FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE SEZIONE DI DIRITTO PUBBLICO Dottorato di ricerca in diritto amministrativo XXV ciclo LE FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA: POLITICHE PUBBLICHE E PROCEDIMENTI DI AUTORIZZAZIONE Tutor: Candidato: Chiar.mo Prof. Giacinto della Cananea Dott.ssa Laura Immè LE FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA: POLITICHE PUBBLICHE E PROCEDIMENTI DI AUTORIZZAZIONE INDICE Introduzione …………………………………………………….. 1 CAPITOLO I La disciplina giuridica delle fonti energetiche rinnovabili 1. La politica energetica comunitaria …………………………................... 7 1.1. Gli interventi comunitari nella lotta al cambiamento climatico: dal Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-20-20» ………………………... 14 1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia alternativa …. 18 2. L’energia nell’ordinamento giuridico italiano ……………………….. 22 2.1. L’avvento della Costituzione ………………………………………... 24 2.2. Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali ……………….. 31 2.3. Le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10 ………………………………… 37 2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del mercato energetico …………………………………………………………… 41 3. Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in materia di energia ………………………………………………………………….. 46 3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del titolo V della Costituzione ………………………………………………………... 47 3.2. La riforma del titolo V della Costituzione …………………………... 50 4. La disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili …... 59 4.1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 ……………………… 59 4.1.1. Le Linee Guida nazionali per la promozione delle energie rinnovabili ………………………………………………….. 64 4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 .…………………………… 70 5. Gli strumenti di pianificazione energetica ……………………………. 71 5.1. La Strategia energetica nazionale ……………………………………. 72 5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili ………………. 76 6. Considerazioni di sintesi ……………………………………………… 79 CAPITOLO II Il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile 1. Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica italiana…………………………………………………………………... 83 1.1. La prima fase degli studi pubblicistici ……………………………….. 85 1.2. La teoria di Oreste Ranelletti ………………………………………... 88 1.3. La dottrina post Ranelletti ………………………………………...… 95 I 1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della nozione di procedimento ……………………………………………………… 97 1.5. Gli sviluppi della dottrina recente ………………………………….. 100 1.5.1. La situazione giuridica soggettiva incisa ……………………. 102 1.5.2. L’effetto tipico ……………………………………………... 104 1.5.3. Gli interessi in gioco ……………………………………….. 107 2. Modelli alternativi alle autorizzazioni ……………………………….. 112 2.1. La denuncia di inizio attività (oggi SCIA)…………………………... 115 2.2. Il silenzio-assenso …………………………………………………. 123 3. Il procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili …………………... 125 3.1. Il procedimento di autorizzazione unica …………………………… 131 3.1.1. Il termine di conclusione del procedimento ………………... 135 3.1.2. La Conferenza di servizi …………………………………… 141 3.1.3. Il rapporto tra VIA e autorizzazione unica ………………… 152 3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS ……………….. 163 3.3. Il regime di attività libera …………………………………………... 170 4. La diversificazione della legislazione regionale in assenza delle Linee Guida nazionali: i procedimenti regionali ………………………….. 171 4.1. I c.d. provvedimenti di moratoria …………………………………. 172 4.2. Il contingentamento della potenza massima autorizzabile e la fissazione di un numero massimo di impianti installabili ……………………… 176 4.3. La localizzazione degli impianti ……………………………………. 178 4.4. Le misure compensative …………………………………………… 180 4.5. Le condizioni di accesso al mercato ………………………………... 184 4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di DIA …… 186 5. Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali …………….. 195 5.1. Situazione attuale ………………………………………………….. 197 6. Considerazioni di sintesi …………………………………………...… 202 CAPITOLO III Il sistema di incentivazione e promozione delle energie rinnovabili 1. Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili……………………………………………………………… 207 1.1. L’attività di incentivazione …………………………………………. 212 1.2. La natura giuridica di incentivo……………………………...……… 226 2. Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili ………....... 234 2.1. La tariffa CIP 6/92 ………………………………………………… 237 2.2. I certificati verdi …………………………………………………… 242 2.3. La tariffa omnicomprensiva ………………………………………... 252 2.4. Il Conto Energia …………………………………………………… 254 2.4.1. Il primo Conto Energia ……………………………………. 255 2.4.2. Il secondo Conto Energia………………………………….. 256 II 2.4.3. Il terzo Conto Energia …………………………………….. 2.4.4. Il quarto Conto Energia …………………………………… 2.4.5. Il quinto Conto Energia …………………………………… 2.5. Il nuovo sistema delle aste ………………………………………… 2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro dedicato …………………………… 257 258 261 264 268 3. Criticità dell’attuale sistema di incentivazione ……………………… 272 3.1. La lesione del principio del legittimo affidamento come corollario della mancanza di certezza normativa: il particolare caso del fotovoltaico in Italia ……………………………………………………………….. 277 4. Analisi comparata: l’esperienza spagnola e tedesca ………………... 292 4.1. Spagna …………………………………………………………….. 294 4.2. Germania …………………………………………………………. 300 5. Considerazioni di sintesi …………………………………………….. 307 Conclusioni ……………………………………………………………… 311 Bibliografia ………………………………………………………………. 321 III IV INTRODUZIONE Una società, per sua stessa natura, tende inevitabilmente ad un sempre maggiore sviluppo economico, per garantire più elevati standard di qualità della vita ai suoi consociati. L’energia, senza dubbio, rappresenta uno dei fattori fondamentali in grado di assicurare la competitività dell’economia e la qualità della vita di una popolazione. Essa, infatti, costituisce una fonte di sviluppo essenziale per l’essere umano: la fruizione dei servizi energetici di base rappresenta l’elemento cardine per migliorare notevolmente la qualità della vita della popolazione, che necessita di energia per usufruire di scuole, di strutture ospedaliere, nonché per il riscaldamento degli edifici e per la conduzione delle attività imprenditoriali. L’interesse alla produzione di energia ha quindi assunto, da sempre, carattere primario nell’ambito della politica energetica del nostro Paese, anche considerato che il contributo effettivo delle risorse energetiche nazionali sono sempre state assai ridotte rispetto al fabbisogno energetico complessivo. Invero, le politiche energetiche sono state per molto tempo, e in parte sono ancora oggi, dettate dalle esigenze dell’offerta; sono cioè state concepite senza tenere in debito conto delle reali necessità dei consumatori. Fino ad un passato recente, infatti, il progressivo aumento della richiesta di energia è sempre stato assunto come un dato di fatto e non è stata messa in discussione l’inefficienza con cui le sempre crescenti quantità di energia venivano utilizzate; né l’appropriatezza delle forme di energia utilizzate, né tantomeno il fatto che alcuni obiettivi di sviluppo potevano essere raggiunti ugualmente utilizzando un numero minore di risorse o, addirittura, evitando l’uso di qualsiasi tecnologia energetica attiva. Tale processo di perseguimento dello sviluppo economico, orientato alla mera soddisfazione di sempre nuove esigenze materiali dell’uomo, attraverso una produzione incontrollata di beni e servizi, ha tuttavia manifestato nel tempo serie criticità, soprattutto nel suo potenziale conflitto con aspetti di fondamentale rilevanza, primo tra tutti quello ambientale. È noto, infatti, come i processi di produzione dell’energia e lo sfruttamento indiscriminato delle fonti energetiche tradizionali abbiano comportato gravi rischi sia in termini di danni nei confronti dell’ambiente (come ad esempio la drastica riduzione delle risorse naturali primarie), sia nei confronti della salute (in termini di inquinamento atmosferico). 1 È diventata pertanto opinione condivisa che lo sviluppo economico di una società debba avvenire attraverso tempi e modalità compatibili con la conservazione delle risorse ambientali. Così, il valore della conservazione dell’ambiente, delle condizioni di vita, della stessa salvezza del pianeta ha assunto una progressiva rilevanza nella scala degli interessi da tutelare e ha posto un limite al valore dello sviluppo economico, mettendo altresì in luce come la crescita, intesa come aumento della produzione di beni e servizi – che fino in tempi recenti, è stata considerata e vissuta come un processo in grado di generarsi da sé – si possa, ad un certo punto, indebolire e addirittura arrestare. In tale contesto, l’apprezzamento degli interessi nel settore energetico si è reso, allora, sempre più complicato nel tentativo di trovare una mediazione tra le esigenze della salubrità ambientale, da un lato e quelle della conservazione dei livelli di sviluppo economico, dall’altro. Vivace e talvolta aspro è stato il dibattito tra coloro che hanno osteggiato l’incremento del fabbisogno energetico, ponendo l’accento sui rischi e sui pericoli per la salute umana e per le condizioni ambientali, e quelle forze istituzionali e non che, pur facendosi carico dei suddetti problemi, si sono richiamati alla necessità di assicurare alla collettività nazionale delle condizioni di sviluppo al passo con l’evoluzione tecnologica e con il progresso dei Paesi più avanti sul piano industriale. D’altronde, queste due forze direttrici si confrontano anche sul piano del nostro ordinamento costituzionale. Se da un lato, infatti, l’interesse alla produzione di energia e il connesso interesse allo sviluppo economico ed industriale del Paese trovano diretto riscontro nell’articolo 41 della Costituzione; dall’altro, non vi è dubbio che, pur in mancanza di un’affermazione generale e solenne, esistano diverse norme che, direttamente o indirettamente, si richiamano ai valori ambientali. Basti pensare all’articolo 9, comma 2, della Costituzione nella parte in cui prescrive che «la Repubblica tutela il paesaggio» e all’articolo 32 che tutela «la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività»; articoli che oramai ricevono da diversi anni il massimo dell’attenzione e dispiegano tutta la loro forza espansiva. Prescindendo dal problema se il nostro ordinamento consideri l’ambiente come unitario centro di riferimento di valori molteplici, fruibili collettivamente o 2 individualmente dai cittadini, o se la tutela sia invece puntuale, riferita cioè a particolari aspetti e valori nei quali si manifesta, è comunque da sottolineare quella tendenza che ritiene che tutte le norme costituzionali sopra richiamate si prestino a dar vita ad una sorta di graduatoria degli interessi pubblici e privati di cui occorre tener conto non solo nell’esercizio della funzione legislativa, ma anche nell’ideazione ed attuazione di programmi di intervento sul territorio e sull’ambiente nei vari livelli di Governo. Nell’ambito del citato contemperamento degli interessi costituzionali, la salvaguardia del bene ambientale non va intesa però come valore assoluto e preminente rispetto alle concorrenti esigenze di tipo economico-produttivo; al contrario, la tutela ambientale accordata dalla Costituzione si ispira a una funzione di coordinamento, e non di conflitto, tra autorità e libertà, ponendosi appunto come esigenza di controllo dell’inquinamento, di sforzo progressivo di miglioramento territoriale e di mediazione delle esigenze collettive tra loro eterogenee. La stessa Corte costituzionale afferma che «in una società economicamente avanzata non si può attribuire alla tutela dell’ambiente una valenza assoluta, ossia tale da comportare la costante e permanente illiceità delle azioni (…) modificative dell’ambiente, proprio per la compresenza degli interessi relativi allo sviluppo economico, che essendo comunque sentiti come fondamento della comunità nazionale devono essere mediati e resi compatibili con l’ambiente stesso attraverso una delicata opera di conciliazione legislativa e amministrativa». Tutto ciò risponde, tra l’altro, al modello di Stato sociale fatto proprio dalla Costituzione che è un modello pluralista, che individua i vari complessi interessi pubblici e privati, ne affida la cura a diversi centri d’imputazione e ne disciplina i rapporti in chiave di confronto dialettico. Ad oggi, oramai non vi è dunque più dubbio che il modello di riferimento per ricostruire il conflitto tra le opposte esigenze di tutela dell’ambiente e realizzazione di attività di produzione di beni e servizi sia quello del bilanciamento. E proprio coerentemente a questa concezione si è affermata la formula dello «sviluppo sostenibile», nata appunto per sintetizzare la necessaria composizione fra le esigenze dello sviluppo e quelle dell’ambiente. 3 Tale concetto è stato ben espresso nella definizione proposta nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, secondo la quale «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni». Si tratta, in altri termini, di tener conto dell’utilizzo delle risorse del pianeta, per fare in modo di non intaccare un patrimonio comune in modo eccessivo, o addirittura irreversibile, e per consentire anche a chi verrà dopo di noi di poterne usufruire. In tempi recenti, l’attuale crescente sfruttamento delle fonti fossili di energia e l’andamento sempre più preoccupante dell’inquinamento ambientale hanno messo in evidenza la difficoltà di avvicinarsi a uno sviluppo di questo genere. Per un verso, infatti, l’aumento della popolazione del nostro pianeta è destinata a generare un notevole incremento della domanda globale di energia; per altro verso, però, a tale domanda non è possibile fare fronte con le risorse energetiche di tipo tradizionale attualmente utilizzate, posto che la grande maggioranza di esse derivano da combustibili fossili, che sono esauribili e inquinanti. In particolare, per il petrolio e il gas si sono già manifestati problemi di scarsità, aggravati oltre tutto dalla particolare collocazione geografica delle risorse residue, distanti dai centri di consumo e concentrate in zone politicamente a rischio. Il carbone, invece, è il combustibile fossile più abbondante ma anche quello che, a parità di resa energetica, produce più anidride carbonica degli altri. In tale contesto, tenuto conto che l’utilizzo dei combustibili fossili non può essere illimitato e l’ambiente ha una capacità finita di assorbire i rifiuti prodotti dall’attività economica, appare chiaro allora l’enorme rilievo strategico che assumono le fonti energetiche c.d. rinnovabili, in quanto esse possono rappresentare una possibile soluzione al problema del consumo delle risorse energetiche e dell’inquinamento ambientale, nonché alla questione della sicurezza energetica degli Stati. Le fonti c.d. rinnovabili sono quelle forme di produzione di energia che, nella versione più pura, utilizzano gli elementi primordiali: il sole, l’aria, l’acqua, i vegetali nella loro condizione naturale senza processi di trasformazione tali da determinare inquinamento e/o il consumo della materia. Si tratta, pertanto, di 4 forme di produzione energetica per le quali il problema della composizione con il valore ambientale non esiste o è comunque particolarmente attenuato. Attraverso il ricorso alle fonti di energia alternativa, infatti, la tutela ambientale perde quella connotazione oppositiva rispetto allo sviluppo economico, che la rendeva, per certi versi, un limite alla crescita economica. Al contrario, le fonti rinnovabili perseguono, attraverso la riduzione delle emissioni nocive e il contrasto ai cambiamenti climatici, un interesse non più conflittuale, ma anzi convergente con quello della tutela ambientale. In tale contesto, energia e ambiente, pur trovandosi in una posizione di naturale antagonismo, riescono a comporsi perfettamente, sintetizzandosi nella formula dello sviluppo sostenibile: l’interesse ambientale al contenimento delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dalla produzione energetica e l’interesse allo sviluppo economico sottostante alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici si coniugano agevolmente, favorendo lo sviluppo delle fonti energetiche con uno scarso, o pressoché nullo, impatto ambientale. Ciò spiega, allora, l’incrementarsi negli ultimi decenni delle politiche di sostegno e di incentivazione a favore di queste fonti di energia alternativa. Scopo del presente lavoro di ricerca è quello di enucleare le politiche pubbliche assunte nel settore e valutarne la loro idoneità a raggiungere gli obiettivi che le stesse, su impulso del diritto comunitario, si sono prefissate, ovvero sia l’incremento della produzione di energia alternativa e il conseguente miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta. L’insieme delle regole e delle misure di promozione e sviluppo sono state elaborate sia a livello nazionale che sovranazionale. Nel primo capitolo cercheremo di ricostruire l’intera disciplina giuridica della materia, partendo dal livello comunitario fino ad arrivare a quello nazionale, dando anche atto dell’attuale ripartizione di competenze tra i vari di livelli di Governo, ed in particolare di quello regionale. Lo sforzo ricostruttivo – seppur necessario nell’ambito di un contesto normativo e regolamentare alquanto disorganico e non coordinato – non è fine a se stesso, ma è funzionale a porre le questioni di cui si tratterà specificatamente nei capitoli successivi, con il tentativo di trarne anche alcune considerazioni utili. 5 In particolare, nell’ambito dei procedimenti autorizzatori previsti per l’installazione degli impianti ad energia alternativa, saranno oggetto di specifico approfondimento gli istituti di semplificazione – nel secondo capitolo – e gli strumenti di incentivazione – nel terzo capitolo – introdotti dal Legislatore italiano al fine di ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera e rendere più competitive le fonti di energia alternativa rispetto a quella convenzionale. Infine, sarà effettuata un’analisi comparata con altri Paesi dell’Unione europea, soggetti come l’Italia all’adempimento degli obblighi comunitari in materia, allo scopo di verificare l’effettiva sostenibilità e l’efficacia delle scelte operate nel nostro ordinamento, e nell’intento di trovare la c.d. best practice, in grado di stimolare l’effettivo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili nel nostro Paese. 6 CAPITOLO I La disciplina giuridica delle fonti energetiche rinnovabili SOMMARIO: 1. La politica energetica comunitaria 1.1. Gli interventi comunitari nella lotta al cambiamento climatico: dal Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-2020» 1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia alternativa 2. L’energia nell’ordinamento giuridico italiano 2.1. L’avvento della Costituzione 2.2. Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali 2.3. Le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10 2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del mercato energetico 3. Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in materia di energia 3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del titolo V della Costituzione 3.2. La riforma del titolo V della Costituzione 4. La disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili 4.1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 4.1.1. Le Linee Guida nazionali per la promozione delle energie rinnovabili 4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 5. Gli strumenti di pianificazione energetica 5.1. La Strategia energetica nazionale 5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili 6. Considerazioni di sintesi. 1. La politica energetica comunitaria. Sin dalla nascita del fenomeno comunitario, l’energia ha costituito una priorità della Comunità, prima, e dell’Unione europea, oggi: basti pensare che già due delle tre Comunità europee – Ceca ed Euratom – riguardavano, infatti, l’energia. L’energia, inoltre, è una merce ed è quindi, in astratto, soggetta pure alla prima delle libertà fondamentali previste nel Trattato CE1. In realtà, per molto tempo, i mercati energetici degli Stati membri sono rimasti del tutto immuni da ogni forma di contaminazione derivante dalle norme relative al mercato comune, essendo generalmente organizzati secondo modelli monopolistici pubblici, gestiti cioè da imprese di proprietà degli Stati membri. Se, infatti, da un lato, i due Trattati istitutivi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM o CEEA), riguardavano in modo preminente i settori energetici del Sulla libertà di circolazione delle merci, vedi CARTABIA M., La costituzione del mercato comune, in CARTABIA M. – WEILER J.H.H., L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, 241 ss. 1 7 carbone e dell’energia nucleare, assegnando direttamente all’amministrazione comunitaria ampie funzioni di intervento; dall’altro, però, il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) non recava, almeno originariamente, alcuna specifica previsione per l’energia intesa in senso generale, relativamente cioè a quei comparti energetici non contemplati nei Trattati speciali. Le ragioni di questa mancata previsione erano varie: la complessa struttura dei rapporti commerciali tra i Paesi europei e i Paesi produttori di petrolio, l’estrema asimmetria degli assetti ordinamentali interni ai singoli Stati membri, le differenti scelte in merito alle tipologie di fonti di approvvigionamento, nonché il fatto che il problema della scarsità delle risorse energetiche non era, all’epoca del Trattato di Roma, nel 1957, un argomento di attualità2. Solo di recente, infatti, seppur nell’ambito di un processo tuttora incompiuto, l’Unione europea ha adottato norme di armonizzazione in chiave di liberalizzazione3 idonee a rivoluzionare largamente, seppur non esclusivamente, i mercati energetici europei4. Invero, l’esigenza di elaborare una politica energetica comune a livello europeo si è manifestata chiaramente all’indomani della crisi petrolifera del 1973, che ha rilevato in modo drammatico il problema della dipendenza energetica dell’Europa dall’estero5. Tale contingenza ha dato impulso all’approvazione, alla Per una ricostruzione delle evoluzioni comunitarie nel campo dell’energia, AICARDI N., Energia, in CHITI M.P. – GRECO G. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007. Si veda anche NAPOLITANO G., L’energia elettrica e il gas, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003. 3 La liberalizzazione del mercato dell’energia è ancora in una fase critica, sotto vari profili. Lo sviluppo di un mercato europeo integrato ed effettivamente competitivo è ostacolato dalle differenti discipline adottate dagli Stati membri con riguardo, ad esempio, ai poteri delle autorità di regolamentazione (che appaiono in generale insufficienti rispetto all’obiettivo di instaurare reali meccanismi concorrenziali), alle regole che disciplinano le reti, ai livelli di indipendenza dei loro gestori. Senza considerare che il processo di privatizzazione è ancora in itinere ed è tutt’altro che simmetrico nei vari ordinamenti degli Stati membri. Del resto il Libro Verde sull’energia testimonia la perdurante assenza di una strategia europea unitaria in questo campo. Sul punto, MUNARI F., Il nuovo diritto dell’energia: il contesto comunitario e il ruolo degli organi europei, in Il diritto dell’Unione Europea, 2008, 881 s. 4 V. MUNARI F., op.cit., 881 s. 5 Sotto questo aspetto le crisi energetiche internazionali sono state salutari perché hanno fatto emergere la consapevolezza dell’importanza, nell’interesse generale, di poter contare su una politica energetica comune e coordinata, tesa a ridurre la dipendenza dall’estero, garantire la 2 8 metà degli anni Settanta, di alcune risoluzioni del Consiglio6, alle quali si fa convenzionalmente risalire l’avvio della politica energetica comunitaria. In quegli anni viene varato il primo Piano della CEE di obiettivi decennali, finalizzato a ridurre la dipendenza della Comunità dall’energia importata7 ed a garantire un approvvigionamento sicuro e durevole, nel rispetto della protezione ambientale e a condizioni economiche soddisfacenti8. Gli obiettivi fissati nel decennio 1975-1985 furono sostanzialmente raggiunti – per una serie di circostanze fortunate difficilmente ripetibili9 – e venne così dato impulso alla predisposizione di un ulteriore Piano energetico decennale per gli anni 1985-199510. Quest’ultimo Piano presenta una linea strategica innovativa e di fondamentale importanza rispetto al Piano decennale precedente: da una filosofia monistica, basata prevalentemente sull’aspetto «esterno» per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico della Comunità, si passa ad una filosofia sicurezza dell’approvvigionamento, liberalizzare i mercati nazionali dell’energia abolendo i monopoli legali e di fatto e, soprattutto, facendo accrescere il convincimento che la «dimensione geopolitica dei problemi energetici» è fondamentale, per cui la cooperazione energetica internazionale multilaterale non può essere considerata un’opzione, anche se rilevante, ma diventa un’imprescindibile necessità. Cfr. BASTIANELLI F., La politica energetica dell’Unione europea e la situazione dell’Italia, in La Comunità internazionale, III, 2006, 443 ss. 6 Il primo esempio di politica energetica comunitaria risale al Consiglio europeo di Parigi del dicembre 1972 e alla risoluzione adottata dal Consiglio il 17 settembre 1974 su «una nuova strategia per la politica energetica della Comunità» e alla risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1974 su «Obiettivi per il 1985 della politica energetica comunitaria». 7 Si puntava a ridurre le importazioni globali di energia della Comunità dal 61% del 1973 al 50% del 1985. Per ridurre le importazioni, il Piano puntava a modificare la struttura del consumo di energia intensificando l’uso dell’elettricità di derivazione nucleare, mantenendo costante il livello della produzione di carbone e sviluppando la ricerca e la produzione di gas naturale comunitario. Ultimo aspetto, particolarmente qualificante, consisteva nel ridurre le importazioni di petrolio comunitario da Paesi terzi da 640 milioni di tonnellate a 540 milioni di tonnellate. 8 Per raggiungere gli obiettivi del Piano decennale ci si fonda su tre principi: gli obiettivi energetici comunitari dovevano costituire una serie di «elementi quantificati», cioè di punti di riferimento per la politica energetica a lungo termine per i Governi, le imprese e i cittadini della Comunità; gli obiettivi vengono previsti da una risoluzione del Consiglio che, quindi, non ha carattere vincolante per i destinatari; gli obiettivi prevedono la cooperazione a livello internazionale per risolvere i problemi energetici sia con i Paesi produttori, sia con quelli consumatori, operando all’interno dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. V. BASTIANELLI F., op. cit., 443 ss. 9 Lo sviluppo dei giacimenti di idrocarburi situati nella piattaforma continentale inglese e olandese, la realizzazione del programma di installazione delle centrali elettronucleari in Francia. 10 Cfr. risoluzione del Consiglio del 16 settembre 1985 su «Linee direttrici per le politiche energetiche degli Stati membri». 9 dualistica che abbina l’aspetto «esterno» alla realizzazione del mercato interno dell’energia (aspetto «interno») inteso come riduzione e, possibilmente, eliminazione di tutti quegli ostacoli che si erano riscontrati nel decennio precedente, quali importanti differenze di prezzo, marcate differenze tra regimi fiscali, indisponibilità di fonti energetiche da porre in concorrenza non solo all’interno di ogni singolo Stato membro, ma nell’intera Comunità11. Tuttavia, il secondo Piano decennale, a differenza del primo, fallì clamorosamente. Le ragioni del fallimento sono rinvenibili in diversi fattori e, tra questi, in primis, nell’inadeguatezza dello strumento utilizzato. La risoluzione, infatti, che altro non è che la manifestazione di volontà politica comune agli Stati membri, non è un atto vincolante e, in quanto tale, non può imporre obblighi ai destinatari. Il rispetto da parte degli Stati membri degli obiettivi comuni così fissati restavano, dunque, asseverati a vincoli di carattere eminentemente politico, data l’assenza di meccanismi giuridicamente formalizzati di concertazione e di cooperazione tra Stati e Comunità in materia energetica12. Il fallimento del secondo Piano decennale segna, pertanto, anche la fine di azioni in materia di politica energetica basate su previsioni aleatorie, sul raggiungimento di obiettivi qualitativi e quantitativi per singole fonti energetiche, nonché sull’impossibile coordinamento «spontaneamente convergente» delle singole politiche energetiche nazionali in assenza di una struttura comunitaria centralizzata di programmazione e controllo. Nel 1992, con l’adozione del Trattato di Maastricht, che ha inserito tra le attribuzioni della CE anche l’adozione di «misure in materia di energia», si realizza, invece, definitivamente, il riconoscimento espresso di una generale competenza comunitaria in materia energetica. V. BASTIANELLI F., op. cit., 443 ss. Sono state, infatti, soprattutto le marcate differenze di strategia e di comportamento in politica energetica adottata dai più importanti Stati membri, oltre alla differenza tra chi aveva raggiunto l’autosufficienza energetica e gli altri Stati che, a vario livello, erano più o meno dipendenti dalle importazioni di energia, a determinare il fallimento del secondo Piano energetico comunitario e ad ostacolare la realizzazione di una politica energetica comunitaria attraverso strumenti adeguati. 11 12 10 Ad una tale esplicita previsione consegue anche un mutato approccio delle istituzioni comunitarie sulla materia, al punto che l’azione comunitaria, andando oltre i fini di coordinamento delle politiche nazionali, si orienta anche verso la definizione di obiettivi da perseguire direttamente, mediante atti vincolanti sia di natura normativa che amministrativa13. In verità, la Commissione aveva redatto un progetto di capitolo, denominato «Energia», da inserire nel Trattato di Maastricht, che venne però ritirato sia per la constatazione della mancanza di consenso politico, sia a causa dell’insufficiente dibattito all’interno delle istituzioni comunitarie e delle organizzazioni sociali ed economiche dell’Unione. Tuttavia, nonostante basi giuridiche incerte e incomplete nei Trattati, viene comunque dato impulso alla realizzazione del mercato interno dell’energia attraverso un primo pacchetto di direttive14, orientate alle politiche di liberalizzazione nei mercati dell’energia. In questa prima fase, il processo di liberalizzazione ha avuto un iter lungo e contrastato, a causa del non facile accordo politico, raggiunto poi su soluzioni di compromesso, di fatto attenuate rispetto all’originaria portata liberalizzatrice delle proposte della Commissione15. Al fine, quindi, di rilanciare la liberalizzazione del settore, peraltro sollecitata anche nel quadro della cd. «strategia» di Lisbona (che menzionava l’accelerazione della liberalizzazione nei settori dell’energia elettrica e del gas tra le riforme economiche finalizzate al conseguimento di un mercato interno completo e V. AICARDI N., op.cit., 92. A testimonianza di questo nuovo approccio si vedano i seguenti documenti programmatici della Commissione: Libro Verde per una politica energetica dell’Unione europea dell’11 gennaio 1995, che apre un vasto dibattito e un processo di consultazione anche sulla realizzazione del mercato interno dell’energia, allo scopo di garantire la libera circolazione del bene «energia» mettendo in competizione le varie fonti energetiche ovunque situate all’interno dell’Unione; e il Libro bianco una politica energetica per l’Unione europea del 13 dicembre 1995, che contiene proposte ufficiali di azione comunitaria per la realizzazione del mercato interno dell’energia, per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e per proteggere l’ambiente. 14 Per la liberalizzazione del mercato dell’elettricità (direttiva 96/92/CE del 19 dicembre 1996), per la liberalizzazione della ricerca e produzione di petrolio e di gas eliminando le restrizioni alle parità di accesso tra le imprese (direttiva 94/22/CE del 1° gennaio 1997, nota tra gli addetti come «direttiva licenze»), per la liberalizzazione del mercato del gas naturale (direttiva 98/30/CE del 22 giugno 1998). 15 V. AICARDI N., op.cit., 94. 13 11 pienamente operativo)16, l’Unione europea, a distanza di qualche anno, ha adottato un secondo pacchetto di direttive17, che recano una disciplina complessiva dell’organizzazione e del funzionamento dei settori dell’energia elettrica e del gas, incentrata su più interessi pubblici, anche diversi dalla concorrenza18. Nel marzo 2006, la Commissione ha poi presentato un Libro verde volto a delineare «una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura», con l’intento di collocare l’energia al centro dell’azione comunitaria. In questo contesto si inscrive anche il terzo pacchetto normativo19, predisposto dalla Commissione nel settembre 2007 e approvato dal Consiglio e dal Parlamento nel luglio 2009. Le misure normative ivi contenute mirano a realizzare quel mercato unico europeo aperto e integrato che i precedenti provvedimenti non erano riusciti a conseguire, al fine di rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell’Unione europea. Oggi, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stipulato a Lisbona, le basi normative per l’intervento comunitario diventano più forti. Sebbene infatti la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile figuravano già tra gli obiettivi dei precedenti Trattati, il Trattato di Lisbona ne dà una definizione più precisa e rafforza l’azione dell’Unione europea in questi campi. Si afferma espressamente che l’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nel settore dell’energia (art. 4). In conseguenza di ciò, nel titolo XXI20, compare una norma specificamente intestata alla materia Si vedano le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, punto 17. 17 La direttiva 2003/54/CE per completare la liberalizzazione del mercato interno dell’elettricità in tutti i comparti (generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura dell’energia elettrica); la direttiva 2003/55/CE del 26 giugno 2003 per completare la liberalizzazione del mercato interno del gas naturale in tutti i comparti (trasporto, distribuzione, fornitura e stoccaggio del gas naturale). Entrambe le direttive abrogano le due precedenti del 1996 e del 1998. 18 V. NAPOLITANO G., La politica europea per il mercato interno dell’energia e il suo impatto sull’ordinamento italiano, in Federalismi.it, 4, 2012. 19 Cfr. regolamento n. 713/2009 che istituisce un’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia, direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE in materia di energia elettrica e gas naturale, e regolamenti n. 714/2009 e n. 715/2009 in materia di accesso alla infrastrutture di trasmissione-trasporto. 20 Cfr. art. 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). 16 12 dell’«energia» (art. 194 del TFUE), che dispone che «nel quadro dell’instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente», la politica dell’Unione nel settore dell'energia, «in uno spirito di solidarietà tra Stati membri», persegue quattro obiettivi fondamentali. In primo luogo, l’Unione europea mira a «garantire il funzionamento del mercato dell’energia». La previsione costituisce una forte copertura per l’adozione di norme volte a conformare l’assetto dei mercati nazionali, le modalità di gestione di reti e infrastrutture, nonché l’assetto istituzionale degli organismi nazionali ed europei chiamati ad assicurare la concorrenza e la tutela dei consumatori. In secondo luogo, la politica europea ha come scopo quello di «garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione». Ciò giustifica sia la definizione in via regolamentare di meccanismi e clausole di salvaguardia, sia l’assunzione di iniziative diplomatiche e negoziali nei confronti di Paesi terzi. In terzo luogo, l’Unione europea intende «promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili». Si rafforza così l’ambito di influenza che l’Unione può esercitare rispetto allo sviluppo di fonti alternative. In quarto luogo, spetta all’Unione «promuovere l’interconnessione delle reti energetiche». Ciò consente di sviluppare le misure di coordinamento tra i gestori delle reti di trasmissione introdotte con il terzo pacchetto e i relativi meccanismi istituzionali di controllo. Per conseguire l’insieme di questi obiettivi, il Parlamento europeo e il Consiglio possono adottare tutte le misure ritenute necessarie, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria. Chiarendo infine il contenuto prescrittivo del principio di sussidiarietà e il significato della competenza concorrente tra diversi livelli istituzionali, la norma precisa altresì che le misure in questione, in ogni caso, «non incidono sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico». L’introduzione di una specifica base normativa nei Trattati, che esplicita principi, obiettivi e ambiti esplicativi dell’intervento comunitario, pone le 13 premesse per nuovi e ulteriori sviluppi della politica energetica europea e per la ricerca di equilibri più avanzati tra competenze statali inderogabili e ambiti di cooperazione e integrazione sovranazionale. 1.1. Gli interventi comunitari nella lotta al cambiamento climatico: dal Protocollo di Kyoto al pacchetto «20-20-20». Nell’ambito della politica europea attinente al settore energetico, fin dalle prime risoluzioni in materia, grande rilevanza è stata riconosciuta al risparmio energetico e all’uso efficiente dell’energia, alla promozione delle energie rinnovabili e all’innovazione tecnologica21. Gli interessi sottesi alle azioni di intervento in questi settori erano, già allora, evidenti: la riduzione della dipendenza energetica dall’estero e il conseguente incremento della sicurezza dell’approvvigionamento, la diversificazione delle fonti energetiche, lo sviluppo dell’efficienza e della competitività dell’industria comunitaria, la promozione della concorrenza nel mercato comunitario dell’energia attraverso l’ingresso di nuovi operatori, nonché – soprattutto – la protezione dell’ambiente22. In particolare, emergeva forte la convinzione che, attraverso l’utilizzo delle fonti di energia alternativa, si potesse dar luogo ad una imponente riduzione delle emissioni nocive, necessaria nella lotta al Climate Change. Proprio in quest’ottica, infatti, il 4 febbraio 1991 il Consiglio ha autorizzato la Commissione a partecipare, a nome della Comunità europea, ai negoziati della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottata a New York il 9 maggio 1992. La Convenzione-quadro ha contribuito notevolmente alla definizione di principi-chiave in materia di lotta internazionale ai cambiamenti climatici, definendo in particolare il principio di «responsabilità La decisione dell’Unione europea di assegnare grande rilevanza alle politiche ambientali risale alla metà degli anni novanta, prima quindi che il Protocollo di Kyoto divenisse giuridicamente vincolante. V. MACCHIATI A., Le politiche contro il cambiamento climatico nell’Unione europea e in Italia, in MACCHIATI A. – ROSSI G., La sfida dell’energia pulita. Ambiente, clima e energie rinnovabili: problemi economici e giuridici, Bologna, 2009. 22 V. AICARDI N., op.cit., 94. 21 14 comuni ma differenziate» e contribuendo ad una maggiore sensibilizzazione al problema dei cambiamenti climatici23. Durante la prima Conferenza, svoltasi a Berlino nel marzo 1995, le Parti contraenti della Convenzione hanno deciso di negoziare un Protocollo contenente le misure atte a ridurre le emissioni di gas a effetto serra24 nei Paesi industrializzati. È stato quindi adottato e sottoscritto, in data 7 dicembre 1997, il c.d. Protocollo di Kyoto, il quale prevede che ogni Parte contraente, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, «deve applicare e/o elaborare politiche e misure, in conformità alla sua situazione nazionale», come ad esempio, il «miglioramento dell’efficacia energetica in settori rilevanti dell’economia nazionale» e la «ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e innovative compatibili con l’ambiente»25. A tal fine, i Paesi industrializzati firmatari (i c.d. Paesi annex I26) si impegnano a ridurre entro il periodo 2008-2012 le proprie emissioni di gas a effetto serra del 5,2% rispetto ai livelli rilevati nel 1990. Il Protocollo di Kyoto, che fa seguito alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è sicuramente il primo documento importante in materia di promozione e sviluppo di fonti di energia rinnovabile. Esso, infatti, rappresenta la normativa principale, a livello internazionale, contenente alcune prescrizioni volte all’incremento dello sfruttamento delle fonti La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata nel 1992, è il primo strumento normativo internazionale dedicato alla lotta globale ai cambiamenti climatici. E’ stata ratificata dalla Comunità europea con decisione 94/69/CE del 15 dicembre 1993 e dall’Italia con legge 15 gennaio 1994, n. 65. 24 La categoria dei gas a effetto serra è costituita dall’anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluoro carburi, per fluorocarburi, esafluoruro di sodio. 25 Cfr. art. 2, comma 1, del Protocollo di Kyoto. 26 Con l’espressione Paesi Annex I ci si riferisce ai Paesi industrializzati come identificati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (1992) ed elencati nell’Annex I della Convenzione stessa. L’elenco include i Paesi OCSE e i Paesi con economia in transizione. Il testo del Protocollo di Kyoto si riferisce a tali Paesi come Paesi Annex I, e li riprende nell’Annex B, all’interno del quale sono indicati i tetti di emissioni assegnati a ciascun Paese. I due elenchi si differenziano in quanto l’Annex I alla Convenzione include anche Bielorussia e Turchia, che non sono invece inserite nell’Annex B poiché non hanno ratificato il protocollo. 23 15 energetiche rinnovabili, nell’ottica di una lotta al cambiamento climatico attraverso la limitazione delle emissioni nocive nell’atmosfera. La Comunità europea ha firmato il protocollo il 29 aprile 1998 e con decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002, il c.d. burden sharing agreement, il Protocollo è stato approvato a nome della Comunità ed è stato fissato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per gli Stati membri pari all’8% per il periodo 2008-201227. Al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni, con direttiva 2003/87/CE è stato istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni nocive, denominato emission trading system – ETS28, che affianca all’emission trading previsto su scala globale un mercato delle emissioni su scala europea.29 La direttiva del 2003 lascia, però, ampia discrezione agli Stati membri, i quali possono fissare il metodo di allocazione e il volume di emissioni per i singoli Questo obiettivo riguarda gli Stati che erano membri prima del 2004. Gli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea dopo questa data si impegnano a ridurre le loro emissioni dell’8%, ad eccezione della Polonia e dell’Ungheria (6%) e di Malta e Cipro che non figurano nell’allegato I della Convenzione quadro. L’Italia, in quanto Paese incluso nell’allegato I della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e nell’allegato B del Protocollo di Kyoto, ma anche in quanto membro dell’Unione europea, ha un obbligo vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra pari al 6,5% rispetto ai livelli del 1990 come media del periodo 2008-2012. Se, però, dal punto di vista del diritto internazionale, bisogna considerare che l’impegno assunto con la Convenzione e il relativo protocollo di Kyoto è «filtrato» dall’accordo europeo burden sharing agreement ed è quindi difficile ipotizzare una sanzione diretta per l’Italia, in caso di sua inadempienza; dal punto di vista del diritto comunitario, invece, proprio in virtù della decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione e l’adempimento congiunto dei relativi impegni, la Commissione europea, qualora l’Italia risulti inadempiente agli obblighi assunti, ha competenza ad agire ed avviare la procedura d’infrazione di cui agli articoli 226 e 228 del Trattato. 28 Per l’Ets sono previste tre differenti fasi: la prima, sperimentale dal 2005 al 2007; la seconda, dal 2008 al 2012; per la terza fase, che va oltre il Protocollo di Kyoto, il Consiglio europeo di marzo 2007 ha fissato obiettivi ambiziosi e sono state introdotte significative novità nel corso del 2008. V. MACCHIATI A., op. cit., 15. 29 Tale direttiva è stata successivamente integrata dalla direttiva 2004/101/CE (c.d. direttiva linking), che ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint implementation e clean development mechanism) all’interno dell’Ets, stabilendo la validità dei criteri di emissione (ottenuti grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni. In seguito la direttiva 2003/87/CE è stata modificata dalla direttiva 2008/101/CE per l’inclusione delle attività di trasporto aereo nell’Ets. 27 16 impianti industriali e settori attraverso i Piani nazionali di assegnazione, da sottoporre alla approvazione della Commissione30. In questo modo si è venuto di fatto a delineare un sistema poco trasparente e molto politico, che non tiene conto delle differenze nei costi di abbattimento né, tantomeno, dei livelli di emissione. Inoltre, la libertà attribuita a ciascun Paese di fissare la quantità di permessi ha generato anche un sensibile problema di equità tra imprese di diversi Paesi31. Per tali ragioni, nel 2007, il Consiglio europeo ha siglato un accordo che si è successivamente declinato nel c.d. pacchetto clima – energia – ambiente «20-2020», poi successivamente integrato dallo stesso Consiglio nel 2008. Tale pacchetto di direttive mira al contestuale conseguimento, entro il 2020, dei seguenti obiettivi: 20% di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra rispetto al 1990; 20% di aumento delle energie rinnovabili sul consumo energetico globale dell’Unione Europea; 20% di aumento dell’efficienza energetica32. Il conseguimento di questi macro-obiettivi è stato affidato agli effetti sinergici di una pluralità di provvedimenti e azioni. Tra questi, la direttiva 2009/29/CE ha inteso perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra, con l’obiettivo di ridurne le emissioni del 21% nel 2020 rispetto al 2005. A tal fine si è prevista, a partire dal La direttiva ha previsto per la prima fase la partecipazione al sistema di scambio delle emissioni solo di alcuni settori (produzione di energia e settori energivori), in quanto le emissioni delle industrie escluse (non-trading sectors – Nts) sarebbero state di difficile quantificazione. Il metodo di assegnazione e quindi la distribuzione dei permessi deve essere coerente con il tetto (vedi gli articoli da 9 a 11 e l’annesso III della direttiva 2003/87). L’esecutivo di Bruxelles non poteva però imporre dei limiti minimi di quote da scambiare e lasciava ad ogni Paese la libertà di poter stabilire i target da attribuire ai singoli settori che partecipano al sistema di scambio delle quote. Gli impianti hanno il diritto di immettere l’equivalente di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente (la quota) in atmosfera nel corso dell’anno di riferimento; le imprese possono comprare o vendere i permessi; in particolare quelle che mantengono le emissioni sotto i limiti possono vendere i permessi mentre gli operatori che incontrano difficoltà nel rispettare i loro limiti possono scegliere tra adottare tecnologie più efficienti e comprare sul mercato i permessi di cui hanno bisogno. Qualora superino i limiti assegnati gli operatori sono tenuti al pagamento di excess emission penalty (40 euro per ogni tonnellata di CO2 nel periodo 2005-2007 e 100 euro nel periodo successivo). 31 V. MACCHIATI A., op.cit., 23. 32 V. MARRONI A., Pacchetto 20-20-20: principali elementi della direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, in Astrid-online.it, 25 febbraio 2009. 30 17 2013, l’introduzione di un sistema di aste per l’acquisto di quote di emissione, i cui introiti andranno a finanziare misure di riduzione delle emissioni e di adattamento al cambiamento climatico. Nell’ambito della ripartizione tra i diversi Stati dell’impegno per la riduzione delle emissioni nocive, per l’Italia si è assunto un obiettivo di riduzione al 2020 pari al 13%33, restando tuttavia garantiti alcuni gradi di flessibilità nei modi e nei tempi di conseguimento dei target intermedi, come ad esempio, la possibilità per gli Stati membri di utilizzare, nel corso di un anno, una parte delle disponibilità accordate per l’anno successivo, oppure di maturare «crediti» in corrispondenza di progetti realizzati in Paesi terzi, e l’ammissibilità al ricorso allo scambio dei diritti di emissione tra i diversi Stati34. 1.2. Le direttive comunitarie per la promozione dell’energia alternativa. Per il perseguimento degli obiettivi internazionali di riduzione delle emissioni climalteranti, la promozione dell’energia alternativa è stata individuata da subito come strumento utile e necessario. In tale ottica l’Unione europea, nella consapevolezza degli enormi benefici che avrebbe comportato un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabile nella produzione energetica, ha dunque messo in atto una strategia per lo sviluppo di quest’ultime, attuata mediante lo strumento delle direttive. La prima direttiva relativa alla promozione dell’elettricità prodotta da fonti di energia rinnovabile nel mercato interno è la direttiva 2001/77/CE, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 27 settembre 200135. Per la Germania l’obiettivo è del 14%, per la Spagna del 10%, per la Francia del 14% e per il Regno Unito del 16%. 34 V. MURATORI A., Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili: la nuova direttiva «unificata» 2009/28/CE, in Ambiente & Sviluppo, 8, 2009. 35 A tale direttiva l’Italia ha dato attuazione con il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, al cui art. 3 viene espressamente puntualizzato che le principali misure nazionali per promuovere l’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili, in quantità proporzionata agli obiettivi di cui alle relazioni previste dalla direttiva 2001/77/CE, sono costituite dalle disposizioni dello stesso d.lgs. n. 387 del 2003, dal d.lgs. 16 marzo 1999, n.79 e successivi provvedimenti attuativi, nonché dai 33 18 Tale direttiva, partendo dal presupposto che «il potenziale sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili è attualmente sottoutilizzato nella Comunità» (n. 1 dei considerando) e che il maggiore uso di elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili «è una parte importante del pacchetto di misure necessarie per conformarsi al Protocollo di Kyoto (n. 3), dichiara che essa «mira a promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato interno e a creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia» (art. 1), disponendo all’uopo che gli Stati si impegnino a porre in essere misure «appropriate atte a promuovere l’aumento del consumo di elettricità prodotta da fonti rinnovabili» (art. 3), dopo aver fissato «gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro» di quest’ultima in termini di percentuale del consumo di elettricità. La direttiva in questione pone come obiettivo di lungo termine quello di «rendere l’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili competitiva rispetto a quella delle fonti energetiche non rinnovabili, limitando anche le spese a carico dei consumatori e riducendo infine la necessità di un sostegno pubblico». A tal fine, la direttiva prevede che gli Stati membri si impegnino sotto diversi profili: in particolare, predisponendo periodicamente relazioni tese, da un lato, a stabilire gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili in termini di percentuale del consumo di elettricità e ad indicare le misure all’uopo necessarie; dall’altro, ad analizzare il raggiungimento di tali obiettivi, tenendo anche conto anche dei fattori climatici che potrebbero condizionarlo, nonché il grado di coerenza tra le misure e gli impegni nazionali sui cambiamenti del clima (art. 3). Inoltre, gli Stati membri debbono: far sì che l’origine dell’elettricità prodotta mediante fonti rinnovabili sia garantita come tale secondo criteri oggettivi e non discriminatori, riconoscendosi reciprocamente tale garanzia (art. 5); dopo aver provvedimenti assunti in attuazione della legge 1 giugno 2002, n. 120. Tale direttiva a seguito del c.d. III pacchetto clima-energia nel 2009 è stata poi abrogata dalla direttiva 2009/28/CE che, attualmente, rappresenta il principale atto normativo europeo in tema di promozione delle fonti rinnovabili. 19 valutato il quadro legislativo e regolamentare in materia, provvedere a ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione dell’energia in oggetto, razionalizzando e accelerando le procedure all’opportuno livello amministrativo (art. 6); assicurare che i gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione garantiscano la trasmissione e la distribuzione di elettricità prodotta da fonti rinnovabile, eventualmente anche prevedendo per questa un accesso prioritario alla rete (art. 7)36. Di recente, la direttiva 2009/28/CE – recante modifica e abrogazione della precedente direttiva – ha ribadito e integrato i contenuti della direttiva del 2001, indicando obiettivi obbligatori, soggetti a sanzioni, agli Stati membri e un preciso sistema di rendicontazione e di verifica dei risultati sulla traiettoria relativa alla promozione dell’energia da fonti rinnovabili fino al 202037. Tale ultimo intervento trae la propria legittimazione dall’art. 194 del TFUE che, al duplice fine di garantire il funzionamento del mercato interno e migliorare l’ambiente, conferisce all’Unione il potere di deliberare con procedura legislativa ordinaria per «promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili». Questa direttiva rappresenta, dunque, un passo fondamentale del percorso tracciato dalle istituzioni comunitarie nella strategia di promozione della generazione elettrica prodotta da fonti rinnovabili38. Essa dà corpo ad un organico quadro comune, a livello europeo, per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili: definisce gli obiettivi nazionali obbligatori di produzione, regola i progetti comuni tra gli Stati e i trasferimenti statistici fra di essi, impone una V. NICOLETTI F., Lo sviluppo e la produzione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili alla luce del d.lgs. 29 dicembre 2003, n.387, in Il diritto dell’economia, II, 2004, 370 ss. 37 Cfr. rapporto 2009 della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, L’Europa e le Regioni per lo sviluppo dell’energie rinnovabili, in Fondazionesvilupposostenibile.org, ottobre 2009. 38 Per una attenta disamina della direttiva si veda il contributo di POZZO B., Le politiche comunitarie in campo energetico, in POZZO B. (a cura di ), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Milano, 2009. 36 20 semplificazione del regime di autorizzazione all’installazione degli impianti e dell’accesso alla rete elettrica e definisce i regimi di sostegno da parte degli Stati39. Dal quadro normativo tracciato si desume l’obiettivo di creare una sufficiente certezza giuridica della disciplina del settore, indispensabile affinché le imprese possano godere di un clima di fiducia e garanzia tale da indurle ad investire in maniera razionale e duratura nel settore delle energie rinnovabili40. In termini di obiettivi, la direttiva 2009/28/CE conferma il target vincolante del 20% per la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili sul consumo energetico europeo41, ma la principale novità introdotta è rappresentata dalla circostanza che per la prima volta vengono individuati degli obiettivi vincolanti specifici per ciascun Stato membro. In particolare, la Commissione, nel tentativo di raggiungere la quota del 20% di energia da fonti rinnovabile, ha sviluppato una metodologia che mira a fissare per ogni singolo Stato membro un proprio obiettivo, tenendo conto della situazione di partenza, delle possibilità di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili, come anche del livello attuale dell’energie da fonti rinnovabili che chiaramente variano da uno Stato membro all’altro. La Commissione ha anche tenuto conto della situazione economica di ogni Stato membro ponderando l’obiettivo secondo il PIL. Con questa metodologia l’Italia si è vista attribuire una quota del 17%42. Inoltre, per evitare che il raggiungimento degli obiettivi sia rimandato al 2020, la direttiva ha anche previsto una traiettoria «indicativa» con dei punti di verifica nel 2012, 2014, 2016, 2018. Oltre l’obbligo di raggiungere il 20% delle fonti di energia rinnovabile entro il 2020, il grande punto di forza di questa direttiva sembra anche essere l’obbligo V. COCCONI M., Promozione europea delle energie rinnovabili e semplificazione, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, I, 2012, 25 ss. 40 A tale scopo, la direttiva mira a realizzare una maggiore semplificazione normativa, fondendo in un unico atto non solo la disciplina della materia precedentemente regolata dalle direttive sull’elettricità e sui biocarburanti, bensì anche il settore del riscaldamento e del raffreddamento degli edifici, non ancora disciplinato a livello europeo. 41 Insieme all’obiettivo del 10% per la quota di biocarburanti nei trasporti, che tutti i Paesi membri hanno l’obbligo di raggiungere. 42 Le quote variano da un minimo del 10% per Malta ad un massimo del 49% per la Svezia. 39 21 per ogni Stato membro di adottare un Piano di azione nazionale per l’energia da fonti rinnovabili. I Piani di azione nazionale, in linea con il principio di sussidiarietà, devono infatti fissare gli obiettivi nazionali per gli Stati membri per la quota di energia da fonti rinnovabili consumate nel settore dei trasporti, dell’elettricità, del riscaldamento e del raffreddamento entro il 2020. In questo modo gli Stati membri sono costretti a riflettere sui detti settori, identificando le aree e le energie più idonee a raggiungere in un modo economico il proprio obiettivo nazionale. Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2009/28/CE e dell’allegato VI, la Commissione ha adottato un modello per i Piani d’azione nazionali delineato nella decisione della Commissione europea C(2009)51742. L’obiettivo di questo modello è di guidare ed aiutare gli Stati membri nell’elaborazione dei propri Piani nazionali, assicurarne la completezza, permettere di paragonare i vari Piani tra loro e consentire alla Commissione di valutare la loro messa in opera. Gli Stati membri dovranno conformarsi al modello nella presentazione dei propri Piani d’azione, costringendoli pertanto ad essere meticolosi nel definire gli obiettivi, dal 2010 al 2020, per ogni anno ed ogni settore. Allo stesso tempo, gli Stati membri dovranno fornire informazioni dettagliate sui regimi di sostegno, le procedure amministrative nonché informazioni e formazione di supporto al raggiungimento degli obiettivi43. 2. L’energia nell’ordinamento giuridico italiano. L’energia non nasce come concetto giuridico, anzi, a dire il vero, prima di divenire «concetto», l’energia è un fenomeno esistente in natura che l’uomo ha scoperto da tempo e di cui ha avvertito con crescente intensità la singolare Nella consapevolezza, infatti, che una delle principali difficoltà della promozione delle energie fonti rinnovabili sono stati i troppi tasselli amministrativi che si incontravano ai vari livelli di potere, il modulo richiede anche che gli Stati membri presentino dettagliatamente quali misure prenderanno per rimuovere le barriere amministrative (obiettività, trasparenza, costi amministrativi ragionevoli, tempistica corta, etc.) Il ruolo di ogni livello di potere dovrà essere esplicitato affinché la Commissione possa con chiarezza determinare eventuali responsabilità in caso di persistenze di difficoltà amministrative. 43 22 importanza; sollecitando, così, l’attenzione del giurista verso quei meccanismi che presiedono alla sua esistenza, alla sua circolazione e utilizzo 44. Nel nostro ordinamento giuridico all’energia sono dedicate poche disposizioni. Tra le norme anteriori alla Costituzione, troviamo – oltre alle singole norme che disciplinano l’utilizzazione concreta di specifiche energie – tre disposizioni che si riferiscono all’energia in modo generale45. La prima, in ordine di tempo, si rinviene nel regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, concernente le norme generali in maniera mineraria. L’art. 1 assoggetta alla disciplina della legge, e quindi al regime giuridico delle miniere, le energie del sottosuolo. Le energie che si trovano allo stato puro nel sottosuolo sono le cosiddette forze endogene. Rilevante è che la norma, per le energie come per le sostanze minerali, richieda che siano «industrialmente utilizzabili», espressione che va intesa in senso generico, ma che si collega comunque ad un processo di trasformazione tecnica ed economica del bene46. Successivamente, considerata l’importanza cospicua che l’energia elettrica aveva assunto agli inizi degli anni ’30, si avvertì l’esigenza di una tutela penale dell’energia contro una sua utilizzazione abusiva. Così, l’art. 624 del codice penale ha stabilito, in conformità alla soluzione assolutamente dominante in dottrina e giurisprudenza, che «agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche la energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico»47. Non può sfuggire, al riguardo, la cautela adoperata dal Legislatore che, da un lato, non V. GENTILE G., Il diritto dell’energia, in GENTILE G. – GONNELLI P., Manuale di diritto dell’energia, Milano, 1994. 45 V. GUARINO G., Unità ed autonomia del diritto dell’energia, in ID., Scritti di diritto pubblico dell’economia, Milano, prima serie, 1962, 32 ss. 46 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 47 La sottrazione di energia costituisce perciò furto, essendo furto l’impossessamento della cosa mobile altrui. L’art. 624 c.p. concerne le sole energie che abbiano un valore economico. Tali sono tutte le energie artificiali, mentre le energie naturali acquistano valore economico solo se ridotte a quantità specifiche a mezzo di impianti. Una specificazione naturale si ha solo per le forze endogene, che fuoriescono in punti determinati del sottosuolo: sembra tuttavia che la sottrazione di tali energie comporti l’applicazione delle norme penali speciali, previste per la coltivazione non autorizzata, e non costituisca ipotesi di furto. Tenuto conto di ciò è da concludere che il presupposto per l’applicazione dell’art. 624 c.p. è la esistenza di impianti per la produzione o per la trasformazione quantitativa o qualitativa delle energie. V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 44 23 definisce propriamente l’energia come cosa, ma solo a tale stregua viene «considerata»; dall’altro, volutamente circoscrive l’ambito di qualificazione a quello penalistico48. Un decennio dopo, però, il Legislatore civile è chiamato a sua volta ad affrontare il problema e propone una propria definizione, alquanto generale. La norma civilistica si riallaccia a quella penalistica, riproducendone l’impostazione: «si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico» (art. 814 c.c.). Se, da un lato, sul piano dogmatico si manifesta il mutato termine di riferimento – da «cosa» a «bene» – che risente forse dell’approfondimento degli studi sull’oggetto del diritto; dall’altro, però, permane la volontà di non esporsi sull’effettiva natura dell’energia, atteso che anche in questo caso le energie non «sono» beni mobili, ma agli effetti giuridici si «considerano» tali49. Il r.d. n. 1443 del 1927, l’art. 624 c.p. e l’art. 814 c.c. hanno sicuramente il merito di delimitare l’ambito della materia, escludendo, tra l’altro, le cd. «energie naturali» e quindi, implicitamente, presupponendo sempre che vi sia un trattamento industriale dell’energia. Ma, al contempo, non possono considerarsi sufficienti per fondare una costruzione unitaria che comprenda l’intera regolazione positiva delle energie. Un notevole passo in avanti in questo senso si è compiuto con l’avvento della Costituzione, ed in particolare con l’articolo 43. 2.1. L’avvento della Costituzione. L’avvento della Costituzione e l’introduzione dell’articolo 43 segnano un mutamento di prospettiva rispetto all’ordinaria considerazione dell’energia quale V. GENTILE G., op.ult.cit., 30 ss. Si era discusso molto, a partire dagli inizi del secolo, se l’energia potesse considerarsi una cosa e se la sua somministrazione costituisse locazione di opere o somministrazione in senso stretto o altro negozio di tipo nuovo (si citano, tra gli altri, PIPIA, AZZARITI, BARASSI) o, secondo una tesi divenuta poi dominante, una vendita (si citano, tra gli altri, COLABATTISTA, CARNELUTTI). Con l’art. 814 c.c., il Legislatore, ai fini della disciplina giuridica, si è conformato all’opinione assolutamente prevalente tra i civilisti e sostenuta da tutti i penalisti che l’energia va giuridicamente trattata alla stessa stregua di un bene mobile. V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 48 49 24 bene suscettibile di apprensione e utilizzazione da parte dei privati50. Ciò che viene in evidenza è il marcato interesse pubblico che si riconnette alla materia e che si traduce in un penetrante intervento dei pubblici poteri nella gestione dell’energia51. La progressiva pubblicizzazione della materia in esame viene scandita, essenzialmente, dalla crescente consapevolezza circa l’importanza primaria dell’energia in rapporto alle esigenze di sviluppo economico e sociale del Paese, con la conseguente attenuazione dei profili più squisitamente privatistici52. D’altro canto, nel sistema economico italiano al tempo della Costituente, ancora molto chiuso agli scambi internazionali, la scarsità delle fonti energetiche era ritenuta con buona ragione argomento di estrema delicatezza. L’autosufficienza energetica non era possibile, ma andava perseguita in qualche misura, e la stessa dipendenza dall’estero doveva essere gestita53. In questo quadro, dunque, si inserisce l’art. 43 della Costituzione, che così recita: «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese e categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Il concetto base, di cui fa uso l’art. 43, è quello di «fonte di energia». Su tale concetto, molto controverso, si identificano le fonti nelle materie prime o almeno nelle materie prime raffinate direttamente utilizzate per la produzione di energia54. Ma in realtà, così intesa, la nozione avrebbe un carattere parziale poiché in molti V. LACRIOLA G. – MUCCI R., Sistema normativo, funzioni e interessi nel settore energetico, in CASSESE S. (diretto da), Il governo dell’energia, Rimini, 1992. 51 Tale carattere viene in evidenza non solo nella norma dell’art. 43 Cost., ma si esprime anche con riferimento ad altre norme della Costituzione (es. art. 41). V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. Non è revocabile in dubbio, secondo LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss., che il marcato interesse pubblico riconnesso alla materia si identifichi, in buona sostanza, con l’interesse alla produzione di energia. 52 V. LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss. 53 V. RANCI P., Concorrenza e servizi pubblici nella Costituzione, in DELLA CANANEA G. –NAPOLITANO G. (a cura di), Per una nuova costituzione economica, Bologna, 1998, 33 ss. 54 Si distinguerebbero le materie prime semplici (es. minerali uraniferi, petrolio) dalle materie prime fonti (materie fossili speciali, olio combustibile). V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 50 25 casi l’energia finale viene prodotta non dalla materia prima, e neanche dalla materia raffinata, ma da altra forma di energia55. Del pari sembra anche insufficiente considerare fonte la materia prima o la forma energetica di origine e non includervi anche l’impianto che svolge una funzione determinante per la produzione dell’energia finale. Per «fonte di energia» deve allora intendersi tutto ciò che concorre, in modo diretto e immediato, alla produzione di ciascun tipo di energia: fonti sono, perciò, le materie prime dalle quali l’energia sia direttamente ricavata, le forme di energia che siano trasformate in altre forme e gli impianti che producono energia sia dalle materie prime sia da altre fonti56. L’art. 43 della Costituzione sembra accogliere questa definizione, anzi, a ben vedere, sembra ampliarla, in quanto la norma non abbraccia solo le fonti, ma tutte le imprese che «si riferiscano» a fonti di energia. Appare quindi che, in assenza di particolare specificazione, qualsiasi elemento che concorra, con caratteri di funzionalità ed istituzionalità, alla utilizzazione dell’energia finale, sia sufficiente a provocare l’applicabilità della norma57. Un altro elemento di grande rilievo introdotto dalla norma costituzionale riguarda il diverso trattamento che la stessa riserva al settore delle fonti di energia rispetto agli altri settori nei quali può essere istituita la riserva operativa dello Stato. Quando, infatti, ci si riferisce ai «servizi pubblici essenziali», non si è in grado di predeterminare i campi nei quali l’attività deve svolgersi. La scelta in concreto dipende dalla politica economica e sociale perseguita dal Legislatore. Per es. l’energia elettrica non è un prodotto immediato dell’acqua o dell’olio combustibile, ma viene prodotta negli impianti idroelettrici dall’energia cinetica, negli impianti termoelettrici dall’energia termica. 56 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 57 I settori della ricerca e della coltivazione delle materie grezze (che non sono utilizzabili per la trasformazione diretta di energia), quelli dei trasporti e della raffinazione, nonché quello della distribuzione, che di per sé esulano dal concetto di fonte, devono quindi intendersi anche essi compresi nella disposizione costituzionale per questo distinto profilo. V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. Vedi sul punto anche CASSESE S., Legge di riserva e articolo 43 della Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, V, 1960, 1347, il quale sostiene che il fatto che la Costituzione dica che «si riferiscano (…) a fonti di energia» potrebbe indurre a ritenere che l’espressione trascenda la sola ipotesi della produzione e si presti a comprendere attività succedanee quali la distribuzione, il trasporto, l’importazione ed esportazione di «fonti di energia». Occorre comunque escludere che la formula possa riferirsi alla utilizzazione di energia poiché l’espressione «fonte di» sembra chiaramente contraria a tale interpretazione. 55 26 Invece, per ciò che concerne le imprese energetiche, esse sono assoggettate alla disciplina costituzionale, per il fatto di riferirsi alle fonti di energia. È, dunque, la materia a qualificare l’impresa e ad imporre la riserva pubblica58. Questa circostanza, d’altra parte, acquista un significato ancora maggiore laddove collegata all’altro elemento richiesto dall’art. 43: e cioè che le imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazione di monopolio, «abbiano carattere di preminente interesse generale»59. Secondo la dottrina maggioritaria60, infatti, l’uso della congiunzione «e» nel testo della norma, deve indurre a ritenere che l’appartenenza ad una delle tre categorie (servizi pubblici essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio) e l’interesse preminente costituiscano condizioni autonome entrambe necessarie. Se però, da un lato, l’essenzialità dei servizi pubblici ha un significato che sembra corrispondere a quello del preminente interesse generale61; dall’altro, è corretto ritenere che possano esistere imprese o categorie di imprese che, pur riferendosi a situazioni di monopolio o a fonti di energia, non presentano di per sé un preminente interesse generale. Sul punto, si veda però anche RANCI P., op. cit, 33 ss., il quale ritiene che, ad oggi, il richiamo contenuto nell’art. 43 alle fonti di energia tra le ragioni per un esproprio di imprese non ha più ragion d’essere, considerato che nei mercati integrati la fonte di energia può essere vista alla stregua di qualsiasi altra materia prima. Non è più chiaro, quindi, secondo l’Autore, perché le debba essere conservato un posto di tanto rilievo rispetto agli altri beni economici. Ritiene, invero, che il riferimento ai servizi pubblici sia più che sufficiente e che non vi sia oggi ragione per collocare riferimenti settoriali in un testo costituzionale. 59 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. 60 Sul valore della formula «carattere di preminente interesse generale», v. CASSESE S., op.cit., 1350. È stato sostenuto che questa formula non può servire a introdurre una ulteriore limitazione alla riserva perché il «preminente interesse generale» delle imprese soggette ad espropriazione risulta già implicito, in linea di massima, dalla loro necessaria appartenenza ad una delle tre categorie elencate, la cui scelta appunto si riporta alla considerazione di questa rilevanza (così, SPAGNUOLO VIGORITA). Altri ha invece sostenuto che la formula dei «fini di utilità generale» che debbono motivare l’atto di riserva «trascende» e supera il valore dell’espressione «preminente interesse generale» (così, MOTZO PIRAS, FOIS). Sembra tuttavia che debba preferirsi l’interpretazione letterale della norma: l’uso della congiunzione e suggerisce l’opinione che si tratti di un ulteriore requisito da aggiungersi agli altri. 61 La disposizione costituzionale prevede infatti la gestione diretta da parte dei soggetti tassativamente indicati dei soli servizi pubblici di preminente interesse generale i quali, a questo titolo, vengono considerati essenziali. 58 27 Unendo queste considerazioni a quelle già svolte in ordine al diverso trattamento del settore delle fonti di energia rispetto agli altri settori che il Legislatore può riservare alla mano pubblica, si deduce come, in base all’art. 43 Cost., il settore delle fonti di energia rappresenti l’unica materia nella quale la presenza di imprese di preminente interesse generale viene ritenuta indefettibile. Se è vero infatti che non tutte le imprese energetiche devono solo per ciò essere giudicate di preminente interesse generale, è altrettanto evidente che la contemporanea richiesta dei due requisiti (connessione con le fonti di energia e preminente interesse generale) sarebbe priva di senso, se non derivasse dalla consapevolezza del Legislatore costituente che la presenza della duplice condizione in questo campo rappresenta un dato storicamente accertato62. In questo senso, la legge mineraria del 1927, l’art. 624 c.p. e l’art. 814 c.c. presupponevano l’esistenza di una attività industriale di trasformazione e creazione dell’energia. L’art. 43 della Costituzione precisa, poi, che ci è sempre almeno qualche caso in cui tale attività è compiuta da imprese aventi un carattere di preminente interesse nazionale63. Inoltre, l’articolo 43 – rispetto alle precedenti disposizioni che formulavano un concetto generale dell’energia finalizzato però a disciplinare profili particolari (furto, regime della ricerca e della coltivazione della materia prima, individuazione dei contratti applicabili) – enuncia un criterio di organizzazione (gestione pubblica delle imprese di interesse generale) intorno al quale si può coordinare, in modo positivo, l’intera disciplina della materia e dal quale sembrano potersi ricavare i seguenti principi di ordine sistematico: una precisa delimitazione della materia; il riconoscimento di una pari rilevanza pubblicistica di tutte le attività che si V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. L’esistenza di tali imprese è l’elemento caratterizzante ed unificatore di questa branca del diritto, secondo GUARINO G., op.cit., 32 ss. Come il diritto bancario e quello delle assicurazioni si sono affermati definitivamente come branche autonome del diritto quando si è raggiunta una prospettiva istituzionale, quando cioè lo studio dei contratti bancari e di assicurazione è stato integrato dall’esame pregiudiziale della disciplina rispettivamente delle imprese bancarie e di assicurazione, allo stesso modo il diritto dell’energia si qualifica e si sistematizza attorno a questo nucleo essenziale e caratterizzante, rappresentato dalla necessaria presenza di imprese aventi un preminente interesse generale. 62 63 28 riferiscono alle fonti di energia; la previsione di una disciplina identica (trasferimento della gestione delle imprese in mano pubblica) da attuarsi, ove se ne verifichino i presupposti, indifferentemente in qualsiasi fase e per una qualsiasi forma di energia64. Secondo alcuni autori65, la riserva prevista dall’art. 43 in favore dello Stato o altro ente pubblico avrebbe per effetto da una parte l’imposizione di un divieto assoluto all’iniziativa privata di operare nel campo riservato e dall’altra l’assunzione da parte del soggetto pubblico del diritto alla titolarità dell’iniziativa. In altre parole, la riserva si riferirebbe sia alla riserva in senso stretto, sia alla riserva con contestuale assunzione di monopolio da parte dello Stato o di altro ente pubblico. Tale orientamento, tuttavia, prescinde da un’interpretazione sistematica66 della norma. Infatti, la stessa Costituzione, all’art. 41, comma 3, conferisce agli enti pubblici capacità di svolgere attività economica, mentre all’art. 42, comma 1, prevede che essi possano essere validamente proprietari di beni. Pertanto, non si comprende perché l’art. 43 dovrebbe conferire all’ente pubblico una capacità – quella di essere imprenditore – che esso ha già a più titoli.67 V. GUARINO G., op.cit., 32 ss. V. FOIS S., «Riserva originaria» e «riserva di legge» nei principi economici della Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, 1960, 487 ss.; PREDIERI A., Collettivizzazione, municipalizzazione e sindacato della Corte Costituzionale, in Giustizia civile, III, 1960, 57 ss. 66 Il ricorso all’interpretazione sistematica trova la sua giustificazione nell’esigenza di inquadrare ogni disposizione costituzionale nella configurazione generale della forma di Stato; a fortiori, tale approccio sembra necessario per le disposizioni costituzionali dedicate alla disciplina dell’economia che sono chiamate a svolgere quel compito attivo di trasformazione dell’assetto economico-sociale tipico delle costituzioni democratiche e finalizzato all’ampliamento delle opportunità di crescita e di realizzazione dei singoli. L’adozione dell’interpretazione sistematica mostra come assuma valore centrale, nella Costituzione italiana, la realizzazione di alcuni obiettivi quali l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale, della pari dignità sociale e, infine, della garanzia, oltre che della promozione, dei diritti sociali. Tutti questi obiettivi implicano l’applicazione della funzione redistributiva della ricchezza che da una parte prende la forma di benefici erogati dallo Stato, più o meno direttamente, mentre dall’altra provoca l’applicazione di «strumenti che si traducono in sacrifici di altre posizioni individuali: dalla forma classica del prelievo tributario alle altre forme di limitazione, di divieto, di vincolo, di regolazione di attività specie economiche». V. ANGELINI F., Costituzione ed economia al tempo della crisi, in Rivistaaic.it, 4, 2012. 67 Che la riserva abbia per effetto esclusivamente l’imposizione di un divieto, è dimostrato, tra l’altro, dall’analogia dell’art. 43 con l’art. 44, comma 1, Cost. E’ stato infatti osservato che per le terre è previsto dall’art. 44 un procedimento di riserva simile a quello dell’art. 43 Cost. L’art. 44 64 65 29 Sulla base di questa interpretazione sistematica delle norme costituzionali si può, dunque, affermare che effetto della riserva è l’imposizione di un divieto o di un limite all’attività di impresa, nel senso che essa impedisce che soggetti privati possano diventare titolari di una situazione giuridica soggettiva; cioè prescrive una mancanza di legittimazione alla situazione soggettiva di impresa di cui all’art. 41, comma 1, della Costituzione68. Se dunque gli enti affidatari dell’impresa oggetto di riserva, ne diventano titolari non per un’investitura ad hoc operata dall’atto di riserva, ma in virtù della capacità di diritto privato che essi hanno, occorre allora riconoscere che l’art. 43 non indica che alcuni passaggi di un procedimento di nazionalizzazione. Esso prevede la nazionalizzazione delle imprese, ma la regola solo in quanto si preoccupa di porre limiti e garanzie a quegli atti (riserva o trasferimento) che possano violare il principio – sancito dall’art. 41, comma 1, della Costituzione – che «l’iniziativa economica privata è libera». D’altronde l’art. 43, come anche affermato dalla Corte costituzionale, non va considerata come norma isolata a contenuto eccezionale, bensì come norma da collocare nel quadro di una lettura complessiva della disciplina costituzionale in tema di iniziativa economica. Tra l’art. 41, commi 2 e 3, e l’art. 43 esiste infatti un rapporto di progressione nell’intensità del sacrificio richiesto alla sfera privata69. L’art. 41, infatti, sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata e ne disciplina con norme cogenti solo «il modo di svolgimento» delle singole Cost. si limita a prevedere per la proprietà terriera privata, che la legge possa dettare «limiti alla sua estensione», con la conseguenza che la perdita della proprietà è causata solo sulla estensione in eccesso. Non diversamente opera l’art. 43 Cost. ponendo limiti all’attività d’impresa dei privati. V. ESPOSITO C., Note esegetiche sull’articolo 44 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954. 68 Vi è accordo nel ritenere che la riserva sopprime nei confronti di chiunque la garanzia dell’art. 41, comma 1, Cost. Nel caso in cui la riserva non si rivolgesse a tutti i soggetti, ma soltanto ad alcuni di essi, d’altronde, si potrebbe invocare la violazione degli artt. 41, comma 1, e 3 Cost. V. CASSESE S., op.cit., 1350. 69 Cfr. Corte cost., sent. n. 11 del 1960. Sulla giurisprudenza costituzionale, v. CASSESE S., op.cit., 1350 e CHELI E., Orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di «monopoli pubblici», in Scritti in onore di Mortati, Milano, 1962. Si rileva, tuttavia, che a parere di alcuni, una contraddizione insanabile tra le due previsioni dell’art. 41 e dell’art. 43 Cost. V. sul punto le considerazioni di GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995 e anche GALGANO F. – RODOTÀ S., Rapporti economici, in BRANCA G. (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1982. 30 iniziative, ma non ne impone lo «svolgimento»; e stabilisce che programmi e provvedimenti delle autorità possano solo indirizzare l’attività economica privata verso determinati fini, ma debbono lasciare ai privati la libertà di decisione e di attuazione delle proprie iniziative, entro il quadro generale ed astratto del modo di svolgimento delle iniziative fissato dalle leggi. Quindi, implicitamente, l’art. 41 – nel consacrare il principio della libertà delle iniziative economiche private – esclude che le leggi possano, con nazionalizzazioni di beni, violare tale libertà, lasciando che la possibilità di realizzare delle iniziative dipenda dagli enti nazionalizzatori dei beni e dalle loro concessioni autoritarie e precarie. E l’art. 43, poi, stabilendo in quali casi eccezionali e tassativamente enumerati possano essere sottratti al loro libero svolgimento delle iniziative private determinate da imprese o categorie di imprese, e sottratti al libero commercio privato determinati beni economici, non fa altro che confermare l’esattezza della precedente affermazione, secondo cui, in via di principio, la nostra Costituzione vuole che i beni, in genere, ed i beni economici destinati alla produzione, in particolare, siano oggetto di proprietà privata70. La premessa su queste norme della Costituzione economica e su una loro lettura congiunta si pone come necessaria per i fini della presente trattazione, anche per riconoscere, nel corso degli anni, le varie forme di intervento che lo Stato ha deciso di operare nell’ambito energetico. 2.2. Dal secondo dopoguerra ai Piani energetici nazionali. All’indomani della seconda guerra mondiale, le norme sopra richiamate, insieme alle discipline di settore, costituiscono, invero, la base di un sistema assai complesso, disorganico e multiforme, caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di regole specifiche regolanti i diversi settori nei quali – in genere con riferimento alle singole fonti di energia – si usa ripartire la materia. Si tratta di una stratificazione normativa, non sempre coerente nelle sue varie parti, la quale 70 V. ESPOSITO C., op.cit., 20 ss. 31 riproduce, a livello di settore o di comparto, il riferito movimento di progressiva attrazione della materia nella sfera del pubblico71. La disciplina normativa dell’energia, pur nella diversità delle legislazioni settoriali, vede sovrapporsi tre distinti gruppi di norme, che attengono al regime dei beni, dell’attività e del servizio72. Il primo gruppo normativo è originato dall’attribuzione delle materie prime e, in particolare, delle risorse idriche e gassose allo Stato o ad altro soggetto pubblico e dall’assoggettamento della loro utilizzazione a discipline speciali73. Il secondo gruppo normativo è determinato dalla considerazione dell’importanza dell’industria energetica per il funzionamento dell’economia nazionale e riguarda sia gli interventi di regolamentazione sia la gestione diretta di imprese74. Il terzo gruppo normativo attiene alla qualificazione della distribuzione di energia elettrica e di gas come servizio pubblico locale, gestito direttamente, in economia o tramite azienda municipalizzata, o affidato in concessione a privati75. In un quadro legislativo così disorganico si riflette, evidentemente, anche il particolare assetto del comparto energetico italiano: la produzione di energia è nelle mani di un ristretto numero di imprenditori privati; l’insieme delle imprese pubbliche sono incapaci di esprimere una strategia complessiva; le reti di trasporto e distribuzione sono poco sviluppate e inefficienti. La dimensione del servizio, inoltre, è esclusivamente locale, con una notevole frammentazione dell’attività V. LACRIOLA G. – MUCCI R., op.cit., 33 ss. V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191. 73 Per l’energia idroelettrica, cfr. r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775; per gli idrocarbururi r.d. 29 luglio 1927, n. 1443. 74 La disciplina pubblica dell’attività assume caratteri organici nel settore elettrico. Si veda r.d. n. 1775/93 che prevede una specifica regolamentazione delle attività di importazione ed esportazione, di costruzione e d esercizio degli impianti, di trasporto. Inoltre, alcuni provvedimenti assoggettano i prezzi di vendita a vincoli e blocchi, a fini di politica economica, e, in particolare, di contenimento dell’inflazione: cfr. r.d.l. 5 ottobre 1936, n. 1746. 75 Cfr. r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 e L. 29 marzo 1903, n. 103. 71 72 32 erogativa in ambiti territoriali circoscritti e, di conseguenza, una grave disparità di trattamento all’interno del Paese76. Per tali ragioni si forma, a livello politico e nel dibattito giuridicoeconomico, un movimento di lotta contro i monopoli privati favorevole all’intervento diretto dello Stato, secondo le modalità previste dall’art. 43 della Costituzione77. Ed è proprio sulla base dell’art.43 della Costituzione che si istituiscono regimi di riserva nel settore del gas e in quello dell’energia elettrica78. Nel settore del gas, la legge 10 febbraio 1953, n. 136 riorganizza la frammentata struttura economica pubblica e istituisce l’Ente nazionale idrocarburi (ENI)79, al fine di promuovere e attuare «iniziative di interesse nazionale nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali»80. Con successivi interventi normativi viene attribuita all’ENI la riserva, esercitabile anche attraverso società controllate a capitale integralmente pubblico, della ricerca e coltivazione di idrocarburi in determinate zone del territorio nazionale e dello stoccaggio sotterraneo dei relativi giacimenti81, consentendo così all’ENI e alle sue società V. NAPOLITANO G., op.ult.cit., 2191. V. PICCARDI L. – ASCARELLI T. – LA MALFA U. – ROSSI E., La lotta contro i monopoli, Bari, 1955; LOMBARDINI S., Il problema del monopolio, Milano, 1956; ROSSI E., Elettricità senza baroni, Bari, 1962. 78 Tra gli interventi di maggior rilievo si possono segnalare: il monopolio del sale e dei tabacchi disciplinati dalle leggi n. 907 del 1942 e n. 27 del 1951; l’istituzione di centrali del latte affidate ai comuni, in base alla legge n. 851 del 1938; la riserva allo Stato dei servizi postali e di telecomunicazioni, approvato con d.l. n. 156 del 1973; l’attribuzione allo Stato del servizio ferroviario con legge n. 429 del 1907. Sul punto, v. GENTILE G., La nazionalizzazione dell’industria elettrica: il quadro costituzionale e la sua attuazione, in ID., Lezioni di diritto dell’energia, Milano, 1989. 79 L’ENI nasce come ente autonomo di gestione, titolare di una serie di società caposettore, dalle quali dipendono le società operative. L’ente viene sottoposto, con la legge 22 dicembre 1956, n. 1589, al potere di vigilanza e direzione del Ministro della partecipazioni statali. In argomento, cfr. SPADARI S., Aspetti e problemi fondamentali per l’interpretazione della legge sull’Eni, in Studi in memoria di Zanobini, Milano, 1965, II, 533 ss.; nonché per alcuni significativi riferimenti GIANNINI M.S., Le imprese pubbliche in Italia, in Rivista delle società, 1958, 210 ss.; CASSESE S., Partecipazioni pubbliche ed enti di gestione, Milano, 1962; MERUSI F., Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano, 1964. 80 Cfr. art. 1, legge n. 136 del 1953. 81 Si vedano, in particolare, la legge 11 gennaio 1957, n. 6, la legge 21 luglio 1967, n. 613 e la legge 26 aprile 1974, n. 170. Una prima ricostruzione in GUARINO G., L’intervento dello Stato italiano in materia di idrocarburi (1961), ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia e diritto dell’energia, Milano, 1962, 275. 76 77 33 controllate di acquisire una situazione di monopolio di fatto in tutte le fasi del servizio. Nel settore dell’energia elettrica, invece, la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 espropria le imprese pubbliche e private operanti nel settore82, con le uniche eccezioni delle aziende degli enti locali e delle imprese autoproduttrici83. Contestualmente, viene istituito l’Ente nazionale energia elettrica (ENEL), quale ente pubblico direttamente riservatario dell’attività di produzione, importazione, esportazione, trasporto e distribuzione84. L’ENEL si configura come ente pubblico economico, operante secondo criteri di economicità e imprenditorialità, ma, allo stesso tempo, soggetto a forme di direzione e di controllo del Governo, per mezzo di Comitati interministeriali e del Ministero dell’industria85. Suo compito fondamentale è provvedere «alla utilizzazione coordinata e al potenziamento degli impianti allo scopo di assicurare La nazionalizzazione elettrica del 1962 si fonda sullo specifico disposto dell’art. 43 della Costituzione, in quanto l’attività concernente l’energia elettrica presenta tutte e quattro le caratteristiche che la norma contenuta nell’art. 43 medesimo determina come idonee, anche singolarmente prese, a disporre legislativamente la riserva originaria di attività: carattere di servizio pubblico essenziale, fonte di energia, situazione di monopolio, preminente interesse generale. Secondo alcuni, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, inoltre, si differenzia nettamente dalle altre non solo perché si inserisce perfettamente nel quadro costituzionale, ma altresì perché è l’unica che, in aggiunta alla «riserva», prevede anche il «trasferimento». V. GENTILE G., op.ult.cit., 38 ss. 83 La legge di nazionalizzazione dell’energia elettrica introduce una deroga alla legge generale sulle municipalizzazioni, in quanto di fatto impedisce alle amministrazioni comunali di assumere, tra i propri servizi pubblici, il servizio concernente l’energia elettrica, che diventa servizio dello Stato, affidato specificatamente all’ENEL. Quindi, i comuni che, nei due anni successivi alla legge del 1962, abbiano municipalizzato il servizio dell’energia elettrica devono optare tra il trasferimento all’ENEL della propria impresa municipale, e il mantenimento della medesima con mutazione di titolo, ossia come concessionaria dell’ENEL, sarà sempre il comune, e non l’impresa del comune, anche se gestita in azienda speciale e anche se data in concessione. Anche nei confronti degli auto produttori e dei piccoli produttori-distributori si ha una deroga, seppur meno importante: gli autoproduttori gestiranno il servizio fino a scadenza della concessione; i piccoli produttoridistributori diventano invece una sorta di imprenditori «convenzionati» con l’ENEL, che quindi li gestisce sotto l’aspetto economico. In argomento, v. GIANNINI M.S., Problemi giuridici delle imprese elettriche municipali a seguito della nazionalizzazione dell’energia elettrica, in Atomo, petrolio, elettricità, V, 1963, 273 ss. 84 Sulla nazionalizzazione, v. GUARINO G., L’elettricità e lo Stato (1962) e ID., L’impresa pubblica Enel (1963), ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Milano, seconda serie, 1970. 85 Da un lato, l’ENEL agisce in via generale con atti di diritto privato; dall’altro, anche sulla base di direttive governative, esercita funzioni pubbliche. V. GUARINO G., Sulla capacità dell’Enel (1965), ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Milano, seconda serie, 1970. 82 34 con minimi costi di gestione una disponibilità di energia elettrica adeguata per quantità e prezzo alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese»86. Questo modello dell’amministrazione per enti, che costituisce dunque un tratto distintivo dell’organizzazione pubblica del tempo, risponde ad un’ottica di azione strettamente statalista87 e si afferma anche nel campo dell’energia nucleare88. Nel 1973, lo scoppio della crisi energetica impone, tuttavia, un repentino mutamento di rotta89. Di fronte alla crisi petrolifera degli anni Settanta, la legislazione italiana, infatti, si pone il problema della localizzazione dei grandi impianti energetici e della sicurezza degli approvvigionamenti e della tutela dell’ambiente e cerca, pertanto, di promuovere per la prima volta le fonti alternative e l’uso efficiente delle risorse90. Cfr. art. 1, comma 3, legge n. 1643 del 1962. V. PEREZ R., L’intervento pubblico in campo energetico: strumenti legislativi e difficoltà di attuazione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1, 1984, 29. V. anche GENTILE G., I soggetti del settore energetico il modello organizzativo, in ID., Lezioni di diritto dell’energia, Milano, 1989. 88 Lo sviluppo di queste fonti viene affidato prima al Comitato nazionale energia nucleare (CNEN), istituito con la legge 11 agosto 1960, n. 933, poi, al Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative (CNRSENEA), istituito dalla legge 5 marzo 1982, n. 84, in sede di trasformazione del CNEN. Il Comitato è, successivamente, denominato Ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA) e ridisciplinato dalla legge 9 agosto 1991, n. 282, una volta bloccato il programma nucleare con il referendum popolare dell’8-9 novembre 1987. Su tali evoluzioni NOCERA F., Dal CNRN alla recente creazione dell’Enea: evoluzione legislativa con particolare riguardo ai compiti istitutivi in materia di sicurezza e protezione, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1982, 569 ss.; TOSCHEI S., L’Enea nella sua evoluzione legislativa, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1992, 313. 89 Era necessario abbandonare la politica «tutto-petrolio» o per lo meno ridurla per far posto a una serie di interventi differenziati, che si basavano principalmente su due campi di azione: il risparmio e lo sviluppo dell’energia nucleare. L’azione nel settore del risparmio, all’infuori degli immediati provvedimenti di austerity, non riuscì a consolidarsi. Essa si risolse in provvedimenti limitati, molti dei quali restarono senza effetto, all’infuori dei provvedimenti emananti per limitare le ore di riscaldamento negli edifici. Per lo sviluppo dell’energia nucleare l’azione prevista era massiccia. 90 Cfr. legge 28 novembre 1980, n. 784, legge 29 maggio 1982, n. 308, legge 9 dicembre 1986, n. 896. Sugli interventi normativi e l’azione dei pubblici poteri si rinvia a PELLIZZER F., Interventi pubblici per il conseguimento dei consumi e lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1984, 283. 86 87 35 In questo contesto, l’esigenza di coordinare le funzioni dello Stato, delle Regioni e degli enti locali con l’azione dei diversi enti pubblici operanti nel settore conduce all’approvazione da parte del CIPE di Piani energetici nazionali91. Il primo Piano energetico formulato è stato quello del 1975 sull’energia nucleare, che però insieme alla legge n. 393 sulla individuazione dei siti, è rimasto lettera morta. Nel 1977, così, si provvede a riformulare il secondo Piano energetico nazionale (PEN), con un’ottica non più rivolta a una sola fonte di energia, ma verso una pluralità di risorse energetiche92. All’inizio degli anni ’80, poi, l’Italia si attiva in una reale politica di sostegno delle energie rinnovabili, mediante l’approvazione del Piano energetico nazionale del 198193, prima, e della legge n. 308 del 198294, poi. La legge n. 302 del 1982 rappresenta il primo serio tentativo di soluzione di quelle problematiche, che contraddistinguevano il settore energetico, di primaria importanza per l’economia nazionale. Dopo anni di latitanza normativa, limitata solo ad interventi settoriali ed episodici, il Legislatore nazionale, conformemente agli indirizzi dettati dal PEN del 1981, affronta la materia in modo del tutto innovativo, perseguendo le seguenti linee direttrici: risparmio e utilizzo delle fonti rinnovabili; manovre tariffarie; localizzazione delle centrali termoelettriche e nucleari; riconoscimento del ruolo delle Regioni in campo energetico95. Cfr. delibere CIPE 23 dicembre 1975, 23 dicembre 1977, 4 dicembre 1981, 20 marzo 1986. In proposito D’ORTA C., La programmazione energetica, in CASSESE S. (a cura di), Il governo dell’energia, cit., 119 ss. 92 Il piano prevedeva che la dipendenza del Paese dal petrolio fosse ridotta a favore del gas naturale, del carbone e della geotermia. 93 Cfr. delibera CIPE n. 243 del 4 dicembre 1981 che approva il Piano energetico nazionale (PEN). 94 Cfr. legge n. 308 del 29 maggio 1982, «Norme sul contenimento dei consumi energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi». V. FIORITTO A. – STOLFI N., Qualcosa si muove nella politica energetica nazionale, in Nuovo Diritto Agrario, 1983, 183 ss., in cui gli Autori sottolineano le incoerenze ed incertezze della politica energetica italiana fino all’approvazione del Piano energetico nazionale e del Piano nazionale di ricerca per l’energia. Tali Piani assumono, secondo gli Autori, rilievo almeno come indici della volontà di avviare una politica di programmazione in materia. Illustrano, quindi, sottolineandone i profili più significativi, il contenuto della legge n. 308 del 1982 che considerano un fatto di grande importanza nell’ambito della politica energetica. 95 V. PEREZ R., op.cit., 38 ss. e PELLIZZER F., op.cit., 283. 91 36 La legge, tuttavia, mostra alcuni limiti nella fase attuativa, con forti ritardi nell’adempimento degli obblighi tecnico-organizzativi sia da parte del Ministero sia da parte delle Regioni96. Solo con il Piano energetico nazionale (PEN) del 10 agosto 1988, che si ispira a criteri di promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio energetico, adozione di norme per gli autoproduttori e sviluppo progressivo di fonti di energia rinnovabile, si avvia quel processo di trasformazione, nel quale fu possibile l’effettivo realizzarsi di politiche di risparmio energetico e di conversione progressiva dei sistemi tradizionali di produzione da fonti convenzionali in sistemi eco-compatibili basati sull’uso delle fonti rinnovabili. In attuazione di questo Piano, vengono emanate le due leggi del 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 1097. 2.3. Le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10. Le leggi n. 9 e n. 10 del 1991, generalizzando il riconoscimento della libertà di autoproduzione e di generazione da fonti rinnovabili, hanno il merito di far maturare per la prima volta nella collettività la consapevolezza che la produzione di energia rinnovabile o «pulita» non debba essere uno slogan, rappresentando invece un punto focale dello sviluppo sostenibile ovvero lo strumento del progresso non più perpetuato a danno dell’ecosistema98. Esse, inoltre, assumono particolare importanza perché segnano una svolta nel processo di erosione del monopolio pubblico, poi compiuto dal diritto comunitario.99 Ad es. forti ritardi sono stati registrati nell’elaborazione delle graduatorie per l’assegnazione degli incentivi e un limite di potenza assegnato agli impianti troppo basso per stimolare una reale decollo del settore delle rinnovabili. V. BARDUSCO A., Un progetto di riforma del settore energetico, in Diritto e Società, 1980, 649 ss.; PEREZ R., op.cit., 38 ss. 97 Cfr. legge 9 gennaio 1991, n. 9, «Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali», e legge 9 gennaio 1991, n. 10, «Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia». 98 V. SELLERI R., Energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili: spunti di riflessione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2006, 985. 99 In argomento si veda CAIA G., Commento agli artt. 20-24, in ROVERSI MONACO F. – CAIA G. (a cura di), Commentario alla l. 9 gennaio 1991, n. 9, in Le nuove leggi civili commentate, 1993, 355 ss. 96 37 Nello specifico, la legge n. 9 del 1991 ha profondamente innovato le norme relative all’energia elettrica, aprendo ai privati il settore della produzione di elettricità. Molti vincoli, imposti agli autoproduttori dalla legge di nazionalizzazione elettrica del 1962, sono stati aboliti tramite gli artt. 20, 22 e 23 della legge in questione, i quali consentono alle imprese di produrre energia elettrica per autoconsumo o per la cessione all’ENEL. L’impresa autoproduttrice, se costituita in forma societaria, può produrre anche per uso delle società controllate o della società controllante. Questo principio attenua in realtà solo in parte il monopolio dell’ENEL, perché vincola la cessione delle eccedenze energetiche all’ENEL stessa. Tali eccedenze vengono ritirate a un prezzo definito dal Comitato interministeriale dei Prezzi (CIP) e calcolato in base al criterio dei costi evitati, cioè i costi che l’ENEL avrebbe dovuto sostenere per produrre in proprio l’energia elettrica che acquista. In questo modo si cerca di fornire benefici economici a quei soggetti che, senza ridurre la propria capacità produttiva, adottano tecnologie che riducono i consumi energetici. Il grande limite della legge è stato, purtroppo, quello di non avere definito chiaramente gli obblighi dell’ENEL rispetto al ritiro delle eccedenze di produzione di energia elettrica, a fronte dell’obbligo da parte dei produttori di venderla unicamente a quest’ultima. Questa ambiguità ha infatti successivamente permesso all’ENEL di rifiutarsi di ritirare le eccedenze.100 L’art. 22 della legge n. 9, inoltre, introduce incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili o assimilate e, in particolare, da impianti combinati di energia e calore. La legge n. 10 del 1991 definisce, invece, finalità ed ambito di applicazione delle politiche energetiche, favorendo ed incentivando: l’uso razionale dell’energia; il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell’utilizzo di manufatti; l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia; la riduzione dei 100 V. CAIA G., op.cit., 359 ss. 38 consumi specifici di energia nei processi produttivi; la sostituzione degli impianti nei settori a più elevata intensità energetica. In essa, all’art. 1, comma 3, sono identificate tutte le fonti rinnovabili di energia o assimilate: «il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli edifici con interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti». Il comma 4 del medesimo articolo afferma, poi, che l’utilizzazione di tali fonti di energia «è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità» e che le opere relative «sono equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche». Tale normativa contiene, però, un grosso errore di fondo, in quanto pone ai fini incentivanti le fonti rinnovabili propriamente dette alla stessa stregua di quelle assimilate, di fatto fonti termiche utilizzanti reflui. Tale equiparazione tra le fonti «pulite» e queste altre fonti, caratterizzate da potenze e costi impiantistici superiori in ordine di grandezza rispetto alle fonti rinnovabili propriamente dette, ha esaurito velocemente la capienza economica degli incentivi in conto capitale previsti dalla legge, finendo col penalizzare e ritardare la produzione di «vera» energia rinnovabile101. Ad ogni modo, la legge n. 10 del 1991 mantiene un’importanza rilevante, non solo per le definizioni di principio e per la previsione di incentivi in conto 101 V. SELLERI R., op.cit., 985. 39 capitale a favore delle fonti rinnovabili102, ma in particolare anche per il ruolo riconosciuto alle Regioni e agli enti locali in materia di fonti rinnovabili103. In linea con il Piano nazionale, la legge prescrive, infatti, che le Regioni, d’intesa con gli enti locali, predispongano anche un Piano regionale relativo all’uso delle fonti rinnovabili di energia che contenga, tra l’altro, «a) il bilancio energetico nazionale; b) l’individuazione dei bacini energetici territoriali; c) la localizzazione e la realizzazione degli impianti di teleriscaldamento; d) l’individuazione delle risorse finanziarie da destinare alla realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia; e) la destinazione delle risorse finanziarie, secondo un ordine di priorità relativo alla quantità percentuale e assoluta di energia risparmiata, per gli interventi, di risparmio energetico; f) la formulazione di obiettivi secondo priorità di intervento; g) le procedure per l’individuazione e la localizzazione di impianti per la produzione di energia fino a dieci megawatt elettrici per impianti installati al servizio dei settori industriale, agricolo, terziario, civile e residenziale, nonché per gli impianti idroelettrici» (art. 5, comma 3)104. Peccato, però, che per lungo tempo la norma è rimasta lettera morta, considerato che solo in tempi recenti le Regioni hanno iniziato ad adottare dei propri Piani energetici. Cfr. artt. 8, 11 e 13, legge 9 gennaio 1991, n. 10. Cfr. artt. 5, 9 e 12, legge 9 gennaio 1991, n. 10. Va considerato che proprio le autonomie territoriali erano considerate le protagoniste principali dello sviluppo delle fonti rinnovabili secondo la predisposizione del Piano energetico nazionale. Come prevedeva l’art. 5, infatti, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentito l’ENEA, avrebbero dovuto individuare «i bacini che in relazione alle caratteristiche, alle dimensioni, alle esigenze di utenza, alla disponibilità di fonti rinnovabili di energia, al risparmio energetico realizzabile e alla preesistenza di altri vettori energetici, costituiscono le aree più idonee ai fini della fattibilità degli interventi di uso razionale dell'energia e di utilizzo delle fonti rinnovabili di energia». 104 In realtà, nonostante il dato letterale, la norma è rimasta per lungo tempo lettera morta, al punto che fino al 2007 ancora un quarto delle Regioni non disponeva di un apposito piano regionale. 102 103 40 2.4. Le fasi di privatizzazione, liberalizzazione e regolazione del mercato energetico. A partire dagli anni novanta, il regime tradizionale è attraversato da una serie di trasformazioni influenzate, direttamente o indirettamente, dal diritto comunitario. La prima trasformazione si realizza attraverso un’ampia politica di privatizzazione e dismissione delle imprese pubbliche105. In particolare, l’ENEL da ente pubblico economico diventa una società per azioni a capitale integralmente pubblico, non più direttamente titolare della riserva, ma concessionaria dello Stato per un periodo non inferiore a venti anni106. La convenzione stipulata con l’ENEL, che accede alla concessione, è approvata con decreto dell’allora Ministero dell’industria del 28 dicembre 1995. La cessione ai privati dell’impresa viene, invece, rinviata alla fase di liberalizzazione del settore, quando si manifesta un nuovo impulso alla vendita di quote del pacchetto azionario107. Per l’ENI, invece, il processo di collocamento sul mercato di quote del pacchetto azionario è più avanzato; lo Stato, attraverso il Ministero del tesoro, detiene una quota minoritaria del capitale, anche se il controllo dello Stato sulla società è rafforzato dai poteri speciali attribuiti a tempo indeterminato al Ministero del tesoro da una clausola statutaria introdotta al momento dell’alienazione della prima quota del pacchetto azionario108. Si veda la trasformazione dell’ENI e dell’ENEL, da enti pubblici economici in società per azioni, disposta dal d.l. 11 luglio 1992, n. 533, convertito con legge 8 agosto 1992, n. 359. In argomento, in generale CASSESE S., Privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, 579 ss.; CLARICH M., Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’amministrazione italiana, in Diritto amministrativo, 1995, 519 ss.; VESPERINI G., Privatizzazioni e trasformazioni dell’impresa pubblica in Italia, in CASSESE S. – FRANCHINI C. (a cura di), L’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, 1994, 151 ss. 106 Cfr. art. 14, comma 2, legge n. 359 del 1992. 107 Per una ricostruzione della vicenda si possono consultare i contributi raccolti da AA.VV., La privatizzazione del settore elettrico, Milano, 1995, nonché IRTI N., Problemi dello Stato azionista: il caso Enel, in Rivista delle società, 1995, 22 ss.; CAIA G., Caratteri e prospettive dell’Enel s.p.a. e del suo ruolo (appunti per una ricerca sulle «privatizzazioni»), in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1995, 3 ss. 108 I poteri speciali attributi sono quattro: gradimento dell’assunzione di partecipazioni rilevanti, pari ad almeno il tre per cento del capitale con diritto di voto all’assemblea ordinaria; gradimento 105 41 Analoghi processi di privatizzazione riguardano, inoltre, le principali imprese degli enti locali operanti nei due settori. Le riforme della disciplina dei servizi pubblici locali, da un lato, riconoscono la possibilità di affidare la gestione dei servizi a società a capitale pubblico maggioritario o minoritario e, dall’altro, facilitano la trasformazione delle aziende speciali in società di diritto privato109. Una volta, poi, trasformate in società per azioni, quote significative del capitale vengono collocate tra gli investitori e risparmiatori110. La seconda trasformazione che interessa il settore, per molti versi connessa alla precedente, è, invece, costituita dai processi di liberalizzazione111. Dopo l’erosione del mercato elettrico, attraverso il riconoscimento generale della libertà di autoproduzione e di generazione da fonti rinnovabili, la trasformazione del regime tradizionale nella direzione dell’apertura alla concorrenza è infatti determinata, o per meglio dire, imposta dal diritto comunitario112. In Italia, il riassetto del mercato elettrico italiano e la sua liberalizzazione sono stati avviati dal decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999 (c.d. «decreto Bersani»), emanato sulla base della delega conferita dall’art. 36 della legge n. 128 del 1998, in attuazione della direttiva 96/62/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica. Il d.lgs. n. 79 del 1999, al fine di avviare una graduale liberalizzazione del mercato elettrico italiano, stabilisce importanti innovazioni nel settore dell’energia su patti o accordi di voto che rappresentino almeno il tre per cento del capitale con diritto di voto nell’assemblea ordinaria; veto sull’adozione delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento dell’oggetto sociale, di modifica delle clausole relative ai poteri speciali; nomina di un amministratore e di un sindaco. 109 Cfr. legge 8 giugno 1990, n. 142, legge 29 dicembre 1992, n. 498, legge 29 ottobre 1993, n. 427, legge 15 maggio 1997, n. 127, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, così modificato dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. 110 E’ il caso, per esempio, dell’AMGA di Genova, dell’AEM di Milano, dell’ACEA di Roma. Per un inquadramento generale di tali trasformazioni vedi CORSO G., La gestione dei servizi locali tra pubblico e privato, in Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, 21 ss.; CAMMELLI M. – ZIROLDI A., La società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, 1997. 111 V. CORAPI D., Liberalizzazione e privatizzazione nel settore elettrico, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1998, 23 ss. 112 V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191. 42 elettrica, e sulla base delle indicazioni provenienti dall’ordinamento europeo, procede alla separazione tra le diverse fasi del servizio, che nel precedente regime erano integrate all’interno del monopolio pubblico113. Innanzitutto, l’attività di produzione di energia elettrica viene definita «libera»114, ed al fine di facilitare la transizione dal monopolio alla concorrenza, la normativa pone a carico dell’ENEL un obbligo di cessione della capacità produttiva, autorizzando nuovi soggetti ad entrare nei mercati della produzione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica, vietando però contestualmente a ciascun soggetto di produrre o importare più del 50% della quota di energia elettrica prodotta e importata in Italia. Ulteriori misure mirano poi a facilitare la costruzione e gestione di nuovi centrali elettriche, semplificando le relative procedure amministrative e prevedendo il rilascio di un’autorizzazione unica, comprensiva della valutazione di impatto ambientale115. Al pari dell’attività di produzione, anche le attività di importazione ed esportazione sono libere, nel quadro delle attività. Invece, le attività di trasmissione e dispacciamento, a causa delle condizioni di monopolio naturale e delle esigenze di coordinamento, sono assoggettate a regime di riserva116 e affidate in concessione al Gestore della rete di trasmissione nazionale (GRTN)117. V. in argomento BRUTI LIBERATI E., La regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici a rete, Milano, 2006; GULLÌ F., Riforma della regolamentazione e riorganizzazione del settore elettrico in Italia: i primi sette anni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in Economia e politica industriale, 2005, 163 ss.; DI PORTO F. – SILVA F., Riformare le utilities è difficile: il caso elettrico italiano, in Mercato concorrenza regole, 2005, 11 ss.; SILVA F., La riforma italiana del servizio elettrico: un caso di policy failure, in Economia e politica industriale, 2004, 41 ss.; VETRÒ F., La regolazione pubblica del mercato elettrico: sull’ordine giuridico del mercato libero dell’energia elettrica, in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 2003, 811 ss.; BERRA P., Il primo periodo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica: 1999-2001, in MELE R. – PARENTE R. – POPOLI P. (a cura di), I processi di deregolamentazione dei servizi pubblici: vincoli, opportunità istituzionali e condizioni operative: atti del convegno 11 e 12 aprile 2002, Università degli studi di Salerno, Rimini, 2004. 114 Ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 79 del 1999 viene sancito il principio di libertà della produzione di energia elettrica, con conseguente divieto di subordinare l’autorizzazione agli impianti a misure compensative (cfr. artt. 3, 9, 12, comma 6). 115 Cfr. artt. 1 e 8 del d.lgs. 79 del 1999. V. anche NAPOLITANO G., La politica europea, cit. 116 Cfr. art. 1, comma 1, d.lgs. n. 79 del 1999: «Le attività di trasmissione e dispacciamento sono riservate allo Stato ed attribuite in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale di cui all’articolo 3»; inoltre, «il gestore della rete di trasmissione nazionale (…) ha l’obbligo di connettere alla rete di trasmissione nazionale tutti i soggetti che ne facciano richiesta (cfr. art. 3, comma 1, d.lgs. cit.), e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas «fissa le condizioni atte a garantire a tutti gli 113 43 Per quanto attiene, poi, in particolare, allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, nel quadro generale di liberalizzazione della produzione di energia elettrica, il decreto Bersani, all’articolo 11, comma 1, definisce i criteri generali a cui gli importatori e i soggetti responsabili d’impianti di produzione di energia elettrica devono rispondere. In particolare, «al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto». Il d.lgs. n. 79 del 1999 introduce, quindi, un correttivo alla legislazione precedente in materia di energia prodotta da fonti rinnovabili, eliminando il concetto di «fonti assimilate»118 – che come abbiamo visto provocava una distorsione al sistema – e riformula, altresì, l’intero sistema di incentivazione. Come si vedrà più specificatamente nel prosieguo, giova comunque anticipare che l’articolo 11 del decreto Bersani sancisce il superamento del vecchio criterio di incentivazione tariffaria noto come CIP 6/92 per passare ad un meccanismo di mercato basato sui c.d. certificati verdi, che attestano la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Vengono definiti i livelli di utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio di trasmissione e dispacciamento», prevedendo «l’obbligo di utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili» (cfr. art. 3, comma 3, d.lgs. cit.). 117 Oggi TERNA. Società costituita, il 31 maggio 1999, all’interno del Gruppo ENEL in attuazione del d.lgs. n. 79 del 1999 che nel contesto del processo di liberalizzazione del settore elettrico italiano ha sancito la separazione tra la proprietà e la gestione della rete di trasmissione nazionale. Le attività di TERNA, operativa dal 1° ottobre dello stesso anno, riguardano l’esercizio e la manutenzione degli impianti del Gruppo Enel facenti parte della rete di trasmissione nazionale e lo sviluppo della rete stessa secondo le direttive impartite dal GRTN (Gestore della rete di trasmissione nazionale. 118 Le precedenti leggi n. 9 e n. 10 del 1991 – come già esposto – operavano una piena equiparazione tra le fonti rinnovabili propriamente dette a quelle assimilate, di fatto fonti termiche utilizzanti reflui. Vedi sul punto, SELLERI R., op.cit., 958. 44 energia «verde» da vendere e viene instaurato un mercato derivato dai certificati verdi, ovvero l’acquisto di disponibilità di elettricità da fonti rinnovabili per le società elettriche che non dispongono di energia a basso impatto impiantale. Con questa previsione vengano di fatto poste le basi per l’effettiva liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica in Italia e viene anche definita l’entrata nel mercato di nuovi operatori e interlocutori. Tra questi, spicca, ad esempio, il Gestore del mercato elettrico (GME)119 che assume la gestione delle offerte di vendita e acquisto dell’energia elettrica e di tutti i servizi connessi, garantendo così il funzionamento della concorrenza del mercato, mediante il rispetto dei criteri di neutralità e trasparenza e obiettività, nonché assicurando un’adeguata disponibilità della riserva di potenza120. Infine, la terza fase di trasformazione è costituita dal processo di regolazione, con il quale trovano protezione gli interessi collettivi degli utenti e degli operatori, che, per la prima volta, assumono autonoma rilevanza, nel contesto degli interventi di privatizzazione e liberalizzazione121. A tal fine, viene istituita un’Autorità di regolazione, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG)122, preposta allo scopo di fissare «le norme per la concorrenza e la Il GME (Gestore mercati energetici) è una società per azioni controllata dal GSE (Gestore servizi energetici), società per azioni integralmente a partecipazione pubblica, la cui disciplina di mercato è interamente sottoposta all’approvazione del Ministro dell’industria, sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG). 120 V. NAPOLITANO G., La politica europea, cit., 2191. 121V. NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit., 2191. In generale, sullo Stato regolatore, v. CASSESE S., Stato e mercato, dopo privatizzazioni e «deregulation», in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1991, 378 ss.; DE PAOLI L., Regolamentazione e mercato unico dell’energia, Milano, 1993. 122 L’AEEG è un’autorità indipendente istituita con la legge 14 novembre 1995, n. 481 con funzioni di regolazione e di controllo dei settori dell’energia elettrica e del gas. L’autorità è operativa dal 23 aprile 1997, data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento di organizzazione e funzionamento. In tale data sono state trasferite all’autorità le funzioni relative alle sue attribuzioni, fino ad allora esercitate da altre amministrazioni pubbliche. Essa ha il compito di perseguire le finalità indicate dalla L. n. 481 del 1995 con cui si vuole «garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza» nei settori dell'energia elettrica e del gas, nonché «assicurare adeguati livelli di qualità» dei servizi. Le finalità indicate dalla Legge istituiva devono essere perseguite assicurando «la fruibilità e la diffusione (dei servizi) in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, (...)». Il sistema tariffario deve inoltre «armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse». Le pubbliche 119 45 regolazione dei servizi di pubblica utilità». Ne risulta un nuovo quadro delle funzioni dei pubblici poteri, i quali sono chiamati a coniugare il crescente spazio riconosciuto alla libertà di iniziativa economica privata con la tutela degli interessi generali e collettivi123. 3. Il decentramento energetico: il ruolo delle Regioni in materia di energia. Il quadro normativo di riferimento del settore energetico, oltre a subire il processo di apertura dei mercati dell’energia, in gran parte accelerato dalla spinta delle direttive comunitarie, viene interessato anche da un altro processo finalizzato a ridisegnare il quadro delle competenze politico-amministrative delle Regioni e degli enti locali. Il risultato per l’intero sistema energia è stato quello di un doppio decentramento, sia politico che amministrativo. Si è passati da un sistema accentrato in cui le decisioni economiche e strategiche riguardo alla produzione e alla fornitura di energia venivano assunte dagli enti energetici nazionali controllati dal potere politico centrale ad un sistema in cui le decisione economiche sono prese da operatori privati in un quadro di competenze di politica energetica, a sua volta, decentrato. Tale processo di decentramento, culminato con la riforma del titolo V della Costituzione, è iniziato tuttavia già vent’anni prima della legge costituzionale n. 3 del 2001. Infatti, il decentramento attuato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 ha rappresentato il punto di arrivo di un percorso in parte già avviato dalla giurisprudenza costituzionale e anche sostenuto dall’opinione di un’autorevole amministrazioni e le imprese sono tenute a fornire all’autorità, oltre a notizie e informazioni, la collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni. 123 V. NAPOLITANO G., nell’op.ult.cit., 2191, definisce «generali» sono quegli interessi, per così dire «sistemici», relativi alla sicurezza dell’approvvigionamento, all’uso efficiente delle risorse, alla protezione dell’ambiente. Sono invece «collettivi» gli interessi dei destinatari finali del servizio, che attengono alla fruizione delle prestazioni e alla tutela dei diritti. Inoltre poi vi sono gli interessi collettivi degli operatori relativi al funzionamento di un mercato concorrenziale. 46 dottrina124, secondo cui l’amministrazione regionale si presenta come il livello di governo più idoneo a finalizzare e rendere concrete le scelte di strategia politica elaborate, nelle sedi competenti, a livello nazionale125. 3.1. Il processo di decentramento energetico ante riforma del titolo V della Costituzione. L’articolo 117 della Costituzione, nella sua versione originaria, non contemplava l’energia nell’elenco delle materie oggetto di competenza legislativa concorrente da parte delle Regioni a statuto ordinario. Ciò comportava, in base al «vecchio» criterio di riparto delle competenze legislative, la spettanza esclusiva allo Stato della disciplina normativa della materia energetica, nonché, in forza del principio del c.d. «parallelismo delle funzioni» (art. 118, comma 1, Cost., testo originario), l’esclusione della titolarità di poteri amministrativi nella stessa materia da parte delle Regioni (e, di riflesso, degli enti locali), salvo quelli che fossero eventualmente delegati con legge statale, ai sensi dell’art. 118, comma 2, Cost., testo originario.126 Si vedano CAIA G., Stato e autonomie locali nella gestione dell’energia, Milano, 1984 e CAMMELLI M. (a cura di), Energia e Regioni. Politiche istituzionali e strumenti di governo, Bologna, 1986. 125 Sul punto si vedano GALBIATI R. – VACIAGO G., Il governo dell’energia dal decentramento alla riforma costituzionale: profili economici, in Mercato, concorrenza e regole, 2002, 362, secondo cui «i livelli locali di governo sembrano maggiormente efficaci nell’indirizzare interventi strutturali in campo energetico data la loro maggiore conoscenza delle realtà sulle quali vanno ad incidere». Sul ruolo della Regione nell’ambito della gestione delle conoscenze delle politiche energetiche interessanti spunti in MELONCELLI A., Politiche energetiche e circolazione delle conoscenza: profili pubblici cistici, in CAMMELLI M. (a cura di), Energia e Regioni, cit., 353 ss. Rileva invece la debolezza delle Regioni come enti di legislazione e amministrazione CASSESE S., L’energia elettrica nella legge costituzionale n. 3 del 2001, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2002, 497, il quale sottolinea come esse rappresentino importanti centri di pressione nei confronti dello Stato. 126 L’energia, che a fronte della sua originaria assenza dall’elenco dell’art. 117 Cost., non si configurava ancora come una materia a sé stante ma piuttosto quale settore caratterizzato da un fascio di attribuzioni riconducibili ad una pluralità di materie, ha costituito fertile terreno per conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni devoluti al vaglio della Corte Costituzionale aventi ad oggetto proprio la definizione delle rispettive sfere di competenze nei casi di connessione fra l’energia ed altri ambiti materiali (si pensi alla sanità, all’urbanistica, ai lavori pubblici di interesse regionale, alle acque minerali e termali, alle cave e torbiere, all’agricoltura, ed in particolare all’ambiente). Cfr. Corte cost., sentt. n. 13 del 1964; n. 190 del 1976; n. 182 e n. 183 del 1987; n. 482 e n. 483 del 1991; n. 174 del 1998. Fra tutti, vedi sull’argomento: MEZZETTI L., Energia e ambiente, in ID. (a cura di), Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, 1016 ss. dove l’Autore, a seguito di un’approfondita analisi dell’evoluzione giurisprudenziale sull’argomento, afferma che «il 124 47 La prima legge a dare avvio a un parziale decentramento in materia energetica è stata la legge n. 308 del 1982. Questa legge, infatti, oltre a dare impulso ad un programma di interventi per il contenimento dei consumi di energia e per l’incentivazione dell’uso delle fonti rinnovabili, ha anche affidato un importante ruolo di qualificazione della domanda energetica e di gestione dei contributi alle Regioni, e attraverso esse, agli enti locali127. Con le leggi del 1991, la n. 9 e la n. 10, si è passati invece da un sistema in cui la Regione veniva vista sostanzialmente come centro di erogazione dei contributi ad uno più complesso in cui, addirittura, alcuni hanno parlato di «governo regionale» dell’energia128. La Regione viene, difatti, inserita stabilmente nel sistema del Piano energetico nazionale (PEN) e ad essa vengono ricondotte le attività e competenze richieste per attuare gli interventi in materia di uso razionale dell’energia129. Se è, dunque, dal 1982 che alle Regioni e agli enti locali viene attribuita la possibilità di sviluppare un’autonoma politica di incentivazione al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili, è però con l’intervento della legge Bassanini n. 59 del 1997 e del decreto legislativo di attuazione n. 112 del 1998 che alle Regioni vengono formalmente attribuite numerose funzioni amministrative in materia di energia130. Come noto, la legge Bassanini rappresenta un momento fondamentale nella riforma dell’ordinamento dello Stato. Essa infatti disegna un ordinamento fondato sui principi di sussidiarietà e cooperazione ed in quest’ottica l’azione delle Regioni percorso evolutivo della giurisprudenza costituzionale concernente il riparto delle competenze Stato – Regioni in materia di energia sembra caratterizzato dalla costante individuazione degli interessi che, quanto alla propria dimensione, giustificano un ruolo di primazia statale nel settore». 127 V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 362 ss. 128 V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 362 ss. 129 Le leggi n. 9 e n. 10 del 1991 in particolare riconoscono alle Regioni: un ruolo legislativo in ambito energetico, infatti alle Regioni viene attribuito il compito di emanare norme per l’attuazione della legge 10 del 1991 (art. 17); un ruolo consultivo, infatti alle Regioni viene attribuito il ruolo di esprimere pareri riguardanti l’impiego di strumenti pubblici di incentivazione; nonché un ruolo programmatorio, che si esplica attraverso il piano regionale relativo all’uso delle fonti rinnovabili. Vale la pena, d’altronde, ricordare che la legge n. 9 del 1991 ha costituito unno dei primi passi verso la liberalizzazione della produzione di energia elettrica favorendo l’uso di fonti rinnovabili e di soluzioni produttive efficienti da parte di produttori indipendenti. 130 V. MISCIA V. – L UBELLO V., Il «federalismo energetico». Fonti rinnovabili e potestà regionali dopo il d.lgs. 28/2011, in Quaderni regionali, 1, 2011, 85. 48 e degli enti locali – non più soltanto strumento per incrementare l’efficacia delle decisioni prese a livello centrale – assume un autonomo ruolo. La sede regionale diviene essa stessa centro decisionale. Relativamente al settore energetico, il profilo innovativo consiste nella diversa articolazione delle competenze rispetto alla Costituzione. L’art. 117, all’epoca, infatti, non menzionava l’energia tra le materia di competenza legislativa regionale; la legge Bassanini invece non menziona la materia energetica tra quelle espressamente escluse dall’ambito di applicazione della legge e quindi automaticamente riservate allo Stato. Di conseguenza, secondo una logica interpretativa dei «poteri residui» è stato desunto che la materia «energia» dovesse essere compresa tra le competenze amministrative trasferite agli enti decentrati, fatte salve le competenze di rilievo nazionale relative alla «ricerca, produzione, trasporto e distribuzione dell’energia» e «programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione delle grandi reti infrastrutturali»131. Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 59 del 1997, ha poi distribuito i compiti tra Stato, Regioni e enti locali secondo un’assegnazione «residuale», in basa alla quale tutto ciò che non viene riservato allo Stato o direttamente attribuito agli enti locali risulta, per esclusione, conferito alle Regioni. In particolare, gli articoli 29 e 31 del decreto elencano espressamente le attività riservate allo Stato e agli enti locali, lasciando tutto il resto alla spettanza delle Regioni. Come recita l’art. 30, infatti, «sono delegate alle Regioni le funzioni amministrative in tema di energia, ivi comprese quelle relative alle fonti rinnovabili, all’elettricità, all’energia nucleare, al petrolio ed al gas, che non siano riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 29 o che non siano attribuite agli enti locali ai sensi dell’articolo 31». Sono attribuite, inoltre, alle Regioni il controllo di quasi tutte le forme di incentivazione previste dalla legge n. 10 del 1991 e il coordinamento dei compiti attribuiti agli enti locali per Vengono fatti salvi anche i compiti di regolazione e controllo delle autorità indipendenti, tra cui quelli già esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 362 ss. 131 49 l’attuazione del decreto. Va segnalato, tuttavia, che le competenze attribuite ai livelli di governo locale dalla legge n. 59 del 1997 e dal d.lgs. n. 112 del 1998 sono di natura amministrativa e, pur nel riconoscimento di ampi spazi di autonomia decisionale, vengono mantenuti fermi i principi di indirizzo e controllo nazionale in ambito ritenuto strategico132. Un ulteriore ampliamento del ruolo delle Regioni in ambito energetico si realizza anche con il decreto Bersani, il d.lgs. n. 79 del 1999. Con esso si attribuisce alle Regioni e alle province autonome il compito di favorire il coinvolgimento delle comunità locali nella gestione delle risorse finanziarie destinate all’incentivazione delle fonti rinnovabili, attraverso il ricorso a procedure di gara133. Con questa disposizione si attua, pertanto, un raccordo con quanto disposto dal d.lgs. n. 112 del 1998, che attribuisce alle Regioni la gestione di quasi tutte le forme di incentivazione previste dalla legge n. 10 del 1991. 3.2. La riforma del titolo V della Costituzione. La riforma del titolo V della Costituzione, operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, si inserisce, dunque, in tale quadro normativo ed è per diversi aspetti indirizzata a dare copertura costituzionale al sistema delineato dalla legge n. 59 del 1997 e dal relativo d.lgs. n. 112 del 1998; sistema nel quale, però, come abbiamo detto, le competenze attribuite ai livelli di governo regionali e locali sono di natura esclusivamente amministrativa.134 La ratio principale che spinge il Legislatore a mettere mano alla Costituzione è, invero, l’avvertita necessità di porre in atto il principio di sussidiarietà. La maggiore novità della riforma del titolo V non sta, infatti, soltanto nella ripartizione delle materie ma anche nella nuova impostazione che, secondo il principio di sussidiarietà, considera come livello primario quello delle autonomie. Anche se poi di fatto i poteri amministrativi di autorizzazione conferiti alle amministrazioni periferiche si sono spesso tradotti in vincoli insormontabili per lo sviluppo delle infrastrutture. 133 Cfr. art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 79 del 1999. 134 V. PICOZZA E. - COLAVECCHIO A., Energie, in CORSO G. – L OPILATO G., Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Milano, parte speciale, II, 2006, 81 ss. 132 50 Ciò comporta che l’attuazione della riforma ha carattere ascendente, cioè parte dalle Regioni e dagli enti locali; mentre nel passato, nella riforma Bassanini, l’andamento era quello opposto: le competenze di natura amministrativa erano conferite dallo Stato alle Regioni e da esse agli enti locali. La legge costituzionale n. 3 del 2001 incide direttamente sul riparto delle competenze legislative, enumerando, al comma 3 dell’art. 117, «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» tra le «materie di legislazione concorrente», e pertanto «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Ciò significa che lo Stato ha la possibilità di intervenire sulla materia soltanto con leggi che dettino i principi fondamentali135. La dottrina136 ha proposto due diverse letture della disposizione costituzionale de qua. Con una prima interpretazione, si cerca di fornire una lettura maggiormente formale della disposizione, considerando partitamente «produzione, trasporto e distribuzione» quali fasi diverse e distinte del processo energetico, prevedendo solo su di esse una potestà concorrente regionale. Tale impostazione si espone alla critica che avrebbe come conseguenza – sicuramente non voluta dai redattori della riforma – che le altre attività che riguardano il processo energetico, ma che non si esauriscono in quelle tre citate in Costituzione (importazione, esportazione, ricerca, stoccaggio, raffinazione, trasmissione, dispacciamento e vendita) ricadrebbero, secondo il ribaltamento delle competenze operato dal nuovo art. 117 cost., nella potestà residuale delle Regioni. Il cambiamento rispetto alla precedente situazione di decentramento amministrativo è radicale. Le Regioni e gli enti locali infatti non sono più investiti soltanto di competenze amministrative o di legislazione attuativa in delega di norme statali, ma ogni Regione avrà il potere di legiferare autonomamente in ambito energetico. Quindi ogni Regione avrà una propria disciplina in materia e potrà attuare politiche energetiche anche diverse dalle altre. V. GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 366. 136 V. CARAVITA DI TORITTO B., «Taking Constitution Seriously». Federalismo e energia nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Federalismi.it, 19 febbraio 2003; DA EMPOLI S. – STERPA A., La Corte costituzionale ed il federalismo energetico, in Federalismi.it, 3, 2004. 135 51 Secondo una diversa interpretazione, invece, confermata poi anche dalla Corte costituzionale137, l’espressione utilizzata dal legislatore costituzionale andrebbe intesa come includente il più generale «governo dell’energia», quale settore complessivo e omnicomprensivo. Va notato, però, che se è vero che con la predetta legge di riforma a impianto federalista si viene ad attribuire un ruolo preciso e specifico alle Regioni138, direttamente coinvolte nell’apprestamento della disciplina di dettaglio della materia (e non più chiamate in causa, come in passato, solo in relazione alla spettanza di interessi settoriali intimamente connessi a quello dell’energia), è anche vero che tale espresso riconoscimento non ha tuttavia contribuito a migliorare la complessa e delicata trama dei rapporti tra amministrazioni centrali e autonomie territoriali, posto che il Legislatore costituzionale si è, al contempo, determinato nel senso di attribuire materie che intersecano «trasversalmente» il settore dell’energia alla competenza esclusiva dello Stato139. Basti pensare, infatti, che spetta allo Stato in via esclusiva la competenza legislativa in tema di tutela della concorrenza, rapporti dello Stato con l’Unione europea, determinazione livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili Cfr., tra le altre, Corte cost. sentt. nn. 6, 7 e 8 del 2004. La Corte si è soffermata, per la prima volta, dopo la riforma del Titolo V, sulla dimensione contenutistica della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», chiarendo innanzitutto che tale nomen costituzionale «deve ritenersi corrispondente alla nozione di «settore energetico» di cui alla legge n. 239 del 2004, così come alla nozione di «politica energetica nazionale» utilizzata dal Legislatore statale nell’art. 29 del d.lgs. n.112/1998 (…), che era esplicitamente comprensiva di qualunque fonte energetica». 138 Nelle materie a legislazione concorrente spetta infatti alle Regioni non solo la vera disciplina della materia, avendo lo Stato un ruolo meramente circoscritto alle sole norme di principio, ma anche la piena ed esclusiva potestà regolamentare della medesima (cfr. art. 117, comma 6, Cost.). Si consideri inoltre che la c.d. legge La Loggia (L. 5 giugno 2003, n. 131 «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3») ha chiarito, con la disposizione di cui all’art. 1, comma 3, che nel caso di assenza di leggi statali appositamente enunciative di principi fondamentali della materia, occorre far riferimento a quelli «desumibili dalle leggi statali vigenti», come aveva del resto già anticipato la Corte Costituzionale nella nota sentenza 26 giugno 2002, n. 282, su cui, da ultimo si veda V. MOLASCHI V., Livelli essenziali delle prestazioni e Corte Costituzionale: prime osservazioni, in Foro italiano, I, 2003, 394 s. 139 V. LOMBARDI R., Il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali: il modello costituzionale e quello emergente dalla legislazione relativa alle procedure energetico-ambientali, in Giustamm.it, 5, 2005. 137 52 e sociali, funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e tutela dell’ambiente. Questa nuova dislocazione delle competenze legislative, ed anche amministrative140, proprio in relazione alla possibile loro incidenza su interessi di carattere unitario, ha, inevitabilmente, sollevato numerose critiche e 141 interrogativi . Alle problematiche sorte a seguito di una tale frammentazione delle competenze, il Legislatore ha tentato di dare una soluzione sul piano delle fonti primarie attraverso la legge n. 239 del 2004 di «riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia», la c.d. «legge Marzano».142 Tale fonte normativa, oltre a presentarsi di assai difficile lettura essendo composta da un unico articolo composto di 121 commi, modifica ed integra il quadro normativo di riferimento secondo quattro principali linee direttrici: a) la definizione delle competenze dello Stato e delle Regioni, in relazione al nuovo assetto costituzionale di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione; b) il completamento del processo di liberalizzazione dei mercati energetici; c) l’incremento dell’efficienza del mercato interno, attraverso la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli impianti e la riorganizzazione dei soggetti operanti nel mercato elettrico; d) una più incisiva diversificazione delle fonti energetiche, segnatamente a tutela della sicurezza degli approvvigionamenti ed a protezione dell’ambiente. Per quanto riguarda, infatti, le funzioni amministrative, il novellato art. 118 Cost., abbandonando il c.d. principio del «parallelismo», stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, «salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza». Inoltre, va ricordato che tale riparto di competenze legislative ed amministrative non esaurisce l’intervento dei poteri pubblici nel settore energetico, caratterizzato dalla presenza di una autorità di regolazione, introdotta dalla legge n. 481 del 1995 (le cui funzioni sono state successivamente ampliate dai decreti legislativi n. 79 del 1999 e n. 164 del 2000) e di cui, nel delimitare l’area di operatività delle Regioni, occorre tenere conto. 141 V. CASSESE S., L’energia elettrica, cit., 497 ss.; SCARPA C., Titolo V e politica energetica: per favore, riformiamo la riforma, in Mercato, concorrenza e regole, 2, 2002, 389 ss. 142 V. DE BELLIS M., La legge di riordino del settore energetico, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, 249 ss. 140 53 Per quanto riguarda il riparto delle competenze operato dal nuovo titolo V della Costituzione, la legge Marzano individua i principi fondamentali della materia cui le Regioni dovranno attenersi nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ad esse riconosciuta, nonché le disposizioni volte a garantire la tutela degli interessi che rientrano nelle materie trasversali di competenza dello Stato.143 In questa prospettiva, la legge n. 239 del 2004 indica una serie di obiettivi che lo Stato e le Regioni devono perseguire «al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia» (art.1, comma 4) e individua, inoltre, un elenco di funzioni riservate allo Stato144, attribuendo alle Regioni il potere di determinare con proprie leggi i compiti e le funzioni amministrative non espressamente attribuiti allo Stato145. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità tra il riparto di competenze così operato dal Legislatore ed il modello dettato dal nuovo titolo V della Costituzione, nell’ambito dei ricorsi promossi avverso la legge n. 239 del 2004, ha tentato di ridare coerenza sistematica al problema del riparto delle competenze Stato-Regioni nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», ponendo al centro del «governo dell’energia» accordi e intese tra Stato e Regioni, sia direttamente che all’interno del sistema delle Conferenze146. Del pari, le medesime problematiche sul riparto di competenze sono state sollevate anche con riferimento alla specifica materia delle fonti rinnovabili. Cfr. art. 1, commi 1, 2 e 3, della legge n. 239 del 2004. Dall’impianto normativo della legge il ruolo delle Regioni appare sminuito rispetto al dettato costituzionale, sia perché la legge statale pone un fitto e ricco elenco di obiettivi, sia perché i meccanismi di raccordo e di cooperazione – che dovrebbero consentire il coinvolgimento delle Regioni – non coprono l’intera materia e, dovendo gli obiettivi essere posti necessariamente con legge dello Stato, spetterà in via definitiva al Parlamento tradurli in atti primari. V. DA EMPOLI S. – STERPA A., Prime osservazioni sulla legge n. 239 del 2004: la potestà legislativa concorrente è rimasta senza «energia», in Federalismi.it, 18, 2004. 144 Cfr. art. 1, comma 7 e 8, legge n. 239 del 2004. 145 Cfr. art. 1, comma 6, legge n. 239 del 2004. 146 Si veda, ad esempio, sent. Corte cost. n. 168 del 2008, in cui, nel sindacare sulla possibilità per lo Stato di finanziare interventi in materia energetica, ha risolto in questo caso la questione in riferimento alle modalità, sostenendo la necessità di valorizzare il principio di leale collaborazione, in particolare nelle forme dell’intesa «forte». V. MISCIA V. – LUBELLO V., op.cit. e DA EMPOLI S. – STERPA A., Corte costituzionale, cit. 143 54 Infatti, sia la disciplina statale di recepimento della direttiva del 2001, il d.lgs. n. 387 del 2003, sia la legge n. 239 del 2004147 hanno inteso riconoscere un rilevante ruolo alle Regioni in questo settore. Il d.lgs. n. 387 del 2003, infatti, coerentemente con l’art. 117, comma 3, della Costituzione, prevede la partecipazione delle Regioni nel processo di sviluppo dello sfruttamento di impianti alimentati da fonti rinnovabili. A tale scopo, ispirandosi al principio di leale collaborazione, le Regioni sono chiamate ad impegnarsi massimamente nell’individuare e porre in essere ogni misura che possa contribuire ad un più razionale sfruttamento di quelle risorse che nell’ambito dei diversi territori si rivelino più idonee ad alimentare impianti di produzione di energia elettrica, assumendo all’uopo anche le eventuali disposizioni di governo del territorio che si rendessero opportune. Tale principio collaborativo emerge chiaramente dai commi 1 e 2 dell’art. 10, relativi alla fase programmatoria della definizione degli obiettivi indicativi nazionali: nel primo comma si prevede non solo che questi vengano fissati con il «concorso» della Conferenza unificata, ma addirittura che sia proprio quest’ultima ad effettuarne la «ripartizione tra le Regioni tenendo conto delle risorse di fonti energetiche rinnovabili sfruttabili in ciascun contesto territoriale» (comma 1). Ogni Regione, quindi, diviene assegnataria di specifici obiettivi, assumendone, conseguentemente, la responsabilità del relativo perseguimento. Il comma 2 dell’art. 10 dispone, poi, che la Conferenza può altresì provvedere ad aggiornare la predetta ripartizione, determinando le opportune modifiche in relazione ai «progressi delle conoscenze relative alle risorse (…) sfruttabili in ciascun contesto territoriale e all’evoluzione dello stato dell’arte delle tecnologie di conversione»: ne discende quindi che la Conferenza dovrebbe esercitare una periodica attività di monitoraggio sull’adeguatezza della ripartizione, La legge n. 239 del 2004 persegue il miglioramento della sostenibilità ambientale dell’energia, «anche in termini di uso razionale delle risorse territoriali, di tutela della salute e di rispetto degli impegni assunti a livello internazionale, in particolare in termini di emissioni di gas ad effetto serra e di incremento dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili assicurando il ricorso equilibrato a ciascuna di esse». 147 55 al fine di mantenerla costantemente proporzionata alle potenzialità che ogni contesto regionale può esprimere, potendo in tal modo gli obiettivi indicativi regionali permanere in continua tensione verso il massimo sfruttamento possibile delle fonti rinnovabili in ogni momento ipotizzabile148. Questi due commi appaiono molto interessanti perché non solo riconoscono un ruolo centrale al sistema delle autonomie territoriali nel loro complesso, ma adottano altresì un approccio poco frequente nel nostro ordinamento, ossia quello di favorire la negoziazione politica, ed amministrativa, non solo in senso verticale tra Stato, Regioni e enti locali149, ma anche in senso orizzontale tra le Regioni stesse. Infine, l’art. 10, comma 3, riconosce alle Regioni il potere di adottare «misure aggiuntive» rispetto a quelle nazionali per la promozione dell’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili. Questa disposizione consente, dunque, alle Regioni di intervenire non soltanto con riguardo alle misure incentivanti per la realizzazione di impianti e la produzione dell’energia da fonti rinnovabili, ma anche con riguardo al consumo delle stesse, determinando incentivi peculiari a seconda delle diverse realtà ambientali, territoriali e sociali. Vedi, sul punto, NICOLETTI F., op.cit., 379 ss., secondo il quale l’apporto delle Regioni «potrebbe assicurare non solo il massimo sfruttamento possibili delle fonti rinnovabili sotto un profilo quantitativo, ma potrebbe anche comportare, sotto un profilo qualitativo, un diffuso e differenziato impiego delle stesse che risulti massimamente congruo alla conformazione e all’assetto delle diverse Regioni, agevolando una diffusa «capillarità» e flessibilità degli interventi a sostegno delle fonti rinnovabili». 149 V. CARAVITA DI TORITTO B., Fonti energetiche rinnovabili ed efficienza economica, in BRUTI LIBERATI E. – DONATI F. (a cura di), Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007. Il settore energetico costituisce un chiaro esempio di governance, sia perché sul suo governo incidono livelli diversi di governo (internazionale, europeo, statale e regionale), sia perché le scelte che orientano il settore non sono tutte riconducibili a norme giuridiche pubbliche. Il Libro bianco sulla governance europea (Commissione europea, 25 luglio 2011) prevede: «il concetto di governance designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Come è stato ricordato, v. MORATA F, Come migliorare la governance democratica europea con le Regioni, in Le istituzioni del federalismo, I, 2004, 24, la governance attiene ad una serie di «nuovi meccanismi per garantire la pluralità, la flessibilità e l’interazione necessarie per gestire la complessità caratteristica delle nostre società» e si atteggia quale «condivisione dei compiti e delle responsabilità tra attori pubblici e privati in un processo di integrazione più o meno continuo». 148 56 Se, dunque, per alcuni versi, il «federalismo energetico» può apparire come espressione vuota, priva di riscontro normativo letterale, nell’ambito d’interesse non può tuttavia sottacersi che il ruolo delle Regioni è sicuramente di particolare rilevanza, in quanto esse si presentano quali unità territoriali di riferimento per il dispiegamento degli effetti della realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, nonché imprescindibili centri di composizione degli interessi150. Questo nuovo e complesso assetto di competenze ha da più parti sollevato la questione su un’eventuale marcia indietro, sottolineando la necessità, per la sicurezza energetica nazionale, di una gestione centralizzata dell’energia151, anche alla luce della crescente rilevanza dell’azione normativa europea nel settore. Se questa, infatti, da un lato, tende a depotenziare l’autonomia dell’iniziativa nazionale in materia, che diviene mera azione di recepimento della disciplina europea; dall’altro, però, legittima un nuovo accentramento della potestà normativa in materia verso lo Stato centrale, quantomeno giustificato dalla necessità di garantire l’adempimento degli obblighi comunitari sulla differenziazione delle fonti di energia ed il raggiungimento di quote prefissate, che grava soprattutto sugli Stati152. Nonostante l’effettivo decentramento della potestà normativa alle Regioni, si rafforza dunque l’esigenza di individuare un livello di governo che garantisca, dinanzi alle autorità europee, una visione di sintesi degli interessi generali attraverso una progettazione della politica energetica nazionale e una vigilanza del settore coerente con gli obiettivi fissati in materia a livello europeo ed internazionale153. V. MISCIA V. – LUBELLO V., op.cit., 85. D’altronde lo scetticismo sulla riforma federalista non riguarda solo il settore energetico, ma l’intera riforma. 152 Peraltro la giurisprudenza costituzionale ha da tempo riconosciuto al diritto europeo la capacità di influenzare il riparto costituzionale di competenza normativa fra Stato e Regioni attraverso una differente articolazione della relazione fra norme di principio e di dettaglio, cfr. Corte cost. sent. n. 398 del 1989, in Giurisprudenza costituzionale, 1989, 1757. 153 Anche sotto tale profilo i giudici costituzionali da tempo asseriscono l’esistenza di un interesse generale al programmato reperimento e sfruttamento delle fonti di energia e ad un’offerta di 150 151 57 Questo ruolo di sintesi, in parte, è stato inizialmente assunto dalla Corte Costituzionale154, che ha propugnato una visione del nuovo quadro costituzionale «quasi all’insegna di una sorta di neocentralismo»155, nel tentativo di accrescere il ruolo dello Stato e di ricondurre a ragionevolezza il nuovo modello di relazioni giuridiche e fattuali tra il potere centrale e le autonomie territoriali156. Oggi, però, il ruolo di sintesi sembra possa ritrovare il proprio naturale ambito nella programmazione nazionale, che, per quanto attiene alle fonti di energia rinnovabile, è stata da ultimo rafforzata nell’obbligo, contemplato dall’art. 4 della direttiva 2009/28/CE, di elaborare un Piano di azione nazionale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, da trasmettere ciascun anno alla Commissione. La soddisfazione di tale esigenza doveva anche tradursi, per i promotori di una proposta di revisione costituzionale presentata nella XIV legislatura e trasposta nel disegno di legge n. 2544-B, mai approvato, in una razionalizzazione dell’assetto costituzionale delle competenze contenuto nell’art. 117 Cost. che affidasse alla competenza esclusiva dello Stato la «produzione strategica, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia»157. Nonostante il naufragio di tale progetto di revisione, anche per l’incerta identificazione della portata energia adeguata alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese. Cfr. Corte cost. sent. n. 13 del 1964. 154 Il riferimento è in primo luogo alla fondamentale Corte cost. sent. n. 303 del 2003, con la quale la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi circa la competenza in capo al Legislatore nazionale ad assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in cui non sia stata ad esso attribuita una potestà legislativa esclusiva, ma solo concorrente. Tale decisione – definita dalla dottrina un vero «trattatello» di diritto costituzionale in forma di sentenza (FERRARA R., Unità dell’ordinamento giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte costituzionale, in Foro italiano, I, 2004, 1018, con nota di richiami di VIDETTA C.) – ha senza dubbio costituito il leading case di altre tre successive sentenze della Consulta che, proprio in relazione allo specifico tema dell’energia (cfr. Corte cost. sentt. nn. 6, 7 e 8 del 2004), ribadiscono e puntualizzano una serie di principi fondamentali circa l’esatta interpretazione del riparto di competenze (sia normative che amministrative), al fine di rendere più «flessibile» l’assetto di poteri disegnato nel nuovo titolo V della Costituzione. 155 L’espressione è ascrivibile a FRACCHIA F., Dei problemi non (completamente) risolti dalla Corte costituzionale: funzioni amministrative statali nelle materie di competenza regionale residuale, norme statali cedevoli e metodo dell’intesa, in Foro italiano, I, 2004, 1014. 156 Cfr. LOMBARDI R., op.ult.cit. 157 Il disegno di legge costituzionale 2544-B è stato approvato in via definitiva dal Senato il 16 novembre 2005 e sottoposto a referendum confermativo in data 25 giugno 2006. L’esito di tale referendum, tuttavia, è stato negativo e la modifica costituzionale, quindi, non è entrata in vigore. 58 effettivamente «strategica» della produzione di energia, non è tramontata, tuttavia, l’esigenza che aveva dato impulso alla sua elaborazione e che emerge spesso nel dibattito scientifico sul tema. Si allude alla necessità di esplicitare, nell’assetto costituzionale delle competenze in materia di energia, l’affidamento allo Stato della competenza esclusiva a delineare i regimi di incentivo e, soprattutto, le sanzioni, necessari a vincolare le Regioni al rispetto degli obiettivi strategici sulle quote di energia definiti in sede europea158. 4. La disciplina nazionale di promozione delle energie rinnovabili. Nell’evoluzione del quadro normativo nazionale di riferimento nel settore delle fonti rinnovabili di energia, assumono sicuramente una posizione di rilievo i decreti legislativi, con i quali l’Italia ha dato attuazione alle direttive comunitarie relative alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. 4.1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. Il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 è stato emanato in attuazione degli obblighi comunitari in tema di energie rinnovabili introdotti con la direttiva 2001/77/CE159, con l’intento di perseguire le seguenti finalità: a) «promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato italiano e comunitario; b) promuovere misure per il perseguimento degli obiettivi indicativi nazionali in tema di produzione di energia rinnovabile; Si veda la proposta formulata, in tal senso, da LOMBARDI G., L’energia rinnovabile: prospettive, riflessioni e percorsi per una riforma costituzionale, in MACCHIATI A. – ROSSI G., op. cit., 197. Sul riparto di competenze operato dalla L. cost. n. 3 del 2001, in materia di energia, si v. CASSESE S., L’energia elettrica, cit., 673; GALBIATI R. – VACIAGO G., op.cit., 367; NAPOLITANO G., L’energia elettrica, cit. 2198 ss.; PERFETTI L., Il governo dell’energia tra federalismo e liberalizzazione. Profili di ricomposizione del quadro delle competenze, in Mercato, concorrenza e regole, 2, 2002, 376 ss.; DONATI F., Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di energia, in BRUTI LIBERATI E. – DONATI F., op. cit., 35; BUZZACHI C. (a cura di), Il prisma energia. Integrazione di interessi e competenze, Milano, 2010. 159 Il d.lgs. n. 387 del 2003 è stato emanato ai sensi della delega contenuta nell’art. 43 della L. n. 39 del 1° marzo 2002, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2001». 158 59 c) concorrere alla creazione delle basi per un futuro quadro comunitario in materia; d) favorire lo sviluppo di impianti di micro generazione elettrica alimentati da fonti rinnovabili, in particolare per gli impieghi agricoli e per le aree montane»160. Allo scopo di incrementare la produzione di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili, il testo contiene sia disposizioni che predispongono direttamente le misure da adottare per aumentare la produzione dell’energia da fonti rinnovabili sia disposizioni che rimandano a futuri (e talora eventuali) provvedimenti da adottare a diversi livelli territoriali161. In particolare, in un’ottica di razionalizzazione, accelerazione e semplificazione sollecitata dalla direttiva 2001/77/CE, il d.lgs. n. 387 del 2003 ha tentato di dar vita a un processo di snellimento delle procedure amministrative relative alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili – di cui parleremo più ampiamente nel prossimo capitolo – considerato strumento necessario per un incremento considerevole per la produzione dell’energia pulita162. Cfr. art. 1 del d.lgs. n. 387 del 2003. Per quanto riguarda le misure direttamente adottate dal decreto in esame, innanzitutto, l’art. 4 dispone espressamente il progressivo aumento annuale della quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili che deve essere immessa nel sistema elettrico nazionale ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999. Contestualmente all’incremento di immissione dell’energia derivante da fonti rinnovabili e allo scopo di agevolarne la riconoscibilità e quindi lo scambio in ambito comunitario, l’art. 11 del decreto in esame prevede che l’elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili e la produzione imputabile da impianti misti ha diritto al rilascio, su richiesta del produttore, della garanzia di origine di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, la c.d. «garanzia di origine», a condizione che gli impianti da cui l’elettricità certificata provenga possano dimostrare una produzione annua di almeno 100MWh. Come anche l’art. 5 della direttiva 2001/77/CE precisa, infatti, l’obiettivo fondamentale delle garanzie di origine è quello di consentire ai produttori di «dimostrare che l’elettricità da essi venduta è prodotta da fonti energetiche rinnovabili», anche a livello comunitario, in cui le garanzie sono «reciprocamente riconosciute dagli Stati membri», tanto che un eventuale mancato riconoscimento da parte di uno di questi «deve essere fondato su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori». Le disposizioni che invece perseguono la promozione della produzione di «energia verde», rinviando a successive misure, sono molteplici ed eterogenee. In particolare, l’art. 5 relativo alla valorizzazione delle biomasse e l’art. 7 per l’energia solare. 162 Al riguardo, la direttiva comunitaria del 2001, all’art. 6, afferma espressamente che tra gli scopi che gli Stati membri devono raggiungere attraverso il quadro legislativo e regolamentare, vi sono: 160 161 60 L’Unione europea, infatti, aveva percepito che la maggior parte degli Stati membri manteneva procedure autorizzatorie anche per la realizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti di energia rinnovabili o assimilate nel quadro di quelle più generiche riguardanti tutti gli impianti di produzione di energia elettrica e pertanto invitava gli Stati membri a semplificarla tenendo conto del ruolo strategico e dei benefici apportati dalla tecnologia di produzione delle fonti in oggetto.163 Così, l’art. 12 intitolato, appunto, razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative, al comma 3, prevede un regime «semplificato», in base al quale «la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili», così come «gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione», «nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o dalle province delegate164, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo», nonché «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo» all’aumento delle fonti energetiche rinnovabili e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie». 163 V. PICOZZA E., Il regime giuridico degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, in ID. (a cura di), Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia elettrica, Torino, 2003, 21. 164 Modifica apportata alla disposizione ai sensi dell’art. 2, comma 158, della L. 24 Dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)». Le province vengono quindi espressamente individuate quali enti delegati, mentre in precedenza la norma faceva generico riferimento ad «altro soggetto istituzionale delegato». La Legge finanziaria 2008 delinea un quadro di eccezionale impulso alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, nell’ottica dello sforzo per la riduzione delle emissioni clima - alteranti, così come per l’aumento della sicurezza energetica, la riduzione dei costi di approvvigionamento e lo sviluppo dei settori nazionali dell’innovazione e delle energie rinnovabili. Gli ambiti di riferimento oggetto della normativa sono rappresentati dai settori produttivi e dei servizi, dall’industria all’artigianato alle professioni e, in diversa misura, dalle pubbliche amministrazioni che devono contribuire a promuovere, tramite specifici regolamenti e iter autorizzativi semplificati, il raggiungimento degli obiettivi energetici ed ambientali da fonti rinnovabili. Numerose sono le disposizioni contenenti novità in tema energetico, con specifico riferimento a regolamenti, incentivazione e tipologia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Fra le novità più importanti vi sono quelle che riguardano il sistema di incentivazione per la produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da fonti rinnovabili, che viene positivamente aggiornato, pur assicurandone la continuità. Fatta esclusione per la fonte solare fotovoltaica, per la quale il regime di incentivazione rimane regolato dal DM 19 febbraio 2007, per tutte le altre fonti rinnovabili la riforma prevede una maggiore sicurezza di conseguire tempestivamente le incentivazioni e, in 61 dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico – artistico,che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico»165. L’autorizzazione unica «è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate166, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni». Nel suo complesso, la norma delinea, dunque, una procedura semplificata ed accelerata per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti alimentati con fonti rinnovabili, i quali ai sensi del comma 1 dell’art. 12 del d.lgs. particolare, per i piccoli produttori, la garanzia dell’entità delle incentivazioni stesse attraverso il meccanismo del «Conto energia». Le tariffe sono in generale incrementate sia attraverso una rivalutazione dei Certificati Verdi, variabile secondo la specifica fonte rinnovabile, sia attraverso il prolungamento a 15 anni del periodo di attribuzione dei cd. certificati verdi (a fronte dei 12 precedenti), così come dalla fissazione agli stessi 15 anni del periodo di attribuzione delle tariffe incentivanti per gli impianti ammessi a godere del «Conto energia». Infine, viene compiuto un ulteriore passo in avanti sulla via della semplificazione amministrativa per l’autorizzazione degli impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, modificando alcuni commi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. In particolare, viene stabilito che per gli impianti di fonte rinnovabile, con capacità di generazione inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al citato decreto, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del DPR n. 380 del 2001. Inoltre, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività. 165 Modifica effettuata dall’art. 2, c. 158 della L. n. 244 del 2007. Dunque, l’autorizzazione unica costituisce ove occorra variante allo strumento urbanistico. Consegue che, nell’ambito del procedimento unico viene svolta, ove necessaria, anche la verifica di conformità dell’impianto alla disciplina urbanistico – edilizia., ed eventualmente, la difformità del progetto rispetto al PRGC non è più di per sé elemento preclusivo al rilascio dell’autorizzazione.; in tal senso cfr. anche Tar Veneto, sez. II, sent. 5 aprile 2006, n. 874: «In caso di DIA per il conseguimento del titolo sotto il profilo urbanistico per la realizzazione di un impianto fotovoltaico e della recinzione delimitante l'ambito interessato dalla struttura, è legittimo il provvedimento con il quale il Comune oppone il diniego, ostativo alla realizzazione delle opere denunciate, dichiarando la propria incompetenza a rilasciare l'autorizzazione richiesta, in quanto detta competenza appartiene, in base al disposto dell'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, alla Regione». 166 Per l’esatta individuazione delle «amministrazioni interessate» alla Conferenza di servizi, soccorre la disposizione di cui all’art. 14 della L. n. 241 del 1990 che limita la partecipazione alla Conferenza decisoria ai soli enti cui spetta esprimere «intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati» sull’oggetto del procedimento (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 9 febbraio 2010, 1775, in Rivista giuridica dell’edilizia, II-III, 2011, 73). 62 in esame, sono espressamente considerati «di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti».167 Al comma 10, poi – come anticipato – è previsto, da un lato, che la Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (ora Ministro dello sviluppo economico) di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, sia competente ad approvare le Linee Guida per lo svolgimento del procedimento unico di cui all’art. 3 citato, le quali devono essere volte espressamente «ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio»; dall’altro che, in attuazione di tali Linee Guida, le Regioni possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti. Le Regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle Linee Guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le Linee Guida nazionali. La semplificazione procedimentale introdotta, tuttavia, non ha conseguito in realtà, almeno fino al 2010, l’esito atteso, ovvero sia quello di ottenere, attraverso lo snellimento e l’accelerazione del procedimento di autorizzazione per Analoga disposizione era già prevista dal comma 4 dell’art. 1 della L. n. 10 del 1991. Sull’implicazione di tale riconoscimento rispetto alle procedure espropriative, è interessante il breve contributo di FERRUTI A., Impianti eolici o alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Brevi note sui rapporti fra procedimento autorizzatorio e procedimento espropriativo, in Lexitalia.it, 6, 2006, il quale afferma che: «la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta anche quando «in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità (…) il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto aventi effetti equivalenti» [così art. 12, comma 1, lettera b), DPR 327 del 2001]. Ora, richiamata la disposizione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 circa l’equivalenza fra autorizzazione degli impianti ivi menzionati e dichiarazione di pubblica utilità, si è dell’avviso che l’ampia locuzione adottata dall’art. 12, comma 1, lett. b), DPR 327 del 2001 consenta di ritenere disposta la «pubblica utilità» per gli impianti e le opere menzionati nella normativa nazionale o in analoghe previsioni regionali .(…). In estrema sintesi, nel caso di autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte energetiche rinnovabili previsti dal d.lgs. n. 387 del 2003, l’autorizzazione unica comporta ex lege la dichiarazione di pubblica utilità senza necessità di ulteriori adempimenti». 167 63 l’installazione degli impianti, una produzione di fonti di energia rinnovabile nella percentuale del 17% richiesta al nostro Paese in sede europea. L’assenza di tale risultato non è però da ricondursi tanto ai difetti della semplificazione procedimentale di natura decisoria introdotta dal nostro Legislatore, quanto piuttosto alle carenze e ai ritardi presenti, per così dire, «a monte» del procedimento autorizzatorio. In tale contesto, senza dubbio, ha rilevato il ritardo con cui sono state emanate le Linee Guida nazionali per regolare il corretto inserimento degli impianti sul territorio per effetto del complesso intreccio di interessi costituzionali e di competenze normative dello Stato e delle Regioni investiti dalla loro localizzazione. L’assenza di queste Linee Guida ha infatti rappresentato, fino alla loro emanazione nel 2010, uno dei più grandi deficit dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei in tema di energia, in quanto il processo di liberalizzazione iniziato con la riforma del titolo V della Costituzione e la conseguente estensione del potere decisionale alle Regioni risultava carente di un completamento nelle sue fasi attuative in grado di identificare un ruolo chiaro per Stato e Regioni. 4.1.1. Le Linee Guida nazionali per la promozione delle energie rinnovabili. L’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 affida, dunque, alla Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, il compito di definire Linee Guida nazionali, che devono contemplare requisiti soggettivi e criteri tecnici uniformi per i provvedimenti di autorizzazione all’installazione degli impianti di energia alternativa. La ratio di una tale previsione discende dalla consapevolezza che la funzione regionale diretta a regolare, attraverso l’autorizzazione alla localizzazione degli impianti, la distribuzione locale dell’energia investe in effetti, oltre alla tutela dell’iniziativa economica e all’interesse nazionale all’approvvigionamento energetico, la garanzia di altri valori costituzionali primari, come quello della tutela della qualità dell’ambiente, inteso come ecosistema rispetto all’emissione di gas a 64 effetto serra, e quello della protezione del paesaggio, inteso principalmente nella sua dimensione c.d. «identitaria»168. Da qui l’affidamento della definizione delle Linee Guida alla Conferenza Stato-Regioni preceduta da una complessa attività di concertazione con le amministrazioni statali titolari delle funzioni deputate alla tutela di tali interessi costituzionali. Tuttavia, è di tutta evidenza come una tale procedura, così come delineata, sia, inevitabilmente, destinata a ritardare e a rendere farraginosa l’effettiva adozione delle Linee Guida, che infatti è intervenuta solo di recente169. Nella persistente assenza delle Linee Guida, le Regioni, per molto tempo, attraverso la funzione amministrativa di loro spettanza relativa al rilascio dell’autorizzazione, hanno sfruttato l’occasione per privilegiare gli interessi di più spiccata valenza territoriale investiti dall’impatto locale dell’insediamento degli impianti rispetto ai benefici attesi dall’utilizzo delle fonti rinnovabili sulla riduzione delle emissioni di gas nocivi. L’incompletezza del quadro regolatorio nazionale ha, di fatto, attribuito per molto tempo unicamente alla disciplina regionale sui procedimenti l’improprio ruolo di risolvere i conflitti fra i differenti interessi presenti nella materia ovvero, soprattutto, quelli legati all’impatto degli impianti sul territorio e quelli di tutela ambientale cui tende la diffusione delle fonti rinnovabili. Ne è risultata accentuata, in alcune Regioni, una visione settoriale e, quindi, inevitabilmente conflittuale del rapporto fra questi interessi; tale contrapposizione si è tradotta talora, ad esempio riguardo all’installazione degli impianti eolici, nell’assolutizzazione dell’interesse In tale prospettiva ben si comprende anche il riconoscimento in tale attività, da parte della Corte cost., di un’espressione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, comma 3, lett. s); il suo intreccio con la competenza concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia» di cui all’art. 117, comma 3, - che si esplica nella decisione di localizzazione degli impianti sul territorio - spiega infatti, per i giudici costituzionali, il ricorso alla Conferenza unificata ma non l’affidamento unicamente alle Regioni del potere di definire criteri o requisiti per la loro ubicazione: l’esigenza di assicurare una loro adeguata integrazione nel paesaggio e l’interesse alla tutela ambientale discendente dalla loro installazione evoca in effetti, necessariamente, la competenza esclusiva statale (cfr. Corte cost. sent. n. 166 del 2009). 169 Le Linee Guida sono oggi contenute nel DM 10 settembre 2010, pubblicato in G.U. 18 settembre 2010, n. 219. 168 65 paesaggistico rispetto a quello ambientale anziché in un loro reciproco bilanciamento, come richiesto, peraltro, dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale pronunciatasi sulla questione170; un bilanciamento che dovrebbe comunque assumere, come necessaria variabile indipendente, il rispetto degli obblighi comunitari ed internazionali sulle quote di energia rinnovabili e la riduzione delle emissioni nocive171. In data 10 settembre 2010, dopo una gestazione di quasi sette anni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali, previa approvazione della Conferenza unificata nella seduta dell’8 luglio 2010, sono state emanate le Linee Guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, così come previste dall’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387. Il documento è piuttosto ampio e articolato, ma individua alcuni elementi cruciali per lo sviluppo delle rinnovabili: 1) chiarezza e snellezza delle procedure autorizzative; 2) definizione dei rapporti tra i diversi soggetti istituzionali; 3) pianificazione territoriale e individuazione dei siti; 4) gestione delle compensazioni. Nella parte prima, le Linee Guida individuano i principi generali e sanciscono che l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si Tale tendenza era emersa, in modo emblematico, nella vicenda del frequente annullamento, da parte delle Sovrintendenze, del nulla-osta paesaggistico rilasciato dalle amministrazioni competenti per effetto di un’iniziale assolutizzazione del valore estetico e storico del paesaggio come tale non comparabile con altri interessi dotati di analoga rilevanza costituzionale. Quest’impostazione, tuttavia, risulta ormai difficilmente sostenibile grazie a quella giurisprudenza costituzionale che ha ravvisato nella primarietà di alcuni valori costituzionali, come quelli del paesaggio e dell’ambiente, non tanto un loro primato nella scala gerarchica degli interessi costituzionali ma una loro necessaria considerazione nelle concrete valutazioni operate dalle amministrazioni nell’esercizio della loro discrezionalità. Cfr., a tal proposito, Corte cost. sent. 28 giugno 2004, n. 196, in Foro italiano, 2005, I, 327. 171 Nella prospettiva per cui, nella localizzazione degli impianti eolici, uno dei parametri del bilanciamento sia già definito in anticipo dalla disciplina internazionale ed europea in materia si v. DE LEONARDIS F., Criteri di bilanciamento tra paesaggio e energia eolica, in Diritto amministrativo, 4, 2005, 889. 170 66 inquadra nella materia concorrente della produzione di energia elettrica ed è qualificata come «attività libera», cui si accede in condizioni di uguaglianza, senza discriminazioni nelle modalità, condizioni e termini per il suo esercizio. Tale regime è esteso anche alle opere connesse ed alle infrastrutture indispensabili. Trattandosi di attività economica non riservata agli enti pubblici e non soggetta a regime di privativa, non possono essere indette procedure pubblicistiche di natura concessoria. Nella parte seconda, invece, viene affrontata la questione sul regime giuridico delle autorizzazioni. In particolare, è stato stabilito l’elenco degli atti che rappresentano i contenuti minimi indispensabili per superare positivamente l’iter autorizzativo e vengono chiarite le procedure che ogni impianto, in base alla fonte e alla potenza installata, deve seguire per ottenere l’autorizzazione. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, le Linee Guida mantengono il riparto, già operato dal d.lgs. n. 387 del 2003, tra attività sottoposta ad autorizzazione unica, attività sottoposta a dichiarazione di inizio attività ed attività libera soggetta a comunicazione, precisando le caratteristiche e le soglie rilevanti per ciascuna delle quattro categorie di fonti di energia rinnovabile172. Al di là del contenuto, essenzialmente sistematico, delle Linee Guida, la questione maggiormente controversa ha riguardato comunque la loro qualificazione giuridica, anche in considerazione degli inevitabili effetti che la stessa comporta sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e, dunque, nella pratica, nell’ambito dei ricorsi di costituzionalità delle leggi regionali in materia di energia alternativa. La dottrina, infatti, si è interrogata sulla natura giuridica delle Linee Guida e, partendo dal particolare procedimento di adozione previsto (adozione in Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, ed Fotovoltaico; biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas; eolico; idroelettrico e geotermoelettrico. 172 67 allegazione a un decreto dello stesso Ministro), ha escluso che, in linea di principio, le stesse possano considerarsi norme di legge173. L’approvazione del testo da parte della Conferenza unificata attribuirebbe infatti alle Linee Guida il valore di «intesa»174 tra lo Stato ed il sistema delle autonomie regionali e locali su materie e compiti di interesse comune, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281175. Nella gerarchia delle fonti, esse si Cfr. contributi resi nell’ambito della III Conferenza di diritto dell’energia, Regole e mercato delle energie rinnovabili, Roma, 29-30 marzo 2012. 174 Che l’intesa abbia un ruolo centrale nella disciplina dei rapporti fra gli enti territoriali nella materia de qua lo conferma in misura eclatante una sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 2005, n. 383, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 765 ss., con nota di NOBILI M.O., che contiene una lunga serie di dichiarazioni di incostituzionalità riferite a norme che prevedono l’esercizio di funzioni da parte del Ministro delle attività produttive senza l’intesa con le Regioni interessate oppure senza l’intesa con la Conferenza unificata. In generale sulla nozione di intesa v. ROFFI R., «Concerto» e «intesa» nell’attività amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giurisprudenza italiana, IV, 1988, 421 ss.; JACOMETTI V., La Corte costituzionale e l’inesistenza di una nozione unitaria di intesa, in Le Regioni, 1992, 78 ss.; MANFREDI G., Le intese e gli accordi fra Stato e Regioni in Italia, in PASTORI G. (a cura di), Accordi e intese nell’ordinamento regionale. Materiali per la riforma, Milano, 1993, 121 ss. 175 Tale articolo determina le funzioni della Conferenza unificata: «La Conferenza unificata assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle Regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane. La Conferenza unificata è comunque competente in tutti i casi in cui Regioni, province, comuni e comunità montane ovvero la Conferenza Stato - Regioni e la Conferenza Stato - città ed autonomie locali debbano esprimersi su un medesimo oggetto. In particolare la Conferenza unificata: a) esprime parere: 1) sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati; 2) sul documento di programmazione economica e finanziaria; 3) sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59; b) promuove e sancisce intese tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane. Nel caso di mancata intesa o di urgenza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, commi 3 e 4; c) promuove e sancisce accordi tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune; d) acquisisce le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali indicati, rispettivamente, dai presidenti delle Regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, dall’ANCI, dall’UPI e dall’UNCEM nei casi previsti dalla legge; e) assicura lo scambio di dati e informazioni tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane nei casi di sua competenza, anche attraverso l'approvazione di protocolli di intesa tra le amministrazioni centrali e locali secondo le modalità di cui all'articolo 6; f) è consultata sulle Linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed agli enti locali; g) esprime gli indirizzi per l’attività dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può sottoporre alla Conferenza unificata, anche su richiesta delle autonomie regionali e locali, ogni altro oggetto di preminente interesse comune delle Regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane. Ferma restando la necessità dell’assenso del Governo per l’adozione delle deliberazioni di competenza della Conferenza unificata, l’assenso delle Regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono, rispettivamente, la Conferenza Stato - Regioni e la Conferenza Stato - città ed autonomie locali. L’assenso è espresso di regola all’unanimità dei membri dei due predetti gruppi. 173 68 collocano, quindi, ad un livello inferiore rispetto ai principi fondamentali della materia che, nelle ipotesi di legislazione concorrente, l’articolo 117, comma 3, ultimo periodo, della Costituzione, rimette «alla legislazione dello Stato» e, quindi, nella fattispecie, alle norme del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387. Una conclusione di tal fatta, dunque, condurrebbe ad escludere che le Linee Guida possano essere assunte come norme interposte nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi regionali in tale settore e che, quindi, i principi in esse regolati non possano essere utilizzati nella definizione del riparto di competenza concorrente. Tuttavia, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che il decreto ministeriale del 10 settembre 2010 contiene norme finalizzate a disciplinare, in via generale e astratta, il procedimento di autorizzazione alla installazione degli impianti alimentati dalle fonti rinnovabili, alle quali sono vincolati tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’attività in questione176. Pertanto, le Linee Guida sono atti viepiù di fonte secondaria, in quanto ricorrono gli indici sostanziali che la giurisprudenza costante della Corte costituzionale assume a base della qualificazione degli atti come regolamenti177. Ad ogni modo, chiarita comunque la natura di norme di rango regolamentare delle Linee Guida, occorre una precisazione sull’incidenza che queste possono acquisire nel processo valutativo rimandato alla Corte costituzionale nell’ambito dei suoi giudizi. Come ha, infatti, chiarito di recente anche la stessa Corte178, se da un lato è ovvio che gli atti di fonte secondaria, qualora autonomamente considerati, non possano assurgere al rango di normativa interposta, ciò però non vale per tutti quei casi in cui la normativa secondaria costituisca integrazione, in ambito esclusivamente tecnico, della normativa primaria che ad essi rinvia. Ove questa non sia raggiunta l'assenso è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi». 176 Cfr. Corte cost. sent. n. 275 del 2011. 177 Cfr. Corte cost. sentt. nn. 278 e 274 del 2010. 178 Cfr. Corte cost. sent. n. 11 del 2014. 69 Ed è proprio questo il caso delle Linee Guida in esame, che rappresentano il completamento «tecnico» del principio contenuto nella disposizione legislativa. Esse infatti vengono ad essere un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad esse affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenza periferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione è prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed articolata. Pertanto, le Linee Guida, avendo funzione attuativa dei medesimi principi fondamentali, rappresentano disposizioni interposte tra le norme statali di principio e la legislazione di (ulteriore) dettaglio regionale, sicché, ove quest’ultima si dovesse porre in contrasto con le prime, sarebbe sostanzialmente violato l’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Come pure incostituzionale sarebbe una legge nazionale lesiva delle Linee Guida (quale intesa tra lo Stato, le Regioni ed il sistema delle autonomie locali), per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione, cui devono improntarsi i rapporti fra i vari soggetti dell’ordinamento che, a livelli diversi, operano nella medesima materia. 4.2. Il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. La direttiva comunitaria 2009/28/CE sulle fonti rinnovabili doveva essere recepita nell’ordinamento interno entro il 5 dicembre 2010, allo scopo, secondo le intenzioni del Governo, di dettare le regole generali per il settore delle rinnovabili, sulla base degli obiettivi dettati dagli accordi internazionali, semplificando e snellendo le procedure, e di addivenire alla riduzione drastica dei costi sostenuti dai consumatori dell’energia. Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 3 marzo 2011, in via definitiva il c.d. decreto Rinnovabili, n. 28 del 2011. Esso si compone di 43 articoli, divisi in 9 titoli, e di 4 allegati tecnici, che si occupano di definire il quadro istituzionale, 70 finanziario e giuridico, gli strumenti, i meccanismi e le misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi fissati fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia (art. 1 «Finalità»)179. Le maggiori modifiche apportate dal decreto Rinnovabili riguardano le procedure autorizzative e il sistema degli incentivi, di cui però ci riserviamo la più ampia trattazione nei capitoli seguenti. Ciò che rileva, ai fini del presente capitolo, è che comunque il decreto legislativo n. 28 del 2011 si pone del tutto in linea con quanto già sperimentato con il d.lgs. n. 387 del 2003, ispirandosi ai principi di semplificazione, accelerazione, proporzionalità e adeguatezza, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, al fine di favorire lo sviluppo dell’energia alternativa. 5. Gli strumenti di pianificazione energetica. Per completare il quadro normativo e regolatorio nell’ambito di interesse, appare utile un breve cenno sull’attività di programmazione del Governo italiano nel settore energetico in generale, ed in quello delle energie rinnovabili in particolare. La pianificazione energetica in Italia è stata, infatti, per lungo tempo, molto carente. Dal Piano energetico nazionale (PEN) del 1988 – di cui abbiamo parlato in un paragrafo precedente – si sono dovuti attendere oltre 2 decenni prima di veder emanare un documento strategico programmatico sull’intero comparto dell’energia. Un documento di tale portata era atteso da più parti, in considerazione del fatto che dal 1988 l’intero comparto energetico (e non solo il settore delle rinnovabili, dunque) necessitava di un quadro strategico d’insieme. Nel periodo L’articolo 3 indica quale obiettivo nazionale una quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2020 pari al 17 %, tramite una precisa progressione temporale coerente con le indicazioni dei Piani di azioni nazionali per le energie rinnovabili predisposti ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2009/28/CE. 179 71 considerato, infatti, il comparto dell’energia era stato attraversato da profonde trasformazioni – tra cui la più importante era stata sicuramente rappresentata dal processo di liberalizzazione dei mercati, che aveva interessato l’assetto di intere fasi delle filiere produttive nel settore dell’energia elettrica, del gas naturale, della produzione e distribuzione di prodotti petroliferi e la spinta allo sviluppo delle rinnovabili – che però, in assenza di un quadro programmatico «a monte», avevano seguito un processo autonomo, non coordinato. 5.1. La Strategia energetica nazionale. Solo in tempi molto recenti, in data 8 marzo 2013 viene adottato il decreto interministeriale, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di approvazione della Strategia energetica nazionale (SEN), che si qualifica – appunto – come «atto di indirizzo strategico». Il documento si presenta poderoso – 139 pagine – e si prefigge l’obiettivo, in uno scenario di medio periodo (sino al 2020), di proporre una possibile riorganizzazione dell’intero comparto dell’energia in funzione di quattro obiettivi principali da raggiungere: riduzione del costo dell’energia per cittadini e imprese, in particolare per azzerare il differenziale di costo con i principali Paesi europei; pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale; maggiore sicurezza di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dall’estero; sviluppo industriale del settore dell’energia per una crescita sostenibile180. Per raggiungere questi obiettivi, sono state fissate sette priorità: promozione dell’efficienza energetica, promozione di un mercato del gas competitivo, sviluppo economicamente sostenibile delle energie rinnovabili, sviluppo di un mercato elettrico pienamente integrato con quello europeo, ristrutturazione del settore della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti, sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, modernizzazione dei processi decisionali con l’obiettivo di renderli più efficaci e più efficienti. 180 72 Invero, la SEN si è subito esposte a numerose critiche, soprattutto di natura politica, per la considerazione che tale atto è stato adottato da un Governo dimissionario181. Ma al di là delle scelte di opportunità politica, il documento presenta alcune difficoltà interpretative, soprattutto per una corretta qualificazione in termini giuridici e quindi circa il valore che esso deve rivestire nel nostro ordinamento. Ad avviso di molti, è però pacifico che la SEN, o meglio il decreto interministeriale che l’ha adottata, non abbia natura di atto di alta amministrazione182. La procedura, infatti, seguita per l’adozione della SEN e l’emanazione del decreto di relativa approvazione183 si discosta molto dalle specifiche forme procedimentali connaturate all’attività di alta amministrazione184. All’epoca di emanazione della SEN, l’allora Presidente del Consiglio Monti aveva già rassegnato le proprie dimissioni, rimanendo in carica per l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento del nuovo governo. Anche per le difficoltà di formazione di un nuovo governo successivo alle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013, il Governo Monti è rimasto in carica con i poteri di governo dimissionario per oltre quattro mesi (per la precisione 128 giorni). 182 Gli atti di alta amministrazione costituiscono una speciale categoria di atti amministrativi. Essi svolgono un raccordo fra la funzione politica e la funzione amministrativa, e sono funzionali all’adozione di (successivi) atti necessari all’attuazione dei fini della legge. Ne costituiscono esempi, tra gli altri: le deliberazioni di nomina e revoca dei più alti funzionari dello Stato; la nomina dei dirigenti di livello verticistico; le decisioni di ricorsi straordinari in dissenso dal parere del Consiglio di Stato; le decisioni del Consiglio dei Ministri che risolvono i conflitti di competenza. Il loro fondamento normativo è rinvenuto in due disposizioni, quali: l’art. 95 della Costituzione, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri i compiti di unità di indirizzo politicoamministrativo e di direzione politica del Governo; e l’art. 2 della legge n. 400 del 1988, che riserva al Consiglio dei Ministri la competenza in ordine a tutti i provvedimenti di fissazione dell’azione generale amministrativa. Le direttive conseguenti sono impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri, allo scopo di promuovere e coordinare l’attività dei Ministri. Data la sua rilevanza, all’attività di alta amministrazione partecipa il Presidente della Repubblica che emana gli atti di detta natura, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, nella forma del decreto (CHIEPPA, GIOVAGNOLI). Secondo autorevole dottrina (SANDULLI), gli atti di alta amministrazione sono atti formalmente e sostanzialmente amministrativi e, come tali, devono ritenersi vincolati nei fini e suscettibili di tutela giurisdizionale. Caratteristiche peculiari degli atti in questione sono, rispettivamente, l’ampio carattere discrezionale e la subordinazione. La forte discrezionalità li parifica agli atti politici, ma da essi si distinguono per non essere altrettanto liberi nei fini, comportandone l’assoggettamento al sindacato del giudice. 183 Decreto interministeriale, previa consultazione pubblica. 184 Gli atti di alta amministrazione, solitamente, assumono la forma di decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, o di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. 181 73 In realtà, il procedimento di adozione della SEN (decreto interministeriale, previa consultazione pubblica185) pone ulteriori profili di criticità, soprattutto perché esso è stato individuato in assenza di un’espressa previsione legislativa. La «Strategia energetica nazionale» era stata introdotta, originariamente, nell’ordinamento nel 2008, quale strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale186 e prevedeva, tra l’altro, il parere delle Commissioni parlamentari. L’originaria versione della norma sulla «Strategia energetica nazionale» del 2008 menzionava espressamente, tra le diverse fonti di energia su cui puntare, anche l’energia nucleare. Tuttavia tre anni dopo vi è stato un mutamento di orientamento del Governo, anche a seguito dell’incidente giapponese di Fukushima, e il decreto-legge n. 34 del 2011 ha abrogato tutte le norme del 2008-2010 in materia di energia nucleare, mentre a sua volta l’articolo 5, comma 8, ha dettato una nuova formulazione della norma sulla «Strategia energetica nazionale», depurata da riferimenti all’energia nucleare187. Il documento è infatti frutto di un processo di consultazione avviato a metà ottobre 2012 in seguito all’approvazione in Consiglio dei Ministri del documento di proposta e proseguito con il confronto con le istituzioni, le associazioni di categoria, le parti sociali e sindacali, le associazioni ambientaliste e dei consumatori, enti di ricerca e centri studi. Sono stati inoltre ricevuti suggerimenti e contributi da cittadini e singole aziende attraverso la consultazione pubblica che si è svolta on line sul sito web del Ministero dello sviluppo economico. 186 Nel 2008, con l’articolo 7 del decreto-legge n. 112, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento l’istituto della «Strategia energetica nazionale» quale strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale. Al centro di questo istituto era originariamente prevista la attivazione di una nuova politica per l’energia nucleare. Il decreto-legge n. 34 del 2011 ha dettato una nuova formulazione che manteneva l’istituto della «Strategia energetica» senza però riferimento al nucleare; anche questa nuova formulazione è stata abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011 (abrogazione resa esecutiva con DPR n. 114 del 2011). Rimangono naturalmente nell’ordinamento una serie di disposizioni concernenti piani su singoli settori dell'energia (gas, elettricità, rinnovabili, ecc., escluso il nucleare) e relative infrastrutture. 187 La riformulazione della norma sulla «Strategia energetica nazionale» (SEN) dettata dalla legge del 2010 era del seguente tenore: «Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l'incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi 185 74 Tuttavia, anche questa versione della norma è poi venuta meno per effetto del referendum popolare abrogativo del giugno 2011 sul nucleare. Uno dei quesiti sottoposti al corpo elettorale – così come riformulati dalla Corte di Cassazione in veste di Ufficio centrale per il referendum – aveva infatti ad oggetto proprio la riformulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale dettata dal decretolegge n. 34 del 2011. L’esito positivo del referendum ha determinato l’abrogazione anche del citato comma 8 dell’articolo 5188 e, quindi, dell’istituto della SEN da esso disciplinato. La Strategia energetica nazionale, pertanto, non fa più parte del nostro ordinamento189. Si pone, allora, la questione di quale sia la specifica fonte normativa di rango primario, presupposto per l’approvazione della SEN. Nelle premesse al decreto interministeriale, troviamo il richiamo «ai poteri di indirizzo spettanti in materia al Ministro dello Sviluppo economico e al Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare». Se, però, è indubbio che sussiste una generica titolarità in capo ai due Dicasteri di poteri di indirizzo, si pone, ad ogni modo, la questione del rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa, il quale – come noto – implica che gli organi della pubblica amministrazione esercitino le sole potestà che ad essi sono conferite da specifiche norme di rango legislativo, così da esercitare le proprie prerogative relative ai singoli obiettivi in conformità e nei limiti delle norme stesse. Se così non fosse, infatti, la discrezionalità amministrativa si trasformerebbe in arbitrio. Ecco allora che emerge l’importanza dell’interrogativo posto in precedenza, ovvero su quale sia la norma di legge che ha assegnato al Ministro dello sviluppo dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell'Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali». 188 Abrogazione resa esecutiva con DPR n. 114 del 2011. 189 In una segnalazione dell’8 novembre 2012 al Governo e al Parlamento l’AEEG ha manifestato al Legislatore l’esigenza di prevedere una norma espressa che disciplini il procedimento d’adozione della SEN. 75 economico e al Ministro dell’ambiente il compito di elaborare la Strategia energetica nazionale, definendone ampiezza e condizioni per l’esercizio di tale prerogativa. È evidente, infatti, come la circostanza non sia di poco conto, consideratele ripercussioni che la stessa può avere sulla legittimità della stessa SEN, nonché sulla realizzabilità delle misure ivi indicate190. Tuttavia, pare che una legittimazione sicura possa essere rinvenuta nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 93 del 2011 di recepimento delle direttive europee sul mercato interno dell’energia, che contiene un esplicito riferimento alla «Strategia energetica nazionale»191. Tale origine, peraltro, esprime bene il significato che tale programmazione dovrà assumere, ovvero concretizzare e perseguire le priorità esplicitate dalla disciplina europea indicando gli adempimenti, le misure operative e le scelte di localizzazione adeguate a conseguirle192. Al tempo stesso, tale programmazione dovrebbe costituire l’alveo e delineare le coordinate all’interno delle quali possano svilupparsi i Piani di settore. 5.2. Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili. Sul versante dei Piani settoriali, quello di maggiore interesse – anche per la presente trattazione – è sicuramente il Piano di azione nazionale (PAN) per le V. sull’argomento DI MARTINO A. – SILEO A., La Strategia Energetica Nazionale. Alcune riflessioni sulla valenza giuridica del documento, in Lexambiente.it, 16 aprile 2013. 191 Cfr. art. 1, comma 2, del d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE»: «2. Il Ministero dello sviluppo economico, previa consultazione delle Regioni e delle parti interessate, definisce entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in coerenza con gli obiettivi della strategia energetica nazionale di cui all'articolo 3, gli scenari decennali relativi allo sviluppo del mercato del gas naturale e del mercato dell'energia elettrica, comprensivi delle previsioni sull'andamento della domanda suddivisa nei vari settori, della necessità di potenziamento delle infrastrutture di produzione, importazione, trasporto, nonché, per il gas naturale, dello stoccaggio, eventualmente individuando gli opportuni interventi al fine di sviluppare la concorrenza e di migliorare la sicurezza del sistema del gas naturale. Tali scenari e previsioni sono articolati, ove possibile, per Regione. Gli scenari sono aggiornati con cadenza biennale e sono predisposti previa consultazione delle parti interessate». 192 V. COCCONI M., Nostalgie di programmazione energetica nazionale, in Confronticostituzionali.eu, 29 novembre 2013. 190 76 energie rinnovabili, già emanato una prima volta nel 2010, in attuazione della direttiva 2009/28/CE. L’art. 4 della direttiva citata, infatti, ha introdotto lo strumento del Piano d’azione nazionale, imponendone a ciascun Stato membro l’adozione entro il 30 giugno del 2010193. L’Italia ha inviato il proprio Piano alla Commissione il 28 luglio 2010. Esso illustra la strategia nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e disegna le principali linee d’azione per ciascuna area di intervento (elettricità, riscaldamento – raffreddamento e trasporti) sul consumo energetico lordo complessivo. Contiene, inoltre, l’insieme delle misure (economiche, non economiche, di supporto e di cooperazione internazionale) necessarie per raggiungere gli obiettivi. Sono previste poi ulteriori misure trasversali quali lo snellimento dei procedimenti autorizzativi, lo sviluppo delle reti di trasmissione e distribuzione per un utilizzo intensivo/intelligente del potenziale rinnovabile, le specifiche tecniche di apparecchiature e impianti e la certificazione degli installatori. Tra i principali obiettivi strategici, assumono particolare rilievo: 1. la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, considerato che l’Italia dipende fortemente dalle importazioni di energia; 2. la riduzione delle emissioni di gas dannose per il clima, secondo gli impegni assunti a livello internazionale (Protocollo di Kyoto); 3. il miglioramento della competitività dell’industria nazionale, attraverso il sostegno alla domanda di tecnologie rinnovabili e lo sviluppo dell’innovazione tecnologica. Cfr. art. 4 della direttiva 2009/29/CE. Ciascun Stato membro deve adottare il PAN, con lo scopo di fissare in tale contesto gli obiettivi nazionali per la quota di energia rinnovabile nel settore dei trasporti, dell’elettricità, del riscaldamento e refrigerazione fino al 2020 e le misure attuative per migliorare l’efficienza energetica. Il Piano di azione nazionale viene a costituire il documento programmatico dello Stato membro La Commissione valuta il PAN e interagisce formalmente con gli Stati membri attraverso raccomandazioni, strumenti per persuaderli a correggere alcuni elementi in vista dell’obiettivo finale. Per esempio, l’Italia ha ottenuto che gli obiettivi intermedi di ricorso alle rinnovabili da qui al 2020 siano «indicativi» e non vincolanti. Ciò implica che l’Italia se non raggiungerà il target non incorrerà in alcuna sanzione automatica di tipo finanziario/pecuniario. 193 77 Per il raggiungimento di questi obiettivi prioritari, il documento disegna le principali linee di azione che si articolano, sostanzialmente, sul piano della governance istituzionale e sulle politiche settoriali. Sotto il primo profilo, la programmazione si estrinseca nel coordinamento della politica energetica, industriale e ambientale e nella condivisione degli obiettivi con le Regioni194, in modo da favorire l’armonizzazione dei vari livelli di programmazione. Con riferimento, invece, al profilo della politica settoriale le linee di azione sono delineate sulla base del peso di ciascuna area di intervento sul consumo energetico lordo complessivo. A tal proposito il documento individua tre specifici settori di intervento: i consumi finali per il riscaldamento/raffreddamento, quelli finali nel settore dei trasporti e, infine, quelli finali di energia. Ad ogni modo, ciò che maggiormente interessa ai fini del presente lavoro è che lo sviluppo di fonti di energia alternativa rimane una linea di azione strategica nell’ambito della politica energetica nazionale. A tal fine, il Piano individua una serie di misure che l’Italia deve adottare, intervenendo anche sul sistema di incentivazione. In breve, le principali azioni previste consistono essenzialmente: nell’incremento della quota minima di energia elettrica da fonti rinnovabili da immettere sul mercato, con tempi e modi coerenti con i traguardi europei; nella revisione periodica degli strumenti di sostegno in modo tale da tenere in debito conto l’attesa riduzione dei costi delle tecnologie; nella modulazione degli incentivi in modo coerente con le diverse esigenze della produzione. Secondo alcuni studiosi di settore, tuttavia, il PAN non assolve propriamente alla sua funzione di atto di programmazione, sembra viepiù una ricognizione dell’esistente e, soprattutto, non appare in grado di influenzare lo sviluppo dei successivi adempimenti in materia195. Sostanzialmente, riproduce Attraverso il c.d. burden sharing regionale, ovvero l’attribuzione di specifici obblighi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in capo a ciascuna Regione in ragione delle specifiche potenzialità di sviluppo delle differenti tecnologie. 195 V. DE LEONARDIS F., Il ruolo delle energie rinnovabili, in NAPOLITANO G. – ZOPPINI A. (a cura di), Annuario di diritto dell’energia, Bologna, 2013, 131 ss. 194 78 fedelmente la strategia europea di stretta convergenza tra la promozione delle fonti rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica, ma non esplicita in modo convincente le misure concrete per poterle realizzare. Il Piano di azione del 2010 non utilizza, né valorizza, dunque, in modo adeguato lo spazio di discrezionalità che il diritto europeo affida alla competenza nazionale nel settore delle fonti di energia alternativa196. Sia pur rappresentando un primo passo verso una programmazione funzionale ad uno sviluppo efficiente delle energie rinnovabili, tuttavia, per molti aspetti appare ancora un documento embrionale, che contiene linee di principio che, però, dovrebbero essere meglio specificate per renderle attuabili o rafforzate affinché producano effetti concreti197. 6. Considerazioni di sintesi. Dall’analisi ricostruttiva operata nel presente capitolo emerge chiaramente come l’intervento dello Stato nel settore energetico, in generale, ed in quello della promozione delle energie rinnovabili, in particolare, rifletta anch’esso, in modo coerente, l’evoluzione storica – tracciata più dettagliatamente nel secondo paragrafo – delle varie forme di intervento pubblico nei settori dell’economia, riconosciute dalla nostra Carta costituzionale. Nella prima fase di nazionalizzazione del settore energetico, si realizza infatti l’istituzione dei regimi di riserva di cui all’articolo 43 della Costituzione. V. COCCONI M., op.cit. Cfr. le osservazioni al documento di consultazione sul Piano d’azione nazionale sulle fonti rinnovabili, presentate da Confindustria, che sottolinea come «Una strategia di sviluppo coerente non può prescindere da una ripartizione del potenziale per ogni singola Regione, fatta eccezione per il settore dei trasporti, volta a responsabilizzare le autorità locali nel raggiungimento dell’obiettivo al 2020. In tal senso sarebbe utile capire fin da ora il criterio attraverso cui l’eventuale responsabilità per il mancato raggiungimento del target al 2020 sarà ripartito o sulle Regioni o anche sui singoli settori. Il burden sharing regionale dovrebbe basarsi su criteri di efficienza tecnica che considerino le potenzialità di risorse e impieghi presenti sul territorio. Il PAN tuttavia sembra non tenere conto delle reali potenzialità di ogni singola fonte sviluppabili sul territorio nazionale, in funzione dei vincoli morfologici, paesaggistici, urbanistici e delle peculiarità di molte aree del nostro Paese. Inoltre non si ravvisa all’interno del Piano alcuna considerazione sulle tecnologie impiegate, sull’analisi costi-benefici caratterizzata dai rendimenti tecnologici delle differenti tecnologie e, soprattutto, non sono stati tenuti in considerazione i conseguenti costi per il Paese per la copertura delle misure di incentivazione che dovranno supportare lo sviluppo degli investimenti». 196 197 79 Nella seconda fase, invece, si passa alla fase di pianificazione, in cui lo Stato cerca attraverso «programmi e controlli» di indirizzare e coordinare le imprese pubbliche e private al perseguimento dei fini sociali, secondo il modello dell’articolo 41, comma 3, della Costituzione. Nella terza fase, propriamente, di liberalizzazione del sistema, si assiste, infine, alla prescrizioni di condizioni di svolgimento dell’attività economica, che ne garantiscono l’effettiva libertà sancita dall’articolo 41, comma 1, della Costituzione. Oggi, invero, si assiste ad ulteriore passaggio nel quale si tenta di rendere compatibile il processo di liberalizzazione, ormai avviato, con i vincoli pubblici all’esplicarsi dell’iniziativa economica, ritenuti necessari per assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti a livello europeo. Dal Protocollo di Kyoto in avanti si sta, infatti, affermando diffusamente l’indirizzo politico per il quale la rilevanza stringente degli obiettivi internazionali e comunitari di riduzione delle emissioni nocive, affidata principalmente alla promozione delle fonti di energia alternativa, legittimino un maggior intervento dei pubblici poteri nel processo di produzione e distribuzione dell’energia rinnovabile. Tale intervento deve esplicarsi mediante apposizione di indirizzi, vincoli e controlli all’esercizio della libera iniziativa economica, intesi non come fini a se stessi, ma in nome del raggiungimento degli interessi generali affidati ai pubblici poteri, nazionali ed europei, in tale settore. È di tutta evidenza, però, l’avvertita necessità di rendere una tale impostazione coerente con quel processo di liberalizzazione, oramai in corso, seppur nella concreta difficoltà di far coesistere un’attività economica liberalizzata e la sua necessaria sottoposizione a vincoli. D’altronde, come è stato acutamente notato198, lo slittamento semantico, verificatosi negli ultimi anni nel nostro Paese, dal sostantivo «programmazione» a quello di «strategia» esprime bene la difficoltà, ben presente in sede politica, a 198 V. DE LEONARDIS F., op.ult.cit. 80 rendere conciliabili questi due aspetti. Il termine «strategia» appare, infatti, più consono alla liberalizzazione. Ad ogni modo, al di là della terminologia utilizzata, oggi, la persistente valenza di un’attività programmatoria, nel settore dell’energia, si giustifica per il fatto di dover soddisfare e conciliare l’offerta di energia da parte di una pluralità di operatori con la garanzia di rilevanti interessi pubblici; tali interessi non sono più, unicamente, quelli insiti nel concetto di servizio universale (continuità della fornitura, prezzi sostenibili e accesso generalizzato) ma quelli, di dimensione essenzialmente transazionale, di carattere ecologico e di dipendenza geo-politica degli Stati europei dalla sicurezza degli approvvigionamenti. Si tratta, dunque, di una programmazione con un significato più complesso ed ampio di quella, di carattere generale, intrapresa nel nostro Paese a partire dalla metà degli anni ’70 che ebbe, inizialmente, l’essenziale finalità di legittimare il ricorso alla fonte nucleare (e poi di puntare sul carbone e sulle fonti rinnovabili, a seguito del referendum del 1987 che decretò l’uscita dal nucleare) dinanzi al drammatico manifestarsi della crisi energetica, senza alcuna ambizione di soddisfare interessi pubblici ulteriori. Il riemergere della necessità di un’attività di indirizzo e programmazione da parte dei poteri pubblici, in materia di energia, sotto la nuova denominazione di «Strategia energetica nazionale» scaturisce, viceversa, per la prima volta, dalla convinzione che i meccanismi di mercato, in tale settore, non possano garantire il raggiungimento dei fondamentali interessi generali, di sostenibilità ambientale e di autosufficienza dell’approvvigionamento, indicati dal diritto europeo e indicare le misure operative per soddisfarli concretamente. Il manifestarsi e l’aggravarsi della crisi finanziaria, inoltre, ha acuito la sfiducia nella capacità delle dinamiche concorrenziali di garantire in sé, senza alcun intervento pubblico, la riduzione delle emissioni climalteranti e la sicurezza della fornitura energetica attraverso l’aumento delle fonti rinnovabili. Né si è più convinti, nemmeno nei sistemi economici più improntati all’opzione per il mercato concorrenziale, che la riduzione di tali esternalità negative possa essere assicurata unicamente dall’adozione di regole condizionali e non finalistiche, poste da regolatori indipendenti e finalizzate esclusivamente a porre le condizioni irrinunciabili del libero esplicarsi dell’iniziativa economica privata nel settore. Si 81 manifesta, dunque, la necessità di un intervento pubblico diretto, specificamente, a garantire il raggiungimento degli obiettivi europei di carattere ambientale e politico-strategico. D’altronde, non si può trascurare – come già sottolineato – che il ritardo nella predisposizione di una Strategia energetica nazionale e nell’emanazione, ancor prima, delle Linee Guida nazionali per favorire una corretta integrazione degli impianti delle fonti rinnovabili nel paesaggio, sono state essenzialmente le cause alla base delle difficoltà del nostro Paese nella realizzazione dell’obiettivo nazionale del 17% di fonti rinnovabili assegnatoci dalla disciplina europea, nonostante l’elevata percentuale di incentivi destinati a tal fine. Sono state, infatti, principalmente, queste carenze a ostacolare il funzionamento di quelle semplificazioni procedurali, sulle quali ci soffermeremo ampiamente nel prossimo capitolo. Il significato ed il ruolo di tale programmazione, dunque, sia pure sotto la veste, mitigata, di una «Strategia» e declinata, per il comparto delle fonti rinnovabili, nella pianificazione di settore, dovrebbero essere quello di definire le misure concrete da intraprendere, a livello nazionale, per raggiungere gli obiettivi definiti dal Legislatore europeo sull’incremento delle fonti rinnovabili. È proprio in tale spazio di discrezionalità, relativo alle concrete strategie da porre in essere, a livello nazionale, per favorire uno sviluppo equilibrato di tali fonti sul territorio, che è destinata a giocarsi la residua competenza normativa spettante agli Stati in tale comparto alla luce dell’art. 194 del TFUE. Si tratta certamente di uno spazio ormai costretto nei binari angusti delineati da una stringente attività di coordinamento della Commissione europea che, ai sensi della direttiva 2009/28/CE, ne prefigura le traiettorie e ne valuta attentamente gli esiti sotto il profilo sia quantitativo sia qualitativo, ma resta in ogni caso uno spazio di discrezionalità politica in ambito nazionale, strategico, soprattutto alla luce del principio di sussidiarietà. 82 CAPITOLO II Il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile SOMMARIO: 1. Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica italiana 1.1. La prima fase degli studi pubblicistici 1.2. La teoria di Oreste Ranelletti 1.3. La dottrina post Ranelletti 1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della nozione di procedimento 1.5. Gli sviluppi della dottrina recente 1.5.1. La situazione giuridica soggettiva incisa 1.5.2. L’effetto tipico 1.5.3. Gli interessi in gioco 2. Modelli alternativi alle autorizzazioni 2.1. La denuncia di inizio attività (oggi SCIA) 2.2. Il silenzio-assenso 3. Il procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili 3.1. Il procedimento di autorizzazione unica 3.1.1. Il termine di conclusione del procedimento 3.1.2. La Conferenza di servizi 3.1.3. Il rapporto tra VIA e autorizzazione unica 3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS 3.3. Il regime di attività libera 4. La diversificazione della legislazione regionale in assenza delle Linee Guida nazionali: i procedimenti regionali 4.1. I c.d. provvedimenti di moratoria 4.2. Il contingentamento della potenza massima autorizzabile e la fissazione di un numero massimo di impianti installabili 4.3. La localizzazione degli impianti 4.4. Le misure compensative 4.5. Le condizioni di accesso al mercato 4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di DIA 5. Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali 5.1. Situazione attuale 6. Considerazioni di sintesi. 1. Le autorizzazioni amministrative nella dottrina pubblicistica italiana. Lo studio dello strumento autorizzatorio ha da sempre suscitato un notevole interesse scientifico e ha dato vita, a partire dagli ultimi anni dell’800 fino ai tempi più recenti, a una copiosa letteratura, segno evidente dell’importanza e della centralità che lo stesso ha assunto nel panorama degli studi di diritto amministrativo. Attraverso l’analisi compiuta nei vari momenti storici dalla dottrina pubblicistica italiana in ordine al potere autorizzatorio e alle varie forme in cui si esplica, è infatti possibile ripercorrere l’evoluzione dello stato, della maturità ed anche del grado di autonomia della stessa scienza pubblicistica. Invero, l’analisi giuridica condotta sul sistema autorizzatorio ha segnato in modo indelebile lo studio del diritto pubblico, consentendo così l’emancipazione di quest’ultimo dagli altri rami del diritto. L’autorizzazione, infatti, anche in ragione degli spunti di analisi offerti dalla contrapposizione e dalla comparazione subito operate con la concessione, ha contribuito non poco alla elaborazione della categoria dogmatica 83 del provvedimento amministrativo, istituto centrale nello studio del diritto amministrativo. Ciò, in seguito, ha reso possibile, con un rilevante sforzo di classificazione, di definire anche gli altri tipi di provvedimenti, la realizzazione dei vari poteri amministrativi attribuiti dall’ordinamento, nonché i profili strutturali dei procedimenti che di quei poteri segnavano l’esercizio. Lo studio della funzione autorizzatoria offre, inoltre, un altro importante spunto di interesse, determinante – tra l’altro – ai fini del presente lavoro, in quanto mediante essa l’amministrazione pubblica interviene sull’attività economica dei privati199. Sotto tale profilo, è stato infatti possibile cogliere e individuare, a seconda dei momenti storici, il tipo di equilibrio che l’ordinamento ha inteso raggiungere tra libertà del privato e autorità del soggetto amministrazione, tra iniziativa economica e condizionamento pubblico delle sue manifestazioni. Si è osservato, dunque, il passaggio dalla prospettiva di alterità tra cittadino e Stato, che riposava su una radicale separazione delle sfere del pubblico e del privato e che richiedeva sul piano giuridico essenzialmente un’opera di delimitazione dei rispettivi ambiti, a concezioni dello Stato via via più mature, attente a recepire l’esigenza di provvedere ai bisogni crescenti della collettività. Di questo mutevole e delicato rapporto Stato-cittadino il provvedimento di autorizzazione ne è stato sempre espressione. Coerentemente, pertanto, alla complessità dei rapporti instaurati tra amministrazione e privati è corrisposta sul piano teorico l’elaborazione di schemi V. sul punto GIANNINI M.S., Sull’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia, Prolusione al corso di diritto amministrativo presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma (12 marzo 1959), in Rivista di diritto commerciale, LVII, 1959, n. 9-10, 311 ss., secondo il quale «Chi si pone a ricercare attraverso quali strumenti i pubblici poteri svolgono delle azioni giuridicamente determinanti nel campo dell’economia, posto che i pubblici poteri medesimi non possono agire che mediante procedimenti amministrativi, deve individuare quali sono questi procedimenti». Tra le figure più importanti di questi procedimenti, vi sono proprio i procedimenti autorizzatori, che però, anche se sono considerati lo strumento per eccellenza di «intervento» nella disciplina dell’economia, non presentano peculiari proprietà proprie per il fatto di ricevere tale uso. È indubbio, infatti, secondo l’Autore, che «la tassanomia delle varie specie di provvedimenti autorizzatori, ossia, citando un ordine preciso, le autorizzazioni in senso stretto, le licenze, le approvazioni, le dispense, e così via, si modella non sui fini o sui motivi dei provvedimenti, ma sulla natura degli elementi che li compongono e degli effetti che si producono». 199 84 classificatori sempre più articolati dell’autorizzazione amministrativa, o rectius delle autorizzazioni200. Cercheremo nei paragrafi successivi di segnare l’evoluzione che la dottrina pubblicistica italiana ha operato sul tema delle autorizzazioni amministrative. 1.1. La La prima fase degli studi pubblicistici. nascita della scienza pubblicistica in Italia risale all’epoca immediatamente successiva all’unità d’Italia201. Senza voler troppo indugiare sul grado di sviluppo del pensiero giuspubblicistico precedente alla c.d. «svolta orlandiana»202, occorre rilevare come la dottrina dell’epoca, in generale, fosse interessata ai problemi della struttura dello Stato, del contenzioso amministrativo, della divisione dei poteri o delle funzioni203 e della nozione di amministrazione204, piuttosto che al tema dell’atto amministrativo205. I percorsi espositivi della dottrina preorlandiana presentano infatti una omogeneità di impostazione nella quale sembra non trovare spazio non solo il tema dell’autorizzazione, ma addirittura la categoria più generale del provvedimento amministrativo. V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 311 ss. e ID., Diritto amministrativo, Milano, 1970, nonché RANELLETTI O., Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte I: Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giurisprudenza italiana, XLVI, 1894, 19. 201 Sulla prima dottrina amministrativistica italiana V. GIANNINI M.S., Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, (1940), Milano, 1973, II, 179 ss.; BENVENUTI F., Mito e realtà nell’ordinamento amministrativo italiano, in BENVENUTI F. – MIGLIO G. (a cura di)., L’unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Vicenza, 1969, 67 ss.; CASSESE S., Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971, 12 ss.; REBUFFA G., La formazione del diritto amministrativo in Italia. Profili di amministrativisti preorlandiani, Bologna, 1981; AZZARITI G., La prolusione orlandiana la scienza del diritto amministrativo anteriore al 1889, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1989, 968 ss. 202 Si ci riferisce a quel metodo giuridico affinato e proposto all’attenzione degli studiosi da Vittorio Emanuele Orlando e che, come meglio specificato nel paragrafo successivo, costituì la base del pensiero Ranellettiano. V. FRACCHIA F., Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996, 36 ss. 203 V. ad esempio DE GIOANNIS GIAQUINTO G., Corso di diritto pubblico amministrativo, Firenze, 1877, I, 139. 204 V. ROMAGNOSI G.D., Istituzioni al diritto amministrativo, Milano, 1814, 1 ss.; SCOLARI S., Del diritto amministrativo, Pisa, 1864. 205 Termine che compare la prima volta nel Repertorio del Merlin del 1812: così riferisce RAGGI L., L’atto amministrativo e la sua revocabilità, Città di Castello, 1904, 4. 200 85 Le ragioni dell’atteggiamento della dottrina di relativo disinteresse per il provvedimento amministrativo sono molteplici e vanno individuate in una serie di concause206, tra le quali: la scarsa abitudine per le costruzioni dogmatiche generali; in alcuni casi l’eccessiva preoccupazione per l’esegesi del dato positivo ed infine, l’ancor insufficiente elaborazione del principio di legalità dell’azione amministrativa, la cui affermazione costituisce la premessa tradizionale per la configurabilità del provvedimento amministrativo207. Tuttavia, appena si approfondisca un poco l’analisi, ci si accorge però come l’atteggiamento della dottrina dell’epoca non fosse del tutto omogeneo e coerente208. In primo luogo, infatti, è stato osservato come la scarsa propensione per l’impiego di categorie generali in tema di atti amministrativi fosse singolare soprattutto ove si consideri che i giuristi preorlandiani già potenzialmente, mediante il confronto con il diritto privato e il diritto romano, disponevano delle categorie giuridiche che avrebbero consentito maggiori approfondimenti209. Inoltre, il provvedimento, soprattutto nell’ottica dei giuristi liberali, costituiva il momento di contatto tra azione amministrativa e sfera soggettiva del privato e la manifestazione concreta dell’ingerenza dello Stato nella libertà dei cittadini. In ragione di ciò, allora, era forse più coerente con tale impostazione, ed in effetti fu così, una scarsa attenzione per il procedimento amministrativo – serie V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 39. V. sul punto GIANNINI M.S., Atto amministrativo, in Enciclopedia del diritto, IV, 1959, 159. 208 È stato sottolineato che il periodo preorlandiano fu un’epoca di ineguale sviluppo, nel senso che «alla scienza di un Romagnosi o di un Manna si affiancavano molti scrittori minori, provinciali, che riducevano il diritto amministrativo a casistica (…)»: CASSESE S., op.ult.cit., 11. Si è parlato anche della presenza di due poli nel diritto amministrativo all’epoca dello stato postunitario, uno più liberale, l’altro volto a presidiare l’autorità: l’affermazione di Giannini è richiamata anche da REBUFFA G., op.cit., 211 s. 209 Bastino gli esempi di MANTELLINI G., Lo Stato e il codice civile, Firenze, 1882, III (ove si afferma che «l’opera cerca i suoi insegnamenti nel digesto romano (…) pel vademecum più sicuro per lo stesso pubblicista») e MEUCCI L., Istituzioni di diritto amministrativo, Roma, 1887, II, I, 9, secondo cui il diritto amministrativo in «molti punti è parte, in altri è svolgimento, in pochissimi modificazione del diritto civile )…)». V. in generale sul punto Giannini M.S., Profili storici, cit., 236 e AZZARITI G., op.cit., 993 s. Il riferimento al diritto romano per alcuni importanti autori aveva forse anche il significato del (e comunque si accompagnava al) rifiuto di trasferire i sistemi amministrativi stranieri, rivendicando la necessità di un diritto amministrativo d’Italia. 206 207 86 procedimentale inerente alla sfera interna dell’amministrazione – ma non già per il momento finale dello stesso210. Oltre tutto la lacuna era ancora più rilevante, trasportando il discorso sul piano della difesa giustiziale, laddove si consideri che il sindacato (in sede giurisdizionale ovvero amministrativa) interessava anche l’atto amministrativo, significativamente richiamato dall’art. 2 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo. La presenza dell’atto, infatti, ai sensi della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, comportava la nota limitazione dei poteri del giudice ordinario211: in ragione dell’estensione concettuale dell’atto e della genericità della sua definizione si riduceva dunque lo spazio per la sindacabilità dell’azione amministrativa. Tutto ciò dunque dimostra come il livello di maturazione della dottrina preorlandiana fosse tale da stimolare, in misura forse maggiore di quanto effettivamente avvenne, l’indagine sul provvedimento amministrativo in generale. Più in particolare, per quanto riguarda il profilo autorizzatorio, è stato invece possibile ricavare alcuni dati importanti da un esame della giurisprudenza che nell’ultimo decennio del XIX secolo si occupò di provvedimenti permissivi212. In primo luogo, si ricava come all’epoca l’autorizzazione non aveva ancora assunto una configurazione autonoma nell’ambito della categoria dei provvedimenti permissivi, presentandosi indistinta da permessi e licenze. Dal punto di vista delle situazioni giuridiche coinvolte, sembra che l’assenza di poteri permissivi non equivaleva al riconoscimento assoluto delle sfere di libertà dei privati. I condizionamenti avvenivano sempre mediante la previsione di norme generali e astratte: il riconoscimento giurisprudenziale dei diritti significava, al più, assenza di potere permissivo, non già intangibilità della situazione soggettiva e delle sue esplicazioni. Al contrario, invece, nei casi in cui l’ordinamento prevedeva il potere di rilasciare licenze o permessi, la situazione del privato degradava immediatamente a mero interesse. V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 42. Sulla riforma del 1865, V. SORDI B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, Milano, 1985, 38 ss. Cfr., sul punto, anche i lavori di ORLANDO, BENVENUTI e CANNADA BARTOLI. 212 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 55 ss. 210 211 87 Dal punto di vista degli effetti dell’atto, alcune decisioni213 sembrano considerare il «permesso» come un atto costitutivo di diritti. Sotto questo punto di vista, si rendeva allora difficoltoso il tentativo di stabilire una netta distinzione con la concessione. Anzi, accostando tale rilievo con elementi di diritto positivo, sembra quasi potersi desumere la presenza di una sorta di radice comune che unisce i provvedimenti ampliativi. Il riferimento è costituito dall’art. 4 della legge sul contenzioso amministrativo 30 ottobre 1859, n. 3708, che contemplava indistintamente concessioni e autorizzazioni.214 1.2. La teoria di Oreste Ranelletti. Nel quadro fin qui esposto in cui si muoveva la dottrina italiana dell’epoca postunitaria si inserisce l’opera di Oreste Ranelletti215. Tale Autore, introducendo importanti elementi nel dibattito teorico, si differenziò notevolmente dagli studiosi della dottrina precedente. Per la prima volta, infatti, si affronta il tentativo di elaborare una teoria generale dell’atto amministrativo. Ciò si realizza proprio bandendo l’impiego di quegli strumenti di analisi tipici della prima fase di sviluppo della scienza pubblicistica in Italia e utilizzando quel metodo giuridico che negli stessi anni Cfr. sul punto R. Camera de’ Conti, 10 novembre 1855, in Rivista amministrativa del Regno, 1856, 113 e Consiglio di Stato, sez. Contenzioso Amministrativo, 20 giugno 1865, in La legge, 1865, 225. 214 La norma in questione attribuiva ai tribunali del contenzioso amministrativo le controversie relative ai danni causati da attività private di trasporto del legname «autorizzate» dalla pubblica amministrazione ovvero da attività di ricerca di miniere su terreni privati compiute a seguito di «concessione». La norma, seppur ebbe scarsa applicazione pratica e concerneva un settore tutto sommato limitato, appare comunque di grande interesse per l’accostamento da essa compiuto tra provvedimenti autorizzatori e concessori ai fini della delimitazione della giurisdizione. 215 Le teoria delle autorizzazioni cui si fa riferimento è quella di RANELLETTI O. esposta e sviluppata nei seguenti scritti: op.ult.cit. 7-83; Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte II: Capacità e volontà nelle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Rivista italiana di scienze giuridiche, XVII (1894), 3-100, 315-372; Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte III: Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Rivista italiana di scienze giuridiche, XIX, (1895), 3-107; XX, 255-337; XXI (1896), 77-172, 350-379; XXII, 177-277. Gli stessi scritti sono ora pubblicati in RANELLETTI O., Scritti giuridici scelti, in FERRARI E. – SORDI B. (a cura di), Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Camerino, Napoli, 1992, III, 35-653. 213 88 veniva affinato e proposto all’attenzione degli studiosi da Vittorio Emanuele Orlando216. D’altra parte, giova sottolineare che la teoria del Ranelletti fu elaborata subito dopo l’istituzione, nel 1889, della IV Sezione del Consiglio di Stato, cui fu affidato il potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi. Questa tappa, come noto, non dava luogo soltanto alla conquista di ulteriori spazi al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, ma aveva importanti risvolti anche sul piano sostanziale, traducendosi in un notevole impulso alla impostazione su basi differenti dello studio dell’amministrazione e della sua attività. L’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato rappresentò un decisivo momento di soluzione della questione della sindacabilità dell’esercizio del potere amministrativo ed il chiaro superamento della concezione dell’irrilevanza dell’attività amministrativa che non fosse lesiva di diritti altrui217. Veniva così definitivamente, pur se indirettamente, operato dal Legislatore il riconoscimento della funzionalizzazione e dell’asservimento all’interesse pubblico dell’attività amministrativa. A questo punto, si rendeva allora necessaria l’analisi delle caratteristiche, dei limiti e degli effetti del potere amministrativo e del suo esercizio, provvedendo così alla progressiva erosione della libertà dell’amministrazione, spesso avvertita come una sorta di arbitrio. Inoltre, la legge del 1889, a differenza di quanto era accaduto con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo, adottava il meccanismo 218 dell’impugnazione dell’atto : conseguentemente l’asse del sistema si spostava ora Sul punto, occorre rilevare che non sono mancate voci che hanno revocato in dubbio la perfetta adesione del pensiero del Ranelletti alla teoria orlandiana. V. recentemente le osservazioni di ROMANO TASSONE A., Ranelletti commemora Persico, in Diritto amministrativo, 1993, 445 ss. 217 V. CANNADA BARTOLI E., La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano, 1964, 47; CASETTA E., Provvedimento e atto amministrativo, in Digesto (disc. pubbl.), XII, 1997, XI. Invero si è sottolineato come già precedentemente il rimedio del ricorso al Re potesse essere impiegato per la tutela di situazioni non riconducibili al diritto soggettivo: GIANNINI M.S., Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 1970, 236 ss. 218 V. BENVENUTI F., op.ult.cit., 196 ss. Per l’affermazione secondo cui con la istituzione degli organi di giustizia amministrativa «poté conseguirsi un evoluto ed abbastanza esauriente controllo giuridico sugli atti amministrativi, dal che nacque l’occasione per isolare lo studio di questi ultimi, costituendone l’obietto di una teoria speciale», v. RAGGI L., op.cit. 216 89 decisamente verso il potere ed il risultato del suo esercizio, mentre più sfumato appariva il profilo della situazione soggettiva la quale era, tra l’altro, protetta non in sé ma in quanto connessa con l’interesse pubblico. L’interesse scientifico si focalizzava dunque sull’atto amministrativo. Ranelletti ha il merito, in quell’epoca, di avvertire per primo l’urgenza di rivolgere l’attenzione alla teoria generale degli atti amministrativi, «cioè a quella meta che nel diritto privato si era da tempo raggiunta con la teoria generale dei negozi giuridici»219, avendo la consapevolezza che è «questo il campo più vasto che si possa aprire al diritto amministrativo ed ai suoi cultori»220. Nei tre studi dedicati alla teoria delle autorizzazioni e delle concessioni 221 è possibile cogliere la particolarità del tipo di indagine compiuta dall’Autore. Ci si potrebbe aspettare un procedere che ricalchi l’analisi della pandettistica relativa al negozio giuridico, dedicata tradizionalmente agli elementi essenziali dello stesso, all’invalidità, agli effetti e così via222. L’opera, invece, offre un’impostazione originale, frutto della consapevolezza della peculiarità della problematica pubblicistica, dominata dal riferimento alla prevalenza dell’interesse pubblico nei confronti del quale non è dubbia la soggezione di quello privato. Il percorso teorico intrapreso da Ranelletti approda così all’affermazione della V. RANELLETTI O., Scritti giuridici, cit., 606. V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 11. Sottolinea LUCIFREDI R., Oreste Ranelletti, in Rassegna di diritto pubblico, 1956, 190, che gli studi del Ranelletti «inaugurarono quel preziosissimo metodo delle teorie parziali, che permise di identificare nel mare magnum e disordinato della nostra legislazione positiva le varie figure tipiche di atti amministrativi, di fissarne con esattezza le caratteristiche e di giungere a poco per volta, grazie ad una serie di astrazioni successive, a far emergere, attraverso le note comuni ai singoli atti, quei concetti di negozio giuridico di diritto pubblico e di atto amministrativo, che erano in precedenza del tutto ignoti». 221 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, II e III. 222 Soprattutto se si considera che lo stesso Ranelletti fosse uno di quegli «insigni professori» che uscirono «dal valoroso manipolo di studiosi di Diritto romano, frequentatori di quei Corsi» (trattasi dei corsi di Pandette e di Esegesi tenuti all’Università di Roma da Vittorio Scialoja) aventi la proprietà di «rendere la mente meno atta a qualunque disciplina giuridica»: V. SCIALOJA V., Oreste Ranelletti nel XXX anno del suo insegnamento, in Studi di diritto pubblico in onore di O. Ranelletti, Padova, 1951. 219 220 90 irriducibilità dell’atto al contratto, figura che non si attagliava compiutamente, secondo l’Autore, ad una trasformazione sul piano del diritto pubblico223. Sotto questo profilo, anche il soggetto pubblico viene qualificato come «speciale» rispetto agli altri soggetti considerati dall’ordinamento e conseguentemente ad esso si deve applicare un diritto diverso da quello dei privati224. Attraverso un metodo induttivo, vengono così studiati gli atti in questione da diversi punti di vista: il concetto, la natura giuridica, la competenza e capacità dell’autorità pubblica ad emanarli, la capacità dell’individuo a riceverli, la dichiarazione di volontà dell’autorità pubblica e del privato, i loro effetti sia di fronte all’interesse pubblico sia di fronte all’interesse privato, la natura giuridica delle facoltà create e i modi di estinzione225. Ad Oreste Ranelletti va attribuita la paternità della definizione dello strumento autorizzatorio inteso come «rimozione di un limite all’esercizio di un diritto preesistente», che ebbe largo seguito in dottrina e giurisprudenza e che tuttora resiste dopo ben oltre un secolo dalla sua nascita226. Alla base dell’impostazione dogmatica di Ranelletti può individuarsi una distinzione tra la funzione conservatrice (o giuridica) e la funzione di perfezionamento (o sociale) dello Stato. La prima si svolge in un’area dominata dalla libertà individuale, libertà che si esplica «nei vari campi nei quali si realizza l’umana destinazione»: a fronte di questa lo Stato «tende alla tutela della propria esistenza ed integrità e dell’esistenza e della salute dei cittadini (…) cioè dell’ordine V. sul punto SORDI B., Un giurista ottocentesco, in RANELLETTI O., Scritti giuridici, cit. nonché, più in generale, sulla funzione di pubblicizzazione svolta dall’atto amministrativo, ID., Diritto amministrativo (evoluzione dal XIX secolo), in Digesto (discipline pubblicistiche), IV, 1990, V, 184. Sulla differenza rispetto ad autori quali il Cammeo, il cui tentativo di giuridicizzare il potere amministrativo fu condotto applicando il concetto di negozio giuridico in maniera quasi meccanica, rifiutando l’affermazione di caratteri di specialità dell’ordinamento amministrativo, v. SORDI B., op.cit. 224 Per queste considerazioni v. REBUFFA G., op.cit. 225 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 177-277. 226 Seppur una tale definizione non si possa, oggi, considerare attinente a tutte le tipologie di autorizzazione. Basti pensare alla nota distinzione, operata da GIANNINI M.S, Diritto Amministrativo, cit., 611, tra autorizzazioni costitutive e autorizzazioni permissive. 223 91 pubblico, della fede pubblica, della sicurezza pubblica, dell’igiene e sanità pubblica»227 e a tal fine esso pone dei limiti allo svolgimento dell’attività individuale subordinandone alcune estrinsecazioni ad un esame specifico della loro compatibilità con gli interessi dello Stato stesso, della società o di terzi. La seconda funzione si svolge invece in un’area che è propria dello Stato, in una sfera che è lo Stato stesso ad aprire e che consiste nella cura del bene intellettuale, morale e materiale della società, nella attività con cui lo Stato «agevola e sprona lo sviluppo dell’attività individuale»228. In queste due aree o tipi di funzioni dello Stato si inscrivono le autorizzazioni e le concessioni amministrative. Più precisamente, le autorizzazioni sono dirette a rimuovere i limiti posti dalla legge al libero espletamento dell’attività individuale, le concessioni ad agevolarne e spronarne lo sviluppo: nelle prime si esprime una valutazione di non contrasto tra l’attività privata e gli interessi dello Stato, della società o dei terzi che l’ordinamento intende garantire con la apposizione dei limiti alla libertà individuale (si valuta cioè la «capacità a non far male»), mentre nelle seconde si esprime una valutazione di conformità della (prevista) attività privata all’interesse proprio dello Stato (e dunque della «capacità a far bene»)229. Secondo Ranelletti, ai provvedimenti autorizzatori si riconnette proprio quell’attività dello Stato diretta alla tutela del diritto (attività giuridica) in funzione di prevenzione, in quanto, al fine di impedire che l’attività del singolo contrasti con le esigenze pubbliche, l’ordinamento impone limitazioni all’esercizio delle facoltà individuali230. Accanto alle limitazioni che si risolvono in proibizioni assolute, vi sono però anche proibizioni relative, nel senso che l’atto è vietato, ma sussiste la V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 19. V. RANELLETTI O., op.ult.cit., 29 e s. 229 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte II, 30. 230 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 85. 227 228 92 possibilità che venga accordato il permesso di poterlo compiere231. Di conseguenza, il provvedimento, intervenendo in una situazione in cui vi è una limitazione al libero esplicarsi di una attività dell’individuo, ha l’effetto di rimuovere detto limite232. Da questa impostazione di fondo, Ranelletti ricava delle implicazioni importanti, soprattutto con riferimento al rapporto tra gli atti e le situazioni giuridiche soggettive da questi incise, tema – come abbiamo visto – centrale nell’ambito delle autorizzazioni. Se infatti, da un lato, risulta evidente che nell’ambito della funzione concessoria non è concepibile una preesistente posizione di diritto soggettivo in quanto, nell’aprire una nuova sfera di attività ordinate al conseguimento di fini pubblici è, se mai, lo Stato ad attribuire nuovi diritti di cui il destinatario della concessione «non aveva neppure il germe»233; dall’altro, più problematica si presenta la questione relativa alle autorizzazioni. L’Autore, nel trasporre la più generale affermazione di pertinenza dell’attività autorizzata alla sfera della libertà privata sul piano della qualificazione delle situazioni soggettive, ne deduce la preesistenza di un diritto soggettivo. Infatti viene precisato che nei casi in cui interviene l’autorizzazione il diritto soggettivo non viene creato dall’amministrazione ma preesiste (lato sensu), in quanto creato da una precedente legge generale o da altre persone; «ma è desso un diritto puramente possibile, oppure potenziale, e che può divenire attuale, cioè essere acquistato oppure esercitato quando l’autorità pubblica riconosca che tutte le condizioni, in vista delle quali la legge ha posti quei limiti al libero esplicamento dell’attività individuale esistono in una maniera rispondente alle esigenze di quell’interesse che la legge con la proibizione condizionata vuole tutelare»234. Trattasi di limiti che «lasciano all’individuo la possibilità di riavere la propria libertà di azione, se esistono le condizioni subbiettive ed obbiettive, da rendere sicuri che, accordata l’autorizzazione, saranno raggiunti quegli scopi per i quali la legge pose quel limite al libero esplicarsi dell’attività individuale»: V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 147. 232 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 18. 233 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 30. 234 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte I, 25. 231 93 Seppure questo passaggio è stato in qualche modo inevitabile per il contesto storico-ideologico in cui avveniva, non è però altrettanto chiaro sul piano teorico235. La teoria in oggetto infatti contempla non solo le autorizzazioni che permettono l’esercizio di un diritto esistente allo stato potenziale, perché creato da leggi preesistenti, ma anche quelle che consentono l’acquisto di un diritto creato in quel dato soggetto da persona diversa dall’ente pubblico236. In entrambe le ipotesi vi è comunque l’esercizio di un potere autorizzativo che produce l’effetto di rimuovere il limite posto dall’ordinamento e che consente al diritto di divenire attuale e così essere esercitato o acquistato. Tuttavia, parlare di facoltà create dall’autorizzazione o di acquisto delle stesse mette in grave crisi l’impostazione di fondo della teoria in esame e la differenza proposta rispetto alla concessione237. Infatti la figura della rimozione del limite sembra in questo caso assumere i più precisi contorni di un effetto costitutivo, così alimentando l’idea di una sostanziale continuità tra l’impostazione del Ranelletti e le più moderne costruzioni che sottolineano un carattere costitutivo delle autorizzazioni238. A dire il vero, Ranelletti precisa però che, mentre per effetto delle concessioni il diritto viene creato «dal nulla», le autorizzazioni creano la facoltà di esercitare o acquistare un diritto che il soggetto aveva come già potenziale o possibile; oppure creano «la facoltà attuale di esercitare o di acquistare ovvero la facoltà di attuazione del proprio diritto»239. Tale facoltà creata presuppone, quindi, sempre la diversa facoltà, preesistente e potenziale, di acquistare ed esercitare il V. ORSI BATTAGLINI A., Autorizzazione amministrativa, in Digesto (disc. pubbl.), IV, 1987, II, 60. V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 86. 237 V. sul punto VILLATA R., Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974, 35, il quale sottolinea come «in effetti la costruzione del provvedimento autorizzatorio e la differenza dalle concessioni in chiave di rimozione di limiti reggeva solo se riferito al mero esercizio, e non all’acquisto, di un diritto preesistente (…)». 238 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 88. 239 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 241. La facoltà creata dall’autorizzazione è considerata di diritto pubblico, in quanto essa si esaurisce nel rapporto dell’individuo con lo Stato, creando in capo al privato la pretesa verso l’autorità a non essere turbato e ad essere tutelato nell’esplicamento della sua attività. 235 236 94 proprio diritto, quindi il privato «come ampiezza del diritto, non ha nulla più di quanto aveva prima»240. Nonostante queste precisazioni, la dottrina successiva ha comunque tentato di meglio specificare questi aspetti e si è soffermata proprio sugli effetti tipici delle autorizzazioni241. 1.3. La dottrina post Ranelletti. Nel periodo successivo agli studi di Ranelletti, la dottrina pubblicistica, nel tentativo di delineare la nozione del provvedimento di autorizzazione, fu costantemente condizionata dal riferimento alle nozioni elaborate dal Ranelletti stesso, seppur integrandole talvolta sotto certi profili. Venivano di fatto ribaditi gli elementi-base delle autorizzazioni: la preesistenza in capo al soggetto di una situazione giuridica soggettiva – diritto, potere o facoltà – il cui esercizio era limitato in vista della salvaguardia di interessi pubblici che potevano essere compromessi da un suo svolgimento totalmente libero e la rimozione di siffatto limite come effetto tipico dell’atto in esame242. Ad esempio, Santi Romano definiva autorizzazione quell’atto «che rimuove un limite, da cui è impedito l’esercizio di un diritto già esistente, o trasforma questo da potenziale in attuale»243, confermando così l’impostazione che si fonda V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte III, 367. V. sul punto VILLATA R., op.cit., 35. 242 È ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, I, 262, il più chiaro espositore della nozione: le autorizzazioni rendono possibile l’esercizio di un diritto o di un potere che già appartengono ai destinatari, «si tratta di poteri il cui libero svolgimento può, in alcuni casi, costituire un danno o un pericolo per l’interesse pubblico (…) per questo la legge attribuisce all’autorità amministrativa la potestà di esaminare caso per caso le circostanze di fatto in cui l’esercizio può svolgersi, per giudicare della convenienza di permetterlo o meno. L’autorizzazione, in tal modo, rimuove il limite non assoluto dalla legge apposto all’esercizio di un potere individuale». 243 V. ROMANO S., Principi di diritto amministrativo italiano, Milano, 1912, 51. La costruzione rimase nei suoi tratti fondamentali inalterata anche nei lavori successivi, arricchita comunque da alcune integrazioni. V. anche ID., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, 192: l’autorizzazione, nella più recente accezione, fu definita come atto che non sempre elimina limiti all’esercizio di poteri o diritti preesistenti, bensì in alcune ipotesi toglie «per una persona o per un caso determinato, il divieto generale che la legge fa di certi atti, pur consentendo che tale divieto non sia assoluto e possa ad esso derogarsi». 240 241 95 sulla preesistenza della situazione giuridica, nei confronti della quale l’autorizzazione determina la rimozione di un limite al suo esercizio244. Altra parte della dottrina, nel tentativo di ricercare elementi che valessero a differenziare le autorizzazioni dagli altri atti, sosteneva che solo le autorizzazioni fossero caratterizzate dalla funzione di rimuovere un limite, previo esame dell’attività del privato e del raffronto della stessa con l’interesse pubblico tutelato dall’amministrazione245. L’effetto delle autorizzazioni era sì individuato nella rimozione del limite, ma determinava peraltro un effetto costitutivo poiché risultava acquisito al patrimonio giuridico del soggetto un quid, qualificato come una «situazione giuridica» in precedenza assente e che consisteva essenzialmente nel «rendere conforme a diritto un singolo atto di esercizio di un potere giuridico, che, naturalmente, il titolare di questo potere ha la facoltà di compiere»246. Detto altrimenti, la situazione giuridica preesistente in questo caso veniva qualificata come «facoltà», e non come diritto, ed era questa a non essere creata dall’autorizzazione e a preesistere ad essa. Secondo altri, invece, la situazione giuridica andava qualificata come «potere» e pertanto l’effetto degli atti di autorizzazione non era altro che quello di rimuovere l’ostacolo che si frapponeva all’esercizio di quel potere247. Tra tutte queste teorie la più importante versione moderna dello schema ranellettiano è però senza dubbio quella di Sandulli, il quale ha trasportato il fondamento della preesistenza della situazione giuridica soggettiva sul piano del V. ROMANO S., Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, in Il Filangieri, 1898, 164. V. FORTI U., I controlli dell’amministrazione comunale, in ORLANDO V.E. (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1915, II, II. V. anche ID., Gli acquisti dei corpi morali e l’autorizzazione governativa, in Rivista di diritto civile, 1913. 246 V. FORTI U., Autorizzazioni amministrative, in Nuovo Digesto italiano, Torino, 1937, I, 1177 ss. e ID., Autorizzazioni amministrative, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1958, 1580 ss. (aggiornamento e revisione di JACCARINO C.M.) 247 V. DONATI D., Atto complesso, autorizzazione, approvazione, Modena, 1903, 22: «Per atti di autorizzazione intendiamo quelle dichiarazioni di volontà, concretate in un atto a sé stante, colle quali un soggetto o un organo facoltizza un altro soggetto od organo all’esercizio di un potere di cui questi sia investito, previa valutazione sommaria dell’opportunità e dell’utilità di tale esercizio nel caso particolare, in rapporto all’interesse che il soggetto o organo autorizzante deve tutelare». 244 245 96 diritto costituzionale248. I diritti preesistenti furono infatti individuati di volta in volta nel diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.), nel diritto di apertura di istituti di istruzione (art. 33 Cost.), nel diritto di proprietà (art. 42 Cost.), sul presupposto che la stessa normativa costituzionale abbia fonadato veri e propri diritti soggettivi, a cui nulla aggiungono i relativi atti permissivi della pubblica amministrazione, ma che rimangono quelli che sono. Nello specifico, Sandulli afferma che gli atti autorizzativi non operano sul diritto soggettivo (situazione statica, di relazione che identifica «la posizione fatta dall’ordinamento a un soggetto rispetto ad altri soggetti (…) con riferimento a particolari oggetti») ma sulle situazioni dinamiche, cioè sulle potestà e facoltà che presuppongono il diritto soggettivo e che consistono in forze operative riconosciute al titolare di questo per operare mediante attività giuridiche o materiali: più specificatamente potestà e facoltà non solo hanno fondamento nel diritto soggettivo ma sono in esso potenzialmente contenute (vi «albergano in stato di latenza») e diventano attuali (o si rendono esercitabili) in virtù dell’autorizzazione; si verifica quindi non la costituzione di un nuovo diritto ma l’espansione del diritto preesistente249. 1.4. La teoria di Massimo Severo Giannini: la nascita della nozione di procedimento. Una prima consistente svolta nella teoria delle autorizzazioni si ha con il generale riesame degli atti amministrativi compiuto da Massimo Severo Giannini250. A tale autorevole dottrina si deve, innanzitutto, l’analisi del problema in chiave di procedimenti e non più di atti251 e, in secondo luogo, l’esame degli stessi V. ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 61. V. SANDULLI A.M., Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1957, 792. V. anche ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989. 250 V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit. 251 Per l’impostazione della problematica in chiave di procedimenti e non di atti, v. GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, I, 261 ss. Critica siffatta prospettiva ACQUARONE L., Contributo alla classificazione delle autorizzazioni amministrative, Milano, 1962, rilevando che gli atti amministrativi, in specie quelli che esternano il volere della pubblica amministrazione indirizzato al raggiungimento di un effetto, acquistano dopo la loro emanazione un’esistenza 248 249 97 sotto il profilo strutturale e funzionale252. Sotto il primo profilo, l’Autore giunse alla conclusione secondo cui «i procedimenti autorizzatori hanno tutti una struttura logica che si compone di tre elementi: un potere di un privato, una connotazione giuridica del potere che fa la norma, un provvedimento che amministra tale connotazione giuridica»253. Sotto il profilo funzionale, invece, il carattere generale del procedimento autorizzatorio fu individuato nella subordinazione della realizzazione di interessi privati ad interessi pubblici, realizzazione che deve avvenire osservando la regola secondo cui «il sacrificio dell’interesse privato è da contenere nel minimo indispensabile che comporta un’adeguata tutela degli interessi pubblici»254. A tale analisi, che individua profili strutturali e funzionali, si aggiunge inoltre anche la classificazione degli atti autorizzatori in base alla natura dell’effetto giuridico prodotto. Viene dunque superata quella logica di stretta corrispondenza tra natura della funzione, caratteri strutturali dell’atto e sua incidenza sulle situazioni soggettive che aveva costituito il punto fermo di tutta la precedente dottrina e si arriva alla distinzione, commisurata sugli effetti giuridici degli atti, tra autorizzazioni costitutive e permissive. propria ed autonoma, in un certo senso svincolata dalle modalità e dalle vicende della loro formazione, e che nel nostro sistema positivo le funzioni dei procedimenti amministrativi non hanno come tali rilevanza giuridica e possono essere prese in considerazione soltanto come motivi degli atti terminali dei singoli procedimenti. 252 Per la proposta di esaminare nel loro complesso i procedimenti autorizzatori «sotto l’aspetto funzionale prima che strutturale», v. GIANNINI M.S., Intorno all’autorizzazione all’apertura di sportelli, in Banca, borsa e titoli di cambio, II, 1950, 350. 253 V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 611. Si è distinto in tal guisa tra titolarità di un potere e sua «connotazione», intesa come delimitazione e individuazione del potere, il quale, normalmente privo di separata evidenza, a seguito dell’autorizzazione viene appunto connotato come a sé stante. 254 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 614 ss. L’Autore distingue poi ulteriormente sotto il profilo funzionale tra procedimenti in funzione di controllo (che si compongono di un giudizio volto a «riscontrare a regole predeterminate il contenuto del potere materiale oggetto del procedimento» e di una misura «che è il provvedimento o il suo rifiuto in caso di riscontrata non rispondenza) e procedimenti in funzione di programmazione («strumenti per ordinare attività di operatori ai precetti di piani, programmi o anche più semplicemente di disegni ordinali o distributivi»). 98 Le prime hanno l’effetto di costituire capacità, legittimazioni, diritti255; le seconde, invece, operano come fatti giuridici esterni alla fattispecie cui si riferiscono, in cui l’effetto del rilascio è quello di consentire l’esercizio di poteri o facoltà che costituiscono il contenuto di una situazione giuridica già sorta256. Con le autorizzazioni costitutive si supera in modo netto la tematica della preesistenza del diritto. Tale tipo di autorizzazioni presuppone, infatti, che in base a norme generali (di tipo per lo più civilistico) taluni soggetti siano titolari di diritti o possano acquistarli compiendo atti giuridici: interviene però una norma pubblicistica che, derogando rispetto alle norme generali, dispone che per un determinato oggetto quei soggetti non possano essere titolari di quei diritti o non possano acquistarli compiendo atti giuridici ma che «la titolarità del diritto consegua da un atto dell’autorità che è un provvedimento autorizzatorio»257. Il provvedimento autorizzatorio è dunque creativo ex novo della specifica situazione soggettiva considerata, che è diversa dall’analoga situazione che il titolare avrebbe in base alle norme «generali»; esso non reintegra il diritto di una facoltà che gli era stata sottratta dalla norma «derogatoria» ma «costituisce un diritto che ha autonoma struttura e funzione in quanto situazione soggettiva»258. Si può osservare da subito come questa teoria rappresenti un grande punto di frattura con la tesi classica tradizionale, nella misura in cui affermi che l’effetto tipico dei provvedimenti autorizzativi è di natura costitutiva, cioè consiste nel creare nel destinatario una posizione giuridica nuova relativa allo svolgimento dell’attività consentita e che tale situazione ha carattere di autonomia e di indipendenza da altre eventualmente preesistenti in ordine allo stesso oggetto. In particolare tale dottrina si occupa delle autorizzazioni costitutive di diritti di impresa e di diritti reali. 256 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 621 ss. In altre parole, le autorizzazioni permissive avrebbero come presupposto che una situazione soggettiva (sia essa diritto, potestà o interesse legittimo) già sia sorta ed esista in un certo titolare ma che i poteri o le facoltà (o alcuni di questi) che ne costituiscono il contenuto, non possano essere esercitati se non interviene il procedimento autorizzativo. 257 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1106. 258 V. GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1114. 255 99 Restava comunque, però, da decifrare un sicuro criterio per individuare la preesistenza o meno di una situazione, comunque definita, del destinatario e spiegare quindi la relativa bipartizione tra autorizzazioni costitutive e permissive259. Proprio su questo punto, la teoria in questione riceve successivamente un decisivo sviluppo. Una volta affermata la struttura delle autorizzazioni costitutive, si sostiene infatti che tale struttura appartenga, conseguentemente, a tutti i provvedimenti autorizzatori, senza distinzione alcuna. Non rileva cioè se gli elementi della fattispecie originino autonomamente una diversa fattispecie produttiva di effetti propri o se questa preesista, giacché siffatta evenienza non modificherebbe comunque il meccanismo operativo delle autorizzazioni. Detto altrimenti, appare indifferente se a diversi effetti il destinatario dell’atto sia o meno titolare di un diritto soggettivo; ciò che conta invece è che quell’attività non può svolgersi senza il provvedimento autorizzatorio, il quale, consentendola, attribuisce la situazione soggettiva connessa260. 1.5. Gli sviluppi della dottrina recente. Nell’evoluzione storica degli studi sul tema autorizzatorio si è passati, dunque, dalla costante preoccupazione di conciliare il riconoscimento della preesistenza di una situazione soggettiva con l’osservazione secondo la quale, in assenza di autorizzazione, l’attività che ne costituisce l’esplicazione non può legittimamente svolgersi, al riconoscimento dell’effetto costitutivo delle situazioni giuridiche dinamiche, svalutando progressivamente l’importanza della preesistenza di posizioni di vantaggio. In tempi più recenti si è spostata, invece, l’attenzione sul carattere proprio delle varie forme di autorizzazione, ponendo mente alla situazione di immanente condizionamento pubblico dell’attività del privato261. Malgrado GIANNINI M.S., op.ult.cit., 1118 ss. nettamente respinga la consolidata formula della rimozione del limite, sembra comunque che la categoria delle autorizzazioni permissive sia in realtà assai vicina alla concezione più tradizionale. V. sul punto ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 63. 260 V. VILLATA R., op.cit., 67. 261 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 213 ss. 259 100 Sulla base della nota distinzione tra titolarità delle situazioni di diritto e di potere e effettivo esercizio delle possibilità che ne costituiscono il contenuto262, l’ordinamento generale riconosce potenzialità al titolare nel momento in cui attribuisce un diritto o un potere, ma lasciando all’autonomia del singolo la scelta di esercitarla, decidendo come, se, quando tenere il comportamento che in astratto rientra nell’ambito del lecito e, in quanto tale, è protetto dall’ordinamento stesso. In molti casi, tuttavia, alcune tra le esplicazioni delle situazioni di vantaggio sono al tempo stesso selezionate, enucleate e fatte oggetto di norme di comportamento vincolanti per il titolare di poteri e diritti263. Altri limiti e condizionamenti sono poi tracciati dall’ordinamento in via generale264. In altre ipotesi, invece, le molteplici possibilità di esercizio sono individuate e subordinate ad un intervento del soggetto pubblico, risultando così in parte sottratte all’autonomia privata soggettivamente intesa e le regole di esercizio sono imposte al privato mediante atti puntuali e concreti della pubblica amministrazione265. Nel senso che il non tenere un comportamento di fatto (ad esempio astenersi dal passeggiare sul fondo di cui si è proprietari), non significa non avere la possibilità di farlo. Sulla distinzione tra titolarità e esercizio v. FROSINI V., Diritto soggettivo e potere giuridico, in Rivista di diritto civile, I, 1961; ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, in MAZZAROLLI L. – PERICU G. – ROMANO A. – ROVERSI MONACO F.A. – SCOCA F.G. (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 1993. 263 Una delle ipotesi più semplici è costituita dal vincolo negoziale con cui il proprietario si impegna a non tenere un certo comportamento (ad esempio, costruire ad una certa distanza dal vicino), in astratto rientrante nell’ambito del lecito, ovvero consente a terzi azioni (si pensi alla costruzione in aderenza al proprio muro) che in assenza del suo assenso non sarebbero lecite. 264 Si pensi al diritto di proprietà: l’ordinamento individua alcune possibilità di esercizio, disciplinando (o attribuendo all’amministrazione il potere relativo) le modalità costruttive o l’assetto urbanistico. Sul tema dell’inerenza di pubblico interesse ad un bene oggetto di proprietà privata, v. GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 112, il quale, oltre a sottolineare come, a differenza del diritto d’impresa, che esiste anche se non lo eserciti, quello di proprietà esiste anche se non lo eserciti. 265 In tema di atti pubblici precettivi che regolano l’attività di soggetti privati, occorre far cenno all’autorevole posizione, la quale si è occupata delle ipotesi in cui le norme sono poste in essere da organi reggenti particolari settori in cui operano soggetti raggruppati: trattasi dei precetti relativi ad attività private imprenditoriali che costituiscono esercizio dei poteri normativi connessi all’esistenza di “ordinamenti sezionali”: in particolare gli «atti degli organi reggenti l’ordinamento sezionale sono sempre qualificabili nell’ordinamento generale statale come provvedimenti amministrativi, anche se sono, ad esempio, atti normativi nell’interno dell’ordinamento sezionale: contro di essi sono dunque sempre esperibili le misure di tutela date contro i provvedimenti invalidi». V. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 173. 262 101 Tra questi mantengono la loro importanza, appunto, i provvedimenti autorizzatori, finalizzati alla subordinazione dell’esercizio di un’attività privata al rispetto di interessi pubblici266. Ed è proprio con riferimento a questi ultimi, dunque, che si correla il profilo del condizionamento pubblicistico provvedimentale della possibilità (e, talora, delle modalità) di esplicazione della sfera giuridica del privato267. 1.5.1. La situazione giuridica soggettiva incisa. Con riferimento alla situazione giuridica implicata dal regime autorizzatorio268, genericamente denominata situazione di vantaggio è stato innanzitutto sottolineato come l’attenzione dello studioso non può arrestarsi esclusivamente a considerare il singolo diritto o il potere, ma occorre invece guardare alla sfera giuridica complessiva del soggetto269. Ciò, d’altronde, sembra coerente con l’evoluzione del rapporto tra amministrazione e privati. Nella misura in cui lo Stato ha infatti allargato l’ambito dei propri interessi, esso ha condizionato in modo crescente l’attività dei privati ben oltre i confini di una mera limitazione dei diritti soggettivi270. A tal proposito, è sufficiente affermare che meccanismi quali la conformazione del mercato a mezzo di prescrizioni generali e astratte e, sul piano nazionale, la denuncia di inizio dell’attività e, in parte, l’istituzione di autorità indipendenti, rappresentano modelli diversi che assolvono ad una funzione simile a quella propria dell’autorizzazione: il controllo della compatibilità tra attività privata e interessi pubblici. V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 346 ss. 267 La vicenda su cui occorre indugiare è più in particolare caratterizzata dalla limitazione in via generale e astratta di alcune forme di esplicazione di situazioni di vantaggio cui segue l’attribuzione al soggetto al quale è affidata la cura di interessi pubblici, e cioè l’amministrazione, del potere di consentire con autorizzazione di volta in volta l’esercizio di poteri, diritti o l’esplicazione di capacità. 268 Ove si tenti di effettuare una selezione puntuale delle diverse situazioni giuridiche implicate dal regime autorizzatorio, occorre doverosamente premettere che l’argomentare è condizionato da alcune scelte teoriche pregiudiziali. Affermare che l’autorizzazione consente l’esercizio di un diritto o di un potere presuppone che sia chiara infatti la concezione di diritto e di potere. A tal proposito occorre precisare che il significato con il quale i due termini saranno utilizzati nel prosieguo della trattazione, si riferisce alle tesi elaborate in sede di teoria generale da ROMANO S., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947. 269 V. FRACCHIA F., op.ult.cit., 227 ss. 270 V. FRACCHIA F., op.cit., 346 ss. 266 102 Pertanto, con riferimento alla posizione giuridica dell’individuo, nell’ambito del rapporto con lo Stato, quest’ultima, soltanto in via riduttiva, può essere considerata avendo riguardo a singoli diritti o poteri: essa va invece descritta considerando la sua sfera giuridica unitariamente intesa271. Inoltre, va detto che oggi in dottrina ha trovato adesione l’impostazione in base alla quale le situazioni di vantaggio pertinenti al soggetto sono riconosciute in virtù di norme dell’ordinamento generale, e dunque della Costituzione e della legislazione primaria272. Più in particolare, è stato chiarito come dalla Costituzione non necessariamente dovrebbe dedursi la sussistenza di diritti soggettivi273, soprattutto in tema di libertà di iniziativa economica, in quanto sarebbe rimessa alla scelta del Legislatore configurare siffatta libertà come diritto – nel momento in cui ne consenta e protegga l’esercizio274 – o come situazione giuridica garantita in modo differente (interesse legittimo). Premesso ciò, va comunque detto che la dottrina più recente sostiene la preesistenza delle situazioni giuridiche garantite rispetto all’autorizzazione. Infatti, se da un lato è sicuramente vero che non esiste oggi praticamente alcun ambito di attività dei privati sottratto all’influenza pubblicistica e dunque totalmente al riparo da poteri pubblicistici, previsti normalmente da leggi ordinarie; non sembra dall’altro lato però possa negarsi che, immaginando uno scenario normativo in cui il Legislatore ordinario non intervenga per disciplinare, ad esempio, la libertà di iniziativa economica contemperandola con interessi diversi, il privato sia V. FRACCHIA F., op.cit., 228 ss. V. ROMANO S., op.ult.cit., 277 ss., secondo cui l’ordinamento dà riconoscimento e garanzia alle posizioni di vantaggio (che possono essere condizionate dal potere autorizzatorio) con disposizioni di livello almeno legislativo. 273 Di conseguenza, come già chiarito, l’autorizzazione avrebbe effetti costitutivi di diritti: v. in particolare VILLATA R., op.cit., 112 ss.; ORSI BATTAGLINI A., op.cit., 64 s.; MASTRAGOSTINO F., Le autorizzazioni amministrative all’esercizio del commercio, in GALGANO F. (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1979, III, 575, 10; SAMBATARO S., Ritiro della licenza di commercio per «inattività» dell’esercizio, in Foro amministrativo, 1970, 78 ss.; SANDULLI M.A., Prime riflessioni sull’autorizzazione all’esercizio del commercio di vendita a posto fisso, in AA.VV., Scritti per Mario Nigro, Milano, 1991, II, 434 ss. 274 V. FRACCHIA F., op.cit., 233 ss. 271 272 103 comunque direttamente titolare di una posizione di vantaggio correlata a tale libertà275. Quanto detto non significa ovviamente negare276 che, a fronte di un potere, successivamente attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione, di disporre di quella situazione, la stessa si possa configurare diversamente: trattasi di questione distinta, ma che comunque non sembra si possa scalfire l’assunto della preesistenza della situazione di vantaggio rispetto al potere, o, meglio, della esistenza autonoma della prima, ove non venga in considerazione il secondo277. 1.5.2. L’effetto tipico. Con riferimento al secondo profilo di analisi relativo all’effetto tipico delle autorizzazioni, va chiarito preliminarmente che la validità della ricostruzione fin qui proposta potrebbe essere facilmente inficiata laddove si ammetta che il privato, prima del rilascio dell’autorizzazione, non possa tenere un certo comportamento, cioè laddove si sostenga l’affermazione secondo cui le autorizzazioni hanno natura costitutiva del diritto o del potere. Il privato infatti può sempre svolgere verso altre direzioni la libertà di iniziativa economica, ovvero utilizzare diversamente il proprio bene anche a prescindere dall’autorizzazione, in quanto il limite imposto dall’ordinamento, Per un ordine di considerazioni simili, v. SORACE D. – MARZUOLI C., Concessioni amministrative, in Digesto (disc. pubbl.), IV, 1989, III, 300. In altri termini, l’affermazione secondo cui le situazioni di vantaggio sorgono solo in occasione della loro disciplina legislativa, pur muovendo dalla corretta osservazione secondo cui molte di esse sono appunto regolamentate mediante legge, pare svalutare eccessivamente la rilevanza di alcune norme costituzionali che in generale riconoscono libertà e diritti. Il privato, in assenza di una legge, avrebbe comunque potuto agire perché alcune posizioni hanno una immediata rilevanza costituzionale. In ordine al diritto, non meno probante, nonostante la sua apparente ovvietà, è il rilievo secondo cui diritti quali la proprietà sussistono e permangono, anche in caso di diniego di autorizzazione. La questione sfiora, come è evidente, il delicato problema del carattere precettivo delle norme costituzionali, problema che non può essere affrontato in questa sede. 276 E dunque, sotto questo profilo, si può concordare con l’affermazione secondo cui la posizione giuridica deve essere valutata avendo riguardo all’insieme delle norme dell’ordinamento che la disciplinano. 277 Considerazioni analoghe possono essere compiute relativamente a diritti e poteri privati riconosciuti dalla legge ordinaria, i quali, a fronte di poteri amministrativi riconosciuti da altre fonti dello stesso livello, si atteggiano a interessi legittimi. 275 104 salvo autorizzazione, riguarda soltanto alcune tra le moltissime forme di esplicazione della situazione di vantaggio, la quale sotto altri profili permane e preesiste. A conforto di questa tesi giova richiamare quanto è stato detto dalla dottrina più autorevole in ordine al carattere di diritti e poteri278. Questi ultimi, infatti, trascendono i singoli rapporti e permangono i medesimi attraverso le varie forme di esercizio, e pertanto, il provvedimento autorizzativo può condizionare la situazione giuridica solo in ordine ad una o più modalità di esplicazione. Lo stesso dicasi per il diritto, che deve essere valutato nella sua totalità e che non tollera di essere frantumato in una molteplicità di facoltà279. Tutto ciò si ricollega alla indipendenza concettuale, poc’anzi richiamata, tra titolarità e esercizio. Alla «titolarità» di poteri e diritti si correla la capacità giuridica, intesa come attitudine ad essere titolare di tali situazioni giuridiche; invece, si può individuare nella capacità di agire la misura della soggettività interessata dallo strumento autorizzatorio, a seguito del quale il privato acquisisce la possibilità (ascrivibile appunto alla capacità di agire) di «esercitare» legittimamente diritti o poteri di cui già è titolare280. Infine – ma il rilievo pare decisivo per negare che le autorizzazioni «costituiscano» posizioni soggettive – la tesi proposta, favorevole al riconoscimento di posizioni di vantaggio che preesistano all’autorizzazione, pare trovare supporto nelle indicazioni offerte dal dato positivo, in particolare dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che ha sostituito, per alcune ipotesi, il regime V. ROMANO S., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; in particolare le voci Diritti assoluti; Doveri; Obblighi; Organi; Poteri; Potestà. 279 Il diritto di proprietà, ad esempio, permane anche se è negata la concessione edilizia ed infatti il proprietario può godere del bene ed utilizzarlo altrimenti. La frantumazione delle situazioni giuridiche operata dalla dottrina, e che si è nella prima parte del lavoro sottolineata, rappresenta quindi un ribaltamento di prospettiva cui non si ritiene di dovere aderire. V. FRACCHIA F., op.cit., 235 ss. 280 L’idea di un atto amministrativo, emanato da uno dei soggetti dell’ordinamento, costitutivo di un potere, pare una formula teorica che cela problemi assai rilevanti e che provoca un’alterazione del quadro teorico di riferimento difficilmente sostenibile. Più corretta pare l’immagine secondo cui ad atti amministrativi possa essere riconosciuto l’effetto di creare un presupposto per l’esercizio di un potere. V. FRACCHIA F., op.cit., 236 ss. 278 105 autorizzatorio con il meccanismo della denunzia all’amministrazione dell’inizio dell’attività, oggi denominata segnalazione certificata di inizio attività281. Infatti, la «liberalizzazione» dell’attività, operata dall’art. 19, comunque la si voglia intendere, non può prescindere dal presupposto della pertinenza alla sfera giuridica del privato dell’attività liberalizzata. Le attività che in forza dell’art. 19 possono ora essere svolte senza richiedere il rilascio di alcuna autorizzazione costituiscono, dal punto di vista teorico, esplicazioni di situazioni giuridiche soggettive: poiché il privato può legittimamente iniziare l’attività anche in difetto di un intervento della pubblica amministrazione, deve ritenersi che tali situazioni di vantaggio sussistano indipendentemente da provvedimenti amministrativi282. Si potrebbe obiettare che l’osservazione secondo cui le attività soggette al regime di cui all’art. 19 pertengono chiaramente a posizioni di vantaggio esistenti non rileva ai fini della configurazione teorica delle autorizzazioni, proprio perché il regime di cui all’art. 19 è diverso da quello autorizzatorio, che appunto lo sostituisce. Però, il campo di applicazione della disciplina di cui all’art. 19 coincide con quello delle attività in precedenza subordinate ad «autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto comunque denominato»: tale norma realizza una modifica del condizionamento pubblicistico relativo ad attività private, ma non determina un mutamento dei caratteri sostanziali delle attività stesse. La situazione precedentemente incisa dal provvedimento di autorizzazione partecipa cioè degli stessi caratteri di quella implicata dall’art. 19, confermandosi la preesistenza di una posizione di vantaggio283. V. FRACCHIA F., op.cit., 240 ss. Ricostruzione teorica alternativa è quella di ricondurre l’effetto costitutivo della situazione giuridica stessa all’unico atto che interviene nella fattispecie prima dell’inizio dell’attività, atto rappresentato dalla denuncia del privato. La soluzione prospettata, come è evidente, appare difficilmente sostenibile: da un lato il privato si limita a denunciare l’inizio dell’attività; dall’altro la sua volontà è diretta a questi limitati fini; infine non è dato individuare alcun indice normativo che possa supportare una interpretazione di questo tipo. 283 Neppure un’altra obiezione potrebbe cogliere nel segno. Trattasi dell’affermazione secondo cui l’art. 19 sarebbe intervenuto in relazione ad una serie di attività, precedentemente assoggettate ad autorizzazione, non solo eliminando il condizionamento generale, ma, assai più radicalmente, restituendo alla sfera giuridica dei privati attività che fino ad ora erano sottratte alla sua titolarità e di volta in volta costituiti a mezzo di autorizzazione, a conferma della tesi della non preesistenza di 281 282 106 Respinta, pertanto, la tesi che configura effetti costitutivi di diritti e poteri, occorre ancora affrontare il problema della configurabilità di un effetto costitutivo sotto il diverso profilo dell’esercizio del potere o del diritto. Al riguardo, giova osservare che le autorizzazioni, come tutti i provvedimenti amministrativi, producono un certo effetto, riconosciuto dall’ordinamento generale. Trattasi infatti di atti che costituiscono esercizio di un potere amministrativo, esplicazione cioè della possibilità di produrre vicende giuridiche soggettive, che di volta in volta possono essere la costituzione, la modificazione o la estinzione di situazioni giuridiche soggettive284. Sotto questo profilo, dunque, non può negarsi che anche i provvedimenti autorizzatori abbiano un effetto giuridico, da individuarsi però nella «modificazione» di una situazione soggettiva preesistente. La situazione giuridica di diritto o potere non può infatti essere considerata perfettamente identica prima e dopo la vicenda autorizzatoria. Questa formula ben descrive il fenomeno per cui lo svolgimento dell’attività non fa parte, in assenza di autorizzazione, del patrimonio giuridico del privato, ma non deve oscurare il fatto che ciò che è successivamente consentito afferisce ad una posizione preesistente, in quanto predefinita dall’ordinamento generale285. 1.5.3. Gli interessi in gioco. Sotto il profilo funzionale, occorre infine analizzare la situazione sinora descritta, dal punto di vista degli interessi contrapposti e compresenti nella medesima fattispecie. situazioni giuridiche al rilascio dell’autorizzazione. La lettera della norma non pare tuttavia offrire sostegno a siffatta tesi. Essa afferma che «l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell’interessato», lasciando intendere che si tratta di modifica incidente meramente sul regime pubblicistico di alcune attività, le quali dal punto di vista sostanziale ricevono da altre norme la propria disciplina in quanto espressioni di posizioni giuridiche di vantaggio riconosciute e protette al di fuori dell’art. 19. 284 Sul punto V. ROMANO S., op.ult.cit., 187. Più recentemente, ID., I soggetti e le situazioni giuridiche, cit., 267 ss. 285 V. FRACCHIA F., op.cit., 242 ss. 107 Autorevole dottrina286 ha infatti individuato nell’ambito della fattispecie autorizzatoria due momenti distinti: da un lato, il riconoscimento di una posizione di vantaggio, che consegue ad un giudizio di bilanciamento tra valori potenzialmente in conflitto operato dall’ordinamento generale; dall’altro, la previsione di un limite a forme di esplicazione delle situazioni di vantaggio derivante da un diverso, e logicamente successivo, giudizio, a conclusione del quale l’ordinamento ritiene che la libera esplicazione di alcune possibilità afferenti alla situazione così come prima definita sia potenzialmente suscettibile di arrecare pregiudizio a interessi pubblici287. Nel primo momento, quello del riconoscimento o dell’attribuzione di una situazione di vantaggio, prevale l’interesse del privato; nel secondo invece prevale l’interesse pubblico288. Infine, la fattispecie autorizzatoria è caratterizzata da un terzo intervento operato dall’ordinamento generale, in forza del quale si prevede che quella esplicazione particolare, negata in via generale al privato, possa essere consentita di volta in volta. In questo ultimo momento il contemperamento tra i vari interessi è destinato ad essere operato in concreto: la libera esplicazione è ammessa laddove il contrasto, previsto come possibile in via generale, non sussista in concreto. Siffatto contemperamento non deve, quanto meno in via ordinaria, essere operato V. ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche, cit., 280 ss. Si ricordi che già FORTI U., I controlli dell’amministrazione, cit., 16 ss., aveva sostenuto che la norma la quale introduce il limite derogherebbe alla norma che attribuisce il diritto, onde il carattere di eccezione deve essere riferito alla prima norma e non all’autorizzazione. 288 Con riferimento a quanto affermato, occorre ribadire che l’area coperta dal secondo giudizio è assai più ristretta di quella interessata dal primo, in quanto riguarda una o più forme di esplicazione di situazioni soggettive il cui contenuto è più ampio. Ponendo mente a tali premesse può precisarsi entro che limiti si possa aderire all’opinione secondo cui il diritto assume la configurazione che scaturisce dall’insieme di tutte le norme dell’ordinamento. La formula appare condivisibile ove sia intesa nel senso che i limiti della protezione assoluta dell’interesse sono individuabili dal complesso delle disposizioni che quell’interesse tutelano direttamente e, a contrario, di quelle che risolvono conflitti potenziali accordando protezione ad altri interessi. La configurazione del diritto e del potere in ordine al profilo del loro esercizio dipende invece anche dal complesso delle norme che, senza risolvere conflitti intersoggettivi tra privati, pongono norme di comportamento in vista della cura di interessi pubblici, limitando le forme di esplicazione altrimenti riservate alla scelta autonoma del titolare. V. FRACCHIA F., op.cit., 246 ss. 286 287 108 dal Legislatore, ma la previsione della possibilità che sia espresso un consenso in via puntuale alla esplicazione di preesistenti situazioni di vantaggio si risolve nell’attribuzione di un potere all’amministrazione, soggetto che, istituzionalmente, cura l’interesse che l’operazione del privato potrebbe pregiudicare289. Sotto il profilo funzionale, dunque, si potrebbe concludere che il regime autorizzatorio si caratterizza per la prevalenza di un interesse pubblico a fronte di un interesse privato. Più in particolare, l’esercizio di un’attività risulta prima, in via generale, limitata dalla legge, e successivamente autorizzata in concreto, in vista dell’esigenza che la realizzazione di un’operazione economica del privato, come tale essenzialmente riferibile alle sue scelte autonome, non pregiudichi interessi pubblici290. La pubblica amministrazione può godere di una discrezionalità più o meno ampia in ordine alla valutazione della compatibilità tra interesse pubblico ed operazione che il privato intende compiere: tale compatibilità può essere assicurata non solo nell’ipotesi in cui sia valutata l’assenza di contrasto tra i due Giova ribadire che lo schema in base al quale, sotto il profilo del rapporto tra le fonti che definiscono conflitti intersoggettivi, ad una delimitazione di una sfera soggettiva di vantaggio consegue la previsione in via generale e astratta di limitazione non può essere fatto coincidere con la successione norma costituzionale – legge ordinaria. Invero il riconoscimento di un diritto o di un potere può essere operato anche da una fonte legislativa, cui si affianca una disposizione di pari livello che prevede un limite ad una forma di esplicazione. Piuttosto può osservarsi che l’apposizione di tale limite in via generale, logicamente successiva al riconoscimento o attribuzione di una posizione di vantaggio, è normalmente operata contestualmente alla previsione del potere della pubblica amministrazione di consentire in via concreta l’esercizio della posizione stessa, intervento che, sempre dal punto di vista logico, costituisce il momento finale della scansione che caratterizza la configurazione dell’istituto autorizzatorio. Siffatta coincidenza temporale trova il suo fondamento anche nell’identità dell’interesse che prevale nei due giudizi di contemperamento tra valori contrapposti compiuti dal Legislatore. Si noti che il conflitto la cui soluzione comporta la previsione di un limite generale ad alcune forme di esplicazione delle posizioni di vantaggio preesistenti involge la posizione stessa ed uno o più particolari interessi pubblici. La limitazione e la sua rimozione, salvo casi particolari, come la giurisprudenza ha costantemente affermato, esauriscono quindi i propri effetti nel rapporto con il soggetto pubblico cui è affidata la cura degli interessi stessi. 290 Si noti che talora la potestà autorizzatoria è prevista a tutela di interessi che «non soltanto non siano incompatibili con diritto garantito, ma attengono alla medesima sfera (per es. istruzione), o quanto meno a sfere (quali la sicurezza, la sanità, la moralità, la fede pubblica), che, per la loro pertinenza, sia necessario, nell’ordine del sistema, tener presenti, al fine di evitare un esercizio socialmente dannoso o pericoloso del diritto garantito» (nel caso di specie trattavasi del diritto di istituire o gestire scuole private): Cfr. Corte cost., sent. 19 giugno 1958, n. 36, in Foro italiano, 1958, I, 841. 289 109 interessi, ma altresì rendendo in qualche modo servente l’interesse privato rispetto a quello pubblico291, spesso addirittura conformando l’azione dell’autorizzato in vista del conseguimento (anche) di finalità collettive292. Il privato, cioè, impiegando una formula risalente nel tempo, forse semplificante, ma di indubbia valenza descrittiva, deve talora essere in grado di «fare bene» e non solo di «non far male»293. In entrambi i casi, dal punto di vista del rapporto tra condizionamento pubblicistico e autonomia del privato, nulla cambia poiché semplicemente una forma di esplicazione di situazioni di vantaggio afferente alla sfera del soggetto è sottratta alla sua esclusiva determinazione, senza peraltro che, a seguito della valutazione di compatibilità con interessi pubblici, l’amministrazione attribuisca la titolarità di situazioni giuridiche o si sostituisca completamente al privato nella scelta di esercizio. Il regime autorizzatorio comporta solo ed esclusivamente la parziale privazione della libera scelta in capo al titolare della posizione di vantaggio in ordine al suo esercizio, che può avvenire soltanto a seguito di intervento dell’amministrazione294. Va detto, comunque, che sussistono sempre più ipotesi, soprattutto con riferimento a particolari settori di attività, in cui l’incisione della sfera di V. sul punto SANDULLI A.M., Notazioni in tema di provvedimenti, cit.; FRANCHINI F., Le autorizzazioni amministrative costitutive di rapporti giuridici fra amministrazione e i privati, Milano, 1957; ROMANO S., I soggetti e le situazioni giuridiche, cit. 292 Si noti, tra l’altro, la progressiva dissociazione tra il momento conformativo (il termine impiegato in senso lato: come noto, secondo GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 114, la conformazione – come del resto la funzionalizzazione – riguarda il bene in quanto sia adibito o sia da adibire ad una certa utilizzazione) dell’esercizio dell’attività – sottratto all’autorizzazione – e quello del consenso puntuale e concreto, ad essa pur sempre riconducibile. Così opinando, tuttavia, si configura il già più volte citato problema di distinguere, sotto il profilo funzionale, autorizzazione e concessione. La difficoltà di tracciare confini precisi tra le due figure deriva invero non solo dalla omogeneità del profilo funzionale, ma è alimentata altresì dalla circostanza che, anche in molte ipotesi concessorie, difficile è negare la sussistenza di una sfera di vantaggio, correlata alla libertà di iniziativa economica, alla stessa stregua di quanto accade in caso di autorizzazione. 293 V. RANELLETTI O., Teoria generale, cit., Parte II, 30. 294 In proposito può essere chiarito che la qualificazione dell’autorizzazione come «provvedimento favorevole» è corretta ove l’attenzione sia riposta sul momento del permesso accordato al privato. Viceversa, ponendo mente all’intervento complessivo operato dall’ordinamento generale, la prospettiva muta e si appalesa come, mediante l’istituto autorizzatorio, si realizzi una limitazione – talora notevole – dell’autonomia del privato. 291 110 autonomia del privato presenta una rilevanza maggiore. La legge in alcuni casi, infatti, non si limita ad isolare aspetti dell’esercizio di situazioni di vantaggio preesistenti, mediante attribuzione all’amministrazione del potere di condizionamento, ma prevede altresì che tale condizionamento interessi anche le modalità di esercizio, attribuendo alla pubblica amministrazione il compito di dettare prescrizioni vincolanti l’attività del privato295. È evidente che, in questo caso, al soggetto autorizzato risulta sottratta la possibilità di scegliere liberamente, a seguito del rilascio dell’autorizzazione, come conseguire i propri interessi, dovendo egli rispettare regole eteronome296. La sua autonomia è dunque ulteriormente ridotta in forza di prescrizioni relative al quomodo, le quali valgono ad assicurare che nello svolgimento successivo dell’attività il pregiudizio temuto non si realizzi. In questi tipi di autorizzazione, il loro contenuto precettivo vale in una certa misura a «finalizzare» l’attività del privato, con una rilevanza maggiore rispetto alle ipotesi in cui vi è un mero consenso, poiché l’attività, in ragione dell’osservanza delle prescrizioni imposte dall’amministrazione, risulta oggettivamente preordinata al rispetto di finalità pubbliche297. Esempi sono presenti, inoltre, nella disciplina delle autorizzazioni in materia di smaltimento rifiuti e di inquinamento dell’aria. Talora, come nel caso delle autorizzazioni previste dalla normativa per la tutela delle acque, le prescrizioni sono adottate con norme regolamentari. 296 Secondo questo schema non solo il contenuto di poteri e diritti risulta evidenziato in ordine ad una modalità di esplicazione soggetta a consenso, ma addirittura l’esercizio delle posizioni di vantaggio è assoggettato ad una disciplina posta in essere dal soggetto pubblico, configurandosi come un’attività «esecutiva» di prescrizioni eteronome emanate in vista della tutela di interessi pubblici. 297 Il rilievo non deve comunque essere enfatizzato: vero che queste autorizzazioni determinano un grado di conformazione della modalità di esplicazione della sfera di vantaggio del privato rilevante: tuttavia non può essere trascurato che l’iniziativa e la «titolarità» dell’operazione economica condotta rimangono invariate. Il soggetto autorizzato, infatti, non si cura affatto direttamente dell’effettiva soddisfazione dell’interesse pubblico finale. Il privato deve curare soltanto l’osservanza delle prescrizioni impostegli, a prescindere dall’effettiva suscettibilità delle stesse di garantire il rispetto o la compatibilità tra attività privata e interessi pubblici. Al riguardo si potrebbe addirittura in generale osservare, con una inversione di significato rispetto a quello classicamente attribuito alla formula, che l’interesse pubblico assume il ruolo di interesse legittimo in correlazione al corretto esercizio di un potere privato, nel senso che l’utilità è conseguita in quanto il privato agisca secondo le regole imposte, salvo precisare che le norme e le prescrizioni il cui corretto esercizio garantisce indirettamente la protezione e la realizzazione della finalità pubblica sono pur sempre poste (eternamente) in vista della finalità stesa. Sotto altro profilo, l’imposizione di prescrizioni particolari in sede di rilascio dell’autorizzazione può essere concepito come una variante del consentire, in quanto l’amministrazione consente soltanto entro un certo limite, che 295 111 Un esempio in tal senso è offerto proprio dal procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili – di cui ci occuperemo approfonditamente nei prossimi paragrafi – che, proprio in ragione della delicatezza degli interessi in gioco (ambiente, sviluppo economico e industriale, tutela del paesaggio, salute, etc.) obbliga le amministrazioni coinvolte, e dunque i privati che intendono dar vita a un progetto di tal fatta, a sottostare al rispetto di dettagliate prescrizioni di natura regolamentare298. 2. Modelli alternativi alle autorizzazioni. A completamento dell’analisi finora compiuta con riferimento ai provvedimenti autorizzatori e, più in generale, alla tematica del controllo pubblicistico dell’attività dei privati, va detto che la relativa disciplina ha subito negli ultimi anni una fondamentale evoluzione299. Innanzitutto, l’influenza del diritto comunitario, volto a garantire la libera concorrenza, ha indotto, con particolare riferimento agli atti di consenso relativi all’esercizio delle attività imprenditoriali, a concepire l’atto autorizzatorio quale strumento di restrizione all’accesso al mercato e a rivolgere l’attenzione verso modelli alternativi all’autorizzazione conducenti alla liberalizzazione delle attività e quindi all’erosione dell’ambito di applicazione delle autorizzazioni300. Infatti, in conformità ai principi europei in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi301, il Legislatore italiano, con la legge n. 241 del contestualmente individua. Si deve infine precisare che la «funzionalizzazione» del diritto è qui intesa in senso descrittivo e dunque diverso da quanto precisato da GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 114, il quale, sulla base della nota definizione di funzione, ritiene che in tal caso assume rilievo l’attività globale del proprietario, sottoposta ad una potestà di direzione di un potere pubblico. 298 Si vedano le Linee Guida approvate per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili approvate con Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 10 settembre 2010, pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010. 299 Cfr. legge 7 agosto 1990, n. 241. 300 V. SANDULLI A.M., Il procedimento, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, II, 2003, 1154. 301 V. SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A.: una liberalizzazione «a rischio», in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 2010, 465: appare in proposito affatto significativa la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 22 dicembre 2010, causa C-338/2009, nel senso che un regime 112 1990, è intervenuto contemplando una categoria di atti amministrativi, indicati nell’espressione «autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato», il cui rilascio da parte dell’amministrazione può essere sostituito con modelli procedimentali alternativi, intesi alla «semplificazione dell’azione amministrativa»302. Tali istituti di «semplificazione» sono caratterizzati dal fatto di avere ad oggetto un particolare tipo di procedimenti, quelli autorizzatori appunto, dei quali modificano la disciplina in conformità al principio di economicità dell’attività amministrativa sancito dall’art. 1 della stessa legge n. 241 del 1990303. In sostanza, il nostro Legislatore è passato dal classico modello dell’assenso preventivo, affidato a provvedimenti amministrativi di abilitazione, autorizzazione, permesso, nullaosta o altri atti di assenso comunque denominati, ad un sistema «misto», in cui, accanto a tale tipo di controllo preventivo, di cui è stata progressivamente ampliata la possibilità di sostituzione con un silenzio avente valore implicito di accoglimento (il c.d. silenzio-assenso: art. 20), è stato introdotto, in luogo del regime autorizzatorio (esplicito o implicito), uno strumento che attribuisce al privato la responsabilità di verificare la sussistenza dei presupposti per intraprendere una determinata attività, di cui si limita a di previa autorizzazione amministrativa non può legittimare un comportamento discrezionale da parte delle autorità nazionali, tale da vanificare le disposizioni dell’Unione, in particolare quelle relative ad una libertà fondamentale (come quella oggetto della causa principale). Pertanto, un regime di previa autorizzazione, per poter essere giustificato anche quando deroghi ad una libertà fondamentale, deve essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, che garantiscano la sua idoneità a circoscrivere sufficientemente l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza Hartlauer, 10 marzo 2009, causa C-169/07). 302 Sul regime introdotto dagli artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990 v. SCHINAIA M., Notazioni sulla nuova legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla deregulation delle attività soggette a provvedimenti autorizzatori ed all’inerzia dell’amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 1991; CERULLI IRELLI V., Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni, in Diritto amministrativo, 1, 1993; PAINO A., Gli artt. 19 e 20 della legge 241 prima e dopo la legge 24 dicembre 1993, n. 537. Intrapresa dell’attività privata e silenzio dell’amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 1994; DE MINICO G., Note sugli artt. 19 e 20 della legge 241/1990, in Diritto amministrativo, 1993; ANDREANI A., Gli interessi pretensivi dinamici nel procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo, 1993; SCOCA F. – D’ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, in Diritto processuale amministrativo, 3, 1995. 303 V. VESPERINI G., La denuncia di inizio attività e il silenzio-assenso, in Astrid-online.it, 24 ottobre 2011. 113 comunicare all’amministrazione «l’inizio» - ciò che ex se ne legittima l’esercizio residuando all’amministrazione un potere/dovere di intervento postumo qualora ne riscontri il contrasto con l’ordinamento304 (la c.d. denuncia di inizio attività (DIA), oggi segnalazione certificata di inizio attività (SCIA): art.19). È del tutto evidente come queste novità legislative rappresentino una netta inversione di tendenza rispetto alla legislazione dell’ultimo secolo, nel corso della quale – come abbiamo avuto modo di constatare nei paragrafi precedenti – lo spazio delle attività esercitabili dagli interessati nell’ambito della situazione di libertà di ciascuno era stato via via ridotto e una serie di attività «libere» erano state sottoposte a regime autorizzatorio305. D’altra parte, sul piano della politica del diritto, tali istituti costituiscono anche uno dei segnali più rilevanti di un modo nuovo e meno costrittivo di intendere e disciplinare le interferenze dei pubblici poteri nello svolgimento di attività private di per sé lecite e rappresentano, oggi, occasioni per riflettere sulla necessità o meno di sottoporre le attività private ad innumerevoli (e spesso defatiganti) condizionamenti amministrativi306. V. SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A., cit., 465. Cioè, sostanzialmente, la legittimazione dell’interessato a porre in essere determinate attività si formava a seguito di provvedimento dell’autorità amministrativa (denominato autorizzazione, licenza, nullaosta o simili) attraverso il quale veniva valutata la compatibilità dell’interesse del privato all’esercizio dell’attività richiesta con un interesse pubblico ritenuto preminente e la cui soddisfazione l’autorità stessa era deputata a curare. Per questa impostazione v. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit. 306 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., Silenzio, cit., 442. Bisogna tenere conto, infatti, che nei confronti delle attività contemplate nell’articolo 19 (analoghe considerazioni possono, peraltro, essere svolte anche a proposito delle attività interessate, attualmente ex art. 20 legge n. 241 del 1990, dall’istituto del silenzio-assenso), le quali, sebbene libere in virtù dell’art. 41 della Costituzione, sono positivamente assoggettate a «controlli» amministrativi preventivi in vista dei fini sociali fissati dalla costituzione stessa, l’intervento preventivo dell’Amministrazione acquista senza dubbio un carattere estrinseco dal momento che serve a verificare che le attività non contrastino con l’interesse pubblico, ma non è diretto a soddisfare, attraverso di esse (e con i provvedimenti che ne consentivano l’esercizio), alcun interesse pubblico. In tali ipotesi, dunque, l’attuazione del principio del buon andamento e del principio di efficacia amministrativa da esso derivato, e richiamato nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, può dirsi garantita soltanto qualora l’inattività della pubbliche Autorità non diventi un ostacolo immotivato al concreto esercizio delle attività non contrastanti con l’interesse pubblico; e la soluzione predisposta dal Legislatore attraverso la trasformazione dei poteri preventivi di autorizzazione, in poteri repressivi che obblighino alla cessazione dell’attività, nonché alla trasformazione di provvedimenti di consenso senza una responsabile presa di posizione da parte dell’Amministrazione, accompagnata dal potere di annullamento, proprio 304 305 114 2.1. La denuncia di inizio attività (oggi SCIA). L’introduzione dell’istituto della denuncia di inizio attività ad opera della legge n. 241 del 1990, sin dalla sua prima versione, realizza un profondo cambiamento rispetto al precedente schema autorizzatorio. Il provvedimento perde infatti il suo valore condizionante l’esercizio delle attività private; non serve più a (o, più esattamente, non produce più l’effetto di) eliminare un limite al diritto, o un ostacolo al suo esercizio, ovvero – secondo le varie teorie sugli effetti delle autorizzazioni – a costituire il diritto, del quale l’attività costituisce esercizio307. perché consente di ovviare ai pregiudizi recati dall’inefficienza del nostro sistema burocratico alle situazioni giuridiche soggettive garantite dalla Costituzione, si pone perfettamente in linea con i principi costituzionali sull’azione amministrativa; anzi, si può ben dire che ne garantisce una maggiore effettività. Cfr. per una analoga visione, SANDULLI A.M., Il silenzio della Pubblica amministrazione oggi. Aspetti sostanziali e processuali, in Diritto e società, 1982, 715 ss., il quale precisa, però, che la tutela, attraverso il silenzio-assenso, delle situazioni soggettive private «sacrificate dal ritardo delle risposte dell’amministrazione, il quale troppo spesso produce in materia ferite non meno gravi delle risposte negative», non deve mai pregiudicare l’interesse pubblico con «accondiscendenze incontrollate, specialmente nei settori dove più gravi si presentano i pregiudizi cui esso può essere esposto». 307 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 435 ss. Secondo TRAVI A., Silenzio-assenso e legittimazione ex lege nella disciplina dell’attività private in base al d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, in Foro Amministrativo, II, 1993, 609, l’art. 19 della legge n. 241 introdurrebbe un regime di legittimazione ex lege in quanto la legittimazione ad intraprendere l’attività prescelta (nell’ambito, naturalmente, di quelle coinvolte dal processo di liberalizzazione) «non è mediata da nessun titolo con effetti provvedimentali, da nessuna disciplina particolare», ma deriva in capo al privato direttamente dalla legge. Tradizionalmente (e nel diritto privato e) nel diritto amministrativo, vengono ricondotte alla legittimazione ex lege tutte quelle ipotesi in cui una norma di legge consente che una determinata attività (o funzione), tipicamente legittimata da un provvedimento amministrativo ( o da un negozio giuridico), possa essere esercitata anche in mancanza del provvedimento (o del negozio): a legittimazione in tal caso si rinverrebbe direttamente dalla legge. Tale nozione, in passato, è stata utilizzata anche per indicare la situazione conseguente al formarsi del silenzio-assenso (in particolare da DE ROBERTO A., Silenzio-assenso e legittimazione ex lege nella legge Nicolazzi, in Diritto e società, 1983, 163 ss.), dal momento che, anche nelle ipotesi interessate da questo istituto, il privato è interessato a svolgere un’attività disciplinata dalla legge senza l’intermediazione di un atto permissivo, di regola chiamato a legittimarla: il silenzio-assenso, per questo A., comporterebbe, in sostanza, la sostituzione di un regime di legittimazione ex lege ad un regime provvedimentale e la soppressione dell’intervento amministrativo. Il riferimento al concetto di legittimazione ex lege non si presenta, però adeguato per la ricostruzione e del silenzio-assenso e della denuncia di avvio di attività: tale concetto, infatti, non offre una specifica connotazione di quale sia la (consistenza della) situazione giuridica soggettiva interessata dall’applicazione di questi due istituti e quale sia la funzione da essi espletata; non puntualizza se, prima della formazione del silenzio-assenso o prima della presentazione della denuncia, il privato sia titolare di un diritto soggettivo (avente ad oggetto l’attività prescelta) pieno e incondizionato ab origine, ovvero di un diritto «potenziale», destinato a divenire attuale (e, quindi, esercitabile) con l’intervento del silenzio-assenso o della denuncia, ossia in un momento successivo al suo sorgere in capo al privato. Si badi inoltre che, sia dopo il 115 In questo caso il diritto non solo preesiste al provvedimento, ma preesiste in modo incondizionato o privo di limiti308: è l’intero schema teorico del procedimento autorizzatorio che scompare (o meglio diventa recessivo) e viene sostituito da uno schema diverso. All’amministrazione non compete più di svolgere in forma preventiva e condizionante il c.d. controllo di compatibilità dell’attività privata con l’interesse pubblico, ma compete semplicemente di sottoporre a verifica309 successiva e in un tempo determinato310, la sussistenza dei maturarsi del silenzio-assenso sia dopo la presentazione della denuncia di inizio attività l’Amministrazione non viene estraniata dall’assetto di interessi (pubblici e privati) in gioco: essa, infatti, risulta essere titolare di quegli stessi poteri di intervento successivo che, istituzionalmente, le competerebbero se fosse stato emanato un provvedimento espresso. 308 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 436. 309 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 438. Nel modello procedimentale delineato dall’articolo 19, i controlli preventivi, sino ad ora effettuati dall’Amministrazione per il rilascio del titolo abilitativo previsto dalla normativa previgente per l’esercizio di una determinata attività privata, sono sostituiti da accertamenti successivi volti a riscontrare (senza margini di discrezionalità) la conformità a legge dell’attività svolta dal privato su denuncia di avvio della stessa, e la sussistenza dei requisiti, anche soggettivi, all’uopo richiesti. Della normativa previgente, si badi, la disposizione in esame ha infatti decretato la soppressione del meccanismo procedurale di autorizzazione preventiva, ma non anche l’abrogazione della disciplina sostanziale concernente l’identificazione dei presupposti e requisiti ritenuti necessari ai fini dell’esercizio dell’attività stessa; disciplina che, quindi, rimane in vita anche in seguito all’entrata in vigore della legge n. 241, e che costituisce parametro di valutazione (della liceità dell’attività intrapresa dal singolo) nelle verifiche successive effettuate d’ufficio ad opera delle singole Amministrazioni competenti. L’esito negativo dell’accertamento determina l’adozione di provvedimenti inibitori e repressivi («divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti») previsti nell’articolo 19. Dal sistema complessivo dell’art. 19 risulta, inoltre, che l’adozione di misure restrittive è subordinata al previo esperimento di un tentativo di «conformazione» dell’attività illegittimamente intrapresa dal privato in attività conforme alla normativa vigente: l’Amministrazione in sostanza deve invitare il privato ad eliminare le carenze riscontrate e gli effetti lesivi prodotti dallo svolgimento dell’attività stessa. La circostanza, dunque, che in presenza di una riscontrata difformità dalla normativa speciale l’Amministrazione non sia obbligata ad emanare provvedimenti sanzionatori, ma debba procedere necessariamente ad un previo tentativo di conformazione e ad una ulteriore ponderazione (circa la sussistenza, nel caso concreto, di uno specifico interesse pubblico da intendersi preminente rispetto all’affidamento ingenerato nel privato), non consente di inquadrare l’azione amministrativa di verifica successiva, di cui all’art. 19, legge n. 241, nello schema generale dei procedimenti amministrativi di controllo; ove, al contrario, l’applicazione di misure sanzionatorie per la riscontrata difformità (dell’atto o dell’attività) del modello legale ha carattere vincolante. Dato che, quindi, tale attività di accertamento, come correttamente osservato da PAINO S., op.cit., 48, «è integralmente finalizzata (anche, eventualmente, per escluderli), agli ulteriori interventi successivi, di conservazione, di ponderazione della situazione venutasi a creare, ed, eventualmente, di interdizione», è evidente che tutta l’iniziativa dell’Amministrazione di cui all’art. 19 (di accertamento e di repressione) debba essere unitariamente ricompresa, secondo gi insegnamenti del Consiglio di Stato, nell’alveo e nei limiti del generale potere di autotutela (diversamente, sul punto, CERULLI IRELLI V., op.cit., 61 ss., il quale preferisce ricostruire le due fasi – di riscontro e di 116 presupposti e dei requisiti di legge. Non c’è più un procedimento di autorizzazione, ad iniziativa privata311, ma un procedimento di verifica, ad iniziativa pubblica necessaria312. In definitiva, il regime autorizzatorio attuale potrebbe definirsi non già come rimozione di un limite, ma come possibile divieto successivo di un’attività libera. In questo modo, l’art. 19 sembra allora delineare una disciplina più coerente con lo schema di cui all’art. 41 della Costituzione: la libertà di iniziativa economica si riflette nella libertà di iniziare l’attività previa denuncia, mentre la necessità di rispettare comunque le norme che conformano l’attività (che pur nel silenzio della legge deve ovviamente ritenersi presente) ed il potere amministrativo di intervento interdizione – come due autonomi e distinti procedimenti, di acclaramento successivo il primo, di autotutela il secondo). 310 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 438. E’ lo stesso Legislatore a circoscrivere temporalmente l’intervento dell’Amministrazione; e ciò al preciso scopo, è evidente, di arginare la condizione di incertezza in cui versa il soggetto che ha intrapreso l’attività senza quella garanzia rappresentata da un provvedimento (concreto) di autorizzazione preventiva. 311 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 439. Questa decisiva trasformazione del rapporto che tradizionalmente si poneva, e che, al di fuori delle ipotesi previste, ancora oggi si pone fra cittadino e Amministrazione, implica conseguenze pratiche di notevole rilevanza per la tutela dell’interesse sostanziale del singolo. Dato che, dunque, il privato non è più titolare dell’interesse legittimo ad ottenere il provvedimento autorizzatorio, ma al contrario deve essere considerato titolare del diritto soggettivo incondizionato ad esercitare l’attività prescelta nel momento in cui entra in possesso di tutti i requisiti richiesti dalle diverse normative di settore, appare evidente che ogni provvedimento dell’Amministrazione che, illegittimamente, vada ad incidere su questo diritto, obbliga l’Amministrazione stessa a risarcire il danno. Né è possibile obiettare sul punto (e sostenere che dal sistema introdotto dall’articolo 19 non possono «farsi derivare innovazioni decisive sul piano della definizione, in termini di principio, di tradizionali rapporti di forza tra amministrazione e cittadino», la cui posizione, pertanto «permarrà di interesse legittimo e non diverrà di diritto soggettivo per il solo fatto dell’abolizione della necessità del previo provvedimento abilitativo»: così NICOSIA F.M., Il procedimento amministrativo. Principi e materiali, Napoli, 1992, 162 ss.), argomentando dalla circostanza che l’Amministrazione sia dotata di poteri di controllo, di inibizione, di repressione, riconducibili nell’ambito del generale potere di autotutela. Certamente essi rappresentato una tipica espressione del potere autoritativo dell’Amministrazione, nei cui confronti il privato si trova in un posizione di soggezione che non può essere ricostruita in termini di interesse legittimo; ma tale posizione di soggezione riguarda (e la precisazione conserverebbe la sua validità anche se persistesse il vecchio regime autorizzatorio) un procedimento nuovo, che apre una fase successiva e diversa rispetto al momento in cui è sorto, in capo al privato, il diritto soggettivo ad intraprendere l’attività prescelta: la previsione, in sostanza, di un potere di autotutela, non è incompatibile, con la esigenza di un diritto soggettivo, perché, diversamente opinando, non sarebbe mai possibile congiurare un simile potere, che, invece, ha carattere generale (sul punto la dottrina è pacifica: cfr. ALESSI R., La revoca degli atti amministrativi, Milano, 1956, 80 ss.), nei confronti degli atti amministrativi, quali le concessioni, ampliativi della sfera giuridica dei destinatari. 312 V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 440. 117 successivo all’inizio della stessa corrispondono ai limiti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost.313 Nella sua versione originaria, l’articolo 19 della legge n. 241 consentiva la sostituzione del controllo preventivo sulle istanze per l’ottenimento di atti lato sensu autorizzatori o permissivi non discrezionali e non contingentati o interferenti con la tutela di interessi «sensibili» con un una mera denuncia (o dichiarazione) di inizio attività da parte dell’interessato, soggetta ad un mero controllo successivo (estrinsecantesi in misure inibitorie, sanzionatorie e di autotutela). Successivamente, però, l’art. 2, comma 10, della legge n. 537 del 1993, sostituendo integralmente il testo originario dell’articolo, ha invertito radicalmente detta impostazione, stabilendo che, ad esclusione dei casi in cui i titoli dovevano essere rilasciati previa valutazione tecnica o previo apprezzamento discrezionale ed al di fuori delle materie ritenute «sensibili»314, tutte le attività già soggette al rilascio di un titolo abilitativo diventano esercitabili in assenza di quest’ultimo, con l’unico limite del decorso del termine, qualificato come perentorio, di sessanta giorni315, entro il quale l’amministrazione poteva intervenire a inibire o reprimere l’abuso316. Nel 2005 la legge di riforma della legge n. 241317 ha poi nuovamente riscritto l’art. 19, prevedendo che «ogni atto» di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque denominato, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingentamento complessivo, o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi318 è sostituito da una dichiarazione V. sul punto FRACCHIA F., op.cit., 257 ss. e V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 436. Edilizia, tutela dei beni culturali, paesaggistici ed ambientali. 315 Cfr. Cons. Stato, Ad. gen., parere n. 137 del 1994, in Foro italiano, 1996, III, 329. 316 A seguito di tale modifica, con il DPR 9 maggio 1994, n. 411, furono individuate in apposita tabella le attività comunque escluse dal regime di cui all’art. 19. 317 Cfr. decreto-legge n. 35 del 2005, convertito in legge n. 80 del 2005. 318 Con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal 313 314 118 dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. La possibilità di intraprendere in concreto l’attività – con l’obbligo dell’interessato di darne contestuale notizia all’amministrazione competente – viene posticipata al decorso del termine di trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione, entro il quale l’amministrazione avrebbe potuto/dovuto verificare l’eventuale carenza delle condizioni, modalità o fatti legittimanti, adottando in tal caso motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove possibile, l’interessato provvedesse a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. La riforma del 2005 ha poi espressamente riconosciuto la valenza di poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della stessa legge n. 241319. Successivamente, l’articolo 19 è stato oggetto di ulteriori modifiche da parte della legge n. 69 del 2009 che, nell’ampliare i provvedimenti nei cui confronti l’istituto non trova applicazione320, ha previsto che nel caso in cui la DIA abbia ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazioni di servizi321, l’attività può essere immediatamente iniziata sin dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente (c.d. DIA immediata). Infine, il Legislatore è recentemente intervenuto, confermando la validità dell’istituto e mutandone la denominazione e la disciplina. A seguito di una prima gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria. 319 Ci si riferisce, rispettivamente, ai poteri concernenti la revoca e l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi precedentementi. Dibattuta in dottrina la pertinenza di tale richiamo ai poteri di autotutela. V., tra tutti, SANDULLI M.A., Dalla D.I.A. alla S.C.I.A., cit., 469, la quale sostiene che si tratti di «poteri evidentemente stridenti con un atto di diritto privato, chiamato a «sostituire» un provvedimento amministrativo di autorizzazione e dunque, secondo la lettura sistematica più coerente, a sottrarre alcuni settori di attività alla logica del regime autorizzatorio provvedi mentale). 320 Ci si riferisce a quei provvedimenti rilasciati dalle amministrazioni preposte all’ «asilo» e alla «cittadinanza». 321 Compresi anche gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta. 119 modifica ad opera del d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo della direttiva Bolkenstein), la DIA è stata da ultimo qualificata come SCIA, «Segnalazione certificata inizio attività», dalla legge 30 luglio 2010, n. 122322. Ai sensi del vigente art. 19 «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei La legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competività economica», all’art. 49, comma 4bis, ha integralmente sostituito il testo dell’art. 19 della legge 241 del 1990 risultante dalle diverse modifiche sopra ricordate, precisando al successivo comma 4-ter che la disciplina della nuova «Segnalazione certificata di inizio dell’attività» attiene «alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lett. m) del medesimo comma» e «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale». 322 120 requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti». Sovvertendo il regime previgente, che di norma subordinava comunque l’avvio dell’attività denunciata al decorso del periodo di tempo nel quale l’amministrazione competente avrebbe dovuto esercitare il potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti per l’esercizio della medesima in base a semplice DIA, il secondo comma del nuovo art. 19 stabilisce che «l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente». Non occorre più, quindi, attendere il decorso del termine di 30 giorni per procedere all’avvio dei lavori. Il terzo comma, dedicato al controllo postumo dell’amministrazione competente, prescrive poi che l’amministrazione «in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni». Si conferma però che «è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Nell’ultimo comma, il Legislatore tuttavia aggiunge, introducendo un importante elemento di novità già proposto in chiave interpretativa323, che «in caso 323 V. SANDULLI M.A., Denuncia di inizio attività, in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 2004, 121 ss. 121 di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo». Le modifiche sopradescritte, seppur mantenendo vive le dispute dottrinali e giurisprudenziali in ordine soprattutto alla natura giuridica dell’atto, ai sui suoi effetti e alle sorti dell’attività illegittimamente intrapresa, confermano tuttavia che la norma in generale rappresenta un nuovo spartiacque nella panoramica dell’istituto autorizzatorio. Tale norma, infatti, nel momento in cui introduce il nuovo regime, mantiene, seppur delimitando il periodo entro cui ciò può avvenire, la possibilità di un intervento pubblico successivo all’inizio dell’attività e non esclude, ai fini dell’esercizio lecito di attività private, la necessità che ricorrano presupposti e requisiti imposti dall’ordinamento, designando una disciplina che, nel suo complesso, comporta sicuramente la liberalizzazione dell’attività privata, ma ricorda anche la disciplina propria delle autorizzazioni differenziandosi da esse per l’assenza di un decisivo elemento, ovvero sia il preventivo controllo324. Emerge così che l’aspetto essenziale del provvedimento permissivo, la cui eliminazione realizzata ora dall’art. 19 è tale da comportare la modificazione radicale del regime delle attività private, è il «consenso» pubblicistico. Il termine «consenso», a prescindere dal suo fondamento nel diritto positivo, sembra il più adatto a rappresentare la situazione delineata nell’articolo in esame, caratterizzata appunto dalla presenza di una spinta iniziale indiscutibilmente privata, esplicazione di autonomia, cui si sovrappone, in un momento logicamente posteriore, il condizionamento pubblicistico, riguardante esclusivamente l’esercizio di posizioni di vantaggio di cui si valuta la compatibilità con altri interessi pubblici e che realizza una tra le molteplici modalità di raccordo tra ordinamento generale e autonomia privata, nel senso che tra le condizioni alle 324 v. FRACCHIA F., op.cit., 257 ss. 122 quali il primo è disposto a riconoscere l’efficacia dell’attività del privato, vi è anche quella del rilascio dell’autorizzazione325. 2.2. Il silenzio-assenso. A differenza dell’art. 19, l’art. 20 della legge n. 241 del 1990 ha dato un nuovo e compiuto disegno, estendendone largamente i confini, ad un istituto già noto, anche se all’epoca non molto diffuso: il c.d. silenzio-assenso. Ai sensi dell’art. 20, così come rimodellato nella sua ultima versione, si stabilisce che «fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2». Ai sensi del secondo comma, inoltre, «l’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei contro interessati». «Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies»326. Lo schema teorico di questo istituto è profondamente diverso da quello precedentemente esaminato: il silenzio-assenso lascia sopravvivere il procedimento autorizzatorio; che presuppone, secondo le diverse ricostruzioni, la V. FRACCHIA F., op.cit., 257 ss. Secondo CERULLI IRELLI V., op.cit., 55: tali istituti di «semplificazione» non sono invero ascrivibili alla c.d. «liberalizzazione» di attività economiche private, ciò che presupporrebbe la loro sottrazione senz’altro al regime amministrativo autorizzatorio e la loro riconduzione nell’ambito della libertà comune; ma certo essi sono orientati anche nel senso della «liberalizzazione»: si tratta infatti di sostituire con altro e più «leggero» regime amministrativo. 326 Articolo così modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente dalla legge 18 giugno 2009, n. 69. Comma aggiunto dal d.l. 5 agosto 2010, n. 125. 325 123 preesistenza di un diritto limitato, ovvero la scissione tra titolarità (che preesiste) ed esercizio del diritto, ovvero ancora la preesistenza di una semplice (e generica) legittimazione. Conseguentemente il silenzio-assenso corrisponde, quanto agli effetti, ad un «consenso» silenzioso, determinando, a seconda delle tesi, l’eliminazione del limite, la possibilità di esercizio ovvero la nascita del diritto (avente ad oggetto l’attività autorizzata). Il silenzio-assenso è, in altri termini, equiparato, quanto agli effetti, al provvedimento (formale) di consenso327. Quanto alla sua natura giuridica esso è viceversa un mero fatto giuridico. V. SCOCA F. – D’ORSOGNA M., op.cit., 444 ss. La formulazione dell’art. 20 (ove si parla di «atto di assenso»), ripresa anche nel DPR n. 300 del 1992, nonché la previsione del potere di annullamento sembrano testimoniare il ritorno all’antica ricostruzione del silenzio legislativamente regolato in termini di atto presunto (così TENERINI R., Il silenzio-assenso quale atto amministrativo nella previsione della legge n. 241 del 7 agosto 1990. possibile configurazione, in L’Amministrazione italiana, I, 1992, 39; SCHINAIA M., op.cit., 190). Anche il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 7 del 1987, ha affermato, in relazione all’art. 19 (poi suddiviso in due diverse disposizioni), che, in virtù del silenzio-assenso, l’interessato resterà (…) abilitato a dar vita, e in conformità al suo progetto, all’attività come sarebbe accaduto se l’Amministrazione avesse rilasciato il titolo prescritto». Il riferimento ad un provvedimento fittizio, che aveva caratterizzato le elaborazioni di inizio secolo è stato, invero, abbandonato dalla dottrina moderna (per un’approfondita ricostruzione delle varie posizioni dottrinarie, si consenta il rinvio a SCOCA F. G., Il silenzio della Pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., II, 2002, 194 ss.) sulla circostanza che nelle ipotesi di inerzia preregolata, manca quel giudizio di comparazione tra interesse pubblico e interesse privato che costituisce esercizio della funzione amministrative ed è essenziale alla nozione stessa di provvedimento. Con la previsione di norme tipizzanti, il Legislatore, infatti, intende realizzare non quell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione sarebbe chiamata a soddisfare nel caso specifico; bensì il diverso interesse pubblico (ritenuto prevalente in determinate situazioni) alla rapidità e alla certezza del traffico giuridico. La terminologia utilizzata dal Legislatore, come appunto accade nell’art. 20 legge n. 241, non può, dunque, assumere valore determinante nella individuazione di un atto laddove, in realtà, gli effetti prodotti dalla legge si determinano indipendentemente dall’effettiva volontà dell’amministrazione. L’incoerenza con la pretesa natura attizia del silenzio-assenso è ulteriormente dimostrata dalla prescrizione dell’art. 21 della legge n. 241, che commina le sanzioni, attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in conformità ad esso, «anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli art. 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la norma vigente», senza richiedere, però, un previo annullamento del silenzio-assenso da parte del giudice amministrativo. Il silenzio preregolato, come, d’altro canto, il silenzio generale, non è altro, in realtà, che un mero fatto giuridico, a cui il Legislatore collega degli effetti normalmente conseguenti ad un provvedimento espresso, al fine di snellire i rapporti fra amministrati e pubblica amministrazione: equiparazione, dunque, relativamente agli effetti, tra comportamento materiale e atto, non identificazione tra due figure che conservano la loro diversità sostanziale. Questa distinzione tra fonte e contenuto degli effetti, consente di assimilare il silenzio amministrativo, legislativamente regolato alle c.d. valutazioni con valore legale tipico di stampo privatistico, ossia a quei comportamenti cui l’ordinamento, prescindendo dalla reale volontà del soggetto agente, attribuisce un determinato contenuto negoziale (nel diritto privato, cfr. SEGNI M., Autonomia privata e valutazione legale tipica, Padova, 1972; SCOGNAMIGLIO R., Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1956, 188; SANTORO PASSERELLI P., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 142; 327 124 Anche con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 20 si può quindi affermare che, seppur in termini diversi, anch’esso richiede ai fini della liceità dell’attività privata il «consenso» da parte della pubblica amministrazione, consenso che tuttavia l’ordinamento considera rilasciato anche nell’ipotesi di inerzia del soggetto pubblico328. Alla luce di quanto analizzato, si potrebbe dunque concludere che la definizione suscettibile di ricomprendere i vari tipi di autorizzazione previsti nel nostro ordinamento, è quella che ne pone in luce il carattere di «consenso» all’esplicazione di poteri, diritti e capacità del privato, di volta in volta relativi all’an o al quomodo329. 3. Il procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili. Passando all’analisi propria del presente lavoro, si cercherà ora di enucleare – attraverso una preliminare, quanto necessaria, opera ricostruttiva della normativa al riguardo intervenuta – il procedimento amministrativo previsto per l’installazione e l’esercizio di impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili. Lo studio della scienza pubblicistica sull’istituto autorizzatorio in generale, brevemente ripercorsa nei paragrafi precedenti, ha fatto emergere chiaramente come non si possa correttamente parlare di autorizzazione al singolare e, comunque, giova sottolineare come, sebbene le autorizzazioni e i relativi procedimenti di adozione rappresentino lo strumento per eccellenza idoneo per consentire l’intervento dello Stato nell’economia, essi non sono gli unici CARIOTA FERRARA L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1947, 415). La riconduzione del silenzio-assenso nell’ambito delle valutazioni legali tipiche appare senza dubbio l’impostazione più coerente con la natura di mero fatto del silenzio: impostazione, questa ribadita, sia pure «a certe condizioni» anche da TRAVI A., Silenzio-assenso ed esercizio della funzione amministrativa, Padova, 1985, il quale sottolinea che «il tema delle valutazioni legali tipiche non è stato particolarmente approfondito dalla dottrina amministrativistica» per la «tendenza, tutt’altro che superata, a considerare il provvedimento amministrativo come una fonte infungibile di effetti giuridici». 328 V. FRACCHIA F., op.cit., 258 ss. 329 V. FRACCHIA F., op.cit., 258 ss. 125 strumenti, e anzi non presentono caratteristiche loro proprie in considerazioni delle finalità per le quali vengono utilizzati330. Di tale premessa si terrà conto, dunque, per definire in conclusione quale sia la natura del procedimento all’uopo disciplinato per lo sviluppo delle fonti di energia alternativa. Storicamente, l’installazione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è stata subordinata all’acquisizione di diversi atti aventi natura autorizzatoria331. Fino all’emanazione del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, le scelte effettuate dal Legislatore erano infatti nel senso della creazione di apparati specializzati idonei a risolvere i complessi rapporti energia-ambiente, ma al contempo indirizzati a confermare a ciascun apparato le proprie attribuzioni istituzionali in materia ambientale e/o energetica. Ciò comportava che ogni decisione in tema di produzione di energia fosse oggetto, in fase attuativa, di una pluralità di procedimenti amministrativi. Pluralità di procedimenti tra di loro autonomi e non coordinati – secondo alcuni332, non volutamente coordinati – dal Legislatore. V. sul punto GIANNINI M.S., Sull’azione dei pubblici poteri, cit., 311 ss., secondo il quale «Chi si pone a ricercare attraverso quali strumenti i pubblici poteri svolgono delle azioni giuridicamente determinanti nel campo dell’economia, posto che i pubblici poteri medesimi non possono agire che mediante procedimenti amministrativi, deve individuare quali sono questi procedimenti». Tra le figure più importanti di questi procedimenti, vi sono proprio i procedimenti autorizzatori, che però, anche se sono considerati lo strumento per eccellenza di «intervento» nella disciplina dell’economia, non presentano peculiari proprietà proprie per il fatto di ricevere tale uso. È indubbio, infatti, secondo l’Autore, che «la tassanomia delle varie specie di provvedimenti autorizzatori, ossia, citando un ordine preciso, le autorizzazioni in senso stretto, le licenze, le approvazioni, le dispense, e così via, si modella non sui fini o sui motivi dei provvedimenti, ma sulla natura degli elementi che li compongono e degli effetti che si producono». 331 V. FREGO LUPPI S.A., Autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di infrastrutture energetiche, in Diritto amministrativo, 3, 2007, 502. Si pensi per la costruzione di impianti eolici erano necessari: la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), la dichiarazione di compatibilità Paesistico ambientale rilasciata dalla Regione, l’autorizzazione paesaggistica nelle aree interessate da vincolo Paesistico, il nulla osta delle Forze armate per le servitù militari e per la sicurezza del volo a bassa quota, valutazione d’incidenza effettuata dalla Regione ai sensi del DPR n. 357 del 1997, qualora l’impianto ricada in un’area della rete Natura 2000, eventuali altri pareri o nullaosta rilasciati dalle autorità competenti qualora i siti interessati siano sottoposti a particolari vincoli o servitù, senza dimenticare naturalmente il giudizio di compatibilità ambientale a seguito della procedura di VIA secondo quanto previsto dal DPR 12 aprile 1996. 332 V. PERICU G., Emersione e composizione dei vari interessi concorrenti nelle vicende energetico-ambientali, in AA.VV., Studi in memoria di Enzo Capaccioli, Milano, 1988. 330 126 Ciò determinava che ogni procedimento si poneva come ostativo per la realizzazione dell’iniziativa ed, in buona sostanza, a ciascuna autorità titolare di poteri amministrativi era attribuito un vero e proprio diritto di veto. Il quadro, inoltre, era ulteriormente complicato dal fatto che la tutela degli interessi in gioco avveniva in momenti storici distinti, così che l’attuarsi dell’insediamento previsto era sottoposto a verifiche non contestuali e succedentesi nel tempo. Un tale assetto istituzionale, caratterizzato dalla totale assenza di coordinamento tra i soggetti coinvolti, aveva effetti paralizzanti non solo per l’effettiva realizzazione dell’impianto, ma anche per una corretta tutela ambientale. Inoltre, il descritto sistema di organizzazione dell’azione amministrativa comportava altresì che la medesima autorità intervenisse più volte nei diversi procedimenti previsti per la tutela di interessi distinti; e ciò valeva segnatamente per gli enti locali, presenti nel procedimento di localizzazione e di autorizzazione e titolari di specifici poteri per la salvaguardia di interessi connessi ai singoli beni ambientali.333 Questo sistema, così come delineato, prestava facilmente il fianco a numerose critiche, soprattutto da parte di chi334 sottolineava l’importanza degli strumenti organizzatori e procedimentali predisposti dal Legislatore allo scopo di assicurare il perseguimento degli interessi pubblici alla tutela ambientale. In particolare, si sosteneva come l’esigenza di una puntuale tutela non si poteva identificare affatto con la configurazione di separati iter autorizzativi e che una pluralità di procedimenti connessi ad autorità diverse non poteva comportare la certezza di assicurare la tutela di vari interessi pubblici incidenti su una determinata fattispecie. Infatti, una pluralità di provvedimenti autorizzatori tra loro concorrenti in ossequio a normative diversificate non implicano ex se che i relativi procedimenti siano adeguatamente condotti e che i vari interessi da V. PERICU G., op.cit. V. ROVERSI MONACO F., Ambiente ed energia: nuovi strumenti istituzionali e procedimenti autorizzativi, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1985, 857 ss. 333 334 127 salvaguardare vengano meglio tutelati. Ma, al contrario, la contestuale tutela ed il contemperamento di interessi eterogenei possono essere assicurati prevedendo meccanismi procedimentali che preludono ad una unica autorizzazione, con l’avvertenza di delineare una pluralità di apporti consultivi nelle varie fasi tecnicoistruttorie335. Del resto, l’esigenza di assicurare un coordinamento ed un contemperamento rispettoso dei vari interessi pubblici incidenti, attraverso una semplificazione che garantisca un sollecito perseguimento degli obiettivi economici-energetici, si riconduce alla tematica della deregolamentazione e semplificazione del procedimento amministrativo, coerente con il precetto rinvenibile nell’art. 97 della Costituzione, in base al quale il concetto di buona amministrazione va inteso sia in senso strutturale sia in senso funzionale e si impone tanto al Legislatore che all’amministrazione336. Pertanto, tutte le volte in cui la più ampia articolazione dei procedimenti amministrativi non risulti mezzo per la soddisfazione e tutela dei vari interessi pubblici, in misura maggiore di quanto si possa affermare per procedimenti semplificati, sembra doveroso fare luogo all’attuazione del principio di buon andamento o, se si vuole, di efficienza337. Sulla base di queste premesse, è allora di più facile comprensione la scelta del Legislatore, negli ultimi anni sempre più attento alle esigenze di semplificazione procedurale, di optare per il modello dell’autorizzazione unica338. Su questa tematica si rinvia ad alcuni cenni contenuti in NIGRO M., Commissione per la revisione della disciplina dei procedimenti amministrativi. Appunto introduttivo, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, 1984, 79 ss. 336 In tema v. ANDREANI A., Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova, 1979. 337 V. ROVERSI MONACO F., op.cit., 857 e ss. e ID., Localizzazione e costruzione di centrali per la produzione di energia elettrica. Procedimenti amministrativi e possibilità di loro semplificazione, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1985, 279 ss. 338 Il primo antecedente di autorizzazione unica è quello previsto dal d.l. 7 febbraio 2002, n. 2, convertito con modificazioni nella legge 9 aprile 2002, n. 55, sul quale si è pronunciata anche la Corte costituzionale, con la sentenza 13 gennaio 2004, n. 6, in Giurisprudenza costituzionale, 2004, 104. Sul procedimento unico di cui alla legge 55 del 2002, c.d. sblocca centrali, si vedano i saggi raccolti in PICOZZA E. (a cura di), Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia 335 128 In questo contesto, il procedimento amministrativo, da luogo frazionato per l’affermazione settoriale di uno dei valori in conflitto, diviene sede per la contestuale definizione di un assetto unitario di interessi, grazie all’impiego di meccanismi di co-decisione che assicurano al contempo visione e voce ai vari punti di vista e concretezza, unità e coerenza al processo collettivo di decisione che conduce alla loro sintesi dialettica339. Coerentemente, quindi, anche per lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, su impulso anche della direttiva 2001/77/CE – che nel frattempo era intervenuta sollecitando una decisiva attività di razionalizzazione, accelerazione e semplificazione dei procedimenti di autorizzazione all’installazione degli impianti di energia rinnovabile340 – il Legislatore italiano ha adottato un regime autorizzatorio, appunto, «semplificato». Il nuovo sistema autorizzatorio, introdotto originariamente dal d.lgs. n. 387 del 2003, come modificato a seguito delle Linee Guida nazionali e da ultimo dal d.lgs. n. 28 del 2011341, in ossequio al principio di proporzionalità dell’agere amministrativo, si articola nelle seguenti forme: elettrica, Torino, 2003, 21. Una aggiornata analisi delle ipotesi normative riconducibili allo schema del procedimento «unico» è condotta da FREGO LUPPI S.A., op.cit., 473. 339 V. COMPORTI G.D., Energia e ambiente, in ROSSI G. (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2008, 275. 340 V. NICOLETTI F., Lo sviluppo e la promozione, cit., 381. 341 Da ultimo, la disciplina autorizzativa in materia di impianti di produzione elettrica da energia rinnovabile è stata rimodulata con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, attuativo della direttiva 2009/28/CE. Il capo I del titolo II, che tratta di «Procedure autorizzative, regolamenti e codici» dispone, all’art.4, comma 1, che, al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi per il 2020, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo «speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione». Dunque, i summenzionati principi generali di semplificazione, accelerazione, proporzionalità e adeguatezza costituiscono la base su cui deve poggiarsi l’attività amministrativa sia in sede applicativa sia in sede interpretativa. Inoltre, emerge un ulteriore principio, vale a dire quello di specialità («speciali procedure», dice la norma) che induce a riflettere sulla applicabilità o meno delle norme della legge 241 del 1990. Ci si chiede, cioè, se quest’ultima legge, in quanto legge generale del procedimento, possa essere derogata da parte della normativa del d.lgs. n. 28 del 2011, per l’appunto, speciale. V., sul punto, CIMELLARO A., Autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, Exeo edizioni, 2011. 129 1) in un procedimento di autorizzazione unica cui partecipano tutte le amministrazioni interessate in seno ad una Conferenza di servizi all’uopo convocata; 2) in un procedimento «semplificato», ispirato ai canoni della SCIA di cui all’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo342; 3) in un regime di attività libera, soggetta a mera comunicazione preventiva, fatta salva dal Legislatore solo per realizzare taluni interventi aventi un ridotto impatto sul territorio ed una limitata capacità di generazione energetica. L’analisi che segue, volta a enucleare la disciplina prevista per ciascun strumento amministrativo introdotto dalla normativa interna in materia di fonti rinnovabili, non è fine a se stessa, ma si pone l’intento di verificare la compatibilità di detti strumenti di semplificazione con gli obiettivi perseguiti dalla normativa nazionale ed europea. Ovvero sia, analizzare se il procedimento di autorizzazione unica e gli altri strumenti di seguito approfonditi, siano di fatto improntati a quel principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, che in termini di efficienza dell’azione amministrativa non tollera situazione paralizzanti. E pertanto, sarà opportuno valutare se la semplificazione perseguita dal Legislatore in tali ambiti sia stata in grado di assicurare la celerità e la tempestività del procedimento, necessari per il perseguimento degli obiettivi imposti in sede europea. Inoltre, anche in un’ottica non solo di efficienza, ma anche di efficacia della azione amministrativa, parimenti fondamentale in considerazione degli interessi coinvolti nella fattispecie in esame (per la maggior parte, tra l’altro, di rilevanza costituzionale), si dovrà anche valutare l’effettivo ed imparziale apprezzamento di tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco alla situazione concreta343. Questa forma procedimentale ha cambiato, nel corso delle successive modificazioni e integrazioni al d.lgs. n. 387 del 2003, la propria denominazione (si è passati infatti dalla DIA (di cui al DPR 380 del 2001, T.U. Edilizia), poi chiamata SCIA (ai sensi della legge n. 122 del 2010), alla PAS del d.lgs. n. 28 del 2011), mantenendone tuttavia la ratio. 343 In tal senso, COCCONI M., Promozione europea delle energie rinnovabili e semplificazione, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, I-II, 2012, 58. 342 130 3.1. Il procedimento di autorizzazione unica. Il procedimento di autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia alternativa è stato introdotto per la prima volta dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003344. La procedura in esame riguarda, ai sensi del comma 1 dell’art. 12, non solo gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, ma anche tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi345, che vengono considerati ex lege opere di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti. L’iter autorizzativo, desumibile dal combinato disposto dei commi 3 e 4 del citato articolo 12346, prevede che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dei suddetti impianti sia rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, convocate nell’ambito di una Conferenza di servizi, da svolgere nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge n. 241 del 1990. Essa rappresenta, per così dire, l’ipotesi «fisiologica» di procedura per impianti con capacità di generazione superiore alle soglie di legge. V. tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003. 345 Dubbi erano sorti in ordine alla definizione di «opere connesse agli impianti». Con riguardo a queste ultime, le Linee Guida oggi hanno chiarito che vi rientrano anche i servizi ausiliari e le infrastrutture di collegamento dell’impianto alle reti elettriche, quali, tra l’altro, le stazioni di raccolta ove necessarie per il dispacciamento dell’energia prodotta, in particolare per grandi impianti e nel caso di concentrazioni territoriali di grandi impianti. 346 Cfr. art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 (ante-riforma): «3. La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla Regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Resta fermo il pagamento del diritto annuale di cui all’articolo 63, commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni. 4. L’autorizzazione di cui al comma 3 é rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, in ogni caso, l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni». 344 131 Il rilascio della autorizzazione unica da parte delle Regioni o delle province da esse delegate347, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico348 e costituisce, al contempo, titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato. Il procedimento di autorizzazione unica delineato dal d.lgs. n. 387 del 2003 è stato poi successivamente integrato e modificato dalle Linee Guida nazionali, prima, e dal d.lgs. n. 28 del 2011, poi. Limitandoci per ora agli aspetti più generali del procedimento, la grande novità introdotta dalle Linee Guida consiste nell’aver attribuito, a differenza del precedente d.lgs. n. 387 del 2003, un carattere residuale al procedimento di autorizzazione unica rispetto agli altri due moduli procedurali (DIA o PAS e comunicazione)349. Il punto 10.1. delle Linee Guida, infatti, nello stabilire che «la costruzione, l’esercizio e la modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili sono soggetti ad autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dalla provincia delegata», fa comunque salvo quanto previsto ai paragrafi 11 e 12, ovvero sia gli interventi soggetti a denuncia di inizio attività e gli interventi di attività edilizia libera. Con tale modifica si inverte, dunque, l’impostazione fino a quel momento perseguita dal Legislatore, che vedeva nel procedimento di autorizzazione unica il luogo ideale e, per così dire, «fisiologico» per l’installazione degli impianti di Comma così modificato dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)». L’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione unica, ai sensi del comma 3 dell’art’art. 12 in esame, va dunque individuata nella Regione o, in caso di delega (per via legislativa), nella Provincia, territorialmente competente. Vi è però un’ipotesi nella quale la competenza autorizzatoria passa dalla Regione alla Stato: ciò si verifica qualora debba essere autorizzato un cosiddetto impianto offshore dovendosi intendere come tale qualsiasi impianto eolico realizzato non sulla terraferma, ma nel mare o nei laghi. In tal caso, infatti, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – con le modalità procedurali che operano per la stessa autorizzazione unica regionale – e previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima. 348 Comma così modificato dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. 349 Cfr. punto 10 della parte II delle Linee Guida «Interventi soggetti ad autorizzazione unica»: 10.1. «Fatto salvo quanto previsto ai paragrafi 11 e 12, (…)». 347 132 energia rinnovabile, per cedere il passo a strumenti autorizzativi «nuovi» ispirati maggiormente ad un’ottica di liberalizzazione. Il carattere residuale del procedimento di autorizzazione unica rispetto alle altre procedure amministrative alternative viene poi ribadito anche dal d.lgs. n. 28 del 2011. L’art. 5, infatti, nel ribadire che la realizzazione degli impianti di energia alternativa sono soggetti all’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, fa salvo quanto previsto dagli articoli 6 e 7 del medesimo decreto (che si riferiscono alla Procedura amministrativa semplificata (PAS) e alla mera comunicazione). Senza dubbio, il merito più grande dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 è quello di tentare un raccordo tra le disposizioni fino a quel momento emanate in tema, operando un rinvio alle «modalità procedimentali e alle condizioni previste dallo stesso decreto legislativo n. 387 del 2003 e dalle Linee Guida adottate ai sensi del comma 10 del medesimo articolo 12, nonché dalle relative disposizioni delle Regioni e delle province autonome». In base a tale rinvio, l’attuale procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica si può sintetizzare nelle seguenti fasi: · Entro 15 giorni dalla presentazione della richiesta, l’amministrazione competente, verificata la completezza formale della documentazione, comunica al richiedente l’avvio del procedimento oppure la non procedibilità dell’istanza per carenza della documentazione prescritta. In questo secondo caso, sarà solo dalla data di ricevimento della documentazione completa che andranno ricalcolati i tempi. Trascorsi i 15 giorni senza che l’amministrazione abbia comunicato l’improcedibilità, il procedimento si intende avviato; · Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’amministrazione convoca la Conferenza di servizi; · Nel corso del procedimento autorizzativo, il proponente può presentare modifiche alla soluzione per la connessione individuate dal gestore di rete, fermi restando gli atti di assenso e le valutazioni già effettuate per quelle parti del progetto non interessate dalle modifiche; · Nel corso del procedimento autorizzativo, possono essere richiesti dall’amministrazione procedente (anche su input delle altre amministrazioni interessate) ulteriori documentazioni e/o chiarimenti. Questa richiesta avviene in 133 un unico momento entro 90 giorni dall’avvio del procedimento. Se il proponente non fornisce la documentazione integrativa entro i successivi 30 giorni, salvo proroga per un massimo di ulteriori 30 giorni concessa a fronte di comprovate esigenze tecniche, si procede all’esame del progetto sulla base degli elementi disponibili; · Rispetto ai progetti sottoposti a VIA, i termini per la richiesta di integrazioni e di produzione della relativa documentazione sono dettati dal comma 3, articolo 26, d.lgs. n. 152 del 2006 e dalle norme regionali di attuazione. Resta ferma l’applicabilità dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990. I lavori della Conferenza dei servizi rimangono sospesi fino al termine prescritto per la conclusione delle procedure di verifica di assoggettabilità o di VIA. Trascorsi 45 giorni dall’avviso dell’avvenuta trasmissione del progetto preliminare (articolo 20 d.lgs. n. 152 del 2006) senza che sia intervenuto un provvedimento esplicito sulla verifica di assoggettabilità, l’Autorità competente si esprime in sede di Conferenza dei Servizi. Per la decisione in materia di VIA, decorso il termine previsto dall’articolo 26, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (120 o 150 giorni dalla presentazione dell’istanza), subentra l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei Ministri; · Entro la data in cui è prevista la riunione conclusiva della Conferenza dei Servizi, il proponente deve fornire la documentazione che dimostri la disponibilità del suolo su cui è ubicato l’impianto fotovoltaico o a biomassa. Ciò è previsto dall'articolo 12, comma 4-bis, del d.lgs. n. 387 del 2003: «Per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa e per impianti fotovoltaici, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse, il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto»; · Il termine per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a 90 giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’istanza. Il calcolo dei 90 giorni deve comunque tenere conto delle eventuali sospensioni dovute alla 134 richiesta di ulteriore documentazione integrativa o di chiarimenti, anche per verifica di assoggettabilità o VIA, o all’esercizio dei poteri sostitutivi.350 Dall’impianto normativo e procedimentale appare chiaro l’intento del Legislatore di voler contemperare, nell’ambito di un unico procedimento, le esigenze di celerità e semplificazione con la necessaria tutela di tutti gli interessi (urbanistici, di impatto ambientale, paesaggistici, ecc.) coinvolti dalla realizzazione e dalla messa in esercizio di siffatti impianti energetici. Il contemperamento di tali connesse esigenze, ciascuna espressione, rispettivamente, del principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, è affidato, principalmente: - all’introduzione di un termine di conclusione della procedura unica, (pari a 180 giorni, ex art. 12, comma 4) diverso rispetto al generale termine di conclusione di qualsivoglia procedimento amministrativo posto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990; - al ricorso alla Conferenza di servizi, (ex art. 12, comma 3) quale modulo organizzativo per eccellenza deputato alla disamina e alla tutela di molteplici e concorrenti interessi pubblici coinvolti in un medesimo procedimento; - al delicato rapporto tra il procedimento di autorizzazione unica e la valutazione di impatto ambientale. 3.1.1. Il termine di conclusione del procedimento. Uno dei principi fondamentali introdotti dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 consiste nella previsione di un termine rigido ed omnicomprensivo per la conclusione del procedimento di autorizzazione351. Cfr. pubblicazione del GSE, Il quadro autorizzativo per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ricognizione della normativa nazionale e regionale, in Gse.it, 1 settembre 2011. 351 Cfr. Corte Cost., sent. 15 novembre 2006, n. 364; Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 8 gennaio 2010, n. 2. 350 135 Inizialmente, tale termine era stato fissato in 180 giorni, decorrenti dalla data di ricevimento della documentazione352, poi dimezzato a 90 giorni dalla modifica, da ultimo, apportata con il d.lgs. n. 28 del 2011. Tale principio, come noto, non è nuovo nell’ordinamento italiano, esso infatti è stato introdotto dalla legge generale sul procedimento amministrativo, dall’art. 2, e rappresenta un principio cardine del procedimento stesso, secondo il quale corre l’obbligo per l’amministrazione pubblica procedente di concludere il procedimento con un provvedimento espresso da emanare in un termine prefissato stabilito in trenta giorni353. La legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, avendo portata generale, deve intendersi integralmente richiamata anche nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione degli impianti di fonti rinnovabili. Tuttavia, il termine «derogatorio» previsto dal d.lgs. n. 387 del 2003, ben più ampio del termine «ordinario» previsto dall’art. 2 della legge n. 241, non è da considerarsi estraneo al sistema della legge sul procedimento amministrativo, in quanto è la stessa legge a fare salvi i casi in cui sia una disposizione di legge preveda termini diversi o prevedere comunque la possibilità di indicare un termine superiore a quello ordinario per i provvedimenti di particolare complessità e in relazione alla natura degli interessi pubblici tutelati354. Per quanto riguarda i procedimenti per l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, la previsione di un termine più ampio trova giustificazione nella necessità di prevedere tempistiche procedurali, che, seppur certe e «contingentate», siano comunque in grado di consentire la valutazione di tutti i molteplici interessi pubblici coinvolti nell’autorizzazione unica. La previsione di un determinato termine temporale per la conclusione del procedimento, al pari di quanto avviene anche per gli altri tipi di procedimento, Ai fini dell’avvio della procedura, la Regione deve constatare semplicemente che la documentazione presentata risulti sufficiente. 353 Il termine di conclusione dei procedimenti, prima fissato generalmente in novanta giorni, è stato di recente modificato dalla legge n. 69 del 2009 e fissato nel termine di trenta giorni. 354 L’art. 2, al comma 4, della legge citata fa comunque eccezione per i procedimenti di acquisto della cittadinanza o che riguardano l’immigrazione. 352 136 gioca un ruolo determinante, soprattutto per gli inevitabili riflessi che l’eventuale inerzia o ritardo nel rispetto delle tempistiche di legge da parte della pubblica amministrazione ha in ordine alla tutela del privato istante. La legge, infatti, riconosce al soggetto privato, una volta decorso il termine previsto dalla legge, la possibilità di ricorrere all’azione giudiziale, attraverso l’impugnazione del silenzio-inadempimento, oggi espressamente riconosciuta dal codice del processo amministrativo355. Ai sensi dell’art. 31 del c.p.a., è previsto, infatti, che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere». Posto, allora, che la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso avverso l’inerzia dell’amministrazione è dalla norma indiscutibilmente ancorata alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento e per l’emanazione del relativo provvedimento, diviene di particolare rilevanza, nel caso di specie, individuare la specifica natura del termine di conclusione del procedimento di autorizzazione unica per l’installazione di impianti di energia alternativa. Occorre dunque comprendere se trattasi di termine perentorio o ordinatorio. Tale vexata questio, già nota sin dai tempi dell’introduzione della legge sul procedimento amministrativo, ha infatti dei risvolti molto importanti, in quanto la scelta dell’una o dell’altra soluzione implica differenze non di poco conto in ordine alla sussistenza o meno del potere della pubblica amministrazione di Il codice del processo amministrativo è stato adottato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. L’art. 31 del c.p.a. contempla l’azione avverso il silenzio, e così recita: «1. Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. 2. L’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. E' fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. 3. Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. 4. La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’ articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV». All’art 117 c.p.a. è invece disciplinato il rito processuale. 355 137 provvedere anche una volta decorso il termine fissato dalla legge e alla legittimità o meno del provvedimento eventualmente emanato in ritardo. Con riferimento all’art. 2 della legge n. 241 del 1990, in giurisprudenza prevale la tesi della natura ordinatoria e non decadenziale del termine, atteso che tale norma non prescrive espressamente la sua perentorietà, né prevede ipotesi di decadenza della potestà amministrativa in caso di superamento dei termini stessi, né, tantomeno, considera illegittimo il provvedimento tardivamente adottato356. Con riferimento, invece, al termine previsto dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, la giurisprudenza amministrativa è stata ed è tuttora oscillante. Invero, dall’affermazione, più volte ribadita dalla Corte Costituzionale357, secondo la quale all’articolo 12, comma 4, va riconosciuta «natura di principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definitivo del procedimento autorizzativo», dottrina e giurisprudenza hanno infatti tratto spunto per riconoscere, a seconda dei casi, natura ordinatoria o perentoria al termine ivi previsto. Una parte della giurisprudenza, infatti, concorda con la giurisprudenza formatasi con riferimento all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 e ritiene che risulti Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, sent. 10 giugno 2014, n. 2964, secondo cui: «Il termine previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 per l’adozione di provvedimenti amministrativi ha natura ordinatoria e non perentoria, e pertanto l’inosservanza da parte dell’amministrazione non esaurisce il potere di provvedere né determina di per sé l’illegittimità dell’atto adottato fuori termine. Nello specifico, trattasi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento e la legge non contiene alcuna prescrizione circa la sua eventuale perentorietà, né circa la decadenza della potestà amministrativa, né circa l’illegittimità del provvedimento adottato». Tale tesi si ricollega al noto orientamento secondo cui il carattere perentorio di un termine deve risultare espressamente dalla legge, come si desume dall’art. 152 c.p.c.. V. anche Corte cost., sentt. 23 luglio 1997, n. 262 e 17 luglio 2002, n. 355. L’esposto indirizzo, propenso a ritenere la non perentorietà dei termini, non ha mancato di suscitare critiche in una parte della dottrina, v. CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002; CLARICH M., Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995. 357 Cfr. Corte Cost., sentt. n. 346 del 2006, n. 282 del 2009 e nn. 124 e 168 del 2010. 356 138 impreciso definire perentorio un termine, che sostanzialmente non lo è358. Difatti, il termine procedimentale previsto presenta evidenti finalità acceleratorie e, lasciando in capo all’amministrazione il potere di provvedere, comporta la qualificazione come inadempimento del fatto dell’inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, e non presenta invece carattere perentorio359. Un’altra parte, invece, della giurisprudenza ha sostenuto che dalle statuizioni del giudice costituzionale, nonché dal contesto normativo ordinamentale è possibile dedurre la natura perentoria di tale termine. Al riguardo, è stato infatti rammentato che la perentorietà di un termine non è solo quella che discende direttamente ed esplicitamente da una previsione legislativa, bensì anche quella che si ricava dal contesto nel quale un termine è inserito ovvero dalle conseguenze Cfr. Tsap, sent. 11 gennaio 2005, n. 1; Tar Campania, sent. 26 giugno 2003, n. 7808. Cfr. Tar Sicilia, sent. 28 settembre 2011, n. 1696: il Collegio non ha valide ragioni per discostarsi dall’orientamento espresso da questa stessa Sezione in fattispecie analoghe alla presente (cfr., per tutte, sentt. 8 aprile 2011, n. 703; 29 giugno 2011, n. 1257; 1 luglio 2011, n. 1275; 26 luglio 2011, n. 1485), secondo cui a) in relazione allo specifico procedimento per cui è causa, l’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, stabilisce che «Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni»; b) la fissazione di un termine procedimentale di durata massima, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del potere di provvedere in capo all’Amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo (né vale in contrario distinguere fra mera inerzia e lungaggini procedimentali); c) anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 364 del 9 novembre 2006, ha rinvenuto la «ratio» del citato termine nel principio di semplificazione amministrativa e di celerità che, con riferimento alla fondamentale materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, garantisce, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo; d) dalla lettura della norma sopra richiamata — rubricata «Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative» — si ricava l’intento del Legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l’apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella «conferenza di servizi» ai fini del rilascio di una «autorizzazione unica». Dello stesso parere, Cons. Stato, sent. 11 maggio 2010, n. 2825, secondo cui: «Il termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale. Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria». 358 359 139 che la legge stabilisce ove lo stesso termine dovesse essere superato360. Pertanto, atteso che il termine stabilito dall’art. 12 del d.lgs. 387/03 costituisce principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica, esso ha natura perentoria. Pertanto, la mancata adozione del provvedimento finale entro detto termine legittima l’istante a proporre ricorso avverso il silenzio inadempimento serbato dall’amministrazione procedente secondo il rito dell’art. 117 del c.p.a361. Tuttavia, a parere di chi scrive, non si comprende bene il motivo per cui il termine di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 debba avere natura diversa da quello di cui alla legge sul procedimento amministrativo del 1990, tenuto conto che entrambi rispondono alle medesime finalità e producono gli stessi effetti. L’unica differenza che il Legislatore ha voluto riconoscere ai procedimenti di installazione degli impianti di energia rinnovabile sembra infatti consistere nella previsione di un termine più lungo, giustificato in ragione della complessità del procedimento stesso e della pluralità degli interessi coinvolti. Pertanto, non dovrebbero sussistere particolari motivi ostativi a riconoscere natura ordinatoria anche al termine stabilito dal d.lgs. n. 387 del 2003 – il che significherebbe soltanto che permarrebbe in capo all’amministrazione il potere di provvedere, seppur in ritardo – in quanto comunque la rilevanza di quel silenzio o di quel ritardo della pubblica amministrazione si manifesterebbe sul piano degli effetti, dovendosi qualificare, in tali casi, il comportamento della pubblica amministrazione in termini di Cfr. Cons. Statosez. VI, sent. 22 marzo 2010, n. 1635; sez. II, parere 3 settembre 2008, n. 2644; sez. V, sent. 7 ottobre 2002, n. 5275. Da ultimo sez. V, sent. 23 ottobre 2012, n. 5413 e sent. 27 dicembre 2013 n. 6279. Cfr. anche Tar Sicilia, sent. 29 settembre 2011, n. 2373: «dal testo dell’articolo 12 d.lgs. 387/2003 si evince che il termine di conclusione del procedimento decorrente dalla data di presentazione della relativa domanda ha natura perentoria, con la conseguenza che al suo inutile decorso l’interessato può proporre il ricorso avverso il silenzio di cui all'articolo 117 c.p.a. (dello stesso tenore anche Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 19 marzo 2010, n. 3253 e sent. 25 settembre 2009 n. 1539; Tar Sicilia, Catania, sez. I, sent. 14 ottobre 2008, n. 1819), tenuto anche conto di quanto affermato nelle sentenze della Corte costituzionale n. 124 e n. 168 del 2010, con le quali la Corte ha affermato che le Regioni, nel disciplinare gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, «sono tenute al rispetto dei principi fondamentali dettati dal Legislatore statale» e, in particolare, il principio fissato dall'articolo 12, comma 4, del d.lgs. n. 387/2003, il quale stabilisce «il termine massimo per il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio degli impianti». 361 Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. 27 dicembre 2013 n. 6279. 360 140 inadempimento del rispetto del termine previsto per legge e, pertanto, esso potrà essere fatto valere dinanzi al giudice amministrativo ai sensi degli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo362. 3.1.2. La Conferenza di servizi. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è necessario, in base al combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, procedere alla convocazione di una Conferenza di servizi, nel termine di trenta giorni363 dal ricevimento della domanda. Il richiamo espresso del Legislatore alla disciplina di cui alla legge n. 241 del 1990 ha dimostrato di conferire un’importanza fondamentale allo strumento Cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 11 maggio 2010, n. 2825; Tar Emilia Romagna, Parma, sent. 31 dicembre 2010, n. 584; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 28 luglio 2010, n. 9042; Tar Puglia, Lecce, sez. I, sent. 21 luglio 2010, n. 1799. Se però una normativa regolamentare sopravvenuta – quale, ad esempio, il Piano energetico ambientale della Regione siciliana, di cui all’articolo 105 della legge regionale 2 giugno 2010 n. 11 – renda necessario l’adeguamento dei progetti giacenti, il termine di conclusione non decorre più dalla data di presentazione dell’istanza, ma dalla sua integrazione, restituendosi all’amministrazione l’intero spatium deliberandi previsto dalla legge statale (Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 14 dicembre 2010, n. 14274). E’ comunque escluso un potere di sospensione sine die del procedimento unico, sia per via legislativa (cfr. Corte cost., sent. 6 maggio 2010, n. 168 e 15 novembre 2006, n. 364), sia per via provvedimentale (cfr. Tar Sardegna, sez. I, sent. 14 gennaio 2011, n. 29; Tar Campania, Napoli, sez. VII, sent. 17 novembre 2009, n. 7547). Presupposti per il risarcimento del danno da ritardo sono l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale cagionato dal ritardo nel rilascio del titolo e la colpa dell’ente pubblico, che può essere presunta. Cfr. Cons. Stato, sez. V, sentt. 2 marzo 2009, n. 1162 e 8 settembre 2008, n. 4242; sez. VI, sentt. 23 marzo 2009, n. 173 e 29 giugno 2008, n. 2750; per un’ipotesi specifica in materia di ritardo nel rilascio di autorizzazione unica per impianti di energia alternativa, cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. I, sent. 9 settembre 2009, n. 1478. 363 Cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. 25 luglio 2011, n. 4454: «Il termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale. Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria (Cons. Stato, sent. 11 maggio 2010, n. 2825)». 362 141 procedimentale della Conferenza di servizi, quale luogo ove la formazione della volontà amministrativa deve avvenire. Tale scelta, d’altronde, risulta coerente con la necessità di conseguire gli obiettivi inerenti lo sviluppo delle energie rinnovabili, in quanto la Conferenza di servizi, concepita come istituto di semplificazione, consente l’acquisizione degli interessi affidati alla cura delle diverse amministrazioni con una modalità non sequenziale ma contestuale364. Modalità che, a sua volta, dovrebbe consentire anche il rispetto del termine fissato per la conclusione del procedimento. Le singole amministrazioni coinvolte in seno alla Conferenza sono chiamate ad esprimere il proprio avviso, pena l’elusione del principio di drastica concentrazione e di semplificazione del procedimento autorizzatorio365. Benché appaia probabilmente eccessiva la tesi per cui le amministrazioni partecipanti alla Conferenza possano trascendere lo spazio giuridico della propria competenza366, senza dubbio si può affermare che i rappresentanti delle diverse amministrazioni sono chiamati, all’interno di essa, ad operare una valutazione dell’interesse pubblico affidato a ciascuna di esse non più in modo isolato ma in connessione con gli interessi pubblici curati dalle altre. La configurazione della conferenza come luogo di definizione contestuale e non sequenziale di un assetto unitario di interessi dovrebbe favorire un’impostazione inclusiva e non settoriale al bilanciamento fra l’interesse ad una corretta integrazione degli impianti nel paesaggio e quello alla tutela ambientale attraverso la differenziazione delle fonti energetiche in adempimento degli obblighi europei. Sulla comunanza e contestualità della valutazione di interessi operata all’interno della conferenza di servizi si v. SCOCA F.G., Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Diritto amministrativo, 1999, 259; anche TORCHIA L., La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplicazione, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, 676. Di recente, per un’analisi molto accurata dell’evoluzione del ruolo della Conferenza di servizi da luogo di incontro e di confronto a meccanismo di decisione, si veda SCIULLO G., La Conferenza di servizi come meccanismo di decisione, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, 10. 365 Cfr. Cons. Giust. Amm., sentt. 4 novembre 2010, n. 1368; 9 dicembre 2008, n. 1005 e n. 1006; 11 aprile 2008, n. 295. 366 Su cui si v. CUGURRA G., La concentrazione dei procedimenti, in Procedimenti e accordi nell’amministrazione locale, in Atti del XLIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 1997, 94; ID., Competenze amministrative e limiti territoriali, in Tempo, spazio e certezza dell’azione amministrativa, Atti del XVIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione (19-21 settembre 2002), Milano, 2003, 256. 364 142 Il confronto fra gli interessi rappresentati367, peraltro, è particolarmente utile nel procedimento sull’installazione degli impianti di produzione di energie rinnovabili in quanto la tutela dell’iniziativa economica degli operatori all’accesso al mercato così può essere valutata in un’ottica di integrazione e non di contrapposizione con il beneficio arrecato dalle fonti rinnovabili alla tutela dell’ambiente. Una delle questioni che si è posta con riferimento alla Conferenza di servizi riguarda l’accertamento della natura istruttoria o decisoria di tale istituto, atteso che dalla scelta in ordine a tale quesito derivano differenze strutturali ed effetti diversi. Con la Conferenza di servizi istruttoria (o preparatoria), infatti, ai sensi dell’art. 14, commi 1 e 3, della legge n. 241 del 1990, si esaminano e si registrano le posizioni dei partecipanti in vista della vera e propria decisione che spetta all’amministrazione procedente, la quale rimane pertanto libera nella determinazione del contenuto del provvedimento finale, anche se, nel farlo, non potrà immotivatamente discostarsi da quanto emerso in sede di Conferenza (si parla, in tal caso, di decisione c.d. monostrutturata). La Conferenza di servizi decisoria (o esterna), prevista dall’art. 14, comma 2, della legge n. 241 del 1990, è invece convocata per assumere decisioni concordate tra più amministrazioni in sostituzione dei previsti concerti, intese, nulla osta o assensi comunque denominati. La decisione finale, attraverso i meccanismi della maggioranza e del superamento del dissenso, viene assunta proprio sulla scorta delle determinazioni dei partecipanti (decisione c.d. polistrutturata). All’atto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 2003, la giurisprudenza sembrava aderire alla tesi della natura istruttoria della Conferenza, qualificandola appunto come istituto di semplificazione strumentale alla autorizzazione della In tal senso si v. già COMPORTI D., op.cit., 276 che vede nella Conferenza di servizi prevista nel procedimento per l’installazione degli impianti di energia rinnovabile un modo per assicurare un’unificazione funzionale del pluralismo amministrativo che caratterizza l’assetto degli interessi in materia. 367 143 Regione, unica amministrazione deputata ad assumere la decisione finale (monostrutturata, appunto)368. Molti infatti sono i casi in cui la legislazione di settore ha previsto l’obbligo di indire una Conferenza istruttoria, in funzione dell’adozione di una decisione monostrutturata (che spesso assume la denominazione di autorizzazione unica), ovvero di una decisione concordata (ossia di un accordo ai sensi dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990)369. In tali occasioni, la giurisprudenza ha posto in rilievo il Cfr. Tar Piemonte, sent. n. 1292 del 2009 e Cons. Stato, sez. VI, sent. 19 gennaio 2005, n. 94. Se così fosse, per quanto riguarda le regole da applicare a questo tipo di Conferenza varrebbero i principi generali elaborati dalla legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla Conferenza istruttoria e quindi i meccanismi di superamento del dissenso non troverebbero applicazione. In altri termini, poiché non vi sono disposizioni dettagliate sulla Conferenza istruttoria e anche i dissensi in sede di conferenza istruttoria non richiedono – a differenza dell’altra tipologia di conferenza – interventi di altri soggetti quali meccanismi supera tori degli stessi (necessari, invece, per l’altra tipologia di Conferenza), sarà la Regione ad assumere la decisione finale (autorizzazione unica) e ciò deve ritenersi possibile, sia pure attraverso ferrea e stringente motivazione, anche – per paradosso – quando tutti i partecipanti abbiano espresso il loro dissenso in sede di Conferenza, v. sul punto, CIMELLARO A. – SCIALÒ A., Guida alle procedure autorizzative di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. L’iter autorizzatorio delineato dal d.lgs. n. 387/2003, alla luce delle elaborazioni della giurisprudenza comunitaria, costituzionale e amministrativa, Bologna, 2010, 37. 369 La giurisprudenza ha, in più occasioni, posto in rilievo il carattere istruttorio della Conferenza di servizi prevista dall’art. 1 decreto-legge n. 7 del 2002 (c.d. sblocca centrali), convertito dalla legge n. 55/2002, per il rilascio da parte del Ministero delle attività produttive (oggi Ministero dello Sviluppo economico) - d’intesa con la Regione interessata - dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di centrali elettriche di potenza superiore a 300 MW termici, desumendo da tale carattere l’inapplicabilità delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 volte a rimediare alla non unanimità dei pareri acquisiti nella conferenza di servizi. Analoghe considerazioni valgono per la conferenza di servizi prevista dall’art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente) nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica, di competenza regionale, per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 giugno 2004, n. 3505; Tar Lazio Roma, sez. I, sent. 5 dicembre 2007, n. 12470; Tar Puglia Lecce, sez. I, sent. 22 novembre 2005, n. 5236), nonché per quella prevista dall’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 (di attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica - anch’essa di competenza regionale - per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Parimenti obbligatoria è la conferenza di servizi prevista dal codice degli appalti nel procedimento per l’approvazione dei progetti definitivi delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. A tal riguardo giova evidenziare che il codice - oltre a qualificare espressamente la conferenza come istruttoria - prevede una dettagliata disciplina della stessa (art. 168) e precisa (art. 166, comma 4) che ad essa non si applicano le previsioni degli articoli 14 ss. della legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi. In questo caso le risultanze della conferenza di servizi sono destinate a confluire nella proposta che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti formula al CIPE, che è chiamato pronunciarsi ai fini dell’approvazione del progetto definitivo. Infine non può revocarsi in dubbio la natura istruttoria della conferenza di 368 144 carattere istruttorio della Conferenza di servizi prevista nell’ambito di un procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate, per il rilascio di una autorizzazione unica. In questi casi, si precisa, infatti, che il Legislatore ha previsto non una decisione pluristrutturata, tipica della Conferenza di servizi decisoria, in cui il provvedimento finale concordato, sostituisce i necessari assensi delle amministrazioni partecipanti, ma una decisione monostrutturata, in cui vi è un’unica amministrazione competente che deve acquisire l’avviso di altre amministrazioni370. Secondo quest’orientamento giurisprudenziale non sarebbe allora corretto qualificare la Conferenza di servizi come decisoria, sarebbe invero preferibile qualificarla come necessaria, ma non decisoria371. servizi prevista dall’art. 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000 al fine di «verificare la possibilità di concordare» la conclusione di un accordo di programma (comma 3), avente ad oggetto «la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti» (comma 1). 370 Con particolare riferimento alla legge n. 55 del 2002, cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 giugno 2004, n. 3502: «nel prevedere un procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate, per il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 1 della legge n. 55 del 2002, il Legislatore ha anche previsto l’obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui territorio ricadono le opere, aggiungendo che il rilascio del parere non può incidere sul rispetto del termine di 180 giorni previsto dal comma 2 del citato art. 1. Il Legislatore ha, quindi, previsto non una decisione pluristrutturata, tipica della conferenza di servizi decisoria, in cui il provvedimento finale concordato, sostituisce i necessari assensi delle amministrazioni partecipanti, ma una decisione monostrutturata, in cui vi è un’unica amministrazione competente che deve acquisire l’avviso di altre amministrazioni, oltre all’intesa con la Regione di cui si è detto in precedenza. (...) Il principio di leale collaborazione si attua quindi in maniera «forte» nei rapporti con la Regione, con cui deve necessariamente essere raggiunta un’intesa e in maniera «debole» con le altre amministrazioni interessate, cui deve essere consentito di partecipare al procedimento e di esprimere il proprio parere. L’acquisizione di tale parere in sede di conferenza di servizi ha una valenza meramente istruttoria, con la conseguenza che non si applicano tutte le disposizioni volte a rimediare alla non unanimità, quale l’invocato art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990». Negli stessi termini: Cons. Stato, sez. VI, sent. 10 settembre 2008, n. 4333, in Foro amministrativo, 2008, IX, 2468; Tar Lazio Roma, sez. III, 5 marzo 2008, n. 2121, in Rivista giuridica dell’edilizia, 2008, IV, 1185. 371 A seguito della modifica del coma 1 dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990 nel quale sono state sostituite le parole «indice di regola» con le parole «può indire», la decisione di convocare la Conferenza di servizi istruttoria diviene facoltativa. Si profila, dunque, al riguardo la particolarità della Conferenza di servizi, strumentale all’autorizzazione unica in quanto essa si rivela pur sempre obbligatoria, quale che sia la sua qualificazione. V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 37. 145 Tuttavia, se da un lato non può contestarsi l’obbligatorietà della Conferenza di servizi prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, atteso che il comma 3 dell’art. 12 recita che la Conferenza «è» convocata; dall’altro, però, non può ritenersi pacifica la natura istruttoria della Conferenza, soprattutto alla luce di quanto affermato dalle Linee Guida nazionali in merito372. Le Linee Guida, al punto 15.1., nel prevedere che «l’autorizzazione unica, conforme alla determinazione motivata di conclusione assunta all’esito dei lavori della Conferenza dei servizi, sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni coinvolte», evidenziano il peculiare ruolo delle amministrazioni chiamate a prendere parte alla Conferenza, che non rileva solo in termini di manifestazione degli interessi, ma anche come effettiva partecipazione alla formazione della decisione finale, il che risolve positivamente la questione circa la natura decisoria della Conferenza ex art. 12. Lo strumento della Conferenza dei servizi non ha, quindi, un valore unicamente formale, ma è espressione, invece, di una particolare scelta legislativa volta a rispondere all’esigenza costituzionale di rispetto delle competenze proprie dei differenti livelli di governo373. D’altronde, va segnalato – come chiarito anche dalla giurisprudenza amministrativa – che, seppur una radicale semplificazione del procedimento autorizzatorio sarebbe stata maggiormente compatibile con la natura di decisione «monostrutturata» dell’autorizzazione e quindi con la natura istruttoria della Conferenza, tuttavia, il terzo comma dell’art. 12, precisando che l’autorizzazione unica è rilasciata «nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico», non D’altronde, già prima dell’emanazione delle Linee Guida nel settembre 2010, una parte della giurisprudenza era intervenuta qualificando la Conferenza prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/03 come Conferenza «decisoria». Cfr. Tar Campania, sez. V, sent. 16 marzo 2010, n. 1479; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 9 febbraio 2010, n. 1775; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 25 settembre 2009, n. 1539. 373 V. CARBONE A., Autorizzazione unica per la costruzione di impianti eolici e Conferenza di servizi: sul valore procedimentale del dissenso qualificato, in Federalismi.it, n. 22/2012, 13 novembre 2012. 372 146 consente di prescindere dalle competenze decisorie che le suddette norme recano in sé. Inoltre, deve essere sempre fatto salvo il carattere eventualmente preclusivo dell’esito negativo della valutazione di impatto ambientale o della valutazione di incidenza (quando necessarie) e quello vincolante delle prescrizioni dettate in tele sedi, per superiore forza delle relative disposizioni comunitarie374. Per di più, alla Conferenza, ai sensi del successivo comma 4, partecipano tutte le amministrazioni interessate375, il che fa desumere il carattere di doverosità della presenza di tutti i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento autorizzatorio. Pertanto, la mancata indizione della Conferenza dei servizi o la mancata partecipazione di amministrazioni titolari per legge di una competenza primaria non può che comportare l’illegittimità dell’autorizzazione unica in quanto ne risulta frustrata la finalità propria del Legislatore di favorire la composizione degli interessi antagonisti attraverso la predisposizione di una sede unitaria di confronto reputata come la più idonea a superare eventuali ragioni di dissenso o di contrasto376. V. BONARDI G. – PATRIGNANI C., Energie alternative e rinnovabili, Wolters Kluwer Italia, 2010. Per quanto riguarda i soggetti coinvolti nella conferenza di servizi, l’art. 12 richiama la lettera e la ratio dell’art. 14 della legge 241 del 1990 sul funzionamento della conferenza di servizi, il quale prevede la partecipazione delle sole «autorità amministrative interessate» direttamente al provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e beneficiarie delle garanzie partecipative previste per i lavori della conferenza. Per l’esatta individuazione delle «amministrazioni interessate» alla conferenza di servizi, soccorre la stessa disposizione di cui all’articolo 14 della legge n. 241 del 1990, che circoscrive la partecipazione alla conferenza decisoria ai soli enti cui spetta esprimere «intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati» sull’oggetto del procedimento. Cfr. Tar Campania, Napoli, sez. V, sent. 16 marzo 2010, n. 1479. E’ quindi illegittima la disposizione che stabilisce la partecipazione di amministrazioni non direttamente titolari di competenze in relazione all’affare da deliberare: cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 9 febbraio 2010, n. 1775. Nella specie si trattava della Soprintendenza ai beni paesaggistici e culturali. Ai sensi del nuovo comma 2-ter dell’art. 14-ter (comma inserito dall’art. 9, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69), alla Conferenza dei servizi partecipano, senza diritto di voto, anche i gestori della rete cui si prevede di connettere l’impianto, nonché i concessionari e i gestori di pubblici servizi nel caso in cui il procedimento amministrativo e il progetto dedotto in conferenza abbiano effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Per quanto riguarda, invece, le modalità di esternazione della volontà delle amministrazioni nella Conferenza di servizi vige il principio di libertà della forma, potendo avvenire oralmente o per iscritto, anche mediante la redazione di un testo che sia trasmesso successivamente ai lavori della conferenza, sempreché tale redazione e trasmissione avvenga antecedentemente all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico. Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292. 376 Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 8 marzo 2011, n. 98. Da ultimo Tar Piemonte, sez. I, sent. 5 dicembre 2012, n. 1291. 374 375 147 Al riguarda va però precisato che, stante il rinvio operato alla legge n. 241 e quindi anche all’articolo 14-quater, a pena di inammissibilità, l’atto di dissenso da parte di un’amministrazione convocata deve essere reso all’interno della Conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, e pertinente, cioè non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della Conferenza medesima, nonché deve essere costruttivo, ovvero recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso 377. Quindi, le determinazioni delle amministrazioni interessate devono essere espresse solo in sede di Conferenza di servizi, così da assicurare l’unicità del procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l’autorizzazione unica finale378. Ove il dissenso sia espresso, in forma vincolante, da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storicoartistico od alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell’articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione procedente alla decisione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le province autonome interessate, secondo il procedimento dettato dal menzionato articolo 14-quater379. Attraverso il descritto meccanismo della Conferenza di servizi, l’autorizzazione unica è pertanto in grado di sostituire tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, incluse le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative alla esistenza di vincoli storico-artistici380, assumendo carattere omnicomprensivo ed assorbente di ogni altro provvedimento previsto da leggi regionali381 . Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020. Cfr. Cons. Giust. Amm., sent. 9 dicembre 2008, n. 1006. 379 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020. 380 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 22 febbraio 2010, n. 1020. 381 Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292 e sez. I, sent. 5 giugno 2009, n. 1597: che l’autorizzazione unica prevista dall’art. 12 d.lgs. 387/2003 debba ritenersi omnicomprensiva e assorbente di ogni altro procedimento (e, per traslato, di ogni altro permesso eventualmente 377 378 148 Ciò vale allora anche per il permesso di costruire. Infatti si deve rammentare che al riguardo è solo l’autorizzazione unica il vero titolo abilitativo, peraltro omnicomprensivo, essendo riduttivo ritenerlo equiparabile e sostitutivo del solo titolo edilizio in quanto, anche attraverso il meccanismo di Conferenza con il quale si perviene alla stessa autorizzazione, essa deve considerarsi come sostitutiva, vale a dire comprendente il nulla-osta paesistico, idrogeologico, ecc., in una con le risultanze di quanto emesso in Conferenza. Lo stesso vale anche in tema di autorizzazioni paesaggistiche e del patrimonio storico-artistico382. D’altronde, non avrebbe senso opinare in senso contrario, senza intaccare quel principio di razionalizzazione e semplificazione del procedimento autorizzatorio espresso nella Conferenza di servizi, di cui all’art. 12, che altro non è se non la concentrazione in una unica sede di tutti gli interessi coinvolti, da valutare in vista del perseguimento del risultato auspicato della autorizzazione unica entro il termine previsto dalla norma stessa383. In conclusione, merita di essere rilevato, peraltro, che la stessa disciplina generale della Conferenza di servizi, che rappresenta il modello base per il procedimento di autorizzazione degli impianti ad energia rinnovabile, ha progressivamente subito, da ultimo per effetto delle modifiche introdotte dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, una mutazione del suo ruolo funzionale, integrativo rispetto a quello, originario, di mera semplificazione e 384 coordinamento . Le tensioni verso un miglioramento dell’efficienza dell’azione amministrativa, infatti, hanno indotto il Legislatore a imprimerle altresì, richiesto) non può essere revocato in dubbio. Ogni diversa interpretazione andrebbe respinta, secondo la copiosa giurisprudenza rinvenuta, soprattutto qualora con essa si volessero far salvi i singoli moduli procedurali concernenti i vari interessi coinvolti. 382 Per quanto riguarda, invece, la valutazione di impatto ambientale, si rinvia a quanto si dirà nel paragrafo seguente. 383 V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 55; DURANTE N., Il procedimento autorizzativo per la realizzazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili: complessità e spunti di riflessione, alla luce delle recenti Linee Guida nazionali, in Giustizia-amministrativa.it, 13 maggio 2011. 384 Si veda, in tal senso CASSESE S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, 611 s., che ravvisa nella Conferenza una pluralità di istituti. 149 progressivamente, la funzione di meccanismo di assunzione delle decisioni amministrative malgrado l’inerzia anche delle amministrazioni portatrici di interessi pubblici c.d. «sensibili»385. Il passaggio dalla facoltatività all’obbligatorietà del suo utilizzo l’hanno inoltre resa – com’era peraltro, da tempo, negli auspici della dottrina più autorevole – un modello ordinario per l’assunzione di decisioni a partecipazione plurima di diverse amministrazioni386. Tale impostazione si riflette anche nel procedimento di autorizzazione unica all’installazione di impianti di energia rinnovabile, in cui allo scopo di favorire il funzionamento della Conferenza come luogo deputato per addivenire a una decisione, si tenta di favorire un bilanciamento fra l’interesse ad una corretta integrazione degli impianti nel paesaggio e quello alla tutela ambientale attraverso la differenziazione delle fonti energetiche in adempimento degli obblighi europei. Depongono in questo senso una serie di fattori, come ad esempio, la previsione di cui all’art. 14-ter, comma 3-bis, della legge n. 241 del 1990 che obbliga il sovraintendente a esprimersi in via definitiva in sede di Conferenza dei servizi; o l’obbligo del Ministero per i beni e le attività culturali, contemplato dal punto 14.9 delle Linee Guida, di partecipare al procedimento per l’autorizzazione di impianti di fonti rinnovabili localizzati in aree soggette a tutela; o, ancora, la previsione introdotta dal punto 17.1 delle Linee Guida che consente alle Regioni di procedere all’indicazioni di siti e aree non idonee. Problemi di una certa delicatezza pone, invece, il superamento da parte dell’amministrazione procedente, nella Conferenza di servizi, delle inerzie delle amministrazioni preposte alla tutela degli interessi c.d. sensibili. Sulla base dell’art. 14-ter, comma 7, della legge generale sul procedimento amministrativo, infatti, la mancata manifestazione di volontà da parte del suo rappresentante in sede di Conferenza produce l’effetto di considerare «acquisito l’assenso» ai fini della deliberazione finale. Di recente, per un’analisi molto accurata dell’evoluzione del ruolo della Conferenza di servizi da luogo di incontro e di confronto a meccanismo di decisione, v. SCIULLO G., op.cit., 10. 386 In tal senso, v. SCOCA F.G., Analisi giuridica, cit., 257; MERUSI F., Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme, in Diritto amministrativo, 1993, 22. 385 150 Tuttavia, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, la configurazione dell’inerzia come assenso sottrarrebbe al bilanciamento operato all’interno del procedimento un interesse c.d. sensibile curato da un’amministrazione partecipe alla Conferenza potenzialmente in conflitto con quello del richiedente il provvedimento; la sua mancata considerazione, pertanto, mina quella stessa necessità di completezza e serietà dell’istruttoria che il Legislatore implicitamente richiede, in considerazione della rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti nel procedimento387. La considerazione delle inerzie come acquisizione dell’assenso delle relative amministrazioni si concretizzerebbe nella sottrazione di interessi costituzionalmente rilevanti da un equilibrato apprezzamento della situazione concreta sia pure per evitare che paralizzino l’assunzione della decisione. All’interesse del proponente si assicurerebbe, in tal modo, una prevalenza pregiudiziale rispetto ad altri interessi, pur costituzionalmente rilevanti388. Al tempo stesso, però, non si ritiene neppure che tale inerzia, che costituisce, fra l’altro, una lesione del principio di leale cooperazione istituzionale esistente fra amministrazioni pubbliche, possa precludere all’amministrazione procedente un’assunzione della decisione finale. Considerata la rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti, si reputa quindi che la scelta dell’amministrazione di addivenire comunque alla decisione, pur in presenza dell’inerzia di un’amministrazione portatrice di uno di questi interessi, debba essere subito comunicata a questa per consentirgli di manifestare tempestivamente il proprio esplicito dissenso. Inoltre, tale scelta dovrà comunque V. COCCONI M., Promozione europea, cit. Il sacrificio della ponderazione di tali interessi costituzionali è in contrasto con quella giurisprudenza della Corte costituzionale che, dalla loro primarietà sul piano costituzionale, fa discendere non tanto una loro primazia assoluta in un’ipotetica gerarchia di valori ma, piuttosto, la necessità di una loro rappresentazione obbligata nei concreti bilanciamenti operati sia dal Legislatore sia dall’amministrazione. Più specificamente, una considerazione obbligata dell’interesse ambientale dell’esercizio del potere discrezionale scaturisce, peraltro, quale effetto diretto di un’applicazione all’azione amministrativa del principio d’integrazione che, sulla base dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990, costituisce ormai un principio generale dell’attività amministrativa. 387 388 151 essere adeguatamente motivata proprio alla luce della necessaria considerazione di tale interesse alla luce delle conoscenze che ha acquisito l’amministrazione procedente sia pure allo stato degli atti, in assenza di una determinazione definitiva dell’amministrazione portatrice dell’interesse stesso. A favore di una tale interpretazione, oltre alla trasformazione sotto il profilo funzionale, già evidenziata, della Conferenza di servizi come meccanismo di assunzione delle decisioni amministrative nonostante il silenzio di amministrazioni portatrici di interessi costituzionalmente qualificati, rileva anche la speciale importanza che assume, nel caso degli impianti di energia rinnovabile, la conclusione effettiva e celere del procedimento alla luce del rispetto degli obblighi europei ed internazionali389. 3.1.3. Il rapporto tra VIA e autorizzazione unica. La procedura di valutazione di impatto ambientale, così come prevista dal d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) che ha disciplinato in maniera organica e compiuta detto istituto, «ha finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica» (art. 4, comma 3, T.U.A.). L’obiettivo della VIA è quindi quello di dare concreta attuazione ad uno sviluppo economico, per l’appunto, sostenibile, mediante lo svolgimento di una procedura valutativa degli effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi progettuali. Verso l’interpretazione prospettata depone anche l’applicazione del principio costituzionale del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, inteso sia in termini di efficienza dell’azione amministrativa che, in seno all’evoluzione funzionale subita dall’istituto della Conferenza di servizi, non tollera situazioni paralizzanti, sia in termini di efficacia, riconoscibile in un equilibrato ed imparziale apprezzamento di tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco nella situazione concreta. L’equilibrio insito in tale principio, peraltro, come già rilevato, assume una particolare coloritura nei procedimenti in esame, laddove sia l’efficienza sia l’efficacia dell’attività amministrativa concretizzano l’adempimento di obblighi europei ed internazionali. V. COCCONI M., op.ult.cit., 58. 389 152 La VIA rientra, dunque, tra quegli strumenti giuridici approntati dal Legislatore per realizzare il necessario contemperamento tra le esigenze di sviluppo e di progresso economico, da un lato, e le esigenze di tutela ambientale, dall’altro390. Le suddette finalità della VIA vengono oggi ribadite in modo chiaro e completo dall’art. 4, comma 4, del T.U.A., a norma del quale con tale procedura si vuole «proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita»391. La VIA è, dunque, per sua natura e configurazione normativa, un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente, che deve svolgersi prima rispetto all’approvazione del progetto (il quale deve essere modificato secondo le prescrizioni intese ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa dell’opera progettata) e, conseguentemente, prima della realizzazione dell’opera (fisiologicamente successiva all’approvazione del progetto)392. La natura ontologicamente preventiva della VIA è costantemente affermata tanto dalla giurisprudenza comunitaria393, quanto da quella nazionale394. La Corte V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 55. In dottrina si è acutamente osservato che la VIA è un istituto giuridico a collocazione trasversale in considerazione della sua attitudine a far emergere lo stretto legame tra gli interessi e valori attinenti all’ambiente e quelli di matrice urbanistica concernenti il governo del territorio, v. FERRARA R., La valutazione di impatto ambientale, Padova, 2000. 391 In senso analogo, l’art. 184, comma 1, del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006), in tema di grandi opere descrive nel seguente modo il contenuto della VIA: «La valutazione di impatto ambientale individua gli effetti diretti e indiretti di un progetto e delle sue principali alternative, compresa l’alternativa zero, sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione fra detti fattori, nonché sui beni materiali e sul patrimonio culturale, sociale e ambientale e valuta inoltre le condizioni per la realizzazione e l’esercizio delle opere e degli impianti». 392 Cfr. Tar Sicilia, sent. 20 gennaio 2010, n. 583. 393 Cfr. Corte Giustizia europea, sez. II, sent. 3 luglio 2008, nella causa C-215/06, secondo cui «viola la direttiva del Consiglio 27 ambientale, richiesto dalla stessa direttiva per la realizzazione di determinati lavori o impianti pubblici e privati, mediante l’ottenimento di un permesso di regolarizzazione che consente, in particolare, di lasciar sussistere un progetto non regolarmente autorizzato in via preventiva, a condizione che la domanda per il rilascio di tale permesso sia presentata prima dell’avvio di un procedimento sanzionatorio»; nonché Corte Giustizia europea, sez. II, sent. 5 luglio 2007, nella causa C-255/05, secondo cui: «la procedura di valutazione di impatto ambientale degli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi previsti dall’allegato I, 390 153 di Giustizia delle Comunità europee, in accoglimento del principio di precauzione e di prevenzione di matrice comunitaria, ha spesso affermato infatti che la valutazione di impatto ambientale deve essere condotta non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può produrre sull’ambiente395 e comunque «subito», alla stregua del primo considerando della direttiva 85/337/CEE 396, cioè prima dell’autorizzazione ovvero della decisione che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto397. Ne consegue che una VIA postuma all’autorizzazione dell’opera e allo svolgimento dei lavori («naturalmente» successivi all’autorizzazione dell’opera) deve considerarsi illegittima, perché adottata in violazione dei precetti comunitari e nazionali improntati ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale398. È pacifico in giurisprudenza altresì che la valutazione di impatto ambientale non costituisce un mero giudizio tecnico suscettibile di controllo sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta profili particolarmente intensi di punto 10 della direttiva 85/337/CEE deve essere effettuata prima di concedere l’autorizzazione a costruire gli impianti medesimi». 394 Cfr. Tar Liguria, Genova, sez. I, sent. 15 giugno 2006, n. 563; nonché Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 10 aprile 2008, n. 894; Tar Liguria, Genova, sez. I, sent. 16 febbraio 2008, n. 306; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 11 agosto 2007, n. 726. 395 V. GRATANI A., L’autorizzazione a realizzare progetti pubblici e privati senza una preventiva disamina ambientale deve essere annullata ed il sito ripristinato, nota a Corte UE, sez. VI, 2 giugno 2005, in C83/03, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2005, 1027; BOSCOLO E., Nozione comunitaria di autorizzazione e v.i.a., nota a Corte UE, sez. V, sent. 7 gennaio 2004, in C-201/02, in Urbanistica e appalti, 2004, 415 ss. 396 La direttiva 85/337/CEE concerne la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Sul punto, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha statuito, con sentenza, C-215/06, del 3 luglio 2008, che: «ai sensi dell’art. 2, n. 1 della citata direttiva gli Stati membri devono garantire che i progetti rientranti nell’ambito di applicazione della stessa e per i quali in relazione alla natura, dimensioni e ubicazione si preveda un notevole impatto ambientale, vengono sottoposti ad uno studio del loro impatto prima di ottenere la relativa autorizzazione, che consiste in una decisione dell’autorità competente che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto. Ne consegue che i progetti per i quali è richiesta l’indicata valutazione di impatto ambientale devono, in forza degli artt. 2, n. 1, e 4 nn. 1 e 2, della direttiva 85/337/CEE s.m.i., essere individuati e formare oggetto di una specifica domanda di autorizzazione e della suddetta valutazione di impatto ambientale prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione, pena la violazione dei precetti contenuti nella richiamata direttiva». V. OLIVIERO E., Valutazione di impatto ambientale e energie rinnovabili, in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 2009. 397 V. GRATANI A., La v.i.a. deve precedere i provvedimenti nazionali, nota a Cons. Stato, sez. IV, sent. 5 settembre 2003 n. 4970, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2004, 253. 398 V. CERRUTO S.R., Fonti energetiche rinnovabili e valutazione di impatto ambientale: un rapporto controverso, in Ambiente & Sviluppo, 10, 2010, 835 ss. 154 discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e, secondo talune pronunce399, è connotata più precisamente da discrezionalità mista (cioè al contempo amministrativa e tecnica); come tale essa risulta sindacabile dal giudice amministrativo soltanto quando le scelte compiute dall’amministrazione risultino affette da gravi e manifesti vizi di illogicità, incongruenza o irrazionalità400. Trattasi, dunque, di un processo complesso che si articola nei seguenti passaggi fondamentali: lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (ma solo nelle ipotesi indicate dalla legge); la definizione di contenuti dello studio di impatto ambientale; la presentazione e la pubblicazione del progetto; lo svolgimento di consultazioni; la valutazione dello studio ambientale e degli esiti delle consultazioni; la decisione (da adottare, di norma, entro 150 giorni o al massimo entro 330 giorni in ipotesi di accertamenti e indagini di particolare complessità); la pubblicazione ed infine il monitoraggio sugli impatti ambientali (artt. 19 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006)401. Nel caso di installazione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, ben può accadere che l’impianto sottoposto ad autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 sia da assoggettare anche a valutazione di impatto ambientale402. In tale evenienza, si pone, pertanto, il problema di come coordinare tra loro le due procedure. Cfr. Tar Puglia, sez. I, sent. 21 gennaio 2004, n. 171, la quale a sua volta rinvia a: Cons. Stato, sez. IV, sent. 14 maggio 2001, n. 2661; Tar Molise, sent. 28 agosto 2003, n. 659; Tar Lazio, sez. II, sent. 2 luglio 2002, n. 6076. Nel medesimo senso anche Tar Sardegna, sez. II, sent. 18 dicembre 2008, n. 2183 il quale soggiunge che secondo il pacifico indirizzo giurisprudenziale «la competenza ad emettere il provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione d’impatto ambientale, stante la sua natura tecnico discrezionale, rientra nell’esclusiva competenza del dirigente dell’ufficio, non essendo in esso coinvolti profili di direzione o indirizzo politico che esulino dalla gestione amministrativa». 400 In tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 21 novembre 2007, n. 5910; Tar Lazio, sez. I, sent. 13 giugno 2007, n. 5403; Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 maggio 2006, n. 2851; Cons. Stato, sez. VI, sent. 11 febbraio 2004, n. 458. 401 V. CERRUTO S.R., op.cit., 835. 402 Al fine di sapere quali impianti alimentati da fonti rinnovabili sono assoggettati a VIA e quali invece sono esenti, l’interprete è chiamato ad un minuzioso e paziente lavoro di coordinamento della normativa nazionale (Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006) e delle specifiche normative regionali: (si rinvia, a proposito, a REZZONICO S. – TUCCI G., La «VIA» alle rinnovabili dipende dalle Regioni, 399 155 Originariamente, il d.lgs. n. 387 del 2003 non contemplava espressamente questa ipotesi403, con la conseguenza che al riguardo si prendevano in considerazione gli approdi della giurisprudenza in merito. In tema si registravano, per un verso, pronunce che tendevano a valorizzare l’autonomia della procedura di VIA rispetto al procedimento unico, nello specifico affermando che: «la procedura di VIA costituisce un procedimento autonomo rispetto a quello finalizzato all’autorizzazione dell’impianto nel suo complesso di cui al d.lgs. 387/2003» e quindi si tratta di una procedura esterna rispetto ai lavori della Conferenza di servizi404. Per altro verso, invece, un diverso filone giurisprudenziale era incline a configurare il procedimento di VIA come interno a quello contemplato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, quindi come tale privo di rilevanza esterna autonoma. · · articolo pubblicato su il Sole 24 ore del 6 aprile 2009) con l’avvertenza che qualora il progetto ricada anche parzialmente in aree naturali protette (di cui alla legge n. 394 del 1991) di norma si procede automaticamente a VIA, o comunque diventano più severi e stringenti i requisiti richiesti all’impianto per l’esenzione dalla VIA stessa. Stando alla disciplina nazionale ci si limita ad evidenziare che negli allegati della parte II del T.U.A. a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 99 del 2009 figurano: tra i progetti sottoposti a VIA in sede statale, gli impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare, previsti alla voce 7-bis dell’allegato II; tra i progetti da sottoporre alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale (allegato IV), gli «impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore e acqua calda con potenza complessiva superiore a 1MW» (n. 2, lett. c) nonché gli «impianti industriali per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento con potenza superiore a 1 MW» (n. 2, lett. e). Da ultimo, va segnalato che nell’allegato III (come sostituito dal correttivo d.lgs. n. 4/2008 alla voce c-bis) tra i progetti sottoposti a VIA regionale erano contemplati gli «impianti eolici per la produzione di energia elettrica, con procedimento nel quale è prevista la partecipazione obbligatoria del rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali»; tuttavia a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 42 della legge 99/2009 il riferimento agli impianti eolici è scomparso ed ora sono previsti gli impianti termici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma, con procedimento nel quale è prevista la partecipazione obbligatoria del rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali. 403 A differenza di quanto era previsto per le centrali termoelettriche dal d.l. n. 77 del 2002, convertito in legge n. 55 del 2002 che all’art. 1, comma 2, statuiva: «L’esito positivo della VIA costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio. L’istruttoria si conclude in ogni caso una volta acquisita la VIA, entro il termine di 180 giorni dalla data di presentazione della richiesta, comprensiva del progetto preliminare e dello studio di impatto ambientale». 404 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 marzo 2009, n. 1213. 156 Secondo il primo orientamento giurisprudenziale, la conferma normativa dell’autonomia del procedimento di VIA era desumibile dal comma 4 dell’art. 14ter della legge n. 241, il quale prevede che «nei casi in cui sia richiesta la VIA, la Conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia di compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di Conferenza di servizi, la quale si conclude nel termine di trenta giorni successivi al termine predetto». In via ordinaria, quindi, la pronuncia in sede VIA andava intesa in modo autonomo rispetto ai lavori della Conferenza stessa (ed all’esito di un autonomo procedimento), mentre invece l’ipotesi in cui tale pronuncia venisse «internalizzata» nell’ambito del procedimento principale era limitata alle ipotesi «patologiche» in cui la pronuncia in sede di VIA non veniva resa entro i termini all’uopo previsti405. Tale orientamento è stato ribadito anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui la VIA è da considerare come sub-procedimento autonomo, «in quanto destinato a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente)»406. Quindi, nel caso di specie, una volta presentata l’istanza di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, l’autorità competente in materia di VIA doveva obbligatoriamente concludere il procedimento di compatibilità ambientale nel termine di novanta giorni (ai sensi dell’art. 14-ter, legge n. 241 del 1990, il quale risulta applicabile, in virtù del richiamo di cui all’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003, ai principi di Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, sent. 10 gennaio, n. 59. Nello stesso senso, Tar Lombardia, Brescia, sent. 5 dicembre 2006, n. 1537; Tar Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 22 maggio 2009, n. 955; Tar Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 8 luglio 2009, n. 1209. In proposito V. CARINGELLA F., Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, II, 1593 ss., secondo il quale: «nei procedimenti in cui è richiesta la VIA, la conferenza di servizi, benché riunita prima dell’adozione del provvedimento sulla valutazione di impatto ambientale, attende di conoscere tale determinazione per esprimersi. Nel caso, però, la valutazione non venga adottata nei termini per l’adozione del provvedimento, l’amministrazione competente si esprime all’interno della conferenza; in tal caso la conferenza si conclude nei trenta giorni successivi al decorso del termine entro cui doveva essere adottata la VIA. Rimane tuttavia ferma la possibilità che la conferenza, a maggioranza dei partecipanti, deliberi la proroga di altri trenta giorni per esigenze istruttorie». 406 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 marzo 2009, n. 1213. 405 157 semplificazione e alle modalità della legge n. 241), in luogo dei più ampi termini di centocinquanta o trecentotrenta giorni, previsti dall’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 4 del 2008, trattandosi, nella specie, di disciplina speciale, finalizzata alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, qualificati dall’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 387 del 2003 come di pubblica utilità, indifferibili e urgenti. Una volta acquisita la VIA, l’amministrazione competente in ordine al rilascio dell’autorizzazione ex art. 12, non richiede ulteriori acquisizioni istruttorie, in quanto dispone «di un necessario presupposto attizio»407. Il secondo orientamento giurisprudenziale, incline a configurare il procedimento di VIA come interno a quello contemplato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e quindi come tale privo di rilevanza esterna autonoma, riteneva invece che alla luce del disposto del comma 3 dell’art. 12 (che impone il rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico) il procedimento autorizzatorio per la realizzazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili doveva coordinarsi, tra gli altri, anche con il «sub-procedimento inteso alla verifica di assoggettabilità alla valutazione d’impatto ambientale, come disciplinata dalla normativa statale e regionale»408. La VIA veniva di conseguenza inquadrata come un sub-procedimento, ovvero sia come un mero procedimento interno rispetto al procedimento principale nell’ambito del quale era destinato a confluire. Veniva infatti evidenziato che il procedimento unico dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, dominato dalla Conferenza di servizi, ha carattere omnicomprensivo e quindi assorbe ogni altro procedimento, ivi incluso quello relativo alla VIA: «la valutazione di impatto ambientale non è affatto esclusa dalla novella di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ma va effettuata in seno alla Conferenza di servizi, 407 408 Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, sent. 10 gennaio 2008, n. 59. Cfr. Tar Puglia, Bari, sez. III, sent. 11 settembre 2007, n. 2107. 158 pena la vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale la stessa deve concludersi»409. La soluzione della delineata questione a favore di uno dei due orientamenti sopraesposti produce dirette conseguenze sul regime di impugnabilità del giudizio di VIA. E infatti se si aderisce alla tesi dell’autonomia del procedimento di VIA occorre riconoscere che esso sfocia in un provvedimento già di per sé immediatamente impugnabile; al contrario, laddove si preferisca configurarlo come sub-procedimento interno, la valutazione di compatibilità ambientale è suscettibile di impugnazione solamente insieme alla delibera regionale di rilascio o diniego dell’autorizzazione unica410. Da un lato, la tesi dell’autonomia del procedimento di VIA presenta un più alto grado di persuasività in quanto maggiormente in sintonia con i principi ricavabili dalla disciplina generale sul procedimento amministrativo dettata dalla legge n. 241 del 1990; dall’altro lato, però, l’orientamento interpretativo che fa assurgere la VIA al rango di procedimento interno alla Conferenza di servizi, di sicuro, ha il merito di valorizzare adeguatamente il principio di omnicomprensività ed assorbenza che ispira il procedimento unico di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. Il delicato rapporto tra VIA e autorizzazione unica dovrebbe infatti tener conto sia dell’obbligo di attuare la semplificazione procedurale imposta dalla normativa in tema di fonti rinnovabili, anche nelle ipotesi di impianti aventi un impatto ambientale, sia dalla necessità di valorizzare la comune ratio di tutela ambientale delle due procedure. Considerato, altresì, che il termine di conclusione del procedimento di autorizzazione unica è stato considerato dal giudice Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. 25 settembre 2009, n. 2292 e Tar Sicilia Palermo, sez. III, sent. 19 febbraio 2009, n. 368. Il contrasto di posizioni che emerge in giurisprudenza è rinvenibile anche in dottrina. A favore del carattere «decisorio» della pronuncia di VIA si è espresso CONTI G., La valutazione di impatto ambientale, Padova, 1990, 45; in senso difforme considera il procedimento di VIA come sub-procedimento, tra gli altri DELL’ANNO P., Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003, 711. 410 V. CERRUTO S.R., op.cit., 839. 409 159 costituzionale411 alla stregua di principio fondamentale della legislazione statale in materia di energia, si potrebbe allora concludere che l’amministrazione debba inderogabilmente uniformarsi a detto principio anche nelle ipotesi in cui il termine di conclusione del connesso (ed eventuale) procedimento di VIA risulti pari o superiore – per espressa previsione di normative regionali – a quello previsto dalla citata normativa statale in tema di energie rinnovabili. Con l’emanazione delle Linee Guida nazionali, sembra emergere la volontà di chiarire meglio il rapporto tra VIA e autorizzazione unica. Al riguardo, il punto 14.13 stabilisce che «gli esiti delle procedure di verifica di assoggettabilità o di valutazione di impatto ambientale, comprensive, ove previsto, della valutazione di incidenza nonché di tutti gli atti autorizzatori comunque denominati in materia ambientale di cui all’art. 26 del d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, sono contenuti in provvedimenti espressi e motivati che confluiscono nella Conferenza dei servizi». L’utilizzo del termine «confluire» sembra deporre per la qualificazione della procedura di VIA non come procedimento autonomo, ma invece come subprocedimento interno alla Conferenza di servizi412. Da ultimo, però, il d.lgs. n. 28 del 2011 è intervenuto sull’argomento e, nel rideterminare il termine di conclusione del procedimento, «fa salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare di cui all’art. 20 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i.». Cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006. Inoltre le Linee Guida continuano poi stabilendo che «ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 4, della legge n. 241 del 1990, i lavori della Conferenza di servizi rimangono sospesi fino al termine prescritto per la conclusione di dette procedure. Decorso il termine di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ovvero delle norme regionali di attuazione, senza che sia intervenuto un provvedimento esplicito sulla verifica di assoggettabilità, il responsabile del procedimento convoca l'autorità competente affinché si esprima nella conferenza dei servizi. L’inutile decorso del termine di cui all’articolo 26, comma 2, del medesimo decreto legislativo n 152 del 2006, ovvero dei diversi termini previsti dalle norme regionali di attuazione, per la decisione in materia di valutazione di impatto ambientale implica l'esercizio del potere sostitutivo di cui al medesimo articolo 26, comma 2». 411 412 160 L’incipit di questa disposizione è stata oggetto di numerose interpretazioni in quanto sembrerebbe lasciare intendere la necessità di svolgere la verifica di assoggettabilità prima di poter presentare la domanda di autorizzazione unica413. A conferma di questo orientamento, deporrebbe il fatto che la verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d. screening) viene fatta sul progetto preliminare dell’impianto, mentre in allegato alla domanda di autorizzazione unica va presentato il progetto definitivo. Dunque, se il risultato della verifica è positivo e quindi non occorre effettuare la VIA, il procedimento unico si chiude entro 90 giorni, comprensivi dello screening. Se invece il risultato della verifica è negativo e quindi occorre effettuare la VIA, il procedimento viene avviato e il termine massimo di 90 giorni è da considerare al netto dei termini (150 giorni) per la conclusione del procedimento di VIA414. In altre parole, prima di presentare la domanda di autorizzazione unica, andrebbe presentata, alla struttura regionale o provinciale competente, la domanda di verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d. screening) e la relativa procedura andrebbe chiusa prima di presentare domanda di autorizzazione unica (questo sarebbe il senso dell’inciso «previo espletamento»)415. Una simile conclusione, però, è evidentemente in contrasto con il punto 14.13 delle Linee Guida, secondo il quale gli esiti delle procedure di verifica di assoggettabilità «confluiscono» nella Conferenza dei servizi, e anche – se vogliamo – con la ratio stessa del procedimento unificato, volto a far confluire tutte le procedure in un unico modulo procedimentale416. In altre parole, prima di presentare la domanda di autorizzazione unica, andrebbe presentata, alla struttura regionale o provinciale competente, la domanda di verifica di assoggettabilità alla VIA (cosiddetto screening) e la relativa procedura andrebbe chiusa prima di presentare domanda di autorizzazione unica (questo sarebbe il senso dell’inciso «previo espletamento»). V. RAGAZZO M., Il d.lgs. 28/2011: promozione delle fonti energetiche rinnovabili o … moratoria de facto?, in Urbanistica e appalti, 6, 2011. 414 V. PETRUCCI F., Dlgs 28/2011: screening VIA prima della AU?, in Nextville.it, 1 aprile 2011. 415 V. RAGAZZO M., op.ult.cit. 416 V. RAGAZZO M., op.ult.cit. 413 161 Anche se non esplicitato dal Legislatore417, si potrebbe allora ipotizzare, nell’intento di dare una interpretazione che coniughi la recente modifica apportata dal d.lgs. Rinnovabili con il testo delle Linee Guida, che il proponente debba allegare alla domanda di autorizzazione unica l’esito dello screening (sia esso positivo o negativo) e che, in caso di esito negativo, nell’ambito del procedimento unico si innesti il sub-procedimento di VIA418. La valutazione d’impatto ambientale non può costituire una nuova autorizzazione, ma va inserita nel contesto del procedimento di approvazione del progetto, prima del rilascio del provvedimento che ne consente la realizzazione o la costituzione. Essa ha, dunque, natura di atto endo-procedimentale419, al quale la legge ha assegnato il ruolo di «parere» obbligatorio420, il cui eventuale esito positivo s’inserisce nel procedimento principale, quale «fatto giuridico permissivo», consentendone il proseguimento e la conclusione421. Una soluzione analoga a quella espressa dal nuovo d.lgs. Rinnovabili è peraltro stata adottata in Emilia Romagna, dove le province, titolari del procedimento di autorizzazione unica, chiedono al proponente di effettuare la verifica di assoggettabilità dell'impianto prima di presentare la domanda. Se la verifica è positiva (il progetto non va assoggettato a VIA) il proponente presenta domanda di autorizzazione unica, allegando il documento di non assoggettabilità. In caso di verifica negativa invece, viene avviata – sempre dal proponente – la procedura di VIA. E questa, a sua volta «ingloba» l’autorizzazione unica. L’articolo 17, comma 2, della legge regionale n. 9 del 1999 stabilisce: «2. La valutazione di impatto ambientale (VIA) positiva (...) comprende e sostituisce tutte le intese, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i pareri, i nullaosta, gli assensi comunque denominati, necessari per la realizzazione del progetto in base alla vigente normativa. Essa ha altresì il valore di concessione edilizia qualora il Comune territorialmente competente, valutata la sussistenza di tutti i requisiti ed ottenuti i pareri, le autorizzazioni ed i nullaosta cui è subordinato il suo rilascio, si sia espresso positivamente». Si tratta di un modus operandi esattamente contrario a quanto previsto dalle Linee Guida nazionali, ma che sembra essere stato seguito in parte anche dal Legislatore nazionale. Solo in parte, però, perché il comma 2 dell'articolo 5 del d.lgs. n. 28/2011 non specifica che la VIA «ingloba e sostituisce» l’autorizzazione unica. Inutile dire che tutto questo non contribuisce a quella chiarezza e uniformità dei procedimenti autorizzatori su tutto il territorio nazionale auspicata da tutti gli operatori. V. sul punto, PETRUCCI F., op.ult.cit. 418 V. sul punto, PETRUCCI F., op.ult.cit. 419 V. ASSINI - VISCIOLA, Codice dell’ambiente, 2011; DELL’ANNO P., op.cit. Cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, sent. 19 luglio 1993, n. 741 e Tar Puglia, sez. I, sent. 23 settembre 1995, n. 950. 420 Sulla natura di parere della VIA, si veda Tar Umbria, sent. 13 novembre 1997, n. 559 421 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 741 del 1995; nonché Tar Lazio, sez. II-bis, sent. 22 maggio 1998, n. 2722. La natura giuridica della VIA viene dunque rinvenuta in una manifestazione di giudizio, e non di volontà amministrativa: cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 giugno 1995, n. 553; Tar Liguria, sent. 18 giugno 1992, n. 291. 417 162 3.2. Il procedimento «semplificato»: dalla DIA alla PAS. Originariamente, il comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003422 prevedeva, secondo un criterio residuale che si basava sulla potenza degli impianti alimentati da fonti rinnovabili423, l’applicazione di una procedura, per così dire «semplificata», ovvero sia la denuncia di inizio attività, di cui agli artt. 22 e 23 del DPR n. 380 del 2001 (T.U. edilizia)424. Il soggetto proponente doveva presentare allo sportello unico del Comune ove era localizzato l’impianto la relativa «denuncia» almeno 30 giorni prima dell’avvio dei lavori. La denuncia di inizio attività doveva essere accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseverava la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Inoltre era corredata dall’indicazione dell’impresa cui si intendeva affidare i lavori. Una volta ricevuta la DIA, comprensiva dei suddetti documenti e autorizzazioni, l’amministrazione comunale, nella persona del responsabile del procedimento, verificava antro 30 giorni la correttezza della qualificazione dell’intervento (e cioè se quest’ultimo rientrava o meno tra gli impianti Periodo aggiunto dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. L’impianto energetico potrà essere realizzato ed avviato all’esercizio previa denuncia di inizio attività ex artt. 22 e 23 del DPR n. 380/2001, qualora l’energia prodotta dalla singola tipologia di fonte rinnovabile (o meglio la capacità di generazione di quest’ultima) superi la soglia di riferimento fissata dalla tabella A allegata al d.lgs. n. 387/2003. In questi casi la DIA segue la medesima procedura prescritta per qualsiasi altro intervento edilizio sottoposto alla denuncia di inizio attività ex artt. 22 23 del DPR n. 380/2001. 423 Si trattava di impianti con capacità di generazione inferiore alle soglie di legge (di cui alla tabella A del d.lgs. n. 387/2003). 424 La procedura della denuncia di inizio attività prima esaminata, secondo il tradizionale insegnamento dottrinale e giurisprudenziale, ha rappresentato un’attuazione in ambito urbanisticoedilizio della «dichiarazione di inizio attività» disciplinato dall’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990. Ed invero la denuncia ex artt. 22 e 23 del DPR n. 380/2001, sin dalla sua entrata in vigore, è stata interpretata come un particolare strumento volto ad agevolare (o meglio, liberalizzare) determinate attività private, mediante la sostituzione dei tradizionali atti di consenso della pubblica amministrazione con una semplice dichiarazione dell’interessato. 422 163 assoggettabili a DIA), la sussistenza dei presupposti della procedura e il rispetto delle prescrizioni di legge. Qualora tra le autorizzazioni occorrenti rientravano anche provvedimenti di competenza (anche in via di delega) dello stesso Comune cui era inoltrata la denuncia, il suddetto termine di 30 giorni decorreva dal rilascio del relativo atto di assenso e, ove tale atto non fosse favorevole, la denuncia era priva di effetti. Le Linee Guida nazionali, prima, e il d.lgs. n. 28 del 2011, poi, hanno apportato alcune sostanziali modifiche ai procedimenti amministrativi di autorizzazione degli impianti di produzione dell’energia alternativa. La prima di queste novità – come anticipato – è stata proprio l’inversione di tendenza, rispetto al passato, di riconoscere carattere generale alle procedure diverse dall’autorizzazione unica. Pertanto, a partire dalle Linee Guida del 2010, la denuncia di inizio attività diviene la regola generale e, quindi, nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, per tutti gli interventi soggetti a DIA è esclusa all’autorità competente la possibilità di richiedere l’attivazione del procedimento unico; anche se era comunque consentito al proponente di optare sin dall’inizio per il procedimento unico425, in alternativa alla DIA. All’indomani dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha interamente riscritto la norma generale sulla DIA nella legge n. 241 del 1990, sostituendola con la «segnalazione certificata di inizio attività» (SCIA), si pose la questione della compatibilità di quest’ultima con la procedura di DIA prevista dal d.lgs. n. 387 del 2003. La scelta dell’autorizzazione unica anziché della DIA, pur potendo risultare evidentemente più dispendiosa in termini di tempistica procedurale, potrà rivelarsi comunque utile qualora l’impianto da realizzare vada assoggettato, in ragione della sua tipologia e ubicazione, a molteplici autorizzazioni – a tutela di profili ambientali, paesaggistici, di incolumità pubblica, ecc. – non coperte, ovviamente dalla DIA e che inciderebbero comunque sui termini di presentazione della DIA: quest’ultima, in tale ipotesi, potrebbe essere infatti presentata all’amministrazione comunale solo dopo aver acquisito tutte le prescritte autorizzazioni. 425 164 Secondo la vigente disciplina, infatti, l’attività oggetto della SCIA può essere avviata immediatamente dopo la presentazione della segnalazione alla pubblica amministrazione competente, senza attendere il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione – ai sensi della precedente formulazione dell’art. 19 – poteva impedire l’espletamento dell’attività dichiarata. Per bloccare l’attività «segnalata», l’amministrazione oggi può intervenire solo ex post, e cioè entro 60 giorni dall’inizio della stessa per adottare un provvedimento di sospensione e ordinare, se necessario, la rimozione degli effetti dell’intervento svolto426. Alla luce del sopravvenuto contesto normativo, restava quindi da chiedersi quale fosse la sorte della DIA di cui al DPR n. 380 del 2001, ivi compresa quella relativa all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, e cioè se quest’ultima continuava a restare in vigore in ragione del peculiare settore urbanistico-edilizio che era chiamato a «presidiare» o se, invece, cedeva anch’essa il passo alla nuova SCIA. Dalla lettura della legge che ha riscritto l’articolo 19 sembra doversi propendere per l’avvenuta abrogazione della DIA. Ai sensi infatti del comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, introdotto dalla legge di conversione n. 122 del 2010, la nuova disciplina «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale». Alcuni, però, secondo ragioni di buon senso, prima ancora che di diritto, hanno auspicato la non immediata abrogazione della DIA427. Infatti, se è vero che la previsione dell’inizio immediato dell’attività segnalata ha un modesto impatto in termini di «buona ed efficace amministrazione» ai sensi dell’art. 97 Cost. nel caso Viene così radicalmente modificata la sequenza procedimentale della DIA come sino ad oggi conosciuta: alla dichiarazione (oggi segnalazione) del privato oggi non segue più la fase di controllo della P.a. competente di tutti i presupposti, condizioni e prescrizioni di legge per l’avvio di quella determinata attività, ma direttamente l’avvio dell’opera. In sintesi, le fasi della nuova catena procedimentale risultano così disposti: 1) segnalazione di inizio attività; 2) avvio dell’attività segnalata; 3) controllo della P.a.; 4) eventuale provvedimento di sospensione dell’attività o rimozione dei suoi effetti. 427 V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 69. 426 165 di «attività di servizi» (che non producono, in quanto tali, conseguenze stabili e radicate sul territorio), è altrettanto vero che, nella diversa ipotesi di attività urbanistico-edilizie, la possibilità di un controllo solo postumo e non anche preventivo sulle modalità realizzative (e prima ancora sulla localizzazione) dei manufatti edilizi prescelte dal privato potrebbe comportare effetti nefasti per il territorio. Del resto, nell’arco dei 60 giorni concessi alla pubblica amministrazione per controllare ed eventualmente bloccare l’attività, ben potrebbero essere realizzati manufatti stabili con conseguenti gravi difficoltà per la rimozione delle opere, laddove il nuovo art. 19 in tema di rimozione si limita a prevedere la possibilità di un ordine di rimozione, senza alcuna previsione di dettaglio. Inoltre, da un punto di vista strettamente giuridico, depone a favore di questa tesi l’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, secondo il quale la nuova SCIA «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma». A tal proposito, sembra alquanto difficile ricondurre l’attività edilizia nell’ambito della materia della «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale ex art. 117 Cost. Infatti, in tal modo la materia urbanistico-edilizia, anche detta «governo del territorio», degraderebbe da materia autonoma a materiastrumento per l’attuazione della libera concorrenza, con la conseguenza di sottrarla alla legislazione concorrente Stato-Regioni, diversamente dalle previsioni costituzionali ex art. 117, comma 3, Cost.428 Sicché potrebbe sostenersi che la DIA «edilizia», in quanto non riconducibile alla tutela concorrenziale ma alla diversa materia urbanistica, non possa essere sostituita dall’introduzione della SCIA. Questo orientamento, per quanto affascinante, è stato però contrastato dall’Ufficio Legislativo del Ministero per la semplificazione normativa che, con la 428 V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 70. 166 nota n. 1340 del 16 settembre 2010, ha provveduto a chiarire che la nuova disposizione sulla SCIA si applica anche all’edilizia. In particolare, secondo il citato Ministero, innanzitutto assume rilievo l’argomento letterale, giacché, ai sensi del comma 4-ter dell’articolo 49 del d.l. n. 78 del 2010, le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «SCIA» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «DIA» ovunque ricorrano anche come parte di un’espressione più ampia, sia nelle normative statali che in quelle regionali; inoltre, la disciplina della SCIA contenuta nel novellato articolo 19 della legge n. 241 del 1990 «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale». Per altro verso, nel confronto con la previgente formulazione dell’articolo 19, emerge che il Legislatore ha omesso di indicare la DIA edilizia tra quelle oggetto di espressa esclusione dall’ambito applicativo della disposizione (commi 1 e 5, primo periodo)429. Ad ogni modo, tale problematica, seppur di grande rilevanza, è stata superata con il d.lgs. n. 28 del 2011430. Tale decreto, infatti, ha modificato l’assetto autorizzativo fino a quel momento previsto per l’installazione di impianti Inoltre, la previsione secondo cui la segnalazione certificata di inizio attività è corredata non solo dalle certificazioni ed attestazioni ma anche dalle «asseverazioni» dei tecnici abilitati (riferimento non presente nel previgente articolo 19) si poneva in linea con quanto stabilito dalla disciplina della Dia edilizia contenuta nell'articolo 23 del DPR n. 380/2001, la quale richiedeva, preliminarmente all’avvio dell'attività edilizia, la presentazione di una «dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie». Pertanto, era stato chiarito che la disciplina della SCIA si applicava anche alla materia edilizia. 430 L’introduzione della PAS elimina via i dubbi registrati in dottrina sulla applicabilità alle fonti rinnovabili della SCIA. Infatti, la questione sull’applicabilità o meno della procedura della segnalazione certificata di inizio attività alla materia edilizia e quindi anche alle procedure di installazione di impianti da fonti rinnovabili non ha più ragion d’essere, in quanto a partire dal 29 marzo 2011 – data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2011 – il titolo abilitante ammesso per la costruzione e la gestione di determinate categorie di impianti sarà solo la PAS. V. CHIERCHIA C., Energia da fonti rinnovabili, la Pas ha sostituito Dia e Scia. La nuova procedura, in Edilizia e Territorio, 15-16, 2011. 429 167 alimentati da fonti rinnovabili e, accanto all’autorizzazione unica e alla semplice comunicazione, ha introdotto una procedura alternativa ad hoc, del tutto sostitutiva della precedente DIA, denominata «procedura abilitativa semplificata» (PAS). Nello specifico, l’articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 disciplina la PAS e prevede, in breve, che: · Il proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie; · Il Comune, ove entro il termine di 30 giorni dal deposito della dichiarazione sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite per accedere alla PAS, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento. È comunque salva la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione, l’attività di costruzione deve ritenersi assentita; · Nel caso in cui l’immobile sia sottoposto a vincolo tutelato dallo stesso Comune, il termine di 30 giorni è sospeso e decorre dalla conclusione del relativo procedimento. Se la tutela del vincolo compete ad un’altra amministrazione e il suo parere non è allegato alla PAS, il Comune provvede ad acquisirli d’ufficio o entro 20 giorni convoca una conferenza di servizi. Il termine di 30 giorni decorre quindi dall’adozione della decisione conclusiva; · La realizzazione dell’intervento deve essere completata entro tre anni dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata; · Una volta ultimato l’intervento il progettista o il tecnico abilitato presenta al Comune un certificato di collaudo finale. 168 In ogni caso, il ricorso alla PAS è precluso al proponente che non abbia titolo sulle aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (in assenza di tale titolo l’impianto deve seguire l’iter autorizzativo unico)431. Dall’analisi del procedimento così delineato, emergono alcune perplessità in ordine alla natura della PAS, che si potrebbe definire, per alcuni versi, «ibrida», in quanto si pone a metà strada tra la vecchia DIA «edilizia» e la nuova SCIA, introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2010. A prima vista, infatti, essa sembra regolata come una SCIA, in quanto al pari di quest’ultima, il proprietario dell’immobile che vuole realizzare l’impianto deve inviare al Comune soltanto una comunicazione accompagnata da una relazione a firma del progettista che ne attesti la compatibilità con le norme urbanistiche, di sicurezza e igieniche e sanitarie. Tuttavia, conformemente a quanto già previsto dalla DIA, i lavori non possono iniziare subito e anzi il Comune ha 30 giorni per le verifiche, completate le quali può notificare all’interessato un ordine di non effettuare l’intervento. Inoltre, come nella DIA, la realizzazione dell’intervento deve essere completata entro tre anni dal perfezionamento della procedura. La sussistenza di elementi di continuità con gli istituti precedenti, in realtà, non fa ben comprendere l’esigenza del Legislatore di creare modelli procedimentali «ibridi», che nulla aggiungono o tolgono ai procedimenti semplificati già esistenti, anzi al contrario pongono problemi interpretativi sulla loro corretta qualificazione giuridica. In particolare, ci si è posti il problema se la PAS vada considerata come semplice dichiarazione privata di esercizio di attività consentite (come oggi oramai chiarito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 29 luglio 2011 con riferimento alla DIA/SCIA)432, o se invece essa rimanga comunque un provvedimento amministrativo seppur tacito, con tutte le conseguenze che la V. pubblicazione del GSE, Il quadro autorizzativo per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ricognizione della normativa nazionale e regionale, in Gse.it, 1 settembre 2011. 432 V. SANDULLI M.A., Primissima lettura dell’adunanza plenaria n. 15 del 2011, in Federalismi.it, 17, 2011. 431 169 scelta verso l’una o l’altra tesi comporta in tema di tutela del terzo e relativi rimedi esperibili. Ad un’attenta disamina, sembra che, in base al comma 4 dell’articolo 6 (parte finale), secondo il quale «Se il Comune non procede (…), decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione (…), l’attività di costruzione deve ritenersi assentita», ci troviamo di fronte a un atto (la PAS) che si forma tramite una procedura di silenzio-assenso. Se così è, la PAS allora non è assimilabile alla DIA/SCIA, in quanto consiste in un provvedimento amministrativo a formazione tacita differita (dichiarazione + decorso dei 30 giorni e silenzio-assenso), impugnabile dopo i 30 giorni o comunque, secondo le regole generali, dopo che il terzo ha avuto piena conoscenza dell’atto433. 3.3. Il regime di attività libera. Nell’intento di semplificare e liberalizzare l’attività di costruzione di impianti di energia rinnovabile, le Linee Guida nazionali hanno introdotto – accanto all’allora DIA – un ambito di interventi da considerarsi attività edilizia libera, e come tali sottoposti a mera comunicazione. In tal caso, per la realizzazione degli impianti è sufficiente una semplice comunicazione preventiva al Comune di ubicazione, a meno che non si tratti di interventi su immobili (vincolati) ricadenti nell’ambito della disciplina della parte seconda e dell’art. 136, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, nel qual caso si procedeva con DIA, subordinata al preventivo rilascio degli atti di assenso richiesti dal d.lgs. n. 42 del 2004434. Il d.lgs. n. 28 del 2011 conferma l’impostazione delle Linee Guida e stabilisce che la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai 433 434 V. PETRUCCI F., Dia, Scia e Pas: chiarimenti e dubbi interpretativi, in Nextville.it, 30 settembre 2011. V. CIMELLARO A. – SCIALÒ A., op.cit., 71. 170 paragrafi 11 e 12 delle Linee Guida nazionali continua ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti435. L’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 individua, poi, una serie di interventi che vengono considerati attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) del DPR n. 380 del 2001436. 4. La diversificazione della legislazione regionale in assenza delle Linee Guida nazionali: i procedimenti regionali. Il d.lgs. n. 387 del 2003 prevedeva, all’articolo 12, comma 10, l’approvazione in Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e del Ministro per i Beni e le Attività culturali, di apposite Linee Guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica. Il Governo italiano, però, come noto, non ha ottemperato a tale prescrizione, lasciando che l’attesa delle Linee Guida si protraesse per ben 7 lunghi anni437. V. RAGAZZO M., op.ult.cit. L’articolo 7 del d.lgs. n. 28 del 2011, rubricato «Regimi di autorizzazione per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili», stabilisce che: «1. Gli interventi di installazione di impianti solari termici sono considerati attività ad edilizia libera e sono realizzati, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) siano installati impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi; b) la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del tetto su cui viene realizzato; c) gli interventi non ricadano nel campo di applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni. 2. Ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera a), e dell’articolo 123, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, gli interventi di installazione di impianti solari termici sono realizzati previa comunicazione secondo le modalità di cui al medesimo articolo 6, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) gli impianti siano realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne agli edifici; b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona A), di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». 437 Le Linee Guida sono state approvate con Decreto del Ministero dello Sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010. 435 436 171 In questi 7 anni la mancanza di un indirizzo univoco a livello nazionale ha, pertanto, causato la proliferazione di normative regionali in materia di autorizzazione all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, molto differenti tra loro e spesso in contrapposizione con la legislazione statale438, al punto da giustificare in più occasioni l’intervento della Corte costituzionale. Infatti, tali provvedimenti, formalmente destinati a enunciare «criteri per l’inserimento nel territorio o nel paesaggio» di impianti, in realtà, spesso introducevano una serie eterogenea e ingiustificata di limitazioni paralizzanti, in aperto contrasto con i principi di incentivazione e semplificazione, contenuti nel d.lgs. n. 387 del 2003 di attuazione della direttiva europea in materia di fonti rinnovabili. Di seguito, vengono analizzati i principali ambiti di intervento dei provvedimenti regionali. 4.1. I c.d. provvedimenti di moratoria. Nel contesto di «vuoto» normativo creato dall’assenza delle Linee Guida nazionali, le Regioni, spesso e pretestuosamente, hanno messo in atto pratiche dilatorie nel settore dello sviluppo delle fonti rinnovabili, proprio adducendo la mancata adozione dei Piani energetici nazionali439 o delle Linee Guida in questione. A tal fine, hanno emanato i c.d. «provvedimenti di moratoria»440, con i V. MARANGONI A., Linee Guida per le rinnovabili: dalle Regioni mappa ragionata per le nuove installazioni, in Edilizia e Territorio, 29, 2010; PETRUCCI F., Energie rinnovabili, quando le Regioni sono fuori legge e (forse) lo sanno, in Nextville.it, 7 giugno 2010. 439 Occorre peraltro ricordare che il Legislatore nazionale ha imposto alle Regioni di dotarsi di atti di pianificazione energetica sin dalla legge 9 gennaio 1991, n. 10. In altri termini, è da 18 anni che le Regioni avrebbero dovuto provvedere. Anche con la stipulazione del protocollo di Torino del 2001 le Regioni avevano ribadito l’espresso impegno alla redazione dei piani energetici. In sostanza, esse hanno dunque tentato di utilizzare una propria inadempienza come titolo di autoesonero dall’obbligo di tempestivo completamento dei procedimenti amministrativi, nella prospettiva dell’ammissibilità di un circuito di inadempienze autoalimentantesi. V. sul punto BUCELLO M. – VIOLA S., Vizi (di illegittimità) e virtù dei procedimenti autorizzativi di impianti da fonti rinnovabili, in Ambiente & Sviluppo, 10, 2007. 440 Con tale locuzione «provvedimenti di moratoria» si suole individuare una categoria eterogenea di atti che comunque sospendono un’attività amministrativa autorizzatoria. 438 172 quali sostanzialmente hanno sospeso l’attività autorizzatoria relativa agli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili441. Così, ad esempio, la Regione Basilicata aveva approvato una legge «ponte»442 in materia di energia, secondo cui, sino alla approvazione del nuovo Piano di indirizzo energetico ambientale regionale, non era consentita l’autorizzazione di impianti «che non rientrino nei limiti e non siano conformi alle previsioni del vigente Piano energetico regionale»443. L’intento ostruzionistico della norma era evidente: la Regione, invitata a partecipare ad un impegno internazionale sottoscritto dallo Stato in difesa dell’ambiente, rispondeva con la familiare tattica temporeggiatrice imperniata sull’attesa della prodigiosa materializzazione del suo potere pianificatorio444. Del pari, la Regione Campania aveva sospeso le Conferenze di servizi sulle istanze di rilascio di autorizzazione di impianti eolici, sino alla approvazione del «disciplinare per il corretto inserimento della tecnologia eolica sul territorio regionale»445. Con un altro provvedimento446 aveva vietato del tutto l’installazione di parchi eolici in determinate aree (tra le quali i parchi, le riserve regionali, le zone di «protezione o conservazione integrale» dei Piani territoriali paesistici), sempre sino ad un futuro adempimento amministrativo, identificato nell’emanazione delle Linee Guida nazionali. V. GIAMPIETRO L., V.I.A. col vento…: breve rassegna di giurisprudenza amministrativa in tema di energia eolica, in Ambiente & Sviluppo, 3, 2008; VIOLA S., Moratorie ed eolico: un importante segnale della Corte Costituzionale, in Ambiente & Sviluppo, 1, 2007. 442 Si tratta della legge regionale 26 aprile 2007, n. 9. 443 La legge recava poi una deroga per gli impianti fotovoltaici, per quelli eolici di piccola taglia e per quelli realizzati nei limiti della potenza già autorizzata in sostituzione o in conversione di quelli in esercizio alla data di entrata in vigore. I descritti impianti potevano comunque essere autorizzati. 444 Cfr. Corte Cost., sent. n. 364 del 2006 sulla legge regionale pugliese. Tale sentenza ha costituito esplicito termine di riferimento per Giunta regionale della Basilicata, come attestato dai lavori preparatori della legge. In questo caso, la Regione Basilicata, non avendo giudicato più possibile collegare a tale evento futuro ed incerto un effetto totalmente sospensivo dei procedimenti autorizzatori, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale pugliese che adottava quell’impostazione, si è scelto di attivare un meccanismo limitativo delle iniziative. 445 Si tratta della nota della Giunta regionale 9 marzo 2006, n. 2006.0223604. Tale provvedimento è stato tuttavia annullato dal giudice amministrativo. 446 Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955. 441 173 Anche la Regione Marche aveva sospeso i procedimenti autorizzativi di centrali eoliche fino all’adozione di specifici piani di gestione per le aree ZPS447. La Regione Molise, con un primo provvedimento, aveva sospeso i procedimenti autorizzativi di parchi eolici per 180 giorni (in attesa dell’adozione di un documento di programmazione), per poi successivamente prorogare la sospensione sino all’adozione del Piano energetico regionale448. La Regione Puglia aveva sospeso con legge, nelle more dell’approvazione del Piano energetico regionale, tutti i procedimenti autorizzativi alla realizzazione di impianti eolici partiti dopo il 31 maggio 2005449. La Regione Sardegna, con legge, aveva espressamente vietato, nell’intero territorio regionale e fino all’approvazione del Piano paesaggistico regionale, la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte eolica450. Così, anche la Regione Toscana aveva vietato la realizzazione di centrali eoliche fino all’adozione di specifici piani di gestione per le aree ZPS451. Tale diserzione della campagna di incentivazione delle fonti rinnovabili da parte delle Regioni, oltre a rappresentare un grave esempio di mal costume amministrativo, si poneva comunque in netto contrasto con i principi ispiratori della direttiva comunitaria 77/2001/CE e del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 e costituiva una prassi oggettivamente impeditiva del rispetto degli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria ed internazionale452. Cfr. delibera di Giunta regionale 6 novembre 2006, n. 1277. La Regione ha poi abrogato il proprio provvedimento. 448 Si tratta, rispettivamente, della delibera di Giunta regionale 31 ottobre 2005, n. 1469 e della delibera del Consiglio regionale 6 dicembre 2005, n. 327. Entrambi i provvedimenti sono stati annullati dal giudice amministrativo, cfr. Tar Molise sentt. 29 novembre 2006, n. 984 e 15 gennaio 2007, n. 20. 449 Con l’eccezione dei soli impianti di piccola taglia. Legge regionale 11 agosto 2005, n. 9 (in particolare, art. 1): è la legge dichiarata costituzionalmente illegittima (Cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006). 450 Salvo quelli precedentemente autorizzati, ma a condizione che i lavori fossero già stati iniziati e avessero modificato irreversibilmente lo stato dei luoghi. Legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 e circolare esplicativa 3 febbraio 2005, n. 40/GAB. 451 Cfr. delibera di Giunta regionale 11 dicembre 2006, n. 923. 452 Secondo BUCELLO M. – VIOLA S., op.cit., una condizione del genere sarebbe senza dubbio sufficiente a postulare l’esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato. 447 174 Pertanto, la Corte costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale di alcune leggi regionali453, è intervenuta evidenziando il contrasto delle pratiche di moratoria con l’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, laddove quest’ultimo, fissando un termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di autorizzazione unica che non ha natura indicativa, costituisce un vero e proprio principio fondamentale in materia di energia. Nello specifico, la Corte ha espressamente affermato che la sospensione a tempo indeterminato dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni uniche, motivata dalla necessità di dotarsi del Piano energetico regionale, contrasta con gli obiettivi di politica ambientale ed energetica che il Paese sta cercando di perseguire ed è, quindi, incostituzionale454. Allo stesso modo, anche il giudice amministrativo ha censurato i provvedimenti di moratoria. A tal riguardo, ad esempio, una sentenza del Tar Molise455 ha affermato che nessuna norma di legge attribuisce alle amministrazioni il potere di moratoria in relazione agli impianti eolici (esso, infatti, non è implicito e non può ricavarsi da quello generale di programmazione in materia di energia) e che la sospensione indiscriminata del procedimento di autorizzazione viola l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui gli impianti generatori di energia da fonti rinnovabili «sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti», il che esclude automaticamente e necessariamente qualsiasi potere di moratoria. Inoltre, il contrasto sussiste non solo con il dovere di concludere il procedimento entro Cfr. Corte Cost., sent. n. 346 del 2006 sulla legge della Regione Puglia. Negli stessi termini, più recentemente, la Corte Costituzionale con sentenza 24 marzo 2010, n. 124 è intervenuta, con riferimento ad alcune previsione adottate dalla Regione Calabria, confermando cha la previsione di un termine massimo di 180 giorni per la conclusione del procedimento unico volto al rilascio di un’autorizzazione unica costituisce un principio fondamentale della materia, in quanto ispirata alle regole della semplificazione e della celerità amministrativa. Cosicché, viene considerata incostituzionale sia la proroga della sospensione del rilascio dei titoli autorizzativi che porti al superamento del termine massimo, sia la proroga della sospensione della realizzazione degli impianti autorizzati. V. RANGONE N., Fonti rinnovabili di energia: stato della regolazione e prospettive di riforma, nota a Corte Cost. sent. n. 124 del 2010, in Giurisprudenza costituzionale, II, 2010. 454 Sulla moratoria prevista dalla legge regionale Puglia n. 9 del 2005, v. anche D’AURIA M., Impianti eolici e termine massimo di conclusione del procedimento, in Giornale di diritto amministrativo, 5, 2007; CONTE G.B., La Corte blocca le sospensioni regionali agli impianti eolici, in Giustamm.it, 6, 2006. 455 Cfr. Tar Molise, sentt. n. 984 del 2006 e 15 gennaio 2007, n. 20. 453 175 termine prestabilito, ma, più in generale, con il principio di incentivazione all’utilizzo delle fonti rinnovabili, ispiratore della direttiva comunitaria 77/2001/CE, di cui il d.lgs. n. 387 del 2003 costituisce attuazione, e con l’art. 41 della Costituzione che tutela l’iniziativa economica privata456. 4.2. Il contingentamento della potenza massima autorizzabile e la fissazione di un numero massimo di impianti installabili. Un altro ambito in cui sono intervenute le Regioni riguarda l’indicazione di tetti massimi di potenze autorizzabili e l’indicazione di un numero massimo di impianti presenti nella Regione, il c.d. burden sharing. L’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha previsto, infatti, che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e d’intesa con la Conferenza unificata457, sia effettuata la suddivisione di quote minime di incremento dell’elettricità da fonti rinnovabili tra le Regioni e le province autonome, le quali su questa base dovranno adeguare (o adottare) i Piani energetici, coinvolgendo anche gli enti locali. Questo decreto però non è stato adottato fino al 2011 e nelle more le Regioni hanno fissato autonomamente un limite massimo di potenze autorizzabili per ciascuna fonte di energia rinnovabile. Così, ad esempio, il Piano energetico regionale della Basilicata458 ha previsto l’attivazione di nuovi impianti energetici per un massimo di 470 MW di potenza di cui 128 MW di potenza massima per impianti eolici. Il Piano energetico regionale delle Marche459 ha fissato, invece, in 160 MW la potenza eolica massima installabile nell’ambito temporale del Piano energetico nazionale, così suddivisa: 120 MW in impianti medi e 40 MW per un solo In senso analogo si è pronunciato sempre il Tar Molise con sentenza n. 20 del 2007 che, ribadendo i principi affermati nella sentenza n. 984 del 2006, ha annullato il cap. 9 del PEAR nella parte in cui prevedeva la moratoria per impianti eolici. In un’altra sentenza Tar Campania, Napoli, n. 10412 del 2006, fa esplicito riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale n. 364 del 2006. 457 Adottato solo di recente con Decreto Ministeriale del 4 agosto 2011. 458 Approvato con delibera del Consiglio regionale 26 giugno 2001, n. 2202. 459 Approvato con delibera del Consiglio regionale 16 febbraio 2005. 456 176 impianto eolico in sito paesaggisticamente insignificante selezionato dalla Regione e ha previsto che un campo eolico non possa essere composto da più di 15 aerogeneratori. Il Piano energetico regionale della Lombardia460 ha fissato in 10 MW la potenza idroelettrica massima installabile. Il regolamento regionale della Puglia461 ha introdotto un «parametro di controllo», che limita il numero di aerogeneratori per singolo comune e la Regione Molise462 ha previsto che sul territorio regionale possano essere installati non più di 250 aerogeneratori, indipendentemente dalla potenza di ogni singola macchina. Anche con riferimento a questo aspetto, la Corte costituzionale è intervenuta stabilendo che tali previsioni si pongono in contrasto sia con il principio di incentivazione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili – in quanto a tal fine sarebbe piuttosto necessaria l’individuazione di «obiettivi minimi» di potenza installabile, da raggiungersi e, se possibile, virtuosamente superarsi, non certo di tetti massimi non superabili – sia con la configurazione della produzione di energia come attività libera e non suscettibile di contingentamenti, limitazioni o compressioni463. Inoltre, tali previsioni danno luogo, come affermato dall’Autorità Antitrust, anche ad un’ingiustificata regolazione strutturale degli assetti del mercato, in quanto suscettibili di creare distorsioni della concorrenza tra gli operatori attivi nelle diverse aree del territorio nazionale464. Approvato con delibera del Consiglio regionale 6 marzo 2003. Cfr. regolamento n. 16 del 4 ottobre 2006. 462 Cfr. delibera Giunta regionale 26 giugno 2006, n. 908. 463 Le norme regionali che «fanno un loro burden sharing» sono in contrasto con la Costituzione (articoli 41 e 117) e con le disposizioni internazionali: Cfr. Corte Cost., sentt. n. 282 del 2009 e n. 124 del 2010. V. BUCELLO M. – VIOLA S., op.cit.. V. anche PETRUCCI F., Energie rinnovabili, cit. 464 Cfr. segnalazione AS680 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Regolamentazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e disciplina della costruzione ed esercizio dei relativi impianti, 16 aprile 2010. 460 461 177 4.3. La localizzazione degli impianti. Secondo l’impianto del d.lgs. n. 387 del 2003 spettava alle Linee Guida nazionali prevedere i «criteri quadro» per il corretto inserimento degli impianti nel territorio delle Regioni. Tuttavia, in assenza delle Linee Guida, le Regioni hanno emanato dei provvedimenti con i quali hanno individuato le zone dove escludere in assoluto la collocazione degli impianti. Così, ad esempio, taluni provvedimenti regionali aprioristicamente hanno vietato l’installazione di parchi eolici in aree classificate come SIC o ZPS465. Questo è stato il caso della legge regionale Toscana, della legge regionale Marche, delle Linee Guida per lo svolgimento del procedimento unico autorizzativo di impianti eolici approvate dalla Regione Molise466 e del regolamento della Regione Puglia467. Tale divieto risulta totalmente ingiustificato e in aperto contrasto con la disciplina protezionistica già esistente, che regola gli interventi all’interno delle aree protette468, la quale non li vieta incondizionatamente, ma li sottopone a valutazione di incidenza, per individuarne e valutarne in via preventiva gli effetti, sulla base di un concreto confronto con gli obiettivi di conservazione dei siti. Il divieto aprioristico di parchi eolici all’interno di tali aree, dunque, non solo è completamente ingiustificato, non essendo dato comprendere perché ai parchi eolici sia attribuito un grado di pericolosità potenziale maggiore di quello riconosciuto a qualunque altra iniziativa industriale, ma concorre a svuotare di ogni significato la valutazione di incidenza. Del pari, altri provvedimenti hanno vietato in assoluto l’installazione di campi eolici all’interno del perimetro dei parchi (è il caso, ad esempio, della Si intendono con essi siti di importanza comunitaria – SIC e zone di protezione speciali – ZPS Cfr. delibera di Giunta regionale 7 maggio 2007, n. 22. 467 Cfr. regolamento 4 settembre 2007, n. 452. 468 Prevista dall’articolo 5, DPR 8 settembre 1997, n. 357. Le aree c.d. protette sono: siti di importanza comunitaria - pSIC; siti di importanza comunitaria - SIC; zone speciali di conservazione - ZSC; zone di protezione speciali - ZPS) 465 466 178 Regione Sicilia469 e della Regione Campania470), o, addirittura nelle aree pre-parco (cosi le Linee Guida della Regione Molise). Anche in questo caso le prescrizioni sono da ritenersi ingiustificate, tanto più che spesso i provvedimenti istitutivi dei parchi espressamente prevedono l’installazione di pale eoliche. Si rinvengono poi prescrizioni localizzative che individuano una moltitudine indiscriminata, diversificata e spesso assai genericamente descritta, di luoghi «inidonei», accompagnata dalla amplissima estensione delle fasce di rispetto, di larghezza arbitraria e irrazionalmente variabile. È il caso, ad esempio, dell’atto della Regione Basilicata471, della Regione Campania472 e anche della Regione Sicilia473. Anche in questo caso, la costante giurisprudenza costituzionale, ma anche quella amministrativa, tende a bocciare le norme che, spesso usando in modo improprio i Piani paesaggistici regionali, limitano lo sviluppo delle fonti rinnovabili, in contrasto con le disposizioni nazionali, comunitarie e internazionali474. Cfr. decreto assessorile del 28 aprile 2005. Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955. 471 Quest’atto vieta le aree fluviali, le zone umide e lacuali, le aree interessate da zone boscate o da alberi ad alto fusto, i luoghi di pellegrinaggio, le aree soggette a vincolo paesaggistico, la fascia costiera jonica per una profondità di 10 km dalla costa, la fascia costiera tirrenica per una profondità di 5 km dalla costa, una fascia di 5 km intorno alle aree calanchive e di 2 km intorno alle aree soggette a vincolo paesaggistico, una fascia di rispetto di 2 km intorno alle aree archeologiche e una fascia di rispetto di 2 km attorno a strade e ferrovie. 472 Cfr. delibera di Giunta regionale 30 novembre 2006, n. 1955: estende il divieto ad una fascia di rispetto pari a dieci volte l’altezza complessiva dell’aerogeneratore misurata dal perimetro di parchi archeologici, aree archeologiche e complessi monumentali, ad una fascia di rispetto pari a dieci volte l’altezza complessiva di un aerogeneratore misurata dal perimetro urbanizzato, ad una fascia di rispetto pari a cinque volte l’altezza complessiva di un aerogeneratore misurata da abitazioni residenziali e rurali sparse, ad una fascia di rispetto pari a due volte l’altezza complessiva di un aerogeneratore dal perimetro di confine dei territori dei Comuni limitrofi, ad una fascia di rispetto pari a 10 km dalle coste. 473 Cfr. decreto assessorile 28 aprile 2005 e circolare assessorile 14 dicembre 2006, n. 17: ha vietato la realizzazione di parchi eolici all’interno di fasce di 2 Km intorno al perimetro di aree sottoposte a vincolo paesaggistico, a vincolo archeologico, di aree di rispetto delle zone umide e/o di nidificazione e transito d’avifauna migratoria o protetta. 474 Cfr. Corte Cost., sentt. nn. 166 del 2009, 282 del 2009, 119 del 2010 e 168 del 2010. 469 470 179 4.4. Le misure compensative. Per «misura di compensazione» s’intende la devoluzione in favore di una comunità locale, a titolo gratuito o particolarmente vantaggioso, di determinati servizi o prestazioni a contenuto patrimoniale (compresa la corresponsione di somme di denaro), allo scopo di fare accettare gli effetti potenzialmente negativi derivanti dall’istallazione di un determinato impianto475. L’art. 12, comma 6, del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 prevede che l’autorizzazione non può essere subordinata, né prevedere, misure di compensazione a favore di Regioni e province. Nell’interpretazione del giudice costituzionale, la legge statale vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo, le c.d. misure di compensazione patrimoniale, quale condizione per il rilascio dei titoli abilitativi, tenuto conto che la costruzione e l’esercizio di impianti a fonti rinnovabili sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione. Sono, invece, ammessi accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale a favore del Comune, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, possa essere compensato dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente476. Nonostante ciò, alcune Regioni hanno comunque previsto forme di compensazione monetaria per ottenere l’autorizzazione unica. Così, ad esempio, la Regione Molise477 ha imposto al proponente di versare, a titolo di oneri di istruttoria, una somma di denaro in misura in parte fissa ed in parte variabile, a seconda della potenza nominale dell’impianto478. V. DURANTE N., Il procedimento autorizzativo, cit. Cfr. Corte Cost., sentt. nn. 282 del 2009 e 124 del 2010. È stata invece salvata la norma pugliese (articolo 1, legge regionale n. 31 del 2008), perché non stabilisce forme di compensazione monetaria ma stabilisce che la Giunta regionale possa stipulare e approvare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte di operatori industriali, sia previsto il rilascio di Autorizzazioni uniche. Questa possibilità è consentita dalla legge statale: Cfr. Corte Cost., sent. n. 119 del 2010. 477 Cfr. articolo 4 della legge regionale n. 15 del 2008. 475 476 180 La Regione Calabria479 ha stabilito, con legge regionale, condizioni ed oneri economici, ai quali subordina l’autorizzazione agli impianti. Nella specie, si tratta dell’impegno a costituire una società di scopo nel territorio regionale, a sottoscrivere garanzie fideiussorie, a favorire l’imprenditoria locale in fase di realizzazione, a versare 50 cent € per KW eolico di potenza autorizzata ed a riconoscere oneri istruttori pari a 100 € per ogni MW di potenza autorizzata. Queste previsioni regionali sono state complessivamente qualificate dalla Corte costituzionale come misure di compensazione e censurate in quanto qualificabili come ingiustificate condizioni di autorizzazione e oneri istruttori connessi al procedimento stesso e, pertanto, contrarie alla disciplina nazionale di cui al d.lgs. n. 239 del 2004 (che le vieta espressamente)480. In particolare, infatti, la richiesta di una particolare forma organizzativa contraddice il necessario carattere oggettivo delle condizioni poste attraverso le autorizzazioni ed il rilascio di autorizzazioni per l’esercizio di attività libere (come la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) non dovrebbe essere soggetto a contributi diversi da quelli necessari alla copertura dei costi amministrativi connessi all’istruttoria ed al controllo della gestione del servizio481. Così, anche, nella Regione Puglia, il comune di Cerignola482 aveva indetto una procedura di evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati interessati alla realizzazione di impianti eolici nel territorio comunale, ponendo a base di gara un corrispettivo (in misura fissa e variabile) da corrispondere al Comune483. Cfr. Corte Cost., sent. 2 novembre 2009, n. 282, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge regionale in questione. 479 Cfr. punto 4.2 lettera o) dell’allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008. 480 Cfr. Corte Cost., sent. n. 124 del 2010. 481 V. RANGONE N., op.cit. 482 Cfr. delibera di Giunta comunale 8 febbraio 2007, n. 47, avente ad oggetto «indirizzi per l’individuazione dei soggetti interessati alla realizzazione degli impianti eolici». 483 V. CONTE G.B., op.cit. 478 181 In questo caso, il Tar pugliese484 ha annullato la delibera comunale, affermando, anzitutto, che la potestà di individuare i soggetti che conseguono l’autorizzazione alla costruzione di impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili non appartiene al Comune, ma solo alla Regione. Inoltre, con riferimento al corrispettivo economico da riconoscere al Comune, la sentenza ricorda il divieto assoluto di prevedere misure di compensazione patrimoniale a favore delle Regioni e degli enti locali disposto dall’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003, non mancando di rilevare gli effetti aberranti – in termini di costi di produzione supplementari gravanti sui produttori di energia da fonti rinnovabili, a beneficio di ristrette collettività ed a discapito della generalità degli utenti finali – che una simile espansione dei poteri impositivi delle autonomie locali determinerebbe sul piano della politica energetica485. Sullo stesso tema, è intervenuto anche il Consiglio di Stato in sede consultiva486, il quale ha chiarito che la previsione di cui all’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003, che vieta la previsione di misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province – e la cui formulazione ha indotto a ritenere che tali misure possano ritenersi consentite a favore di altre collettività locali, e segnatamente i Comuni – «va letta in via sistematica insieme all’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239 del 2004, a tenore del quale lo Stato e le Regioni garantiscono l’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole Regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ed elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». Deve, pertanto, ritenersi che possano essere Cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 1 aprile 2008, n. 709. Cfr. in termini anche Tar Puglia, Bari, sez. I, sent. 8 marzo 2008, n. 530. 485 V. sull’argomento MEZZABARBA C., Profili critici nello sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, in POZZO B. (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Milano, 2009. 486 Cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2894. 484 182 imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale, «ma non meramente patrimoniali, e sempre che ricorrano tutti gli altri presupposti indicati nel citato art. 1, comma 4, lett. f)». Sotto tale profilo, «le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche del parco eolico e del suo specifico impatto ambientale e territoriale». Tali misure, infatti, sono solo eventuali e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. Non può dunque dar luogo a misura compensativa, «in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni dal suo impatto sull’ambiente». Per tale ragione, devono considerarsi illegittimi quei provvedimenti che facciano un generico riferimento a misure compensative dell’impatto ambientale e territoriale, «senza indicare in alcun modo in cosa tale impatto consista e si limitano a monetizzare le misure compensative, sotto forma di canone periodico, (…) in modo avulso da ogni considerazione di ogni effettivo impatto ambientale», nonché le previsioni di canoni a titolo di liberalità. In quest’ultimo caso, «si indica un titolo diverso da quello della misura compensativa e territoriale, ma si disancora completamente la misura ambientale e territoriale dalla situazione concreta». In tale contesto, la previsione di un canone a titolo di liberalità, dunque, «costituisce un’evidente elusione, per aggirare la censura di assenza di criteri concreti per la determinazione del canone». E comunque, conclude il parere, tali misure compensative «sono di competenza dello Stato e della Regione, in sede di Conferenza di servizi e non possono unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune»487. 487 V. MEZZABARBA C., op.cit. 183 4.5 Le condizioni di accesso al mercato. Secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è da considerarsi attività libera d’impresa. L’affermazione della liberalizzazione dell’attività in questione infatti risale, prima ancora della direttiva 2001/77/CE e del d.lgs. n. 387 del 2003, rispettivamente alla direttiva 1996/92/CE e al d.lgs. n. 79 del 1999 (decreto Bersani). Pertanto, per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, non sono ammesse procedure pubblicistiche di natura concessoria, ma è prevista invece la loro sottoposizione a un regime autorizzatorio puro488. Ciò nonostante, alcune Regioni hanno comunque posto in essere delle procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati interessati alla realizzazione degli impianti di energia rinnovabile o hanno posto condizioni di accesso al mercato, definendo criteri di preferenza discriminatori nella scelta dei progetti a favore del partenariato della Regione stessa. È il caso, ad esempio, della Regione Puglia489e della Regione Calabria490. Sul tema, si segnala l’intervento del Consiglio di Stato in sede consultiva491, che ha affermato l’illegittimità degli atti con i quali un Comune della Regione Calabria aveva indetto una procedura competitiva per la realizzazione e la gestione di parchi eolici sul territorio comunale, qualificando l’affidatario come concessionario e fissando criteri prettamente economici di valutazione delle Cfr. Cons. Stato, sent. n. 1139 del 2010. Il comune di Cerignola, con delibera della Giunta comunale 8 febbraio 2007, n. 47, avente ad oggetto «indirizzi per l’individuazione dei soggetti interessati alla realizzazione degli impianti eolici», aveva indetto una procedura di evidenza pubblica per la scelta dei soggetti privati interessati alla realizzazione di impianti eolici nel territorio comunale, che poneva a base di gara un corrispettivo (in misura fissa e variabile), da corrispondere al Comune. V. CONTE G.B., op.cit. 490 La Regione Calabria, con disciplina regionale, aveva definito alcuni requisiti per i soggetti legittimati ad ottenere parte della potenza autorizzabile (qualificata «riserva strategica») definendo una preferenza per il partenariato calabrese e imponendo di indirizzare una parte degli investimenti nel territorio regionale. Tale previsione è stata riconosciuta come contraria al «libero mercato» ed alla libera circolazione di servizi, introducendo criteri di preferenza discriminatori nella scelta di progetti, in contrasto con il carattere oggettivo, trasparente e non discriminatorio che dovrebbe caratterizzare le autorizzazioni rilasciate in mercati liberi. Cfr. Corte Cost., sent. n. 124 del 2010. 491 Cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849. 488 489 184 proposte. In questo caso, il Supremo consesso di giustizia amministrativa ha affermato che, trasformando «un’attività libera, soggetta ad autorizzazione (intesa come rimozione di un limite all’esercizio di un diritto preesistente) in un’attività riservata ai poteri pubblici, soggetta a concessione (intesa come atto costitutivo di un diritto che non preesiste (…) il Comune ha violato il principio legale di libertà dell’attività di produzione di energia eolica; si è arrogato una competenza autorizzatoria che non gli spetta; ha invaso la competenza autorizzatoria regionale; ha creato un regime di esclusiva non sancito da alcuna norma di legge; ha imposto misure di carattere economico non consentite dalle norme vigenti». In particolare, con riferimento al profilo della natura dell’attività di produzione di energia, il Consiglio di Stato ne ha chiarito la natura autorizzatoria. Infatti, prendendo le mosse dalla direttiva 1996/92/CE, con la quale si è andata affermando a livello comunitario la progressiva liberalizzazione del mercato dell’energia, attraverso il superamento del regime di monopolio pubblico sulla produzione, sulla distribuzione e sulla vendita e dal d.lgs. n. 79 del 1999 in attuazione della citata direttiva, che ha recepito i principi di liberalizzazione ed apertura del mercato dell’energia, è stata evidenziata l’adozione da parte del Legislatore italiano del modello autorizzatorio «puro» in relazione all’attività di «produzione» di energia elettrica, ripudiando il sistema della gara d’appalto (art. 8, d.lgs. n. 79 del 1999). Pertanto, la produzione di energia elettrica va collocata nell’alveo dell’attività d’impresa concorrenziale, sì sottoposta a controllo e regolazione amministrativa ma non più riservata alla mano pubblica, né soggetta a regime di privativa o di contingentamento. La netta opzione del Legislatore italiano per il sistema autorizzatorio, quanto all’attività di produzione di energia elettrica, è stata inoltre confermata con la legge n. 239 del 2004. L’art. 1, comma 4, dispone infatti che lo Stato e le Regioni, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di prestazioni e l’omogeneità delle tariffe, garantiscono tra l’altro: l’assenza di vincoli, ostacoli o oneri, diretti o indiretti, alla libera circolazione dell’energia all’interno del territorio nazionale e dell’Unione; l’assenza di oneri di qualsiasi specie che abbiano effetti economici diretti o indiretti al di fuori dell’ambito territoriale ove sono previsti; la possibilità di prevedere misure di compensazione e di riequilibrio 185 ambientale per la localizzazione di infrastrutture ad elevato impatto territoriale (il cui importo è regolato dal successivo comma 36), con l’espressa esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili; infine, procedure semplificate, trasparenti e non discriminatorie per il rilascio delle autorizzazioni in regime di libero mercato. Nell’ambito della generale liberalizzazione dell’attività di produzione di energia elettrica, si colloca anche la liberalizzazione, persino più marcata, a scopo incentivante, della produzione di energia mediante fonti rinnovabili, con la previsione di uno snello regime autorizzatorio quanto alla realizzazione e gestione degli impianti. In ragione di quanto premesso, la Corte costituzionale ha affermato che l’individuazione delle attività soggette ad autorizzazione costituisce una disciplina qualificabile come principio fondamentale della materia492. 4.6. L’estensione dell’ambito di applicabilità della procedura di DIA. La normativa nazionale di cui al d.lgs. n. 387 del 2003, nell’ottica del principio di semplificazione amministrativa, ha previsto una disciplina di particolare favore per il rilascio delle autorizzazioni relative ai c.d. microimpianti, ossia impianti aventi una potenza nominale non superiore a precise soglie minime che variano in ragione delle diverse fonti energetiche dalle quali sono alimentati493. Per tali microimpianti era ammessa – sul presupposto dell’esiguità dell’impianto da realizzare – la disciplina della denuncia di inizio attività. Peraltro, il Legislatore aveva previsto un meccanismo dinamico di adeguamento delle suddette soglie minime, posto che lo stesso art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 dà facoltà al Ministro dello sviluppo economico (di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela Cfr. Corte Cost., sent. 11 ottobre 2005, n. 383. La tabella A allegata al d.lgs. n. 387/2003, richiamata all’art. 12, individua le soglie al di sotto delle quali gli impianti possono essere autorizzati con procedure semplificate: 60 KW per gli impianti eolici; 20 KW per gli impianti fotovoltaici; 100 KW per gli impianti ad energia idraulica; 200 KW per impianti a biomassa; 250 KW per impianti a gas. 492 493 186 del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata) di individuare limiti superiori in presenza dei quali la realizzazione e l’esercizio degli impianti in discussione può comunque essere autorizzata tramite DIA494. Stante però l’assenza del decreto ministeriale integrativo previsto dal d.lgs. n. 387 del 2003, alcune Regioni, ritenendo che le soglie fissate erano troppo basse, hanno stabilito che per alcuni tipi di impianto con una determinata potenza fosse sufficiente la DIA. Così, ad esempio, la Regione Puglia, la quale, nell’ottica della razionalizzazione e della semplificazione delle procedure autorizzative in materia di fonti rinnovabili, è intervenuta in più di un’occasione. Tra le tante, si ricorda la legge regionale 19 febbraio 2008 n. 1 che, all’art. 27, ha stabilito che «per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 con potenza elettrica nominale fino a 1 MW, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380»495. Ed ancora, con la legge regionale 21 ottobre 2008 n. 31 (art. 3), sempre la Regione Puglia ha di fatto generalizzato lo strumento della DIA per la Da ultimo, criteri di semplificazione ulteriori sono stati previsti anche dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, recante la disciplina di dettaglio in materia di razionalizzazione delle procedure amministrative e regolamentari nel settore energetico. Tale disposizione prevede la possibilità di realizzare, con una semplice comunicazione preventiva al Comune, sia generatori eolici di dimensioni ridottissime (di altezza non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore ad un metro), sia impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici (a condizione che abbiano medesima inclinazione e orientamento della falda e non modifichino la sagoma degli edifici stessi). 495 In particolare la DIA si applica nei seguenti casi: a) impianti fotovoltaici posti su edifici industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali, commerciali e servizi esistenti o da costruire; b) impianti eolici on-shore; c) impianti idraulici; d) impianti alimentati a biomassa posti internamente a complessi industriali, agricoli, commerciali e servizi, esistenti o da costruire; e) impianti alimentati a gas di discarica, posti internamente alla stessa discarica, esistente o da costruire; f) impianti alimentati a gas residuati dai processi di depurazione, posti internamente a complessi industriali, agricoli, commerciali e servizi, esistenti o da costruire; g) impianti alimentati a biogas, posti internamente a complessi industriali, agricoli,commerciali e servizi, esistenti o da costruire. 494 187 realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili con potenza fino a 1MW, stabilendo che «per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003, con potenze elettriche nominali superiori a quelle previste alla tabella A di cui all’articolo 2, comma 158, lettera g), della legge 31 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2008), e fino a 1 MW, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia emanato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e successive modifiche e integrazioni»496. Il quadro normativo pugliese sopra richiamato, ed in particolar modo la possibilità di realizzare mediante il ricorso alla denuncia di inizio attività (DIA) impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili fino ad 1 MW di potenza, è stata dichiarato, però, illegittimo dalla Corte Costituzionale497, la quale ha sancito In particolare la DIA si applica nei seguenti casi: a) impianti fotovoltaici posti su edifici, esistenti o da costruire, con destinazione civile, industriale, agricola, commerciale e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati civili, industriali, agricoli, commerciali e servizi; b) impianti fotovoltaici in zona agricola, a condizione che l’area asservita all’intervento sia estesa almeno due volte la superficie radiante. La superficie non occupata dall’impianto deve essere destinata esclusivamente a uso agricolo. Gli impianti collocati a terra in un’area agricola costituita da terreni appartenenti a unico proprietario, ovvero costituita da più lotti derivanti dal frazionamento di un’area di maggiore estensione, effettuato nel biennio precedente alla domanda, ai fini del calcolo della potenza elettrica massima per ricorrere alla procedura di DIA, sono considerati come un unico impianto; c) impianti eolici on-shore realizzati direttamente dagli enti locali, nonché quelli finalizzati all’autoconsumo costituiti da un solo aerogeneratore; d) impianti idraulici; e) impianti alimentati a biomassa posti internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati industriali, agricoli, commerciali e servizi, fermi restando i vincoli di cui all’articolo 2, comma 4, per gli impianti ricadenti in zone agricole; f) impianti alimentati a gas di discarica, posti internamente alla stessa discarica, esistente o da costruire; g) impianti alimentati a gas residuati dai processi di depurazione, posti internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati industriali, agricoli, commerciali e servizi; h) impianti alimentati a biogas, posti internamente a complessi, esistenti o da costruire, di fabbricati industriali, agricoli, commerciali e servizi. 497 Cfr. Corte cost., sent. n. 119 del 2010, la quale statuisce nella parte motiva come «La costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse, sono soggetti all’autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 3, del d.lgs. 496 188 l’invalicabilità dei confini definiti dalla normativa statale in ordine alle procedure per il rilascio dei titoli abilitativi alla costruzione e all’esercizio degli impianti di energia da fonti rinnovabili, ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003. Nello specifico, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 119 del 2010 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale pugliese n. 31 del 2008, evidenziando come alla Regione quest’ultima non fosse attribuito il potere di introdurre autonomamente procedure autorizzatorie semplificate per impianti di potenza superiore alle soglie minime previste dall’allegato A del d.lgs. n. 387 del 2003. Questa statuizione della Corte Costituzionale ha rappresentato uno spartiacque nel contesto qui esaminato, recando con sé un’impostazione di carattere generale volta a calmierare le velleità interpretative delle Regioni in materia di procedure semplificate. n. 387 del 2003). Sussiste una procedura autorizzativa semplificata in relazione agli impianti con una capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile: agli impianti rientranti nelle suddette soglie si applica la disciplina della DIA, di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), da presentare al Comune competente per territorio. La norma regionale censurata – per alcune tipologie di impianti specificamente elencati, per la produzione di energia da fonti rinnovabili, non solo solare ed eolica, ma anche per impianti idraulici, a biomassa e a gas – ha previsto l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003. Riguardo alle ipotesi di applicabilità della procedura semplificata di DIA in alternativa all’autorizzazione unica, è riconoscibile l’esercizio della legislazione di principio dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato, per esigenze di uniformità, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale (sentenza n. 383 del 2005); ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di procedure semplificate (in tal senso le sentenze n. 336 del 2005, in materia di comunicazioni elettroniche, e n. 62 del 2008 in materia di smaltimento rifiuti)». La norma regionale è allora illegittima, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente: la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 va limitata ai commi 1 e 2. V. FIENGA S., Energia da fonti rinnovabili e procedure autorizzatorie, (nota a Corte Cost. n. 119/2010), in Ambiente & Sviluppo, 7, 2010. V. anche CANCELLARO M., Le fonti rinnovabili nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale: problematiche e soluzione giuridiche, in Ambientediritto.it, 20 settembre 2010. 189 Difatti, al pari della Regione Puglia, anche la Regione Calabria498aveva fissato un’unica soglia al di sotto della quale il titolo autorizzativo era informato al meccanismo della denuncia di inizio attività, senza tener conto della tipologia di fonte utilizzata499. Dello stesso contenuto, erano state emanate anche leggi e provvedimenti regionali nelle Regioni Basilicata500, Sicilia501 e Molise502. Anche con riferimento a quest’ultime, la giurisprudenza della Corte Costituzionale503 ha ribadito come il favor espresso a livello comunitario per le fonti energetiche rinnovabili non può tradursi in un illegittimo mutamento dell’iter autorizzatorio, ma deve essere letto esclusivamente nell’ottica di favorire il più ampio insediamento di impianti ad energia pulita sul territorio, senza che le Regioni possano costituire un ostacolo al perseguimento di tale fine504. Con l’intento di dare atto del frastagliato quadro normativo antecedente all’emanazione delle Linee Guida nazionali, si riportano nella tabella seguente i provvedimenti adottati da ciascuna Regione e contenenti, in molti casi, disposizioni diverse per quanto riguarda le procedure autorizzative per l’installazione di impianti di fonte rinnovabile505: ABRUZZO · D.G.R. 12 aprile 2007, n. 351, modificata dalla D.G.R. 12 agosto 2008, n. 760: detta i criteri e gli Cfr. punto 2.3. allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008. Cfr. Corte cost., sent. n. 124 del 2010: la Corte si limita al riguardo a rilevare la diversità della disciplina regionale da quella statale e a ricordare che l’individuazione di soglie differenziate è consentita sulla base di uno specifico procedimento che coinvolge Stato e Regioni in applicazione del principio di leale collaborazione. Pare interessante evidenziare che la Corte riconosce rilievo esclusivo all’obiettivo di semplificare il procedimento autorizzatorio in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, cosicché vengono censurate anche previsioni che avrebbero aumentato il novero delle attività semplificate (attraverso la fissazione di una soglia di potenza superiore rispetto a quelle previste al d.lgs. 387/2003, al di sotto della quale è consentito il ricorso alla DIA). 500 Cfr. legge regionale n. 31 del 2008. 501 Cfr. delibera di Giunta 3 febbraio 2009. 502 Cfr. articolo 3, comma 1, della legge regionale n. 22 del 2009. Cfr. anche Corte cost., sent. n. 194 del 2010. 503 Cfr. Corte cost., sentt. n. 282 del 2009 e n. 124 del 2010. 504 V. FIENGA S., op.cit. 505 Schema articolato nell’ambito dell’approfondimento di GIFFONI M.A. – PETRUCCI F., Autorizzazione unica, il medioevo delle rinnovabili italiane, in Nextville.it, 10 febbraio 2010. 498 499 190 indirizzi per il rilascio dell’autorizzazione unica. E’ prevista una procedura semplificata per gli impianti fotovoltaici di potenza non inferiore a 20 KW e non superiore a 200 KW installati su: elementi di arredo urbano e viario, sulle superfici esterne degli involucri di edifici, di fabbricati e strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione, anche non integrati. · L.R. 8 marzo 1999, n. 7: attribuisce alla Regione le funzioni amministrative in materia di costruzione e di esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché i compiti di promozione delle fonti energetiche rinnovabili e delle assimilate nei settori produttivi. La Regione non detta una disciplina per l’autorizzazione unica. · L.R. 29 dicembre 2008, n. 42: detta le norme in materia di autorizzazione unica. L’autorizzazione unica è rilasciata dalla Regione. Per gli impianti inferiori alle soglie indicate nell’allegato A, in luogo dell’autorizzazione unica, si presenta la DIA. · D.G.R. 20 marzo 2009 n. 500: detta le Linee Guida per il procedimento di autorizzazione unica. L.R. 30 gennaio 2008, n. 1: stabilisce che, in attesa dell’approvazione del Piano energetico ambientale regionale, sono soggetti a procedimento semplificato gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con fonti rinnovabili della potenza uguale o inferiore a: 100 KW elettrici per installazioni fotovoltaiche su tetti di copertura; 5.000 KW elettrici per impianti alimentati a biomasse vegetali liquide vergini o riciclate. BASILICATA CALABRIA · CAMPANIA · L.R. 24/2006: Spettano alla Regione, d’intesa con gli enti locali interessati, le funzioni amministrative in merito alle autorizzazioni, alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia di potenza superiore a 50 MW termici alimentati da fonti rinnovabili. Sotto la soglia dei 50 MW, la competenza spetta alle Province. La Regione non detta norme in materia di procedimento di autorizzazione unica. · L.R. n. 30 del 2002: attribuisce ai Comuni il rilascio delle autorizzazioni relative all’installazione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti rinnovabili con potenza EMILIA ROMAGNA FRIULI VENEZIA GIULIA 191 inferiore a 10 MW termici. Per impianti con potenza tra i 10 MW e i 25 MW termici i Comuni esercitano le funzioni amministrative in forma associata o mediante delega alle Province. Per impianti con potenza superiore a 25 MW e fino a 50 MW termici la competenza al rilascio delle autorizzazioni è della Provincia, mentre per impianti con potenza superiore a 50 MW termici la competenza è della Regione. IL Friuli Venezia Giulia non detta norme regionali in materia di autorizzazione unica degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. · LAZIO · · LIGURIA · · · LOMBARDIA · MARCHE L.R. n. 14 del 1999: assegna alle Province le funzioni amministrative in materia di autorizzazione unica. D.G.R. 18 luglio 2008, n. 517: detta le Linee Guida. Sono riservate alla Regione le azioni dirette alla riduzione dei consumi energetici, razionalizzazione e di efficienza energetica; allo sviluppo ed all’uso delle fonti rinnovabili di energia. L.R. 29 maggio 2007, n. 22: detta le disposizioni in materia di autorizzazione unica, con delega alle Province per il rilascio del provvedimento. D.G.R. 5 settembre 2002, n. 966: individua le zone non idonee alla realizzazione di impianti eolici e stabilisce i requisiti minimi che i progetti devono contenere ai fini della mitigazione dell’impatto ambientale. L.R. 12 dicembre 2003, n. 26: delega alle Province la competenza amministrativa in materia di autorizzazione unica. D.G.R. 25 novembre 2009, n. 8/10622: detta regole semplificate per la costruzione di impianti fotovoltaici parzialmente o totalmente integrati e singoli generatori eolici con altezza complessiva inferiore a 1,5 m. e diametro non superiore a 1 m. costituiscono, a seconda dei casi, attività di edilizia libera o manutenzione straordinaria. Come tali sono soggette a semplice comunicazione o DIA senza alcun limite di soglie di potenza. L.R. n. 10 del 1999: delega alle Province le funzioni amministrative per il suo rilascio. La Regione Marche non detta una disciplina regionale sull’autorizzazione unica. 192 · D.G.R. 16 novembre 2009, n. 1074: sono approvate nuove Linee Guida. Gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con capacità di generazione non superiore a 1 MW elettrico sono autorizzati dai Comuni competenti per territorio secondo le procedure semplificate stabilite dalle Linee Guida regionali. · L.R. n. 44 del 2000 e L.R. n. 23 del 2002: affidano alle Province la competenza in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia non riservati alla competenza statale. La Regione non detta una normativa regionale in materia di Autorizzazione Unica. · D.G.R. 23 gennaio 2007, n. 35: detta la disciplina in materia di autorizzazione unica. D.G.R. 7 maggio 2007, n. 429: detta alcuni criteri di priorità nella valutazione delle domande di autorizzazione unica. L.R. 21 ottobre 2008, n. 31: detta ulteriori norme semplificative. MOLISE PIEMONTE PUGLIA · · · L.R. 7 agosto 2009, n. 3: stabilisce che, in attesa dell’approvazione di una legge regionale che disciplini in modo organico la materia, l’autorizzazione unica è rilasciata dalle Province. La Regione non detta una normativa in materia di autorizzazione unica. · La Regione non detta una disciplina regionale in materia di autorizzazione unica. · L.R. 24 febbraio 2005, n. 39: detta misure in materia di autorizzazione unica. D.G.R. 31 marzo 2008, n. 235: precisa gli ambiti di operatività dell’autorizzazione unica, dopo le modifiche alla disciplina nazionale apportate dalla Finanziaria 2008. L.R. 23 novembre 2009, n. 71: ridefinisce i compiti degli Enti locali in materia di energia. SARDEGNA SICILIA · TOSCANA · TRENTINO ALTO ADIGE Provincia di Bolzano · D.P.P. 28 settembre 2007 n. 52: detta criteri per l’autorizzazione nel verde agricolo di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, salva la valutazione architettonica, paesaggistica e in materia di 193 tutela dei beni culturali. Impianti geotermici possono essere autorizzati senza limite di potenza e indipendentemente dalla destinazione urbanistica dell’area. Provincia di Trento · L.P. 6 marzo 1998, n. 4, come modificata dalla L.P. 29 dicembre 2005, n. 20: stabilisce le disposizioni attuative dell’articolo 6 della direttiva 2001/77/CE, concernente le procedure amministrative applicabili agli impianti per la produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili. · UMBRIA · · VALLE D’AOSTA · · VENETO · L.R. 18 febbraio 2004, n. 1: dapprima la legge delegava la competenza all’autorizzazione unica al Comune (caso unico in Italia). In seguito alle disposizioni limitative della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007), la Regione ha attribuito la competenza alla Provincia. D.G.R. 19 maggio 2008, n. 561: regola i criteri e le modalità per lo svolgimento del procedimento unico. L.R. 14 ottobre 2005, n. 23: detta disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative. Alla Giunta regionale è demandato ogni altro aspetto connesso al provvedimento autorizzatorio. D.G.R. 10 febbraio 2006, n. 343: detta le disposizioni di dettaglio. D.G.R. 8 agosto 2008, n. 2204: detta disposizioni in materia di autorizzazione unica. La competenza è comunale per gli impianti con potenza inferiore a: 20 KW per il fotovoltaico; 60 KW per l’eolico; 100 KW per l’idroelettrico; 200 kW per le biomasse; 250 kW per il biogas. Al di sopra di queste soglie la competenza è comunale se non servono autorizzazioni di altre amministrazioni (Valutazione di impatto ambientale, concessioni di derivazioni d’acqua, nulla osta della Soprintendenza, ecc.), altrimenti è regionale. La delibera è stata aggiornata con D.G.R. 5 maggio 2009, n. 1192. D.G.R. 19 maggio 2009, n. 1391: detta ulteriori precisazioni per il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di energia da biomassa e biogas da produzioni agricole, forestali e zootecniche. 194 · · 5. D.G.R. 4 agosto 2009, n. 2373: detta le procedure per l’autorizzazione unica di competenza regionale per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici ed eolici. Sono state dettate anche alcune precisazioni sull’autorizzazione per impianti eolici e fotovoltaici di competenza comunale. L.R. 22 gennaio 2010, n. 10: detta disposizioni in materia di autorizzazioni e incentivi per la realizzazione di impianti solari termici e fotovoltaici sul territorio della Regione del Veneto. Approvazione delle Linee Guida nazionali e regionali. La disomogeneità della disciplina in materia di fonti rinnovabili su tutto il territorio nazionale derivata dall’assenza delle Linee Guida ha dato luogo, in tempi più recenti, alla necessità di creare a livello nazionale un sistema coordinato di regole applicabili a tutte le Regioni. A tal fine, nel 2010, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente ed il Ministero per i beni e le attività culturali ha predisposto le Linee Guida nazionali per «l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»506, cosi come previste dall’articolo 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003. D’altronde, l’urgenza dell’emanazione di tali Linee Guida era già stata segnalata dall’Autorità Antitrust507, la quale aveva evidenziato la necessità di «promuovere un’evoluzione concorrenziale del settore, indispensabile peraltro al raggiungimento degli obiettivi assegnati all’Italia in sede comunitaria per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili». L’Autorità rilevava come l’elevato grado di autonomia che le Regioni si erano illegittimamente riservate negli ultimi anni aveva determinato diverse distorsioni nel mercato della produzione e distribuzione di energia elettrica, che si concretizzava in particolare: nella moltiplicazione e nella mancanza di chiarezza sui centri decisionali demandati al rilascio dell’autorizzazione unica tra Regioni, Cfr. più volte citato decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, pubblicato in G.U. n. 219 del 18 settembre 2010. 507 Cfr. segnalazione n. AS680 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, cit. 506 195 Province e Comuni508; nell’incertezza dei tempi del procedimento autorizzatorio; restrizioni dirette nell’accesso al mercato ovvero limitazioni quantitative all’installazione degli impianti; nelle limitazioni indirette all’accesso al mercato, quali richieste, difformi da Regione a Regione, di ulteriori requisiti/documentazione non previsti dalla normativa primaria di riferimento (requisiti soggettivi e/o attinenti all’organizzazione del proponente, imposizione di misure volte a favorire l’economia locale) e nell’imposizione di oneri economici (oneri di istruttoria, fideiussioni per il ripristino dei luoghi, misure di compensazione) ingiustificati o comunque eccessivi per il proponente; nella subordinazione dell’autorizzazione unica ad atti o pareri aggiuntivi non previsti dalla normativa primaria. Con l’emanazione delle Linee Guida ad opera del D.M. 10 settembre 2010, vengono finalmente enucleate regole uniformi, le quali stabiliscono l’elenco degli atti che rappresentano i contenuti minimi indispensabili per superare positivamente l’iter autorizzativo e chiariscono le procedure che ogni impianto, in base alla fonte e alla potenza installata, deve seguire per ottenere l’autorizzazione509. Contestualmente, viene conferito alle Regioni il potere di adeguare le rispettive discipline regionali al contenuto delle Linee Guida, entro il termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore delle stesse510, decorso inutilmente il quale le Linee Guida nazionali si applicano direttamente alle Regioni inadempienti. Pertanto, le Regioni, tra la fine di dicembre 2010 e l’inizio di gennaio 2011, hanno emanato numerosi provvedimenti regionali, volti a recepire le indicazioni provenienti dalle Linee Guida nazionali, in alcuni casi individuando le aree inidonee alla installazione degli impianti o introducendo norme integrative della Si ricorda che nelle more dell’emanazione delle Linee Guida nazionali, molte Regioni avevano prodotto Linee Guida regionali, che a loro volta avevano delegato alle province le competenze autorizzatorie per gli impianti di piccola taglia. 509 V. MARANGONI A., op.cit. 510 In data 3 ottobre 2010. 508 196 disciplina dei procedimenti autorizzativi, in altri invece limitandosi a prendere atto delle disposizioni statali511. Nel primo ordine di interventi legislativi si segnalano Emilia Romagna, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta, nonché la Provincia autonoma di Bolzano, le quali hanno vietato – seppur con qualche eccezione – la costruzione di impianti fotovoltaici nelle aree interessate da vincoli paesaggisticoambientali o storico-artistici512. Altre Regioni, come Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Puglia, Toscana, Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano, hanno introdotto particolari disposizioni procedurali integrative delle norme nazionali, disciplinando ad esempio la fideiussione per la dismissione dell’impianto e particolari oneri istruttori (Calabria, Marche, Puglia, Toscana), le distanze minime tra impianti ai fini dell’assoggettabilità alle procedure di «screening» ambientale e VIA (Marche e Toscana), ovvero i contenuti minimi della domanda di autorizzazione unica (Calabria), o ancora la sottoscrizione di atti di impegno nei confronti del Comune (Puglia) o le competenze dei vari enti che intervengono nella conferenza di servizi (Campania). Infine, altre Regioni, come Abruzzo, Calabria, Lazio, si sono limitate a «recepire» in toto le Linee Guida nazionali, constatando la conformità della normativa regionale vigente alle nuove disposizioni, ovvero rinviando a successivi provvedimenti il coordinamento e l’adeguamento della disciplina regionale alle norme statali. 5.1. Situazione attuale. A seguito dell’emanazione delle Linee Guida nazionali è intervenuto anche il decreto legislativo n. 28 del 2011, che ha modificato e integrato quanto già V. RECLA J., Autorizzazione unica in 90 giorni (ma la Via è a parte) e comunicazione per il solare, in Edilizia e Territorio, 15-16, 2011. 512 Ad esempio: zone ricadenti in ambiti SIC/ZPS/PUTT, zone di particolare interesse paesaggistico individuate dai PTPR/PTCP, ecc..; ovvero nelle aree agricole con particolari caratteristiche:come, elevata capacità d’uso dei suoli, destinazione alla produzione di prodotti DOCG E DOC. 511 197 stabilito dalle Linee Guida in merito agli iter procedurali per l’installazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. In particolare, come già ampiamente trattato nei paragrafi precedenti, il decreto in questione ha sostituito la denuncia di inizio attività (DIA) con la procedura abilitativa semplificata (PAS) e, al contempo, ha conferito alle Regioni la possibilità di ampliare il campo di applicazione di tale strumento autorizzativo semplificato ad impianti di potenza fino a 1 MW. Con il d.lgs. n. 28 del 2011 si ha dunque un’inversione di tendenza rispetto al passato: oggi le Regioni possono elevare la soglia di potenza. In ogni caso, è fatto salvo il potere delle Regioni di escludere dalla PAS gli impianti che, sebbene rientrino nella soglia di potenza indicata, necessitano per una completa autorizzazione di nullaosta ambientali o paesaggistici di competenza di amministrazioni diverse dal Comune. In tali casi, le Regioni possono imporre l’assoggettamento dell’impianto all’autorizzazione unica. In via esemplificativa, si riportano nella tabella seguente i provvedimenti regionali adottati a seguito delle Linee Guida nazionali e del d.lgs. n. 28 del 2011 attualmente in vigore513: · · ABRUZZO · · L.R. n. 27 del 2006: disposizioni in materia ambientale (art. 4). D.G.R. 12 aprile 2007, n. 351 e s.m.i.: d.lgs. n. 387/03 concernente attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità. D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 1032: attuazione delle Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui al DM 10 settembre 2010. D.G.R. 28 dicembre 2012, n. 931: procedura Dal documento di studio redatto dalla società GSE, Regolazione regionale della generazione elettrica da fonti rinnovabili, aggiornamento al 31 dicembre 2013, in Gse.it, marzo 2014. 513 198 abilitativa semplificata ai sensi dell’art.6 del d.lgs. n. 28/2011 - criteri specifici. · · BASILICATA · · · CALABRIA · · · CAMPANIA · · L.R. 19 gennaio 2010, n. 1: norme in materia di energia e Piano di indirizzo energetico regionale d.lgs. n. 152/2006 – L.R. n.9 del 2007 (art. 3). D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 2260: L.R. 19 gennaio 2010 n. 1, art. 3 - approvazione disciplinare e relativi allegati tecnici. D.G.R. 15 febbraio 2011, n. 191: L.R. n. 1 del 2010, art. 4, c. 2 - approvazione dei criteri di preliminare ammissibilità dei progetti. L.R. 26 aprile 2012, n.8 e s.m.i.: disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. L.R. 29 dicembre 2008, n. 42 e s.m.i.: misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili. D.G.R. 29 dicembre 2010, n. 871: Linee Guida nazionali per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili approvate con il DM 10 settembre 2010. adempimenti. D.G.R. 30 ottobre 2009, n. 1642 e s.m.i.: norme generali sul procedimento in materia di autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. D.D. 18 febbraio 2011, n. 50, D.D. 28 settembre 2011, n. 420 e D.D. 26 ottobre 2011, n. 516: art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003: costruzione ed esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile. Criteri procedurali. D.G.R. 8 agosto 2013, n. 325: disciplina di completamento in materia di autorizzazioni energetica. EMILIA ROMAGNA · L.R. 23 dicembre 2012, n. 26 e s.m.i.: disciplina della programmazione energetica territoriale ed altre disposizioni in materia di energia (art.16). R.R. 16 marzo 2012, n. 1: regolamento delle procedure autorizzative relative alla costruzione ed esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica di competenza regionale (art. 22). FRIULI · L.R. 11 ottobre 2012, n. 19: norme in materia di 199 VENEZIA GIULIA energia e distribuzione dei carburanti (artt. 12 -15). · D.G.R. 19 novembre 2010, n. 520: revoca delle deliberazioni di Giunta regionale n. 517 del 2008 e n. 16 del 2010 inerenti l’approvazione e la modifica delle Linee Guida regionali per lo svolgimento del procedimento unico, relativo alla installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, di cui al d.lgs. n. 387 del 2003. · L.R. 6 giugno 2008, n. 16 e s.m.i.: disciplina dell’attività edilizia (artt. 21, 23 e 29). L.R. 5 aprile 2012, n. 10: disciplina per l’esercizio delle attività produttive e riordino dello sportello unico (art. 9 e all. 2). D.G.R. 21 settembre 2012, n. 1122: approvazione delle Linee Guida per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. LAZIO · LIGURIA · · LOMBARDIA · · MARCHE MOLISE · · D.G.R. 18 aprile 2012, n. IX/3298: Linee Guida regionali per l’autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili mediante recepimento della normativa nazionale in materia. D.D. 6 dicembre 2013, n. 11674: approvazione della modulistica per la presentazione della richiesta di autorizzazione unica per la costruzione, installazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili di cui al punto 3.5 della D.G.R. n. 3298 del 2012. D.G.R. 8 marzo 2011, n. 255: DM 10 settembre 2010 del Ministro dello Sviluppo Economico recepimento delle Linee Guida nazionali per l’autorizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. D.G.R. n. 13 del 2010: individuazione delle aree non idonee di cui alle Linee Guida previste dall’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 per l’installazione di impianti fotovoltaici a terra e indirizzi generali tecnico amministrativi - legge regionale 4 agosto 2010, n. 12. D.G.R. 4 agosto 2011, n. 621: Linee Guida per lo svolgimento del procedimento unico di cui all’art. 200 · · PIEMONTE · · PUGLIA · 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 per l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sul territorio della Regione Molise. L.R. 7 agosto 2009, n. 22 e s.m.i. e L.R. 23 dicembre 2010, n. 23: nuova disciplina degli insediamenti degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Molise. D.G.R. 30 gennaio 2012, n. 5-3314: indicazioni procedurali in ordine allo svolgimento del procedimento unico di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, relativo al rilascio dell'autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile. D.G.R. 19 marzo 2012, n. 29-353: procedimenti autorizzativi per la realizzazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte rinnovabile di potenza superiore a 5 MW elettrici. D.G.R. 28 dicembre 2010, n. 3029: approvazione della disciplina del procedimento unico di autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica. L.R. 24 settembre 2012, n. 25: regolazione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. · D.G.R. 1 giugno 2011, n. 27/16 e s.m.i.: Linee Guida attuative del DM 10 settembre 2010, Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. · D.P. 26 aprile 2012, n. 38: regolamento recante norme di attuazione dell’art. 105, c. 5, della L.R. n. 11 del 2010. D.P. 18 luglio 2012, n. 48: regolamento recante norme di attuazione dell’articolo 2, commi 2-bis e 2ter, della L.R. n. 10 del 1991 e s.m.i., per l’individuazione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del dipartimento regionale dell’energia. D. Assessorato Energia 17 maggio 2013: disposizioni per la definizione dei procedimenti di autorizzazione unica di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e successive SARDEGNA · SICILIA · 201 · · TOSCANA TRENTINO ALTO ADIGE UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO 6. modifiche ed integrazioni. D. Assessorato Energia 12 agosto 2013: approvazione del calendario per tipologia tecnologica e ordine cronologico delle Conferenze dei servizi - tecnologia eolica e tecnologia fotovoltaica. L.R. 21 marzo 2011, n. 11: disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche alla L.R. 24 febbraio 2005, n. 39 (disposizioni in materia di energia) e alla L.R. 3 gennaio 2005, n. 1 (norme per il governo del territorio). Provincia di Bolzano · L.P. 11 agosto 1997, n. 13: legge urbanistica provinciale (art. 44-bis). · D.P.P. 28 settembre 2007, n. 52 e s.m.i.: regolamento di esecuzione alla legge urbanistica provinciale, legge provinciale 11 agosto 1997, n.13, art. 44-bis, c. 3 – impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. · L.P. 7 luglio 2010, n. 9 e s.m.i.: disposizioni in materia di risparmio energetico e energia rinnovabile (artt. 1-bis, 1-ter e 1-quater). Provincia di Trento · L.P. 4 ottobre 2012, n. 26 e s.m.i.: legge provinciale sull’energia e attuazione dell’art. 13 della direttiva 2009/28/CE (art. 22). · R.R. 29 luglio 2011, n. 7 e s.m.i.: disciplina regionale per l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. · L.R. 1 agosto 2012, n. 26: disposizioni regionali in materia di pianificazione energetica, di promozione dell’efficienza energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili (artt. 39 - 49). · D.G.R. 2 marzo 2010, n. 453 e s.m.i.: competenze e procedure per l’autorizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Considerazioni di sintesi. I procedimenti autorizzatori descritti e creati ad hoc dal Legislatore italiano, su impulso di quello comunitario, per la realizzazione degli impianti di energia 202 alternativa, appaiono prima facie innovatori rispetto a quelle forme autorizzatorie già note. Basti pensare alla PAS, introdotta per la prima volta nell’ordinamento con il d.lgs. n. 28 del 2011. Tuttavia, ad uno sguardo più attento, partendo dalle premesse di carattere generale svolte all’inizio del presente capitolo, emerge chiaramente come le legislazioni moderne non abbiano introdotto novità sostanziali nell’ambito dei procedimenti amministrativi, ed in particolare in quei procedimenti regolatori dell’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia. Essi hanno, al più, perfezionato tipi di procedimenti già noti. La caratteristica precipua degli strumenti autorizzativi introdotti è il ricorso alla semplificazione. L’interesse alla semplificazione, promosso in primis dal Legislatore europeo, non viene però in considerazione come interesse pubblico autonomo e meritevole di tutela in quanto tale, ma rileva come volano necessario per il raggiungimento di quegli obiettivi posti a livello comunitario e internazionale sulla diversificazione delle fonti energetiche. L’introduzione di semplificazioni amministrative procedurali ha una vera e propria finalità incentivante (che poi è la stessa, come vedremo, dei regimi di incentivo), cioè favorire il compimento di attività virtuose a beneficio dell’ambiente. Questa impostazione della semplificazione, come valore non a sé stante, d’altronde, non è nuova neanche nel nostro ordinamento nazionale, laddove – come già anticipato – la semplificazione si riconnette con il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, nel momento in cui garantisce il rispetto di quel canone di efficienza dell’attività amministrativa, che richiede che l’amministrazione agisca in tempi certi e rapidi, senza inutile aggravio delle procedure. Il principio costituzionale del buon andamento si compone, però, anche del canone dell’efficacia dell’attività amministrativa, che in raccordo con l’efficienza, impone all’amministrazione il contemperamento di tutti gli interessi pubblici coinvolti in un procedimento attraverso una particolare attenzione rivolta unicamente ai suoi risultati sostanziali. In ragione di questo equilibrio tra efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa a cui deve tendere la pubblica amministrazione nel perseguimento del suo «buon andamento», si pone allora il problema se le semplificazioni 203 introdotte in tema siano idonee a realizzare gli obiettivi prefissati, senza produrre al contempo un sacrificio irragionevole dell’istruttoria procedimentale, a discapito di un’adeguata considerazione degli interessi costituzionalmente coinvolti nel procedimento autorizzatorio diretto all’installazione degli impianti di energia rinnovabile, ed in particolare di quello ambientale. Al riguardo, per poter compiutamente rispondere al problema posto, occorre preliminarmente fare memoria delle garanzie procedurali e motivazionali che sono state introdotte nel procedimento de quo; si pensi a quanto già detto in ordine alla Conferenza di servizi e al procedimento di valutazione di impatto ambientale. Queste garanzie, infatti, sembrano già di per sé realizzare una semplificazione procedurale apprezzabile. In secondo luogo, non va trascurato un dato di fondamentale importanza, e cioè la rilevanza dell’interesse costituzionale del bene ambientale in tali procedimenti. Se è vero, infatti, che laddove ricorra un interesse ambientale, la disciplina generale del procedimento amministrativo riconosce a quest’ultimo il valore di limite alla semplificazione amministrativa, tant’è che spesso gli istituti c.d. di semplificazione – quali la Conferenza di servizi, la SCIA, o il silenzioassenso – trovano un’applicazione assai prudente, per non dire che in alcuni casi vengono addirittura disapplicati; è vero anche però che nei procedimenti di installazione degli impianti di energia rinnovabile, la tutela ambientale permea lo stesso procedimento, o per lo meno il conflitto con esso è notevolmente attenuato, per cui l’ambiente non si può più considerare come limito intrinseco alla semplificazione, ma semmai come fattore propulsivo, nella misura in cui il procedimento stesso è finalizzato alla diversificazione delle fonti energetiche e, quindi, alla tutela dell’ambiente. Se così è, allora, le ragioni per cui le semplificazioni procedurali introdotte dal nostro Legislatore non hanno permesso, di fatto, un adempimento degli obblighi imposti dalla disciplina europea sono da rinvenire non tanto nei limiti di tali semplificazioni ma, piuttosto, nei difetti e nelle carenze di quella disciplina «a monte» della fase procedimentale. Tra queste, come ampiamente trattato nel primo capitolo, si annoverano i ritardi nell’emanazione della Strategia energetica nazionale e nella definizione delle Linee Guida nazionali, che – come dimostrano le tabelle riepilogative – hanno dato luogo ad una proliferazione di atti e 204 provvedimenti da parte delle singole Regioni, che oltre a creare poca chiarezza, hanno generato, in molti casi, anche una notevole disparità di trattamento. Ciò, d’altronde, è confermato anche dalle richiamate sentenze della Corte Costituzionale cha ha, in più occasioni, «bocciato» le normative regionali emanate in materia energetica nelle more delle indicazioni statali. Tuttavia, non pare che la recente adozione delle Linee Guida nazionali nel 2010 abbia risolto, in verità, il problema. Quest’ultime, infatti, non sono esenti da critiche, in quanto risultando poco chiare e, per alcuni aspetti, addirittura, ambigue non si presentano come strumento utile per indirizzare le Regioni nell’emanazione delle proprie Linee Guida e funzionali ad operare un adeguato contemperamento tra le esigenze di sviluppo e valorizzazione del mercato energetico, da un lato, e la tutela dell’ambiente e del paesaggio, dall’altro. Di fatto, quindi, le Linee Guida nazionali, nella loro attuale formulazione, tradiscono la finalità stessa per la quale sono state previste ed emanate, ossia quella di offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento. In estrema sintesi, alla luce delle considerazioni effettuate, è auspicabile allora un intervento chiarificatore sulle Linee Guida da parte del Legislatore statale. Laddove un tale intervento non intervenisse in tempi brevi, è del tutto prevedibile che anche le normative regionali di attuazione delle Linee Guida nazionali, al pari delle discipline regionali adottate nelle more dell’emanazione delle medesime, subiranno la ghigliottina della Corte costituzionale. 205 206 CAPITOLO III Il sistema di incentivazione e promozione delle energie rinnovabili SOMMARIO: 1. Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili 1.1. L’attività di incentivazione 1.2. La natura giuridica di incentivo 2. Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili 2.1. La tariffa CIP 6/92 2.2. I certificati verdi 2.3. La tariffa omnicomprensiva 2.4. Il Conto Energia 2.4.1. Il primo Conto Energia 2.4.2. Il secondo Conto Energia 2.4.3. Il terzo Conto Energia 2.4.4. Il quarto Conto Energia 2.4.5. Il quinto Conto Energia 2.5. Il nuovo sistema delle aste 2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro dedicato 3. Criticità dell’attuale sistema di incentivazione 3.1. La lesione del principio del legittimo affidamento come corollario della mancanza di certezza normativa: il particolare caso del fotovoltaico in Italia 4. Analisi comparata: l’esperienza spagnola e tedesca 4.1. Spagna 4.2. Germania 5. Considerazioni di sintesi. 1. Le politiche di incentivazione per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Il presente capitolo si propone di analizzare le politiche incentivanti promosse dall’Italia in materia di fonti energetiche rinnovabili, al fine di verificarne la loro idoneità per un effettivo sviluppo dell’energia verde. Se, infatti, come analizzato nei capitoli precedenti, la funzione programmatoria a livello centrale, da un lato, e gli strumenti di semplificazione amministrativa, dall’altro, rappresentano, senza dubbio, aspetti fondamentali per garantire uno «sviluppo sostenibile»; allo stesso modo, però, non può sottacersi che una politica promozionale, attraverso l’uso di strumenti incentivanti, possa essere un volano per lo sviluppo, ove ben strutturata. A tal proposito, la stessa Unione Europea, con la direttiva 2001/77/CE, ha stabilito che lo sviluppo delle fonti rinnovabili deve essere un obiettivo prioritario degli Stati membri e a tal fine ha imposto loro di porre le basi per lo sviluppo delle energie rinnovabili, anche attraverso varie forme di incentivazione. 207 I meccanismi di incentivazione rivestono, dunque, un ruolo di grande importanza e al momento appare evidente come non sia possibile prescindere da essi514. L’intervento pubblico è oggi, infatti, reso necessario dall’attuale minore competitività delle fonti rinnovabili rispetto a quelle convenzionali e gli strumenti incentivanti si rendono utili per rendere più convenienti gli investimenti da parte degli operatori economici nella costruzione di impianti da fonti rinnovabili515. La stessa Commissione Europea, in un rapporto sulle politiche e sugli strumenti normativi di promozione della produzione di energia rinnovabile516, ha relazionato sull’utilizzo dei meccanismi di sostegno economico agli investimenti in energia pulita da parte di tutti i Paesi membri, evidenziando il minore livello di competitività di tali impianti di produzione rispetto alle tecnologie convenzionali (centrali fossili e nucleari). I risultati dell’analisi, contenuti nel menzionato rapporto comunitario sulla valutazione delle politiche degli Stati membri, evidenziano, in particolare, la relazione tra il grado di realizzazione degli obiettivi quantitativi517 e l’indice di attrazione degli investimenti, a sua volta dato dal livello dei profitti attesi rispetto al KWh prodotto. Il confronto tra l’efficacia delle politiche di promozione delle rinnovabili518 e i profitti attesi dagli investimenti ha messo in evidenza come gli incentivi pubblici siano decisivi non solo per condizionare le decisioni di investimento dei privati519, ma anche per raggiungere V. SELLERI R., op.cit., 959. V. MALANDRINO O., Le fonti rinnovabili ed il ruolo dei meccanismi di sostegno, Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali Facoltà di Economia, Università di Salerno, pubblicazione del 28 maggio 2010, in Unisa.it. 516 Cfr. comunicazione SEC (2008) 57 del 23 gennaio 2008, Documento tecnico di valutazione delle politiche e degli strumenti di promozione delle rinnovabili nel settore elettrico all’interno degli Stati membri. Il documento è un aggiornamento della precedente relazione del 2005 (V. comunicazione SEC (2005) 1571 del 7 dicembre 2005, Il sostegno a favore dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili,) emanata ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2001/77/CE. 517 Misurato dal tasso medio annuo di crescita dei MW realizzati e dei corrispondenti MWh prodotti. 518 Misurata dal livello di MWh prodotti rispetto all’obiettivo programmato. 519 Più in generale, sull’incidenza della questione ambientale nelle scelte imprenditoriali, si veda DONATO F., La variabile ambientale nelle politiche aziendali: sostenibilità, economia ed ecologia, Milano, 2000. 514 515 208 gli obiettivi nazionali di emissione fissati dalla normativa comunitaria520. A conferma di ciò, i trend di crescita degli investimenti e i dati relativi alla nuova capacità installata di fonti rinnovabili a livello mondiale ed europeo registrati negli ultimi anni ne sono stati un chiaro esempio521. In tempi moderni, tra l’altro, anche in considerazione dell’emergere nell’opinione pubblica di una nuova sensibilità nei confronti dei problemi dell’ambiente e delle spinte dei vari movimenti e associazioni ecologiste, gli Stati, seppur con tempistiche diverse, hanno avviato, specie nell’ultimo quindicennio522, politiche ambientali basate sulla possibilità di utilizzare strumenti di mercato a tutela dell’ambiente. Il mercato e i meccanismi concorrenziali ad esso connaturati non sono più visti, come accadeva in passato, come un nemico per l’ambiente523. Anzi, nasce l’idea che ambiente e mercato costituiscano due nozioni non ineluttabilmente in contraddizione524 e, sia a livello internazionale, comunitario che nazionale, sono V. ARDOLINO D., L’intervento pubblico nel settore energetico: l’incentivazione della produzione da fonti energetiche rinnovabili, in Innovazione & Diritto, 2009. 521 Basti considerare che a livello europeo, sia nel 2008 che nel 2009, nel settore elettrico, le nuove installazioni che utilizzano fonti energetiche rinnovabili hanno superato quelle basate su fonti convenzionali. In particolare, la prima fonte di energia in assoluto in termini di nuove installazione, nel 2009, è stata quella eolica seguita dal fotovoltaico, che ha raggiunto una capacità complessiva installata di quasi il 10 GW, circa la metà dei 22 GW installati a livello mondiale. Si veda, sul punto, MALANDRINO O. – SICA D., Il contributo dei meccanismi di incentivazione all’affermazione delle fer nel paradigma energetico nazionale, in Esperienze d’impresa, 2, 2011, 69 s. L’entusiasmo per i risultati degli investimenti descritti tuttavia si scontra con l’attuale situazione energetica nazionale che, alla luce dei recenti impegni assunti a livello comunitario (direttiva 2009/28/CE) – che prevedono una copertura del 17% di consumi finali con energia prodotta da fonti rinnovabili – richiede l’individuazione di un’adeguata strategia tesa a rimuovere le numerose barriere, che a tutt’oggi, ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. 522 Dal Protocollo di Kyoto del 1997 ad oggi. 523 Di regola, infatti, le imprese non si fanno carico spontaneamente delle cosiddette «esternalità negative», cioè delle emissioni inquinanti nell’atmosfera, nei fiumi e in generale nell’ambiente naturale. Né esse si preoccupano delle conseguenze di lungo periodo del depauperamento delle risorse naturali (per esempio, la deforestazione) determinato dall’approvvigionamento di materie prime necessarie per i processi produttivi. 524 Anzitutto, a livello europeo si sta affermando la consapevolezza che, almeno in determinati settori, la politica di concorrenza e le politiche ambientali debbano essere attuate in modo da puntellarsi e rafforzarsi reciprocamente. Ad esempio, nel settore dello smaltimento dei rifiuti, secondo la Direzione della concorrenza della Commissione Ue, per un verso, un mercato più efficiente e concorrenziale può costituire uno strumento per una migliore politica ambientale; per altro verso, una politica ambientale condotta attraverso l’adozione di strumenti di mercato ben congegnati può ridurre al minimo il rischio di distorsioni della concorrenza. Così, per esempio, la 520 209 state sperimentate modalità di intervento coerenti con il concetto che la tutela dell’ambiente possa essere perseguita «attraverso» il mercato, mediante la messa in opera di strumenti che fanno leva sulle dinamiche di mercato e sulle modalità di funzionamento del medesimo per promuovere la tutela dell’ambiente. Così, in alcuni casi, le politiche ambientali si avvalgono di misure autoritative (come, ad esempio, atti di pianificazione, imposizione di limiti, normative tecniche, autorizzazioni, sanzioni amministrative, etc.); in molti altri, invece, prescindono del tutto da queste ultime e lo Stato assume il ruolo di «facilitatore»525, o meglio di «regolatore»526 o, se vogliamo, di «incentivatore». La funzione di «regolazione» del mercato da parte dello Stato ha significato, a lungo, per molti giuristi italiani, studiare le possibili forme di intervento di natura pubblicistica che, per effetto della stessa forma di Stato costituzionale sociale, legittimavano i pubblici poteri ad incidere direttamente sulle scelte economiche dei soggetti privati527. Dunque, la regolazione – termine estraneo al linguaggio direttiva 2000/53/CE End of life Vehicle del 18 settembre 2000 potrebbe conseguire più agevolmente l’obiettivo ambientale del riciclo quasi integrale dei veicoli rottamati (entro il 2015 recupero e riciclo di materiali pari al 95% del peso del veicolo rottamato), se attuata dagli Stati membri attraverso soluzioni rispettose dei principi di concorrenza. Il principio cardine della direttiva è che l’ultimo proprietario del veicolo da rottamare non deve sopportare alcun costo (free take-back), che invece grava integralmente sui produttori e importatori di autoveicoli (producer responsability). Ma questo non deve tradursi in regole che favoriscono e rendono lecite intese orizzontali tra produttori e che escludano da questo particolare mercato imprese di rottamazione indipendenti dai produttori di autoveicoli. Per una panoramica degli strumenti economici di politica ambientale, cfr. MUSU I., Introduzione all’economia dell’ambiente, Bologna, 2000. 525 V. CLARICH M., La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, relazione al Convegno dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo su «Analisi economica e diritto amministrativo», Venezia, 29 settembre 2006, in Giustizia-amministrativa.it. Secondo l’Autore, in ogni caso l’applicazione anche rigorosa dei principi della concorrenza da parte della Commissione Ue e delle autorità antitrust nazionali - che costituisce, com’è noto, la forma di intervento pubblico nelle attività economiche più rispettosa della libertà di iniziativa privata tanto da essere connaturata al concetto di un mercato correttamente funzionante - non può risolvere tutti i problemi ambientali. Per attivare la concorrenza attraverso il mercato sono necessari interventi regolatori più incisivi, tali da creare i presupposti perché i meccanismi di mercato siano resi funzionali al perseguimento di obiettivi di politica ambientale. 526 V. ZATTI F., Il problema della responsabilità politica nelle «reti di regolatori» indipendenti del mercato, in Apertacontrada.it., 9 novembre 2012. 527 V. CASSESE S., Dalla sovranità pubblica sull’economia alla sovranità dell’economia sullo Stato, in ID., Il mondo nuovo del diritto, Bologna, 2008. 210 giuridico nell’esperienza di allora – era, in realtà, concepita come comando, direzione, e, al limite, controllo dell’attività economica528. Oggi, invece, la regolazione non è più concepita, soltanto, come «regolazione amministrativa»529, ma anche, amplius, come forma giuridica di tutela del principio di libera concorrenza e garanzia del mercato. Essa individua l’insieme delle discipline che mirano a reagire al fallimento del mercato e/o a garantire con l’eteronomia il mercato concorrenziale: quindi, a correggere l’asimmetria informativa tra le parti, a evitare il prodursi di esternalità negative, nonché a rimediare alle situazioni di monopolio. In particolare, la regolazione si esplica essenzialmente in forma di norme imperative che integrano il contenuto dei rapporti giuridici privati, così da disciplinare l’agire degli attori economici e orientare i loro comportamenti verso i risultati allocativi ritenuti socialmente preferibili, in quanto coerenti al paradigma concorrenziale530. In tali casi, secondo la logica economica, l’intervento pubblico trova la sua giustificazione nei fallimenti del mercato: se infatti il mercato funzionasse a dovere, l’intervento pubblico incentivante non avrebbe ragion d’essere, anzi costituirebbe una distorsione destinata a peggiorare il contesto531. Lo Stato, dunque, svolge una funzione di direzione dell’economia, che esplica attraverso atti eterogenei: sia agendo direttamente attraverso alcuni suoi organi la cui attività ha anche risvolti economici, sia ponendo in essere degli atti autoritativi, con i quali impone un certo comportamento o una determinata scelta V. GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell’economia, cit., 271 ss. V. LIBERTINI M., La regolazione amministrativa del mercato, in GALGANO F., Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1979. 530 V. ZOPPINI A., Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, in MAUGERI M. – ZOPPINI A. (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, Bologna, 2010, 9 ss. 531 E nel caso specifico del mercato delle fonti rinnovabili, ciò è avvenuto. Le ragioni che hanno allontanato il mercato dalla allocazione ottimale delle risorse sono riconducibili a: a) ragioni di carattere ambientale: se l’uso dell’ambiente è gratuito, gli impatti negativi locali, regionali, globali delle emissioni da combustibili fossili non sono considerate dai produttori come dei vincoli ovvero delle diseconomie esterne e si svantaggiano così le fonti cosiddette «pulite»; b) ragioni collegate alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico di lungo termine: è un elemento complesso da prevedere; c) l’industria delle rinnovabili è un’industria nascente (alcune fonti rinnovabili non sono ancora competitive, ma hanno tutte le potenzialità per essere competitive). Cfr. sul punto MALANDRINO O., op.cit. 528 529 211 di politica economica ai soggetti privati. A tali atti per così dire «tipici» di programmazione economica si aggiungono alcuni strumenti dal carattere non propriamente autoritativo532, ma che comunque servono a dirigere lo sviluppo dell’economia in una direzione predeterminata, ovvero a stimolare l’attività economica dei privati verso una determinata direzione prestabilita.533 Tra questi atti di programmazione economica, aventi carattere non propriamente autoritativo, rientra proprio l’attività di incentivazione534, la quale si rileva dunque come strumento attraverso il quale è possibile orientare l’attività economica privata a fini sociali, consentendo all’amministrazione di imprimere un certo indirizzo e coordinamento all’attività di diversi operatori535. 1.1. L’attività di incentivazione. L’attività di incentivazione va, dunque, inquadrata nell’ambito della funzione preminente dei pubblici poteri, consistente nella direzione dell’economia e può manifestarsi in atti eterogenei536. Circa il carattere autoritativo o meno degli ulteriori sistemi di direzione dell’economia la dottrina è divisa: alcuni come VALENTINI S., L’attività di incentivazione: tipologie e funzioni, in FERRARI C. (a cura di), La regolamentazione giuridica dell’attività economica: atti del Convegno nazionale di studi organizzato dall'Istituto di diritto pubblico della Facoltà di economia e commercio dell'Università degli studi, Torino, 13-15 giugno 1985, Milano, 1987, 237 ss. e GUARINO G., Sul regime costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo (A proposito della questione della legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 1953 n. 959 e della L. 30 dicembre 1959 n. 1254 sui sovracanoni elettrici), in Id., Scritti di diritto pubblico dell’economia e di diritto dell’energia, Milano, 1962, 125 ss. ritengono si tratti di strumenti indiscutibilmente non autoritativi ed altri, invece, come SPAGNUOLO VIGORITA V., Attività economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962 e PERICU G., La sovvenzione come strumento di azione amministrativa, Milano, 1967, 124, ss. evidenziano il ruolo autoritativo di tali strumenti. 533 V. PERICU G., op.cit. e PERICU G. – CROCI E., Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enciclopedia del diritto, XLIII, 1990, 244, sottolineano come l’utilizzo dello strumento della sovvenzione come mezzo per intervenire sull’iniziativa economica dei privati ha assunto una rilevanza sempre crescente nel nostro sistema economico-sociale non solo in ragione di precise scelte di politica economica, quanto anche per «l’aumento della domanda di tali prestazioni da parte degli stessi potenziali beneficiari». 534 Sul punto cfr. BENADUSI L., Attività di finanziamento pubblico: aspetti costituzionali ed amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1966, 924. 535 Così CARABBA M., Incentivi finanziari, in Enciclopedia del diritto, XX, 1970, 969 ss., che individua il fondamento costituzionale degli incentivi nell’articolo 41, comma 3, della nostra Carta costituzionale. 536 Cfr. VALENTINI S., op.cit., 238 ss., secondo il quale attività di incentivazione è tutto ciò che all’interno della funzione di direzione dell’economia non esplica con un tratto autoritativo. 532 212 Nel nostro ordinamento, infatti, il sistema dei mezzi di ausilio finanziario si configura in generale come un insieme complesso e disomogeneo di istituti dalle caratteristiche strutturali profondamente diverse, tuttavia accomunati dall’identità della funzione economica svolta, consistente nel determinare, da parte della pubblica amministrazione, un beneficio economico per un soggetto terzo537. Le ragioni di un sistema così eterogeneo sono facilmente individuabili e vanno prevalentemente ricercate nella struttura economico-sociale. L’utilizzo dello strumento di ausilio finanziario, come mezzo per intervenire sull’iniziativa economica dei privati, si è infatti sviluppato in un contesto in cui vi era l’impossibilità strutturale di organizzare il sistema economico secondo meccanismi programmatori a gestione centralizzata; inoltre, la rilevanza assunta dagli incentivi finanziari era alimentata, oltre che da scelte di politica economica, dall’aumento della domanda di tali prestazioni da parte degli stessi potenziali beneficiari. Di fatto, seguendo l’andamento della congiuntura economica, diversa nei vari settori produttivi e nelle diverse aree territoriali del Paese, la mano pubblica è intervenuta destinando proprie risorse finanziarie a sostegno di singole attività economiche. Ciò ha comportato necessariamente che di volta in volta il Legislatore ha creato lo strumento giuridico più opportuno in rapporto alla situazione particolare nel cui ambito è intervenuto. Da ciò ne è derivata una legislazione alluvionale, casuale e «datata» in rapporto alle contingenze particolari che l'avevano determinata538. Tale attività comunque non è un fenomeno esclusivamente italiano ma è comune alla maggioranza (se non a tutti) degli Stati europei539, e, pur trattandosi di In realtà, come osservato da ROEHRSSEN G., Incentivi in materia di lavori pubblici, in FERRARI C. (a cura di), La regolamentazione giuridica, cit., 475 ss., anche se normalmente si tende a parlare di «incentivi intesi a stimolare la attività di terzi, sui quali il soggetto incentivante non ha poteri ordinatori» non necessariamente l’attività di incentivazione deve essere rivolta a dei terzi, in quanto si può avere un’attività di incentivazione che ha lo scopo di facilitare e stimolare le attività che lo stesso Stato, nella sua veste di amministratore, pone in essere. 538 V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244 ss. 539 Risulta impossibile fornire un quadro completo e coordinato dei vari interventi di sovvenzione adottati nei Paesi europei; solo a titolo esemplificativo si possono comunque ricordare, oltre agli innumerevoli scritti attuali, anche alcuni articoli più risalenti che già fornivano un quadro più o meno chiaro dell’importanza di tale fenomeno nel tempo. Tra di essi v. CRABBE V., La Journée administrative de Maestricht, in Revue internationale des sciences administratives, 1952, 284, che sottolinea 537 213 un fenomeno antico e da sempre molto diffuso, è andato incrementandosi sempre di più nello Stato moderno, in ragione del significato sociale dell’incentivazione540. Quest’ultima, infatti, da un lato, in quanto caratteristica manifestazione dell’attività di prestazione, si ricollega alle finalità proprie dello Stato sociale, dall’altro, si rileva come strumento molto utile al fine di controllare ed insieme dirigere l’iniziativa economica privata541. La dottrina amministrativistica italiana si è interrogata a lungo sulla collocazione dogmatica di quegli atti, a vario titolo, riconducibili ad un’attività di incentivazione e consistenti in conferimenti patrimoniali del tutto gratuiti o a condizioni di particolare favore a soggetti privati542. Uno dei nodi problematici di maggiore rilevanza attiene al rapporto che si instaura tra potere pubblico e privati beneficiari. È difatti un rapporto particolarmente complesso, e per alcuni versi originale, se si considera che le decisioni della pubblica amministrazione possono essere condotte ad effetto soltanto se ed in quanto siano richieste dal privato e dallo stesso siano integralmente accettate. Ovvero sia, qualsiasi forma di incentivazione si concreta in un arricchimento del beneficiario, desiderato dallo stesso, attraverso il quale, come il bilancio belga nel lontano 1950 conteneva previsioni di spesa a titolo di sovvenzioni per circa il 30% delle spese generali dello Stato; FORSTHOFF, La Repubblica federale tedesca come Stato di diritto e Stato sociale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1956, 555 ss., il quale raccontava come nella Repubblica federale tedesca negli anni cinquanta circa il 42% dei mezzi del bilancio federale venivano distribuiti sotto forma di «rendite sociali, sussidi, sovvenzioni, etc.». 540 Un’ampia disamina delle leggi di inizio secolo in materia di sovvenzioni viene effettuata da D’ALBERGO S., Sulla struttura delle sovvenzioni, nota a Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 1957, n. 350, in Foro amministrativo, I, III, 1957, 341 ss., il quale pur evidenziando come «l’intervento dello Stato nella forma dell’attività di sovvenzionamento si è venuta bensì accentuando nella congiuntura odierna» non manca di sottolineare, avendo riguardo particolare al sistema normativo relativo alle provvidenze per le costruzioni navali, come si tratti di un fenomeno che risale «ad epoca sufficientemente remota». 541 Circa la configurazione delle sovvenzioni come strumento di controllo e di direzione dell’iniziativa economica privata cfr. AMORTH A., I contributi pecuniari concessi dallo Stato ad enti pubblici e privati, in Studi Urbinati, 1931; FRANCHINI F., Natura e limiti del controllo del Parlamento e della Corte dei Conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, in Annali facoltà di giurisprudenza dell’Università di Camerino, 1952, 107 ss.; PAPI G.U., Teoria della condotta economica dello Stato, Milano, 1956, 211 ss.; STAMMATI, Disciplina degli aiuti, in L’integrazione economica europea all’inizio della seconda tappa, Roma, 1962, 263 ss.; CAPACCIOLI E., Strumenti giuridici di formazione e attuazione dei piani, in Squilibri regionali e l’articolazione dell’intervento pubblico, Milano, 1961, 732. 542 In tema cfr. OTTAVIANO V., Alcune considerazioni in tema di cosiddetta liberalità di enti pubblici, Ragusa, 1953, 54 ss. e AMORTH A., op.cit., 18 ss. 214 insieme alle conseguenti attività che il privato realizza, la pubblica amministrazione persegue l’interesse pubblico cui è preordinata la sua azione. Il rapporto pubblico-privato si atteggia, quindi, in modo molto particolare, sia nel momento della formazione della decisione amministrativa, sia nella elaborazione della disciplina del rapporto tra pubblica amministrazione e beneficiario in un momento successivo543. Il modello utilizzato in tali casi si presenta come anomalo nella teorica dello Stato ad atto amministrativo, che si incentra sul provvedimento autoritativo capace di modificare unilateralmente la sfera giuridica dei destinatari. Il rapporto tra pubblica amministrazione e privato assume, infatti, i contorni di un rapporto positivo di collaborazione per il raggiungimento di finalità comuni, e non negativo, come è caratteristico dei provvedimenti in cui si confrontano autorità e libertà. Inoltre, l’attività di incentivazione comporta che la pubblica amministrazione valuti in termini di congruità rispetto agli scopi perseguiti l’attività economica incentivata: creando, cioè, un rapporto che va al di là dell’assentimento al provvedimento amministrativo per inserirsi nella complessità dell’attività economica svolta dai privati, comportando anche la necessità di valutare tale attività in relazione agli scopi di interesse pubblico perseguiti con la concessione dell’incentivo544. Nell’analisi di tale rapporto controverso, il confronto dottrinale si è tradizionalmente caratterizzato per l’antitesi tra posizioni di tipo privatistico e posizioni indirizzate verso una ricostruzione in termini di provvedimento amministrativo degli atti posti in essere dalle pubbliche amministrazioni. Questa contrapposizione dialettica sorge innanzitutto per il fatto che esistono atti di diritto privato, che producono effetti giuridici del tutto simili a 543 544 V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 245 s. V. PERICU G., L’attività di incentivazione, cit., 251. 215 quelli dell’atto amministrativo di incentivazione: come, ad esempio, le donazioni e, più genericamente, gli altri atti di liberalità545. Gli atti di incentivazione non possono tuttavia essere considerati atti di liberalità, in quanto in essi manca un elemento essenziale per l’esistenza stessa delle donazioni: cioè, manca la spontaneità dell’attribuzione patrimoniale gratuita546. O, come meglio definita da altri547, manca nel soggetto pubblico erogante l’elemento soggettivo tipico della liberalità (animus donandi), in quanto l’interesse pubblico diviene vera e propria causa negoziale degli atti oggettivamente posti in essere dalla pubblica amministrazione, escludendosi così l’utilizzabilità degli schemi negoziali privatistici, come quelli riconducibili al concetto di donazione. Tuttavia, negare la natura di atti di liberalità non esclude che sarebbe pur sempre lecito considerare le fattispecie oggetto di studio come sottoposte ad una regolamentazione di diritto privato, tipica dello schema contrattualistico548. Si pongono il problema in questi termini, tra gli altri, OTTAVIANO V., op.cit.; FALZONE G., op.cit.; SORACE D. – MARZUOLI C., op.cit., ipotizzano l’assimilabilità delle sovvenzioni alle figure di mutuo di scopo o della donazione modale. 546 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 153, secondo il quale malgrado l’art. 769 c.c. non riproduca la dizione dell’art. 1050 del c.c. del 1865, che qualificava la donazione come «atto di spontanea liberalità», ritiene corretto che anche oggi la spontaneità sia uno dei requisiti degli atti di liberalità. Senza dubbio, ciò è vero per tutti quegli atti di sovvenzione che sono disciplinati da una norma che autorizza il soggetto pubblico all’erogazione gratuita. Questa autorizzazione, infatti, configura nel contempo un dovere (in senso atecnico) per l’autorità amministrativa alla quale è diretta e precisamente il dovere di concedere effettivamente il beneficio, quando ricorrano le condizioni previste dalla legge. L’esistenza della noma, che conferisce il potere e congiuntamente il dovere di sovvenzionare, esclude infatti di rinvenire un momento spontaneo. Per le ipotesi in cui, invece, la concessione del beneficio avvenga in assenza di una tale autorizzazione normativa, si osserva che però in questi casi l’autorizzazione sussiste anche in maniera implicita nella stessa determinazione dei compiti istituzionali dell’ente erogante. 547 Così CARABBA M., op.cit., 965. 548 Il modello contrattualistico si propone di superare l’eccessivo di formalismo di cui si caratterizza il modello che intende ricondurre l’atto di incentivazione nello schema del provvedimento amministrativo. Tale schema, infatti, induce a snaturare le caratteristiche del rapporto che è sostanzialmente paritario e come tale più facilmente in quadrabile secondo modelli di tipo contrattuale. Ciò, a maggior ragione, oggi trova giustificazione nella condivisa ammissione che anche l’esercizio di pubbliche funzioni possa essere oggetto di contrattazione senza ritrovare in ciò alcun motivo di antigiuridicità, ma soltanto l’espressione di una scelta del Legislatore che, di volta in volta, può preferire strutturare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione secondo il modello del provvedimento, ovvero secondo quello del contratto. 545 216 In realtà, la stessa ragione posta a fondamento della non configurabilità degli atti di incentivazione come atti di liberalità, ovvero l’assenza di spontaneità, giustificata dalla presenza di una previsione normativa del potere di «incentivare», sta ad indicare che tutta la vicenda si trova al di fuori dell’ambito caratteristico dell’autonomia privata. Infatti, nell’autorizzazione legislativa si debbono rinvenire non solo gli estremi di una attribuzione di potere549, ma il radicarsi di un dovere di erogare effettivamente il beneficio. In altri termini, la norma non solo concede che vengano erogati gli ausilii economici, ma vuole che l’erogazione in concreto avvenga. Appare quindi evidente che, in tale contesto, si debba escludere l’esistenza di un margine di libertà, che abbia i caratteri dell’autonomia privata550. Ne deriva allora che gli strumenti sovvenzionatori, non essendo espressione di un potere di autonomia privata, debbano ricondursi sotto una regolamentazione di diritto pubblico e, in quanto atti di manifestazione di volontà diretti al perseguimento di un interesse concreto della pubblica amministrazione, sono inquadrabili nell’ambito dei provvedimenti amministrativi551. Anche la giurisprudenza si è espressa in maniera pressoché pacifica sulla configurazione dell’atto di erogazione della sovvenzione quale provvedimento di natura concessoria, accordato al privato al termine di un procedimento amministrativo funzionalizzato all’accertamento della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per la corresponsione del beneficio552. Il procedimento In altri termini, la norma attribuisce una vera e propria situazione giuridica soggettiva dinamica, un potere «in senso sostanziale», cfr. GIANNINI M.S., Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Rivista di diritto processuale, II, 1964, 28 ss. 550 Non si intende proporre una definizione di autonomia privata, sulla quale sono possibili diverse interpretazioni, cfr., tra gli altri, GIANNINI M.S., Autonomia (saggio sui concetti di autonomia), in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1961, 880 ss.; ROMANO S., Autonomia privata, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1956, 801 ss.; FERRI L., L’autonomia privata, Milano, 1959, 32 ss. 551 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 160 s. e ID., L’attività di incentivazione, cit., 251 s., secondo cui l’attività di incentivazione si struttura in provvedimenti amministrativi, che, pur essendo particolarmente caratterizzati sotto il profilo degli effetti che determinano, non si discostano molto dal tipico atto autoritativo. 552 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 dicembre 1976, n. 455, in Consiglio di Stato, 1976, I, 1430; Tar Lazio, sent. 19 maggio 1975, n. 203, in I Tar, 1975, I, 1197; Tar Lazio, sent. 16 giugno 1975, n. 246, ivi, 245; Tar Lazio, sent. 16 giugno 1983, n. 491, ivi, 1983, I, 1910. Peraltro raramente la giurisprudenza, nel qualificare l’atto di erogazione della sovvenzione come concessione, si è posta il problema dell'inquadramento del provvedimento nell’ambito delle categorie degli atti 549 217 amministrativo si svolge sulla base di una valutazione «discrezionale» dell’amministrazione, dove anche le attività vincolate sono sempre esplicate in vista di interessi collettivi di promozione economico-generale che vanno al di là della tutela dei singoli interessi privati. Pertanto la posizione di aspettativa dei destinatari di tali provvedimenti si configura solo in termini di interesse legittimo, la cui tutela spetta sempre al giudice amministrativo553. Attesa, dunque, la rilevanza dell’interesse pubblico rispetto a qualsiasi forma di incentivazione posta in essere da una pubblica amministrazione, deve necessariamente escludersi la sua riconducibilità ad un atto di tipo privatistico, concludendosi per un suo inquadramento in termini di espressione di una funzione pubblica.554 Rimane però da affrontare la questione sull’imperatività o dell’autoritatività degli atti amministrativi di incentivazione555. Tale questione, sollevata da Spagnuolo Vigorita556, fa perno sul concetto stesso di autoritatività quale caratteristica propria del provvedimento amministrativi. Sulla configurazione dell'atto di sovvenzione come provvedimento di natura concessoria - configurazione che potrebbe assumere importanti risvolti anche per quanto concerne l'applicabilità della norma sulla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi per i rapporti di concessione di beni e servizi pubblici (art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034) - si è espressa (in vario senso) anche la dottrina; in proposito, v. ROEHRSSEN G., op.cit., 512 ss.; SORACE D. – MARZUOLI C., op.cit., 280 ss. Tale ricostruzione in ogni caso non convince. 553 Cfr. anche Tar Lazio, sent. 20 dicembre 1988, n. 1928, in I Tar, 1988, I, 117; Corte Conti, sent. 5 marzo 1987, n. 1734, in Consiglio di Stato, 1987, I, 691; Tar Lazio, sent. 18 dicembre 1978, n. 1029, in I Tar, 1979, I, 55; Tar Sicilia, sent. 18 novembre 1986, n. 875, ivi, 1986, I, 350. La presenza in concreto di un atto giuridico dell'amministrazione per l’erogazione del beneficio non è stata comunque di ostacolo al riconoscimento di situazioni giuridiche di diritto soggettivo e alla conseguente ammissibilità dell'intervento del giudice ordinario nelle ipotesi in cui l'interesse ad una determinata prestazione pubblica risulti tutelato in modo pieno e completo direttamente da parte della legge, cosicché l’atto della pubblica amministrazione che delibera la sovvenzione possa considerarsi puramente attuativo della legge (sia nell’an che nel quantum della sovvenzione). Cfr. Cass., sent. 14 marzo 1977, n. 1009, in Giurisprudenza italiana, 1977, I, 800 e Cass., sent. 17 marzo 1977, n. 1069, ivi, 801; Cass., sez. un., sent. 26 novembre 1983, n. 7101, in Consiglio di Stato, 1986, II, 243 ss.; v. infine, in materia sostanzialmente affine, Cass., sez. un., sent. 6 dicembre 1988, n. 6634, ivi, 1988, II, 415. 554 Sul punto cfr. le considerazioni di MIELE G., In tema di atti di liberalità degli enti pubblici, in Foro amministrativo, II, 1958, 103 ss. 555 Il problema posto come conseguenza dell’accertata natura di provvedimento amministrativo delle sovvenzioni, in realtà forse andava impostato diversamente. Secondo GIANNINI M.S., Atto amministrativo, cit., è la presenza della caratteristica dell’imperatitività a qualificare un determinato atto della pubblica amministrazione come provvedimento. 218 amministrativo. Questo Autore afferma che alle sovvenzioni vada ricollegata una autoritatività minore o riflessa, in quanto esse, «pur muovendosi sul terreno del diritto pubblico, e agendo unilateralmente sull’altrui sfera giuridica, non si risolvono in comandi e vincoli inderogabili, né diretti né indiretti, ma in sollecitazioni dei comportamenti desiderati, i quali possono determinarsi appunto quale riflesso della predetta modificazione (solitamente patrimoniale)». Tuttavia, se si parte dal presupposto che l’autoritatività è la possibilità di produrre modificazioni unilaterali nella sfera altrui, e che all’imperatività di un provvedimento vadano ricollegate alcune particolari vicende, tra cui, appunto, anche la «degradazione» di diritti557 (intesa come possibilità che il provvedimento amministrativo operi l’estinzione, la perdita o la modificazione di un diritto o di una facoltà, ovvero la nascita di un obbligo) altro autorevole Autore558 sottolinea come la «degradazione» rappresenterebbe il contenuto minimo dell’imperatività dei provvedimenti amministrativi559. Si potrebbe dunque ammettere che le sovvenzioni siano provvedimenti amministrativi autoritativi, con la precisazione però che il destinatario acconsente alle modificazioni della propria sfera giuridica e che l’effetto di degradazione si realizza non nei confronti del destinatario, ma nei confronti dei terzi che risultano danneggiati dal beneficio accordato. L’attività di incentivazione, quindi, si struttura come atto amministrativo, il quale può – ma non necessariamente deve – essere accompagnato da documenti di tipo convenzionale, realizzando così un modello simile, semmai, a quello del contratto ad evidenza pubblica. Il provvedimento amministrativo, in cui si esplica V. SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 21 ss. Oltre all’esecutività ed in particolari casi l’esecutorietà, ed infine l’inoppugnabilità, cfr. sul punto, GIANNINI M.S., Atto amministrativo, cit., 187 ss. 558 V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 169 ss. 559 La cosiddetta «degradazione» non deve essere confusa né con i diritti affievoliti, né con il fenomeno dell’affievolimento. Secondo la migliore dottrina, cfr. GIANNINI M.S., Discorso generale, cit, 532, nella degradazione non si ha la trasformazione di un diritto soggettivo in un interesse legittimo, come sostengono coloro che ammettono la nozione di affievolimento, al contrario, per effetto del provvedimento amministrativo la preesistente situazione di diritto soggettivo si estingue e sorge una situazione di interesse legittimo. 556 557 219 l’attività di incentivazione, seppur quindi particolarmente caratterizzato sul piano degli effetti che determina, non si discosta molto dall’atto autoritativo560. L’analisi finora compiuta lascia intendere, però, la sussistenza di due distinte fasi dell’attività di incentivazione: la prima, che precede la decisione amministrativa di consenso per l’attribuzione del beneficio; e la seconda, successiva, attinente al rapporto giuridico che sorge in conseguenza di tale decisione. Nella prima fase, il procedimento amministrativo che precede il provvedimento va configurato come un rapporto preliminare in cui le situazioni delle parti rispecchiano le due situazioni giuridiche contrapposte di potere dell’amministrazione e di interesse legittimo del privato561. Una volta che l’amministrazione decide di emanare il provvedimento, oppure (allorché questo è vincolata nella emanazione) quando ha determinato il contenuto da assegnargli, si apre la seconda fase rappresentata dal rapporto intercorrente tra il soggetto sovvenzionante e il soggetto sovvenzionato. I provvedimenti di incentivo, infatti, danno origine ad un rapporto sinallagmatico tra la pubblica amministrazione e il soggetto privato, i cui fattori sono rappresentati dalla corresponsione della sovvenzione, da un lato, e dalla dimostrazione della sua finalizzazione alla realizzazione (anche) dell’interesse pubblico, dall’altro.562 È, dunque, dal provvedimento amministrativo (derivante dalla prima fase) che sorge, con le situazioni di diritto-obbligo, il rapporto obbligatorio, tipico della seconda fase. V. PERICU G., L’attività di incentivazione, cit., 251. Sul concetto delle sovvenzioni come strumento non autoritativo cfr. VALENTINI S., op.cit., 237 ss., il quale ritiene che l’attività di incentivazione sia tutto ciò che all’interno della funzione di direzione dell’economia non si esplichi con un tratto autoritario. Parimenti Guarino G., Sul regime costituzionale, cit., 3 e ss., riferendosi alle leggi incentivo come strumento di sovvenzione, afferma che «non è autoritaria» e motiva la suddetta affermazione spiegando come la legge incentivo «non utilizza quindi le forme tipiche di efficacia degli atti legislativi; essa non modifica la condizione giuridica dei privati senza il loro consenso, ma predispone degli effetti che si produrranno solo se e in quanto i privati, ai quali la legge è diretta, abbiano dimostrato, con una loro manifestazione di volontà esplicita, di volersene avvalere». 560 V. SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 21 ss. 561 V. CARABBA M., op.cit. 562 Sul rapporto tra sovvenzionante e sovvenzionato cfr. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 124 ss. 560 220 Anche la giurisprudenza ha ribadito che per effetto del riconoscimento del beneficio in cui si concreta la sovvenzione sorge un rapporto obbligatorio tra pubblica amministrazione e beneficiario, sostanzialmente retto dalle norme del codice civile563. Una volta sorto, il rapporto obbligatorio esce dall’ambito del diritto pubblico, e spazia interamente in quello del diritto comune; il provvedimento è costitutivo del rapporto e si esaurisce in questo564. Tuttavia, in tale ambito, sorge la necessità di definire le relazioni intercorrenti tra le obbligazioni che costituiscono il suddetto rapporto o, se si preferisce, individuare le potestà della pubblica amministrazione che possono incidere sul rapporto stesso. Nella sostanza, si pone questa alternativa: o il diritto di credito di cui è titolare il beneficiario rappresenta il corrispettivo dell’obbligo che in molte ipotesi grava sul beneficiario stesso di porre in essere determinate attività o ottenere particolari risultati (obbligo cui corrisponderebbe un diritto di credito della pubblica amministrazione), sicché, ove l’attività non venga posta in essere o i risultati non siano ottenuti, proprio in conseguenza del rapporto di corrispettività viene meno lo stesso diritto di credito ad ottenere la concreta erogazione del beneficio; ovvero il rispetto degli obiettivi di pubblico interesse, al cui raggiungimento è preordinata la concessione della sovvenzione, è rimesso a comportamenti autoritativi della pubblica amministrazione (decadenza, annullamento e revoca) che, incidendo sul rapporto obbligatorio principale, lo fanno venire meno565. Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 17 dicembre 1976, n. 455, in Consiglio di Stato, 1976, I, 1430. V. GIANNINI M.S., Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964. Il rapporto di obbligazione viene a configurarsi, così, come rispondente allo schema delle obbligazioni di diritto privato. V. anche FALZONE G., op.cit.; BARETTONI ARLERI A., Obbligazioni e obblighi pubblici e prestazioni amministrative, Milano, 1966. 565 Le risposte possibili non si ricollegano alla ricostruzione del momento genetico del rapporto obbligatorio in termini di provvedimento amministrativo o di contratto: nulla esclude che, anche ove il rapporto stesso origini da provvedimento, le obbligazioni di cui è costituito si strutturino in una relazione di corrispettività; mentre non è possibile l’ipotesi contraria, salvo diversa specifica indicazione del regolamento contrattuale. Su questo tema non ha mancato di intervenire la giurisprudenza, che lo ha esaminato particolarmente in rapporto al riparto delle giurisdizioni. Cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. VI, sent. 13 maggio 1985, n. 193, in Consiglio di Stato, 1985, I, 570; Cons. Stato, sez. II, sent. 28 aprile 1984, n. 415, ivi, 1982, I, 111 ss. 563 564 221 L'ipotesi ricostruttiva che sembra essere stata preferita è quella che tende a riconoscere l’esistenza di un potere di autotutela (in molti casi doverosa) della pubblica amministrazione per la garanzia delle finalità di pubblico interesse cui è preordinata la sovvenzione. Non una relazione di corrispettività tra situazioni obbligatorie derivanti da un unico atto giuridico, ma un rapporto obbligatorio principale disciplinato dal diritto comune, sul quale però può incidere l’esercizio di poteri amministrativi volti a garantire il perseguimento dei pubblici interessi cui era preordinata l’attribuzione del beneficio. Sembra pertanto prevalere la soluzione di non rimettere alla meccanicità del rapporto sinallagmatico, e alla conseguente giurisdizione del magistrato ordinario, la verifica dell’effettivo perseguimento del pubblico interesse, che nella concretezza dei singoli casi può presentarsi in termini assai diversi, e che solo la pubblica amministrazione di volta in volta può congruamente valutare, motivando in tal modo l’esercizio dei propri poteri di autotutela566. La stessa legislazione positiva tende a conferire alla pubblica amministrazione una serie di poteri cui corrispondono obblighi particolari del soggetto beneficiario dell’incentivo, obblighi che vengono a sovrapporsi alla obbligazione principale di contenuto patrimoniale. Si tratta, per certi versi, di una normazione che attua il disposto costituzionale dell’art. 41, comma 3, Cost. e collega, attraverso programmi e controlli, l’attività incentivata al perseguimento di fini sociali567. In tal senso cfr. tra le ultime Tar Sicilia, sent. 8 giugno 1988, n. 365, in I Tar, 1988, I, 2900; Tar Sicilia, sent. 25 febbraio 1988, n. 125, ivi, 1357; Tar Lombardia, sent. 24 aprile 1987, n. 403, ivi, 1987, I, 2373. Muovendo dallo stesso principio la Cass., sez. un., sent. 7 luglio 1988, n. 4480, in Consiglio di Stato, 1988, II, 2133, ha a sua volta ritenuto che rientri nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia inerente l'iniziativa dell'amministrazione di revocare un contributo per inosservanza da parte del beneficiario di una condizione contenuta nella convenzione, atteso che tale pretesa «si svolge nell’ambito di un rapporto paritetico col beneficiario della sovvenzione e quindi coinvolge posizioni di diritto soggettivo, mentre non è ricollegabile all'esercizio di poteri pubblicistici di autotutela, perché non si fonda su un riesame della corrispondenza ad interessi generali dell’originario provvedimento». 567 V. CARABBA M., op.cit. 566 222 Le spiegazioni del fenomeno sono state rintracciate con riferimento alle figure privatistiche della condizione e del modus568, o a quelle dei cosiddetti elementi accidentali degli atti amministrativi569; per altri, invece, trattasi di «clausole impositive di obblighi o oneri» apposte al provvedimento di incentivo570; o di un rapporto convenzionale a latere rispetto al rapporto che scaturisce dal provvedimento di incentivo, analogamente a quanto accade per le cosiddette «concessioni-contratto»571. Tali ricostruzioni, però, hanno il limite di non rispondere alla domanda concernente la collocazione reciproca degli interessi pubblici e degli interessi privati nell’attività pubblica di ausilio finanziario, a quella particolare qualificazione del rapporto fra pubblica amministrazione e soggetto incentivato come «rapporto di collaborazione» che soddisfa contemporaneamente l’interesse pubblico e l’interesse privato. La classificazione del rapporto sinallagmatico potrebbe, invece, essere vista sotto una duplice lente di analisi, quella del contratto pubblico o quella del provvedimento amministrativo con effetti bilaterali. Se si ritiene, infatti, che nell’atto di incentivazione la volontà di entrambi i soggetti (pubblica amministrazione e privato) rappresenti elemento costitutivo dell’atto, non può che concludersi per la sua inclusione nel perimetro dei contratti pubblici. Al contrario, se si reputa che la manifestazione di volontà del soggetto beneficiario non rappresenti elemento costitutivo dell’atto dal quale scaturiscono le obbligazioni, esso finisce per essere ricondotto nello schema concettuale del provvedimento ad effetti bilaterali. Il provvedimento ad effetti bilaterali differisce dal contratto di diritto pubblico perché in esso è la sola volontà dell’amministrazione che costituisce la fonte delle obbligazioni delle parti, senza alcuna partecipazione V. OTTAVIANO V., op.cit. e BENADUSI L., op.cit. V. LUCIFREDI R., L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali, Milano, 1941. 570 V. BENADUSI L., op.cit., 919. 571 V. MERUSI F., Disciplina e organizzazione dei finanziamenti pubblici nelle leggi per il Mezzogiorno, Roma, 1968. 568 569 223 dell’amministrato572; in tale caso, infatti, la volontà del soggetto privato rileva esclusivamente sull’effetto prodotto – e non sulla causa – incidendo, pertanto, sull’efficacia e non sulla validità del provvedimento573. Nella disciplina degli incentivi diretti allo sviluppo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, la manifestazione di volontà del privato non costituisce un elemento costitutivo dell’atto dal quale scaturiscono l’obbligazione principale e gli obblighi a questa connessi; essa opera «piuttosto che sulla causa produttiva, sull’effetto prodotto», attinendo non alla validità ma alla efficacia dell’atto di incentivazione574, sembrerebbe dunque applicabile la soluzione del provvedimento ad effetti bilaterali. Ad ogni modo, va comunque, rilevato che le posizioni a favore del modello consensualistico o provvedimentale degli atti di incentivazione vanno oggi attenuate in considerazione del venir meno di taluni atteggiamenti preconcetti che portavano a configurare situazioni di non compatibilità tra consenso e provvedimento, soprattutto in relazione a una corretta tutela del pubblico interesse, nella ricostruzione del rapporto di sovvenzionamento. Tale processo si è formato in un contesto che ha visto a poco a poco tramontare «miti» che hanno a lungo condizionato la configurazione in termini giuridici dei fenomeni in esame, ciò vale per l’autoritarietà del provvedimento amministrativo, che oggi viene ad essere letta più in termini di unilateralità degli effetti giuridici prodotti, che in termini di «degradazione» di situazioni giuridiche soggettive, e per la tipicità del provvedimento amministrativo, che sembra non debba avere più ragion d’essere se prospettata come esigenza garantistica in presenza di atti giuridici che non estrinsecano effetti autoritativi. Sono inoltre intervenuti rilevanti approfondimenti teorici soprattutto sul procedimento amministrativo e sul ruolo del privato all’interno del procedimento stesso; si è chiaramente riconosciuto come tale presenza possa articolarsi in forme V. GIANNINI M.S., Atto amministrativo, cit. V. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit. e MIELE G., op.cit. 574 V. MIELE G., La manifestazione di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931. 572 573 224 assai diverse, giungendo in alcuni casi anche alla formalizzazione di moduli convenzionali, che peraltro si inseriscono in fasi procedimentali destinate a concludersi pur sempre con una decisione unilaterale della pubblica amministrazione, che rappresenta il solo momento produttivo di effetti giuridici. In un simile contesto di grande apertura non sembrano più accettabili né la acritica valorizzazione del modello convenzionale, assunto come modello ottimale di comportamento per una pubblica amministrazione moderna e capace, nell’ambito di un diverso rapporto con i privati, di superare un’anacronistica dialettica autorità-libertà, né, d’altro canto, il favor verso il provvedimento amministrativo ritenuto il normale mezzo di espressione giuridica della pubblica amministrazione, il solo che d’altronde consenta una sufficiente funzionalizzazione dell’azione amministrativa al pubblico interesse, che resta pur sempre nella sola ed esclusiva disponibilità della stessa pubblica amministrazione e non potrebbe essere oggetto di contrattazione con soggetti terzi575. Il superamento di una rigida contrapposizione tra consenso e provvedimento sul piano teorico lascia spazio alla configurabilità, nella concretezza dell’esperienza giuridica, di modelli assai diversi, in cui queste due entità variamente si rapportano, o restando distinte, ovvero addirittura fondendosi l’una nell’altra576. Sostanzialmente inutile riproporre in questa sede i diversi modelli elaborati per dare spiegazione ai complessi fenomeni giuridici che si verificano sia nell’ambito dei comportamenti consensuali, sia per ciò che attiene ai rapporti tra questi e decisioni unilaterali della pubblica amministrazione. È da sottolineare come siano stati proposti non pochi modelli che cercano di coniugare l'unilateralità del provvedimento amministrativo con la definizione di accordi tra pubblica amministrazione e privato: dalla Zweistufentheorie al vincolo di scopo; dai contratti accessivi ai contratti sostitutivi; dagli accordi procedimentali agli accordi di completamento e così via. Cfr. GIANNINI M.S., Il potere pubblico, Bologna, 1986, 127 ss., ove si ripropone una descrizione, sia pure a livello di principi, dei moduli convenzionali in rapporto ai procedimenti amministrativi, così come si sono venuti delineando nella più recente esperienza normativa. 576 È notazione che si ritrova anche negli studiosi che a livello di teoria generale hanno proposto ricostruzioni volte a privilegiare modelli consensuali, v. FALCON G., Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1984, 216 ss.; nonché, in una prospettiva nettamente differenziata, FERRARA R., Gli accordi tra privati e la pubblica amministrazione, Milano, 1985; v. infine CORSO G., Commento alla legge 22 gennaio 1980, n. 10 ed ai d.m. 28 giugno 1979 e 10 novembre 1979, in Le nuove leggi civili commentate, 1980, 786, che parla di «simbiosi di rapporti pubblicistici con rapporti privatistici». 575 225 In conclusione, allora, va dato atto di una forte tendenza che, se non verso il superamento delle stesse categorie di provvedimento e di convenzione, è quanto meno indirizzata ad ammettere l’esistenza di provvedimenti amministrativi che si atteggiano, come nel caso di specie, in rapporto al loro farsi e al prodursi dei loro effetti, in termini di consenso e di ipotesi di contratto, di cui è parte la pubblica amministrazione577. 1.2. La natura giuridica di incentivo. Il susseguirsi nel tempo di una normazione frammentaria e differenziata sul tema ha reso sempre più difficile dare una definizione precisa di incentivazione e di incentivo578. Come sottolineato da autorevole dottrina579, se infatti, in epoca risalente, non ci sarebbe stata alcuna difficoltà a definire l’incentivo come «nozione di carattere economico e non giuridico», che «forma il contenuto di un provvedimento concessorio destinato a favorire il verificarsi di alcunché», ad oggi una tale definizione non è più accoglibile. Nell'ultimo decennio si è assistito ad una ripresa di interesse per la figura del contratto di diritto pubblico, cfr. da ultimo CROSETTI A., I contratti della pubblica amministrazione, Torino, 1984. 578 L’alluvionale produzione normativa, la sua sostanziale accidentalità, impediscono approcci di tipo esegetico e impongono di procedere, secondo PERICU G., L’attività di incentivazione: recenti problematiche giuridiche, in FERRARI C. (a cura di), La regolamentazione giuridica, cit., 247, per astrazioni con categorie giuridiche proposte sostanzialmente come ipotesi di lavoro idonee a ricostruire un insieme legislativo disperso. D’altronde, accanto alle ipotesi legislativamente definite esistono comportamenti amministrativi extra legem in atto presso molte pubbliche amministrazioni, mediante le quali si dispongono forme di sovvenzionamento anche di rilievo. Il che rende ulteriormente complessa l’indagine sull'insieme degli istituti giuridici in cui può concretarsi il sistema delle sovvenzioni operanti nel nostro Paese, atteso, tra l'altro, che non esistono analisi, anche soltanto descrittive, di quanto di fatto accade, sotto questo profilo, nella realtà amministrativa. Siffatto contesto normativo non ha certamente agevolato l'opera svolta dalla dottrina ai fini della ricostruzione dell'istituto della sovvenzione; nondimeno è incontestabile che la materia sia stata oggetto di attenta valutazione da parte degli studiosi italiani. Le ricerche più significative hanno avuto inizio con gli anni Sessanta in parallelo allo svilupparsi della legislazione del settore; nell'arco di vent'anni sono stati numerosi i contributi sia a livello di descrizione di singole forme di sovvenzione, sia indirizzati a una riorganizzazione sistematica del settore con indubbie implicazioni anche di ordine più strettamente dogmatico. In questo quadro va altresì registrata la mancanza di un contributo costruttivo da parte della giurisprudenza; anche se quest'ultima, dapprima sostanzialmente assente, ha avuto negli ultimi anni sempre maggiori occasioni di pronunciarsi su singoli profili problematici, sviluppando precise Linee di tendenza in materia. V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244 ss. 579 V. VALENTINI S., op.cit. 577 226 Oggi, peraltro, nel nostro ordinamento positivo, quando si parla di «incentivi» si evocano una serie di atti i cui nomina legis sono di vario genere (sovvenzioni, contributi, sussidi, concorsi in spese, rimborsi spese, finanziamenti agevolati580) e con i quali, in via di prima approssimazione, s’intende riferirsi a qualsiasi erogazione finanziaria pubblica a favore di altri soggetti. Occorre, quindi, preliminarmente identificare l’elemento comune ad ogni fattispecie riconducibile al fenomeno dell’incentivazione al fine di verificare se sia possibile giungere ad una unitaria definizione di incentivo. Il punto di partenza è, di solito, quello strutturale, che consiste nel compiere un’analisi dei diversi tipi di provvedimento amministrativo che si riassumano, genericamente, sotto l’espressione incentivo581, per cercare l’elemento comune in grado di definire il fenomeno. Ovvero – e questa sembra la strada maggiormente percorribile nel caso di specie – occorre abbandonare l’analisi strutturale (lunga e diffusa e, probabilmente, inutile) e compiere, invece, un’analisi funzionale. Funzionale, non tanto in quanto trattasi di attività diretta a un fine, quanto piuttosto di funzione pubblica (o potestà pubblica) qualificata ed esistente, cui inerisce l’attività di incentivazione582. Tale funzione, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Così CARABBA M., op.cit., 969. Nell’ambito dei provvedimenti che si riassumono sotto l’espressione incentivazione vi sono provvedimenti che comportano per il privato l’acquisto di una potestà (o comunque di una situazione soggettiva) di cui prima non disponeva; provvedimenti che si concretano nella concessione di agevolazioni tributarie; provvedimenti che comportano l’equiparazione, in alcuni tratti, ai pubblici poteri del privato che ne è destinatario; provvedimenti che consistono in sovvenzioni o in agevolazioni diverse di carattere finanziario, si risolvano sia in concessioni di mutui a condizioni agevolate o nell’abbattimento degli interessi su mutui concessi a condizioni di mercato o in altre ancora possibili ipotesi. Accanto a queste forme che sono le più diffuse e tradizionali, ci sono moltissime altre forme atipiche, ma comunque destinate ad ottenere il medesimo risultato, cioè incentivare un’attività. Più di recente, l’accollo dei costi dell’impresa può avvenire nella forma della fiscalizzazione degli oneri sociali o in quella dell’ammissione, in momenti di difficoltà alla Cassa integrazione guadagni o in altre forme ancora. Ad ogni modo, si riscontra spesso che, in questa materia, negli accordi coi pubblici poteri vi è il concorso di più le forme, le più diverse, di incentivazione, in condizione di sostanziale equivalenza funzionale. Formule giuridicamente le più eterogenee (o, per meglio dire, strutturalmente le più eterogenee) ma tutte funzionalizzate all’incentivazione. V. VALENTINI S., op.cit., 238 s. 582 V. VALENTINI S., op.cit., 240. 580 581 227 consiste nella direzione dell’economia e si esplica nell’utilizzo dei c.d. mezzi di ausilio finanziario. Gli «incentivi», in una loro prima approssimazione, non sono altro dunque che erogazioni finanziarie pubbliche nei confronti di soggetti che esercitano attività economiche583. In questa generica accezione, il concetto di incentivo si sovrappone al concetto di sovvenzione584 – concetto già di per sé equivoco585 ed oggetto di Si può escludere, così, la considerazione sotto il medesimo termine di «incentivi» delle agevolazioni o esenzioni fiscali. In questi casi si è dinanzi non ad una erogazione finanziaria pubblica ma ad una rinuncia della pubblica amministrazione a propri diritti ovvero ad un obbligo di restituzione da parte della pubblica amministrazione che si inserisce nel rapporto tributario. Possono escludersi dal campo degli «incentivi» quelle erogazioni finanziarie pubbliche rivolte ad enti pubblici gestori di impresa. Queste erogazioni, attraverso le quali gli enti pubblici gestori di impresa si assicurano la provvista dei mezzi finanziari (conferimenti di fondi di dotazione, contributi ordinari periodici, garanzia alla emissione di obbligazioni), si accompagnano, infatti, ad una diretta assunzione di responsabilità pubblica concernente la gestione dell’impresa finanziata. Tali erogazioni potrebbero essere comprese entro un più ampio concetto di «sovvenzione». V. CARABBA M., op.cit., 970 584 Secondo una tradizionale configurazione dell’istituto della sovvenzione, che può ritenersi sufficientemente consolidata in dottrina, tale denominazione va «propriamente» riferita a quella categoria di atti amministrativi di natura provvedimentale, il cui effetto giuridico prevalente consiste nell'attribuzione di una somma di danaro o di altro bene economicamente valutabile senza che ciò comporti a carico del beneficiario un obbligo di restituzione o alcuna obbligazione di pagamento nei confronti della pubblica amministrazione. Nel linguaggio comune - ma anche nella prassi amministrativa e nelle stesse fonti normative - il nomen sovvenzione ha peraltro assunto un significato più ampio di quello appena ricordato; infatti la stessa espressione viene abitualmente utilizzata anche per designare figure giuridiche nelle quali il beneficio accordato dall'amministrazione assume forme diverse dall'erogazione di danaro o dal conferimento di bene (si pensi alle agevolazioni fiscali e a quelle tributarie, alla concessione di mutui a condizioni privilegiate, alle molteplici ipotesi del credito agevolato o alle garanzie sussidiarie, e così via) e la posizione del privato non si limita ad uno stato di mera soggezione, poiché dall'atto di sovvenzione possono nascere a suo carico obblighi di diversa natura. V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 243. 585 L’equivocità di tale concetto deriva dal fatto che, come è stato rilevato ripetutamente dalla dottrina, non vi è chiarezza su cosa si intenda per «sovvenzione»; tale incertezza è dipesa da un uso scorretto del linguaggio in quanto per descrivere tale fenomeno sono stati alternativamente impiegati termini differenti il cui significato non era sempre coincidente. La non univocità del linguaggio è stata, infatti, rilevata da autorevole dottrina, fra i quali occorre ricordare: FALZONE G., Le obbligazioni dello Stato, Milano, 1960, 180 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA V., op.cit., 18 ss., il quale sottolinea appunto come le varie espressioni utilizzate alternativamente per indicare il fenomeno della sovvenzione «non possono avere che valore di puro comodo e nessuna utilità scientifica, in ragione appunto della loro assoluta genericità, che tende pericolosamente a coprire le effettive divergenze strutturali tra i singoli istituti» e, pertanto, dato che questi termini vengono impiegati alternativamente in modo assolutamente a tecnico, occorre fornire una descrizione chiara e precisa del fenomeno stesso. Ancora, parlano di un vero e proprio «stato di incertezza che ancora domina la materia» PERICU G. – CROCI E., op.cit., 243 ss., incertezza che è stata determinata in un certo 583 228 studio da parte della dottrina tradizionale586 – che, al di là delle difficoltà terminologiche, ricomprendendo qualsiasi beneficio che sia stato concesso dallo modo dalla mancanza di uno schema predefinito di intervento dello Stato nell’economia, il che ha determinato il sorgere di «una legislazione alluvionale, casuale e ‘datata’ in rapporto alle contingenze particolari che l’avevano determinata» attraverso la quale ogni volta in modo differente lo Stato poneva in essere le varie forme di sovvenzione, che si andava coniugando con «comportamenti amministrativi extra legem in atto presso molte pubbliche amministrazioni». Lo stesso PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 25, rinviene le cause immediate delle carenze della dottrina nell’analisi delle sovvenzione «nei caratteri stessi che contraddistinguono la normazione in questa materia: e cioè la sua disorganicità, l’atecnicità delle formulazioni, l’eccessivo numero di testi normativi e, conseguentemente, la grande variabilità nel tempo della disciplina». Il tutto, inoltre, ha reso assai poco agevole il lavoro della dottrina, che avrebbe voluto e dovuto dare chiarezza alle modalità di intervento, e della stessa giurisprudenza, che non ha potuto dare al riguardo un contributo costruttivo. In realtà, come sottolineato nello stesso scritto da V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244 ss., la mancanza di un contributo costruttivo della giurisprudenza non è dipeso da una «volontà» in tal senso degli stessi giudici amministrativi, ma dalla stessa struttura degli interventi normativi in materia, posto che «l’elementarità dei procedimenti ipotizzati in sede normativa ha praticamente fruito da remora all’iniziativa contenziosa, data la scarsa probabilità di buon esito dei giudizi per mancanza di sicuri canoni a cui rapportare la legittimità dei procedimenti», come evidenziato da GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, cit., 1122. 586 Sul punto cfr. PERICU G., Le sovvenzioni come strumento, cit., 25, che compie un’accurata analisi degli atti di sovvenzione, verificando se debbano assimilarsi ad altri tipi tradizionali di provvedimenti amministrativi (quali, ad esempio, le ammissioni o le concessioni) o se costituiscano una figura autonoma di atto amministrativo. Altri Autori, invece, hanno condotto l’analisi, dal punto di vista degli effetti, definendo che l’esistenza di una contribuzione pecuniaria abbia la natura stessa del destinatario. Sul punto non è possibile non ricordare il fondamentale studio dell’AMORTH A., op.cit., attraverso il quale l’Autore si propone di «stabilire se il contributo pecuniario concesso dallo Stato a una persona giuridica possa comprendersi fra quegli elementi che, di per sé, servono a rilevarne la natura pubblica» o meno. L’Autore si propone, infatti, di rinvenire un criterio cui fare ricorso per distinguere la persona giuridica pubblica dalla privata e compie, pertanto, un’analisi dei contributi pecuniari concessi dallo Stato ad una persona giuridica rivolta ad evidenziare non tanto la ratio che ha determinato tale concessione o gli effetti economici che tale corresponsione può determinare, quanto i punti caratteristici di tale tipo di erogazione, specificamente al fine di identificare se «il sussidio pecuniario concesso ad un ente pubblico si differenzia, in qualche modo, da quello concesso ad un ente privato» e, di conseguenza, se esista un tipo di contribuzione pecuniaria che abbia caratteristiche specifiche tali da determinare la natura pubblica della persona giuridica che ne sia destinataria. In realtà poi lo stesso Autore finisce per negare che i contributi pecuniari concessi dallo Stato possano influire sulla natura stessa dell’ente destinatario, conclusione cui giunge verificando direttamente come lo Stato conceda contributi in favore sia degli enti pubblici che di enti privati e come sia impossibile distinguere fra tali forme di contribuzione lo scopo specifico perseguito. L’analisi dell’Amorth, infatti, era fondata sulla ricostruzione che della natura pubblica di un ente era stata, a sua volta, effettuata dal RANELLETTI O., Concetto delle persone giuridiche pubbliche amministrative, in Rivista di diritto pubblico, 1916, I, 340 ss., ovvero sul presupposto che una persona giuridica per essere pubblica dovesse essere destinata a soddisfare in modo immediato fini pubblici (intesi come interessi collettivi che rientrano nelle finalità dello Stato) ed inoltre lo Stato dovesse avere un interesse specifico a favore dell’attività della stessa, in quanto dovesse considerarla attiva non solo nell’interesse della stessa persona giuridica ma anche, e proprio, nell’interesse dello Stato, pertanto una contribuzione pecuniaria per potersi definire segno distintivo della natura pubblica dell’ente beneficiario avrebbe dovuto avere lo scopo specifico di agevolare il perseguimento dello scopo proprio della persona giuridica stessa; 229 Stato, o da altra persona giuridica pubblica, o in mano pubblica, e che porti all’accrescimento del patrimonio di un soggetto estraneo587, finisce di fatto per atteggiarsi a sinonimo di incentivazione economica; ancorché, più correttamente, si debba ritenere che le sovvenzioni costituiscano un aspetto, forse non il più rilevante, ma certamente il più studiato, della funzione di incentivazione svolta dallo Stato a sostegno dell’attività economica privata588. Invero, per quanto sia corretto inquadrare sia le sovvenzioni che gli incentivi nella più ampia famiglia dei mezzi di ausilio finanziario pubblico, in realtà non sono concetti pienamente corrispondenti, posto che le sovvenzioni costituiscono solo un aspetto della funzione di incentivazione svolta dallo Stato a sostegno dell’attività economica privata. La nozione di incentivazione, invece, intesa come quel complesso di atti giuridici e di operazioni materiali dirette allo scopo di agevolare ed aiutare il compimento di altre attività, è per certi aspetti più ampia, ma per altri più limitata in realtà l’Amorth verifica nel suo scritto come sia impossibile affermare una netta distinzione relativamente allo scopo effettivo in funzione del quale una determinata contribuzione venga concessa in favore di un ente, perché non si può affermare con certezza che lo Stato abbia concesso un’agevolazione fiscale o abbia erogato un quantum in favore di un ente al solo fine di assisterlo o al fine specifico di agevolarne lo scopo, anche perché talora lo Stato potrebbe concedere un contributo pecuniario anche al fine di agevolare l’attività di un ente privato, in quanto il raggiungimento di determinate finalità anche se non possono considerarsi finalità pubbliche in senso proprio, possono tuttavia porsi come mezzi per il raggiungimento di fini pubblici veri e propri. Ne consegue che se non si può identificare una certa modalità di contribuzione né la finalità di una contribuzione come specifica delle contribuzioni in favore degli enti pubblici occorre concludere con il verificare che «la concessione statuale non può influire sulla natura dell’ente» e, di conseguenza, «le contribuzioni pecuniarie concesse dallo Stato a una persona giuridica non devono comprendersi fra i segni distintivi di una persona giuridica pubblica». 587 Si vedrà meglio in seguito come tale definizione della «sovvenzione» non possa dirsi del tutto esaustiva, o meglio come sia necessario verificare caso per caso quali siano effettivamente le ipotesi di sovvenzione, posto che anche alcune forme di contribuzione indiretta che potrebbero sembrare non aver portato alcun accrescimento del patrimonio di un altro soggetto in realtà sono forme di sovvenzione (si pensi, ad esempio, a delle infrastrutture create dallo Stato o da altra persona giuridica pubblica che facilitando l’attività di una determinata impresa pur non concretandosi, almeno apparentemente, in un accrescimento del patrimonio di queste, finiscano, invece, per determinare degli effetti favorevoli per l’impresa stessa, che vedrà diminuire la componente relativa ai propri costi e, di conseguenza, costituiscono anch’esse delle forme di sovvenzione). Sulla nozione di sovvenzione cfr. anche COSSU G., Finanziamenti (dir. pubbl.), in Enciclopedia giuridica Treccani, XIV, 1989, il quale ritiene che per sovvenzioni si intendono «quelle erogazioni pecuniarie fatte senza obbligo di restituzione, sulla base di apposite norme, che hanno ritenuto di incentivare apposite attività». 588 V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 243 e ss. 230 di quella di sovvenzione. Più ampia perché abbraccia fenomeni di più vario tipo, come, ad esempio, la predisposizione di infrastrutture urbanizzative di aree produttive, o la fiscalizzazione degli oneri sociali, che non sono certamente riconducibili nel concetto di sovvenzionamento. Più limitata perché le sovvenzioni a loro volta comprendono atti sicuramente estranei alla incentivazione come le sovvenzioni cosiddette semplici o di mero 589 conferimento . In altri termini, il concetto di sovvenzione è differente ed, in un certo senso, più generale di quello dell’incentivo e, anche se talora sovvenzione ed incentivo coincidono, nella realtà non tutte le sovvenzioni sono incentivi, almeno sotto il profilo economico590. L’elemento caratterizzante e distintivo che di fatto non consente una completa equivalenza tra le sovvenzioni e gli incentivi è proprio il fatto che seppure le sovvenzioni possono essere spesso utilizzate come strumento di incentivazione economica, esiste una differenza strutturale tra i due. V. PERICU G. – CROCI E., op.cit., 244, in particolare nota n. 2. Secondo CARABBA M., op.cit., 963 ss., non rientrano nel campo degli incentivi, ma potrebbero essere ricomprese «entro un più ampio concetto di sovvenzione» le erogazioni finanziarie pubbliche rivolte ad enti pubblici gestori di impresa. Secondo SERRANI D., Lo Stato finanziatore, Milano, 1971, 196, solo le sovvenzioni di attività rientrerebbero nel concetto di incentivazione. Circa le distinzioni tra i vari tipi di sovvenzione cfr. BENADUSI L., op.cit., 890 ss., il quale evidenzia come la distinzione fra sovvenzioni-incentivo e sovvenzioni-di mero conferimento non sia così netta, in quanto vi sono alcune forme di sovvenzione relativamente alle quali non sempre è agevole identificare in quale gruppo collocarle. Le c.d. «sovvenzioni di attività», infatti, sono erogazioni concesse in vista di attività da compiersi ad opera dei soggetti beneficiari, in quanto attraverso di esse lo Stato persegue il fine di incoraggiare l’attività istituzionale degli enti beneficiari, ma senza aver di mira obiettivi specifici e senza impegnare i destinatari alla attuazione di programmi determinati. Tali sovvenzioni si differenziano da quelle di mero conferimento perché ivi l’interesse pubblico non si esaurisce nell’appagamento del fabbisogno finanziario del destinatario, in quanto comincia a coinvolgere l’uso delle somme accordate (cioè l’attività incoraggiata) e, pertanto, comincia ad assumere una qualche individualità ed a limitare conseguentemente la libertà del privato nell’impiego delle somme percepite, imponendogli di destinarle ad un’attività, che però rileva pubblicisticamente solo per l’esserci e non anche per gli specifici risultati economico-produttivi, e si distinguono dalle sovvenzioni incentivo perché l’attività in questione viene solo genericamente considerata, e non vengono considerati anche i suoi specifici risultati. In pratica il soggetto sovvenzionato viene vincolato semplicemente a destinare le somme percepite all’attività sollecitata e – al massimo – alla «buona gestione» delle stesse. (Sull’obbligo di «buona gestione» delle somme erogate dallo Stato a titolo di sovvenzione cfr.: MERUSI F., Le direttive governative, cit., 191 ss.). 590 V. BROSIO G., Cenni per un’analisi economica delle sovvenzioni, in FERRARI C. (a cura di), La regolamentazione giuridica, cit., 255. 589 231 L’incentivo consiste nella corresponsione di un vantaggio, prevalentemente di tipo economico, ad un soggetto in cambio di un determinato comportamento che questi dovrà tenere o ha tenuto in ragione della promessa del vantaggio. Ne consegue che al concetto di incentivo è sempre associata la richiesta di un comportamento specifico da parte del destinatario. Le sovvenzioni, invece, possono essere erogate sia al fine di incentivare una determinata attività, sia al semplice scopo di agevolare dei soggetti che siano per varie ragioni in situazioni disagiate, e, quindi, senza che sia richiesto alcun comportamento specifico al destinatario591. Sovente, infatti, le sovvenzioni vengono erogate per ottenere comportamenti puramente conservativi, cioè di mantenimento delle situazioni592. Pertanto, non tutte le sovvenzioni possono considerarsi delle forme di incentivo, in quanto esse vengono utilizzate oltre che per incentivare lo svolgimento di determinate attività economiche593, anche per fare fronte ai compiti assistenziali e di sicurezza sociale propri dello Stato moderno. Questa ulteriore finalità delle sovvenzioni, del tutto estranea all’attività di incentivazione e Rientrano in tali ultime ipotesi le sovvenzioni erogate in favore di quei soggetti che siano stati colpiti da calamità naturali (la sovvenzione, in tale caso, diventa un modo per ripartire il danno, o almeno la parte economica del danno, su tutta la popolazione, quando esso ha colpito una ristretta parte della popolazione, rendendo l’onere per i singoli di fatto ininfluente), e quelle concesse al semplice scopo di ridurre il divario esistente tra determinate zone territoriali. 592 V. BROSIO G., op.ult.cit., 255, il quale completa la propria definizione di «sovvenzione» specificando come nella pratica essa si possa ridurre ad una riduzione della sostanza patrimoniale del donatore ed un aumento, conseguente ma non necessariamente di pari importo, nella sostanza patrimoniale del beneficiario. Tale definizione per così dire «puramente economica» delle sovvenzioni non corrisponde, però, a parere dell’Autore, con quella adottata negli schemi contabili ufficiali e nei bilanci pubblici, in quanto mentre un’analisi economica del fenomeno sovvenzionatorio vi ricomprende sia le sovvenzioni attuate tramite il bilancio pubblico (comprensive delle sovvenzioni esplicite, ovvero effettuate tramite l’erogazione di spesa, e delle sovvenzioni implicite, rappresentate dagli sgravi fiscali e contributivi), sia quelle erogate tramite l’attività regolamentativa (attribuzione di diritti, concessione di licenze, etc.), sia quelle indirette (ove lo Stato finanzi un ente, che a sua volta sovvenzioni le imprese), gli schemi contabili ufficiali ed i bilanci pubblici contengono un ammontare molto inferiore, in quanto in essi viene adottata una nozione non economica ma «di tipo puramente formale» delle sovvenzioni (che, ad esempio, non considera forme di sovvenzione le operazioni finanziarie che non comportano la trasmissione della titolarità dei fondi conferiti dall’ente erogatore al beneficiario. 593 SERRANI D., op.cit., 196, ritiene che solo le sovvenzioni di attività rientrerebbero nel concetto di incentivazione; CARABBA M., op.cit., 963 ss., sostiene che le erogazioni finanziarie pubbliche rivolte ad enti pubblici gestori d’impresa non rientrano nel campo degli incentivi, ma potrebbero essere ricomprese «entro un più ampio concetto di sovvenzione». 591 232 di programmazione economica, ricorre ogni qual volta le sovvenzioni si concretizzino nella mera elargizione di sussidi in favore di chi si trovi in condizioni particolarmente disagiate, ed ove la concessione delle sovvenzioni costituisca uno strumento rivolto al fine di ripartire su tutta la collettività i rischi connessi all’esercizio di determinate attività e, più genericamente, ogni rischio anormale e non prevedibile.594 Secondo una diffusa classificazione, che emerge da un dibattito dottrinale recente595, gli incentivi possono poi essere distinti in due grandi categorie: i finanziamenti pubblici e i contributi. I primi sono espressione di decisioni di finanziamento assunte dai pubblici poteri ed aventi ad oggetto l’erogazione di una somma di denaro a favore di un determinato soggetto, obbligato alla restituzione in un termine generalmente lungo e con obbligo di riconoscimento di un corrispettivo più modesto rispetto ai canoni di mercato. Diversamente, i contributi consistono nell’attribuzione, sempre in virtù dell’esercizio di pubblici poteri, di somme di denaro a soggetti beneficiari, sui quali non incombe alcun obbligo di restituzione. In tale caso, tuttavia, la pubblica amministrazione – rinunciando a qualsiasi forma di corrispettivo – è titolare di un potere di controllo circa i risultati dell’attività svolta dal soggetto grazie alla concessione di contributi statali: solo in ragione dell’insorgere di tale specifico potere, del resto, appare legittimo l’esborso di finanza pubblica nei confronti di soggetti privati. Nonostante la dottrina appaia da tempo concorde nell’accogliere la descritta distinzione, la legislazione in materia continua a trattare in maniera assolutamente Elargendo delle sovvenzioni si riesce a fare in modo che determinati rischi, e conseguentemente i danni che ne derivano, non vadano a gravare su chi è stato danneggiato, ma su tutta la collettività, perché la pubblica amministrazione, attraverso l’erogazione della sovvenzione, interviene a risarcire in parte il danno, che non appartiene più ai soli soggetti direttamente danneggiati ma, almeno dal punto di vista economico, viene condiviso dall’intera collettività. Esempio tipico di tali sovvenzioni sono la legislazione sui danni di guerra e quella sulle calamità naturali. 595 V. ANNESI M., Finanziamenti pubblici, in Enciclopedia del diritto, XVII, 1968, 627 ss. 594 233 unitaria contributi e finanziamenti, con la conseguente applicazione indistinta ad entrambi gli strumenti della disciplina generale prevista in materia di incentivi. Pur tuttavia, considerando che nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili la caratteristica comune degli incentivi economici utilizzati è proprio l’assenza dell’obbligo di restituzione della somma ottenuta e, contestualmente, il dovere di dare conto alla pubblica amministrazione erogatrice circa le modalità di utilizzo dell’importo, pare che allora nel caso di specie si possa fare riferimento ai soli contributi. Nel paragrafo successivo cercheremo di enucleare tutte le tipologie di incentivo promosse dall’Unione europea che, in tempi e modalità diverse tra i vari Stati membri, sono state introdotte nel nostro ordinamento interno per lo sviluppo dell’energia alternativa. 2. Gli incentivi pubblici per le fonti energetiche rinnovabili. Le politiche finalizzate a dare impulso alle fonti rinnovabili adottate nei vari Paesi europei in questi anni sono state molteplici e, a seconda della caratteristiche del mercato e di altri fattori – sui quali ci soffermeremo più ampiamente nel prosieguo della trattazione – hanno sortito esiti differenti. Gli strumenti di incentivazione adottati dai principali Paesi dell’Unione Europea si possono raggruppare nelle seguenti categorie596: 1. Il sistema di feed-in tariff. Si tratta del sistema più diffuso in tutta Europa, il quale, per la sua semplicità, ha in genere supportato bene lo sviluppo delle energie pulite597. Tecnicamente, consiste nella determinazione da parte del decisore pubblico di un prezzo di acquisto per le energie rinnovabili, fisso per un Per le categorie si veda MARZANATI A., Semplificazione delle procedure e incentivi pubblici per le energie rinnovabili, in TROVATO C. (a cura di), Atti del convegno di studi sul tema: Fonti di energia e tutela dell’ambiente, Agrigento 3-4 giugno 2011, Palermo, 2012, 55 s. 597 Tale sistema è stato adottato, tra gli altri da Germania, Austria, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, e Repubblica Ceca, ma adottato anche nel resto del mondo: esso è stato scelto anche dagli Stati Uniti e dalla Cina, dove sono state impiegate pure forme di esenzione fiscale. V. VAGLIO L., Ecco come funzionano gli incentivi alle energie rinnovabili nel resto del mondo, articolo del Sole 24ore del 3 marzo 2011. Esempi di feed-in tariff in Italia sono il sistema CIP 6/92 e la tariffa omnicomprensiva. 596 234 certo numero di anni, superiore a quello di mercato. La maggiorazione vale per i produttori come incentivo a investire nello sviluppo di tecnologie innovative e verdi. 2. Il sistema di feed-in premium. Esso rappresenta una variante alla prima categoria di incentivi di cui al punto precedente. A differenza di quest’ultima, infatti, il prezzo dell’energia rinnovabile è composto da due fattori: il valore del mercato dell’energia elettrica, esposto alle oscillazioni della domanda e dell’offerta, e un premio fissato dall’autorità pubblica (tariffa incentivante).598 3. Il sistema della quota di mercato. In tale contesto, lo Stato obbliga i produttori o i venditori elettrici a produrre o ad acquistare una certa quantità di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili. I fornitori debbono vendere sul mercato una quota fissa di energia. I produttori hanno un’opzione: produrre da sé la quantità richiesta o acquistarla da produttori più efficienti. Il rispetto dell’obbligo può quindi essere dissociato dallo sviluppo materiale della produzione da fonti energetiche rinnovabili attraverso il ricorso a titoli negoziabili, i c.d. certificati verdi. Tale sistema presenta il vantaggio per i produttori di energia rinnovabile di venderla o al prezzo di mercato o attraverso i certificati, al prezzo di mercato dei certificati stessi599. 4. Il sistema delle aste (tender)600. In tale ipotesi, il Governo, sostanzialmente, individua un’area idonea a produrre energia attraverso le fonti rinnovabili e i produttori gareggiano tra di loro per assicurarsi gli incentivi stanziati. L’azienda in grado di presentare l’offerta migliore si accorda con il Governo o con un ente pubblico sul prezzo per realizzare l’impianto. In altre parole, il sistema permette di fissare la quantità di energia da produrre, mentre il Questo sistema è usato in Danimarca per l’eolico on-shore e le biomasse, e in Spagna e in Repubblica Ceca. In Italia, è stato usato, ad esempio, per il fotovoltaico, fino al IV Conto Energia, in cui era stabilita una tariffa incentivante addizionale garantita al produttore per la cessione di energia pulita al gestore di rete, il quale ha l’obbligo di ritirarla e di remunerarla al prezzo imposto. 599 Questo sistema è in uso i Gran Bretagna, Belgio e Svezia, oltre che in Italia e in Polonia. 600 Tale sistema è stato adottato in Francia, in alternativa al sistema feed-in tariff, in Danimarca per l’eolico off-shore e in Portogallo per eolico e biomasse. Solo di recente l’Italia ha introdotto tale tipologia incentivante, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011. 598 235 prezzo scaturisce dal processo di competizione che si svolge all’interno del meccanismo d’asta. La differenza tra il prezzo dell’asta ed il prezzo dell’energia elettrica sul mercato elettrico rappresenta il sussidio ricevuto dal produttore601. 5. Altri incentivi possono essere accordati mediante agevolazioni fiscali (esenzioni o crediti di imposta)602 e finanziamenti diretti (contributi in conto impianti), generalmente parziali ed a fondo perduto, a chi realizza nuovi impianti. Tali strumenti sono utilizzati prevalentemente da enti sub-statali e/o per finanziare microprogetti, anche da parte di soggetti non imprenditoriali. Oppure, mediante l’utilizzo della priorità di dispacciamento. Quest’ultima prevede che le rinnovabili siano messe sul mercato prima delle altre fonti energetiche così da eliminare il rischio che restino quote invendute, ma in Italia, a causa dell’inadeguatezza della rete elettrica e della eccessiva frammentazione degli impianti da fonti energetiche rinnovabili, il sistema della priorità di dispacciamento non ha avuto grandi prospettive di sviluppo603. Questa differenza di costo può essere finanziata o attraverso l’istituzione di una tassa da inserire nelle bollette o attraverso l’utilizzo di un sistema di sussidi. Nell’ambito del sistema delle aste, si possono individuare tre diverse tipologie: aste aventi oggetto l’assegnazione di siti specifici (e implicitamente anche delle connesse autorizzazioni) con bidding competitivo (ad esempio, questo è il caso delle aste per l’eolico off-shore in UK e in Danimarca); aste aventi oggetto l’assegnazione di un contingente di potenza incentivabile, a cui possono partecipare tutte le iniziative aventi i requisiti tecnici richiesti, pur in assenza di autorizzazione (questo è il modello adottato per gli NFFO (UK), gli AER (Irlanda), gli RFP (Ontario e Quebec), i PROINFA (Brasile), i RAM (California); aste aventi oggetto l’assegnazione di un contingente di potenza incentivabile, a cui possono partecipare tutte le iniziative già autorizzate (Sebbene sia riportata in letteratura, non si riscontrano casi significativi in cui tale configurazione sia stata adottata). V. sul punto, BARBETTI T. (a cura di), Le aste per l’incentivazione alle rinnovabili, Possibili configurazioni e criticità del caso italiano, WorkingPaper, Centro Studi APER, pubblicato dall’Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili, 5 ottobre 2011, in Assorinnovabili.it. 602 Sul ruolo del sistema fiscale nell’ambito delle politiche ambientali, si veda PERRONE CAPANO R., L’imposizione e l’ambiente, in AMATUCCI A. (diretto da), Trattato di diritto tributario, Padova, 2001, 121 ss. 603 Il sistema elettrico italiano prevede che in presenza di più offerte di vendita caratterizzate da uno stesso prezzo si applichi il seguente ordine di priorità: 1) le offerte di vendita delle unità essenziali ai fini della sicurezza del sistema elettrico, od unità must run; 2) le offerte di vendita delle unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili (ovvero unità di produzione che utilizzano l’energia solare, eolica, mare motrice, del moto ondoso, del gas di discarica, dei gas residuati dei processi di depurazione, del biogas, l’energia geotermica o l’energia idraulica, limitatamente in quest’ultimo caso alle unità ad acqua fluente); 3) le offerte di vendita delle unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili diverse da quelle di cui al punto precedente; 4) le offerte di vendita delle unità di produzione di cogenerazione; 5) le offerte di vendita delle unità di produzione CIP 6/92 e delle unità di produzione d.lgs. n. 387 del 2003 o l. n. 601 236 Delineate a grandi linee le categorie generali degli incentivi pubblici, è possibile ora procedere ad una analisi specifica sui singoli incentivi che il nostro ordinamento interno ha introdotto, facendo ricorso negli anni ad una copiosa normativa in materia di incentivazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili. L’obiettivo dell’indagine non è, ovviamente, di ordine meramente ricostruttivo, quanto, piuttosto, quello di verificare l’idoneità o meno del sistema di incentivazione attuale a perseguire il fine di sviluppo che si prefigge. 2.1. La tariffa CIP 6/92. In Italia, la legislazione per l’incentivazione di produzione di energia pulita risale ai primi anni 90. In attuazione del piano energetico del 1988 furono infatti adottate le leggi n. 9 e n. 10 del 9 gennaio 1991: la prima riordinava le competenze ed i procedimenti di autorizzazione per la realizzazione di impianti di produzione ed introduceva novità sul diritto di scambio dell’energia prodotta; l’altra dettava norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. 239 del 2004; 6) le offerte di vendita delle unità di produzione alimentate esclusivamente da fonti nazionali di energia combustibile primaria, per una quota massima annuale non superiore al quindici per cento di tutta l’energia primaria necessaria per generare l’energia elettrica consumata; 7) le offerte relative a contratti bilaterali; 8) le altre offerte di vendita. Questi punti indicano che le unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili (sia programmabili che non programmabili) hanno diritto alla priorità di dispacciamento ma solamente a parità di prezzo d’offerta e compatibilmente con la sicurezza del sistema elettrico. Anche la cogenerazione ad alto rendimento gode della priorità di dispacciamento ma in coda alle fonti rinnovabili. Il criterio principale con cui si stabilisce la precedenza del dispacciamento è quindi quello del prezzo, vengono dispacciati prima i pacchetti di energia meno cari e via via quelli di prezzo maggiore fino a raggiungere la quantità di energia complessivamente richiesta dal sistema, quindi un’offerta di un MWh eolico messa sul mercato ad un prezzo più elevato di un MWh da termoelettrico non avrebbe alcuna precedenza, ma è anche vero che implicitamente sono solo le fonti rinnovabili od ad altro titolo incentivate che possono permettersi di mettere sul mercato l’energia prodotta a 0 euro/MWh e quindi in sostanza non si contendono il mercato ad armi pari con gli impianti tradizionali. Cfr. anche DURANTE C., Consigliere dell’Associazione APER, nell’intervista resa a VAGLIO L., nell’articolo del Sole 24ore del 3 marzo 2011, Ecco come funzionano gli incentivi alle energie rinnovabili nel resto del mondo, cit. 237 Entrambe perseguivano il duplice obiettivo di incentivare la produzione di energia rinnovabile e di trovare una soluzione al problema della carenza di generazione dei primi anni 90, stimolando la produzione di terzi.604 A tale scopo, le eccedenze di energia elettrica immessa in rete rispetto agli autoconsumi e la produzione di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate venivano incentivate attraverso un meccanismo che prevedeva la loro cessione all’ENEL605 (attraverso la stipula di convenzioni per la cessione, lo scambio, il vettoriamento e la produzione per conto di terzi) ad un prezzo predeterminato dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) che teneva conto, con riferimento all’energia pulita, anche di un corrispettivo aggiuntivo a copertura dei maggiori costi delle tecnologie. Veniva così emanato il provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi n. 6 del 29 aprile 1992, che determinava i prezzi di cessione e i corrispettivi aggiuntivi (agevolati) da erogare per un periodo di otto anni agli impianti di fonti In particolare, la legge n. 10 del 1991 contiene per la prima volta una definizione delle fonti incentivate, distinguendole tra rinnovabili e c.d. assimilate alle rinnovabili. Secondo l’articolo 1, comma 3, della legge n. 10 del 1991 (nella versione originaria): «sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate: il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli edifici con interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti». Prosegue il comma 4 del medesimo articolo: «l’utilizzazione delle fonti di energia di cui al comma 3 è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità e le opere relative sono equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche». 605 A seguito della liberalizzazione del settore elettrico, avvenuta con d.lgs. n. 79 del 1999, in attuazione della direttiva 96/92/CE, ed il successivo decreto ministeriale attuativo 21 novembre 2000, nel 2001 il GRTN – Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, oggi GSE – Gestore dei Servizi Elettrici, è subentrato all’Enel nella titolarità dei diritti e degli obblighi relativi all'acquisto di energia elettrica di altri produttori nazionali, ivi compresi quelli previsti, dall’art. 3, comma 12, d.lgs. n. 79 del 1999, per il ritiro dell’energia agevolata con il contributo in conto produzione (tariffe CIP 6/92 e successive delibere dell’AEEG). Il GSE colloca sul mercato l’energia ritirata, ai sensi dell'art. 3, comma 13 d.lgs. n. 79 del 1999, secondo modalità fissate ogni anno dal Ministero delle attività produttive, oggi Ministero dello sviluppo. 604 238 rinnovabili e assimilate entrati in esercizio dopo il 30 gennaio 1991, nonché le condizioni tecniche generali per il riconoscimento degli impianti incentivati.606 Senza dubbio, il provvedimento CIP 6/92 ha rappresentato la prima grande opportunità di sviluppo dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili607. Esso si fonda su un meccanismo a remunerazione incentivata, o c.d. feed-in tariff – secondo la definizione data nel precedente paragrafo – in base al quale i produttori di energia da fonti rinnovabili, giovandosi di un’apposita convenzione, possono cedere all’ENEL (oggi, GSE) energia ad un prezzo fisso superiore a quello di volta in volta stabilito dal mercato. Nel determinare i prezzi di cessione608, il Provvedimento CIP 6 individuava due principali criteri guida: quello del costo della produzione termoelettrica evitata, così da sottrarre al soggetto cessionario l’onere di sostenere costi superiori a quelli che avrebbe dovuto sopportare nel caso di produzione diretta dello stesso quantitativo di energia, e quello dei prezzi incentivanti, differenziati per tipologia di impianto e di fonte utilizzata, che devono essere riconosciuti alla «nuova» energia prodotta da fonti rinnovabili o assimilate. Con decreto ministeriale del 24 gennaio 1997609 sono stati poi ridefiniti gli impianti incentivati, riconoscendo l’agevolazione solo a quelli già realizzati ed in corso di costruzione ed ai progetti presentati all’ENEL entro e non oltre il 30 giugno 1995.610 V. ARDOLINO D., op.cit.. Sul sistema CIP 6/92, V. FALCIONE M., Diritto dell’energia. Fonti rinnovabili e risparmio energetico, Siena, 2008, 168 ss. 608 In particolare, il prezzo garantito riconosciuto all’energia degli impianti CIP 6/92 è strutturato in quattro componenti, di cui tre sono costi evitati all’Enel per la realizzazione e l’esercizio di un impianto tradizionale di riferimento: costo di impianto; costo di esercizio, manutenzione e spese generali connesse; costo di combustibile. Vi è poi una quarta componente (riconosciuta per i primi otto anni di esercizio dell’impianto) variabile in funzione della tipologia di impianto e della fonte energetica. 609 Decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 24 gennaio 1997, recante «Disposizioni in materia di cessione dell’energia elettrica di nuova produzione da fonti rinnovabili ed assimilate», pubblicato in G.U. n. 44 del 22 febbraio 1997. 610 Perciò, allo stato attuale, il meccanismo della tariffa CIP 6/92 terminerà con l’esaurirsi delle domande in giacenza, cioè delle richieste di cessione formulate all’ENEL entro il 30 giugno 1995. 606 607 239 La scelta di relegare l’agevolazione in un ambito temporale di soli tre anni (dal 1992 al 1995) è stata imposta dall’enorme offerta di energia che è stata ammessa a beneficiare della tariffa CIP 6/92 e dal conseguente impegno finanziario che ne è derivato.611 Una stima prodotta alcuni anni fa612 indicava che il costo del meccanismo CIP 6/92 è stato impressionante: circa 14 miliardi di euro fino al 2000, misurati a valori correnti e 16,8 miliardi di euro per gli anni 20012007613, per un importo complessivo di 30,8 miliardi. Oggi, i tentativi, portati avanti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas614 (alla quale, a seguito della soppressione del Comitato Interministeriale Prezzi, sono state trasferite le funzioni in materia di determinazione delle tariffe) di ridimensionare questi sussidi, si sono scontrati con i ricorsi in sede giurisdizionale e solo recentemente hanno prodotto qualche parziale risultato. 615 Ad ogni modo, nonostante gli elevati costi riscontrati, a tale risalente legislazione va senza dubbio riconosciuto il merito di aver fatto maturare nella collettività la consapevolezza che la produzione di energia rinnovabile rappresenta un punto focale dello sviluppo sostenibile ovvero lo strumento del progresso non più perpetuato a danno dell’ecosistema e che, come tale, necessita di un’adeguata politica di incentivazione. Tale normativa, tuttavia, operando una piena equiparazione ai fini incentivanti tra le fonti rinnovabili propriamente dette e quelle c.d. assimilate, conteneva dentro di sé un grosso errore di fondo. L’incentivazione alle fonti In tal senso, si veda SELLERI R., op.cit., 966, nota 14. V. MACCHIATI A., Relazione alla Conferenza Comparative experiences, in Network Service Regulation, Enel, 2004. 613 V. BIANCARDI A. – MINOZZI M., L’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili per la generazione elettrica: strategie comunitarie, politiche nazionali e ruolo delle Regioni, in MACCHIATI A. – ROSSI G. (a cura di), La sfida dell’energia pulita, cit. 614 Istituita dalla legge n. 481 del 95, recante «norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi energetici». La progressiva riduzione della presenza pubblica, con la privatizzazione degli enti avviata nel 1994 e la tendenza alla liberalizzazione, aveva fatto sorgere l’esigenza di istituire un organismo di regolazione anche del mercato elettrico; si vedano DE VERGOTTINI G., L’autorità di regolazione dei servizi pubblici e il sistema costituzionale dei pubblici poteri, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1996, 227 ss. e GENTILE G., L’attività regolatoria nel settore elettrico, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 1996. 615 V. MACCHIATI A., op.cit. 611 612 240 assimilate, caratterizzate da potenze e costi impiantistici superiori in ordine di grandezza rispetto alle fonti rinnovabili, ha di fatto esaurito velocemente la capienza economica degli incentivi in conto capitale previsti dalla legge, finendo col penalizzare e ritardare la produzione dell’energia rinnovabile in senso stretto. È pur vero, però, che tale politica, oggi generalmente deprecata e considerata esempio di pessima politica energetica616, appariva all’epoca sensata anche nella sua esecrata estensione di incentivi alle fonti «assimilate». Essa nasceva dall’esigenza di evitare una prospettata drammatica carenza di energia elettrica nell’arco di alcuni anni e dalla volontà di liberalizzare il mercato, facendo leva sulla maggiore agilità decisionale dei privati rispetto all’ENEL e soprattutto sulla loro disponibilità di siti industriali già pronti, consentendo loro di usufruire di incentivi per il rifacimento delle vecchie centrali annesse agli impianti industriali, o per la costruzione di nuove negli stessi siti, purché avessero caratteristiche di efficienza elevata, cosicché anche restando nell’uso tradizionale degli idrocarburi si potesse ridurne il fabbisogno per ciascuna unità di energia elettrica generata. L’incentivo però fu fissato a livello troppo alto e fu garantito per troppo tempo, rimanendo blindato contro ogni pur ragionevole limatura che l’avanzamento delle tecniche potesse suggerire. In tale contesto, una conseguente eccedenza di progetti rispetto alle esigenze rese inevitabile un razionamento delle autorizzazioni che finivano per essere soggette a ritardi, ad andamenti sussultori e ad un uso quantomeno discutibile della discrezionalità politico-amministrativa617. Un correttivo a questo sistema è stato introdotto, come si vedrà meglio nel prosieguo, dal decreto legislativo n. 79 del 1999, che ha eliminato il concetto di Nel quadro di un rinnovato approccio alle fonti rinnovabili, dovrà essere altresì valutata la complessiva adeguatezza dell’attuale sistema di incentivi, che prevede una remunerazione assai elevata di impianti scarsamente innovativi, alimentati tra l’altro in molti casi non da vere e proprie fonti rinnovabili, ma da fonti a queste assimilate basate sugli idrocarburi. Cfr. Camera del Deputati, XIV Legislatura, Situazione e prospettive del settore dell’energia, Indagine conoscitiva della Commissione X, Roma, 2002, 84. V. anche prefazione di RANCI P., in MACCHIATI A. – ROSSI G. (a cura di), op.cit. 617 V. prefazione di RANCI P., cit. 616 241 «fonti assimilate» e ha riformulato l’intero sistema di incentivazione per le fonti rinnovabili.618 Va detto comunque che, nonostante il fallimento dichiarato, l’esperienza delle tariffe CIP 6/92 ha dimostrato che la remunerazione agevolata, sotto forma di contributi in conto produzione, è in assoluto lo strumento più efficace, sia in termini di semplicità dei meccanismi, sia con riferimento alle preferenze degli operatori, sebbene esso presenti la rilevante controindicazione di comportare in capo allo Stato degli oneri economici difficilmente quantificabili a priori, poiché legati all’effettivo realizzo ed ai tempi di entrata in funzione degli impianti ammessi a finanziamento. 2.2. I certificati verdi. Il sistema dei certificati verdi nasce dopo il fallimento del meccanismo di incentivazione CIP 6/92, con il duplice obiettivo di ridurre l’onere dell’incentivazione dell’energia elettrica per il sistema elettrico e di far sì che il livello degli incentivi fosse determinato sulla base dei meccanismi di mercato, senza l’intervento diretto da parte dello Stato. A tale scopo, il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, operando una vera e propria liberalizzazione del mercato, ha affiancato al modello di incentivazione CIP 6/92 il sistema dei c.d. certificati verdi619, stabilendo l’obbligo per gli operatori di energia elettrica da fonte non rinnovabile di immettere annualmente in rete una quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili pari ad una determinata quota di quella convenzionale da loro prodotta o importata620. V. SELLERI R., op.cit., 955. In generale sul sistema dei certificati verdi, cfr. BASEGGIO C., L’incentivazione alla produzione di energia da fonte rinnovabile: profili giuridici del mercato italiano dei Certificati verdi, in Ambientediritto.it, 2004 e PANELLA M., L’incentivazione dell’energia elettrica con i certificati verdi e la procedura di qualificazione degli impianti di produzione, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 154 ss. 620 Il Legislatore – ben consapevole dell’impatto che l’introduzione di tale disciplina avrebbe avuto sul mercato elettrico – ha stabilito che la quota di energia da fonti rinnovabili da immettere, inizialmente pari al 2% dell’energia da fonte convenzionale prodotta o importata, debba essere annualmente incrementata di 0,35 punti percentuali, in modo da garantire uno sviluppo adeguato e graduale della produzione di energia da fonti rinnovabili. 618 619 242 Il meccanismo è costruito attorno ad un titolo (il certificato verde, appunto),621 riconosciuto per la produzione di una quantità standard di elettricità da fonte di energia rinnovabile e vendibile separatamente rispetto a quest’ultima. Tali titoli vengono emessi dal GSE in seguito al riconoscimento del possesso, in capo al richiedente, dei requisiti stabiliti dalla normativa; possono essere richiesti a consuntivo, in base all’energia netta effettivamente prodotta nell’anno precedente, o a preventivo, in base alla producibilità netta attesa dell’impianto e vengono assegnati sulla base di un complesso meccanismo di calcolo, diversificato sulla base della tipologia di fonte da incentivare, dell’entrata in esercizio dell’impianto e di coefficienti moltiplicativi.622 Il GSE rilascia i certificati per un periodo di 8 anni consecutivi a partire dalla data di esercizio commerciale dell’impianto. Nello specifico, il meccanismo di funzionamento è regolato dall’articolo 11 del d.lgs. n. 79 del 1999. Al fine di creare la domanda di certificati verdi, i produttori e gli importatori di energia elettrica non rinnovabile operanti nel mercato italiano hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota annuale di energia pulita,623 calcolata rispetto all’energia convenzionale prodotta o importata nell’anno precedente o, in alternativa, possono acquistare la quota o i relativi diritti, in tutto o in parte, nel mercato organizzato dei certificati verdi o anche attraverso negoziazione diretta con altri titolari. La novità di maggior rilievo che connota specificamente il suddetto incentivo è rappresentata dal fatto che l’obbligo di cui sopra può essere soddisfatto non solo tramite produzione o importazione di energia da fonte rinnovabile, ma anche attraverso l’acquisto di certificati verdi in possesso dei produttori da fonti rinnovabili che abbiano preventivamente qualificato il proprio Si vedano LORENZONI A., The Italian green certificates market between uncertainty and opportunities, in Energy policy, 2003, 33 e ss.; PERNAZZA F., I certificati verdi: un nuovo bene giuridico?, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 147; PANELLA M., op.cit., 159 ss. 622 V. QUARANTA A., La consulenza giuridica nelle fonti rinnovabili, Guida teorico-pratica agli incentivi giuridici, economici e fiscali, Palermo, 2012, 6. 623 Prodotta o importata da Paesi terzi che adottino analoghi strumenti di promozione delle fonti rinnovabili e garantiscano condizioni di reciprocità per le importazioni dall’Italia. 621 243 impianto come «impianto alimentato da fonti rinnovabili» (IAFR) 624 presso il GSE. In altri termini, i soggetti obbligati possono liberamente decidere – in base ai costi marginali corrispondenti alle alternative – se investire nella costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, oppure acquistare direttamente i certificati verdi corrispondenti alla quota da operatori del mercato che già immettono energia verde625. La qualifica IAFR è un prerequisito necessario per l’ottenimento di alcuni tra i più importanti incentivi previsti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e cioè per il rilascio dei Certificati verdi e per l'accesso alla Tariffa onnicomprensiva. La qualifica di «impianto alimentato da fonti rinnovabili» (IAFR) deriva dalla riforma del sistema elettrico che ha introdotto anche i meccanismi di promozione delle fonti rinnovabili. La normativa attuale ha assegnato al GSE il compito di qualificare gli impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili, una volta accertato il possesso dei requisiti previsti dalle diverse normative. Tormentata è stata la vicenda degli impianti che possono ottenere la qualifica IAFR, la cui produzione di energia da diritto al rilascio dei certificati verdi. Nell’impostazione originaria del d.lgs. n. 387 del 2003, erano assimilati agli impianti da fonti rinnovabili quelli alimentati da rifiuti (individuati dal decreto Ministero ambiente del 5 aprile 2996 n. 186 e dal decreto Ministero attività produttive del 5 maggio 2006) e le centrali ibride che (ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 387 del 2003) che producono energia elettrica utilizzando sia fonti convenzionali sia rinnovabili. L’articolo 1, comma 71, legge n. 239 del 2004 ha poi esteso l’emissione dei certificati verdi anche all’energia elettrica prodotta con l’utilizzo dell'idrogeno nonché all’energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati a teleriscaldamento. La Finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha escluso da ogni agevolazione connessa alle produzione di energia rinnovabile (e quindi anche dal diritto all’emissione di certificati verdi), tutte le fonti assimilate. Ha infatti abrogato l’art. 17, commi 1 e 3, d.lgs. n. 387 del 2003 e così eliminato dalle fonti ammesse i rifiuti non biodegradabili, pur facendo salvi i diritti acquisiti, cioè i finanziamenti e gli incentivi concessi, ai sensi della previgente normativa, ai soli impianti già autorizzati e già in concreta fase di realizzazione. Di conseguenza dal 1° gennaio 2007 hanno diritto alla qualifica IAFR i soli impianti di produzione da rifiuti biodegradabili (classificati come biomasse, quindi come fonti rinnovabili vere e proprie, dalla direttiva 2001/77/CE). L’art. 1, comma 1120, legge n. 296 del 2006 ha abrogato anche l’art. 1 comma 71, legge n. 239 del 2004, così eliminando l’estensione del meccanismo dei certificati verdi agli impianti ad idrogeno e da cogenerazione da teleriscaldamento; il successivo d.lgs. n. 20 del 2007 all’art. 14 ha fatto salvi, anche in questo caso, i diritti acquisiti dagli impianti già autorizzati, in concreta fase di costruzione e, comunque, in funzione entro il 31 dicembre 2008. Un’importante novità è contenuta nell’art. 2, comma 152, della legge n. 244/07 che ha stabilito, limitatamente agli impianti IAFR entrati in esercizio a partire dal 1° gennaio 2008, la non cumulabilità degli incentivi derivanti dal meccanismo dei certificati verdi con altri strumenti economici di sostegno pubblico, di qualsiasi origine e tipologia. V. ARDOLINO D., op.cit. 625 Al fine di verificare il corretto adempimento dell’obbligo di immettere in rete energia «verde», il Gestore dei Servizi Energetici – sulla base delle autocertificazioni delle produzioni e/o importazioni di energia elettrica da fonti non rinnovabili – annulla il corrispondente quantitativo di certificati verdi dovuti, in capo ai soggetti obbligati che dimostrino di aver preventivamente provveduto ad acquistare tali certificazioni attraverso le modalità suesposte. Ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999, in tema di acquisto dei certificati verdi, occorre distinguere tra il momento in cui sorge l’obbligazione di acquisto in capo ai produttori di energia elettrica e quello di 624 244 Così facendo, ai produttori ed importatori di energia da fonti convenzionali viene imposto un onere ambientale a fronte delle esternalità negative connesse alle produzioni tradizionali. Di converso, i produttori di energia da fonti rinnovabili hanno il duplice vantaggio di vendere sia l’energia prodotta dai propri impianti con qualifica IAFR, sia i certificati verdi ottenuti a fronte della medesima produzione; cioè, possono sfruttare contestualmente l’energia «verde» prodotta attraverso l’immissione diretta nel mercato e la «qualità» della stessa – consistente nell’essere prodotta da fonti energetiche rinnovabili – mediante la vendita dei certificati verdi. 626 Analogamente a quanto accade per la vendita dell’energia, la vendita dei certificati verdi può avvenire in due modi: da un lato, è stato istituito un apposito adempimento, posto che quest'ultimo potrà avvenire solo dopo la corretta contabilizzazione dell'energia prodotta da fonti non rinnovabili alla quale è commisurato il numero dei certificati da acquistare. Cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 28 maggio 2007, n. 4694, in Foro amministrativo, 2007, 1524. 626 In altri termini, è possibile sfruttare contestualmente l’energia «verde» prodotta attraverso una sua immissione nel mercato e la «qualità» della stessa – consistente nell’essere stata prodotta da fonti rinnovabili – mediante la vendita dei certificati verdi. In particolare, ai sensi dell’art. 9, comma 1 del DM 18 dicembre 2008, i certificati verdi sono assegnati agli «impianti alimentati da fonti rinnovabili, ivi incluse le centrali ibride, entrati in esercizio a seguito di nuova costruzione, potenziamento, rifacimento totale o parziale, o riattivazione, in data successiva al 1 aprile 1999». Hanno diritto all’incentivo, inoltre: a) gli impianti termoelettrici entrati in esercizio prima del 1 aprile 1999 che, successivamente a tale data, operino come centrali ibride; b) gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento che abbiano acquisito i diritti all’ottenimento dei certificati vedi in applicazione del decreto ministeriale 24 ottobre 2005; c) gli impianti, anche ibridi, alimentati da rifiuti non biodegradabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2006, che abbiano acquisito il diritto all’ottenimento dei certificati a seguito dell’applicazione della normativa vigente fino alla stessa data (art. 9, comma 2). La disciplina non trova, invece, applicazione con riferimento agli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio precedentemente al 1 aprile 1999 (c.d. impianti non IAFR). Ciò nonostante, la loro produzione riceve comunque un sostegno, seppure indiretto, nella misura in cui è loro riconosciuta la facoltà di avvalersi di una esenzione dall’obbligo di acquisto dei certificati verdi. La normativa, e in particolare l’art. 11, comma 2 del d.lgs. n. 79 del 1999, prevede una serie di ulteriori specifiche esenzioni dall’acquisto di certificati verdi in favore «degli autoconsumi di centrale, delle esportazioni eccedenti i 100 GWh, (…) dell’energia elettrica prodotta da impianti di massificazione che utilizzano anche carbone di origine nazionale» e, soprattutto, dell’energia prodotta da cogenerazione. La ratio di una delimitazione dell’obbligo di acquisto di certificati verdi è, evidentemente, quella di contemperare i diversi interessi (pubblici e privati) coinvolti, in un’ottica globale che tenga conto dei complessivi apporti positivi e negativi (in termini di impatto ambientale) connessi alle diverse modalità di produzione di energia. In particolare, il regime di favor riconosciuto all’energia prodotta da impianti cogenerativi, è giustificato dalla circostanza che essa sarebbe connotata da una valenza ambientale positiva, in quanto in grado di assicurare «un significativo risparmio di energia primaria rispetto alle produzioni separate delle stesse quantità di energia elettrica e termica, riducendo le conseguenze ambientali negative a parità di altre condizioni». 245 mercato dei certificati verdi, la cui piattaforma è amministrata dal GME627, all’interno del quale è possibile procedere all’offerta al pubblico di certificati verdi durante apposite sessioni; dall’altro, resta ferma la facoltà di agire mediante singole contrattazioni bilaterali con i titolari dell’obbligo di acquisto 628. In tal modo, come era nelle intenzioni del Legislatore, si crea un nuovo mercato per lo scambio dei certificati verdi in cui l’incontro tra domanda e offerta dei diritti di produzione di energia pulita determina la remunerazione dell’attività incentivata, il cui costo ricade sui produttori e importatori da fonti non rinnovabili.629 L’introduzione del meccanismo dei certificati verdi ha segnato una decisa evoluzione rispetto al meccanismo CIP 6/92 e le principali differenze tra i due strumenti possono riassumersi nelle seguenti caratteristiche: - nelle fonti oggetto di incentivazione: fonti rinnovabili ed assimilate, per il CIP 6/92; esclusivamente fonti rinnovabili, nel sistema certificati verdi; - nelle modalità di accesso al meccanismo: una richiesta di autorizzazione al Ministero dell’industria con la conseguente formazione di una graduatoria di priorità630ove sono elencate le iniziative prescelte e pertanto meritevoli di stipulare una convenzione di cessione, nel caso del CIP 6/92; una domanda di qualificazione dell’impianto in esercizio o in progetto al GSE, nel caso dei certificati verdi; Il GME – Gestore dei mercati elettrici è la società costituita dal GRTN (attualmente GSE) a cui è affidata l’organizzazione e la gestione economica del mercato elettrico. In tale ambito, ad essa è affidata, tra l’altro, l’organizzazione delle sedi di contrattazione dei certificati verdi (attestanti la generazione di energia da fonti rinnovabili). 628 Per quanto attiene al meccanismo economico di formazione del prezzo sul mercato dei certificati verdi cfr. RINALDI L., I certificati verdi: trattamento contabile e rappresentazione in bilancio, in Rivista di diritto commerciale, 4, 2005, 651 ss. e FORLEO M., Certificati verdi e sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Una rassegna di strumenti, scenari, mercati a confronti, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2006, 215 ss. 629 Si veda, per un’introduzione dell’argomento, TURNER R.K. – PEARCE D.W. – BATEMAN I., Economia ambientale, Bologna, 2003. 630 L’istituzione di una graduatoria semestrale è uno strumento diretto a regolamentare l’accesso alla produzione in modo da programmare gli interventi per l’incremento della capacità di generazione ed approntare, nel contempo, le risorse finanziarie necessarie per la corresponsione dei prezzi fissati dal CIP 6/92. 627 246 - nella determinazione e nella tipologia dei prezzi: nel caso del CIP 6/92, i prezzi sono determinati per via amministrativa, basandosi sul citato criterio del costo evitato, incentivati e differenziati in ragione della fonte energetica utilizzata, nonché aggiornati annualmente; diversamente, il meccanismo dei certificati verdi prevede che i prezzi siano definiti dal mercato, dal libero incontro di domanda ed offerta631, ovvero lasciati alla libera contrattazione delle parti. Al di là delle citate differenze, il sistema dei certificati verdi rappresenta comunque un’innovazione nell’ambito del regime di sostegno all’energia rinnovabile. Tale meccanismo, frutto del sistema giuridico, infatti trae origine da una scelta politico-legislativa finalizzata al perseguimento di un fine di interesse pubblico, che si realizza mediante la creazione di un mercato (artificiale) tra soggetti privati. Il fine pubblico perseguito è espresso in apertura dallo stesso articolo 11 del d.lgs. n. 79 del 1999 e consiste nell’incentivazione dell’uso delle fonti rinnovabili, nel risparmio energetico, nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nell’utilizzo delle risorse energetiche nazionali. Per la realizzazione di quanto enunciato, l’ordinamento non interviene ex post al fine di regolamentare una realtà di scambio preesistente e sorta in modo «naturale» in ragione delle esigenze economico-sociali dei consociati, bensì impone a questi ultimi – qualora intendano raggiungere determinati fini egoistici – di operare in un mercato, avente una funzione meramente strumentale, in vista del perseguimento di un interesse pubblico ulteriore632. Rebus sic stantibus, data l’esistenza – come autorevolmente sostenuto633 – di un intrinseco legame tra fenomeno economico del mercato e presenza di un quadro giuridico in grado di assicurarne la relativa operatività, appare chiaro come A tale regola fanno eccezione i certificati verdi emessi dal GSE a proprio favore, a fronte dell’energia prodotta dagli impianti CIP 6/92 (entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999) per i quali il prezzo di vendita viene determinato ex lege ai sensi dell’art. 9 del DM 24 ottobre 2005. 632 Si osservi come la creazione di un mercato artificiale, che consenta l’indiretto conseguimento di fini di interesse pubblico, non rappresenta un caso isolato, esclusivo del settore energetico, e – attese le potenzialità di tale modalità di intervento pubblico nell’economia – è facile prevederne un sempre più frequente utilizzo nell’immediato futuro. 633 D’altronde, non vi è mercato senza diritto. Cfr. IRTI N., L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998. 631 247 l’insieme delle regole che delineano questo strumento giuridico assumono un’importanza fondamentale. Nell’ordine, il regolatore pubblico ha in primo luogo creato dei beni giuridici nuovi sotto forma di titoli astratti – privi anche di supporto cartaceo – che incorporano la facoltà di attestare nei confronti di un’autorità pubblica l’assolvimento di un obbligo legislativo avente per oggetto il contenimento delle emissioni entro un tetto prestabilito, l’immissione nella rete di un quantitativo minimo di energia verde, nonché la messa in opera di un quantitativo minimo di misure e di interventi di efficienza energetica. Si tratta di beni giuridici che hanno un valore economico634 poiché l’obbligo di legge al quale sono assoggettati taluni operatori (i titolari di impianti inquinanti, gli operatori elettrici, i concessionari distributori di energia elettrica e gas) garantisce che si tratti di beni appetibili a una platea più o meno estesa di potenziali acquirenti. Una volta creato questo nuovo bene giuridico avente valore economico, sono state poste le premesse per le transazioni private tra coloro che hanno una disponibilità inutilizzata di titoli e coloro che invece hanno necessità di acquisirne la titolarità. Ciò consente di realizzare non solo transazioni bilaterali fuori mercato, ma anche l’istituzione di sedi deputate a organizzare il commercio dei suddetti titoli e, a tale ultime fine, proprio per agevolare le transazioni, un soggetto pubblico (il GME) è stato investito del compito di organizzare il mercato635. Emerge pertanto chiaramente come il meccanismo dei certificati verdi rappresenti uno di quei casi, analizzati nei paragrafi precedenti, in cui il mercato opera per mezzo o «attraverso» lo Stato che, peraltro, mettendo in opera gli strumenti della regolazione, persegue l’obiettivo pubblicistico della tutela Si discute anche, sotto il profilo civilistico, se essi costituiscano una componente del patrimonio del titolare suscettibile di azioni esecutive ai sensi dell’art. 2740 c.c., se su di essi possano essere costituti dei pegni e se sia ammissibile l’usufrutto. Per questa discussione riferita ai certificati verdi, cfr. PERNAZZA F., op. cit., 192 e ss. 635 Dai primi mesi del 2007 il GME, come si è accennato nel testo, ha organizzato su base completamente privatistica un mercato per le quote di emissione di gas a effetto serra. 634 248 dell’ambiente. Quasi come in un gioco di specchi, si potrebbe dire che, da un lato, il mercato opera «attraverso lo Stato»; dall’altro, quest’ultimo «attraverso il mercato» cura un interesse pubblico.636 Il meccanismo dei certificati verdi ha funzionato bene per alcuni anni, con un incremento costante del valore dei relativi certificati, per i quali la domanda superava l’offerta, rendendo così sempre più conveniente la produzione da fonti rinnovabili. Pare infatti che abbia generato cospicui benefici, con un costo stimabile intorno ai 400 milioni di euro annui637. Tuttavia, alla maggior disponibilità di energia prodotta da fonti rinnovabili, stabilita per legge, e al meccanismo di determinazione dei relativi prezzi affidato al libero mercato, avrebbe dovuto seguire una diminuzione del prezzo di vendita dell’energia elettrica. Questo obiettivo, però, è stato ben presto messo in discussione prima, e vanificato poi, dal verificarsi di alcune misure (predeterminazione della percentuale di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili da immettere nella rete; aggiornamento automatico di tale percentuale; obbligo di ritiro, a prezzo determinato, dei certificati verdi in eccesso; mantenimento dell’incentivazione CIP 6/92, che ha finito con il costituire una sorta di benchmark per il prezzo dei certificati verdi) che hanno avuto l’effetto di incrementare e, successivamente, di stabilizzare il prezzo638. Per evitare un conseguente crollo del prezzo causato da un’eventuale eccesso di offerta, è stato dunque necessario introdurre alcuni correttivi, a partire dal 2008639. Così, per esempio, per raggiungere il pur minimo obiettivo del 25% del consumo interno di energia elettrica da fonti rinnovabili, il GSE è stato costretto ad emettere certificati verdi a proprio favore in modo da compensare un eventuale squilibrio tra domanda e offerta; è stato aumentato l’incremento annuale V. CLARICH M., La tutela dell’ambiente, cit. V. MACCHIATI A., Le politiche contro il cambiamento climatico, cit. 638 V. QUARANTA A., op.cit., 6. 639 Cfr. articolo 2, commi 147 e 148, della Legge finanziaria per il 2008, 24 dicembre 2007, n. 244. 636 637 249 della quota obbligatoria640 ed è stato garantito il ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi invenduti, sino al 2010, ad un prezzo ribassato. Ciò, come è comprensibile, ha creato alcune difficoltà in fase di valutazione degli investimenti da parte degli operatori del settore, impossibilitati a tener conto di tutte le imprevedibili fluttuazioni del mercato. Il Governo italiano, resosi conto che i micro-impianti, soprattutto se realizzati non a scopo imprenditoriale, non si sarebbero mai sviluppati significativamente con il solo meccanismo dei certificati verdi, ha quindi reintrodotto le tariffe fisse, inizialmente per il solo settore fotovoltaico (il c.d. Conto Energia) e, successivamente, per tutti i micro-impianti di potenza nominale inferiore ad 1 MW (200KW per gli eolici). Perciò, l’energia elettrica prodotta da tali impianti, che in assenza dell’intervento pubblico sarebbe scambiata ad un prezzo di mercato inferiore, è stata poi remunerata sulla base delle tariffe previste dal Conto Energia.641 Recentemente, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011, è stato emanato un decreto ministeriale attuativo del 6 luglio 2012642 di regolazione degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico. Esso ha sostanzialmente trasformato l’impianto incentivante dei certificati verdi, prevedendo la loro sostituzione, attraverso precise regole di transizione, con un sistema incentivante meno complesso e più prevedibile, che ha la caratteristica di premiare l’energia effettivamente immessa in rete, e non – come accadeva con i certificati verdi – l’intera energia prodotta dall’impianto643. Passato, come si è visto, dallo 0,35% del triennio 2004-2006 allo 0,75% previsto dalla legge n. 244 del 2007 per il periodo 2007-2012. 641 V. ARDOLINO D., op.cit. 642 Decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 luglio 2012, recante «Attuazione dell’articolo 24 del d.lgs. 28/2011 recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici», pubblicato in G.U. n. 143 del 10 luglio 2012. 643 A partire dal 1° gennaio 2013, quale nuovo meccanismo di incentivazione, viene assegnato un incentivo puro, calcolato con un metodo particolare e mutano anche le modalità di accesso che si diversificano a seconda della potenza e della fonte che alimenta l’impianto. In particolare, gli impianti aventi una potenza inferiore ai 5 MW hanno riconosciuta una tariffa fissa (concessa per 20 anni) tale da garantire un adeguato ritorno dell’investimento. Invece, la tariffa fissa che viene 640 250 Hanno diritto al mantenimento del rilascio dei certificati verdi gli impianti entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, alle condizioni vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. stesso, e cioè con i coefficienti moltiplicativi derivati dalle modifiche alle tabelle allegate alla legge n. 244/2007. Hanno, invece, ancora l’opzione di usufruire del meccanismo dei certificati verdi, secondo le regole del precedente decreto ministeriale 18 dicembre 2008644, gli impianti che sono entrati in esercizio entro il 30 aprile 2013 e gli impianti alimentati da rifiuti con valutazione forfettaria che sono entrati in esercizio entro il 30 giugno 2013, ma che hanno però ottenuto il titolo autorizzativo precedentemente all’entrata vigore del decreto del 6 luglio 2012, e cioè entro la data dell’11 luglio 2012. Infine, per i produttori e gli importatori di fonti fossili convenzionali la quota di immissione di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili si riduce progressivamente a partire dal 2013 fino ad annullarsi per l’anno 2015. Il GSE ritirerà i certificati verdi (non ancora acquistati dal mercato) emessi in relazione alla produzione elettrica da fonti rinnovabili, relativa agli anni 2011-2015, ad un prezzo pari al 78% di quello indicato ai sensi dell’articolo 2, comma 148, della legge n. 244 del 2007645. prevista per gli impianti aventi una potenza superiore ai 5 MW (concessa, anche questa, per 20 anni) è determinata mediante un meccanismo di aste al ribasso. Al fine di tutelare gli investimenti in via di completamento, è previsto poi un meccanismo di progressiva transizione dal vecchio al nuovo, regolato dallo stesso d.lgs. n. 28 del 2011 e dal decreto 6 luglio 2012, agli articoli 19, 20 e 30. Cfr. BRUNO A., Fonti rinnovabili. Autorizzazioni, concessioni, incentivi e fiscalità della produzione elettrica, Milano, Edizioni ambiente, 2012, 109 s. 644 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 18 dicembre 2008, recante «Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244», pubblicato in G.U. n. 1 del 2 gennaio 2009. 645 Ai sensi dell’articolo 2, comma148, della legge n. 244 del 2007, i certificati verdi emessi dal GSE in ossequio all’articolo 11 del d.lgs. n. 79 del 1999, sono venduti sul mercato ad un prezzo pari alla differenza tra il prezzo di riferimento, fissato ad Euro 180 per MWh ed il prezzo annuale medio relativo all’acquisto di elettricità, come stabilito dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, come disposto dall’articolo 13, comma 3 del d.lgs. n. 387 del 2003, registrato nell’anno precedente e pubblicato entro il 31 gennaio di ciascun anno a partire dal 2008. 251 2.3. La tariffa omnicomprensiva. Il sistema incentivante della tariffa omnicomprensiva è stato introdotto per la prima volta dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l’anno 2008), che – oltre a modificare il sistema dei certificati verdi – ha introdotto questo nuovo sistema di incentivi, cui inizialmente era possibile aderire in alternativa al meccanismo dei certificati verdi. La tariffa omnicomprensiva è un sistema di incentivazione monetaria di feedin tariff, che, come già enunciato, si caratterizza per il fatto di stabilire un prezzo fisso omnicomprensivo di remunerazione per l’energia da fonti rinnovabili immessa in rete, superiore a quello di mercato, diversificato per fonte, della durata di quindici anni. Viene definita come «onnicomprensiva» in quanto il valore economico della tariffa incorpora, seppur non in maniera esplicita, sia il corrispettivo per la vendita dell’energia sia una quota incentivante. Diversamente, quindi, da quanto avviene nel sistema dei certificati verdi in cui il beneficio economico legato al rilascio degli stessi va a sommarsi ai proventi derivanti dalla vendita di elettricità, il produttore che beneficia della tariffa omnicomprensiva non ha la possibilità di ottenere un ulteriore corrispettivo economico derivante dalla vendita dell’energia prodotta. Inoltre, non incentiva, come per i certificati verdi, tutta l’energia prodotta compresa quella autoconsumata, ma la tariffa omnicomprensiva è corrisposta solamente per l’elettricità effettivamente ceduta alla rete, al netto degli autoconsumi. Al pari dei certificati verdi, però, anche nel caso delle tariffe onnicomprensive, in base al tipo di intervento impiantistico cambia l’entità stessa dell’incentivazione. Tali differenze sono legate ai costi delle diverse tecnologie, consentendo una buona redditività anche alle soluzioni impiantistiche meno diffuse e che comportano un maggiore investimento economico646, con l’obiettivo Proprio al fine di garantire il necessario conseguimento di un reale vantaggio economico in capo ai produttori che intendono aderire a tale forma di incentivazione, il modello introdotto è di tipo flessibile, suscettibile di un periodico aggiornamento. In particolare, è previsto che le tariffe possano essere aggiornate ogni tre anni, con apposito decreto del Ministro dello Sviluppo Economico. 646 252 di promuovere i piccoli impianti, semplificando le procedure e garantendo un ritorno fisso e prevedibile647. In attuazione della legge finanziaria 2008 sono stati emanati il decreto ministeriale 18 dicembre 2008 e la delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas ARG/ELT/1/09, che hanno fissato le relative modalità procedurali per il rilascio dell’incentivo. Nello specifico, il produttore che intende avvalersi del sistema della tariffa omnicomprensiva deve, innanzitutto, presentare apposita domanda di qualifica IAFR al GSE. Poi occorre stipulare una convenzione con il GSE per la regolazione economica del ritiro a tariffa fissa omnicomprensiva, ivi incluse le tempistiche del pagamento, sulla base di uno schema di convenzione definito dallo stesso Gestore. Tale convenzione sostituisce ogni altro adempimento relativo alla cessione commerciale dell’energia elettrica immessa e all’accesso ai servizi di dispacciamento e di trasporto relativi, limitatamente all’immissione di energia elettrica. La convenzione ha una durata di quindici anni a partire dalla data di entrata in esercizio commerciale dell’impianto e, da quel momento, al produttore viene corrisposta la tariffa omnicomprensiva. La tariffa omnicomprensiva è stata strutturata sin dall’inizio come strumento alternativo al sistema dei certificati verdi: il diritto di opzione tra queste due tipologie di incentivo deve essere esercitato all’atto della prima richiesta al GSE della qualifica IAFR; è consentito, prima della fine del periodo di incentivazione, un solo passaggio da un sistema di incentivazione all’altro; in tal caso, la durata del periodo di diritto al nuovo sistema incentivante è ridotta del periodo già fruito con il precedente sistema. In generale, comunque, la tariffa omnicomprensiva non è compatibile con altre forme di contributo o incentivazione pubblica648. La sua peculiarità è V. QUARANTA A., op.cit. L’unica eccezione riguarda le aziende agricole, zootecniche e agro-forestali che fanno utilizzo di biogas, biomasse e oli vegetali per le quali l’accesso alla tariffa omnicomprensiva è cumulabile con altri incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale o in conto interessi con capitalizzazione anticipata, non eccedenti il 4% del costo dell’investimento. 647 648 253 rappresentata proprio dalla circostanza che, sino al termine del periodo di operatività del sistema di incentivazione, la tariffa onnicomprensiva costituisce l’unica fonte di remunerazione della generazione elettrica da fonte rinnovabile. Terminato il periodo di incentivazione permane, naturalmente, la possibilità di valorizzare l’energia elettrica prodotta, attraverso la sua vendita, l’autoconsumo o lo scambio sul posto. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 luglio 2012, emanato in attuazione del d.lgs. n. 28 del 2011, di regolazione degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico, che, come abbiamo visto, ha completamente modificato il sistema dei certificati verdi, ha invece sostanzialmente lasciato inalterata la struttura della tariffa omnicomprensiva. Essa infatti è rimasta pressoché immutata nelle sue caratteristiche fondamentali ed è riservata agli impianti fino a 1MW di tutte le fonti. È un beneficio studiato per semplificare le procedure e garantire un ritorno fisso e prevedibile: il GSE ritira l’energia e le attribuisce un corrispettivo fisso. Il produttore che beneficia della tariffa omnicomprensiva non ha il diritto di vendere l’energia prodotta, rinunciando a qualsiasi ulteriore corrispettivo economico649. 2.4. Il Conto Energia. Il c.d. Conto Energia è un programma di incentivazione in conto esercizio, studiato ad hoc per gli impianti alimentati da fonte solare, ai quali non sono applicabili i meccanismi finora analizzati, quali i certificati verdi e la tariffa omnicomprensiva. Tale incentivo è stato implementato per la prima volta con il decreto legislativo n. 387 del 2003, che all’articolo 7 prevede un meccanismo di incentivazione per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, che 649 V. BRUNO A., op.cit., 109 ss. 254 garantisca «un’equa remunerazione dei costi d’investimento e d’esercizio», demandando al Ministro delle attività produttive, oggi dello sviluppo economico (di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con la Conferenza Unificata) l’adozione di uno o più decreti con i quali siano definiti i criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica derivante da fonte solare650. In attuazione di questa disposizione, dal 2005 ad oggi si sono susseguiti cinque decreti del Ministro dello sviluppo economico per l’approvazione di altrettanti «Conti Energia», mediante i quali sono state disciplinate modalità e misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti fotovoltaici. 2.4.1. Il primo Conto Energia. A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 387 del 2003, il meccanismo del Conto Energia è diventato operativo con l’emanazione dei decreti attuativi del 28 luglio 2005651 e del 6 febbraio 2006652 (c.d. primo Conto Energia). Prima di questa data il sistema di incentivazione all’installazione di impianti fotovoltaici avveniva mediante finanziamenti in conto capitale a fondo perduto che arrivavano a coprire il 70% dei costi di impianto. Tali finanziamenti erano erogati dalle Regioni attraverso procedure lunghe e laboriose e le stesse Regioni, Il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale si è provveduto al recepimento della direttiva 2001/77/CE concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili all’art. 7 comma 1, ha previsto l’adozione di uno o più decreti con i quali definire i criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare e al comma 2, lett. d) ha previsto una specifica tariffa incentivante per l’energia prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio. 651 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 28 luglio 2005, recante «Criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare», pubblicato in G.U. n. 181 del 5 agosto 2005. 652 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 febbraio 2006, recante «Criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare», pubblicato in G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006. 650 255 una volta concessi gli incentivi, non avevano l’obbligo di verificare il mantenimento in efficienza e l’effettiva produzione degli impianti. Il primo Conto Energia introduce, invece, per la prima volta il sistema di finanziamento in conto esercizio della produzione elettrica, sostituendo i precedenti contributi statali a fondo perduto. Si passa ad incentivare in conto esercizio gli impianti di potenza compresa tra 1 e 1000 KW attraverso una tariffa incentivante riconosciuta direttamente sull’energia elettrica prodotta, per un periodo di 20 anni653. Il tetto massimo di potenza incentivabile attraverso il primo Conto Energia venne in un primo momento stabilito in 100 MW, tale limite venne raggiunto in pochi giorni e venne portato con successivo decreto a 500 MW di potenza, obiettivo che ci si prefissava di raggiungere entro il 2015. La tariffa incentivante base del primo Conto Energia partiva da 0,445-0,460 €/KWh, a questa si aggiungevano poi i benefici della vendita di energia elettrica alla rete o dell’autoconsumo dell’energia prodotta654. 2.4.2. Il secondo Conto Energia. Il decreto ministeriale del 19 febbraio 2007655 ha introdotto il secondo Conto Energia, il quale fissava nuovi criteri per incentivare la produzione elettrica degli impianti fotovoltaici entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2010. Tra le principali novità introdotte dal secondo Conto Energia c’erano l’applicazione della tariffa incentivante su tutta l’energia prodotta e non solamente su quella prodotta e consumata in loco, lo snellimento delle pratiche burocratiche per l’ottenimento delle tariffe sulla base del tipo di integrazione architettonica, Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it. V. TESTA C. – BATTANINI G. – FELETIG P., Chi ha ucciso le rinnovabili? La storia come non ve l’hanno mai raccontata del green business del fotovoltaico in Italia, in Rivista Formiche, 79, 2013. 655 Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2007, recante «Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare in attuazione dell’articolo 7 del d.lgs. 387/2003», pubblicato in G.U. n. 45 del 23 febbraio 2007. 653 654 256 oltre che della taglia dell’impianto. Veniva, inoltre, introdotto un premio per impianti fotovoltaici abbinati all’uso efficiente dell’energia656. Il secondo Conto Energia introduceva anche dei limiti alla potenza incentivabile: un obiettivo nazionale di 3.000 MW da raggiungere entro il 2016 e un limite di potenza incentivabile pari a 1.200 MW. Agli incentivi potevano accedere anche gli impianti entrati in esercizio fino a 14 mesi dopo il raggiungimento di tale limite. Le tariffe incentivanti erano comprese inizialmente tra gli 0,36 €/KWh per i grandi impianti a terra e gli 0,49 €/KWh per impianti domestici della potenza di 3 kW, architettonicamente integrati negli edifici657. 2.4.3. Il terzo Conto Energia. Nel corso del 2010, il rapido calo dei prezzi dei pannelli fotovoltaici rese necessaria l’emanazione ad agosto del 2010 di un decreto introduttivo del terzo Conto Energia che, con decorrenza dal 1° gennaio 2011, stabiliva un obiettivo nazionale cumulativo di potenza installabile pari a 8 GW al 2020 ed un limite di limite potenza pari a 3 GW entro fine 2013. Al fine di salvaguardare i diritti acquisiti di chi aveva messo in cantiere degli impianti fotovoltaici secondo le modalità e le condizioni richieste dai precedenti Conti Energia, venne contestualmente pubblicata, sempre nell’agosto 2010, la legge n. 129 del 2010, la c.d. «salva Alcoa», la quale prevedeva che potessero accedere alle tariffe del secondo Conto Energia tutti gli impianti i cui lavori di installazione fossero stati conclusi entro il 31 dicembre 2010 e che fossero entrati in esercizio entro il 30 giugno del 2011. In tal modo, si concedeva una proroga fino al 30 giugno 2011 al periodo di operatività del secondo Conto Energia, inizialmente destinato ad esaurirsi alla fine del 2010 per effetto dell’entrata in vigore terzo Conto Energia658. Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it, cit. V. TESTA C. – BATTANINI G. – FELETIG P., op.cit. 658 Cfr. pubblicazione GSE, Evoluzione del conto energia, in Gse.it, cit. 656 657 257 Tuttavia, già all’inizio del 2011 fu chiaro che grazie all’eccessiva generosità degli incentivi del secondo Conto Energia il limite di potenza installabile previsto dal terzo Conto Energia (gli 8 GW al 2020) rischiava di essere raggiunto già entro il 2011. Il GSE informò il Governo che, in base alle richieste pervenute da parte dei proprietari degli impianti che volevano rientrare nella franchigia prevista dalla norma «salva Alcoa», la potenza fotovoltaica installata a fine 2010 sarebbe stata prossima ai 7.000 MW e avrebbe superato gli 8.000 MW nel 2011. La previsione del GSE, all’inizio pesantemente criticata, si dimostrò invece nei fatti sostanzialmente corretta. Ad aprile del 2011 venne quindi promulgato un ulteriore decreto che introdusse, a partire dal 1° giugno 2011, un quarto Conto Energia. Il terzo Conto Energia rimase quindi in vigore per soli cinque mesi tra il 1°gennaio ed il 31 maggio 2011 659. 2.4.4. Il quarto Conto Energia. Il 2011 si può senza dubbio considerare l’anno in cui il settore della produzione di energia da fonte rinnovabile in generale, e quella fotovoltaica in particolare, ha dovuto subire «in corso d’opera» uno stravolgimento della disciplina degli incentivi a distanza di pochi mesi dalla precedente modifica, che invece avrebbe dovuto regolare il mercato per i successivi tre anni660, con dure ed inevitabili conseguenze a carico degli investimenti fatti nel settore sulla base di una normativa repentinamente cambiata. L’art. 25 del d.lgs. n. 28 del 2011 ha inciso sull’applicazione del terzo Conto Energia ed ha posto le basi normative per il quarto Conto Energia. In fatti tale norma, da un lato, ha anticipato al 31 maggio 2011 il termine del Terzo conto energia, inizialmente previsto nel 31 dicembre 2013; dall’altro lato, ha rimesso ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione della nuova disciplina relativa all’incentivazione degli impianti che entreranno in esercizio oltre il 31 maggio 2011. Il DM 5 maggio 2011 prevede una nuova disciplina delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e pone le basi per lo sviluppo di tecnologie innovative per la conversione fotovoltaica. Il nuovo regime di incentivazione si applicherà agli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio tra il 31 maggio 2011 e il 31 dicembre 2016. 660 V. QUARANTA A., op.cit. 659 258 Per primo, il d.lgs. n. 28 del 2011 è intervenuto apportando alcune modifiche al sistema di incentivazione previste per il fotovoltaico, prevedendo un sistema di feed-in premium, in cui il prezzo dell’energia rinnovabile è composto da due fattori: il valore di mercato dell’energia elettrica, esposto alle oscillazioni della domanda e dell’offerta e un premio fissato dall’autorità pubblica. Il decreto attuativo del 5 maggio 2011661 ha introdotto, poi, a decorrere dal 2013, un nuovo sistema di regolazione automatica del livello degli incentivi in relazione alla potenza installata, eliminando ogni limite alla produzione. Esso si applica agli impianti fotovoltaici che entrano in esercizio al 31 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2016 per un obiettivo indicativo di potenza installata a livello nazionale di circa 23.000 MW, corrispondente ad un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro662. Nel periodo transitorio è previsto una graduale e progressiva riduzione, allo scopo di allineare il nostro Paese ai livelli comunitari e di salvaguardare gli investimenti in corso. Nel periodo transitorio, è introdotta anche una distinzione tra piccoli impianti e gli impianti di maggiori dimensioni. I primi – cioè quelli con potenza superiore a 100KW, gli altri impianti fotovoltaici con potenza non superiore a 200KW operanti in regime di scambio sul posto, nonché gli impianti fotovoltaici di potenza qualsiasi realizzati su edifici ed aree delle amministrazioni pubbliche – saranno ammessi agli incentivi a prescindere da un tetto di spesa. I grandi impianti, invece, saranno sottoposti a dei limiti di costo annuo ben determinati; inoltre, saranno tenuti a richiedere al GSE l’iscrizione in un apposito registro informatico necessario a gestire i tetti di spesa previsti dal Governo e a comunicare il termine dei lavori di realizzazione dell’impianto. Gli incentivi verranno erogati solo al momento del collegamento dell’impianto alla rete e, nel caso in cui il gestore di rete non rispetti i tempi di realizzazione e attivazione della Cfr. decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2007, recante «Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici», pubblicato in G.U. n. 109 del 12 maggio 2011. 662 Cfr. articolo 1, comma 2, del DM 5 maggio 2011 di cui alla precedente nota. 661 259 connessione, causando la perdita del diritto all’incentivo, è previsto un indennizzo.663 Queste disposizioni, insieme alle altre, sono state oggetto di numerose critiche, in quanto, nel privilegiare i piccoli impianti fotovoltaici, realizzati dallo stesso soggetto e localizzati su aree attigue ovvero sulla medesima area664, hanno di fatto creato una ingiustificata disparità di trattamento tra gli operatori del settore, penalizzando proprio i mega-impianti e quindi quei soggetti economici che avevano pesantemente investito nelle fonti energetiche rinnovabili attraverso piani industriali molto onerosi e che ora vedono la loro implementazione messa a rischio. Una tale disparità di trattamento è stata ritenuta difficilmente raccordabile con i principi comunitari di divieto di discriminazione, parità di trattamento e libera concorrenza, oltre che con gli obblighi derivanti dal trattato sulla Carta dell’energia sottoscritto a Lisbona nel 1994665, che impone agli Stati di creare ed agevolare condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori di altre Parti contraenti che effettuano investimenti nella loro area (art. 10). D’altronde, il testo in esame appare in contrasto anche con il principio costituzionale, sancito dall’articolo 41 della Costituzione, di riconoscimento della libertà di iniziativa economica privata, laddove, invece, in tale contesto l’iniziativa nel settore appare scoraggiata, anche con significativi effetti negativi anche sul piano occupazionale.666 Secondo la disciplina contenuta nella delibera dell’AEEG n. ARG/ELT/181/10. L’art. 12, comma 5, del DM in esame stabilisce che questi ultimi vanno intesi come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti. L’intento dichiarato è quello di evitare il frazionamento di un impianto in più impianti di ridotta potenza e lo scopo è evidentemente quello di ridurre il rischio di fenomeni speculativi consistenti nella parcellizzazione degli investimenti fotovoltaici in diversi microimpianti al solo scopo di ottimizzare l’erogazione delle agevolazioni previste. 665 I grandi gruppi, dopo l’emanazione del d.lgs. n. 28 del 2011 e del DM 5 maggio 2011 hanno lamentato la violazione da parte dello Stato Italiano degli obblighi derivanti dall’articolo 10 del Trattato sulla Carta dell’energia avviando la procedura di bonaria composizione previsto dall’articolo 26 del medesimo. Il trattato, insieme all’annesso Protocollo sulla efficienza energetica ed i connessi aspetti ambientali, è entrato in vigore il 16 aprile 1998, quando sono state raggiunte le prima trenta ratifiche. Esso costituisce essenzialmente la riformulazione in forme giuridiche vincolanti dei principi già affermati a livello politico con la Carta europea dell’energia sottoscritta dalla CEE e dai suoi stati membri all’Aia il 17 dicembre 1991. 666 V. MARZANATI A., op.cit., 61 ss. 663 664 260 Ad ogni modo, al di là del merito, le novità introdotte hanno dato adito a forti dubbi, fondati principalmente sul metodo delle decisioni prese, più che sul loro contenuto sostanziale, almeno in ambito economico. Infatti, la retroattività introdotta dal d.lgs. n. 28 del 2011, che prevede che per tutti gli impianti solari fotovoltaici che entrano in esercizio dopo il 31 maggio 2011 si applichi il regime di incentivazione previsto da un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico adottato poi qualche settimana più tardi con il quarto Conto Energia ha creato un forte empasse, incidendo altresì sul legittimo affidamento di chi intendeva procedere a progetti futuri o già avviati e finanziati sulla base di una normativa non più in vigore. 2.4.5. Il quinto Conto Energia. Il forte ed imprevisto sviluppo del mercato del fotovoltaico degli ultimi anni ha determinato il raggiungimento del tetto massimo di spesa, fissato nel decreto ministeriale del 5 maggio 2011, molto prima rispetto a quanto preventivato, e cioè nel 2016. Mediante delibera 292/2012/R/EFR, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, su indicazione del GSE, ha infatti deliberato in data 12 luglio 2012 il raggiungimento del valore limite di 6 miliardi di euro di costo indicativo cumulato annuo per gli incentivi spettanti agli impianti fotovoltaici (cioè l’intero costo annuale degli incentivi di tutti i Conti Energia attivi)667. Tale situazione ha pertanto richiesto nuovamente l’intervento del Ministro dello sviluppo economico, che con proprio decreto ha regolamentato il meccanismo di incentivazione degli impianti fotovoltaici entrati in esercizio dopo il 27 agosto 2012, ovvero 45 giorni dopo il raggiungimento del limite previsto dal Il DM 5 luglio 2012 definisce il costo indicativo cumulato degli incentivi come «sommatoria degli incentivi, gravanti sulle tariffe dell’energia elettrica, riconosciuti a tutti gli impianti alimentati da fonte fotovoltaica in attuazione del presente decreto e dei precedenti provvedimenti di incentivazione». 667 261 quarto Conto Energia. Il decreto ministeriale del 5 luglio 2012668 ha quindi profondamente modificato il quadro in essere, bloccandolo anzi tempo. Nello specifico, si è passati da un meccanismo di feed-in premium ad un meccanismo di feed-in tariff. Rispetto infatti alle precedenti versioni, il quinto Conto Energia introduce il meccanismo della tariffa omnicomprensiva per il fotovoltaico. Si tratta di una tariffa che accorpa in sé sia il valore dell’incentivazione sia quello dell’energia ceduta alla rete. Con la differenza che, fino al quarto Conto Energia, le tariffe incentivanti erano calcolate su tutta l’energia prodotta, indipendentemente dall’uso che se ne sarebbe fatto (vendita o autoconsumo); nel quinto Conto Energia, invece, l’incentivo è calcolato sull’energia immessa (tariffa omnicomprensiva) e sull’energia autoconsumata (premio autoconsumo). Il valore della tariffa omnicomprensiva e del premio varia in funzione della potenza dell’impianto e dell’ora e della zona in cui è situato l’impianto. Grazie a un meccanismo di perequazione apportato dallo stesso quinto Conto Energia, il calcolo dell’incentivo infatti tiene conto del prezzo zonale orario della produzione ceduta alla rete. Un altro aspetto caratteristico del quinto Conto Energia è che l’accesso a queste tariffe incentivanti non è più automatico e diretto, o per lo meno lo è solo per gli impianti fino a 12 KW e per quelli fino a 50 KW realizzati in sostituzione dell’eternit669. Per gli altri impianti, invece, è stata stabilita una modalità di accesso mediante registro, gestito dal GSE. Gli impianti dunque non rientranti nelle categorie ad accesso diretto devono preventivamente iscriversi al registro. Cfr. decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, del 5 luglio 2012, recante «Attuazione dell'art. 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici», pubblicato nella G.U. n. 143 del 10 luglio 2012. Si tratta del cosiddetto «Quinto Conto Energia» per il fotovoltaico, emanato in attuazione dell’articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale 5 maggio 2011, il quale stabilisce che al raggiungimento del valore di 6 miliardi di euro di costo indicativo cumulato annuo degli incentivi al fotovoltaico possono essere riviste le modalità di incentivazione di cui al decreto stesso, favorendo in ogni caso l’ulteriore sviluppo del settore. Tale decreto è entrato in vigore il 27 agosto 2012. 669 Si veda sul punto BRUNO A., op.cit., 89. 668 262 L’iscrizione però non dà di per sé diritto all’incentivo. È il GSE che, sulla base di specifici criteri stabiliti dal DM del 5 luglio 2012, forma la graduatoria degli impianti rientranti nei limiti stabiliti.670 Senza dubbio, l’elemento più rilevante del quinto Conto Energia è la sua durata. Entrato in vigore il 27 agosto 2012, l’articolo, 1, comma 5, del decreto 5 luglio 2012 stabilisce che lo stesso cessa decorsi 30 giorni dalla data di raggiungimento del costo indicativo cumulato di 6,7 miliardi di euro annui. Come si evince dalle premesse del decreto attuativo, il Governo ritiene che non si possa continuare a seguire l’approccio incentivante finora adottato, ma che vada dato impulso ai settori calore, trasporti ed efficienza energetica, attraverso modalità economicamente più efficienti. A tale scopo, si è quindi ritenuto sufficiente impegnare ulteriori 700 milioni di euro/anno di costo degli incentivi, al fine di accompagnare il fotovoltaico verso la competitività, al di fuori di schemi di sostegno671. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas, nella delibera 250/2013/R/EFR, ha indicato nel 6 giugno 2013 la data di raggiungimento della soglia dei 6,7 miliardi di euro e, di fatto, il 6 luglio 2013 il quinto Conto Energia e le previsioni di cui ai precedenti decreti hanno cessato di applicarsi. Il quinto Conto Energia è quindi, ad oggi, l’ultima tranche delle facilitazioni che consentono al Paese di arrivare alla grid parity, cioè al punto in cui l’energia elettrica da fotovoltaico ha lo stesso costo produttivo dell’energia tradizionale. La forte crescita registrata negli ultimi anni ha senza dubbio portato ad un’eccedenza di produzione che esisterà ancora per qualche tempo. Tuttavia, questo eccesso di capacità, se da un lato ha consentito di ridurre notevolmente i costi di produzione, dall’altro però, a causa della rigidità del regime nazionale di sostegno al fotovoltaico, non è stato possibile adeguarsi alla rapidità del calo dei costi, all’aumento dei profitti e in alcuni casi alla creazioni di impianti a un ritmo e in quantità quasi eccessiva, determinando cambiamenti improvvisi e imprevisti 670 671 V. BRUNO A., op.cit., 89. V. BRUNO A., op.cit., 84. 263 che, a loro volta, come è accaduto con il quinto Conto Energia, hanno determinato tagli agli investimenti; lasciando di fatto inalterato il rischio che l’attuale eccedenza di capacità fotovoltaiche rispetto ai livelli pianificati si riduca e si trasformi nel lungo termine in una vera e propria carenza672. 2.5. Il nuovo sistema della aste. Il d.lgs. n. 28 del 2011 e i successivi decreti di attuazione, oltre a prevedere la graduale abolizione del meccanismo dei certificati verdi e nuove e, nel tempo, innovative regole per il fotovoltaico, ha anche introdotto un nuovo sistema di incentivazione alla generazione elettrica da fonti energetiche rinnovabili, prevedendo all’articolo 24, comma 4, un meccanismo di incentivazione ad asta. Nello specifico, il d.lgs. in questione disciplina il passaggio al sistema delle aste al ribasso, a partire dal 2013, per gli impianti di potenza superiore a valori minimi differenziati in base alle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili e comunque non inferiore a 5MW elettrici673. Per impianti di potenza superiore a 5 MW (10 MW nel caso di idroelettrico e 20 MW per il geotermoelettrico), il GSE indice delle procedure pubbliche d’asta al ribasso, in forma telematica, nei limiti dei contingenti annui. Il GSE pubblica il bando relativo alla prima procedura d’asta, riferita al contingente disponibile per il 2013, entro il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione delle procedure applicative del decreto (fornite dal GSE entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso)674. In ogni procedura viene messo ad asta l’intero contingente disponibile nell’anno, sommato alle quantità eventualmente non assegnate nella precedente procedura. A partire dal secondo registro, vengono Cfr. relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Relazione sui progressi nel campo delle energie rinnovabili, COM (2013) 175 final del 27 marzo 2013. 673 Si veda MARZANATI A., op.cit., 59. 674 Per i periodi successivi, i bandi sono pubblicati entro il 31 marzo di ogni anno a decorrere dal 2013. Per il solo eolico on-shore qualora la potenza non assegnata risulti maggiore del 20% della potenza messa bando, viene pubblicato un ulteriore bando, decorsi 6 mesi dal precedente. 672 264 sottratte al contingente le quote di potenza degli impianti che accedono direttamente agli incentivi, entrati in esercizio nei 12 mesi precedenti all’apertura della procedura (per il secondo registro, quelli entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013) e che comunque contribuiscono all’erosione del tetto. Vengono inoltre sottratte le quote degli incentivi forniti agli impianti che accedono alle disposizioni di transizione dal vecchio al nuovo meccanismo d’incentivazione (secondo le modalità descritte nell’art. 30 del decreto). Nel caso il valore del contingente, a seguito di tali sottrazioni, fosse negativo, si andranno ad erodere anche i contingenti successivi. Possono partecipare alla procedura d’asta i soggetti titolari di autorizzazione oppure di titolo concessorio nel caso di impianti idroelettrici, geotermoelettrici ed eolici offshore, nonché del preventivo di concessione redatto dal gestore di rete e accettato in via definitiva dal proponente (per eolico off-shore sotto a 20MW il titolo concessorio è sostituito dal giudizio di compatibilità ambientale). Per partecipare alle procedure d’asta, inoltre, il soggetto responsabile deve dimostrare di possedere una solidità finanziaria ed economica adeguata mediante dichiarazione di un istituto bancario o intermediario autorizzato, che attesti la capacità finanziaria ed economica del soggetto partecipante in relazione all’entità dell’intervento, oppure mediante capitalizzazione pari ad almeno il 10% dell’investimento previsto per la realizzazione dell’impianto. All’esito della procedura, poi, la graduatoria viene formata secondo i criteri di priorità, elencati nell’articolo 15, comma 3, del decreto 6 luglio 2012675, in Ai sensi dell’articolo 15, comma 3, citato: «A parità di riduzione offerta, ivi inclusa quella di cui all’articolo 14, comma 3, si applicano, nell’ordine, i seguenti ulteriori criteri, in ordine di priorità: a) impianti già in esercizio; b) per impianti alimentati dalle biomasse di cui all’articolo 8, comma 4, lettere c) e d): dichiarazione dell’Autorità competente attestante, nell’ambito della pianificazione regionale in materia di rifiuti, la funzione dell’impianto ai fini della corretta gestione del ciclo dei rifiuti; c) per gli impianti geotermoelettrici: totale reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, ovvero che rispettano il requisito di cui all’articolo 27, comma 1, lettera c); d) anteriorità del titolo autorizzativo o, in assenza del titolo autorizzativo e per gli impianti con potenza non superiore a 20 MW, del giudizio di compatibilità ambientale». 675 265 ordine gerarchico. Sono ammessi ai meccanismi d’incentivazione gli impianti rientranti nelle graduatorie, nel limite dello specifico contingente di potenza. 676 Uno dei principali vantaggi delle aste, che tipicamente si assume, è quello di consentire il superamento delle asimmetrie informative tra banditore e partecipanti; questi ultimi, infatti, data la scarsità del bene oggetto di gara, sono indotti a dichiarare implicitamente i loro reali costi al fine di veder risultare vincitrice la propria offerta. Ciò si traduce, inevitabilmente, in uno stimolo per i partecipanti a dichiarare senza effettuare sovrastime il valore di incentivazione (ossia il costo di generazione del MWh), pena il rischio di non risultare vincitore dell’asta e di non ottenere l’incentivo. Tale competizione tra operatori è dunque auspicabile, in quanto porta alla selezione delle iniziative più efficienti, ossia di quelle che presentino, a parità di fonte e tecnologia, un costo di generazione del MWh inferiore, assegnando un incentivo solo alle «iniziative migliori». Teoricamente, dunque, rispetto all’utilizzo di un sistema feed-in tariff, in cui il Legislatore assegna un incentivo fisso a tutte le iniziative a prescindere dal loro costo, questa forma di incentivazione dovrebbe comportare un risparmio netto per il sistema, legato appunto al superamento delle asimmetrie informative.677 Nella pratica, però, lungi dallo stimolare la competizione, le procedure d'asta hanno spaventato di fatto gli operatori con tariffe troppo basse e troppa burocrazia, tanto che per tutte le tecnologie ci sono state meno domande rispetto al contingente incentivabile disponibile.678 In molti casi, per l’operatore/partecipante all’asta, il concreto rischio di insuccesso nella procedura d’asta e il conseguente danno economico connesso al mancato recupero dei costi di sviluppo si è ritenuto condizione sufficiente a scoraggiare l’intrapresa dell’iniziativa. Inoltre, anche l’accesso al credito, data l’impossibilità di dimostrare agli istituti finanziatori non solo l’entità dell’incentivo, ma anche l’effettiva sussistenza dello stesso, è risultato particolarmente difficoltoso, con la Cfr. informativa 2012, Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, realizzata da TIS / Area Energia & Ambiente, Bolzano, 25 luglio 2012. 677 V. BARBETTI T., op.cit., 5. 678 Cfr. articolo del 13 gennaio 2013, Aste rinnovabili elettriche: il flop è ufficiale, in Qualenergia.it. 676 266 conseguenza che in tal caso non sarebbe neppure possibile disporre delle risorse necessarie per sviluppare i progetti e ottenere quell’autorizzazione che è il presupposto stesso per la partecipazione all’asta. In tali circostanze, si prefigurerebbe pertanto una situazione in cui lo sviluppo delle iniziative al di sopra della soglia di accesso alla aste sarebbe ridotto al minimo, con una deviazione dal percorso di raggiungimento degli obiettivi al 2020, solo in parte compensata dalla concentrazione degli investimenti sugli impianti di piccola taglia esenti dalla partecipazione alle aste. In aggiunta, i progetti che non rientrano nel contingente incentivato potrebbero cercare di vendere le proprie autorizzazioni ad altri soggetti disposti ad accollarsi il rischio derivante dalla partecipazione alle aste, innescando quel commercio di titoli che, nello spirito del d.lgs. n. 28 del 2011 e dei provvedimenti che l’hanno preceduto, si voleva evitare. Nell’ottica del pianificatore della politica energetica e delle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni, invece, non si può non rilevare che un siffatto meccanismo conduce, inevitabilmente, a un quantitativo di potenza installata inferiore rispetto a quella autorizzata. Gli indirizzi della politica energetica regionale, de facto sanciti con il rilascio delle autorizzazioni, verranno quindi sconfessati dalla possibilità che gli impianti già autorizzati non entrino in esercizio, con la conseguenza che ciò possa apparire particolarmente problematico nel caso in cui, mediante il c.d. burden sharing, si dovessero attribuire obiettivi vincolanti per le Regioni, prevedendo conseguentemente sanzioni da irrogare in caso di mancato raggiungimento degli stessi. Le Regioni in tal caso infatti si troverebbero nelle condizioni di dover pagare per non aver raggiunto degli obiettivi per i quali avevano deciso di autorizzare delle iniziative che poi però non sono risultate vincitrici delle aste per l’incentivazione. D’altro canto, però, nel caso in cui si aprissero le porte delle aste anche a soggetti non autorizzati, si ingenererebbe una situazione affatto diversa, ma connotata dalla stessa inefficienza. Le maggiori criticità si annidano dunque nella questione dell’effettiva realizzazione degli impianti che hanno avuto accesso, mediante l’asta, al contingente di potenza incentivata. In effetti, non vi potrà essere alcuna certezza che gli impianti che hanno ottenuto l’incentivo vengano dapprima autorizzati e 267 successivamente realizzati. Se il blocco avvenisse in fase autorizzativa, del tutto iniqua apparirebbe l’escussione delle garanzie o l’applicazione delle penali, giacché non si potrebbero riscontrare effettive responsabilità in capo al proponente. Se invece in fase autorizzativa venisse posto come condizione al rilascio del titolo abilitativo l’apportamento di modifiche sostanziali al progetto che determinino, al momento dell’entrata in esercizio, un maggior costo di generazione rispetto a quello previsto in sede di asta, l’iniziativa sarebbe comunque destinata all’insuccesso. Infine, eventuali ritardi, sia da parte dell’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione unica sia da parte del gestore di rete, che comportino il mancato rispetto del termine per l’entrata in esercizio previsto collateralmente dalla disciplina delle aste, implicherebbero l’applicazione di una penale (che potrebbe consistere nell’escussione di parte della garanzia) che danneggerebbe il produttore. Il comune denominatore di queste situazioni in ogni caso sarebbe l’inevitabile insorgere di un nuovo livello di contenzioso tra operatori, amministrazioni e gestori di rete, eventualità questa tra le più indesiderabili, con la realizzazione dello stesso effetto finale dello scenario precedente, in cui gli investitori tenderebbero senz’altro a privilegiare la realizzazione di impianti al di sotto della soglia di accesso alle aste.679 2.6. Lo scambio sul posto e il ritiro dedicato. Per quanto riguarda l’accesso alla rete, tra le varie misure promozionali si possono annoverare gli strumenti del c.d. ritiro dedicato e dello scambio sul posto che mirano entrambi a rendere conveniente anche per i piccoli produttori680 la realizzazione di impianti di sfruttamento di energie rinnovabili, semplificando la V. BARBETTI T., op.cit., 20 ss. La ratio è infatti quella di promuovere la piccola auto-produzione, ma va notato che agli impianti da fonti rinnovabili (a scopo promozionale) si applica questa disciplina a prescindere dalla potenza generata e – quindi – anche se non si tratta di fattispecie di autoconsumo. Si ricorda a riguardo che il decreto legge 16 marzo 1999, n. 79, definisce «auto produttore» la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70 % su base annua. 679 680 268 cessione dell’energia prodotta681. Ciò, in particolare, attraverso lo strumento del contratto, con il quale si riconducono i rapporti giuridici nascenti dalla conduzione dell’attività di sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili a schemi semplificati e particolarmente convenienti, grazie all’accentramento e all’intermediazione. Il servizio di scambio sul posto è stato introdotto per la prima volta dall’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge n. 133 del 1999 e poi confermato dall’articolo 6 del d.lgs. n. 387 del 2003. In origine, rappresentava un saldo annuo tra l’energia elettrica immessa in rete e quella prelevata dalla rete stessa da parte dell’utenza connessa a tale impianto. Successivamente, con delibera ARG/ELT/74/08, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ne ha modificato la struttura, che non consiste più nella possibilità fisica di prelevare dalla rete senza pagare le tariffe e gli oneri di sistema, ma nella regolazione economica dei prelievi di energia, affidata al GSE, cioè «nel realizzare una particolare forma di autoconsumo in sito, consentendo che l’energia elettrica prodotta e immessa in rete possa essere prelevata e consumata in un momento differente da quello nel quale avviene la produzione, utilizzando quindi il sistema elettrico quale strumento per l’immagazzinamento virtuale dell’energia elettrica prodotta, ma non contestualmente autoconsumata».682 Lo scambio sul posto, dunque, non rappresenta un incentivo in senso stretto, ma una convenzione con il GSE, che si configura come una facilitazione per l’autoconsumo dell’energia prodotta dall’impianto a fonti rinnovabili683. Nello specifico, in uno schema di negozi collegati trilaterale il GSE assume il ruolo di intermediario tra il sistema elettrico (il gestore di rete, distributore di energia competente territorialmente) e gli utenti dello scambio sul posto (produttori di energia rinnovabile). Sul tema del ritiro dedicato e dello scambio sul posto, cfr. BIANCO A., L’incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in POZZO B. (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie, cit., 145 ss.; RAGAZZO M., Le politiche sull’energia e le fonti rinnovabili, Torino, 2011, 142 s. 682 Cfr. considerando n. 5 della deliberazione AEEG n. ARG/ELT/74/08, che riporta il testo integrato delle modalità e delle condizioni tecnico-economiche per lo scambio sul posto (TISP). 683 V. BRUNO A., op.cit., 159. 681 269 L’utente dello scambio sul posto conclude un contratto di approvvigionamento con il gestore di rete, diventando cliente finale, mentre il GSE stipula con l’utente una convenzione che gli consente di controllare l’energia ceduta in rete e di regolare l’erogazione del c.d. contributo in conto scambio a scomputo di quanto in precedenza consumato684. Fino all’avvento dei due decreti attuativi del d.lgs. n. 28 del 2011 nell’estate 2012 (quinto Conto Energia e DM 6 luglio 2012) lo scambio sul posto era una facilitazione consentita, nei limiti previsti, anche a tutti gli impianti incentivati a vario titolo con il sistema tariffario. Oggi, invece, entrambi i decreti stabiliscono l’incompatibilità tra il regime tariffario incentivante e lo scambio sul posto. Del pari, il ritiro dedicato, introdotto ai sensi degli articoli 13, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 e articolo 1, comma 41, della legge n. 239 del 2004, consente che, per alcune tipologie di impianti, al produttore di chiedere al GSE, cui l’impianto è collegato, il ritiro – cioè l’acquisto di tutta l’elettricità messa in rete dall’impianto – a prezzo amministrato dell’energia elettrica prodotta e immessa in rete. Tale sistema, definito dalla delibera AEEG n. 280/07, si pone quale alternativa al normale regime di vendita dell’energia elettrica (vendita diretta), realizzata alternativamente nella borsa elettrica o tramite la stipula di contratti bilaterali con grossisti. Esso rappresenta una forma indiretta di vendita dell’energia concepita appositamente per tutti i produttori che intendono vendere energia senza dover accedere al libero mercato, demandando al GSE il ritiro (l’acquisto) di tutta l’elettricità immessa in rete dall’impianto (ad esclusione, quindi, di quella autoconsumata), dietro la corresponsione di un prezzo per ogni KWh ritirato685. La legge 22 giugno 2009, n.99 ha approvato l’ordine di esecuzione dell’ intercreditor agreement, con il quale è stato soppresso il divieto di vendita di energia per gli impianti in regime di scambio sul posto e, quindi, si è determinata di fatto la possibilità di liquidazione dell’eventuale credito risultante dal conteggio SSP. 685 V. CRISMANI A. – FONDA E., Il funzionamento del mercato elettrico. Considerazioni alla luce delle recenti modifiche normative, in Rivista giuridica dell’ambiente, VI, 2009, 901 ss. e VETRÒ F., La regolazione pubblica del mercato elettrico (Sull’ordine giuridico del mercato libero dell’energia elettrica), in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 3-4, 2003, 811 ss. 684 270 Di fatto, oltre a sostituire qualsiasi altro adempimento burocratico686, il ritiro dedicato consente di porre, quale intermediario tra i produttori di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili 687 e il sistema elettrico nazionale, il GSE, consentendo ai primi di evitare di confrontarsi continuamente con le imprese responsabili dei servizi di trasmissione e distribuzione. Questo ruolo di intermediazione riguarda sia la compravendita dell’energia elettrica sia la gestione dell’accesso al sistema elettrico (vale a dire la gestione dei servizi di dispacciamento e di trasporto in immissione). Con la stipula della convenzione il GSE si impegna a ritirare tutta l’energia prodotta, per poi venderla al mercato elettrico.688 Non rappresentando anch’esso, al pari dello scambio sul posto, una forma di incentivo economico-monetario, quanto una semplificazione burocratica per la vendita di energia, il ritiro dedicato fino al 2012 è stato ritenuto compatibile con i certificati verdi e il conto energia per il fotovoltaico, ma non con la tariffa omnicomprensiva – la quale stabilisce, appunto, un prezzo fisso omnicomprensivo della quota incentivante e, sia pure in modo non esplicito, di un corrispettivo per la vendita di energia – più favorevole del prezzo riconosciuto per il ritiro dedicato e anche con tutti gli impianti che beneficiano del regime di scambio sul posto.689 Oggi, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2011 e dei decreti emanati in attuazione della citata normativa, il ritiro dedicato non è più cumulabile con il quinto Conto Energia e con gli incentivi riservati alle altre fonti in vigore dal 2013. Esso si configura ora come un’alternativa agli incentivi veri e propri690. Tuttavia, l’aver previsto l’alternatività – o, detto in altri termini, il divieto di cumulo – tra l’incentivo e l’accesso ai meccanismi di ritiro dedicato e scambio sul La convenzione ha una durata annuale tacitamente rinnovabile; il produttore ha facoltà di recedere dalla convenzione in ogni momento, previo invio di disdetta a mezzo raccomandata almeno 60 giorni prima della data dalla quale si intende recedere. 687 E per gli impianti di potenza inferiore a 10 MW, anche da fonte fossile 688 V. BRUNO A., op.cit., 171. 689 V. QUARANTA A., op.cit., 165 ss. 690 V. BRUNO A., op.cit., 171. 686 271 posto, nonostante essi costituiscano degli strumenti di ausilio e semplificazione di accesso indiretto al mercato per gli impianti di ridotte dimensioni, ha penalizzato di fatto proprio i piccoli impianti, secondo una logica in controtendenza rispetto alle politiche strategiche di sviluppo della generazione distribuita.691 3. Criticità dell’attuale sistema di incentivazione. Il cammino di recepimento della direttiva comunitaria 2009/28/CE, relativa alla promozione delle energie rinnovabili in Italia, già di per sé, è stato un chiaro segno dei ripetuti cambi di direzione e delle polemiche che hanno caratterizzato le scelte del Legislatore italiano in tema di promozione delle rinnovabili692. La direttiva, nel fissare gli obiettivi nazionali di produzione della soglia minima di energia da fonti rinnovabili per ciascun Paese – per l’Italia, come noto, l’obiettivo è fissato in misura del 17% entro il 2020 – aveva previsto espressamente l’esistenza e l’utilità di regimi di sostegno all’energia rinnovabile quale mezzo per il conseguimento dei predetti obiettivi nazionali obbligatori e, in tale contesto, la stessa ha enunciato espressamente la necessità, da parte degli Stati Membri, di «creare certezza per gli investitori» (considerando 14), oltre a sottolineare l’importanza di «garantire il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali al fine di mantenere la fiducia degli investitori» (considerando n. 25). In coerenza con quanto enunciato dalla direttiva, la legge delega, all’art. 17, aveva declinato i principi e i criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire nell’attuazione della direttiva stessa. Fra di essi, in particolare, la necessità di «adeguare e potenziare il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e del risparmio energetico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti Cfr. articolo di PIGNI M., giugno-luglio 2012, Un decreto da riscrivere, in Qualenergia.it. V. GUZZO G., Energie rinnovabili: quale futuro dopo le nuove (discusse) tariffe del Quarto Conto Energia?, in Lexitalia.it., 5, 2001. 691 692 272 disposizioni in materia, 1’armonizzazione e il riordino delle disposizioni di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, e alla legge 24 dicembre 2007, n. 244». Parallelamente, il decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria, n. 28 del 2011, affermava che «la nuova disciplina stabilisce un quadro generale volto alla promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica in misura adeguata al raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 3 (ovvero gli obiettivi nazionali di ripartizione dell’obiettivo europeo del 20% del 2020 secondo la direttiva 2009/28/CE) attraverso la predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l’efficacia, l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione».693 A ben vedere, però, sembra che il decreto in questione comprenda alcune previsioni che si pongono in contrapposizione con gli obiettivi contenuti nella direttiva e nella legge delega, apparendo fortemente lesive dei diritti e degli interessi degli sviluppatori degli impianti fotovoltaici ed eolici e dei soggetti finanziatori.694 Uno degli aspetti maggiormente controversi – anche per le ricadute economiche dell’incertezza giuridica di cui parleremo nel prosieguo – riguarda la tecnica legislativa utilizzata dal Legislatore per la redazione del d.lgs. n. 28 del 2011. Come era avvenuto già nel caso della normativa in materia di energia elettronucleare695, anche nel settore delle rinnovabili, si è fatto costante ricorso ad un metodo di produzione delle regole che possiamo definire «a cascata». Infatti, a prescindere dalla presenza a monte di una delega legislativa o di una direttiva comunitaria come nel caso del d.lgs. n. 28 del 2011, la costruzione del quadro regolatorio di riferimento per gli operatori del mercato si sviluppa attraverso una serie di passaggi da una fonte di produzione normativa all’altra. In particolare, si V. MARZANATI A., op.cit., 57. Cfr. Chiomenti Studio Legale, Breve nota sul decreto legislativo sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – profili di illegittimità, in Chiomenti.net., n. 9 del 2011, 2 s. 695 Il riferimento è all’articolo-delega (art. 25) della l. n. 99 del 2009 alla quale è seguito il d.lgs. 15 febbraio 2010, n. 31. Su questo, cfr. AMMANNATI L. – DE FOCATIIS M., Un nuovo diritto per il nucleare. Una prima lettura del d.lgs. 31/2010, in Giustamm.it, 5, 2010. 693 694 273 arriva alla previsione di numerosi atti normativi sub-legislativi e di atti amministrativi generali preliminari all’avvio di ogni attività, inclusa quella fondamentale relativa ai procedimenti di autorizzazione.696 Nel dettaglio, questa tecnica legislativa «a cascata» prevede che alla norma primaria facciano seguito una serie di norme regolamentari che non hanno solo funzione esecutiva ma, anzi, integrativa del testo principale e anche, in alcuni casi, correttiva, laddove le disposizioni di legge abbiano prodotto forti resistenze o rilevanti critiche. La formulazione definitiva di regole e criteri cruciali, non a carattere tecnico, è con sempre maggiore frequenza rinviata ad atti secondari, da emanare con vincoli temporali o inespressi o non perentori, che giungono a conclusione di negoziazioni ex post rispetto alla approvazione delle leggi tra le diverse amministrazioni ministeriali e con gli interessi coinvolti.697 Questa modalità di produzione delle regole non sembra adeguata a definire l’assetto di settori economici come quello dell’energia caratterizzati dalla presenza di investimenti di lungo periodo che necessitano di un quadro legislativo regolatorio ben definito e stabile. Infatti, in un meccanismo di tal fatta, il tasso di incertezza è elevato in quanto, per un verso, gli atti regolamentari o amministrativi generali sono destinati a concretizzare indicazioni e criteri generici contenuti nella norma «a monte»; per un altro, la tempistica di approvazione di questi atti «a valle» è già di per sé generalmente incerta. Nel d.lgs. n. 28 del 2011 in materia di rinnovabili la costruzione della sequenza normativa segue lo schema qui descritto: le norme «a monte» contengono solo alcuni elementi, per lo più generici, e rappresentano soltanto una sorta di «contenitore» che deve essere riempito successivamente da atti normativi e regolamentari, decisi «a valle», solo dopo l’elaborazione dei quali, viene definito il concreto quadro organizzativo e regolatorio la cui conoscenza rappresenta la base di qualsiasi decisione di investimento ed iniziativa economica. V. AMMANATI L., L’incertezza del diritto. A proposito della politica per le energie rinnovabili, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, III, 2011. 697 V. AMMANNATI L., op.cit. 696 274 Basti pensare che il testo del d.lgs. n. 28 del 2011 rinvia a ben dodici successivi decreti di attuazione, di cui undici del Ministro dello sviluppo economico, per lo più di concerto con il Ministro dell’ambiente, previa intesa con la Conferenza Unificata, e uno del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dello sviluppo economico. E’ quasi superfluo a questo punto sottolineare come, anche nei pochissimi casi in cui è indicato un termine per la decisione ministeriale, la complessità procedurale che include il «concerto» almeno di un Ministro e l’intesa della Conferenza Unificata (e talvolta il parere dell’AEEG), dilata a dismisura i tempi facendo mancare così agli operatori non solo una immediata certezza sul contenuto delle regole ma anche la benché minima certezza sui tempi della loro definizione698. A ciò si aggiunga che il d.lgs. Rinnovabili è stato interessato anche da una diversa declinazione dell’incertezza, cioè quella che deriva dal costante rimaneggiamento e dalla incessante revisione delle norme. Questa ulteriore anomalia potrebbe essere letta, d’altronde, come un effetto della incompletezza e della difficoltà di interpretazione che caratterizza questo tipo di prodotto legislativo, in cui la forza degli interessi economici sottostanti impone talvolta di modificare la regola, incidendo di conseguenza sulle correlate situazioni soggettive ed economiche degli operatori e dei privati. Rimane comunque da chiedersi quale possa essere la causa di questa particolare mutazione della tecnica normativa: si tratta di incapacità di uscire dall’orizzonte del breve periodo imponendo un costante riadeguamento del contenuto di decisioni strategiche oppure non è altro che il frutto della mancanza di un chiaro meccanismo di consultazione degli stakeholders portatori di specifici interessi(economici, locali, collettivi, di categoria, ecc.) che, emarginati nella fase di Su aspetti cruciali del law-making e del rule-making, si vedano i numerosi spunti contenuti negli interventi raccolti nel volume di ZACCARIA R. (a cura di), Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della legislazione, Brescia, 2011. 698 275 elaborazione del provvedimento da parte del decisore politico, riemergono, poi, a valle nella fase della loro approvazione?699 Probabilmente entrambe le ipotesi contengono elementi di verità: nella prima, la costante correzione di rotta, il cambiamento «in corsa» delle regole sembra un fenomeno riconducibile ad ogni ambito legislativo e non solo a quello dell’energia e delle energie rinnovabili700; nella seconda ipotesi, si fa piuttosto riferimento ad un particolare meccanismo per cui si evita di introdurre elementi certi e scelte strategiche nella legislazione primaria, rimandando il confronto, o meglio il conflitto, tra gli interessi in gioco alla fase della normazione secondaria in cui la loro rappresentanza è meglio garantita in sede ministeriale, secondo modalità del tutto informali. In tali sedi, infatti, si possono confrontare non solo le diverse politiche sostenute dalle varie amministrazioni ma anche gli interessi di gruppi e di operatori economici che rivestono ruoli di rilievo sui mercati di riferimento. In sintesi, dunque, l’incertezza dei contenuti, in assenza di puntuali definizioni, e l’alta frequenza di «riadeguamento» del quadro iniziale di riferimento hanno come effetto la produzione dell’elevato «costo sociale» di questo sistema. Infatti esso rappresenta il precipitato in cui si somma l’incremento del costo economico con il costo di procedimenti burocratici spesso defatiganti, insieme con il costo eventuale a carico di utenti e consumatori nel caso in cui la carenza di V. AMMANNATI L., op.cit. A questo proposito basterebbe ricordare la particolare tecnica utilizzata dal Legislatore nella redazione dell’articolo delega in materia nucleare (art. 25, comma 5, l. 99 del 2009 citato) per cui si prevedeva che il decreto delegato potesse essere integrato e corretto entro un anno dalla sua approvazione. Non solo la complessità e il carattere sensibile della materia ma anche l’elevato ammontare degli investimenti avrebbe richiesto un maggiore grado di certezza e di definizione delle regole fin dall’inizio. E’ peraltro evidente che nessun operatore avrebbe potuto seriamente progettare di investire nel settore prima che fosse scaduto il termine entro cui potevano essere approvate disposizioni correttive e integrative con evidenti effetti di modificazione del quadro regolatorio predisposto inizialmente. Parallelamente, nel decreto in materia di rinnovabili la costruzione della sequenza normativa è simile. Infatti, alcuni aspetti cruciali come i meccanismi di incentivazione non sono stati sottratti a questa particolare condizione di incertezza che deriva, appunto, dal costante rimaneggiamento delle decisioni e delle regole e che non consente di stabilizzare le situazioni soggettive ed economiche dei privati coinvolti. 699 700 276 investimenti influisca, tra l’altro, sul tasso di concorrenzialità e sul livello dei prezzi. Tutto quanto sopra ha avuto, e ha tuttora, inevitabili ripercussioni sulla propensione all’investimento degli operatori, sulla loro stessa possibilità di acquisire finanziamenti e, anche, sulla possibilità di creare nuovi posti di lavoro e/o conservare i precedenti livelli occupazionali701. 3.1. La lesione del principio del legittimo affidamento come corollario della mancanza di certezza normativa: il particolare caso del fotovoltaico in Italia. Come declinazione dell’incertezza e dell’inadeguatezza normativa, analizzate nel paragrafo precedente, nel settore dell’energie rinnovabili, e in quello fotovoltaico in particolare, si è assistito all’introduzione di disposizioni difformi rispetto alle previgente normative, con applicazioni delle stesse anche nei confronti di impianti già autorizzati o in corso di autorizzazione, ma non ancora in esercizio. L’efficacia sostanzialmente retroattiva di queste norme ha imposto, dunque, di verificarne la loro legittimità, soprattutto in termini di legittimità costituzionale. Difatti, sebbene non sia astrattamente escluso che il legislatore possa emanare norme ad efficacia retroattiva, tuttavia, per giurisprudenza costituzionale costante, l’emanazione di disposizioni di legge ad efficacia retroattiva non deve porsi in contrasto con i principi di ragionevolezza e con il legittimo affidamento dei cittadini nella certezza del diritto.702 Tale principio trova per la prima volta esplicita affermazione nella sentenza della Corte Costituzionale n. 446 del 2002703, V. AMMANATI L., op.cit. Cfr. Chiomenti Studio Legale, Breve nota, cit., 8 e ss. 703 Cfr. Corte cost., sent. 12 novembre 2002, n. 446, in Giurisprudenza costituzionale, 2002, 3658. Sulla portata innovativa della pronuncia, cfr. CARNEVALE P., «... Al fuggir di giovinezza ... nel doman s’ha piú certezza» (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale), in Giurisprudenza costituzionale, 1999, 3643 ss. In senso contrario si veda invece GALETTA D.U., Legittimo affidamento e leggi finanziarie, alla luce dell’esperienza comparata e comunitaria: 701 702 277 secondo la quale «in linea generale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica – essenziale elemento dello Stato di diritto – non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (…). Da tale principio discende che solo in questi limiti – in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, comma 2, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva – l’affidamento sulla stabilità della normativa previgente è coperto da garanzia costituzionale»704. Con la sentenza n. 24 del 2009705, la Corte segna un ulteriore passo in avanti verso il riconoscimento del legittimo affidamento come principio autonomo. In particolare, individua più chiaramente i limiti del Legislatore nell’adozione di norme con effetti retroattivi – genericamente ravvisati nelle precedenti sentenze negli «altri principi o valori costituzionalmente protetti» – chiarendo che questi debbano essere più specificamente individuati nei «principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche»706. Il legittimo affidamento diviene, pertanto, un principio generale, al pari della certezza del diritto, privo di quella connotazione ristretta e settoriale riconosciutagli in precedenza, capace di permeare l’intero ordinamento707 fino a prevalere su altri interessi costituzionalmente garantiti. Tale assunto si ricava in particolare dal passaggio della sentenza in cui la Corte ammette che l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse sia da ritenersi legittimo «a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i riflessioni critiche e proposte per un nuovo approccio in materia di tutela del legittimo affidamento nei confronti dell’attività del Legislatore, in Foro amministrativo, Tar, 2008, 1901. 704 Affermazioni poi confermate dalla Corte costituzionale nelle successive sentenze nn. 168 del 2004 e 264 del 2005. 705 Cfr. Corte Cost., sent. 30 gennaio 2009, n. 24, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, 165, con commento di SPUNTARELLI S., La buona fede quale parametro di giudizio per la tutela del legittimo affidamento, 175. 706 V. SPUNTARELLI S., op.cit., 180. L’individuazione della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo stato di diritto, è stata successivamente confermata dalla Corte costituzionale nella recente pronuncia 21 ottobre 2011, n. 271. 707 V. FAGA S., Alla ricerca della natura del legittimo affidamento: un gioco di trasparenze, in Giurisprudenza italiana, 2001, 38. 278 principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (…)», con la precisazione che esso non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali pur se dettato dalla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica o, ancora, per far fronte ad «evenienze eccezionali». Se, dunque, nella precedente giurisprudenza della Corte il principio del legittimo affidamento aveva trovato riconoscimento e tutela soltanto attraverso un giudizio di ponderazione che facesse emergere l’esigenza inderogabile alla base del successivo intervento legislativo, nella sentenza n. 24 del 2009 l’esigenza di operare tale bilanciamento sembra apparentemente superata. Quell’esigenza inderogabile in precedenza ostacolo per la tutela dell’affidamento legittimo cede, sembra ineluttabilmente, a fronte dell’esigenza di garantire il privato, non potendo la norma successiva tradire l’affidamento di quest’ultimo sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali, anche se adottata per far fronte ad «evenienze eccezionali»708. La posizione assunta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2009 ha trovato successivamente conferma nella sentenza n. 124 del 2010709. In detta pronuncia la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio del legittimo affidamento da parte della normativa censurata, ha confermato quanto disposto nella pronuncia n. 24, secondo cui «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (…). La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali». Nel caso di specie, però, tale premessa porta la Corte a Anche se, come osserva attentamente SPUNTARELLI S., op.cit., 179 la Corte cade in contraddizione affermando «enfaticamente che la norma non può tradire la tutela del legittimo affidamento pur se dettata dalla necessità di contenimento della spesa pubblica o per far fronte ad evenienze eccezionali citando propri precedenti che statuiscono invece esattamente in senso contrario: vale a dire nel senso che il contenimento della spesa pubblica o alcune circostanze eccezionali possono determinare il sacrificio del legittimo affidamento». 709 Cfr. Corte cost., sent. 1 aprile 2010, n. 124, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, 2, 1490 ss. con nota di RANGONE N., op.cit. 708 279 ritenere la norma impugnata non lesiva del principio di affidamento in ragione dell’assenza di una situazione giuridica consolidata in grado di assurgere al livello di aspettativa qualificata, la sola in grado di giustificare la lesione del suddetto principio. Ad ogni modo, nella pronuncia n. 124 del 2010 possiamo tuttavia ravvisare, oltre ad una conferma del riconoscimento da parte della Corte costituzionale del legittimo affidamento come principio generale dell’ordinamento – espressione, del più ampio valore della certezza delle situazioni giuridiche – due importanti elementi di novità: il primo, derivante dal mancato richiamo all’interno di detta pronuncia all’articolo 3 della Costituzione, ritenuto nelle precedenti pronunce della Corte imprescindibile aggancio costituzionale del legittimo affidamento710 e, il secondo, consistente nella evidente restrizione dell’ambito di applicazione di tale principio, ritenuto meritevole di tutela, solo ove posto a tutela di situazioni soggettive consolidate e non di mere aspettative711. Tale ultimo rilievo, se da un lato trova ragione nella particolare protezione che l’ordinamento deve accordare ai titolari di situazioni giuridiche già consolidate nel tempo che, del tutto legittimamente, ripongono aspettative e fiducia nella stabilità del quadro normativo vigente, lascia tuttavia del tutto scoperta la posizione di coloro i quali, invece, pur non titolari di una posizione giuridica consolidata, possono comunque definirsi titolari di una ragionevole aspettativa suscettibile di una, sia pur meno stringente, tutela712. V. FAGA S., op.cit., 37. Rileva come nell’interpretazione della Corte costituzionale il principio dell’affidamento operi solo in ipotesi in cui vengano incisi diritti già concretamente acquisiti. Cfr. SORRENTINO F., Sui limiti della tutela costituzionale dell’affidamento, in Foro amministrativo, Tar, 2004, 895. 712 La differenza tra diritti quesiti e aspettativa legittima è ben presente nel diritto comunitario, ove la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come si avrà modo di chiarire più avanti, riconosce maggiore tutela nel caso in cui la normativa retroattiva vada ad esplicare i propri effetti nei confronti di diritti quesiti, ma non per questo nega a priori tutela verso coloro che siano in possesso di una legittima aspettativa. È stato al riguardo precisato dalla Corte di Giustizia che il legittimo affidamento del singolo si configura anche quando questo si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione gli ha dato aspettative fondate. Sulla differenza tra aspettativa legittima e diritti quesiti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si veda LORELLO L., La tutela del legittimo affidamento del cittadino tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 1998, 190 ss. Sui limiti 710 711 280 Si aggiunga, inoltre, che l’affidamento del cittadino sulla stabilità delle situazioni giuridiche, assume contorni ancora più problematici, proprio con riferimento al fenomeno dell’incentivazione economica in ragione della forte incidenza che questa esercita sull’iniziativa economica privata tutelata ex articolo 41 dalla Costituzione. Il condizionamento legislativo dell’attività economica determina, infatti, l’esigenza che le aspettative generate dal Legislatore trovino una qualche forma di tutela. L’incidenza dell’intervento legislativo nei confronti degli operatori economici pone due ordini problemi. Il primo riguarda i limiti dei condizionamenti negativi, condizionamenti che possono giungere fino alla ablazione dei beni dietro indennizzo, attraverso l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità di cui all’art. 43 della Costituzione713. Il secondo – che più rileva nell’ambito della presente trattazione – concerne il rispetto dei condizionamenti positivi offerti agli operatori economici affinché pongano in essere una determinata attività o affinché raggiungano determinati scopi. Premesso ciò, occorre dunque esaminare quando e come, nell’ambito della programmazione economica, si determini un affidamento giuridicamente tutelabile e, in particolare, su quali norme costituzionali possa basarsi la tutela. La sussistenza di una legge in grado di determinare l’attività economica privata risulta espressamente, in termini generali, dal terzo comma dell’art. 41 e dal secondo comma dell’art. 42 della Costituzione; ed è poi ribadita, per settori particolari, dagli artt. 44, comma 2, 45, comma 2, e 47, comma 1 e 2. Queste disposizioni costituzionali, messe in relazione con la tutela dei diritti fondamentali del cittadino, affermata nell’art. 2, prima parte, e articolata attraverso il della teoria dei diritti quesiti come limiti alla retroattività cfr. GABBA C.F., Teoria della retroattività delle leggi, Torino, 1891, 191. 713 Tale questione ha senza dubbio attratto l’attenzione del giurista ed è stato ampiamente indagato, sia con riferimento alla portata delle garanzie soggettive riconosciute espressamente dalla Carta costituzionale, cfr. PREDIERI A., Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963, 226 ss. e ID., Il Programma economico, Milano, 1967, 137 ss., sia con riferimento all’esistenza di principi generali non scritti di livello costituzionale che regolerebbero l’attività ablatoria dello Stato, cfr. LAVAGNA C., Interventi ablatori e principio di congruità, in Giurisprudenza italiana, I, 1965, I, 11 ss. 281 riconoscimento dei diritti di proprietà e di iniziativa economica (artt. 42, comma 1, e 41, comma 1), delineano una struttura socio-economica nella quale la fiducia del cittadino negli effetti giuridici favorevoli promessi dal Legislatore appare come un elemento connaturato al sistema costituzionale stesso. Da questo quadro appare che l’affidamento è un dato, per così dire, istituzionale dell’ordinamento, ma appare anche che non è direttamente riconducibile, in modo specifico, ad alcuna norma della Costituzione scritta. Per ammettere la tutela dell’affidamento nei confronti del Legislatore, occorre pertanto ipotizzare l’esistenza di un principio costituzionale non scritto di integrazione della Costituzione formale714. Nel diritto privato, la tutela dell’affidamento generato da un precedente comportamento di un determinato soggetto viene ricondotta al principio di buona fede in senso oggettivo. Tale principio non è solo del diritto privato, ma ben può essere considerato un principio di teoria generale, applicabile, qualora se ne rinvengano i presupposti, anche nel diritto pubblico715. Con la differenza, però, che nell’ambito del diritto pubblico, e del diritto costituzionale in particolare, per la natura stessa degli interessi in gioco, la buona fede non può essere intesa che come obbligo di correttezza, cioè come obbligo di operare una necessaria ponderazione tra situazione di affidamento e interesse contrario sopraggiunto. Ed è proprio in questi limiti che l’affidamento potrà venire tutelato anche nell’ambito della programmazione economica716. V. MERUSI F., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni «trenta» all’ «alternanza», Milano, 2001, 264 s. L’esistenza di principi costituzionali non scritti è un dato ineliminabile di ogni ordinamento anche in presenza delle costituzioni più analitiche. Gli elementi enucleati, pur non permettendo, di per sé soli, di individuare per astrazione un principio generale, costituiscono un indubbio indice di esistenza nell’ordinamento italiano di un principio giuridico che consente la tutela dell’affidamento. 715 In senso contrario, OLDIGES M., Grundlageneines Plangewahrleistunsrechts, BadHomburg, 1970, 189 ss., il quale ripete la tradizionale obiezione contro l’applicabilità della buona fede nel diritto pubblico, secondo cui l’applicabilità della buona fede avrebbe la funzione di regolare il contenuto di un preesistente rapporto giuridico tra due soggetti, rapporto certamente non configurabile tra Legislatore e cittadino nel caso di un piano economico approvato con legge. 716 V. MERUSI F., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970. 714 282 In tale contesto, la vicenda degli incentivi al fotovoltaico costituisce uno stimolo alla riflessione sul principio generale della tutela dell’affidamento e sulla stabilità della disciplina degli incentivi statali. Infatti, come analizzato ampiamente nei precedenti paragrafi, il sistema degli incentivi allo sviluppo dell’energia solare attraverso la tecnologia fotovoltaica è stato caratterizzato da una certa instabilità, originata prima dalla anticipata revoca, con correlata riduzione degli incentivi, del piano incentivante a causa dell’introduzione del quarto Conto Energia e, da ultimo, con la cessazione stessa degli incentivi a seguito del quinto Conto Energia. Occorre allora chiedersi in che termini la suddetta revoca possa avere inciso sulle posizioni giuridiche soggettive di costoro eventualmente meritevoli di tutela717, tenuto conto altresì che nell’ipotesi delle leggi di incentivazione la frustrazione dell’affidamento riposto dal privato causata dalla revoca dell’incentivo si pone in termini di maggiore gravità, atteso che la posizione soggettiva consolidata nella quale egli versa è stata proprio creata e determinata da un precedente intervento legislativo indirizzante l’attività economica del privato verso determinati obiettivi. In tali ipotesi, l’affidamento esiste in quanto la situazione di fiducia generata dal Legislatore si esaurisce con l’esaurirsi dell’azione sollecitata e con il rispetto delle condizioni previste per il conferimento del beneficio. In altri termini, l’affidamento deve essere deducibile dalle disposizioni legislative attraverso la ricostruzione dell’esaurimento o meno della fattispecie alla quale si riferisce la situazione di vantaggio a favore dell’operatore economico718. A tale riguardo, si può fare riferimento all’impostazione seguita dalla giurisprudenza tedesca al problema dell’affidamento, distinguendo tra retroattività propria (echte Rückwirkung) e impropria (unechte Rückwirkung). Con la prima si fa riferimento all’ipotesi in cui la disciplina normativa si riferisca a rapporti esauriti: V. COZZOLINO G., Energie rinnovabili e tutela dell’affidamento: qualche riflessione a proposito degli incentivi al fotovoltaico alla luce dei recenti sviluppi normativi, in Rivistaaic.it., 1, 2012. 718 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 260. 717 283 in tal caso, essendo la stessa stabilità dell’ordinamento giuridico ad essere messa in discussione, la retroattività viene considerata contraria a Costituzione. La seconda ipotesi, invece, di retroattività impropria si configura quando la legge modificativa della disciplina vigente incide sfavorevolmente sulla situazione giuridica in atto dei destinatari basata su tale normativa: in tale ipotesi la Corte costituzionale tedesca ritiene, invece, che la tutela del legittimo affidamento non possa spingersi al punto di preservare il cittadino da qualsivoglia delusione, occorrendo di volta in volta stabilire l’esistenza di un affidamento tutelabile basato sulla normazione precedente719. Da una tale impostazione si desume, dunque, che solo nel caso in cui la legge espressamente promette certe provvidenze giuridiche per un tempo determinato, tanto da generare in ogni operatore un affidamento determinante nei confronti delle proprie operazioni economiche, si possa parlare di legittimo affidamento. Pertanto, nel caso di una legge di programmazione economica, in cui sono estrapolabili direttive di azioni i cui diretti destinatari sono il Governo e, forse, gli enti pubblici strumentali, sembrerebbe doversi dedurre che non ci sia spazio per il formarsi di un affidamento giuridicamente rilevante a favore di quegli operatori economici, che sono soltanto i destinatari futuri di quelle situazioni di affidamento, per le quali però bisognerà invece attendere l’emanazione dei regolamenti di attuazione del Piano. Tuttavia, come autorevolmente rilevato720, il Piano economico ha, tra sue funzioni essenziali, quella di far conoscere agli operatori economici quali saranno Come noto, la Corte Costituzionale tedesca ha fornito un contributo fondamentale nell’elaborazione del principio del legittimo affidamento, partendo proprio dall’assunto dell’inammissibilità delle norme retroattive, per poi elaborare più finemente tale impostazione distinguendo tra retroattività propria ed impropria. Sul tema v. GALETTA, op.cit., 1903; MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 22, il quale osserva che l’applicazione fatta dalla Corte del principio dell’affidamento legittimo in ordine ad ipotesi di retroattività propria si riferisce in prevalenza alle leggi tributarie «per le quali si afferma di tutta evidenza l’eventuale violazione dell’affidamento: poiché le obbligazioni tributarie riconnettono obbligazioni patrimoniali a determinate fattispecie, il cittadino orienta il proprio comportamento sulla base delle leggi tributarie vigenti e viene pertanto leso nel proprio affidamento se non è in grado di conoscere anticipatamente le conseguenze tributarie di una determinata fattispecie». 720 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 263 ss. 719 284 le linee di sviluppo dell’economia nazionale in un arco di tempo determinato. Concependo in questo modo il Piano, non solo come programma da realizzare, ma anche come informazione rivolta a tutti gli operatori economici sulle future linee di sviluppo dell’economia nazionale, l’ambito dei destinatari si allarga. Quindi, anche la prospettiva di leggi future genera aspettative negli operatori economici e, di conseguenza, il problema della possibile tutela nei confronti di leggi attuative del piano che si discostino dalle «promesse» del Piano stesso. Occorre, pertanto, vedere in quali casi la fiducia degli operatori economici nelle prospettazioni del Piano può essere legittimamente disattesa. In primo luogo, la tutela dell’affidamento potrebbe trovare copertura nel sistema proprio del Piano e, quindi, laddove il Piano preveda la revisione periodica721 o strumenti di correzione del processo economico al verificarsi di determinati avvenimenti eccezionali, sarà di conseguenza legittima una legge che si discosti dalle previsioni di quel Piano. Nelle ipotesi, invece, in cui non siano previste queste «clausole di salvaguardia», la questione dovrebbe essere risolta in termini generali, nei limiti della clausola generale di buona fede. Il che significa che l’interesse connesso alla situazione di affidamento potrà trovare tutela solo nella ipotesi che si verifichino avvenimenti tali da alterare, non già variabili secondarie, ma i presupposti stessi sui quali si fondava la prospettazione pianificatoria722. La stessa impostazione andrebbe applicata anche alle leggi di esecuzione del piano, le quali, qualora abbiano generato l’affidamento dei destinatari, sono modificabili soltanto nella misura in cui sono derogabili le previsioni del Piano723. Come, ad esempio, accade in Germania. Si pensi al sopraggiungere di grandi crisi internazionali, di eventi bellici, di calamità naturali di portata nazionale). Sulla problematica della buona fede e della sopravvenienza cfr. MERUSI F., L’affidamento, cit., 62 ss. 723 V. MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 268. È appena il caso di accennare che la situazione di affidamento generata da un piano economico – sia esso il piano generale o un programma settoriale di attuazione – potrebbe venire in rilievo, in teoria, non soltanto sotto il profilo della validità del provvedimento legislativo lesivo della situazione di affidamento, ma anche sotto il profilo patrimoniale che, a rigore, è il profilo che effettivamente interessa all’operatore economico. Un istituto che potrebbe entrare in gioco, nel caso di specie, è la responsabilità per “danno da 721 722 285 Segnando tale impostazione, emerge quindi che solo nei confronti di coloro rispetto ai quali la revoca dell’incentivo abbia operato con effetto retroattivo e che dunque abbiano visto revocarsi il beneficio incentivante già acquisito, si possa parlare di lesione dell’affidamento non già non nei confronti di coloro che, invece, vantino rispetto a detto beneficio non un diritto acquisito di percezione, ma, piuttosto, una aspettativa legittima di futura acquisizione. Nella pratica il d.lgs. n. 28 del 2011, nello stabilire la graduale cessazione del regime di incentivi previsti dal Conto Energia, non ha inciso sui diritti già acquisiti di coloro che avevano messo in esercizio l’impianto di produzione di energia rinnovabile entro la data indicata, successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo. Pertanto, questi ultimi hanno continuato a percepire le tariffe cui avevano diritto, senza che in queste ipotesi si potesse ravvisare un caso di revoca retroattiva degli incentivi724. Semmai, nel caso del Conto Energia, sarebbe ipotizzabile una sorta di operatività retroattiva della cessazione anticipata delle tariffe previste dal terzo Conto Energia725. Infatti, nei confronti di coloro che, pur non avendo acquisito il diritto alla percezione degli incentivi, hanno intrapreso i lavori di installazione (nonché i necessari finanziamenti per l’avvio degli stessi) confidando nella vigenza delle tariffe previste dal Conto Energia previgente e dunque calcolando sulla base affidamento”. Tale istituto non ha, almeno per il momento, cittadinanza nel nostro ordinamento. Ma al di là delle ricostruzioni giuridiche, è possibile indicare subito qual è la prospettiva di fondo legata all’accoglimento, non importa sotto quale titolo giuridico, del principio dell’indennizzabilità degli interessi patrimoniali prima determinati dal Legislatore e poi lesi da un suo successivo atto: la prospettiva di uno Stato che sia economicamente in grado di assumersi il «rischio di impresa» dell’intera economia nazionale. Costituzionalmente parlando non è il tipo di Stato oggi esistente in Italia e probabilmente non è neppure un tipo di Stato compatibile con il dettato della Carta costituzionale. 724 Segnatamente, in tale ipotesi non ricorrerà né un caso di retroattività propria (echte Rückwirkung), né di retroattività impropria (unechte Rückwirkung). Non la prima che si verifica nell'ipotesi in cui la norma si riferisca a fattispecie già completamente esaurite e che appartengono al passato. E’ questo il caso dei cd. diritti quesiti, non più suscettibili di essere messi in discussione. Né la seconda ipotesi che concerne il caso di una norma riferentesi a fattispecie non interamente concluse, da essa modificate per il futuro, perché, come già detto, per coloro che abbiano acquisito prima del termine ultimo il diritto alla percezione degli incentivi è dal decreto legislativo n. 28 del 2011 è fatto salvo, essendo assicurata l’erogazione delle tariffe previste dal Terzo Conto Energia per i successivi venti anni. 725 V. COZZOLINO G., op.cit. 286 degli incentivi ivi previsti una certa remunerazione, non si potrà parlare di diritti già acquisiti, (atteso che il diritto alla percezione delle tariffe sorge solo a seguito dell’entrata in esercizio dell’impianto), ma resta comunque da esaminare se in effetti la cessazione anticipata degli incentivi alle rinnovabili possa esplicare un effetto lesivo dell’affidamento di situazioni giuridiche di mera aspettativa sulla vigenza di un dato regime tariffario. Ad esempio, come è accaduto nel caso del terzo Conto Energia, l’intervento ad opera del Legislatore di una revoca anticipata del piano degli incentivi che avrebbe invece dovuto trovare applicazione nel triennio successivo preclude agli operatori, di fatto, la possibilità di accedere a quei benefici rispetto ai quali essi non avevano acquisito già un diritto di percezione, ma, piuttosto, una aspettativa legittima di futura acquisizione (perché fondata sulla normativa vigente che avrebbe dovuto trovare applicazione per i tre anni successivi al momento in cui essi avevano concretamente intrapreso i lavori), una volta adempiute le condizioni previste dalla legge. In tale caso, si potrebbe eventualmente fare riferimento a quella teoria assai suggestiva di recente elaborazione che, superando la classica ripartizione tra retroattività propria e impropria, richiama l’attenzione sulla necessità di «ripensare la nozione di retroattività della legge» e di abbandonare la sfuggente nozione di irretroattività individuando invece – quale portato essenziale del principio – «un imperativo di minimo impatto nel passato», in base al quale è la legge vecchia che deve prevalere sulla quella nuova e non viceversa quella nuova sulla vecchia726. La prospettiva maggiormente corretta sarebbe quella offerta dalla nozione di «retrovalutazione giuridica» del passato, «così più che chiedersi se una legge sia o meno retroattiva, ci si deve chiedere che tipo di conseguenze giuridiche essa preveda a seguito di tale rivalutazione»727. V. LUCIANI M., Il dissolvimento della retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica, in Giurisprudenza italiana, 2007, 24 ss. 727 In particolare, secondo LUCIANI M., op. cit., 13 ss., quello della retroattività sarebbe un falso problema o comunque un problema posto in modo errato. A tale proposito, la più chiara ragione di dubbio andrebbe individuata nell’assenza «nella legislazione, di una qualunque definizione della nozione di retroattività. È osservazione comune che negli ordinamenti positivi non si è mai davvero tentato di chiarire cosa la retroattività sia. Anche quando sembra che se ne sia offerta una 726 287 Partendo, dunque, dal concetto di retrovalutazione da parte della nuova normativa, la suddetta teoria dottrinale distingue diverse ipotesi rispetto alle quali la normativa medesima avrà un’incidenza differente su fatti passati, ma comunque tutti meritevoli di una qualche protezione da parte dell’ordinamento728. Segnatamente, l’ipotesi più grave è quella della retrotrazione, che si verifica nell’ipotesi in cui «un fatto passato, già compiuto in tutti gli elementi della fattispecie normativa e produttivo degli effetti tipici che la legge vigente all’epoca della realizzazione di questa gli riconnetteva, viene privato di tali effetti»729. Tale definizione indiretta, in realtà, non si è detto nulla di utile. Così, si può ritenere che, quando il nostro codice civile ha stabilito, all’art. 11 disp. prel., che «La legge non dispone che per l’avvenire. Essa non ha effetto retroattivo», abbia sottointeso che, essendo il proprium della non retroattività il disporre solo per l’avvenire, il proprium della retroattività sarebbe il disporre (anche) per il passato. Con il che, però, non si chiarisce minimamente in cosa consista il disporre per il passato, fenomeno che — come abbiamo visto — può avere le più varie manifestazioni, tra le quali tuttavia (a seguire la stessa dottrina dominante) occorrerebbe identificare quelle qualificabili come retroattive. Specularmente, l’art. 25, comma 2, Cost., viene comunemente letto come la disposizione che fisserebbe il principio dell’irretroattività della legge penale, ma è evidente che la sua formulazione («Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso») è tale ch’essa, lungi dal presentarsi come una definizione generale della vaga nozione di (ir)retroattività, identifica con una certa precisione un determinato rapporto fra la legge penale e il tempo, che viene fatto oggetto di specifico divieto». Né progressi maggiori sarebbe riuscita a fare la dottrina, «molto giustamente è stato osservato che la maggior parte degli autori che hanno studiato la retroattività non ha voluto o non ha saputo darne una chiara definizione e che anche tra coloro che hanno tentato di farlo è massima la divisione. Nemmeno chi ha cercato più di recente di rimediare a questa insufficienza sembra essere riuscito a dimostrare il fondamento logico, dommatico o di diritto positivo della definizione proposta». 728 V. LUCIANI M., op.cit., 30 ss., per spiegare i diversi gradi di incidenza della legge sul passato ricorre all’esempio delle leggi in materia di età pensionabile. «Immaginiamo che il Legislatore stabilisca di innalzare l’età minima per la pensione di anzianità (concedibile a domanda degli interessati) da 50 a 55 anni, stabilendo anche che coloro che sono stati già posti in quiescenza avendo compiuto 50 ma non ancora 55 anni siano riassunti in servizio e che sia loro revocato il trattamento pensionistico. In questo caso avremmo quattro distinte posizioni giuridiche incise dalla legge, e precisamente: quella di chi ha già ottenuto il trattamento pensionistico e se lo vede revocare; quella di chi ha compiuto i 50 anni, ma non ancora 55, ha richiesto il pensionamento di anzianità, ma non lo ha ancora ottenuto; quella di chi si trova nella medesima situazione ora indicata, ma non ha richiesto il pensionamento di anzianità; quella di chi non ha ancora compiuto i 50 anni. «È certo che un accordo unanime sul se qualificare o meno tutte queste ipotesi come esempi di retroattività non lo troveremmo mai. Non credo, invece, che qualcuno potrebbe negare che ci troviamo di fronte ad ipotesi di rivalutazione di fatti passati e di determinazione delle conseguenze giuridiche di tale rivalutazione. In particolare, «nel primo caso potremmo parlare di retrotrazione; nel secondo di retroefficacia; nel terzo di retrospettività; nel quarto di retrocontemplazione. In tutte e quattro le ipotesi abbiamo retrovalutazione di fatti passati, ma (come aveva già osservato la piú risalente dottrina, pur se entro una diversa sistematica), di «grado», ovvero (meglio) di «tipo» o «modo» diverso». 729 V. LUCIANI M., op.cit., 32. 288 ipotesi appare ricadere nel classico caso della retroattività propria, ove una norma interviene su situazioni giuridiche soggettive già esaurite, modificandole per il futuro. Altre ipotesi di incidenza della nuova normativa su fatti passati sono quelle della retroefficacia e della retrospettività, nelle quali «un fatto passato, non ancora compiuto in tutti gli elementi della fattispecie normativa e - quindi - non produttivo di tutti gli effetti tipici che la legge vigente all’epoca del suo compimento gli riconnetteva, viene privato della possibilità di produrre tali effetti». Le due ipotesi differiscono tuttavia in quanto, nel caso della retroefficacia, gli effetti previsti dalla legge sarebbero stati prodotti nei confronti di un soggetto che non è più in condizione di subirli per fatto altrui, mentre nel secondo caso, quello della retrospettività, gli effetti si sarebbero prodotti nei confronti di un soggetto che non è più in condizione di subirli o di goderli per fatto proprio730. È agevole constatare che le ipotesi qui riportate sembrerebbero ben attagliarsi a quelle situazioni verificatesi a seguito dell’entrata in vigore della disciplina dettata dal quarto Conto Energia, la quale ha impedito ai soggetti che avevano avviato la realizzazione delle condizioni previste nel corso della vigenza del terzo Conto Energia di poter usufruire degli incentivi dallo stesso previsti. Come nell’ipotesi della retroefficacia e della retrospettività, taluni soggetti sono stati, infatti, privati della possibilità di usufruire di un determinato regime per non avere compiuto tutti gli elementi previsti dalla fattispecie normativa, ossia per non avere realizzato tutte le condizioni necessarie per la messa in esercizio dell’impianto. Nel caso in cui la mancata realizzazione di tali condizioni sia stata determinata da fatto altrui si verterà in un’ipotesi di retroefficacia, mentre nel caso in cui ciò sia dipeso da fatto proprio dell’operatore si verterà, invece, nella diversa ipotesi della retrospettività731. Diversa ancora è l’ultima ipotesi considerata, quella della retrocontemplazione, nella quale un fatto passato «incapace di realizzare anche un 730 731 V. LUCIANI M., op.cit., 33. V. COZZOLINO G., op.cit. 289 solo elemento della fattispecie normativa, ma idoneo a contribuire alla sua realizzazione, al ricorrere di altri fatti e quale elemento di una fattispecie in fieri, viene privato di tale potenziale idoneità»732. Siffatta ipotesi ricorre nel caso in cui la legge elimini un beneficio incentivante precedentemente previsto, senza salvaguardare la posizione di chi ha già compiuto frammenti della fattispecie normativa. Nel caso di specie, tale evenienza ricorre quando il privato abbia avviato solo parte delle attività necessarie per la realizzazione delle condizioni previste per la concessione degli incentivi nella vigenza del terzo Conto Energia, come la richiesta di un finanziamento bancario per ottenere il minimo di capitale richiesto per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, ma non abbia concluso tutte le attività necessarie entro la data ultima prevista. Ciò che tuttavia rileva, al di là di queste sottili distinzioni, è che la questione dell’affidamento può venire in considerazione in tutte le ipotesi di rapporto tra legge e fatti pregressi, nelle quali la violazione dell’affidamento mette in dubbio la legittimità costituzionale dell’incidenza legislativa nel passato, specialmente nel caso delle leggi di incentivazione, ove «la legge deve rispettare un impegno sostanzialmente contrattuale, assunto dal Legislatore, la cui rottura può essere ammessa solo se giustificata dal perseguimento di contrapposti interessi costituzionalmente pregevoli»733. Il principio della certezza del diritto e dell’affidamento legittimo imporrebbero quindi al Legislatore di strutturare il rapporto tra legge nuova e il passato in modo tale da evitare che l’incidenza sul passato determini effetti pregiudizievoli, ad esempio attraverso la previsione di specifiche disposizioni transitorie. Alla luce di questa innovativa impostazione, non potrebbe dunque escludersi che la cessazione anticipata della disciplina del terzo e del quarto Conto Energia, pur non avendo spiegato effetti propriamente retroattivi, abbia avuto un certo impatto nei confronti di situazioni giuridiche pregresse configurabili come 732 733 V. LUCIANI M., op.cit., 33. V. LUCIANI M., op.cit., 50. 290 legittime aspettative, che il Legislatore, non avendo previsto un regime transitorio, ha lasciato ricadere automaticamente nel nuovo regime di incentivi734. L’assenza in tale fattispecie di un diritto acquisito alla percezione degli incentivi non sembra, dunque, un argomento in grado di escludere aprioristicamente che i principi dell’affidamento legittimo e della certezza del diritto – implicando necessariamente la prevedibilità e la fiducia in ordine alla stabilità dei comportamenti e delle scelte degli organi a ciò deputati – siano effettivamente stati frustrati, con ricadute anche dal punto di vista economico735. In definitiva, qualunque sia l’impostazione da seguire, pare comunque che si possa trarre un’unica considerazione: in tema di fonti energetiche rinnovabili, manca ancora un quadro di stabilità e di certezza e, dunque, di prevedibilità per gli operatori, che è l’unica condizione che possa favorire gli investimenti e lo sviluppo del settore. Vi è, al contrario, un quadro nel quale prevale l’assoluta instabilità. Se a ciò si aggiungono iter procedimentali interminabili ed imprevedibili negli esiti, l’obiettivo prioritario, di incremento delle energie pulite incontra nella realtà ostacoli e incertezze che lo rendono senz’altro poco appetibile per coloro che dovrebbero invece investirvi.736 Peraltro, il passaggio di un lasso di tempo di circa due mesi tra il preannunciato arresto degli incentivi previsti dal terzo Conto Energia e l’adozione di un piano successivo ad opera del quarto Conto Energia ha ancor di più aggravato la frustrazione delle aspettative legittime di coloro che avevano confidato di rientrare nel precedente regime tariffario, costretti ad attendere, nella più totale incertezza, l’emanazione del nuovo regime di incentivi. Sul punto, v. CIRIMBILLA V. – SCAPPINI L., Quale futuro per gli investimenti nel settore fotovoltaico alla luce del d.lgs. n. 28/2011?, in Fisco, XV, 2011, 2344. 735 Come evidenzia LUCIANI M., op.cit., 34, la questione dell’identificazione della situazione soggettiva meritevole di tutela a fronte di un intervento legislativo incidente sul passato perde la sua rilevanza con riferimento alle quattro ipotesi di «retro valutazione» di fatti passati (di retrotrazione, di retroefficacia, di retrospettività, di retrocontemplazione) che, invece, ben si presta a garantire tutte le situazioni giuridiche soggettive (rispettivamente diritti assoluti, diritti relativi o interessi legittimi, facoltà, aspettative). 736 V. MARZANATI A., op.cit., 60 ss. Un ulteriore elemento di estesa incertezza deriva dal quadro di relazioni tra i diversi livelli di governo che richiederebbe di essere definito in modo non solo certo ma anche completo. In particolare, dal punto di vista degli operatori economici che necessitano di conoscere le regole per programmare gli investimenti, anche nel caso che questi non siano ingenti, sarebbe necessario che fossero definite chiaramente ex ante le possibilità di intervento delle Regioni. Difatti le disposizioni del decreto riconoscono a queste ultime una ampia gamma di opzioni da esercitare nella definizione delle modalità autorizzative in rapporto alle soglie di produzione energetica degli impianti. In sostanza dal quadro contenuto nel d.lgs. n. 28 del 2011 i 734 291 4. Analisi comparata: l’esperienza spagnola e tedesca. L’incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili è stata, negli ultimi anni, una priorità, per gli Stati della Unione Europea, imposta dall’assoluta necessità di ridurre la dipendenza dai prodotti petroliferi e di limitarne gli effetti dannosi sull’ambiente. Il pacchetto clima-energia, adottato dalla Commissione Europea nel dicembre 2008, ha introdotto misure volte a combattere i cambiamenti climatici e promuovere l’uso delle energie rinnovabili, ponendosi, come obiettivo, da conseguire entro il 2020, la riduzione del 20 % delle emissioni di gas a effetto serra, un risparmio energetico del 20 % e l’elevazione al 20 % della quota di energia da fonte rinnovabile sul consumo finale di energia737. diversi livelli di governo sembrano poter agire indipendentemente l’uno dall’altro senza che possano essere messe in atto, almeno allo stato attuale, forme di coordinamento. Ovviamente quello dei rapporti tra stato e Regioni in materia di energia è un tema delicato che, come sappiamo, ha origine altrove nella revisione costituzionale. Ma nel decreto sulle energie rinnovabili, come tra l’altro nell’evoluzione normativa de settore, questo difficile rapporto è inserito in un contesto mancante di criteri per la costruzione di efficienti relazioni reciproche. Ancora un ultimo elemento da considerare in un’ottica istituzionale, e cioè che il decreto sembra fare una brusca frenata rispetto ai tentativi di semplificazione e accelerazione dei procedimenti in materia di infrastrutture. Infatti è innegabile che l’introduzione dell’autorizzazione unica, via via messa a punto, rappresenti un vero strumento alternativo rispetto alla tradizionale frammentazione dei procedimenti autorizzatori. Tuttavia il decreto sdoppia i procedimenti e ne configura uno relativo alla costruzione ed esercizio dell’impianto e uno relativo alla costruzione di infrastrutture funzionali all’immissione in rete e al ritiro dell’energia. L’esistenza di un doppio procedimento non può che sfociare in un rallentamento delle decisioni nonostante che il decreto auspichi un coordinamento anche temporale tra i due procedimenti. Sul punto cfr. anche AMMANATI L., op.cit. 737 Tra gli atti normativi di cui si compone il pacchetto clima-energia troviamo: (i) direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE; (ii) direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra; (iii) direttiva 2009/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifica della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio; e (iv) decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. Cfr. TRANCHINO E., I tagli alle energie rinnovabili in Europa a causa della crisi, contributo pubblicato in Osservatorio Ambiente, in Apertacontrada.it, 17 dicembre 2013. 292 Varie sono le forme che hanno assunto gli incentivi e vario è l’approccio con il quale nei Paesi europei viene continuamente adeguata la politica di incentivazione delle rinnovabili ai mutamenti del contesto tecnologico, economico e finanziario738. L’obiettivo di questo paragrafo non è certo quello di analizzare in modo esaustivo e dettagliato le politiche di incentivazione adottate negli altri Paesi europei, ma, quantomeno, si tenterà attraverso l’analisi comparata del sistema di incentivazione utilizzato in due Paesi, molto vicini all’Italia, sia per collocazione geografica che per storia, di individuare la c.d. best practice. La scelta di soffermare l’attenzione sulla Germania e la Spagna trova origine, tra l’altro, anche dal fatto che questi due Paesi hanno avuto un ruolo predominante nel campo delle fonti energetiche rinnovabili, rivestendo per molto tempo, rispettivamente, il primo e il secondo posto della classifica degli Stati membri maggiormente produttori di energia rinnovabile. Ed è proprio attraverso lo studio delle ragioni che hanno permesso a questi Paesi la loro ascesa nel settore delle rinnovabili che si cercherà di trarre utili conclusioni, soprattutto anche in relazione ai differenti esiti a cui le politiche di Nel processo di investimento in energie rinnovabili, il peso delle politiche pubbliche e degli strumenti di sostegno e regolazione messi in atto dai sistemi Paese è di grande rilevanza. Gli indicatori di attrattività degli investimenti costruiti dagli analisti finanziari considerano le politiche e gli strumenti pubblici di intervento ancora fondamentali nella determinazione degli indici e, quindi, fortemente condizionanti le posizioni in classifica dei diversi Paesi. Il settore è caratterizzato da una serie di barriere all’entrata che richiedono alle politiche pubbliche un ruolo propulsivo verso gli investimenti rinnovabili e un ruolo attivo nella rimozione delle barriere. In anni recenti a questo ruolo diretto delle politiche pubbliche nazionali a favore degli investimenti in rinnovabili – che hanno comunque favorito anche i flussi di investimento esteri – si è aggiunto un ruolo di natura indiretta, per effetto dell’intervento delle politiche sovranazionali. Ci riferiamo, in particolare, agli elementi del quadro normativo europeo e internazionale a favore dei processi di internazionalizzazione degli investimenti in energie rinnovabili da parte delle imprese. Una molteplicità di Paesi ha adottato specifiche strategie di crescita delle rinnovabili, tra questi le aree geografiche leader mondiali in termini di potenzialità: l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Cina. In alcuni casi l’impegno si concentra sulle rinnovabili per la generazione elettrica (Cina, Stati Uniti), in altri è diffuso a tutte le applicazioni, elettriche e termiche e include i biocarburanti (UE). All’interno dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, inoltre, tutti i Paesi membri hanno adottato misure per il raggiungimento dei target nazionali di sviluppo delle rinnovabili. V. D’ORAZIO A. – PONTONI F., Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche, in Iefe.unibocconi.it, research report n. 6, settembre 2010. 738 293 sostegno adottate dalla Spagna e dalla Germania hanno dato luogo in tempi odierni. 4.1. Spagna. La Spagna è stata storicamente caratterizzata, dal punto di vista energetico, da un consumo maggioritario di prodotti petroliferi che, data la scarsa disponibilità di risorse autoctone, sono stati acquistati prevalentemente all’estero. Il Paese ha subito, pertanto, per parecchi anni una forte dipendenza energetica, considerato che l’economia spagnola è supportata da un tessuto produttivo ad elevata intensità energetica. Nel 1997, viene emanata la ley del sector eléctrico739 (LSE), la quale stabilisce i principi di un nuovo modello di funzionamento che, con riferimento alla produzione di energia elettrica, si basa sulla libera concorrenza tra gli operatori. Ciò nonostante, la legge pretende di rendere compatibile questo principio-base con il conseguimento di ulteriori obiettivi, come la tutela dell’ambiente, obiettivo che tra l’altro è vincolato in virtù dell’adesione al Protocollo di Kyoto e stabilisce espressamente la necessità di incentivare lo sviluppo delle energie rinnovabili. A tale scopo, il Legislatore spagnolo prevede obiettivi concreti di compenetrazione delle fonti di energia rinnovabile nella struttura energetica spagnola, stabilendo che nell’anno 2010 le fonti energetiche rinnovabili coprano, almeno, il 12% del totale della domanda energetica in Spagna740. Viene, pertanto, creato un «regime speciale» per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, garantendo una tariffazione incentivata e l’esclusione dal regime di concorrenza del mercato. Gli impianti di produzione di energia elettrica che si conformano ai requisiti richiesti per il «regime speciale» godranno Cfr. ley del sector eléctrico (LSE) n. 54 del 27 novembre 1997, pubblicata nel BOE il 28 novembre 1997. 740 Cfr. disposiciόn transitoria n. 16 della LSE. 739 294 di una certa disciplina giuridica ed economica, diversa dalle altre installazioni che invece saranno sottoposte al «regime ordinario».741 In concreto, il regime speciale prevede: a) la garanzia di acquisto dell’energia generata da impianti di energia da fonti rinnovabili: la legge garantisce ai produttori di energia rinnovabile la vendita della totalità dell’energia prodotta, anche se in una percentuale superiore rispetto a quella precedentemente pattuita con la compagnia di distribuzione, sfuggendo ai meccanismi di mercato previsti a carattere generale dalla LSE.742 b) la garanzia di una retribuzione fissa e un sistema di premi e incentivi: il modello incentivante adottato dalla Spagna per gli impianti di energia rinnovabile è sostanzialmente un modello di feed-in tariff, o in alternativa di feed-in premium. A differenza dei produttori di energia da fonti convenzionali, i produttori di energia rinnovabile sono retribuiti mediante la corresponsione di un prezzo fisso o di una tariffa regolata, o meglio mediante il prezzo medio dell’elettricità nel mercato maggiorato di un premio o incentivo. Nella realtà, però, l’entrata in vigore della legge n. 54 del 1997 (LSE) non ebbe un gran successo, con l’effetto di scoraggiare gli investimenti nel settore delle rinnovabili, a causa, probabilmente, di una formulazione eccessivamente vaga dei precetti contenuti negli artt. 27 e seguenti della LSE, che necessitavano di un V. DOMINGO LÓPEZ E., La promoción de las energίas renovables en la Uniόn Europea: el modelo italiano versus el modelo espaňol, in PÉREZ MORENO A. (a cura di), El derecho de la energίa, XV congreso italoespaňol de profesores de derecho administrativo, Instituto Andaluz de Administraciόn Pública, Sevilla, 2006, 559 ss. 742 Sul punto, cfr. NANNIPIERI L., Indagine comparata sullo sviluppo delle energie rinnovabili: Spagna e Italia a confronto, in Il diritto dell’economia, I, 2009, 108. Un importante nodo problematico che si è posto tra i produttori di fonti energetiche rinnovabili e le grandi compagnie distributrici è stato quello della durata dei contratti energetici. La proposta delle parti in causa, con eccezione dell’UNESA, era quella di predisporre contratti con durata di 15 anni per la cogenerazione, ed un minimo di 10 anni per l’energia prodotta esclusivamente da rinnovabili, in modo da garantire una certa stabilità al mercato; UNESA, dal canto suo, proponeva contratti brevi, a durata annuale, in modo tale da non rendere eccessivamente gravoso, per l’impresa distributrice, il meccanismo della garanzia d’acquisto. La soluzione del real decreto n. 2818 del 1998 ha provato a mediare le differenti istanze delle due parti, prevedendo contratti con durata base di cinque anni. 741 295 ulteriore sviluppo normativo, di tipo regolamentare, intervenuto però dopo circa un anno con l’approvazione del real decreto n. 2812 del 1998743. A partire dal 2004, comunque, le politiche energetiche spagnole hanno favorito una maggiore penetrazione delle energie rinnovabili nella copertura della domanda domestica e, pertanto, un maggior grado di autosufficienza energetica. L’entrata in vigore del real decreto n. 436 del 2004744, nel razionalizzare l’intera materia delle fonti energetiche rinnovabili, ha infatti stabilito, tra l’altro, un regime economico stabile e misure concrete di finanziamento per l’installazione di impianti di energia rinnovabile745. L’articolo 22, in particolare, ha previsto i meccanismi di incentivazione per l’energia elettrica prodotta in regime speciale, cioè derivante da fonti rinnovabili. Per vendere l’energia prodotta, i titolari degli impianti devono scegliere tra una delle seguenti opzioni: - cedere energia elettrica all’impresa distributrice. In questo caso il prezzo di vendita dell’elettricità verrà espresso in forma di tariffa regolata, fissa, unica per tutti i periodi di programmazione, determinata in centesimi di euro per KW orari (meccanismo di feed-in tariff puro); - vendere liberamente l’energia elettrica prodotta nel mercato. In questo caso il prezzo di vendita dell’elettricità consisterà nel prezzo che risulta dal mercato organizzato o il prezzo liberamente negoziato, composto da un incentivo per la partecipazione al mercato (una percentuale della tariffa media dell’elettricità) e un premio (una ulteriore percentuale della tariffa media dell’elettricità) (meccanismo di feed-in premium). In sostanza, il nuovo modello retributivo dota i produttori in regime speciale di una regolazione duratura, oggettiva e trasparente. Infatti, qualunque sia V. NANNIPIERI L., op.cit., 104. Cfr. real decreto n. 436 del 12 marzo 2004, pubblicato nel BOE del n. 75 del 27 marzo 2004. 745 La Spagna non ha recepito la direttiva 2001/77/CE in unico atto di diritto interno (come, invece, è avvenuto in Italia, con il d.lgs. 387/2003), ma ha preferito svilupparne il contenuto tramite l’utilizzazione di una pluralità di atti normativi. La fonte che comunque risulta maggiormente interessante è proprio quella del real decreto 436/2004. 743 744 296 il meccanismo per il quale si opti, si garantisce ai titolari degli impianti di energia rinnovabile una retribuzione ragionevole per i loro investimenti e ai consumatori di energia elettrica si attribuisce, anch’essi, una imputazione ragionevole dei costi del sistema elettrico, con il fine ultimo di incentivare comunque la partecipazione al mercato e ridurre al minimo l’intervento pubblico nella fissazione del prezzo dell’elettricità.746 Grazie a questo intervento legislativo e a quelli a seguire nel 2007, la Spagna, soprattutto negli anni del boom economico tra il 2008 e il 2009, si è dimostrata il Paese dotato della maggiore capacità di attrazione degli investimenti nel settore delle fonti rinnovabili. Da un lato, infatti, la sua collocazione geografica e la grande esposizione solare ed eolica del territorio hanno reso evidentemente appetibili progetti per la costruzione di impianti alimentati ad energia pulita. Dall’altro, un sistema normativo nuovo e dinamico, che prevede la tariffazione fissa dell’energia verde, ma rinnova il valore con cadenza annuale correlandolo al prezzo medio dell’energia, costituisce un contesto dentro il quale queste fonti energetiche non potevano non svilupparsi così velocemente. 747 Tuttavia, nel tempo, le tariffe incentivanti troppo generose hanno finito col drogare il mercato, facendo crescere il settore delle rinnovabili, e quello del fotovoltaico in particolare, insieme al costo pubblico degli incentivi a ritmi non sostenibili, tanto che il Governo nel 2009 è dovuto correre ai ripari. Le tariffe sono state abbassate con effetto retroattivo e sono stati introdotti dei tetti alla potenza incentivabile748. Gli interventi correttivi si sono ripetuti anche negli anni successivi, arrivando nel 2010 ad un taglio del 45% delle tariffe per gli impianti a terra, valido V. DOMINGO LÓPEZ E., op.cit., 562. V. NANNIPIERI L., op.cit., 112. 748 L’effetto sul mercato è stato quello di un vero e proprio blocco, tanto che il giro d’affari del fotovoltaico spagnolo è passato da 18 miliardi di euro del 2008 ad appena 650 milioni nel 2010, con la perdita di un terzo dei posti di lavoro nel settore. Cfr. COMELLI E., Fotovoltaico: il rischio è finire come la Spagna, articolo pubblicato in Ilsole24ore.com, 11 marzo 2011. 746 747 297 anche per gli impianti già in funzione749. Nel contempo, è stata disposta la riduzione del periodo di erogazione degli incentivi da 30 a 25 anni750, un limite massimo alle ore di produzione degli impianti fotovoltaici aventi diritto alle tariffe sulla base di 5 differenti «zone solari», con conseguente remunerazione al prezzo di mercato dell’energia elettrica in eccedenza rispetto al tetto massimo, nonché uno specifico limite massimo alle ore di produzione degli impianti fotovoltaici registrati prima del 29 settembre 2008 per un periodo di 3 anni, con estensione, a parziale compensazione delle perdite, del periodo di incentivazione da 25 a 28 anni751. Purtroppo i tagli agli incentivi, seppur operati gradualmente di anno in anno, non sono stati sufficienti e l’esecutivo spagnolo nel gennaio 2012 ha varato un decreto ley, n. 1 del 2012 del 27 gennaio 2012, che ha previsto la sospensione per un periodo indefinito degli incentivi alle energie rinnovabili. Questo intervento è stato giustificato dalla necessità di ripianare il deficit tariffario del sistema elettrico, rivolgendosi non solo alle nuove installazioni o a quelle in corso di registrazione ma anche a quelle già iscritte nel c.d. registro di preassegnazione, invitandole a desistere dal dare esecuzione al progetto di installazione e rinunciare all’iscrizione al registro.752 Nel febbraio 2013 è stato previsto che l’indice dei prezzi al consumo, al quale sono ancorate le tariffe incentivanti, sia depurato dei prezzi dell’energia e di altri prodotti volatili753. V. MENEGHELLO G., Fotovoltaico e tagli retroattivi, gli investitori fanno causa al Governo, articolo pubblicato in Qualenergia.it, 11 marzo 2011. 750 Cfr. real decreto 1565/2010, de 19 de noviembre, por el que se regulan y modifican determinados aspectos relativos a la actividad de producción de energía eléctrica en régimen especial, pubblicato nel BOE il 23 novembre 2010. In particolare, il citato provvedimento normativo ha disposto la riduzione delle tariffe incentivanti del 5 per cento per gli impianti su tetto fino a 20 Kw; del 25 per cento per gli impianti su tetto sopra i 20 Kw; e del 45 per cento per gli impianti installati al suolo. 751 Cfr. real decreto-ley 14/2010, de 23 de diciembre, por elque se establecen medidas urgentes para la corrección del déficit tarifario del sector eléctrico, Disposición adicional primera, pubblicato nel BOE il 24 dicembre 2010. 752 V. MENDOZA LOSANA A.I., Se han acabado los incentivos a las energίas renovables en Espaňa, in GόMEZ-ACEBO Y POMBO, Noticias breves, enero 2012. 753 Cfr. real decreto-ley 2/2013, de 1 de febrero, de medidas urgentes en el sistema eléctrico y en el sector financiero, pubblicato nel BOE il 2 febbraio 2013. 749 298 Parimenti a quanto è avvenuto in Italia, queste misure a carattere retroattivo non hanno mancato di suscitare forti polemiche da parte degli operatori del settore e hanno indotto questi ultimi a fare causa direttamente al Governo, appellandosi al Trattato europeo della Carta dell’energia. Nonostante questi interventi, le misure descritte non sono bastate e da ultimo il Governo spagnolo ha approvato la riforma elettrica, orientata, almeno nelle intenzioni, a porre fine ad un regime giuridico, quello della LSE n. 54 del 1997, divenuto confuso e insostenibile a causa delle costanti riforme subite attraverso i reales decretos leyes. Allo stesso tempo, è stata posta come priorità assoluta la risoluzione del problema del deficit tariffario, un peso di 26 miliardi di euro generato dalla volontà del Governo di calmierare il prezzo pagato dai consumatori per l’energia,imponendo tariffe inferiori ai costi di produzione assumendo la differenza. Per raggiungere questi obiettivi, sono state stabilite diverse misure di intervento. La prima, con carattere di urgenza, è rappresentata dal real decreto n. 9 del 2013. Questo prevede una serie di tagli finalizzati alla raccolta dei fondi necessari per pagare il deficit tariffario dell’anno 2014, stimato in 4,5 miliardi di euro. Tra questi, c’è un taglio di circa 750 milioni di euro per le energie rinnovabili. La seconda misura è stata la creazione di una nuova legge sul settore elettrico, composta da otto decreti (sistemi extra peninsolari, rinnovabili extra peninsolari, interrompibilità, consumo, autoconsumo, fornitura, pagamenti per capacità e ibernazione del ciclo combinato) e due ordini ministeriali, già inviati alla Commissione nazionale per l’energia per la revisione. Gli interventi e i tagli previsti dalla regolazione sono molteplici: aumento della tariffa fissa, con una riduzione del prezzo al consumo, che provoca un aumento immediato del 3,2% per i consumatori, passando di fatto alla creazione di una tariffa fissa pura; una diminuzione del numero dei beneficiari delle agevolazioni sociali della tariffa elettrica; istituzione di autorizzazioni amministrative uniche per l’apertura di nuovi impianti di energia rinnovabile; incentivo per l’ibernazione di 6.000 MW di impianti a ciclo combinato, ai quali, inoltre, si cambia la forma di retribuzione che passerà ad essere per MW installato e non prodotto; scomparsa degli incentivi e dei premi e con essi del regime speciale di cui al vecchio real decreto n. 436 del 2004. 299 Dunque, il Governo ancora una volta, con effetto retroattivo, ha stabilito che la redditività di impianti di energia rinnovabile non può superare il 7,5% annuo. Nel caso in cui questo margine si superi, non avrà diritto a tale retribuzione. Inoltre, interviene a regolamentare al ribasso il prezzo che si deve pagare per la produzione delle rinnovabili, stabilendo un tetto massimo di guadagno in modo assolutamente arbitrario e per giunta retroattivo. Secondo gli operatori del settore, in particolare per il fotovoltaico, questo potrebbe significare la messa in crisi o il fallimento di molte piccole e medie imprese soprattutto se si tiene conto del potere discrezionale che si riserva il Governo nello stabilire i parametri di compensazione necessari per il calcolo della retribuzione specifica di ciascuna installazione, cosa che provocherà, probabilmente, l’impossibilità di ripagare gli investimenti effettuati.754 4.2. Germania. La Germania, nonostante non sia un Paese molto soleggiato, è tutt’oggi tra i principali produttori di energia solare ed è stato uno dei primi pionieri nell’energia eolica. Nel 2013 le principali fonti di energia rinnovabile (fotovoltaica e eolica) sono riuscite a soddisfare quasi il 60% del fabbisogno energetico nazionale. Il merito va senza dubbio ad una politica di sostegno allo sviluppo delle rinnovabili che ha reso, oggi, la Germania il primo Paese in Europa e il terzo al mondo in quanto a produzione solare ed eolica, dietro soltanto a Stati Uniti e Cina755. La Germania è riuscita a trasformare le proprie necessità – l’elevato fabbisogno energetico del Paese (connesso sia alla massiccia industrializzazione del territorio che all’elevato numero degli abitanti), la dipendenza del Paese dalle importazioni straniere di combustibili fossili (in particolare, di petrolio) e le notevoli problematiche di carattere ambientale – in una formidabile occasione di V. SALERNO P., Spagna, al via la riforma elettrico. Poco solare, articolo pubblicato in Canalenergia.com, 1 agosto 2013. 755 V. MANCINI M., Rinnovabili coprono il 60% del fabbisogno energetico in Germania, articolo pubblicato in Greenstyle.it, 15 ottobre 2013. 754 300 rilancio economico, ponendo in essere strategie originali ed innovative, al fine di ottenere l’indipendenza energetica e la riduzione delle emissioni climalteranti. L’interesse della Germania per le energie rinnovabili nasce nei primi anni novanta e da allora si sono susseguiti importanti interventi legislativi che hanno creato nuovi attori economici ed istituzionali, cambiato le regole di interazione tra gli stessi e modificato le modalità di accesso alle risorse e al mercato energetico, incentivando gli investimenti sull’elettricità dal sole, dal vento e dalle biomasse. La prima legge tedesca sulle fonti rinnovabili è stata emanata nel 1990, il c.d. Stromeinspeisungs gesetz (StrEG)756, una legge articolata in pochissimi articoli, ma dall’impatto rivoluzionario. Essa favoriva lo sviluppo del nuovo mercato soprattutto mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti ai produttori di energia rinnovabile757, allo scopo di rendere economicamente competitive le energie alternative rispetto a quelle convenzionali e di tenere al contempo in considerazione anche le esternalità negative a queste ultime connesse. Nello specifico, la legge obbligava le imprese pubbliche di fornitura di energia elettrica (che comprendevano sia imprese private, sia imprese appartenenti al settore pubblico) ad acquistare l’energia elettrica prodotta, nella loro zona di fornitura, da fonti di energia rinnovabili758 a prezzi fissi, che risultavano superiori al valore economico reale di tale tipo di energia elettrica, secondo un meccanismo di feed-in tariff759. In tal modo, la produzione di energia rinnovabile veniva incentivata senza che fosse previsto un fondo pubblico a supporto, atteso che gli oneri imposti Cfr. Gesetzüber die Einspeisung von Stromauserneubaren Energien in dasöffentliche Netz del 7 dicembre 1990 (legge sull’alimentazione di corrente da fonti di energia rinnovabili nella rete pubblica), BGBl, 1990, I, 2633. 757 Cfr. pubblicazione ENEA, Sole a confronto, Germania, Spagna, Italia, in Enea.it. 758 Ai fini della legge in esame tra le fonti energetiche rinnovabili, ex art. 1, sono comprese l’energia idraulica, l’energia eolica, l'energia solare, l’energia derivante da gas di scarico e da impianti di depurazione o di prodotti o di residui e rifiuti biologici dell'agricoltura e della silvicoltura. 759 Tali corrispettivi sono pari ad una percentuale (variabile, a seconda della fonte energetica rinnovabile) dal 65% al 90% della tariffa media applicata ai consumatori finali da calcolarsi annualmente. In particolare le percentuali è pari al 90% per l’energia eolica e l’energia solare. Per quanto riguarda, invece, l’energia prodotta dalle altre fonti rinnovabili la percentuale prevista è del 75% per gli impianti più piccoli e del 65 % per impianti di capacità superiore a 500 kW, ma inferiore a 5 MW. Cfr. artt. 2 e 3 del StrEG. 756 301 dallo StrEG venivano interamente posti a carico delle società che fornivano energia elettrica. Grazie a questi meccanismi incentivanti, la Germania riuscì a centrare importanti risultati, dalla crescita del mercato delle fonti energetiche rinnovabili da circa 20 MW di produzione nel 1989 a circa 1.100 MW nel 1995, allo sviluppo di un’importante industria per la fabbricazione delle turbine eoliche e dei pannelli solari. In questo contesto, crebbe anche il peso politico delle associazioni dei produttori e fornitori di energia rinnovabile, ora in grado di portare a sostegno della loro scelta ecosostenibile ragioni di carattere non solo ambientale, ma anche economico. Tuttavia, non appena la legge di promozione iniziò ad avere un sensibile impatto sulla diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (ed, in particolare, sull’eolico 760), gli operatori di rete, costretti a comprare energia alternativa anche nei casi in cui non fosse per loro conveniente, iniziarono ad attaccarla sia sul piano politico che su quello giudiziario. Nel 1998761 lo StrEG venne profondamente emendato con l’approvazione della legge per l’industria energetica tedesca762, di recepimento della direttiva europea 96/92/CE, relativa alla liberalizzazione del mercato energetico elettrico comunitario. Tale legislazione determinò un notevole sviluppo della produzione di energia da fonte eolica, facendo così della Germania il primo produttore a livello mondiale. Viceversa, nel settore del fotovoltaico, l’impatto dello StrEG fu minimo rispetto alle altre fonti rinnovabili, a causa dello sfavorevole rapporto tra costo della tecnologia e redditività energetica. Per quanto concerne il solare, il sistema incentivante dello Stromeinspeisungsgesetz non ha un grande impatto a causa dell’elevato costo degli impianti e della loro non elevata redditività. 761 Non è un caso che tali provvedimenti siano approvati nel 1998, anno segnato da un significativo cambiamento nello scenario politico. La maggioranza conservatrice viene sostituita l governo dalla coalizione formata da socialdemocratici e verdi; da qui la vistosa accelerazione sul fronte delle rinnovabili, che ha come obiettivo primario la complessiva rivisitazione dello StrEG. 762 Cfr. Gesetzzur Neuregelungdes Energiewirtschafts rechts del 24 aprile 1998, BGBl, I, 730. 760 302 Nel 2000, viene approvata l’attuale legge sulle fonti energetiche rinnovabili, l’Erneuerbare-Energien-Gesetz (EEG)763, che rinnova completamente il sistema di compensazione. Le feed-in tariffs non vengono più calcolate sul prezzo medio finale dell’energia venduta al consumatore, ma vengono predeterminate dalla legge in modo decrescente nel tempo e diversificato a seconda della tipologia di fonte energetica rinnovabile, della tecnologia utilizzata, della localizzazione e della grandezza degli impianti764. Viene prevista la facoltà per il Ministro dell’Ambiente di revisionare ogni due anni le tariffe e le riduzioni programmate per aggiornarle in base allo sviluppo dei costi tecnologici e del mercato energetico. Tra le fonti rinnovabili, quella maggiormente beneficiata è senza dubbio il fotovoltaico. La garanzia per i produttori di un pagamento compensativo secondo criteri, fissati per legge e non collegati con l’oscillante prezzo pagato dai consumatori finali in bolletta, favorisce indubbiamente l’instaurarsi di un clima favorevole agli investimenti. Se a ciò si aggiunge il fatto che tale sistema tariffario viene legislativamente garantito per un periodo di venti anni, la salvaguardia per gli operatori del settore è massima765. Grazie alle innovative previsioni contenute nell’EEG, la già rapida crescita delle fonti energetiche rinnovabili subisce un’ulteriore accelerazione. Già alla fine del 2001 (a meno di due anni dall’entrata in vigore della legge) vengono installati numerosi impianti eolici tali da portare ad un sostanziale raddoppiamento della capacità produttiva766, con inevitabili e positivi risvolti sull’occupazione e sugli investimenti nella ricerca in materia. Nel 2004, viene approvata una nuova versione dell’EEG, che entra in vigore dal 1° luglio 2004767, allo scopo di operare una revisione complessiva della Cfr. Erneuerbare-Energien-Gesetz del 29 marzo 2000, BGBl, I, 305. Cfr. artt. 4 e 8 dell’EEG. 765 Cfr. art. 9 dell’EEG. Si fa eccezione per l’energia idroelettrica per la quale, considerati i costi delle installazioni, il termine ventennale può essere prolungato. 766 A fine 2001, la capacità di produzione nazionale da fonte eolica si attesta a 8.750 MW. 767 Cfr. Gesetzzur Neuregelung des Rechts der Erneuerbaren Energienim Strombereich del 21 luglio 2004, BGBl, 2004 I, 1918. 763 764 303 legge in conformità sia alle nuove esigenze del mercato energetico, sia anche al mutato quadro normativo di riferimento a livello comunitario768. In particolare, per quanto riguarda le tariffe incentivanti, il nuovo EEG, facendo tesoro delle esperienze applicative acquisite nei precedenti 4 anni, crea un sistema ancora più differenziato, riferito a criteri e parametri diversi quali: la tipologia della fonte, la taglia dell’impianto, le tecnologie innovative utilizzate, l’impatto ambientale dell’intervento (applicato solo all’idroelettrico) e il tipo di materia prima utilizzata (negli impianti a biomassa)769. La legge prevede una diminuzione annuale delle tariffe; sistemi a tutela delle aree faunistiche e naturalistiche protette770; migliori garanzie per i produttori per quanto concerne l’acquisto, l’accesso alla rete ed il pagamento771; un sistema di «gradazione» della tariffazione a seconda della capacità del sito772; tutele a favore dei produttori773; istituzione di un pubblico registro per rendere pubblici i volumi V. WÜSTENHAGEN R. – BILZHARZ M., Green Energy Market Development in Germany: Effective Public policy and Emerging Customer Demand, University of St. Gallen Institute for Economy and the Environment, St. Gallen 2004, 30 ss. 769 V. CENTENO LÓPEZ E. – ACKERMANN T., Grid Issues for Electricity Production. Based on Renewable Energy Sources in Spain, Portugal, Germany, and United Kingdom. Annex to Report of the Grid Connection Inquiry, Statens Offentliga Utredningar, Fritzes Offentliga Publikationer, Stoccolma 2008, 113 ss. 770 Si prevede che i meccanismi incentivanti non possano essere adottati per impianti costruiti in aree protette. 771 Cfr. art. 12 dell’EEG. 772 Per evitare che scatti immediatamente la tariffa più alta o più bassa quando si oltrepassi una soglia prevista dalla legge, l’articolo 12 dell’EEG stabilisce che il pagamento applicabile sia calcolato sulla base della produzione media annuale. In questo modo si eviterebbe una scorretta retribuzione tra installazioni di diverse dimensioni, evitando di distribuire incentivi eccessivi o inadeguati. 773 L’articolo 12 dell’EEG, al quarto comma, introduce un’importantissima nuova norma a tutela dei produttori: si fa divieto per gli operatori di rete di effettuare compensazioni tra pagamenti reclamati ai produttori e la tariffa da corrispondere a questi ultimi per l’acquisto di energia rinnovabile qualora i suddetti pagamenti siano contestati o non siano stati legalmente accertati. Evidente è l’intento del Legislatore di impedire che i gestori di rete, che hanno un potere economico molto superiore e che continuano a detenere una sorta di monopolio naturale, gravino il produttore di costi eccessivi ed ingiustificati per spese di contatore, bolletta, potenza reattiva, servizi per l’approvvigionamento ed altro facendo leva su sistemi di compensazione e sul fatto che i piccoli produttori difficilmente si sobbarchino i costi e rischi di un procedimento giudiziale per far valere la propria posizione. 768 304 energetici trattati e dei pagamenti corrisposti774 e l’istituzione di una camera di compensazione775. Nel 2009, si impone un’ulteriore revisione776 della EEG per sostenere il costante aumento dell’utilizzo delle rinnovabili nella produzione di energia elettrica e per allinearsi con le Linee Guida del Consiglio europeo del 2007, anche se, di fatto, la direzione della politica tedesca sulle rinnovabili rimane sostanzialmente inalterata. L’idea di fondo resta, infatti, quella di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili al fine di consentire una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti energetici e una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dannosi per il clima e per l’ambiente. La Germania, con la nuova versione dell’EEG, coglie comunque l’occasione per darsi obiettivi sempre più ambiziosi777. L’elemento maggiormente innovativo della disciplina riguarda la possibilità per i produttori di commercializzare liberamente l’elettricità generata da fonti rinnovabili778. Gli esercenti possono: a) vendere direttamente a terzi l’elettricità generata nelle loro installazioni su base mensile; per far ciò è sufficiente informare l’operatore di rete prima dell’inizio del mese precedente, perdendo così il diritto a percepire la remunerazione fissa stabilita dall’EEG per tutta l’elettricità prodotta in quel mese779. Oppure, b) possono vendere direttamente soltanto una certa Cfr. art. 15 dell’EEG. L’art. 19 dell’EEG istituisce una camera di compensazione (Clearingstelle) che si pronuncia sulla corretta applicazione delle norme contenute nell’EEG. La procedura avanti alla camera presenta innumerevoli vantaggi rispetto ad un normale procedimento giudiziale. Oltre alla tempistica delle decisioni, è da segnalare che il servizio offerto è assolutamente gratuito per tutti gli stakeholders che abbiano obbligazioni o diritti in forza dell’EEG. 776 La visione della legge tedesca sulle rinnovabili come un cantiere aperto è peraltro condivisa dallo steso Legislatore che all’art. 20 dell’EEG del 2004 prevede che il Ministro dell’ambiente debba costantemente riferire al Bundestag sull’impatto delle norme e sulle eventuali modifiche necessarie, non solo nell’ottica di garantire la continua espansione delle fonti energetiche rinnovabili, ma anche in quella di rendere le regole più efficienti, evitando che siano corrisposti incentivi troppo elevati. 777 L’obiettivo del 20% di rinnovabili sul totale degli approvvigionamenti dell’EEG 2004 viene rivisto e fissato al 30%. 778 Cfr. art. 17, comma 1, dell’EEG 2009. 779 Il produttore per riprendere a ricevere la remunerazione fissa deve avvisare l’operatore di rete entro l’inizio del mese precedente. 774 775 305 percentuale di elettricità prodotta da fonti rinnovabili senza perdere il diritto di ricevere la tariffa fissa per la parte rimanente, a condizione che dichiari all’operatore di rete quale percentuale intenda commercializzare in proprio e che tale percentuale possa essere verificata in ogni momento. Inoltre, il nuovo EEG, in difformità rispetto alla previgente versione, fissa un termine ventennale per tutte le fonti energetiche rinnovabili, idroelettrico compreso780 e compie una profonda rivisitazione delle tariffe da corrispondere per l’elettricità prodotta da ogni singola fonte rinnovabile781. Il fotovoltaico rimane la fonte rinnovabile maggiormente incentivata e vengono proposte nuove percentuali annuali di riduzione dell’importo da corrispondere ai produttori. Nel 2012, in un’ottica di incoraggiamento per i produttori a commercializzare direttamente l’energia prodotta sul mercato elettrico, sono stati introdotti ulteriori correttivi all’EEG. Così, è stata prevista la possibilità di accedere, in alternativa alla feed-in tariff, un «management premium», differenziato per tipo di fonte rinnovabile, che incentiva a passare alla gestione sul mercato degli impianti a fonti rinnovabili, andando a coprire in particolare i costi di sbilanciamento connaturati con la difficoltà di prevedere con precisione la produzione di fonti rinnovabili non programmabili. Senza dubbio, la EEG si è dimostrata con il tempo uno dei migliori strumenti di crescita e di sviluppo delle rinnovabili – soprattutto per la produzione di energia elettrica, di riduzione delle emissioni e del miglioramento delle tecnologie del settore. A riprova di questo successo concorre il fatto che diversi Stati europei abbiano utilizzato il modello tedesco per promuovere fonti di energia alternativa, e che dati e statistiche ufficiali dimostrino che il contributo delle rinnovabili al consumo finale di energia in Germania sia in linea con gli obiettivi prefissati.782 Cfr. art. 21dell’EEG 2009. Cfr. art. 29, commi 1 e 2 , dell’EEG 2009. 782 V. MORMANDI G., Riflessioni giuridiche sui programmi di investimento nelle energie rinnovabili, contributo al convegno Think Italian. La strada italiana per l’attrazione investimenti, Auditorium Invitalia, 15 aprile 2010. 780 781 306 5. Considerazioni di sintesi. Dall’analisi comparata emerge come i Paesi sopra menzionati, per effetto della crisi economica e finanziaria, abbiano dovuto operare un ripensamento delle loro politiche energetiche rinnovabili, attraverso una netta revisione al ribasso delle tariffe corrisposte ai produttori di energia rinnovabile, come in Spagna; o attraverso una riduzione graduale e programmata, in relazione alle diverse tecnologie, come in Germania. Risulta evidente comunque come i migliori risultati in termini di diffusione delle energie rinnovabili e di crescita del settore siano stati raggiunti da quei Paesi che hanno adottato una politica chiara e orientata al medio-lungo periodo senza incidere retroattivamente sulle aspettative degli operatori, a discapito dello sviluppo dell’intero mercato783. L’incertezza del quadro normativo ha infatti un effetto di destabilizzazione dell’intero sistema e alla stessa stregua mina la fiducia degli investitori. Contro le modifiche normative che disattendono aspettative legittimamente fondate, ha preso posizione anche il Commissario europeo all’energia, affermando la totale contrarietà dell’Unione europea alle misure retroattive in quanto di ostacolo al mercato e agli investimenti nel settore. L’orientamento è stato ufficializzato con la comunicazione indirizzata in data 5 novembre 2013 agli Stati membri, con la quale la Commissione Europea ha anche raccomandato, con l’occasione, che il sostegno finanziario alle energie rinnovabili venga limitato a quanto necessario e sia finalizzato a rendere le energie rinnovabili competitive, che i regimi di sostegno siano flessibili e rispondano al calo dei costi di produzione e che siano meglio coordinate dagli Stati membri le strategie per mantenere bassi i costi per i consumatori, in termini di prezzi dell’energia784. Alla stregua di tali considerazioni, appare dunque censurabile l’Italia, sul piano dell’esercizio della funzione legislativa, laddove il Legislatore italiano, nel V. GARIONI G. – MANIGLIA M., Le politiche di sostegno delle energie rinnovabili: un confronto europeo, articolo in Firstonline.info.it, 9 novembre 2011. 784 Cfr. comunicazione della Commissione C(2013) 7243 del 5 novembre 2013, Realizzare il mercato interno dell’energia elettrica e sfruttare al meglio l’intervento pubblico. 783 307 disciplinare la materia, non ha tenuto conto dell’eventuale impatto che la disciplina sopravvenuta potesse esplicare sulle situazioni giuridiche pregresse. Se, quindi, come affermato, il principio del legittimo affidamento nel diritto pubblico esiste e trova copertura costituzionale, seppur non scritta, sembra quantomeno opportuno che la legittimità costituzionale degli interventi legislativi incidenti sul passato necessiti di una maggiore considerazione, soprattutto nelle ipotesi di incidenza retroattiva su diritti già acquisiti, pena la perdita di fiducia nelle istituzioni, con conseguente delegittimazione delle stesse785. È dunque auspicabile che il Legislatore, ove l’intervento legislativo eserciti un impatto su situazioni giuridiche pregresse, si premuri di scongiurare o quantomeno ridurre le conseguenze dell’incidenza normativa attraverso la previsione di adeguate misure transitorie interinali, tese a regolamentare, in qualunque fattispecie, la transizione dalla vecchia alla nuova disciplina. È altresì auspicabile che il Legislatore, per evitare che la revoca degli incentivi precedentemente concessi sia causa di possibili lesioni dell’affidamento riposto dai soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive sorte a seguito della legge incentivo, cerchi a monte di conformare l’intervento incentivante, in relazione agli obiettivi che esso intende perseguire, operando una delimitazione temporale o quantitativa dei benefici che egli si propone di erogare. Se è infatti vero che le leggi di incentivazione economica sono dirette al perseguimento di obiettivi sociali che il Legislatore si propone di raggiungere, è anche vero che ove il Legislatore si determini nel senso di raggiungere un determinato obiettivo egli dovrà commisurare il quantum e la durata dell’incentivo in proporzione all’obiettivo individuato. Nel caso in cui il Legislatore non si determini in tal senso, proponendo la concessione di benefici e vantaggi scollegati rispetto all’obiettivo prefissato, non soltanto l’intervento legislativo potrebbe considerarsi affetto da irrazionalità, non essendosi tenuto conto del tempo e dei mezzi necessari e sufficienti per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, ma un siffatto intervento 785 V. LUCIANI M., op.cit., 75. 308 ingenererebbe un illimitato affidamento da parte degli operatori che il Legislatore potrebbe successivamente frustrare ove l’obiettivo non venisse più considerato prioritario o comunque meritevole di promozione, ovvero sopraggiungano particolari esigenze (che tuttavia potrebbero legittimamente giustificare la revoca retroattiva dell’intervento solo ove caratterizzate da eccezionalità)786. A dire il vero, una responsabilizzazione in tal senso da parte del Legislatore, più che opportuna, appare necessaria, non solo per evitare indebite frustrazioni dei destinatari dei benefici statali, ma anche perché esigenze di coerenza normativa ed economica impongono che, ove il Legislatore intraprenda una politica di incentivazione, questa sia armonizzata e tarata sugli obiettivi che si intende, attraverso il meccanismo dell’incentivo, perseguire. I principi di buona legislazione e della correttezza del rapporto tra Legislatore e cittadino dovrebbero pertanto portare il primo a valutare, a monte dell’intervento legislativo, le reali ragioni e l’opportunità dello stesso secondo gli obiettivi di volta in volta perseguiti787. La coerenza del disegno e la sua stabilità nel tempo rappresentano quindi delle condizioni ineliminabili. L’esperienza tedesca, dal canto suo, ha dimostrato come senza una efficace politica di sostegno economico, le rinnovabili, almeno nella prima fase del loro sviluppo tecnologico, non possano essere economicamente competitive rispetto alle fonti convenzionali. Ciò ha spinto lo Stato tedesco ad adottare provvedimenti, come l’EEG, che forniscono un’adeguata e certa copertura finanziaria agli investimenti, ma al contempo sostengono la ricerca e il rinnovamento tecnologico cosicché gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili diventino sempre meno costosi e sempre più efficienti dal punto di vista produttivo, consentendo V. COZZOLINO G., op.cit. Nel senso della predeterminazione da parte del Legislatore di previsioni volta ad evitare la lesione dell’affidamento dei destinatari della legge piano si veda MERUSI F., Buona fede e affidamento, cit., 68 ss., secondo il quale il Legislatore potrebbe nella legge piano prevedere delle clausole espresse di modificabilità in itinere quali: «a) la revisione periodica sulla base del confronto fra i dati effettivamente emersi nel processo economico e quelli in precedenza profetizzati dal piano; b) l’entrata in funzione di strumenti di «correzione» del processo economico programmato al verificarsi di avvenimenti eccezionali (crisi finanziarie, crisi derivanti da accadimenti internazionali e simili)». 786 787 309 nel medio lungo periodo, una riduzione delle tariffe incentivanti senza determinare gravi contraccolpi nella produzione788. In quest’ottica la stessa Commissione europea, con lo scopo di ridurre le distorsioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato gli incentivi negli Stati membri e di realizzare un recupero della competitività delle energie rinnovabili, ha adottato delle specifiche Linee Guida e fissato i nuovi paletti per gli aiuti di Stati riservati alle fonti rinnovabili. Le Linee Guida nascono proprio per giungere ad una graduale sostituzione degli incentivi alle rinnovabili in Conto Energia con processi competitivi, basati su aste pubbliche. Il criterio generale è quello di attivare gradualmente un sistema di mercato per le rinnovabili, pur lasciando agli Stati una certa flessibilità. Dopo una fase pilota nel 2015 e 2016 durante la quale verranno testate procedure d’asta per allocare una quota dell’energia rinnovabile prodotta, si prevede poi il passaggio dal sistema del feed-in tariff al feed-in premium, con esclusione graduale delle tariffe incentivanti verso un meccanismo a premi, soggetto alle oscillazioni del mercato789, senza compromissione dei diritti acquisiti e quindi le installazioni esistenti manterranno le eventuali agevolazioni acquisite prima dell’entrata in vigore delle nuove norme. V. BECHBERGER M. – REICHE D., Renewable Energy Policy in Germany: Pioneering and Exemplary Regulations, Energy for Sustainable Development 8, Elsevier, 2004, 47 ss. 789 Più in dettaglio, dal 2016 gli impianti sopra ai 500 KW (oltre i 3 MW per l’eolico) saranno soggetti alle «responsabilità di bilanciamento» e non potranno, quindi, essere più favoriti dagli incentivi nel caso in cui la generazione di energia avvenga in un contesto caratterizzato da prezzi negativi del MWh, come accade in alcuni mercati elettrici dell’Ue. Inoltre, gli Stati membri saranno obbligati ad utilizzare come strumenti di sostegno per le rinnovabili esclusivamente meccanismi come aste, sistemi di premi o certificati. In merito a ciò, l’avviamento delle procedure d’asta pilota, per una piccola quota delle nuove potenze, è previsto a partire dal 2015, mentre, a partire dal 2017, tutti i nuovi impianti dovranno accedere agli incentivi mediante meccanismi di gara (anche se, per assicurare agli Stati membri un certo gradi di flessibilità nella gestione delle specificità nazionali, su l’adozione di questi meccanismi la Commissione ha previsto la possibilità di alcune deroghe). Risultano, invece, esclusi dalle aste gli impianti di potenza minore (inferiori a 3 MW per l’eolico e a 500 KW per le altre fonti). Questi, infatti, potranno continuare a beneficiare di tutte le tipologie di sostegno, incluse le tariffe in conto energia. Altre esenzioni dalla rivisitazione del sistema incentivante sono previste anche per gli impianti con potenze inferiori a 6 MW per l’eolico e a 1 MW per le altre fonti, ma per questi la condizione è che si trovino nelle fasi iniziali di sviluppo. 788 310 CONCLUSIONI La presente trattazione ha consentito di tracciare una panoramica delle politiche, delle strategie e delle azioni intraprese in ambito europeo e nazionale nel settore dell’energia derivante da fonti rinnovabili. Il tema dell’energia alternativa costituisce una delle principali sfide per l’Europa intera e per il territorio nazionale rappresenta senza dubbio una importante opportunità di sviluppo, nonostante le note difficoltà di rendere compatibili i temi propri dello sviluppo con quelli della conservazione della natura. Ciò nonostante, l’Italia, a differenza di altri Paesi europei, non ha ancora raggiunto il livello ottimale sperato di sviluppo del settore e le ragioni di questo lento progredire possono essere ravvisate in una molteplicità di fattori eterogenei: istituzionali, politici e sociali. Lo sforzo ricostruttivo operato nel primo capitolo del presente lavoro di ricerca ha, innanzitutto, rivelato un quadro molto complesso, in cui i vari livelli di complessità si sovrappongono e sono tra loro interconnessi. Il Legislatore italiano, nell’intento – senza dubbio pregevole – di perseguire obiettivi di promozione e sviluppo del settore, ha seguito due fondamentali linee direttrici: da un lato, la semplificazione amministrativa; dall’altro, l’incentivazione economica. Pur tuttavia, appare chiaro che le scelte operate in tal senso non siano state in grado, o comunque non siano state sufficienti, a realizzare gli obiettivi prefissati. Sul piano della semplificazione amministrativa, è emerso chiaramente come l’interesse del Legislatore alla semplificazione non sia inteso come interesse pubblico autonomo e meritevole di tutela in quanto tale, ma come volano necessario per il raggiungimento di quegli obiettivi posti a livello comunitario e internazionale sulla diversificazione delle fonti energetiche. Le semplificazioni amministrative procedurali vengono introdotte con una vera e propria finalità incentivante volta a favorire il compimento di attività virtuose a beneficio dell’ambiente. Questa impostazione della semplificazione, come valore non a sé stante, d’altronde, non è nuova neanche nel nostro ordinamento nazionale, laddove la semplificazione si riconnette con il principio costituzionale del buon andamento 311 della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, nel momento in cui garantisce il rispetto di quel canone di efficienza dell’attività amministrativa, che richiede che l’amministrazione agisca in tempi certi e rapidi, senza inutile aggravio delle procedure. Il principio costituzionale del buon andamento si compone, però, anche del canone dell’efficacia dell’attività amministrativa, che in raccordo con l’efficienza, impone all’amministrazione il contemperamento di tutti gli interessi pubblici coinvolti in un procedimento attraverso una particolare attenzione rivolta unicamente ai suoi risultati sostanziali. In ragione di questo equilibrio tra efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa a cui deve tendere la pubblica amministrazione nel perseguimento del suo «buon andamento», ci si è chiesti allora se le semplificazioni introdotte in tema siano idonee a realizzare gli obiettivi prefissati, senza produrre al contempo un sacrificio irragionevole dell’istruttoria procedimentale, a discapito di un’adeguata considerazione degli interessi di rilevanza costituzionale coinvolti nel procedimento autorizzatorio diretto all’installazione degli impianti di energia rinnovabile, ed in particolare dell’interesse ambientale. Al riguardo, premesso che le garanzie procedurali e motivazionali analizzate nel procedimento de quo – si pensi alla Conferenza di servizi e al procedimento di valutazione di impatto ambientale – sembrano aver realizzato una semplificazione procedurale apprezzabile, non va comunque trascurato che, nel necessario contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, l’interesse costituzionale alla tutela dell’ambiente, nei procedimenti di installazione degli impianti di energia rinnovabile, rileva in modo del tutto peculiare. Se è vero, infatti, che laddove ricorra un interesse ambientale, la disciplina generale del procedimento amministrativo riconosce a quest’ultimo il valore di limite alla semplificazione amministrativa, tant’è che spesso gli istituti c.d. di semplificazione – quali la Conferenza di servizi, la SCIA, o il silenzio-assenso – trovano un’applicazione assai prudente, per non dire che in alcuni casi vengono addirittura disapplicati; è vero anche però che, la tutela ambientale permea lo stesso procedimento per l’installazione di impianti di energia alternativa, o per lo meno il conflitto con esso è notevolmente attenuato, per cui l’ambiente non si può più considerare come limite intrinseco alla semplificazione, ma semmai come fattore propulsivo, nella 312 misura in cui il procedimento stesso è finalizzato alla diversificazione delle fonti energetiche e, quindi, alla tutela dell’ambiente. Se così è, allora, le ragioni per cui le semplificazioni procedurali introdotte dal nostro Legislatore non hanno permesso, di fatto, l’adempimento degli obblighi imposti dalla disciplina europea sono da rinvenire non tanto nella complessità procedimentale, quanto piuttosto nella complessità organizzativa. La complessità organizzativa si concreta nella particolare articolazione delle competenze poste a tutela dei molteplici interessi coinvolti, che si realizza non solo in senso orizzontale, e cioè connessa alla compresenza di competenze diverse all’interno dello stesso ente territoriale (si pensi alle diverse competenze in materia di rinnovabili attribuite a livello statale al Ministero dell’ambiente, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dei beni culturali), ma anche – ed è forse l’aspetto più controverso – in senso verticale, consistente nella distribuzione di competenze tra enti territoriali diversi, con la conseguenza che si registra il sommarsi, e talvolta il sovrapporsi, di attribuzioni europee, statali, regionali, provinciali e comunali in ordine alla stessa fattispecie. La moltiplicazione degli interessi protetti e delle amministrazioni che vi sono preposte, il particolare rilievo giuridico attribuito a molti di questi con l’effetto di non renderli recessivi di fronte agli altri, la compresenza in ogni fattispecie di più enti territoriali, di enti, cioè, che per loro natura sarebbero deputati a graduare gli interessi e a effettuare le sintesi, tutto ciò porta a rendere particolarmente ardua la soluzione delle complessità procedimentali. La riforma del titolo V della Costituzione, dal canto suo, ha avallato queste sovrapposizioni delle competenze, né il ricorso al principio di sussidiarietà ha risolto il problema, perché introducendo un principio di elasticità ma al contempo di parziale indeterminatezza nell’allocazione delle competenze, lo ha accentuato. Come è noto, infatti, secondo l’attuale assetto delle competenze, la materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» appartiene al rango della legislazione concorrente, pertanto le Regioni la esercitano nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge dello Stato (art. 117, comma 3, Cost.). Questa impostazione costituzionale ha causato principalmente due effetti: da un lato, la possibilità per le Regioni di determinare politiche energetiche diversificate, anche in materia di energia rinnovabile; dall’altro, l’aggiunta di un 313 nuovo livello di regolazione sub-nazionale, rispetto ai due livelli già esistenti, nazionale e comunitario. Tuttavia, sebbene la materia dell’energia sia materia concorrente, ripartita tra Stato e Regioni, esistono una serie di valori o interessi costituzionalmente riservati alla disciplina esclusiva dello Stato che, inevitabilmente, incidono sul governo dell’energia. Si tratta delle c.d. clausole trasversali, materie o, per meglio dire, competenze trasversali, che impongono il perseguimento di valori dell’ordinamento, potenzialmente idonee ad investire tutte le materie. Si pensi, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, alla tutela della concorrenza, al governo del territorio. È evidente che maggiore è il campo di applicazione delle competenze trasversali e minore è la capacità di intervento normativo delle Regioni nelle materie concorrenti come l’energia. In questo modo, la riforma del titolo V e il cosiddetto federalismo energetico hanno di fatto creato le condizioni per alimentare i conflitti istituzionali e aumentare i costi transattivi di governo del sistema elettrico. Attualmente, il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia energetica per poter funzionare dovrebbe basarsi su un forte coordinamento tra i soggetti detentori del potere normativo. Ma ciò è l’elemento che manca, come dimostrano chiaramente i numerosi conflitti sui quali la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi negli ultimi anni. In particolare, ciò che manca è la capacità dei poteri centrali di governare la cooperazione con le Regioni, di sviluppare, cioè, stanze di concertazione tra i diversi livelli di governo ed innescare dinamiche «virtuose» in grado di prevenire l’esercizio di veti su decisioni strategiche. Il vero problema, allora, non sembra attenere tanto alla questione della misura o del grado della compartecipazione dei livelli territoriali minori, quanto piuttosto alla necessità di individuare meccanismi per la determinazione di criteri di condivisione degli effetti positivi e negativi delle singole scelte che siano in grado di collocare nella giusta dimensione tutti gli interessi coinvolti. Una soluzione potrebbe essere offerta da un’accurata attività di pianificazione degli interventi, che si avvalga di strumenti di raccordo tra tutti i livelli territoriali interessati. Del resto, anche le istituzioni comunitarie sembrano 314 ambire ad una razionalizzazione del sistema attraverso il potenziamento di tale tipologia di attività. Se, infatti, si anticipasse il confronto tra i vari interessi già a livello della programmazione, si potrebbe operare una ponderazione efficace tra gli stessi senza che si verifichi una sistematica prevaricazione di certi a discapito di altri. Alla programmazione operata su base nazionale potrebbe poi fare riscontro un’analoga attività su base regionale nei limiti dell’accordo raggiunto in sede di programmazione nazionale. Tale meccanismo, stratificandosi a cascata su livelli di programmazione inferiore, comporterebbe una graduale compressione dei poteri afferenti a interessi settoriali. Gli enti territoriali minori verrebbero quindi tendenzialmente investiti del ruolo di esecutori materiali di scelte operate altrove, ma rispetto alle quali avrebbero comunque fornito un utile contributo attraverso la partecipazione dell’attività di programmazione. Così, i vari enti, con il loro apporto conoscitivo, potrebbero far sì che le scelte pianificatorie si conformino alla loro realtà territoriale. Da quanto sopra si evince, allora, che i limiti allo sviluppo non vanno rinvenuti nel procedimento in sé e nelle semplificazioni in esso introdotte ma, piuttosto, nei difetti e nelle carenze di quella disciplina «a monte» della fase procedimentale. L’assenza della fase programmatoria, antecedente a quella fase, propriamente amministrativa, di attuazione degli indirizzi elaborati nella precedente fase, comporta infatti la possibilità di blocco di ogni singolo procedimento di autorizzazione, poiché in mancanza di indicazioni puntuali e razionali le amministrazioni locali sono libere di valutare caso per caso l’adeguatezza delle loro scelte legislative, in assenza della indispensabile visione d’insieme. Inoltre, le debolezze e le carenze della programmazione incidono anche sul meccanismo procedimentale stesso di autorizzazione, gravando di fatto il procedimento amministrativo del compito di perseguire quel contemperamento dei contrapposti interessi territoriali, che si sarebbe dovuto compiere – proprio per il livello di responsabilità che comporta – ad un livello più alto. La programmazione costituisce, infatti, anche per le amministrazioni una possibilità di valutazione complessiva degli interessi in gioco a prescindere dall’offerta, basandosi quindi sulle reali necessità del territorio, al di fuori di dinamiche procedimentali già avviate. 315 Il procedimento amministrativo di autorizzazione va, dunque, considerato solo una fase del progetto complessivo di inserimento di questi impianti sul territorio e, pertanto, il deficit di efficienza del sistema va ricercato già prima del procedimento stesso. Al più, il procedimento, più che la causa delle disfunzioni che investono il sistema delle fonti rinnovabili, potrebbe essere visto come il momento o l’occasione in cui si manifestano più ampi problemi di rango organizzativo. Tuttavia, le aspettative in ordine all’esercizio da parte dello Stato delle funzioni programmatorie ad esso spettanti per la definizione di una politica energetica nazionale sono state disattese. Attualmente, lo Stato italiano si limita ad operare principalmente attraverso strumenti legislativi volti al recepimento degli obiettivi e della normativa definiti in ambito comunitario. Questo atteggiamento di disinteresse si è manifestato emblematicamente nei ritardi nell’emanazione della Strategia energetica nazionale e nella definizione delle Linee Guida nazionali, che – come ampiamente dimostrato – hanno dato luogo ad una proliferazione di atti e provvedimenti da parte delle singole Regioni, che oltre a creare poca chiarezza, hanno creato, in molti casi, anche una notevole disparità di trattamento. Né pare che la recente adozione delle Linee Guida nazionali nel 2010 abbia risolto il problema. Quest’ultime, infatti, non sono esenti da critiche, in quanto risultando poco chiare e, per alcuni aspetti, addirittura, ambigue, non si presentano quale strumento utile per indirizzare le Regioni nell’emanazione delle proprie Linee Guida e funzionali ad operare un adeguato contemperamento tra le esigenze di sviluppo e valorizzazione del mercato energetico, da un lato, e la tutela dell’ambiente e del paesaggio, dall’altro. Di fatto, le Linee Guida nazionali, nella loro attuale formulazione, tradiscono la finalità stessa per la quale sono state previste ed emanate, ossia quella di offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento. È dunque auspicabile un intervento chiarificatore sulle Linee Guida da parte del Legislatore statale. Laddove un tale intervento non intervenisse in tempi brevi, è del tutto prevedibile che anche le normative regionali di attuazione delle Linee Guida nazionali, al pari delle discipline regionali adottate nelle more 316 dell’emanazione delle medesime, subiranno la ghigliottina della Corte costituzionale. Nondimeno, anche sul piano dell’incentivazione economica, sono emerse lacune e criticità delle scelte politiche effettuate. L’Italia, infatti, nonostante abbia assicurato per lungo tempo uno dei più alti livelli di incentivazione rispetto agli altri Paesi europei, non ha realizzato un corrispondente livello di crescita del settore. Sarebbe quindi opportuno – anche sulla scorta dell’analisi effettuata su gli altri Paesi europei più «virtuosi» – fare chiarezza sui costi che gravano sul bilancio dello Stato e su quelli gravanti sulle bollette energetiche degli utenti, auspicando un sistema in cui il valore unitario dell’incentivazione deve essere inizialmente più elevato, per superare l’ostacolo posto dalla scarsità di informazione e di diffusione delle conoscenze e degli strumenti necessari, per poi essere gradualmente ridotto per evitare lo spreco di risorse pubbliche. In altri termini, i meccanismi di sostegno per le politiche delle energie rinnovabili dovrebbero essere transitori, come per le altre tecnologie, e i livelli di sostegno dovrebbero diminuire nel tempo ed essere in grado di evolvere per tenere conto dei cambiamenti continui delle condizioni. Revisioni regolari dei meccanismi in vigore e dei progressi raggiunti sono infatti di vitale importanza per assicurarsi che la penetrazione e lo sviluppo delle energie rinnovabili avvenga senza problemi ed efficacemente. A ciò chiaramente deve fare da contraltare una politica chiara e orientata al medio-lungo periodo, che non incida retroattivamente sulle aspettative degli operatori, a discapito dello sviluppo dell’intero mercato. L’incertezza del quadro normativo, infatti, ha un effetto destabilizzante sull’intero sistema e alla stessa stregua mina la fiducia degli investitori. Ad ogni modo, alla luce delle considerazioni svolte, appare evidente come tutti gli aspetti critici enucleati vadano rielaborati in modo organico e coordinato: il contributo economico, al pari di quello tecnologico, va infatti raccordato anche con gli aspetti, per così dire, di natura «burocratica». Di fatti, per il successo di una politica energetica nazionale, è necessario che vi siano procedimenti di autorizzazione adeguati, che consentano altresì il coinvolgimento delle istituzioni e di tutti gli altri attori sociali. La rimozione delle barriere non economiche per la diffusione delle energie rinnovabili deve essere il 317 punto centrale ad alta priorità dell’elaborazione e attuazione delle politiche, a prescindere dal programma di incentivi specifici in vigore. In Germania, ad esempio, non si ravvisano barriere procedurali fondamentali alla produzione di elettricità da fonti di energia rinnovabile e la riprova è la rapida crescita di nuovi impianti negli ultimi anni. Il merito va ascritto probabilmente a due fattori che prescindono il dato meramente regolatorio: da una parte, la pianificazione a più livelli territoriali alla quale devono attenersi, senza grandi margini di discrezionalità, le autorità competenti sulla decisione dell’autorizzazione; dall’altra, un approccio «user-friendly» degli uffici deputati alla gestione dei procedimenti. Ciò spiega, almeno in parte, il largo consenso di cui godono le rinnovabili nell’opinione pubblica tedesca. Un consenso che non emerge solo dai sondaggi di opinione, ma anche dall’esperienza concreta. In Germania, infatti, la costante informazione ambientale e la partecipazione della popolazione ai processi decisionali concernenti l’autorizzazione delle infrastrutture, hanno, nei fatti, ridotto sensibilmente il numero degli impianti contestati, denotando un’ampia accettabilità sociale delle fonti energetiche rinnovabili. La Germania ha dunque creato i presupposti ideali per proseguire nella transizione graduale da un contesto energetico basato principalmente su combustibili fossili a un futuro a ridotte emissioni fondato soprattutto sulle rinnovabili. È raccomandabile quindi un approccio integrato e a lungo termine che fornisca un sostegno a tecnologie specifiche. Sfruttare le fonti di energia rinnovabile più economiche è una priorità, ma c’è anche bisogno di un’azione urgente che fornisca un quadro per una politica a lungo termine che permetta all’industria di migliorare le sue prestazioni e ridurre i costi di tecnologie meno mature. Questo punto, unito al monitoraggio del miglioramento delle tecnologie e al conseguente adattamento degli incentivi per tecnologie specifiche, permetterà di giungere a minimizzare i costi totali nel tempo. A tale scopo, sarebbe auspicabile anche maggiore iniziativa per l’avvio di programmi di ricerca industriale al fine di migliorare le caratteristiche e le prestazioni delle attuali tecnologie e favorire particolari applicazioni innovative. 318 Una diffusione su larga scala delle rinnovabili potrà infatti avvenire soprattutto attraverso una forte riduzione dei costi che le renda economicamente competitive. Le rinnovabili possono essere davvero un fattore di spinta anticiclico e di ripresa dell’economia italiana, ma a condizione di affrontare le principali criticità che attualmente minano le possibilità di sviluppo di lungo periodo del settore, ancorando il settore delle rinnovabili ai principi e alle regole di mercato, mettendolo al riparo da logiche assistenzialistiche e speculative, ponendo al centro della sua costruzione il principio della sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale. 319 320 Bibliografia ACQUARONE L., Contributo alla classificazione delle autorizzazioni amministrative, Milano, 1962; AGNOLI M., La semplificazione delle procedure amministrative, in L’amministrazione italiana, 3, 2007; AICARDI N., Energia, in CHITI M.P. – GRECO G. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007; ALESSI R., La revoca degli atti amministrativi, Milano, 1956; AMMANNATI L., L’incertezza del diritto. 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