28, che affianca all’emission trading
previsto su scala globale un mercato delle emissioni su scala europea.29
La direttiva del 2003 lascia, però, ampia discrezione agli Stati membri, i quali
possono fissare il metodo di allocazione e il volume di emissioni per i singoli
Questo obiettivo riguarda gli Stati che erano membri prima del 2004. Gli Stati membri che
hanno aderito all’Unione europea dopo questa data si impegnano a ridurre le loro emissioni
dell’8%, ad eccezione della Polonia e dell’Ungheria (6%) e di Malta e Cipro che non figurano
nell’allegato I della Convenzione quadro. L’Italia, in quanto Paese incluso nell’allegato I della
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e nell’allegato B del Protocollo
di Kyoto, ma anche in quanto membro dell’Unione europea, ha un obbligo vincolante di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra pari al 6,5% rispetto ai livelli del 1990 come media del periodo
2008-2012. Se, però, dal punto di vista del diritto internazionale, bisogna considerare che
l’impegno assunto con la Convenzione e il relativo protocollo di Kyoto è «filtrato» dall’accordo
europeo burden sharing agreement ed è quindi difficile ipotizzare una sanzione diretta per l’Italia, in
caso di sua inadempienza; dal punto di vista del diritto comunitario, invece, proprio in virtù della
decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della
Comunità europea, del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione e l’adempimento congiunto
dei relativi impegni, la Commissione europea, qualora l’Italia risulti inadempiente agli obblighi
assunti, ha competenza ad agire ed avviare la procedura d’infrazione di cui agli articoli 226 e 228
del Trattato.
28 Per l’Ets sono previste tre differenti fasi: la prima, sperimentale dal 2005 al 2007; la seconda, dal
2008 al 2012; per la terza fase, che va oltre il Protocollo di Kyoto, il Consiglio europeo di marzo
2007 ha fissato obiettivi ambiziosi e sono state introdotte significative novità nel corso del 2008.
V. MACCHIATI A., op. cit., 15.
29 Tale direttiva è stata successivamente integrata dalla direttiva 2004/101/CE (c.d. direttiva linking),
che ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint implementation e clean
development mechanism) all’interno dell’Ets, stabilendo la validità dei criteri di emissione (ottenuti
grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni. In
seguito la direttiva 2003/87/CE è stata modificata dalla direttiva 2008/101/CE per l’inclusione
delle attività di trasporto aereo nell’Ets.
27
16
impianti industriali e settori attraverso i Piani nazionali di assegnazione, da
sottoporre alla approvazione della Commissione30.
In questo modo si è venuto di fatto a delineare un sistema poco trasparente
e molto politico, che non tiene conto delle differenze nei costi di abbattimento né,
tantomeno, dei livelli di emissione. Inoltre, la libertà attribuita a ciascun Paese di
fissare la quantità di permessi ha generato anche un sensibile problema di equità
tra imprese di diversi Paesi31.
Per tali ragioni, nel 2007, il Consiglio europeo ha siglato un accordo che si è
successivamente declinato nel c.d. pacchetto clima – energia – ambiente «20-2020», poi successivamente integrato dallo stesso Consiglio nel 2008. Tale pacchetto
di direttive mira al contestuale conseguimento, entro il 2020, dei seguenti obiettivi:
20% di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra rispetto al 1990; 20%
di aumento delle energie rinnovabili sul consumo energetico globale dell’Unione
Europea; 20% di aumento dell’efficienza energetica32.
Il conseguimento di questi macro-obiettivi è stato affidato agli effetti
sinergici di una pluralità di provvedimenti e azioni. Tra questi, la direttiva
2009/29/CE ha inteso perfezionare ed estendere il sistema comunitario di
scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra, con l’obiettivo di ridurne
le emissioni del 21% nel 2020 rispetto al 2005. A tal fine si è prevista, a partire dal
La direttiva ha previsto per la prima fase la partecipazione al sistema di scambio delle emissioni
solo di alcuni settori (produzione di energia e settori energivori), in quanto le emissioni delle
industrie escluse (non-trading sectors – Nts) sarebbero state di difficile quantificazione. Il metodo di
assegnazione e quindi la distribuzione dei permessi deve essere coerente con il tetto (vedi gli
articoli da 9 a 11 e l’annesso III della direttiva 2003/87). L’esecutivo di Bruxelles non poteva però
imporre dei limiti minimi di quote da scambiare e lasciava ad ogni Paese la libertà di poter stabilire
i target da attribuire ai singoli settori che partecipano al sistema di scambio delle quote. Gli impianti
hanno il diritto di immettere l’equivalente di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente (la
quota) in atmosfera nel corso dell’anno di riferimento; le imprese possono comprare o vendere i
permessi; in particolare quelle che mantengono le emissioni sotto i limiti possono vendere i
permessi mentre gli operatori che incontrano difficoltà nel rispettare i loro limiti possono scegliere
tra adottare tecnologie più efficienti e comprare sul mercato i permessi di cui hanno bisogno.
Qualora superino i limiti assegnati gli operatori sono tenuti al pagamento di excess emission penalty
(40 euro per ogni tonnellata di CO2 nel periodo 2005-2007 e 100 euro nel periodo successivo).
31 V. MACCHIATI A., op.cit., 23.
32 V. MARRONI A., Pacchetto 20-20-20: principali elementi della direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia
da fonti rinnovabili, in Astrid-online.it, 25 febbraio 2009.
30
17
2013, l’introduzione di un sistema di aste per l’acquisto di quote di emissione, i cui
introiti andranno a finanziare misure di riduzione delle emissioni e di adattamento
al cambiamento climatico.
Nell’ambito della ripartizione tra i diversi Stati dell’impegno per la riduzione
delle emissioni nocive, per l’Italia si è assunto un obiettivo di riduzione al 2020
pari al 13%33, restando tuttavia garantiti alcuni gradi di flessibilità nei modi e nei
tempi di conseguimento dei target intermedi, come ad esempio, la possibilità per gli
Stati membri di utilizzare, nel corso di un anno, una parte delle disponibilità
accordate per l’anno successivo, oppure di maturare «crediti» in corrispondenza di
progetti realizzati in Paesi terzi, e l’ammissibilità al ricorso allo scambio dei diritti
di emissione tra i diversi Stati34.
1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia
alternativa.
Per il perseguimento degli obiettivi internazionali di riduzione delle
emissioni climalteranti, la promozione dell’energia alternativa è stata individuata
da subito come strumento utile e necessario.
In tale ottica l’Unione europea, nella consapevolezza degli enormi benefici
che avrebbe comportato un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabile
nella produzione energetica, ha dunque messo in atto una strategia per lo sviluppo
di quest’ultime, attuata mediante lo strumento delle direttive.
La prima direttiva relativa alla promozione dell’elettricità prodotta da fonti
di energia rinnovabile nel mercato interno è la direttiva 2001/77/CE, adottata dal
Parlamento europeo e dal Consiglio il 27 settembre 200135.
Per la Germania l’obiettivo è del 14%, per la Spagna del 10%, per la Francia del 14% e per il
Regno Unito del 16%.
34 V. MURATORI A., Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili: la nuova direttiva «unificata»
2009/28/CE, in Ambiente & Sviluppo, 8, 2009.
35 A tale direttiva l’Italia ha dato attuazione con il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, al cui art. 3 viene
espressamente puntualizzato che le principali misure nazionali per promuovere l’aumento del
consumo di elettricità da fonti rinnovabili, in quantità proporzionata agli obiettivi di cui alle
relazioni previste dalla direttiva 2001/77/CE, sono costituite dalle disposizioni dello stesso d.lgs.
n. 387 del 2003, dal d.lgs. 16 marzo 1999, n.79 e successivi provvedimenti attuativi, nonché dai
33
18
Tale direttiva, partendo dal presupposto che «il potenziale sfruttamento
delle fonti energetiche rinnovabili è attualmente sottoutilizzato nella Comunità»
(n. 1 dei considerando) e che il maggiore uso di elettricità prodotta dalle fonti
rinnovabili «è una parte importante del pacchetto di misure necessarie per
conformarsi al Protocollo di Kyoto (n. 3), dichiara che essa «mira a promuovere
un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di
elettricità nel relativo mercato interno e a creare le basi per un futuro quadro
comunitario in materia» (art. 1), disponendo all’uopo che gli Stati si impegnino a
porre in essere misure «appropriate atte a promuovere l’aumento del consumo di
elettricità prodotta da fonti rinnovabili» (art. 3), dopo aver fissato «gli obiettivi
indicativi nazionali di consumo futuro» di quest’ultima in termini di percentuale
del consumo di elettricità.
La direttiva in questione pone come obiettivo di lungo termine quello di
«rendere l’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili competitiva rispetto
a quella delle fonti energetiche non rinnovabili, limitando anche le spese a carico
dei consumatori e riducendo infine la necessità di un sostegno pubblico».
A tal fine, la direttiva prevede che gli Stati membri si impegnino sotto
diversi profili: in particolare, predisponendo periodicamente relazioni tese, da un
lato, a stabilire gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità
prodotta da fonti energetiche rinnovabili in termini di percentuale del consumo di
elettricità e ad indicare le misure all’uopo necessarie; dall’altro, ad analizzare il
raggiungimento di tali obiettivi, tenendo anche conto anche dei fattori climatici
che potrebbero condizionarlo, nonché il grado di coerenza tra le misure e gli
impegni nazionali sui cambiamenti del clima (art. 3).
Inoltre, gli Stati membri debbono: far sì che l’origine dell’elettricità prodotta
mediante fonti rinnovabili sia garantita come tale secondo criteri oggettivi e non
discriminatori, riconoscendosi reciprocamente tale garanzia (art. 5); dopo aver
provvedimenti assunti in attuazione della legge 1 giugno 2002, n. 120. Tale direttiva a seguito del
c.d. III pacchetto clima-energia nel 2009 è stata poi abrogata dalla direttiva 2009/28/CE che,
attualmente, rappresenta il principale atto normativo europeo in tema di promozione delle fonti
rinnovabili.
19
valutato il quadro legislativo e regolamentare in materia, provvedere a ridurre gli
ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione dell’energia in
oggetto, razionalizzando e accelerando le procedure all’opportuno livello
amministrativo (art. 6); assicurare che i gestori delle reti di trasmissione e di
distribuzione garantiscano la trasmissione e la distribuzione di elettricità prodotta
da fonti rinnovabile, eventualmente anche prevedendo per questa un accesso
prioritario alla rete (art. 7)36.
Di recente, la direttiva 2009/28/CE – recante modifica e abrogazione della
precedente direttiva – ha ribadito e integrato i contenuti della direttiva del 2001,
indicando obiettivi obbligatori, soggetti a sanzioni, agli Stati membri e un preciso
sistema di rendicontazione e di verifica dei risultati sulla traiettoria relativa alla
promozione dell’energia da fonti rinnovabili fino al 202037.
Tale ultimo intervento trae la propria legittimazione dall’art. 194 del TFUE
che, al duplice fine di garantire il funzionamento del mercato interno e migliorare
l’ambiente, conferisce all’Unione il potere di deliberare con procedura legislativa
ordinaria per «promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo
sviluppo di energie nuove e rinnovabili».
Questa direttiva rappresenta, dunque, un passo fondamentale del percorso
tracciato dalle istituzioni comunitarie nella strategia di promozione della
generazione elettrica prodotta da fonti rinnovabili38. Essa dà corpo ad un organico
quadro comune, a livello europeo, per la promozione dell’energia da fonti
rinnovabili: definisce gli obiettivi nazionali obbligatori di produzione, regola i
progetti comuni tra gli Stati e i trasferimenti statistici fra di essi, impone una
V. NICOLETTI F., Lo sviluppo e la produzione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili alla luce del
d.lgs. 29 dicembre 2003, n.387, in Il diritto dell’economia, II, 2004, 370 ss.
37 Cfr. rapporto 2009 della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, L’Europa e le Regioni per lo
sviluppo dell’energie rinnovabili, in Fondazionesvilupposostenibile.org, ottobre 2009.
38 Per una attenta disamina della direttiva si veda il contributo di POZZO B., Le politiche comunitarie in
campo energetico, in POZZO B. (a cura di ), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo
sviluppo delle fonti rinnovabili, Milano, 2009.
36
20
semplificazione del regime di autorizzazione all’installazione degli impianti e
dell’accesso alla rete elettrica e definisce i regimi di sostegno da parte degli Stati39.
Dal quadro normativo tracciato si desume l’obiettivo di creare una
sufficiente certezza giuridica della disciplina del settore, indispensabile affinché le
imprese possano godere di un clima di fiducia e garanzia tale da indurle ad
investire in maniera razionale e duratura nel settore delle energie rinnovabili40.
In termini di obiettivi, la direttiva 2009/28/CE conferma il target vincolante
del 20% per la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili sul consumo
energetico europeo41, ma la principale novità introdotta è rappresentata dalla
circostanza che per la prima volta vengono individuati degli obiettivi vincolanti
specifici per ciascun Stato membro.
In particolare, la Commissione, nel tentativo di raggiungere la quota del
20% di energia da fonti rinnovabile, ha sviluppato una metodologia che mira a
fissare per ogni singolo Stato membro un proprio obiettivo, tenendo conto della
situazione di partenza, delle possibilità di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili,
come anche del livello attuale dell’energie da fonti rinnovabili che chiaramente
variano da uno Stato membro all’altro. La Commissione ha anche tenuto conto
della situazione economica di ogni Stato membro ponderando l’obiettivo secondo
il PIL. Con questa metodologia l’Italia si è vista attribuire una quota del 17%42.
Inoltre, per evitare che il raggiungimento degli obiettivi sia rimandato al 2020, la
direttiva ha anche previsto una traiettoria «indicativa» con dei punti di verifica nel
2012, 2014, 2016, 2018.
Oltre l’obbligo di raggiungere il 20% delle fonti di energia rinnovabile entro
il 2020, il grande punto di forza di questa direttiva sembra anche essere l’obbligo
V. COCCONI M., Promozione europea delle energie rinnovabili e semplificazione, in Rivista quadrimestrale di
diritto dell’ambiente, I, 2012, 25 ss.
40 A tale scopo, la direttiva mira a realizzare una maggiore semplificazione normativa, fondendo in
un unico atto non solo la disciplina della materia precedentemente regolata dalle direttive
sull’elettricità e sui biocarburanti, bensì anche il settore del riscaldamento e del raffreddamento
degli edifici, non ancora disciplinato a livello europeo.
41 Insieme all’obiettivo del 10% per la quota di biocarburanti nei trasporti, che tutti i Paesi membri
hanno l’obbligo di raggiungere.
42 Le quote variano da un minimo del 10% per Malta ad un massimo del 49% per la Svezia.
39
21
per ogni Stato membro di adottare un Piano di azione nazionale per l’energia da
fonti rinnovabili. I Piani di azione nazionale, in linea con il principio di
sussidiarietà, devono infatti fissare gli obiettivi nazionali per gli Stati membri per la
quota di energia da fonti rinnovabili consumate nel settore dei trasporti,
dell’elettricità, del riscaldamento e del raffreddamento entro il 2020. In questo
modo gli Stati membri sono costretti a riflettere sui detti settori, identificando le
aree e le energie più idonee a raggiungere in un modo economico il proprio
obiettivo nazionale. Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2009/28/CE e dell’allegato
VI, la Commissione ha adottato un modello per i Piani d’azione nazionali
delineato nella decisione della Commissione europea C(2009)51742. L’obiettivo di
questo modello è di guidare ed aiutare gli Stati membri nell’elaborazione dei
propri Piani nazionali, assicurarne la completezza, permettere di paragonare i vari
Piani tra loro e consentire alla Commissione di valutare la loro messa in opera. Gli
Stati membri dovranno conformarsi al modello nella presentazione dei propri
Piani d’azione, costringendoli pertanto ad essere meticolosi nel definire gli
obiettivi, dal 2010 al 2020, per ogni anno ed ogni settore. Allo stesso tempo, gli
Stati membri dovranno fornire informazioni dettagliate sui regimi di sostegno, le
procedure amministrative nonché informazioni e formazione di supporto al
raggiungimento degli obiettivi43.
2.
L’energia nell’ordinamento giuridico italiano.
L’energia non nasce come concetto giuridico, anzi, a dire il vero, prima di
divenire «concetto», l’energia è un fenomeno esistente in natura che l’uomo ha
scoperto da tempo e di cui ha avvertito con crescente intensità la singolare
Nella consapevolezza, infatti, che una delle principali difficoltà della promozione delle energie
fonti rinnovabili sono stati i troppi tasselli amministrativi che si incontravano ai vari livelli di
potere, il modulo richiede anche che gli Stati membri presentino dettagliatamente quali misure
prenderanno per rimuovere le barriere amministrative (obiettività, trasparenza, costi amministrativi
ragionevoli, tempistica corta, etc.) Il ruolo di ogni livello di potere dovrà essere esplicitato affinché
la Commissione possa con chiarezza determinare eventuali responsabilità in caso di persistenze di
difficoltà amministrative.
43
22
importanza; sollecitando, così, l’attenzione del giurista verso quei meccanismi che
presiedono alla sua esistenza, alla sua circolazione e utilizzo 44.
Nel nostro ordinamento giuridico all’energia sono dedicate poche
disposizioni. Tra le norme anteriori alla Costituzione, troviamo – oltre alle singole
norme che disciplinano l’utilizzazione concreta di specifiche energie – tre
disposizioni che si riferiscono all’energia in modo generale45.
La prima, in ordine di tempo, si rinviene nel regio decreto 29 luglio 1927, n.
1443, concernente le norme generali in maniera mineraria. L’art. 1 assoggetta alla
disciplina della legge, e quindi al regime giuridico delle miniere, le energie del
sottosuolo. Le energie che si trovano allo stato puro nel sottosuolo sono le
cosiddette forze endogene. Rilevante è che la norma, per le energie come per le
sostanze minerali, richieda che siano «industrialmente utilizzabili», espressione che
va intesa in senso generico, ma che si collega comunque ad un processo di
trasformazione tecnica ed economica del bene46.
Successivamente, considerata l’importanza cospicua che l’energia elettrica
aveva assunto agli inizi degli anni ’30, si avvertì l’esigenza di una tutela penale
dell’energia contro una sua utilizzazione abusiva. Così, l’art. 624 del codice penale
ha stabilito, in conformità alla soluzione assolutamente dominante in dottrina e
giurisprudenza, che «agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche
la energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico»47. Non può
sfuggire, al riguardo, la cautela adoperata dal Legislatore che, da un lato, non
V. GENTILE G., Il diritto dell’energia, in GENTILE G. – GONNELLI P., Manuale di diritto dell’energia,
Milano, 1994.
45 V. GUARINO G., Unità ed autonomia del diritto dell’energia, in ID., Scritti di diritto pubblico dell’economia,
Milano, prima serie, 1962, 32 ss.
46 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
47 La sottrazione di energia costituisce perciò furto, essendo furto l’impossessamento della cosa
mobile altrui. L’art. 624 c.p. concerne le sole energie che abbiano un valore economico. Tali sono
tutte le energie artificiali, mentre le energie naturali acquistano valore economico solo se ridotte a
quantità specifiche a mezzo di impianti. Una specificazione naturale si ha solo per le forze
endogene, che fuoriescono in punti determinati del sottosuolo: sembra tuttavia che la sottrazione
di tali energie comporti l’applicazione delle norme penali speciali, previste per la coltivazione non
autorizzata, e non costituisca ipotesi di furto. Tenuto conto di ciò è da concludere che il
presupposto per l’applicazione dell’art. 624 c.p. è la esistenza di impianti per la produzione o per la
trasformazione quantitativa o qualitativa delle energie. V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
44
23
definisce propriamente l’energia come cosa, ma solo a tale stregua viene
«considerata»; dall’altro, volutamente circoscrive l’ambito di qualificazione a quello
penalistico48.
Un decennio dopo, però, il Legislatore civile è chiamato a sua volta ad
affrontare il problema e propone una propria definizione, alquanto generale. La
norma civilistica si riallaccia a quella penalistica, riproducendone l’impostazione:
«si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico» (art.
814 c.c.). Se, da un lato, sul piano dogmatico si manifesta il mutato termine di
riferimento – da «cosa» a «bene» – che risente forse dell’approfondimento degli
studi sull’oggetto del diritto; dall’altro, però, permane la volontà di non esporsi
sull’effettiva natura dell’energia, atteso che anche in questo caso le energie non
«sono» beni mobili, ma agli effetti giuridici si «considerano» tali49.
Il r.d. n. 1443 del 1927, l’art. 624 c.p. e l’art. 814 c.c. hanno sicuramente il
merito di delimitare l’ambito della materia, escludendo, tra l’altro, le cd. «energie
naturali» e quindi, implicitamente, presupponendo sempre che vi sia un
trattamento industriale dell’energia. Ma, al contempo, non possono considerarsi
sufficienti per fondare una costruzione unitaria che comprenda l’intera
regolazione positiva delle energie. Un notevole passo in avanti in questo senso si è
compiuto con l’avvento della Costituzione, ed in particolare con l’articolo 43.
2.1. L’avvento della Costituzione.
L’avvento della Costituzione e l’introduzione dell’articolo 43 segnano un
mutamento di prospettiva rispetto all’ordinaria considerazione dell’energia quale
V. GENTILE G., op.ult.cit., 30 ss.
Si era discusso molto, a partire dagli inizi del secolo, se l’energia potesse considerarsi una cosa e
se la sua somministrazione costituisse locazione di opere o somministrazione in senso stretto o
altro negozio di tipo nuovo (si citano, tra gli altri, PIPIA, AZZARITI, BARASSI) o, secondo una tesi
divenuta poi dominante, una vendita (si citano, tra gli altri, COLABATTISTA, CARNELUTTI). Con
l’art. 814 c.c., il Legislatore, ai fini della disciplina giuridica, si è conformato all’opinione
assolutamente prevalente tra i civilisti e sostenuta da tutti i penalisti che l’energia va giuridicamente
trattata alla stessa stregua di un bene mobile. V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
48
49
24
bene suscettibile di apprensione e utilizzazione da parte dei privati50. Ciò che viene
in evidenza è il marcato interesse pubblico che si riconnette alla materia e che si
traduce in un penetrante intervento dei pubblici poteri nella gestione dell’energia51.
La progressiva pubblicizzazione della materia in esame viene scandita,
essenzialmente, dalla crescente consapevolezza circa l’importanza primaria
dell’energia in rapporto alle esigenze di sviluppo economico e sociale del Paese,
con la conseguente attenuazione dei profili più squisitamente privatistici52. D’altro
canto, nel sistema economico italiano al tempo della Costituente, ancora molto
chiuso agli scambi internazionali, la scarsità delle fonti energetiche era ritenuta con
buona ragione argomento di estrema delicatezza. L’autosufficienza energetica non
era possibile, ma andava perseguita in qualche misura, e la stessa dipendenza
dall’estero doveva essere gestita53.
In questo quadro, dunque, si inserisce l’art. 43 della Costituzione, che così
recita: «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire,
mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a
comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese e categorie di imprese, che
si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di
monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».
Il concetto base, di cui fa uso l’art. 43, è quello di «fonte di energia». Su tale
concetto, molto controverso, si identificano le fonti nelle materie prime o almeno
nelle materie prime raffinate direttamente utilizzate per la produzione di energia54.
Ma in realtà, così intesa, la nozione avrebbe un carattere parziale poiché in molti
V. LACRIOLA G. – MUCCI R., Sistema normativo, funzioni e interessi nel settore energetico, in CASSESE S.
(diretto da), Il governo dell’energia, Rimini, 1992.
51 Tale carattere viene in evidenza non solo nella norma dell’art. 43 Cost., ma si esprime anche con
riferimento ad altre norme della Costituzione (es. art. 41). V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. Non è
revocabile in dubbio, secondo LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss., che il marcato interesse
pubblico riconnesso alla materia si identifichi, in buona sostanza, con l’interesse alla produzione di
energia.
52 V. LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss.
53 V. RANCI P., Concorrenza e servizi pubblici nella Costituzione, in DELLA CANANEA G. –NAPOLITANO
G. (a cura di), Per una nuova costituzione economica, Bologna, 1998, 33 ss.
54 Si distinguerebbero le materie prime semplici (es. minerali uraniferi, petrolio) dalle materie prime
fonti (materie fossili speciali, olio combustibile). V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
50
25
casi l’energia finale viene prodotta non dalla materia prima, e neanche dalla
materia raffinata, ma da altra forma di energia55. Del pari sembra anche
insufficiente considerare fonte la materia prima o la forma energetica di origine e
non includervi anche l’impianto che svolge una funzione determinante per la
produzione dell’energia finale. Per «fonte di energia» deve allora intendersi tutto
ciò che concorre, in modo diretto e immediato, alla produzione di ciascun tipo di
energia: fonti sono, perciò, le materie prime dalle quali l’energia sia direttamente
ricavata, le forme di energia che siano trasformate in altre forme e gli impianti che
producono energia sia dalle materie prime sia da altre fonti56.
L’art. 43 della Costituzione sembra accogliere questa definizione, anzi, a ben
vedere, sembra ampliarla, in quanto la norma non abbraccia solo le fonti, ma tutte
le imprese che «si riferiscano» a fonti di energia. Appare quindi che, in assenza di
particolare specificazione, qualsiasi elemento che concorra, con caratteri di
funzionalità ed istituzionalità, alla utilizzazione dell’energia finale, sia sufficiente a
provocare l’applicabilità della norma57.
Un altro elemento di grande rilievo introdotto dalla norma costituzionale
riguarda il diverso trattamento che la stessa riserva al settore delle fonti di energia
rispetto agli altri settori nei quali può essere istituita la riserva operativa dello
Stato. Quando, infatti, ci si riferisce ai «servizi pubblici essenziali», non si è in
grado di predeterminare i campi nei quali l’attività deve svolgersi. La scelta in
concreto dipende dalla politica economica e sociale perseguita dal Legislatore.
Per es. l’energia elettrica non è un prodotto immediato dell’acqua o dell’olio combustibile, ma
viene prodotta negli impianti idroelettrici dall’energia cinetica, negli impianti termoelettrici
dall’energia termica.
56 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
57 I settori della ricerca e della coltivazione delle materie grezze (che non sono utilizzabili per la
trasformazione diretta di energia), quelli dei trasporti e della raffinazione, nonché quello della
distribuzione, che di per sé esulano dal concetto di fonte, devono quindi intendersi anche essi
compresi nella disposizione costituzionale per questo distinto profilo. V. GUARINO G., op.cit., 32
ss. Vedi sul punto anche CASSESE S., Legge di riserva e articolo 43 della Costituzione, in Giurisprudenza
costituzionale, V, 1960, 1347, il quale sostiene che il fatto che la Costituzione dica che «si riferiscano
(…) a fonti di energia» potrebbe indurre a ritenere che l’espressione trascenda la sola ipotesi della
produzione e si presti a comprendere attività succedanee quali la distribuzione, il trasporto,
l’importazione ed esportazione di «fonti di energia». Occorre comunque escludere che la formula
possa riferirsi alla utilizzazione di energia poiché l’espressione «fonte di» sembra chiaramente
contraria a tale interpretazione.
55
26
Invece, per ciò che concerne le imprese energetiche, esse sono assoggettate alla
disciplina costituzionale, per il fatto di riferirsi alle fonti di energia. È, dunque, la
materia a qualificare l’impresa e ad imporre la riserva pubblica58.
Questa circostanza, d’altra parte, acquista un significato ancora maggiore
laddove collegata all’altro elemento richiesto dall’art. 43: e cioè che le imprese o
categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazione di monopolio, «abbiano carattere di preminente interesse
generale»59.
Secondo la dottrina maggioritaria60, infatti, l’uso della congiunzione «e» nel
testo della norma, deve indurre a ritenere che l’appartenenza ad una delle tre
categorie (servizi pubblici essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio) e
l’interesse preminente costituiscano condizioni autonome entrambe necessarie. Se
però, da un lato, l’essenzialità dei servizi pubblici ha un significato che sembra
corrispondere a quello del preminente interesse generale61; dall’altro, è corretto
ritenere che possano esistere imprese o categorie di imprese che, pur riferendosi a
situazioni di monopolio o a fonti di energia, non presentano di per sé un
preminente interesse generale.
Sul punto, si veda però anche RANCI P., op. cit, 33 ss., il quale ritiene che, ad oggi, il richiamo
contenuto nell’art. 43 alle fonti di energia tra le ragioni per un esproprio di imprese non ha più
ragion d’essere, considerato che nei mercati integrati la fonte di energia può essere vista alla stregua
di qualsiasi altra materia prima. Non è più chiaro, quindi, secondo l’Autore, perché le debba essere
conservato un posto di tanto rilievo rispetto agli altri beni economici. Ritiene, invero, che il
riferimento ai servizi pubblici sia più che sufficiente e che non vi sia oggi ragione per collocare
riferimenti settoriali in un testo costituzionale.
59 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
60 Sul valore della formula «carattere di preminente interesse generale», v. CASSESE S., op.cit., 1350.
È stato sostenuto che questa formula non può servire a introdurre una ulteriore limitazione alla
riserva perché il «preminente interesse generale» delle imprese soggette ad espropriazione risulta
già implicito, in linea di massima, dalla loro necessaria appartenenza ad una delle tre categorie
elencate, la cui scelta appunto si riporta alla considerazione di questa rilevanza (così, SPAGNUOLO
VIGORITA). Altri ha invece sostenuto che la formula dei «fini di utilità generale» che debbono
motivare l’atto di riserva «trascende» e supera il valore dell’espressione «preminente interesse
generale» (così, MOTZO PIRAS, FOIS). Sembra tuttavia che debba preferirsi l’interpretazione
letterale della norma: l’uso della congiunzione e suggerisce l’opinione che si tratti di un ulteriore
requisito da aggiungersi agli altri.
61 La disposizione costituzionale prevede infatti la gestione diretta da parte dei soggetti
tassativamente indicati dei soli servizi pubblici di preminente interesse generale i quali, a questo
titolo, vengono considerati essenziali.
58
27
Unendo queste considerazioni a quelle già svolte in ordine al diverso
trattamento del settore delle fonti di energia rispetto agli altri settori che il
Legislatore può riservare alla mano pubblica, si deduce come, in base all’art. 43
Cost., il settore delle fonti di energia rappresenti l’unica materia nella quale la
presenza di imprese di preminente interesse generale viene ritenuta indefettibile.
Se è vero infatti che non tutte le imprese energetiche devono solo per ciò essere
giudicate di preminente interesse generale, è altrettanto evidente che la
contemporanea richiesta dei due requisiti (connessione con le fonti di energia e
preminente interesse generale) sarebbe priva di senso, se non derivasse dalla
consapevolezza del Legislatore costituente che la presenza della duplice
condizione in questo campo rappresenta un dato storicamente accertato62. In
questo senso, la legge mineraria del 1927, l’art. 624 c.p. e l’art. 814 c.c.
presupponevano l’esistenza di una attività industriale di trasformazione e
creazione dell’energia. L’art. 43 della Costituzione precisa, poi, che ci è sempre
almeno qualche caso in cui tale attività è compiuta da imprese aventi un carattere
di preminente interesse nazionale63.
Inoltre, l’articolo 43 – rispetto alle precedenti disposizioni che formulavano
un concetto generale dell’energia finalizzato però a disciplinare profili particolari
(furto, regime della ricerca e della coltivazione della materia prima, individuazione
dei contratti applicabili) – enuncia un criterio di organizzazione (gestione pubblica
delle imprese di interesse generale) intorno al quale si può coordinare, in modo
positivo, l’intera disciplina della materia e dal quale sembrano potersi ricavare i
seguenti principi di ordine sistematico: una precisa delimitazione della materia; il
riconoscimento di una pari rilevanza pubblicistica di tutte le attività che si
V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
L’esistenza di tali imprese è l’elemento caratterizzante ed unificatore di questa branca del diritto,
secondo GUARINO G., op.cit., 32 ss. Come il diritto bancario e quello delle assicurazioni si sono
affermati definitivamente come branche autonome del diritto quando si è raggiunta una
prospettiva istituzionale, quando cioè lo studio dei contratti bancari e di assicurazione è stato
integrato dall’esame pregiudiziale della disciplina rispettivamente delle imprese bancarie e di
assicurazione, allo stesso modo il diritto dell’energia si qualifica e si sistematizza attorno a questo
nucleo essenziale e caratterizzante, rappresentato dalla necessaria presenza di imprese aventi un
preminente interesse generale.
62
63
28
riferiscono alle fonti di energia; la previsione di una disciplina identica
(trasferimento della gestione delle imprese in mano pubblica) da attuarsi, ove se ne
verifichino i presupposti, indifferentemente in qualsiasi fase e per una qualsiasi
forma di energia64.
Secondo alcuni autori65, la riserva prevista dall’art. 43 in favore dello Stato o
altro ente pubblico avrebbe per effetto da una parte l’imposizione di un divieto
assoluto all’iniziativa privata di operare nel campo riservato e dall’altra
l’assunzione da parte del soggetto pubblico del diritto alla titolarità dell’iniziativa.
In altre parole, la riserva si riferirebbe sia alla riserva in senso stretto, sia alla
riserva con contestuale assunzione di monopolio da parte dello Stato o di altro
ente pubblico.
Tale orientamento, tuttavia, prescinde da un’interpretazione sistematica66
della norma. Infatti, la stessa Costituzione, all’art. 41, comma 3, conferisce agli
enti pubblici capacità di svolgere attività economica, mentre all’art. 42, comma 1,
prevede che essi possano essere validamente proprietari di beni. Pertanto, non si
comprende perché l’art. 43 dovrebbe conferire all’ente pubblico una capacità –
quella di essere imprenditore – che esso ha già a più titoli.67
V. GUARINO G., op.cit., 32 ss.
V. FOIS S., «Riserva originaria» e «riserva di legge» nei principi economici della Costituzione, in
Giurisprudenza costituzionale, 1960, 487 ss.; PREDIERI A., Collettivizzazione, municipalizzazione e sindacato
della Corte Costituzionale, in Giustizia civile, III, 1960, 57 ss.
66 Il ricorso all’interpretazione sistematica trova la sua giustificazione nell’esigenza di inquadrare
ogni disposizione costituzionale nella configurazione generale della forma di Stato; a fortiori, tale
approccio sembra necessario per le disposizioni costituzionali dedicate alla disciplina dell’economia
che sono chiamate a svolgere quel compito attivo di trasformazione dell’assetto economico-sociale
tipico delle costituzioni democratiche e finalizzato all’ampliamento delle opportunità di crescita e
di realizzazione dei singoli. L’adozione dell’interpretazione sistematica mostra come assuma valore
centrale, nella Costituzione italiana, la realizzazione di alcuni obiettivi quali l’affermazione
dell’uguaglianza sostanziale, della pari dignità sociale e, infine, della garanzia, oltre che della
promozione, dei diritti sociali. Tutti questi obiettivi implicano l’applicazione della funzione
redistributiva della ricchezza che da una parte prende la forma di benefici erogati dallo Stato, più o
meno direttamente, mentre dall’altra provoca l’applicazione di «strumenti che si traducono in
sacrifici di altre posizioni individuali: dalla forma classica del prelievo tributario alle altre forme di
limitazione, di divieto, di vincolo, di regolazione di attività specie economiche». V. ANGELINI F.,
Costituzione ed economia al tempo della crisi, in Rivistaaic.it, 4, 2012.
67 Che la riserva abbia per effetto esclusivamente l’imposizione di un divieto, è dimostrato, tra
l’altro, dall’analogia dell’art. 43 con l’art. 44, comma 1, Cost. E’ stato infatti osservato che per le
terre è previsto dall’art. 44 un procedimento di riserva simile a quello dell’art. 43 Cost. L’art. 44
64
65
29
Sulla base di questa interpretazione sistematica delle norme costituzionali si
può, dunque, affermare che effetto della riserva è l’imposizione di un divieto o di
un limite all’attività di impresa, nel senso che essa impedisce che soggetti privati
possano diventare titolari di una situazione giuridica soggettiva; cioè prescrive una
mancanza di legittimazione alla situazione soggettiva di impresa di cui all’art. 41,
comma 1, della Costituzione68.
Se dunque gli enti affidatari dell’impresa oggetto di riserva, ne diventano
titolari non per un’investitura ad hoc operata dall’atto di riserva, ma in virtù della
capacità di diritto privato che essi hanno, occorre allora riconoscere che l’art. 43
non indica che alcuni passaggi di un procedimento di nazionalizzazione.
Esso prevede la nazionalizzazione delle imprese, ma la regola solo in quanto
si preoccupa di porre limiti e garanzie a quegli atti (riserva o trasferimento) che
possano violare il principio – sancito dall’art. 41, comma 1, della Costituzione –
che «l’iniziativa economica privata è libera».
D’altronde l’art. 43, come anche affermato dalla Corte costituzionale, non
va considerata come norma isolata a contenuto eccezionale, bensì come norma da
collocare nel quadro di una lettura complessiva della disciplina costituzionale in
tema di iniziativa economica. Tra l’art. 41, commi 2 e 3, e l’art. 43 esiste infatti un
rapporto di progressione nell’intensità del sacrificio richiesto alla sfera privata69.
L’art. 41, infatti, sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata e ne
disciplina con norme cogenti solo «il modo di svolgimento» delle singole
Cost. si limita a prevedere per la proprietà terriera privata, che la legge possa dettare «limiti alla sua
estensione», con la conseguenza che la perdita della proprietà è causata solo sulla estensione in
eccesso. Non diversamente opera l’art. 43 Cost. ponendo limiti all’attività d’impresa dei privati. V.
ESPOSITO C., Note esegetiche sull’articolo 44 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova,
1954.
68 Vi è accordo nel ritenere che la riserva sopprime nei confronti di chiunque la garanzia dell’art.
41, comma 1, Cost. Nel caso in cui la riserva non si rivolgesse a tutti i soggetti, ma soltanto ad
alcuni di essi, d’altronde, si potrebbe invocare la violazione degli artt. 41, comma 1, e 3 Cost. V.
CASSESE S., op.cit., 1350.
69 Cfr. Corte cost., sent. n. 11 del 1960. Sulla giurisprudenza costituzionale, v. CASSESE S., op.cit.,
1350 e CHELI E., Orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di «monopoli pubblici», in Scritti in
onore di Mortati, Milano, 1962. Si rileva, tuttavia, che a parere di alcuni, una contraddizione
insanabile tra le due previsioni dell’art. 41 e dell’art. 43 Cost. V. sul punto le considerazioni di
GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995 e anche GALGANO F. – RODOTÀ S.,
Rapporti economici, in BRANCA G. (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1982.
30
iniziative, ma non ne impone lo «svolgimento»; e stabilisce che programmi e
provvedimenti delle autorità possano solo indirizzare l’attività economica privata
verso determinati fini, ma debbono lasciare ai privati la libertà di decisione e di
attuazione delle proprie iniziative, entro il quadro generale ed astratto del modo di
svolgimento delle iniziative fissato dalle leggi. Quindi, implicitamente, l’art. 41 –
nel consacrare il principio della libertà delle iniziative economiche private –
esclude che le leggi possano, con nazionalizzazioni di beni, violare tale libertà,
lasciando che la possibilità di realizzare delle iniziative dipenda dagli enti
nazionalizzatori dei beni e dalle loro concessioni autoritarie e precarie. E l’art. 43,
poi, stabilendo in quali casi eccezionali e tassativamente enumerati possano essere
sottratti al loro libero svolgimento delle iniziative private determinate da imprese
o categorie di imprese, e sottratti al libero commercio privato determinati beni
economici, non fa altro che confermare l’esattezza della precedente affermazione,
secondo cui, in via di principio, la nostra Costituzione vuole che i beni, in genere,
ed i beni economici destinati alla produzione, in particolare, siano oggetto di
proprietà privata70.
La premessa su queste norme della Costituzione economica e su una loro
lettura congiunta si pone come necessaria per i fini della presente trattazione,
anche per riconoscere, nel corso degli anni, le varie forme di intervento che lo
Stato ha deciso di operare nell’ambito energetico.
2.2. Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali.
All’indomani della seconda guerra mondiale, le norme sopra richiamate,
insieme alle discipline di settore, costituiscono, invero, la base di un sistema assai
complesso, disorganico e multiforme, caratterizzato dalla compresenza di una
pluralità di regole specifiche regolanti i diversi settori nei quali – in genere con
riferimento alle singole fonti di energia – si usa ripartire la materia. Si tratta di una
stratificazione normativa, non sempre coerente nelle sue varie parti, la quale
70
V. ESPOSITO C., op.cit., 20 ss.
31
riproduce, a livello di settore o di comparto, il riferito movimento di progressiva
attrazione della materia nella sfera del pubblico71.
La disciplina normativa dell’energia, pur nella diversità delle legislazioni
settoriali, vede sovrapporsi tre distinti gruppi di norme, che attengono al regime
dei beni, dell’attività e del servizio72.
Il primo gruppo normativo è originato dall’attribuzione delle materie prime
e, in particolare, delle risorse idriche e gassose allo Stato o ad altro soggetto
pubblico e dall’assoggettamento della loro utilizzazione a discipline speciali73.
Il secondo gruppo normativo è determinato dalla considerazione
dell’importanza dell’industria energetica per il funzionamento dell’economia
nazionale e riguarda sia gli interventi di regolamentazione sia la gestione diretta di
imprese74.
Il terzo gruppo normativo attiene alla qualificazione della distribuzione di
energia elettrica e di gas come servizio pubblico locale, gestito direttamente, in
economia o tramite azienda municipalizzata, o affidato in concessione a privati75.
In un quadro legislativo così disorganico si riflette, evidentemente, anche il
particolare assetto del comparto energetico italiano: la produzione di energia è
nelle mani di un ristretto numero di imprenditori privati; l’insieme delle imprese
pubbliche sono incapaci di esprimere una strategia complessiva; le reti di trasporto
e distribuzione sono poco sviluppate e inefficienti. La dimensione del servizio,
inoltre, è esclusivamente locale, con una notevole frammentazione dell’attività
V. LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss.
V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191.
73 Per l’energia idroelettrica, cfr. r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775; per gli idrocarbururi r.d. 29 luglio
1927, n. 1443.
74 La disciplina pubblica dell’attività assume caratteri organici nel settore elettrico. Si veda r.d. n.
1775/93 che prevede una specifica regolamentazione delle attività di importazione ed
esportazione, di costruzione e d esercizio degli impianti, di trasporto. Inoltre, alcuni provvedimenti
assoggettano i prezzi di vendita a vincoli e blocchi, a fini di politica economica, e, in particolare, di
contenimento dell’inflazione: cfr. r.d.l. 5 ottobre 1936, n. 1746.
75 Cfr. r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 e L. 29 marzo 1903, n. 103.
71
72
32
erogativa in ambiti territoriali circoscritti e, di conseguenza, una grave disparità di
trattamento all’interno del Paese76.
Per tali ragioni si forma, a livello politico e nel dibattito giuridicoeconomico, un movimento di lotta contro i monopoli privati favorevole
all’intervento diretto dello Stato, secondo le modalità previste dall’art. 43 della
Costituzione77.
Ed è proprio sulla base dell’art.43 della Costituzione che si istituiscono
regimi di riserva nel settore del gas e in quello dell’energia elettrica78.
Nel
settore del gas, la legge 10 febbraio 1953, n. 136 riorganizza la
frammentata struttura economica pubblica e istituisce l’Ente nazionale idrocarburi
(ENI)79, al fine di promuovere e attuare «iniziative di interesse nazionale nel
campo degli idrocarburi e dei vapori naturali»80. Con successivi interventi
normativi viene attribuita all’ENI la riserva, esercitabile anche attraverso società
controllate a capitale integralmente pubblico, della ricerca e coltivazione di
idrocarburi in determinate zone del territorio nazionale e dello stoccaggio
sotterraneo dei relativi giacimenti81, consentendo così all’ENI e alle sue società
V. NAPOLITANO G., op.ult.cit., 2191.
V. PICCARDI L. – ASCARELLI T. – LA MALFA U. – ROSSI E., La lotta contro i monopoli, Bari, 1955;
LOMBARDINI S., Il problema del monopolio, Milano, 1956; ROSSI E., Elettricità senza baroni, Bari, 1962.
78 Tra gli interventi di maggior rilievo si possono segnalare: il monopolio del sale e dei tabacchi
disciplinati dalle leggi n. 907 del 1942 e n. 27 del 1951; l’istituzione di centrali del latte affidate ai
comuni, in base alla legge n. 851 del 1938; la riserva allo Stato dei servizi postali e di
telecomunicazioni, approvato con d.l. n. 156 del 1973; l’attribuzione allo Stato del servizio
ferroviario con legge n. 429 del 1907. Sul punto, v. GENTILE G., La nazionalizzazione dell’industria
elettrica: il quadro costituzionale e la sua attuazione, in ID., Lezioni di diritto dell’energia, Milano, 1989.
79 L’ENI nasce come ente autonomo di gestione, titolare di una serie di società caposettore, dalle
quali dipendono le società operative. L’ente viene sottoposto, con la legge 22 dicembre 1956, n.
1589, al potere di vigilanza e direzione del Ministro della partecipazioni statali. In argomento, cfr.
SPADARI S., Aspetti e problemi fondamentali per l’interpretazione della legge sull’Eni, in Studi in memoria di
Zanobini, Milano, 1965, II, 533 ss.; nonché per alcuni significativi riferimenti GIANNINI M.S., Le
imprese pubbliche in Italia, in Rivista delle società, 1958, 210 ss.; CASSESE S., Partecipazioni pubbliche ed enti
di gestione, Milano, 1962; MERUSI F., Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano,
1964.
80 Cfr. art. 1, legge n. 136 del 1953.
81 Si vedano, in particolare, la legge 11 gennaio 1957, n. 6, la legge 21 luglio 1967, n. 613 e la legge
26 aprile 1974, n. 170. Una prima ricostruzione in GUARINO G., L’intervento dello Stato italiano in
materia di idrocarburi (1961), ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia e diritto dell’energia, Milano, 1962,
275.
76
77
33
controllate di acquisire una situazione di monopolio di fatto in tutte le fasi del
servizio.
Nel settore dell’energia elettrica, invece, la legge 6 dicembre 1962, n. 1643
espropria le imprese pubbliche e private operanti nel settore82, con le uniche
eccezioni delle aziende degli enti locali e delle imprese autoproduttrici83.
Contestualmente, viene istituito l’Ente nazionale energia elettrica (ENEL), quale
ente pubblico direttamente riservatario dell’attività di produzione, importazione,
esportazione, trasporto e distribuzione84.
L’ENEL si configura come ente pubblico economico, operante secondo
criteri di economicità e imprenditorialità, ma, allo stesso tempo, soggetto a forme
di direzione e di controllo del Governo, per mezzo di Comitati interministeriali e
del Ministero dell’industria85. Suo compito fondamentale è provvedere «alla
utilizzazione coordinata e al potenziamento degli impianti allo scopo di assicurare
La nazionalizzazione elettrica del 1962 si fonda sullo specifico disposto dell’art. 43 della
Costituzione, in quanto l’attività concernente l’energia elettrica presenta tutte e quattro le
caratteristiche che la norma contenuta nell’art. 43 medesimo determina come idonee, anche
singolarmente prese, a disporre legislativamente la riserva originaria di attività: carattere di servizio
pubblico essenziale, fonte di energia, situazione di monopolio, preminente interesse generale.
Secondo alcuni, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, inoltre, si differenzia nettamente dalle
altre non solo perché si inserisce perfettamente nel quadro costituzionale, ma altresì perché è
l’unica che, in aggiunta alla «riserva», prevede anche il «trasferimento». V. GENTILE G., op.ult.cit., 38
ss.
83 La legge di nazionalizzazione dell’energia elettrica introduce una deroga alla legge generale sulle
municipalizzazioni, in quanto di fatto impedisce alle amministrazioni comunali di assumere, tra i
propri servizi pubblici, il servizio concernente l’energia elettrica, che diventa servizio dello Stato,
affidato specificatamente all’ENEL. Quindi, i comuni che, nei due anni successivi alla legge del
1962, abbiano municipalizzato il servizio dell’energia elettrica devono optare tra il trasferimento
all’ENEL della propria impresa municipale, e il mantenimento della medesima con mutazione di
titolo, ossia come concessionaria dell’ENEL, sarà sempre il comune, e non l’impresa del comune,
anche se gestita in azienda speciale e anche se data in concessione. Anche nei confronti degli auto
produttori e dei piccoli produttori-distributori si ha una deroga, seppur meno importante: gli
autoproduttori gestiranno il servizio fino a scadenza della concessione; i piccoli produttoridistributori diventano invece una sorta di imprenditori «convenzionati» con l’ENEL, che quindi li
gestisce sotto l’aspetto economico. In argomento, v. GIANNINI M.S., Problemi giuridici delle imprese
elettriche municipali a seguito della nazionalizzazione dell’energia elettrica, in Atomo, petrolio, elettricità, V, 1963,
273 ss.
84 Sulla nazionalizzazione, v. GUARINO G., L’elettricità e lo Stato (1962) e ID., L’impresa pubblica Enel
(1963), ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Milano, seconda serie, 1970.
85 Da un lato, l’ENEL agisce in via generale con atti di diritto privato; dall’altro, anche sulla base di
direttive governative, esercita funzioni pubbliche. V. GUARINO G., Sulla capacità dell’Enel (1965),
ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Milano, seconda serie, 1970.
82
34
con minimi costi di gestione una disponibilità di energia elettrica adeguata per
quantità e prezzo alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese»86.
Questo modello dell’amministrazione per enti, che costituisce dunque un
tratto distintivo dell’organizzazione pubblica del tempo, risponde ad un’ottica di
azione strettamente statalista87 e si afferma anche nel campo dell’energia
nucleare88.
Nel 1973, lo scoppio della crisi energetica impone, tuttavia, un repentino
mutamento di rotta89. Di fronte alla crisi petrolifera degli anni Settanta, la
legislazione italiana, infatti, si pone il problema della localizzazione dei grandi
impianti energetici e della sicurezza degli approvvigionamenti e della tutela
dell’ambiente e cerca, pertanto, di promuovere per la prima volta le fonti
alternative e l’uso efficiente delle risorse90.
Cfr. art. 1, comma 3, legge n. 1643 del 1962.
V. PEREZ R., L’intervento pubblico in campo energetico: strumenti legislativi e difficoltà di attuazione, in
Rivista giuridica dell’ambiente, 1, 1984, 29. V. anche GENTILE G., I soggetti del settore energetico il modello
organizzativo, in ID., Lezioni di diritto dell’energia, Milano, 1989.
88 Lo sviluppo di queste fonti viene affidato prima al Comitato nazionale energia nucleare
(CNEN), istituito con la legge 11 agosto 1960, n. 933, poi, al Comitato nazionale per la ricerca e lo
sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative (CNRSENEA), istituito dalla legge 5
marzo 1982, n. 84, in sede di trasformazione del CNEN. Il Comitato è, successivamente,
denominato Ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA) e ridisciplinato
dalla legge 9 agosto 1991, n. 282, una volta bloccato il programma nucleare con il referendum
popolare dell’8-9 novembre 1987. Su tali evoluzioni NOCERA F., Dal CNRN alla recente creazione
dell’Enea: evoluzione legislativa con particolare riguardo ai compiti istitutivi in materia di sicurezza e protezione, in
Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1982, 569 ss.; TOSCHEI S., L’Enea nella sua evoluzione legislativa, in
Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1992, 313.
89 Era necessario abbandonare la politica «tutto-petrolio» o per lo meno ridurla per far posto a una
serie di interventi differenziati, che si basavano principalmente su due campi di azione: il risparmio
e lo sviluppo dell’energia nucleare. L’azione nel settore del risparmio, all’infuori degli immediati
provvedimenti di austerity, non riuscì a consolidarsi. Essa si risolse in provvedimenti limitati, molti
dei quali restarono senza effetto, all’infuori dei provvedimenti emananti per limitare le ore di
riscaldamento negli edifici. Per lo sviluppo dell’energia nucleare l’azione prevista era massiccia.
90 Cfr. legge 28 novembre 1980, n. 784, legge 29 maggio 1982, n. 308, legge 9 dicembre 1986, n.
896. Sugli interventi normativi e l’azione dei pubblici poteri si rinvia a PELLIZZER F., Interventi
pubblici per il conseguimento dei consumi e lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, in Rassegna giuridica
dell’energia elettrica, 1984, 283.
86
87
35
In questo contesto, l’esigenza di coordinare le funzioni dello Stato, delle
Regioni e degli enti locali con l’azione dei diversi enti pubblici operanti nel settore
conduce all’approvazione da parte del CIPE di Piani energetici nazionali91.
Il primo Piano energetico formulato è stato quello del 1975 sull’energia
nucleare, che però insieme alla legge n. 393 sulla individuazione dei siti, è rimasto
lettera morta. Nel 1977, così, si provvede a riformulare il secondo Piano
energetico nazionale (PEN), con un’ottica non più rivolta a una sola fonte di
energia, ma verso una pluralità di risorse energetiche92.
All’inizio degli anni ’80, poi, l’Italia si attiva in una reale politica di sostegno
delle energie rinnovabili, mediante l’approvazione del Piano energetico nazionale
del 198193, prima, e della legge n. 308 del 198294, poi.
La legge n. 302 del 1982 rappresenta il primo serio tentativo di soluzione di
quelle problematiche, che contraddistinguevano il settore energetico, di primaria
importanza per l’economia nazionale. Dopo anni di latitanza normativa, limitata
solo ad interventi settoriali ed episodici, il Legislatore nazionale, conformemente
agli indirizzi dettati dal PEN del 1981, affronta la materia in modo del tutto
innovativo, perseguendo le seguenti linee direttrici: risparmio e utilizzo delle fonti
rinnovabili; manovre tariffarie; localizzazione delle centrali termoelettriche e
nucleari; riconoscimento del ruolo delle Regioni in campo energetico95.
Cfr. delibere CIPE 23 dicembre 1975, 23 dicembre 1977, 4 dicembre 1981, 20 marzo 1986. In
proposito D’ORTA C., La programmazione energetica, in CASSESE S. (a cura di), Il governo dell’energia, cit.,
119 ss.
92 Il piano prevedeva che la dipendenza del Paese dal petrolio fosse ridotta a favore del gas
naturale, del carbone e della geotermia.
93 Cfr. delibera CIPE n. 243 del 4 dicembre 1981 che approva il Piano energetico nazionale (PEN).
94 Cfr. legge n. 308 del 29 maggio 1982, «Norme sul contenimento dei consumi energetici, lo
sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio di centrali elettriche alimentate con
combustibili diversi dagli idrocarburi». V. FIORITTO A. – STOLFI N., Qualcosa si muove nella politica
energetica nazionale, in Nuovo Diritto Agrario, 1983, 183 ss., in cui gli Autori sottolineano le incoerenze
ed incertezze della politica energetica italiana fino all’approvazione del Piano energetico nazionale
e del Piano nazionale di ricerca per l’energia. Tali Piani assumono, secondo gli Autori, rilievo
almeno come indici della volontà di avviare una politica di programmazione in materia. Illustrano,
quindi, sottolineandone i profili più significativi, il contenuto della legge n. 308 del 1982 che
considerano un fatto di grande importanza nell’ambito della politica energetica.
95 V. PEREZ R., op.cit., 38 ss. e PELLIZZER F., op.cit., 283.
91
36
La legge, tuttavia, mostra alcuni limiti nella fase attuativa, con forti ritardi
nell’adempimento degli obblighi tecnico-organizzativi sia da parte del Ministero
sia da parte delle Regioni96.
Solo con il Piano energetico nazionale (PEN) del 10 agosto 1988, che si
ispira a criteri di promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio
energetico, adozione di norme per gli autoproduttori e sviluppo progressivo di
fonti di energia rinnovabile, si avvia quel processo di trasformazione, nel quale fu
possibile l’effettivo realizzarsi di politiche di risparmio energetico e di conversione
progressiva dei sistemi tradizionali di produzione da fonti convenzionali in sistemi
eco-compatibili basati sull’uso delle fonti rinnovabili. In attuazione di questo
Piano, vengono emanate le due leggi del 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 1097.
2.3. Le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10.
Le leggi n. 9 e n. 10 del 1991, generalizzando il riconoscimento della libertà
di autoproduzione e di generazione da fonti rinnovabili, hanno il merito di far
maturare per la prima volta nella collettività la consapevolezza che la produzione
di energia rinnovabile o «pulita» non debba essere uno slogan, rappresentando
invece un punto focale dello sviluppo sostenibile ovvero lo strumento del
progresso non più perpetuato a danno dell’ecosistema98. Esse, inoltre, assumono
particolare importanza perché segnano una svolta nel processo di erosione del
monopolio pubblico, poi compiuto dal diritto comunitario.99
Ad es. forti ritardi sono stati registrati nell’elaborazione delle graduatorie per l’assegnazione degli
incentivi e un limite di potenza assegnato agli impianti troppo basso per stimolare una reale
decollo del settore delle rinnovabili. V. BARDUSCO A., Un progetto di riforma del settore energetico, in
Diritto e Società, 1980, 649 ss.; PEREZ R., op.cit., 38 ss.
97 Cfr. legge 9 gennaio 1991, n. 9, «Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale:
aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione
e disposizioni fiscali», e legge 9 gennaio 1991, n. 10, «Norme per l’attuazione del Piano energetico
nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti
rinnovabili di energia».
98 V. SELLERI R., Energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili: spunti di riflessione, in Rivista giuridica
dell’ambiente, 2006, 985.
99 In argomento si veda CAIA G., Commento agli artt. 20-24, in ROVERSI MONACO F. – CAIA G. (a
cura di), Commentario alla l. 9 gennaio 1991, n. 9, in Le nuove leggi civili commentate, 1993, 355 ss.
96
37
Nello specifico, la legge n. 9 del 1991 ha profondamente innovato le norme
relative all’energia elettrica, aprendo ai privati il settore della produzione di
elettricità.
Molti
vincoli,
imposti
agli
autoproduttori
dalla
legge
di
nazionalizzazione elettrica del 1962, sono stati aboliti tramite gli artt. 20, 22 e 23
della legge in questione, i quali consentono alle imprese di produrre energia
elettrica per autoconsumo o per la cessione all’ENEL. L’impresa autoproduttrice,
se costituita in forma societaria, può produrre anche per uso delle società
controllate o della società controllante.
Questo principio attenua in realtà solo in parte il monopolio dell’ENEL,
perché vincola la cessione delle eccedenze energetiche all’ENEL stessa. Tali
eccedenze vengono ritirate a un prezzo definito dal Comitato interministeriale dei
Prezzi (CIP) e calcolato in base al criterio dei costi evitati, cioè i costi che l’ENEL
avrebbe dovuto sostenere per produrre in proprio l’energia elettrica che acquista.
In questo modo si cerca di fornire benefici economici a quei soggetti che, senza
ridurre la propria capacità produttiva, adottano tecnologie che riducono i consumi
energetici. Il grande limite della legge è stato, purtroppo, quello di non avere
definito chiaramente gli obblighi dell’ENEL rispetto al ritiro delle eccedenze di
produzione di energia elettrica, a fronte dell’obbligo da parte dei produttori di
venderla unicamente a quest’ultima. Questa ambiguità ha infatti successivamente
permesso all’ENEL di rifiutarsi di ritirare le eccedenze.100
L’art. 22 della legge n. 9, inoltre, introduce incentivi alla produzione di
energia elettrica da fonti di energia rinnovabili o assimilate e, in particolare, da
impianti combinati di energia e calore.
La legge n. 10 del 1991 definisce, invece, finalità ed ambito di applicazione
delle politiche energetiche, favorendo ed incentivando: l’uso razionale dell’energia;
il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell’utilizzo di
manufatti; l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia; la riduzione dei
100
V. CAIA G., op.cit., 359 ss.
38
consumi specifici di energia nei processi produttivi; la sostituzione degli impianti
nei settori a più elevata intensità energetica.
In essa, all’art. 1, comma 3, sono identificate tutte le fonti rinnovabili di
energia o assimilate: «il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le
maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di
prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti
rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di
energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e
da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonché le altre
forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i
risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli
edifici con interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti». Il comma 4 del
medesimo articolo afferma, poi, che l’utilizzazione di tali fonti di energia «è
considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità» e che le opere relative «sono
equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell'applicazione delle
leggi sulle opere pubbliche».
Tale normativa contiene, però, un grosso errore di fondo, in quanto pone ai
fini incentivanti le fonti rinnovabili propriamente dette alla stessa stregua di quelle
assimilate, di fatto fonti termiche utilizzanti reflui. Tale equiparazione tra le fonti
«pulite» e queste altre fonti, caratterizzate da potenze e costi impiantistici superiori
in ordine di grandezza rispetto alle fonti rinnovabili propriamente dette, ha
esaurito velocemente la capienza economica degli incentivi in conto capitale
previsti dalla legge, finendo col penalizzare e ritardare la produzione di «vera»
energia rinnovabile101.
Ad ogni modo, la legge n. 10 del 1991 mantiene un’importanza rilevante,
non solo per le definizioni di principio e per la previsione di incentivi in conto
101
V. SELLERI R., op.cit., 985.
39
capitale a favore delle fonti rinnovabili102, ma in particolare anche per il ruolo
riconosciuto alle Regioni e agli enti locali in materia di fonti rinnovabili103.
In linea con il Piano nazionale, la legge prescrive, infatti, che le Regioni,
d’intesa con gli enti locali, predispongano anche un Piano regionale relativo all’uso
delle fonti rinnovabili di energia che contenga, tra l’altro, «a) il bilancio energetico
nazionale; b) l’individuazione dei bacini energetici territoriali; c) la localizzazione e
la realizzazione degli impianti di teleriscaldamento; d) l’individuazione delle risorse
finanziarie da destinare alla realizzazione di nuovi impianti di produzione di
energia; e) la destinazione delle risorse finanziarie, secondo un ordine di priorità
relativo alla quantità percentuale e assoluta di energia risparmiata, per gli
interventi, di risparmio energetico; f) la formulazione di obiettivi secondo priorità
di intervento; g) le procedure per l’individuazione e la localizzazione di impianti
per la produzione di energia fino a dieci megawatt elettrici per impianti installati al
servizio dei settori industriale, agricolo, terziario, civile e residenziale, nonché per
gli impianti idroelettrici» (art. 5, comma 3)104. Peccato, però, che per lungo tempo
la norma è rimasta lettera morta, considerato che solo in tempi recenti le Regioni
hanno iniziato ad adottare dei propri Piani energetici.
Cfr. artt. 8, 11 e 13, legge 9 gennaio 1991, n. 10.
Cfr. artt. 5, 9 e 12, legge 9 gennaio 1991, n. 10. Va considerato che proprio le autonomie
territoriali erano considerate le protagoniste principali dello sviluppo delle fonti rinnovabili
secondo la predisposizione del Piano energetico nazionale. Come prevedeva l’art. 5, infatti, le
Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentito l’ENEA, avrebbero dovuto
individuare «i bacini che in relazione alle caratteristiche, alle dimensioni, alle esigenze di utenza, alla
disponibilità di fonti rinnovabili di energia, al risparmio energetico realizzabile e alla preesistenza di
altri vettori energetici, costituiscono le aree più idonee ai fini della fattibilità degli interventi di uso
razionale dell'energia e di utilizzo delle fonti rinnovabili di energia».
104 In realtà, nonostante il dato letterale, la norma è rimasta per lungo tempo lettera morta, al
punto che fino al 2007 ancora un quarto delle Regioni non disponeva di un apposito piano
regionale.
102
103
40
2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del
mercato energetico.
A partire dagli anni novanta, il regime tradizionale è attraversato da una
serie di trasformazioni influenzate, direttamente o indirettamente, dal diritto
comunitario.
La prima trasformazione si realizza attraverso un’ampia politica di
privatizzazione e dismissione delle imprese pubbliche105.
In particolare, l’ENEL da ente pubblico economico diventa una società per
azioni a capitale integralmente pubblico, non più direttamente titolare della
riserva, ma concessionaria dello Stato per un periodo non inferiore a venti anni106.
La convenzione stipulata con l’ENEL, che accede alla concessione, è approvata
con decreto dell’allora Ministero dell’industria del 28 dicembre 1995. La cessione
ai privati dell’impresa viene, invece, rinviata alla fase di liberalizzazione del settore,
quando si manifesta un nuovo impulso alla vendita di quote del pacchetto
azionario107.
Per l’ENI, invece, il processo di collocamento sul mercato di quote del
pacchetto azionario è più avanzato; lo Stato, attraverso il Ministero del tesoro,
detiene una quota minoritaria del capitale, anche se il controllo dello Stato sulla
società è rafforzato dai poteri speciali attribuiti a tempo indeterminato al
Ministero del tesoro da una clausola statutaria introdotta al momento
dell’alienazione della prima quota del pacchetto azionario108.
Si veda la trasformazione dell’ENI e dell’ENEL, da enti pubblici economici in società per
azioni, disposta dal d.l. 11 luglio 1992, n. 533, convertito con legge 8 agosto 1992, n. 359. In
argomento, in generale CASSESE S., Privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato?, in Rivista
italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, 579 ss.; CLARICH M., Privatizzazioni e trasformazioni in atto
nell’amministrazione italiana, in Diritto amministrativo, 1995, 519 ss.; VESPERINI G., Privatizzazioni e
trasformazioni dell’impresa pubblica in Italia, in CASSESE S. – FRANCHINI C. (a cura di), L’amministrazione
pubblica in Italia, Bologna, 1994, 151 ss.
106 Cfr. art. 14, comma 2, legge n. 359 del 1992.
107 Per una ricostruzione della vicenda si possono consultare i contributi raccolti da AA.VV., La
privatizzazione del settore elettrico, Milano, 1995, nonché IRTI N., Problemi dello Stato azionista: il caso
Enel, in Rivista delle società, 1995, 22 ss.; CAIA G., Caratteri e prospettive dell’Enel s.p.a. e del suo ruolo
(appunti per una ricerca sulle «privatizzazioni»), in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1995, 3 ss.
108 I poteri speciali attributi sono quattro: gradimento dell’assunzione di partecipazioni rilevanti,
pari ad almeno il tre per cento del capitale con diritto di voto all’assemblea ordinaria; gradimento
105
41
Analoghi processi di privatizzazione riguardano, inoltre, le principali
imprese degli enti locali operanti nei due settori. Le riforme della disciplina dei
servizi pubblici locali, da un lato, riconoscono la possibilità di affidare la gestione
dei servizi a società a capitale pubblico maggioritario o minoritario e, dall’altro,
facilitano la trasformazione delle aziende speciali in società di diritto privato109.
Una volta, poi, trasformate in società per azioni, quote significative del capitale
vengono collocate tra gli investitori e risparmiatori110.
La seconda trasformazione che interessa il settore, per molti versi connessa
alla precedente, è, invece, costituita dai processi di liberalizzazione111.
Dopo l’erosione del mercato elettrico, attraverso il riconoscimento generale
della libertà di autoproduzione e di generazione da fonti rinnovabili, la
trasformazione del regime tradizionale nella direzione dell’apertura alla
concorrenza è infatti determinata, o per meglio dire, imposta dal diritto
comunitario112.
In Italia, il riassetto del mercato elettrico italiano e la sua liberalizzazione
sono stati avviati dal decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999 (c.d. «decreto
Bersani»), emanato sulla base della delega conferita dall’art. 36 della legge n. 128
del 1998, in attuazione della direttiva 96/62/CE recante norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica.
Il d.lgs. n. 79 del 1999, al fine di avviare una graduale liberalizzazione del
mercato elettrico italiano, stabilisce importanti innovazioni nel settore dell’energia
su patti o accordi di voto che rappresentino almeno il tre per cento del capitale con diritto di voto
nell’assemblea ordinaria; veto sull’adozione delle delibere di scioglimento della società, di
trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di
cambiamento dell’oggetto sociale, di modifica delle clausole relative ai poteri speciali; nomina di un
amministratore e di un sindaco.
109 Cfr. legge 8 giugno 1990, n. 142, legge 29 dicembre 1992, n. 498, legge 29 ottobre 1993, n. 427,
legge 15 maggio 1997, n. 127, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, così modificato dall’art. 35 della legge
28 dicembre 2001, n. 448.
110 E’ il caso, per esempio, dell’AMGA di Genova, dell’AEM di Milano, dell’ACEA di Roma. Per
un inquadramento generale di tali trasformazioni vedi CORSO G., La gestione dei servizi locali tra
pubblico e privato, in Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, 21 ss.;
CAMMELLI M. – ZIROLDI A., La società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, 1997.
111 V. CORAPI D., Liberalizzazione e privatizzazione nel settore elettrico, in Rassegna giuridica dell’energia
elettrica, 1998, 23 ss.
112 V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191.
42
elettrica, e sulla base delle indicazioni provenienti dall’ordinamento europeo,
procede alla separazione tra le diverse fasi del servizio, che nel precedente regime
erano integrate all’interno del monopolio pubblico113.
Innanzitutto, l’attività di produzione di energia elettrica viene definita
«libera»114, ed al fine di facilitare la transizione dal monopolio alla concorrenza, la
normativa pone a carico dell’ENEL un obbligo di cessione della capacità
produttiva, autorizzando nuovi soggetti ad entrare nei mercati della produzione,
distribuzione e vendita dell’energia elettrica, vietando però contestualmente a
ciascun soggetto di produrre o importare più del 50% della quota di energia
elettrica prodotta e importata in Italia. Ulteriori misure mirano poi a facilitare la
costruzione e gestione di nuovi centrali elettriche, semplificando le relative
procedure amministrative e prevedendo il rilascio di un’autorizzazione unica,
comprensiva della valutazione di impatto ambientale115. Al pari dell’attività di
produzione, anche le attività di importazione ed esportazione sono libere, nel
quadro delle attività. Invece, le attività di trasmissione e dispacciamento, a causa
delle condizioni di monopolio naturale e delle esigenze di coordinamento, sono
assoggettate a regime di riserva116 e affidate in concessione al Gestore della rete di
trasmissione nazionale (GRTN)117.
V. in argomento BRUTI LIBERATI E., La regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici a rete,
Milano, 2006; GULLÌ F., Riforma della regolamentazione e riorganizzazione del settore elettrico in Italia: i primi
sette anni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in Economia e politica industriale, 2005, 163 ss.; DI
PORTO F. – SILVA F., Riformare le utilities è difficile: il caso elettrico italiano, in Mercato concorrenza regole,
2005, 11 ss.; SILVA F., La riforma italiana del servizio elettrico: un caso di policy failure, in Economia e politica
industriale, 2004, 41 ss.; VETRÒ F., La regolazione pubblica del mercato elettrico: sull’ordine giuridico del
mercato libero dell’energia elettrica, in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 2003, 811 ss.; BERRA P., Il
primo periodo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica: 1999-2001, in MELE R. – PARENTE R. –
POPOLI P. (a cura di), I processi di deregolamentazione dei servizi pubblici: vincoli, opportunità istituzionali e
condizioni operative: atti del convegno 11 e 12 aprile 2002, Università degli studi di Salerno, Rimini, 2004.
114 Ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 79 del 1999 viene sancito il principio di libertà della produzione
di energia elettrica, con conseguente divieto di subordinare l’autorizzazione agli impianti a misure
compensative (cfr. artt. 3, 9, 12, comma 6).
115 Cfr. artt. 1 e 8 del d.lgs. 79 del 1999. V. anche NAPOLITANO G., La politica europea, cit.
116 Cfr. art. 1, comma 1, d.lgs. n. 79 del 1999: «Le attività di trasmissione e dispacciamento sono
riservate allo Stato ed attribuite in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale di cui
all’articolo 3»; inoltre, «il gestore della rete di trasmissione nazionale (…) ha l’obbligo di connettere
alla rete di trasmissione nazionale tutti i soggetti che ne facciano richiesta (cfr. art. 3, comma 1,
d.lgs. cit.), e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas «fissa le condizioni atte a garantire a tutti gli
113
43
Per quanto attiene, poi, in particolare, allo sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili, nel quadro generale di liberalizzazione della produzione di energia
elettrica, il decreto Bersani, all’articolo 11, comma 1, definisce i criteri generali a
cui gli importatori e i soggetti responsabili d’impianti di produzione di energia
elettrica devono rispondere. In particolare, «al fine di incentivare l’uso delle
energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride
carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001
gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno,
importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo
di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota
prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati,
limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in
vigore del presente decreto».
Il d.lgs. n. 79 del 1999 introduce, quindi, un correttivo alla legislazione
precedente in materia di energia prodotta da fonti rinnovabili, eliminando il
concetto di «fonti assimilate»118 – che come abbiamo visto provocava una
distorsione al sistema – e riformula, altresì, l’intero sistema di incentivazione.
Come si vedrà più specificatamente nel prosieguo, giova comunque
anticipare che l’articolo 11 del decreto Bersani sancisce il superamento del vecchio
criterio di incentivazione tariffaria noto come CIP 6/92 per passare ad un
meccanismo di mercato basato sui c.d. certificati verdi, che attestano la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Vengono definiti i livelli di
utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio
di trasmissione e dispacciamento», prevedendo «l’obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia
elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili» (cfr. art. 3, comma 3, d.lgs. cit.).
117 Oggi TERNA. Società costituita, il 31 maggio 1999, all’interno del Gruppo ENEL in attuazione
del d.lgs. n. 79 del 1999 che nel contesto del processo di liberalizzazione del settore elettrico
italiano ha sancito la separazione tra la proprietà e la gestione della rete di trasmissione nazionale.
Le attività di TERNA, operativa dal 1° ottobre dello stesso anno, riguardano l’esercizio e la
manutenzione degli impianti del Gruppo Enel facenti parte della rete di trasmissione nazionale e lo
sviluppo della rete stessa secondo le direttive impartite dal GRTN (Gestore della rete di
trasmissione nazionale.
118 Le precedenti leggi n. 9 e n. 10 del 1991 – come già esposto – operavano una piena
equiparazione tra le fonti rinnovabili propriamente dette a quelle assimilate, di fatto fonti termiche
utilizzanti reflui. Vedi sul punto, SELLERI R., op.cit., 958.
44
energia «verde» da vendere e viene instaurato un mercato derivato dai certificati
verdi, ovvero l’acquisto di disponibilità di elettricità da fonti rinnovabili per le
società elettriche che non dispongono di energia a basso impatto impiantale.
Con questa previsione vengano di fatto poste le basi per l’effettiva
liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica in Italia e viene anche
definita l’entrata nel mercato di nuovi operatori e interlocutori. Tra questi, spicca,
ad esempio, il Gestore del mercato elettrico (GME)119 che assume la gestione delle
offerte di vendita e acquisto dell’energia elettrica e di tutti i servizi connessi,
garantendo così il funzionamento della concorrenza del mercato, mediante il
rispetto dei criteri di neutralità e trasparenza e obiettività, nonché assicurando
un’adeguata disponibilità della riserva di potenza120.
Infine, la terza fase di trasformazione è costituita dal processo di
regolazione, con il quale trovano protezione gli interessi collettivi degli utenti e
degli operatori, che, per la prima volta, assumono autonoma rilevanza, nel
contesto degli interventi di privatizzazione e liberalizzazione121. A tal fine, viene
istituita un’Autorità di regolazione, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas
(AEEG)122, preposta allo scopo di fissare «le norme per la concorrenza e la
Il GME (Gestore mercati energetici) è una società per azioni controllata dal GSE (Gestore
servizi energetici), società per azioni integralmente a partecipazione pubblica, la cui disciplina di
mercato è interamente sottoposta all’approvazione del Ministro dell’industria, sentita l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas (AEEG).
120 V. NAPOLITANO G., La politica europea, cit., 2191.
121V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191. In generale, sullo Stato regolatore, v. CASSESE
S., Stato e mercato, dopo privatizzazioni e «deregulation», in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1991, 378
ss.; DE PAOLI L., Regolamentazione e mercato unico dell’energia, Milano, 1993.
122 L’AEEG è un’autorità indipendente istituita con la legge 14 novembre 1995, n. 481 con
funzioni di regolazione e di controllo dei settori dell’energia elettrica e del gas. L’autorità è
operativa dal 23 aprile 1997, data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento di
organizzazione e funzionamento. In tale data sono state trasferite all’autorità le funzioni relative
alle sue attribuzioni, fino ad allora esercitate da altre amministrazioni pubbliche. Essa ha il compito
di perseguire le finalità indicate dalla L. n. 481 del 1995 con cui si vuole «garantire la promozione
della concorrenza e dell'efficienza» nei settori dell'energia elettrica e del gas, nonché «assicurare
adeguati livelli di qualità» dei servizi. Le finalità indicate dalla Legge istituiva devono essere
perseguite assicurando «la fruibilità e la diffusione (dei servizi) in modo omogeneo sull'intero
territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti,
promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, (...)». Il sistema tariffario deve inoltre
«armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi
generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse». Le pubbliche
119
45
regolazione dei servizi di pubblica utilità».
Ne risulta un nuovo quadro delle funzioni dei pubblici poteri, i quali sono
chiamati a coniugare il crescente spazio riconosciuto alla libertà di iniziativa
economica privata con la tutela degli interessi generali e collettivi123.
3.
Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in materia di
energia.
Il quadro normativo di riferimento del settore energetico, oltre a subire il
processo di apertura dei mercati dell’energia, in gran parte accelerato dalla spinta
delle direttive comunitarie, viene interessato anche da un altro processo finalizzato
a ridisegnare il quadro delle competenze politico-amministrative delle Regioni e
degli enti locali.
Il risultato per l’intero sistema energia è stato quello di un doppio
decentramento, sia politico che amministrativo. Si è passati da un sistema
accentrato in cui le decisioni economiche e strategiche riguardo alla produzione e
alla fornitura di energia venivano assunte dagli enti energetici nazionali controllati
dal potere politico centrale ad un sistema in cui le decisione economiche sono
prese da operatori privati in un quadro di competenze di politica energetica, a sua
volta, decentrato.
Tale processo di decentramento, culminato con la riforma del titolo V della
Costituzione, è iniziato tuttavia già vent’anni prima della legge costituzionale n. 3
del 2001. Infatti, il decentramento attuato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001
ha rappresentato il punto di arrivo di un percorso in parte già avviato dalla
giurisprudenza costituzionale e anche sostenuto dall’opinione di un’autorevole
amministrazioni e le imprese sono tenute a fornire all’autorità, oltre a notizie e informazioni, la
collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni.
123 V. NAPOLITANO G., nell’op.ult.cit., 2191, definisce «generali» sono quegli interessi, per così dire
«sistemici», relativi alla sicurezza dell’approvvigionamento, all’uso efficiente delle risorse, alla
protezione dell’ambiente. Sono invece «collettivi» gli interessi dei destinatari finali del servizio, che
attengono alla fruizione delle prestazioni e alla tutela dei diritti. Inoltre poi vi sono gli interessi
collettivi degli operatori relativi al funzionamento di un mercato concorrenziale.
46
dottrina124, secondo cui l’amministrazione regionale si presenta come il livello di
governo più idoneo a finalizzare e rendere concrete le scelte di strategia politica
elaborate, nelle sedi competenti, a livello nazionale125.
3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del titolo
V della Costituzione.
L’articolo 117 della Costituzione, nella sua versione originaria, non
contemplava l’energia nell’elenco delle materie oggetto di competenza legislativa
concorrente da parte delle Regioni a statuto ordinario. Ciò comportava, in base al
«vecchio» criterio di riparto delle competenze legislative, la spettanza esclusiva allo
Stato della disciplina normativa della materia energetica, nonché, in forza del
principio del c.d. «parallelismo delle funzioni» (art. 118, comma 1, Cost., testo
originario), l’esclusione della titolarità di poteri amministrativi nella stessa materia
da parte delle Regioni (e, di riflesso, degli enti locali), salvo quelli che fossero
eventualmente delegati con legge statale, ai sensi dell’art. 118, comma 2, Cost.,
testo originario.126
Si vedano CAIA G., Stato e autonomie locali nella gestione dell’energia, Milano, 1984 e CAMMELLI M. (a
cura di), Energia e Regioni. Politiche istituzionali e strumenti di governo, Bologna, 1986.
125 Sul punto si vedano GALBIATI R. – VACIAGO G., Il governo dell’energia dal decentramento alla riforma
costituzionale: profili economici, in Mercato, concorrenza e regole, 2002, 362, secondo cui «i livelli locali di
governo sembrano maggiormente efficaci nell’indirizzare interventi strutturali in campo energetico
data la loro maggiore conoscenza delle realtà sulle quali vanno ad incidere». Sul ruolo della Regione
nell’ambito della gestione delle conoscenze delle politiche energetiche interessanti spunti in
MELONCELLI A., Politiche energetiche e circolazione delle conoscenza: profili pubblici cistici, in CAMMELLI M.
(a cura di), Energia e Regioni, cit., 353 ss. Rileva invece la debolezza delle Regioni come enti di
legislazione e amministrazione CASSESE S., L’energia elettrica nella legge costituzionale n. 3 del 2001, in
Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2002, 497, il quale sottolinea come esse rappresentino
importanti centri di pressione nei confronti dello Stato.
126 L’energia, che a fronte della sua originaria assenza dall’elenco dell’art. 117 Cost., non si
configurava ancora come una materia a sé stante ma piuttosto quale settore caratterizzato da un
fascio di attribuzioni riconducibili ad una pluralità di materie, ha costituito fertile terreno per
conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni devoluti al vaglio della Corte Costituzionale aventi ad
oggetto proprio la definizione delle rispettive sfere di competenze nei casi di connessione fra
l’energia ed altri ambiti materiali (si pensi alla sanità, all’urbanistica, ai lavori pubblici di interesse
regionale, alle acque minerali e termali, alle cave e torbiere, all’agricoltura, ed in particolare
all’ambiente). Cfr. Corte cost., sentt. n. 13 del 1964; n. 190 del 1976; n. 182 e n. 183 del 1987; n.
482 e n. 483 del 1991; n. 174 del 1998. Fra tutti, vedi sull’argomento: MEZZETTI L., Energia e
ambiente, in ID. (a cura di), Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, 1016 ss. dove l’Autore, a
seguito di un’approfondita analisi dell’evoluzione giurisprudenziale sull’argomento, afferma che «il
124
47
La prima legge a dare avvio a un parziale decentramento in materia
energetica è stata la legge n. 308 del 1982. Questa legge, infatti, oltre a dare
impulso ad un programma di interventi per il contenimento dei consumi di
energia e per l’incentivazione dell’uso delle fonti rinnovabili, ha anche affidato un
importante ruolo di qualificazione della domanda energetica e di gestione dei
contributi alle Regioni, e attraverso esse, agli enti locali127. Con le leggi del 1991, la
n. 9 e la n. 10, si è passati invece da un sistema in cui la Regione veniva vista
sostanzialmente come centro di erogazione dei contributi ad uno più complesso in
cui, addirittura, alcuni hanno parlato di «governo regionale» dell’energia128. La
Regione viene, difatti, inserita stabilmente nel sistema del Piano energetico
nazionale (PEN) e ad essa vengono ricondotte le attività e competenze richieste
per attuare gli interventi in materia di uso razionale dell’energia129.
Se è, dunque, dal 1982 che alle Regioni e agli enti locali viene attribuita la
possibilità di sviluppare un’autonoma politica di incentivazione al risparmio
energetico e alle fonti rinnovabili, è però con l’intervento della legge Bassanini n.
59 del 1997 e del decreto legislativo di attuazione n. 112 del 1998 che alle Regioni
vengono formalmente attribuite numerose funzioni amministrative in materia di
energia130.
Come noto, la legge Bassanini rappresenta un momento fondamentale nella
riforma dell’ordinamento dello Stato. Essa infatti disegna un ordinamento fondato
sui principi di sussidiarietà e cooperazione ed in quest’ottica l’azione delle Regioni
percorso evolutivo della giurisprudenza costituzionale concernente il riparto delle competenze
Stato – Regioni in materia di energia sembra caratterizzato dalla costante individuazione degli
interessi che, quanto alla propria dimensione, giustificano un ruolo di primazia statale nel settore».
127 V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 362 ss.
128 V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 362 ss.
129 Le leggi n. 9 e n. 10 del 1991 in particolare riconoscono alle Regioni: un ruolo legislativo in
ambito energetico, infatti alle Regioni viene attribuito il compito di emanare norme per
l’attuazione della legge 10 del 1991 (art. 17); un ruolo consultivo, infatti alle Regioni viene
attribuito il ruolo di esprimere pareri riguardanti l’impiego di strumenti pubblici di incentivazione;
nonché un ruolo programmatorio, che si esplica attraverso il piano regionale relativo all’uso delle
fonti rinnovabili. Vale la pena, d’altronde, ricordare che la legge n. 9 del 1991 ha costituito unno
dei primi passi verso la liberalizzazione della produzione di energia elettrica favorendo l’uso di
fonti rinnovabili e di soluzioni produttive efficienti da parte di produttori indipendenti.
130 V. MISCIA V. – L UBELLO V., Il «federalismo energetico». Fonti rinnovabili e potestà regionali dopo il d.lgs.
28/2011, in Quaderni regionali, 1, 2011, 85.
48
e degli enti locali – non più soltanto strumento per incrementare l’efficacia delle
decisioni prese a livello centrale – assume un autonomo ruolo. La sede regionale
diviene essa stessa centro decisionale.
Relativamente al settore energetico, il profilo innovativo consiste nella
diversa articolazione delle competenze rispetto alla Costituzione. L’art. 117,
all’epoca, infatti, non menzionava l’energia tra le materia di competenza legislativa
regionale; la legge Bassanini invece non menziona la materia energetica tra quelle
espressamente escluse dall’ambito di applicazione della legge e quindi
automaticamente riservate allo Stato. Di conseguenza, secondo una logica
interpretativa dei «poteri residui» è stato desunto che la materia «energia» dovesse
essere compresa tra le competenze amministrative trasferite agli enti decentrati,
fatte salve le competenze di rilievo nazionale relative alla «ricerca, produzione,
trasporto e distribuzione dell’energia» e «programmazione, progettazione,
esecuzione e manutenzione delle grandi reti infrastrutturali»131.
Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, in attuazione della delega
conferita dalla legge n. 59 del 1997, ha poi distribuito i compiti tra Stato, Regioni e
enti locali secondo un’assegnazione «residuale», in basa alla quale tutto ciò che
non viene riservato allo Stato o direttamente attribuito agli enti locali risulta, per
esclusione, conferito alle Regioni. In particolare, gli articoli 29 e 31 del decreto
elencano espressamente le attività riservate allo Stato e agli enti locali, lasciando
tutto il resto alla spettanza delle Regioni. Come recita l’art. 30, infatti, «sono
delegate alle Regioni le funzioni amministrative in tema di energia, ivi comprese
quelle relative alle fonti rinnovabili, all’elettricità, all’energia nucleare, al petrolio ed
al gas, che non siano riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 29 o che non siano
attribuite agli enti locali ai sensi dell’articolo 31». Sono attribuite, inoltre, alle
Regioni il controllo di quasi tutte le forme di incentivazione previste dalla legge n.
10 del 1991 e il coordinamento dei compiti attribuiti agli enti locali per
Vengono fatti salvi anche i compiti di regolazione e controllo delle autorità indipendenti, tra cui
quelli già esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. V. GALBIATI R. – VACIAGO G.,
op.cit., 362 ss.
131
49
l’attuazione del decreto. Va segnalato, tuttavia, che le competenze attribuite ai
livelli di governo locale dalla legge n. 59 del 1997 e dal d.lgs. n. 112 del 1998 sono
di natura amministrativa e, pur nel riconoscimento di ampi spazi di autonomia
decisionale, vengono mantenuti fermi i principi di indirizzo e controllo nazionale
in ambito ritenuto strategico132.
Un ulteriore ampliamento del ruolo delle Regioni in ambito energetico si
realizza anche con il decreto Bersani, il d.lgs. n. 79 del 1999. Con esso si
attribuisce alle Regioni e alle province autonome il compito di favorire il
coinvolgimento delle comunità locali nella gestione delle risorse finanziarie
destinate all’incentivazione delle fonti rinnovabili, attraverso il ricorso a procedure
di gara133. Con questa disposizione si attua, pertanto, un raccordo con quanto
disposto dal d.lgs. n. 112 del 1998, che attribuisce alle Regioni la gestione di quasi
tutte le forme di incentivazione previste dalla legge n. 10 del 1991.
3.2. La riforma del titolo V della Costituzione.
La riforma del titolo V della Costituzione, operata con la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, si inserisce, dunque, in tale quadro normativo
ed è per diversi aspetti indirizzata a dare copertura costituzionale al sistema
delineato dalla legge n. 59 del 1997 e dal relativo d.lgs. n. 112 del 1998; sistema nel
quale, però, come abbiamo detto, le competenze attribuite ai livelli di governo
regionali e locali sono di natura esclusivamente amministrativa.134
La ratio principale che spinge il Legislatore a mettere mano alla Costituzione
è, invero, l’avvertita necessità di porre in atto il principio di sussidiarietà.
La maggiore novità della riforma del titolo V non sta, infatti, soltanto nella
ripartizione delle materie ma anche nella nuova impostazione che, secondo il
principio di sussidiarietà, considera come livello primario quello delle autonomie.
Anche se poi di fatto i poteri amministrativi di autorizzazione conferiti alle amministrazioni
periferiche si sono spesso tradotti in vincoli insormontabili per lo sviluppo delle infrastrutture.
133 Cfr. art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 79 del 1999.
134 V. PICOZZA E. - COLAVECCHIO A., Energie, in CORSO G. – L OPILATO G., Il diritto amministrativo
dopo le riforme costituzionali, Milano, parte speciale, II, 2006, 81 ss.
132
50
Ciò comporta che l’attuazione della riforma ha carattere ascendente, cioè parte
dalle Regioni e dagli enti locali; mentre nel passato, nella riforma Bassanini,
l’andamento era quello opposto: le competenze di natura amministrativa erano
conferite dallo Stato alle Regioni e da esse agli enti locali.
La legge costituzionale n. 3 del 2001 incide direttamente sul riparto delle
competenze legislative, enumerando, al comma 3 dell’art. 117, «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» tra le «materie di legislazione
concorrente», e pertanto «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
Ciò significa che lo Stato ha la possibilità di intervenire sulla materia soltanto con
leggi che dettino i principi fondamentali135.
La dottrina136 ha proposto due diverse letture della disposizione
costituzionale de qua.
Con una prima interpretazione, si cerca di fornire una lettura maggiormente
formale della disposizione, considerando partitamente «produzione, trasporto e
distribuzione» quali fasi diverse e distinte del processo energetico, prevedendo
solo su di esse una potestà concorrente regionale.
Tale impostazione si espone alla critica che avrebbe come conseguenza –
sicuramente non voluta dai redattori della riforma – che le altre attività che
riguardano il processo energetico, ma che non si esauriscono in quelle tre citate in
Costituzione (importazione, esportazione, ricerca, stoccaggio, raffinazione,
trasmissione, dispacciamento e vendita) ricadrebbero, secondo il ribaltamento
delle competenze operato dal nuovo art. 117 cost., nella potestà residuale delle
Regioni.
Il cambiamento rispetto alla precedente situazione di decentramento amministrativo è radicale.
Le Regioni e gli enti locali infatti non sono più investiti soltanto di competenze amministrative o di
legislazione attuativa in delega di norme statali, ma ogni Regione avrà il potere di legiferare
autonomamente in ambito energetico. Quindi ogni Regione avrà una propria disciplina in materia
e potrà attuare politiche energetiche anche diverse dalle altre. V. GALBIATI R. – VACIAGO G.,
op.cit., 366.
136 V. CARAVITA DI TORITTO B., «Taking Constitution Seriously». Federalismo e energia nel nuovo Titolo V
della Costituzione, in Federalismi.it, 19 febbraio 2003; DA EMPOLI S. – STERPA A., La Corte
costituzionale ed il federalismo energetico, in Federalismi.it, 3, 2004.
135
51
Secondo una diversa interpretazione, invece, confermata poi anche dalla
Corte costituzionale137, l’espressione utilizzata dal legislatore costituzionale
andrebbe intesa come includente il più generale «governo dell’energia», quale
settore complessivo e omnicomprensivo.
Va notato, però, che se è vero che con la predetta legge di riforma a
impianto federalista si viene ad attribuire un ruolo preciso e specifico alle
Regioni138, direttamente coinvolte nell’apprestamento della disciplina di dettaglio
della materia (e non più chiamate in causa, come in passato, solo in relazione alla
spettanza di interessi settoriali intimamente connessi a quello dell’energia), è anche
vero che tale espresso riconoscimento non ha tuttavia contribuito a migliorare la
complessa e delicata trama dei rapporti tra amministrazioni centrali e autonomie
territoriali, posto che il Legislatore costituzionale si è, al contempo, determinato
nel senso di attribuire materie che intersecano «trasversalmente» il settore
dell’energia alla competenza esclusiva dello Stato139.
Basti pensare, infatti, che spetta allo Stato in via esclusiva la competenza
legislativa in tema di tutela della concorrenza, rapporti dello Stato con l’Unione
europea, determinazione livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
Cfr., tra le altre, Corte cost. sentt. nn. 6, 7 e 8 del 2004. La Corte si è soffermata, per la prima
volta, dopo la riforma del Titolo V, sulla dimensione contenutistica della materia «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», chiarendo innanzitutto che tale nomen
costituzionale «deve ritenersi corrispondente alla nozione di «settore energetico» di cui alla legge n.
239 del 2004, così come alla nozione di «politica energetica nazionale» utilizzata dal Legislatore
statale nell’art. 29 del d.lgs. n.112/1998 (…), che era esplicitamente comprensiva di qualunque
fonte energetica».
138 Nelle materie a legislazione concorrente spetta infatti alle Regioni non solo la vera disciplina
della materia, avendo lo Stato un ruolo meramente circoscritto alle sole norme di principio, ma
anche la piena ed esclusiva potestà regolamentare della medesima (cfr. art. 117, comma 6, Cost.). Si
consideri inoltre che la c.d. legge La Loggia (L. 5 giugno 2003, n. 131 «Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3») ha chiarito, con
la disposizione di cui all’art. 1, comma 3, che nel caso di assenza di leggi statali appositamente
enunciative di principi fondamentali della materia, occorre far riferimento a quelli «desumibili dalle
leggi statali vigenti», come aveva del resto già anticipato la Corte Costituzionale nella nota sentenza
26 giugno 2002, n. 282, su cui, da ultimo si veda V. MOLASCHI V., Livelli essenziali delle prestazioni e
Corte Costituzionale: prime osservazioni, in Foro italiano, I, 2003, 394 s.
139 V. LOMBARDI R., Il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali: il modello costituzionale e quello
emergente dalla legislazione relativa alle procedure energetico-ambientali, in Giustamm.it, 5, 2005.
137
52
e sociali, funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e tutela
dell’ambiente.
Questa nuova dislocazione delle competenze legislative, ed anche
amministrative140, proprio in relazione alla possibile loro incidenza su interessi di
carattere
unitario,
ha,
inevitabilmente,
sollevato
numerose
critiche
e
141
interrogativi .
Alle problematiche sorte a seguito di una tale frammentazione delle
competenze, il Legislatore ha tentato di dare una soluzione sul piano delle fonti
primarie attraverso la legge n. 239 del 2004 di «riordino del settore energetico,
nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di
energia», la c.d. «legge Marzano».142
Tale fonte normativa, oltre a presentarsi di assai difficile lettura essendo
composta da un unico articolo composto di 121 commi, modifica ed integra il
quadro normativo di riferimento secondo quattro principali linee direttrici: a) la
definizione delle competenze dello Stato e delle Regioni, in relazione al nuovo
assetto costituzionale di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione; b) il
completamento del processo di liberalizzazione dei mercati energetici; c)
l’incremento dell’efficienza del mercato interno, attraverso la semplificazione delle
procedure di autorizzazione degli impianti e la riorganizzazione dei soggetti
operanti nel mercato elettrico; d) una più incisiva diversificazione delle fonti
energetiche, segnatamente a tutela della sicurezza degli approvvigionamenti ed a
protezione dell’ambiente.
Per quanto riguarda, infatti, le funzioni amministrative, il novellato art. 118 Cost.,
abbandonando il c.d. principio del «parallelismo», stabilisce che le funzioni amministrative sono
attribuite ai Comuni, «salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province,
Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza». Inoltre, va ricordato che tale riparto di competenze legislative ed amministrative non
esaurisce l’intervento dei poteri pubblici nel settore energetico, caratterizzato dalla presenza di una
autorità di regolazione, introdotta dalla legge n. 481 del 1995 (le cui funzioni sono state
successivamente ampliate dai decreti legislativi n. 79 del 1999 e n. 164 del 2000) e di cui, nel
delimitare l’area di operatività delle Regioni, occorre tenere conto.
141 V. CASSESE S., L’energia elettrica, cit., 497 ss.; SCARPA C., Titolo V e politica energetica: per favore,
riformiamo la riforma, in Mercato, concorrenza e regole, 2, 2002, 389 ss.
142 V. DE BELLIS M., La legge di riordino del settore energetico, in Giornale di diritto amministrativo, 2005,
249 ss.
140
53
Per quanto riguarda il riparto delle competenze operato dal nuovo titolo V
della Costituzione, la legge Marzano individua i principi fondamentali della
materia cui le Regioni dovranno attenersi nell’esercizio della potestà legislativa
concorrente ad esse riconosciuta, nonché le disposizioni volte a garantire la tutela
degli interessi che rientrano nelle materie trasversali di competenza dello Stato.143
In questa prospettiva, la legge n. 239 del 2004 indica una serie di obiettivi
che lo Stato e le Regioni devono perseguire «al fine di assicurare su tutto il
territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia» (art.1,
comma 4) e individua, inoltre, un elenco di funzioni riservate allo Stato144,
attribuendo alle Regioni il potere di determinare con proprie leggi i compiti e le
funzioni amministrative non espressamente attribuiti allo Stato145.
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità tra il
riparto di competenze così operato dal Legislatore ed il modello dettato dal nuovo
titolo V della Costituzione, nell’ambito dei ricorsi promossi avverso la legge n. 239
del 2004, ha tentato di ridare coerenza sistematica al problema del riparto delle
competenze Stato-Regioni nella materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», ponendo al centro del «governo dell’energia» accordi e
intese tra Stato e Regioni, sia direttamente che all’interno del sistema delle
Conferenze146.
Del pari, le medesime problematiche sul riparto di competenze sono state
sollevate anche con riferimento alla specifica materia delle fonti rinnovabili.
Cfr. art. 1, commi 1, 2 e 3, della legge n. 239 del 2004. Dall’impianto normativo della legge il
ruolo delle Regioni appare sminuito rispetto al dettato costituzionale, sia perché la legge statale
pone un fitto e ricco elenco di obiettivi, sia perché i meccanismi di raccordo e di cooperazione –
che dovrebbero consentire il coinvolgimento delle Regioni – non coprono l’intera materia e,
dovendo gli obiettivi essere posti necessariamente con legge dello Stato, spetterà in via definitiva al
Parlamento tradurli in atti primari. V. DA EMPOLI S. – STERPA A., Prime osservazioni sulla legge n. 239
del 2004: la potestà legislativa concorrente è rimasta senza «energia», in Federalismi.it, 18, 2004.
144 Cfr. art. 1, comma 7 e 8, legge n. 239 del 2004.
145 Cfr. art. 1, comma 6, legge n. 239 del 2004.
146 Si veda, ad esempio, sent. Corte cost. n. 168 del 2008, in cui, nel sindacare sulla possibilità per
lo Stato di finanziare interventi in materia energetica, ha risolto in questo caso la questione in
riferimento alle modalità, sostenendo la necessità di valorizzare il principio di leale collaborazione,
in particolare nelle forme dell’intesa «forte». V. MISCIA V. – LUBELLO V., op.cit. e DA EMPOLI S. –
STERPA A., Corte costituzionale, cit.
143
54
Infatti, sia la disciplina statale di recepimento della direttiva del 2001, il d.lgs. n.
387 del 2003, sia la legge n. 239 del 2004147 hanno inteso riconoscere un rilevante
ruolo alle Regioni in questo settore.
Il d.lgs. n. 387 del 2003, infatti, coerentemente con l’art. 117, comma 3,
della Costituzione, prevede la partecipazione delle Regioni nel processo di
sviluppo dello sfruttamento di impianti alimentati da fonti rinnovabili. A tale
scopo, ispirandosi al principio di leale collaborazione, le Regioni sono chiamate ad
impegnarsi massimamente nell’individuare e porre in essere ogni misura che possa
contribuire ad un più razionale sfruttamento di quelle risorse che nell’ambito dei
diversi territori si rivelino più idonee ad alimentare impianti di produzione di
energia elettrica, assumendo all’uopo anche le eventuali disposizioni di governo
del territorio che si rendessero opportune.
Tale principio collaborativo emerge chiaramente dai commi 1 e 2 dell’art.
10, relativi alla fase programmatoria della definizione degli obiettivi indicativi
nazionali: nel primo comma si prevede non solo che questi vengano fissati con il
«concorso» della Conferenza unificata, ma addirittura che sia proprio quest’ultima
ad effettuarne la «ripartizione tra le Regioni tenendo conto delle risorse di fonti
energetiche rinnovabili sfruttabili in ciascun contesto territoriale» (comma 1).
Ogni Regione, quindi, diviene assegnataria di specifici obiettivi, assumendone,
conseguentemente, la responsabilità del relativo perseguimento.
Il comma 2 dell’art. 10 dispone, poi, che la Conferenza può altresì
provvedere ad aggiornare la predetta ripartizione, determinando le opportune
modifiche in relazione ai «progressi delle conoscenze relative alle risorse (…)
sfruttabili in ciascun contesto territoriale e all’evoluzione dello stato dell’arte delle
tecnologie di conversione»: ne discende quindi che la Conferenza dovrebbe
esercitare una periodica attività di monitoraggio sull’adeguatezza della ripartizione,
La legge n. 239 del 2004 persegue il miglioramento della sostenibilità ambientale dell’energia,
«anche in termini di uso razionale delle risorse territoriali, di tutela della salute e di rispetto degli
impegni assunti a livello internazionale, in particolare in termini di emissioni di gas ad effetto serra
e di incremento dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili assicurando il ricorso equilibrato a
ciascuna di esse».
147
55
al fine di mantenerla costantemente proporzionata alle potenzialità che ogni
contesto regionale può esprimere, potendo in tal modo gli obiettivi indicativi
regionali permanere in continua tensione verso il massimo sfruttamento possibile
delle fonti rinnovabili in ogni momento ipotizzabile148.
Questi due commi appaiono molto interessanti perché non solo
riconoscono un ruolo centrale al sistema delle autonomie territoriali nel loro
complesso, ma adottano altresì un approccio poco frequente nel nostro
ordinamento, ossia quello di favorire la negoziazione politica, ed amministrativa,
non solo in senso verticale tra Stato, Regioni e enti locali149, ma anche in senso
orizzontale tra le Regioni stesse.
Infine, l’art. 10, comma 3, riconosce alle Regioni il potere di adottare
«misure aggiuntive» rispetto a quelle nazionali per la promozione dell’aumento del
consumo di elettricità da fonti rinnovabili. Questa disposizione consente, dunque,
alle Regioni di intervenire non soltanto con riguardo alle misure incentivanti per la
realizzazione di impianti e la produzione dell’energia da fonti rinnovabili, ma
anche con riguardo al consumo delle stesse, determinando incentivi peculiari a
seconda delle diverse realtà ambientali, territoriali e sociali.
Vedi, sul punto, NICOLETTI F., op.cit., 379 ss., secondo il quale l’apporto delle Regioni
«potrebbe assicurare non solo il massimo sfruttamento possibili delle fonti rinnovabili sotto un
profilo quantitativo, ma potrebbe anche comportare, sotto un profilo qualitativo, un diffuso e
differenziato impiego delle stesse che risulti massimamente congruo alla conformazione e
all’assetto delle diverse Regioni, agevolando una diffusa «capillarità» e flessibilità degli interventi a
sostegno delle fonti rinnovabili».
149 V. CARAVITA DI TORITTO B., Fonti energetiche rinnovabili ed efficienza economica, in BRUTI LIBERATI
E. – DONATI F. (a cura di), Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007. Il
settore energetico costituisce un chiaro esempio di governance, sia perché sul suo governo incidono
livelli diversi di governo (internazionale, europeo, statale e regionale), sia perché le scelte che
orientano il settore non sono tutte riconducibili a norme giuridiche pubbliche. Il Libro bianco sulla
governance europea (Commissione europea, 25 luglio 2011) prevede: «il concetto di governance designa
le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono
esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione,
responsabilità, efficacia e coerenza. Come è stato ricordato, v. MORATA F, Come migliorare la
governance democratica europea con le Regioni, in Le istituzioni del federalismo, I, 2004, 24, la governance attiene
ad una serie di «nuovi meccanismi per garantire la pluralità, la flessibilità e l’interazione necessarie
per gestire la complessità caratteristica delle nostre società» e si atteggia quale «condivisione dei
compiti e delle responsabilità tra attori pubblici e privati in un processo di integrazione più o meno
continuo».
148
56
Se, dunque, per alcuni versi, il «federalismo energetico» può apparire come
espressione vuota, priva di riscontro normativo letterale, nell’ambito d’interesse
non può tuttavia sottacersi che il ruolo delle Regioni è sicuramente di particolare
rilevanza, in quanto esse si presentano quali unità territoriali di riferimento per il
dispiegamento degli effetti della realizzazione di impianti per la produzione di
energia da fonti rinnovabili, nonché imprescindibili centri di composizione degli
interessi150.
Questo nuovo e complesso assetto di competenze ha da più parti sollevato
la questione su un’eventuale marcia indietro, sottolineando la necessità, per la
sicurezza energetica nazionale, di una gestione centralizzata dell’energia151, anche
alla luce della crescente rilevanza dell’azione normativa europea nel settore. Se
questa, infatti, da un lato, tende a depotenziare l’autonomia dell’iniziativa
nazionale in materia, che diviene mera azione di recepimento della disciplina
europea; dall’altro, però, legittima un nuovo accentramento della potestà
normativa in materia verso lo Stato centrale, quantomeno giustificato dalla
necessità
di
garantire
l’adempimento
degli
obblighi
comunitari
sulla
differenziazione delle fonti di energia ed il raggiungimento di quote prefissate, che
grava soprattutto sugli Stati152.
Nonostante l’effettivo decentramento della potestà normativa alle Regioni,
si rafforza dunque l’esigenza di individuare un livello di governo che garantisca,
dinanzi alle autorità europee, una visione di sintesi degli interessi generali
attraverso una progettazione della politica energetica nazionale e una vigilanza del
settore coerente con gli obiettivi fissati in materia a livello europeo ed
internazionale153.
V. MISCIA V. – LUBELLO V., op.cit., 85.
D’altronde lo scetticismo sulla riforma federalista non riguarda solo il settore energetico, ma
l’intera riforma.
152 Peraltro la giurisprudenza costituzionale ha da tempo riconosciuto al diritto europeo la capacità
di influenzare il riparto costituzionale di competenza normativa fra Stato e Regioni attraverso una
differente articolazione della relazione fra norme di principio e di dettaglio, cfr. Corte cost. sent. n.
398 del 1989, in Giurisprudenza costituzionale, 1989, 1757.
153 Anche sotto tale profilo i giudici costituzionali da tempo asseriscono l’esistenza di un interesse
generale al programmato reperimento e sfruttamento delle fonti di energia e ad un’offerta di
150
151
57
Questo ruolo di sintesi, in parte, è stato inizialmente assunto dalla Corte
Costituzionale154, che ha propugnato una visione del nuovo quadro costituzionale
«quasi all’insegna di una sorta di neocentralismo»155, nel tentativo di accrescere il
ruolo dello Stato e di ricondurre a ragionevolezza il nuovo modello di relazioni
giuridiche e fattuali tra il potere centrale e le autonomie territoriali156.
Oggi, però, il ruolo di sintesi sembra possa ritrovare il proprio naturale
ambito nella programmazione nazionale, che, per quanto attiene alle fonti di
energia rinnovabile, è stata da ultimo rafforzata nell’obbligo, contemplato dall’art.
4 della direttiva 2009/28/CE, di elaborare un Piano di azione nazionale per lo
sviluppo delle fonti rinnovabili, da trasmettere ciascun anno alla Commissione.
La soddisfazione di tale esigenza doveva anche tradursi, per i promotori di
una proposta di revisione costituzionale presentata nella XIV legislatura e
trasposta nel disegno di legge n. 2544-B, mai approvato, in una razionalizzazione
dell’assetto costituzionale delle competenze contenuto nell’art. 117 Cost. che
affidasse alla competenza esclusiva dello Stato la «produzione strategica, il
trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia»157. Nonostante il naufragio di
tale progetto di revisione, anche per l’incerta identificazione della portata
energia adeguata alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese. Cfr. Corte cost.
sent. n. 13 del 1964.
154 Il riferimento è in primo luogo alla fondamentale Corte cost. sent. n. 303 del 2003, con la quale
la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi circa la competenza in capo al Legislatore
nazionale ad assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in cui non sia
stata ad esso attribuita una potestà legislativa esclusiva, ma solo concorrente. Tale decisione –
definita dalla dottrina un vero «trattatello» di diritto costituzionale in forma di sentenza (FERRARA
R., Unità dell’ordinamento giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte costituzionale, in Foro
italiano, I, 2004, 1018, con nota di richiami di VIDETTA C.) – ha senza dubbio costituito il leading
case di altre tre successive sentenze della Consulta che, proprio in relazione allo specifico tema
dell’energia (cfr. Corte cost. sentt. nn. 6, 7 e 8 del 2004), ribadiscono e puntualizzano una serie di
principi fondamentali circa l’esatta interpretazione del riparto di competenze (sia normative che
amministrative), al fine di rendere più «flessibile» l’assetto di poteri disegnato nel nuovo titolo V
della Costituzione.
155 L’espressione è ascrivibile a FRACCHIA F., Dei problemi non (completamente) risolti dalla Corte
costituzionale: funzioni amministrative statali nelle materie di competenza regionale residuale, norme statali cedevoli
e metodo dell’intesa, in Foro italiano, I, 2004, 1014.
156 Cfr. LOMBARDI R., op.ult.cit.
157 Il disegno di legge costituzionale 2544-B è stato approvato in via definitiva dal Senato il 16
novembre 2005 e sottoposto a referendum confermativo in data 25 giugno 2006. L’esito di tale
referendum, tuttavia, è stato negativo e la modifica costituzionale, quindi, non è entrata in vigore.
58
effettivamente «strategica» della produzione di energia, non è tramontata, tuttavia,
l’esigenza che aveva dato impulso alla sua elaborazione e che emerge spesso nel
dibattito scientifico sul tema. Si allude alla necessità di esplicitare, nell’assetto
costituzionale delle competenze in materia di energia, l’affidamento allo Stato
della competenza esclusiva a delineare i regimi di incentivo e, soprattutto, le
sanzioni, necessari a vincolare le Regioni al rispetto degli obiettivi strategici sulle
quote di energia definiti in sede europea158.
4.
La disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili.
Nell’evoluzione del quadro normativo nazionale di riferimento nel settore
delle fonti rinnovabili di energia, assumono sicuramente una posizione di rilievo i
decreti legislativi, con i quali l’Italia ha dato attuazione alle direttive comunitarie
relative alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
4.1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.
Il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 è stato emanato in attuazione degli
obblighi comunitari in tema di energie rinnovabili introdotti con la direttiva
2001/77/CE159, con l’intento di perseguire le seguenti finalità:
a)
«promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche
rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato italiano e
comunitario;
b)
promuovere misure per il perseguimento degli obiettivi indicativi
nazionali in tema di produzione di energia rinnovabile;
Si veda la proposta formulata, in tal senso, da LOMBARDI G., L’energia rinnovabile: prospettive,
riflessioni e percorsi per una riforma costituzionale, in MACCHIATI A. – ROSSI G., op. cit., 197. Sul riparto di
competenze operato dalla L. cost. n. 3 del 2001, in materia di energia, si v. CASSESE S., L’energia
elettrica, cit., 673; GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 367; NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit.
2198 ss.; PERFETTI L., Il governo dell’energia tra federalismo e liberalizzazione. Profili di ricomposizione del
quadro delle competenze, in Mercato, concorrenza e regole, 2, 2002, 376 ss.; DONATI F., Il riparto delle
competenze tra Stato e Regioni in materia di energia, in BRUTI LIBERATI E. – DONATI F., op. cit., 35;
BUZZACHI C. (a cura di), Il prisma energia. Integrazione di interessi e competenze, Milano, 2010.
159 Il d.lgs. n. 387 del 2003 è stato emanato ai sensi della delega contenuta nell’art. 43 della L. n. 39
del 1° marzo 2002, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2001».
158
59
c)
concorrere alla creazione delle basi per un futuro quadro comunitario
in materia;
d)
favorire lo sviluppo di impianti di micro generazione elettrica
alimentati da fonti rinnovabili, in particolare per gli impieghi agricoli e per le aree
montane»160.
Allo scopo di incrementare la produzione di energia elettrica derivante da
fonti rinnovabili, il testo contiene sia disposizioni che predispongono direttamente
le misure da adottare per aumentare la produzione dell’energia da fonti rinnovabili
sia disposizioni che rimandano a futuri (e talora eventuali) provvedimenti da
adottare a diversi livelli territoriali161.
In
particolare,
in
un’ottica
di
razionalizzazione,
accelerazione
e
semplificazione sollecitata dalla direttiva 2001/77/CE, il d.lgs. n. 387 del 2003 ha
tentato di dar vita a un processo di snellimento delle procedure amministrative
relative alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili – di cui
parleremo più ampiamente nel prossimo capitolo – considerato strumento
necessario per un incremento considerevole per la produzione dell’energia
pulita162.
Cfr. art. 1 del d.lgs. n. 387 del 2003.
Per quanto riguarda le misure direttamente adottate dal decreto in esame, innanzitutto, l’art. 4
dispone espressamente il progressivo aumento annuale della quota minima di elettricità prodotta
da impianti alimentati da fonti rinnovabili che deve essere immessa nel sistema elettrico nazionale
ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999. Contestualmente all’incremento di immissione
dell’energia derivante da fonti rinnovabili e allo scopo di agevolarne la riconoscibilità e quindi lo
scambio in ambito comunitario, l’art. 11 del decreto in esame prevede che l’elettricità prodotta da
impianti alimentati da fonti rinnovabili e la produzione imputabile da impianti misti ha diritto al
rilascio, su richiesta del produttore, della garanzia di origine di elettricità prodotta da fonti
energetiche rinnovabili, la c.d. «garanzia di origine», a condizione che gli impianti da cui l’elettricità
certificata provenga possano dimostrare una produzione annua di almeno 100MWh. Come anche
l’art. 5 della direttiva 2001/77/CE precisa, infatti, l’obiettivo fondamentale delle garanzie di origine
è quello di consentire ai produttori di «dimostrare che l’elettricità da essi venduta è prodotta da
fonti energetiche rinnovabili», anche a livello comunitario, in cui le garanzie sono «reciprocamente
riconosciute dagli Stati membri», tanto che un eventuale mancato riconoscimento da parte di uno
di questi «deve essere fondato su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori». Le disposizioni
che invece perseguono la promozione della produzione di «energia verde», rinviando a successive
misure, sono molteplici ed eterogenee. In particolare, l’art. 5 relativo alla valorizzazione delle
biomasse e l’art. 7 per l’energia solare.
162 Al riguardo, la direttiva comunitaria del 2001, all’art. 6, afferma espressamente che tra gli scopi
che gli Stati membri devono raggiungere attraverso il quadro legislativo e regolamentare, vi sono:
160
161
60
L’Unione europea, infatti, aveva percepito che la maggior parte degli Stati
membri manteneva procedure autorizzatorie anche per la realizzazione e
l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti di
energia rinnovabili o assimilate nel quadro di quelle più generiche riguardanti tutti
gli impianti di produzione di energia elettrica e pertanto invitava gli Stati membri a
semplificarla tenendo conto del ruolo strategico e dei benefici apportati dalla
tecnologia di produzione delle fonti in oggetto.163
Così, l’art. 12 intitolato, appunto, razionalizzazione e semplificazione delle
procedure autorizzative, al comma 3, prevede un regime «semplificato», in base al
quale «la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica
alimentati da fonti rinnovabili», così come «gli interventi di modifica,
potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione», «nonché le opere
connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli
impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione
o dalle province delegate164, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
«razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo», nonché «ridurre gli
ostacoli normativi e di altro tipo» all’aumento delle fonti energetiche rinnovabili e «garantire che le
norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie».
163 V. PICOZZA E., Il regime giuridico degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o
assimilate, in ID. (a cura di), Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia elettrica,
Torino, 2003, 21.
164 Modifica apportata alla disposizione ai sensi dell’art. 2, comma 158, della L. 24 Dicembre 2007,
n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)». Le province vengono quindi espressamente individuate quali enti delegati,
mentre in precedenza la norma faceva generico riferimento ad «altro soggetto istituzionale
delegato». La Legge finanziaria 2008 delinea un quadro di eccezionale impulso alle fonti rinnovabili
e all’efficienza energetica, nell’ottica dello sforzo per la riduzione delle emissioni clima - alteranti,
così come per l’aumento della sicurezza energetica, la riduzione dei costi di approvvigionamento e
lo sviluppo dei settori nazionali dell’innovazione e delle energie rinnovabili. Gli ambiti di
riferimento oggetto della normativa sono rappresentati dai settori produttivi e dei servizi,
dall’industria all’artigianato alle professioni e, in diversa misura, dalle pubbliche amministrazioni
che devono contribuire a promuovere, tramite specifici regolamenti e iter autorizzativi semplificati,
il raggiungimento degli obiettivi energetici ed ambientali da fonti rinnovabili. Numerose sono le
disposizioni contenenti novità in tema energetico, con specifico riferimento a regolamenti,
incentivazione e tipologia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Fra le novità più
importanti vi sono quelle che riguardano il sistema di incentivazione per la produzione di energia
elettrica mediante impianti alimentati da fonti rinnovabili, che viene positivamente aggiornato, pur
assicurandone la continuità. Fatta esclusione per la fonte solare fotovoltaica, per la quale il regime
di incentivazione rimane regolato dal DM 19 febbraio 2007, per tutte le altre fonti rinnovabili la
riforma prevede una maggiore sicurezza di conseguire tempestivamente le incentivazioni e, in
61
dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico – artistico,che
costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico»165.
L’autorizzazione unica «è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al
quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate166, svolto nel rispetto dei
principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n.
241, e successive modificazioni e integrazioni».
Nel suo complesso, la norma delinea, dunque, una procedura semplificata
ed accelerata per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti
alimentati con fonti rinnovabili, i quali ai sensi del comma 1 dell’art. 12 del d.lgs.
particolare, per i piccoli produttori, la garanzia dell’entità delle incentivazioni stesse attraverso il
meccanismo del «Conto energia». Le tariffe sono in generale incrementate sia attraverso una
rivalutazione dei Certificati Verdi, variabile secondo la specifica fonte rinnovabile, sia attraverso il
prolungamento a 15 anni del periodo di attribuzione dei cd. certificati verdi (a fronte dei 12
precedenti), così come dalla fissazione agli stessi 15 anni del periodo di attribuzione delle tariffe
incentivanti per gli impianti ammessi a godere del «Conto energia». Infine, viene compiuto un
ulteriore passo in avanti sulla via della semplificazione amministrativa per l’autorizzazione degli
impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, modificando alcuni commi dell’art. 12 del d.lgs.
n. 387 del 2003. In particolare, viene stabilito che per gli impianti di fonte rinnovabile, con capacità
di generazione inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al citato decreto, si applica la
disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del DPR n. 380 del 2001.
Inoltre, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la conferenza unificata di cui
all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di
generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima
disciplina della denuncia di inizio attività.
165 Modifica effettuata dall’art. 2, c. 158 della L. n. 244 del 2007. Dunque, l’autorizzazione unica
costituisce ove occorra variante allo strumento urbanistico. Consegue che, nell’ambito del
procedimento unico viene svolta, ove necessaria, anche la verifica di conformità dell’impianto alla
disciplina urbanistico – edilizia., ed eventualmente, la difformità del progetto rispetto al PRGC
non è più di per sé elemento preclusivo al rilascio dell’autorizzazione.; in tal senso cfr. anche Tar
Veneto, sez. II, sent. 5 aprile 2006, n. 874: «In caso di DIA per il conseguimento del titolo sotto il
profilo urbanistico per la realizzazione di un impianto fotovoltaico e della recinzione delimitante
l'ambito interessato dalla struttura, è legittimo il provvedimento con il quale il Comune oppone il
diniego, ostativo alla realizzazione delle opere denunciate, dichiarando la propria incompetenza a
rilasciare l'autorizzazione richiesta, in quanto detta competenza appartiene, in base al disposto
dell'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, alla Regione».
166 Per l’esatta individuazione delle «amministrazioni interessate» alla Conferenza di servizi,
soccorre la disposizione di cui all’art. 14 della L. n. 241 del 1990 che limita la partecipazione alla
Conferenza decisoria ai soli enti cui spetta esprimere «intese, concerti, nulla osta o assensi
comunque denominati» sull’oggetto del procedimento (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 9
febbraio 2010, 1775, in Rivista giuridica dell’edilizia, II-III, 2011, 73).
62
in esame, sono espressamente considerati «di pubblica utilità ed indifferibili ed
urgenti».167
Al comma 10, poi – come anticipato – è previsto, da un lato, che la
Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (ora
Ministro dello sviluppo economico) di concerto con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, sia
competente ad approvare le Linee Guida per lo svolgimento del procedimento
unico di cui all’art. 3 citato, le quali devono essere volte espressamente «ad
assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli
impianti eolici, nel paesaggio»; dall’altro che, in attuazione di tali Linee Guida, le
Regioni possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei all’installazione
di specifiche tipologie di impianti. Le Regioni adeguano le rispettive discipline
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle Linee Guida. In caso di
mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le Linee Guida
nazionali.
La semplificazione procedimentale introdotta, tuttavia, non ha conseguito in
realtà, almeno fino al 2010, l’esito atteso, ovvero sia quello di ottenere, attraverso
lo snellimento e l’accelerazione del procedimento di autorizzazione per
Analoga disposizione era già prevista dal comma 4 dell’art. 1 della L. n. 10 del 1991.
Sull’implicazione di tale riconoscimento rispetto alle procedure espropriative, è interessante il
breve contributo di FERRUTI A., Impianti eolici o alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Brevi note sui
rapporti fra procedimento autorizzatorio e procedimento espropriativo, in Lexitalia.it, 6, 2006, il quale afferma
che: «la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta anche quando «in base alla normativa
vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità (…) il rilascio di una concessione, di una
autorizzazione o di un atto aventi effetti equivalenti» [così art. 12, comma 1, lettera b), DPR 327
del 2001]. Ora, richiamata la disposizione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 circa
l’equivalenza fra autorizzazione degli impianti ivi menzionati e dichiarazione di pubblica utilità, si è
dell’avviso che l’ampia locuzione adottata dall’art. 12, comma 1, lett. b), DPR 327 del 2001
consenta di ritenere disposta la «pubblica utilità» per gli impianti e le opere menzionati nella
normativa nazionale o in analoghe previsioni regionali .(…). In estrema sintesi, nel caso di
autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte energetiche
rinnovabili previsti dal d.lgs. n. 387 del 2003, l’autorizzazione unica comporta ex lege la
dichiarazione di pubblica utilità senza necessità di ulteriori adempimenti».
167
63
l’installazione degli impianti, una produzione di fonti di energia rinnovabile nella
percentuale del 17% richiesta al nostro Paese in sede europea.
L’assenza di tale risultato non è però da ricondursi tanto ai difetti della
semplificazione procedimentale di natura decisoria introdotta dal nostro
Legislatore, quanto piuttosto alle carenze e ai ritardi presenti, per così dire, «a
monte» del procedimento autorizzatorio.
In tale contesto, senza dubbio, ha rilevato il ritardo con cui sono state
emanate le Linee Guida nazionali per regolare il corretto inserimento degli
impianti sul territorio per effetto del complesso intreccio di interessi costituzionali
e di competenze normative dello Stato e delle Regioni investiti dalla loro
localizzazione.
L’assenza di queste Linee Guida ha infatti rappresentato, fino alla loro
emanazione nel 2010, uno dei più grandi deficit dell’Italia rispetto agli altri Paesi
europei in tema di energia, in quanto il processo di liberalizzazione iniziato con la
riforma del titolo V della Costituzione e la conseguente estensione del potere
decisionale alle Regioni risultava carente di un completamento nelle sue fasi
attuative in grado di identificare un ruolo chiaro per Stato e Regioni.
4.1.1. Le Linee Guida nazionali per la promozione delle energie
rinnovabili.
L’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 affida, dunque, alla
Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di
concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro
per i beni e le attività culturali, il compito di definire Linee Guida nazionali, che
devono contemplare requisiti soggettivi e criteri tecnici uniformi per i
provvedimenti di autorizzazione all’installazione degli impianti di energia
alternativa.
La ratio di una tale previsione discende dalla consapevolezza che la funzione
regionale diretta a regolare, attraverso l’autorizzazione alla localizzazione degli
impianti, la distribuzione locale dell’energia investe in effetti, oltre alla tutela
dell’iniziativa economica e
all’interesse
nazionale
all’approvvigionamento
energetico, la garanzia di altri valori costituzionali primari, come quello della tutela
della qualità dell’ambiente, inteso come ecosistema rispetto all’emissione di gas a
64
effetto serra, e quello della protezione del paesaggio, inteso principalmente nella
sua dimensione c.d. «identitaria»168. Da qui l’affidamento della definizione delle
Linee Guida alla Conferenza Stato-Regioni preceduta da una complessa attività di
concertazione con le amministrazioni statali titolari delle funzioni deputate alla
tutela di tali interessi costituzionali.
Tuttavia, è di tutta evidenza come una tale procedura, così come delineata,
sia, inevitabilmente, destinata a ritardare e a rendere farraginosa l’effettiva
adozione delle Linee Guida, che infatti è intervenuta solo di recente169.
Nella persistente assenza delle Linee Guida, le Regioni, per molto tempo,
attraverso la funzione amministrativa di loro spettanza relativa al rilascio
dell’autorizzazione, hanno sfruttato l’occasione per privilegiare gli interessi di più
spiccata valenza territoriale investiti dall’impatto locale dell’insediamento degli
impianti rispetto ai benefici attesi dall’utilizzo delle fonti rinnovabili sulla
riduzione delle emissioni di gas nocivi.
L’incompletezza del quadro regolatorio nazionale ha, di fatto, attribuito per
molto tempo unicamente alla disciplina regionale sui procedimenti l’improprio
ruolo di risolvere i conflitti fra i differenti interessi presenti nella materia ovvero,
soprattutto, quelli legati all’impatto degli impianti sul territorio e quelli di tutela
ambientale cui tende la diffusione delle fonti rinnovabili. Ne è risultata accentuata,
in alcune Regioni, una visione settoriale e, quindi, inevitabilmente conflittuale del
rapporto fra questi interessi; tale contrapposizione si è tradotta talora, ad esempio
riguardo all’installazione degli impianti eolici, nell’assolutizzazione dell’interesse
In tale prospettiva ben si comprende anche il riconoscimento in tale attività, da parte della
Corte cost., di un’espressione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente di cui
all’art. 117, comma 3, lett. s); il suo intreccio con la competenza concorrente in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione dell’energia» di cui all’art. 117, comma 3, - che si esplica
nella decisione di localizzazione degli impianti sul territorio - spiega infatti, per i giudici
costituzionali, il ricorso alla Conferenza unificata ma non l’affidamento unicamente alle Regioni
del potere di definire criteri o requisiti per la loro ubicazione: l’esigenza di assicurare una loro
adeguata integrazione nel paesaggio e l’interesse alla tutela ambientale discendente dalla loro
installazione evoca in effetti, necessariamente, la competenza esclusiva statale (cfr. Corte cost. sent.
n. 166 del 2009).
169 Le Linee Guida sono oggi contenute nel DM 10 settembre 2010, pubblicato in G.U. 18
settembre 2010, n. 219.
168
65
paesaggistico rispetto a quello ambientale anziché in un loro reciproco
bilanciamento, come richiesto, peraltro, dalla giurisprudenza amministrativa e
costituzionale pronunciatasi sulla questione170; un bilanciamento che dovrebbe
comunque assumere, come necessaria variabile indipendente, il rispetto degli
obblighi comunitari ed internazionali sulle quote di energia rinnovabili e la
riduzione delle emissioni nocive171.
In data 10 settembre 2010, dopo una gestazione di quasi sette anni, con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i
beni e le attività culturali, previa approvazione della Conferenza unificata nella
seduta dell’8 luglio 2010, sono state emanate le Linee Guida nazionali per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, così come previste
dall’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387.
Il documento è piuttosto ampio e articolato, ma individua alcuni elementi
cruciali per lo sviluppo delle rinnovabili:
1)
chiarezza e snellezza delle procedure autorizzative;
2)
definizione dei rapporti tra i diversi soggetti istituzionali;
3)
pianificazione territoriale e individuazione dei siti;
4)
gestione delle compensazioni.
Nella parte prima, le Linee Guida individuano i principi generali e
sanciscono che l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si
Tale tendenza era emersa, in modo emblematico, nella vicenda del frequente annullamento, da
parte delle Sovrintendenze, del nulla-osta paesaggistico rilasciato dalle amministrazioni competenti
per effetto di un’iniziale assolutizzazione del valore estetico e storico del paesaggio come tale non
comparabile con altri interessi dotati di analoga rilevanza costituzionale. Quest’impostazione,
tuttavia, risulta ormai difficilmente sostenibile grazie a quella giurisprudenza costituzionale che ha
ravvisato nella primarietà di alcuni valori costituzionali, come quelli del paesaggio e dell’ambiente,
non tanto un loro primato nella scala gerarchica degli interessi costituzionali ma una loro
necessaria considerazione nelle concrete valutazioni operate dalle amministrazioni nell’esercizio
della loro discrezionalità. Cfr., a tal proposito, Corte cost. sent. 28 giugno 2004, n. 196, in Foro
italiano, 2005, I, 327.
171 Nella prospettiva per cui, nella localizzazione degli impianti eolici, uno dei parametri del
bilanciamento sia già definito in anticipo dalla disciplina internazionale ed europea in materia si v.
DE LEONARDIS F., Criteri di bilanciamento tra paesaggio e energia eolica, in Diritto amministrativo, 4, 2005,
889.
170
66
inquadra nella materia concorrente della produzione di energia elettrica ed è
qualificata come «attività libera», cui si accede in condizioni di uguaglianza, senza
discriminazioni nelle modalità, condizioni e termini per il suo esercizio. Tale
regime è esteso anche alle opere connesse ed alle infrastrutture indispensabili.
Trattandosi di attività economica non riservata agli enti pubblici e non soggetta a
regime di privativa, non possono essere indette procedure pubblicistiche di natura
concessoria.
Nella parte seconda, invece, viene affrontata la questione sul regime
giuridico delle autorizzazioni. In particolare, è stato stabilito l’elenco degli atti che
rappresentano i contenuti minimi indispensabili per superare positivamente l’iter
autorizzativo e vengono chiarite le procedure che ogni impianto, in base alla fonte
e alla potenza installata, deve seguire per ottenere l’autorizzazione. Con
riferimento a quest’ultimo aspetto, le Linee Guida mantengono il riparto, già
operato dal d.lgs. n. 387 del 2003, tra attività sottoposta ad autorizzazione unica,
attività sottoposta a dichiarazione di inizio attività ed attività libera soggetta a
comunicazione, precisando le caratteristiche e le soglie rilevanti per ciascuna delle
quattro categorie di fonti di energia rinnovabile172.
Al di là del contenuto, essenzialmente sistematico, delle Linee Guida, la
questione maggiormente controversa ha riguardato comunque la loro
qualificazione giuridica, anche in considerazione degli inevitabili effetti che la
stessa comporta sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e, dunque, nella
pratica, nell’ambito dei ricorsi di costituzionalità delle leggi regionali in materia di
energia alternativa.
La dottrina, infatti, si è interrogata sulla natura giuridica delle Linee Guida e,
partendo dal particolare procedimento di adozione previsto (adozione in
Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, ed
Fotovoltaico; biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas;
eolico; idroelettrico e geotermoelettrico.
172
67
allegazione a un decreto dello stesso Ministro), ha escluso che, in linea di
principio, le stesse possano considerarsi norme di legge173.
L’approvazione del testo da parte della Conferenza unificata attribuirebbe
infatti alle Linee Guida il valore di «intesa»174 tra lo Stato ed il sistema delle
autonomie regionali e locali su materie e compiti di interesse comune, ai sensi
dell’art. 9 del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281175. Nella gerarchia delle fonti, esse si
Cfr. contributi resi nell’ambito della III Conferenza di diritto dell’energia, Regole e mercato delle
energie rinnovabili, Roma, 29-30 marzo 2012.
174 Che l’intesa abbia un ruolo centrale nella disciplina dei rapporti fra gli enti territoriali nella
materia de qua lo conferma in misura eclatante una sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre
2005, n. 383, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 765 ss., con nota di NOBILI M.O., che
contiene una lunga serie di dichiarazioni di incostituzionalità riferite a norme che prevedono
l’esercizio di funzioni da parte del Ministro delle attività produttive senza l’intesa con le Regioni
interessate oppure senza l’intesa con la Conferenza unificata. In generale sulla nozione di intesa v.
ROFFI R., «Concerto» e «intesa» nell’attività amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giurisprudenza italiana, IV,
1988, 421 ss.; JACOMETTI V., La Corte costituzionale e l’inesistenza di una nozione unitaria di intesa, in Le
Regioni, 1992, 78 ss.; MANFREDI G., Le intese e gli accordi fra Stato e Regioni in Italia, in PASTORI G. (a
cura di), Accordi e intese nell’ordinamento regionale. Materiali per la riforma, Milano, 1993, 121 ss.
175 Tale articolo determina le funzioni della Conferenza unificata: «La Conferenza unificata assume
deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in
relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle Regioni, alle province, ai comuni e alle
comunità montane. La Conferenza unificata è comunque competente in tutti i casi in cui Regioni,
province, comuni e comunità montane ovvero la Conferenza Stato - Regioni e la Conferenza Stato
- città ed autonomie locali debbano esprimersi su un medesimo oggetto. In particolare la
Conferenza unificata: a) esprime parere: 1) sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge
collegati; 2) sul documento di programmazione economica e finanziaria; 3) sugli schemi di decreto
legislativo adottati in base all'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59; b) promuove e sancisce
intese tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane. Nel caso di mancata intesa o
di urgenza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, commi 3 e 4; c) promuove e sancisce
accordi tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di coordinare
l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune; d)
acquisisce le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali indicati, rispettivamente, dai
presidenti delle Regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, dall’ANCI, dall’UPI e
dall’UNCEM nei casi previsti dalla legge; e) assicura lo scambio di dati e informazioni tra
Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane nei casi di sua competenza, anche
attraverso l'approvazione di protocolli di intesa tra le amministrazioni centrali e locali secondo le
modalità di cui all'articolo 6; f) è consultata sulle Linee generali delle politiche del personale
pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di
funzioni e compiti alle Regioni ed agli enti locali; g) esprime gli indirizzi per l’attività dell'Agenzia
per i servizi sanitari regionali. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può sottoporre alla
Conferenza unificata, anche su richiesta delle autonomie regionali e locali, ogni altro oggetto di
preminente interesse comune delle Regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.
Ferma restando la necessità dell’assenso del Governo per l’adozione delle deliberazioni di
competenza della Conferenza unificata, l’assenso delle Regioni, delle province, dei comuni e delle
comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie
che compongono, rispettivamente, la Conferenza Stato - Regioni e la Conferenza Stato - città ed
autonomie locali. L’assenso è espresso di regola all’unanimità dei membri dei due predetti gruppi.
173
68
collocano, quindi, ad un livello inferiore rispetto ai principi fondamentali della
materia che, nelle ipotesi di legislazione concorrente, l’articolo 117, comma 3,
ultimo periodo, della Costituzione, rimette «alla legislazione dello Stato» e, quindi,
nella fattispecie, alle norme del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387.
Una conclusione di tal fatta, dunque, condurrebbe ad escludere che le Linee
Guida possano essere assunte come norme interposte nell’ambito di un giudizio di
legittimità costituzionale delle leggi regionali in tale settore e che, quindi, i principi
in esse regolati non possano essere utilizzati nella definizione del riparto di
competenza concorrente.
Tuttavia, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che il decreto
ministeriale del 10 settembre 2010 contiene norme finalizzate a disciplinare, in via
generale e astratta, il procedimento di autorizzazione alla installazione degli
impianti alimentati dalle fonti rinnovabili, alle quali sono vincolati tutti i soggetti,
pubblici e privati, coinvolti nell’attività in questione176. Pertanto, le Linee Guida
sono atti viepiù di fonte secondaria, in quanto ricorrono gli indici sostanziali che
la giurisprudenza costante della Corte costituzionale assume a base della
qualificazione degli atti come regolamenti177.
Ad ogni modo, chiarita comunque la natura di norme di rango
regolamentare delle Linee Guida, occorre una precisazione sull’incidenza che
queste possono acquisire nel processo valutativo rimandato alla Corte
costituzionale nell’ambito dei suoi giudizi.
Come ha, infatti, chiarito di recente anche la stessa Corte178, se da un lato è
ovvio che gli atti di fonte secondaria, qualora autonomamente considerati, non
possano assurgere al rango di normativa interposta, ciò però non vale per tutti
quei casi in cui la normativa secondaria costituisca integrazione, in ambito
esclusivamente tecnico, della normativa primaria che ad essi rinvia.
Ove questa non sia raggiunta l'assenso è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno
dei due gruppi».
176 Cfr. Corte cost. sent. n. 275 del 2011.
177 Cfr. Corte cost. sentt. nn. 278 e 274 del 2010.
178 Cfr. Corte cost. sent. n. 11 del 2014.
69
Ed è proprio questo il caso delle Linee Guida in esame, che rappresentano il
completamento «tecnico» del principio contenuto nella disposizione legislativa.
Esse infatti vengono ad essere un corpo unico con la disposizione legislativa che li
prevede e che ad esse affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche
della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenza periferiche o
addirittura estranee a quelle di carattere giuridico le quali necessitano di
applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il
diretto contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione è
prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed articolata.
Pertanto, le Linee Guida, avendo funzione attuativa dei medesimi principi
fondamentali, rappresentano disposizioni interposte tra le norme statali di
principio e la legislazione di (ulteriore) dettaglio regionale, sicché, ove quest’ultima
si dovesse porre in contrasto con le prime, sarebbe sostanzialmente violato
l’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Come pure incostituzionale sarebbe
una legge nazionale lesiva delle Linee Guida (quale intesa tra lo Stato, le Regioni
ed il sistema delle autonomie locali), per violazione del principio costituzionale di
leale collaborazione, cui devono improntarsi i rapporti fra i vari soggetti
dell’ordinamento che, a livelli diversi, operano nella medesima materia.
4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.
La direttiva comunitaria 2009/28/CE sulle fonti rinnovabili doveva essere
recepita nell’ordinamento interno entro il 5 dicembre 2010, allo scopo, secondo le
intenzioni del Governo, di dettare le regole generali per il settore delle rinnovabili,
sulla base degli obiettivi dettati dagli accordi internazionali, semplificando e
snellendo le procedure, e di addivenire alla riduzione drastica dei costi sostenuti
dai consumatori dell’energia.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 3 marzo 2011, in via definitiva il
c.d. decreto Rinnovabili, n. 28 del 2011. Esso si compone di 43 articoli, divisi in 9
titoli, e di 4 allegati tecnici, che si occupano di definire il quadro istituzionale,
70
finanziario e giuridico, gli strumenti, i meccanismi e le misure necessarie per il
raggiungimento degli obiettivi fissati fino al 2020 in materia di quota complessiva
di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia (art. 1
«Finalità»)179.
Le maggiori modifiche apportate dal decreto Rinnovabili riguardano le
procedure autorizzative e il sistema degli incentivi, di cui però ci riserviamo la più
ampia trattazione nei capitoli seguenti.
Ciò che rileva, ai fini del presente capitolo, è che comunque il decreto
legislativo n. 28 del 2011 si pone del tutto in linea con quanto già sperimentato
con il d.lgs. n. 387 del 2003, ispirandosi ai principi di semplificazione,
accelerazione, proporzionalità e adeguatezza, nel rispetto del principio di leale
collaborazione fra Stato e Regioni, al fine di favorire lo sviluppo dell’energia
alternativa.
5.
Gli strumenti di pianificazione energetica.
Per completare il quadro normativo e regolatorio nell’ambito di interesse,
appare utile un breve cenno sull’attività di programmazione del Governo italiano
nel settore energetico in generale, ed in quello delle energie rinnovabili in
particolare.
La pianificazione energetica in Italia è stata, infatti, per lungo tempo, molto
carente. Dal Piano energetico nazionale (PEN) del 1988 – di cui abbiamo parlato
in un paragrafo precedente – si sono dovuti attendere oltre 2 decenni prima di
veder emanare un documento strategico programmatico sull’intero comparto
dell’energia.
Un documento di tale portata era atteso da più parti, in considerazione del
fatto che dal 1988 l’intero comparto energetico (e non solo il settore delle
rinnovabili, dunque) necessitava di un quadro strategico d’insieme. Nel periodo
L’articolo 3 indica quale obiettivo nazionale una quota complessiva di energia da fonti
rinnovabili sul consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2020 pari al 17 %, tramite una
precisa progressione temporale coerente con le indicazioni dei Piani di azioni nazionali per le
energie rinnovabili predisposti ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2009/28/CE.
179
71
considerato, infatti, il comparto dell’energia era stato attraversato da profonde
trasformazioni – tra cui la più importante era stata sicuramente rappresentata dal
processo di liberalizzazione dei mercati, che aveva interessato l’assetto di intere
fasi delle filiere produttive nel settore dell’energia elettrica, del gas naturale, della
produzione e distribuzione di prodotti petroliferi e la spinta allo sviluppo delle
rinnovabili – che però, in assenza di un quadro programmatico «a monte»,
avevano seguito un processo autonomo, non coordinato.
5.1. La Strategia energetica nazionale.
Solo in tempi molto recenti, in data 8 marzo 2013 viene adottato il decreto
interministeriale, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di approvazione della Strategia
energetica nazionale (SEN), che si qualifica – appunto – come «atto di indirizzo
strategico».
Il documento si presenta poderoso – 139 pagine – e si prefigge l’obiettivo,
in uno scenario di medio periodo (sino al 2020), di proporre una possibile
riorganizzazione dell’intero comparto dell’energia in funzione di quattro obiettivi
principali da raggiungere: riduzione del costo dell’energia per cittadini e imprese,
in particolare per azzerare il differenziale di costo con i principali Paesi europei;
pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia
ambientale; maggiore sicurezza di approvvigionamento per ridurre la dipendenza
dall’estero; sviluppo industriale del settore dell’energia per una crescita
sostenibile180.
Per raggiungere questi obiettivi, sono state fissate sette priorità: promozione dell’efficienza
energetica, promozione di un mercato del gas competitivo, sviluppo economicamente sostenibile
delle energie rinnovabili, sviluppo di un mercato elettrico pienamente integrato con quello
europeo, ristrutturazione del settore della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti,
sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, modernizzazione dei processi
decisionali con l’obiettivo di renderli più efficaci e più efficienti.
180
72
Invero, la SEN si è subito esposte a numerose critiche, soprattutto di natura
politica, per la considerazione che tale atto è stato adottato da un Governo
dimissionario181.
Ma al di là delle scelte di opportunità politica, il documento presenta alcune
difficoltà interpretative, soprattutto per una corretta qualificazione in termini
giuridici e quindi circa il valore che esso deve rivestire nel nostro ordinamento.
Ad avviso di molti, è però pacifico che la SEN, o meglio il decreto
interministeriale che l’ha adottata, non abbia natura di atto di alta
amministrazione182. La procedura, infatti, seguita per l’adozione della SEN e
l’emanazione del decreto di relativa approvazione183 si discosta molto dalle
specifiche forme procedimentali connaturate all’attività di alta amministrazione184.
All’epoca di emanazione della SEN, l’allora Presidente del Consiglio Monti aveva già rassegnato
le proprie dimissioni, rimanendo in carica per l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento del
nuovo governo. Anche per le difficoltà di formazione di un nuovo governo successivo alle elezioni
del 24 e 25 febbraio 2013, il Governo Monti è rimasto in carica con i poteri di governo
dimissionario per oltre quattro mesi (per la precisione 128 giorni).
182 Gli atti di alta amministrazione costituiscono una speciale categoria di atti amministrativi. Essi
svolgono un raccordo fra la funzione politica e la funzione amministrativa, e sono funzionali
all’adozione di (successivi) atti necessari all’attuazione dei fini della legge. Ne costituiscono esempi,
tra gli altri: le deliberazioni di nomina e revoca dei più alti funzionari dello Stato; la nomina dei
dirigenti di livello verticistico; le decisioni di ricorsi straordinari in dissenso dal parere del Consiglio
di Stato; le decisioni del Consiglio dei Ministri che risolvono i conflitti di competenza. Il loro
fondamento normativo è rinvenuto in due disposizioni, quali: l’art. 95 della Costituzione, che
attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri i compiti di unità di indirizzo politicoamministrativo e di direzione politica del Governo; e l’art. 2 della legge n. 400 del 1988, che riserva
al Consiglio dei Ministri la competenza in ordine a tutti i provvedimenti di fissazione dell’azione
generale amministrativa. Le direttive conseguenti sono impartite dal Presidente del Consiglio dei
Ministri, allo scopo di promuovere e coordinare l’attività dei Ministri. Data la sua rilevanza,
all’attività di alta amministrazione partecipa il Presidente della Repubblica che emana gli atti di
detta natura, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, nella forma del decreto (CHIEPPA,
GIOVAGNOLI). Secondo autorevole dottrina (SANDULLI), gli atti di alta amministrazione sono atti
formalmente e sostanzialmente amministrativi e, come tali, devono ritenersi vincolati nei fini e
suscettibili di tutela giurisdizionale. Caratteristiche peculiari degli atti in questione sono,
rispettivamente, l’ampio carattere discrezionale e la subordinazione. La forte discrezionalità li
parifica agli atti politici, ma da essi si distinguono per non essere altrettanto liberi nei fini,
comportandone l’assoggettamento al sindacato del giudice.
183 Decreto interministeriale, previa consultazione pubblica.
184 Gli atti di alta amministrazione, solitamente, assumono la forma di decreti del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, o di decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri.
181
73
In realtà, il procedimento di adozione della SEN (decreto interministeriale,
previa consultazione pubblica185) pone ulteriori profili di criticità, soprattutto
perché esso è stato individuato in assenza di un’espressa previsione legislativa.
La «Strategia energetica nazionale» era stata introdotta, originariamente,
nell’ordinamento nel 2008, quale strumento di indirizzo e programmazione della
politica energetica nazionale186 e prevedeva, tra l’altro, il parere delle Commissioni
parlamentari. L’originaria versione della norma sulla «Strategia energetica
nazionale» del 2008 menzionava espressamente, tra le diverse fonti di energia su
cui puntare, anche l’energia nucleare. Tuttavia tre anni dopo vi è stato un
mutamento di orientamento del Governo, anche a seguito dell’incidente
giapponese di Fukushima, e il decreto-legge n. 34 del 2011 ha abrogato tutte le
norme del 2008-2010 in materia di energia nucleare, mentre a sua volta l’articolo
5, comma 8, ha dettato una nuova formulazione della norma sulla «Strategia
energetica nazionale», depurata da riferimenti all’energia nucleare187.
Il documento è infatti frutto di un processo di consultazione avviato a metà ottobre 2012 in
seguito all’approvazione in Consiglio dei Ministri del documento di proposta e proseguito con il
confronto con le istituzioni, le associazioni di categoria, le parti sociali e sindacali, le associazioni
ambientaliste e dei consumatori, enti di ricerca e centri studi. Sono stati inoltre ricevuti
suggerimenti e contributi da cittadini e singole aziende attraverso la consultazione pubblica che si è
svolta on line sul sito web del Ministero dello sviluppo economico.
186 Nel 2008, con l’articolo 7 del decreto-legge n. 112, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento
l’istituto della «Strategia energetica nazionale» quale strumento di indirizzo e programmazione della
politica energetica nazionale. Al centro di questo istituto era originariamente prevista la attivazione
di una nuova politica per l’energia nucleare. Il decreto-legge n. 34 del 2011 ha dettato una nuova
formulazione che manteneva l’istituto della «Strategia energetica» senza però riferimento al
nucleare; anche questa nuova formulazione è stata abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno
2011 (abrogazione resa esecutiva con DPR n. 114 del 2011). Rimangono naturalmente
nell’ordinamento una serie di disposizioni concernenti piani su singoli settori dell'energia (gas,
elettricità, rinnovabili, ecc., escluso il nucleare) e relative infrastrutture.
187 La riformulazione della norma sulla «Strategia energetica nazionale» (SEN) dettata dalla legge
del 2010 era del seguente tenore: «Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo
economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia
energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza
nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di
approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo
sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l'incremento degli
investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi
internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi
185
74
Tuttavia, anche questa versione della norma è poi venuta meno per effetto
del referendum popolare abrogativo del giugno 2011 sul nucleare. Uno dei quesiti
sottoposti al corpo elettorale – così come riformulati dalla Corte di Cassazione in
veste di Ufficio centrale per il referendum – aveva infatti ad oggetto proprio la
riformulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale dettata dal decretolegge n. 34 del 2011. L’esito positivo del referendum ha determinato l’abrogazione
anche del citato comma 8 dell’articolo 5188 e, quindi, dell’istituto della SEN da esso
disciplinato. La Strategia energetica nazionale, pertanto, non fa più parte del
nostro ordinamento189.
Si pone, allora, la questione di quale sia la specifica fonte normativa di rango
primario, presupposto per l’approvazione della SEN.
Nelle premesse al decreto interministeriale, troviamo il richiamo «ai poteri
di indirizzo spettanti in materia al Ministro dello Sviluppo economico e al
Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare». Se, però, è
indubbio che sussiste una generica titolarità in capo ai due Dicasteri di poteri di
indirizzo, si pone, ad ogni modo, la questione del rispetto del principio di legalità
dell’azione amministrativa, il quale – come noto – implica che gli organi della
pubblica amministrazione esercitino le sole potestà che ad essi sono conferite da
specifiche norme di rango legislativo, così da esercitare le proprie prerogative
relative ai singoli obiettivi in conformità e nei limiti delle norme stesse. Se così
non fosse, infatti, la discrezionalità amministrativa si trasformerebbe in arbitrio.
Ecco allora che emerge l’importanza dell’interrogativo posto in precedenza,
ovvero su quale sia la norma di legge che ha assegnato al Ministro dello sviluppo
dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e
lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri
tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla
sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello
internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell'Unione europea e degli
organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali».
188 Abrogazione resa esecutiva con DPR n. 114 del 2011.
189 In una segnalazione dell’8 novembre 2012 al Governo e al Parlamento l’AEEG ha manifestato
al Legislatore l’esigenza di prevedere una norma espressa che disciplini il procedimento d’adozione
della SEN.
75
economico e al Ministro dell’ambiente il compito di elaborare la Strategia
energetica nazionale, definendone ampiezza e condizioni per l’esercizio di tale
prerogativa. È evidente, infatti, come la circostanza non sia di poco conto,
consideratele ripercussioni che la stessa può avere sulla legittimità della stessa
SEN, nonché sulla realizzabilità delle misure ivi indicate190.
Tuttavia, pare che una legittimazione sicura possa essere rinvenuta nell’art.
1, comma 2, del d.lgs. n. 93 del 2011 di recepimento delle direttive europee sul
mercato interno dell’energia, che contiene un esplicito riferimento alla «Strategia
energetica nazionale»191. Tale origine, peraltro, esprime bene il significato che tale
programmazione dovrà assumere, ovvero concretizzare e perseguire le priorità
esplicitate dalla disciplina europea indicando gli adempimenti, le misure operative
e le scelte di localizzazione adeguate a conseguirle192. Al tempo stesso, tale
programmazione dovrebbe costituire l’alveo e delineare le coordinate all’interno
delle quali possano svilupparsi i Piani di settore.
5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili.
Sul versante dei Piani settoriali, quello di maggiore interesse – anche per la
presente trattazione – è sicuramente il Piano di azione nazionale (PAN) per le
V. sull’argomento DI MARTINO A. – SILEO A., La Strategia Energetica Nazionale. Alcune riflessioni
sulla valenza giuridica del documento, in Lexambiente.it, 16 aprile 2013.
191 Cfr. art. 1, comma 2, del d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 recante «Attuazione delle direttive
2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno
dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al
consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive
2003/54/CE e 2003/55/CE»: «2. Il Ministero dello sviluppo economico, previa consultazione
delle Regioni e delle parti interessate, definisce entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, in coerenza con gli obiettivi della strategia energetica nazionale di cui
all'articolo 3, gli scenari decennali relativi allo sviluppo del mercato del gas naturale e del
mercato dell'energia elettrica, comprensivi delle previsioni sull'andamento della domanda
suddivisa nei vari settori, della necessità di potenziamento delle infrastrutture di produzione,
importazione, trasporto, nonché, per il gas naturale, dello stoccaggio, eventualmente individuando
gli opportuni interventi al fine di sviluppare la concorrenza e di migliorare la sicurezza del
sistema del gas naturale. Tali scenari e previsioni sono articolati, ove possibile, per Regione. Gli
scenari sono aggiornati con cadenza biennale e sono predisposti previa consultazione delle parti
interessate».
192 V. COCCONI M., Nostalgie di programmazione energetica nazionale, in Confronticostituzionali.eu, 29
novembre 2013.
190
76
energie rinnovabili, già emanato una prima volta nel 2010, in attuazione della
direttiva 2009/28/CE.
L’art. 4 della direttiva citata, infatti, ha introdotto lo strumento del Piano
d’azione nazionale, imponendone a ciascun Stato membro l’adozione entro il 30
giugno del 2010193.
L’Italia ha inviato il proprio Piano alla Commissione il 28 luglio 2010. Esso
illustra la strategia nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e disegna le
principali linee d’azione per ciascuna area di intervento (elettricità, riscaldamento –
raffreddamento e trasporti) sul consumo energetico lordo complessivo. Contiene,
inoltre, l’insieme delle misure (economiche, non economiche, di supporto e di
cooperazione internazionale) necessarie per raggiungere gli obiettivi. Sono
previste poi ulteriori misure trasversali quali lo snellimento dei procedimenti
autorizzativi, lo sviluppo delle reti di trasmissione e distribuzione per un utilizzo
intensivo/intelligente del potenziale rinnovabile, le specifiche tecniche di
apparecchiature e impianti e la certificazione degli installatori.
Tra i principali obiettivi strategici, assumono particolare rilievo:
1.
la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, considerato che
l’Italia dipende fortemente dalle importazioni di energia;
2.
la riduzione delle emissioni di gas dannose per il clima, secondo gli
impegni assunti a livello internazionale (Protocollo di Kyoto);
3.
il miglioramento della competitività dell’industria nazionale, attraverso
il sostegno alla domanda di tecnologie rinnovabili e lo sviluppo dell’innovazione
tecnologica.
Cfr. art. 4 della direttiva 2009/29/CE. Ciascun Stato membro deve adottare il PAN, con lo
scopo di fissare in tale contesto gli obiettivi nazionali per la quota di energia rinnovabile nel settore
dei trasporti, dell’elettricità, del riscaldamento e refrigerazione fino al 2020 e le misure attuative per
migliorare l’efficienza energetica. Il Piano di azione nazionale viene a costituire il documento
programmatico dello Stato membro La Commissione valuta il PAN e interagisce formalmente con
gli Stati membri attraverso raccomandazioni, strumenti per persuaderli a correggere alcuni elementi
in vista dell’obiettivo finale. Per esempio, l’Italia ha ottenuto che gli obiettivi intermedi di ricorso
alle rinnovabili da qui al 2020 siano «indicativi» e non vincolanti. Ciò implica che l’Italia se non
raggiungerà il target non incorrerà in alcuna sanzione automatica di tipo finanziario/pecuniario.
193
77
Per il raggiungimento di questi obiettivi prioritari, il documento disegna le
principali linee di azione che si articolano, sostanzialmente, sul piano della
governance istituzionale e sulle politiche settoriali.
Sotto il primo profilo, la programmazione si estrinseca nel coordinamento
della politica energetica, industriale e ambientale e nella condivisione degli
obiettivi con le Regioni194, in modo da favorire l’armonizzazione dei vari livelli di
programmazione.
Con riferimento, invece, al profilo della politica settoriale le linee di azione
sono delineate sulla base del peso di ciascuna area di intervento sul consumo
energetico lordo complessivo. A tal proposito il documento individua tre specifici
settori di intervento: i consumi finali per il riscaldamento/raffreddamento, quelli
finali nel settore dei trasporti e, infine, quelli finali di energia.
Ad ogni modo, ciò che maggiormente interessa ai fini del presente lavoro è
che lo sviluppo di fonti di energia alternativa rimane una linea di azione strategica
nell’ambito della politica energetica nazionale. A tal fine, il Piano individua una
serie di misure che l’Italia deve adottare, intervenendo anche sul sistema di
incentivazione. In breve, le principali azioni previste consistono essenzialmente:
nell’incremento della quota minima di energia elettrica da fonti rinnovabili da
immettere sul mercato, con tempi e modi coerenti con i traguardi europei; nella
revisione periodica degli strumenti di sostegno in modo tale da tenere in debito
conto l’attesa riduzione dei costi delle tecnologie; nella modulazione degli
incentivi in modo coerente con le diverse esigenze della produzione.
Secondo alcuni studiosi di settore, tuttavia, il PAN non assolve
propriamente alla sua funzione di atto di programmazione, sembra viepiù una
ricognizione dell’esistente e, soprattutto, non appare in grado di influenzare lo
sviluppo dei successivi adempimenti in materia195. Sostanzialmente, riproduce
Attraverso il c.d. burden sharing regionale, ovvero l’attribuzione di specifici obblighi di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in capo a ciascuna Regione in ragione delle
specifiche potenzialità di sviluppo delle differenti tecnologie.
195 V. DE LEONARDIS F., Il ruolo delle energie rinnovabili, in NAPOLITANO G. – ZOPPINI A. (a cura di),
Annuario di diritto dell’energia, Bologna, 2013, 131 ss.
194
78
fedelmente la strategia europea di stretta convergenza tra la promozione delle
fonti rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica, ma non esplicita in
modo convincente le misure concrete per poterle realizzare.
Il Piano di azione del 2010 non utilizza, né valorizza, dunque, in modo
adeguato lo spazio di discrezionalità che il diritto europeo affida alla competenza
nazionale nel settore delle fonti di energia alternativa196. Sia pur rappresentando un
primo passo verso una programmazione funzionale ad uno sviluppo efficiente
delle energie rinnovabili, tuttavia, per molti aspetti appare ancora un documento
embrionale, che contiene linee di principio che, però, dovrebbero essere meglio
specificate per renderle attuabili o rafforzate affinché producano effetti concreti197.
6.
Considerazioni di sintesi.
Dall’analisi ricostruttiva operata nel presente capitolo emerge chiaramente
come l’intervento dello Stato nel settore energetico, in generale, ed in quello della
promozione delle energie rinnovabili, in particolare, rifletta anch’esso, in modo
coerente, l’evoluzione storica – tracciata più dettagliatamente nel secondo
paragrafo – delle varie forme di intervento pubblico nei settori dell’economia,
riconosciute dalla nostra Carta costituzionale.
Nella prima fase di nazionalizzazione del settore energetico, si realizza
infatti l’istituzione dei regimi di riserva di cui all’articolo 43 della Costituzione.
V. COCCONI M., op.cit.
Cfr. le osservazioni al documento di consultazione sul Piano d’azione nazionale sulle fonti
rinnovabili, presentate da Confindustria, che sottolinea come «Una strategia di sviluppo coerente
non può prescindere da una ripartizione del potenziale per ogni singola Regione, fatta eccezione
per il settore dei trasporti, volta a responsabilizzare le autorità locali nel raggiungimento
dell’obiettivo al 2020. In tal senso sarebbe utile capire fin da ora il criterio attraverso cui l’eventuale
responsabilità per il mancato raggiungimento del target al 2020 sarà ripartito o sulle Regioni o
anche sui singoli settori. Il burden sharing regionale dovrebbe basarsi su criteri di efficienza tecnica
che considerino le potenzialità di risorse e impieghi presenti sul territorio. Il PAN tuttavia sembra
non tenere conto delle reali potenzialità di ogni singola fonte sviluppabili sul territorio nazionale,
in funzione dei vincoli morfologici, paesaggistici, urbanistici e delle peculiarità di molte aree del
nostro Paese. Inoltre non si ravvisa all’interno del Piano alcuna considerazione sulle tecnologie
impiegate, sull’analisi costi-benefici caratterizzata dai rendimenti tecnologici delle differenti
tecnologie e, soprattutto, non sono stati tenuti in considerazione i conseguenti costi per il Paese
per la copertura delle misure di incentivazione che dovranno supportare lo sviluppo degli
investimenti».
196
197
79
Nella seconda fase, invece, si passa alla fase di pianificazione, in cui lo Stato cerca
attraverso «programmi e controlli» di indirizzare e coordinare le imprese
pubbliche e private al perseguimento dei fini sociali, secondo il modello
dell’articolo 41, comma 3, della Costituzione. Nella terza fase, propriamente, di
liberalizzazione del sistema, si assiste, infine, alla prescrizioni di condizioni di
svolgimento dell’attività economica, che ne garantiscono l’effettiva libertà sancita
dall’articolo 41, comma 1, della Costituzione.
Oggi, invero, si assiste ad ulteriore passaggio nel quale si tenta di rendere
compatibile il processo di liberalizzazione, ormai avviato, con i vincoli pubblici
all’esplicarsi dell’iniziativa economica, ritenuti necessari per assicurare il
raggiungimento degli obiettivi posti a livello europeo.
Dal Protocollo di Kyoto in avanti si sta, infatti, affermando diffusamente
l’indirizzo politico per il quale la rilevanza stringente degli obiettivi internazionali e
comunitari di riduzione delle emissioni nocive, affidata principalmente alla
promozione delle fonti di energia alternativa, legittimino un maggior intervento
dei pubblici poteri nel processo di produzione e distribuzione dell’energia
rinnovabile. Tale intervento deve esplicarsi mediante apposizione di indirizzi,
vincoli e controlli all’esercizio della libera iniziativa economica, intesi non come
fini a se stessi, ma in nome del raggiungimento degli interessi generali affidati ai
pubblici poteri, nazionali ed europei, in tale settore.
È di tutta evidenza, però, l’avvertita necessità di rendere una tale
impostazione coerente con quel processo di liberalizzazione, oramai in corso,
seppur nella concreta difficoltà di far coesistere un’attività economica liberalizzata
e la sua necessaria sottoposizione a vincoli.
D’altronde, come è stato acutamente notato198, lo slittamento semantico,
verificatosi negli ultimi anni nel nostro Paese, dal sostantivo «programmazione» a
quello di «strategia» esprime bene la difficoltà, ben presente in sede politica, a
198
V. DE LEONARDIS F., op.ult.cit.
80
rendere conciliabili questi due aspetti. Il termine «strategia» appare, infatti, più
consono alla liberalizzazione.
Ad ogni modo, al di là della terminologia utilizzata, oggi, la persistente
valenza di un’attività programmatoria, nel settore dell’energia, si giustifica per il
fatto di dover soddisfare e conciliare l’offerta di energia da parte di una pluralità di
operatori con la garanzia di rilevanti interessi pubblici; tali interessi non sono più,
unicamente, quelli insiti nel concetto di servizio universale (continuità della
fornitura, prezzi sostenibili e accesso generalizzato) ma quelli, di dimensione
essenzialmente transazionale, di carattere ecologico e di dipendenza geo-politica
degli Stati europei dalla sicurezza degli approvvigionamenti.
Si tratta, dunque, di una programmazione con un significato più complesso
ed ampio di quella, di carattere generale, intrapresa nel nostro Paese a partire dalla
metà degli anni ’70 che ebbe, inizialmente, l’essenziale finalità di legittimare il
ricorso alla fonte nucleare (e poi di puntare sul carbone e sulle fonti rinnovabili, a
seguito del referendum del 1987 che decretò l’uscita dal nucleare) dinanzi al
drammatico manifestarsi della crisi energetica, senza alcuna ambizione di
soddisfare interessi pubblici ulteriori.
Il riemergere della necessità di un’attività di indirizzo e programmazione da
parte dei poteri pubblici, in materia di energia, sotto la nuova denominazione di
«Strategia energetica nazionale» scaturisce, viceversa, per la prima volta, dalla
convinzione che i meccanismi di mercato, in tale settore, non possano garantire il
raggiungimento dei fondamentali interessi generali, di sostenibilità ambientale e di
autosufficienza dell’approvvigionamento, indicati dal diritto europeo e indicare le
misure operative per soddisfarli concretamente.
Il manifestarsi e l’aggravarsi della crisi finanziaria, inoltre, ha acuito la
sfiducia nella capacità delle dinamiche concorrenziali di garantire in sé, senza alcun
intervento pubblico, la riduzione delle emissioni climalteranti e la sicurezza della
fornitura energetica attraverso l’aumento delle fonti rinnovabili. Né si è più
convinti, nemmeno nei sistemi economici più improntati all’opzione per il
mercato concorrenziale, che la riduzione di tali esternalità negative possa essere
assicurata unicamente dall’adozione di regole condizionali e non finalistiche, poste
da regolatori indipendenti e finalizzate esclusivamente a porre le condizioni
irrinunciabili del libero esplicarsi dell’iniziativa economica privata nel settore. Si
81
manifesta, dunque, la necessità di un intervento pubblico diretto, specificamente, a
garantire il raggiungimento degli obiettivi europei di carattere ambientale e
politico-strategico.
D’altronde, non si può trascurare – come già sottolineato – che il ritardo
nella predisposizione di una Strategia energetica nazionale e nell’emanazione,
ancor prima, delle Linee Guida nazionali per favorire una corretta integrazione
degli impianti delle fonti rinnovabili nel paesaggio, sono state essenzialmente le
cause alla base delle difficoltà del nostro Paese nella realizzazione dell’obiettivo
nazionale del 17% di fonti rinnovabili assegnatoci dalla disciplina europea,
nonostante l’elevata percentuale di incentivi destinati a tal fine. Sono state, infatti,
principalmente, queste carenze a ostacolare il funzionamento di quelle
semplificazioni procedurali, sulle quali ci soffermeremo ampiamente nel prossimo
capitolo.
Il significato ed il ruolo di tale programmazione, dunque, sia pure sotto la
veste, mitigata, di una «Strategia» e declinata, per il comparto delle fonti
rinnovabili, nella pianificazione di settore, dovrebbero essere quello di definire le
misure concrete da intraprendere, a livello nazionale, per raggiungere gli obiettivi
definiti dal Legislatore europeo sull’incremento delle fonti rinnovabili. È proprio
in tale spazio di discrezionalità, relativo alle concrete strategie da porre in essere, a
livello nazionale, per favorire uno sviluppo equilibrato di tali fonti sul territorio,
che è destinata a giocarsi la residua competenza normativa spettante agli Stati in
tale comparto alla luce dell’art. 194 del TFUE.
Si tratta certamente di uno spazio ormai costretto nei binari angusti delineati
da una stringente attività di coordinamento della Commissione europea che, ai
sensi della direttiva 2009/28/CE, ne prefigura le traiettorie e ne valuta
attentamente gli esiti sotto il profilo sia quantitativo sia qualitativo, ma resta in
ogni caso uno spazio di discrezionalità politica in ambito nazionale, strategico,
soprattutto alla luce del principio di sussidiarietà.
82
CAPITOLO II
Il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di
produzione di energia rinnovabile
SOMMARIO: 1. Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica italiana
1.1. La prima fase degli studi pubblicistici 1.2. La teoria di Oreste Ranelletti 1.3. La
dottrina post Ranelletti 1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della
nozione di procedimento 1.5. Gli sviluppi della dottrina recente 1.5.1. La
situazione giuridica soggettiva incisa 1.5.2. L’effetto tipico 1.5.3. Gli interessi in
gioco 2. Modelli alternativi alle autorizzazioni 2.1. La denuncia di inizio attività
(oggi SCIA) 2.2. Il silenzio-assenso 3. Il procedimento di autorizzazione
all’installazione e all’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili
3.1. Il procedimento di autorizzazione unica 3.1.1. Il termine di conclusione del
procedimento 3.1.2. La Conferenza di servizi 3.1.3. Il rapporto tra VIA e
autorizzazione unica 3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS 3.3.
Il regime di attività libera 4. La diversificazione della legislazione regionale in
assenza delle Linee Guida nazionali: i procedimenti regionali 4.1. I c.d.
provvedimenti di moratoria 4.2. Il contingentamento della potenza massima
autorizzabile e la fissazione di un numero massimo di impianti installabili 4.3. La
localizzazione degli impianti 4.4. Le misure compensative 4.5. Le condizioni di
accesso al mercato 4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di
DIA 5. Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali 5.1. Situazione
attuale 6. Considerazioni di sintesi.
1.
Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica
italiana.
Lo studio dello strumento autorizzatorio ha da sempre suscitato un
notevole interesse scientifico e ha dato vita, a partire dagli ultimi anni dell’800 fino
ai tempi più recenti, a una copiosa letteratura, segno evidente dell’importanza e
della centralità che lo stesso ha assunto nel panorama degli studi di diritto
amministrativo.
Attraverso l’analisi compiuta nei vari momenti storici dalla dottrina
pubblicistica italiana in ordine al potere autorizzatorio e alle varie forme in cui si
esplica, è infatti possibile ripercorrere l’evoluzione dello stato, della maturità ed
anche del grado di autonomia della stessa scienza pubblicistica. Invero, l’analisi
giuridica condotta sul sistema autorizzatorio ha segnato in modo indelebile lo
studio del diritto pubblico, consentendo così l’emancipazione di quest’ultimo dagli
altri rami del diritto. L’autorizzazione, infatti, anche in ragione degli spunti di
analisi offerti dalla contrapposizione e dalla comparazione subito operate con la
concessione, ha contribuito non poco alla elaborazione della categoria dogmatica
83
del provvedimento amministrativo, istituto centrale nello studio del diritto
amministrativo. Ciò, in seguito, ha reso possibile, con un rilevante sforzo di
classificazione, di definire anche gli altri tipi di provvedimenti, la realizzazione dei
vari poteri amministrativi attribuiti dall’ordinamento, nonché i profili strutturali
dei procedimenti che di quei poteri segnavano l’esercizio.
Lo studio della funzione autorizzatoria offre, inoltre, un altro importante
spunto di interesse, determinante – tra l’altro – ai fini del presente lavoro, in
quanto mediante essa l’amministrazione pubblica interviene sull’attività economica
dei privati199.
Sotto tale profilo, è stato infatti possibile cogliere e individuare, a seconda
dei momenti storici, il tipo di equilibrio che l’ordinamento ha inteso raggiungere
tra libertà del privato e autorità del soggetto amministrazione, tra iniziativa
economica e condizionamento pubblico delle sue manifestazioni. Si è osservato,
dunque, il passaggio dalla prospettiva di alterità tra cittadino e Stato, che riposava
su una radicale separazione delle sfere del pubblico e del privato e che richiedeva
sul piano giuridico essenzialmente un’opera di delimitazione dei rispettivi ambiti, a
concezioni dello Stato via via più mature, attente a recepire l’esigenza di
provvedere ai bisogni crescenti della collettività.
Di questo mutevole e delicato rapporto Stato-cittadino il provvedimento di
autorizzazione ne è stato sempre espressione.
Coerentemente, pertanto, alla complessità dei rapporti instaurati tra
amministrazione e privati è corrisposta sul piano teorico l’elaborazione di schemi
V. sul punto GIANNINI M.S., Sull’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia, Prolusione al
corso di diritto amministrativo presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma (12
marzo 1959), in Rivista di diritto commerciale, LVII, 1959, n. 9-10, 311 ss., secondo il quale «Chi si
pone a ricercare attraverso quali strumenti i pubblici poteri svolgono delle azioni giuridicamente
determinanti nel campo dell’economia, posto che i pubblici poteri medesimi non possono agire
che mediante procedimenti amministrativi, deve individuare quali sono questi procedimenti». Tra
le figure più importanti di questi procedimenti, vi sono proprio i procedimenti autorizzatori, che
però, anche se sono considerati lo strumento per eccellenza di «intervento» nella disciplina
dell’economia, non presentano peculiari proprietà proprie per il fatto di ricevere tale uso. È
indubbio, infatti, secondo l’Autore, che «la tassanomia delle varie specie di provvedimenti
autorizzatori, ossia, citando un ordine preciso, le autorizzazioni in senso stretto, le licenze, le
approvazioni, le dispense, e così via, si modella non sui fini o sui motivi dei provvedimenti, ma
sulla natura degli elementi che li compongono e degli effetti che si producono».
199
84
classificatori sempre più articolati dell’autorizzazione amministrativa, o rectius delle
autorizzazioni200.
Cercheremo nei paragrafi successivi di segnare l’evoluzione che la dottrina
pubblicistica italiana ha operato sul tema delle autorizzazioni amministrative.
1.1.
La
La prima fase degli studi pubblicistici.
nascita
della
scienza
pubblicistica
in
Italia
risale
all’epoca
immediatamente successiva all’unità d’Italia201. Senza voler troppo indugiare sul
grado di sviluppo del pensiero giuspubblicistico precedente alla c.d. «svolta
orlandiana»202, occorre rilevare come la dottrina dell’epoca, in generale, fosse
interessata ai problemi della struttura dello Stato, del contenzioso amministrativo,
della divisione dei poteri o delle funzioni203 e della nozione di amministrazione204,
piuttosto che al tema dell’atto amministrativo205.
I percorsi espositivi della dottrina preorlandiana presentano infatti una
omogeneità di impostazione nella quale sembra non trovare spazio non solo il
tema dell’autorizzazione, ma addirittura la categoria più generale del
provvedimento amministrativo.
V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 311 ss. e ID., Diritto amministrativo, Milano, 1970, nonché
RANELLETTI O., Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte I: Concetto e natura
delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giurisprudenza italiana, XLVI, 1894, 19.
201 Sulla prima dottrina amministrativistica italiana V. GIANNINI M.S., Profili storici della scienza del
diritto amministrativo, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, (1940), Milano, 1973,
II, 179 ss.; BENVENUTI F., Mito e realtà nell’ordinamento amministrativo italiano, in BENVENUTI F. –
MIGLIO G. (a cura di)., L’unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Vicenza, 1969, 67 ss.; CASSESE
S., Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971, 12 ss.; REBUFFA G., La formazione del
diritto amministrativo in Italia. Profili di amministrativisti preorlandiani, Bologna, 1981; AZZARITI G., La
prolusione orlandiana la scienza del diritto amministrativo anteriore al 1889, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1989, 968 ss.
202 Si ci riferisce a quel metodo giuridico affinato e proposto all’attenzione degli studiosi da
Vittorio Emanuele Orlando e che, come meglio specificato nel paragrafo successivo, costituì la
base del pensiero Ranellettiano. V. FRACCHIA F., Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche
soggettive, Napoli, 1996, 36 ss.
203 V. ad esempio DE GIOANNIS GIAQUINTO G., Corso di diritto pubblico amministrativo, Firenze,
1877, I, 139.
204 V. ROMAGNOSI G.D., Istituzioni al diritto amministrativo, Milano, 1814, 1 ss.; SCOLARI S., Del diritto
amministrativo, Pisa, 1864.
205 Termine che compare la prima volta nel Repertorio del Merlin del 1812: così riferisce RAGGI
L., L’atto amministrativo e la sua revocabilità, Città di Castello, 1904, 4.
200
85
Le ragioni dell’atteggiamento della dottrina di relativo disinteresse per il
provvedimento amministrativo sono molteplici e vanno individuate in una serie di
concause206, tra le quali: la scarsa abitudine per le costruzioni dogmatiche generali;
in alcuni casi l’eccessiva preoccupazione per l’esegesi del dato positivo ed infine,
l’ancor
insufficiente
elaborazione
del
principio
di
legalità
dell’azione
amministrativa, la cui affermazione costituisce la premessa tradizionale per la
configurabilità del provvedimento amministrativo207.
Tuttavia, appena si approfondisca un poco l’analisi, ci si accorge però come
l’atteggiamento della dottrina dell’epoca non fosse del tutto omogeneo e
coerente208.
In primo luogo, infatti, è stato osservato come la scarsa propensione per
l’impiego di categorie generali in tema di atti amministrativi fosse singolare
soprattutto ove si consideri che i giuristi preorlandiani già potenzialmente,
mediante il confronto con il diritto privato e il diritto romano, disponevano delle
categorie giuridiche che avrebbero consentito maggiori approfondimenti209.
Inoltre, il provvedimento, soprattutto nell’ottica dei giuristi liberali, costituiva il
momento di contatto tra azione amministrativa e sfera soggettiva del privato e la
manifestazione concreta dell’ingerenza dello Stato nella libertà dei cittadini. In
ragione di ciò, allora, era forse più coerente con tale impostazione, ed in effetti fu
così, una scarsa attenzione per il procedimento amministrativo – serie
V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 39.
V. sul punto GIANNINI M.S., Atto amministrativo, in Enciclopedia del diritto, IV, 1959, 159.
208 È stato sottolineato che il periodo preorlandiano fu un’epoca di ineguale sviluppo, nel senso
che «alla scienza di un Romagnosi o di un Manna si affiancavano molti scrittori minori, provinciali,
che riducevano il diritto amministrativo a casistica (…)»: CASSESE S., op.ult.cit., 11. Si è parlato
anche della presenza di due poli nel diritto amministrativo all’epoca dello stato postunitario, uno
più liberale, l’altro volto a presidiare l’autorità: l’affermazione di Giannini è richiamata anche da
REBUFFA G., op.cit., 211 s.
209 Bastino gli esempi di MANTELLINI G., Lo Stato e il codice civile, Firenze, 1882, III (ove si afferma
che «l’opera cerca i suoi insegnamenti nel digesto romano (…) pel vademecum più sicuro per lo
stesso pubblicista») e MEUCCI L., Istituzioni di diritto amministrativo, Roma, 1887, II, I, 9, secondo cui
il diritto amministrativo in «molti punti è parte, in altri è svolgimento, in pochissimi modificazione
del diritto civile )…)». V. in generale sul punto Giannini M.S., Profili storici, cit., 236 e AZZARITI G.,
op.cit., 993 s. Il riferimento al diritto romano per alcuni importanti autori aveva forse anche il
significato del (e comunque si accompagnava al) rifiuto di trasferire i sistemi amministrativi
stranieri, rivendicando la necessità di un diritto amministrativo d’Italia.
206
207
86
procedimentale inerente alla sfera interna dell’amministrazione – ma non già per il
momento finale dello stesso210.
Oltre tutto la lacuna era ancora più rilevante, trasportando il discorso sul
piano della difesa giustiziale, laddove si consideri che il sindacato (in sede
giurisdizionale ovvero amministrativa) interessava anche l’atto amministrativo,
significativamente richiamato dall’art. 2 della legge abolitiva del contenzioso
amministrativo. La presenza dell’atto, infatti, ai sensi della legge 20 marzo 1865, n.
2248, all. E, comportava la nota limitazione dei poteri del giudice ordinario211: in
ragione dell’estensione concettuale dell’atto e della genericità della sua definizione
si riduceva dunque lo spazio per la sindacabilità dell’azione amministrativa.
Tutto ciò dunque dimostra come il livello di maturazione della dottrina
preorlandiana fosse tale da stimolare, in misura forse maggiore di quanto
effettivamente avvenne, l’indagine sul provvedimento amministrativo in generale.
Più in particolare, per quanto riguarda il profilo autorizzatorio, è stato
invece possibile ricavare alcuni dati importanti da un esame della giurisprudenza
che nell’ultimo decennio del XIX secolo si occupò di provvedimenti permissivi212.
In primo luogo, si ricava come all’epoca l’autorizzazione non aveva ancora
assunto
una
configurazione
autonoma
nell’ambito
della
categoria
dei
provvedimenti permissivi, presentandosi indistinta da permessi e licenze.
Dal punto di vista delle situazioni giuridiche coinvolte, sembra che l’assenza
di poteri permissivi non equivaleva al riconoscimento assoluto delle sfere di libertà
dei privati. I condizionamenti avvenivano sempre mediante la previsione di norme
generali e astratte: il riconoscimento giurisprudenziale dei diritti significava, al più,
assenza di potere permissivo, non già intangibilità della situazione soggettiva e
delle sue esplicazioni. Al contrario, invece, nei casi in cui l’ordinamento prevedeva
il potere di rilasciare licenze o permessi, la situazione del privato degradava
immediatamente a mero interesse.
V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 42.
Sulla riforma del 1865, V. SORDI B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, Milano, 1985, 38
ss. Cfr., sul punto, anche i lavori di ORLANDO, BENVENUTI e CANNADA BARTOLI.
212 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 55 ss.
210
211
87
Dal punto di vista degli effetti dell’atto, alcune decisioni213 sembrano
considerare il «permesso» come un atto costitutivo di diritti. Sotto questo punto di
vista, si rendeva allora difficoltoso il tentativo di stabilire una netta distinzione con
la concessione. Anzi, accostando tale rilievo con elementi di diritto positivo,
sembra quasi potersi desumere la presenza di una sorta di radice comune che
unisce i provvedimenti ampliativi. Il riferimento è costituito dall’art. 4 della legge
sul contenzioso amministrativo 30 ottobre 1859, n. 3708, che contemplava
indistintamente concessioni e autorizzazioni.214
1.2. La teoria di Oreste Ranelletti.
Nel quadro fin qui esposto in cui si muoveva la dottrina italiana dell’epoca
postunitaria si inserisce l’opera di Oreste Ranelletti215. Tale Autore, introducendo
importanti elementi nel dibattito teorico, si differenziò notevolmente dagli
studiosi della dottrina precedente.
Per la prima volta, infatti, si affronta il tentativo di elaborare una teoria
generale dell’atto amministrativo. Ciò si realizza proprio bandendo l’impiego di
quegli strumenti di analisi tipici della prima fase di sviluppo della scienza
pubblicistica in Italia e utilizzando quel metodo giuridico che negli stessi anni
Cfr. sul punto R. Camera de’ Conti, 10 novembre 1855, in Rivista amministrativa del Regno, 1856,
113 e Consiglio di Stato, sez. Contenzioso Amministrativo, 20 giugno 1865, in La legge, 1865, 225.
214 La norma in questione attribuiva ai tribunali del contenzioso amministrativo le controversie
relative ai danni causati da attività private di trasporto del legname «autorizzate» dalla pubblica
amministrazione ovvero da attività di ricerca di miniere su terreni privati compiute a seguito di
«concessione». La norma, seppur ebbe scarsa applicazione pratica e concerneva un settore tutto
sommato limitato, appare comunque di grande interesse per l’accostamento da essa compiuto tra
provvedimenti autorizzatori e concessori ai fini della delimitazione della giurisdizione.
215 Le teoria delle autorizzazioni cui si fa riferimento è quella di RANELLETTI O. esposta e
sviluppata nei seguenti scritti: op.ult.cit. 7-83; Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni
amministrative. Parte II: Capacità e volontà nelle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Rivista italiana
di scienze giuridiche, XVII (1894), 3-100, 315-372; Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni
amministrative. Parte III: Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Rivista italiana di
scienze giuridiche, XIX, (1895), 3-107; XX, 255-337; XXI (1896), 77-172, 350-379; XXII, 177-277.
Gli stessi scritti sono ora pubblicati in RANELLETTI O., Scritti giuridici scelti, in FERRARI E. – SORDI
B. (a cura di), Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Camerino, Napoli, 1992, III,
35-653.
213
88
veniva affinato e proposto all’attenzione degli studiosi da Vittorio Emanuele
Orlando216.
D’altra parte, giova sottolineare che la teoria del Ranelletti fu elaborata
subito dopo l’istituzione, nel 1889, della IV Sezione del Consiglio di Stato, cui fu
affidato il potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi. Questa
tappa, come noto, non dava luogo soltanto alla conquista di ulteriori spazi al
sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, ma aveva importanti risvolti
anche sul piano sostanziale, traducendosi in un notevole impulso alla
impostazione su basi differenti dello studio dell’amministrazione e della sua
attività. L’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato rappresentò un
decisivo momento di soluzione della questione della sindacabilità dell’esercizio del
potere amministrativo ed il chiaro superamento della concezione dell’irrilevanza
dell’attività amministrativa che non fosse lesiva di diritti altrui217.
Veniva così definitivamente, pur se indirettamente, operato dal Legislatore il
riconoscimento della funzionalizzazione e dell’asservimento all’interesse pubblico
dell’attività amministrativa. A questo punto, si rendeva allora necessaria l’analisi
delle caratteristiche, dei limiti e degli effetti del potere amministrativo e del suo
esercizio,
provvedendo
così
alla
progressiva
erosione
della
libertà
dell’amministrazione, spesso avvertita come una sorta di arbitrio.
Inoltre, la legge del 1889, a differenza di quanto era accaduto con la legge
abolitiva
del
contenzioso
amministrativo,
adottava
il
meccanismo
218
dell’impugnazione dell’atto : conseguentemente l’asse del sistema si spostava ora
Sul punto, occorre rilevare che non sono mancate voci che hanno revocato in dubbio la
perfetta adesione del pensiero del Ranelletti alla teoria orlandiana. V. recentemente le osservazioni
di ROMANO TASSONE A., Ranelletti commemora Persico, in Diritto amministrativo, 1993, 445 ss.
217 V. CANNADA BARTOLI E., La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano,
1964, 47; CASETTA E., Provvedimento e atto amministrativo, in Digesto (disc. pubbl.), XII, 1997, XI. Invero
si è sottolineato come già precedentemente il rimedio del ricorso al Re potesse essere impiegato
per la tutela di situazioni non riconducibili al diritto soggettivo: GIANNINI M.S., Giurisdizione
amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 1970, 236 ss.
218 V. BENVENUTI F., op.ult.cit., 196 ss. Per l’affermazione secondo cui con la istituzione degli
organi di giustizia amministrativa «poté conseguirsi un evoluto ed abbastanza esauriente controllo
giuridico sugli atti amministrativi, dal che nacque l’occasione per isolare lo studio di questi ultimi,
costituendone l’obietto di una teoria speciale», v. RAGGI L., op.cit.
216
89
decisamente verso il potere ed il risultato del suo esercizio, mentre più sfumato
appariva il profilo della situazione soggettiva la quale era, tra l’altro, protetta non
in sé ma in quanto connessa con l’interesse pubblico. L’interesse scientifico si
focalizzava dunque sull’atto amministrativo.
Ranelletti ha il merito, in quell’epoca, di avvertire per primo l’urgenza di
rivolgere l’attenzione alla teoria generale degli atti amministrativi, «cioè a quella
meta che nel diritto privato si era da tempo raggiunta con la teoria generale dei
negozi giuridici»219, avendo la consapevolezza che è «questo il campo più vasto
che si possa aprire al diritto amministrativo ed ai suoi cultori»220.
Nei tre studi dedicati alla teoria delle autorizzazioni e delle concessioni 221 è
possibile cogliere la particolarità del tipo di indagine compiuta dall’Autore.
Ci si potrebbe aspettare un procedere che ricalchi l’analisi della pandettistica
relativa al negozio giuridico, dedicata tradizionalmente agli elementi essenziali
dello stesso, all’invalidità, agli effetti e così via222. L’opera, invece, offre
un’impostazione originale, frutto della consapevolezza della peculiarità della
problematica pubblicistica, dominata dal riferimento alla prevalenza dell’interesse
pubblico nei confronti del quale non è dubbia la soggezione di quello privato. Il
percorso teorico intrapreso da Ranelletti approda così all’affermazione della
V. RANELLETTI O., Scritti giuridici, cit., 606.
V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 11. Sottolinea LUCIFREDI R., Oreste Ranelletti, in
Rassegna di diritto pubblico, 1956, 190, che gli studi del Ranelletti «inaugurarono quel preziosissimo
metodo delle teorie parziali, che permise di identificare nel mare magnum e disordinato della
nostra legislazione positiva le varie figure tipiche di atti amministrativi, di fissarne con esattezza le
caratteristiche e di giungere a poco per volta, grazie ad una serie di astrazioni successive, a far
emergere, attraverso le note comuni ai singoli atti, quei concetti di negozio giuridico di diritto
pubblico e di atto amministrativo, che erano in precedenza del tutto ignoti».
221 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, II e III.
222 Soprattutto se si considera che lo stesso Ranelletti fosse uno di quegli «insigni professori» che
uscirono «dal valoroso manipolo di studiosi di Diritto romano, frequentatori di quei Corsi»
(trattasi dei corsi di Pandette e di Esegesi tenuti all’Università di Roma da Vittorio Scialoja) aventi
la proprietà di «rendere la mente meno atta a qualunque disciplina giuridica»: V. SCIALOJA V.,
Oreste Ranelletti nel XXX anno del suo insegnamento, in Studi di diritto pubblico in onore di O. Ranelletti,
Padova, 1951.
219
220
90
irriducibilità dell’atto al contratto, figura che non si attagliava compiutamente,
secondo l’Autore, ad una trasformazione sul piano del diritto pubblico223.
Sotto questo profilo, anche il soggetto pubblico viene qualificato come
«speciale»
rispetto
agli
altri
soggetti
considerati
dall’ordinamento
e
conseguentemente ad esso si deve applicare un diritto diverso da quello dei
privati224.
Attraverso un metodo induttivo, vengono così studiati gli atti in questione
da diversi punti di vista: il concetto, la natura giuridica, la competenza e capacità
dell’autorità pubblica ad emanarli, la capacità dell’individuo a riceverli, la
dichiarazione di volontà dell’autorità pubblica e del privato, i loro effetti sia di
fronte all’interesse pubblico sia di fronte all’interesse privato, la natura giuridica
delle facoltà create e i modi di estinzione225. Ad Oreste Ranelletti va attribuita la
paternità della definizione dello strumento autorizzatorio inteso come «rimozione
di un limite all’esercizio di un diritto preesistente», che ebbe largo seguito in
dottrina e giurisprudenza e che tuttora resiste dopo ben oltre un secolo dalla sua
nascita226.
Alla base dell’impostazione dogmatica di Ranelletti può individuarsi una
distinzione tra la funzione conservatrice (o giuridica) e la funzione di
perfezionamento (o sociale) dello Stato. La prima si svolge in un’area dominata
dalla libertà individuale, libertà che si esplica «nei vari campi nei quali si realizza
l’umana destinazione»: a fronte di questa lo Stato «tende alla tutela della propria
esistenza ed integrità e dell’esistenza e della salute dei cittadini (…) cioè dell’ordine
V. sul punto SORDI B., Un giurista ottocentesco, in RANELLETTI O., Scritti giuridici, cit. nonché, più
in generale, sulla funzione di pubblicizzazione svolta dall’atto amministrativo, ID., Diritto
amministrativo (evoluzione dal XIX secolo), in Digesto (discipline pubblicistiche), IV, 1990, V, 184. Sulla
differenza rispetto ad autori quali il Cammeo, il cui tentativo di giuridicizzare il potere
amministrativo fu condotto applicando il concetto di negozio giuridico in maniera quasi
meccanica, rifiutando l’affermazione di caratteri di specialità dell’ordinamento amministrativo, v.
SORDI B., op.cit.
224 Per queste considerazioni v. REBUFFA G., op.cit.
225 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 177-277.
226 Seppur una tale definizione non si possa, oggi, considerare attinente a tutte le tipologie di
autorizzazione. Basti pensare alla nota distinzione, operata da GIANNINI M.S, Diritto Amministrativo,
cit., 611, tra autorizzazioni costitutive e autorizzazioni permissive.
223
91
pubblico, della fede pubblica, della sicurezza pubblica, dell’igiene e sanità
pubblica»227 e a tal fine esso pone dei limiti allo svolgimento dell’attività
individuale subordinandone alcune estrinsecazioni ad un esame specifico della
loro compatibilità con gli interessi dello Stato stesso, della società o di terzi. La
seconda funzione si svolge invece in un’area che è propria dello Stato, in una sfera
che è lo Stato stesso ad aprire e che consiste nella cura del bene intellettuale,
morale e materiale della società, nella attività con cui lo Stato «agevola e sprona lo
sviluppo dell’attività individuale»228.
In queste due aree o tipi di funzioni dello Stato si inscrivono le
autorizzazioni e le concessioni amministrative. Più precisamente, le autorizzazioni
sono dirette a rimuovere i limiti posti dalla legge al libero espletamento dell’attività
individuale, le concessioni ad agevolarne e spronarne lo sviluppo: nelle prime si
esprime una valutazione di non contrasto tra l’attività privata e gli interessi dello
Stato, della società o dei terzi che l’ordinamento intende garantire con la
apposizione dei limiti alla libertà individuale (si valuta cioè la «capacità a non far
male»), mentre nelle seconde si esprime una valutazione di conformità della
(prevista) attività privata all’interesse proprio dello Stato (e dunque della «capacità
a far bene»)229.
Secondo Ranelletti, ai provvedimenti autorizzatori si riconnette proprio
quell’attività dello Stato diretta alla tutela del diritto (attività giuridica) in funzione
di prevenzione, in quanto, al fine di impedire che l’attività del singolo contrasti
con le esigenze pubbliche, l’ordinamento impone limitazioni all’esercizio delle
facoltà individuali230.
Accanto alle limitazioni che si risolvono in proibizioni assolute, vi sono
però anche proibizioni relative, nel senso che l’atto è vietato, ma sussiste la
V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 19.
V. RANELLETTI O., op.ult.cit., 29 e s.
229 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte II, 30.
230 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 85.
227
228
92
possibilità che venga accordato il permesso di poterlo compiere231. Di
conseguenza, il provvedimento, intervenendo in una situazione in cui vi è una
limitazione al libero esplicarsi di una attività dell’individuo, ha l’effetto di
rimuovere detto limite232.
Da questa impostazione di fondo, Ranelletti ricava delle implicazioni
importanti, soprattutto con riferimento al rapporto tra gli atti e le situazioni
giuridiche soggettive da questi incise, tema – come abbiamo visto – centrale
nell’ambito delle autorizzazioni.
Se infatti, da un lato, risulta evidente che nell’ambito della funzione
concessoria non è concepibile una preesistente posizione di diritto soggettivo in
quanto, nell’aprire una nuova sfera di attività ordinate al conseguimento di fini
pubblici è, se mai, lo Stato ad attribuire nuovi diritti di cui il destinatario della
concessione «non aveva neppure il germe»233; dall’altro, più problematica si
presenta la questione relativa alle autorizzazioni.
L’Autore, nel trasporre la più generale affermazione di pertinenza
dell’attività autorizzata alla sfera della libertà privata sul piano della qualificazione
delle situazioni soggettive, ne deduce la preesistenza di un diritto soggettivo.
Infatti viene precisato che nei casi in cui interviene l’autorizzazione il diritto
soggettivo non viene creato dall’amministrazione ma preesiste (lato sensu), in
quanto creato da una precedente legge generale o da altre persone; «ma è desso un
diritto puramente possibile, oppure potenziale, e che può divenire attuale, cioè essere
acquistato oppure esercitato quando l’autorità pubblica riconosca che tutte le
condizioni, in vista delle quali la legge ha posti quei limiti al libero esplicamento
dell’attività individuale esistono in una maniera rispondente alle esigenze di
quell’interesse che la legge con la proibizione condizionata vuole tutelare»234.
Trattasi di limiti che «lasciano all’individuo la possibilità di riavere la propria libertà di azione, se
esistono le condizioni subbiettive ed obbiettive, da rendere sicuri che, accordata l’autorizzazione,
saranno raggiunti quegli scopi per i quali la legge pose quel limite al libero esplicarsi dell’attività
individuale»: V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 147.
232 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 18.
233 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 30.
234 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 25.
231
93
Seppure questo passaggio è stato in qualche modo inevitabile per il contesto
storico-ideologico in cui avveniva, non è però altrettanto chiaro sul piano
teorico235. La teoria in oggetto infatti contempla non solo le autorizzazioni che
permettono l’esercizio di un diritto esistente allo stato potenziale, perché creato da
leggi preesistenti, ma anche quelle che consentono l’acquisto di un diritto creato in
quel dato soggetto da persona diversa dall’ente pubblico236. In entrambe le ipotesi
vi è comunque l’esercizio di un potere autorizzativo che produce l’effetto di
rimuovere il limite posto dall’ordinamento e che consente al diritto di divenire
attuale e così essere esercitato o acquistato.
Tuttavia, parlare di facoltà create dall’autorizzazione o di acquisto delle stesse
mette in grave crisi l’impostazione di fondo della teoria in esame e la differenza
proposta rispetto alla concessione237. Infatti la figura della rimozione del limite
sembra in questo caso assumere i più precisi contorni di un effetto costitutivo,
così alimentando l’idea di una sostanziale continuità tra l’impostazione del
Ranelletti e le più moderne costruzioni che sottolineano un carattere costitutivo
delle autorizzazioni238.
A dire il vero, Ranelletti precisa però che, mentre per effetto delle
concessioni il diritto viene creato «dal nulla», le autorizzazioni creano la facoltà di
esercitare o acquistare un diritto che il soggetto aveva come già potenziale o
possibile; oppure creano «la facoltà attuale di esercitare o di acquistare ovvero la
facoltà di attuazione del proprio diritto»239. Tale facoltà creata presuppone, quindi,
sempre la diversa facoltà, preesistente e potenziale, di acquistare ed esercitare il
V. ORSI BATTAGLINI A., Autorizzazione amministrativa, in Digesto (disc. pubbl.), IV, 1987, II, 60.
V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 86.
237 V. sul punto VILLATA R., Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974,
35, il quale sottolinea come «in effetti la costruzione del provvedimento autorizzatorio e la
differenza dalle concessioni in chiave di rimozione di limiti reggeva solo se riferito al mero
esercizio, e non all’acquisto, di un diritto preesistente (…)».
238 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 88.
239 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 241. La facoltà creata dall’autorizzazione è
considerata di diritto pubblico, in quanto essa si esaurisce nel rapporto dell’individuo con lo Stato,
creando in capo al privato la pretesa verso l’autorità a non essere turbato e ad essere tutelato
nell’esplicamento della sua attività.
235
236
94
proprio diritto, quindi il privato «come ampiezza del diritto, non ha nulla più di
quanto aveva prima»240.
Nonostante queste precisazioni, la dottrina successiva ha comunque tentato
di meglio specificare questi aspetti e si è soffermata proprio sugli effetti tipici delle
autorizzazioni241.
1.3. La dottrina post Ranelletti.
Nel periodo successivo agli studi di Ranelletti, la dottrina pubblicistica, nel
tentativo di delineare la nozione del provvedimento di autorizzazione, fu
costantemente condizionata dal riferimento alle nozioni elaborate dal Ranelletti
stesso, seppur integrandole talvolta sotto certi profili.
Venivano di fatto ribaditi gli elementi-base delle autorizzazioni: la
preesistenza in capo al soggetto di una situazione giuridica soggettiva – diritto,
potere o facoltà – il cui esercizio era limitato in vista della salvaguardia di interessi
pubblici che potevano essere compromessi da un suo svolgimento totalmente
libero e la rimozione di siffatto limite come effetto tipico dell’atto in esame242.
Ad esempio, Santi Romano definiva autorizzazione quell’atto «che rimuove
un limite, da cui è impedito l’esercizio di un diritto già esistente, o trasforma
questo da potenziale in attuale»243, confermando così l’impostazione che si fonda
V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 367.
V. sul punto VILLATA R., op.cit., 35.
242 È ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, I, 262, il più chiaro espositore della
nozione: le autorizzazioni rendono possibile l’esercizio di un diritto o di un potere che già
appartengono ai destinatari, «si tratta di poteri il cui libero svolgimento può, in alcuni casi,
costituire un danno o un pericolo per l’interesse pubblico (…) per questo la legge attribuisce
all’autorità amministrativa la potestà di esaminare caso per caso le circostanze di fatto in cui
l’esercizio può svolgersi, per giudicare della convenienza di permetterlo o meno. L’autorizzazione,
in tal modo, rimuove il limite non assoluto dalla legge apposto all’esercizio di un potere
individuale».
243 V. ROMANO S., Principi di diritto amministrativo italiano, Milano, 1912, 51. La costruzione rimase
nei suoi tratti fondamentali inalterata anche nei lavori successivi, arricchita comunque da alcune
integrazioni. V. anche ID., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, 192: l’autorizzazione, nella
più recente accezione, fu definita come atto che non sempre elimina limiti all’esercizio di poteri o
diritti preesistenti, bensì in alcune ipotesi toglie «per una persona o per un caso determinato, il
divieto generale che la legge fa di certi atti, pur consentendo che tale divieto non sia assoluto e
possa ad esso derogarsi».
240
241
95
sulla preesistenza della situazione giuridica, nei confronti della quale
l’autorizzazione determina la rimozione di un limite al suo esercizio244.
Altra parte della dottrina, nel tentativo di ricercare elementi che valessero a
differenziare le autorizzazioni dagli altri atti, sosteneva che solo le autorizzazioni
fossero caratterizzate dalla funzione di rimuovere un limite, previo esame
dell’attività del privato e del raffronto della stessa con l’interesse pubblico tutelato
dall’amministrazione245. L’effetto delle autorizzazioni era sì individuato nella
rimozione del limite, ma determinava peraltro un effetto costitutivo poiché
risultava acquisito al patrimonio giuridico del soggetto un quid, qualificato come
una «situazione giuridica» in precedenza assente e che consisteva essenzialmente
nel «rendere conforme a diritto un singolo atto di esercizio di un potere giuridico,
che, naturalmente, il titolare di questo potere ha la facoltà di compiere»246. Detto
altrimenti, la situazione giuridica preesistente in questo caso veniva qualificata
come «facoltà», e non come diritto, ed era questa a non essere creata
dall’autorizzazione e a preesistere ad essa.
Secondo altri, invece, la situazione giuridica andava qualificata come
«potere» e pertanto l’effetto degli atti di autorizzazione non era altro che quello di
rimuovere l’ostacolo che si frapponeva all’esercizio di quel potere247.
Tra tutte queste teorie la più importante versione moderna dello schema
ranellettiano è però senza dubbio quella di Sandulli, il quale ha trasportato il
fondamento della preesistenza della situazione giuridica soggettiva sul piano del
V. ROMANO S., Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, in Il Filangieri, 1898, 164.
V. FORTI U., I controlli dell’amministrazione comunale, in ORLANDO V.E. (a cura di), Primo trattato
completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1915, II, II. V. anche ID., Gli acquisti dei corpi morali e
l’autorizzazione governativa, in Rivista di diritto civile, 1913.
246 V. FORTI U., Autorizzazioni amministrative, in Nuovo Digesto italiano, Torino, 1937, I, 1177 ss. e
ID., Autorizzazioni amministrative, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1958, 1580 ss. (aggiornamento
e revisione di JACCARINO C.M.)
247 V. DONATI D., Atto complesso, autorizzazione, approvazione, Modena, 1903, 22: «Per atti di
autorizzazione intendiamo quelle dichiarazioni di volontà, concretate in un atto a sé stante, colle
quali un soggetto o un organo facoltizza un altro soggetto od organo all’esercizio di un potere di
cui questi sia investito, previa valutazione sommaria dell’opportunità e dell’utilità di tale esercizio
nel caso particolare, in rapporto all’interesse che il soggetto o organo autorizzante deve tutelare».
244
245
96
diritto costituzionale248. I diritti preesistenti furono infatti individuati di volta in
volta nel diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.), nel diritto di apertura di
istituti di istruzione (art. 33 Cost.), nel diritto di proprietà (art. 42 Cost.), sul
presupposto che la stessa normativa costituzionale abbia fonadato veri e propri
diritti soggettivi, a cui nulla aggiungono i relativi atti permissivi della pubblica
amministrazione, ma che rimangono quelli che sono. Nello specifico, Sandulli
afferma che gli atti autorizzativi non operano sul diritto soggettivo (situazione
statica, di relazione che identifica «la posizione fatta dall’ordinamento a un
soggetto rispetto ad altri soggetti (…) con riferimento a particolari oggetti») ma
sulle situazioni dinamiche, cioè sulle potestà e facoltà che presuppongono il diritto
soggettivo e che consistono in forze operative riconosciute al titolare di questo
per operare mediante attività giuridiche o materiali: più specificatamente potestà e
facoltà non solo hanno fondamento nel diritto soggettivo ma sono in esso
potenzialmente contenute (vi «albergano in stato di latenza») e diventano attuali (o
si rendono esercitabili) in virtù dell’autorizzazione; si verifica quindi non la
costituzione di un nuovo diritto ma l’espansione del diritto preesistente249.
1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della nozione
di procedimento.
Una prima consistente svolta nella teoria delle autorizzazioni si ha con il
generale riesame degli atti amministrativi compiuto da Massimo Severo
Giannini250.
A tale autorevole dottrina si deve, innanzitutto, l’analisi del problema in
chiave di procedimenti e non più di atti251 e, in secondo luogo, l’esame degli stessi
V. ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 61.
V. SANDULLI A.M., Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1957, 792. V. anche ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989.
250 V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit.
251 Per l’impostazione della problematica in chiave di procedimenti e non di atti, v. GIANNINI
M.S., Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, I, 261 ss. Critica siffatta prospettiva
ACQUARONE L., Contributo alla classificazione delle autorizzazioni amministrative, Milano, 1962, rilevando
che gli atti amministrativi, in specie quelli che esternano il volere della pubblica amministrazione
indirizzato al raggiungimento di un effetto, acquistano dopo la loro emanazione un’esistenza
248
249
97
sotto il profilo strutturale e funzionale252. Sotto il primo profilo, l’Autore giunse
alla conclusione secondo cui «i procedimenti autorizzatori hanno tutti una
struttura logica che si compone di tre elementi: un potere di un privato, una
connotazione giuridica del potere che fa la norma, un provvedimento che
amministra tale connotazione giuridica»253. Sotto il profilo funzionale, invece, il
carattere generale del procedimento autorizzatorio fu individuato nella
subordinazione della realizzazione di interessi privati ad interessi pubblici,
realizzazione che deve avvenire osservando la regola secondo cui «il sacrificio
dell’interesse privato è da contenere nel minimo indispensabile che comporta
un’adeguata tutela degli interessi pubblici»254.
A tale analisi, che individua profili strutturali e funzionali, si aggiunge inoltre
anche la classificazione degli atti autorizzatori in base alla natura dell’effetto
giuridico prodotto. Viene dunque superata quella logica di stretta corrispondenza
tra natura della funzione, caratteri strutturali dell’atto e sua incidenza sulle
situazioni soggettive che aveva costituito il punto fermo di tutta la precedente
dottrina e si arriva alla distinzione, commisurata sugli effetti giuridici degli atti, tra
autorizzazioni costitutive e permissive.
propria ed autonoma, in un certo senso svincolata dalle modalità e dalle vicende della loro
formazione, e che nel nostro sistema positivo le funzioni dei procedimenti amministrativi non
hanno come tali rilevanza giuridica e possono essere prese in considerazione soltanto come motivi
degli atti terminali dei singoli procedimenti.
252 Per la proposta di esaminare nel loro complesso i procedimenti autorizzatori «sotto l’aspetto
funzionale prima che strutturale», v. GIANNINI M.S., Intorno all’autorizzazione all’apertura di sportelli,
in Banca, borsa e titoli di cambio, II, 1950, 350.
253 V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 611. Si è distinto in tal guisa tra titolarità di un
potere e sua «connotazione», intesa come delimitazione e individuazione del potere, il quale,
normalmente privo di separata evidenza, a seguito dell’autorizzazione viene appunto connotato
come a sé stante.
254 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 614 ss. L’Autore distingue poi ulteriormente sotto il profilo
funzionale tra procedimenti in funzione di controllo (che si compongono di un giudizio volto a
«riscontrare a regole predeterminate il contenuto del potere materiale oggetto del procedimento» e
di una misura «che è il provvedimento o il suo rifiuto in caso di riscontrata non rispondenza) e
procedimenti in funzione di programmazione («strumenti per ordinare attività di operatori ai
precetti di piani, programmi o anche più semplicemente di disegni ordinali o distributivi»).
98
Le prime hanno l’effetto di costituire capacità, legittimazioni, diritti255; le
seconde, invece, operano come fatti giuridici esterni alla fattispecie cui si
riferiscono, in cui l’effetto del rilascio è quello di consentire l’esercizio di poteri o
facoltà che costituiscono il contenuto di una situazione giuridica già sorta256.
Con le autorizzazioni costitutive si supera in modo netto la tematica della
preesistenza del diritto. Tale tipo di autorizzazioni presuppone, infatti, che in base
a norme generali (di tipo per lo più civilistico) taluni soggetti siano titolari di diritti
o possano acquistarli compiendo atti giuridici: interviene però una norma
pubblicistica che, derogando rispetto alle norme generali, dispone che per un
determinato oggetto quei soggetti non possano essere titolari di quei diritti o non
possano acquistarli compiendo atti giuridici ma che «la titolarità del diritto
consegua da un atto dell’autorità che è un provvedimento autorizzatorio»257. Il
provvedimento autorizzatorio è dunque creativo ex novo della specifica situazione
soggettiva considerata, che è diversa dall’analoga situazione che il titolare avrebbe
in base alle norme «generali»; esso non reintegra il diritto di una facoltà che gli era
stata sottratta dalla norma «derogatoria» ma «costituisce un diritto che ha
autonoma struttura e funzione in quanto situazione soggettiva»258.
Si può osservare da subito come questa teoria rappresenti un grande punto
di frattura con la tesi classica tradizionale, nella misura in cui affermi che l’effetto
tipico dei provvedimenti autorizzativi è di natura costitutiva, cioè consiste nel
creare nel destinatario una posizione giuridica nuova relativa allo svolgimento
dell’attività consentita e che tale situazione ha carattere di autonomia e di
indipendenza da altre eventualmente preesistenti in ordine allo stesso oggetto.
In particolare tale dottrina si occupa delle autorizzazioni costitutive di diritti di impresa e di
diritti reali.
256 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 621 ss. In altre parole, le autorizzazioni permissive avrebbero
come presupposto che una situazione soggettiva (sia essa diritto, potestà o interesse legittimo) già
sia sorta ed esista in un certo titolare ma che i poteri o le facoltà (o alcuni di questi) che ne
costituiscono il contenuto, non possano essere esercitati se non interviene il procedimento
autorizzativo.
257 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1106.
258 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1114.
255
99
Restava comunque, però, da decifrare un sicuro criterio per individuare la
preesistenza o meno di una situazione, comunque definita, del destinatario e
spiegare quindi la relativa bipartizione tra autorizzazioni costitutive e permissive259.
Proprio su questo punto, la teoria in questione riceve successivamente un
decisivo sviluppo. Una volta affermata la struttura delle autorizzazioni costitutive,
si sostiene infatti che tale struttura appartenga, conseguentemente, a tutti i
provvedimenti autorizzatori, senza distinzione alcuna. Non rileva cioè se gli
elementi della fattispecie originino autonomamente una diversa fattispecie
produttiva di effetti propri o se questa preesista, giacché siffatta evenienza non
modificherebbe comunque il meccanismo operativo delle autorizzazioni. Detto
altrimenti, appare indifferente se a diversi effetti il destinatario dell’atto sia o meno
titolare di un diritto soggettivo; ciò che conta invece è che quell’attività non può
svolgersi senza il provvedimento autorizzatorio, il quale, consentendola,
attribuisce la situazione soggettiva connessa260.
1.5. Gli sviluppi della dottrina recente.
Nell’evoluzione storica degli studi sul tema autorizzatorio si è passati,
dunque, dalla costante preoccupazione di conciliare il riconoscimento della
preesistenza di una situazione soggettiva con l’osservazione secondo la quale, in
assenza di autorizzazione, l’attività che ne costituisce l’esplicazione non può
legittimamente svolgersi, al riconoscimento dell’effetto costitutivo delle situazioni
giuridiche dinamiche, svalutando progressivamente l’importanza della preesistenza
di posizioni di vantaggio.
In tempi più recenti si è spostata, invece, l’attenzione sul carattere proprio
delle varie forme di autorizzazione, ponendo mente alla situazione di immanente
condizionamento pubblico dell’attività del privato261.
Malgrado GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1118 ss. nettamente respinga la consolidata formula della
rimozione del limite, sembra comunque che la categoria delle autorizzazioni permissive sia in realtà
assai vicina alla concezione più tradizionale. V. sul punto ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 63.
260 V. VILLATA R., op.cit., 67.
261 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 213 ss.
259
100
Sulla base della nota distinzione tra titolarità delle situazioni di diritto e di
potere e effettivo esercizio delle possibilità che ne costituiscono il contenuto262,
l’ordinamento generale riconosce potenzialità al titolare nel momento in cui
attribuisce un diritto o un potere, ma lasciando all’autonomia del singolo la scelta
di esercitarla, decidendo come, se, quando tenere il comportamento che in astratto
rientra nell’ambito del lecito e, in quanto tale, è protetto dall’ordinamento stesso.
In molti casi, tuttavia, alcune tra le esplicazioni delle situazioni di vantaggio sono
al tempo stesso selezionate, enucleate e fatte oggetto di norme di comportamento
vincolanti per il titolare di poteri e diritti263. Altri limiti e condizionamenti sono poi
tracciati dall’ordinamento in via generale264. In altre ipotesi, invece, le molteplici
possibilità di esercizio sono individuate e subordinate ad un intervento del
soggetto pubblico, risultando così in parte sottratte all’autonomia privata
soggettivamente intesa e le regole di esercizio sono imposte al privato mediante
atti puntuali e concreti della pubblica amministrazione265.
Nel senso che il non tenere un comportamento di fatto (ad esempio astenersi dal passeggiare
sul fondo di cui si è proprietari), non significa non avere la possibilità di farlo. Sulla distinzione tra
titolarità e esercizio v. FROSINI V., Diritto soggettivo e potere giuridico, in Rivista di diritto civile, I, 1961;
ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, in MAZZAROLLI L. –
PERICU G. – ROMANO A. – ROVERSI MONACO F.A. – SCOCA F.G. (a cura di), Diritto amministrativo,
Bologna, 1993.
263 Una delle ipotesi più semplici è costituita dal vincolo negoziale con cui il proprietario si
impegna a non tenere un certo comportamento (ad esempio, costruire ad una certa distanza dal
vicino), in astratto rientrante nell’ambito del lecito, ovvero consente a terzi azioni (si pensi alla
costruzione in aderenza al proprio muro) che in assenza del suo assenso non sarebbero lecite.
264 Si pensi al diritto di proprietà: l’ordinamento individua alcune possibilità di esercizio,
disciplinando (o attribuendo all’amministrazione il potere relativo) le modalità costruttive o
l’assetto urbanistico. Sul tema dell’inerenza di pubblico interesse ad un bene oggetto di proprietà
privata, v. GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 112, il quale, oltre a sottolineare come, a
differenza del diritto d’impresa, che esiste anche se non lo eserciti, quello di proprietà esiste anche
se non lo eserciti.
265 In tema di atti pubblici precettivi che regolano l’attività di soggetti privati, occorre far cenno
all’autorevole posizione, la quale si è occupata delle ipotesi in cui le norme sono poste in essere da
organi reggenti particolari settori in cui operano soggetti raggruppati: trattasi dei precetti relativi ad
attività private imprenditoriali che costituiscono esercizio dei poteri normativi connessi
all’esistenza di “ordinamenti sezionali”: in particolare gli «atti degli organi reggenti l’ordinamento
sezionale sono sempre qualificabili nell’ordinamento generale statale come provvedimenti
amministrativi, anche se sono, ad esempio, atti normativi nell’interno dell’ordinamento sezionale:
contro di essi sono dunque sempre esperibili le misure di tutela date contro i provvedimenti
invalidi». V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 173.
262
101
Tra questi mantengono la loro importanza, appunto, i provvedimenti
autorizzatori, finalizzati alla subordinazione dell’esercizio di un’attività privata al
rispetto di interessi pubblici266.
Ed è proprio con riferimento a questi ultimi, dunque, che si correla il
profilo del condizionamento pubblicistico provvedimentale della possibilità (e,
talora, delle modalità) di esplicazione della sfera giuridica del privato267.
1.5.1. La situazione giuridica soggettiva incisa.
Con
riferimento
alla
situazione
giuridica
implicata
dal
regime
autorizzatorio268, genericamente denominata situazione di vantaggio è stato
innanzitutto sottolineato come l’attenzione dello studioso non può arrestarsi
esclusivamente a considerare il singolo diritto o il potere, ma occorre invece
guardare alla sfera giuridica complessiva del soggetto269.
Ciò, d’altronde, sembra coerente con l’evoluzione del rapporto tra
amministrazione e privati. Nella misura in cui lo Stato ha infatti allargato l’ambito
dei propri interessi, esso ha condizionato in modo crescente l’attività dei privati
ben oltre i confini di una mera limitazione dei diritti soggettivi270.
A tal proposito, è sufficiente affermare che meccanismi quali la conformazione del mercato a
mezzo di prescrizioni generali e astratte e, sul piano nazionale, la denuncia di inizio dell’attività e,
in parte, l’istituzione di autorità indipendenti, rappresentano modelli diversi che assolvono ad una
funzione simile a quella propria dell’autorizzazione: il controllo della compatibilità tra attività
privata e interessi pubblici. V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 346 ss.
267 La vicenda su cui occorre indugiare è più in particolare caratterizzata dalla limitazione in via
generale e astratta di alcune forme di esplicazione di situazioni di vantaggio cui segue l’attribuzione
al soggetto al quale è affidata la cura di interessi pubblici, e cioè l’amministrazione, del potere di
consentire con autorizzazione di volta in volta l’esercizio di poteri, diritti o l’esplicazione di
capacità.
268 Ove si tenti di effettuare una selezione puntuale delle diverse situazioni giuridiche implicate dal
regime autorizzatorio, occorre doverosamente premettere che l’argomentare è condizionato da
alcune scelte teoriche pregiudiziali. Affermare che l’autorizzazione consente l’esercizio di un diritto
o di un potere presuppone che sia chiara infatti la concezione di diritto e di potere. A tal proposito
occorre precisare che il significato con il quale i due termini saranno utilizzati nel prosieguo della
trattazione, si riferisce alle tesi elaborate in sede di teoria generale da ROMANO S., Frammenti di un
dizionario giuridico, Milano, 1947.
269 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 227 ss.
270 V. FRACCHIA F., op.cit., 346 ss.
266
102
Pertanto, con riferimento alla posizione giuridica dell’individuo, nell’ambito
del rapporto con lo Stato, quest’ultima, soltanto in via riduttiva, può essere
considerata avendo riguardo a singoli diritti o poteri: essa va invece descritta
considerando la sua sfera giuridica unitariamente intesa271. Inoltre, va detto che
oggi in dottrina ha trovato adesione l’impostazione in base alla quale le situazioni
di vantaggio pertinenti al soggetto sono riconosciute in virtù di norme
dell’ordinamento generale, e dunque della Costituzione e della legislazione
primaria272. Più in particolare, è stato chiarito come dalla Costituzione non
necessariamente dovrebbe dedursi la sussistenza di diritti soggettivi273, soprattutto
in tema di libertà di iniziativa economica, in quanto sarebbe rimessa alla scelta del
Legislatore configurare siffatta libertà come diritto – nel momento in cui ne
consenta e protegga l’esercizio274 – o come situazione giuridica garantita in modo
differente (interesse legittimo).
Premesso ciò, va comunque detto che la dottrina più recente sostiene la
preesistenza delle situazioni giuridiche garantite rispetto all’autorizzazione. Infatti,
se da un lato è sicuramente vero che non esiste oggi praticamente alcun ambito di
attività dei privati sottratto all’influenza pubblicistica e dunque totalmente al
riparo da poteri pubblicistici, previsti normalmente da leggi ordinarie; non sembra
dall’altro lato però possa negarsi che, immaginando uno scenario normativo in cui
il Legislatore ordinario non intervenga per disciplinare, ad esempio, la libertà di
iniziativa economica contemperandola con interessi diversi, il privato sia
V. FRACCHIA F., op.cit., 228 ss.
V. ROMANO S., op.ult.cit., 277 ss., secondo cui l’ordinamento dà riconoscimento e garanzia alle
posizioni di vantaggio (che possono essere condizionate dal potere autorizzatorio) con
disposizioni di livello almeno legislativo.
273 Di conseguenza, come già chiarito, l’autorizzazione avrebbe effetti costitutivi di diritti: v. in
particolare VILLATA R., op.cit., 112 ss.; ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 64 s.; MASTRAGOSTINO F., Le
autorizzazioni amministrative all’esercizio del commercio, in GALGANO F. (diretto da), Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1979, III, 575, 10; SAMBATARO S., Ritiro della
licenza di commercio per «inattività» dell’esercizio, in Foro amministrativo, 1970, 78 ss.; SANDULLI M.A.,
Prime riflessioni sull’autorizzazione all’esercizio del commercio di vendita a posto fisso, in AA.VV., Scritti per
Mario Nigro, Milano, 1991, II, 434 ss.
274 V. FRACCHIA F., op.cit., 233 ss.
271
272
103
comunque direttamente titolare di una posizione di vantaggio correlata a tale
libertà275.
Quanto detto non significa ovviamente negare276 che, a fronte di un potere,
successivamente attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione, di disporre di
quella situazione, la stessa si possa configurare diversamente: trattasi di questione
distinta, ma che comunque non sembra si possa scalfire l’assunto della
preesistenza della situazione di vantaggio rispetto al potere, o, meglio, della
esistenza autonoma della prima, ove non venga in considerazione il secondo277.
1.5.2. L’effetto tipico.
Con riferimento al secondo profilo di analisi relativo all’effetto tipico delle
autorizzazioni, va chiarito preliminarmente che la validità della ricostruzione fin
qui proposta potrebbe essere facilmente inficiata laddove si ammetta che il
privato, prima del rilascio dell’autorizzazione, non possa tenere un certo
comportamento, cioè laddove si sostenga l’affermazione secondo cui le
autorizzazioni hanno natura costitutiva del diritto o del potere.
Il privato infatti può sempre svolgere verso altre direzioni la libertà di
iniziativa economica, ovvero utilizzare diversamente il proprio bene anche a
prescindere dall’autorizzazione, in quanto il limite imposto dall’ordinamento,
Per un ordine di considerazioni simili, v. SORACE D. – MARZUOLI C., Concessioni amministrative,
in Digesto (disc. pubbl.), IV, 1989, III, 300. In altri termini, l’affermazione secondo cui le situazioni di
vantaggio sorgono solo in occasione della loro disciplina legislativa, pur muovendo dalla corretta
osservazione secondo cui molte di esse sono appunto regolamentate mediante legge, pare svalutare
eccessivamente la rilevanza di alcune norme costituzionali che in generale riconoscono libertà e
diritti. Il privato, in assenza di una legge, avrebbe comunque potuto agire perché alcune posizioni
hanno una immediata rilevanza costituzionale. In ordine al diritto, non meno probante, nonostante
la sua apparente ovvietà, è il rilievo secondo cui diritti quali la proprietà sussistono e permangono,
anche in caso di diniego di autorizzazione. La questione sfiora, come è evidente, il delicato
problema del carattere precettivo delle norme costituzionali, problema che non può essere
affrontato in questa sede.
276 E dunque, sotto questo profilo, si può concordare con l’affermazione secondo cui la posizione
giuridica deve essere valutata avendo riguardo all’insieme delle norme dell’ordinamento che la
disciplinano.
277 Considerazioni analoghe possono essere compiute relativamente a diritti e poteri privati
riconosciuti dalla legge ordinaria, i quali, a fronte di poteri amministrativi riconosciuti da altre fonti
dello stesso livello, si atteggiano a interessi legittimi.
275
104
salvo autorizzazione, riguarda soltanto alcune tra le moltissime forme di
esplicazione della situazione di vantaggio, la quale sotto altri profili permane e
preesiste.
A conforto di questa tesi giova richiamare quanto è stato detto dalla
dottrina più autorevole in ordine al carattere di diritti e poteri278. Questi ultimi,
infatti, trascendono i singoli rapporti e permangono i medesimi attraverso le varie
forme di esercizio, e pertanto, il provvedimento autorizzativo può condizionare la
situazione giuridica solo in ordine ad una o più modalità di esplicazione. Lo stesso
dicasi per il diritto, che deve essere valutato nella sua totalità e che non tollera di
essere frantumato in una molteplicità di facoltà279. Tutto ciò si ricollega alla
indipendenza concettuale, poc’anzi richiamata, tra titolarità e esercizio. Alla
«titolarità» di poteri e diritti si correla la capacità giuridica, intesa come attitudine ad
essere titolare di tali situazioni giuridiche; invece, si può individuare nella capacità
di agire la misura della soggettività interessata dallo strumento autorizzatorio, a
seguito del quale il privato acquisisce la possibilità (ascrivibile appunto alla
capacità di agire) di «esercitare» legittimamente diritti o poteri di cui già è
titolare280.
Infine – ma il rilievo pare decisivo per negare che le autorizzazioni
«costituiscano» posizioni soggettive –
la tesi proposta, favorevole al
riconoscimento di posizioni di vantaggio che preesistano all’autorizzazione, pare
trovare supporto nelle indicazioni offerte dal dato positivo, in particolare dall’art.
19 della legge n. 241 del 1990, che ha sostituito, per alcune ipotesi, il regime
V. ROMANO S., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; in particolare le voci Diritti
assoluti; Doveri; Obblighi; Organi; Poteri; Potestà.
279 Il diritto di proprietà, ad esempio, permane anche se è negata la concessione edilizia ed infatti il
proprietario può godere del bene ed utilizzarlo altrimenti. La frantumazione delle situazioni
giuridiche operata dalla dottrina, e che si è nella prima parte del lavoro sottolineata, rappresenta
quindi un ribaltamento di prospettiva cui non si ritiene di dovere aderire. V. FRACCHIA F., op.cit.,
235 ss.
280 L’idea di un atto amministrativo, emanato da uno dei soggetti dell’ordinamento, costitutivo di
un potere, pare una formula teorica che cela problemi assai rilevanti e che provoca un’alterazione
del quadro teorico di riferimento difficilmente sostenibile. Più corretta pare l’immagine secondo
cui ad atti amministrativi possa essere riconosciuto l’effetto di creare un presupposto per
l’esercizio di un potere. V. FRACCHIA F., op.cit., 236 ss.
278
105
autorizzatorio con il meccanismo della denunzia all’amministrazione dell’inizio
dell’attività, oggi denominata segnalazione certificata di inizio attività281. Infatti, la
«liberalizzazione» dell’attività, operata dall’art. 19, comunque la si voglia intendere,
non può prescindere dal presupposto della pertinenza alla sfera giuridica del
privato dell’attività liberalizzata. Le attività che in forza dell’art. 19 possono ora
essere svolte senza richiedere il rilascio di alcuna autorizzazione costituiscono, dal
punto di vista teorico, esplicazioni di situazioni giuridiche soggettive: poiché il
privato può legittimamente iniziare l’attività anche in difetto di un intervento della
pubblica amministrazione, deve ritenersi che tali situazioni di vantaggio sussistano
indipendentemente da provvedimenti amministrativi282.
Si potrebbe obiettare che l’osservazione secondo cui le attività soggette al
regime di cui all’art. 19 pertengono chiaramente a posizioni di vantaggio esistenti
non rileva ai fini della configurazione teorica delle autorizzazioni, proprio perché
il regime di cui all’art. 19 è diverso da quello autorizzatorio, che appunto lo
sostituisce. Però, il campo di applicazione della disciplina di cui all’art. 19 coincide
con quello delle attività in precedenza subordinate ad «autorizzazione, licenza,
abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto comunque denominato»: tale norma
realizza una modifica del condizionamento pubblicistico relativo ad attività
private, ma non determina un mutamento dei caratteri sostanziali delle attività
stesse. La situazione precedentemente incisa dal provvedimento di autorizzazione
partecipa cioè degli stessi caratteri di quella implicata dall’art. 19, confermandosi la
preesistenza di una posizione di vantaggio283.
V. FRACCHIA F., op.cit., 240 ss.
Ricostruzione teorica alternativa è quella di ricondurre l’effetto costitutivo della situazione
giuridica stessa all’unico atto che interviene nella fattispecie prima dell’inizio dell’attività, atto
rappresentato dalla denuncia del privato. La soluzione prospettata, come è evidente, appare
difficilmente sostenibile: da un lato il privato si limita a denunciare l’inizio dell’attività; dall’altro la
sua volontà è diretta a questi limitati fini; infine non è dato individuare alcun indice normativo che
possa supportare una interpretazione di questo tipo.
283 Neppure un’altra obiezione potrebbe cogliere nel segno. Trattasi dell’affermazione secondo cui
l’art. 19 sarebbe intervenuto in relazione ad una serie di attività, precedentemente assoggettate ad
autorizzazione, non solo eliminando il condizionamento generale, ma, assai più radicalmente,
restituendo alla sfera giuridica dei privati attività che fino ad ora erano sottratte alla sua titolarità e
di volta in volta costituiti a mezzo di autorizzazione, a conferma della tesi della non preesistenza di
281
282
106
Respinta, pertanto, la tesi che configura effetti costitutivi di diritti e poteri,
occorre ancora affrontare il problema della configurabilità di un effetto costitutivo
sotto il diverso profilo dell’esercizio del potere o del diritto.
Al riguardo, giova osservare che le autorizzazioni, come tutti i
provvedimenti amministrativi, producono un certo effetto, riconosciuto
dall’ordinamento generale. Trattasi infatti di atti che costituiscono esercizio di un
potere amministrativo, esplicazione cioè della possibilità di produrre vicende
giuridiche soggettive, che di volta in volta possono essere la costituzione, la
modificazione o la estinzione di situazioni giuridiche soggettive284.
Sotto questo profilo, dunque, non può negarsi che anche i provvedimenti
autorizzatori abbiano un effetto giuridico, da individuarsi però nella
«modificazione» di una situazione soggettiva preesistente. La situazione giuridica
di diritto o potere non può infatti essere considerata perfettamente identica prima
e dopo la vicenda autorizzatoria. Questa formula ben descrive il fenomeno per cui
lo svolgimento dell’attività non fa parte, in assenza di autorizzazione, del
patrimonio giuridico del privato, ma non deve oscurare il fatto che ciò che è
successivamente consentito afferisce ad una posizione preesistente, in quanto
predefinita dall’ordinamento generale285.
1.5.3. Gli interessi in gioco.
Sotto il profilo funzionale, occorre infine analizzare la situazione sinora
descritta, dal punto di vista degli interessi contrapposti e compresenti nella
medesima fattispecie.
situazioni giuridiche al rilascio dell’autorizzazione. La lettera della norma non pare tuttavia offrire
sostegno a siffatta tesi. Essa afferma che «l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia
di inizio di attività da parte dell’interessato», lasciando intendere che si tratta di modifica incidente
meramente sul regime pubblicistico di alcune attività, le quali dal punto di vista sostanziale
ricevono da altre norme la propria disciplina in quanto espressioni di posizioni giuridiche di
vantaggio riconosciute e protette al di fuori dell’art. 19.
284 Sul punto V. ROMANO S., op.ult.cit., 187. Più recentemente, ID., I soggetti e le situazioni giuridiche,
cit., 267 ss.
285 V. FRACCHIA F., op.cit., 242 ss.
107
Autorevole dottrina286 ha infatti individuato nell’ambito della fattispecie
autorizzatoria due momenti distinti: da un lato, il riconoscimento di una posizione
di vantaggio, che consegue ad un giudizio di bilanciamento tra valori
potenzialmente in conflitto operato dall’ordinamento generale; dall’altro, la
previsione di un limite a forme di esplicazione delle situazioni di vantaggio
derivante da un diverso, e logicamente successivo, giudizio, a conclusione del
quale l’ordinamento ritiene che la libera esplicazione di alcune possibilità afferenti
alla situazione così come prima definita sia potenzialmente suscettibile di arrecare
pregiudizio a interessi pubblici287.
Nel primo momento, quello del riconoscimento o dell’attribuzione di una
situazione di vantaggio, prevale l’interesse del privato; nel secondo invece prevale
l’interesse pubblico288.
Infine, la fattispecie autorizzatoria è caratterizzata da un terzo intervento
operato dall’ordinamento generale, in forza del quale si prevede che quella
esplicazione particolare, negata in via generale al privato, possa essere consentita
di volta in volta.
In questo ultimo momento il contemperamento tra i vari interessi è
destinato ad essere operato in concreto: la libera esplicazione è ammessa laddove
il contrasto, previsto come possibile in via generale, non sussista in concreto.
Siffatto contemperamento non deve, quanto meno in via ordinaria, essere operato
V. ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche, cit., 280 ss.
Si ricordi che già FORTI U., I controlli dell’amministrazione, cit., 16 ss., aveva sostenuto che la
norma la quale introduce il limite derogherebbe alla norma che attribuisce il diritto, onde il
carattere di eccezione deve essere riferito alla prima norma e non all’autorizzazione.
288 Con riferimento a quanto affermato, occorre ribadire che l’area coperta dal secondo giudizio è
assai più ristretta di quella interessata dal primo, in quanto riguarda una o più forme di esplicazione
di situazioni soggettive il cui contenuto è più ampio. Ponendo mente a tali premesse può precisarsi
entro che limiti si possa aderire all’opinione secondo cui il diritto assume la configurazione che
scaturisce dall’insieme di tutte le norme dell’ordinamento. La formula appare condivisibile ove sia
intesa nel senso che i limiti della protezione assoluta dell’interesse sono individuabili dal complesso
delle disposizioni che quell’interesse tutelano direttamente e, a contrario, di quelle che risolvono
conflitti potenziali accordando protezione ad altri interessi. La configurazione del diritto e del
potere in ordine al profilo del loro esercizio dipende invece anche dal complesso delle norme che,
senza risolvere conflitti intersoggettivi tra privati, pongono norme di comportamento in vista della
cura di interessi pubblici, limitando le forme di esplicazione altrimenti riservate alla scelta
autonoma del titolare. V. FRACCHIA F., op.cit., 246 ss.
286
287
108
dal Legislatore, ma la previsione della possibilità che sia espresso un consenso in
via puntuale alla esplicazione di preesistenti situazioni di vantaggio si risolve
nell’attribuzione di un potere all’amministrazione, soggetto che, istituzionalmente,
cura l’interesse che l’operazione del privato potrebbe pregiudicare289.
Sotto il profilo funzionale, dunque, si potrebbe concludere che il regime
autorizzatorio si caratterizza per la prevalenza di un interesse pubblico a fronte di
un interesse privato. Più in particolare, l’esercizio di un’attività risulta prima, in via
generale, limitata dalla legge, e successivamente autorizzata in concreto, in vista
dell’esigenza che la realizzazione di un’operazione economica del privato, come
tale essenzialmente riferibile alle sue scelte autonome, non pregiudichi interessi
pubblici290.
La pubblica amministrazione può godere di una discrezionalità più o meno
ampia in ordine alla valutazione della compatibilità tra interesse pubblico ed
operazione che il privato intende compiere: tale compatibilità può essere
assicurata non solo nell’ipotesi in cui sia valutata l’assenza di contrasto tra i due
Giova ribadire che lo schema in base al quale, sotto il profilo del rapporto tra le fonti che
definiscono conflitti intersoggettivi, ad una delimitazione di una sfera soggettiva di vantaggio
consegue la previsione in via generale e astratta di limitazione non può essere fatto coincidere con
la successione norma costituzionale – legge ordinaria. Invero il riconoscimento di un diritto o di
un potere può essere operato anche da una fonte legislativa, cui si affianca una disposizione di pari
livello che prevede un limite ad una forma di esplicazione. Piuttosto può osservarsi che
l’apposizione di tale limite in via generale, logicamente successiva al riconoscimento o attribuzione
di una posizione di vantaggio, è normalmente operata contestualmente alla previsione del potere
della pubblica amministrazione di consentire in via concreta l’esercizio della posizione stessa,
intervento che, sempre dal punto di vista logico, costituisce il momento finale della scansione che
caratterizza la configurazione dell’istituto autorizzatorio. Siffatta coincidenza temporale trova il suo
fondamento anche nell’identità dell’interesse che prevale nei due giudizi di contemperamento tra
valori contrapposti compiuti dal Legislatore. Si noti che il conflitto la cui soluzione comporta la
previsione di un limite generale ad alcune forme di esplicazione delle posizioni di vantaggio
preesistenti involge la posizione stessa ed uno o più particolari interessi pubblici. La limitazione e
la sua rimozione, salvo casi particolari, come la giurisprudenza ha costantemente affermato,
esauriscono quindi i propri effetti nel rapporto con il soggetto pubblico cui è affidata la cura degli
interessi stessi.
290 Si noti che talora la potestà autorizzatoria è prevista a tutela di interessi che «non soltanto non
siano incompatibili con diritto garantito, ma attengono alla medesima sfera (per es. istruzione), o
quanto meno a sfere (quali la sicurezza, la sanità, la moralità, la fede pubblica), che, per la loro
pertinenza, sia necessario, nell’ordine del sistema, tener presenti, al fine di evitare un esercizio
socialmente dannoso o pericoloso del diritto garantito» (nel caso di specie trattavasi del diritto di
istituire o gestire scuole private): Cfr. Corte cost., sent. 19 giugno 1958, n. 36, in Foro italiano, 1958,
I, 841.
289
109
interessi, ma altresì rendendo in qualche modo servente l’interesse privato rispetto
a quello pubblico291, spesso addirittura conformando l’azione dell’autorizzato in
vista del conseguimento (anche) di finalità collettive292. Il privato, cioè,
impiegando una formula risalente nel tempo, forse semplificante, ma di indubbia
valenza descrittiva, deve talora essere in grado di «fare bene» e non solo di «non
far male»293.
In entrambi i casi, dal punto di vista del rapporto tra condizionamento
pubblicistico e autonomia del privato, nulla cambia poiché semplicemente una
forma di esplicazione di situazioni di vantaggio afferente alla sfera del soggetto è
sottratta alla sua esclusiva determinazione, senza peraltro che, a seguito della
valutazione di compatibilità con interessi pubblici, l’amministrazione attribuisca la
titolarità di situazioni giuridiche o si sostituisca completamente al privato nella
scelta di esercizio. Il regime autorizzatorio comporta solo ed esclusivamente la
parziale privazione della libera scelta in capo al titolare della posizione di
vantaggio in ordine al suo esercizio, che può avvenire soltanto a seguito di
intervento dell’amministrazione294.
Va detto, comunque, che sussistono sempre più ipotesi, soprattutto con
riferimento a particolari settori di attività, in cui l’incisione della sfera di
V. sul punto SANDULLI A.M., Notazioni in tema di provvedimenti, cit.; FRANCHINI F., Le
autorizzazioni amministrative costitutive di rapporti giuridici fra amministrazione e i privati, Milano, 1957;
ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche, cit.
292 Si noti, tra l’altro, la progressiva dissociazione tra il momento conformativo (il termine
impiegato in senso lato: come noto, secondo GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 114,
la conformazione – come del resto la funzionalizzazione – riguarda il bene in quanto sia adibito o
sia da adibire ad una certa utilizzazione) dell’esercizio dell’attività – sottratto all’autorizzazione – e
quello del consenso puntuale e concreto, ad essa pur sempre riconducibile. Così opinando,
tuttavia, si configura il già più volte citato problema di distinguere, sotto il profilo funzionale,
autorizzazione e concessione. La difficoltà di tracciare confini precisi tra le due figure deriva invero
non solo dalla omogeneità del profilo funzionale, ma è alimentata altresì dalla circostanza che,
anche in molte ipotesi concessorie, difficile è negare la sussistenza di una sfera di vantaggio,
correlata alla libertà di iniziativa economica, alla stessa stregua di quanto accade in caso di
autorizzazione.
293 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte II, 30.
294 In proposito può essere chiarito che la qualificazione dell’autorizzazione come «provvedimento
favorevole» è corretta ove l’attenzione sia riposta sul momento del permesso accordato al privato.
Viceversa, ponendo mente all’intervento complessivo operato dall’ordinamento generale, la
prospettiva muta e si appalesa come, mediante l’istituto autorizzatorio, si realizzi una limitazione –
talora notevole – dell’autonomia del privato.
291
110
autonomia del privato presenta una rilevanza maggiore. La legge in alcuni casi,
infatti, non si limita ad isolare aspetti dell’esercizio di situazioni di vantaggio
preesistenti,
mediante
attribuzione
all’amministrazione
del
potere
di
condizionamento, ma prevede altresì che tale condizionamento interessi anche le
modalità di esercizio, attribuendo alla pubblica amministrazione il compito di
dettare prescrizioni vincolanti l’attività del privato295. È evidente che, in questo
caso, al soggetto autorizzato risulta sottratta la possibilità di scegliere liberamente,
a seguito del rilascio dell’autorizzazione, come conseguire i propri interessi,
dovendo egli rispettare regole eteronome296. La sua autonomia è dunque
ulteriormente ridotta in forza di prescrizioni relative al quomodo, le quali valgono ad
assicurare che nello svolgimento successivo dell’attività il pregiudizio temuto non
si realizzi. In questi tipi di autorizzazione, il loro contenuto precettivo vale in una
certa misura a «finalizzare» l’attività del privato, con una rilevanza maggiore
rispetto alle ipotesi in cui vi è un mero consenso, poiché l’attività, in ragione
dell’osservanza
delle
prescrizioni
imposte
dall’amministrazione,
risulta
oggettivamente preordinata al rispetto di finalità pubbliche297.
Esempi sono presenti, inoltre, nella disciplina delle autorizzazioni in materia di smaltimento
rifiuti e di inquinamento dell’aria. Talora, come nel caso delle autorizzazioni previste dalla
normativa per la tutela delle acque, le prescrizioni sono adottate con norme regolamentari.
296 Secondo questo schema non solo il contenuto di poteri e diritti risulta evidenziato in ordine ad
una modalità di esplicazione soggetta a consenso, ma addirittura l’esercizio delle posizioni di
vantaggio è assoggettato ad una disciplina posta in essere dal soggetto pubblico, configurandosi
come un’attività «esecutiva» di prescrizioni eteronome emanate in vista della tutela di interessi
pubblici.
297 Il rilievo non deve comunque essere enfatizzato: vero che queste autorizzazioni determinano un
grado di conformazione della modalità di esplicazione della sfera di vantaggio del privato rilevante:
tuttavia non può essere trascurato che l’iniziativa e la «titolarità» dell’operazione economica
condotta rimangono invariate. Il soggetto autorizzato, infatti, non si cura affatto direttamente
dell’effettiva soddisfazione dell’interesse pubblico finale. Il privato deve curare soltanto
l’osservanza delle prescrizioni impostegli, a prescindere dall’effettiva suscettibilità delle stesse di
garantire il rispetto o la compatibilità tra attività privata e interessi pubblici. Al riguardo si potrebbe
addirittura in generale osservare, con una inversione di significato rispetto a quello classicamente
attribuito alla formula, che l’interesse pubblico assume il ruolo di interesse legittimo in correlazione
al corretto esercizio di un potere privato, nel senso che l’utilità è conseguita in quanto il privato
agisca secondo le regole imposte, salvo precisare che le norme e le prescrizioni il cui corretto
esercizio garantisce indirettamente la protezione e la realizzazione della finalità pubblica sono pur
sempre poste (eternamente) in vista della finalità stesa. Sotto altro profilo, l’imposizione di
prescrizioni particolari in sede di rilascio dell’autorizzazione può essere concepito come una
variante del consentire, in quanto l’amministrazione consente soltanto entro un certo limite, che
295
111
Un esempio in tal senso è offerto proprio dal procedimento di
autorizzazione all’installazione di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili
– di cui ci occuperemo approfonditamente nei prossimi paragrafi – che, proprio in
ragione della delicatezza degli interessi in gioco (ambiente, sviluppo economico e
industriale, tutela del paesaggio, salute, etc.) obbliga le amministrazioni coinvolte,
e dunque i privati che intendono dar vita a un progetto di tal fatta, a sottostare al
rispetto di dettagliate prescrizioni di natura regolamentare298.
2.
Modelli alternativi alle autorizzazioni.
A completamento dell’analisi finora compiuta con riferimento ai
provvedimenti autorizzatori e, più in generale, alla tematica del controllo
pubblicistico dell’attività dei privati, va detto che la relativa disciplina ha subito
negli ultimi anni una fondamentale evoluzione299.
Innanzitutto, l’influenza del diritto comunitario, volto a garantire la libera
concorrenza, ha indotto, con particolare riferimento agli atti di consenso relativi
all’esercizio delle attività imprenditoriali, a concepire l’atto autorizzatorio quale
strumento di restrizione all’accesso al mercato e a rivolgere l’attenzione verso
modelli alternativi all’autorizzazione conducenti alla liberalizzazione delle attività e
quindi all’erosione dell’ambito di applicazione delle autorizzazioni300.
Infatti, in conformità ai principi europei in tema di libertà di stabilimento e
di libera prestazione dei servizi301, il Legislatore italiano, con la legge n. 241 del
contestualmente individua. Si deve infine precisare che la «funzionalizzazione» del diritto è qui
intesa in senso descrittivo e dunque diverso da quanto precisato da GIANNINI M.S., Diritto pubblico
dell’economia, cit., 114, il quale, sulla base della nota definizione di funzione, ritiene che in tal caso
assume rilievo l’attività globale del proprietario, sottoposta ad una potestà di direzione di un potere
pubblico.
298 Si vedano le Linee Guida approvate per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili approvate con Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 10 settembre 2010,
pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010.
299 Cfr. legge 7 agosto 1990, n. 241.
300 V. SANDULLI A.M., Il procedimento, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, II,
2003, 1154.
301 V. SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A.: una liberalizzazione «a rischio», in Rivista giuridica
dell’edilizia, II, 2010, 465: appare in proposito affatto significativa la sentenza della Corte di
Giustizia dell’Unione europea del 22 dicembre 2010, causa C-338/2009, nel senso che un regime
112
1990, è intervenuto contemplando una categoria di atti amministrativi, indicati
nell’espressione «autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro
atto
di
consenso
comunque
denominato»,
il
cui
rilascio
da
parte
dell’amministrazione può essere sostituito con modelli procedimentali alternativi,
intesi alla «semplificazione dell’azione amministrativa»302.
Tali istituti di «semplificazione» sono caratterizzati dal fatto di avere ad
oggetto un particolare tipo di procedimenti, quelli autorizzatori appunto, dei quali
modificano la disciplina in conformità al principio di economicità dell’attività
amministrativa sancito dall’art. 1 della stessa legge n. 241 del 1990303.
In sostanza, il nostro Legislatore è passato dal classico modello dell’assenso
preventivo,
affidato
a
provvedimenti
amministrativi
di
abilitazione,
autorizzazione, permesso, nullaosta o altri atti di assenso comunque denominati,
ad un sistema «misto», in cui, accanto a tale tipo di controllo preventivo, di cui è
stata progressivamente ampliata la possibilità di sostituzione con un silenzio
avente valore implicito di accoglimento (il c.d. silenzio-assenso: art. 20), è stato
introdotto, in luogo del regime autorizzatorio (esplicito o implicito), uno
strumento che attribuisce al privato la responsabilità di verificare la sussistenza dei
presupposti per intraprendere una determinata attività, di cui si limita a
di previa autorizzazione amministrativa non può legittimare un comportamento discrezionale da
parte delle autorità nazionali, tale da vanificare le disposizioni dell’Unione, in particolare quelle
relative ad una libertà fondamentale (come quella oggetto della causa principale). Pertanto, un
regime di previa autorizzazione, per poter essere giustificato anche quando deroghi ad una libertà
fondamentale, deve essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, che
garantiscano la sua idoneità a circoscrivere sufficientemente l’esercizio del potere discrezionale
delle autorità nazionali (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza Hartlauer, 10 marzo
2009, causa C-169/07).
302 Sul regime introdotto dagli artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990 v. SCHINAIA M., Notazioni
sulla nuova legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla deregulation delle attività soggette a
provvedimenti autorizzatori ed all’inerzia dell’amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 1991;
CERULLI IRELLI V., Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni, in Diritto amministrativo, 1,
1993; PAINO A., Gli artt. 19 e 20 della legge 241 prima e dopo la legge 24 dicembre 1993, n. 537. Intrapresa
dell’attività privata e silenzio dell’amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 1994; DE MINICO
G., Note sugli artt. 19 e 20 della legge 241/1990, in Diritto amministrativo, 1993; ANDREANI A., Gli
interessi pretensivi dinamici nel procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo, 1993; SCOCA F. –
D’ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, in Diritto processuale amministrativo, 3, 1995.
303 V. VESPERINI G., La denuncia di inizio attività e il silenzio-assenso, in Astrid-online.it, 24 ottobre
2011.
113
comunicare all’amministrazione «l’inizio» - ciò che ex se ne legittima l’esercizio residuando all’amministrazione un potere/dovere di intervento postumo qualora
ne riscontri il contrasto con l’ordinamento304 (la c.d. denuncia di inizio attività
(DIA), oggi segnalazione certificata di inizio attività (SCIA): art.19).
È del tutto evidente come queste novità legislative rappresentino una netta
inversione di tendenza rispetto alla legislazione dell’ultimo secolo, nel corso della
quale – come abbiamo avuto modo di constatare nei paragrafi precedenti – lo
spazio delle attività esercitabili dagli interessati nell’ambito della situazione di
libertà di ciascuno era stato via via ridotto e una serie di attività «libere» erano
state sottoposte a regime autorizzatorio305.
D’altra parte, sul piano della politica del diritto, tali istituti costituiscono
anche uno dei segnali più rilevanti di un modo nuovo e meno costrittivo di
intendere e disciplinare le interferenze dei pubblici poteri nello svolgimento di
attività private di per sé lecite e rappresentano, oggi, occasioni per riflettere sulla
necessità o meno di sottoporre le attività private ad innumerevoli (e spesso
defatiganti) condizionamenti amministrativi306.
V. SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A., cit., 465.
Cioè, sostanzialmente, la legittimazione dell’interessato a porre in essere determinate attività si
formava a seguito di provvedimento dell’autorità amministrativa (denominato autorizzazione,
licenza, nullaosta o simili) attraverso il quale veniva valutata la compatibilità dell’interesse del
privato all’esercizio dell’attività richiesta con un interesse pubblico ritenuto preminente e la cui
soddisfazione l’autorità stessa era deputata a curare. Per questa impostazione v. GIANNINI M.S.,
Diritto amministrativo, cit.
306 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., Silenzio, cit., 442. Bisogna tenere conto, infatti, che nei confronti
delle attività contemplate nell’articolo 19 (analoghe considerazioni possono, peraltro, essere svolte
anche a proposito delle attività interessate, attualmente ex art. 20 legge n. 241 del 1990, dall’istituto
del silenzio-assenso), le quali, sebbene libere in virtù dell’art. 41 della Costituzione, sono
positivamente assoggettate a «controlli» amministrativi preventivi in vista dei fini sociali fissati dalla
costituzione stessa, l’intervento preventivo dell’Amministrazione acquista senza dubbio un
carattere estrinseco dal momento che serve a verificare che le attività non contrastino con
l’interesse pubblico, ma non è diretto a soddisfare, attraverso di esse (e con i provvedimenti che ne
consentivano l’esercizio), alcun interesse pubblico. In tali ipotesi, dunque, l’attuazione del principio
del buon andamento e del principio di efficacia amministrativa da esso derivato, e richiamato
nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, può dirsi garantita soltanto qualora l’inattività della pubbliche
Autorità non diventi un ostacolo immotivato al concreto esercizio delle attività non contrastanti
con l’interesse pubblico; e la soluzione predisposta dal Legislatore attraverso la trasformazione dei
poteri preventivi di autorizzazione, in poteri repressivi che obblighino alla cessazione dell’attività,
nonché alla trasformazione di provvedimenti di consenso senza una responsabile presa di
posizione da parte dell’Amministrazione, accompagnata dal potere di annullamento, proprio
304
305
114
2.1. La denuncia di inizio attività (oggi SCIA).
L’introduzione dell’istituto della denuncia di inizio attività ad opera della
legge n. 241 del 1990, sin dalla sua prima versione, realizza un profondo
cambiamento rispetto al precedente schema autorizzatorio.
Il provvedimento perde infatti il suo valore condizionante l’esercizio delle
attività private; non serve più a (o, più esattamente, non produce più l’effetto di)
eliminare un limite al diritto, o un ostacolo al suo esercizio, ovvero – secondo le
varie teorie sugli effetti delle autorizzazioni – a costituire il diritto, del quale
l’attività costituisce esercizio307.
perché consente di ovviare ai pregiudizi recati dall’inefficienza del nostro sistema burocratico alle
situazioni giuridiche soggettive garantite dalla Costituzione, si pone perfettamente in linea con i
principi costituzionali sull’azione amministrativa; anzi, si può ben dire che ne garantisce una
maggiore effettività. Cfr. per una analoga visione, SANDULLI A.M., Il silenzio della Pubblica
amministrazione oggi. Aspetti sostanziali e processuali, in Diritto e società, 1982, 715 ss., il quale precisa,
però, che la tutela, attraverso il silenzio-assenso, delle situazioni soggettive private «sacrificate dal
ritardo delle risposte dell’amministrazione, il quale troppo spesso produce in materia ferite non
meno gravi delle risposte negative», non deve mai pregiudicare l’interesse pubblico con
«accondiscendenze incontrollate, specialmente nei settori dove più gravi si presentano i pregiudizi
cui esso può essere esposto».
307 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 435 ss. Secondo TRAVI A., Silenzio-assenso e legittimazione ex
lege nella disciplina dell’attività private in base al d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, in Foro Amministrativo, II,
1993, 609, l’art. 19 della legge n. 241 introdurrebbe un regime di legittimazione ex lege in quanto la
legittimazione ad intraprendere l’attività prescelta (nell’ambito, naturalmente, di quelle coinvolte
dal processo di liberalizzazione) «non è mediata da nessun titolo con effetti provvedimentali, da
nessuna disciplina particolare», ma deriva in capo al privato direttamente dalla legge.
Tradizionalmente (e nel diritto privato e) nel diritto amministrativo, vengono ricondotte alla
legittimazione ex lege tutte quelle ipotesi in cui una norma di legge consente che una determinata
attività (o funzione), tipicamente legittimata da un provvedimento amministrativo ( o da un
negozio giuridico), possa essere esercitata anche in mancanza del provvedimento (o del negozio): a
legittimazione in tal caso si rinverrebbe direttamente dalla legge. Tale nozione, in passato, è stata
utilizzata anche per indicare la situazione conseguente al formarsi del silenzio-assenso (in
particolare da DE ROBERTO A., Silenzio-assenso e legittimazione ex lege nella legge Nicolazzi, in Diritto e
società, 1983, 163 ss.), dal momento che, anche nelle ipotesi interessate da questo istituto, il privato
è interessato a svolgere un’attività disciplinata dalla legge senza l’intermediazione di un atto
permissivo, di regola chiamato a legittimarla: il silenzio-assenso, per questo A., comporterebbe, in
sostanza, la sostituzione di un regime di legittimazione ex lege ad un regime provvedimentale e la
soppressione dell’intervento amministrativo. Il riferimento al concetto di legittimazione ex lege non
si presenta, però adeguato per la ricostruzione e del silenzio-assenso e della denuncia di avvio di
attività: tale concetto, infatti, non offre una specifica connotazione di quale sia la (consistenza
della) situazione giuridica soggettiva interessata dall’applicazione di questi due istituti e quale sia la
funzione da essi espletata; non puntualizza se, prima della formazione del silenzio-assenso o prima
della presentazione della denuncia, il privato sia titolare di un diritto soggettivo (avente ad oggetto
l’attività prescelta) pieno e incondizionato ab origine, ovvero di un diritto «potenziale», destinato a
divenire attuale (e, quindi, esercitabile) con l’intervento del silenzio-assenso o della denuncia, ossia
in un momento successivo al suo sorgere in capo al privato. Si badi inoltre che, sia dopo il
115
In questo caso il diritto non solo preesiste al provvedimento, ma preesiste
in modo incondizionato o privo di limiti308: è l’intero schema teorico del
procedimento autorizzatorio che scompare (o meglio diventa recessivo) e viene
sostituito da uno schema diverso. All’amministrazione non compete più di
svolgere in forma preventiva e condizionante il c.d. controllo di compatibilità
dell’attività privata con l’interesse pubblico, ma compete semplicemente di
sottoporre a verifica309 successiva e in un tempo determinato310, la sussistenza dei
maturarsi del silenzio-assenso sia dopo la presentazione della denuncia di inizio attività
l’Amministrazione non viene estraniata dall’assetto di interessi (pubblici e privati) in gioco: essa,
infatti, risulta essere titolare di quegli stessi poteri di intervento successivo che, istituzionalmente,
le competerebbero se fosse stato emanato un provvedimento espresso.
308 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 436.
309 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 438. Nel modello procedimentale delineato dall’articolo
19, i controlli preventivi, sino ad ora effettuati dall’Amministrazione per il rilascio del titolo
abilitativo previsto dalla normativa previgente per l’esercizio di una determinata attività privata,
sono sostituiti da accertamenti successivi volti a riscontrare (senza margini di discrezionalità) la
conformità a legge dell’attività svolta dal privato su denuncia di avvio della stessa, e la sussistenza
dei requisiti, anche soggettivi, all’uopo richiesti. Della normativa previgente, si badi, la disposizione
in esame ha infatti decretato la soppressione del meccanismo procedurale di autorizzazione
preventiva, ma non anche l’abrogazione della disciplina sostanziale concernente l’identificazione
dei presupposti e requisiti ritenuti necessari ai fini dell’esercizio dell’attività stessa; disciplina che,
quindi, rimane in vita anche in seguito all’entrata in vigore della legge n. 241, e che costituisce
parametro di valutazione (della liceità dell’attività intrapresa dal singolo) nelle verifiche successive
effettuate d’ufficio ad opera delle singole Amministrazioni competenti. L’esito negativo
dell’accertamento determina l’adozione di provvedimenti inibitori e repressivi («divieto di
prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti») previsti nell’articolo 19. Dal sistema
complessivo dell’art. 19 risulta, inoltre, che l’adozione di misure restrittive è subordinata al previo
esperimento di un tentativo di «conformazione» dell’attività illegittimamente intrapresa dal privato
in attività conforme alla normativa vigente: l’Amministrazione in sostanza deve invitare il privato
ad eliminare le carenze riscontrate e gli effetti lesivi prodotti dallo svolgimento dell’attività stessa.
La circostanza, dunque, che in presenza di una riscontrata difformità dalla normativa speciale
l’Amministrazione non sia obbligata ad emanare provvedimenti sanzionatori, ma debba procedere
necessariamente ad un previo tentativo di conformazione e ad una ulteriore ponderazione (circa la
sussistenza, nel caso concreto, di uno specifico interesse pubblico da intendersi preminente
rispetto all’affidamento ingenerato nel privato), non consente di inquadrare l’azione amministrativa
di verifica successiva, di cui all’art. 19, legge n. 241, nello schema generale dei procedimenti
amministrativi di controllo; ove, al contrario, l’applicazione di misure sanzionatorie per la
riscontrata difformità (dell’atto o dell’attività) del modello legale ha carattere vincolante. Dato che,
quindi, tale attività di accertamento, come correttamente osservato da PAINO S., op.cit., 48, «è
integralmente finalizzata (anche, eventualmente, per escluderli), agli ulteriori interventi successivi,
di conservazione, di ponderazione della situazione venutasi a creare, ed, eventualmente, di
interdizione», è evidente che tutta l’iniziativa dell’Amministrazione di cui all’art. 19 (di
accertamento e di repressione) debba essere unitariamente ricompresa, secondo gi insegnamenti
del Consiglio di Stato, nell’alveo e nei limiti del generale potere di autotutela (diversamente, sul
punto, CERULLI IRELLI V., op.cit., 61 ss., il quale preferisce ricostruire le due fasi – di riscontro e di
116
presupposti e dei requisiti di legge. Non c’è più un procedimento di
autorizzazione, ad iniziativa privata311, ma un procedimento di verifica, ad
iniziativa pubblica necessaria312. In definitiva, il regime autorizzatorio attuale
potrebbe definirsi non già come rimozione di un limite, ma come possibile divieto
successivo di un’attività libera.
In questo modo, l’art. 19 sembra allora delineare una disciplina più coerente
con lo schema di cui all’art. 41 della Costituzione: la libertà di iniziativa economica
si riflette nella libertà di iniziare l’attività previa denuncia, mentre la necessità di
rispettare comunque le norme che conformano l’attività (che pur nel silenzio della
legge deve ovviamente ritenersi presente) ed il potere amministrativo di intervento
interdizione – come due autonomi e distinti procedimenti, di acclaramento successivo il primo, di
autotutela il secondo).
310 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 438. E’ lo stesso Legislatore a circoscrivere
temporalmente l’intervento dell’Amministrazione; e ciò al preciso scopo, è evidente, di arginare la
condizione di incertezza in cui versa il soggetto che ha intrapreso l’attività senza quella garanzia
rappresentata da un provvedimento (concreto) di autorizzazione preventiva.
311 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 439. Questa decisiva trasformazione del rapporto che
tradizionalmente si poneva, e che, al di fuori delle ipotesi previste, ancora oggi si pone fra cittadino
e Amministrazione, implica conseguenze pratiche di notevole rilevanza per la tutela dell’interesse
sostanziale del singolo. Dato che, dunque, il privato non è più titolare dell’interesse legittimo ad
ottenere il provvedimento autorizzatorio, ma al contrario deve essere considerato titolare del
diritto soggettivo incondizionato ad esercitare l’attività prescelta nel momento in cui entra in
possesso di tutti i requisiti richiesti dalle diverse normative di settore, appare evidente che ogni
provvedimento dell’Amministrazione che, illegittimamente, vada ad incidere su questo diritto,
obbliga l’Amministrazione stessa a risarcire il danno. Né è possibile obiettare sul punto (e
sostenere che dal sistema introdotto dall’articolo 19 non possono «farsi derivare innovazioni
decisive sul piano della definizione, in termini di principio, di tradizionali rapporti di forza tra
amministrazione e cittadino», la cui posizione, pertanto «permarrà di interesse legittimo e non
diverrà di diritto soggettivo per il solo fatto dell’abolizione della necessità del previo
provvedimento abilitativo»: così NICOSIA F.M., Il procedimento amministrativo. Principi e materiali,
Napoli, 1992, 162 ss.), argomentando dalla circostanza che l’Amministrazione sia dotata di poteri
di controllo, di inibizione, di repressione, riconducibili nell’ambito del generale potere di
autotutela. Certamente essi rappresentato una tipica espressione del potere autoritativo
dell’Amministrazione, nei cui confronti il privato si trova in un posizione di soggezione che non
può essere ricostruita in termini di interesse legittimo; ma tale posizione di soggezione riguarda (e
la precisazione conserverebbe la sua validità anche se persistesse il vecchio regime autorizzatorio)
un procedimento nuovo, che apre una fase successiva e diversa rispetto al momento in cui è sorto,
in capo al privato, il diritto soggettivo ad intraprendere l’attività prescelta: la previsione, in
sostanza, di un potere di autotutela, non è incompatibile, con la esigenza di un diritto soggettivo,
perché, diversamente opinando, non sarebbe mai possibile congiurare un simile potere, che,
invece, ha carattere generale (sul punto la dottrina è pacifica: cfr. ALESSI R., La revoca degli atti
amministrativi, Milano, 1956, 80 ss.), nei confronti degli atti amministrativi, quali le concessioni,
ampliativi della sfera giuridica dei destinatari.
312 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 440.
117
successivo all’inizio della stessa corrispondono ai limiti di cui ai commi 2 e 3
dell’art. 41 Cost.313
Nella sua versione originaria, l’articolo 19 della legge n. 241 consentiva la
sostituzione del controllo preventivo sulle istanze per l’ottenimento di atti lato
sensu autorizzatori o permissivi non discrezionali e non contingentati o interferenti
con la tutela di interessi «sensibili» con un una mera denuncia (o dichiarazione) di
inizio attività da parte dell’interessato, soggetta ad un mero controllo successivo
(estrinsecantesi in misure inibitorie, sanzionatorie e di autotutela).
Successivamente, però, l’art. 2, comma 10, della legge n. 537 del 1993,
sostituendo integralmente il testo originario dell’articolo, ha invertito radicalmente
detta impostazione, stabilendo che, ad esclusione dei casi in cui i titoli dovevano
essere rilasciati previa valutazione tecnica o previo apprezzamento discrezionale
ed al di fuori delle materie ritenute «sensibili»314, tutte le attività già soggette al
rilascio di un titolo abilitativo diventano esercitabili in assenza di quest’ultimo, con
l’unico limite del decorso del termine, qualificato come perentorio, di sessanta
giorni315, entro il quale l’amministrazione poteva intervenire a inibire o reprimere
l’abuso316.
Nel 2005 la legge di riforma della legge n. 241317 ha poi nuovamente riscritto
l’art. 19, prevedendo che «ogni atto» di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nullaosta comunque denominato, il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti
amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o
contingentamento complessivo, o specifici strumenti di programmazione
settoriale per il rilascio degli atti stessi318 è sostituito da una dichiarazione
V. sul punto FRACCHIA F., op.cit., 257 ss. e V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 436.
Edilizia, tutela dei beni culturali, paesaggistici ed ambientali.
315 Cfr. Cons. Stato, Ad. gen., parere n. 137 del 1994, in Foro italiano, 1996, III, 329.
316 A seguito di tale modifica, con il DPR 9 maggio 1994, n. 411, furono individuate in apposita
tabella le attività comunque escluse dal regime di cui all’art. 19.
317 Cfr. decreto-legge n. 35 del 2005, convertito in legge n. 80 del 2005.
318 Con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale,
alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione
delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal
313
314
118
dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle
certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste.
La possibilità di intraprendere in concreto l’attività – con l’obbligo
dell’interessato di darne contestuale notizia all’amministrazione competente –
viene posticipata al decorso del termine di trenta giorni dalla data di presentazione
della dichiarazione, entro il quale l’amministrazione avrebbe potuto/dovuto
verificare l’eventuale carenza delle condizioni, modalità o fatti legittimanti,
adottando in tal caso motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove possibile, l’interessato
provvedesse a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti
entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta
giorni. La riforma del 2005 ha poi espressamente riconosciuto la valenza di poteri
di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della stessa legge n. 241319.
Successivamente, l’articolo 19 è stato oggetto di ulteriori modifiche da parte
della legge n. 69 del 2009 che, nell’ampliare i provvedimenti nei cui confronti
l’istituto non trova applicazione320, ha previsto che nel caso in cui la DIA abbia ad
oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di
prestazioni di servizi321, l’attività può essere immediatamente iniziata sin dalla data
della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente (c.d. DIA
immediata).
Infine, il Legislatore è recentemente intervenuto, confermando la validità
dell’istituto e mutandone la denominazione e la disciplina. A seguito di una prima
gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e
dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria.
319 Ci si riferisce, rispettivamente, ai poteri concernenti la revoca e l’annullamento d’ufficio di
provvedimenti amministrativi precedentementi. Dibattuta in dottrina la pertinenza di tale richiamo
ai poteri di autotutela. V., tra tutti, SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A., cit., 469, la quale
sostiene che si tratti di «poteri evidentemente stridenti con un atto di diritto privato, chiamato a
«sostituire» un provvedimento amministrativo di autorizzazione e dunque, secondo la lettura
sistematica più coerente, a sottrarre alcuni settori di attività alla logica del regime autorizzatorio
provvedi mentale).
320 Ci si riferisce a quei provvedimenti rilasciati dalle amministrazioni preposte all’ «asilo» e alla
«cittadinanza».
321 Compresi anche gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia
abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta.
119
modifica ad opera del d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo della direttiva Bolkenstein), la
DIA è stata da ultimo qualificata come SCIA, «Segnalazione certificata inizio
attività», dalla legge 30 luglio 2010, n. 122322.
Ai sensi del vigente art. 19 «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione
non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti
amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente
complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli
atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione
dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti
rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della
giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti
di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti
dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla
normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive
di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità
personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al DPR 28
dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati,
ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui
all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei
La legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competività economica», all’art. 49, comma 4bis, ha integralmente sostituito il testo dell’art. 19 della legge 241 del 1990 risultante dalle diverse
modifiche sopra ricordate, precisando al successivo comma 4-ter che la disciplina della nuova
«Segnalazione certificata di inizio dell’attività» attiene «alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lett. m) del medesimo comma» e «sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella
della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale».
322
120
requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni
sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di
competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di
pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi
sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o
certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e
delle amministrazioni competenti».
Sovvertendo il regime previgente, che di norma subordinava comunque
l’avvio dell’attività denunciata al decorso del periodo di tempo nel quale
l’amministrazione competente avrebbe dovuto esercitare il potere di controllo
sulla sussistenza dei presupposti per l’esercizio della medesima in base a semplice
DIA, il secondo comma del nuovo art. 19 stabilisce che «l’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione
all’amministrazione competente». Non occorre più, quindi, attendere il decorso
del termine di 30 giorni per procedere all’avvio dei lavori.
Il terzo comma, dedicato al controllo postumo dell’amministrazione
competente, prescrive poi che l’amministrazione «in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal
ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato
provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro
un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta
giorni». Si conferma però che «è fatto comunque salvo il potere
dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela,
ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies».
Nell’ultimo comma, il Legislatore tuttavia aggiunge, introducendo un
importante elemento di novità già proposto in chiave interpretativa323, che «in caso
323
V. SANDULLI M.A., Denuncia di inizio attività, in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 2004, 121 ss.
121
di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci,
l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al
comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al DPR 28
dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di
cui al primo periodo».
Le modifiche sopradescritte, seppur mantenendo vive le dispute dottrinali e
giurisprudenziali in ordine soprattutto alla natura giuridica dell’atto, ai sui suoi
effetti e alle sorti dell’attività illegittimamente intrapresa, confermano tuttavia che
la norma in generale rappresenta un nuovo spartiacque nella panoramica
dell’istituto autorizzatorio. Tale norma, infatti, nel momento in cui introduce il
nuovo regime, mantiene, seppur delimitando il periodo entro cui ciò può avvenire,
la possibilità di un intervento pubblico successivo all’inizio dell’attività e non
esclude, ai fini dell’esercizio lecito di attività private, la necessità che ricorrano
presupposti e requisiti imposti dall’ordinamento, designando una disciplina che,
nel suo complesso, comporta sicuramente la liberalizzazione dell’attività privata,
ma ricorda anche la disciplina propria delle autorizzazioni differenziandosi da esse
per l’assenza di un decisivo elemento, ovvero sia il preventivo controllo324.
Emerge così che l’aspetto essenziale del provvedimento permissivo, la cui
eliminazione realizzata ora dall’art. 19 è tale da comportare la modificazione
radicale del regime delle attività private, è il «consenso» pubblicistico.
Il termine «consenso», a prescindere dal suo fondamento nel diritto
positivo, sembra il più adatto a rappresentare la situazione delineata nell’articolo in
esame,
caratterizzata
appunto
dalla
presenza
di
una
spinta
iniziale
indiscutibilmente privata, esplicazione di autonomia, cui si sovrappone, in un
momento logicamente posteriore, il condizionamento pubblicistico, riguardante
esclusivamente l’esercizio di posizioni di vantaggio di cui si valuta la compatibilità
con altri interessi pubblici e che realizza una tra le molteplici modalità di raccordo
tra ordinamento generale e autonomia privata, nel senso che tra le condizioni alle
324
v. FRACCHIA F., op.cit., 257 ss.
122
quali il primo è disposto a riconoscere l’efficacia dell’attività del privato, vi è anche
quella del rilascio dell’autorizzazione325.
2.2. Il silenzio-assenso.
A differenza dell’art. 19, l’art. 20 della legge n. 241 del 1990 ha dato un
nuovo e compiuto disegno, estendendone largamente i confini, ad un istituto già
noto, anche se all’epoca non molto diffuso: il c.d. silenzio-assenso.
Ai sensi dell’art. 20, così come rimodellato nella sua ultima versione, si
stabilisce che «fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad
istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio
dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della
domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2,
commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del
comma 2». Ai sensi del secondo comma, inoltre, «l’amministrazione competente
può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1,
una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle
situazioni giuridiche soggettive dei contro interessati». «Nei casi in cui il silenzio
dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione
competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies»326.
Lo schema teorico di questo istituto è profondamente diverso da quello
precedentemente
esaminato:
il
silenzio-assenso
lascia
sopravvivere
il
procedimento autorizzatorio; che presuppone, secondo le diverse ricostruzioni, la
V. FRACCHIA F., op.cit., 257 ss. Secondo CERULLI IRELLI V., op.cit., 55: tali istituti di
«semplificazione» non sono invero ascrivibili alla c.d. «liberalizzazione» di attività economiche
private, ciò che presupporrebbe la loro sottrazione senz’altro al regime amministrativo
autorizzatorio e la loro riconduzione nell’ambito della libertà comune; ma certo essi sono orientati
anche nel senso della «liberalizzazione»: si tratta infatti di sostituire con altro e più «leggero» regime
amministrativo.
326 Articolo così modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 e
successivamente dalla legge 18 giugno 2009, n. 69. Comma aggiunto dal d.l. 5 agosto 2010, n. 125.
325
123
preesistenza di un diritto limitato, ovvero la scissione tra titolarità (che preesiste)
ed esercizio del diritto, ovvero ancora la preesistenza di una semplice (e generica)
legittimazione. Conseguentemente il silenzio-assenso corrisponde, quanto agli
effetti, ad un «consenso» silenzioso, determinando, a seconda delle tesi,
l’eliminazione del limite, la possibilità di esercizio ovvero la nascita del diritto
(avente ad oggetto l’attività autorizzata). Il silenzio-assenso è, in altri termini,
equiparato, quanto agli effetti, al provvedimento (formale) di consenso327.
Quanto alla sua natura giuridica esso è viceversa un mero fatto giuridico. V. SCOCA F. –
D’ORSOGNA M., op.cit., 444 ss. La formulazione dell’art. 20 (ove si parla di «atto di assenso»),
ripresa anche nel DPR n. 300 del 1992, nonché la previsione del potere di annullamento sembrano
testimoniare il ritorno all’antica ricostruzione del silenzio legislativamente regolato in termini di
atto presunto (così TENERINI R., Il silenzio-assenso quale atto amministrativo nella previsione della legge n.
241 del 7 agosto 1990. possibile configurazione, in L’Amministrazione italiana, I, 1992, 39; SCHINAIA M.,
op.cit., 190). Anche il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 7 del 1987, ha affermato, in relazione
all’art. 19 (poi suddiviso in due diverse disposizioni), che, in virtù del silenzio-assenso, l’interessato
resterà (…) abilitato a dar vita, e in conformità al suo progetto, all’attività come sarebbe accaduto
se l’Amministrazione avesse rilasciato il titolo prescritto». Il riferimento ad un provvedimento
fittizio, che aveva caratterizzato le elaborazioni di inizio secolo è stato, invero, abbandonato dalla
dottrina moderna (per un’approfondita ricostruzione delle varie posizioni dottrinarie, si consenta il
rinvio a SCOCA F. G., Il silenzio della Pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento processuale, in
Dir. proc. amm., II, 2002, 194 ss.) sulla circostanza che nelle ipotesi di inerzia preregolata, manca
quel giudizio di comparazione tra interesse pubblico e interesse privato che costituisce esercizio
della funzione amministrative ed è essenziale alla nozione stessa di provvedimento. Con la
previsione di norme tipizzanti, il Legislatore, infatti, intende realizzare non quell’interesse pubblico
concreto che l’amministrazione sarebbe chiamata a soddisfare nel caso specifico; bensì il diverso
interesse pubblico (ritenuto prevalente in determinate situazioni) alla rapidità e alla certezza del
traffico giuridico. La terminologia utilizzata dal Legislatore, come appunto accade nell’art. 20 legge
n. 241, non può, dunque, assumere valore determinante nella individuazione di un atto laddove, in
realtà, gli effetti prodotti dalla legge si determinano indipendentemente dall’effettiva volontà
dell’amministrazione. L’incoerenza con la pretesa natura attizia del silenzio-assenso è ulteriormente
dimostrata dalla prescrizione dell’art. 21 della legge n. 241, che commina le sanzioni, attualmente
previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in
conformità ad esso, «anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli art. 19
e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la norma vigente», senza
richiedere, però, un previo annullamento del silenzio-assenso da parte del giudice amministrativo.
Il silenzio preregolato, come, d’altro canto, il silenzio generale, non è altro, in realtà, che un mero
fatto giuridico, a cui il Legislatore collega degli effetti normalmente conseguenti ad un
provvedimento espresso, al fine di snellire i rapporti fra amministrati e pubblica amministrazione:
equiparazione, dunque, relativamente agli effetti, tra comportamento materiale e atto, non
identificazione tra due figure che conservano la loro diversità sostanziale. Questa distinzione tra
fonte e contenuto degli effetti, consente di assimilare il silenzio amministrativo, legislativamente
regolato alle c.d. valutazioni con valore legale tipico di stampo privatistico, ossia a quei
comportamenti cui l’ordinamento, prescindendo dalla reale volontà del soggetto agente, attribuisce
un determinato contenuto negoziale (nel diritto privato, cfr. SEGNI M., Autonomia privata e
valutazione legale tipica, Padova, 1972; SCOGNAMIGLIO R., Contributo alla teoria del negozio giuridico,
Napoli, 1956, 188; SANTORO PASSERELLI P., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 142;
327
124
Anche con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 20 si può quindi affermare
che, seppur in termini diversi, anch’esso richiede ai fini della liceità dell’attività
privata il «consenso» da parte della pubblica amministrazione, consenso che
tuttavia l’ordinamento considera rilasciato anche nell’ipotesi di inerzia del soggetto
pubblico328.
Alla luce di quanto analizzato, si potrebbe dunque concludere che la
definizione suscettibile di ricomprendere i vari tipi di autorizzazione previsti nel
nostro ordinamento, è quella che ne pone in luce il carattere di «consenso»
all’esplicazione di poteri, diritti e capacità del privato, di volta in volta relativi all’an
o al quomodo329.
3.
Il procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio
di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Passando all’analisi propria del presente lavoro, si cercherà ora di enucleare
– attraverso una preliminare, quanto necessaria, opera ricostruttiva della
normativa al riguardo intervenuta – il procedimento amministrativo previsto per
l’installazione e l’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Lo studio della scienza pubblicistica sull’istituto autorizzatorio in generale,
brevemente ripercorsa nei paragrafi precedenti, ha fatto emergere chiaramente
come non si possa correttamente parlare di autorizzazione al singolare e,
comunque, giova sottolineare come, sebbene le autorizzazioni e i relativi
procedimenti di adozione rappresentino lo strumento per eccellenza idoneo per
consentire l’intervento dello Stato nell’economia, essi non sono gli unici
CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1947, 415). La
riconduzione del silenzio-assenso nell’ambito delle valutazioni legali tipiche appare senza dubbio
l’impostazione più coerente con la natura di mero fatto del silenzio: impostazione, questa ribadita,
sia pure «a certe condizioni» anche da TRAVI A., Silenzio-assenso ed esercizio della funzione
amministrativa, Padova, 1985, il quale sottolinea che «il tema delle valutazioni legali tipiche non è
stato particolarmente approfondito dalla dottrina amministrativistica» per la «tendenza, tutt’altro
che superata, a considerare il provvedimento amministrativo come una fonte infungibile di effetti
giuridici».
328 V. FRACCHIA F., op.cit., 258 ss.
329 V. FRACCHIA F., op.cit., 258 ss.
125
strumenti, e anzi non presentono caratteristiche loro proprie in considerazioni
delle finalità per le quali vengono utilizzati330.
Di tale premessa si terrà conto, dunque, per definire in conclusione quale sia
la natura del procedimento all’uopo disciplinato per lo sviluppo delle fonti di
energia alternativa.
Storicamente, l’installazione e l’esercizio degli impianti di produzione di
energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è stata subordinata all’acquisizione di
diversi atti aventi natura autorizzatoria331.
Fino all’emanazione del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, le scelte effettuate
dal Legislatore erano infatti nel senso della creazione di apparati specializzati
idonei a risolvere i complessi rapporti energia-ambiente, ma al contempo
indirizzati a confermare a ciascun apparato le proprie attribuzioni istituzionali in
materia ambientale e/o energetica. Ciò comportava che ogni decisione in tema di
produzione di energia fosse oggetto, in fase attuativa, di una pluralità di
procedimenti amministrativi. Pluralità di procedimenti tra di loro autonomi e non
coordinati – secondo alcuni332, non volutamente coordinati – dal Legislatore.
V. sul punto GIANNINI M.S., Sull’azione dei pubblici poteri, cit., 311 ss., secondo il quale «Chi si
pone a ricercare attraverso quali strumenti i pubblici poteri svolgono delle azioni giuridicamente
determinanti nel campo dell’economia, posto che i pubblici poteri medesimi non possono agire
che mediante procedimenti amministrativi, deve individuare quali sono questi procedimenti». Tra
le figure più importanti di questi procedimenti, vi sono proprio i procedimenti autorizzatori, che
però, anche se sono considerati lo strumento per eccellenza di «intervento» nella disciplina
dell’economia, non presentano peculiari proprietà proprie per il fatto di ricevere tale uso. È
indubbio, infatti, secondo l’Autore, che «la tassanomia delle varie specie di provvedimenti
autorizzatori, ossia, citando un ordine preciso, le autorizzazioni in senso stretto, le licenze, le
approvazioni, le dispense, e così via, si modella non sui fini o sui motivi dei provvedimenti, ma
sulla natura degli elementi che li compongono e degli effetti che si producono».
331 V. FREGO LUPPI S.A., Autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di infrastrutture energetiche, in Diritto
amministrativo, 3, 2007, 502. Si pensi per la costruzione di impianti eolici erano necessari: la
concessione edilizia (oggi permesso di costruire), la dichiarazione di compatibilità Paesistico
ambientale rilasciata dalla Regione, l’autorizzazione paesaggistica nelle aree interessate da vincolo
Paesistico, il nulla osta delle Forze armate per le servitù militari e per la sicurezza del volo a bassa
quota, valutazione d’incidenza effettuata dalla Regione ai sensi del DPR n. 357 del 1997, qualora
l’impianto ricada in un’area della rete Natura 2000, eventuali altri pareri o nullaosta rilasciati dalle
autorità competenti qualora i siti interessati siano sottoposti a particolari vincoli o servitù, senza
dimenticare naturalmente il giudizio di compatibilità ambientale a seguito della procedura di VIA
secondo quanto previsto dal DPR 12 aprile 1996.
332 V. PERICU G., Emersione e composizione dei vari interessi concorrenti nelle vicende energetico-ambientali, in
AA.VV., Studi in memoria di Enzo Capaccioli, Milano, 1988.
330
126
Ciò determinava che ogni procedimento si poneva come ostativo per la
realizzazione dell’iniziativa ed, in buona sostanza, a ciascuna autorità titolare di
poteri amministrativi era attribuito un vero e proprio diritto di veto.
Il quadro, inoltre, era ulteriormente complicato dal fatto che la tutela degli
interessi in gioco avveniva in momenti storici distinti, così che l’attuarsi
dell’insediamento previsto era sottoposto a verifiche non contestuali e
succedentesi nel tempo.
Un tale assetto istituzionale, caratterizzato dalla totale assenza di
coordinamento tra i soggetti coinvolti, aveva effetti paralizzanti non solo per
l’effettiva realizzazione dell’impianto, ma anche per una corretta tutela ambientale.
Inoltre, il descritto sistema di organizzazione dell’azione amministrativa
comportava altresì che la medesima autorità intervenisse più volte nei diversi
procedimenti previsti per la tutela di interessi distinti; e ciò valeva segnatamente
per gli enti locali, presenti nel procedimento di localizzazione e di autorizzazione e
titolari di specifici poteri per la salvaguardia di interessi connessi ai singoli beni
ambientali.333
Questo sistema, così come delineato, prestava facilmente il fianco a
numerose critiche, soprattutto da parte di chi334 sottolineava l’importanza degli
strumenti organizzatori e procedimentali predisposti dal Legislatore allo scopo di
assicurare il perseguimento degli interessi pubblici alla tutela ambientale. In
particolare, si sosteneva come l’esigenza di una puntuale tutela non si poteva
identificare affatto con la configurazione di separati iter autorizzativi e che una
pluralità di procedimenti connessi ad autorità diverse non poteva comportare la
certezza di assicurare la tutela di vari interessi pubblici incidenti su una
determinata fattispecie. Infatti, una pluralità di provvedimenti autorizzatori tra
loro concorrenti in ossequio a normative diversificate non implicano ex se che i
relativi procedimenti siano adeguatamente condotti e che i vari interessi da
V. PERICU G., op.cit.
V. ROVERSI MONACO F., Ambiente ed energia: nuovi strumenti istituzionali e procedimenti autorizzativi,
in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1985, 857 ss.
333
334
127
salvaguardare vengano meglio tutelati. Ma, al contrario, la contestuale tutela ed il
contemperamento di interessi eterogenei possono essere assicurati prevedendo
meccanismi procedimentali che preludono ad una unica autorizzazione, con
l’avvertenza di delineare una pluralità di apporti consultivi nelle varie fasi tecnicoistruttorie335.
Del
resto,
l’esigenza
di
assicurare
un
coordinamento
ed
un
contemperamento rispettoso dei vari interessi pubblici incidenti, attraverso una
semplificazione che garantisca un sollecito perseguimento degli obiettivi
economici-energetici, si riconduce alla tematica della deregolamentazione e
semplificazione del procedimento amministrativo, coerente con il precetto
rinvenibile nell’art. 97 della Costituzione, in base al quale il concetto di buona
amministrazione va inteso sia in senso strutturale sia in senso funzionale e si
impone tanto al Legislatore che all’amministrazione336.
Pertanto, tutte le volte in cui la più ampia articolazione dei procedimenti
amministrativi non risulti mezzo per la soddisfazione e tutela dei vari interessi
pubblici, in misura maggiore di quanto si possa affermare per procedimenti
semplificati, sembra doveroso fare luogo all’attuazione del principio di buon
andamento o, se si vuole, di efficienza337.
Sulla base di queste premesse, è allora di più facile comprensione la scelta
del Legislatore, negli ultimi anni sempre più attento alle esigenze di
semplificazione procedurale, di optare per il modello dell’autorizzazione unica338.
Su questa tematica si rinvia ad alcuni cenni contenuti in NIGRO M., Commissione per la revisione
della disciplina dei procedimenti amministrativi. Appunto introduttivo, in Rivista trimestrale di scienza
dell’amministrazione, 1984, 79 ss.
336 In tema v. ANDREANI A., Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione,
Padova, 1979.
337 V. ROVERSI MONACO F., op.cit., 857 e ss. e ID., Localizzazione e costruzione di centrali per la
produzione di energia elettrica. Procedimenti amministrativi e possibilità di loro semplificazione, in Rassegna
giuridica dell’energia elettrica, 1985, 279 ss.
338 Il primo antecedente di autorizzazione unica è quello previsto dal d.l. 7 febbraio 2002, n. 2,
convertito con modificazioni nella legge 9 aprile 2002, n. 55, sul quale si è pronunciata anche la
Corte costituzionale, con la sentenza 13 gennaio 2004, n. 6, in Giurisprudenza costituzionale, 2004,
104. Sul procedimento unico di cui alla legge 55 del 2002, c.d. sblocca centrali, si vedano i saggi
raccolti in PICOZZA E. (a cura di), Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia
335
128
In questo contesto, il procedimento amministrativo, da luogo frazionato per
l’affermazione settoriale di uno dei valori in conflitto, diviene sede per la
contestuale definizione di un assetto unitario di interessi, grazie all’impiego di
meccanismi di co-decisione che assicurano al contempo visione e voce ai vari
punti di vista e concretezza, unità e coerenza al processo collettivo di decisione
che conduce alla loro sintesi dialettica339.
Coerentemente, quindi, anche per lo sviluppo della produzione di energia
da fonti rinnovabili, su impulso anche della direttiva 2001/77/CE – che nel
frattempo era intervenuta sollecitando una decisiva attività di razionalizzazione,
accelerazione e semplificazione dei procedimenti di autorizzazione all’installazione
degli impianti di energia rinnovabile340 – il Legislatore italiano ha adottato un
regime autorizzatorio, appunto, «semplificato».
Il nuovo sistema autorizzatorio, introdotto originariamente dal d.lgs. n. 387
del 2003, come modificato a seguito delle Linee Guida nazionali e da ultimo dal
d.lgs. n. 28 del 2011341, in ossequio al principio di proporzionalità dell’agere
amministrativo, si articola nelle seguenti forme:
elettrica, Torino, 2003, 21. Una aggiornata analisi delle ipotesi normative riconducibili allo schema
del procedimento «unico» è condotta da FREGO LUPPI S.A., op.cit., 473.
339 V. COMPORTI G.D., Energia e ambiente, in ROSSI G. (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2008,
275.
340 V. NICOLETTI F., Lo sviluppo e la promozione, cit., 381.
341 Da ultimo, la disciplina autorizzativa in materia di impianti di produzione elettrica da energia
rinnovabile è stata rimodulata con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, attuativo della direttiva
2009/28/CE. Il capo I del titolo II, che tratta di «Procedure autorizzative, regolamenti e codici»
dispone, all’art.4, comma 1, che, al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il
conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi
per il 2020, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili
sono disciplinati secondo «speciali procedure amministrative semplificate, accelerate,
proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione».
Dunque, i summenzionati principi generali di semplificazione, accelerazione, proporzionalità e
adeguatezza costituiscono la base su cui deve poggiarsi l’attività amministrativa sia in sede
applicativa sia in sede interpretativa. Inoltre, emerge un ulteriore principio, vale a dire quello di
specialità («speciali procedure», dice la norma) che induce a riflettere sulla applicabilità o meno
delle norme della legge 241 del 1990. Ci si chiede, cioè, se quest’ultima legge, in quanto legge
generale del procedimento, possa essere derogata da parte della normativa del d.lgs. n. 28 del 2011,
per l’appunto, speciale. V., sul punto, CIMELLARO A., Autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, Exeo edizioni, 2011.
129
1)
in un procedimento di autorizzazione unica cui partecipano tutte le
amministrazioni interessate in seno ad una Conferenza di servizi all’uopo
convocata;
2)
in un procedimento «semplificato», ispirato ai canoni della SCIA di
cui all’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo342;
3)
in un regime di attività libera, soggetta a mera comunicazione
preventiva, fatta salva dal Legislatore solo per realizzare taluni interventi aventi un
ridotto impatto sul territorio ed una limitata capacità di generazione energetica.
L’analisi che segue, volta a enucleare la disciplina prevista per ciascun
strumento amministrativo introdotto dalla normativa interna in materia di fonti
rinnovabili, non è fine a se stessa, ma si pone l’intento di verificare la compatibilità
di detti strumenti di semplificazione con gli obiettivi perseguiti dalla normativa
nazionale ed europea. Ovvero sia, analizzare se il procedimento di autorizzazione
unica e gli altri strumenti di seguito approfonditi, siano di fatto improntati a quel
principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, che
in termini di efficienza dell’azione amministrativa non tollera situazione
paralizzanti. E pertanto, sarà opportuno valutare se la semplificazione perseguita
dal Legislatore in tali ambiti sia stata in grado di assicurare la celerità e la
tempestività del procedimento, necessari per il perseguimento degli obiettivi
imposti in sede europea. Inoltre, anche in un’ottica non solo di efficienza, ma
anche di efficacia della azione amministrativa, parimenti fondamentale in
considerazione degli interessi coinvolti nella fattispecie in esame (per la maggior
parte, tra l’altro, di rilevanza costituzionale), si dovrà anche valutare l’effettivo ed
imparziale apprezzamento di tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco
alla situazione concreta343.
Questa forma procedimentale ha cambiato, nel corso delle successive modificazioni e
integrazioni al d.lgs. n. 387 del 2003, la propria denominazione (si è passati infatti dalla DIA (di cui
al DPR 380 del 2001, T.U. Edilizia), poi chiamata SCIA (ai sensi della legge n. 122 del 2010), alla
PAS del d.lgs. n. 28 del 2011), mantenendone tuttavia la ratio.
343 In tal senso, COCCONI M., Promozione europea delle energie rinnovabili e semplificazione, in Rivista
quadrimestrale di diritto dell’ambiente, I-II, 2012, 58.
342
130
3.1.
Il procedimento di autorizzazione unica.
Il procedimento di autorizzazione unica per gli impianti di produzione di
energia alternativa è stato introdotto per la prima volta dall’articolo 12 del d.lgs. n.
387 del 2003344.
La procedura in esame riguarda, ai sensi del comma 1 dell’art. 12, non solo
gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, ma anche tutte le opere connesse e le
infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi345, che
vengono considerati ex lege opere di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti.
L’iter autorizzativo, desumibile dal combinato disposto dei commi 3 e 4 del
citato articolo 12346, prevede che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dei
suddetti impianti sia rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale
partecipano tutte le amministrazioni interessate, convocate nell’ambito di una
Conferenza di servizi, da svolgere nel rispetto dei principi di semplificazione e con
le modalità stabilite dalla legge n. 241 del 1990.
Essa rappresenta, per così dire, l’ipotesi «fisiologica» di procedura per impianti con capacità di
generazione superiore alle soglie di legge. V. tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003.
345 Dubbi erano sorti in ordine alla definizione di «opere connesse agli impianti». Con riguardo a
queste ultime, le Linee Guida oggi hanno chiarito che vi rientrano anche i servizi ausiliari e le
infrastrutture di collegamento dell’impianto alle reti elettriche, quali, tra l’altro, le stazioni di
raccolta ove necessarie per il dispacciamento dell’energia prodotta, in particolare per grandi
impianti e nel caso di concentrazioni territoriali di grandi impianti.
346 Cfr. art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 (ante-riforma): «3. La costruzione e l’esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di
modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla
normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e
all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione
o altro soggetto istituzionale delegato dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia
di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. A tal fine la
Conferenza dei servizi è convocata dalla Regione entro trenta giorni dal ricevimento della
domanda di autorizzazione. Resta fermo il pagamento del diritto annuale di cui all’articolo 63,
commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre
1995, n. 504, e successive modificazioni. 4. L’autorizzazione di cui al comma 3 é rilasciata a seguito
di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel
rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241,
e successive modificazioni e integrazioni. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire
ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, in ogni caso, l'obbligo
alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della
dismissione dell'impianto. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al
presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni».
344
131
Il rilascio della autorizzazione unica da parte delle Regioni o delle province
da esse delegate347, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, costituisce, ove
occorra, variante allo strumento urbanistico348 e costituisce, al contempo, titolo a
costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato.
Il procedimento di autorizzazione unica delineato dal d.lgs. n. 387 del 2003
è stato poi successivamente integrato e modificato dalle Linee Guida nazionali,
prima, e dal d.lgs. n. 28 del 2011, poi. Limitandoci per ora agli aspetti più generali
del procedimento, la grande novità introdotta dalle Linee Guida consiste nell’aver
attribuito, a differenza del precedente d.lgs. n. 387 del 2003, un carattere residuale
al procedimento di autorizzazione unica rispetto agli altri due moduli procedurali
(DIA o PAS e comunicazione)349.
Il punto 10.1. delle Linee Guida, infatti, nello stabilire che «la costruzione,
l’esercizio e la modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da
fonti rinnovabili, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili sono
soggetti ad autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dalla provincia
delegata», fa comunque salvo quanto previsto ai paragrafi 11 e 12, ovvero sia gli
interventi soggetti a denuncia di inizio attività e gli interventi di attività edilizia
libera. Con tale modifica si inverte, dunque, l’impostazione fino a quel momento
perseguita dal Legislatore, che vedeva nel procedimento di autorizzazione unica il
luogo ideale e, per così dire, «fisiologico» per l’installazione degli impianti di
Comma così modificato dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2008)». L’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione unica, ai sensi del comma 3 dell’art’art.
12 in esame, va dunque individuata nella Regione o, in caso di delega (per via legislativa), nella
Provincia, territorialmente competente. Vi è però un’ipotesi nella quale la competenza
autorizzatoria passa dalla Regione alla Stato: ciò si verifica qualora debba essere autorizzato un
cosiddetto impianto offshore dovendosi intendere come tale qualsiasi impianto eolico realizzato non
sulla terraferma, ma nel mare o nei laghi. In tal caso, infatti, l’autorizzazione è rilasciata dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – con le modalità procedurali che
operano per la stessa autorizzazione unica regionale – e previa concessione d’uso del demanio
marittimo da parte della competente autorità marittima.
348 Comma così modificato dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
349 Cfr. punto 10 della parte II delle Linee Guida «Interventi soggetti ad autorizzazione unica»:
10.1. «Fatto salvo quanto previsto ai paragrafi 11 e 12, (…)».
347
132
energia rinnovabile, per cedere il passo a strumenti autorizzativi «nuovi» ispirati
maggiormente ad un’ottica di liberalizzazione.
Il carattere residuale del procedimento di autorizzazione unica rispetto alle
altre procedure amministrative alternative viene poi ribadito anche dal d.lgs. n. 28
del 2011. L’art. 5, infatti, nel ribadire che la realizzazione degli impianti di energia
alternativa sono soggetti all’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387
del 2003, fa salvo quanto previsto dagli articoli 6 e 7 del medesimo decreto (che si
riferiscono alla Procedura amministrativa semplificata (PAS) e alla mera
comunicazione).
Senza dubbio, il merito più grande dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 è quello di
tentare un raccordo tra le disposizioni fino a quel momento emanate in tema,
operando un rinvio alle «modalità procedimentali e alle condizioni previste dallo
stesso decreto legislativo n. 387 del 2003 e dalle Linee Guida adottate ai sensi del
comma 10 del medesimo articolo 12, nonché dalle relative disposizioni delle
Regioni e delle province autonome».
In base a tale rinvio, l’attuale procedimento per il rilascio dell’autorizzazione
unica si può sintetizzare nelle seguenti fasi:
·
Entro 15 giorni dalla presentazione della richiesta, l’amministrazione
competente, verificata la completezza formale della documentazione, comunica al
richiedente l’avvio del procedimento oppure la non procedibilità dell’istanza per
carenza della documentazione prescritta. In questo secondo caso, sarà solo dalla
data di ricevimento della documentazione completa che andranno ricalcolati i
tempi. Trascorsi i 15 giorni senza che l’amministrazione abbia comunicato
l’improcedibilità, il procedimento si intende avviato;
·
Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’amministrazione
convoca la Conferenza di servizi;
·
Nel corso del procedimento autorizzativo, il proponente può
presentare modifiche alla soluzione per la connessione individuate dal gestore di
rete, fermi restando gli atti di assenso e le valutazioni già effettuate per quelle parti
del progetto non interessate dalle modifiche;
·
Nel corso del procedimento autorizzativo, possono essere richiesti
dall’amministrazione procedente (anche su input delle altre amministrazioni
interessate) ulteriori documentazioni e/o chiarimenti. Questa richiesta avviene in
133
un unico momento entro 90 giorni dall’avvio del procedimento. Se il proponente
non fornisce la documentazione integrativa entro i successivi 30 giorni, salvo
proroga per un massimo di ulteriori 30 giorni concessa a fronte di comprovate
esigenze tecniche, si procede all’esame del progetto sulla base degli elementi
disponibili;
·
Rispetto ai progetti sottoposti a VIA, i termini per la richiesta di
integrazioni e di produzione della relativa documentazione sono dettati dal
comma 3, articolo 26, d.lgs. n. 152 del 2006 e dalle norme regionali di attuazione.
Resta ferma l’applicabilità dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990. I lavori
della Conferenza dei servizi rimangono sospesi fino al termine prescritto per la
conclusione delle procedure di verifica di assoggettabilità o di VIA. Trascorsi 45
giorni dall’avviso dell’avvenuta trasmissione del progetto preliminare (articolo 20
d.lgs. n. 152 del 2006) senza che sia intervenuto un provvedimento esplicito sulla
verifica di assoggettabilità, l’Autorità competente si esprime in sede di Conferenza
dei Servizi. Per la decisione in materia di VIA, decorso il termine previsto
dall’articolo 26, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (120 o 150 giorni dalla
presentazione dell’istanza), subentra l’esercizio del potere sostitutivo da parte del
Consiglio dei Ministri;
·
Entro la data in cui è prevista la riunione conclusiva della Conferenza
dei Servizi, il proponente deve fornire la documentazione che dimostri la
disponibilità del suolo su cui è ubicato l’impianto fotovoltaico o a biomassa. Ciò è
previsto dall'articolo 12, comma 4-bis, del d.lgs. n. 387 del 2003: «Per la
realizzazione di impianti alimentati a biomassa e per impianti fotovoltaici, ferme
restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse, il
proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima
dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto»;
·
Il termine per la conclusione del procedimento unico non può essere
superiore a 90 giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’istanza. Il calcolo dei
90 giorni deve comunque tenere conto delle eventuali sospensioni dovute alla
134
richiesta di ulteriore documentazione integrativa o di chiarimenti, anche per
verifica di assoggettabilità o VIA, o all’esercizio dei poteri sostitutivi.350
Dall’impianto normativo e procedimentale appare chiaro l’intento del
Legislatore di voler contemperare, nell’ambito di un unico procedimento, le
esigenze di celerità e semplificazione con la necessaria tutela di tutti gli interessi
(urbanistici, di impatto ambientale, paesaggistici, ecc.) coinvolti dalla realizzazione
e dalla messa in esercizio di siffatti impianti energetici.
Il contemperamento di tali connesse esigenze, ciascuna espressione,
rispettivamente, del principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa,
è affidato, principalmente:
-
all’introduzione di un termine di conclusione della procedura unica,
(pari a 180 giorni, ex art. 12, comma 4) diverso rispetto al generale termine di
conclusione di qualsivoglia procedimento amministrativo posto dall’art. 2 della
legge n. 241 del 1990;
-
al ricorso alla Conferenza di servizi, (ex art. 12, comma 3) quale
modulo organizzativo per eccellenza deputato alla disamina e alla tutela di
molteplici e concorrenti interessi pubblici coinvolti in un medesimo
procedimento;
-
al delicato rapporto tra il procedimento di autorizzazione unica e la
valutazione di impatto ambientale.
3.1.1. Il termine di conclusione del procedimento.
Uno dei principi fondamentali introdotti dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del
2003 consiste nella previsione di un termine rigido ed omnicomprensivo per la
conclusione del procedimento di autorizzazione351.
Cfr. pubblicazione del GSE, Il quadro autorizzativo per gli impianti di produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili. Ricognizione della normativa nazionale e regionale, in Gse.it, 1 settembre 2011.
351 Cfr. Corte Cost., sent. 15 novembre 2006, n. 364; Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 8 gennaio 2010,
n. 2.
350
135
Inizialmente, tale termine era stato fissato in 180 giorni, decorrenti dalla
data di ricevimento della documentazione352, poi dimezzato a 90 giorni dalla
modifica, da ultimo, apportata con il d.lgs. n. 28 del 2011.
Tale principio, come noto, non è nuovo nell’ordinamento italiano, esso
infatti è stato introdotto dalla legge generale sul procedimento amministrativo,
dall’art. 2, e rappresenta un principio cardine del procedimento stesso, secondo il
quale corre l’obbligo per l’amministrazione pubblica procedente di concludere il
procedimento con un provvedimento espresso da emanare in un termine
prefissato stabilito in trenta giorni353.
La legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, avendo portata
generale, deve intendersi integralmente richiamata anche nell’ambito dei
procedimenti di autorizzazione degli impianti di fonti rinnovabili.
Tuttavia, il termine «derogatorio» previsto dal d.lgs. n. 387 del 2003, ben più
ampio del termine «ordinario» previsto dall’art. 2 della legge n. 241, non è da
considerarsi estraneo al sistema della legge sul procedimento amministrativo, in
quanto è la stessa legge a fare salvi i casi in cui sia una disposizione di legge
preveda termini diversi o prevedere comunque la possibilità di indicare un termine
superiore a quello ordinario per i provvedimenti di particolare complessità e in
relazione alla natura degli interessi pubblici tutelati354.
Per quanto riguarda i procedimenti per l’installazione di impianti alimentati
da fonti rinnovabili, la previsione di un termine più ampio trova giustificazione
nella necessità di prevedere tempistiche procedurali, che, seppur certe e
«contingentate», siano comunque in grado di consentire la valutazione di tutti i
molteplici interessi pubblici coinvolti nell’autorizzazione unica.
La previsione di un determinato termine temporale per la conclusione del
procedimento, al pari di quanto avviene anche per gli altri tipi di procedimento,
Ai fini dell’avvio della procedura, la Regione deve constatare semplicemente che la
documentazione presentata risulti sufficiente.
353 Il termine di conclusione dei procedimenti, prima fissato generalmente in novanta giorni, è
stato di recente modificato dalla legge n. 69 del 2009 e fissato nel termine di trenta giorni.
354 L’art. 2, al comma 4, della legge citata fa comunque eccezione per i procedimenti di acquisto
della cittadinanza o che riguardano l’immigrazione.
352
136
gioca un ruolo determinante, soprattutto per gli inevitabili riflessi che l’eventuale
inerzia o ritardo nel rispetto delle tempistiche di legge da parte della pubblica
amministrazione ha in ordine alla tutela del privato istante.
La legge, infatti, riconosce al soggetto privato, una volta decorso il termine
previsto dalla legge, la possibilità di ricorrere all’azione giudiziale, attraverso
l’impugnazione del silenzio-inadempimento, oggi espressamente riconosciuta dal
codice del processo amministrativo355. Ai sensi dell’art. 31 del c.p.a., è previsto,
infatti, che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo
e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento
dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere».
Posto, allora, che la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso
avverso l’inerzia dell’amministrazione è dalla norma indiscutibilmente ancorata
alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento e per l’emanazione
del relativo provvedimento, diviene di particolare rilevanza, nel caso di specie,
individuare la specifica natura del termine di conclusione del procedimento di
autorizzazione unica per l’installazione di impianti di energia alternativa. Occorre
dunque comprendere se trattasi di termine perentorio o ordinatorio.
Tale vexata questio, già nota sin dai tempi dell’introduzione della legge sul
procedimento amministrativo, ha infatti dei risvolti molto importanti, in quanto la
scelta dell’una o dell’altra soluzione implica differenze non di poco conto in
ordine alla sussistenza o meno del potere della pubblica amministrazione di
Il codice del processo amministrativo è stato adottato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. L’art. 31
del c.p.a. contempla l’azione avverso il silenzio, e così recita: «1. Decorsi i termini per la
conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha
interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. 2. L’azione
può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento. E' fatta salva la riproponibilità dell’istanza
di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. 3. Il giudice può pronunciare sulla
fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando
risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. 4. La domanda volta
all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di
centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere
rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui
all’ articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del
Libro IV». All’art 117 c.p.a. è invece disciplinato il rito processuale.
355
137
provvedere anche una volta decorso il termine fissato dalla legge e alla legittimità
o meno del provvedimento eventualmente emanato in ritardo.
Con riferimento all’art. 2 della legge n. 241 del 1990, in giurisprudenza
prevale la tesi della natura ordinatoria e non decadenziale del termine, atteso che
tale norma non prescrive espressamente la sua perentorietà, né prevede ipotesi di
decadenza della potestà amministrativa in caso di superamento dei termini stessi,
né, tantomeno, considera illegittimo il provvedimento tardivamente adottato356.
Con riferimento, invece, al termine previsto dall’art. 12, comma 4, del d.lgs.
n. 387 del 2003, la giurisprudenza amministrativa è stata ed è tuttora oscillante.
Invero, dall’affermazione, più volte ribadita dalla Corte Costituzionale357,
secondo la quale all’articolo 12, comma 4, va riconosciuta «natura di principio
fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia», in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della
semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme
sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definitivo del
procedimento autorizzativo», dottrina e giurisprudenza hanno infatti tratto spunto
per riconoscere, a seconda dei casi, natura ordinatoria o perentoria al termine ivi
previsto.
Una parte della giurisprudenza, infatti, concorda con la giurisprudenza
formatasi con riferimento all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 e ritiene che risulti
Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, sent. 10 giugno 2014, n. 2964, secondo cui: «Il termine
previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 per l’adozione di provvedimenti amministrativi ha
natura ordinatoria e non perentoria, e pertanto l’inosservanza da parte dell’amministrazione non
esaurisce il potere di provvedere né determina di per sé l’illegittimità dell’atto adottato fuori
termine. Nello specifico, trattasi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento e la
legge non contiene alcuna prescrizione circa la sua eventuale perentorietà, né circa la decadenza
della potestà amministrativa, né circa l’illegittimità del provvedimento adottato». Tale tesi si
ricollega al noto orientamento secondo cui il carattere perentorio di un termine deve risultare
espressamente dalla legge, come si desume dall’art. 152 c.p.c.. V. anche Corte cost., sentt. 23 luglio
1997, n. 262 e 17 luglio 2002, n. 355. L’esposto indirizzo, propenso a ritenere la non perentorietà
dei termini, non ha mancato di suscitare critiche in una parte della dottrina, v. CERULLI IRELLI V.,
Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002; CLARICH M., Termine del procedimento e potere amministrativo,
Torino, 1995.
357 Cfr. Corte Cost., sentt. n. 346 del 2006, n. 282 del 2009 e nn. 124 e 168 del 2010.
356
138
impreciso definire perentorio un termine, che sostanzialmente non lo è358. Difatti,
il termine procedimentale previsto presenta evidenti finalità acceleratorie e,
lasciando in capo all’amministrazione il potere di provvedere, comporta la
qualificazione come inadempimento del fatto dell’inutile spirare di tale termine,
posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, e non
presenta invece carattere perentorio359.
Un’altra parte, invece, della giurisprudenza ha sostenuto che dalle statuizioni
del giudice costituzionale, nonché dal contesto normativo ordinamentale è
possibile dedurre la natura perentoria di tale termine. Al riguardo, è stato infatti
rammentato che la perentorietà di un termine non è solo quella che discende
direttamente ed esplicitamente da una previsione legislativa, bensì anche quella
che si ricava dal contesto nel quale un termine è inserito ovvero dalle conseguenze
Cfr. Tsap, sent. 11 gennaio 2005, n. 1; Tar Campania, sent. 26 giugno 2003, n. 7808.
Cfr. Tar Sicilia, sent. 28 settembre 2011, n. 1696: il Collegio non ha valide ragioni per discostarsi
dall’orientamento espresso da questa stessa Sezione in fattispecie analoghe alla presente (cfr., per
tutte, sentt. 8 aprile 2011, n. 703; 29 giugno 2011, n. 1257; 1 luglio 2011, n. 1275; 26 luglio 2011, n.
1485), secondo cui a) in relazione allo specifico procedimento per cui è causa, l’articolo 12, comma
4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, stabilisce che «Il termine massimo per la
conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a
centottanta giorni»; b) la fissazione di un termine procedimentale di durata massima, con evidenti
finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del
potere di provvedere in capo all’Amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come
inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza
dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun
provvedimento, positivo o negativo (né vale in contrario distinguere fra mera inerzia e lungaggini
procedimentali); c) anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 364 del 9 novembre 2006, ha
rinvenuto la «ratio» del citato termine nel principio di semplificazione amministrativa e di celerità
che, con riferimento alla fondamentale materia della produzione, trasporto e distribuzione
nazionale di energia, garantisce, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un
termine definito del procedimento autorizzativo; d) dalla lettura della norma sopra richiamata —
rubricata «Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative» — si ricava l’intento
del Legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione,
semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l’apporto valutativo di tutte le
Amministrazioni interessate nella «conferenza di servizi» ai fini del rilascio di una «autorizzazione
unica». Dello stesso parere, Cons. Stato, sent. 11 maggio 2010, n. 2825, secondo cui: «Il termine di
trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12,
comma 3, del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato
rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del
provvedimento finale. Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art.
12, comma 4 (nel testo all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione
non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere
riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria».
358
359
139
che la legge stabilisce ove lo stesso termine dovesse essere superato360. Pertanto,
atteso che il termine stabilito dall’art. 12 del d.lgs. 387/03 costituisce principio
fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia elettrica, esso ha natura perentoria. Pertanto, la mancata adozione del
provvedimento finale entro detto termine legittima l’istante a proporre ricorso
avverso il silenzio inadempimento serbato dall’amministrazione procedente
secondo il rito dell’art. 117 del c.p.a361.
Tuttavia, a parere di chi scrive, non si comprende bene il motivo per cui il
termine di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 debba avere natura diversa da quello di cui
alla legge sul procedimento amministrativo del 1990, tenuto conto che entrambi
rispondono alle medesime finalità e producono gli stessi effetti. L’unica differenza
che il Legislatore ha voluto riconoscere ai procedimenti di installazione degli
impianti di energia rinnovabile sembra infatti consistere nella previsione di un
termine più lungo, giustificato in ragione della complessità del procedimento
stesso e della pluralità degli interessi coinvolti. Pertanto, non dovrebbero
sussistere particolari motivi ostativi a riconoscere natura ordinatoria anche al
termine stabilito dal d.lgs. n. 387 del 2003 – il che significherebbe soltanto che
permarrebbe in capo all’amministrazione il potere di provvedere, seppur in ritardo
– in quanto comunque la rilevanza di quel silenzio o di quel ritardo della pubblica
amministrazione si manifesterebbe sul piano degli effetti, dovendosi qualificare, in
tali casi, il comportamento della pubblica amministrazione in termini di
Cfr. Cons. Statosez. VI, sent. 22 marzo 2010, n. 1635; sez. II, parere 3 settembre 2008, n. 2644;
sez. V, sent. 7 ottobre 2002, n. 5275. Da ultimo sez. V, sent. 23 ottobre 2012, n. 5413 e sent. 27
dicembre 2013 n. 6279. Cfr. anche Tar Sicilia, sent. 29 settembre 2011, n. 2373: «dal testo
dell’articolo 12 d.lgs. 387/2003 si evince che il termine di conclusione del procedimento
decorrente dalla data di presentazione della relativa domanda ha natura perentoria, con la
conseguenza che al suo inutile decorso l’interessato può proporre il ricorso avverso il silenzio di
cui all'articolo 117 c.p.a. (dello stesso tenore anche Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 19 marzo
2010, n. 3253 e sent. 25 settembre 2009 n. 1539; Tar Sicilia, Catania, sez. I, sent. 14 ottobre 2008,
n. 1819), tenuto anche conto di quanto affermato nelle sentenze della Corte costituzionale n. 124 e
n. 168 del 2010, con le quali la Corte ha affermato che le Regioni, nel disciplinare gli impianti per
la produzione di energia da fonti rinnovabili, «sono tenute al rispetto dei principi fondamentali
dettati dal Legislatore statale» e, in particolare, il principio fissato dall'articolo 12, comma 4, del
d.lgs. n. 387/2003, il quale stabilisce «il termine massimo per il rilascio dell'autorizzazione alla
costruzione ed all'esercizio degli impianti».
361 Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. 27 dicembre 2013 n. 6279.
360
140
inadempimento del rispetto del termine previsto per legge e, pertanto, esso potrà
essere fatto valere dinanzi al giudice amministrativo ai sensi degli articoli 31 e 117
del codice del processo amministrativo, anche ai fini del risarcimento del danno
da ritardo362.
3.1.2. La Conferenza di servizi.
Ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è
necessario, in base al combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003, procedere alla convocazione di una Conferenza di servizi, nel
termine di trenta giorni363 dal ricevimento della domanda.
Il richiamo espresso del Legislatore alla disciplina di cui alla legge n. 241 del
1990 ha dimostrato di conferire un’importanza fondamentale allo strumento
Cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 11 maggio 2010, n. 2825; Tar Emilia Romagna, Parma, sent. 31
dicembre 2010, n. 584; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 28 luglio 2010, n. 9042; Tar Puglia, Lecce,
sez. I, sent. 21 luglio 2010, n. 1799. Se però una normativa regolamentare sopravvenuta – quale, ad
esempio, il Piano energetico ambientale della Regione siciliana, di cui all’articolo 105 della legge
regionale 2 giugno 2010 n. 11 – renda necessario l’adeguamento dei progetti giacenti, il termine di
conclusione non decorre più dalla data di presentazione dell’istanza, ma dalla sua integrazione,
restituendosi all’amministrazione l’intero spatium deliberandi previsto dalla legge statale (Tar Sicilia,
Palermo, sez. II, sent. 14 dicembre 2010, n. 14274). E’ comunque escluso un potere di
sospensione sine die del procedimento unico, sia per via legislativa (cfr. Corte cost., sent. 6 maggio
2010, n. 168 e 15 novembre 2006, n. 364), sia per via provvedimentale (cfr. Tar Sardegna, sez. I,
sent. 14 gennaio 2011, n. 29; Tar Campania, Napoli, sez. VII, sent. 17 novembre 2009, n. 7547).
Presupposti per il risarcimento del danno da ritardo sono l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale
cagionato dal ritardo nel rilascio del titolo e la colpa dell’ente pubblico, che può essere presunta.
Cfr. Cons. Stato, sez. V, sentt. 2 marzo 2009, n. 1162 e 8 settembre 2008, n. 4242; sez. VI, sentt.
23 marzo 2009, n. 173 e 29 giugno 2008, n. 2750; per un’ipotesi specifica in materia di ritardo nel
rilascio di autorizzazione unica per impianti di energia alternativa, cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. I,
sent. 9 settembre 2009, n. 1478.
363 Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. 25 luglio 2011, n. 4454: «Il termine di trenta giorni
entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs.
n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine,
per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale.
Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo
all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione non priva
l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere riconosciuta
anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria (Cons. Stato, sent. 11 maggio 2010, n.
2825)».
362
141
procedimentale della Conferenza di servizi, quale luogo ove la formazione della
volontà amministrativa deve avvenire.
Tale scelta, d’altronde, risulta coerente con la necessità di conseguire gli
obiettivi inerenti lo sviluppo delle energie rinnovabili, in quanto la Conferenza di
servizi, concepita come istituto di semplificazione, consente l’acquisizione degli
interessi affidati alla cura delle diverse amministrazioni con una modalità non
sequenziale ma contestuale364. Modalità che, a sua volta, dovrebbe consentire
anche il rispetto del termine fissato per la conclusione del procedimento.
Le singole amministrazioni coinvolte in seno alla Conferenza sono chiamate
ad esprimere il proprio avviso, pena l’elusione del principio di drastica
concentrazione e di semplificazione del procedimento autorizzatorio365.
Benché appaia probabilmente eccessiva la tesi per cui le amministrazioni
partecipanti alla Conferenza possano trascendere lo spazio giuridico della propria
competenza366, senza dubbio si può affermare che i rappresentanti delle diverse
amministrazioni sono chiamati, all’interno di essa, ad operare una valutazione
dell’interesse pubblico affidato a ciascuna di esse non più in modo isolato ma in
connessione con gli interessi pubblici curati dalle altre.
La configurazione della conferenza come luogo di definizione contestuale e non sequenziale di
un assetto unitario di interessi dovrebbe favorire un’impostazione inclusiva e non settoriale al
bilanciamento fra l’interesse ad una corretta integrazione degli impianti nel paesaggio e quello alla
tutela ambientale attraverso la differenziazione delle fonti energetiche in adempimento degli
obblighi europei. Sulla comunanza e contestualità della valutazione di interessi operata all’interno
della conferenza di servizi si v. SCOCA F.G., Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Diritto
amministrativo, 1999, 259; anche TORCHIA L., La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della
difficile semplicazione, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, 676. Di recente, per un’analisi molto
accurata dell’evoluzione del ruolo della Conferenza di servizi da luogo di incontro e di confronto a
meccanismo di decisione, si veda SCIULLO G., La Conferenza di servizi come meccanismo di decisione, in
Giornale di diritto amministrativo, 2011, 10.
365 Cfr. Cons. Giust. Amm., sentt. 4 novembre 2010, n. 1368; 9 dicembre 2008, n. 1005 e n. 1006;
11 aprile 2008, n. 295.
366 Su cui si v. CUGURRA G., La concentrazione dei procedimenti, in Procedimenti e accordi
nell’amministrazione locale, in Atti del XLIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 1997,
94; ID., Competenze amministrative e limiti territoriali, in Tempo, spazio e certezza dell’azione amministrativa,
Atti del XVIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione (19-21 settembre 2002), Milano, 2003,
256.
364
142
Il confronto fra gli interessi rappresentati367, peraltro, è particolarmente utile
nel procedimento sull’installazione degli impianti di produzione di energie
rinnovabili in quanto la tutela dell’iniziativa economica degli operatori all’accesso
al mercato così può essere valutata in un’ottica di integrazione e non di
contrapposizione con il beneficio arrecato dalle fonti rinnovabili alla tutela
dell’ambiente.
Una delle questioni che si è posta con riferimento alla Conferenza di servizi
riguarda l’accertamento della natura istruttoria o decisoria di tale istituto, atteso
che dalla scelta in ordine a tale quesito derivano differenze strutturali ed effetti
diversi.
Con la Conferenza di servizi istruttoria (o preparatoria), infatti, ai sensi
dell’art. 14, commi 1 e 3, della legge n. 241 del 1990, si esaminano e si registrano le
posizioni dei partecipanti in vista della vera e propria decisione che spetta
all’amministrazione
procedente,
la
quale
rimane
pertanto
libera
nella
determinazione del contenuto del provvedimento finale, anche se, nel farlo, non
potrà immotivatamente discostarsi da quanto emerso in sede di Conferenza (si
parla, in tal caso, di decisione c.d. monostrutturata).
La Conferenza di servizi decisoria (o esterna), prevista dall’art. 14, comma 2,
della legge n. 241 del 1990, è invece convocata per assumere decisioni concordate
tra più amministrazioni in sostituzione dei previsti concerti, intese, nulla osta o
assensi comunque denominati. La decisione finale, attraverso i meccanismi della
maggioranza e del superamento del dissenso, viene assunta proprio sulla scorta
delle determinazioni dei partecipanti (decisione c.d. polistrutturata).
All’atto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 2003, la giurisprudenza
sembrava aderire alla tesi della natura istruttoria della Conferenza, qualificandola
appunto come istituto di semplificazione strumentale alla autorizzazione della
In tal senso si v. già COMPORTI D., op.cit., 276 che vede nella Conferenza di servizi prevista nel
procedimento per l’installazione degli impianti di energia rinnovabile un modo per assicurare
un’unificazione funzionale del pluralismo amministrativo che caratterizza l’assetto degli interessi in
materia.
367
143
Regione, unica amministrazione deputata ad assumere la decisione finale
(monostrutturata, appunto)368.
Molti infatti sono i casi in cui la legislazione di settore ha previsto l’obbligo
di indire una Conferenza istruttoria, in funzione dell’adozione di una decisione
monostrutturata (che spesso assume la denominazione di autorizzazione unica),
ovvero di una decisione concordata (ossia di un accordo ai sensi dell’art. 15 della
legge n. 241 del 1990)369. In tali occasioni, la giurisprudenza ha posto in rilievo il
Cfr. Tar Piemonte, sent. n. 1292 del 2009 e Cons. Stato, sez. VI, sent. 19 gennaio 2005, n. 94.
Se così fosse, per quanto riguarda le regole da applicare a questo tipo di Conferenza varrebbero i
principi generali elaborati dalla legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla
Conferenza istruttoria e quindi i meccanismi di superamento del dissenso non troverebbero
applicazione. In altri termini, poiché non vi sono disposizioni dettagliate sulla Conferenza
istruttoria e anche i dissensi in sede di conferenza istruttoria non richiedono – a differenza
dell’altra tipologia di conferenza – interventi di altri soggetti quali meccanismi supera tori degli
stessi (necessari, invece, per l’altra tipologia di Conferenza), sarà la Regione ad assumere la
decisione finale (autorizzazione unica) e ciò deve ritenersi possibile, sia pure attraverso ferrea e
stringente motivazione, anche – per paradosso – quando tutti i partecipanti abbiano espresso il
loro dissenso in sede di Conferenza, v. sul punto, CIMELLARO A. – SCIALÒ A., Guida alle procedure
autorizzative di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. L’iter autorizzatorio delineato dal d.lgs. n.
387/2003, alla luce delle elaborazioni della giurisprudenza comunitaria, costituzionale e amministrativa,
Bologna, 2010, 37.
369 La giurisprudenza ha, in più occasioni, posto in rilievo il carattere istruttorio della Conferenza di
servizi prevista dall’art. 1 decreto-legge n. 7 del 2002 (c.d. sblocca centrali), convertito dalla legge n.
55/2002, per il rilascio da parte del Ministero delle attività produttive (oggi Ministero dello
Sviluppo economico) - d’intesa con la Regione interessata - dell’autorizzazione unica per la
costruzione e l’esercizio di centrali elettriche di potenza superiore a 300 MW termici, desumendo
da tale carattere l’inapplicabilità delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 volte a rimediare alla
non unanimità dei pareri acquisiti nella conferenza di servizi. Analoghe considerazioni valgono per
la conferenza di servizi prevista dall’art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice
dell’ambiente) nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica, di
competenza regionale, per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti
(Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 giugno 2004, n. 3505; Tar Lazio Roma, sez. I, sent. 5 dicembre
2007, n. 12470; Tar Puglia Lecce, sez. I, sent. 22 novembre 2005, n. 5236), nonché per quella
prevista dall’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 (di attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) nell’ambito del procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione unica - anch’essa di competenza regionale - per la realizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili. Parimenti obbligatoria è la conferenza di servizi prevista dal codice
degli appalti nel procedimento per l’approvazione dei progetti definitivi delle infrastrutture
strategiche di preminente interesse nazionale. A tal riguardo giova evidenziare che il codice - oltre
a qualificare espressamente la conferenza come istruttoria - prevede una dettagliata disciplina della
stessa (art. 168) e precisa (art. 166, comma 4) che ad essa non si applicano le previsioni degli
articoli 14 ss. della legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi. In questo caso le
risultanze della conferenza di servizi sono destinate a confluire nella proposta che il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti formula al CIPE, che è chiamato pronunciarsi ai fini dell’approvazione
del progetto definitivo. Infine non può revocarsi in dubbio la natura istruttoria della conferenza di
368
144
carattere istruttorio della Conferenza di servizi prevista nell’ambito di un
procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni statali e locali
interessate, per il rilascio di una autorizzazione unica. In questi casi, si precisa,
infatti, che il Legislatore ha previsto non una decisione pluristrutturata, tipica della
Conferenza di servizi decisoria, in cui il provvedimento finale concordato,
sostituisce i necessari assensi delle amministrazioni partecipanti, ma una decisione
monostrutturata, in cui vi è un’unica amministrazione competente che deve
acquisire l’avviso di altre amministrazioni370.
Secondo quest’orientamento giurisprudenziale non sarebbe allora corretto
qualificare la Conferenza di servizi come decisoria, sarebbe invero preferibile
qualificarla come necessaria, ma non decisoria371.
servizi prevista dall’art. 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000 al fine di «verificare la possibilità
di concordare» la conclusione di un accordo di programma (comma 3), avente ad oggetto «la
definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per
la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e Regioni, di
amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti»
(comma 1).
370 Con particolare riferimento alla legge n. 55 del 2002, cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 giugno
2004, n. 3502: «nel prevedere un procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni
statali e locali interessate, per il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 1 della legge n. 55 del 2002,
il Legislatore ha anche previsto l’obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della
provincia nel cui territorio ricadono le opere, aggiungendo che il rilascio del parere non può
incidere sul rispetto del termine di 180 giorni previsto dal comma 2 del citato art. 1. Il Legislatore
ha, quindi, previsto non una decisione pluristrutturata, tipica della conferenza di servizi decisoria,
in cui il provvedimento finale concordato, sostituisce i necessari assensi delle amministrazioni
partecipanti, ma una decisione monostrutturata, in cui vi è un’unica amministrazione competente
che deve acquisire l’avviso di altre amministrazioni, oltre all’intesa con la Regione di cui si è detto
in precedenza. (...) Il principio di leale collaborazione si attua quindi in maniera «forte» nei rapporti
con la Regione, con cui deve necessariamente essere raggiunta un’intesa e in maniera «debole» con
le altre amministrazioni interessate, cui deve essere consentito di partecipare al procedimento e di
esprimere il proprio parere. L’acquisizione di tale parere in sede di conferenza di servizi ha una
valenza meramente istruttoria, con la conseguenza che non si applicano tutte le disposizioni volte a
rimediare alla non unanimità, quale l’invocato art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990».
Negli stessi termini: Cons. Stato, sez. VI, sent. 10 settembre 2008, n. 4333, in Foro amministrativo,
2008, IX, 2468; Tar Lazio Roma, sez. III, 5 marzo 2008, n. 2121, in Rivista giuridica dell’edilizia,
2008, IV, 1185.
371 A seguito della modifica del coma 1 dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990 nel quale sono state
sostituite le parole «indice di regola» con le parole «può indire», la decisione di convocare la
Conferenza di servizi istruttoria diviene facoltativa. Si profila, dunque, al riguardo la particolarità
della Conferenza di servizi, strumentale all’autorizzazione unica in quanto essa si rivela pur sempre
obbligatoria, quale che sia la sua qualificazione. V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 37.
145
Tuttavia, se da un lato non può contestarsi l’obbligatorietà della Conferenza
di servizi prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, atteso che il comma 3
dell’art. 12 recita che la Conferenza «è» convocata; dall’altro, però, non può
ritenersi pacifica la natura istruttoria della Conferenza, soprattutto alla luce di
quanto affermato dalle Linee Guida nazionali in merito372.
Le Linee Guida, al punto 15.1., nel prevedere che «l’autorizzazione unica,
conforme alla determinazione motivata di conclusione assunta all’esito dei lavori
della Conferenza dei servizi, sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, nulla
osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle
amministrazioni coinvolte», evidenziano il peculiare ruolo delle amministrazioni
chiamate a prendere parte alla Conferenza, che non rileva solo in termini di
manifestazione degli interessi, ma anche come effettiva partecipazione alla
formazione della decisione finale, il che risolve positivamente la questione circa la
natura decisoria della Conferenza ex art. 12.
Lo strumento della Conferenza dei servizi non ha, quindi, un valore
unicamente formale, ma è espressione, invece, di una particolare scelta legislativa
volta a rispondere all’esigenza costituzionale di rispetto delle competenze proprie
dei differenti livelli di governo373.
D’altronde, va segnalato – come chiarito anche dalla giurisprudenza
amministrativa – che, seppur una radicale semplificazione del procedimento
autorizzatorio sarebbe stata maggiormente compatibile con la natura di decisione
«monostrutturata» dell’autorizzazione e quindi con la natura istruttoria della
Conferenza, tuttavia, il terzo comma dell’art. 12, precisando che l’autorizzazione
unica è rilasciata «nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico», non
D’altronde, già prima dell’emanazione delle Linee Guida nel settembre 2010, una parte della
giurisprudenza era intervenuta qualificando la Conferenza prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/03
come Conferenza «decisoria». Cfr. Tar Campania, sez. V, sent. 16 marzo 2010, n. 1479; Tar Sicilia,
Palermo, sez. II, sent. 9 febbraio 2010, n. 1775; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 25 settembre
2009, n. 1539.
373 V. CARBONE A., Autorizzazione unica per la costruzione di impianti eolici e Conferenza di servizi: sul
valore procedimentale del dissenso qualificato, in Federalismi.it, n. 22/2012, 13 novembre 2012.
372
146
consente di prescindere dalle competenze decisorie che le suddette norme recano
in sé. Inoltre, deve essere sempre fatto salvo il carattere eventualmente preclusivo
dell’esito negativo della valutazione di impatto ambientale o della valutazione di
incidenza (quando necessarie) e quello vincolante delle prescrizioni dettate in tele
sedi, per superiore forza delle relative disposizioni comunitarie374. Per di più, alla
Conferenza, ai sensi del successivo comma 4, partecipano tutte le amministrazioni
interessate375, il che fa desumere il carattere di doverosità della presenza di tutti i
soggetti pubblici coinvolti nel procedimento autorizzatorio. Pertanto, la mancata
indizione della Conferenza dei servizi o la mancata partecipazione di
amministrazioni titolari per legge di una competenza primaria non può che
comportare l’illegittimità dell’autorizzazione unica in quanto ne risulta frustrata la
finalità propria del Legislatore di favorire la composizione degli interessi
antagonisti attraverso la predisposizione di una sede unitaria di confronto reputata
come la più idonea a superare eventuali ragioni di dissenso o di contrasto376.
V. BONARDI G. – PATRIGNANI C., Energie alternative e rinnovabili, Wolters Kluwer Italia, 2010.
Per quanto riguarda i soggetti coinvolti nella conferenza di servizi, l’art. 12 richiama la lettera e
la ratio dell’art. 14 della legge 241 del 1990 sul funzionamento della conferenza di servizi, il quale
prevede la partecipazione delle sole «autorità amministrative interessate» direttamente al
provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e beneficiarie delle garanzie
partecipative previste per i lavori della conferenza. Per l’esatta individuazione delle
«amministrazioni interessate» alla conferenza di servizi, soccorre la stessa disposizione di cui
all’articolo 14 della legge n. 241 del 1990, che circoscrive la partecipazione alla conferenza decisoria
ai soli enti cui spetta esprimere «intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati»
sull’oggetto del procedimento. Cfr. Tar Campania, Napoli, sez. V, sent. 16 marzo 2010, n. 1479. E’
quindi illegittima la disposizione che stabilisce la partecipazione di amministrazioni non
direttamente titolari di competenze in relazione all’affare da deliberare: cfr. Tar Sicilia, Palermo,
sez. II, sent. 9 febbraio 2010, n. 1775. Nella specie si trattava della Soprintendenza ai beni
paesaggistici e culturali. Ai sensi del nuovo comma 2-ter dell’art. 14-ter (comma inserito dall’art. 9,
comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69), alla Conferenza dei servizi partecipano, senza diritto
di voto, anche i gestori della rete cui si prevede di connettere l’impianto, nonché i concessionari e i
gestori di pubblici servizi nel caso in cui il procedimento amministrativo e il progetto dedotto in
conferenza abbiano effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Per quanto riguarda, invece, le
modalità di esternazione della volontà delle amministrazioni nella Conferenza di servizi vige il
principio di libertà della forma, potendo avvenire oralmente o per iscritto, anche mediante la
redazione di un testo che sia trasmesso successivamente ai lavori della conferenza, sempreché tale
redazione e trasmissione avvenga antecedentemente all’adozione del provvedimento autorizzatorio
unico. Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292.
376 Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 8 marzo 2011, n. 98. Da ultimo Tar Piemonte, sez. I, sent. 5
dicembre 2012, n. 1291.
374
375
147
Al riguarda va però precisato che, stante il rinvio operato alla legge n. 241 e
quindi anche all’articolo 14-quater, a pena di inammissibilità, l’atto di dissenso da
parte di un’amministrazione convocata deve essere reso all’interno della
Conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, e pertinente, cioè non
può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della Conferenza
medesima, nonché deve essere costruttivo, ovvero recare le specifiche indicazioni
delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso 377. Quindi, le
determinazioni delle amministrazioni interessate devono essere espresse solo in
sede di Conferenza di servizi, così da assicurare l’unicità del procedimento,
mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l’autorizzazione
unica finale378.
Ove il dissenso sia espresso, in forma vincolante, da un’amministrazione
preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storicoartistico od alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in
attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell’articolo 120
della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione procedente alla decisione del
Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la
Regione o le Regioni e le province autonome interessate, secondo il procedimento
dettato dal menzionato articolo 14-quater379.
Attraverso
il
descritto
meccanismo
della
Conferenza
di
servizi,
l’autorizzazione unica è pertanto in grado di sostituire tutti i pareri e le
autorizzazioni altrimenti necessari, incluse le valutazioni di carattere paesaggistico,
nonché quelle relative alla esistenza di vincoli storico-artistici380, assumendo
carattere omnicomprensivo ed assorbente di ogni altro provvedimento previsto da
leggi regionali381 .
Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020.
Cfr. Cons. Giust. Amm., sent. 9 dicembre 2008, n. 1006.
379 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020.
380 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020.
381 Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292 e sez. I, sent. 5 giugno 2009, n. 1597:
che l’autorizzazione unica prevista dall’art. 12 d.lgs. 387/2003 debba ritenersi omnicomprensiva e
assorbente di ogni altro procedimento (e, per traslato, di ogni altro permesso eventualmente
377
378
148
Ciò vale allora anche per il permesso di costruire. Infatti si deve rammentare
che al riguardo è solo l’autorizzazione unica il vero titolo abilitativo, peraltro
omnicomprensivo, essendo riduttivo ritenerlo equiparabile e sostitutivo del solo
titolo edilizio in quanto, anche attraverso il meccanismo di Conferenza con il
quale si perviene alla stessa autorizzazione, essa deve considerarsi come
sostitutiva, vale a dire comprendente il nulla-osta paesistico, idrogeologico, ecc., in
una con le risultanze di quanto emesso in Conferenza. Lo stesso vale anche in
tema di autorizzazioni paesaggistiche e del patrimonio storico-artistico382.
D’altronde, non avrebbe senso opinare in senso contrario, senza intaccare
quel principio di razionalizzazione e semplificazione del procedimento
autorizzatorio espresso nella Conferenza di servizi, di cui all’art. 12, che altro non
è se non la concentrazione in una unica sede di tutti gli interessi coinvolti, da
valutare in vista del perseguimento del risultato auspicato della autorizzazione
unica entro il termine previsto dalla norma stessa383.
In conclusione, merita di essere rilevato, peraltro, che la stessa disciplina
generale della Conferenza di servizi, che rappresenta il modello base per il
procedimento di autorizzazione degli impianti ad energia rinnovabile, ha
progressivamente subito, da ultimo per effetto delle modifiche introdotte dal
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, una mutazione del suo ruolo funzionale,
integrativo
rispetto
a
quello,
originario,
di
mera
semplificazione
e
384
coordinamento .
Le
tensioni
verso
un
miglioramento
dell’efficienza
dell’azione
amministrativa, infatti, hanno indotto il Legislatore a imprimerle altresì,
richiesto) non può essere revocato in dubbio. Ogni diversa interpretazione andrebbe respinta,
secondo la copiosa giurisprudenza rinvenuta, soprattutto qualora con essa si volessero far salvi i
singoli moduli procedurali concernenti i vari interessi coinvolti.
382 Per quanto riguarda, invece, la valutazione di impatto ambientale, si rinvia a quanto si dirà nel
paragrafo seguente.
383 V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 55; DURANTE N., Il procedimento autorizzativo per la
realizzazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili: complessità e spunti di riflessione, alla luce delle
recenti Linee Guida nazionali, in Giustizia-amministrativa.it, 13 maggio 2011.
384 Si veda, in tal senso CASSESE S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Rivista trimestrale di
diritto pubblico, 2001, 611 s., che ravvisa nella Conferenza una pluralità di istituti.
149
progressivamente, la funzione di meccanismo di assunzione delle decisioni
amministrative malgrado l’inerzia anche delle amministrazioni portatrici di
interessi pubblici c.d. «sensibili»385. Il passaggio dalla facoltatività all’obbligatorietà
del suo utilizzo l’hanno inoltre resa – com’era peraltro, da tempo, negli auspici
della dottrina più autorevole – un modello ordinario per l’assunzione di decisioni a
partecipazione plurima di diverse amministrazioni386.
Tale impostazione si riflette anche nel procedimento di autorizzazione unica
all’installazione di impianti di energia rinnovabile, in cui allo scopo di favorire il
funzionamento della Conferenza come luogo deputato per addivenire a una
decisione, si tenta di favorire un bilanciamento fra l’interesse ad una corretta
integrazione degli impianti nel paesaggio e quello alla tutela ambientale attraverso
la differenziazione delle fonti energetiche in adempimento degli obblighi europei.
Depongono in questo senso una serie di fattori, come ad esempio, la previsione di
cui all’art. 14-ter, comma 3-bis, della legge n. 241 del 1990 che obbliga il
sovraintendente a esprimersi in via definitiva in sede di Conferenza dei servizi; o
l’obbligo del Ministero per i beni e le attività culturali, contemplato dal punto 14.9
delle Linee Guida, di partecipare al procedimento per l’autorizzazione di impianti
di fonti rinnovabili localizzati in aree soggette a tutela; o, ancora, la previsione
introdotta dal punto 17.1 delle Linee Guida che consente alle Regioni di
procedere all’indicazioni di siti e aree non idonee.
Problemi di una certa delicatezza pone, invece, il superamento da parte
dell’amministrazione procedente, nella Conferenza di servizi, delle inerzie delle
amministrazioni preposte alla tutela degli interessi c.d. sensibili. Sulla base dell’art.
14-ter, comma 7, della legge generale sul procedimento amministrativo, infatti, la
mancata manifestazione di volontà da parte del suo rappresentante in sede di
Conferenza produce l’effetto di considerare «acquisito l’assenso» ai fini della
deliberazione finale.
Di recente, per un’analisi molto accurata dell’evoluzione del ruolo della Conferenza di servizi da
luogo di incontro e di confronto a meccanismo di decisione, v. SCIULLO G., op.cit., 10.
386 In tal senso, v. SCOCA F.G., Analisi giuridica, cit., 257; MERUSI F., Il coordinamento e la collaborazione
degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme, in Diritto amministrativo, 1993, 22.
385
150
Tuttavia, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica di cui all’art.
12 del d.lgs. n. 387 del 2003, la configurazione dell’inerzia come assenso
sottrarrebbe al bilanciamento operato all’interno del procedimento un interesse
c.d.
sensibile
curato
da un’amministrazione partecipe
alla Conferenza
potenzialmente in conflitto con quello del richiedente il provvedimento; la sua
mancata considerazione, pertanto, mina quella stessa necessità di completezza e
serietà dell’istruttoria che il Legislatore implicitamente richiede, in considerazione
della rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti nel procedimento387.
La considerazione delle inerzie come acquisizione dell’assenso delle relative
amministrazioni
si
concretizzerebbe
nella
sottrazione
di
interessi
costituzionalmente rilevanti da un equilibrato apprezzamento della situazione
concreta sia pure per evitare che paralizzino l’assunzione della decisione.
All’interesse del proponente si assicurerebbe, in tal modo, una prevalenza
pregiudiziale rispetto ad altri interessi, pur costituzionalmente rilevanti388.
Al tempo stesso, però, non si ritiene neppure che tale inerzia, che
costituisce, fra l’altro, una lesione del principio di leale cooperazione istituzionale
esistente fra amministrazioni pubbliche, possa precludere all’amministrazione
procedente un’assunzione della decisione finale.
Considerata la rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti, si reputa
quindi che la scelta dell’amministrazione di addivenire comunque alla decisione,
pur in presenza dell’inerzia di un’amministrazione portatrice di uno di questi
interessi, debba essere subito comunicata a questa per consentirgli di manifestare
tempestivamente il proprio esplicito dissenso. Inoltre, tale scelta dovrà comunque
V. COCCONI M., Promozione europea, cit.
Il sacrificio della ponderazione di tali interessi costituzionali è in contrasto con quella
giurisprudenza della Corte costituzionale che, dalla loro primarietà sul piano costituzionale, fa
discendere non tanto una loro primazia assoluta in un’ipotetica gerarchia di valori ma, piuttosto, la
necessità di una loro rappresentazione obbligata nei concreti bilanciamenti operati sia dal
Legislatore sia dall’amministrazione. Più specificamente, una considerazione obbligata
dell’interesse ambientale dell’esercizio del potere discrezionale scaturisce, peraltro, quale effetto
diretto di un’applicazione all’azione amministrativa del principio d’integrazione che, sulla base
dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990, costituisce ormai un principio generale dell’attività
amministrativa.
387
388
151
essere adeguatamente motivata proprio alla luce della necessaria considerazione di
tale interesse alla luce delle conoscenze che ha acquisito l’amministrazione
procedente sia pure allo stato degli atti, in assenza di una determinazione
definitiva dell’amministrazione portatrice dell’interesse stesso.
A favore di una tale interpretazione, oltre alla trasformazione sotto il profilo
funzionale, già evidenziata, della Conferenza di servizi come meccanismo di
assunzione delle decisioni amministrative nonostante il silenzio di amministrazioni
portatrici di interessi costituzionalmente qualificati, rileva anche la speciale
importanza che assume, nel caso degli impianti di energia rinnovabile, la
conclusione effettiva e celere del procedimento alla luce del rispetto degli obblighi
europei ed internazionali389.
3.1.3. Il rapporto tra VIA e autorizzazione unica.
La procedura di valutazione di impatto ambientale, così come prevista dal
d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) che ha disciplinato in maniera
organica e compiuta detto istituto, «ha finalità di assicurare che l’attività antropica
sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel
rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della
salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione dei vantaggi connessi
all’attività economica» (art. 4, comma 3, T.U.A.).
L’obiettivo della VIA è quindi quello di dare concreta attuazione ad uno
sviluppo economico, per l’appunto, sostenibile, mediante lo svolgimento di una
procedura valutativa degli effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi
progettuali.
Verso l’interpretazione prospettata depone anche l’applicazione del principio costituzionale del
buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, inteso sia in termini di efficienza dell’azione
amministrativa che, in seno all’evoluzione funzionale subita dall’istituto della Conferenza di servizi,
non tollera situazioni paralizzanti, sia in termini di efficacia, riconoscibile in un equilibrato ed
imparziale apprezzamento di tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco nella situazione
concreta. L’equilibrio insito in tale principio, peraltro, come già rilevato, assume una particolare
coloritura nei procedimenti in esame, laddove sia l’efficienza sia l’efficacia dell’attività
amministrativa concretizzano l’adempimento di obblighi europei ed internazionali. V. COCCONI
M., op.ult.cit., 58.
389
152
La VIA rientra, dunque, tra quegli strumenti giuridici approntati dal
Legislatore per realizzare il necessario contemperamento tra le esigenze di
sviluppo e di progresso economico, da un lato, e le esigenze di tutela ambientale,
dall’altro390.
Le suddette finalità della VIA vengono oggi ribadite in modo chiaro e
completo dall’art. 4, comma 4, del T.U.A., a norma del quale con tale procedura si
vuole «proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla
qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità
di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita»391.
La VIA è, dunque, per sua natura e configurazione normativa, un mezzo
preventivo di tutela dell’ambiente, che deve svolgersi prima rispetto
all’approvazione del progetto (il quale deve essere modificato secondo le
prescrizioni intese ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa dell’opera progettata)
e, conseguentemente, prima della realizzazione dell’opera (fisiologicamente
successiva all’approvazione del progetto)392.
La natura ontologicamente preventiva della VIA è costantemente affermata
tanto dalla giurisprudenza comunitaria393, quanto da quella nazionale394. La Corte
V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 55. In dottrina si è acutamente osservato che la VIA è un
istituto giuridico a collocazione trasversale in considerazione della sua attitudine a far emergere lo
stretto legame tra gli interessi e valori attinenti all’ambiente e quelli di matrice urbanistica
concernenti il governo del territorio, v. FERRARA R., La valutazione di impatto ambientale, Padova,
2000.
391 In senso analogo, l’art. 184, comma 1, del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006),
in tema di grandi opere descrive nel seguente modo il contenuto della VIA: «La valutazione di
impatto ambientale individua gli effetti diretti e indiretti di un progetto e delle sue principali
alternative, compresa l’alternativa zero, sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di
superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione fra detti fattori, nonché
sui beni materiali e sul patrimonio culturale, sociale e ambientale e valuta inoltre le condizioni per
la realizzazione e l’esercizio delle opere e degli impianti».
392 Cfr. Tar Sicilia, sent. 20 gennaio 2010, n. 583.
393 Cfr. Corte Giustizia europea, sez. II, sent. 3 luglio 2008, nella causa C-215/06, secondo cui
«viola la direttiva del Consiglio 27 ambientale, richiesto dalla stessa direttiva per la realizzazione di
determinati lavori o impianti pubblici e privati, mediante l’ottenimento di un permesso di
regolarizzazione che consente, in particolare, di lasciar sussistere un progetto non regolarmente
autorizzato in via preventiva, a condizione che la domanda per il rilascio di tale permesso sia
presentata prima dell’avvio di un procedimento sanzionatorio»; nonché Corte Giustizia europea,
sez. II, sent. 5 luglio 2007, nella causa C-255/05, secondo cui: «la procedura di valutazione di
impatto ambientale degli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi previsti dall’allegato I,
390
153
di Giustizia delle Comunità europee, in accoglimento del principio di precauzione
e di prevenzione di matrice comunitaria, ha spesso affermato infatti che la
valutazione di impatto ambientale deve essere condotta non appena sia possibile
individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può produrre sull’ambiente395
e comunque «subito», alla stregua del primo considerando della direttiva
85/337/CEE 396, cioè prima dell’autorizzazione ovvero della decisione che
conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto397. Ne consegue che
una VIA postuma all’autorizzazione dell’opera e allo svolgimento dei lavori
(«naturalmente» successivi all’autorizzazione dell’opera) deve considerarsi
illegittima, perché adottata in violazione dei precetti comunitari e nazionali
improntati ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale398.
È pacifico in giurisprudenza altresì che la valutazione di impatto ambientale
non costituisce un mero giudizio tecnico suscettibile di controllo sulla base di
oggettivi criteri di misurazione, ma presenta profili particolarmente intensi di
punto 10 della direttiva 85/337/CEE deve essere effettuata prima di concedere l’autorizzazione a
costruire gli impianti medesimi».
394 Cfr. Tar Liguria, Genova, sez. I, sent. 15 giugno 2006, n. 563; nonché Tar Puglia, Bari, sez. I,
sent. 10 aprile 2008, n. 894; Tar Liguria, Genova, sez. I, sent. 16 febbraio 2008, n. 306; Tar
Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 11 agosto 2007, n. 726.
395 V. GRATANI A., L’autorizzazione a realizzare progetti pubblici e privati senza una preventiva disamina
ambientale deve essere annullata ed il sito ripristinato, nota a Corte UE, sez. VI, 2 giugno 2005, in C83/03, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2005, 1027; BOSCOLO E., Nozione comunitaria di autorizzazione e
v.i.a., nota a Corte UE, sez. V, sent. 7 gennaio 2004, in C-201/02, in Urbanistica e appalti, 2004, 415
ss.
396 La direttiva 85/337/CEE concerne la valutazione dell’impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati. Sul punto, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha statuito, con
sentenza, C-215/06, del 3 luglio 2008, che: «ai sensi dell’art. 2, n. 1 della citata direttiva gli Stati
membri devono garantire che i progetti rientranti nell’ambito di applicazione della stessa e per i
quali in relazione alla natura, dimensioni e ubicazione si preveda un notevole impatto ambientale,
vengono sottoposti ad uno studio del loro impatto prima di ottenere la relativa autorizzazione, che
consiste in una decisione dell’autorità competente che conferisce al committente il diritto di
realizzare il progetto. Ne consegue che i progetti per i quali è richiesta l’indicata valutazione di
impatto ambientale devono, in forza degli artt. 2, n. 1, e 4 nn. 1 e 2, della direttiva 85/337/CEE
s.m.i., essere individuati e formare oggetto di una specifica domanda di autorizzazione e della
suddetta valutazione di impatto ambientale prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione,
pena la violazione dei precetti contenuti nella richiamata direttiva». V. OLIVIERO E., Valutazione di
impatto ambientale e energie rinnovabili, in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 2009.
397 V. GRATANI A., La v.i.a. deve precedere i provvedimenti nazionali, nota a Cons. Stato, sez. IV, sent. 5
settembre 2003 n. 4970, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2004, 253.
398 V. CERRUTO S.R., Fonti energetiche rinnovabili e valutazione di impatto ambientale: un rapporto controverso,
in Ambiente & Sviluppo, 10, 2010, 835 ss.
154
discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici
in rilievo e, secondo talune pronunce399, è connotata più precisamente da
discrezionalità mista (cioè al contempo amministrativa e tecnica); come tale essa
risulta sindacabile dal giudice amministrativo soltanto quando le scelte compiute
dall’amministrazione risultino affette da gravi e manifesti vizi di illogicità,
incongruenza o irrazionalità400.
Trattasi, dunque, di un processo complesso che si articola nei seguenti
passaggi fondamentali: lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (ma solo
nelle ipotesi indicate dalla legge); la definizione di contenuti dello studio di
impatto ambientale; la presentazione e la pubblicazione del progetto; lo
svolgimento di consultazioni; la valutazione dello studio ambientale e degli esiti
delle consultazioni; la decisione (da adottare, di norma, entro 150 giorni o al
massimo entro 330 giorni in ipotesi di accertamenti e indagini di particolare
complessità); la pubblicazione ed infine il monitoraggio sugli impatti ambientali
(artt. 19 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006)401.
Nel caso di installazione ed esercizio di impianti alimentati da fonti
rinnovabili, ben può accadere che l’impianto sottoposto ad autorizzazione unica
ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 sia da assoggettare anche a valutazione di impatto
ambientale402. In tale evenienza, si pone, pertanto, il problema di come coordinare
tra loro le due procedure.
Cfr. Tar Puglia, sez. I, sent. 21 gennaio 2004, n. 171, la quale a sua volta rinvia a: Cons. Stato,
sez. IV, sent. 14 maggio 2001, n. 2661; Tar Molise, sent. 28 agosto 2003, n. 659; Tar Lazio, sez. II,
sent. 2 luglio 2002, n. 6076. Nel medesimo senso anche Tar Sardegna, sez. II, sent. 18 dicembre
2008, n. 2183 il quale soggiunge che secondo il pacifico indirizzo giurisprudenziale «la competenza
ad emettere il provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione d’impatto ambientale,
stante la sua natura tecnico discrezionale, rientra nell’esclusiva competenza del dirigente
dell’ufficio, non essendo in esso coinvolti profili di direzione o indirizzo politico che esulino dalla
gestione amministrativa».
400 In tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 21 novembre 2007, n. 5910; Tar Lazio, sez. I, sent. 13
giugno 2007, n. 5403; Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 maggio 2006, n. 2851; Cons. Stato, sez. VI,
sent. 11 febbraio 2004, n. 458.
401 V. CERRUTO S.R., op.cit., 835.
402 Al fine di sapere quali impianti alimentati da fonti rinnovabili sono assoggettati a VIA e quali
invece sono esenti, l’interprete è chiamato ad un minuzioso e paziente lavoro di coordinamento
della normativa nazionale (Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006) e delle specifiche normative regionali:
(si rinvia, a proposito, a REZZONICO S. – TUCCI G., La «VIA» alle rinnovabili dipende dalle Regioni,
399
155
Originariamente, il d.lgs. n. 387 del 2003 non contemplava espressamente
questa ipotesi403, con la conseguenza che al riguardo si prendevano in
considerazione gli approdi della giurisprudenza in merito.
In tema si registravano, per un verso, pronunce che tendevano a valorizzare
l’autonomia della procedura di VIA rispetto al procedimento unico, nello
specifico affermando che: «la procedura di VIA costituisce un procedimento
autonomo rispetto a quello finalizzato all’autorizzazione dell’impianto nel suo
complesso di cui al d.lgs. 387/2003» e quindi si tratta di una procedura esterna
rispetto ai lavori della Conferenza di servizi404. Per altro verso, invece, un diverso
filone giurisprudenziale era incline a configurare il procedimento di VIA come
interno a quello contemplato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, quindi come
tale privo di rilevanza esterna autonoma.
·
·
articolo pubblicato su il Sole 24 ore del 6 aprile 2009) con l’avvertenza che qualora il progetto
ricada anche parzialmente in aree naturali protette (di cui alla legge n. 394 del 1991) di norma si
procede automaticamente a VIA, o comunque diventano più severi e stringenti i requisiti richiesti
all’impianto per l’esenzione dalla VIA stessa. Stando alla disciplina nazionale ci si limita ad
evidenziare che negli allegati della parte II del T.U.A. a seguito delle modifiche introdotte dalla
legge n. 99 del 2009 figurano:
tra i progetti sottoposti a VIA in sede statale, gli impianti eolici per la produzione di energia
elettrica ubicati in mare, previsti alla voce 7-bis dell’allegato II;
tra i progetti da sottoporre alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale (allegato
IV), gli «impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore e acqua calda con
potenza complessiva superiore a 1MW» (n. 2, lett. c) nonché gli «impianti industriali per la
produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento con potenza superiore a 1 MW» (n. 2,
lett. e).
Da ultimo, va segnalato che nell’allegato III (come sostituito dal correttivo d.lgs. n. 4/2008 alla
voce c-bis) tra i progetti sottoposti a VIA regionale erano contemplati gli «impianti eolici per la
produzione di energia elettrica, con procedimento nel quale è prevista la partecipazione
obbligatoria del rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali»; tuttavia a seguito
delle modifiche introdotte dall’art. 42 della legge 99/2009 il riferimento agli impianti eolici è
scomparso ed ora sono previsti gli impianti termici per la produzione di energia elettrica sulla
terraferma, con procedimento nel quale è prevista la partecipazione obbligatoria del rappresentante
del Ministero per i beni e le attività culturali.
403 A differenza di quanto era previsto per le centrali termoelettriche dal d.l. n. 77 del 2002,
convertito in legge n. 55 del 2002 che all’art. 1, comma 2, statuiva: «L’esito positivo della VIA
costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio. L’istruttoria si
conclude in ogni caso una volta acquisita la VIA, entro il termine di 180 giorni dalla data di
presentazione della richiesta, comprensiva del progetto preliminare e dello studio di impatto
ambientale».
404 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 marzo 2009, n. 1213.
156
Secondo il primo orientamento giurisprudenziale, la conferma normativa
dell’autonomia del procedimento di VIA era desumibile dal comma 4 dell’art. 14ter della legge n. 241, il quale prevede che «nei casi in cui sia richiesta la VIA, la
Conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il
termine resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione
della pronuncia di compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine
previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente
si esprime in sede di Conferenza di servizi, la quale si conclude nel termine di
trenta giorni successivi al termine predetto». In via ordinaria, quindi, la pronuncia
in sede VIA andava intesa in modo autonomo rispetto ai lavori della Conferenza
stessa (ed all’esito di un autonomo procedimento), mentre invece l’ipotesi in cui
tale pronuncia venisse «internalizzata» nell’ambito del procedimento principale era
limitata alle ipotesi «patologiche» in cui la pronuncia in sede di VIA non veniva
resa entro i termini all’uopo previsti405. Tale orientamento è stato ribadito anche
dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui la VIA è da considerare
come sub-procedimento autonomo, «in quanto destinato a tutelare un interesse
specifico (quello alla tutela dell’ambiente)»406. Quindi, nel caso di specie, una volta
presentata l’istanza di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387
del 2003, l’autorità competente in materia di VIA doveva obbligatoriamente
concludere il procedimento di compatibilità ambientale nel termine di novanta
giorni (ai sensi dell’art. 14-ter, legge n. 241 del 1990, il quale risulta applicabile, in
virtù del richiamo di cui all’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003, ai principi di
Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, sent. 10 gennaio, n. 59. Nello stesso senso, Tar Lombardia,
Brescia, sent. 5 dicembre 2006, n. 1537; Tar Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 22 maggio 2009, n. 955;
Tar Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 8 luglio 2009, n. 1209. In proposito V. CARINGELLA F., Corso di
diritto amministrativo, Milano, 2005, II, 1593 ss., secondo il quale: «nei procedimenti in cui è richiesta
la VIA, la conferenza di servizi, benché riunita prima dell’adozione del provvedimento sulla
valutazione di impatto ambientale, attende di conoscere tale determinazione per esprimersi. Nel
caso, però, la valutazione non venga adottata nei termini per l’adozione del provvedimento,
l’amministrazione competente si esprime all’interno della conferenza; in tal caso la conferenza si
conclude nei trenta giorni successivi al decorso del termine entro cui doveva essere adottata la
VIA. Rimane tuttavia ferma la possibilità che la conferenza, a maggioranza dei partecipanti,
deliberi la proroga di altri trenta giorni per esigenze istruttorie».
406 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 marzo 2009, n. 1213.
405
157
semplificazione e alle modalità della legge n. 241), in luogo dei più ampi termini di
centocinquanta o trecentotrenta giorni, previsti dall’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 4
del 2008, trattandosi, nella specie, di disciplina speciale, finalizzata alla
realizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, qualificati
dall’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 387 del 2003 come di pubblica utilità, indifferibili e
urgenti. Una volta acquisita la VIA, l’amministrazione competente in ordine al
rilascio dell’autorizzazione ex art. 12, non richiede ulteriori acquisizioni istruttorie,
in quanto dispone «di un necessario presupposto attizio»407.
Il secondo orientamento giurisprudenziale, incline a configurare il
procedimento di VIA come interno a quello contemplato dall’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003, e quindi come tale privo di rilevanza esterna autonoma, riteneva
invece che alla luce del disposto del comma 3 dell’art. 12 (che impone il rispetto
delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e
del patrimonio storico-artistico) il procedimento autorizzatorio per la
realizzazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili doveva
coordinarsi, tra gli altri, anche con il «sub-procedimento inteso alla verifica di
assoggettabilità alla valutazione d’impatto ambientale, come disciplinata dalla
normativa statale e regionale»408. La VIA veniva di conseguenza inquadrata come
un sub-procedimento, ovvero sia come un mero procedimento interno rispetto al
procedimento principale nell’ambito del quale era destinato a confluire. Veniva
infatti evidenziato che il procedimento unico dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003,
dominato dalla Conferenza di servizi, ha carattere omnicomprensivo e quindi
assorbe ogni altro procedimento, ivi incluso quello relativo alla VIA: «la
valutazione di impatto ambientale non è affatto esclusa dalla novella di cui all’art.
12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ma va effettuata in seno alla Conferenza di servizi,
407
408
Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, sent. 10 gennaio 2008, n. 59.
Cfr. Tar Puglia, Bari, sez. III, sent. 11 settembre 2007, n. 2107.
158
pena la vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale la stessa deve
concludersi»409.
La soluzione della delineata questione a favore di uno dei due orientamenti
sopraesposti produce dirette conseguenze sul regime di impugnabilità del giudizio
di VIA. E infatti se si aderisce alla tesi dell’autonomia del procedimento di VIA
occorre riconoscere che esso sfocia in un provvedimento già di per sé
immediatamente impugnabile; al contrario, laddove si preferisca configurarlo
come sub-procedimento interno, la valutazione di compatibilità ambientale è
suscettibile di impugnazione solamente insieme alla delibera regionale di rilascio o
diniego dell’autorizzazione unica410.
Da un lato, la tesi dell’autonomia del procedimento di VIA presenta un più
alto grado di persuasività in quanto maggiormente in sintonia con i principi
ricavabili dalla disciplina generale sul procedimento amministrativo dettata dalla
legge n. 241 del 1990; dall’altro lato, però, l’orientamento interpretativo che fa
assurgere la VIA al rango di procedimento interno alla Conferenza di servizi, di
sicuro, ha il merito di valorizzare adeguatamente il principio di omnicomprensività
ed assorbenza che ispira il procedimento unico di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387
del 2003.
Il delicato rapporto tra VIA e autorizzazione unica dovrebbe infatti tener
conto sia dell’obbligo di attuare la semplificazione procedurale imposta dalla
normativa in tema di fonti rinnovabili, anche nelle ipotesi di impianti aventi un
impatto ambientale, sia dalla necessità di valorizzare la comune ratio di tutela
ambientale delle due procedure. Considerato, altresì, che il termine di conclusione
del procedimento di autorizzazione unica è stato considerato dal giudice
Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292 e Tar Sicilia Palermo, sez. III, sent.
19 febbraio 2009, n. 368. Il contrasto di posizioni che emerge in giurisprudenza è rinvenibile anche
in dottrina. A favore del carattere «decisorio» della pronuncia di VIA si è espresso CONTI G., La
valutazione di impatto ambientale, Padova, 1990, 45; in senso difforme considera il procedimento di
VIA come sub-procedimento, tra gli altri DELL’ANNO P., Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003,
711.
410 V. CERRUTO S.R., op.cit., 839.
409
159
costituzionale411 alla stregua di principio fondamentale della legislazione statale in
materia di energia, si potrebbe allora concludere che l’amministrazione debba
inderogabilmente uniformarsi a detto principio anche nelle ipotesi in cui il termine
di conclusione del connesso (ed eventuale) procedimento di VIA risulti pari o
superiore – per espressa previsione di normative regionali – a quello previsto dalla
citata normativa statale in tema di energie rinnovabili.
Con l’emanazione delle Linee Guida nazionali, sembra emergere la volontà
di chiarire meglio il rapporto tra VIA e autorizzazione unica. Al riguardo, il punto
14.13 stabilisce che «gli esiti delle procedure di verifica di assoggettabilità o di
valutazione di impatto ambientale, comprensive, ove previsto, della valutazione di
incidenza nonché di tutti gli atti autorizzatori comunque denominati in materia
ambientale di cui all’art. 26 del d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni e
integrazioni, sono contenuti in provvedimenti espressi e motivati che
confluiscono nella Conferenza dei servizi».
L’utilizzo del termine «confluire» sembra deporre per la qualificazione della
procedura di VIA non come procedimento autonomo, ma invece come subprocedimento interno alla Conferenza di servizi412.
Da ultimo, però, il d.lgs. n. 28 del 2011 è intervenuto sull’argomento e, nel
rideterminare il termine di conclusione del procedimento, «fa salvo il previo
espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto
preliminare di cui all’art. 20 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i.».
Cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006.
Inoltre le Linee Guida continuano poi stabilendo che «ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 4,
della legge n. 241 del 1990, i lavori della Conferenza di servizi rimangono sospesi fino al termine
prescritto per la conclusione di dette procedure. Decorso il termine di cui all’articolo 20 del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ovvero delle norme
regionali di attuazione, senza che sia intervenuto un provvedimento esplicito sulla verifica di
assoggettabilità, il responsabile del procedimento convoca l'autorità competente affinché si
esprima nella conferenza dei servizi. L’inutile decorso del termine di cui all’articolo 26, comma 2,
del medesimo decreto legislativo n 152 del 2006, ovvero dei diversi termini previsti dalle norme
regionali di attuazione, per la decisione in materia di valutazione di impatto ambientale implica
l'esercizio del potere sostitutivo di cui al medesimo articolo 26, comma 2».
411
412
160
L’incipit di questa disposizione è stata oggetto di numerose interpretazioni in
quanto sembrerebbe lasciare intendere la necessità di svolgere la verifica di
assoggettabilità prima di poter presentare la domanda di autorizzazione unica413.
A conferma di questo orientamento, deporrebbe il fatto che la verifica di
assoggettabilità alla VIA (c.d. screening) viene fatta sul progetto preliminare
dell’impianto, mentre in allegato alla domanda di autorizzazione unica va
presentato il progetto definitivo. Dunque, se il risultato della verifica è positivo e
quindi non occorre effettuare la VIA, il procedimento unico si chiude entro 90
giorni, comprensivi dello screening. Se invece il risultato della verifica è negativo e
quindi occorre effettuare la VIA, il procedimento viene avviato e il termine
massimo di 90 giorni è da considerare al netto dei termini (150 giorni) per la
conclusione del procedimento di VIA414. In altre parole, prima di presentare la
domanda di autorizzazione unica, andrebbe presentata, alla struttura regionale o
provinciale competente, la domanda di verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d.
screening) e la relativa procedura andrebbe chiusa prima di presentare domanda di
autorizzazione unica (questo sarebbe il senso dell’inciso «previo espletamento»)415.
Una simile conclusione, però, è evidentemente in contrasto con il punto
14.13 delle Linee Guida, secondo il quale gli esiti delle procedure di verifica di
assoggettabilità «confluiscono» nella Conferenza dei servizi, e anche – se vogliamo
– con la ratio stessa del procedimento unificato, volto a far confluire tutte le
procedure in un unico modulo procedimentale416.
In altre parole, prima di presentare la domanda di autorizzazione unica, andrebbe presentata,
alla struttura regionale o provinciale competente, la domanda di verifica di assoggettabilità alla VIA
(cosiddetto screening) e la relativa procedura andrebbe chiusa prima di presentare domanda di
autorizzazione unica (questo sarebbe il senso dell’inciso «previo espletamento»). V. RAGAZZO M.,
Il d.lgs. 28/2011: promozione delle fonti energetiche rinnovabili o … moratoria de facto?, in Urbanistica e
appalti, 6, 2011.
414 V. PETRUCCI F., Dlgs 28/2011: screening VIA prima della AU?, in Nextville.it, 1 aprile 2011.
415
V. RAGAZZO M., op.ult.cit.
416 V. RAGAZZO M., op.ult.cit.
413
161
Anche se non esplicitato dal Legislatore417, si potrebbe allora ipotizzare,
nell’intento di dare una interpretazione che coniughi la recente modifica apportata
dal d.lgs. Rinnovabili con il testo delle Linee Guida, che il proponente debba
allegare alla domanda di autorizzazione unica l’esito dello screening (sia esso
positivo o negativo) e che, in caso di esito negativo, nell’ambito del procedimento
unico si innesti il sub-procedimento di VIA418.
La valutazione d’impatto ambientale non può costituire una nuova
autorizzazione, ma va inserita nel contesto del procedimento di approvazione del
progetto, prima del rilascio del provvedimento che ne consente la realizzazione o
la costituzione. Essa ha, dunque, natura di atto endo-procedimentale419, al quale la
legge ha assegnato il ruolo di «parere» obbligatorio420, il cui eventuale esito
positivo s’inserisce nel procedimento principale, quale «fatto giuridico
permissivo», consentendone il proseguimento e la conclusione421.
Una soluzione analoga a quella espressa dal nuovo d.lgs. Rinnovabili è peraltro stata adottata in
Emilia Romagna, dove le province, titolari del procedimento di autorizzazione unica, chiedono al
proponente di effettuare la verifica di assoggettabilità dell'impianto prima di presentare la
domanda. Se la verifica è positiva (il progetto non va assoggettato a VIA) il proponente presenta
domanda di autorizzazione unica, allegando il documento di non assoggettabilità. In caso di
verifica negativa invece, viene avviata – sempre dal proponente – la procedura di VIA. E questa, a
sua volta «ingloba» l’autorizzazione unica. L’articolo 17, comma 2, della legge regionale n. 9 del
1999 stabilisce: «2. La valutazione di impatto ambientale (VIA) positiva (...) comprende e
sostituisce tutte le intese, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i pareri, i nullaosta, gli assensi
comunque denominati, necessari per la realizzazione del progetto in base alla vigente normativa.
Essa ha altresì il valore di concessione edilizia qualora il Comune territorialmente competente,
valutata la sussistenza di tutti i requisiti ed ottenuti i pareri, le autorizzazioni ed i nullaosta cui è
subordinato il suo rilascio, si sia espresso positivamente». Si tratta di un modus operandi esattamente
contrario a quanto previsto dalle Linee Guida nazionali, ma che sembra essere stato seguito in
parte anche dal Legislatore nazionale. Solo in parte, però, perché il comma 2 dell'articolo 5 del
d.lgs. n. 28/2011 non specifica che la VIA «ingloba e sostituisce» l’autorizzazione unica. Inutile
dire che tutto questo non contribuisce a quella chiarezza e uniformità dei procedimenti
autorizzatori su tutto il territorio nazionale auspicata da tutti gli operatori. V. sul punto, PETRUCCI
F., op.ult.cit.
418 V. sul punto, PETRUCCI F., op.ult.cit.
419 V. ASSINI - VISCIOLA, Codice dell’ambiente, 2011; DELL’ANNO P., op.cit. Cfr. anche Cons. Stato,
sez. IV, sent. 19 luglio 1993, n. 741 e Tar Puglia, sez. I, sent. 23 settembre 1995, n. 950.
420 Sulla natura di parere della VIA, si veda Tar Umbria, sent. 13 novembre 1997, n. 559
421 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 741 del 1995; nonché Tar Lazio, sez. II-bis, sent. 22 maggio
1998, n. 2722. La natura giuridica della VIA viene dunque rinvenuta in una manifestazione di
giudizio, e non di volontà amministrativa: cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 giugno 1995, n. 553; Tar
Liguria, sent. 18 giugno 1992, n. 291.
417
162
3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS.
Originariamente, il comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003422
prevedeva, secondo un criterio residuale che si basava sulla potenza degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili423, l’applicazione di una procedura, per così dire
«semplificata», ovvero sia la denuncia di inizio attività, di cui agli artt. 22 e 23 del
DPR n. 380 del 2001 (T.U. edilizia)424.
Il soggetto proponente doveva presentare allo sportello unico del Comune
ove era localizzato l’impianto la relativa «denuncia» almeno 30 giorni prima
dell’avvio dei lavori. La denuncia di inizio attività doveva essere accompagnata da
una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni
elaborati progettuali, che asseverava la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie. Inoltre era corredata dall’indicazione dell’impresa cui si
intendeva affidare i lavori.
Una volta ricevuta la DIA, comprensiva dei suddetti documenti e
autorizzazioni, l’amministrazione comunale, nella persona del responsabile del
procedimento, verificava antro 30 giorni la correttezza della qualificazione
dell’intervento (e cioè se quest’ultimo rientrava o meno tra gli impianti
Periodo aggiunto dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. L’impianto
energetico potrà essere realizzato ed avviato all’esercizio previa denuncia di inizio attività ex artt.
22 e 23 del DPR n. 380/2001, qualora l’energia prodotta dalla singola tipologia di fonte
rinnovabile (o meglio la capacità di generazione di quest’ultima) superi la soglia di riferimento
fissata dalla tabella A allegata al d.lgs. n. 387/2003. In questi casi la DIA segue la medesima
procedura prescritta per qualsiasi altro intervento edilizio sottoposto alla denuncia di inizio attività
ex artt. 22 23 del DPR n. 380/2001.
423 Si trattava di impianti con capacità di generazione inferiore alle soglie di legge (di cui alla tabella
A del d.lgs. n. 387/2003).
424 La procedura della denuncia di inizio attività prima esaminata, secondo il tradizionale
insegnamento dottrinale e giurisprudenziale, ha rappresentato un’attuazione in ambito urbanisticoedilizio della «dichiarazione di inizio attività» disciplinato dall’art. 19 della legge sul procedimento
amministrativo n. 241 del 1990. Ed invero la denuncia ex artt. 22 e 23 del DPR n. 380/2001, sin
dalla sua entrata in vigore, è stata interpretata come un particolare strumento volto ad agevolare (o
meglio, liberalizzare) determinate attività private, mediante la sostituzione dei tradizionali atti di
consenso della pubblica amministrazione con una semplice dichiarazione dell’interessato.
422
163
assoggettabili a DIA), la sussistenza dei presupposti della procedura e il rispetto
delle prescrizioni di legge.
Qualora tra le autorizzazioni occorrenti rientravano anche provvedimenti di
competenza (anche in via di delega) dello stesso Comune cui era inoltrata la
denuncia, il suddetto termine di 30 giorni decorreva dal rilascio del relativo atto di
assenso e, ove tale atto non fosse favorevole, la denuncia era priva di effetti.
Le Linee Guida nazionali, prima, e il d.lgs. n. 28 del 2011, poi, hanno
apportato alcune sostanziali modifiche ai procedimenti amministrativi di
autorizzazione degli impianti di produzione dell’energia alternativa. La prima di
queste novità – come anticipato – è stata proprio l’inversione di tendenza, rispetto
al
passato,
di
riconoscere
carattere
generale
alle
procedure
diverse
dall’autorizzazione unica.
Pertanto, a partire dalle Linee Guida del 2010, la denuncia di inizio attività
diviene la regola generale e, quindi, nel rispetto del principio di non aggravamento
del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, per tutti
gli interventi soggetti a DIA è esclusa all’autorità competente la possibilità di
richiedere l’attivazione del procedimento unico; anche se era comunque
consentito al proponente di optare sin dall’inizio per il procedimento unico425, in
alternativa alla DIA.
All’indomani dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha
interamente riscritto la norma generale sulla DIA nella legge n. 241 del 1990,
sostituendola con la «segnalazione certificata di inizio attività» (SCIA), si pose la
questione della compatibilità di quest’ultima con la procedura di DIA prevista dal
d.lgs. n. 387 del 2003.
La scelta dell’autorizzazione unica anziché della DIA, pur potendo risultare evidentemente più
dispendiosa in termini di tempistica procedurale, potrà rivelarsi comunque utile qualora l’impianto
da realizzare vada assoggettato, in ragione della sua tipologia e ubicazione, a molteplici
autorizzazioni – a tutela di profili ambientali, paesaggistici, di incolumità pubblica, ecc. – non
coperte, ovviamente dalla DIA e che inciderebbero comunque sui termini di presentazione della
DIA: quest’ultima, in tale ipotesi, potrebbe essere infatti presentata all’amministrazione comunale
solo dopo aver acquisito tutte le prescritte autorizzazioni.
425
164
Secondo la vigente disciplina, infatti, l’attività oggetto della SCIA può essere
avviata immediatamente dopo la presentazione della segnalazione alla pubblica
amministrazione competente, senza attendere il termine di 30 giorni entro il quale
l’amministrazione – ai sensi della precedente formulazione dell’art. 19 – poteva
impedire l’espletamento dell’attività dichiarata. Per bloccare l’attività «segnalata»,
l’amministrazione oggi può intervenire solo ex post, e cioè entro 60 giorni
dall’inizio della stessa per adottare un provvedimento di sospensione e ordinare,
se necessario, la rimozione degli effetti dell’intervento svolto426.
Alla luce del sopravvenuto contesto normativo, restava quindi da chiedersi
quale fosse la sorte della DIA di cui al DPR n. 380 del 2001, ivi compresa quella
relativa all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, e cioè se
quest’ultima continuava a restare in vigore in ragione del peculiare settore
urbanistico-edilizio che era chiamato a «presidiare» o se, invece, cedeva anch’essa
il passo alla nuova SCIA.
Dalla lettura della legge che ha riscritto l’articolo 19 sembra doversi
propendere per l’avvenuta abrogazione della DIA. Ai sensi infatti del comma 4-ter
dell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, introdotto dalla legge di conversione n. 122 del
2010, la nuova disciplina «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio
di attività recata da ogni normativa statale e regionale».
Alcuni, però, secondo ragioni di buon senso, prima ancora che di diritto,
hanno auspicato la non immediata abrogazione della DIA427. Infatti, se è vero che
la previsione dell’inizio immediato dell’attività segnalata ha un modesto impatto in
termini di «buona ed efficace amministrazione» ai sensi dell’art. 97 Cost. nel caso
Viene così radicalmente modificata la sequenza procedimentale della DIA come sino ad oggi
conosciuta: alla dichiarazione (oggi segnalazione) del privato oggi non segue più la fase di controllo
della P.a. competente di tutti i presupposti, condizioni e prescrizioni di legge per l’avvio di quella
determinata attività, ma direttamente l’avvio dell’opera. In sintesi, le fasi della nuova catena
procedimentale risultano così disposti: 1) segnalazione di inizio attività; 2) avvio dell’attività
segnalata; 3) controllo della P.a.; 4) eventuale provvedimento di sospensione dell’attività o
rimozione dei suoi effetti.
427 V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 69.
426
165
di «attività di servizi» (che non producono, in quanto tali, conseguenze stabili e
radicate sul territorio), è altrettanto vero che, nella diversa ipotesi di attività
urbanistico-edilizie, la possibilità di un controllo solo postumo e non anche
preventivo sulle modalità realizzative (e prima ancora sulla localizzazione) dei
manufatti edilizi prescelte dal privato potrebbe comportare effetti nefasti per il
territorio. Del resto, nell’arco dei 60 giorni concessi alla pubblica amministrazione
per controllare ed eventualmente bloccare l’attività, ben potrebbero essere
realizzati manufatti stabili con conseguenti gravi difficoltà per la rimozione delle
opere, laddove il nuovo art. 19 in tema di rimozione si limita a prevedere la
possibilità di un ordine di rimozione, senza alcuna previsione di dettaglio.
Inoltre, da un punto di vista strettamente giuridico, depone a favore di
questa tesi l’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, secondo il quale la nuova
SCIA «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo
comma».
A tal proposito, sembra alquanto difficile ricondurre l’attività edilizia
nell’ambito della materia della «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva
statale ex art. 117 Cost. Infatti, in tal modo la materia urbanistico-edilizia, anche
detta «governo del territorio», degraderebbe da materia autonoma a materiastrumento per l’attuazione della libera concorrenza, con la conseguenza di
sottrarla alla legislazione concorrente Stato-Regioni, diversamente dalle previsioni
costituzionali ex art. 117, comma 3, Cost.428 Sicché potrebbe sostenersi che la DIA
«edilizia», in quanto non riconducibile alla tutela concorrenziale ma alla diversa
materia urbanistica, non possa essere sostituita dall’introduzione della SCIA.
Questo orientamento, per quanto affascinante, è stato però contrastato
dall’Ufficio Legislativo del Ministero per la semplificazione normativa che, con la
428
V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 70.
166
nota n. 1340 del 16 settembre 2010, ha provveduto a chiarire che la nuova
disposizione sulla SCIA si applica anche all’edilizia.
In particolare, secondo il citato Ministero, innanzitutto assume rilievo
l’argomento letterale, giacché, ai sensi del comma 4-ter dell’articolo 49 del d.l. n. 78
del 2010, le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «SCIA»
sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «DIA»
ovunque ricorrano anche come parte di un’espressione più ampia, sia nelle
normative statali che in quelle regionali; inoltre, la disciplina della SCIA contenuta
nel novellato articolo 19 della legge n. 241 del 1990 «sostituisce direttamente, dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto, quella della
dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale». Per
altro verso, nel confronto con la previgente formulazione dell’articolo 19, emerge
che il Legislatore ha omesso di indicare la DIA edilizia tra quelle oggetto di
espressa esclusione dall’ambito applicativo della disposizione (commi 1 e 5, primo
periodo)429.
Ad ogni modo, tale problematica, seppur di grande rilevanza, è stata
superata con il d.lgs. n. 28 del 2011430. Tale decreto, infatti, ha modificato l’assetto
autorizzativo fino a quel momento previsto per l’installazione di impianti
Inoltre, la previsione secondo cui la segnalazione certificata di inizio attività è corredata non
solo dalle certificazioni ed attestazioni ma anche dalle «asseverazioni» dei tecnici abilitati
(riferimento non presente nel previgente articolo 19) si poneva in linea con quanto stabilito dalla
disciplina della Dia edilizia contenuta nell'articolo 23 del DPR n. 380/2001, la quale richiedeva,
preliminarmente all’avvio dell'attività edilizia, la presentazione di una «dettagliata relazione a firma
di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali che asseveri la conformità delle
opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie».
Pertanto, era stato chiarito che la disciplina della SCIA si applicava anche alla materia edilizia.
430 L’introduzione della PAS elimina via i dubbi registrati in dottrina sulla applicabilità alle fonti
rinnovabili della SCIA. Infatti, la questione sull’applicabilità o meno della procedura della
segnalazione certificata di inizio attività alla materia edilizia e quindi anche alle procedure di
installazione di impianti da fonti rinnovabili non ha più ragion d’essere, in quanto a partire dal 29
marzo 2011 – data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2011 – il titolo abilitante ammesso per la
costruzione e la gestione di determinate categorie di impianti sarà solo la PAS. V. CHIERCHIA C.,
Energia da fonti rinnovabili, la Pas ha sostituito Dia e Scia. La nuova procedura, in Edilizia e Territorio, 15-16,
2011.
429
167
alimentati da fonti rinnovabili e, accanto all’autorizzazione unica e alla semplice
comunicazione, ha introdotto una procedura alternativa ad hoc, del tutto sostitutiva
della precedente DIA, denominata «procedura abilitativa semplificata» (PAS).
Nello specifico, l’articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 disciplina la PAS e
prevede, in breve, che:
·
Il proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli
immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse presenta al Comune,
mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno 30 giorni prima dell’effettivo
inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a
firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti
la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti
edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie;
·
Il Comune, ove entro il termine di 30 giorni dal deposito della
dichiarazione sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite per
accedere alla PAS, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento. È comunque salva la facoltà di ripresentare la dichiarazione,
con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa
urbanistica ed edilizia. Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente,
decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione,
l’attività di costruzione deve ritenersi assentita;
·
Nel caso in cui l’immobile sia sottoposto a vincolo tutelato dallo
stesso Comune, il termine di 30 giorni è sospeso e decorre dalla conclusione del
relativo procedimento. Se la tutela del vincolo compete ad un’altra
amministrazione e il suo parere non è allegato alla PAS, il Comune provvede ad
acquisirli d’ufficio o entro 20 giorni convoca una conferenza di servizi. Il termine
di 30 giorni decorre quindi dall’adozione della decisione conclusiva;
·
La realizzazione dell’intervento deve essere completata entro tre anni
dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata;
·
Una volta ultimato l’intervento il progettista o il tecnico abilitato
presenta al Comune un certificato di collaudo finale.
168
In ogni caso, il ricorso alla PAS è precluso al proponente che non abbia
titolo sulle aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (in
assenza di tale titolo l’impianto deve seguire l’iter autorizzativo unico)431.
Dall’analisi del procedimento così delineato, emergono alcune perplessità in
ordine alla natura della PAS, che si potrebbe definire, per alcuni versi, «ibrida», in
quanto si pone a metà strada tra la vecchia DIA «edilizia» e la nuova SCIA,
introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2010.
A prima vista, infatti, essa sembra regolata come una SCIA, in quanto al pari
di quest’ultima, il proprietario dell’immobile che vuole realizzare l’impianto deve
inviare al Comune soltanto una comunicazione accompagnata da una relazione a
firma del progettista che ne attesti la compatibilità con le norme urbanistiche, di
sicurezza e igieniche e sanitarie.
Tuttavia, conformemente a quanto già previsto dalla DIA, i lavori non
possono iniziare subito e anzi il Comune ha 30 giorni per le verifiche, completate
le quali può notificare all’interessato un ordine di non effettuare l’intervento.
Inoltre, come nella DIA, la realizzazione dell’intervento deve essere completata
entro tre anni dal perfezionamento della procedura.
La sussistenza di elementi di continuità con gli istituti precedenti, in realtà,
non fa ben comprendere l’esigenza del Legislatore di creare modelli
procedimentali «ibridi», che nulla aggiungono o tolgono ai procedimenti
semplificati già esistenti, anzi al contrario pongono problemi interpretativi sulla
loro corretta qualificazione giuridica.
In particolare, ci si è posti il problema se la PAS vada considerata come
semplice dichiarazione privata di esercizio di attività consentite (come oggi oramai
chiarito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 29 luglio 2011 con
riferimento alla DIA/SCIA)432, o se invece essa rimanga comunque un
provvedimento amministrativo seppur tacito, con tutte le conseguenze che la
V. pubblicazione del GSE, Il quadro autorizzativo per gli impianti di produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili. Ricognizione della normativa nazionale e regionale, in Gse.it, 1 settembre 2011.
432 V. SANDULLI M.A., Primissima lettura dell’adunanza plenaria n. 15 del 2011, in Federalismi.it, 17,
2011.
431
169
scelta verso l’una o l’altra tesi comporta in tema di tutela del terzo e relativi rimedi
esperibili.
Ad un’attenta disamina, sembra che, in base al comma 4 dell’articolo 6
(parte finale), secondo il quale «Se il Comune non procede (…), decorso il termine
di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione (…), l’attività di
costruzione deve ritenersi assentita», ci troviamo di fronte a un atto (la PAS) che si
forma tramite una procedura di silenzio-assenso.
Se così è, la PAS allora non è assimilabile alla DIA/SCIA, in quanto
consiste in un provvedimento amministrativo a formazione tacita differita
(dichiarazione + decorso dei 30 giorni e silenzio-assenso), impugnabile dopo i 30
giorni o comunque, secondo le regole generali, dopo che il terzo ha avuto piena
conoscenza dell’atto433.
3.3. Il regime di attività libera.
Nell’intento di semplificare e liberalizzare l’attività di costruzione di impianti
di energia rinnovabile, le Linee Guida nazionali hanno introdotto – accanto
all’allora DIA – un ambito di interventi da considerarsi attività edilizia libera, e
come tali sottoposti a mera comunicazione.
In tal caso, per la realizzazione degli impianti è sufficiente una semplice
comunicazione preventiva al Comune di ubicazione, a meno che non si tratti di
interventi su immobili (vincolati) ricadenti nell’ambito della disciplina della parte
seconda e dell’art. 136, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42,
recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, nel qual caso si procedeva con
DIA, subordinata al preventivo rilascio degli atti di assenso richiesti dal d.lgs. n. 42
del 2004434.
Il d.lgs. n. 28 del 2011 conferma l’impostazione delle Linee Guida e
stabilisce che la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai
433
434
V. PETRUCCI F., Dia, Scia e Pas: chiarimenti e dubbi interpretativi, in Nextville.it, 30 settembre 2011.
V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 71.
170
paragrafi 11 e 12 delle Linee Guida nazionali continua ad applicarsi, alle stesse
condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti435.
L’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 individua, poi, una serie di interventi che
vengono considerati attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) del
DPR n. 380 del 2001436.
4.
La diversificazione della legislazione regionale in assenza delle
Linee Guida nazionali: i procedimenti regionali.
Il d.lgs. n. 387 del 2003 prevedeva, all’articolo 12, comma 10,
l’approvazione in Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello Sviluppo
economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e del Ministro per i Beni e
le Attività culturali, di apposite Linee Guida per lo svolgimento del procedimento
di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili per la produzione
di energia elettrica.
Il Governo italiano, però, come noto, non ha ottemperato a tale
prescrizione, lasciando che l’attesa delle Linee Guida si protraesse per ben 7
lunghi anni437.
V. RAGAZZO M., op.ult.cit.
L’articolo 7 del d.lgs. n. 28 del 2011, rubricato «Regimi di autorizzazione per la produzione di
energia termica da fonti rinnovabili», stabilisce che: «1. Gli interventi di installazione di impianti
solari termici sono considerati attività ad edilizia libera e sono realizzati, ai sensi dell’articolo 11,
comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, previa comunicazione, anche per via
telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, qualora
ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) siano installati impianti aderenti o integrati nei
tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui
componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi; b) la superficie dell’impianto non sia
superiore a quella del tetto su cui viene realizzato; c) gli interventi non ricadano nel campo di
applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, e successive modificazioni. 2. Ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera a), e
dell’articolo 123, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, gli interventi di
installazione di impianti solari termici sono realizzati previa comunicazione secondo le modalità di
cui al medesimo articolo 6, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) gli impianti
siano realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali
esterne agli edifici; b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona A), di cui al decreto del
Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».
437 Le Linee Guida sono state approvate con Decreto del Ministero dello Sviluppo economico 10
settembre 2010, pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010.
435
436
171
In questi 7 anni la mancanza di un indirizzo univoco a livello nazionale ha,
pertanto, causato la proliferazione di normative regionali in materia di
autorizzazione all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti
rinnovabili, molto differenti tra loro e spesso in contrapposizione con la
legislazione statale438, al punto da giustificare in più occasioni l’intervento della
Corte costituzionale.
Infatti, tali provvedimenti, formalmente destinati a enunciare «criteri per
l’inserimento nel territorio o nel paesaggio» di impianti, in realtà, spesso
introducevano una serie eterogenea e ingiustificata di limitazioni paralizzanti, in
aperto contrasto con i principi di incentivazione e semplificazione, contenuti nel
d.lgs. n. 387 del 2003 di attuazione della direttiva europea in materia di fonti
rinnovabili.
Di seguito, vengono analizzati i principali
ambiti di intervento dei
provvedimenti regionali.
4.1. I c.d. provvedimenti di moratoria.
Nel contesto di «vuoto» normativo creato dall’assenza delle Linee Guida
nazionali, le Regioni, spesso e pretestuosamente, hanno messo in atto pratiche
dilatorie nel settore dello sviluppo delle fonti rinnovabili, proprio adducendo la
mancata adozione dei Piani energetici nazionali439 o delle Linee Guida in
questione. A tal fine, hanno emanato i c.d. «provvedimenti di moratoria»440, con i
V. MARANGONI A., Linee Guida per le rinnovabili: dalle Regioni mappa ragionata per le nuove
installazioni, in Edilizia e Territorio, 29, 2010; PETRUCCI F., Energie rinnovabili, quando le Regioni sono fuori
legge e (forse) lo sanno, in Nextville.it, 7 giugno 2010.
439 Occorre peraltro ricordare che il Legislatore nazionale ha imposto alle Regioni di dotarsi di atti
di pianificazione energetica sin dalla legge 9 gennaio 1991, n. 10. In altri termini, è da 18 anni che
le Regioni avrebbero dovuto provvedere. Anche con la stipulazione del protocollo di Torino del
2001 le Regioni avevano ribadito l’espresso impegno alla redazione dei piani energetici. In
sostanza, esse hanno dunque tentato di utilizzare una propria inadempienza come titolo di autoesonero dall’obbligo di tempestivo completamento dei procedimenti amministrativi, nella
prospettiva dell’ammissibilità di un circuito di inadempienze autoalimentantesi. V. sul punto
BUCELLO M. – VIOLA S., Vizi (di illegittimità) e virtù dei procedimenti autorizzativi di impianti da fonti
rinnovabili, in Ambiente & Sviluppo, 10, 2007.
440 Con tale locuzione «provvedimenti di moratoria» si suole individuare una categoria eterogenea
di atti che comunque sospendono un’attività amministrativa autorizzatoria.
438
172
quali sostanzialmente hanno sospeso l’attività autorizzatoria relativa agli impianti
di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili441.
Così, ad esempio, la Regione Basilicata aveva approvato una legge «ponte»442
in materia di energia, secondo cui, sino alla approvazione del nuovo Piano di
indirizzo energetico ambientale regionale, non era consentita l’autorizzazione di
impianti «che non rientrino nei limiti e non siano conformi alle previsioni del
vigente Piano energetico regionale»443. L’intento ostruzionistico della norma era
evidente: la Regione, invitata a partecipare ad un impegno internazionale
sottoscritto dallo Stato in difesa dell’ambiente, rispondeva con la familiare tattica
temporeggiatrice imperniata sull’attesa della prodigiosa materializzazione del suo
potere pianificatorio444.
Del pari, la Regione Campania aveva sospeso le Conferenze di servizi sulle
istanze di rilascio di autorizzazione di impianti eolici, sino alla approvazione del
«disciplinare per il corretto inserimento della tecnologia eolica sul territorio
regionale»445. Con un altro provvedimento446 aveva vietato del tutto l’installazione
di parchi eolici in determinate aree (tra le quali i parchi, le riserve regionali, le zone
di «protezione o conservazione integrale» dei Piani territoriali paesistici), sempre
sino ad un futuro adempimento amministrativo, identificato nell’emanazione delle
Linee Guida nazionali.
V. GIAMPIETRO L., V.I.A. col vento…: breve rassegna di giurisprudenza amministrativa in tema di energia
eolica, in Ambiente & Sviluppo, 3, 2008; VIOLA S., Moratorie ed eolico: un importante segnale della Corte
Costituzionale, in Ambiente & Sviluppo, 1, 2007.
442 Si tratta della legge regionale 26 aprile 2007, n. 9.
443 La legge recava poi una deroga per gli impianti fotovoltaici, per quelli eolici di piccola taglia e
per quelli realizzati nei limiti della potenza già autorizzata in sostituzione o in conversione di quelli
in esercizio alla data di entrata in vigore. I descritti impianti potevano comunque essere autorizzati.
444 Cfr. Corte Cost., sent. n. 364 del 2006 sulla legge regionale pugliese. Tale sentenza ha costituito
esplicito termine di riferimento per Giunta regionale della Basilicata, come attestato dai lavori
preparatori della legge. In questo caso, la Regione Basilicata, non avendo giudicato più possibile
collegare a tale evento futuro ed incerto un effetto totalmente sospensivo dei procedimenti
autorizzatori, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale pugliese che
adottava quell’impostazione, si è scelto di attivare un meccanismo limitativo delle iniziative.
445 Si tratta della nota della Giunta regionale 9 marzo 2006, n. 2006.0223604. Tale provvedimento è
stato tuttavia annullato dal giudice amministrativo.
446 Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955.
441
173
Anche la Regione Marche aveva sospeso i procedimenti autorizzativi di
centrali eoliche fino all’adozione di specifici piani di gestione per le aree ZPS447.
La Regione Molise, con un primo provvedimento, aveva sospeso i
procedimenti autorizzativi di parchi eolici per 180 giorni (in attesa dell’adozione di
un documento di programmazione), per poi successivamente prorogare la
sospensione sino all’adozione del Piano energetico regionale448.
La Regione Puglia aveva sospeso con legge, nelle more dell’approvazione
del Piano energetico regionale, tutti i procedimenti autorizzativi alla realizzazione
di impianti eolici partiti dopo il 31 maggio 2005449.
La Regione Sardegna, con legge, aveva espressamente vietato, nell’intero
territorio regionale e fino all’approvazione del Piano paesaggistico regionale, la
realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte eolica450.
Così, anche la Regione Toscana aveva vietato la realizzazione di centrali
eoliche fino all’adozione di specifici piani di gestione per le aree ZPS451.
Tale diserzione della campagna di incentivazione delle fonti rinnovabili da
parte delle Regioni, oltre a rappresentare un grave esempio di mal costume
amministrativo, si poneva comunque in netto contrasto con i principi ispiratori
della direttiva comunitaria 77/2001/CE e del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 e
costituiva una prassi oggettivamente impeditiva del rispetto degli impegni assunti
dall’Italia in sede comunitaria ed internazionale452.
Cfr. delibera di Giunta regionale 6 novembre 2006, n. 1277. La Regione ha poi abrogato il
proprio provvedimento.
448 Si tratta, rispettivamente, della delibera di Giunta regionale 31 ottobre 2005, n. 1469 e della
delibera del Consiglio regionale 6 dicembre 2005, n. 327. Entrambi i provvedimenti sono stati
annullati dal giudice amministrativo, cfr. Tar Molise sentt. 29 novembre 2006, n. 984 e 15 gennaio
2007, n. 20.
449 Con l’eccezione dei soli impianti di piccola taglia. Legge regionale 11 agosto 2005, n. 9 (in
particolare, art. 1): è la legge dichiarata costituzionalmente illegittima (Cfr. Corte cost., sent. n. 364
del 2006).
450 Salvo quelli precedentemente autorizzati, ma a condizione che i lavori fossero già stati iniziati e
avessero modificato irreversibilmente lo stato dei luoghi. Legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 e
circolare esplicativa 3 febbraio 2005, n. 40/GAB.
451 Cfr. delibera di Giunta regionale 11 dicembre 2006, n. 923.
452 Secondo BUCELLO M. – VIOLA S., op.cit., una condizione del genere sarebbe senza dubbio
sufficiente a postulare l’esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato.
447
174
Pertanto, la Corte costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sulla
questione di legittimità costituzionale di alcune leggi regionali453, è intervenuta
evidenziando il contrasto delle pratiche di moratoria con l’articolo 12 del d.lgs. n.
387 del 2003, laddove quest’ultimo, fissando un termine di 180 giorni per la
conclusione del procedimento di autorizzazione unica che non ha natura
indicativa, costituisce un vero e proprio principio fondamentale in materia di
energia. Nello specifico, la Corte ha espressamente affermato che la sospensione a
tempo indeterminato dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni uniche,
motivata dalla necessità di dotarsi del Piano energetico regionale, contrasta con gli
obiettivi di politica ambientale ed energetica che il Paese sta cercando di
perseguire ed è, quindi, incostituzionale454.
Allo stesso modo, anche il giudice amministrativo ha censurato i
provvedimenti di moratoria. A tal riguardo, ad esempio, una sentenza del Tar
Molise455 ha affermato che nessuna norma di legge attribuisce alle amministrazioni
il potere di moratoria in relazione agli impianti eolici (esso, infatti, non è implicito
e non può ricavarsi da quello generale di programmazione in materia di energia) e
che la sospensione indiscriminata del procedimento di autorizzazione viola l’art.
12 del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui gli impianti generatori di energia da fonti
rinnovabili «sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti», il che esclude
automaticamente e necessariamente qualsiasi potere di moratoria. Inoltre, il
contrasto sussiste non solo con il dovere di concludere il procedimento entro
Cfr. Corte Cost., sent. n. 346 del 2006 sulla legge della Regione Puglia. Negli stessi termini, più
recentemente, la Corte Costituzionale con sentenza 24 marzo 2010, n. 124 è intervenuta, con
riferimento ad alcune previsione adottate dalla Regione Calabria, confermando cha la previsione di
un termine massimo di 180 giorni per la conclusione del procedimento unico volto al rilascio di
un’autorizzazione unica costituisce un principio fondamentale della materia, in quanto ispirata alle
regole della semplificazione e della celerità amministrativa. Cosicché, viene considerata
incostituzionale sia la proroga della sospensione del rilascio dei titoli autorizzativi che porti al
superamento del termine massimo, sia la proroga della sospensione della realizzazione degli
impianti autorizzati. V. RANGONE N., Fonti rinnovabili di energia: stato della regolazione e prospettive di
riforma, nota a Corte Cost. sent. n. 124 del 2010, in Giurisprudenza costituzionale, II, 2010.
454 Sulla moratoria prevista dalla legge regionale Puglia n. 9 del 2005, v. anche D’AURIA M., Impianti
eolici e termine massimo di conclusione del procedimento, in Giornale di diritto amministrativo, 5, 2007; CONTE
G.B., La Corte blocca le sospensioni regionali agli impianti eolici, in Giustamm.it, 6, 2006.
455 Cfr. Tar Molise, sentt. n. 984 del 2006 e 15 gennaio 2007, n. 20.
453
175
termine prestabilito, ma, più in generale, con il principio di incentivazione
all’utilizzo delle fonti rinnovabili, ispiratore della direttiva comunitaria
77/2001/CE, di cui il d.lgs. n. 387 del 2003 costituisce attuazione, e con l’art. 41
della Costituzione che tutela l’iniziativa economica privata456.
4.2. Il contingentamento della potenza massima autorizzabile e la
fissazione di un numero massimo di impianti installabili.
Un altro ambito in cui sono intervenute le Regioni riguarda l’indicazione di
tetti massimi di potenze autorizzabili e l’indicazione di un numero massimo di
impianti presenti nella Regione, il c.d. burden sharing.
L’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria
2008) ha previsto, infatti, che con decreto del Ministro dello sviluppo economico,
di concerto con il Ministro dell’ambiente e d’intesa con la Conferenza unificata457,
sia effettuata la suddivisione di quote minime di incremento dell’elettricità da fonti
rinnovabili tra le Regioni e le province autonome, le quali su questa base
dovranno adeguare (o adottare) i Piani energetici, coinvolgendo anche gli enti
locali. Questo decreto però non è stato adottato fino al 2011 e nelle more le
Regioni hanno fissato autonomamente un limite massimo di potenze autorizzabili
per ciascuna fonte di energia rinnovabile.
Così, ad esempio, il Piano energetico regionale della Basilicata458 ha previsto
l’attivazione di nuovi impianti energetici per un massimo di 470 MW di potenza di
cui 128 MW di potenza massima per impianti eolici.
Il Piano energetico regionale delle Marche459 ha fissato, invece, in 160 MW
la potenza eolica massima installabile nell’ambito temporale del Piano energetico
nazionale, così suddivisa: 120 MW in impianti medi e 40 MW per un solo
In senso analogo si è pronunciato sempre il Tar Molise con sentenza n. 20 del 2007 che,
ribadendo i principi affermati nella sentenza n. 984 del 2006, ha annullato il cap. 9 del PEAR nella
parte in cui prevedeva la moratoria per impianti eolici. In un’altra sentenza Tar Campania, Napoli,
n. 10412 del 2006, fa esplicito riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale n. 364 del 2006.
457 Adottato solo di recente con Decreto Ministeriale del 4 agosto 2011.
458 Approvato con delibera del Consiglio regionale 26 giugno 2001, n. 2202.
459 Approvato con delibera del Consiglio regionale 16 febbraio 2005.
456
176
impianto eolico in sito paesaggisticamente insignificante selezionato dalla Regione
e ha previsto che un campo eolico non possa essere composto da più di 15
aerogeneratori.
Il Piano energetico regionale della Lombardia460 ha fissato in 10 MW la
potenza idroelettrica massima installabile.
Il regolamento regionale della Puglia461 ha introdotto un «parametro di
controllo», che limita il numero di aerogeneratori per singolo comune e la Regione
Molise462 ha previsto che sul territorio regionale possano essere installati non più
di 250 aerogeneratori, indipendentemente dalla potenza di ogni singola macchina.
Anche con riferimento a questo aspetto, la Corte costituzionale è
intervenuta stabilendo che tali previsioni si pongono in contrasto sia con il
principio di incentivazione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili – in quanto a tal fine
sarebbe piuttosto necessaria l’individuazione di «obiettivi minimi» di potenza
installabile, da raggiungersi e, se possibile, virtuosamente superarsi, non certo di
tetti massimi non superabili – sia con la configurazione della produzione di
energia come attività libera e non suscettibile di contingentamenti, limitazioni o
compressioni463.
Inoltre, tali previsioni danno luogo, come affermato dall’Autorità Antitrust,
anche ad un’ingiustificata regolazione strutturale degli assetti del mercato, in
quanto suscettibili di creare distorsioni della concorrenza tra gli operatori attivi
nelle diverse aree del territorio nazionale464.
Approvato con delibera del Consiglio regionale 6 marzo 2003.
Cfr. regolamento n. 16 del 4 ottobre 2006.
462 Cfr. delibera Giunta regionale 26 giugno 2006, n. 908.
463 Le norme regionali che «fanno un loro burden sharing» sono in contrasto con la Costituzione
(articoli 41 e 117) e con le disposizioni internazionali: Cfr. Corte Cost., sentt. n. 282 del 2009 e n.
124 del 2010. V. BUCELLO M. – VIOLA S., op.cit.. V. anche PETRUCCI F., Energie rinnovabili, cit.
464 Cfr. segnalazione AS680 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Regolamentazione
in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e disciplina della costruzione ed esercizio dei relativi
impianti, 16 aprile 2010.
460
461
177
4.3. La localizzazione degli impianti.
Secondo l’impianto del d.lgs. n. 387 del 2003 spettava alle Linee Guida
nazionali prevedere i «criteri quadro» per il corretto inserimento degli impianti nel
territorio delle Regioni.
Tuttavia, in assenza delle Linee Guida, le Regioni hanno emanato dei
provvedimenti con i quali hanno individuato le zone dove escludere in assoluto la
collocazione degli impianti.
Così, ad esempio, taluni provvedimenti regionali aprioristicamente hanno
vietato l’installazione di parchi eolici in aree classificate come SIC o ZPS465.
Questo è stato il caso della legge regionale Toscana, della legge regionale Marche,
delle Linee Guida per lo svolgimento del procedimento unico autorizzativo di
impianti eolici approvate dalla Regione Molise466 e del regolamento della Regione
Puglia467.
Tale divieto risulta totalmente ingiustificato e in aperto contrasto con la
disciplina protezionistica già esistente, che regola gli interventi all’interno delle
aree protette468, la quale non li vieta incondizionatamente, ma li sottopone a
valutazione di incidenza, per individuarne e valutarne in via preventiva gli effetti,
sulla base di un concreto confronto con gli obiettivi di conservazione dei siti. Il
divieto aprioristico di parchi eolici all’interno di tali aree, dunque, non solo è
completamente ingiustificato, non essendo dato comprendere perché ai parchi
eolici sia attribuito un grado di pericolosità potenziale maggiore di quello
riconosciuto a qualunque altra iniziativa industriale, ma concorre a svuotare di
ogni significato la valutazione di incidenza.
Del pari, altri provvedimenti hanno vietato in assoluto l’installazione di
campi eolici all’interno del perimetro dei parchi (è il caso, ad esempio, della
Si intendono con essi siti di importanza comunitaria – SIC e zone di protezione speciali – ZPS
Cfr. delibera di Giunta regionale 7 maggio 2007, n. 22.
467 Cfr. regolamento 4 settembre 2007, n. 452.
468 Prevista dall’articolo 5, DPR 8 settembre 1997, n. 357. Le aree c.d. protette sono: siti di
importanza comunitaria - pSIC; siti di importanza comunitaria - SIC; zone speciali di
conservazione - ZSC; zone di protezione speciali - ZPS)
465
466
178
Regione Sicilia469 e della Regione Campania470), o, addirittura nelle aree pre-parco
(cosi le Linee Guida della Regione Molise).
Anche in questo caso le prescrizioni sono da ritenersi ingiustificate, tanto
più che spesso i provvedimenti istitutivi dei parchi espressamente prevedono
l’installazione di pale eoliche.
Si rinvengono poi prescrizioni localizzative che individuano una moltitudine
indiscriminata, diversificata e spesso assai genericamente descritta, di luoghi
«inidonei», accompagnata dalla amplissima estensione delle fasce di rispetto, di
larghezza arbitraria e irrazionalmente variabile. È il caso, ad esempio, dell’atto
della Regione Basilicata471, della Regione Campania472 e anche della Regione
Sicilia473.
Anche in questo caso, la costante giurisprudenza costituzionale, ma anche
quella amministrativa, tende a bocciare le norme che, spesso usando in modo
improprio i Piani paesaggistici regionali, limitano lo sviluppo delle fonti
rinnovabili, in contrasto con le disposizioni nazionali, comunitarie e
internazionali474.
Cfr. decreto assessorile del 28 aprile 2005.
Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955.
471 Quest’atto vieta le aree fluviali, le zone umide e lacuali, le aree interessate da zone boscate o da
alberi ad alto fusto, i luoghi di pellegrinaggio, le aree soggette a vincolo paesaggistico, la fascia
costiera jonica per una profondità di 10 km dalla costa, la fascia costiera tirrenica per una
profondità di 5 km dalla costa, una fascia di 5 km intorno alle aree calanchive e di 2 km intorno
alle aree soggette a vincolo paesaggistico, una fascia di rispetto di 2 km intorno alle aree
archeologiche e una fascia di rispetto di 2 km attorno a strade e ferrovie.
472 Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955: estende il divieto ad una fascia di
rispetto pari a dieci volte l’altezza complessiva dell’aerogeneratore misurata dal perimetro di parchi
archeologici, aree archeologiche e complessi monumentali, ad una fascia di rispetto pari a dieci
volte l’altezza complessiva di un aerogeneratore misurata dal perimetro urbanizzato, ad una fascia
di rispetto pari a cinque volte l’altezza complessiva di un aerogeneratore misurata da abitazioni
residenziali e rurali sparse, ad una fascia di rispetto pari a due volte l’altezza complessiva di un
aerogeneratore dal perimetro di confine dei territori dei Comuni limitrofi, ad una fascia di rispetto
pari a 10 km dalle coste.
473 Cfr. decreto assessorile 28 aprile 2005 e circolare assessorile 14 dicembre 2006, n. 17: ha vietato
la realizzazione di parchi eolici all’interno di fasce di 2 Km intorno al perimetro di aree sottoposte
a vincolo paesaggistico, a vincolo archeologico, di aree di rispetto delle zone umide e/o di
nidificazione e transito d’avifauna migratoria o protetta.
474 Cfr. Corte Cost., sentt. nn. 166 del 2009, 282 del 2009, 119 del 2010 e 168 del 2010.
469
470
179
4.4. Le misure compensative.
Per «misura di compensazione» s’intende la devoluzione in favore di una
comunità locale, a titolo gratuito o particolarmente vantaggioso, di determinati
servizi o prestazioni a contenuto patrimoniale (compresa la corresponsione di
somme di denaro), allo scopo di fare accettare gli effetti potenzialmente negativi
derivanti dall’istallazione di un determinato impianto475.
L’art. 12, comma 6, del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 prevede
che l’autorizzazione non può essere subordinata, né prevedere, misure di
compensazione a favore di Regioni e province.
Nell’interpretazione del giudice costituzionale, la legge statale vieta
tassativamente l’imposizione di corrispettivo, le c.d. misure di compensazione
patrimoniale, quale condizione per il rilascio dei titoli abilitativi, tenuto conto che
la costruzione e l’esercizio di impianti a fonti rinnovabili sono libere attività
d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione. Sono,
invece, ammessi accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio
ambientale a favore del Comune, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente
per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, possa essere
compensato dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte
dell’operatore economico proponente476.
Nonostante ciò, alcune Regioni hanno comunque previsto forme di
compensazione monetaria per ottenere l’autorizzazione unica.
Così, ad esempio, la Regione Molise477 ha imposto al proponente di versare,
a titolo di oneri di istruttoria, una somma di denaro in misura in parte fissa ed in
parte variabile, a seconda della potenza nominale dell’impianto478.
V. DURANTE N., Il procedimento autorizzativo, cit.
Cfr. Corte Cost., sentt. nn. 282 del 2009 e 124 del 2010. È stata invece salvata la norma pugliese
(articolo 1, legge regionale n. 31 del 2008), perché non stabilisce forme di compensazione
monetaria ma stabilisce che la Giunta regionale possa stipulare e approvare accordi nei quali, a
compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte di operatori industriali, sia
previsto il rilascio di Autorizzazioni uniche. Questa possibilità è consentita dalla legge statale: Cfr.
Corte Cost., sent. n. 119 del 2010.
477 Cfr. articolo 4 della legge regionale n. 15 del 2008.
475
476
180
La Regione Calabria479 ha stabilito, con legge regionale, condizioni ed oneri
economici, ai quali subordina l’autorizzazione agli impianti. Nella specie, si tratta
dell’impegno a costituire una società di scopo nel territorio regionale, a
sottoscrivere garanzie fideiussorie, a favorire l’imprenditoria locale in fase di
realizzazione, a versare 50 cent € per KW eolico di potenza autorizzata ed a
riconoscere oneri istruttori pari a 100 € per ogni MW di potenza autorizzata.
Queste previsioni regionali sono state complessivamente qualificate dalla
Corte costituzionale come misure di compensazione e censurate in quanto
qualificabili come ingiustificate condizioni di autorizzazione e oneri istruttori
connessi al procedimento stesso e, pertanto, contrarie alla disciplina nazionale di
cui al d.lgs. n. 239 del 2004 (che le vieta espressamente)480.
In particolare, infatti, la richiesta di una particolare forma organizzativa
contraddice il necessario carattere oggettivo delle condizioni poste attraverso le
autorizzazioni ed il rilascio di autorizzazioni per l’esercizio di attività libere (come
la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili) non dovrebbe essere soggetto a contributi diversi da quelli necessari
alla copertura dei costi amministrativi connessi all’istruttoria ed al controllo della
gestione del servizio481.
Così, anche, nella Regione Puglia, il comune di Cerignola482 aveva indetto
una procedura di evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati interessati alla
realizzazione di impianti eolici nel territorio comunale, ponendo a base di gara un
corrispettivo (in misura fissa e variabile) da corrispondere al Comune483.
Cfr. Corte Cost., sent. 2 novembre 2009, n. 282, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
della legge regionale in questione.
479 Cfr. punto 4.2 lettera o) dell’allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008.
480 Cfr. Corte Cost., sent. n. 124 del 2010.
481 V. RANGONE N., op.cit.
482 Cfr. delibera di Giunta comunale 8 febbraio 2007, n. 47, avente ad oggetto «indirizzi per
l’individuazione dei soggetti interessati alla realizzazione degli impianti eolici».
483 V. CONTE G.B., op.cit.
478
181
In questo caso, il Tar pugliese484 ha annullato la delibera comunale,
affermando, anzitutto, che la potestà di individuare i soggetti che conseguono
l’autorizzazione alla costruzione di impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili
non appartiene al Comune, ma solo alla Regione. Inoltre, con riferimento al
corrispettivo economico da riconoscere al Comune, la sentenza ricorda il divieto
assoluto di prevedere misure di compensazione patrimoniale a favore delle
Regioni e degli enti locali disposto dall’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003,
non mancando di rilevare gli effetti aberranti – in termini di costi di produzione
supplementari gravanti sui produttori di energia da fonti rinnovabili, a beneficio di
ristrette collettività ed a discapito della generalità degli utenti finali – che una
simile espansione dei poteri impositivi delle autonomie locali determinerebbe sul
piano della politica energetica485.
Sullo stesso tema, è intervenuto anche il Consiglio di Stato in sede
consultiva486, il quale ha chiarito che la previsione di cui all’art. 12, comma 6, del
d.lgs. n. 387 del 2003, che vieta la previsione di misure di compensazione a favore
delle Regioni e delle Province – e la cui formulazione ha indotto a ritenere che tali
misure possano ritenersi consentite a favore di altre collettività locali, e
segnatamente i Comuni – «va letta in via sistematica insieme all’art. 1, comma 4,
lett. f), della legge n. 239 del 2004, a tenore del quale lo Stato e le Regioni
garantiscono
l’adeguato
equilibrio
territoriale
nella
localizzazione
delle
infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e
geografiche delle singole Regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione
e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi
strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e
infrastrutture ed elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili». Deve, pertanto, ritenersi che possano essere
Cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 1 aprile 2008, n. 709. Cfr. in termini anche Tar Puglia, Bari,
sez. I, sent. 8 marzo 2008, n. 530.
485 V. sull’argomento MEZZABARBA C., Profili critici nello sviluppo della produzione di energia da fonti
rinnovabili, in POZZO B. (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo
delle fonti rinnovabili, Milano, 2009.
486 Cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2894.
484
182
imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale, «ma non
meramente patrimoniali, e sempre che ricorrano tutti gli altri presupposti indicati
nel citato art. 1, comma 4, lett. f)». Sotto tale profilo, «le misure compensative
devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle
specifiche caratteristiche del parco eolico e del suo specifico impatto ambientale e
territoriale». Tali misure, infatti, sono solo eventuali e correlate alla circostanza che
esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni
territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. Non
può dunque dar luogo a misura compensativa, «in modo automatico, la semplice
circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti
rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e
dimensioni dal suo impatto sull’ambiente». Per tale ragione, devono considerarsi
illegittimi quei provvedimenti che facciano un generico riferimento a misure
compensative dell’impatto ambientale e territoriale, «senza indicare in alcun modo
in cosa tale impatto consista e si limitano a monetizzare le misure compensative,
sotto forma di canone periodico, (…) in modo avulso da ogni considerazione di
ogni effettivo impatto ambientale», nonché le previsioni di canoni a titolo di
liberalità. In quest’ultimo caso, «si indica un titolo diverso da quello della misura
compensativa e territoriale, ma si disancora completamente la misura ambientale e
territoriale dalla situazione concreta». In tale contesto, la previsione di un canone a
titolo di liberalità, dunque, «costituisce un’evidente elusione, per aggirare la
censura di assenza di criteri concreti per la determinazione del canone». E
comunque, conclude il parere, tali misure compensative «sono di competenza
dello Stato e della Regione, in sede di Conferenza di servizi e non possono
unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune»487.
487
V. MEZZABARBA C., op.cit.
183
4.5
Le condizioni di accesso al mercato.
Secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, l’attività di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è da considerarsi attività libera
d’impresa. L’affermazione della liberalizzazione dell’attività in questione infatti
risale, prima ancora della direttiva 2001/77/CE e del d.lgs. n. 387 del 2003,
rispettivamente alla direttiva 1996/92/CE e al d.lgs. n. 79 del 1999 (decreto
Bersani).
Pertanto, per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, non
sono ammesse procedure pubblicistiche di natura concessoria, ma è prevista
invece la loro sottoposizione a un regime autorizzatorio puro488.
Ciò nonostante, alcune Regioni hanno comunque posto in essere delle
procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati interessati alla
realizzazione degli impianti di energia rinnovabile o hanno posto condizioni di
accesso al mercato, definendo criteri di preferenza discriminatori nella scelta dei
progetti a favore del partenariato della Regione stessa.
È il caso, ad esempio, della Regione Puglia489e della Regione Calabria490.
Sul tema, si segnala l’intervento del Consiglio di Stato in sede consultiva491,
che ha affermato l’illegittimità degli atti con i quali un Comune della Regione
Calabria aveva indetto una procedura competitiva per la realizzazione e la gestione
di parchi eolici sul territorio comunale, qualificando l’affidatario come
concessionario e fissando criteri prettamente economici di valutazione delle
Cfr. Cons. Stato, sent. n. 1139 del 2010.
Il comune di Cerignola, con delibera della Giunta comunale 8 febbraio 2007, n. 47, avente ad
oggetto «indirizzi per l’individuazione dei soggetti interessati alla realizzazione degli impianti
eolici», aveva indetto una procedura di evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati
interessati alla realizzazione di impianti eolici nel territorio comunale, che poneva a base di gara un
corrispettivo (in misura fissa e variabile), da corrispondere al Comune. V. CONTE G.B., op.cit.
490 La Regione Calabria, con disciplina regionale, aveva definito alcuni requisiti per i soggetti
legittimati ad ottenere parte della potenza autorizzabile (qualificata «riserva strategica») definendo
una preferenza per il partenariato calabrese e imponendo di indirizzare una parte degli investimenti
nel territorio regionale. Tale previsione è stata riconosciuta come contraria al «libero mercato» ed
alla libera circolazione di servizi, introducendo criteri di preferenza discriminatori nella scelta di
progetti, in contrasto con il carattere oggettivo, trasparente e non discriminatorio che dovrebbe
caratterizzare le autorizzazioni rilasciate in mercati liberi. Cfr. Corte Cost., sent. n. 124 del 2010.
491 Cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849.
488
489
184
proposte. In questo caso, il Supremo consesso di giustizia amministrativa ha
affermato che, trasformando «un’attività libera, soggetta ad autorizzazione (intesa
come rimozione di un limite all’esercizio di un diritto preesistente) in un’attività
riservata ai poteri pubblici, soggetta a concessione (intesa come atto costitutivo di
un diritto che non preesiste (…) il Comune ha violato il principio legale di libertà
dell’attività di produzione di energia eolica; si è arrogato una competenza
autorizzatoria che non gli spetta; ha invaso la competenza autorizzatoria regionale;
ha creato un regime di esclusiva non sancito da alcuna norma di legge; ha imposto
misure di carattere economico non consentite dalle norme vigenti».
In particolare, con riferimento al profilo della natura dell’attività di
produzione di energia, il Consiglio di Stato ne ha chiarito la natura autorizzatoria.
Infatti, prendendo le mosse dalla direttiva 1996/92/CE, con la quale si è andata
affermando a livello comunitario la progressiva liberalizzazione del mercato
dell’energia, attraverso il superamento del regime di monopolio pubblico sulla
produzione, sulla distribuzione e sulla vendita e dal d.lgs. n. 79 del 1999 in
attuazione della citata direttiva, che ha recepito i principi di liberalizzazione ed
apertura del mercato dell’energia, è stata evidenziata l’adozione da parte del
Legislatore italiano del modello autorizzatorio «puro» in relazione all’attività di
«produzione» di energia elettrica, ripudiando il sistema della gara d’appalto (art. 8,
d.lgs. n. 79 del 1999).
Pertanto, la produzione di energia elettrica va collocata nell’alveo
dell’attività d’impresa concorrenziale, sì sottoposta a controllo e regolazione
amministrativa ma non più riservata alla mano pubblica, né soggetta a regime di
privativa o di contingentamento.
La netta opzione del Legislatore italiano per il sistema autorizzatorio,
quanto all’attività di produzione di energia elettrica, è stata inoltre confermata con
la legge n. 239 del 2004. L’art. 1, comma 4, dispone infatti che lo Stato e le
Regioni, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di
prestazioni e l’omogeneità delle tariffe, garantiscono tra l’altro: l’assenza di vincoli,
ostacoli o oneri, diretti o indiretti, alla libera circolazione dell’energia all’interno
del territorio nazionale e dell’Unione; l’assenza di oneri di qualsiasi specie che
abbiano effetti economici diretti o indiretti al di fuori dell’ambito territoriale ove
sono previsti; la possibilità di prevedere misure di compensazione e di riequilibrio
185
ambientale per la localizzazione di infrastrutture ad elevato impatto territoriale (il
cui importo è regolato dal successivo comma 36), con l’espressa esclusione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili; infine, procedure semplificate, trasparenti
e non discriminatorie per il rilascio delle autorizzazioni in regime di libero
mercato.
Nell’ambito della generale liberalizzazione dell’attività di produzione di
energia elettrica, si colloca anche la liberalizzazione, persino più marcata, a scopo
incentivante, della produzione di energia mediante fonti rinnovabili, con la
previsione di uno snello regime autorizzatorio quanto alla realizzazione e gestione
degli impianti.
In ragione di quanto premesso, la Corte costituzionale ha affermato che
l’individuazione delle attività soggette ad autorizzazione costituisce una disciplina
qualificabile come principio fondamentale della materia492.
4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di
DIA.
La normativa nazionale di cui al d.lgs. n. 387 del 2003, nell’ottica del
principio di semplificazione amministrativa, ha previsto una disciplina di
particolare favore per il rilascio delle autorizzazioni relative ai c.d. microimpianti,
ossia impianti aventi una potenza nominale non superiore a precise soglie minime
che variano in ragione delle diverse fonti energetiche dalle quali sono alimentati493.
Per tali microimpianti era ammessa – sul presupposto dell’esiguità dell’impianto
da realizzare – la disciplina della denuncia di inizio attività. Peraltro, il Legislatore
aveva previsto un meccanismo dinamico di adeguamento delle suddette soglie
minime, posto che lo stesso art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 dà facoltà al Ministro
dello sviluppo economico (di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela
Cfr. Corte Cost., sent. 11 ottobre 2005, n. 383.
La tabella A allegata al d.lgs. n. 387/2003, richiamata all’art. 12, individua le soglie al di sotto
delle quali gli impianti possono essere autorizzati con procedure semplificate: 60 KW per gli
impianti eolici; 20 KW per gli impianti fotovoltaici; 100 KW per gli impianti ad energia idraulica;
200 KW per impianti a biomassa; 250 KW per impianti a gas.
492
493
186
del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata) di individuare limiti
superiori in presenza dei quali la realizzazione e l’esercizio degli impianti in
discussione può comunque essere autorizzata tramite DIA494.
Stante però l’assenza del decreto ministeriale integrativo previsto dal d.lgs.
n. 387 del 2003, alcune Regioni, ritenendo che le soglie fissate erano troppo basse,
hanno stabilito che per alcuni tipi di impianto con una determinata potenza fosse
sufficiente la DIA.
Così, ad esempio, la Regione Puglia, la quale, nell’ottica della
razionalizzazione e della semplificazione delle procedure autorizzative in materia
di fonti rinnovabili, è intervenuta in più di un’occasione. Tra le tante, si ricorda la
legge regionale 19 febbraio 2008 n. 1 che, all’art. 27, ha stabilito che «per gli
impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2,
comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 con potenza elettrica
nominale fino a 1 MW, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto
ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di
inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380»495.
Ed ancora, con la legge regionale 21 ottobre 2008 n. 31 (art. 3), sempre la
Regione Puglia ha di fatto generalizzato lo strumento della DIA per la
Da ultimo, criteri di semplificazione ulteriori sono stati previsti anche dall’art. 11, comma 3, del
d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, recante la disciplina di dettaglio in materia di razionalizzazione delle
procedure amministrative e regolamentari nel settore energetico. Tale disposizione prevede la
possibilità di realizzare, con una semplice comunicazione preventiva al Comune, sia generatori
eolici di dimensioni ridottissime (di altezza non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore ad
un metro), sia impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici (a
condizione che abbiano medesima inclinazione e orientamento della falda e non modifichino la
sagoma degli edifici stessi).
495 In particolare la DIA si applica nei seguenti casi: a) impianti fotovoltaici posti su edifici
industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali,
commerciali e servizi esistenti o da costruire; b) impianti eolici on-shore; c) impianti idraulici; d)
impianti alimentati a biomassa posti internamente a complessi industriali, agricoli, commerciali e
servizi, esistenti o da costruire; e) impianti alimentati a gas di discarica, posti internamente alla
stessa discarica, esistente o da costruire; f) impianti alimentati a gas residuati dai processi di
depurazione, posti internamente a complessi industriali, agricoli, commerciali e servizi, esistenti o
da costruire; g) impianti alimentati a biogas, posti internamente a complessi industriali,
agricoli,commerciali e servizi, esistenti o da costruire.
494
187
realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili con potenza
fino a 1MW, stabilendo che «per gli impianti di produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003, con
potenze elettriche nominali superiori a quelle previste alla tabella A di cui
all’articolo 2, comma 158, lettera g), della legge 31 dicembre 2007, n. 244
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2008), e fino a 1 MW, fatte salve le norme in materia di
valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la
disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia emanato con
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e successive
modifiche e integrazioni»496.
Il quadro normativo pugliese sopra richiamato, ed in particolar modo la
possibilità di realizzare mediante il ricorso alla denuncia di inizio attività (DIA)
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili fino ad 1 MW di potenza, è
stata dichiarato, però, illegittimo dalla Corte Costituzionale497, la quale ha sancito
In particolare la DIA si applica nei seguenti casi: a) impianti fotovoltaici posti su edifici,
esistenti o da costruire, con destinazione civile, industriale, agricola, commerciale e servizi, e/o
collocati a terra internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati civili, industriali,
agricoli, commerciali e servizi; b) impianti fotovoltaici in zona agricola, a condizione che l’area
asservita all’intervento sia estesa almeno due volte la superficie radiante. La superficie non
occupata dall’impianto deve essere destinata esclusivamente a uso agricolo. Gli impianti collocati a
terra in un’area agricola costituita da terreni appartenenti a unico proprietario, ovvero costituita da
più lotti derivanti dal frazionamento di un’area di maggiore estensione, effettuato nel biennio
precedente alla domanda, ai fini del calcolo della potenza elettrica massima per ricorrere alla
procedura di DIA, sono considerati come un unico impianto; c) impianti eolici on-shore realizzati
direttamente dagli enti locali, nonché quelli finalizzati all’autoconsumo costituiti da un solo
aerogeneratore; d) impianti idraulici; e) impianti alimentati a biomassa posti internamente a
complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati industriali, agricoli, commerciali e servizi, fermi
restando i vincoli di cui all’articolo 2, comma 4, per gli impianti ricadenti in zone agricole; f)
impianti alimentati a gas di discarica, posti internamente alla stessa discarica, esistente o da
costruire; g) impianti alimentati a gas residuati dai processi di depurazione, posti internamente a
complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati industriali, agricoli, commerciali e servizi; h)
impianti alimentati a biogas, posti internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati
industriali, agricoli, commerciali e servizi.
497 Cfr. Corte cost., sent. n. 119 del 2010, la quale statuisce nella parte motiva come «La
costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse, sono
soggetti all’autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 3, del d.lgs.
496
188
l’invalicabilità dei confini definiti dalla normativa statale in ordine alle procedure
per il rilascio dei titoli abilitativi alla costruzione e all’esercizio degli impianti di
energia da fonti rinnovabili, ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003.
Nello specifico, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 119 del 2010 ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale pugliese n. 31
del 2008, evidenziando come alla Regione quest’ultima non fosse attribuito il
potere di introdurre autonomamente procedure autorizzatorie semplificate per
impianti di potenza superiore alle soglie minime previste dall’allegato A del d.lgs.
n. 387 del 2003.
Questa statuizione della Corte Costituzionale ha rappresentato uno
spartiacque nel contesto qui esaminato, recando con sé un’impostazione di
carattere generale volta a calmierare le velleità interpretative delle Regioni in
materia di procedure semplificate.
n. 387 del 2003). Sussiste una procedura autorizzativa semplificata in relazione agli impianti con
una capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo
decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile: agli impianti rientranti nelle
suddette soglie si applica la disciplina della DIA, di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia), da presentare al Comune competente per territorio. La norma
regionale censurata – per alcune tipologie di impianti specificamente elencati, per la produzione di
energia da fonti rinnovabili, non solo solare ed eolica, ma anche per impianti idraulici, a biomassa e
a gas – ha previsto l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1
MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003. Riguardo alle ipotesi di
applicabilità della procedura semplificata di DIA in alternativa all’autorizzazione unica, è
riconoscibile l’esercizio della legislazione di principio dello Stato in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato,
per esigenze di uniformità, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello
nazionale (sentenza n. 383 del 2005); ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle
trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di
procedure semplificate (in tal senso le sentenze n. 336 del 2005, in materia di comunicazioni
elettroniche, e n. 62 del 2008 in materia di smaltimento rifiuti)». La norma regionale è allora
illegittima, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di
installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa
provvedervi autonomamente: la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 va limitata ai
commi 1 e 2. V. FIENGA S., Energia da fonti rinnovabili e procedure autorizzatorie, (nota a Corte Cost. n.
119/2010), in Ambiente & Sviluppo, 7, 2010. V. anche CANCELLARO M., Le fonti rinnovabili
nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale: problematiche e soluzione giuridiche, in Ambientediritto.it, 20
settembre 2010.
189
Difatti, al pari della Regione Puglia, anche la Regione Calabria498aveva
fissato un’unica soglia al di sotto della quale il titolo autorizzativo era informato al
meccanismo della denuncia di inizio attività, senza tener conto della tipologia di
fonte utilizzata499. Dello stesso contenuto, erano state emanate anche leggi e
provvedimenti regionali nelle Regioni Basilicata500, Sicilia501 e Molise502.
Anche con riferimento a quest’ultime, la giurisprudenza della Corte
Costituzionale503 ha ribadito come il favor espresso a livello comunitario per le
fonti energetiche rinnovabili non può tradursi in un illegittimo mutamento dell’iter
autorizzatorio, ma deve essere letto esclusivamente nell’ottica di favorire il più
ampio insediamento di impianti ad energia pulita sul territorio, senza che le
Regioni possano costituire un ostacolo al perseguimento di tale fine504.
Con l’intento di dare atto del frastagliato quadro normativo antecedente
all’emanazione delle Linee Guida nazionali, si riportano nella tabella seguente i
provvedimenti adottati da ciascuna Regione e contenenti, in molti casi,
disposizioni diverse per quanto riguarda le procedure autorizzative per
l’installazione di impianti di fonte rinnovabile505:
ABRUZZO
·
D.G.R. 12 aprile 2007, n. 351, modificata dalla
D.G.R. 12 agosto 2008, n. 760: detta i criteri e gli
Cfr. punto 2.3. allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008.
Cfr. Corte cost., sent. n. 124 del 2010: la Corte si limita al riguardo a rilevare la diversità della
disciplina regionale da quella statale e a ricordare che l’individuazione di soglie differenziate è
consentita sulla base di uno specifico procedimento che coinvolge Stato e Regioni in applicazione
del principio di leale collaborazione. Pare interessante evidenziare che la Corte riconosce rilievo
esclusivo all’obiettivo di semplificare il procedimento autorizzatorio in modo uniforme su tutto il
territorio nazionale, cosicché vengono censurate anche previsioni che avrebbero aumentato il
novero delle attività semplificate (attraverso la fissazione di una soglia di potenza superiore rispetto
a quelle previste al d.lgs. 387/2003, al di sotto della quale è consentito il ricorso alla DIA).
500 Cfr. legge regionale n. 31 del 2008.
501 Cfr. delibera di Giunta 3 febbraio 2009.
502 Cfr. articolo 3, comma 1, della legge regionale n. 22 del 2009. Cfr. anche Corte cost., sent. n.
194 del 2010.
503 Cfr. Corte cost., sentt. n. 282 del 2009 e n. 124 del 2010.
504 V. FIENGA S., op.cit.
505 Schema articolato nell’ambito dell’approfondimento di GIFFONI M.A. – PETRUCCI F.,
Autorizzazione unica, il medioevo delle rinnovabili italiane, in Nextville.it, 10 febbraio 2010.
498
499
190
indirizzi per il rilascio dell’autorizzazione unica. E’
prevista una procedura semplificata per gli impianti
fotovoltaici di potenza non inferiore a 20 KW e non
superiore a 200 KW installati su: elementi di arredo
urbano e viario, sulle superfici esterne degli involucri
di edifici, di fabbricati e strutture edilizie di qualsiasi
funzione e destinazione, anche non integrati.
·
L.R. 8 marzo 1999, n. 7: attribuisce alla Regione le
funzioni amministrative in materia di costruzione e di
esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché i
compiti di promozione delle fonti energetiche
rinnovabili e delle assimilate nei settori produttivi. La
Regione non detta una disciplina per l’autorizzazione
unica.
·
L.R. 29 dicembre 2008, n. 42: detta le norme in
materia di autorizzazione unica. L’autorizzazione unica
è rilasciata dalla Regione. Per gli impianti inferiori alle
soglie
indicate
nell’allegato
A,
in
luogo
dell’autorizzazione unica, si presenta la DIA.
·
D.G.R. 20 marzo 2009 n. 500: detta le Linee Guida
per il procedimento di autorizzazione unica.
L.R. 30 gennaio 2008, n. 1: stabilisce che, in attesa
dell’approvazione del Piano energetico ambientale
regionale, sono soggetti a procedimento semplificato
gli impianti di produzione di energia elettrica
alimentati con fonti rinnovabili della potenza uguale o
inferiore a:
100 KW elettrici per installazioni
fotovoltaiche su tetti di copertura; 5.000 KW elettrici
per impianti alimentati a biomasse vegetali liquide
vergini o riciclate.
BASILICATA
CALABRIA
·
CAMPANIA
·
L.R. 24/2006: Spettano alla Regione, d’intesa con gli
enti locali interessati, le funzioni amministrative in
merito alle autorizzazioni, alla costruzione e
all’esercizio degli impianti di produzione di energia di
potenza superiore a 50 MW termici alimentati da fonti
rinnovabili. Sotto la soglia dei 50 MW, la competenza
spetta alle Province. La Regione non detta norme in
materia di procedimento di autorizzazione unica.
·
L.R. n. 30 del 2002: attribuisce ai Comuni il rilascio
delle autorizzazioni relative all’installazione e
all’esercizio degli impianti di produzione di energia
elettrica che utilizzano fonti rinnovabili con potenza
EMILIA
ROMAGNA
FRIULI
VENEZIA
GIULIA
191
inferiore a 10 MW termici. Per impianti con potenza
tra i 10 MW e i 25 MW termici i Comuni esercitano le
funzioni amministrative in forma associata o mediante
delega alle Province. Per impianti con potenza
superiore a 25 MW e fino a 50 MW termici la
competenza al rilascio delle autorizzazioni è della
Provincia, mentre per impianti con potenza superiore
a 50 MW termici la competenza è della Regione. IL
Friuli Venezia Giulia non detta norme regionali in
materia di autorizzazione unica degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili.
·
LAZIO
·
·
LIGURIA
·
·
·
LOMBARDIA
·
MARCHE
L.R. n. 14 del 1999: assegna alle Province le funzioni
amministrative in materia di autorizzazione unica.
D.G.R. 18 luglio 2008, n. 517: detta le Linee Guida.
Sono riservate alla Regione le azioni dirette alla
riduzione dei consumi energetici, razionalizzazione e
di efficienza energetica; allo sviluppo ed all’uso delle
fonti rinnovabili di energia.
L.R. 29 maggio 2007, n. 22: detta le disposizioni in
materia di autorizzazione unica, con delega alle
Province per il rilascio del provvedimento.
D.G.R. 5 settembre 2002, n. 966: individua le zone
non idonee alla realizzazione di impianti eolici e
stabilisce i requisiti minimi che i progetti devono
contenere ai fini della mitigazione dell’impatto
ambientale.
L.R. 12 dicembre 2003, n. 26: delega alle Province la
competenza
amministrativa
in
materia
di
autorizzazione unica.
D.G.R. 25 novembre 2009, n. 8/10622: detta regole
semplificate per la costruzione di impianti fotovoltaici
parzialmente o totalmente integrati e singoli generatori
eolici con altezza complessiva inferiore a 1,5 m. e
diametro non superiore a 1 m. costituiscono, a
seconda dei casi, attività di edilizia libera o
manutenzione straordinaria. Come tali sono soggette a
semplice comunicazione o DIA senza alcun limite di
soglie di potenza.
L.R. n. 10 del 1999: delega alle Province le funzioni
amministrative per il suo rilascio. La Regione Marche
non detta una disciplina regionale sull’autorizzazione
unica.
192
·
D.G.R. 16 novembre 2009, n. 1074: sono approvate
nuove Linee Guida. Gli impianti per la produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili con capacità di
generazione non superiore a 1 MW elettrico sono
autorizzati dai Comuni competenti per territorio
secondo le procedure semplificate stabilite dalle Linee
Guida regionali.
·
L.R. n. 44 del 2000 e L.R. n. 23 del 2002: affidano
alle Province la competenza in materia di
autorizzazione di impianti di produzione di energia
non riservati alla competenza statale. La Regione non
detta una normativa regionale in materia di
Autorizzazione Unica.
·
D.G.R. 23 gennaio 2007, n. 35: detta la disciplina in
materia di autorizzazione unica.
D.G.R. 7 maggio 2007, n. 429: detta alcuni criteri di
priorità nella valutazione delle domande di
autorizzazione unica.
L.R. 21 ottobre 2008, n. 31: detta ulteriori norme
semplificative.
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
·
·
·
L.R. 7 agosto 2009, n. 3: stabilisce che, in attesa
dell’approvazione di una legge regionale che disciplini
in modo organico la materia, l’autorizzazione unica è
rilasciata dalle Province. La Regione non detta una
normativa in materia di autorizzazione unica.
·
La Regione non detta una disciplina regionale in
materia di autorizzazione unica.
·
L.R. 24 febbraio 2005, n. 39: detta misure in materia
di autorizzazione unica.
D.G.R. 31 marzo 2008, n. 235: precisa gli ambiti di
operatività dell’autorizzazione unica, dopo le
modifiche alla disciplina nazionale apportate dalla
Finanziaria 2008.
L.R. 23 novembre 2009, n. 71: ridefinisce i compiti
degli Enti locali in materia di energia.
SARDEGNA
SICILIA
·
TOSCANA
·
TRENTINO
ALTO ADIGE
Provincia di Bolzano
·
D.P.P. 28 settembre 2007 n. 52: detta criteri per
l’autorizzazione nel verde agricolo di impianti per la
produzione di energia da fonti rinnovabili, salva la
valutazione architettonica, paesaggistica e in materia di
193
tutela dei beni culturali. Impianti geotermici possono
essere autorizzati senza limite di potenza e
indipendentemente dalla destinazione urbanistica
dell’area.
Provincia di Trento
·
L.P. 6 marzo 1998, n. 4, come modificata dalla
L.P. 29 dicembre 2005, n. 20: stabilisce le
disposizioni attuative dell’articolo 6 della direttiva
2001/77/CE,
concernente
le
procedure
amministrative applicabili agli impianti per la
produzione di elettricità da fonti energetiche
rinnovabili.
·
UMBRIA
·
·
VALLE
D’AOSTA
·
·
VENETO
·
L.R. 18 febbraio 2004, n. 1: dapprima la legge
delegava la competenza all’autorizzazione unica al
Comune (caso unico in Italia). In seguito alle
disposizioni limitative della legge finanziaria 2008 (L.
244/2007), la Regione ha attribuito la competenza alla
Provincia.
D.G.R. 19 maggio 2008, n. 561: regola i criteri e le
modalità per lo svolgimento del procedimento unico.
L.R. 14 ottobre 2005, n. 23: detta disposizioni per la
razionalizzazione e la semplificazione delle procedure
autorizzative. Alla Giunta regionale è demandato ogni
altro
aspetto
connesso
al
provvedimento
autorizzatorio.
D.G.R. 10 febbraio 2006, n. 343: detta le disposizioni
di dettaglio.
D.G.R. 8 agosto 2008, n. 2204: detta disposizioni in
materia di autorizzazione unica. La competenza è
comunale per gli impianti con potenza inferiore a: 20
KW per il fotovoltaico; 60 KW per l’eolico; 100 KW
per l’idroelettrico; 200 kW per le biomasse; 250 kW
per il biogas. Al di sopra di queste soglie la
competenza è comunale se non servono autorizzazioni
di altre amministrazioni (Valutazione di impatto
ambientale, concessioni di derivazioni d’acqua, nulla
osta della Soprintendenza, ecc.), altrimenti è regionale.
La delibera è stata aggiornata con D.G.R. 5 maggio
2009, n. 1192.
D.G.R. 19 maggio 2009, n. 1391: detta ulteriori
precisazioni per il rilascio dell'autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di
energia da biomassa e biogas da produzioni agricole,
forestali e zootecniche.
194
·
·
5.
D.G.R. 4 agosto 2009, n. 2373: detta le procedure
per l’autorizzazione unica di competenza regionale per
la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici ed
eolici. Sono state dettate anche alcune precisazioni
sull’autorizzazione per impianti eolici e fotovoltaici di
competenza comunale.
L.R. 22 gennaio 2010, n. 10: detta disposizioni in
materia di autorizzazioni e incentivi per la
realizzazione di impianti solari termici e fotovoltaici
sul territorio della Regione del Veneto.
Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali.
La disomogeneità della disciplina in materia di fonti rinnovabili su tutto il
territorio nazionale derivata dall’assenza delle Linee Guida ha dato luogo, in tempi
più recenti, alla necessità di creare a livello nazionale un sistema coordinato di
regole applicabili a tutte le Regioni. A tal fine, nel 2010, il Ministero dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente ed il Ministero per i beni e
le attività culturali ha predisposto le Linee Guida nazionali per «l’autorizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»506, cosi come previste dall’articolo
12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003.
D’altronde, l’urgenza dell’emanazione di tali Linee Guida era già stata
segnalata dall’Autorità Antitrust507, la quale aveva evidenziato la necessità di
«promuovere un’evoluzione concorrenziale del settore, indispensabile peraltro al
raggiungimento degli obiettivi assegnati all’Italia in sede comunitaria per lo
sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili».
L’Autorità rilevava come l’elevato grado di autonomia che le Regioni si
erano illegittimamente riservate negli ultimi anni aveva determinato diverse
distorsioni nel mercato della produzione e distribuzione di energia elettrica, che si
concretizzava in particolare: nella moltiplicazione e nella mancanza di chiarezza
sui centri decisionali demandati al rilascio dell’autorizzazione unica tra Regioni,
Cfr. più volte citato decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010,
pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010.
507 Cfr. segnalazione n. AS680 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, cit.
506
195
Province e Comuni508; nell’incertezza dei tempi del procedimento autorizzatorio;
restrizioni dirette nell’accesso al mercato ovvero limitazioni quantitative
all’installazione degli impianti; nelle limitazioni indirette all’accesso al mercato,
quali
richieste,
difformi
da
Regione
a
Regione,
di
ulteriori
requisiti/documentazione non previsti dalla normativa primaria di riferimento
(requisiti soggettivi e/o attinenti all’organizzazione del proponente, imposizione di
misure volte a favorire l’economia locale) e nell’imposizione di oneri economici
(oneri di istruttoria, fideiussioni per il ripristino dei luoghi, misure di
compensazione) ingiustificati o comunque eccessivi per il proponente; nella
subordinazione dell’autorizzazione unica ad atti o pareri aggiuntivi non previsti
dalla normativa primaria.
Con l’emanazione delle Linee Guida ad opera del D.M. 10 settembre 2010,
vengono finalmente enucleate regole uniformi, le quali stabiliscono l’elenco degli
atti che rappresentano i contenuti minimi indispensabili per superare
positivamente l’iter autorizzativo e chiariscono le procedure che ogni impianto, in
base alla fonte e alla potenza installata, deve seguire per ottenere
l’autorizzazione509.
Contestualmente, viene conferito alle Regioni il potere di adeguare le
rispettive discipline regionali al contenuto delle Linee Guida, entro il termine di 90
giorni dalla data di entrata in vigore delle stesse510, decorso inutilmente il quale le
Linee Guida nazionali si applicano direttamente alle Regioni inadempienti.
Pertanto, le Regioni, tra la fine di dicembre 2010 e l’inizio di gennaio 2011,
hanno emanato numerosi provvedimenti regionali, volti a recepire le indicazioni
provenienti dalle Linee Guida nazionali, in alcuni casi individuando le aree
inidonee alla installazione degli impianti o introducendo norme integrative della
Si ricorda che nelle more dell’emanazione delle Linee Guida nazionali, molte Regioni avevano
prodotto Linee Guida regionali, che a loro volta avevano delegato alle province le competenze
autorizzatorie per gli impianti di piccola taglia.
509 V. MARANGONI A., op.cit.
510 In data 3 ottobre 2010.
508
196
disciplina dei procedimenti autorizzativi, in altri invece limitandosi a prendere atto
delle disposizioni statali511.
Nel primo ordine di interventi legislativi si segnalano Emilia Romagna,
Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta, nonché la Provincia
autonoma di Bolzano, le quali hanno vietato – seppur con qualche eccezione – la
costruzione di impianti fotovoltaici nelle aree interessate da vincoli paesaggisticoambientali o storico-artistici512.
Altre Regioni, come Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Puglia,
Toscana, Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano, hanno introdotto particolari
disposizioni procedurali integrative delle norme nazionali, disciplinando ad
esempio la fideiussione per la dismissione dell’impianto e particolari oneri
istruttori (Calabria, Marche, Puglia, Toscana), le distanze minime tra impianti ai
fini dell’assoggettabilità alle procedure di «screening» ambientale e VIA (Marche e
Toscana), ovvero i contenuti minimi della domanda di autorizzazione unica
(Calabria), o ancora la sottoscrizione di atti di impegno nei confronti del Comune
(Puglia) o le competenze dei vari enti che intervengono nella conferenza di servizi
(Campania).
Infine, altre Regioni, come Abruzzo, Calabria, Lazio, si sono limitate a
«recepire» in toto le Linee Guida nazionali, constatando la conformità della
normativa regionale vigente alle nuove disposizioni, ovvero rinviando a successivi
provvedimenti il coordinamento e l’adeguamento della disciplina regionale alle
norme statali.
5.1. Situazione attuale.
A seguito dell’emanazione delle Linee Guida nazionali è intervenuto anche
il decreto legislativo n. 28 del 2011, che ha modificato e integrato quanto già
V. RECLA J., Autorizzazione unica in 90 giorni (ma la Via è a parte) e comunicazione per il solare, in
Edilizia e Territorio, 15-16, 2011.
512 Ad esempio: zone ricadenti in ambiti SIC/ZPS/PUTT, zone di particolare interesse
paesaggistico individuate dai PTPR/PTCP, ecc..; ovvero nelle aree agricole con particolari
caratteristiche:come, elevata capacità d’uso dei suoli, destinazione alla produzione di prodotti
DOCG E DOC.
511
197
stabilito dalle Linee Guida in merito agli iter procedurali per l’installazione degli
impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili.
In particolare, come già ampiamente trattato nei paragrafi precedenti, il
decreto in questione ha sostituito la denuncia di inizio attività (DIA) con la
procedura abilitativa semplificata (PAS) e, al contempo, ha conferito alle Regioni
la possibilità di ampliare il campo di applicazione di tale strumento autorizzativo
semplificato ad impianti di potenza fino a 1 MW.
Con il d.lgs. n. 28 del 2011 si ha dunque un’inversione di tendenza rispetto
al passato: oggi le Regioni possono elevare la soglia di potenza. In ogni caso, è
fatto salvo il potere delle Regioni di escludere dalla PAS gli impianti che, sebbene
rientrino nella soglia di potenza indicata, necessitano per una completa
autorizzazione di nullaosta ambientali o paesaggistici di competenza di
amministrazioni diverse dal Comune. In tali casi, le Regioni possono imporre
l’assoggettamento dell’impianto all’autorizzazione unica.
In via esemplificativa, si riportano nella tabella seguente i provvedimenti
regionali adottati a seguito delle Linee Guida nazionali e del d.lgs. n. 28 del 2011
attualmente in vigore513:
·
·
ABRUZZO
·
·
L.R. n. 27 del 2006: disposizioni in materia
ambientale (art. 4).
D.G.R. 12 aprile 2007, n. 351 e s.m.i.: d.lgs. n.
387/03 concernente attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili
nel mercato interno dell’elettricità.
D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 1032: attuazione
delle Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili di cui al DM 10
settembre 2010.
D.G.R. 28 dicembre 2012, n. 931: procedura
Dal documento di studio redatto dalla società GSE, Regolazione regionale della generazione elettrica da
fonti rinnovabili, aggiornamento al 31 dicembre 2013, in Gse.it, marzo 2014.
513
198
abilitativa semplificata ai sensi dell’art.6 del d.lgs. n.
28/2011 - criteri specifici.
·
·
BASILICATA
·
·
·
CALABRIA
·
·
·
CAMPANIA
·
·
L.R. 19 gennaio 2010, n. 1: norme in materia di
energia e Piano di indirizzo energetico regionale
d.lgs. n. 152/2006 – L.R. n.9 del 2007 (art. 3).
D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 2260: L.R. 19
gennaio 2010 n. 1, art. 3 - approvazione disciplinare
e relativi allegati tecnici.
D.G.R. 15 febbraio 2011, n. 191: L.R. n. 1 del
2010, art. 4, c. 2 - approvazione dei criteri di
preliminare ammissibilità dei progetti.
L.R. 26 aprile 2012, n.8 e s.m.i.: disposizioni in
materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili.
L.R. 29 dicembre 2008, n. 42 e s.m.i.: misure in
materia di energia elettrica da fonti energetiche
rinnovabili.
D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 871: Linee Guida
nazionali per lo svolgimento del procedimento di
autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili approvate con il DM 10 settembre 2010.
adempimenti.
D.G.R. 30 ottobre 2009, n. 1642 e s.m.i.: norme
generali sul procedimento in materia di
autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003.
D.D. 18 febbraio 2011, n. 50, D.D. 28 settembre
2011, n. 420 e D.D. 26 ottobre 2011, n. 516: art. 12
del d.lgs. n. 387 del 2003: costruzione ed esercizio
di impianti per la produzione di energia elettrica da
fonte rinnovabile. Criteri procedurali.
D.G.R. 8 agosto 2013, n. 325: disciplina di
completamento in materia di autorizzazioni
energetica.
EMILIA
ROMAGNA
·
L.R. 23 dicembre 2012, n. 26 e s.m.i.: disciplina
della programmazione energetica territoriale ed altre
disposizioni in materia di energia (art.16).
R.R. 16 marzo 2012, n. 1: regolamento delle
procedure autorizzative relative alla costruzione ed
esercizio di impianti per la produzione di energia
elettrica di competenza regionale (art. 22).
FRIULI
·
L.R. 11 ottobre 2012, n. 19: norme in materia di
199
VENEZIA
GIULIA
energia e distribuzione dei carburanti (artt. 12 -15).
·
D.G.R. 19 novembre 2010, n. 520: revoca delle
deliberazioni di Giunta regionale n. 517 del 2008 e
n. 16 del 2010 inerenti l’approvazione e la modifica
delle Linee Guida regionali per lo svolgimento del
procedimento unico, relativo alla installazione di
impianti per la produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili, di cui al d.lgs. n. 387 del 2003.
·
L.R. 6 giugno 2008, n. 16 e s.m.i.: disciplina
dell’attività edilizia (artt. 21, 23 e 29).
L.R. 5 aprile 2012, n. 10: disciplina per l’esercizio
delle attività produttive e riordino dello sportello
unico (art. 9 e all. 2).
D.G.R. 21 settembre 2012, n. 1122: approvazione
delle Linee Guida per gli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili.
LAZIO
·
LIGURIA
·
·
LOMBARDIA
·
·
MARCHE
MOLISE
·
·
D.G.R. 18 aprile 2012, n. IX/3298: Linee Guida
regionali per l’autorizzazione degli impianti per la
produzione di energia elettrica da fonti energetiche
rinnovabili mediante recepimento della normativa
nazionale in materia.
D.D. 6 dicembre 2013, n. 11674: approvazione
della modulistica per la presentazione della richiesta
di autorizzazione unica per la costruzione,
installazione ed esercizio di impianti di produzione
di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili di
cui al punto 3.5 della D.G.R. n. 3298 del 2012.
D.G.R. 8 marzo 2011, n. 255: DM 10 settembre
2010 del Ministro dello Sviluppo Economico recepimento delle Linee Guida nazionali per
l’autorizzazione di impianti per la produzione di
energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.
D.G.R. n. 13 del 2010: individuazione delle aree
non idonee di cui alle Linee Guida previste
dall’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 per l’installazione di impianti
fotovoltaici a terra e indirizzi generali tecnico
amministrativi - legge regionale 4 agosto 2010, n.
12.
D.G.R. 4 agosto 2011, n. 621: Linee Guida per lo
svolgimento del procedimento unico di cui all’art.
200
·
·
PIEMONTE
·
·
PUGLIA
·
12 del d.lgs. n. 387 del 2003 per l’autorizzazione alla
costruzione ed all’esercizio di impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
sul territorio della Regione Molise.
L.R. 7 agosto 2009, n. 22 e s.m.i. e L.R. 23
dicembre 2010, n. 23: nuova disciplina degli
insediamenti degli impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della
Regione Molise.
D.G.R. 30 gennaio 2012, n. 5-3314: indicazioni
procedurali in ordine allo svolgimento del
procedimento unico di cui all’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003, relativo al rilascio dell'autorizzazione
alla costruzione ed esercizio di impianti per la
produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.
D.G.R. 19 marzo 2012, n. 29-353: procedimenti
autorizzativi per la realizzazione ed esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica alimentati
da fonte rinnovabile di potenza superiore a 5 MW
elettrici.
D.G.R. 28 dicembre 2010, n. 3029: approvazione
della disciplina del procedimento unico di
autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica.
L.R. 24 settembre 2012, n. 25: regolazione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili.
·
D.G.R. 1 giugno 2011, n. 27/16 e s.m.i.: Linee
Guida attuative del DM 10 settembre 2010, Linee
Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili.
·
D.P. 26 aprile 2012, n. 38: regolamento recante
norme di attuazione dell’art. 105, c. 5, della L.R. n.
11 del 2010.
D.P. 18 luglio 2012, n. 48: regolamento recante
norme di attuazione dell’articolo 2, commi 2-bis e 2ter, della L.R. n. 10 del 1991 e s.m.i., per
l’individuazione dei termini di conclusione dei
procedimenti amministrativi di competenza del
dipartimento regionale dell’energia.
D. Assessorato Energia 17 maggio 2013:
disposizioni per la definizione dei procedimenti di
autorizzazione unica di cui all’art. 12 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e successive
SARDEGNA
·
SICILIA
·
201
·
·
TOSCANA
TRENTINO
ALTO ADIGE
UMBRIA
VALLE
D’AOSTA
VENETO
6.
modifiche ed integrazioni.
D. Assessorato Energia 12 agosto 2013:
approvazione del calendario per tipologia
tecnologica e ordine cronologico delle Conferenze
dei servizi - tecnologia eolica e tecnologia
fotovoltaica.
L.R. 21 marzo 2011, n. 11: disposizioni in materia
di installazione di impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche
alla L.R. 24 febbraio 2005, n. 39 (disposizioni in
materia di energia) e alla L.R. 3 gennaio 2005, n. 1
(norme per il governo del territorio).
Provincia di Bolzano
·
L.P. 11 agosto 1997, n. 13: legge urbanistica
provinciale (art. 44-bis).
·
D.P.P. 28 settembre 2007, n. 52 e s.m.i.:
regolamento di esecuzione alla legge urbanistica
provinciale, legge provinciale 11 agosto 1997, n.13,
art. 44-bis, c. 3 – impianti per la produzione di
energia da fonti rinnovabili.
·
L.P. 7 luglio 2010, n. 9 e s.m.i.: disposizioni in
materia di risparmio energetico e energia
rinnovabile (artt. 1-bis, 1-ter e 1-quater).
Provincia di Trento
·
L.P. 4 ottobre 2012, n. 26 e s.m.i.: legge
provinciale sull’energia e attuazione dell’art. 13 della
direttiva 2009/28/CE (art. 22).
·
R.R. 29 luglio 2011, n. 7 e s.m.i.: disciplina
regionale per l’installazione di impianti per la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
·
L.R. 1 agosto 2012, n. 26: disposizioni regionali in
materia di pianificazione energetica, di promozione
dell’efficienza energetica e di sviluppo delle fonti
rinnovabili (artt. 39 - 49).
·
D.G.R. 2 marzo 2010, n. 453 e s.m.i.: competenze
e procedure per l’autorizzazione di impianti per la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Considerazioni di sintesi.
I procedimenti autorizzatori descritti e creati ad hoc dal Legislatore italiano,
su impulso di quello comunitario, per la realizzazione degli impianti di energia
202
alternativa, appaiono prima facie innovatori rispetto a quelle forme autorizzatorie
già note. Basti pensare alla PAS, introdotta per la prima volta nell’ordinamento
con il d.lgs. n. 28 del 2011.
Tuttavia, ad uno sguardo più attento, partendo dalle premesse di carattere
generale svolte all’inizio del presente capitolo, emerge chiaramente come le
legislazioni moderne non abbiano introdotto novità sostanziali nell’ambito dei
procedimenti amministrativi, ed in particolare in quei procedimenti regolatori
dell’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia. Essi hanno, al più,
perfezionato tipi di procedimenti già noti.
La caratteristica precipua degli strumenti autorizzativi introdotti è il ricorso
alla semplificazione. L’interesse alla semplificazione, promosso in primis dal
Legislatore europeo, non viene però in considerazione come interesse pubblico
autonomo e meritevole di tutela in quanto tale, ma rileva come volano necessario
per il raggiungimento di quegli obiettivi posti a livello comunitario e
internazionale sulla diversificazione delle fonti energetiche. L’introduzione di
semplificazioni amministrative procedurali ha una vera e propria finalità
incentivante (che poi è la stessa, come vedremo, dei regimi di incentivo), cioè
favorire il compimento di attività virtuose a beneficio dell’ambiente.
Questa impostazione della semplificazione, come valore non a sé stante,
d’altronde, non è nuova neanche nel nostro ordinamento nazionale, laddove –
come già anticipato – la semplificazione si riconnette con il principio
costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art.
97 della Costituzione, nel momento in cui garantisce il rispetto di quel canone di
efficienza dell’attività amministrativa, che richiede che l’amministrazione agisca in
tempi certi e rapidi, senza inutile aggravio delle procedure.
Il principio costituzionale del buon andamento si compone, però, anche del
canone dell’efficacia dell’attività amministrativa, che in raccordo con l’efficienza,
impone all’amministrazione il contemperamento di tutti gli interessi pubblici
coinvolti in un procedimento attraverso una particolare attenzione rivolta
unicamente ai suoi risultati sostanziali.
In ragione di questo equilibrio tra efficienza ed efficacia dell’azione
amministrativa a cui deve tendere la pubblica amministrazione nel perseguimento
del suo «buon andamento», si pone allora il problema se le semplificazioni
203
introdotte in tema siano idonee a realizzare gli obiettivi prefissati, senza produrre
al contempo un sacrificio irragionevole dell’istruttoria procedimentale, a discapito
di un’adeguata considerazione degli interessi costituzionalmente coinvolti nel
procedimento autorizzatorio diretto all’installazione degli impianti di energia
rinnovabile, ed in particolare di quello ambientale.
Al riguardo, per poter compiutamente rispondere al problema posto,
occorre preliminarmente fare memoria delle garanzie procedurali e motivazionali
che sono state introdotte nel procedimento de quo; si pensi a quanto già detto in
ordine alla Conferenza di servizi e al procedimento di valutazione di impatto
ambientale. Queste garanzie, infatti, sembrano già di per sé realizzare una
semplificazione procedurale apprezzabile.
In secondo luogo, non va trascurato un dato di fondamentale importanza, e
cioè la rilevanza dell’interesse costituzionale del bene ambientale in tali
procedimenti. Se è vero, infatti, che laddove ricorra un interesse ambientale, la
disciplina generale del procedimento amministrativo riconosce a quest’ultimo il
valore di limite alla semplificazione amministrativa, tant’è che spesso gli istituti
c.d. di semplificazione – quali la Conferenza di servizi, la SCIA, o il silenzioassenso – trovano un’applicazione assai prudente, per non dire che in alcuni casi
vengono addirittura disapplicati; è vero anche però che nei procedimenti di
installazione degli impianti di energia rinnovabile, la tutela ambientale permea lo
stesso procedimento, o per lo meno il conflitto con esso è notevolmente
attenuato, per cui l’ambiente non si può più considerare come limito intrinseco
alla semplificazione, ma semmai come fattore propulsivo, nella misura in cui il
procedimento stesso è finalizzato alla diversificazione delle fonti energetiche e,
quindi, alla tutela dell’ambiente.
Se così è, allora, le ragioni per cui le semplificazioni procedurali introdotte
dal nostro Legislatore non hanno permesso, di fatto, un adempimento degli
obblighi imposti dalla disciplina europea sono da rinvenire non tanto nei limiti di
tali semplificazioni ma, piuttosto, nei difetti e nelle carenze di quella disciplina «a
monte» della fase procedimentale. Tra queste, come ampiamente trattato nel
primo capitolo, si annoverano i ritardi nell’emanazione della Strategia energetica
nazionale e nella definizione delle Linee Guida nazionali, che – come dimostrano
le tabelle riepilogative – hanno dato luogo ad una proliferazione di atti e
204
provvedimenti da parte delle singole Regioni, che oltre a creare poca chiarezza,
hanno generato, in molti casi, anche una notevole disparità di trattamento. Ciò,
d’altronde, è confermato anche dalle richiamate sentenze della Corte
Costituzionale cha ha, in più occasioni, «bocciato» le normative regionali emanate
in materia energetica nelle more delle indicazioni statali.
Tuttavia, non pare che la recente adozione delle Linee Guida nazionali nel
2010 abbia risolto, in verità, il problema. Quest’ultime, infatti, non sono esenti da
critiche, in quanto risultando poco chiare e, per alcuni aspetti, addirittura, ambigue
non si presentano come strumento utile per indirizzare le Regioni nell’emanazione
delle proprie Linee Guida e funzionali ad operare un adeguato contemperamento
tra le esigenze di sviluppo e valorizzazione del mercato energetico, da un lato, e la
tutela dell’ambiente e del paesaggio, dall’altro. Di fatto, quindi, le Linee Guida
nazionali, nella loro attuale formulazione, tradiscono la finalità stessa per la quale
sono state previste ed emanate, ossia quella di offrire agli operatori un quadro
certo e chiaro di riferimento.
In estrema sintesi, alla luce delle considerazioni effettuate, è auspicabile
allora un intervento chiarificatore sulle Linee Guida da parte del Legislatore
statale. Laddove un tale intervento non intervenisse in tempi brevi, è del tutto
prevedibile che anche le normative regionali di attuazione delle Linee Guida
nazionali, al pari delle discipline regionali adottate nelle more dell’emanazione
delle medesime, subiranno la ghigliottina della Corte costituzionale.
205
206
CAPITOLO III
Il sistema di incentivazione e promozione delle energie
rinnovabili
SOMMARIO: 1. Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti
energetiche rinnovabili 1.1. L’attività di incentivazione 1.2. La natura giuridica di
incentivo 2. Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili 2.1. La
tariffa CIP 6/92 2.2. I certificati verdi 2.3. La tariffa omnicomprensiva 2.4. Il
Conto Energia 2.4.1. Il primo Conto Energia 2.4.2. Il secondo Conto Energia
2.4.3. Il terzo Conto Energia 2.4.4. Il quarto Conto Energia 2.4.5. Il quinto Conto
Energia 2.5. Il nuovo sistema delle aste 2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro
dedicato 3. Criticità dell’attuale sistema di incentivazione 3.1. La lesione del
principio del legittimo affidamento come corollario della mancanza di certezza
normativa: il particolare caso del fotovoltaico in Italia 4. Analisi comparata:
l’esperienza spagnola e tedesca 4.1. Spagna 4.2. Germania 5. Considerazioni di
sintesi.
1.
Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti
energetiche rinnovabili.
Il presente capitolo si propone di analizzare le politiche incentivanti
promosse dall’Italia in materia di fonti energetiche rinnovabili, al fine di
verificarne la loro idoneità per un effettivo sviluppo dell’energia verde.
Se, infatti, come analizzato nei capitoli precedenti, la funzione
programmatoria a livello centrale, da un lato, e gli strumenti di semplificazione
amministrativa, dall’altro, rappresentano, senza dubbio, aspetti fondamentali per
garantire uno «sviluppo sostenibile»; allo stesso modo, però, non può sottacersi
che una politica promozionale, attraverso l’uso di strumenti incentivanti, possa
essere un volano per lo sviluppo, ove ben strutturata.
A tal proposito, la stessa Unione Europea, con la direttiva 2001/77/CE, ha
stabilito che lo sviluppo delle fonti rinnovabili deve essere un obiettivo prioritario
degli Stati membri e a tal fine ha imposto loro di porre le basi per lo sviluppo delle
energie rinnovabili, anche attraverso varie forme di incentivazione.
207
I meccanismi di incentivazione rivestono, dunque, un ruolo di grande
importanza e al momento appare evidente come non sia possibile prescindere da
essi514.
L’intervento pubblico è oggi, infatti, reso necessario dall’attuale minore
competitività delle fonti rinnovabili rispetto a quelle convenzionali e gli strumenti
incentivanti si rendono utili per rendere più convenienti gli investimenti da parte
degli operatori economici nella costruzione di impianti da fonti rinnovabili515.
La stessa Commissione Europea, in un rapporto sulle politiche e sugli
strumenti normativi di promozione della produzione di energia rinnovabile516, ha
relazionato sull’utilizzo dei meccanismi di sostegno economico agli investimenti in
energia pulita da parte di tutti i Paesi membri, evidenziando il minore livello di
competitività di tali impianti di produzione rispetto alle tecnologie convenzionali
(centrali fossili e nucleari). I risultati dell’analisi, contenuti nel menzionato
rapporto comunitario sulla valutazione delle politiche degli Stati membri,
evidenziano, in particolare, la relazione tra il grado di realizzazione degli obiettivi
quantitativi517 e l’indice di attrazione degli investimenti, a sua volta dato dal livello
dei profitti attesi rispetto al KWh prodotto. Il confronto tra l’efficacia delle
politiche di promozione delle rinnovabili518 e i profitti attesi dagli investimenti ha
messo in evidenza come gli incentivi pubblici siano decisivi non solo per
condizionare le decisioni di investimento dei privati519, ma anche per raggiungere
V. SELLERI R., op.cit., 959.
V. MALANDRINO O., Le fonti rinnovabili ed il ruolo dei meccanismi di sostegno, Dipartimento di Studi
e Ricerche Aziendali Facoltà di Economia, Università di Salerno, pubblicazione del 28 maggio
2010, in Unisa.it.
516 Cfr. comunicazione SEC (2008) 57 del 23 gennaio 2008, Documento tecnico di valutazione delle
politiche e degli strumenti di promozione delle rinnovabili nel settore elettrico all’interno degli Stati membri. Il
documento è un aggiornamento della precedente relazione del 2005 (V. comunicazione SEC
(2005) 1571 del 7 dicembre 2005, Il sostegno a favore dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili,)
emanata ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2001/77/CE.
517 Misurato dal tasso medio annuo di crescita dei MW realizzati e dei corrispondenti MWh
prodotti.
518 Misurata dal livello di MWh prodotti rispetto all’obiettivo programmato.
519 Più in generale, sull’incidenza della questione ambientale nelle scelte imprenditoriali, si veda
DONATO F., La variabile ambientale nelle politiche aziendali: sostenibilità, economia ed ecologia, Milano, 2000.
514
515
208
gli obiettivi nazionali di emissione fissati dalla normativa comunitaria520. A
conferma di ciò, i trend di crescita degli investimenti e i dati relativi alla nuova
capacità installata di fonti rinnovabili a livello mondiale ed europeo registrati negli
ultimi anni ne sono stati un chiaro esempio521.
In tempi moderni, tra l’altro, anche in considerazione dell’emergere
nell’opinione pubblica di una nuova sensibilità nei confronti dei problemi
dell’ambiente e delle spinte dei vari movimenti e associazioni ecologiste, gli Stati,
seppur con tempistiche diverse, hanno avviato, specie nell’ultimo quindicennio522,
politiche ambientali basate sulla possibilità di utilizzare strumenti di mercato a
tutela dell’ambiente.
Il mercato e i meccanismi concorrenziali ad esso connaturati non sono più
visti, come accadeva in passato, come un nemico per l’ambiente523. Anzi, nasce
l’idea che ambiente e mercato costituiscano due nozioni non ineluttabilmente in
contraddizione524 e, sia a livello internazionale, comunitario che nazionale, sono
V. ARDOLINO D., L’intervento pubblico nel settore energetico: l’incentivazione della produzione da fonti
energetiche rinnovabili, in Innovazione & Diritto, 2009.
521 Basti considerare che a livello europeo, sia nel 2008 che nel 2009, nel settore elettrico, le nuove
installazioni che utilizzano fonti energetiche rinnovabili hanno superato quelle basate su fonti
convenzionali. In particolare, la prima fonte di energia in assoluto in termini di nuove installazione,
nel 2009, è stata quella eolica seguita dal fotovoltaico, che ha raggiunto una capacità complessiva
installata di quasi il 10 GW, circa la metà dei 22 GW installati a livello mondiale. Si veda, sul punto,
MALANDRINO O. – SICA D., Il contributo dei meccanismi di incentivazione all’affermazione delle fer nel
paradigma energetico nazionale, in Esperienze d’impresa, 2, 2011, 69 s. L’entusiasmo per i risultati degli
investimenti descritti tuttavia si scontra con l’attuale situazione energetica nazionale che, alla luce
dei recenti impegni assunti a livello comunitario (direttiva 2009/28/CE) – che prevedono una
copertura del 17% di consumi finali con energia prodotta da fonti rinnovabili – richiede
l’individuazione di un’adeguata strategia tesa a rimuovere le numerose barriere, che a tutt’oggi,
ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
522 Dal Protocollo di Kyoto del 1997 ad oggi.
523 Di regola, infatti, le imprese non si fanno carico spontaneamente delle cosiddette «esternalità
negative», cioè delle emissioni inquinanti nell’atmosfera, nei fiumi e in generale nell’ambiente
naturale. Né esse si preoccupano delle conseguenze di lungo periodo del depauperamento delle
risorse naturali (per esempio, la deforestazione) determinato dall’approvvigionamento di materie
prime necessarie per i processi produttivi.
524 Anzitutto, a livello europeo si sta affermando la consapevolezza che, almeno in determinati
settori, la politica di concorrenza e le politiche ambientali debbano essere attuate in modo da
puntellarsi e rafforzarsi reciprocamente. Ad esempio, nel settore dello smaltimento dei rifiuti,
secondo la Direzione della concorrenza della Commissione Ue, per un verso, un mercato più
efficiente e concorrenziale può costituire uno strumento per una migliore politica ambientale; per
altro verso, una politica ambientale condotta attraverso l’adozione di strumenti di mercato ben
congegnati può ridurre al minimo il rischio di distorsioni della concorrenza. Così, per esempio, la
520
209
state sperimentate modalità di intervento coerenti con il concetto che la tutela
dell’ambiente possa essere perseguita «attraverso» il mercato, mediante la messa in
opera di strumenti che fanno leva sulle dinamiche di mercato e sulle modalità di
funzionamento del medesimo per promuovere la tutela dell’ambiente.
Così, in alcuni casi, le politiche ambientali si avvalgono di misure
autoritative (come, ad esempio, atti di pianificazione, imposizione di limiti,
normative tecniche, autorizzazioni, sanzioni amministrative, etc.); in molti altri,
invece, prescindono del tutto da queste ultime e lo Stato assume il ruolo di
«facilitatore»525, o meglio di «regolatore»526 o, se vogliamo, di «incentivatore».
La funzione di «regolazione» del mercato da parte dello Stato ha significato,
a lungo, per molti giuristi italiani, studiare le possibili forme di intervento di natura
pubblicistica che, per effetto della stessa forma di Stato costituzionale sociale,
legittimavano i pubblici poteri ad incidere direttamente sulle scelte economiche
dei soggetti privati527. Dunque, la regolazione – termine estraneo al linguaggio
direttiva 2000/53/CE End of life Vehicle del 18 settembre 2000 potrebbe conseguire più
agevolmente l’obiettivo ambientale del riciclo quasi integrale dei veicoli rottamati (entro il 2015
recupero e riciclo di materiali pari al 95% del peso del veicolo rottamato), se attuata dagli Stati
membri attraverso soluzioni rispettose dei principi di concorrenza. Il principio cardine della
direttiva è che l’ultimo proprietario del veicolo da rottamare non deve sopportare alcun costo (free
take-back), che invece grava integralmente sui produttori e importatori di autoveicoli (producer
responsability). Ma questo non deve tradursi in regole che favoriscono e rendono lecite intese
orizzontali tra produttori e che escludano da questo particolare mercato imprese di rottamazione
indipendenti dai produttori di autoveicoli. Per una panoramica degli strumenti economici di
politica ambientale, cfr. MUSU I., Introduzione all’economia dell’ambiente, Bologna, 2000.
525 V. CLARICH M., La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, relazione al Convegno dell’Associazione
italiana dei professori di diritto amministrativo su «Analisi economica e diritto amministrativo»,
Venezia, 29 settembre 2006, in Giustizia-amministrativa.it. Secondo l’Autore, in ogni caso
l’applicazione anche rigorosa dei principi della concorrenza da parte della Commissione Ue e delle
autorità antitrust nazionali - che costituisce, com’è noto, la forma di intervento pubblico nelle
attività economiche più rispettosa della libertà di iniziativa privata tanto da essere connaturata al
concetto di un mercato correttamente funzionante - non può risolvere tutti i problemi ambientali.
Per attivare la concorrenza attraverso il mercato sono necessari interventi regolatori più incisivi,
tali da creare i presupposti perché i meccanismi di mercato siano resi funzionali al perseguimento
di obiettivi di politica ambientale.
526 V. ZATTI F., Il problema della responsabilità politica nelle «reti di regolatori» indipendenti del mercato, in
Apertacontrada.it., 9 novembre 2012.
527 V. CASSESE S., Dalla sovranità pubblica sull’economia alla sovranità dell’economia sullo Stato, in ID., Il
mondo nuovo del diritto, Bologna, 2008.
210
giuridico nell’esperienza di allora – era, in realtà, concepita come comando,
direzione, e, al limite, controllo dell’attività economica528.
Oggi, invece, la regolazione non è più concepita, soltanto, come
«regolazione amministrativa»529, ma anche, amplius, come forma giuridica di tutela
del principio di libera concorrenza e garanzia del mercato. Essa individua l’insieme
delle discipline che mirano a reagire al fallimento del mercato e/o a garantire con
l’eteronomia il mercato concorrenziale: quindi, a correggere l’asimmetria
informativa tra le parti, a evitare il prodursi di esternalità negative, nonché a
rimediare alle situazioni di monopolio. In particolare, la regolazione si esplica
essenzialmente in forma di norme imperative che integrano il contenuto dei
rapporti giuridici privati, così da disciplinare l’agire degli attori economici e
orientare i loro comportamenti verso i risultati allocativi ritenuti socialmente
preferibili, in quanto coerenti al paradigma concorrenziale530.
In tali casi, secondo la logica economica, l’intervento pubblico trova la sua
giustificazione nei fallimenti del mercato: se infatti il mercato funzionasse a
dovere, l’intervento pubblico incentivante non avrebbe ragion d’essere, anzi
costituirebbe una distorsione destinata a peggiorare il contesto531.
Lo Stato, dunque, svolge una funzione di direzione dell’economia, che
esplica attraverso atti eterogenei: sia agendo direttamente attraverso alcuni suoi
organi la cui attività ha anche risvolti economici, sia ponendo in essere degli atti
autoritativi, con i quali impone un certo comportamento o una determinata scelta
V. GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 271 ss.
V. LIBERTINI M., La regolazione amministrativa del mercato, in GALGANO F., Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1979.
530 V. ZOPPINI A., Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, in MAUGERI M. –
ZOPPINI A. (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, Bologna, 2010, 9
ss.
531 E nel caso specifico del mercato delle fonti rinnovabili, ciò è avvenuto. Le ragioni che hanno
allontanato il mercato dalla allocazione ottimale delle risorse sono riconducibili a: a) ragioni di
carattere ambientale: se l’uso dell’ambiente è gratuito, gli impatti negativi locali, regionali, globali
delle emissioni da combustibili fossili non sono considerate dai produttori come dei vincoli
ovvero delle diseconomie esterne e si svantaggiano così le fonti cosiddette «pulite»; b) ragioni
collegate alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico di lungo termine: è un elemento
complesso da prevedere; c) l’industria delle rinnovabili è un’industria nascente (alcune fonti
rinnovabili non sono ancora competitive, ma hanno tutte le potenzialità per essere competitive).
Cfr. sul punto MALANDRINO O., op.cit.
528
529
211
di politica economica ai soggetti privati. A tali atti per così dire «tipici» di
programmazione economica si aggiungono alcuni strumenti dal carattere non
propriamente autoritativo532, ma che comunque servono a dirigere lo sviluppo
dell’economia in una direzione predeterminata, ovvero a stimolare l’attività
economica dei privati verso una determinata direzione prestabilita.533
Tra questi atti di programmazione economica, aventi carattere non
propriamente autoritativo, rientra proprio l’attività di incentivazione534, la quale si
rileva dunque come strumento attraverso il quale è possibile orientare l’attività
economica privata a fini sociali, consentendo all’amministrazione di imprimere un
certo indirizzo e coordinamento all’attività di diversi operatori535.
1.1.
L’attività di incentivazione.
L’attività di incentivazione va, dunque, inquadrata nell’ambito della funzione
preminente dei pubblici poteri, consistente nella direzione dell’economia e può
manifestarsi in atti eterogenei536.
Circa il carattere autoritativo o meno degli ulteriori sistemi di direzione dell’economia la
dottrina è divisa: alcuni come VALENTINI S., L’attività di incentivazione: tipologie e funzioni, in FERRARI
C. (a cura di), La regolamentazione giuridica dell’attività economica: atti del Convegno nazionale di studi
organizzato dall'Istituto di diritto pubblico della Facoltà di economia e commercio dell'Università degli studi,
Torino, 13-15 giugno 1985, Milano, 1987, 237 ss. e GUARINO G., Sul regime costituzionale delle leggi di
incentivazione e di indirizzo (A proposito della questione della legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 1953
n. 959 e della L. 30 dicembre 1959 n. 1254 sui sovracanoni elettrici), in Id., Scritti di diritto pubblico
dell’economia e di diritto dell’energia, Milano, 1962, 125 ss. ritengono si tratti di strumenti
indiscutibilmente non autoritativi ed altri, invece, come SPAGNUOLO VIGORITA V., Attività
economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962 e PERICU G., La sovvenzione come strumento di
azione amministrativa, Milano, 1967, 124, ss. evidenziano il ruolo autoritativo di tali strumenti.
533 V. PERICU G., op.cit. e PERICU G. – CROCI E., Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enciclopedia del
diritto, XLIII, 1990, 244, sottolineano come l’utilizzo dello strumento della sovvenzione come
mezzo per intervenire sull’iniziativa economica dei privati ha assunto una rilevanza sempre
crescente nel nostro sistema economico-sociale non solo in ragione di precise scelte di politica
economica, quanto anche per «l’aumento della domanda di tali prestazioni da parte degli stessi
potenziali beneficiari».
534 Sul punto cfr. BENADUSI L., Attività di finanziamento pubblico: aspetti costituzionali ed amministrativi,
in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1966, 924.
535 Così CARABBA M., Incentivi finanziari, in Enciclopedia del diritto, XX, 1970, 969 ss., che individua il
fondamento costituzionale degli incentivi nell’articolo 41, comma 3, della nostra Carta
costituzionale.
536 Cfr. VALENTINI S., op.cit., 238 ss., secondo il quale attività di incentivazione è tutto ciò che
all’interno della funzione di direzione dell’economia non esplica con un tratto autoritativo.
532
212
Nel nostro ordinamento, infatti, il sistema dei mezzi di ausilio finanziario si
configura in generale come un insieme complesso e disomogeneo di istituti dalle
caratteristiche strutturali profondamente diverse, tuttavia accomunati dall’identità
della funzione economica svolta, consistente nel determinare, da parte della
pubblica amministrazione, un beneficio economico per un soggetto terzo537.
Le ragioni di un sistema così eterogeneo sono facilmente individuabili e
vanno prevalentemente ricercate nella struttura economico-sociale. L’utilizzo dello
strumento di ausilio finanziario, come mezzo per intervenire sull’iniziativa
economica dei privati, si è infatti sviluppato in un contesto in cui vi era
l’impossibilità strutturale di organizzare il sistema economico secondo meccanismi
programmatori a gestione centralizzata; inoltre, la rilevanza assunta dagli incentivi
finanziari era alimentata, oltre che da scelte di politica economica, dall’aumento
della domanda di tali prestazioni da parte degli stessi potenziali beneficiari. Di
fatto, seguendo l’andamento della congiuntura economica, diversa nei vari settori
produttivi e nelle diverse aree territoriali del Paese, la mano pubblica è intervenuta
destinando proprie risorse finanziarie a sostegno di singole attività economiche.
Ciò ha comportato necessariamente che di volta in volta il Legislatore ha creato lo
strumento giuridico più opportuno in rapporto alla situazione particolare nel cui
ambito è intervenuto. Da ciò ne è derivata una legislazione alluvionale, casuale e
«datata» in rapporto alle contingenze particolari che l'avevano determinata538.
Tale attività comunque non è un fenomeno esclusivamente italiano ma è
comune alla maggioranza (se non a tutti) degli Stati europei539, e, pur trattandosi di
In realtà, come osservato da ROEHRSSEN G., Incentivi in materia di lavori pubblici, in FERRARI C. (a
cura di), La regolamentazione giuridica, cit., 475 ss., anche se normalmente si tende a parlare di
«incentivi intesi a stimolare la attività di terzi, sui quali il soggetto incentivante non ha poteri
ordinatori» non necessariamente l’attività di incentivazione deve essere rivolta a dei terzi, in quanto
si può avere un’attività di incentivazione che ha lo scopo di facilitare e stimolare le attività che lo
stesso Stato, nella sua veste di amministratore, pone in essere.
538 V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244 ss.
539 Risulta impossibile fornire un quadro completo e coordinato dei vari interventi di sovvenzione
adottati nei Paesi europei; solo a titolo esemplificativo si possono comunque ricordare, oltre agli
innumerevoli scritti attuali, anche alcuni articoli più risalenti che già fornivano un quadro più o
meno chiaro dell’importanza di tale fenomeno nel tempo. Tra di essi v. CRABBE V., La Journée
administrative de Maestricht, in Revue internationale des sciences administratives, 1952, 284, che sottolinea
537
213
un fenomeno antico e da sempre molto diffuso, è andato incrementandosi sempre
di più nello Stato moderno, in ragione del significato sociale dell’incentivazione540.
Quest’ultima, infatti, da un lato, in quanto caratteristica manifestazione dell’attività
di prestazione, si ricollega alle finalità proprie dello Stato sociale, dall’altro, si rileva
come strumento molto utile al fine di controllare ed insieme dirigere l’iniziativa
economica privata541.
La dottrina amministrativistica italiana si è interrogata a lungo sulla
collocazione dogmatica di quegli atti, a vario titolo, riconducibili ad un’attività di
incentivazione e consistenti in conferimenti patrimoniali del tutto gratuiti o a
condizioni di particolare favore a soggetti privati542.
Uno dei nodi problematici di maggiore rilevanza attiene al rapporto che si
instaura tra potere pubblico e privati beneficiari. È difatti un rapporto
particolarmente complesso, e per alcuni versi originale, se si considera che le
decisioni della pubblica amministrazione possono essere condotte ad effetto
soltanto se ed in quanto siano richieste dal privato e dallo stesso siano
integralmente accettate. Ovvero sia, qualsiasi forma di incentivazione si concreta
in un arricchimento del beneficiario, desiderato dallo stesso, attraverso il quale,
come il bilancio belga nel lontano 1950 conteneva previsioni di spesa a titolo di sovvenzioni per
circa il 30% delle spese generali dello Stato; FORSTHOFF, La Repubblica federale tedesca come Stato di
diritto e Stato sociale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1956, 555 ss., il quale raccontava come nella
Repubblica federale tedesca negli anni cinquanta circa il 42% dei mezzi del bilancio federale
venivano distribuiti sotto forma di «rendite sociali, sussidi, sovvenzioni, etc.».
540 Un’ampia disamina delle leggi di inizio secolo in materia di sovvenzioni viene effettuata da
D’ALBERGO S., Sulla struttura delle sovvenzioni, nota a Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 1957, n. 350, in
Foro amministrativo, I, III, 1957, 341 ss., il quale pur evidenziando come «l’intervento dello Stato
nella forma dell’attività di sovvenzionamento si è venuta bensì accentuando nella congiuntura
odierna» non manca di sottolineare, avendo riguardo particolare al sistema normativo relativo alle
provvidenze per le costruzioni navali, come si tratti di un fenomeno che risale «ad epoca
sufficientemente remota».
541 Circa la configurazione delle sovvenzioni come strumento di controllo e di direzione
dell’iniziativa economica privata cfr. AMORTH A., I contributi pecuniari concessi dallo Stato ad enti pubblici
e privati, in Studi Urbinati, 1931; FRANCHINI F., Natura e limiti del controllo del Parlamento e della Corte dei
Conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, in Annali facoltà di giurisprudenza dell’Università di Camerino, 1952,
107 ss.; PAPI G.U., Teoria della condotta economica dello Stato, Milano, 1956, 211 ss.; STAMMATI,
Disciplina degli aiuti, in L’integrazione economica europea all’inizio della seconda tappa, Roma, 1962, 263 ss.;
CAPACCIOLI E., Strumenti giuridici di formazione e attuazione dei piani, in Squilibri regionali e l’articolazione
dell’intervento pubblico, Milano, 1961, 732.
542 In tema cfr. OTTAVIANO V., Alcune considerazioni in tema di cosiddetta liberalità di enti pubblici,
Ragusa, 1953, 54 ss. e AMORTH A., op.cit., 18 ss.
214
insieme alle conseguenti attività che il privato realizza, la pubblica
amministrazione persegue l’interesse pubblico cui è preordinata la sua azione.
Il rapporto pubblico-privato si atteggia, quindi, in modo molto particolare,
sia nel momento della formazione della decisione amministrativa, sia nella
elaborazione della disciplina del rapporto tra pubblica amministrazione e
beneficiario in un momento successivo543.
Il modello utilizzato in tali casi si presenta come anomalo nella teorica dello
Stato ad atto amministrativo, che si incentra sul provvedimento autoritativo
capace di modificare unilateralmente la sfera giuridica dei destinatari. Il rapporto
tra pubblica amministrazione e privato assume, infatti, i contorni di un rapporto
positivo di collaborazione per il raggiungimento di finalità comuni, e non
negativo, come è caratteristico dei provvedimenti in cui si confrontano autorità e
libertà.
Inoltre,
l’attività di incentivazione
comporta che la pubblica
amministrazione valuti in termini di congruità rispetto agli scopi perseguiti
l’attività economica incentivata: creando, cioè, un rapporto che va al di là
dell’assentimento al provvedimento amministrativo per inserirsi nella complessità
dell’attività economica svolta dai privati, comportando anche la necessità di
valutare tale attività in relazione agli scopi di interesse pubblico perseguiti con la
concessione dell’incentivo544.
Nell’analisi di tale rapporto controverso, il confronto dottrinale si è
tradizionalmente caratterizzato per l’antitesi tra posizioni di tipo privatistico e
posizioni indirizzate verso una ricostruzione in termini di provvedimento
amministrativo degli atti posti in essere dalle pubbliche amministrazioni.
Questa contrapposizione dialettica sorge innanzitutto per il fatto che
esistono atti di diritto privato, che producono effetti giuridici del tutto simili a
543
544
V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 245 s.
V. PERICU G., L’attività di incentivazione, cit., 251.
215
quelli dell’atto amministrativo di incentivazione: come, ad esempio, le donazioni e,
più genericamente, gli altri atti di liberalità545.
Gli atti di incentivazione non possono tuttavia essere considerati atti di
liberalità, in quanto in essi manca un elemento essenziale per l’esistenza stessa
delle donazioni: cioè, manca la spontaneità dell’attribuzione patrimoniale
gratuita546. O, come meglio definita da altri547, manca nel soggetto pubblico
erogante l’elemento soggettivo tipico della liberalità (animus donandi), in quanto
l’interesse pubblico diviene vera e propria causa negoziale degli atti
oggettivamente posti in essere dalla pubblica amministrazione, escludendosi così
l’utilizzabilità degli schemi negoziali privatistici, come quelli riconducibili al
concetto di donazione.
Tuttavia, negare la natura di atti di liberalità non esclude che sarebbe pur
sempre lecito considerare le fattispecie oggetto di studio come sottoposte ad una
regolamentazione di diritto privato, tipica dello schema contrattualistico548.
Si pongono il problema in questi termini, tra gli altri, OTTAVIANO V., op.cit.; FALZONE G.,
op.cit.; SORACE D. – MARZUOLI C., op.cit., ipotizzano l’assimilabilità delle sovvenzioni alle figure di
mutuo di scopo o della donazione modale.
546 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 153, secondo il quale malgrado l’art. 769 c.c. non
riproduca la dizione dell’art. 1050 del c.c. del 1865, che qualificava la donazione come «atto di
spontanea liberalità», ritiene corretto che anche oggi la spontaneità sia uno dei requisiti degli atti di
liberalità. Senza dubbio, ciò è vero per tutti quegli atti di sovvenzione che sono disciplinati da una
norma che autorizza il soggetto pubblico all’erogazione gratuita. Questa autorizzazione, infatti,
configura nel contempo un dovere (in senso atecnico) per l’autorità amministrativa alla quale è
diretta e precisamente il dovere di concedere effettivamente il beneficio, quando ricorrano le
condizioni previste dalla legge. L’esistenza della noma, che conferisce il potere e congiuntamente il
dovere di sovvenzionare, esclude infatti di rinvenire un momento spontaneo. Per le ipotesi in cui,
invece, la concessione del beneficio avvenga in assenza di una tale autorizzazione normativa, si
osserva che però in questi casi l’autorizzazione sussiste anche in maniera implicita nella stessa
determinazione dei compiti istituzionali dell’ente erogante.
547 Così CARABBA M., op.cit., 965.
548 Il modello contrattualistico si propone di superare l’eccessivo di formalismo di cui si
caratterizza il modello che intende ricondurre l’atto di incentivazione nello schema del
provvedimento amministrativo. Tale schema, infatti, induce a snaturare le caratteristiche del
rapporto che è sostanzialmente paritario e come tale più facilmente in quadrabile secondo modelli
di tipo contrattuale. Ciò, a maggior ragione, oggi trova giustificazione nella condivisa ammissione
che anche l’esercizio di pubbliche funzioni possa essere oggetto di contrattazione senza ritrovare
in ciò alcun motivo di antigiuridicità, ma soltanto l’espressione di una scelta del Legislatore che, di
volta in volta, può preferire strutturare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione secondo
il modello del provvedimento, ovvero secondo quello del contratto.
545
216
In realtà, la stessa ragione posta a fondamento della non configurabilità
degli atti di incentivazione come atti di liberalità, ovvero l’assenza di spontaneità,
giustificata dalla presenza di una previsione normativa del potere di «incentivare»,
sta ad indicare che tutta la vicenda si trova al di fuori dell’ambito caratteristico
dell’autonomia privata. Infatti, nell’autorizzazione legislativa si debbono rinvenire
non solo gli estremi di una attribuzione di potere549, ma il radicarsi di un dovere di
erogare effettivamente il beneficio. In altri termini, la norma non solo concede
che vengano erogati gli ausilii economici, ma vuole che l’erogazione in concreto
avvenga. Appare quindi evidente che, in tale contesto, si debba escludere
l’esistenza di un margine di libertà, che abbia i caratteri dell’autonomia privata550.
Ne deriva allora che gli strumenti sovvenzionatori, non essendo espressione
di
un
potere
di
autonomia
privata,
debbano
ricondursi
sotto
una
regolamentazione di diritto pubblico e, in quanto atti di manifestazione di volontà
diretti al perseguimento di un interesse concreto della pubblica amministrazione,
sono inquadrabili nell’ambito dei provvedimenti amministrativi551.
Anche la giurisprudenza si è espressa in maniera pressoché pacifica sulla
configurazione dell’atto di erogazione della sovvenzione quale provvedimento di
natura concessoria, accordato al privato al termine di un procedimento
amministrativo funzionalizzato all’accertamento della sussistenza dei requisiti
soggettivi ed oggettivi per la corresponsione del beneficio552. Il procedimento
In altri termini, la norma attribuisce una vera e propria situazione giuridica soggettiva dinamica,
un potere «in senso sostanziale», cfr. GIANNINI M.S., Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in
Rivista di diritto processuale, II, 1964, 28 ss.
550 Non si intende proporre una definizione di autonomia privata, sulla quale sono possibili diverse
interpretazioni, cfr., tra gli altri, GIANNINI M.S., Autonomia (saggio sui concetti di autonomia), in Rivista
trimestrale di diritto pubblico, 1961, 880 ss.; ROMANO S., Autonomia privata, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1956, 801 ss.; FERRI L., L’autonomia privata, Milano, 1959, 32 ss.
551 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 160 s. e ID., L’attività di incentivazione, cit., 251 s.,
secondo cui l’attività di incentivazione si struttura in provvedimenti amministrativi, che, pur
essendo particolarmente caratterizzati sotto il profilo degli effetti che determinano, non si
discostano molto dal tipico atto autoritativo.
552 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 dicembre 1976, n. 455, in Consiglio di Stato, 1976, I, 1430; Tar
Lazio, sent. 19 maggio 1975, n. 203, in I Tar, 1975, I, 1197; Tar Lazio, sent. 16 giugno 1975, n.
246, ivi, 245; Tar Lazio, sent. 16 giugno 1983, n. 491, ivi, 1983, I, 1910. Peraltro raramente la
giurisprudenza, nel qualificare l’atto di erogazione della sovvenzione come concessione, si è posta
il problema dell'inquadramento del provvedimento nell’ambito delle categorie degli atti
549
217
amministrativo si svolge sulla base di una valutazione «discrezionale»
dell’amministrazione, dove anche le attività vincolate sono sempre esplicate in
vista di interessi collettivi di promozione economico-generale che vanno al di là
della tutela dei singoli interessi privati. Pertanto la posizione di aspettativa dei
destinatari di tali provvedimenti si configura solo in termini di interesse legittimo,
la cui tutela spetta sempre al giudice amministrativo553.
Attesa, dunque, la rilevanza dell’interesse pubblico rispetto a qualsiasi
forma di incentivazione posta in essere da una pubblica amministrazione, deve
necessariamente escludersi la sua riconducibilità ad un atto di tipo privatistico,
concludendosi per un suo inquadramento in termini di espressione di una
funzione pubblica.554
Rimane però da affrontare la questione sull’imperatività o dell’autoritatività
degli atti amministrativi di incentivazione555.
Tale questione, sollevata da Spagnuolo Vigorita556, fa perno sul concetto
stesso
di
autoritatività
quale
caratteristica
propria
del
provvedimento
amministrativi. Sulla configurazione dell'atto di sovvenzione come provvedimento di natura
concessoria - configurazione che potrebbe assumere importanti risvolti anche per quanto concerne
l'applicabilità della norma sulla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi per i rapporti di
concessione di beni e servizi pubblici (art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034) - si è espressa (in
vario senso) anche la dottrina; in proposito, v. ROEHRSSEN G., op.cit., 512 ss.; SORACE D. –
MARZUOLI C., op.cit., 280 ss. Tale ricostruzione in ogni caso non convince.
553 Cfr. anche Tar Lazio, sent. 20 dicembre 1988, n. 1928, in I Tar, 1988, I, 117; Corte Conti, sent.
5 marzo 1987, n. 1734, in Consiglio di Stato, 1987, I, 691; Tar Lazio, sent. 18 dicembre 1978, n.
1029, in I Tar, 1979, I, 55; Tar Sicilia, sent. 18 novembre 1986, n. 875, ivi, 1986, I, 350. La presenza
in concreto di un atto giuridico dell'amministrazione per l’erogazione del beneficio non è stata
comunque di ostacolo al riconoscimento di situazioni giuridiche di diritto soggettivo e alla
conseguente ammissibilità dell'intervento del giudice ordinario nelle ipotesi in cui l'interesse ad una
determinata prestazione pubblica risulti tutelato in modo pieno e completo direttamente da parte
della legge, cosicché l’atto della pubblica amministrazione che delibera la sovvenzione possa
considerarsi puramente attuativo della legge (sia nell’an che nel quantum della sovvenzione). Cfr.
Cass., sent. 14 marzo 1977, n. 1009, in Giurisprudenza italiana, 1977, I, 800 e Cass., sent. 17 marzo
1977, n. 1069, ivi, 801; Cass., sez. un., sent. 26 novembre 1983, n. 7101, in Consiglio di Stato, 1986,
II, 243 ss.; v. infine, in materia sostanzialmente affine, Cass., sez. un., sent. 6 dicembre 1988, n.
6634, ivi, 1988, II, 415.
554 Sul punto cfr. le considerazioni di MIELE G., In tema di atti di liberalità degli enti pubblici, in Foro
amministrativo, II, 1958, 103 ss.
555 Il problema posto come conseguenza dell’accertata natura di provvedimento amministrativo
delle sovvenzioni, in realtà forse andava impostato diversamente. Secondo GIANNINI M.S., Atto
amministrativo, cit., è la presenza della caratteristica dell’imperatitività a qualificare un determinato
atto della pubblica amministrazione come provvedimento.
218
amministrativo. Questo Autore afferma che alle sovvenzioni vada ricollegata una
autoritatività minore o riflessa, in quanto esse, «pur muovendosi sul terreno del
diritto pubblico, e agendo unilateralmente sull’altrui sfera giuridica, non si
risolvono in comandi e vincoli inderogabili, né diretti né indiretti, ma in
sollecitazioni dei comportamenti desiderati, i quali possono determinarsi appunto
quale riflesso della predetta modificazione (solitamente patrimoniale)». Tuttavia,
se si parte dal presupposto che l’autoritatività è la possibilità di produrre
modificazioni unilaterali nella sfera altrui, e che all’imperatività di un
provvedimento vadano ricollegate alcune particolari vicende, tra cui, appunto,
anche la «degradazione» di diritti557 (intesa come possibilità che il provvedimento
amministrativo operi l’estinzione, la perdita o la modificazione di un diritto o di
una facoltà, ovvero la nascita di un obbligo) altro autorevole Autore558 sottolinea
come la «degradazione» rappresenterebbe il contenuto minimo dell’imperatività
dei provvedimenti amministrativi559. Si potrebbe dunque ammettere che le
sovvenzioni siano provvedimenti amministrativi autoritativi, con la precisazione
però che il destinatario acconsente alle modificazioni della propria sfera giuridica e
che l’effetto di degradazione si realizza non nei confronti del destinatario, ma nei
confronti dei terzi che risultano danneggiati dal beneficio accordato.
L’attività di incentivazione, quindi, si struttura come atto amministrativo, il
quale può – ma non necessariamente deve – essere accompagnato da documenti
di tipo convenzionale, realizzando così un modello simile, semmai, a quello del
contratto ad evidenza pubblica. Il provvedimento amministrativo, in cui si esplica
V. SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 21 ss.
Oltre all’esecutività ed in particolari casi l’esecutorietà, ed infine l’inoppugnabilità, cfr. sul
punto, GIANNINI M.S., Atto amministrativo, cit., 187 ss.
558 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 169 ss.
559 La cosiddetta «degradazione» non deve essere confusa né con i diritti affievoliti, né con il
fenomeno dell’affievolimento. Secondo la migliore dottrina, cfr. GIANNINI M.S., Discorso generale,
cit, 532, nella degradazione non si ha la trasformazione di un diritto soggettivo in un interesse
legittimo, come sostengono coloro che ammettono la nozione di affievolimento, al contrario, per
effetto del provvedimento amministrativo la preesistente situazione di diritto soggettivo si estingue
e sorge una situazione di interesse legittimo.
556
557
219
l’attività di incentivazione, seppur quindi particolarmente caratterizzato sul piano
degli effetti che determina, non si discosta molto dall’atto autoritativo560.
L’analisi finora compiuta lascia intendere, però, la sussistenza di due distinte
fasi dell’attività di incentivazione: la prima, che precede la decisione
amministrativa di consenso per l’attribuzione del beneficio; e la seconda,
successiva, attinente al rapporto giuridico che sorge in conseguenza di tale
decisione. Nella prima fase, il procedimento amministrativo che precede il
provvedimento va configurato come un rapporto preliminare in cui le situazioni
delle parti rispecchiano le due situazioni giuridiche contrapposte di potere
dell’amministrazione e di interesse legittimo del privato561.
Una volta che l’amministrazione decide di emanare il provvedimento,
oppure (allorché questo è vincolata nella emanazione) quando ha determinato il
contenuto da assegnargli, si apre la seconda fase rappresentata dal rapporto
intercorrente tra il soggetto sovvenzionante e il soggetto sovvenzionato.
I provvedimenti di incentivo, infatti, danno origine ad un rapporto
sinallagmatico tra la pubblica amministrazione e il soggetto privato, i cui fattori
sono rappresentati dalla corresponsione della sovvenzione, da un lato, e dalla
dimostrazione della sua finalizzazione alla realizzazione (anche) dell’interesse
pubblico, dall’altro.562 È, dunque, dal provvedimento amministrativo (derivante
dalla prima fase) che sorge, con le situazioni di diritto-obbligo, il rapporto
obbligatorio, tipico della seconda fase.
V. PERICU G., L’attività di incentivazione, cit., 251. Sul concetto delle sovvenzioni come strumento
non autoritativo cfr. VALENTINI S., op.cit., 237 ss., il quale ritiene che l’attività di incentivazione sia
tutto ciò che all’interno della funzione di direzione dell’economia non si esplichi con un tratto
autoritario. Parimenti Guarino G., Sul regime costituzionale, cit., 3 e ss., riferendosi alle leggi incentivo
come strumento di sovvenzione, afferma che «non è autoritaria» e motiva la suddetta affermazione
spiegando come la legge incentivo «non utilizza quindi le forme tipiche di efficacia degli atti
legislativi; essa non modifica la condizione giuridica dei privati senza il loro consenso, ma
predispone degli effetti che si produrranno solo se e in quanto i privati, ai quali la legge è diretta,
abbiano dimostrato, con una loro manifestazione di volontà esplicita, di volersene avvalere».
560 V. SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 21 ss.
561 V. CARABBA M., op.cit.
562 Sul rapporto tra sovvenzionante e sovvenzionato cfr. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento,
cit., 124 ss.
560
220
Anche la giurisprudenza ha ribadito che per effetto del riconoscimento del
beneficio in cui si concreta la sovvenzione sorge un rapporto obbligatorio tra
pubblica amministrazione e beneficiario, sostanzialmente retto dalle norme del
codice civile563. Una volta sorto, il rapporto obbligatorio esce dall’ambito del
diritto pubblico, e spazia interamente in quello del diritto comune; il
provvedimento è costitutivo del rapporto e si esaurisce in questo564.
Tuttavia, in tale ambito, sorge la necessità di definire le relazioni
intercorrenti tra le obbligazioni che costituiscono il suddetto rapporto o, se si
preferisce, individuare le potestà della pubblica amministrazione che possono
incidere sul rapporto stesso. Nella sostanza, si pone questa alternativa: o il diritto
di credito di cui è titolare il beneficiario rappresenta il corrispettivo dell’obbligo
che in molte ipotesi grava sul beneficiario stesso di porre in essere determinate
attività o ottenere particolari risultati (obbligo cui corrisponderebbe un diritto di
credito della pubblica amministrazione), sicché, ove l’attività non venga posta in
essere o i risultati non siano ottenuti, proprio in conseguenza del rapporto di
corrispettività viene meno lo stesso diritto di credito ad ottenere la concreta
erogazione del beneficio; ovvero il rispetto degli obiettivi di pubblico interesse, al
cui raggiungimento è preordinata la concessione della sovvenzione, è rimesso a
comportamenti
autoritativi
della
pubblica
amministrazione
(decadenza,
annullamento e revoca) che, incidendo sul rapporto obbligatorio principale, lo
fanno venire meno565.
Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 dicembre 1976, n. 455, in Consiglio di Stato, 1976, I, 1430.
V. GIANNINI M.S., Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964. Il rapporto di obbligazione viene a
configurarsi, così, come rispondente allo schema delle obbligazioni di diritto privato. V. anche
FALZONE G., op.cit.; BARETTONI ARLERI A., Obbligazioni e obblighi pubblici e prestazioni amministrative,
Milano, 1966.
565 Le risposte possibili non si ricollegano alla ricostruzione del momento genetico del rapporto
obbligatorio in termini di provvedimento amministrativo o di contratto: nulla esclude che, anche
ove il rapporto stesso origini da provvedimento, le obbligazioni di cui è costituito si strutturino in
una relazione di corrispettività; mentre non è possibile l’ipotesi contraria, salvo diversa specifica
indicazione del regolamento contrattuale. Su questo tema non ha mancato di intervenire la
giurisprudenza, che lo ha esaminato particolarmente in rapporto al riparto delle giurisdizioni. Cfr.
tra le tante Cons. Stato, sez. VI, sent. 13 maggio 1985, n. 193, in Consiglio di Stato, 1985, I, 570;
Cons. Stato, sez. II, sent. 28 aprile 1984, n. 415, ivi, 1982, I, 111 ss.
563
564
221
L'ipotesi ricostruttiva che sembra essere stata preferita è quella che tende a
riconoscere l’esistenza di un potere di autotutela (in molti casi doverosa) della
pubblica amministrazione per la garanzia delle finalità di pubblico interesse cui è
preordinata la sovvenzione. Non una relazione di corrispettività tra situazioni
obbligatorie derivanti da un unico atto giuridico, ma un rapporto obbligatorio
principale disciplinato dal diritto comune, sul quale però può incidere l’esercizio di
poteri amministrativi volti a garantire il perseguimento dei pubblici interessi cui
era preordinata l’attribuzione del beneficio.
Sembra pertanto prevalere la soluzione di non rimettere alla meccanicità del
rapporto sinallagmatico, e alla conseguente giurisdizione del magistrato ordinario,
la verifica dell’effettivo perseguimento del pubblico interesse, che nella
concretezza dei singoli casi può presentarsi in termini assai diversi, e che solo la
pubblica amministrazione di volta in volta può congruamente valutare, motivando
in tal modo l’esercizio dei propri poteri di autotutela566.
La
stessa
legislazione
positiva
tende
a
conferire
alla
pubblica
amministrazione una serie di poteri cui corrispondono obblighi particolari del
soggetto beneficiario dell’incentivo, obblighi che vengono a sovrapporsi alla
obbligazione principale di contenuto patrimoniale. Si tratta, per certi versi, di una
normazione che attua il disposto costituzionale dell’art. 41, comma 3, Cost. e
collega, attraverso programmi e controlli, l’attività incentivata al perseguimento di
fini sociali567.
In tal senso cfr. tra le ultime Tar Sicilia, sent. 8 giugno 1988, n. 365, in I Tar, 1988, I, 2900; Tar
Sicilia, sent. 25 febbraio 1988, n. 125, ivi, 1357; Tar Lombardia, sent. 24 aprile 1987, n. 403, ivi,
1987, I, 2373. Muovendo dallo stesso principio la Cass., sez. un., sent. 7 luglio 1988, n. 4480, in
Consiglio di Stato, 1988, II, 2133, ha a sua volta ritenuto che rientri nella giurisdizione del giudice
ordinario la controversia inerente l'iniziativa dell'amministrazione di revocare un contributo per
inosservanza da parte del beneficiario di una condizione contenuta nella convenzione, atteso che
tale pretesa «si svolge nell’ambito di un rapporto paritetico col beneficiario della sovvenzione e
quindi coinvolge posizioni di diritto soggettivo, mentre non è ricollegabile all'esercizio di poteri
pubblicistici di autotutela, perché non si fonda su un riesame della corrispondenza ad interessi
generali dell’originario provvedimento».
567 V. CARABBA M., op.cit.
566
222
Le spiegazioni del fenomeno sono state rintracciate con riferimento alle
figure privatistiche della condizione e del modus568, o a quelle dei cosiddetti
elementi accidentali degli atti amministrativi569; per altri, invece, trattasi di
«clausole impositive di obblighi o oneri» apposte al provvedimento di incentivo570;
o di un rapporto convenzionale a latere rispetto al rapporto che scaturisce dal
provvedimento di incentivo, analogamente a quanto accade per le cosiddette
«concessioni-contratto»571.
Tali ricostruzioni, però, hanno il limite di non rispondere alla domanda
concernente la collocazione reciproca degli interessi pubblici e degli interessi
privati nell’attività pubblica di ausilio finanziario, a quella particolare qualificazione
del rapporto fra pubblica amministrazione e soggetto incentivato come «rapporto
di collaborazione» che soddisfa contemporaneamente l’interesse pubblico e
l’interesse privato.
La classificazione del rapporto sinallagmatico potrebbe, invece, essere vista
sotto una duplice lente di analisi, quella del contratto pubblico o quella del
provvedimento amministrativo con effetti bilaterali. Se si ritiene, infatti, che
nell’atto di incentivazione la volontà di entrambi i soggetti (pubblica
amministrazione e privato) rappresenti elemento costitutivo dell’atto, non può che
concludersi per la sua inclusione nel perimetro dei contratti pubblici. Al contrario,
se si reputa che la manifestazione di volontà del soggetto beneficiario non
rappresenti elemento costitutivo dell’atto dal quale scaturiscono le obbligazioni,
esso finisce per essere ricondotto nello schema concettuale del provvedimento ad
effetti bilaterali. Il provvedimento ad effetti bilaterali differisce dal contratto di
diritto pubblico perché in esso è la sola volontà dell’amministrazione che
costituisce la fonte delle obbligazioni delle parti, senza alcuna partecipazione
V. OTTAVIANO V., op.cit. e BENADUSI L., op.cit.
V. LUCIFREDI R., L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali, Milano, 1941.
570 V. BENADUSI L., op.cit., 919.
571 V. MERUSI F., Disciplina e organizzazione dei finanziamenti pubblici nelle leggi per il Mezzogiorno, Roma,
1968.
568
569
223
dell’amministrato572; in tale caso, infatti, la volontà del soggetto privato rileva
esclusivamente sull’effetto prodotto – e non sulla causa – incidendo, pertanto,
sull’efficacia e non sulla validità del provvedimento573.
Nella disciplina degli incentivi diretti allo sviluppo dell’energia prodotta da
fonti rinnovabili, la manifestazione di volontà del privato non costituisce un
elemento costitutivo dell’atto dal quale scaturiscono l’obbligazione principale e gli
obblighi a questa connessi; essa opera «piuttosto che sulla causa produttiva,
sull’effetto prodotto», attinendo non alla validità ma alla efficacia dell’atto di
incentivazione574, sembrerebbe dunque applicabile la soluzione del provvedimento
ad effetti bilaterali.
Ad ogni modo, va comunque, rilevato che le posizioni a favore del modello
consensualistico o provvedimentale degli atti di incentivazione vanno oggi
attenuate in considerazione del venir meno di taluni atteggiamenti preconcetti che
portavano a configurare situazioni di non compatibilità tra consenso e
provvedimento, soprattutto in relazione a una corretta tutela del pubblico
interesse, nella ricostruzione del rapporto di sovvenzionamento.
Tale processo si è formato in un contesto che ha visto a poco a poco
tramontare «miti» che hanno a lungo condizionato la configurazione in termini
giuridici dei fenomeni in esame, ciò vale per l’autoritarietà del provvedimento
amministrativo, che oggi viene ad essere letta più in termini di unilateralità degli
effetti giuridici prodotti, che in termini di «degradazione» di situazioni giuridiche
soggettive, e per la tipicità del provvedimento amministrativo, che sembra non
debba avere più ragion d’essere se prospettata come esigenza garantistica in
presenza di atti giuridici che non estrinsecano effetti autoritativi.
Sono inoltre intervenuti rilevanti approfondimenti teorici soprattutto sul
procedimento amministrativo e sul ruolo del privato all’interno del procedimento
stesso; si è chiaramente riconosciuto come tale presenza possa articolarsi in forme
V. GIANNINI M.S., Atto amministrativo, cit.
V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit. e MIELE G., op.cit.
574 V. MIELE G., La manifestazione di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931.
572
573
224
assai diverse, giungendo in alcuni casi anche alla formalizzazione di moduli
convenzionali, che peraltro si inseriscono in fasi procedimentali destinate a
concludersi pur sempre con una decisione unilaterale della pubblica
amministrazione, che rappresenta il solo momento produttivo di effetti giuridici.
In un simile contesto di grande apertura non sembrano più accettabili né la
acritica valorizzazione del modello convenzionale, assunto come modello ottimale
di comportamento per una pubblica amministrazione moderna e capace,
nell’ambito di un diverso rapporto con i privati, di superare un’anacronistica
dialettica autorità-libertà, né, d’altro canto, il favor verso il provvedimento
amministrativo ritenuto il normale mezzo di espressione giuridica della pubblica
amministrazione,
il
solo
che
d’altronde
consenta
una
sufficiente
funzionalizzazione dell’azione amministrativa al pubblico interesse, che resta pur
sempre nella sola ed esclusiva disponibilità della stessa pubblica amministrazione e
non potrebbe essere oggetto di contrattazione con soggetti terzi575.
Il superamento di una rigida contrapposizione tra consenso e
provvedimento sul piano teorico lascia spazio alla configurabilità, nella
concretezza dell’esperienza giuridica, di modelli assai diversi, in cui queste due
entità variamente si rapportano, o restando distinte, ovvero addirittura fondendosi
l’una nell’altra576.
Sostanzialmente inutile riproporre in questa sede i diversi modelli elaborati per dare spiegazione
ai complessi fenomeni giuridici che si verificano sia nell’ambito dei comportamenti consensuali, sia
per ciò che attiene ai rapporti tra questi e decisioni unilaterali della pubblica amministrazione. È da
sottolineare come siano stati proposti non pochi modelli che cercano di coniugare l'unilateralità del
provvedimento amministrativo con la definizione di accordi tra pubblica amministrazione e
privato: dalla Zweistufentheorie al vincolo di scopo; dai contratti accessivi ai contratti sostitutivi; dagli
accordi procedimentali agli accordi di completamento e così via. Cfr. GIANNINI M.S., Il potere
pubblico, Bologna, 1986, 127 ss., ove si ripropone una descrizione, sia pure a livello di principi, dei
moduli convenzionali in rapporto ai procedimenti amministrativi, così come si sono venuti
delineando nella più recente esperienza normativa.
576 È notazione che si ritrova anche negli studiosi che a livello di teoria generale hanno proposto
ricostruzioni volte a privilegiare modelli consensuali, v. FALCON G., Le convenzioni pubblicistiche,
Milano, 1984, 216 ss.; nonché, in una prospettiva nettamente differenziata, FERRARA R., Gli accordi
tra privati e la pubblica amministrazione, Milano, 1985; v. infine CORSO G., Commento alla legge 22 gennaio
1980, n. 10 ed ai d.m. 28 giugno 1979 e 10 novembre 1979, in Le nuove leggi civili commentate, 1980, 786,
che parla di «simbiosi di rapporti pubblicistici con rapporti privatistici».
575
225
In conclusione, allora, va dato atto di una forte tendenza che, se non verso
il superamento delle stesse categorie di provvedimento e di convenzione, è quanto
meno indirizzata ad ammettere l’esistenza di provvedimenti amministrativi che si
atteggiano, come nel caso di specie, in rapporto al loro farsi e al prodursi dei loro
effetti, in termini di consenso e di ipotesi di contratto, di cui è parte la pubblica
amministrazione577.
1.2. La natura giuridica di incentivo.
Il susseguirsi nel tempo di una normazione frammentaria e differenziata sul
tema ha reso sempre più difficile dare una definizione precisa di incentivazione e
di incentivo578. Come sottolineato da autorevole dottrina579, se infatti, in epoca
risalente, non ci sarebbe stata alcuna difficoltà a definire l’incentivo come
«nozione di carattere economico e non giuridico», che «forma il contenuto di un
provvedimento concessorio destinato a favorire il verificarsi di alcunché», ad oggi
una tale definizione non è più accoglibile.
Nell'ultimo decennio si è assistito ad una ripresa di interesse per la figura del contratto di diritto
pubblico, cfr. da ultimo CROSETTI A., I contratti della pubblica amministrazione, Torino, 1984.
578 L’alluvionale produzione normativa, la sua sostanziale accidentalità, impediscono approcci di
tipo esegetico e impongono di procedere, secondo PERICU G., L’attività di incentivazione: recenti
problematiche giuridiche, in FERRARI C. (a cura di), La regolamentazione giuridica, cit., 247, per astrazioni
con categorie giuridiche proposte sostanzialmente come ipotesi di lavoro idonee a ricostruire un
insieme legislativo disperso. D’altronde, accanto alle ipotesi legislativamente definite esistono
comportamenti amministrativi extra legem in atto presso molte pubbliche amministrazioni,
mediante le quali si dispongono forme di sovvenzionamento anche di rilievo. Il che rende
ulteriormente complessa l’indagine sull'insieme degli istituti giuridici in cui può concretarsi il
sistema delle sovvenzioni operanti nel nostro Paese, atteso, tra l'altro, che non esistono analisi,
anche soltanto descrittive, di quanto di fatto accade, sotto questo profilo, nella realtà
amministrativa. Siffatto contesto normativo non ha certamente agevolato l'opera svolta dalla
dottrina ai fini della ricostruzione dell'istituto della sovvenzione; nondimeno è incontestabile che la
materia sia stata oggetto di attenta valutazione da parte degli studiosi italiani. Le ricerche più
significative hanno avuto inizio con gli anni Sessanta in parallelo allo svilupparsi della legislazione
del settore; nell'arco di vent'anni sono stati numerosi i contributi sia a livello di descrizione di
singole forme di sovvenzione, sia indirizzati a una riorganizzazione sistematica del settore con
indubbie implicazioni anche di ordine più strettamente dogmatico. In questo quadro va altresì
registrata la mancanza di un contributo costruttivo da parte della giurisprudenza; anche se
quest'ultima, dapprima sostanzialmente assente, ha avuto negli ultimi anni sempre maggiori
occasioni di pronunciarsi su singoli profili problematici, sviluppando precise Linee di tendenza in
materia. V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244 ss.
579 V. VALENTINI S., op.cit.
577
226
Oggi, peraltro, nel nostro ordinamento positivo, quando si parla di
«incentivi» si evocano una serie di atti i cui nomina legis sono di vario genere
(sovvenzioni, contributi, sussidi, concorsi in spese, rimborsi spese, finanziamenti
agevolati580) e con i quali, in via di prima approssimazione, s’intende riferirsi a
qualsiasi erogazione finanziaria pubblica a favore di altri soggetti.
Occorre, quindi, preliminarmente identificare l’elemento comune ad ogni
fattispecie riconducibile al fenomeno dell’incentivazione al fine di verificare se sia
possibile giungere ad una unitaria definizione di incentivo.
Il punto di partenza è, di solito, quello strutturale, che consiste nel compiere
un’analisi dei diversi tipi di provvedimento amministrativo che si riassumano,
genericamente, sotto l’espressione incentivo581, per cercare l’elemento comune in
grado di definire il fenomeno.
Ovvero – e questa sembra la strada maggiormente percorribile nel caso di
specie – occorre abbandonare l’analisi strutturale (lunga e diffusa e,
probabilmente, inutile) e compiere, invece, un’analisi funzionale. Funzionale, non
tanto in quanto trattasi di attività diretta a un fine, quanto piuttosto di funzione
pubblica (o potestà pubblica) qualificata ed esistente, cui inerisce l’attività di
incentivazione582. Tale funzione, come abbiamo visto nel paragrafo precedente,
Così CARABBA M., op.cit., 969.
Nell’ambito dei provvedimenti che si riassumono sotto l’espressione incentivazione vi sono
provvedimenti che comportano per il privato l’acquisto di una potestà (o comunque di una
situazione soggettiva) di cui prima non disponeva; provvedimenti che si concretano nella
concessione di agevolazioni tributarie; provvedimenti che comportano l’equiparazione, in alcuni
tratti, ai pubblici poteri del privato che ne è destinatario; provvedimenti che consistono in
sovvenzioni o in agevolazioni diverse di carattere finanziario, si risolvano sia in concessioni di
mutui a condizioni agevolate o nell’abbattimento degli interessi su mutui concessi a condizioni di
mercato o in altre ancora possibili ipotesi. Accanto a queste forme che sono le più diffuse e
tradizionali, ci sono moltissime altre forme atipiche, ma comunque destinate ad ottenere il
medesimo risultato, cioè incentivare un’attività. Più di recente, l’accollo dei costi dell’impresa può
avvenire nella forma della fiscalizzazione degli oneri sociali o in quella dell’ammissione, in
momenti di difficoltà alla Cassa integrazione guadagni o in altre forme ancora. Ad ogni modo, si
riscontra spesso che, in questa materia, negli accordi coi pubblici poteri vi è il concorso di più le
forme, le più diverse, di incentivazione, in condizione di sostanziale equivalenza funzionale.
Formule giuridicamente le più eterogenee (o, per meglio dire, strutturalmente le più eterogenee)
ma tutte funzionalizzate all’incentivazione. V. VALENTINI S., op.cit., 238 s.
582 V. VALENTINI S., op.cit., 240.
580
581
227
consiste nella direzione dell’economia e si esplica nell’utilizzo dei c.d. mezzi di
ausilio finanziario.
Gli «incentivi», in una loro prima approssimazione, non sono altro dunque
che erogazioni finanziarie pubbliche nei confronti di soggetti che esercitano
attività economiche583.
In questa generica accezione, il concetto di incentivo si sovrappone al
concetto di sovvenzione584 – concetto già di per sé equivoco585 ed oggetto di
Si può escludere, così, la considerazione sotto il medesimo termine di «incentivi» delle
agevolazioni o esenzioni fiscali. In questi casi si è dinanzi non ad una erogazione finanziaria
pubblica ma ad una rinuncia della pubblica amministrazione a propri diritti ovvero ad un obbligo
di restituzione da parte della pubblica amministrazione che si inserisce nel rapporto tributario.
Possono escludersi dal campo degli «incentivi» quelle erogazioni finanziarie pubbliche rivolte ad
enti pubblici gestori di impresa. Queste erogazioni, attraverso le quali gli enti pubblici gestori di
impresa si assicurano la provvista dei mezzi finanziari (conferimenti di fondi di dotazione,
contributi ordinari periodici, garanzia alla emissione di obbligazioni), si accompagnano, infatti, ad
una diretta assunzione di responsabilità pubblica concernente la gestione dell’impresa finanziata.
Tali erogazioni potrebbero essere comprese entro un più ampio concetto di «sovvenzione». V.
CARABBA M., op.cit., 970
584 Secondo una tradizionale configurazione dell’istituto della sovvenzione, che può ritenersi
sufficientemente consolidata in dottrina, tale denominazione va «propriamente» riferita a quella
categoria di atti amministrativi di natura provvedimentale, il cui effetto giuridico prevalente
consiste nell'attribuzione di una somma di danaro o di altro bene economicamente valutabile senza
che ciò comporti a carico del beneficiario un obbligo di restituzione o alcuna obbligazione di
pagamento nei confronti della pubblica amministrazione. Nel linguaggio comune - ma anche nella
prassi amministrativa e nelle stesse fonti normative - il nomen sovvenzione ha peraltro assunto un
significato più ampio di quello appena ricordato; infatti la stessa espressione viene abitualmente
utilizzata anche per designare figure giuridiche nelle quali il beneficio accordato
dall'amministrazione assume forme diverse dall'erogazione di danaro o dal conferimento di bene
(si pensi alle agevolazioni fiscali e a quelle tributarie, alla concessione di mutui a condizioni
privilegiate, alle molteplici ipotesi del credito agevolato o alle garanzie sussidiarie, e così via) e la
posizione del privato non si limita ad uno stato di mera soggezione, poiché dall'atto di
sovvenzione possono nascere a suo carico obblighi di diversa natura. V. PERICU G. – CROCI E.,
op.cit., 243.
585 L’equivocità di tale concetto deriva dal fatto che, come è stato rilevato ripetutamente dalla
dottrina, non vi è chiarezza su cosa si intenda per «sovvenzione»; tale incertezza è dipesa da un uso
scorretto del linguaggio in quanto per descrivere tale fenomeno sono stati alternativamente
impiegati termini differenti il cui significato non era sempre coincidente. La non univocità del
linguaggio è stata, infatti, rilevata da autorevole dottrina, fra i quali occorre ricordare: FALZONE G.,
Le obbligazioni dello Stato, Milano, 1960, 180 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 18 ss., il quale
sottolinea appunto come le varie espressioni utilizzate alternativamente per indicare il fenomeno
della sovvenzione «non possono avere che valore di puro comodo e nessuna utilità scientifica, in
ragione appunto della loro assoluta genericità, che tende pericolosamente a coprire le effettive
divergenze strutturali tra i singoli istituti» e, pertanto, dato che questi termini vengono impiegati
alternativamente in modo assolutamente a tecnico, occorre fornire una descrizione chiara e precisa
del fenomeno stesso. Ancora, parlano di un vero e proprio «stato di incertezza che ancora domina
la materia» PERICU G. – CROCI E., op.cit., 243 ss., incertezza che è stata determinata in un certo
583
228
studio da parte della dottrina tradizionale586 – che, al di là delle difficoltà
terminologiche, ricomprendendo qualsiasi beneficio che sia stato concesso dallo
modo dalla mancanza di uno schema predefinito di intervento dello Stato nell’economia, il che ha
determinato il sorgere di «una legislazione alluvionale, casuale e ‘datata’ in rapporto alle
contingenze particolari che l’avevano determinata» attraverso la quale ogni volta in modo
differente lo Stato poneva in essere le varie forme di sovvenzione, che si andava coniugando con
«comportamenti amministrativi extra legem in atto presso molte pubbliche amministrazioni». Lo
stesso PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 25, rinviene le cause immediate delle carenze
della dottrina nell’analisi delle sovvenzione «nei caratteri stessi che contraddistinguono la
normazione in questa materia: e cioè la sua disorganicità, l’atecnicità delle formulazioni, l’eccessivo
numero di testi normativi e, conseguentemente, la grande variabilità nel tempo della disciplina». Il
tutto, inoltre, ha reso assai poco agevole il lavoro della dottrina, che avrebbe voluto e dovuto dare
chiarezza alle modalità di intervento, e della stessa giurisprudenza, che non ha potuto dare al
riguardo un contributo costruttivo. In realtà, come sottolineato nello stesso scritto da V. PERICU
G. – CROCI E., op.cit., 244 ss., la mancanza di un contributo costruttivo della giurisprudenza non è
dipeso da una «volontà» in tal senso degli stessi giudici amministrativi, ma dalla stessa struttura
degli interventi normativi in materia, posto che «l’elementarità dei procedimenti ipotizzati in sede
normativa ha praticamente fruito da remora all’iniziativa contenziosa, data la scarsa probabilità di
buon esito dei giudizi per mancanza di sicuri canoni a cui rapportare la legittimità dei
procedimenti», come evidenziato da GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 1122.
586 Sul punto cfr. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 25, che compie un’accurata analisi
degli atti di sovvenzione, verificando se debbano assimilarsi ad altri tipi tradizionali di
provvedimenti amministrativi (quali, ad esempio, le ammissioni o le concessioni) o se costituiscano
una figura autonoma di atto amministrativo. Altri Autori, invece, hanno condotto l’analisi, dal
punto di vista degli effetti, definendo che l’esistenza di una contribuzione pecuniaria abbia la
natura stessa del destinatario. Sul punto non è possibile non ricordare il fondamentale studio
dell’AMORTH A., op.cit., attraverso il quale l’Autore si propone di «stabilire se il contributo
pecuniario concesso dallo Stato a una persona giuridica possa comprendersi fra quegli elementi
che, di per sé, servono a rilevarne la natura pubblica» o meno. L’Autore si propone, infatti, di
rinvenire un criterio cui fare ricorso per distinguere la persona giuridica pubblica dalla privata e
compie, pertanto, un’analisi dei contributi pecuniari concessi dallo Stato ad una persona giuridica
rivolta ad evidenziare non tanto la ratio che ha determinato tale concessione o gli effetti economici
che tale corresponsione può determinare, quanto i punti caratteristici di tale tipo di erogazione,
specificamente al fine di identificare se «il sussidio pecuniario concesso ad un ente pubblico si
differenzia, in qualche modo, da quello concesso ad un ente privato» e, di conseguenza, se esista
un tipo di contribuzione pecuniaria che abbia caratteristiche specifiche tali da determinare la natura
pubblica della persona giuridica che ne sia destinataria. In realtà poi lo stesso Autore finisce per
negare che i contributi pecuniari concessi dallo Stato possano influire sulla natura stessa dell’ente
destinatario, conclusione cui giunge verificando direttamente come lo Stato conceda contributi in
favore sia degli enti pubblici che di enti privati e come sia impossibile distinguere fra tali forme di
contribuzione lo scopo specifico perseguito. L’analisi dell’Amorth, infatti, era fondata sulla
ricostruzione che della natura pubblica di un ente era stata, a sua volta, effettuata dal RANELLETTI
O., Concetto delle persone giuridiche pubbliche amministrative, in Rivista di diritto pubblico, 1916, I, 340 ss.,
ovvero sul presupposto che una persona giuridica per essere pubblica dovesse essere destinata a
soddisfare in modo immediato fini pubblici (intesi come interessi collettivi che rientrano nelle
finalità dello Stato) ed inoltre lo Stato dovesse avere un interesse specifico a favore dell’attività
della stessa, in quanto dovesse considerarla attiva non solo nell’interesse della stessa persona
giuridica ma anche, e proprio, nell’interesse dello Stato, pertanto una contribuzione pecuniaria per
potersi definire segno distintivo della natura pubblica dell’ente beneficiario avrebbe dovuto avere
lo scopo specifico di agevolare il perseguimento dello scopo proprio della persona giuridica stessa;
229
Stato, o da altra persona giuridica pubblica, o in mano pubblica, e che porti
all’accrescimento del patrimonio di un soggetto estraneo587, finisce di fatto per
atteggiarsi a sinonimo di incentivazione economica; ancorché, più correttamente,
si debba ritenere che le sovvenzioni costituiscano un aspetto, forse non il più
rilevante, ma certamente il più studiato, della funzione di incentivazione svolta
dallo Stato a sostegno dell’attività economica privata588.
Invero, per quanto sia corretto inquadrare sia le sovvenzioni che gli
incentivi nella più ampia famiglia dei mezzi di ausilio finanziario pubblico, in realtà
non sono concetti pienamente corrispondenti, posto che le sovvenzioni
costituiscono solo un aspetto della funzione di incentivazione svolta dallo Stato a
sostegno dell’attività economica privata.
La nozione di incentivazione, invece, intesa come quel complesso di atti
giuridici e di operazioni materiali dirette allo scopo di agevolare ed aiutare il
compimento di altre attività, è per certi aspetti più ampia, ma per altri più limitata
in realtà l’Amorth verifica nel suo scritto come sia impossibile affermare una netta distinzione
relativamente allo scopo effettivo in funzione del quale una determinata contribuzione venga
concessa in favore di un ente, perché non si può affermare con certezza che lo Stato abbia
concesso un’agevolazione fiscale o abbia erogato un quantum in favore di un ente al solo fine di
assisterlo o al fine specifico di agevolarne lo scopo, anche perché talora lo Stato potrebbe
concedere un contributo pecuniario anche al fine di agevolare l’attività di un ente privato, in
quanto il raggiungimento di determinate finalità anche se non possono considerarsi finalità
pubbliche in senso proprio, possono tuttavia porsi come mezzi per il raggiungimento di fini
pubblici veri e propri. Ne consegue che se non si può identificare una certa modalità di
contribuzione né la finalità di una contribuzione come specifica delle contribuzioni in favore degli
enti pubblici occorre concludere con il verificare che «la concessione statuale non può influire sulla
natura dell’ente» e, di conseguenza, «le contribuzioni pecuniarie concesse dallo Stato a una persona
giuridica non devono comprendersi fra i segni distintivi di una persona giuridica pubblica».
587 Si vedrà meglio in seguito come tale definizione della «sovvenzione» non possa dirsi del tutto
esaustiva, o meglio come sia necessario verificare caso per caso quali siano effettivamente le ipotesi
di sovvenzione, posto che anche alcune forme di contribuzione indiretta che potrebbero sembrare
non aver portato alcun accrescimento del patrimonio di un altro soggetto in realtà sono forme di
sovvenzione (si pensi, ad esempio, a delle infrastrutture create dallo Stato o da altra persona
giuridica pubblica che facilitando l’attività di una determinata impresa pur non concretandosi,
almeno apparentemente, in un accrescimento del patrimonio di queste, finiscano, invece, per
determinare degli effetti favorevoli per l’impresa stessa, che vedrà diminuire la componente
relativa ai propri costi e, di conseguenza, costituiscono anch’esse delle forme di sovvenzione). Sulla
nozione di sovvenzione cfr. anche COSSU G., Finanziamenti (dir. pubbl.), in Enciclopedia giuridica
Treccani, XIV, 1989, il quale ritiene che per sovvenzioni si intendono «quelle erogazioni pecuniarie
fatte senza obbligo di restituzione, sulla base di apposite norme, che hanno ritenuto di incentivare
apposite attività».
588 V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 243 e ss.
230
di quella di sovvenzione. Più ampia perché abbraccia fenomeni di più vario tipo,
come, ad esempio, la predisposizione di infrastrutture urbanizzative di aree
produttive, o la fiscalizzazione degli oneri sociali, che non sono certamente
riconducibili nel concetto di sovvenzionamento. Più limitata perché le
sovvenzioni a loro volta comprendono atti sicuramente estranei alla
incentivazione
come
le
sovvenzioni
cosiddette
semplici
o
di
mero
589
conferimento .
In altri termini, il concetto di sovvenzione è differente ed, in un certo senso,
più generale di quello dell’incentivo e, anche se talora sovvenzione ed incentivo
coincidono, nella realtà non tutte le sovvenzioni sono incentivi, almeno sotto il
profilo economico590.
L’elemento caratterizzante e distintivo che di fatto non consente una
completa equivalenza tra le sovvenzioni e gli incentivi è proprio il fatto che
seppure le sovvenzioni possono essere spesso utilizzate come strumento di
incentivazione economica, esiste una differenza strutturale tra i due.
V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244, in particolare nota n. 2. Secondo CARABBA M., op.cit., 963
ss., non rientrano nel campo degli incentivi, ma potrebbero essere ricomprese «entro un più ampio
concetto di sovvenzione» le erogazioni finanziarie pubbliche rivolte ad enti pubblici gestori di
impresa. Secondo SERRANI D., Lo Stato finanziatore, Milano, 1971, 196, solo le sovvenzioni di
attività rientrerebbero nel concetto di incentivazione. Circa le distinzioni tra i vari tipi di
sovvenzione cfr. BENADUSI L., op.cit., 890 ss., il quale evidenzia come la distinzione fra
sovvenzioni-incentivo e sovvenzioni-di mero conferimento non sia così netta, in quanto vi sono
alcune forme di sovvenzione relativamente alle quali non sempre è agevole identificare in quale
gruppo collocarle. Le c.d. «sovvenzioni di attività», infatti, sono erogazioni concesse in vista di
attività da compiersi ad opera dei soggetti beneficiari, in quanto attraverso di esse lo Stato persegue
il fine di incoraggiare l’attività istituzionale degli enti beneficiari, ma senza aver di mira obiettivi
specifici e senza impegnare i destinatari alla attuazione di programmi determinati. Tali sovvenzioni
si differenziano da quelle di mero conferimento perché ivi l’interesse pubblico non si esaurisce
nell’appagamento del fabbisogno finanziario del destinatario, in quanto comincia a coinvolgere
l’uso delle somme accordate (cioè l’attività incoraggiata) e, pertanto, comincia ad assumere una
qualche individualità ed a limitare conseguentemente la libertà del privato nell’impiego delle
somme percepite, imponendogli di destinarle ad un’attività, che però rileva pubblicisticamente solo
per l’esserci e non anche per gli specifici risultati economico-produttivi, e si distinguono dalle
sovvenzioni incentivo perché l’attività in questione viene solo genericamente considerata, e non
vengono considerati anche i suoi specifici risultati. In pratica il soggetto sovvenzionato viene
vincolato semplicemente a destinare le somme percepite all’attività sollecitata e – al massimo – alla
«buona gestione» delle stesse. (Sull’obbligo di «buona gestione» delle somme erogate dallo Stato a
titolo di sovvenzione cfr.: MERUSI F., Le direttive governative, cit., 191 ss.).
590 V. BROSIO G., Cenni per un’analisi economica delle sovvenzioni, in FERRARI C. (a cura di), La
regolamentazione giuridica, cit., 255.
589
231
L’incentivo consiste nella corresponsione di un vantaggio, prevalentemente
di tipo economico, ad un soggetto in cambio di un determinato comportamento
che questi dovrà tenere o ha tenuto in ragione della promessa del vantaggio. Ne
consegue che al concetto di incentivo è sempre associata la richiesta di un
comportamento specifico da parte del destinatario.
Le sovvenzioni, invece, possono essere erogate sia al fine di incentivare una
determinata attività, sia al semplice scopo di agevolare dei soggetti che siano per
varie ragioni in situazioni disagiate, e, quindi, senza che sia richiesto alcun
comportamento specifico al destinatario591. Sovente, infatti, le sovvenzioni
vengono erogate per ottenere comportamenti puramente conservativi, cioè di
mantenimento delle situazioni592.
Pertanto, non tutte le sovvenzioni possono considerarsi delle forme di
incentivo, in quanto esse vengono utilizzate oltre che per incentivare lo
svolgimento di determinate attività economiche593, anche per fare fronte ai
compiti assistenziali e di sicurezza sociale propri dello Stato moderno. Questa
ulteriore finalità delle sovvenzioni, del tutto estranea all’attività di incentivazione e
Rientrano in tali ultime ipotesi le sovvenzioni erogate in favore di quei soggetti che siano stati
colpiti da calamità naturali (la sovvenzione, in tale caso, diventa un modo per ripartire il danno, o
almeno la parte economica del danno, su tutta la popolazione, quando esso ha colpito una ristretta
parte della popolazione, rendendo l’onere per i singoli di fatto ininfluente), e quelle concesse al
semplice scopo di ridurre il divario esistente tra determinate zone territoriali.
592 V. BROSIO G., op.ult.cit., 255, il quale completa la propria definizione di «sovvenzione»
specificando come nella pratica essa si possa ridurre ad una riduzione della sostanza patrimoniale
del donatore ed un aumento, conseguente ma non necessariamente di pari importo, nella sostanza
patrimoniale del beneficiario. Tale definizione per così dire «puramente economica» delle
sovvenzioni non corrisponde, però, a parere dell’Autore, con quella adottata negli schemi contabili
ufficiali e nei bilanci pubblici, in quanto mentre un’analisi economica del fenomeno
sovvenzionatorio vi ricomprende sia le sovvenzioni attuate tramite il bilancio pubblico
(comprensive delle sovvenzioni esplicite, ovvero effettuate tramite l’erogazione di spesa, e delle
sovvenzioni implicite, rappresentate dagli sgravi fiscali e contributivi), sia quelle erogate tramite
l’attività regolamentativa (attribuzione di diritti, concessione di licenze, etc.), sia quelle indirette
(ove lo Stato finanzi un ente, che a sua volta sovvenzioni le imprese), gli schemi contabili ufficiali
ed i bilanci pubblici contengono un ammontare molto inferiore, in quanto in essi viene adottata
una nozione non economica ma «di tipo puramente formale» delle sovvenzioni (che, ad esempio,
non considera forme di sovvenzione le operazioni finanziarie che non comportano la trasmissione
della titolarità dei fondi conferiti dall’ente erogatore al beneficiario.
593 SERRANI D., op.cit., 196, ritiene che solo le sovvenzioni di attività rientrerebbero nel concetto di
incentivazione; CARABBA M., op.cit., 963 ss., sostiene che le erogazioni finanziarie pubbliche rivolte
ad enti pubblici gestori d’impresa non rientrano nel campo degli incentivi, ma potrebbero essere
ricomprese «entro un più ampio concetto di sovvenzione».
591
232
di programmazione economica, ricorre ogni qual volta le sovvenzioni si
concretizzino nella mera elargizione di sussidi in favore di chi si trovi in
condizioni particolarmente disagiate, ed ove la concessione delle sovvenzioni
costituisca uno strumento rivolto al fine di ripartire su tutta la collettività i rischi
connessi all’esercizio di determinate attività e, più genericamente, ogni rischio
anormale e non prevedibile.594
Secondo una diffusa classificazione, che emerge da un dibattito dottrinale
recente595, gli incentivi possono poi essere distinti in due grandi categorie: i
finanziamenti pubblici e i contributi.
I primi sono espressione di decisioni di finanziamento assunte dai pubblici
poteri ed aventi ad oggetto l’erogazione di una somma di denaro a favore di un
determinato soggetto, obbligato alla restituzione in un termine generalmente
lungo e con obbligo di riconoscimento di un corrispettivo più modesto rispetto ai
canoni di mercato.
Diversamente, i contributi consistono nell’attribuzione, sempre in virtù
dell’esercizio di pubblici poteri, di somme di denaro a soggetti beneficiari, sui quali
non incombe alcun obbligo di restituzione. In tale caso, tuttavia, la pubblica
amministrazione – rinunciando a qualsiasi forma di corrispettivo – è titolare di un
potere di controllo circa i risultati dell’attività svolta dal soggetto grazie alla
concessione di contributi statali: solo in ragione dell’insorgere di tale specifico
potere, del resto, appare legittimo l’esborso di finanza pubblica nei confronti di
soggetti privati.
Nonostante la dottrina appaia da tempo concorde nell’accogliere la descritta
distinzione, la legislazione in materia continua a trattare in maniera assolutamente
Elargendo delle sovvenzioni si riesce a fare in modo che determinati rischi, e conseguentemente
i danni che ne derivano, non vadano a gravare su chi è stato danneggiato, ma su tutta la collettività,
perché la pubblica amministrazione, attraverso l’erogazione della sovvenzione, interviene a
risarcire in parte il danno, che non appartiene più ai soli soggetti direttamente danneggiati ma,
almeno dal punto di vista economico, viene condiviso dall’intera collettività. Esempio tipico di tali
sovvenzioni sono la legislazione sui danni di guerra e quella sulle calamità naturali.
595 V. ANNESI M., Finanziamenti pubblici, in Enciclopedia del diritto, XVII, 1968, 627 ss.
594
233
unitaria contributi e finanziamenti, con la conseguente applicazione indistinta ad
entrambi gli strumenti della disciplina generale prevista in materia di incentivi.
Pur tuttavia, considerando che nel settore della produzione di energia da
fonti rinnovabili la caratteristica comune degli incentivi economici utilizzati è
proprio l’assenza dell’obbligo di restituzione della somma ottenuta e,
contestualmente, il dovere di dare conto alla pubblica amministrazione erogatrice
circa le modalità di utilizzo dell’importo, pare che allora nel caso di specie si possa
fare riferimento ai soli contributi.
Nel paragrafo successivo cercheremo di enucleare tutte le tipologie di
incentivo promosse dall’Unione europea che, in tempi e modalità diverse tra i vari
Stati membri, sono state introdotte nel nostro ordinamento interno per lo
sviluppo dell’energia alternativa.
2.
Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili.
Le politiche finalizzate a dare impulso alle fonti rinnovabili adottate nei vari
Paesi europei in questi anni sono state molteplici e, a seconda della caratteristiche
del mercato e di altri fattori – sui quali ci soffermeremo più ampiamente nel
prosieguo della trattazione – hanno sortito esiti differenti.
Gli strumenti di incentivazione adottati dai principali Paesi dell’Unione
Europea si possono raggruppare nelle seguenti categorie596:
1.
Il sistema di feed-in tariff. Si tratta del sistema più diffuso in tutta
Europa, il quale, per la sua semplicità, ha in genere supportato bene lo sviluppo
delle energie pulite597. Tecnicamente, consiste nella determinazione da parte del
decisore pubblico di un prezzo di acquisto per le energie rinnovabili, fisso per un
Per le categorie si veda MARZANATI A., Semplificazione delle procedure e incentivi pubblici per le energie
rinnovabili, in TROVATO C. (a cura di), Atti del convegno di studi sul tema: Fonti di energia e tutela
dell’ambiente, Agrigento 3-4 giugno 2011, Palermo, 2012, 55 s.
597 Tale sistema è stato adottato, tra gli altri da Germania, Austria, Francia, Spagna, Portogallo,
Olanda, e Repubblica Ceca, ma adottato anche nel resto del mondo: esso è stato scelto anche dagli
Stati Uniti e dalla Cina, dove sono state impiegate pure forme di esenzione fiscale. V. VAGLIO L.,
Ecco come funzionano gli incentivi alle energie rinnovabili nel resto del mondo, articolo del Sole 24ore del 3
marzo 2011. Esempi di feed-in tariff in Italia sono il sistema CIP 6/92 e la tariffa omnicomprensiva.
596
234
certo numero di anni, superiore a quello di mercato. La maggiorazione vale per i
produttori come incentivo a investire nello sviluppo di tecnologie innovative e
verdi.
2.
Il sistema di feed-in premium. Esso rappresenta una variante alla prima
categoria di incentivi di cui al punto precedente. A differenza di quest’ultima,
infatti, il prezzo dell’energia rinnovabile è composto da due fattori: il valore del
mercato dell’energia elettrica, esposto alle oscillazioni della domanda e dell’offerta,
e un premio fissato dall’autorità pubblica (tariffa incentivante).598
3.
Il sistema della quota di mercato. In tale contesto, lo Stato obbliga i
produttori o i venditori elettrici a produrre o ad acquistare una certa quantità di
energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili. I fornitori debbono vendere sul
mercato una quota fissa di energia. I produttori hanno un’opzione: produrre da sé
la quantità richiesta o acquistarla da produttori più efficienti. Il rispetto
dell’obbligo può quindi essere dissociato dallo sviluppo materiale della produzione
da fonti energetiche rinnovabili attraverso il ricorso a titoli negoziabili, i c.d.
certificati verdi. Tale sistema presenta il vantaggio per i produttori di energia
rinnovabile di venderla o al prezzo di mercato o attraverso i certificati, al prezzo di
mercato dei certificati stessi599.
4.
Il sistema delle aste (tender)600. In tale ipotesi, il Governo,
sostanzialmente, individua un’area idonea a produrre energia attraverso le fonti
rinnovabili e i produttori gareggiano tra di loro per assicurarsi gli incentivi
stanziati. L’azienda in grado di presentare l’offerta migliore si accorda con il
Governo o con un ente pubblico sul prezzo per realizzare l’impianto. In altre
parole, il sistema permette di fissare la quantità di energia da produrre, mentre il
Questo sistema è usato in Danimarca per l’eolico on-shore e le biomasse, e in Spagna e in
Repubblica Ceca. In Italia, è stato usato, ad esempio, per il fotovoltaico, fino al IV Conto Energia,
in cui era stabilita una tariffa incentivante addizionale garantita al produttore per la cessione di
energia pulita al gestore di rete, il quale ha l’obbligo di ritirarla e di remunerarla al prezzo imposto.
599 Questo sistema è in uso i Gran Bretagna, Belgio e Svezia, oltre che in Italia e in Polonia.
600 Tale sistema è stato adottato in Francia, in alternativa al sistema feed-in tariff, in Danimarca per
l’eolico off-shore e in Portogallo per eolico e biomasse. Solo di recente l’Italia ha introdotto tale
tipologia incentivante, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011.
598
235
prezzo scaturisce dal processo di competizione che si svolge all’interno del
meccanismo d’asta. La differenza tra il prezzo dell’asta ed il prezzo dell’energia
elettrica sul mercato elettrico rappresenta il sussidio ricevuto dal produttore601.
5.
Altri incentivi possono essere accordati mediante agevolazioni fiscali
(esenzioni o crediti di imposta)602 e finanziamenti diretti (contributi in conto
impianti), generalmente parziali ed a fondo perduto, a chi realizza nuovi impianti.
Tali strumenti sono utilizzati prevalentemente da enti sub-statali e/o per
finanziare microprogetti, anche da parte di soggetti non imprenditoriali. Oppure,
mediante l’utilizzo della priorità di dispacciamento. Quest’ultima prevede che le
rinnovabili siano messe sul mercato prima delle altre fonti energetiche così da
eliminare il rischio che restino quote invendute, ma in Italia, a causa
dell’inadeguatezza della rete elettrica e della eccessiva frammentazione degli
impianti da fonti energetiche rinnovabili, il sistema della priorità di
dispacciamento non ha avuto grandi prospettive di sviluppo603.
Questa differenza di costo può essere finanziata o attraverso l’istituzione di una tassa da inserire
nelle bollette o attraverso l’utilizzo di un sistema di sussidi. Nell’ambito del sistema delle aste, si
possono individuare tre diverse tipologie: aste aventi oggetto l’assegnazione di siti specifici (e
implicitamente anche delle connesse autorizzazioni) con bidding competitivo (ad esempio, questo è
il caso delle aste per l’eolico off-shore in UK e in Danimarca); aste aventi oggetto l’assegnazione di
un contingente di potenza incentivabile, a cui possono partecipare tutte le iniziative aventi i
requisiti tecnici richiesti, pur in assenza di autorizzazione (questo è il modello adottato per gli
NFFO (UK), gli AER (Irlanda), gli RFP (Ontario e Quebec), i PROINFA (Brasile), i RAM
(California); aste aventi oggetto l’assegnazione di un contingente di potenza incentivabile, a cui
possono partecipare tutte le iniziative già autorizzate (Sebbene sia riportata in letteratura, non si
riscontrano casi significativi in cui tale configurazione sia stata adottata). V. sul punto, BARBETTI
T. (a cura di), Le aste per l’incentivazione alle rinnovabili, Possibili configurazioni e criticità del caso italiano,
WorkingPaper, Centro Studi APER, pubblicato dall’Associazione Produttori Energia da fonti
Rinnovabili, 5 ottobre 2011, in Assorinnovabili.it.
602 Sul ruolo del sistema fiscale nell’ambito delle politiche ambientali, si veda PERRONE CAPANO
R., L’imposizione e l’ambiente, in AMATUCCI A. (diretto da), Trattato di diritto tributario, Padova, 2001,
121 ss.
603 Il sistema elettrico italiano prevede che in presenza di più offerte di vendita caratterizzate da
uno stesso prezzo si applichi il seguente ordine di priorità: 1) le offerte di vendita delle unità
essenziali ai fini della sicurezza del sistema elettrico, od unità must run; 2) le offerte di vendita delle
unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili (ovvero unità di
produzione che utilizzano l’energia solare, eolica, mare motrice, del moto ondoso, del gas di
discarica, dei gas residuati dei processi di depurazione, del biogas, l’energia geotermica o l’energia
idraulica, limitatamente in quest’ultimo caso alle unità ad acqua fluente); 3) le offerte di vendita
delle unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili diverse da quelle di cui al punto
precedente; 4) le offerte di vendita delle unità di produzione di cogenerazione; 5) le offerte di
vendita delle unità di produzione CIP 6/92 e delle unità di produzione d.lgs. n. 387 del 2003 o l. n.
601
236
Delineate a grandi linee le categorie generali degli incentivi pubblici, è
possibile ora procedere ad una analisi specifica sui singoli incentivi che il nostro
ordinamento interno ha introdotto, facendo ricorso negli anni ad una copiosa
normativa in materia di incentivazione alla produzione di energia da fonti
rinnovabili.
L’obiettivo dell’indagine non è, ovviamente, di ordine meramente
ricostruttivo, quanto, piuttosto, quello di verificare l’idoneità o meno del sistema
di incentivazione attuale a perseguire il fine di sviluppo che si prefigge.
2.1. La tariffa CIP 6/92.
In Italia, la legislazione per l’incentivazione di produzione di energia pulita
risale ai primi anni 90.
In attuazione del piano energetico del 1988 furono infatti adottate le leggi n.
9 e n. 10 del 9 gennaio 1991: la prima riordinava le competenze ed i procedimenti
di autorizzazione per la realizzazione di impianti di produzione ed introduceva
novità sul diritto di scambio dell’energia prodotta; l’altra dettava norme per
l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia,
di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
239 del 2004; 6) le offerte di vendita delle unità di produzione alimentate esclusivamente da fonti
nazionali di energia combustibile primaria, per una quota massima annuale non superiore al
quindici per cento di tutta l’energia primaria necessaria per generare l’energia elettrica consumata;
7) le offerte relative a contratti bilaterali; 8) le altre offerte di vendita. Questi punti indicano che le
unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili (sia programmabili che non programmabili)
hanno diritto alla priorità di dispacciamento ma solamente a parità di prezzo d’offerta e
compatibilmente con la sicurezza del sistema elettrico. Anche la cogenerazione ad alto rendimento
gode della priorità di dispacciamento ma in coda alle fonti rinnovabili. Il criterio principale con cui
si stabilisce la precedenza del dispacciamento è quindi quello del prezzo, vengono dispacciati
prima i pacchetti di energia meno cari e via via quelli di prezzo maggiore fino a raggiungere la
quantità di energia complessivamente richiesta dal sistema, quindi un’offerta di un MWh eolico
messa sul mercato ad un prezzo più elevato di un MWh da termoelettrico non avrebbe alcuna
precedenza, ma è anche vero che implicitamente sono solo le fonti rinnovabili od ad altro titolo
incentivate che possono permettersi di mettere sul mercato l’energia prodotta a 0 euro/MWh e
quindi in sostanza non si contendono il mercato ad armi pari con gli impianti tradizionali. Cfr.
anche DURANTE C., Consigliere dell’Associazione APER, nell’intervista resa a VAGLIO L.,
nell’articolo del Sole 24ore del 3 marzo 2011, Ecco come funzionano gli incentivi alle energie rinnovabili nel
resto del mondo, cit.
237
Entrambe perseguivano il duplice obiettivo di incentivare la produzione di
energia rinnovabile e di trovare una soluzione al problema della carenza di
generazione dei primi anni 90, stimolando la produzione di terzi.604
A tale scopo, le eccedenze di energia elettrica immessa in rete rispetto agli
autoconsumi e la produzione di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili
o assimilate venivano incentivate attraverso un meccanismo che prevedeva la loro
cessione all’ENEL605 (attraverso la stipula di convenzioni per la cessione, lo
scambio, il vettoriamento e la produzione per conto di terzi) ad un prezzo
predeterminato dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) che teneva conto, con
riferimento all’energia pulita, anche di un corrispettivo aggiuntivo a copertura dei
maggiori costi delle tecnologie.
Veniva così emanato il provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi
n. 6 del 29 aprile 1992, che determinava i prezzi di cessione e i corrispettivi
aggiuntivi (agevolati) da erogare per un periodo di otto anni agli impianti di fonti
In particolare, la legge n. 10 del 1991 contiene per la prima volta una definizione delle fonti
incentivate, distinguendole tra rinnovabili e c.d. assimilate alle rinnovabili. Secondo l’articolo 1,
comma 3, della legge n. 10 del 1991 (nella versione originaria): «sono considerate fonti rinnovabili
di energia o assimilate: il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto
ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono
considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione,
intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore
recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali,
nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i
risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli edifici con interventi
sull’involucro edilizio e sugli impianti». Prosegue il comma 4 del medesimo articolo: «l’utilizzazione
delle fonti di energia di cui al comma 3 è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità e le
opere relative sono equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell’applicazione
delle leggi sulle opere pubbliche».
605 A seguito della liberalizzazione del settore elettrico, avvenuta con d.lgs. n. 79 del 1999, in
attuazione della direttiva 96/92/CE, ed il successivo decreto ministeriale attuativo 21 novembre
2000, nel 2001 il GRTN – Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, oggi GSE – Gestore dei
Servizi Elettrici, è subentrato all’Enel nella titolarità dei diritti e degli obblighi relativi all'acquisto di
energia elettrica di altri produttori nazionali, ivi compresi quelli previsti, dall’art. 3, comma 12,
d.lgs. n. 79 del 1999, per il ritiro dell’energia agevolata con il contributo in conto produzione
(tariffe CIP 6/92 e successive delibere dell’AEEG). Il GSE colloca sul mercato l’energia ritirata, ai
sensi dell'art. 3, comma 13 d.lgs. n. 79 del 1999, secondo modalità fissate ogni anno dal Ministero
delle attività produttive, oggi Ministero dello sviluppo.
604
238
rinnovabili e assimilate entrati in esercizio dopo il 30 gennaio 1991, nonché le
condizioni tecniche generali per il riconoscimento degli impianti incentivati.606
Senza dubbio, il provvedimento CIP 6/92 ha rappresentato la prima grande
opportunità di sviluppo dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili607. Esso
si fonda su un meccanismo a remunerazione incentivata, o c.d. feed-in tariff –
secondo la definizione data nel precedente paragrafo – in base al quale i
produttori di energia da fonti rinnovabili, giovandosi di un’apposita convenzione,
possono cedere all’ENEL (oggi, GSE) energia ad un prezzo fisso superiore a
quello di volta in volta stabilito dal mercato.
Nel determinare i prezzi di cessione608, il Provvedimento CIP 6 individuava
due principali criteri guida: quello del costo della produzione termoelettrica
evitata, così da sottrarre al soggetto cessionario l’onere di sostenere costi superiori
a quelli che avrebbe dovuto sopportare nel caso di produzione diretta dello stesso
quantitativo di energia, e quello dei prezzi incentivanti, differenziati per tipologia
di impianto e di fonte utilizzata, che devono essere riconosciuti alla «nuova»
energia prodotta da fonti rinnovabili o assimilate.
Con decreto ministeriale del 24 gennaio 1997609 sono stati poi ridefiniti gli
impianti incentivati, riconoscendo l’agevolazione solo a quelli già realizzati ed in
corso di costruzione ed ai progetti presentati all’ENEL entro e non oltre il 30
giugno 1995.610
V. ARDOLINO D., op.cit..
Sul sistema CIP 6/92, V. FALCIONE M., Diritto dell’energia. Fonti rinnovabili e risparmio energetico,
Siena, 2008, 168 ss.
608 In particolare, il prezzo garantito riconosciuto all’energia degli impianti CIP 6/92 è strutturato
in quattro componenti, di cui tre sono costi evitati all’Enel per la realizzazione e l’esercizio di un
impianto tradizionale di riferimento: costo di impianto; costo di esercizio, manutenzione e spese
generali connesse; costo di combustibile. Vi è poi una quarta componente (riconosciuta per i primi
otto anni di esercizio dell’impianto) variabile in funzione della tipologia di impianto e della fonte
energetica.
609 Decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 24 gennaio 1997,
recante «Disposizioni in materia di cessione dell’energia elettrica di nuova produzione da fonti
rinnovabili ed assimilate», pubblicato in G.U. n. 44 del 22 febbraio 1997.
610 Perciò, allo stato attuale, il meccanismo della tariffa CIP 6/92 terminerà con l’esaurirsi delle
domande in giacenza, cioè delle richieste di cessione formulate all’ENEL entro il 30 giugno 1995.
606
607
239
La scelta di relegare l’agevolazione in un ambito temporale di soli tre anni
(dal 1992 al 1995) è stata imposta dall’enorme offerta di energia che è stata
ammessa a beneficiare della tariffa CIP 6/92 e dal conseguente impegno
finanziario che ne è derivato.611 Una stima prodotta alcuni anni fa612 indicava che il
costo del meccanismo CIP 6/92 è stato impressionante: circa 14 miliardi di euro
fino al 2000, misurati a valori correnti e 16,8 miliardi di euro per gli anni 20012007613, per un importo complessivo di 30,8 miliardi. Oggi, i tentativi, portati
avanti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas614 (alla quale, a seguito della
soppressione del Comitato Interministeriale Prezzi, sono state trasferite le
funzioni in materia di determinazione delle tariffe) di ridimensionare questi
sussidi, si sono scontrati con i ricorsi in sede giurisdizionale e solo recentemente
hanno prodotto qualche parziale risultato. 615
Ad ogni modo, nonostante gli elevati costi riscontrati, a tale risalente
legislazione va senza dubbio riconosciuto il merito di aver fatto maturare nella
collettività la consapevolezza che la produzione di energia rinnovabile rappresenta
un punto focale dello sviluppo sostenibile ovvero lo strumento del progresso non
più perpetuato a danno dell’ecosistema e che, come tale, necessita di un’adeguata
politica di incentivazione.
Tale normativa, tuttavia, operando una piena equiparazione ai fini
incentivanti tra le fonti rinnovabili propriamente dette e quelle c.d. assimilate,
conteneva dentro di sé un grosso errore di fondo. L’incentivazione alle fonti
In tal senso, si veda SELLERI R., op.cit., 966, nota 14.
V. MACCHIATI A., Relazione alla Conferenza Comparative experiences, in Network Service Regulation,
Enel, 2004.
613 V. BIANCARDI A. – MINOZZI M., L’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili per la generazione elettrica:
strategie comunitarie, politiche nazionali e ruolo delle Regioni, in MACCHIATI A. – ROSSI G. (a cura di), La
sfida dell’energia pulita, cit.
614 Istituita dalla legge n. 481 del 95, recante «norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi
energetici». La progressiva riduzione della presenza pubblica, con la privatizzazione degli enti
avviata nel 1994 e la tendenza alla liberalizzazione, aveva fatto sorgere l’esigenza di istituire un
organismo di regolazione anche del mercato elettrico; si vedano DE VERGOTTINI G., L’autorità di
regolazione dei servizi pubblici e il sistema costituzionale dei pubblici poteri, in Rassegna giuridica dell’energia
elettrica, 1996, 227 ss. e GENTILE G., L’attività regolatoria nel settore elettrico, in Rassegna giuridica
dell’energia elettrica, 1996.
615 V. MACCHIATI A., op.cit.
611
612
240
assimilate, caratterizzate da potenze e costi impiantistici superiori in ordine di
grandezza rispetto alle fonti rinnovabili, ha di fatto esaurito velocemente la
capienza economica degli incentivi in conto capitale previsti dalla legge, finendo
col penalizzare e ritardare la produzione dell’energia rinnovabile in senso stretto.
È pur vero, però, che tale politica, oggi generalmente deprecata e
considerata esempio di pessima politica energetica616, appariva all’epoca sensata
anche nella sua esecrata estensione di incentivi alle fonti «assimilate». Essa nasceva
dall’esigenza di evitare una prospettata drammatica carenza di energia elettrica
nell’arco di alcuni anni e dalla volontà di liberalizzare il mercato, facendo leva sulla
maggiore agilità decisionale dei privati rispetto all’ENEL e soprattutto sulla loro
disponibilità di siti industriali già pronti, consentendo loro di usufruire di incentivi
per il rifacimento delle vecchie centrali annesse agli impianti industriali, o per la
costruzione di nuove negli stessi siti, purché avessero caratteristiche di efficienza
elevata, cosicché anche restando nell’uso tradizionale degli idrocarburi si potesse
ridurne il fabbisogno per ciascuna unità di energia elettrica generata.
L’incentivo però fu fissato a livello troppo alto e fu garantito per troppo
tempo, rimanendo blindato contro ogni pur ragionevole limatura che
l’avanzamento delle tecniche potesse suggerire. In tale contesto, una conseguente
eccedenza di progetti rispetto alle esigenze rese inevitabile un razionamento delle
autorizzazioni che finivano per essere soggette a ritardi, ad andamenti sussultori e
ad un uso quantomeno discutibile della discrezionalità politico-amministrativa617.
Un correttivo a questo sistema è stato introdotto, come si vedrà meglio nel
prosieguo, dal decreto legislativo n. 79 del 1999, che ha eliminato il concetto di
Nel quadro di un rinnovato approccio alle fonti rinnovabili, dovrà essere altresì valutata la
complessiva adeguatezza dell’attuale sistema di incentivi, che prevede una remunerazione assai
elevata di impianti scarsamente innovativi, alimentati tra l’altro in molti casi non da vere e proprie
fonti rinnovabili, ma da fonti a queste assimilate basate sugli idrocarburi. Cfr. Camera del Deputati,
XIV Legislatura, Situazione e prospettive del settore dell’energia, Indagine conoscitiva della Commissione X,
Roma, 2002, 84. V. anche prefazione di RANCI P., in MACCHIATI A. – ROSSI G. (a cura di), op.cit.
617 V. prefazione di RANCI P., cit.
616
241
«fonti assimilate» e ha riformulato l’intero sistema di incentivazione per le fonti
rinnovabili.618
Va detto comunque che, nonostante il fallimento dichiarato, l’esperienza
delle tariffe CIP 6/92 ha dimostrato che la remunerazione agevolata, sotto forma
di contributi in conto produzione, è in assoluto lo strumento più efficace, sia in
termini di semplicità dei meccanismi, sia con riferimento alle preferenze degli
operatori, sebbene esso presenti la rilevante controindicazione di comportare in
capo allo Stato degli oneri economici difficilmente quantificabili a priori, poiché
legati all’effettivo realizzo ed ai tempi di entrata in funzione degli impianti
ammessi a finanziamento.
2.2. I certificati verdi.
Il sistema dei certificati verdi nasce dopo il fallimento del meccanismo di
incentivazione CIP 6/92, con il duplice obiettivo di ridurre l’onere
dell’incentivazione dell’energia elettrica per il sistema elettrico e di far sì che il
livello degli incentivi fosse determinato sulla base dei meccanismi di mercato,
senza l’intervento diretto da parte dello Stato.
A tale scopo, il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, operando una vera
e propria liberalizzazione del mercato, ha affiancato al modello di incentivazione
CIP 6/92 il sistema dei c.d. certificati verdi619, stabilendo l’obbligo per gli
operatori di energia elettrica da fonte non rinnovabile di immettere annualmente
in rete una quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili pari ad una determinata
quota di quella convenzionale da loro prodotta o importata620.
V. SELLERI R., op.cit., 955.
In generale sul sistema dei certificati verdi, cfr. BASEGGIO C., L’incentivazione alla produzione di
energia da fonte rinnovabile: profili giuridici del mercato italiano dei Certificati verdi, in Ambientediritto.it,
2004 e PANELLA M., L’incentivazione dell’energia elettrica con i certificati verdi e la procedura di qualificazione
degli impianti di produzione, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 154 ss.
620 Il Legislatore – ben consapevole dell’impatto che l’introduzione di tale disciplina avrebbe avuto
sul mercato elettrico – ha stabilito che la quota di energia da fonti rinnovabili da immettere,
inizialmente pari al 2% dell’energia da fonte convenzionale prodotta o importata, debba essere
annualmente incrementata di 0,35 punti percentuali, in modo da garantire uno sviluppo adeguato e
graduale della produzione di energia da fonti rinnovabili.
618
619
242
Il meccanismo è costruito attorno ad un titolo (il certificato verde,
appunto),621 riconosciuto per la produzione di una quantità standard di elettricità da
fonte di energia rinnovabile e vendibile separatamente rispetto a quest’ultima.
Tali titoli vengono emessi dal GSE in seguito al riconoscimento del
possesso, in capo al richiedente, dei requisiti stabiliti dalla normativa; possono
essere richiesti a consuntivo, in base all’energia netta effettivamente prodotta
nell’anno precedente, o a preventivo, in base alla producibilità netta attesa
dell’impianto e vengono assegnati sulla base di un complesso meccanismo di
calcolo, diversificato sulla base della tipologia di fonte da incentivare, dell’entrata
in esercizio dell’impianto e di coefficienti moltiplicativi.622 Il GSE rilascia i
certificati per un periodo di 8 anni consecutivi a partire dalla data di esercizio
commerciale dell’impianto.
Nello specifico, il meccanismo di funzionamento è regolato dall’articolo 11
del d.lgs. n. 79 del 1999. Al fine di creare la domanda di certificati verdi, i
produttori e gli importatori di energia elettrica non rinnovabile operanti nel
mercato italiano hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una
quota annuale di energia pulita,623 calcolata rispetto all’energia convenzionale
prodotta o importata nell’anno precedente o, in alternativa, possono acquistare la
quota o i relativi diritti, in tutto o in parte, nel mercato organizzato dei certificati
verdi o anche attraverso negoziazione diretta con altri titolari.
La novità di maggior rilievo che connota specificamente il suddetto
incentivo è rappresentata dal fatto che l’obbligo di cui sopra può essere
soddisfatto non solo tramite produzione o importazione di energia da fonte
rinnovabile, ma anche attraverso l’acquisto di certificati verdi in possesso dei
produttori da fonti rinnovabili che abbiano preventivamente qualificato il proprio
Si vedano LORENZONI A., The Italian green certificates market between uncertainty and opportunities, in
Energy policy, 2003, 33 e ss.; PERNAZZA F., I certificati verdi: un nuovo bene giuridico?, in Rassegna giuridica
dell’energia elettrica, 2006, 147; PANELLA M., op.cit., 159 ss.
622 V. QUARANTA A., La consulenza giuridica nelle fonti rinnovabili, Guida teorico-pratica agli incentivi
giuridici, economici e fiscali, Palermo, 2012, 6.
623 Prodotta o importata da Paesi terzi che adottino analoghi strumenti di promozione delle fonti
rinnovabili e garantiscano condizioni di reciprocità per le importazioni dall’Italia.
621
243
impianto come «impianto alimentato da fonti rinnovabili» (IAFR)
624
presso il
GSE.
In altri termini, i soggetti obbligati possono liberamente decidere – in base
ai costi marginali corrispondenti alle alternative – se investire nella costruzione di
impianti alimentati da fonti rinnovabili, oppure acquistare direttamente i certificati
verdi corrispondenti alla quota da operatori del mercato che già immettono
energia verde625.
La qualifica IAFR è un prerequisito necessario per l’ottenimento di alcuni tra i più importanti
incentivi previsti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e cioè per il rilascio dei
Certificati verdi e per l'accesso alla Tariffa onnicomprensiva. La qualifica di «impianto alimentato
da fonti rinnovabili» (IAFR) deriva dalla riforma del sistema elettrico che ha introdotto anche i
meccanismi di promozione delle fonti rinnovabili. La normativa attuale ha assegnato al GSE il
compito di qualificare gli impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili, una volta accertato
il possesso dei requisiti previsti dalle diverse normative. Tormentata è stata la vicenda degli
impianti che possono ottenere la qualifica IAFR, la cui produzione di energia da diritto al rilascio
dei certificati verdi. Nell’impostazione originaria del d.lgs. n. 387 del 2003, erano assimilati agli
impianti da fonti rinnovabili quelli alimentati da rifiuti (individuati dal decreto Ministero ambiente
del 5 aprile 2996 n. 186 e dal decreto Ministero attività produttive del 5 maggio 2006) e le centrali
ibride che (ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 387 del 2003) che producono energia
elettrica utilizzando sia fonti convenzionali sia rinnovabili. L’articolo 1, comma 71, legge n. 239 del
2004 ha poi esteso l’emissione dei certificati verdi anche all’energia elettrica prodotta con l’utilizzo
dell'idrogeno nonché all’energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati a
teleriscaldamento. La Finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha escluso da ogni agevolazione
connessa alle produzione di energia rinnovabile (e quindi anche dal diritto all’emissione di
certificati verdi), tutte le fonti assimilate. Ha infatti abrogato l’art. 17, commi 1 e 3, d.lgs. n. 387 del
2003 e così eliminato dalle fonti ammesse i rifiuti non biodegradabili, pur facendo salvi i diritti
acquisiti, cioè i finanziamenti e gli incentivi concessi, ai sensi della previgente normativa, ai soli
impianti già autorizzati e già in concreta fase di realizzazione. Di conseguenza dal 1° gennaio 2007
hanno diritto alla qualifica IAFR i soli impianti di produzione da rifiuti biodegradabili (classificati
come biomasse, quindi come fonti rinnovabili vere e proprie, dalla direttiva 2001/77/CE). L’art. 1,
comma 1120, legge n. 296 del 2006 ha abrogato anche l’art. 1 comma 71, legge n. 239 del 2004,
così eliminando l’estensione del meccanismo dei certificati verdi agli impianti ad idrogeno e da
cogenerazione da teleriscaldamento; il successivo d.lgs. n. 20 del 2007 all’art. 14 ha fatto salvi,
anche in questo caso, i diritti acquisiti dagli impianti già autorizzati, in concreta fase di costruzione
e, comunque, in funzione entro il 31 dicembre 2008. Un’importante novità è contenuta nell’art. 2,
comma 152, della legge n. 244/07 che ha stabilito, limitatamente agli impianti IAFR entrati in
esercizio a partire dal 1° gennaio 2008, la non cumulabilità degli incentivi derivanti dal meccanismo
dei certificati verdi con altri strumenti economici di sostegno pubblico, di qualsiasi origine e
tipologia. V. ARDOLINO D., op.cit.
625 Al fine di verificare il corretto adempimento dell’obbligo di immettere in rete energia «verde», il
Gestore dei Servizi Energetici – sulla base delle autocertificazioni delle produzioni e/o
importazioni di energia elettrica da fonti non rinnovabili – annulla il corrispondente quantitativo di
certificati verdi dovuti, in capo ai soggetti obbligati che dimostrino di aver preventivamente
provveduto ad acquistare tali certificazioni attraverso le modalità suesposte. Ai sensi dell’art. 11 del
d.lgs. n. 79 del 1999, in tema di acquisto dei certificati verdi, occorre distinguere tra il momento in
cui sorge l’obbligazione di acquisto in capo ai produttori di energia elettrica e quello di
624
244
Così facendo, ai produttori ed importatori di energia da fonti convenzionali
viene imposto un onere ambientale a fronte delle esternalità negative connesse alle
produzioni tradizionali. Di converso, i produttori di energia da fonti rinnovabili
hanno il duplice vantaggio di vendere sia l’energia prodotta dai propri impianti
con qualifica IAFR, sia i certificati verdi ottenuti a fronte della medesima
produzione; cioè, possono sfruttare contestualmente l’energia «verde» prodotta
attraverso l’immissione diretta nel mercato e la «qualità» della stessa – consistente
nell’essere prodotta da fonti energetiche rinnovabili – mediante la vendita dei
certificati verdi. 626
Analogamente a quanto accade per la vendita dell’energia, la vendita dei
certificati verdi può avvenire in due modi: da un lato, è stato istituito un apposito
adempimento, posto che quest'ultimo potrà avvenire solo dopo la corretta contabilizzazione
dell'energia prodotta da fonti non rinnovabili alla quale è commisurato il numero dei certificati da
acquistare. Cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 28 maggio 2007, n. 4694, in Foro
amministrativo, 2007, 1524.
626 In altri termini, è possibile sfruttare contestualmente l’energia «verde» prodotta attraverso una
sua immissione nel mercato e la «qualità» della stessa – consistente nell’essere stata prodotta da
fonti rinnovabili – mediante la vendita dei certificati verdi. In particolare, ai sensi dell’art. 9,
comma 1 del DM 18 dicembre 2008, i certificati verdi sono assegnati agli «impianti alimentati da
fonti rinnovabili, ivi incluse le centrali ibride, entrati in esercizio a seguito di nuova costruzione,
potenziamento, rifacimento totale o parziale, o riattivazione, in data successiva al 1 aprile 1999».
Hanno diritto all’incentivo, inoltre: a) gli impianti termoelettrici entrati in esercizio prima del 1
aprile 1999 che, successivamente a tale data, operino come centrali ibride; b) gli impianti di
cogenerazione abbinati al teleriscaldamento che abbiano acquisito i diritti all’ottenimento dei
certificati vedi in applicazione del decreto ministeriale 24 ottobre 2005; c) gli impianti, anche ibridi,
alimentati da rifiuti non biodegradabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2006, che abbiano
acquisito il diritto all’ottenimento dei certificati a seguito dell’applicazione della normativa vigente
fino alla stessa data (art. 9, comma 2). La disciplina non trova, invece, applicazione con riferimento
agli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio precedentemente al 1 aprile 1999
(c.d. impianti non IAFR). Ciò nonostante, la loro produzione riceve comunque un sostegno,
seppure indiretto, nella misura in cui è loro riconosciuta la facoltà di avvalersi di una esenzione
dall’obbligo di acquisto dei certificati verdi. La normativa, e in particolare l’art. 11, comma 2 del
d.lgs. n. 79 del 1999, prevede una serie di ulteriori specifiche esenzioni dall’acquisto di certificati
verdi in favore «degli autoconsumi di centrale, delle esportazioni eccedenti i 100 GWh, (…)
dell’energia elettrica prodotta da impianti di massificazione che utilizzano anche carbone di origine
nazionale» e, soprattutto, dell’energia prodotta da cogenerazione. La ratio di una delimitazione
dell’obbligo di acquisto di certificati verdi è, evidentemente, quella di contemperare i diversi
interessi (pubblici e privati) coinvolti, in un’ottica globale che tenga conto dei complessivi apporti
positivi e negativi (in termini di impatto ambientale) connessi alle diverse modalità di produzione
di energia. In particolare, il regime di favor riconosciuto all’energia prodotta da impianti
cogenerativi, è giustificato dalla circostanza che essa sarebbe connotata da una valenza ambientale
positiva, in quanto in grado di assicurare «un significativo risparmio di energia primaria rispetto alle
produzioni separate delle stesse quantità di energia elettrica e termica, riducendo le conseguenze
ambientali negative a parità di altre condizioni».
245
mercato dei certificati verdi, la cui piattaforma è amministrata dal GME627,
all’interno del quale è possibile procedere all’offerta al pubblico di certificati verdi
durante apposite sessioni; dall’altro, resta ferma la facoltà di agire mediante singole
contrattazioni bilaterali con i titolari dell’obbligo di acquisto 628.
In tal modo, come era nelle intenzioni del Legislatore, si crea un nuovo
mercato per lo scambio dei certificati verdi in cui l’incontro tra domanda e offerta
dei diritti di produzione di energia pulita determina la remunerazione dell’attività
incentivata, il cui costo ricade sui produttori e importatori da fonti non
rinnovabili.629
L’introduzione del meccanismo dei certificati verdi ha segnato una decisa
evoluzione rispetto al meccanismo CIP 6/92 e le principali differenze tra i due
strumenti possono riassumersi nelle seguenti caratteristiche:
- nelle fonti oggetto di incentivazione: fonti rinnovabili ed assimilate, per il
CIP 6/92; esclusivamente fonti rinnovabili, nel sistema certificati verdi;
- nelle modalità di accesso al meccanismo: una richiesta di autorizzazione
al Ministero dell’industria con la conseguente formazione di una graduatoria di
priorità630ove sono elencate le iniziative prescelte e pertanto meritevoli di stipulare
una convenzione di cessione, nel caso del CIP 6/92; una domanda di
qualificazione dell’impianto in esercizio o in progetto al GSE, nel caso dei
certificati verdi;
Il GME – Gestore dei mercati elettrici è la società costituita dal GRTN (attualmente GSE) a cui
è affidata l’organizzazione e la gestione economica del mercato elettrico. In tale ambito, ad essa è
affidata, tra l’altro, l’organizzazione delle sedi di contrattazione dei certificati verdi (attestanti la
generazione di energia da fonti rinnovabili).
628 Per quanto attiene al meccanismo economico di formazione del prezzo sul mercato dei
certificati verdi cfr. RINALDI L., I certificati verdi: trattamento contabile e rappresentazione in bilancio, in
Rivista di diritto commerciale, 4, 2005, 651 ss. e FORLEO M., Certificati verdi e sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili. Una rassegna di strumenti, scenari, mercati a confronti, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica,
2006, 215 ss.
629 Si veda, per un’introduzione dell’argomento, TURNER R.K. – PEARCE D.W. – BATEMAN I.,
Economia ambientale, Bologna, 2003.
630 L’istituzione di una graduatoria semestrale è uno strumento diretto a regolamentare l’accesso
alla produzione in modo da programmare gli interventi per l’incremento della capacità di
generazione ed approntare, nel contempo, le risorse finanziarie necessarie per la corresponsione
dei prezzi fissati dal CIP 6/92.
627
246
- nella determinazione e nella tipologia dei prezzi: nel caso del CIP 6/92, i
prezzi sono determinati per via amministrativa, basandosi sul citato criterio del
costo evitato, incentivati e differenziati in ragione della fonte energetica utilizzata,
nonché aggiornati annualmente; diversamente, il meccanismo dei certificati verdi
prevede che i prezzi siano definiti dal mercato, dal libero incontro di domanda ed
offerta631, ovvero lasciati alla libera contrattazione delle parti.
Al di là delle citate differenze, il sistema dei certificati verdi rappresenta
comunque un’innovazione nell’ambito del regime di sostegno all’energia
rinnovabile. Tale meccanismo, frutto del sistema giuridico, infatti trae origine da
una scelta politico-legislativa finalizzata al perseguimento di un fine di interesse
pubblico, che si realizza mediante la creazione di un mercato (artificiale) tra
soggetti privati. Il fine pubblico perseguito è espresso in apertura dallo stesso
articolo 11 del d.lgs. n. 79 del 1999 e consiste nell’incentivazione dell’uso delle
fonti rinnovabili, nel risparmio energetico, nella riduzione delle emissioni di
anidride carbonica e nell’utilizzo delle risorse energetiche nazionali.
Per la realizzazione di quanto enunciato, l’ordinamento non interviene ex
post al fine di regolamentare una realtà di scambio preesistente e sorta in modo
«naturale» in ragione delle esigenze economico-sociali dei consociati, bensì
impone a questi ultimi – qualora intendano raggiungere determinati fini egoistici –
di operare in un mercato, avente una funzione meramente strumentale, in vista del
perseguimento di un interesse pubblico ulteriore632.
Rebus sic stantibus, data l’esistenza – come autorevolmente sostenuto633 – di
un intrinseco legame tra fenomeno economico del mercato e presenza di un
quadro giuridico in grado di assicurarne la relativa operatività, appare chiaro come
A tale regola fanno eccezione i certificati verdi emessi dal GSE a proprio favore, a fronte
dell’energia prodotta dagli impianti CIP 6/92 (entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999) per i quali
il prezzo di vendita viene determinato ex lege ai sensi dell’art. 9 del DM 24 ottobre 2005.
632 Si osservi come la creazione di un mercato artificiale, che consenta l’indiretto conseguimento di
fini di interesse pubblico, non rappresenta un caso isolato, esclusivo del settore energetico, e –
attese le potenzialità di tale modalità di intervento pubblico nell’economia – è facile prevederne un
sempre più frequente utilizzo nell’immediato futuro.
633 D’altronde, non vi è mercato senza diritto. Cfr. IRTI N., L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998.
631
247
l’insieme delle regole che delineano questo strumento giuridico assumono
un’importanza fondamentale.
Nell’ordine, il regolatore pubblico ha in primo luogo creato dei beni
giuridici nuovi sotto forma di titoli astratti – privi anche di supporto cartaceo –
che incorporano la facoltà di attestare nei confronti di un’autorità pubblica
l’assolvimento di un obbligo legislativo avente per oggetto il contenimento delle
emissioni entro un tetto prestabilito, l’immissione nella rete di un quantitativo
minimo di energia verde, nonché la messa in opera di un quantitativo minimo di
misure e di interventi di efficienza energetica.
Si tratta di beni giuridici che hanno un valore economico634 poiché l’obbligo
di legge al quale sono assoggettati taluni operatori (i titolari di impianti inquinanti,
gli operatori elettrici, i concessionari distributori di energia elettrica e gas)
garantisce che si tratti di beni appetibili a una platea più o meno estesa di
potenziali acquirenti.
Una volta creato questo nuovo bene giuridico avente valore economico,
sono state poste le premesse per le transazioni private tra coloro che hanno una
disponibilità inutilizzata di titoli e coloro che invece hanno necessità di
acquisirne la titolarità. Ciò consente di realizzare non solo transazioni bilaterali
fuori mercato, ma anche l’istituzione di sedi deputate a organizzare il commercio
dei suddetti titoli e, a tale ultime fine, proprio per agevolare le transazioni, un
soggetto pubblico (il GME) è stato investito del compito di organizzare il
mercato635.
Emerge pertanto chiaramente come il meccanismo dei certificati verdi
rappresenti uno di quei casi, analizzati nei paragrafi precedenti, in cui il mercato
opera per mezzo o «attraverso» lo Stato che, peraltro, mettendo in opera gli
strumenti della regolazione, persegue l’obiettivo pubblicistico della tutela
Si discute anche, sotto il profilo civilistico, se essi costituiscano una componente del patrimonio
del titolare suscettibile di azioni esecutive ai sensi dell’art. 2740 c.c., se su di essi possano essere
costituti dei pegni e se sia ammissibile l’usufrutto. Per questa discussione riferita ai certificati verdi,
cfr. PERNAZZA F., op. cit., 192 e ss.
635 Dai primi mesi del 2007 il GME, come si è accennato nel testo, ha organizzato su base
completamente privatistica un mercato per le quote di emissione di gas a effetto serra.
634
248
dell’ambiente. Quasi come in un gioco di specchi, si potrebbe dire che, da un lato,
il mercato opera «attraverso lo Stato»; dall’altro, quest’ultimo «attraverso il
mercato» cura un interesse pubblico.636
Il meccanismo dei certificati verdi ha funzionato bene per alcuni anni, con
un incremento costante del valore dei relativi certificati, per i quali la domanda
superava l’offerta, rendendo così sempre più conveniente la produzione da fonti
rinnovabili. Pare infatti che abbia generato cospicui benefici, con un costo
stimabile intorno ai 400 milioni di euro annui637.
Tuttavia, alla maggior disponibilità di energia prodotta da fonti rinnovabili,
stabilita per legge, e al meccanismo di determinazione dei relativi prezzi affidato al
libero mercato, avrebbe dovuto seguire una diminuzione del prezzo di vendita
dell’energia elettrica. Questo obiettivo, però, è stato ben presto messo in
discussione prima, e vanificato poi, dal verificarsi di alcune misure
(predeterminazione della percentuale di energia elettrica da fonti energetiche
rinnovabili da immettere nella rete; aggiornamento automatico di tale percentuale;
obbligo di ritiro, a prezzo determinato, dei certificati verdi in eccesso;
mantenimento dell’incentivazione CIP 6/92, che ha finito con il costituire una
sorta di benchmark per il prezzo dei certificati verdi) che hanno avuto l’effetto di
incrementare e, successivamente, di stabilizzare il prezzo638.
Per evitare un conseguente crollo del prezzo causato da un’eventuale
eccesso di offerta, è stato dunque necessario introdurre alcuni correttivi, a partire
dal 2008639. Così, per esempio, per raggiungere il pur minimo obiettivo del 25%
del consumo interno di energia elettrica da fonti rinnovabili, il GSE è stato
costretto ad emettere certificati verdi a proprio favore in modo da compensare un
eventuale squilibrio tra domanda e offerta; è stato aumentato l’incremento annuale
V. CLARICH M., La tutela dell’ambiente, cit.
V. MACCHIATI A., Le politiche contro il cambiamento climatico, cit.
638 V. QUARANTA A., op.cit., 6.
639 Cfr. articolo 2, commi 147 e 148, della Legge finanziaria per il 2008, 24 dicembre 2007, n. 244.
636
637
249
della quota obbligatoria640 ed è stato garantito il ritiro, da parte del GSE, dei
certificati verdi invenduti, sino al 2010, ad un prezzo ribassato. Ciò, come è
comprensibile, ha creato alcune difficoltà in fase di valutazione degli investimenti
da parte degli operatori del settore, impossibilitati a tener conto di tutte le
imprevedibili fluttuazioni del mercato.
Il Governo italiano, resosi conto che i micro-impianti, soprattutto se
realizzati non a scopo imprenditoriale, non si sarebbero mai sviluppati
significativamente con il solo meccanismo dei certificati verdi, ha quindi
reintrodotto le tariffe fisse, inizialmente per il solo settore fotovoltaico (il c.d.
Conto Energia) e, successivamente, per tutti i micro-impianti di potenza nominale
inferiore ad 1 MW (200KW per gli eolici). Perciò, l’energia elettrica prodotta da
tali impianti, che in assenza dell’intervento pubblico sarebbe scambiata ad un
prezzo di mercato inferiore, è stata poi remunerata sulla base delle tariffe previste
dal Conto Energia.641
Recentemente, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011, è stato
emanato un decreto ministeriale attuativo del 6 luglio 2012642 di regolazione degli
incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal
fotovoltaico. Esso ha sostanzialmente trasformato l’impianto incentivante dei
certificati verdi, prevedendo la loro sostituzione, attraverso precise regole di
transizione, con un sistema incentivante meno complesso e più prevedibile, che ha
la caratteristica di premiare l’energia effettivamente immessa in rete, e non – come
accadeva con i certificati verdi – l’intera energia prodotta dall’impianto643.
Passato, come si è visto, dallo 0,35% del triennio 2004-2006 allo 0,75% previsto dalla legge n.
244 del 2007 per il periodo 2007-2012.
641 V. ARDOLINO D., op.cit.
642 Decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare del 6 luglio 2012, recante «Attuazione dell’articolo 24 del d.lgs.
28/2011 recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili
diversi dai fotovoltaici», pubblicato in G.U. n. 143 del 10 luglio 2012.
643 A partire dal 1° gennaio 2013, quale nuovo meccanismo di incentivazione, viene assegnato un
incentivo puro, calcolato con un metodo particolare e mutano anche le modalità di accesso che si
diversificano a seconda della potenza e della fonte che alimenta l’impianto. In particolare, gli
impianti aventi una potenza inferiore ai 5 MW hanno riconosciuta una tariffa fissa (concessa per
20 anni) tale da garantire un adeguato ritorno dell’investimento. Invece, la tariffa fissa che viene
640
250
Hanno diritto al mantenimento del rilascio dei certificati verdi gli impianti
entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, alle condizioni vigenti alla data di
entrata in vigore del d.lgs. stesso, e cioè con i coefficienti moltiplicativi derivati
dalle modifiche alle tabelle allegate alla legge n. 244/2007.
Hanno, invece, ancora l’opzione di usufruire del meccanismo dei certificati
verdi, secondo le regole del precedente decreto ministeriale 18 dicembre 2008644,
gli impianti che sono entrati in esercizio entro il 30 aprile 2013 e gli impianti
alimentati da rifiuti con valutazione forfettaria che sono entrati in esercizio entro il
30 giugno 2013, ma che hanno però ottenuto il titolo autorizzativo
precedentemente all’entrata vigore del decreto del 6 luglio 2012, e cioè entro la
data dell’11 luglio 2012.
Infine, per i produttori e gli importatori di fonti fossili convenzionali la
quota di immissione di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili si riduce
progressivamente a partire dal 2013 fino ad annullarsi per l’anno 2015. Il GSE
ritirerà i certificati verdi (non ancora acquistati dal mercato) emessi in relazione
alla produzione elettrica da fonti rinnovabili, relativa agli anni 2011-2015, ad un
prezzo pari al 78% di quello indicato ai sensi dell’articolo 2, comma 148, della
legge n. 244 del 2007645.
prevista per gli impianti aventi una potenza superiore ai 5 MW (concessa, anche questa, per 20
anni) è determinata mediante un meccanismo di aste al ribasso. Al fine di tutelare gli investimenti
in via di completamento, è previsto poi un meccanismo di progressiva transizione dal vecchio al
nuovo, regolato dallo stesso d.lgs. n. 28 del 2011 e dal decreto 6 luglio 2012, agli articoli 19, 20 e
30. Cfr. BRUNO A., Fonti rinnovabili. Autorizzazioni, concessioni, incentivi e fiscalità della produzione elettrica,
Milano, Edizioni ambiente, 2012, 109 s.
644 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare del 18 dicembre 2008, recante «Incentivazione della
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della legge
24 dicembre 2007, n. 244», pubblicato in G.U. n. 1 del 2 gennaio 2009.
645 Ai sensi dell’articolo 2, comma148, della legge n. 244 del 2007, i certificati verdi emessi dal GSE
in ossequio all’articolo 11 del d.lgs. n. 79 del 1999, sono venduti sul mercato ad un prezzo pari alla
differenza tra il prezzo di riferimento, fissato ad Euro 180 per MWh ed il prezzo annuale medio
relativo all’acquisto di elettricità, come stabilito dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, come
disposto dall’articolo 13, comma 3 del d.lgs. n. 387 del 2003, registrato nell’anno precedente e
pubblicato entro il 31 gennaio di ciascun anno a partire dal 2008.
251
2.3. La tariffa omnicomprensiva.
Il sistema incentivante della tariffa omnicomprensiva è stato introdotto per
la prima volta dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l’anno
2008), che – oltre a modificare il sistema dei certificati verdi – ha introdotto
questo nuovo sistema di incentivi, cui inizialmente era possibile aderire in
alternativa al meccanismo dei certificati verdi.
La tariffa omnicomprensiva è un sistema di incentivazione monetaria di feedin tariff, che, come già enunciato, si caratterizza per il fatto di stabilire un prezzo
fisso omnicomprensivo di remunerazione per l’energia da fonti rinnovabili
immessa in rete, superiore a quello di mercato, diversificato per fonte, della durata
di quindici anni. Viene definita come «onnicomprensiva» in quanto il valore
economico della tariffa incorpora, seppur non in maniera esplicita, sia il
corrispettivo per la vendita dell’energia sia una quota incentivante.
Diversamente, quindi, da quanto avviene nel sistema dei certificati verdi in
cui il beneficio economico legato al rilascio degli stessi va a sommarsi ai proventi
derivanti dalla vendita di elettricità, il produttore che beneficia della tariffa
omnicomprensiva non ha la possibilità di ottenere un ulteriore corrispettivo
economico derivante dalla vendita dell’energia prodotta. Inoltre, non incentiva,
come per i certificati verdi, tutta l’energia prodotta compresa quella
autoconsumata, ma la tariffa omnicomprensiva è corrisposta solamente per
l’elettricità effettivamente ceduta alla rete, al netto degli autoconsumi.
Al pari dei certificati verdi, però, anche nel caso delle tariffe
onnicomprensive, in base al tipo di intervento impiantistico cambia l’entità stessa
dell’incentivazione. Tali differenze sono legate ai costi delle diverse tecnologie,
consentendo una buona redditività anche alle soluzioni impiantistiche meno
diffuse e che comportano un maggiore investimento economico646, con l’obiettivo
Proprio al fine di garantire il necessario conseguimento di un reale vantaggio economico in
capo ai produttori che intendono aderire a tale forma di incentivazione, il modello introdotto è di
tipo flessibile, suscettibile di un periodico aggiornamento. In particolare, è previsto che le tariffe
possano essere aggiornate ogni tre anni, con apposito decreto del Ministro dello Sviluppo
Economico.
646
252
di promuovere i piccoli impianti, semplificando le procedure e garantendo un
ritorno fisso e prevedibile647.
In attuazione della legge finanziaria 2008 sono stati emanati il decreto
ministeriale 18 dicembre 2008 e la delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il
gas ARG/ELT/1/09, che hanno fissato le relative modalità procedurali per il
rilascio dell’incentivo.
Nello specifico, il produttore che intende avvalersi del sistema della tariffa
omnicomprensiva deve, innanzitutto, presentare apposita domanda di qualifica
IAFR al GSE. Poi occorre stipulare una convenzione con il GSE per la
regolazione economica del ritiro a tariffa fissa omnicomprensiva, ivi incluse le
tempistiche del pagamento, sulla base di uno schema di convenzione definito
dallo stesso Gestore. Tale convenzione sostituisce ogni altro adempimento
relativo alla cessione commerciale dell’energia elettrica immessa e all’accesso ai
servizi di dispacciamento e di trasporto relativi, limitatamente all’immissione di
energia elettrica. La convenzione ha una durata di quindici anni a partire dalla data
di entrata in esercizio commerciale dell’impianto e, da quel momento, al
produttore viene corrisposta la tariffa omnicomprensiva.
La tariffa omnicomprensiva è stata strutturata sin dall’inizio come
strumento alternativo al sistema dei certificati verdi: il diritto di opzione tra queste
due tipologie di incentivo deve essere esercitato all’atto della prima richiesta al
GSE della qualifica IAFR; è consentito, prima della fine del periodo di
incentivazione, un solo passaggio da un sistema di incentivazione all’altro; in tal
caso, la durata del periodo di diritto al nuovo sistema incentivante è ridotta del
periodo già fruito con il precedente sistema.
In generale, comunque, la tariffa omnicomprensiva non è compatibile con
altre forme di contributo o incentivazione pubblica648. La sua peculiarità è
V. QUARANTA A., op.cit.
L’unica eccezione riguarda le aziende agricole, zootecniche e agro-forestali che fanno utilizzo di
biogas, biomasse e oli vegetali per le quali l’accesso alla tariffa omnicomprensiva è cumulabile con
altri incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale o in
conto interessi con capitalizzazione anticipata, non eccedenti il 4% del costo dell’investimento.
647
648
253
rappresentata proprio dalla circostanza che, sino al termine del periodo di
operatività del sistema di incentivazione, la tariffa onnicomprensiva costituisce
l’unica fonte di remunerazione della generazione elettrica da fonte rinnovabile.
Terminato il periodo di incentivazione permane, naturalmente, la possibilità di
valorizzare l’energia elettrica prodotta, attraverso la sua vendita, l’autoconsumo o
lo scambio sul posto.
Il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 luglio 2012,
emanato in attuazione del d.lgs. n. 28 del 2011, di regolazione degli incentivi per la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico, che,
come abbiamo visto, ha completamente modificato il sistema dei certificati verdi,
ha invece
sostanzialmente
lasciato
inalterata la struttura della tariffa
omnicomprensiva. Essa infatti è rimasta pressoché immutata nelle sue
caratteristiche fondamentali ed è riservata agli impianti fino a 1MW di tutte le
fonti.
È un beneficio studiato per semplificare le procedure e garantire un ritorno
fisso e prevedibile: il GSE ritira l’energia e le attribuisce un corrispettivo fisso. Il
produttore che beneficia della tariffa omnicomprensiva non ha il diritto di
vendere l’energia prodotta, rinunciando a qualsiasi ulteriore corrispettivo
economico649.
2.4. Il Conto Energia.
Il c.d. Conto Energia è un programma di incentivazione in conto esercizio,
studiato ad hoc per gli impianti alimentati da fonte solare, ai quali non sono
applicabili i meccanismi finora analizzati, quali i certificati verdi e la tariffa
omnicomprensiva.
Tale incentivo è stato implementato per la prima volta con il decreto
legislativo n. 387 del 2003, che all’articolo 7 prevede un meccanismo di
incentivazione per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, che
649
V. BRUNO A., op.cit., 109 ss.
254
garantisca «un’equa remunerazione dei costi d’investimento e d’esercizio»,
demandando al Ministro delle attività produttive, oggi dello sviluppo economico
(di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con
la Conferenza Unificata) l’adozione di uno o più decreti con i quali siano definiti i
criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica derivante da fonte
solare650.
In attuazione di questa disposizione, dal 2005 ad oggi si sono susseguiti
cinque decreti del Ministro dello sviluppo economico per l’approvazione di
altrettanti «Conti Energia», mediante i quali sono state disciplinate modalità e
misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti fotovoltaici.
2.4.1. Il primo Conto Energia.
A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 387 del 2003, il
meccanismo del Conto Energia è diventato operativo con l’emanazione dei
decreti attuativi del 28 luglio 2005651 e del 6 febbraio 2006652 (c.d. primo Conto
Energia).
Prima di questa data il sistema di incentivazione all’installazione di impianti
fotovoltaici avveniva mediante finanziamenti in conto capitale a fondo perduto
che arrivavano a coprire il 70% dei costi di impianto. Tali finanziamenti erano
erogati dalle Regioni attraverso procedure lunghe e laboriose e le stesse Regioni,
Il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale si è provveduto al recepimento della direttiva
2001/77/CE concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili all’art.
7 comma 1, ha previsto l’adozione di uno o più decreti con i quali definire i criteri per
l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare e al comma 2, lett. d) ha
previsto una specifica tariffa incentivante per l’energia prodotta mediante conversione fotovoltaica
della fonte solare di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei
costi di investimento e di esercizio.
651 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare del 28 luglio 2005, recante «Criteri per l’incentivazione della
produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare», pubblicato in
G.U. n. 181 del 5 agosto 2005.
652 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare del 6 febbraio 2006, recante «Criteri per l’incentivazione
della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare»,
pubblicato in G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006.
650
255
una volta concessi gli incentivi, non avevano l’obbligo di verificare il
mantenimento in efficienza e l’effettiva produzione degli impianti.
Il primo Conto Energia introduce, invece, per la prima volta il sistema di
finanziamento in conto esercizio della produzione elettrica, sostituendo i
precedenti contributi statali a fondo perduto. Si passa ad incentivare in conto
esercizio gli impianti di potenza compresa tra 1 e 1000 KW attraverso una tariffa
incentivante riconosciuta direttamente sull’energia elettrica prodotta, per un
periodo di 20 anni653.
Il tetto massimo di potenza incentivabile attraverso il primo Conto Energia
venne in un primo momento stabilito in 100 MW, tale limite venne raggiunto in
pochi giorni e venne portato con successivo decreto a 500 MW di potenza,
obiettivo che ci si prefissava di raggiungere entro il 2015. La tariffa incentivante
base del primo Conto Energia partiva da 0,445-0,460 €/KWh, a questa si
aggiungevano poi i benefici della vendita di energia elettrica alla rete o
dell’autoconsumo dell’energia prodotta654.
2.4.2. Il secondo Conto Energia.
Il decreto ministeriale del 19 febbraio 2007655 ha introdotto il secondo
Conto Energia, il quale fissava nuovi criteri per incentivare la produzione elettrica
degli impianti fotovoltaici entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2010.
Tra le principali novità introdotte dal secondo Conto Energia c’erano
l’applicazione della tariffa incentivante su tutta l’energia prodotta e non solamente
su quella prodotta e consumata in loco, lo snellimento delle pratiche burocratiche
per l’ottenimento delle tariffe sulla base del tipo di integrazione architettonica,
Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it.
V. TESTA C. – BATTANINI G. – FELETIG P., Chi ha ucciso le rinnovabili? La storia come non ve l’hanno
mai raccontata del green business del fotovoltaico in Italia, in Rivista Formiche, 79, 2013.
655 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2007, recante «Criteri e modalità per
incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare
in attuazione dell’articolo 7 del d.lgs. 387/2003», pubblicato in G.U. n. 45 del 23 febbraio 2007.
653
654
256
oltre che della taglia dell’impianto. Veniva, inoltre, introdotto un premio per
impianti fotovoltaici abbinati all’uso efficiente dell’energia656.
Il secondo Conto Energia introduceva anche dei limiti alla potenza
incentivabile: un obiettivo nazionale di 3.000 MW da raggiungere entro il 2016 e
un limite di potenza incentivabile pari a 1.200 MW. Agli incentivi potevano
accedere anche gli impianti entrati in esercizio fino a 14 mesi dopo il
raggiungimento di tale limite. Le tariffe incentivanti erano comprese inizialmente
tra gli 0,36 €/KWh per i grandi impianti a terra e gli 0,49 €/KWh per impianti
domestici della potenza di 3 kW, architettonicamente integrati negli edifici657.
2.4.3. Il terzo Conto Energia.
Nel corso del 2010, il rapido calo dei prezzi dei pannelli fotovoltaici rese
necessaria l’emanazione ad agosto del 2010 di un decreto introduttivo del terzo
Conto Energia che, con decorrenza dal 1° gennaio 2011, stabiliva un obiettivo
nazionale cumulativo di potenza installabile pari a 8 GW al 2020 ed un limite di
limite potenza pari a 3 GW entro fine 2013.
Al fine di salvaguardare i diritti acquisiti di chi aveva messo in cantiere degli
impianti fotovoltaici secondo le modalità e le condizioni richieste dai precedenti
Conti Energia, venne contestualmente pubblicata, sempre nell’agosto 2010, la
legge n. 129 del 2010, la c.d. «salva Alcoa», la quale prevedeva che potessero
accedere alle tariffe del secondo Conto Energia tutti gli impianti i cui lavori di
installazione fossero stati conclusi entro il 31 dicembre 2010 e che fossero entrati
in esercizio entro il 30 giugno del 2011. In tal modo, si concedeva una proroga
fino al 30 giugno 2011 al periodo di operatività del secondo Conto Energia,
inizialmente destinato ad esaurirsi alla fine del 2010 per effetto dell’entrata in
vigore terzo Conto Energia658.
Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it, cit.
V. TESTA C. – BATTANINI G. – FELETIG P., op.cit.
658 Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it, cit.
656
657
257
Tuttavia, già all’inizio del 2011 fu chiaro che grazie all’eccessiva generosità
degli incentivi del secondo Conto Energia il limite di potenza installabile previsto
dal terzo Conto Energia (gli 8 GW al 2020) rischiava di essere raggiunto già entro
il 2011. Il GSE informò il Governo che, in base alle richieste pervenute da parte
dei proprietari degli impianti che volevano rientrare nella franchigia prevista dalla
norma «salva Alcoa», la potenza fotovoltaica installata a fine 2010 sarebbe stata
prossima ai 7.000 MW e avrebbe superato gli 8.000 MW nel 2011. La previsione
del GSE, all’inizio pesantemente criticata, si dimostrò invece nei fatti
sostanzialmente corretta.
Ad aprile del 2011 venne quindi promulgato un ulteriore decreto che
introdusse, a partire dal 1° giugno 2011, un quarto Conto Energia. Il terzo Conto
Energia rimase quindi in vigore per soli cinque mesi tra il 1°gennaio ed il 31
maggio 2011 659.
2.4.4. Il quarto Conto Energia.
Il 2011 si può senza dubbio considerare l’anno in cui il settore della
produzione di energia da fonte rinnovabile in generale, e quella fotovoltaica in
particolare, ha dovuto subire «in corso d’opera» uno stravolgimento della
disciplina degli incentivi a distanza di pochi mesi dalla precedente modifica, che
invece avrebbe dovuto regolare il mercato per i successivi tre anni660, con dure ed
inevitabili conseguenze a carico degli investimenti fatti nel settore sulla base di una
normativa repentinamente cambiata.
L’art. 25 del d.lgs. n. 28 del 2011 ha inciso sull’applicazione del terzo Conto Energia ed ha
posto le basi normative per il quarto Conto Energia. In fatti tale norma, da un lato, ha anticipato al
31 maggio 2011 il termine del Terzo conto energia, inizialmente previsto nel 31 dicembre 2013;
dall’altro lato, ha rimesso ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione della
nuova disciplina relativa all’incentivazione degli impianti che entreranno in esercizio oltre il 31
maggio 2011. Il DM 5 maggio 2011 prevede una nuova disciplina delle modalità di incentivazione
della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e pone le basi per lo sviluppo di
tecnologie innovative per la conversione fotovoltaica. Il nuovo regime di incentivazione si
applicherà agli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio tra il 31 maggio 2011 e il 31
dicembre 2016.
660 V. QUARANTA A., op.cit.
659
258
Per primo, il d.lgs. n. 28 del 2011 è intervenuto apportando alcune
modifiche al sistema di incentivazione previste per il fotovoltaico, prevedendo un
sistema di feed-in premium, in cui il prezzo dell’energia rinnovabile è composto da
due fattori: il valore di mercato dell’energia elettrica, esposto alle oscillazioni della
domanda e dell’offerta e un premio fissato dall’autorità pubblica.
Il decreto attuativo del 5 maggio 2011661 ha introdotto, poi, a decorrere dal
2013, un nuovo sistema di regolazione automatica del livello degli incentivi in
relazione alla potenza installata, eliminando ogni limite alla produzione. Esso si
applica agli impianti fotovoltaici che entrano in esercizio al 31 maggio 2011 e fino
al 31 dicembre 2016 per un obiettivo indicativo di potenza installata a livello
nazionale di circa 23.000 MW, corrispondente ad un costo indicativo cumulato
annuo degli incentivi stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro662.
Nel periodo transitorio è previsto una graduale e progressiva riduzione, allo
scopo di allineare il nostro Paese ai livelli comunitari e di salvaguardare gli
investimenti in corso. Nel periodo transitorio, è introdotta anche una distinzione
tra piccoli impianti e gli impianti di maggiori dimensioni. I primi – cioè quelli con
potenza superiore a 100KW, gli altri impianti fotovoltaici con potenza non
superiore a 200KW operanti in regime di scambio sul posto, nonché gli impianti
fotovoltaici di potenza qualsiasi realizzati su edifici ed aree delle amministrazioni
pubbliche – saranno ammessi agli incentivi a prescindere da un tetto di spesa. I
grandi impianti, invece, saranno sottoposti a dei limiti di costo annuo ben
determinati; inoltre, saranno tenuti a richiedere al GSE l’iscrizione in un apposito
registro informatico necessario a gestire i tetti di spesa previsti dal Governo e a
comunicare il termine dei lavori di realizzazione dell’impianto. Gli incentivi
verranno erogati solo al momento del collegamento dell’impianto alla rete e, nel
caso in cui il gestore di rete non rispetti i tempi di realizzazione e attivazione della
Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2007, recante «Incentivazione della
produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici», pubblicato in G.U. n. 109 del 12
maggio 2011.
662 Cfr. articolo 1, comma 2, del DM 5 maggio 2011 di cui alla precedente nota.
661
259
connessione, causando la perdita del diritto all’incentivo, è previsto un
indennizzo.663
Queste disposizioni, insieme alle altre, sono state oggetto di numerose
critiche, in quanto, nel privilegiare i piccoli impianti fotovoltaici, realizzati dallo
stesso soggetto e localizzati su aree attigue ovvero sulla medesima area664, hanno
di fatto creato una ingiustificata disparità di trattamento tra gli operatori del
settore, penalizzando proprio i mega-impianti e quindi quei soggetti economici
che avevano pesantemente investito nelle fonti energetiche rinnovabili attraverso
piani industriali molto onerosi e che ora vedono la loro implementazione messa a
rischio. Una tale disparità di trattamento è stata ritenuta difficilmente raccordabile
con i principi comunitari di divieto di discriminazione, parità di trattamento e
libera concorrenza, oltre che con gli obblighi derivanti dal trattato sulla Carta
dell’energia sottoscritto a Lisbona nel 1994665, che impone agli Stati di creare ed
agevolare condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori di altre
Parti contraenti che effettuano investimenti nella loro area (art. 10). D’altronde, il
testo in esame appare in contrasto anche con il principio costituzionale, sancito
dall’articolo 41 della Costituzione, di riconoscimento della libertà di iniziativa
economica privata, laddove, invece, in tale contesto l’iniziativa nel settore appare
scoraggiata,
anche
con
significativi
effetti
negativi
anche
sul
piano
occupazionale.666
Secondo la disciplina contenuta nella delibera dell’AEEG n. ARG/ELT/181/10.
L’art. 12, comma 5, del DM in esame stabilisce che questi ultimi vanno intesi come unico
impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti. L’intento dichiarato è quello
di evitare il frazionamento di un impianto in più impianti di ridotta potenza e lo scopo è
evidentemente quello di ridurre il rischio di fenomeni speculativi consistenti nella parcellizzazione
degli investimenti fotovoltaici in diversi microimpianti al solo scopo di ottimizzare l’erogazione
delle agevolazioni previste.
665 I grandi gruppi, dopo l’emanazione del d.lgs. n. 28 del 2011 e del DM 5 maggio 2011 hanno
lamentato la violazione da parte dello Stato Italiano degli obblighi derivanti dall’articolo 10 del
Trattato sulla Carta dell’energia avviando la procedura di bonaria composizione previsto
dall’articolo 26 del medesimo. Il trattato, insieme all’annesso Protocollo sulla efficienza energetica
ed i connessi aspetti ambientali, è entrato in vigore il 16 aprile 1998, quando sono state raggiunte le
prima trenta ratifiche. Esso costituisce essenzialmente la riformulazione in forme giuridiche
vincolanti dei principi già affermati a livello politico con la Carta europea dell’energia sottoscritta
dalla CEE e dai suoi stati membri all’Aia il 17 dicembre 1991.
666 V. MARZANATI A., op.cit., 61 ss.
663
664
260
Ad ogni modo, al di là del merito, le novità introdotte hanno dato adito a
forti dubbi, fondati principalmente sul metodo delle decisioni prese, più che sul
loro contenuto sostanziale, almeno in ambito economico.
Infatti, la retroattività introdotta dal d.lgs. n. 28 del 2011, che prevede che
per tutti gli impianti solari fotovoltaici che entrano in esercizio dopo il 31 maggio
2011 si applichi il regime di incentivazione previsto da un successivo decreto del
Ministro dello sviluppo economico adottato poi qualche settimana più tardi con il
quarto Conto Energia ha creato un forte empasse, incidendo altresì sul legittimo
affidamento di chi intendeva procedere a progetti futuri o già avviati e finanziati
sulla base di una normativa non più in vigore.
2.4.5. Il quinto Conto Energia.
Il forte ed imprevisto sviluppo del mercato del fotovoltaico degli ultimi anni
ha determinato il raggiungimento del tetto massimo di spesa, fissato nel decreto
ministeriale del 5 maggio 2011, molto prima rispetto a quanto preventivato, e cioè
nel 2016. Mediante delibera 292/2012/R/EFR, l’Autorità per l’energia elettrica e
il gas, su indicazione del GSE, ha infatti deliberato in data 12 luglio 2012 il
raggiungimento del valore limite di 6 miliardi di euro di costo indicativo cumulato
annuo per gli incentivi spettanti agli impianti fotovoltaici (cioè l’intero costo
annuale degli incentivi di tutti i Conti Energia attivi)667.
Tale situazione ha pertanto richiesto nuovamente l’intervento del Ministro
dello sviluppo economico, che con proprio decreto ha regolamentato il
meccanismo di incentivazione degli impianti fotovoltaici entrati in esercizio dopo
il 27 agosto 2012, ovvero 45 giorni dopo il raggiungimento del limite previsto dal
Il DM 5 luglio 2012 definisce il costo indicativo cumulato degli incentivi come «sommatoria
degli incentivi, gravanti sulle tariffe dell’energia elettrica, riconosciuti a tutti gli impianti alimentati
da fonte fotovoltaica in attuazione del presente decreto e dei precedenti provvedimenti di
incentivazione».
667
261
quarto Conto Energia. Il decreto ministeriale del 5 luglio 2012668 ha quindi
profondamente modificato il quadro in essere, bloccandolo anzi tempo.
Nello specifico, si è passati da un meccanismo di feed-in premium ad un
meccanismo di feed-in tariff. Rispetto infatti alle precedenti versioni, il quinto Conto
Energia introduce il meccanismo della tariffa omnicomprensiva per il
fotovoltaico. Si tratta di una tariffa che accorpa in sé sia il valore
dell’incentivazione sia quello dell’energia ceduta alla rete.
Con la differenza che, fino al quarto Conto Energia, le tariffe incentivanti
erano calcolate su tutta l’energia prodotta, indipendentemente dall’uso che se ne
sarebbe fatto (vendita o autoconsumo); nel quinto Conto Energia, invece,
l’incentivo è calcolato sull’energia immessa (tariffa omnicomprensiva) e
sull’energia autoconsumata (premio autoconsumo).
Il valore della tariffa omnicomprensiva e del premio varia in funzione della
potenza dell’impianto e dell’ora e della zona in cui è situato l’impianto. Grazie a
un meccanismo di perequazione apportato dallo stesso quinto Conto Energia, il
calcolo dell’incentivo infatti tiene conto del prezzo zonale orario della produzione
ceduta alla rete.
Un altro aspetto caratteristico del quinto Conto Energia è che l’accesso a
queste tariffe incentivanti non è più automatico e diretto, o per lo meno lo è solo
per gli impianti fino a 12 KW e per quelli fino a 50 KW realizzati in sostituzione
dell’eternit669. Per gli altri impianti, invece, è stata stabilita una modalità di accesso
mediante registro, gestito dal GSE. Gli impianti dunque non rientranti nelle
categorie ad accesso diretto devono preventivamente iscriversi al registro.
Cfr. decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente,
della tutela del territorio e del mare, del 5 luglio 2012, recante «Attuazione dell'art. 25 del decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da
impianti solari fotovoltaici», pubblicato nella G.U. n. 143 del 10 luglio 2012. Si tratta del
cosiddetto «Quinto Conto Energia» per il fotovoltaico, emanato in attuazione dell’articolo 1,
comma 2, del decreto ministeriale 5 maggio 2011, il quale stabilisce che al raggiungimento del
valore di 6 miliardi di euro di costo indicativo cumulato annuo degli incentivi al fotovoltaico
possono essere riviste le modalità di incentivazione di cui al decreto stesso, favorendo in ogni caso
l’ulteriore sviluppo del settore. Tale decreto è entrato in vigore il 27 agosto 2012.
669 Si veda sul punto BRUNO A., op.cit., 89.
668
262
L’iscrizione però non dà di per sé diritto all’incentivo. È il GSE che, sulla base di
specifici criteri stabiliti dal DM del 5 luglio 2012, forma la graduatoria degli
impianti rientranti nei limiti stabiliti.670
Senza dubbio, l’elemento più rilevante del quinto Conto Energia è la sua
durata. Entrato in vigore il 27 agosto 2012, l’articolo, 1, comma 5, del decreto 5
luglio 2012 stabilisce che lo stesso cessa decorsi 30 giorni dalla data di
raggiungimento del costo indicativo cumulato di 6,7 miliardi di euro annui.
Come si evince dalle premesse del decreto attuativo, il Governo ritiene che
non si possa continuare a seguire l’approccio incentivante finora adottato, ma che
vada dato impulso ai settori calore, trasporti ed efficienza energetica, attraverso
modalità economicamente più efficienti. A tale scopo, si è quindi ritenuto
sufficiente impegnare ulteriori 700 milioni di euro/anno di costo degli incentivi, al
fine di accompagnare il fotovoltaico verso la competitività, al di fuori di schemi di
sostegno671.
L’Autorità per l’energia elettrica e il gas, nella delibera 250/2013/R/EFR,
ha indicato nel 6 giugno 2013 la data di raggiungimento della soglia dei 6,7 miliardi
di euro e, di fatto, il 6 luglio 2013 il quinto Conto Energia e le previsioni di cui ai
precedenti decreti hanno cessato di applicarsi.
Il quinto Conto Energia è quindi, ad oggi, l’ultima tranche delle facilitazioni
che consentono al Paese di arrivare alla grid parity, cioè al punto in cui l’energia
elettrica da fotovoltaico ha lo stesso costo produttivo dell’energia tradizionale.
La forte crescita registrata negli ultimi anni ha senza dubbio portato ad
un’eccedenza di produzione che esisterà ancora per qualche tempo. Tuttavia,
questo eccesso di capacità, se da un lato ha consentito di ridurre notevolmente i
costi di produzione, dall’altro però, a causa della rigidità del regime nazionale di
sostegno al fotovoltaico, non è stato possibile adeguarsi alla rapidità del calo dei
costi, all’aumento dei profitti e in alcuni casi alla creazioni di impianti a un ritmo e
in quantità quasi eccessiva, determinando cambiamenti improvvisi e imprevisti
670
671
V. BRUNO A., op.cit., 89.
V. BRUNO A., op.cit., 84.
263
che, a loro volta, come è accaduto con il quinto Conto Energia, hanno
determinato tagli agli investimenti; lasciando di fatto inalterato il rischio che
l’attuale eccedenza di capacità fotovoltaiche rispetto ai livelli pianificati si riduca e
si trasformi nel lungo termine in una vera e propria carenza672.
2.5. Il nuovo sistema della aste.
Il d.lgs. n. 28 del 2011 e i successivi decreti di attuazione, oltre a prevedere
la graduale abolizione del meccanismo dei certificati verdi e nuove e, nel tempo,
innovative regole per il fotovoltaico, ha anche introdotto un nuovo sistema di
incentivazione alla generazione elettrica da fonti energetiche rinnovabili,
prevedendo all’articolo 24, comma 4, un meccanismo di incentivazione ad asta.
Nello specifico, il d.lgs. in questione disciplina il passaggio al sistema delle
aste al ribasso, a partire dal 2013, per gli impianti di potenza superiore a valori
minimi differenziati in base alle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili e
comunque non inferiore a 5MW elettrici673.
Per impianti di potenza superiore a 5 MW (10 MW nel caso di idroelettrico
e 20 MW per il geotermoelettrico), il GSE indice delle procedure pubbliche d’asta
al ribasso, in forma telematica, nei limiti dei contingenti annui. Il GSE pubblica il
bando relativo alla prima procedura d’asta, riferita al contingente disponibile per il
2013, entro il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione delle procedure
applicative del decreto (fornite dal GSE entro 45 giorni dalla data di entrata in
vigore del decreto stesso)674. In ogni procedura viene messo ad asta l’intero
contingente disponibile nell’anno, sommato alle quantità eventualmente non
assegnate nella precedente procedura. A partire dal secondo registro, vengono
Cfr. relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico
e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Relazione sui progressi nel campo delle energie rinnovabili,
COM (2013) 175 final del 27 marzo 2013.
673 Si veda MARZANATI A., op.cit., 59.
674 Per i periodi successivi, i bandi sono pubblicati entro il 31 marzo di ogni anno a decorrere dal
2013. Per il solo eolico on-shore qualora la potenza non assegnata risulti maggiore del 20% della
potenza messa bando, viene pubblicato un ulteriore bando, decorsi 6 mesi dal precedente.
672
264
sottratte al contingente le quote di potenza degli impianti che accedono
direttamente agli incentivi, entrati in esercizio nei 12 mesi precedenti all’apertura
della procedura (per il secondo registro, quelli entrati in esercizio dal 1° gennaio
2013) e che comunque contribuiscono all’erosione del tetto. Vengono inoltre
sottratte le quote degli incentivi forniti agli impianti che accedono alle disposizioni
di transizione dal vecchio al nuovo meccanismo d’incentivazione (secondo le
modalità descritte nell’art. 30 del decreto). Nel caso il valore del contingente, a
seguito di tali sottrazioni, fosse negativo, si andranno ad erodere anche i
contingenti successivi.
Possono partecipare alla procedura d’asta i soggetti titolari di autorizzazione
oppure di titolo concessorio nel caso di impianti idroelettrici, geotermoelettrici ed
eolici offshore, nonché del preventivo di concessione redatto dal gestore di rete e
accettato in via definitiva dal proponente (per eolico off-shore sotto a 20MW il
titolo concessorio è sostituito dal giudizio di compatibilità ambientale). Per
partecipare alle procedure d’asta, inoltre, il soggetto responsabile deve dimostrare
di possedere una solidità finanziaria ed economica adeguata mediante
dichiarazione di un istituto bancario o intermediario autorizzato, che attesti la
capacità finanziaria ed economica del soggetto partecipante in relazione all’entità
dell’intervento, oppure mediante capitalizzazione pari ad almeno il 10%
dell’investimento previsto per la realizzazione dell’impianto.
All’esito della procedura, poi, la graduatoria viene formata secondo i criteri
di priorità, elencati nell’articolo 15, comma 3, del decreto 6 luglio 2012675, in
Ai sensi dell’articolo 15, comma 3, citato: «A parità di riduzione offerta, ivi inclusa quella di cui
all’articolo 14, comma 3, si applicano, nell’ordine, i seguenti ulteriori criteri, in ordine di priorità: a)
impianti già in esercizio; b) per impianti alimentati dalle biomasse di cui all’articolo 8, comma 4,
lettere c) e d): dichiarazione dell’Autorità competente attestante, nell’ambito della pianificazione
regionale in materia di rifiuti, la funzione dell’impianto ai fini della corretta gestione del ciclo dei
rifiuti; c) per gli impianti geotermoelettrici: totale reiniezione del fluido geotermico nelle stesse
formazioni di provenienza, ovvero che rispettano il requisito di cui all’articolo 27, comma 1, lettera
c); d) anteriorità del titolo autorizzativo o, in assenza del titolo autorizzativo e per gli impianti con
potenza non superiore a 20 MW, del giudizio di compatibilità ambientale».
675
265
ordine gerarchico. Sono ammessi ai meccanismi d’incentivazione gli impianti
rientranti nelle graduatorie, nel limite dello specifico contingente di potenza. 676
Uno dei principali vantaggi delle aste, che tipicamente si assume, è quello di
consentire il superamento delle asimmetrie informative tra banditore e
partecipanti; questi ultimi, infatti, data la scarsità del bene oggetto di gara, sono
indotti a dichiarare implicitamente i loro reali costi al fine di veder risultare
vincitrice la propria offerta. Ciò si traduce, inevitabilmente, in uno stimolo per i
partecipanti a dichiarare senza effettuare sovrastime il valore di incentivazione
(ossia il costo di generazione del MWh), pena il rischio di non risultare vincitore
dell’asta e di non ottenere l’incentivo. Tale competizione tra operatori è dunque
auspicabile, in quanto porta alla selezione delle iniziative più efficienti, ossia di
quelle che presentino, a parità di fonte e tecnologia, un costo di generazione del
MWh inferiore, assegnando un incentivo solo alle «iniziative migliori».
Teoricamente, dunque, rispetto all’utilizzo di un sistema feed-in tariff, in cui il
Legislatore assegna un incentivo fisso a tutte le iniziative a prescindere dal loro
costo, questa forma di incentivazione dovrebbe comportare un risparmio netto
per il sistema, legato appunto al superamento delle asimmetrie informative.677
Nella pratica, però, lungi dallo stimolare la competizione, le procedure
d'asta hanno spaventato di fatto gli operatori con tariffe troppo basse e troppa
burocrazia, tanto che per tutte le tecnologie ci sono state meno domande rispetto
al
contingente
incentivabile
disponibile.678
In
molti
casi,
per
l’operatore/partecipante all’asta, il concreto rischio di insuccesso nella procedura
d’asta e il conseguente danno economico connesso al mancato recupero dei costi
di sviluppo si è ritenuto condizione sufficiente a scoraggiare l’intrapresa
dell’iniziativa. Inoltre, anche l’accesso al credito, data l’impossibilità di dimostrare
agli istituti finanziatori non solo l’entità dell’incentivo, ma anche l’effettiva
sussistenza dello stesso, è risultato particolarmente difficoltoso, con la
Cfr. informativa 2012, Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili elettriche non
fotovoltaiche, realizzata da TIS / Area Energia & Ambiente, Bolzano, 25 luglio 2012.
677 V. BARBETTI T., op.cit., 5.
678 Cfr. articolo del 13 gennaio 2013, Aste rinnovabili elettriche: il flop è ufficiale, in Qualenergia.it.
676
266
conseguenza che in tal caso non sarebbe neppure possibile disporre delle risorse
necessarie per sviluppare i progetti e ottenere quell’autorizzazione che è il
presupposto stesso per la partecipazione all’asta.
In tali circostanze, si prefigurerebbe pertanto una situazione in cui lo
sviluppo delle iniziative al di sopra della soglia di accesso alla aste sarebbe ridotto
al minimo, con una deviazione dal percorso di raggiungimento degli obiettivi al
2020, solo in parte compensata dalla concentrazione degli investimenti sugli
impianti di piccola taglia esenti dalla partecipazione alle aste.
In aggiunta, i progetti che non rientrano nel contingente incentivato
potrebbero cercare di vendere le proprie autorizzazioni ad altri soggetti disposti ad
accollarsi il rischio derivante dalla partecipazione alle aste, innescando quel
commercio di titoli che, nello spirito del d.lgs. n. 28 del 2011 e dei provvedimenti
che l’hanno preceduto, si voleva evitare.
Nell’ottica del pianificatore della politica energetica e delle amministrazioni
competenti al rilascio delle autorizzazioni, invece, non si può non rilevare che un
siffatto meccanismo conduce, inevitabilmente, a un quantitativo di potenza
installata inferiore rispetto a quella autorizzata.
Gli indirizzi della politica energetica regionale, de facto sanciti con il rilascio
delle autorizzazioni, verranno quindi sconfessati dalla possibilità che gli impianti
già autorizzati non entrino in esercizio, con la conseguenza che ciò possa apparire
particolarmente problematico nel caso in cui, mediante il c.d. burden sharing, si
dovessero
attribuire
obiettivi
vincolanti
per
le
Regioni,
prevedendo
conseguentemente sanzioni da irrogare in caso di mancato raggiungimento degli
stessi. Le Regioni in tal caso infatti si troverebbero nelle condizioni di dover
pagare per non aver raggiunto degli obiettivi per i quali avevano deciso di
autorizzare delle iniziative che poi però non sono risultate vincitrici delle aste per
l’incentivazione. D’altro canto, però, nel caso in cui si aprissero le porte delle aste
anche a soggetti non autorizzati, si ingenererebbe una situazione affatto diversa,
ma connotata dalla stessa inefficienza.
Le maggiori criticità si annidano dunque nella questione dell’effettiva
realizzazione degli impianti che hanno avuto accesso, mediante l’asta, al
contingente di potenza incentivata. In effetti, non vi potrà essere alcuna certezza
che gli impianti che hanno ottenuto l’incentivo vengano dapprima autorizzati e
267
successivamente realizzati. Se il blocco avvenisse in fase autorizzativa, del tutto
iniqua apparirebbe l’escussione delle garanzie o l’applicazione delle penali, giacché
non si potrebbero riscontrare effettive responsabilità in capo al proponente. Se
invece in fase autorizzativa venisse posto come condizione al rilascio del titolo
abilitativo l’apportamento di modifiche sostanziali al progetto che determinino, al
momento dell’entrata in esercizio, un maggior costo di generazione rispetto a
quello previsto in sede di asta, l’iniziativa sarebbe comunque destinata
all’insuccesso. Infine, eventuali ritardi, sia da parte dell’amministrazione
competente al rilascio dell’autorizzazione unica sia da parte del gestore di rete, che
comportino il mancato rispetto del termine per l’entrata in esercizio previsto
collateralmente dalla disciplina delle aste, implicherebbero l’applicazione di una
penale (che potrebbe consistere nell’escussione di parte della garanzia) che
danneggerebbe il produttore.
Il comune denominatore di queste situazioni in ogni caso sarebbe
l’inevitabile insorgere di un nuovo livello di contenzioso tra operatori,
amministrazioni e gestori di rete, eventualità questa tra le più indesiderabili, con la
realizzazione dello stesso effetto finale dello scenario precedente, in cui gli
investitori tenderebbero senz’altro a privilegiare la realizzazione di impianti al di
sotto della soglia di accesso alle aste.679
2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro dedicato.
Per quanto riguarda l’accesso alla rete, tra le varie misure promozionali si
possono annoverare gli strumenti del c.d. ritiro dedicato e dello scambio sul posto
che mirano entrambi a rendere conveniente anche per i piccoli produttori680 la
realizzazione di impianti di sfruttamento di energie rinnovabili, semplificando la
V. BARBETTI T., op.cit., 20 ss.
La ratio è infatti quella di promuovere la piccola auto-produzione, ma va notato che agli
impianti da fonti rinnovabili (a scopo promozionale) si applica questa disciplina a prescindere dalla
potenza generata e – quindi – anche se non si tratta di fattispecie di autoconsumo. Si ricorda a
riguardo che il decreto legge 16 marzo 1999, n. 79, definisce «auto produttore» la persona fisica o
giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70 % su base annua.
679
680
268
cessione dell’energia prodotta681. Ciò, in particolare, attraverso lo strumento del
contratto, con il quale si riconducono i rapporti giuridici nascenti dalla
conduzione dell’attività di sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili a
schemi semplificati e particolarmente convenienti, grazie all’accentramento e
all’intermediazione.
Il servizio di scambio sul posto è stato introdotto per la prima volta
dall’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge n. 133 del 1999 e poi
confermato dall’articolo 6 del d.lgs. n. 387 del 2003.
In origine, rappresentava un saldo annuo tra l’energia elettrica immessa in
rete e quella prelevata dalla rete stessa da parte dell’utenza connessa a tale
impianto. Successivamente, con delibera ARG/ELT/74/08, l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas ne ha modificato la struttura, che non consiste più nella
possibilità fisica di prelevare dalla rete senza pagare le tariffe e gli oneri di sistema,
ma nella regolazione economica dei prelievi di energia, affidata al GSE, cioè «nel
realizzare una particolare forma di autoconsumo in sito, consentendo che l’energia
elettrica prodotta e immessa in rete possa essere prelevata e consumata in un
momento differente da quello nel quale avviene la produzione, utilizzando quindi
il sistema elettrico quale strumento per l’immagazzinamento virtuale dell’energia
elettrica prodotta, ma non contestualmente autoconsumata».682
Lo scambio sul posto, dunque, non rappresenta un incentivo in senso
stretto, ma una convenzione con il GSE, che si configura come una facilitazione
per l’autoconsumo dell’energia prodotta dall’impianto a fonti rinnovabili683. Nello
specifico, in uno schema di negozi collegati trilaterale il GSE assume il ruolo di
intermediario tra il sistema elettrico (il gestore di rete, distributore di energia
competente territorialmente) e gli utenti dello scambio sul posto (produttori di
energia rinnovabile).
Sul tema del ritiro dedicato e dello scambio sul posto, cfr. BIANCO A., L’incentivazione della
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in POZZO B. (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie,
cit., 145 ss.; RAGAZZO M., Le politiche sull’energia e le fonti rinnovabili, Torino, 2011, 142 s.
682 Cfr. considerando n. 5 della deliberazione AEEG n. ARG/ELT/74/08, che riporta il testo
integrato delle modalità e delle condizioni tecnico-economiche per lo scambio sul posto (TISP).
683 V. BRUNO A., op.cit., 159.
681
269
L’utente
dello
scambio
sul
posto
conclude
un
contratto
di
approvvigionamento con il gestore di rete, diventando cliente finale, mentre il
GSE stipula con l’utente una convenzione che gli consente di controllare l’energia
ceduta in rete e di regolare l’erogazione del c.d. contributo in conto scambio a
scomputo di quanto in precedenza consumato684.
Fino all’avvento dei due decreti attuativi del d.lgs. n. 28 del 2011 nell’estate
2012 (quinto Conto Energia e DM 6 luglio 2012) lo scambio sul posto era una
facilitazione consentita, nei limiti previsti, anche a tutti gli impianti incentivati a
vario titolo con il sistema tariffario. Oggi, invece, entrambi i decreti stabiliscono
l’incompatibilità tra il regime tariffario incentivante e lo scambio sul posto.
Del pari, il ritiro dedicato, introdotto ai sensi degli articoli 13, commi 3 e 4,
del d.lgs. n. 387 del 2003 e articolo 1, comma 41, della legge n. 239 del 2004,
consente che, per alcune tipologie di impianti, al produttore di chiedere al GSE,
cui l’impianto è collegato, il ritiro – cioè l’acquisto di tutta l’elettricità messa in rete
dall’impianto – a prezzo amministrato dell’energia elettrica prodotta e immessa in
rete.
Tale sistema, definito dalla delibera AEEG n. 280/07, si pone quale
alternativa al normale regime di vendita dell’energia elettrica (vendita diretta),
realizzata alternativamente nella borsa elettrica o tramite la stipula di contratti
bilaterali con grossisti. Esso rappresenta una forma indiretta di vendita dell’energia
concepita appositamente per tutti i produttori che intendono vendere energia
senza dover accedere al libero mercato, demandando al GSE il ritiro (l’acquisto) di
tutta l’elettricità immessa in rete dall’impianto (ad esclusione, quindi, di quella
autoconsumata), dietro la corresponsione di un prezzo per ogni KWh ritirato685.
La legge 22 giugno 2009, n.99 ha approvato l’ordine di esecuzione dell’ intercreditor agreement, con
il quale è stato soppresso il divieto di vendita di energia per gli impianti in regime di scambio sul
posto e, quindi, si è determinata di fatto la possibilità di liquidazione dell’eventuale credito
risultante dal conteggio SSP.
685 V. CRISMANI A. – FONDA E., Il funzionamento del mercato elettrico. Considerazioni alla luce delle recenti
modifiche normative, in Rivista giuridica dell’ambiente, VI, 2009, 901 ss. e VETRÒ F., La regolazione pubblica
del mercato elettrico (Sull’ordine giuridico del mercato libero dell’energia elettrica), in Rivista italiana di diritto
pubblico comparato, 3-4, 2003, 811 ss.
684
270
Di fatto, oltre a sostituire qualsiasi altro adempimento burocratico686, il ritiro
dedicato consente di porre, quale intermediario tra i produttori di energia elettrica
da fonti energetiche rinnovabili
687
e il sistema elettrico nazionale, il GSE,
consentendo ai primi di evitare di confrontarsi continuamente con le imprese
responsabili dei servizi di trasmissione e distribuzione. Questo ruolo di
intermediazione riguarda sia la compravendita dell’energia elettrica sia la gestione
dell’accesso al sistema elettrico (vale a dire la gestione dei servizi di
dispacciamento e di trasporto in immissione). Con la stipula della convenzione il
GSE si impegna a ritirare tutta l’energia prodotta, per poi venderla al mercato
elettrico.688
Non rappresentando anch’esso, al pari dello scambio sul posto, una forma
di incentivo economico-monetario, quanto una semplificazione burocratica per la
vendita di energia, il ritiro dedicato fino al 2012 è stato ritenuto compatibile con i
certificati verdi e il conto energia per il fotovoltaico, ma non con la tariffa
omnicomprensiva
–
la
quale
stabilisce,
appunto,
un
prezzo
fisso
omnicomprensivo della quota incentivante e, sia pure in modo non esplicito, di un
corrispettivo per la vendita di energia – più favorevole del prezzo riconosciuto per
il ritiro dedicato e anche con tutti gli impianti che beneficiano del regime di
scambio sul posto.689
Oggi, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011 e dei decreti
emanati in attuazione della citata normativa, il ritiro dedicato non è più cumulabile
con il quinto Conto Energia e con gli incentivi riservati alle altre fonti in vigore dal
2013. Esso si configura ora come un’alternativa agli incentivi veri e propri690.
Tuttavia, l’aver previsto l’alternatività – o, detto in altri termini, il divieto di
cumulo – tra l’incentivo e l’accesso ai meccanismi di ritiro dedicato e scambio sul
La convenzione ha una durata annuale tacitamente rinnovabile; il produttore ha facoltà di
recedere dalla convenzione in ogni momento, previo invio di disdetta a mezzo raccomandata
almeno 60 giorni prima della data dalla quale si intende recedere.
687 E per gli impianti di potenza inferiore a 10 MW, anche da fonte fossile
688 V. BRUNO A., op.cit., 171.
689 V. QUARANTA A., op.cit., 165 ss.
690 V. BRUNO A., op.cit., 171.
686
271
posto, nonostante essi costituiscano degli strumenti di ausilio e semplificazione di
accesso indiretto al mercato per gli impianti di ridotte dimensioni, ha penalizzato
di fatto proprio i piccoli impianti, secondo una logica in controtendenza rispetto
alle politiche strategiche di sviluppo della generazione distribuita.691
3.
Criticità dell’attuale sistema di incentivazione.
Il cammino di recepimento della direttiva comunitaria 2009/28/CE, relativa
alla promozione delle energie rinnovabili in Italia, già di per sé, è stato un chiaro
segno dei ripetuti cambi di direzione e delle polemiche che hanno caratterizzato le
scelte del Legislatore italiano in tema di promozione delle rinnovabili692.
La direttiva, nel fissare gli obiettivi nazionali di produzione della soglia
minima di energia da fonti rinnovabili per ciascun Paese – per l’Italia, come noto,
l’obiettivo è fissato in misura del 17% entro il 2020 – aveva previsto
espressamente l’esistenza e l’utilità di regimi di sostegno all’energia rinnovabile
quale mezzo per il conseguimento dei predetti obiettivi nazionali obbligatori e, in
tale contesto, la stessa ha enunciato espressamente la necessità, da parte degli
Stati Membri, di «creare certezza per gli investitori» (considerando 14), oltre a
sottolineare l’importanza di «garantire il corretto funzionamento dei regimi di
sostegno nazionali al fine di mantenere la fiducia degli investitori» (considerando
n. 25).
In coerenza con quanto enunciato dalla direttiva, la legge delega, all’art. 17,
aveva declinato i principi e i criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire
nell’attuazione della direttiva stessa. Fra di essi, in particolare, la necessità di
«adeguare e potenziare il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e
dell’efficienza e del risparmio energetico, senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti
Cfr. articolo di PIGNI M., giugno-luglio 2012, Un decreto da riscrivere, in Qualenergia.it.
V. GUZZO G., Energie rinnovabili: quale futuro dopo le nuove (discusse) tariffe del Quarto Conto Energia?,
in Lexitalia.it., 5, 2001.
691
692
272
disposizioni in materia, 1’armonizzazione e il riordino delle disposizioni di cui alla
legge 23 luglio 2009, n. 99, e alla legge 24 dicembre 2007, n. 244».
Parallelamente, il decreto legislativo di recepimento della direttiva
comunitaria, n. 28 del 2011, affermava che «la nuova disciplina stabilisce un
quadro generale volto alla promozione della produzione di energia da fonti
rinnovabili e dell’efficienza energetica in misura adeguata al raggiungimento degli
obiettivi di cui all’art. 3 (ovvero gli obiettivi nazionali di ripartizione dell’obiettivo
europeo del 20% del 2020 secondo la direttiva 2009/28/CE) attraverso la
predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l’efficacia, l’efficienza, la
semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione».693
A ben vedere, però, sembra che il decreto in questione comprenda alcune
previsioni che si pongono in contrapposizione con gli obiettivi contenuti nella
direttiva e nella legge delega, apparendo fortemente lesive dei diritti e degli
interessi degli sviluppatori degli impianti fotovoltaici ed eolici e dei soggetti
finanziatori.694
Uno degli aspetti maggiormente controversi – anche per le ricadute
economiche dell’incertezza giuridica di cui parleremo nel prosieguo – riguarda la
tecnica legislativa utilizzata dal Legislatore per la redazione del d.lgs. n. 28 del
2011.
Come era avvenuto già nel caso della normativa in materia di energia
elettronucleare695, anche nel settore delle rinnovabili, si è fatto costante ricorso ad
un metodo di produzione delle regole che possiamo definire «a cascata». Infatti, a
prescindere dalla presenza a monte di una delega legislativa o di una direttiva
comunitaria come nel caso del d.lgs. n. 28 del 2011, la costruzione del quadro
regolatorio di riferimento per gli operatori del mercato si sviluppa attraverso una
serie di passaggi da una fonte di produzione normativa all’altra. In particolare, si
V. MARZANATI A., op.cit., 57.
Cfr. Chiomenti Studio Legale, Breve nota sul decreto legislativo sulla promozione dell’uso dell’energia da
fonti rinnovabili – profili di illegittimità, in Chiomenti.net., n. 9 del 2011, 2 s.
695 Il riferimento è all’articolo-delega (art. 25) della l. n. 99 del 2009 alla quale è seguito il d.lgs. 15
febbraio 2010, n. 31. Su questo, cfr. AMMANNATI L. – DE FOCATIIS M., Un nuovo diritto per il
nucleare. Una prima lettura del d.lgs. 31/2010, in Giustamm.it, 5, 2010.
693
694
273
arriva alla previsione di numerosi atti normativi sub-legislativi e di atti
amministrativi generali preliminari all’avvio di ogni attività, inclusa quella
fondamentale relativa ai procedimenti di autorizzazione.696
Nel dettaglio, questa tecnica legislativa «a cascata» prevede che alla norma
primaria facciano seguito una serie di norme regolamentari che non hanno solo
funzione esecutiva ma, anzi, integrativa del testo principale e anche, in alcuni casi,
correttiva, laddove le disposizioni di legge abbiano prodotto forti resistenze o
rilevanti critiche. La formulazione definitiva di regole e criteri cruciali, non a
carattere tecnico, è con sempre maggiore frequenza rinviata ad atti secondari, da
emanare con vincoli temporali o inespressi o non perentori, che giungono a
conclusione di negoziazioni ex post rispetto alla approvazione delle leggi tra le
diverse amministrazioni ministeriali e con gli interessi coinvolti.697
Questa modalità di produzione delle regole non sembra adeguata a definire
l’assetto di settori economici come quello dell’energia caratterizzati dalla presenza
di investimenti di lungo periodo che necessitano di un quadro legislativo
regolatorio ben definito e stabile. Infatti, in un meccanismo di tal fatta, il tasso di
incertezza è elevato in quanto, per un verso, gli atti regolamentari o amministrativi
generali sono destinati a concretizzare indicazioni e criteri generici contenuti nella
norma «a monte»; per un altro, la tempistica di approvazione di questi atti «a valle»
è già di per sé generalmente incerta.
Nel d.lgs. n. 28 del 2011 in materia di rinnovabili la costruzione della
sequenza normativa segue lo schema qui descritto: le norme «a monte»
contengono solo alcuni elementi, per lo più generici, e rappresentano soltanto una
sorta di «contenitore» che deve essere riempito successivamente da atti normativi
e regolamentari, decisi «a valle», solo dopo l’elaborazione dei quali, viene definito
il concreto quadro organizzativo e regolatorio la cui conoscenza rappresenta la
base di qualsiasi decisione di investimento ed iniziativa economica.
V. AMMANATI L., L’incertezza del diritto. A proposito della politica per le energie rinnovabili, in Rivista
quadrimestrale di diritto dell’ambiente, III, 2011.
697 V. AMMANNATI L., op.cit.
696
274
Basti pensare che il testo del d.lgs. n. 28 del 2011 rinvia a ben dodici
successivi decreti di attuazione, di cui undici del Ministro dello sviluppo
economico, per lo più di concerto con il Ministro dell’ambiente, previa intesa con
la Conferenza Unificata, e uno del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministero dello sviluppo economico. E’ quasi superfluo a questo
punto sottolineare come, anche nei pochissimi casi in cui è indicato un termine
per la decisione ministeriale, la complessità procedurale che include il «concerto»
almeno di un Ministro e l’intesa della Conferenza Unificata (e talvolta il parere
dell’AEEG), dilata a dismisura i tempi facendo mancare così agli operatori non
solo una immediata certezza sul contenuto delle regole ma anche la benché
minima certezza sui tempi della loro definizione698.
A ciò si aggiunga che il d.lgs. Rinnovabili è stato interessato anche da una
diversa declinazione dell’incertezza, cioè quella che deriva dal costante
rimaneggiamento e dalla incessante revisione delle norme. Questa ulteriore
anomalia potrebbe essere letta, d’altronde, come un effetto della incompletezza e
della difficoltà di interpretazione che caratterizza questo tipo di prodotto
legislativo, in cui la forza degli interessi economici sottostanti impone talvolta di
modificare la regola, incidendo di conseguenza sulle correlate situazioni soggettive
ed economiche degli operatori e dei privati.
Rimane comunque da chiedersi quale possa essere la causa di questa
particolare mutazione della tecnica normativa: si tratta di incapacità di uscire
dall’orizzonte del breve periodo imponendo un costante riadeguamento del
contenuto di decisioni strategiche oppure non è altro che il frutto della mancanza
di un chiaro meccanismo di consultazione degli stakeholders portatori di specifici
interessi(economici, locali, collettivi, di categoria, ecc.) che, emarginati nella fase di
Su aspetti cruciali del law-making e del rule-making, si vedano i numerosi spunti contenuti negli
interventi raccolti nel volume di ZACCARIA R. (a cura di), Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della
legislazione, Brescia, 2011.
698
275
elaborazione del provvedimento da parte del decisore politico, riemergono, poi, a
valle nella fase della loro approvazione?699
Probabilmente entrambe le ipotesi contengono elementi di verità: nella
prima, la costante correzione di rotta, il cambiamento «in corsa» delle regole
sembra un fenomeno riconducibile ad ogni ambito legislativo e non solo a quello
dell’energia e delle energie rinnovabili700; nella seconda ipotesi, si fa piuttosto
riferimento ad un particolare meccanismo per cui si evita di introdurre elementi
certi e scelte strategiche nella legislazione primaria, rimandando il confronto, o
meglio il conflitto, tra gli interessi in gioco alla fase della normazione secondaria in
cui la loro rappresentanza è meglio garantita in sede ministeriale, secondo
modalità del tutto informali. In tali sedi, infatti, si possono confrontare non solo le
diverse politiche sostenute dalle varie amministrazioni ma anche gli interessi di
gruppi e di operatori economici che rivestono ruoli di rilievo sui mercati di
riferimento.
In sintesi, dunque, l’incertezza dei contenuti, in assenza di puntuali
definizioni, e l’alta frequenza di «riadeguamento» del quadro iniziale di riferimento
hanno come effetto la produzione dell’elevato «costo sociale» di questo sistema.
Infatti esso rappresenta il precipitato in cui si somma l’incremento del costo
economico con il costo di procedimenti burocratici spesso defatiganti, insieme
con il costo eventuale a carico di utenti e consumatori nel caso in cui la carenza di
V. AMMANNATI L., op.cit.
A questo proposito basterebbe ricordare la particolare tecnica utilizzata dal Legislatore nella
redazione dell’articolo delega in materia nucleare (art. 25, comma 5, l. 99 del 2009 citato) per cui si
prevedeva che il decreto delegato potesse essere integrato e corretto entro un anno dalla sua
approvazione. Non solo la complessità e il carattere sensibile della materia ma anche l’elevato
ammontare degli investimenti avrebbe richiesto un maggiore grado di certezza e di definizione
delle regole fin dall’inizio. E’ peraltro evidente che nessun operatore avrebbe potuto seriamente
progettare di investire nel settore prima che fosse scaduto il termine entro cui potevano essere
approvate disposizioni correttive e integrative con evidenti effetti di modificazione del quadro
regolatorio predisposto inizialmente. Parallelamente, nel decreto in materia di rinnovabili la
costruzione della sequenza normativa è simile. Infatti, alcuni aspetti cruciali come i meccanismi di
incentivazione non sono stati sottratti a questa particolare condizione di incertezza che deriva,
appunto, dal costante rimaneggiamento delle decisioni e delle regole e che non consente di
stabilizzare le situazioni soggettive ed economiche dei privati coinvolti.
699
700
276
investimenti influisca, tra l’altro, sul tasso di concorrenzialità e sul livello dei
prezzi.
Tutto quanto sopra ha avuto, e ha tuttora, inevitabili ripercussioni sulla
propensione all’investimento degli operatori, sulla loro stessa possibilità di
acquisire finanziamenti e, anche, sulla possibilità di creare nuovi posti di lavoro
e/o conservare i precedenti livelli occupazionali701.
3.1. La lesione del principio del legittimo affidamento come
corollario della mancanza di certezza normativa: il particolare caso del
fotovoltaico in Italia.
Come declinazione dell’incertezza e dell’inadeguatezza normativa, analizzate
nel paragrafo precedente, nel settore dell’energie rinnovabili, e in quello
fotovoltaico in particolare, si è assistito all’introduzione di disposizioni difformi
rispetto alle previgente normative, con applicazioni delle stesse anche nei
confronti di impianti già autorizzati o in corso di autorizzazione, ma non ancora
in esercizio.
L’efficacia sostanzialmente retroattiva di queste norme ha imposto, dunque,
di verificarne la loro legittimità, soprattutto in termini di legittimità costituzionale.
Difatti, sebbene non sia astrattamente escluso che il legislatore possa emanare
norme ad efficacia retroattiva, tuttavia, per giurisprudenza costituzionale costante,
l’emanazione di disposizioni di legge ad efficacia retroattiva non deve porsi in
contrasto con i principi di ragionevolezza e con il legittimo affidamento dei
cittadini nella certezza del diritto.702 Tale principio trova per la prima volta
esplicita affermazione nella sentenza della Corte Costituzionale n. 446 del 2002703,
V. AMMANATI L., op.cit.
Cfr. Chiomenti Studio Legale, Breve nota, cit., 8 e ss.
703 Cfr. Corte cost., sent. 12 novembre 2002, n. 446, in Giurisprudenza costituzionale, 2002, 3658. Sulla
portata innovativa della pronuncia, cfr. CARNEVALE P., «... Al fuggir di giovinezza ... nel doman s’ha piú
certezza» (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza
costituzionale), in Giurisprudenza costituzionale, 1999, 3643 ss. In senso contrario si veda invece
GALETTA D.U., Legittimo affidamento e leggi finanziarie, alla luce dell’esperienza comparata e comunitaria:
701
702
277
secondo la quale «in linea generale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica – essenziale elemento dello Stato di diritto – non può essere leso da
disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni
sostanziali fondate su leggi anteriori (…). Da tale principio discende che solo in
questi limiti – in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione
dell'art. 25, comma 2, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva –
l’affidamento sulla stabilità della normativa previgente è coperto da garanzia
costituzionale»704.
Con la sentenza n. 24 del 2009705, la Corte segna un ulteriore passo in avanti
verso il riconoscimento del legittimo affidamento come principio autonomo. In
particolare, individua più chiaramente i limiti del Legislatore nell’adozione di
norme con effetti retroattivi – genericamente ravvisati nelle precedenti sentenze
negli «altri principi o valori costituzionalmente protetti» – chiarendo che questi
debbano essere più specificamente individuati nei «principi generali di tutela del
legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche»706.
Il legittimo affidamento diviene, pertanto, un principio generale, al pari della
certezza del diritto, privo di quella connotazione ristretta e settoriale
riconosciutagli in precedenza, capace di permeare l’intero ordinamento707 fino a
prevalere su altri interessi costituzionalmente garantiti. Tale assunto si ricava in
particolare dal passaggio della sentenza in cui la Corte ammette che l’intervento
legislativo diretto a regolare situazioni pregresse sia da ritenersi legittimo «a
condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i
riflessioni critiche e proposte per un nuovo approccio in materia di tutela del legittimo affidamento nei confronti
dell’attività del Legislatore, in Foro amministrativo, Tar, 2008, 1901.
704 Affermazioni poi confermate dalla Corte costituzionale nelle successive sentenze nn. 168 del
2004 e 264 del 2005.
705 Cfr. Corte Cost., sent. 30 gennaio 2009, n. 24, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, 165, con
commento di SPUNTARELLI S., La buona fede quale parametro di giudizio per la tutela del legittimo
affidamento, 175.
706 V. SPUNTARELLI S., op.cit., 180. L’individuazione della tutela dell'affidamento legittimamente
sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo stato di diritto, è stata successivamente
confermata dalla Corte costituzionale nella recente pronuncia 21 ottobre 2011, n. 271.
707 V. FAGA S., Alla ricerca della natura del legittimo affidamento: un gioco di trasparenze, in Giurisprudenza
italiana, 2001, 38.
278
principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni
giuridiche (…)», con la precisazione che esso non può, però, tradire l’affidamento
del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali pur se dettato
dalla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa
pubblica o, ancora, per far fronte ad «evenienze eccezionali». Se, dunque, nella
precedente giurisprudenza della Corte il principio del legittimo affidamento aveva
trovato riconoscimento e tutela soltanto attraverso un giudizio di ponderazione
che facesse emergere l’esigenza inderogabile alla base del successivo intervento
legislativo, nella sentenza n. 24 del 2009 l’esigenza di operare tale bilanciamento
sembra apparentemente superata. Quell’esigenza inderogabile in precedenza
ostacolo per la tutela dell’affidamento legittimo cede, sembra ineluttabilmente, a
fronte dell’esigenza di garantire il privato, non potendo la norma successiva
tradire l’affidamento di quest’ultimo sull’avvenuto consolidamento di situazioni
sostanziali, anche se adottata per far fronte ad «evenienze eccezionali»708.
La posizione assunta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2009
ha trovato successivamente conferma nella sentenza n. 124 del 2010709. In detta
pronuncia la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio
del legittimo affidamento da parte della normativa censurata, ha confermato
quanto disposto nella pronuncia n. 24, secondo cui «l’intervento legislativo diretto
a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i
canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo
affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (…). La norma successiva non
può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di
situazioni sostanziali». Nel caso di specie, però, tale premessa porta la Corte a
Anche se, come osserva attentamente SPUNTARELLI S., op.cit., 179 la Corte cade in
contraddizione affermando «enfaticamente che la norma non può tradire la tutela del legittimo
affidamento pur se dettata dalla necessità di contenimento della spesa pubblica o per far fronte ad
evenienze eccezionali citando propri precedenti che statuiscono invece esattamente in senso
contrario: vale a dire nel senso che il contenimento della spesa pubblica o alcune circostanze
eccezionali possono determinare il sacrificio del legittimo affidamento».
709 Cfr. Corte cost., sent. 1 aprile 2010, n. 124, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, 2, 1490 ss. con
nota di RANGONE N., op.cit.
708
279
ritenere la norma impugnata non lesiva del principio di affidamento in ragione
dell’assenza di una situazione giuridica consolidata in grado di assurgere al livello
di aspettativa qualificata, la sola in grado di giustificare la lesione del suddetto
principio.
Ad ogni modo, nella pronuncia n. 124 del 2010 possiamo tuttavia ravvisare,
oltre ad una conferma del riconoscimento da parte della Corte costituzionale del
legittimo affidamento come principio generale dell’ordinamento – espressione, del
più ampio valore della certezza delle situazioni giuridiche – due importanti
elementi di novità: il primo, derivante dal mancato richiamo all’interno di detta
pronuncia all’articolo 3 della Costituzione, ritenuto nelle precedenti pronunce
della Corte imprescindibile aggancio costituzionale del legittimo affidamento710 e,
il secondo, consistente nella evidente restrizione dell’ambito di applicazione di tale
principio, ritenuto meritevole di tutela, solo ove posto a tutela di situazioni
soggettive consolidate e non di mere aspettative711.
Tale ultimo rilievo, se da un lato trova ragione nella particolare protezione
che l’ordinamento deve accordare ai titolari di situazioni giuridiche già consolidate
nel tempo che, del tutto legittimamente, ripongono aspettative e fiducia nella
stabilità del quadro normativo vigente, lascia tuttavia del tutto scoperta la
posizione di coloro i quali, invece, pur non titolari di una posizione giuridica
consolidata, possono comunque definirsi titolari di una ragionevole aspettativa
suscettibile di una, sia pur meno stringente, tutela712.
V. FAGA S., op.cit., 37.
Rileva come nell’interpretazione della Corte costituzionale il principio dell’affidamento operi
solo in ipotesi in cui vengano incisi diritti già concretamente acquisiti. Cfr. SORRENTINO F., Sui
limiti della tutela costituzionale dell’affidamento, in Foro amministrativo, Tar, 2004, 895.
712 La differenza tra diritti quesiti e aspettativa legittima è ben presente nel diritto
comunitario, ove la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come si avrà modo di chiarire più
avanti, riconosce maggiore tutela nel caso in cui la normativa retroattiva vada ad esplicare i propri
effetti nei confronti di diritti quesiti, ma non per questo nega a priori tutela verso coloro che siano
in possesso di una legittima aspettativa. È stato al riguardo precisato dalla Corte di Giustizia che il
legittimo affidamento del singolo si configura anche quando questo si trovi in una situazione dalla
quale risulti che l’amministrazione gli ha dato aspettative fondate. Sulla differenza tra aspettativa
legittima e diritti quesiti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si veda LORELLO L., La tutela
del legittimo affidamento del cittadino tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 1998, 190 ss. Sui limiti
710
711
280
Si aggiunga, inoltre, che l’affidamento del cittadino sulla stabilità delle
situazioni giuridiche, assume contorni ancora più problematici, proprio con
riferimento al fenomeno dell’incentivazione economica in ragione della forte
incidenza che questa esercita sull’iniziativa economica privata tutelata ex articolo
41 dalla Costituzione.
Il condizionamento legislativo dell’attività economica determina, infatti,
l’esigenza che le aspettative generate dal Legislatore trovino una qualche forma di
tutela. L’incidenza dell’intervento legislativo nei confronti degli operatori
economici pone due ordini problemi. Il primo riguarda i limiti dei
condizionamenti negativi, condizionamenti che possono giungere fino alla
ablazione dei beni dietro indennizzo, attraverso l’istituto dell’espropriazione per
pubblica utilità di cui all’art. 43 della Costituzione713. Il secondo – che più rileva
nell’ambito della presente trattazione – concerne il rispetto dei condizionamenti
positivi offerti agli operatori economici affinché pongano in essere una
determinata attività o affinché raggiungano determinati scopi.
Premesso ciò, occorre dunque esaminare quando e come, nell’ambito della
programmazione economica, si determini un affidamento giuridicamente
tutelabile e, in particolare, su quali norme costituzionali possa basarsi la tutela.
La sussistenza di una legge in grado di determinare l’attività economica
privata risulta espressamente, in termini generali, dal terzo comma dell’art. 41 e dal
secondo comma dell’art. 42 della Costituzione; ed è poi ribadita, per settori
particolari, dagli artt. 44, comma 2, 45, comma 2, e 47, comma 1 e 2. Queste
disposizioni costituzionali, messe in relazione con la tutela dei diritti fondamentali
del cittadino, affermata nell’art. 2, prima parte, e articolata attraverso il
della teoria dei diritti quesiti come limiti alla retroattività cfr. GABBA C.F., Teoria della retroattività
delle leggi, Torino, 1891, 191.
713 Tale questione ha senza dubbio attratto l’attenzione del giurista ed è stato ampiamente
indagato, sia con riferimento alla portata delle garanzie soggettive riconosciute espressamente dalla
Carta costituzionale, cfr. PREDIERI A., Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963, 226 ss. e ID., Il
Programma economico, Milano, 1967, 137 ss., sia con riferimento all’esistenza di principi generali non
scritti di livello costituzionale che regolerebbero l’attività ablatoria dello Stato, cfr. LAVAGNA C.,
Interventi ablatori e principio di congruità, in Giurisprudenza italiana, I, 1965, I, 11 ss.
281
riconoscimento dei diritti di proprietà e di iniziativa economica (artt. 42, comma 1,
e 41, comma 1), delineano una struttura socio-economica nella quale la fiducia del
cittadino negli effetti giuridici favorevoli promessi dal Legislatore appare come un
elemento connaturato al sistema costituzionale stesso.
Da questo quadro appare che l’affidamento è un dato, per così dire,
istituzionale dell’ordinamento, ma appare anche che non è direttamente
riconducibile, in modo specifico, ad alcuna norma della Costituzione scritta. Per
ammettere la tutela dell’affidamento nei confronti del Legislatore, occorre
pertanto ipotizzare l’esistenza di un principio costituzionale non scritto di
integrazione della Costituzione formale714.
Nel diritto privato, la tutela dell’affidamento generato da un precedente
comportamento di un determinato soggetto viene ricondotta al principio di buona
fede in senso oggettivo. Tale principio non è solo del diritto privato, ma ben può
essere considerato un principio di teoria generale, applicabile, qualora se ne
rinvengano i presupposti, anche nel diritto pubblico715. Con la differenza, però,
che nell’ambito del diritto pubblico, e del diritto costituzionale in particolare, per
la natura stessa degli interessi in gioco, la buona fede non può essere intesa che
come obbligo di correttezza, cioè come obbligo di operare una necessaria
ponderazione tra situazione di affidamento e interesse contrario sopraggiunto. Ed
è proprio in questi limiti che l’affidamento potrà venire tutelato anche nell’ambito
della programmazione economica716.
V. MERUSI F., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni «trenta» all’ «alternanza», Milano,
2001, 264 s. L’esistenza di principi costituzionali non scritti è un dato ineliminabile di ogni
ordinamento anche in presenza delle costituzioni più analitiche. Gli elementi enucleati, pur non
permettendo, di per sé soli, di individuare per astrazione un principio generale, costituiscono un
indubbio indice di esistenza nell’ordinamento italiano di un principio giuridico che consente la
tutela dell’affidamento.
715 In senso contrario, OLDIGES M., Grundlageneines Plangewahrleistunsrechts, BadHomburg, 1970, 189
ss., il quale ripete la tradizionale obiezione contro l’applicabilità della buona fede nel diritto
pubblico, secondo cui l’applicabilità della buona fede avrebbe la funzione di regolare il contenuto
di un preesistente rapporto giuridico tra due soggetti, rapporto certamente non configurabile tra
Legislatore e cittadino nel caso di un piano economico approvato con legge.
716 V. MERUSI F., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970.
714
282
In tale contesto, la vicenda degli incentivi al fotovoltaico costituisce uno
stimolo alla riflessione sul principio generale della tutela dell’affidamento e sulla
stabilità della disciplina degli incentivi statali.
Infatti, come analizzato ampiamente nei precedenti paragrafi, il sistema degli
incentivi allo sviluppo dell’energia solare attraverso la tecnologia fotovoltaica è
stato caratterizzato da
una
certa instabilità, originata prima dalla anticipata
revoca, con correlata riduzione degli incentivi, del piano incentivante a causa
dell’introduzione del quarto Conto Energia e, da ultimo, con la cessazione stessa
degli incentivi a seguito del quinto Conto Energia.
Occorre allora chiedersi in che termini la suddetta revoca possa avere inciso
sulle posizioni giuridiche soggettive di costoro eventualmente meritevoli di
tutela717, tenuto conto altresì che nell’ipotesi delle leggi di incentivazione la
frustrazione dell’affidamento riposto dal privato causata dalla revoca dell’incentivo
si pone in termini di maggiore gravità, atteso che la posizione soggettiva
consolidata nella quale egli versa è stata proprio creata e determinata da un
precedente intervento legislativo indirizzante
l’attività economica del privato
verso determinati obiettivi.
In tali ipotesi, l’affidamento esiste in quanto la situazione di fiducia generata
dal Legislatore si esaurisce con l’esaurirsi dell’azione sollecitata e con il rispetto
delle condizioni previste per il conferimento del beneficio. In altri termini,
l’affidamento deve essere deducibile dalle disposizioni legislative attraverso la
ricostruzione dell’esaurimento o meno della fattispecie alla quale si riferisce la
situazione di vantaggio a favore dell’operatore economico718.
A tale riguardo, si può fare riferimento all’impostazione seguita dalla
giurisprudenza tedesca al problema dell’affidamento, distinguendo tra retroattività
propria (echte Rückwirkung) e impropria (unechte Rückwirkung). Con la prima si fa
riferimento all’ipotesi in cui la disciplina normativa si riferisca a rapporti esauriti:
V. COZZOLINO G., Energie rinnovabili e tutela dell’affidamento: qualche riflessione a proposito degli incentivi
al fotovoltaico alla luce dei recenti sviluppi normativi, in Rivistaaic.it., 1, 2012.
718 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 260.
717
283
in tal caso, essendo la stessa stabilità dell’ordinamento giuridico ad essere messa in
discussione, la retroattività viene considerata contraria a Costituzione. La seconda
ipotesi, invece, di retroattività impropria si configura quando la legge modificativa
della disciplina vigente incide sfavorevolmente sulla situazione giuridica in atto dei
destinatari basata su tale normativa: in tale ipotesi la Corte costituzionale tedesca
ritiene, invece, che la tutela del legittimo affidamento non possa spingersi al punto
di preservare il cittadino da qualsivoglia delusione, occorrendo di volta in volta
stabilire l’esistenza di un affidamento tutelabile basato sulla normazione
precedente719.
Da una tale impostazione si desume, dunque, che solo nel caso in cui la
legge espressamente promette certe provvidenze giuridiche per un tempo
determinato, tanto da generare in ogni operatore un affidamento determinante nei
confronti delle proprie operazioni economiche, si possa parlare di legittimo
affidamento. Pertanto, nel caso di una legge di programmazione economica, in cui
sono estrapolabili direttive di azioni i cui diretti destinatari sono il Governo e,
forse, gli enti pubblici strumentali, sembrerebbe doversi dedurre che non ci sia
spazio per il formarsi di un affidamento giuridicamente rilevante a favore di quegli
operatori economici, che sono soltanto i destinatari futuri di quelle situazioni di
affidamento, per le quali però bisognerà invece attendere l’emanazione dei
regolamenti di attuazione del Piano.
Tuttavia, come autorevolmente rilevato720, il Piano economico ha, tra sue
funzioni essenziali, quella di far conoscere agli operatori economici quali saranno
Come noto, la Corte Costituzionale tedesca ha fornito un contributo fondamentale
nell’elaborazione del principio del legittimo affidamento, partendo proprio dall’assunto
dell’inammissibilità delle norme retroattive, per poi elaborare più finemente tale impostazione
distinguendo tra retroattività propria ed impropria. Sul tema v. GALETTA, op.cit., 1903; MERUSI F.,
Buona fede e affidamento, cit., 22, il quale osserva che l’applicazione fatta dalla Corte del principio
dell’affidamento legittimo in ordine ad ipotesi di retroattività propria si riferisce in prevalenza alle
leggi tributarie «per le quali si afferma di tutta evidenza l’eventuale violazione dell’affidamento:
poiché le obbligazioni tributarie riconnettono obbligazioni patrimoniali a determinate fattispecie, il
cittadino orienta il proprio comportamento sulla base delle leggi tributarie vigenti e viene pertanto
leso nel proprio affidamento se non è in grado di conoscere anticipatamente le conseguenze
tributarie di una determinata fattispecie».
720 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 263 ss.
719
284
le linee di sviluppo dell’economia nazionale in un arco di tempo determinato.
Concependo in questo modo il Piano, non solo come programma da realizzare,
ma anche come informazione rivolta a tutti gli operatori economici sulle future
linee di sviluppo dell’economia nazionale, l’ambito dei destinatari si allarga.
Quindi, anche la prospettiva di leggi future genera aspettative negli operatori
economici e, di conseguenza, il problema della possibile tutela nei confronti di
leggi attuative del piano che si discostino dalle «promesse» del Piano stesso.
Occorre, pertanto, vedere in quali casi la fiducia degli operatori economici
nelle prospettazioni del Piano può essere legittimamente disattesa.
In primo luogo, la tutela dell’affidamento potrebbe trovare copertura nel
sistema proprio del Piano e, quindi, laddove il Piano preveda la revisione
periodica721 o strumenti di correzione del processo economico al verificarsi di
determinati avvenimenti eccezionali, sarà di conseguenza legittima una legge che si
discosti dalle previsioni di quel Piano.
Nelle ipotesi, invece, in cui non siano previste queste «clausole di
salvaguardia», la questione dovrebbe essere risolta in termini generali, nei limiti
della clausola generale di buona fede. Il che significa che l’interesse connesso alla
situazione di affidamento potrà trovare tutela solo nella ipotesi che si verifichino
avvenimenti tali da alterare, non già variabili secondarie, ma i presupposti stessi sui
quali si fondava la prospettazione pianificatoria722. La stessa impostazione
andrebbe applicata anche alle leggi di esecuzione del piano, le quali, qualora
abbiano generato l’affidamento dei destinatari, sono modificabili soltanto nella
misura in cui sono derogabili le previsioni del Piano723.
Come, ad esempio, accade in Germania.
Si pensi al sopraggiungere di grandi crisi internazionali, di eventi bellici, di calamità naturali di
portata nazionale). Sulla problematica della buona fede e della sopravvenienza cfr. MERUSI F.,
L’affidamento, cit., 62 ss.
723 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 268. È appena il caso di accennare che la situazione di
affidamento generata da un piano economico – sia esso il piano generale o un programma
settoriale di attuazione – potrebbe venire in rilievo, in teoria, non soltanto sotto il profilo della
validità del provvedimento legislativo lesivo della situazione di affidamento, ma anche sotto il
profilo patrimoniale che, a rigore, è il profilo che effettivamente interessa all’operatore economico.
Un istituto che potrebbe entrare in gioco, nel caso di specie, è la responsabilità per “danno da
721
722
285
Segnando tale impostazione, emerge quindi che solo nei confronti di coloro
rispetto ai quali la revoca dell’incentivo abbia operato con effetto retroattivo e che
dunque abbiano visto revocarsi il beneficio incentivante già acquisito, si possa
parlare di lesione dell’affidamento non già non nei confronti di coloro che, invece,
vantino rispetto a detto beneficio non un diritto acquisito di percezione, ma,
piuttosto, una aspettativa legittima di futura acquisizione.
Nella pratica il d.lgs. n. 28 del 2011, nello stabilire la graduale cessazione del
regime di incentivi previsti dal Conto Energia, non ha inciso sui diritti già acquisiti
di coloro che avevano messo in esercizio l’impianto di produzione di energia
rinnovabile entro la data indicata, successiva all’entrata in vigore del decreto
legislativo. Pertanto, questi ultimi hanno continuato a percepire le tariffe cui
avevano diritto, senza che in queste ipotesi si potesse ravvisare un caso di revoca
retroattiva degli incentivi724.
Semmai, nel caso del Conto Energia, sarebbe ipotizzabile una sorta di
operatività retroattiva della cessazione anticipata delle tariffe previste dal terzo
Conto Energia725. Infatti, nei confronti di coloro che, pur non avendo acquisito il
diritto alla percezione degli incentivi, hanno intrapreso i lavori di installazione
(nonché i necessari finanziamenti per l’avvio degli stessi) confidando nella vigenza
delle tariffe previste dal Conto Energia previgente e dunque calcolando sulla base
affidamento”. Tale istituto non ha, almeno per il momento, cittadinanza nel nostro ordinamento.
Ma al di là delle ricostruzioni giuridiche, è possibile indicare subito qual è la prospettiva di fondo
legata all’accoglimento, non importa sotto quale titolo giuridico, del principio dell’indennizzabilità
degli interessi patrimoniali prima determinati dal Legislatore e poi lesi da un suo successivo atto: la
prospettiva di uno Stato che sia economicamente in grado di assumersi il «rischio di impresa»
dell’intera economia nazionale. Costituzionalmente parlando non è il tipo di Stato oggi esistente in
Italia e probabilmente non è neppure un tipo di Stato compatibile con il dettato della Carta
costituzionale.
724 Segnatamente, in tale ipotesi non ricorrerà né un caso di retroattività propria (echte Rückwirkung),
né di retroattività impropria (unechte Rückwirkung). Non la prima che si verifica nell'ipotesi in cui la
norma si riferisca a fattispecie già completamente esaurite e che appartengono al passato. E’ questo
il caso dei cd. diritti quesiti, non più suscettibili di essere messi in discussione. Né la seconda
ipotesi che concerne il caso di una norma riferentesi a fattispecie non interamente concluse, da
essa modificate per il futuro, perché, come già detto, per coloro che abbiano acquisito prima del
termine ultimo il diritto alla percezione degli incentivi è dal decreto legislativo n. 28 del 2011 è
fatto salvo, essendo assicurata l’erogazione delle tariffe previste dal Terzo Conto Energia per i
successivi venti anni.
725 V. COZZOLINO G., op.cit.
286
degli incentivi ivi previsti una certa remunerazione, non si potrà parlare di diritti
già acquisiti, (atteso che il diritto alla percezione delle tariffe sorge solo a seguito
dell’entrata in esercizio dell’impianto), ma resta comunque da esaminare se in
effetti la cessazione anticipata degli incentivi alle rinnovabili possa esplicare un
effetto lesivo dell’affidamento di situazioni giuridiche di mera aspettativa sulla
vigenza di un dato regime tariffario. Ad esempio, come è accaduto nel caso del
terzo Conto Energia, l’intervento ad opera del Legislatore di una revoca anticipata
del piano degli incentivi che avrebbe invece dovuto trovare applicazione nel
triennio successivo preclude agli operatori, di fatto, la possibilità di accedere a quei
benefici rispetto ai quali essi non avevano acquisito già un diritto di percezione,
ma, piuttosto, una aspettativa legittima di futura acquisizione (perché fondata sulla
normativa vigente che avrebbe dovuto trovare applicazione per i tre anni
successivi al momento in cui essi avevano concretamente intrapreso i lavori), una
volta adempiute le condizioni previste dalla legge.
In tale caso, si potrebbe eventualmente fare riferimento a quella teoria assai
suggestiva di recente elaborazione che, superando la classica ripartizione tra
retroattività propria e impropria, richiama l’attenzione sulla necessità di «ripensare
la nozione di retroattività della legge» e di abbandonare la sfuggente nozione di
irretroattività individuando invece – quale portato essenziale del principio – «un
imperativo di minimo impatto nel passato», in base al quale è la legge
vecchia che deve prevalere sulla quella nuova e non viceversa quella nuova sulla
vecchia726. La prospettiva maggiormente corretta sarebbe quella offerta dalla
nozione di «retrovalutazione giuridica» del passato, «così più che chiedersi se una
legge sia o meno retroattiva, ci si deve chiedere che tipo di conseguenze giuridiche
essa preveda a seguito di tale rivalutazione»727.
V. LUCIANI M., Il dissolvimento della retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale
nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica, in Giurisprudenza italiana, 2007, 24 ss.
727 In particolare, secondo LUCIANI M., op. cit., 13 ss., quello della retroattività sarebbe un falso
problema o comunque un problema posto in modo errato. A tale proposito, la più chiara ragione
di dubbio andrebbe individuata nell’assenza «nella legislazione, di una qualunque definizione della
nozione di retroattività. È osservazione comune che negli ordinamenti positivi non si è mai
davvero tentato di chiarire cosa la retroattività sia. Anche quando sembra che se ne sia offerta una
726
287
Partendo, dunque, dal concetto di retrovalutazione da parte della nuova
normativa, la suddetta teoria dottrinale distingue diverse ipotesi rispetto alle quali
la normativa medesima avrà un’incidenza differente su fatti passati, ma comunque
tutti meritevoli di una qualche protezione da parte dell’ordinamento728.
Segnatamente, l’ipotesi più grave è quella della retrotrazione, che si verifica
nell’ipotesi in cui «un fatto passato, già compiuto in tutti gli elementi della
fattispecie normativa e produttivo degli effetti tipici che la legge vigente all’epoca
della realizzazione di questa gli riconnetteva, viene privato di tali effetti»729. Tale
definizione indiretta, in realtà, non si è detto nulla di utile. Così, si può ritenere che, quando il
nostro codice civile ha stabilito, all’art. 11 disp. prel., che «La legge non dispone che per l’avvenire.
Essa non ha effetto retroattivo», abbia sottointeso che, essendo il proprium della non retroattività il
disporre solo per l’avvenire, il proprium della retroattività sarebbe il disporre (anche) per il passato.
Con il che, però, non si chiarisce minimamente in cosa consista il disporre per il passato,
fenomeno che — come abbiamo visto — può avere le più varie manifestazioni, tra le quali tuttavia
(a seguire la stessa dottrina dominante) occorrerebbe identificare quelle qualificabili come
retroattive. Specularmente, l’art. 25, comma 2, Cost., viene comunemente letto come la
disposizione che fisserebbe il principio dell’irretroattività della legge penale, ma è evidente che
la sua formulazione («Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commesso») è tale ch’essa, lungi dal presentarsi come una definizione
generale della vaga nozione di (ir)retroattività, identifica con una certa precisione un determinato
rapporto fra la legge penale e il tempo, che viene fatto oggetto di specifico divieto». Né progressi
maggiori sarebbe riuscita a fare la dottrina, «molto giustamente è stato osservato che la maggior
parte degli autori che hanno studiato la retroattività non ha voluto o non ha saputo darne una
chiara definizione e che anche tra coloro che hanno tentato di farlo è massima la divisione.
Nemmeno chi ha cercato più di recente di rimediare a questa insufficienza sembra essere riuscito a
dimostrare il fondamento logico, dommatico o di diritto positivo della definizione proposta».
728 V. LUCIANI M., op.cit., 30 ss., per spiegare i diversi gradi di incidenza della legge sul passato
ricorre all’esempio delle leggi in materia di età pensionabile. «Immaginiamo che il Legislatore
stabilisca di innalzare l’età minima per la pensione di anzianità (concedibile a domanda degli
interessati) da 50 a 55 anni, stabilendo anche che coloro che sono stati già posti in quiescenza
avendo compiuto 50 ma non ancora 55 anni siano riassunti in servizio e che sia loro revocato il
trattamento pensionistico. In questo caso avremmo quattro distinte posizioni giuridiche incise
dalla legge, e precisamente: quella di chi ha già ottenuto il trattamento pensionistico e se lo vede
revocare; quella di chi ha compiuto i 50 anni, ma non ancora 55, ha richiesto il pensionamento di
anzianità, ma non lo ha ancora ottenuto; quella di chi si trova nella medesima situazione ora
indicata, ma non ha richiesto il pensionamento di anzianità; quella di chi non ha ancora compiuto i
50 anni. «È certo che un accordo unanime sul se qualificare o meno tutte queste ipotesi come
esempi di retroattività non lo troveremmo mai. Non credo, invece, che qualcuno potrebbe negare
che ci troviamo di fronte ad ipotesi di rivalutazione di fatti passati e di determinazione delle
conseguenze giuridiche di tale rivalutazione. In particolare, «nel primo caso potremmo parlare di
retrotrazione; nel secondo di retroefficacia; nel terzo di retrospettività; nel quarto di
retrocontemplazione. In tutte e quattro le ipotesi abbiamo retrovalutazione di fatti passati, ma
(come aveva già osservato la piú risalente dottrina, pur se entro una diversa sistematica), di
«grado», ovvero (meglio) di «tipo» o «modo» diverso».
729 V. LUCIANI M., op.cit., 32.
288
ipotesi appare ricadere nel classico caso della retroattività propria, ove una norma
interviene su situazioni giuridiche soggettive già esaurite, modificandole per il
futuro.
Altre ipotesi di incidenza della nuova normativa su fatti passati sono quelle
della retroefficacia e della retrospettività, nelle quali «un fatto passato, non ancora
compiuto in tutti gli elementi della fattispecie normativa e - quindi - non
produttivo di tutti gli effetti tipici che la legge vigente all’epoca del suo
compimento gli riconnetteva, viene privato della possibilità di produrre tali
effetti». Le due ipotesi differiscono tuttavia in quanto, nel caso della retroefficacia,
gli effetti previsti dalla legge sarebbero stati prodotti nei confronti di un soggetto
che non è più in condizione di subirli per fatto altrui, mentre nel secondo caso,
quello della retrospettività, gli effetti si sarebbero prodotti nei confronti di un
soggetto che non è più in condizione di subirli o di goderli per fatto proprio730.
È agevole constatare che le ipotesi qui riportate sembrerebbero ben
attagliarsi a quelle situazioni verificatesi a seguito dell’entrata in vigore della
disciplina dettata dal quarto Conto Energia, la quale ha impedito ai soggetti che
avevano avviato la realizzazione delle condizioni previste nel corso della vigenza
del terzo Conto Energia di poter usufruire degli incentivi dallo stesso previsti.
Come nell’ipotesi della retroefficacia e della retrospettività, taluni soggetti sono
stati, infatti, privati della possibilità di usufruire di un determinato regime per non
avere compiuto tutti gli elementi previsti dalla fattispecie normativa, ossia per non
avere realizzato tutte le condizioni necessarie per la messa in esercizio
dell’impianto. Nel caso in cui la mancata realizzazione di tali condizioni sia stata
determinata da fatto altrui si verterà in un’ipotesi di retroefficacia, mentre nel caso
in cui ciò sia dipeso da fatto proprio dell’operatore si verterà, invece, nella diversa
ipotesi della retrospettività731.
Diversa
ancora
è
l’ultima
ipotesi
considerata,
quella
della
retrocontemplazione, nella quale un fatto passato «incapace di realizzare anche un
730
731
V. LUCIANI M., op.cit., 33.
V. COZZOLINO G., op.cit.
289
solo elemento della fattispecie normativa, ma idoneo a contribuire alla sua
realizzazione, al ricorrere di altri fatti e quale elemento di una fattispecie in fieri,
viene privato di tale potenziale idoneità»732. Siffatta ipotesi ricorre nel caso in cui la
legge elimini un beneficio incentivante precedentemente previsto, senza
salvaguardare la posizione di chi ha già compiuto frammenti della fattispecie
normativa. Nel caso di specie, tale evenienza ricorre quando il privato abbia
avviato solo parte delle attività necessarie per la realizzazione delle condizioni
previste per la concessione degli incentivi nella vigenza del terzo Conto Energia,
come la richiesta di un finanziamento bancario per ottenere il minimo di capitale
richiesto per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, ma non abbia concluso
tutte le attività necessarie entro la data ultima prevista.
Ciò che tuttavia rileva, al di là di queste sottili distinzioni, è che la questione
dell’affidamento può venire in considerazione in tutte le ipotesi di rapporto tra
legge e fatti pregressi, nelle quali la violazione dell’affidamento mette in dubbio la
legittimità costituzionale dell’incidenza legislativa nel passato, specialmente nel
caso delle leggi di incentivazione, ove «la legge deve rispettare un impegno
sostanzialmente contrattuale, assunto dal Legislatore, la cui rottura può essere
ammessa solo se giustificata dal perseguimento di contrapposti interessi
costituzionalmente pregevoli»733.
Il principio della certezza del diritto e dell’affidamento legittimo
imporrebbero quindi al Legislatore di strutturare il rapporto tra legge nuova e il
passato in modo tale da evitare che l’incidenza sul passato determini effetti
pregiudizievoli, ad esempio attraverso la previsione di specifiche disposizioni
transitorie.
Alla luce di questa innovativa impostazione, non potrebbe dunque
escludersi che la cessazione anticipata della disciplina del terzo e del quarto Conto
Energia, pur non avendo spiegato effetti propriamente retroattivi, abbia avuto un
certo impatto nei confronti di situazioni giuridiche pregresse configurabili come
732
733
V. LUCIANI M., op.cit., 33.
V. LUCIANI M., op.cit., 50.
290
legittime aspettative, che il Legislatore, non avendo previsto un regime transitorio,
ha lasciato ricadere automaticamente nel nuovo regime di incentivi734. L’assenza in
tale fattispecie di un diritto acquisito alla percezione degli incentivi non sembra,
dunque, un argomento in grado di escludere aprioristicamente che i principi
dell’affidamento
legittimo
e
della
certezza
del
diritto
–
implicando
necessariamente la prevedibilità e la fiducia in ordine alla stabilità dei
comportamenti e delle scelte degli organi a ciò deputati – siano effettivamente
stati frustrati, con ricadute anche dal punto di vista economico735.
In definitiva, qualunque sia l’impostazione da seguire, pare comunque che si
possa trarre un’unica considerazione: in tema di fonti energetiche rinnovabili,
manca ancora un quadro di stabilità e di certezza e, dunque, di prevedibilità per gli
operatori, che è l’unica condizione che possa favorire gli investimenti e lo
sviluppo del settore. Vi è, al contrario, un quadro nel quale prevale l’assoluta
instabilità. Se a ciò si aggiungono iter procedimentali interminabili ed imprevedibili
negli esiti, l’obiettivo prioritario, di incremento delle energie pulite incontra nella
realtà ostacoli e incertezze che lo rendono senz’altro poco appetibile per coloro
che dovrebbero invece investirvi.736
Peraltro, il passaggio di un lasso di tempo di circa due mesi tra il preannunciato arresto
degli incentivi previsti dal terzo Conto Energia e l’adozione di un piano successivo ad opera del
quarto Conto Energia ha ancor di più aggravato la frustrazione delle aspettative legittime di coloro
che avevano confidato di rientrare nel precedente regime tariffario, costretti ad attendere, nella più
totale incertezza, l’emanazione del nuovo regime di incentivi. Sul punto, v. CIRIMBILLA V. –
SCAPPINI L., Quale futuro per gli investimenti nel settore fotovoltaico alla luce del d.lgs. n. 28/2011?, in Fisco,
XV, 2011, 2344.
735 Come evidenzia LUCIANI M., op.cit., 34,
la questione dell’identificazione della situazione
soggettiva meritevole di tutela a fronte di un intervento legislativo incidente sul passato perde la
sua rilevanza con riferimento alle quattro ipotesi di «retro valutazione» di fatti passati (di
retrotrazione, di retroefficacia, di retrospettività, di retrocontemplazione) che, invece, ben si
presta a garantire tutte le situazioni giuridiche soggettive (rispettivamente diritti assoluti, diritti
relativi o interessi legittimi, facoltà, aspettative).
736 V. MARZANATI A., op.cit., 60 ss. Un ulteriore elemento di estesa incertezza deriva dal quadro di
relazioni tra i diversi livelli di governo che richiederebbe di essere definito in modo non solo certo
ma anche completo. In particolare, dal punto di vista degli operatori economici che necessitano di
conoscere le regole per programmare gli investimenti, anche nel caso che questi non siano ingenti,
sarebbe necessario che fossero definite chiaramente ex ante le possibilità di intervento delle
Regioni. Difatti le disposizioni del decreto riconoscono a queste ultime una ampia gamma di
opzioni da esercitare nella definizione delle modalità autorizzative in rapporto alle soglie di
produzione energetica degli impianti. In sostanza dal quadro contenuto nel d.lgs. n. 28 del 2011 i
734
291
4.
Analisi comparata: l’esperienza spagnola e tedesca.
L’incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili è stata, negli ultimi anni,
una priorità, per gli Stati della Unione Europea, imposta dall’assoluta necessità di
ridurre la dipendenza dai prodotti petroliferi e di limitarne gli effetti dannosi
sull’ambiente.
Il pacchetto clima-energia, adottato dalla Commissione Europea nel
dicembre 2008, ha introdotto misure volte a combattere i cambiamenti climatici e
promuovere l’uso delle energie rinnovabili, ponendosi, come obiettivo, da
conseguire entro il 2020, la riduzione del 20 % delle emissioni di gas a effetto
serra, un risparmio energetico del 20 % e l’elevazione al 20 % della quota di
energia da fonte rinnovabile sul consumo finale di energia737.
diversi livelli di governo sembrano poter agire indipendentemente l’uno dall’altro senza che
possano essere messe in atto, almeno allo stato attuale, forme di coordinamento. Ovviamente
quello dei rapporti tra stato e Regioni in materia di energia è un tema delicato che, come sappiamo,
ha origine altrove nella revisione costituzionale. Ma nel decreto sulle energie rinnovabili, come tra
l’altro nell’evoluzione normativa de settore, questo difficile rapporto è inserito in un contesto
mancante di criteri per la costruzione di efficienti relazioni reciproche. Ancora un ultimo elemento
da considerare in un’ottica istituzionale, e cioè che il decreto sembra fare una brusca frenata
rispetto ai tentativi di semplificazione e accelerazione dei procedimenti in materia di infrastrutture.
Infatti è innegabile che l’introduzione dell’autorizzazione unica, via via messa a punto, rappresenti
un vero strumento alternativo rispetto alla tradizionale frammentazione dei procedimenti
autorizzatori. Tuttavia il decreto sdoppia i procedimenti e ne configura uno relativo alla
costruzione ed esercizio dell’impianto e uno relativo alla costruzione di infrastrutture funzionali
all’immissione in rete e al ritiro dell’energia. L’esistenza di un doppio procedimento non può che
sfociare in un rallentamento delle decisioni nonostante che il decreto auspichi un coordinamento
anche temporale tra i due procedimenti. Sul punto cfr. anche AMMANATI L., op.cit.
737 Tra gli atti normativi di cui si compone il pacchetto clima-energia troviamo: (i) direttiva
2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione
dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE; (ii) direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il
sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra; (iii) direttiva
2009/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa allo stoccaggio
geologico di biossido di carbonio e recante modifica della direttiva 85/337/CEE del Consiglio,
delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE,
2006/12/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del
Consiglio; e (iv) decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile
2009, concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine
di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto
serra entro il 2020. Cfr. TRANCHINO E., I tagli alle energie rinnovabili in Europa a causa della crisi,
contributo pubblicato in Osservatorio Ambiente, in Apertacontrada.it, 17 dicembre 2013.
292
Varie sono le forme che hanno assunto gli incentivi e vario è l’approccio
con il quale nei Paesi europei viene continuamente adeguata la politica di
incentivazione delle rinnovabili ai mutamenti del contesto tecnologico, economico
e finanziario738.
L’obiettivo di questo paragrafo non è certo quello di analizzare in modo
esaustivo e dettagliato le politiche di incentivazione adottate negli altri Paesi
europei, ma, quantomeno, si tenterà attraverso l’analisi comparata del sistema di
incentivazione utilizzato in due Paesi, molto vicini all’Italia, sia per collocazione
geografica che per storia, di individuare la c.d. best practice.
La scelta di soffermare l’attenzione sulla Germania e la Spagna trova
origine, tra l’altro, anche dal fatto che questi due Paesi hanno avuto un ruolo
predominante nel campo delle fonti energetiche rinnovabili, rivestendo per molto
tempo, rispettivamente, il primo e il secondo posto della classifica degli Stati
membri maggiormente produttori di energia rinnovabile.
Ed è proprio attraverso lo studio delle ragioni che hanno permesso a questi
Paesi la loro ascesa nel settore delle rinnovabili che si cercherà di trarre utili
conclusioni, soprattutto anche in relazione ai differenti esiti a cui le politiche di
Nel processo di investimento in energie rinnovabili, il peso delle politiche pubbliche e degli
strumenti di sostegno e regolazione messi in atto dai sistemi Paese è di grande rilevanza. Gli
indicatori di attrattività degli investimenti costruiti dagli analisti finanziari considerano le politiche e
gli strumenti pubblici di intervento ancora fondamentali nella determinazione degli indici e, quindi,
fortemente condizionanti le posizioni in classifica dei diversi Paesi. Il settore è caratterizzato da
una serie di barriere all’entrata che richiedono alle politiche pubbliche un ruolo propulsivo verso
gli investimenti rinnovabili e un ruolo attivo nella rimozione delle barriere. In anni recenti a questo
ruolo diretto delle politiche pubbliche nazionali a favore degli investimenti in rinnovabili – che
hanno comunque favorito anche i flussi di investimento esteri – si è aggiunto un ruolo di natura
indiretta, per effetto dell’intervento delle politiche sovranazionali. Ci riferiamo, in particolare, agli
elementi del quadro normativo europeo e internazionale a favore dei processi di
internazionalizzazione degli investimenti in energie rinnovabili da parte delle imprese. Una
molteplicità di Paesi ha adottato specifiche strategie di crescita delle rinnovabili, tra questi le aree
geografiche leader mondiali in termini di potenzialità: l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Cina. In
alcuni casi l’impegno si concentra sulle rinnovabili per la generazione elettrica (Cina, Stati Uniti), in
altri è diffuso a tutte le applicazioni, elettriche e termiche e include i biocarburanti (UE).
All’interno dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, inoltre, tutti i Paesi membri hanno adottato
misure per il raggiungimento dei target nazionali di sviluppo delle rinnovabili. V. D’ORAZIO A. –
PONTONI F., Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche, in
Iefe.unibocconi.it, research report n. 6, settembre 2010.
738
293
sostegno adottate dalla Spagna e dalla Germania hanno dato luogo in tempi
odierni.
4.1. Spagna.
La Spagna è stata storicamente caratterizzata, dal punto di vista energetico,
da un consumo maggioritario di prodotti petroliferi che, data la scarsa
disponibilità di risorse autoctone, sono stati acquistati prevalentemente all’estero.
Il Paese ha subito, pertanto, per parecchi anni una forte dipendenza energetica,
considerato che l’economia spagnola è supportata da un tessuto produttivo ad
elevata intensità energetica.
Nel 1997, viene emanata la ley del sector eléctrico739 (LSE), la quale stabilisce i
principi di un nuovo modello di funzionamento che, con riferimento alla
produzione di energia elettrica, si basa sulla libera concorrenza tra gli operatori.
Ciò nonostante, la legge pretende di rendere compatibile questo principio-base
con il conseguimento di ulteriori obiettivi, come la tutela dell’ambiente, obiettivo
che tra l’altro è vincolato in virtù dell’adesione al Protocollo di Kyoto e stabilisce
espressamente la necessità di incentivare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
A tale scopo, il Legislatore spagnolo prevede obiettivi concreti di
compenetrazione delle fonti di energia rinnovabile nella struttura energetica
spagnola, stabilendo che nell’anno 2010 le fonti energetiche rinnovabili coprano,
almeno, il 12% del totale della domanda energetica in Spagna740.
Viene, pertanto, creato un «regime speciale» per la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, garantendo una tariffazione incentivata e l’esclusione
dal regime di concorrenza del mercato. Gli impianti di produzione di energia
elettrica che si conformano ai requisiti richiesti per il «regime speciale» godranno
Cfr. ley del sector eléctrico (LSE) n. 54 del 27 novembre 1997, pubblicata nel BOE il 28 novembre
1997.
740 Cfr. disposiciόn transitoria n. 16 della LSE.
739
294
di una certa disciplina giuridica ed economica, diversa dalle altre installazioni che
invece saranno sottoposte al «regime ordinario».741
In concreto, il regime speciale prevede:
a)
la garanzia di acquisto dell’energia generata da impianti di energia da
fonti rinnovabili: la legge garantisce ai produttori di energia rinnovabile la vendita
della totalità dell’energia prodotta, anche se in una percentuale superiore rispetto a
quella precedentemente pattuita con la compagnia di distribuzione, sfuggendo ai
meccanismi di mercato previsti a carattere generale dalla LSE.742
b)
la garanzia di una retribuzione fissa e un sistema di premi e incentivi:
il modello incentivante adottato dalla Spagna per gli impianti di energia
rinnovabile è sostanzialmente un modello di feed-in tariff, o in alternativa di feed-in
premium. A differenza dei produttori di energia da fonti convenzionali, i produttori
di energia rinnovabile sono retribuiti mediante la corresponsione di un prezzo
fisso o di una tariffa regolata, o meglio mediante il prezzo medio dell’elettricità nel
mercato maggiorato di un premio o incentivo.
Nella realtà, però, l’entrata in vigore della legge n. 54 del 1997 (LSE) non
ebbe un gran successo, con l’effetto di scoraggiare gli investimenti nel settore delle
rinnovabili, a causa, probabilmente, di una formulazione eccessivamente vaga dei
precetti contenuti negli artt. 27 e seguenti della LSE, che necessitavano di un
V. DOMINGO LÓPEZ E., La promoción de las energίas renovables en la Uniόn Europea: el modelo italiano
versus el modelo espaňol, in PÉREZ MORENO A. (a cura di), El derecho de la energίa, XV congreso italoespaňol de profesores de derecho administrativo, Instituto Andaluz de Administraciόn Pública,
Sevilla, 2006, 559 ss.
742 Sul punto, cfr. NANNIPIERI L., Indagine comparata sullo sviluppo delle energie rinnovabili: Spagna e Italia
a confronto, in Il diritto dell’economia, I, 2009, 108. Un importante nodo problematico che si è posto tra
i produttori di fonti energetiche rinnovabili e le grandi compagnie distributrici è stato quello della
durata dei contratti energetici. La proposta delle parti in causa, con eccezione dell’UNESA, era
quella di predisporre contratti con durata di 15 anni per la cogenerazione, ed un minimo di 10 anni
per l’energia prodotta esclusivamente da rinnovabili, in modo da garantire una certa stabilità al
mercato; UNESA, dal canto suo, proponeva contratti brevi, a durata annuale, in modo tale da non
rendere eccessivamente gravoso, per l’impresa distributrice, il meccanismo della garanzia
d’acquisto. La soluzione del real decreto n. 2818 del 1998 ha provato a mediare le differenti istanze
delle due parti, prevedendo contratti con durata base di cinque anni.
741
295
ulteriore sviluppo normativo, di tipo regolamentare, intervenuto però dopo circa
un anno con l’approvazione del real decreto n. 2812 del 1998743.
A partire dal 2004, comunque, le politiche energetiche spagnole
hanno favorito una maggiore penetrazione delle energie rinnovabili nella
copertura della domanda domestica e, pertanto, un maggior grado di
autosufficienza energetica.
L’entrata in vigore del real decreto n. 436 del 2004744, nel razionalizzare l’intera
materia delle fonti energetiche rinnovabili, ha infatti stabilito, tra l’altro, un regime
economico stabile e misure concrete di finanziamento per l’installazione di
impianti di energia rinnovabile745. L’articolo 22, in particolare, ha previsto i
meccanismi di incentivazione per l’energia elettrica prodotta in regime speciale,
cioè derivante da fonti rinnovabili.
Per vendere l’energia prodotta, i titolari degli impianti devono scegliere tra
una delle seguenti opzioni:
-
cedere energia elettrica all’impresa distributrice. In questo caso il
prezzo di vendita dell’elettricità verrà espresso in forma di tariffa regolata, fissa,
unica per tutti i periodi di programmazione, determinata in centesimi di euro per
KW orari (meccanismo di feed-in tariff puro);
-
vendere liberamente l’energia elettrica prodotta nel mercato. In questo
caso il prezzo di vendita dell’elettricità consisterà nel prezzo che risulta dal
mercato organizzato o il prezzo liberamente negoziato, composto da un incentivo
per la partecipazione al mercato (una percentuale della tariffa media dell’elettricità)
e un premio (una ulteriore percentuale della tariffa media dell’elettricità)
(meccanismo di feed-in premium).
In sostanza, il nuovo modello retributivo dota i produttori in regime
speciale di una regolazione duratura, oggettiva e trasparente. Infatti, qualunque sia
V. NANNIPIERI L., op.cit., 104.
Cfr. real decreto n. 436 del 12 marzo 2004, pubblicato nel BOE del n. 75 del 27 marzo 2004.
745 La Spagna non ha recepito la direttiva 2001/77/CE in unico atto di diritto interno (come,
invece, è avvenuto in Italia, con il d.lgs. 387/2003), ma ha preferito svilupparne il contenuto
tramite l’utilizzazione di una pluralità di atti normativi. La fonte che comunque risulta
maggiormente interessante è proprio quella del real decreto 436/2004.
743
744
296
il meccanismo per il quale si opti, si garantisce ai titolari degli impianti di energia
rinnovabile una retribuzione ragionevole per i loro investimenti e ai consumatori
di energia elettrica si attribuisce, anch’essi, una imputazione ragionevole dei costi
del sistema elettrico, con il fine ultimo di incentivare comunque la partecipazione
al mercato e ridurre al minimo l’intervento pubblico nella fissazione del prezzo
dell’elettricità.746
Grazie a questo intervento legislativo e a quelli a seguire nel 2007, la Spagna,
soprattutto negli anni del boom economico tra il 2008 e il 2009, si è dimostrata il
Paese dotato della maggiore capacità di attrazione degli investimenti nel settore
delle fonti rinnovabili. Da un lato, infatti, la sua collocazione geografica e la
grande esposizione solare ed eolica del territorio hanno reso evidentemente
appetibili progetti per la costruzione di impianti alimentati ad energia pulita.
Dall’altro, un sistema normativo nuovo e dinamico, che prevede la tariffazione
fissa dell’energia verde, ma rinnova il valore con cadenza annuale correlandolo al
prezzo medio dell’energia, costituisce un contesto dentro il quale queste fonti
energetiche non potevano non svilupparsi così velocemente. 747
Tuttavia, nel tempo, le tariffe incentivanti troppo generose hanno
finito col drogare il mercato, facendo crescere il settore delle rinnovabili, e quello
del fotovoltaico in particolare, insieme al costo pubblico degli incentivi a ritmi
non sostenibili, tanto che il Governo nel 2009 è dovuto correre ai ripari. Le tariffe
sono state abbassate con effetto retroattivo e sono stati introdotti dei tetti alla
potenza incentivabile748.
Gli interventi correttivi si sono ripetuti anche negli anni successivi,
arrivando nel 2010 ad un taglio del 45% delle tariffe per gli impianti a terra, valido
V. DOMINGO LÓPEZ E., op.cit., 562.
V. NANNIPIERI L., op.cit., 112.
748 L’effetto sul mercato è stato quello di un vero e proprio blocco, tanto che il giro d’affari del
fotovoltaico spagnolo è passato da 18 miliardi di euro del 2008 ad appena 650 milioni nel 2010,
con la perdita di un terzo dei posti di lavoro nel settore. Cfr. COMELLI E., Fotovoltaico: il rischio è
finire come la Spagna, articolo pubblicato in Ilsole24ore.com, 11 marzo 2011.
746
747
297
anche per gli impianti già in funzione749. Nel contempo, è stata disposta la
riduzione del periodo di erogazione degli incentivi da 30 a 25 anni750, un limite
massimo alle ore di produzione degli impianti fotovoltaici aventi diritto alle tariffe
sulla base di 5 differenti «zone solari», con conseguente remunerazione al prezzo
di mercato dell’energia elettrica in eccedenza rispetto al tetto massimo, nonché
uno specifico limite massimo alle ore di produzione degli impianti fotovoltaici
registrati prima del 29 settembre 2008 per un periodo di 3 anni, con estensione, a
parziale compensazione delle perdite, del periodo di incentivazione da 25 a 28
anni751.
Purtroppo i tagli agli incentivi, seppur operati gradualmente di anno in
anno, non sono stati sufficienti e l’esecutivo spagnolo nel gennaio 2012 ha varato
un decreto ley, n. 1 del 2012 del 27 gennaio 2012, che ha previsto la sospensione per
un periodo indefinito degli incentivi alle energie rinnovabili. Questo intervento è
stato giustificato dalla necessità di ripianare il deficit tariffario del sistema elettrico,
rivolgendosi non solo alle nuove installazioni o a quelle in corso di registrazione
ma anche a quelle già iscritte nel c.d. registro di preassegnazione, invitandole a
desistere dal dare esecuzione al progetto di installazione e rinunciare all’iscrizione
al registro.752
Nel febbraio 2013 è stato previsto che l’indice dei prezzi al consumo, al
quale sono ancorate le tariffe incentivanti, sia depurato dei prezzi dell’energia e di
altri prodotti volatili753.
V. MENEGHELLO G., Fotovoltaico e tagli retroattivi, gli investitori fanno causa al Governo, articolo
pubblicato in Qualenergia.it, 11 marzo 2011.
750 Cfr. real decreto 1565/2010, de 19 de noviembre, por el que se regulan y modifican determinados aspectos
relativos a la actividad de producción de energía eléctrica en régimen especial, pubblicato nel BOE il 23
novembre 2010. In particolare, il citato provvedimento normativo ha disposto la riduzione delle
tariffe incentivanti del 5 per cento per gli impianti su tetto fino a 20 Kw; del 25 per cento per gli
impianti su tetto sopra i 20 Kw; e del 45 per cento per gli impianti installati al suolo.
751 Cfr. real decreto-ley 14/2010, de 23 de diciembre, por elque se establecen medidas urgentes para la corrección
del déficit tarifario del sector eléctrico, Disposición adicional primera, pubblicato nel BOE il 24 dicembre
2010.
752 V. MENDOZA LOSANA A.I., Se han acabado los incentivos a las energίas renovables en Espaňa, in
GόMEZ-ACEBO Y POMBO, Noticias breves, enero 2012.
753 Cfr. real decreto-ley 2/2013, de 1 de febrero, de medidas urgentes en el sistema eléctrico y en el sector financiero,
pubblicato nel BOE il 2 febbraio 2013.
749
298
Parimenti a quanto è avvenuto in Italia, queste misure a carattere retroattivo
non hanno mancato di suscitare forti polemiche da parte degli operatori del
settore e hanno indotto questi ultimi a fare causa direttamente al Governo,
appellandosi al Trattato europeo della Carta dell’energia.
Nonostante questi interventi, le misure descritte non sono bastate e da
ultimo il Governo spagnolo ha approvato la riforma elettrica, orientata, almeno
nelle intenzioni, a porre fine ad un regime giuridico, quello della LSE n. 54 del
1997, divenuto confuso e insostenibile a causa delle costanti riforme subite
attraverso i reales decretos leyes. Allo stesso tempo, è stata posta come priorità
assoluta la risoluzione del problema del deficit tariffario, un peso di 26 miliardi di
euro generato dalla volontà del Governo di calmierare il prezzo pagato dai
consumatori
per
l’energia,imponendo tariffe
inferiori
ai
costi
di
produzione assumendo la differenza.
Per raggiungere questi obiettivi, sono state stabilite diverse misure di
intervento. La prima, con carattere di urgenza, è rappresentata dal real decreto n. 9
del 2013. Questo prevede una serie di tagli finalizzati alla raccolta dei fondi
necessari per pagare il deficit tariffario dell’anno 2014, stimato in 4,5 miliardi di
euro. Tra questi, c’è un taglio di circa 750 milioni di euro per le energie
rinnovabili.
La seconda misura è stata la creazione di una nuova legge sul settore
elettrico, composta da otto decreti (sistemi extra peninsolari, rinnovabili extra
peninsolari, interrompibilità, consumo, autoconsumo, fornitura, pagamenti per
capacità e ibernazione del ciclo combinato) e due ordini ministeriali, già inviati alla
Commissione nazionale per l’energia per la revisione. Gli interventi e i tagli
previsti dalla regolazione sono molteplici: aumento della tariffa fissa, con una
riduzione del prezzo al consumo, che provoca un aumento immediato del 3,2%
per i consumatori, passando di fatto alla creazione di una tariffa fissa pura; una
diminuzione del numero dei beneficiari delle agevolazioni sociali della tariffa
elettrica; istituzione di autorizzazioni amministrative uniche per l’apertura di nuovi
impianti di energia rinnovabile; incentivo per l’ibernazione di 6.000 MW di
impianti a ciclo combinato, ai quali, inoltre, si cambia la forma di retribuzione che
passerà ad essere per MW installato e non prodotto; scomparsa degli incentivi e
dei premi e con essi del regime speciale di cui al vecchio real decreto n. 436 del 2004.
299
Dunque, il Governo ancora una volta, con effetto retroattivo, ha stabilito
che la redditività di impianti di energia rinnovabile non può superare il 7,5%
annuo. Nel caso in cui questo margine si superi, non avrà diritto a tale
retribuzione. Inoltre, interviene a regolamentare al ribasso il prezzo che si deve
pagare per la produzione delle rinnovabili, stabilendo un tetto massimo di
guadagno in modo assolutamente arbitrario e per giunta retroattivo. Secondo gli
operatori del settore, in particolare per il fotovoltaico, questo potrebbe significare
la messa in crisi o il fallimento di molte piccole e medie imprese soprattutto se si
tiene conto del potere discrezionale che si riserva il Governo nello stabilire i
parametri di compensazione necessari per il calcolo della retribuzione specifica di
ciascuna installazione, cosa che provocherà, probabilmente, l’impossibilità di
ripagare gli investimenti effettuati.754
4.2. Germania.
La Germania, nonostante non sia un Paese molto soleggiato, è tutt’oggi tra i
principali produttori di energia solare ed è stato uno dei primi pionieri nell’energia
eolica. Nel 2013 le principali fonti di energia rinnovabile (fotovoltaica e eolica)
sono riuscite a soddisfare quasi il 60% del fabbisogno energetico nazionale.
Il merito va senza dubbio ad una politica di sostegno allo sviluppo delle
rinnovabili che ha reso, oggi, la Germania il primo Paese in Europa e il terzo al
mondo in quanto a produzione solare ed eolica, dietro soltanto a Stati Uniti e
Cina755.
La Germania è riuscita a trasformare le proprie necessità – l’elevato
fabbisogno energetico del Paese (connesso sia alla massiccia industrializzazione
del territorio che all’elevato numero degli abitanti), la dipendenza del Paese dalle
importazioni straniere di combustibili fossili (in particolare, di petrolio) e le
notevoli problematiche di carattere ambientale – in una formidabile occasione di
V. SALERNO P., Spagna, al via la riforma elettrico. Poco solare, articolo pubblicato in
Canalenergia.com, 1 agosto 2013.
755 V. MANCINI M., Rinnovabili coprono il 60% del fabbisogno energetico in Germania, articolo pubblicato
in Greenstyle.it, 15 ottobre 2013.
754
300
rilancio economico, ponendo in essere strategie originali ed innovative, al fine di
ottenere l’indipendenza energetica e la riduzione delle emissioni climalteranti.
L’interesse della Germania per le energie rinnovabili nasce nei primi anni
novanta e da allora si sono susseguiti importanti interventi legislativi che hanno
creato nuovi attori economici ed istituzionali, cambiato le regole di interazione tra
gli stessi e modificato le modalità di accesso alle risorse e al mercato energetico,
incentivando gli investimenti sull’elettricità dal sole, dal vento e dalle biomasse.
La prima legge tedesca sulle fonti rinnovabili è stata emanata nel 1990, il c.d.
Stromeinspeisungs gesetz (StrEG)756, una legge articolata in pochissimi articoli, ma
dall’impatto rivoluzionario. Essa favoriva lo sviluppo del nuovo mercato
soprattutto mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti ai produttori di
energia rinnovabile757, allo scopo di rendere economicamente competitive le
energie alternative rispetto a quelle convenzionali e di tenere al contempo in
considerazione anche le esternalità negative a queste ultime connesse.
Nello specifico, la legge obbligava le imprese pubbliche di fornitura di
energia elettrica (che comprendevano sia imprese private, sia imprese appartenenti
al settore pubblico) ad acquistare l’energia elettrica prodotta, nella loro zona di
fornitura, da fonti di energia rinnovabili758 a prezzi fissi, che risultavano superiori
al valore economico reale di tale tipo di energia elettrica, secondo un meccanismo
di feed-in tariff759.
In tal modo, la produzione di energia rinnovabile veniva incentivata senza
che fosse previsto un fondo pubblico a supporto, atteso che gli oneri imposti
Cfr. Gesetzüber die Einspeisung von Stromauserneubaren Energien in dasöffentliche Netz del 7 dicembre
1990 (legge sull’alimentazione di corrente da fonti di energia rinnovabili nella rete pubblica), BGBl,
1990, I, 2633.
757 Cfr. pubblicazione ENEA, Sole a confronto, Germania, Spagna, Italia, in Enea.it.
758 Ai fini della legge in esame tra le fonti energetiche rinnovabili, ex art. 1, sono comprese l’energia
idraulica, l’energia eolica, l'energia solare, l’energia derivante da gas di scarico e da impianti di
depurazione o di prodotti o di residui e rifiuti biologici dell'agricoltura e della silvicoltura.
759 Tali corrispettivi sono pari ad una percentuale (variabile, a seconda della fonte energetica
rinnovabile) dal 65% al 90% della tariffa media applicata ai consumatori finali da calcolarsi
annualmente. In particolare le percentuali è pari al 90% per l’energia eolica e l’energia solare. Per
quanto riguarda, invece, l’energia prodotta dalle altre fonti rinnovabili la percentuale prevista è del
75% per gli impianti più piccoli e del 65 % per impianti di capacità superiore a 500 kW, ma
inferiore a 5 MW. Cfr. artt. 2 e 3 del StrEG.
756
301
dallo StrEG venivano interamente posti a carico delle società che fornivano
energia elettrica.
Grazie a questi meccanismi incentivanti, la Germania riuscì a centrare
importanti risultati, dalla crescita del mercato delle fonti energetiche rinnovabili da
circa 20 MW di produzione nel 1989 a circa 1.100 MW nel 1995, allo sviluppo di
un’importante industria per la fabbricazione delle turbine eoliche e dei pannelli
solari. In questo contesto, crebbe anche il peso politico delle associazioni dei
produttori e fornitori di energia rinnovabile, ora in grado di portare a sostegno
della loro scelta ecosostenibile ragioni di carattere non solo ambientale, ma anche
economico. Tuttavia, non appena la legge di promozione iniziò ad avere un
sensibile impatto sulla diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche
rinnovabili (ed, in particolare, sull’eolico 760), gli operatori di rete, costretti a
comprare energia alternativa anche nei casi in cui non fosse per loro conveniente,
iniziarono ad attaccarla sia sul piano politico che su quello giudiziario.
Nel 1998761 lo StrEG venne profondamente emendato con l’approvazione
della legge per l’industria energetica tedesca762, di recepimento della direttiva
europea 96/92/CE, relativa alla liberalizzazione del mercato energetico elettrico
comunitario. Tale legislazione determinò un notevole sviluppo della produzione di
energia da fonte eolica, facendo così della Germania il primo produttore a livello
mondiale. Viceversa, nel settore del fotovoltaico, l’impatto dello StrEG fu minimo
rispetto alle altre fonti rinnovabili, a causa dello sfavorevole rapporto tra costo
della tecnologia e redditività energetica.
Per quanto concerne il solare, il sistema incentivante dello Stromeinspeisungsgesetz non ha un
grande impatto a causa dell’elevato costo degli impianti e della loro non elevata redditività.
761 Non è un caso che tali provvedimenti siano approvati nel 1998, anno segnato da un
significativo cambiamento nello scenario politico. La maggioranza conservatrice viene sostituita l
governo dalla coalizione formata da socialdemocratici e verdi; da qui la vistosa accelerazione sul
fronte delle rinnovabili, che ha come obiettivo primario la complessiva rivisitazione dello StrEG.
762 Cfr. Gesetzzur Neuregelungdes Energiewirtschafts rechts del 24 aprile 1998, BGBl, I, 730.
760
302
Nel 2000, viene approvata l’attuale legge sulle fonti energetiche rinnovabili,
l’Erneuerbare-Energien-Gesetz (EEG)763, che rinnova completamente il sistema di
compensazione.
Le feed-in tariffs non vengono più calcolate sul prezzo medio finale
dell’energia venduta al consumatore, ma vengono predeterminate dalla legge in
modo decrescente nel tempo e diversificato a seconda della tipologia di fonte
energetica rinnovabile, della tecnologia utilizzata, della localizzazione e della
grandezza degli impianti764. Viene prevista la facoltà per il Ministro dell’Ambiente
di revisionare ogni due anni le tariffe e le riduzioni programmate per aggiornarle
in base allo sviluppo dei costi tecnologici e del mercato energetico. Tra le fonti
rinnovabili, quella maggiormente beneficiata è senza dubbio il fotovoltaico.
La garanzia per i produttori di un pagamento compensativo secondo criteri,
fissati per legge e non collegati con l’oscillante prezzo pagato dai consumatori
finali in bolletta, favorisce indubbiamente l’instaurarsi di un clima favorevole agli
investimenti. Se a ciò si aggiunge il fatto che tale sistema tariffario viene
legislativamente garantito per un periodo di venti anni, la salvaguardia per gli
operatori del settore è massima765.
Grazie alle innovative previsioni contenute nell’EEG, la già rapida crescita
delle fonti energetiche rinnovabili subisce un’ulteriore accelerazione. Già alla fine
del 2001 (a meno di due anni dall’entrata in vigore della legge) vengono installati
numerosi impianti eolici tali da portare ad un sostanziale raddoppiamento della
capacità produttiva766, con inevitabili e positivi risvolti sull’occupazione e sugli
investimenti nella ricerca in materia.
Nel 2004, viene approvata una nuova versione dell’EEG, che entra in
vigore dal 1° luglio 2004767, allo scopo di operare una revisione complessiva della
Cfr. Erneuerbare-Energien-Gesetz del 29 marzo 2000, BGBl, I, 305.
Cfr. artt. 4 e 8 dell’EEG.
765 Cfr. art. 9 dell’EEG. Si fa eccezione per l’energia idroelettrica per la quale, considerati i costi
delle installazioni, il termine ventennale può essere prolungato.
766 A fine 2001, la capacità di produzione nazionale da fonte eolica si attesta a 8.750 MW.
767 Cfr. Gesetzzur Neuregelung des Rechts der Erneuerbaren Energienim Strombereich del 21 luglio 2004,
BGBl, 2004 I, 1918.
763
764
303
legge in conformità sia alle nuove esigenze del mercato energetico, sia anche al
mutato quadro normativo di riferimento a livello comunitario768.
In particolare, per quanto riguarda le tariffe incentivanti, il nuovo EEG,
facendo tesoro delle esperienze applicative acquisite nei precedenti 4 anni, crea un
sistema ancora più differenziato, riferito a criteri e parametri diversi quali: la
tipologia della fonte, la taglia dell’impianto, le tecnologie innovative utilizzate,
l’impatto ambientale dell’intervento (applicato solo all’idroelettrico) e il tipo di
materia prima utilizzata (negli impianti a biomassa)769.
La legge prevede una diminuzione annuale delle tariffe; sistemi a tutela delle
aree faunistiche e naturalistiche protette770; migliori garanzie per i produttori per
quanto concerne l’acquisto, l’accesso alla rete ed il pagamento771; un sistema di
«gradazione» della tariffazione a seconda della capacità del sito772; tutele a favore
dei produttori773; istituzione di un pubblico registro per rendere pubblici i volumi
V. WÜSTENHAGEN R. – BILZHARZ M., Green Energy Market Development in Germany: Effective
Public policy and Emerging Customer Demand, University of St. Gallen Institute for Economy and the
Environment, St. Gallen 2004, 30 ss.
769 V. CENTENO LÓPEZ E. – ACKERMANN T., Grid Issues for Electricity Production. Based on Renewable
Energy Sources in Spain, Portugal, Germany, and United Kingdom. Annex to Report of the Grid
Connection Inquiry, Statens Offentliga Utredningar, Fritzes Offentliga Publikationer, Stoccolma
2008, 113 ss.
770 Si prevede che i meccanismi incentivanti non possano essere adottati per impianti costruiti in
aree protette.
771 Cfr. art. 12 dell’EEG.
772 Per evitare che scatti immediatamente la tariffa più alta o più bassa quando si oltrepassi una
soglia prevista dalla legge, l’articolo 12 dell’EEG stabilisce che il pagamento applicabile sia
calcolato sulla base della produzione media annuale. In questo modo si eviterebbe una scorretta
retribuzione tra installazioni di diverse dimensioni, evitando di distribuire incentivi eccessivi o
inadeguati.
773 L’articolo 12 dell’EEG, al quarto comma, introduce un’importantissima nuova norma a tutela
dei produttori: si fa divieto per gli operatori di rete di effettuare compensazioni tra pagamenti
reclamati ai produttori e la tariffa da corrispondere a questi ultimi per l’acquisto di energia
rinnovabile qualora i suddetti pagamenti siano contestati o non siano stati legalmente accertati.
Evidente è l’intento del Legislatore di impedire che i gestori di rete, che hanno un potere
economico molto superiore e che continuano a detenere una sorta di monopolio naturale, gravino
il produttore di costi eccessivi ed ingiustificati per spese di contatore, bolletta, potenza reattiva,
servizi per l’approvvigionamento ed altro facendo leva su sistemi di compensazione e sul fatto che
i piccoli produttori difficilmente si sobbarchino i costi e rischi di un procedimento giudiziale per
far valere la propria posizione.
768
304
energetici trattati e dei pagamenti corrisposti774 e l’istituzione di una camera di
compensazione775.
Nel 2009, si impone un’ulteriore revisione776 della EEG per sostenere il
costante aumento dell’utilizzo delle rinnovabili nella produzione di energia
elettrica e per allinearsi con le Linee Guida del Consiglio europeo del 2007, anche
se, di fatto, la direzione della politica tedesca sulle rinnovabili rimane
sostanzialmente inalterata.
L’idea di fondo resta, infatti, quella di incentivare la produzione di energia
da fonti rinnovabili al fine di consentire una maggiore sicurezza degli
approvvigionamenti energetici e una riduzione delle emissioni di gas a effetto
serra dannosi per il clima e per l’ambiente. La Germania, con la nuova versione
dell’EEG, coglie comunque l’occasione per darsi obiettivi sempre più ambiziosi777.
L’elemento maggiormente innovativo della disciplina riguarda la possibilità per i
produttori di commercializzare liberamente l’elettricità generata da fonti
rinnovabili778. Gli esercenti possono: a) vendere direttamente a terzi l’elettricità
generata nelle loro installazioni su base mensile; per far ciò è sufficiente informare
l’operatore di rete prima dell’inizio del mese precedente, perdendo così il diritto a
percepire la remunerazione fissa stabilita dall’EEG per tutta l’elettricità prodotta
in quel mese779. Oppure, b) possono vendere direttamente soltanto una certa
Cfr. art. 15 dell’EEG.
L’art. 19 dell’EEG istituisce una camera di compensazione (Clearingstelle) che si pronuncia sulla
corretta applicazione delle norme contenute nell’EEG. La procedura avanti alla camera presenta
innumerevoli vantaggi rispetto ad un normale procedimento giudiziale. Oltre alla tempistica delle
decisioni, è da segnalare che il servizio offerto è assolutamente gratuito per tutti gli stakeholders che
abbiano obbligazioni o diritti in forza dell’EEG.
776 La visione della legge tedesca sulle rinnovabili come un cantiere aperto è peraltro condivisa
dallo steso Legislatore che all’art. 20 dell’EEG del 2004 prevede che il Ministro dell’ambiente
debba costantemente riferire al Bundestag sull’impatto delle norme e sulle eventuali modifiche
necessarie, non solo nell’ottica di garantire la continua espansione delle fonti energetiche
rinnovabili, ma anche in quella di rendere le regole più efficienti, evitando che siano corrisposti
incentivi troppo elevati.
777 L’obiettivo del 20% di rinnovabili sul totale degli approvvigionamenti dell’EEG 2004 viene
rivisto e fissato al 30%.
778 Cfr. art. 17, comma 1, dell’EEG 2009.
779 Il produttore per riprendere a ricevere la remunerazione fissa deve avvisare l’operatore di rete
entro l’inizio del mese precedente.
774
775
305
percentuale di elettricità prodotta da fonti rinnovabili senza perdere il diritto di
ricevere la tariffa fissa per la parte rimanente, a condizione che dichiari
all’operatore di rete quale percentuale intenda commercializzare in proprio e che
tale percentuale possa essere verificata in ogni momento.
Inoltre, il nuovo EEG, in difformità rispetto alla previgente versione, fissa
un termine ventennale per tutte le fonti energetiche rinnovabili, idroelettrico
compreso780 e compie una profonda rivisitazione delle tariffe da corrispondere per
l’elettricità prodotta da ogni singola fonte rinnovabile781. Il fotovoltaico rimane la
fonte rinnovabile maggiormente incentivata e vengono proposte nuove
percentuali annuali di riduzione dell’importo da corrispondere ai produttori.
Nel 2012, in un’ottica di incoraggiamento per i produttori a
commercializzare direttamente l’energia prodotta sul mercato elettrico, sono stati
introdotti ulteriori correttivi all’EEG. Così, è stata prevista la possibilità di
accedere, in alternativa alla feed-in tariff, un «management premium», differenziato
per tipo di fonte rinnovabile, che incentiva a passare alla gestione sul mercato
degli impianti a fonti rinnovabili, andando a coprire in particolare i costi di
sbilanciamento connaturati con la difficoltà di prevedere con precisione la
produzione di fonti rinnovabili non programmabili.
Senza dubbio, la EEG si è dimostrata con il tempo uno dei migliori
strumenti di crescita e di sviluppo delle rinnovabili – soprattutto per la produzione
di energia elettrica, di riduzione delle emissioni e del miglioramento delle
tecnologie del settore. A riprova di questo successo concorre il fatto che diversi
Stati europei abbiano utilizzato il modello tedesco per promuovere fonti di
energia alternativa, e che dati e statistiche ufficiali dimostrino che il contributo
delle rinnovabili al consumo finale di energia in Germania sia in linea con gli
obiettivi prefissati.782
Cfr. art. 21dell’EEG 2009.
Cfr. art. 29, commi 1 e 2 , dell’EEG 2009.
782 V. MORMANDI G., Riflessioni giuridiche sui programmi di investimento nelle energie rinnovabili, contributo
al convegno Think Italian. La strada italiana per l’attrazione investimenti, Auditorium Invitalia, 15
aprile 2010.
780
781
306
5.
Considerazioni di sintesi.
Dall’analisi comparata emerge come i Paesi sopra menzionati, per effetto
della crisi economica e finanziaria, abbiano dovuto operare un ripensamento delle
loro politiche energetiche rinnovabili, attraverso una netta revisione al ribasso
delle tariffe corrisposte ai produttori di energia rinnovabile, come in Spagna; o
attraverso una riduzione graduale e programmata, in relazione alle diverse
tecnologie, come in Germania.
Risulta evidente comunque come i migliori risultati in termini di diffusione
delle energie rinnovabili e di crescita del settore siano stati raggiunti da quei Paesi
che hanno adottato una politica chiara e orientata al medio-lungo periodo senza
incidere retroattivamente sulle aspettative degli operatori, a discapito dello
sviluppo dell’intero mercato783.
L’incertezza del quadro normativo ha infatti un effetto di destabilizzazione
dell’intero sistema e alla stessa stregua mina la fiducia degli investitori. Contro le
modifiche normative che disattendono aspettative legittimamente fondate, ha
preso posizione anche il Commissario europeo all’energia, affermando la totale
contrarietà dell’Unione europea alle misure retroattive in quanto di ostacolo al
mercato e agli investimenti nel settore. L’orientamento è stato ufficializzato con la
comunicazione indirizzata in data 5 novembre 2013 agli Stati membri, con la quale
la Commissione Europea ha anche raccomandato, con l’occasione, che il sostegno
finanziario alle energie rinnovabili venga limitato a quanto necessario e sia
finalizzato a rendere le energie rinnovabili competitive, che i regimi di sostegno
siano flessibili e rispondano al calo dei costi di produzione e che siano meglio
coordinate dagli Stati membri le strategie per mantenere bassi i costi per i
consumatori, in termini di prezzi dell’energia784.
Alla stregua di tali considerazioni, appare dunque censurabile l’Italia, sul
piano dell’esercizio della funzione legislativa, laddove il Legislatore italiano, nel
V. GARIONI G. – MANIGLIA M., Le politiche di sostegno delle energie rinnovabili: un confronto europeo,
articolo in Firstonline.info.it, 9 novembre 2011.
784 Cfr. comunicazione della Commissione C(2013) 7243 del 5 novembre 2013, Realizzare il mercato
interno dell’energia elettrica e sfruttare al meglio l’intervento pubblico.
783
307
disciplinare la materia, non ha tenuto conto dell’eventuale impatto che la
disciplina sopravvenuta potesse esplicare sulle situazioni giuridiche pregresse.
Se, quindi, come affermato, il principio del legittimo affidamento nel diritto
pubblico esiste e trova copertura costituzionale, seppur non scritta, sembra
quantomeno opportuno che la legittimità costituzionale degli interventi legislativi
incidenti sul passato necessiti di una maggiore considerazione, soprattutto nelle
ipotesi di incidenza retroattiva su diritti già acquisiti, pena la perdita di fiducia nelle
istituzioni, con conseguente delegittimazione delle stesse785.
È dunque auspicabile che il Legislatore, ove l’intervento legislativo eserciti
un impatto su situazioni giuridiche pregresse, si premuri di scongiurare o
quantomeno ridurre le conseguenze dell’incidenza normativa attraverso la
previsione di adeguate misure transitorie interinali, tese a regolamentare, in
qualunque fattispecie, la transizione dalla vecchia alla nuova disciplina. È altresì
auspicabile che il Legislatore, per evitare che la revoca degli incentivi
precedentemente concessi sia causa di possibili lesioni dell’affidamento riposto dai
soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive sorte a seguito della legge
incentivo, cerchi a monte di conformare l’intervento incentivante, in relazione agli
obiettivi che esso intende perseguire, operando una delimitazione temporale o
quantitativa dei benefici che egli si propone di erogare. Se è infatti vero che le
leggi di incentivazione economica sono dirette al perseguimento di obiettivi sociali
che il Legislatore si propone di raggiungere, è anche vero che ove il Legislatore si
determini nel senso di raggiungere un determinato obiettivo egli dovrà
commisurare il quantum e la durata dell’incentivo in proporzione all’obiettivo
individuato. Nel caso in cui il Legislatore non si determini in tal senso,
proponendo la concessione di benefici e vantaggi scollegati rispetto all’obiettivo
prefissato, non soltanto l’intervento legislativo potrebbe considerarsi affetto da
irrazionalità, non essendosi tenuto conto del tempo e dei mezzi necessari e
sufficienti per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, ma un siffatto intervento
785
V. LUCIANI M., op.cit., 75.
308
ingenererebbe un illimitato affidamento da parte degli operatori che il Legislatore
potrebbe successivamente frustrare ove l’obiettivo non venisse più considerato
prioritario o comunque meritevole di promozione, ovvero sopraggiungano
particolari esigenze (che tuttavia potrebbero legittimamente giustificare la revoca
retroattiva dell’intervento solo ove caratterizzate da eccezionalità)786.
A dire il vero, una responsabilizzazione in tal senso da parte del Legislatore,
più che opportuna, appare necessaria, non solo per evitare indebite frustrazioni
dei destinatari dei benefici statali, ma anche perché esigenze di coerenza
normativa ed economica impongono che, ove il Legislatore intraprenda una
politica di incentivazione, questa sia armonizzata e tarata sugli obiettivi che si
intende, attraverso il meccanismo dell’incentivo, perseguire. I principi di buona
legislazione e della correttezza del rapporto tra Legislatore e cittadino dovrebbero
pertanto portare il primo a valutare, a monte dell’intervento legislativo, le reali
ragioni e l’opportunità dello stesso secondo gli obiettivi di volta in volta
perseguiti787. La coerenza del disegno e la sua stabilità nel tempo rappresentano
quindi delle condizioni ineliminabili.
L’esperienza tedesca, dal canto suo, ha dimostrato come senza una efficace
politica di sostegno economico, le rinnovabili, almeno nella prima fase del loro
sviluppo tecnologico, non possano essere economicamente competitive rispetto
alle fonti convenzionali. Ciò ha spinto lo Stato tedesco ad adottare provvedimenti,
come l’EEG, che forniscono un’adeguata e certa copertura finanziaria agli
investimenti, ma al contempo sostengono la ricerca e il rinnovamento tecnologico
cosicché gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili diventino sempre
meno costosi e sempre più efficienti dal punto di vista produttivo, consentendo
V. COZZOLINO G., op.cit.
Nel senso della predeterminazione da parte del Legislatore di previsioni volta ad evitare la
lesione dell’affidamento dei destinatari della legge piano si veda MERUSI F., Buona fede e affidamento,
cit., 68 ss., secondo il quale il Legislatore potrebbe nella legge piano prevedere delle clausole
espresse di modificabilità in itinere quali: «a) la revisione periodica sulla base del confronto fra i
dati effettivamente emersi nel processo economico e quelli in precedenza profetizzati dal piano; b)
l’entrata in funzione di strumenti di «correzione» del processo economico programmato al
verificarsi di avvenimenti eccezionali (crisi finanziarie, crisi derivanti da accadimenti internazionali
e simili)».
786
787
309
nel medio lungo periodo, una riduzione delle tariffe incentivanti senza
determinare gravi contraccolpi nella produzione788.
In quest’ottica la stessa Commissione europea, con lo scopo di ridurre le
distorsioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato gli incentivi negli Stati
membri e di realizzare un recupero della competitività delle energie rinnovabili, ha
adottato delle specifiche Linee Guida e fissato i nuovi paletti per gli aiuti di Stati
riservati alle fonti rinnovabili. Le Linee Guida nascono proprio per giungere ad
una graduale sostituzione degli incentivi alle rinnovabili in Conto Energia con
processi competitivi, basati su aste pubbliche. Il criterio generale è quello di
attivare gradualmente un sistema di mercato per le rinnovabili, pur lasciando agli
Stati una certa flessibilità. Dopo una fase pilota nel 2015 e 2016 durante la quale
verranno testate procedure d’asta per allocare una quota dell’energia rinnovabile
prodotta, si prevede poi il passaggio dal sistema del feed-in tariff al feed-in premium,
con esclusione graduale delle tariffe incentivanti verso un meccanismo a premi,
soggetto alle oscillazioni del mercato789, senza compromissione dei diritti acquisiti
e quindi le installazioni esistenti manterranno le eventuali agevolazioni acquisite
prima dell’entrata in vigore delle nuove norme.
V. BECHBERGER M. – REICHE D., Renewable Energy Policy in Germany: Pioneering and Exemplary
Regulations, Energy for Sustainable Development 8, Elsevier, 2004, 47 ss.
789 Più in dettaglio, dal 2016 gli impianti sopra ai 500 KW (oltre i 3 MW per l’eolico) saranno
soggetti alle «responsabilità di bilanciamento» e non potranno, quindi, essere più favoriti dagli
incentivi nel caso in cui la generazione di energia avvenga in un contesto caratterizzato da prezzi
negativi del MWh, come accade in alcuni mercati elettrici dell’Ue. Inoltre, gli Stati membri saranno
obbligati ad utilizzare come strumenti di sostegno per le rinnovabili esclusivamente meccanismi
come aste, sistemi di premi o certificati. In merito a ciò, l’avviamento delle procedure d’asta pilota,
per una piccola quota delle nuove potenze, è previsto a partire dal 2015, mentre, a partire dal 2017,
tutti i nuovi impianti dovranno accedere agli incentivi mediante meccanismi di gara (anche se, per
assicurare agli Stati membri un certo gradi di flessibilità nella gestione delle specificità nazionali, su
l’adozione di questi meccanismi la Commissione ha previsto la possibilità di alcune deroghe).
Risultano, invece, esclusi dalle aste gli impianti di potenza minore (inferiori a 3 MW per l’eolico e a
500 KW per le altre fonti). Questi, infatti, potranno continuare a beneficiare di tutte le tipologie di
sostegno, incluse le tariffe in conto energia. Altre esenzioni dalla rivisitazione del sistema
incentivante sono previste anche per gli impianti con potenze inferiori a 6 MW per l’eolico e a 1
MW per le altre fonti, ma per questi la condizione è che si trovino nelle fasi iniziali di sviluppo.
788
310
CONCLUSIONI
La presente trattazione ha consentito di tracciare una panoramica delle
politiche, delle strategie e delle azioni intraprese in ambito europeo e nazionale nel
settore dell’energia derivante da fonti rinnovabili.
Il tema dell’energia alternativa costituisce una delle principali sfide per
l’Europa intera e per il territorio nazionale rappresenta senza dubbio una
importante opportunità di sviluppo, nonostante le note difficoltà di rendere
compatibili i temi propri dello sviluppo con quelli della conservazione della
natura.
Ciò nonostante, l’Italia, a differenza di altri Paesi europei, non ha ancora
raggiunto il livello ottimale sperato di sviluppo del settore e le ragioni di questo
lento progredire possono essere ravvisate in una molteplicità di fattori eterogenei:
istituzionali, politici e sociali.
Lo sforzo ricostruttivo operato nel primo capitolo del presente lavoro di
ricerca ha, innanzitutto, rivelato un quadro molto complesso, in cui i vari livelli di
complessità si sovrappongono e sono tra loro interconnessi.
Il Legislatore italiano, nell’intento – senza dubbio pregevole – di perseguire
obiettivi di promozione e sviluppo del settore, ha seguito due fondamentali linee
direttrici: da un lato, la semplificazione amministrativa; dall’altro, l’incentivazione
economica. Pur tuttavia, appare chiaro che le scelte operate in tal senso non siano
state in grado, o comunque non siano state sufficienti, a realizzare gli obiettivi
prefissati.
Sul piano della semplificazione amministrativa, è emerso chiaramente come
l’interesse del Legislatore alla semplificazione non sia inteso come interesse
pubblico autonomo e meritevole di tutela in quanto tale, ma come volano
necessario per il raggiungimento di quegli obiettivi posti a livello comunitario e
internazionale sulla diversificazione delle fonti energetiche. Le semplificazioni
amministrative procedurali vengono introdotte con una vera e propria finalità
incentivante volta a favorire il compimento di attività virtuose a beneficio
dell’ambiente.
Questa impostazione della semplificazione, come valore non a sé stante,
d’altronde, non è nuova neanche nel nostro ordinamento nazionale, laddove la
semplificazione si riconnette con il principio costituzionale del buon andamento
311
della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, nel momento
in cui garantisce il rispetto di quel canone di efficienza dell’attività amministrativa,
che richiede che l’amministrazione agisca in tempi certi e rapidi, senza inutile
aggravio delle procedure.
Il principio costituzionale del buon andamento si compone, però, anche del
canone dell’efficacia dell’attività amministrativa, che in raccordo con l’efficienza,
impone all’amministrazione il contemperamento di tutti gli interessi pubblici
coinvolti in un procedimento attraverso una particolare attenzione rivolta
unicamente ai suoi risultati sostanziali.
In ragione di questo equilibrio tra efficienza ed efficacia dell’azione
amministrativa a cui deve tendere la pubblica amministrazione nel perseguimento
del suo «buon andamento», ci si è chiesti allora se le semplificazioni introdotte in
tema siano idonee a realizzare gli obiettivi prefissati, senza produrre al contempo
un sacrificio irragionevole dell’istruttoria procedimentale, a discapito di
un’adeguata considerazione degli interessi di rilevanza costituzionale coinvolti nel
procedimento autorizzatorio diretto all’installazione degli impianti di energia
rinnovabile, ed in particolare dell’interesse ambientale.
Al riguardo, premesso che le garanzie procedurali e motivazionali analizzate
nel procedimento de quo – si pensi alla Conferenza di servizi e al procedimento di
valutazione di impatto ambientale – sembrano aver realizzato una semplificazione
procedurale apprezzabile, non va comunque trascurato che, nel necessario
contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, l’interesse costituzionale alla tutela
dell’ambiente, nei procedimenti di installazione degli impianti di energia
rinnovabile, rileva in modo del tutto peculiare. Se è vero, infatti, che laddove
ricorra un interesse ambientale, la disciplina generale del procedimento
amministrativo riconosce a quest’ultimo il valore di limite alla semplificazione
amministrativa, tant’è che spesso gli istituti c.d. di semplificazione – quali la
Conferenza di servizi, la SCIA, o il silenzio-assenso – trovano un’applicazione
assai prudente, per non dire che in alcuni casi vengono addirittura disapplicati; è
vero anche però che, la tutela ambientale permea lo stesso procedimento per
l’installazione di impianti di energia alternativa, o per lo meno il conflitto con esso
è notevolmente attenuato, per cui l’ambiente non si può più considerare come
limite intrinseco alla semplificazione, ma semmai come fattore propulsivo, nella
312
misura in cui il procedimento stesso è finalizzato alla diversificazione delle fonti
energetiche e, quindi, alla tutela dell’ambiente.
Se così è, allora, le ragioni per cui le semplificazioni procedurali introdotte
dal nostro Legislatore non hanno permesso, di fatto, l’adempimento degli obblighi
imposti dalla disciplina europea sono da rinvenire non tanto nella complessità
procedimentale, quanto piuttosto nella complessità organizzativa.
La complessità organizzativa si concreta nella particolare articolazione delle
competenze poste a tutela dei molteplici interessi coinvolti, che si realizza non
solo in senso orizzontale, e cioè connessa alla compresenza di competenze diverse
all’interno dello stesso ente territoriale (si pensi alle diverse competenze in materia
di rinnovabili attribuite a livello statale al Ministero dell’ambiente, al Ministero
dello sviluppo economico e al Ministero dei beni culturali), ma anche – ed è forse
l’aspetto più controverso – in senso verticale, consistente nella distribuzione di
competenze tra enti territoriali diversi, con la conseguenza che si registra il
sommarsi, e talvolta il sovrapporsi, di attribuzioni europee, statali, regionali,
provinciali e comunali in ordine alla stessa fattispecie.
La moltiplicazione degli interessi protetti e delle amministrazioni che vi
sono preposte, il particolare rilievo giuridico attribuito a molti di questi con
l’effetto di non renderli recessivi di fronte agli altri, la compresenza in ogni
fattispecie di più enti territoriali, di enti, cioè, che per loro natura sarebbero
deputati a graduare gli interessi e a effettuare le sintesi, tutto ciò porta a rendere
particolarmente ardua la soluzione delle complessità procedimentali.
La riforma del titolo V della Costituzione, dal canto suo, ha avallato queste
sovrapposizioni delle competenze, né il ricorso al principio di sussidiarietà ha
risolto il problema, perché introducendo un principio di elasticità ma al contempo
di parziale indeterminatezza nell’allocazione delle competenze, lo ha accentuato.
Come è noto, infatti, secondo l’attuale assetto delle competenze, la materia
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» appartiene al
rango della legislazione concorrente, pertanto le Regioni la esercitano nel rispetto
dei principi fondamentali fissati con legge dello Stato (art. 117, comma 3, Cost.).
Questa impostazione costituzionale ha causato principalmente due effetti:
da un lato, la possibilità per le Regioni di determinare politiche energetiche
diversificate, anche in materia di energia rinnovabile; dall’altro, l’aggiunta di un
313
nuovo livello di regolazione sub-nazionale, rispetto ai due livelli già esistenti,
nazionale e comunitario.
Tuttavia, sebbene la materia dell’energia sia materia concorrente, ripartita tra
Stato e Regioni, esistono una serie di valori o interessi costituzionalmente riservati
alla disciplina esclusiva dello Stato che, inevitabilmente, incidono sul governo
dell’energia. Si tratta delle c.d. clausole trasversali, materie o, per meglio dire,
competenze
trasversali,
che
impongono
il
perseguimento
di
valori
dell’ordinamento, potenzialmente idonee ad investire tutte le materie. Si pensi, alla
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali, alla tutela della concorrenza, al
governo del territorio. È evidente che maggiore è il campo di applicazione delle
competenze trasversali e minore è la capacità di intervento normativo delle
Regioni nelle materie concorrenti come l’energia. In questo modo, la riforma del
titolo V e il cosiddetto federalismo energetico hanno di fatto creato le condizioni
per alimentare i conflitti istituzionali e aumentare i costi transattivi di governo del
sistema elettrico.
Attualmente, il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in
materia energetica per poter funzionare dovrebbe basarsi su un forte
coordinamento tra i soggetti detentori del potere normativo. Ma ciò è l’elemento
che manca, come dimostrano chiaramente i numerosi conflitti sui quali la Corte
costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi negli ultimi anni. In particolare, ciò
che manca è la capacità dei poteri centrali di governare la cooperazione con le
Regioni, di sviluppare, cioè, stanze di concertazione tra i diversi livelli di governo
ed innescare dinamiche «virtuose» in grado di prevenire l’esercizio di veti su
decisioni strategiche.
Il vero problema, allora, non sembra attenere tanto alla questione della
misura o del grado della compartecipazione dei livelli territoriali minori, quanto
piuttosto alla necessità di individuare meccanismi per la determinazione di criteri
di condivisione degli effetti positivi e negativi delle singole scelte che siano in
grado di collocare nella giusta dimensione tutti gli interessi coinvolti.
Una soluzione potrebbe essere offerta da un’accurata attività di
pianificazione degli interventi, che si avvalga di strumenti di raccordo tra tutti i
livelli territoriali interessati. Del resto, anche le istituzioni comunitarie sembrano
314
ambire ad una razionalizzazione del sistema attraverso il potenziamento di tale
tipologia di attività. Se, infatti, si anticipasse il confronto tra i vari interessi già a
livello della programmazione, si potrebbe operare una ponderazione efficace tra
gli stessi senza che si verifichi una sistematica prevaricazione di certi a discapito di
altri. Alla programmazione operata su base nazionale potrebbe poi fare riscontro
un’analoga attività su base regionale nei limiti dell’accordo raggiunto in sede di
programmazione nazionale. Tale meccanismo, stratificandosi a cascata su livelli di
programmazione inferiore, comporterebbe una graduale compressione dei poteri
afferenti a interessi settoriali. Gli enti territoriali minori verrebbero quindi
tendenzialmente investiti del ruolo di esecutori materiali di scelte operate altrove,
ma rispetto alle quali avrebbero comunque fornito un utile contributo attraverso
la partecipazione dell’attività di programmazione. Così, i vari enti, con il loro
apporto conoscitivo, potrebbero far sì che le scelte pianificatorie si conformino
alla loro realtà territoriale.
Da quanto sopra si evince, allora, che i limiti allo sviluppo non vanno
rinvenuti nel procedimento in sé e nelle semplificazioni in esso introdotte ma,
piuttosto, nei difetti e nelle carenze di quella disciplina «a monte» della fase
procedimentale.
L’assenza della fase
programmatoria,
antecedente
a quella fase,
propriamente amministrativa, di attuazione degli indirizzi elaborati nella
precedente fase, comporta infatti la possibilità di blocco di ogni singolo
procedimento di autorizzazione, poiché in mancanza di indicazioni puntuali e
razionali le amministrazioni locali sono libere di valutare caso per caso
l’adeguatezza delle loro scelte legislative, in assenza della indispensabile visione
d’insieme. Inoltre, le debolezze e le carenze della programmazione incidono anche
sul meccanismo procedimentale stesso di autorizzazione, gravando di fatto il
procedimento amministrativo del compito di perseguire quel contemperamento
dei contrapposti interessi territoriali, che si sarebbe dovuto compiere – proprio
per il livello di responsabilità che comporta – ad un livello più alto. La
programmazione costituisce, infatti, anche per le amministrazioni una possibilità
di valutazione complessiva degli interessi in gioco a prescindere dall’offerta,
basandosi quindi sulle reali necessità del territorio, al di fuori di dinamiche
procedimentali già avviate.
315
Il procedimento amministrativo di autorizzazione va, dunque, considerato
solo una fase del progetto complessivo di inserimento di questi impianti sul
territorio e, pertanto, il deficit di efficienza del sistema va ricercato già prima del
procedimento stesso. Al più, il procedimento, più che la causa delle disfunzioni
che investono il sistema delle fonti rinnovabili, potrebbe essere visto come il
momento o l’occasione in cui si manifestano più ampi problemi di rango
organizzativo.
Tuttavia, le aspettative in ordine all’esercizio da parte dello Stato delle
funzioni programmatorie ad esso spettanti per la definizione di una politica
energetica nazionale sono state disattese. Attualmente, lo Stato italiano si limita ad
operare principalmente attraverso strumenti legislativi volti al recepimento degli
obiettivi e della normativa definiti in ambito comunitario.
Questo atteggiamento di disinteresse si è manifestato emblematicamente nei
ritardi nell’emanazione della Strategia energetica nazionale e nella definizione delle
Linee Guida nazionali, che – come ampiamente dimostrato – hanno dato luogo ad
una proliferazione di atti e provvedimenti da parte delle singole Regioni, che oltre
a creare poca chiarezza, hanno creato, in molti casi, anche una notevole disparità
di trattamento.
Né pare che la recente adozione delle Linee Guida nazionali nel 2010 abbia
risolto il problema. Quest’ultime, infatti, non sono esenti da critiche, in quanto
risultando poco chiare e, per alcuni aspetti, addirittura, ambigue, non si
presentano quale strumento utile per indirizzare le Regioni nell’emanazione delle
proprie Linee Guida e funzionali ad operare un adeguato contemperamento tra le
esigenze di sviluppo e valorizzazione del mercato energetico, da un lato, e la tutela
dell’ambiente e del paesaggio, dall’altro. Di fatto, le Linee Guida nazionali, nella
loro attuale formulazione, tradiscono la finalità stessa per la quale sono state
previste ed emanate, ossia quella di offrire agli operatori un quadro certo e chiaro
di riferimento.
È dunque auspicabile un intervento chiarificatore sulle Linee Guida da parte
del Legislatore statale. Laddove un tale intervento non intervenisse in tempi brevi,
è del tutto prevedibile che anche le normative regionali di attuazione delle Linee
Guida nazionali, al pari delle discipline regionali adottate nelle more
316
dell’emanazione
delle
medesime,
subiranno
la ghigliottina della Corte
costituzionale.
Nondimeno, anche sul piano dell’incentivazione economica, sono emerse
lacune e criticità delle scelte politiche effettuate.
L’Italia, infatti, nonostante abbia assicurato per lungo tempo uno dei più alti
livelli di incentivazione rispetto agli altri Paesi europei, non ha realizzato un
corrispondente livello di crescita del settore. Sarebbe quindi opportuno – anche
sulla scorta dell’analisi effettuata su gli altri Paesi europei più «virtuosi» – fare
chiarezza sui costi che gravano sul bilancio dello Stato e su quelli gravanti sulle
bollette energetiche degli utenti, auspicando un sistema in cui il valore unitario
dell’incentivazione deve essere inizialmente più elevato, per superare l’ostacolo
posto dalla scarsità di informazione e di diffusione delle conoscenze e degli
strumenti necessari, per poi essere gradualmente ridotto per evitare lo spreco di
risorse pubbliche. In altri termini, i meccanismi di sostegno per le politiche delle
energie rinnovabili dovrebbero essere transitori, come per le altre tecnologie, e i
livelli di sostegno dovrebbero diminuire nel tempo ed essere in grado di evolvere
per tenere conto dei cambiamenti continui delle condizioni. Revisioni regolari dei
meccanismi in vigore e dei progressi raggiunti sono infatti di vitale importanza per
assicurarsi che la penetrazione e lo sviluppo delle energie rinnovabili avvenga
senza problemi ed efficacemente.
A ciò chiaramente deve fare da contraltare una politica chiara e orientata al
medio-lungo periodo, che non incida retroattivamente sulle aspettative degli
operatori, a discapito dello sviluppo dell’intero mercato. L’incertezza del quadro
normativo, infatti, ha un effetto destabilizzante sull’intero sistema e alla stessa
stregua mina la fiducia degli investitori.
Ad ogni modo, alla luce delle considerazioni svolte, appare evidente come
tutti gli aspetti critici enucleati vadano rielaborati in modo organico e coordinato:
il contributo economico, al pari di quello tecnologico, va infatti raccordato anche
con gli aspetti, per così dire, di natura «burocratica».
Di fatti, per il successo di una politica energetica nazionale, è necessario che
vi siano procedimenti di autorizzazione adeguati, che consentano altresì il
coinvolgimento delle istituzioni e di tutti gli altri attori sociali. La rimozione delle
barriere non economiche per la diffusione delle energie rinnovabili deve essere il
317
punto centrale ad alta priorità dell’elaborazione e attuazione delle politiche, a
prescindere dal programma di incentivi specifici in vigore.
In Germania, ad esempio, non si ravvisano barriere procedurali
fondamentali alla produzione di elettricità da fonti di energia rinnovabile e la
riprova è la rapida crescita di nuovi impianti negli ultimi anni. Il merito va ascritto
probabilmente a due fattori che prescindono il dato meramente regolatorio: da
una parte, la pianificazione a più livelli territoriali alla quale devono attenersi,
senza grandi margini di discrezionalità, le autorità competenti sulla decisione
dell’autorizzazione; dall’altra, un approccio «user-friendly» degli uffici deputati alla
gestione dei procedimenti. Ciò spiega, almeno in parte, il largo consenso di cui
godono le rinnovabili nell’opinione pubblica tedesca. Un consenso che non
emerge solo dai sondaggi di opinione, ma anche dall’esperienza concreta. In
Germania, infatti, la costante informazione ambientale e la partecipazione della
popolazione
ai
processi
decisionali
concernenti
l’autorizzazione
delle
infrastrutture, hanno, nei fatti, ridotto sensibilmente il numero degli impianti
contestati, denotando un’ampia accettabilità sociale delle fonti energetiche
rinnovabili.
La Germania ha dunque creato i presupposti ideali per proseguire nella
transizione graduale da un contesto energetico basato principalmente su
combustibili fossili a un futuro a ridotte emissioni fondato soprattutto sulle
rinnovabili.
È raccomandabile quindi un approccio integrato e a lungo termine che
fornisca un sostegno a tecnologie specifiche. Sfruttare le fonti di energia
rinnovabile più economiche è una priorità, ma c’è anche bisogno di un’azione
urgente che fornisca un quadro per una politica a lungo termine che permetta
all’industria di migliorare le sue prestazioni e ridurre i costi di tecnologie meno
mature. Questo punto, unito al monitoraggio del miglioramento delle tecnologie e
al conseguente adattamento degli incentivi per tecnologie specifiche, permetterà di
giungere a minimizzare i costi totali nel tempo.
A tale scopo, sarebbe auspicabile anche maggiore iniziativa per l’avvio di
programmi di ricerca industriale al fine di migliorare le caratteristiche e le
prestazioni delle attuali tecnologie e favorire particolari applicazioni innovative.
318
Una diffusione su larga scala delle rinnovabili potrà infatti avvenire soprattutto
attraverso una forte riduzione dei costi che le renda economicamente competitive.
Le rinnovabili possono essere davvero un fattore di spinta anticiclico e di
ripresa dell’economia italiana, ma a condizione di affrontare le principali criticità
che attualmente minano le possibilità di sviluppo di lungo periodo del settore,
ancorando il settore delle rinnovabili ai principi e alle regole di mercato,
mettendolo al riparo da logiche assistenzialistiche e speculative, ponendo al centro
della sua costruzione il principio della sostenibilità, non solo ambientale, ma anche
economica e sociale.
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