Storia della malattia_Deanna Olivoni_1 DICEMBRE 2011

GIORNATA MONDIALE AIDS 1 DICEMBRE 2011
Buon giorno a tutti,
ringrazio gli organizzatori per l’invito, e tutti voi che siete presenti in questa giornata che per me è molto
significativa. Non mi è stato affidato un tema preciso, ma ho il compito di fare l’introduzione di questa
giornata: “ AIDS – una lotta lunga 30 anni “.
Ho pensato di fare alcuni cenni alla storia di questa malattia che comincia in America il 6 ott 1980 e
precisamente in un ospedale di Los Angeles dove viene ricoverato un uomo, di 31 anni, di professione
indossatore. Questo giovane uomo aveva un forte deficit di globuli bianchi, in particolare di linfociti,
senza nessuna causa apparente che lo giustificasse. I medici lo chiamarono l’enigma della camera n. 510.
Nel febbraio 1981 un altro medico segnalò, al CDC di Atlanta ( Centro di Controllo delle Malattie ), che 5
giovani uomini stavano morendo: tutti avevano un forte deficit di globuli bianchi, tutti erano omosessuali e
morivano a causa della polmonite da Pneumocisti Carinii ; la cosa era incomprensibile.
Nel luglio del 1981 al CDC di Atlanta furono segnalati alcuni casi di Sarcoma di Kaposi ; i pazienti erano
sempre giovani uomini , omosessuali, sempre con un forte deficit di globuli bianchi.
A questo punto i medici detective del CDC costituirono un gruppo di ricerca su questa malattia nuova,
incomprensibile, mortale che determinava un calo dell’immunità e che sembrava colpire solo gli
omosessuali. Approntarono quindi un questionario, con 500 domande, che doveva essere somministrato al
maggior numero possibile di omosessuali, malati e sani, corredato anche da molteplici esami. Non trovando,
nei prelievi, nessun agente infettivo, che potesse essere il colpevole dei decessi, diedero alla malattia il
nome di “ Immunodeficenza dei gay “. Infatti sembrava trattarsi di una malattia degli omosessuali.
La svolta avvenne, quando un medico di Denver, segnalò ai CDC che un suo paziente era stato colpito dalla
polmonite da Pneumocisti Carinii, aveva un grave deficit di globuli bianchi ma, novità incredibile, non era
gay. Aveva moglie e figli, una vita normale, ma era emofilico e quindi costretto a sottoporsi ad una
trasfusione di sangue mensile. In poco tempo ci furono altri 3 casi di PCP ( Pneumocisti ) in emofilici ; i
medici del CDC denominarono la nuova malattia come Sindrome da Immunodeficienza Acquisita o
SIDA o AIDS. Eravamo alla fine del 1981, cominciava la lotta, senza quartiere, all’AIDS.
Molti laboratori in tutto il mondo si dedicarono alla ricerca dell’agente che era la causa della nuova
malattia, ma due in particolare, fecero grandi progressi: l’Istituto Pasteur di Parigi guidato da Luc
Montagnier e quello di Robert Gallo in America.
Fu solo il 09 maggio 1983, che una giovanissima ricercatrice francese, Barrè-Sinoussi, riuscì a
fotografare, attraverso il microscopio elettronico, l’agente isolato da un linfonodo infetto; era un virus, anzi
un retrovirus a RNA e lo chiamarono LAV ( virus della linfadenopatia ).
Pochi giorni dopo anche Robert Gallo, confrontando le foto dei francesi con il proprio lavoro, annunciò di
avere trovato il virus dell’AIDS e lo chiamò HTLIII .
Per molto tempo francesi e americani si contesero la paternità della scoperta scientifica e furono gli
americani che riuscirono a mettere a punto, nel 1985, il test ELISA disponibile anche in Italia dal 1986.
Il test ricercava gli anticorpi contro il virus e naturalmente per accontentare tutti, si chiamava
HTLVIII/LAV. Successivamente la comunità scientifica internazionale decise di cambiare il nome del
virus e lo chiamò semplicemente virus dell’immunodeficenza umana o HIV.
L’onore della scoperta, dopo una lunga contesa, fu giustamente attribuito ai francesi e solo nel 2008 a Luc
Montagnier, direttore dell’Istituto Pasteur di Parigi, fu consegnato il premio Nobel per la medicina.
L’HIV è quindi il virus responsabile dell’AIDS, è un retrovirus, fatto di RNA, che è in grado di penetrare
all’interno dei linfociti e di distruggerli abbassando così le difese immunitarie.
Si trasmette per via sessuale ( 85 % dei casi ), per via ematica , parenterale ( trasfusioni ), verticale ( da
madre a figlio ).
Ho cominciato a lavorare al Ser.t di Faenza nel 1986, si facevano i primi test per l’HTLVIII/LAV e la
situazione è apparsa subito disastrosa : il 30-40 % dei nostri pazienti, che come è noto, scambiavano
siringhe , era positivo. Leggere allora HTLVIII/LAV positivo, significava comunicare ad una persona, una
diagnosi mortale. I mass-media la chiamarono la “ peste del 2000 “, la pubblicità in tv del ministero
faceva vedere delle persone che camminavano fra la gente circondate da una macchia viola e ne
contagiavano delle altre: le persone erano terrorizzate. Lo stigma era totale.
Non c’erano farmaci efficaci, solo dopo qualche anno è comparso il primo farmaco antiretrovirale: l’AZT,
ma non bastava, non era una lotta , era una guerra, che noi medici e sanitari perdevamo regolarmente con
molti morti. Ricordo che nel 1993 a Faenza, nel nostro reparto di malattie infettive, sono decedute per
AIDS 53 persone: la media di una a settimana, molti erano tossicodipendenti o ex-td, li seguivamo da anni,
a volte avevamo vinto assieme la battaglia contro la tossicodipendenza, erano amici…, abbiamo assistito
impotenti al loro spegnersi giorno per giorno; sono stati anni bui, di grande dolore.
Solo nel 1995, grazie anche ad uno studente giapponese, sono arrivate le nuove cure, l’idea di
somministrare la cosi detta triplice: tre farmaci insieme con diversa azione è stata geniale ed ha consentito
a molti che stavano morendo di riprendere a vivere. E’ sembrato un miracolo.
Con questo, la malattia non è meno seria, ma è stato possibile cronicizzarla ed aumentare in modo
impensabile la sopravvivenza.
Noi, operatori delle tossicodipendenze abbiamo fatto la nostra parte, facendo esami ematici a tutti,
somministrando metadone ( che è il farmaco di prima scelta nella t.d da eroina ) per diminuire l’ uso di
siringhe, distribuendo siringhe pulite, dando informazioni su come lavarle e cercando di evitare gli scambi,
distribuendo profilattici a go go.
I risultati sono evidenti, non abbiamo quasi più siero-conversioni da siringhe, ma il problema della
prevenzione si è spostato sul contagio da rapporti sessuali, principalmente etero sessuali.
Come ser.t crediamo di avere fatto e di stare facendo un buon lavoro, senza mai abbassare la guardia.
Un’ultima considerazione: questo nastro rosso è il RED RIBBON che, ogni giorno, milioni di persone si
appuntano ed è il simbolo universale della solidarietà verso le persone sieropositive.
Generalmente è di raso, è sempre di colore rosso, il colore della passione e va portato a sinistra, la parte del
cuore. E’ stato creato da un attore americano che, in una premiazione, se lo appuntò sul petto per ricordare
un amico malato. Per tutti noi,che in questa storia abbiamo perso tanti amici, è un simbolo di solidarietà,
del nostro particolare impegno verso l’Aids e per far si che le persone che ne sono affette non vengono mai
più stigmatizzate, allontanate o ghettizzate.
Grazie per l’ascolto.
Deanna Olivoni
Dipendenze Patologiche