PROFILI GIURIDICI DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ di Maria Orsetti Sommario: 1. Genesi del principio di sussidiarietà; 2. I due volti della sussidiarietà, 2.1 La sussidiarietà orizzontale e verticale, 2.2 Le funzioni del principio di sussidiarietà;3. Alcuni esempi operativi del principio di sussidiarietà orizzontale; 4. Conclusioni. 1. Genesi del principio di sussidiarietà Il termine sussidiarietà(1) deriva dal latino subsidium ferre che significa prestare aiuto, offrire protezione(2).La sussidiarietà sconosciuta come idea e persino come vocabolo fino a circa la metà del secolo negli ordinamenti giuridici nazionali trova le sue prime formulazioni nell’ordinamento canonico. Nella Enciclica Quadrigesimo Anno Pio XI evidenziando la funzione sussidiaria dei poteri pubblici rispetto alle formazioni sociali naturali ne elabora una definizione ormai classica per cui: “…Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società, quello che dalle minori ed inferiori comunità si può fare…, perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle…”Il principio si compone quindi di due aspetti:sancisce il carattere sussidiario delle strutture religiose rispetto a quelle laiche e dei pubblici poteri rispetto all’attività delle formazioni sociali naturali. Dal diritto canonico il principio penetra nel diritto statale(3) secondo il processo antico e singolare postulato da Le Bras delle “origines canoniques du droit administratif”. 2. I due volti della sussidiarietà (1)Fra gli scritti più recenti che si dedicano allo studio del principio di sussidiarietà orizzontale si vedano P.DURET, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto in Yus, 2000; A.D’ANDREA, La prospettiva della costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà ,in Yus, 2000; L.ANTONINI, Il principio di sussidiarietà orizzontale: da welfare state a welfare society, in Riv.dir.finscienza fin 2000; T.E.FROSONI, Profili costituzionali della sussidiarietà in senso orizzontale, in Riv.giur.mezz. ,2000; U.RESCIGNO, Principio di sussidiarietà e diritti sociali, in Dir.Pubb.2002. (2)Nel Lexicon Totius Latinitatis per subsidium si intende un aiuto tenuto in riserva offerto solo in caso di necessità quando coloro che hanno l’obbligo di adempiere ad un dovere non sono in grado di farvi fronte. Il termine sussidiarietà porta con sé due implicazioni abbastanza diverse, rintracciabili nella sua etimologia latina: il primo significato della parola sussidiario evoca l’idea di suppletivo, di secondario, di meno importanteE’ ad esempio il nome che veniva dato nella terminologia militare romana alle truppe di riserva che rimanevano in seconda linea al fronte, pronte ad intervenire in aiuto delle coorti che combattevano in prima linea. Il suo secondo significato evoca l’idea di soccorso ( sussidio) ed implica un’idea di intervento.Si tratta di misurare non tanto se l’autorità ha il diritto di intervenire, ma piuttosto se non ne ha il dovere. (3) Aderiscono a questa ricostruzione delle origini del principio di sussidiarietà tra i più importanti : R.HOFMANN, Il principio di sussidiarietà.L’attuale significato nel diritto costituzionale tedesco ed il possibile ruolo nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Riv.Ital.Dir.Pubbl.Comunitario, 1993. 1 2.1 La sussidiarietà orizzontale e verticale Anche sotto il profilo più strettamente giuridico che qui maggiormente interessa due sono i significati del concetto in esame: la sussidiarietà orizzontale è il paradigma ordinatore dei rapporti tra lo stato, le formazioni sociali e gli individui; la sussidiarietà verticale ripropone un criterio di distribuzione delle competenze tra lo stato e le autonomie locali. Agli enti territoriali vanno lasciate non solo le competenze giuridiche od i diritti di iniziativa ma anche i mezzi finanziari ed amministrativi necessari all’organizzazione ed all’esercizio concreto di questa facoltà. Al principio federale tradizionale il principio di sussidiarietà verticale aggiunge un elemento importante, costituito dalla necessità di giustificare l’esercizio, da parte del liello di governo superiore, delle competenze attribuite per costituzione sulla base di accertate inadeguatezze del livello di governo inferiore. Ma a chi spetta l’onere di fornire la prova di tali inadeguatezze(4)? Nell’ordinamento comunitario dove il principio di è espressamente enunciato all’art.3 b del Trattato di Maastricht si è cercato di elaborare criteri specifici e sufficientemente precisi che ne consentano la verifica in sede giudiziale(5). La giustiziabilità è stata comunque fino a questo momento praticamente inesistente in virtù della presunta bontà degli interventi dello stato.Un passo in avanti sotto questo profilo è stato fatto con il Trattato di Amsterdam che ha tra i suoi allegati un documento che elabora dei criteri in base ai quali valutare gli interventi legislativi per sottoporli a controlli anche giurisdizionali. In Italia la Legge Bassanini enuncia espressamente l’applicazione della sussidiarietà nella sua dimensione verticale(6):le funzioni ed i compiti amministrativi devono essere conferiti in modo tale, che le responsabilità pubbliche siano attribuite all’ autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati, quindi principalmente a Comuni, Province e Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le medesime. Si attribuisce al Governo il compito di individuare procedure e strumenti di raccordo, anche permanente, che consentano la collaborazione e l’azione coordinata tra regioni ed enti locali. Si introduce, infine la possibilità di un intervento sostitutivo in caso di inadempienza delle Autonomie locali. (4) Vale qui la pena ricordare che l’art.123 della Costituzione, così come novellato per effetto della consultazione referendaria del 7 ottobre 2001 è diretto alla creazione di un Consiglio regionale finalizzato ad un miglior raccordo tra gli enti interessati allo svolgimento delle funzioni amministrative secondo la nuova impostazione dell’art.118 della Costituzione che promuove e favorisce l’ingresso delle Autonomie sociali. (5) Nei settori in cui non vengono espressamente elencate le competenze della comunità e degli stati e dove, di conseguenza in base all’art.3B del Trattato di Maastricht si applica rigidamente il principio di sussidiarietà vengono elaborati criteri di riparizione delle competenze.I criteri elaborati a livello comunitario si possono classificare secondo due gruppi:quelli che possono servire a decidere se l’azione della comunità è veramente necessaria; quelli che possono contribuire a definire l’incisività dell’azione dal momento che la comunità si è dichiarata competente.Nel primo gruppo viene inserito il c.d.test di efficacia comparata.Questo test si basa su diversi fattori: l’effetto scala, il costo dell’inazione, la necessità di mantenere una ragionevole coerenza, i limiti di un’azione isolata da parte di uno stato membro, la necessità di rispettare la norma sulla libera concorrenza.Il test deve evidenziare il vantaggio supplementare che potrebbe risultare dall’intervento comunitario.Dal punto di vista dell’incisività dell’azione comunitaria, per la quale deve prevalere l’idea di proporzionalità i criteri sono i seguenti: ad uguale efficacia, bisogna preferire l’intervento che lascia più libertà; bisogna evitare che un’azione giudicata indispensabile si traduca in un eccesso di regolamentazione;bisogna privilegiare la concisione a livello di testi scritti. Europe documents n.1804/1805 del 30.10.1992. (6) Una delle prime applicazioni del principio di sussidiarietà è rintracciabile nella Legge n.439 del 30 dicembre 1989 che ratifica la Carta europea delle autonomie locali e nella legge n.142 del 1990 la quale ha costruito in termini di sussidiarietà i rapporti tra comuni, province, regioni: riconoscendo ai primi una competenza residuale, ed elevando a criterio distributivo delle competenze tra diversi livelli territoriali di governo, la dimensione degli interessi pubblici coinvolti, nonché l’economicità e l’efficienza nell’esercizio delle competenze stesse. 2 E’ tuttavia la prima valenza del principio di sussidiarietà quella più controversa e nei cui confronti si manifestano le maggiori resistenze ideologiche. Nel suo significato di sussidiarietà orizzontale questo principio afferma che lo stato interviene solo quando l’autonomia della società risulti inefficace.La sussidiarietà va così molto al di là di un semplice principio di organizzazione delle istituzioni, si applica innanzitutto ai rapporti tra l’individuo e la società che lo circonda, poi ai rapporti tra la società e le istituzioni, prima ancora di determinare una ripartizione di competenze, nella scala istituzionale tra base e vertice.In questa dimensione lo stato non deve limitarsi ad assicurare le condizioni esterne per l’ordine pubblico e per la sovranità internazionale della nazione. La sussidiarietà si fonda, infatti, su un’idea di stato che implica la necessità (come esprime la derivazione etimologica di subsidium) dell’intervento promozionale od ordinatore e coordinatore dello stato stesso a favore dell’incremento e dell’incentivazione di una cultura della responsabilità individuale.Lo stato e le formazioni sociali intervengono secondo una logica di complementarietà. A livello comunitario il principio di sussidiarietà si carica di ulteriori e diversi significati. Il principio in esame è previsto espressamente nella Carta Europea delle Autonomie locali, adottata a Strasburgo il 15 ottobre 1985(7)laddove dispone che l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. Con la conseguenza che l’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di autonomia. La competenza nazionale è la regola e la competenza comunitaria l’eccezione(8).Emerge, quindi in questo contesto comunitario l’aspetto positivo del principio di sussidiarietà e non l’aspetto negativo per il quale nessuna autorità può intervenire in materie e compiti che meglio possono essere adempiuti al livello più vicino alle autorità inferiori. Di conseguenza mentre gli stati nazionali tendono a trasferire le proprie funzioni ed i propri compiti a livello sovranazionale, all’opposto il principio di sussidiarietà ribadisce i limiti ai poteri sovranazionali, favorendo da un lato la crescita di strutture istituzionali internazionali, tenendone, dall’altro lato sotto controllo lo sviluppo. Questo principio garantisce il rispetto dell’identità nazionale degli stati membri e salvaguarda le loro competenze. 2.2 Le funzioni del principio di sussidiarietà Attraverso questa prima definizione della natura giuridica del principio di sussidiarietà è possibile analizzarne le funzioni. Si potrebbe infatti parlare di una funzione promozionale in quanto impone allo stato di favorire lo sviluppo di articolazioni intermedie. Nello stesso tempo proibisce a questi stessi destinatari di intervenire nell’ambito di azione delle articolazioni sottostanti se queste sono in condizione di regolarsi autonomamente e di gestire in proprio i loro compiti (funzione protettiva). Se queste articolazioni non riescono a svolgere i loro compiti, ad esempio educativi od assistenziali, il principio di sussidiarietà impone allo stato di non assumere subito su di sé questi compiti, ma di cercare vie degli strumenti di rafforzamento del campo di operatività di questi corpi intermedi, in genere attraverso meccanismi di finanziamento. E’ in questa veste che il principio di sussidiarietà apre la strada all’attività degli organismi operanti nel c.d. terzo settore e favorisce il fenomeno dell’associazionismo. Molte leggi regionali infatti riconoscono funzioni e compiti fondamentali a strutture intermedie in forza del principio di sussidiarietà . La Legge della regione Lombardia n.170 del 26.10.1999 è ad esempio molto chiara sul punto nell’affermare all’articolo 5 che : “la regione, in attuazione del principio di sussidiarietà, in base al (7) La Carta è stata ratificata in Italia con la Legge n 439/89. (8) S.CASSESE, L’aquila e le mosche.Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Il Foro Italiano,1995. 3 quale vengono gestite dall’ente pubblico le funzioni che non possono più essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati, come singoli o nelle formazioni sociali in cui si svolge la loro personalità…valorizza e sostiene le famiglie…promuovendo le associazioni e formazioni di privato sociale…”. Un significativo esempio della crescente importanza di questi corpi intermedi sul territorio nazionale è data dalla Legge del Friuli Venezia Giulia n.49 del 1993 che ha previsto all’art.5 una rappresentanza politica alle famiglie istituendo la Commissione regionale delle famiglie con il compito di esprimere pareri su tutte le proposte e disegni di legge regionale che affrontano questioni familiari e di promuovere proposte in materia di sostegno economico alle famiglie. E’ chiaro quindi che la sussidiarietà anche sotto il profilo operativo-funzionale possiede una duplice dimensione:una che attiva lo stato o l’altro destinatario del principio, l’altra che limita questo intervento. Opera non solo quindi come un limite all’intervento di un’autorità superiore nei confronti di una collettività che è in grado di agire da sola, ma anche come obbligo per tale autorità di agire nei confronti di tale collettività per fornirle i mezzi necessari per realizzarsi. In questa prospettiva il principio di sussidiarietà integra l’articolo 2 della Costituzione consentendo il superamento dell’individualismo e di una interpretazione delle formazioni sociali come una garanzia supplementare, come qualcosa di aggiuntivo rispetto al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo in quanto tale. Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, infatti, la tematica dei rapporti tra lo stato ed il cittadino, nonché i problemi posti sul tappeto dal pluralismo istituzionale e sociale prefigurato dalla Carta Costituzionale, sono stati affrontati, facendo uso di altre chiavi interpretative: la dialettica autorità-libertà, il ruolo delle c.d. comunità intermedie, la tensione tra principio autonomistico e principio unitario(art.5 Cost.). 3. Alcuni esempi operativi del principio di sussidiarietà orizzontale Ci si può chiedere se uno dei motivi dell’attuale successo del principio di sussidiarietà non nasca proprio dalla sua ambiguità. Corrisponde infatti ad un periodo in cui le categorie troppo formali del diritto non riescono a rendere conto della complessità della realtà, né soprattutto, a rispondere alla necessità di conciliare le aspirazioni contraddittorie degli attori sociali.Dopo un periodo fortemente segnato dall’economismo e dalla ricerca di grandi insiemi, è succeduta una fase più incerta in cui si manifestano forti bisogni di identità e simultaneamente di diversità. La situazione attuale dell’Europa è esemplificativa di tali aspirazioni contraddittorie: le aspirazioni di adesione all’Unione Europea coesistono con un’onda crescente di particolarismo. Lo stesso fenomeno si manifesta sul piano interno: ognuno aspira a sfuggire all’uniformità quando la crisi economica evidenzia limiti dei grandi sistemi, in particolare quelli di redistribuzione, messi in piedi dopo la seconda guerra mondiale, e fa sorgere il bisogno di prossimità sociale, istituzionale e familiare. Sono un esempio di questa tendenza i numerosi passi in avanti che nel corso degli ultimi anni ha percorso nel nostro ordinamento la sussidiarietà nella sua dimensione orizzontale in via di prassi pur in assenza di una sua formulazione giuridica precisa come principio. Sono espressione di tale principio le iniziative volte a riconoscere i carichi familiari, ossia i costi sostenuti per il mantenimento e la formazione dei membri della famiglia.In questo senso è stata messa a punto una proposta che prevede l’adozione di Basic income familiare (BIF) per determinare il reddito imponibile. 4 Dalla somma di tutti i redditi della famiglia verrebbe sottratta una quota minima-Bifnecessaria per il sostentamento dei familiari a carico. A livello regionale(9) esistono proposte dirette a diffondere il c.d. pacchetto famiglia, cioè una serie di misure in materia di casa, infanzia, lavoro fisco, organizzazione dei trasporti, alle quali gli enti locali non possono sottrarsi(10). Nel campo dell’assistenza la legge 142/90, agli art.21 e 22, ed il decreto legislativo 112/98 prevedono da parte dei comuni e delle province diverse modalità di gestione dei servizi sociali, non esclusa la possibilità di farli gestire a terzi. In molti casi gli enti locali hanno affidato alle IPAB e ad associazioni, cooperative e fondazioni, la gestione dei servizi sociali, riservandosi la programmazione, il controllo ed il finanziamento delle attività.Più nella prassi che nella codificazione normativa si è reso evidente come l’apporto delle realtà non profit sia spesso determinante nell’affrontare e risolvere problemi di tipo sociale.Un primo esempio riguarda la promozione e la valorizzazione delle c.d. solidarietà naturali, cioè degli interventi che persone e famiglie possono mettere in atto nel loro ambito. In questa prospettiva si colloca la figura dell’anziano in famiglia, ideato nel 1986 dall’assessore ai servizi sociali del comune di Milano Giuseppe Zola, che lanciò la proposta di sostenere le famiglie disposte a mantenere l’anziano in casa anziché ricoverarlo. L’importo da erogare è variabile e dipende dalla somma complessiva delle risorse a disposizione dell’anziano e della sua famiglia, valutate secondo una tabella parametrale prestabilita e confrontate con il costo del progetto di assistenza a domicilio che la famiglia stessa propone al comune. Attualmente il comune di Milano per favorire tale possibilità integra il budget familiare con cifre che possono arrivare fino ad 1.5000.000 lire mensili. Naturalmente l’anziano deve essere nella posizione di aver diritto al ricovero secondo i criteri deliberati dalla giunta municipale.Nella stessa logica si è mossa la regione Emilia Romagna con la legge n.5/94 che prevede l’assegno di cura e più recente, la provincia di Trento, con la legge n.6/98. Quest’ultima all’art.1, dispone testualmente che gli interventi della provincia devono essere “volti a sviluppare, secondo il principio di sussidiarietà, iniziative idonee a consentire all’anziano ed alle persone non autosufficienti o con gravi inabilità, di mantenere la loro autonomia personale e di rimanere per quanto possibile nell’ambiente di vita mediante una rete di servizi rivolti in particolare a favorire l’assistenza nell’ambito familiare e l’integrazione sociale”. Con riferimento al settore della scuola significativa è l’esperienza dell’Emilia Romagna con la legge n.155/99, che ha stabilito l’erogazione di assegni di studio alle famiglie che iscrivono i figli a scuole non statali, coprendo fino al 50% delle spese sostenute in funzione del reddito familiare. La Lombardia va ancora oltre introducendo dei buoni scuola da spendere a scelta nella scuola pubblica o privata, in proporzione alla spesa effettivamente sostenuta.Nel giro di quattro anni la copertura dovrà arrivare al 100%.Nel settore della formazione professionale è significativa l’esperienza della rete del Consorzio Scuola Lavoro: il CSL è infatti un ente di formazione, operante oggi in 15 regioni italiane, voluto e realizzato da imprenditori e professionisti che hanno inteso realizzare uno strumento di risposta efficace all’esigenza di formazione espressa dalle aziende e dal mercato. La peculiarità del CSL e l’efficacia degli interventi che promuove, stanno nella modalità del bottom up con cui è nato.La progettazione degli interventi è in stretta connessione con la realtà (9) Mi riferisco alla regione Veneto, Lombardia, Marche, Basilicata, Puglia e Sicilia. (10) Tra i più significativi merita di essere ricordato il Pacchetto famiglia comprensivo delle Leggi Regionali del Trentino Alto Adige 4 e 7 del 1992, la 3 e 19 del 1993, coordinate con la legge 6 del 1998.Il Nuovo Pacchetto Famiglia della regione autonoma del Trentino Alto Adige è sostenzialmente una sorta di Testo Unico in materia di previdenza sociale.Non è da sottovalutare però il fatto che , pur trattandosi di un sistema assicurativo, l’impianto complessivo del sistema normativo in questione sia sorretto da un’intelaiatura di tipo solidaristico.L’articolo 4 della Legge del 24 maggio 1992 pone la famiglia come punto di riferimento per alcuni interventi previdenziali, in particolare maternità e lavoro casalingo.L’articolo 6 prevede il riconoscimento della soggettività sociale dell’istituto familiare che trova anche una rappresentatività all’interno della Commissione regionale per la previdenza sociale, dove accanto ad esponenti del mondo politico, amministrativo e sindacale siedono anche due rappresentanti delle associazioni operanti, almeno a livello provinciale, per finalità rientranti nella sfera politica familiare. 5 produttiva e con l’ esigenza di risorse professionali:un esempio significativo in questo settore del principio di sussidiarietà è costituito dalla legge della regione Lombardia n.35 del 96.Con tale provvedimento si interviene in campo economico e nell’attività delle Imprese piccole e medie, ma solo per supportarle in quegli ambiti e su quelle materie in cui per esse è difficile, se non impossibile realizzare autonomamente i propri obiettivi.Si abbandona la logica dei c.d. contributi a pioggia, che alla lunga finiscono per determinare un rapporto di tipo assistenzialistico tra ente pubblico e sistema delle imprese. In particolare quattro sono le aree di intervento individuate dalla legge regionale: la ricerca e l’innovazione, l’internazionalizzazione, le infrastrutture e l’accesso al credito.Per quanto riguarda la ricerca si tratta di un’attività che richiede notevoli investimenti, e che dà i suoi frutti nel medio e lungo termine.E’ evidente che per una piccola e media impresa è difficile sostenere da sola gli oneri di tale attività. Va considerata, però, l’utilità sociale dell’innovazione, frutto della ricerca. L’internazionalizzazione è un altro settore che dimostra l’utilità e la necessità del supporto dell’ente pubblico a favore delle piccole e medie imprese.Appare chiaro, infatti, quante difficoltà incontrino queste aziende muovendosi in mercati diversi dal proprio:lingue, usi commerciali, regole contrattuali.Sulle infrastrutture sia di tipo tradizionale (viabilità e trasporti) che di stampo innovativo come le reti telematiche è evidente l’importanza dell’intervento pubblico. L’ultimo tema sul quale la legge n.35 interviene è quello dell’accesso al credito.In Italia, così come in molti altri Paesi, il sistema bancario, tranne rare eccezioni, si è dimostrato poco attento alle realtà delle piccole e medie imprese, penalizzate da una posizione di svantaggio dovuta alle loro dimensioni. L’intervento pubblico in questo caso mira, da un lato, proprio a ristabilire un rapporto di parità tra forze in campo, dall’altro attraverso il contributo finanziario, ad abbassare il costo degli investimenti agevolando l’accesso al credito. Degna di nota è la legge regionale lombarda n.31/97, istitutiva di un servizio sanitario integrato in cui i cittadini possono scegliere il tipo di cura e di prestazione rivolgendosi indifferentemente a strutture pubbliche e private, profit e no-profit. All’articolo 1 di tale legge si prevede che “ le norme della presente legge si ispirano al principio di sussidiarietà solidale tra le famiglie, gli enti pubblici ed i soggetti privati accreditati erogatori di servizi, al fine di fornire le prestazioni necessarie ai cittadini”. Allo stesso modo si intravede la volontà di realizzare la sussidiarietà laddove si dice che “ concorrono all’integrazione socio –sanitaria gli enti non profit ed i soggetti privati, secondo le loro specifiche peculiarità”. 4. Conclusioni Nonostante siano ormai numerose le manifestazioni e le applicazioni pratiche della sussidiarietà, manca nel nostro ordinamento una formulazione chiara e precisa come principio giuridico. Forse è proprio la natura stessa ed il significato specifico del principio diretto alla promozione ed all’ apertura verso le formazioni sociali che ne influenzano la implementazione. L’ “ingresso” nell’ordinamento infatti si origina dal basso, cioè su impulso e per iniziativa proprio delle autonomie sociali ed organismi territoriali, per poi essere recepita al livello istituzionale statale o costituzionale. Basti pensare a dimostrazione di questo processo all’importante ruolo rivestito da queste presso la Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali in funzione di stimolo del dibattito sulla sussidiarietà nell’articolo 56 del progetto di Costituzione. Una prima versione dell’articolo prevedeva che: “Le funzioni che non possono più essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra le comunità locali, organizzate in 6 comuni, province, regioni e stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli interessi dei cittadini secondo il criterio di omogeneità ed adeguatezza delle funzioni organizzative rispetto alle medesime”. L’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento nazionale, comunque, pone il problema di un controllo formale ed adeguato sulla sua applicazione.Che il concetto di sussidiarietà sia vago e non possa da solo portare a conseguenze giuridiche è evidente. Malgrado queste imperfezioni l’art.118 della Costituzione, così come novellato dalla consultazione referendaria del 7 ottobre 2001 sembra fornire un’importante apertura del nostro ordinamento verso il riconoscimento di questo istituto come principio giuridico. L’introduzione di questo principio a livello costituzionale sarebbe avvenuto secondo la dimensione verticale ed orizzontale.Sotto il primo profilo si opera una diversa allocazione delle funzioni amministrative partendo non più dall’alto, ma dal basso; spettanza in primo luogo ai comuni “ salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni, Stato…” al fine di realizzare la vicinanza ai cittadini. Sotto il secondo profilo si introduce l’impegno dello stato e degli enti territoriali a favorire l’ingresso delle autonomie sociali, dei corpi intermedi nell’esercizio di funzioni di interesse generale; promuove le sinergie tra pubblico e privato in funzione di avvicinamento del cittadino all’amministrazione, non tanto al fine di salvaguardare gli spazi di libertà privata, ma piuttosto in funzione di costituzione di un nuovo modello di amministrazione, che tenga non più solo conto delle autonomie territoriali, ma anche di quelle funzionali e sociali. Siamo veramente sicuri che anche altre creazioni della giurisprudenza costituzionale fossero così chiare prima di venir esplicitate dalla giurisprudenza? L’opportunità di un’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento giuridico deve essere valutata alla luce di un’evoluzione del diritto che perde le sue caratteristiche di norma generale, immutevole ed impersonale per adeguarsi all’evoluzione di una società complessa e talvolta imprevedibile;si tratta di un’evoluzione, in cui, dopo gli altri di certo, ma in maniera decisa, l’Italia è, anche lei , entrata: quella di norme che sono in maniera consistente il prodotto di creazioni giurisprudenziali o che comunque sono da esse influenzate. Un secondo ordine di considerazioni ci spinge a favore dell’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento.Tale ordine si evidenzia dall’evoluzione stessa dei metodi delle corti costituzionali quando sono chiamate a sindacare le leggi votate dal parlamento. Il criterio di proporzionalità, ad esempio, è un criterio ormai comune di valutazione.I pregi derivanti dall’applicazione di questa categoria dinamica si possono rintracciare a più livelli.Le considerazioni sviluppate sulla sussidiarietà sembrano suscettibili di influenzare l’avvenire del decentramento e del federalismo attraverso più direttrici.Introducendo in primo luogo punti di riferimento e metodi nuovi di ripartizione delle competenze tra stato e collettività territoriali. Ci si allontana, infatti, da un’eccessiva considerazione per i criteri di redditività, in termini solo economici o finanziari, che hanno prevalso fino a questo momento sulla ripartizione delle competenze ( come nella teoria economica del federalismo). Più che opporsi all’idea di efficacia porta a prendere in considerazione criteri diversi dai soliti.Permette di temperare l’importanza di aspetti finanziari ed economici attraverso l’analisi di elementi umani e di benessere. La sussidiarietà apporta una filosofia suscettibile di influenzare non solo i rapporti tra le istituzioni, ma soprattutto i rapporti tra queste e la società: lo stato non può intervenire se non nella misura in cui l’autorità inferiore ha mostrato la propria incapacità.Il principio di proporzionalità trova qui una sua immediata applicazione (l’intervento sarà legittimo nella misura in cui sarà necessario).Il principio è quindi di limitazione del potere senza avere un carattere normativo, indica una tendenza. 7 L’applicazione pratica del principio di sussidiarietà induce un’altra importante riflessione: può risultare infatti più vantaggioso, in termini soprattutto economici per una organizzazione aiutare una delle sue componenti ad esercitare le proprie competenze che toglierle per esercitarle in proprio. Pone quindi sotto una nuova luce la questione dei trasferimenti finanziari, che non dovrebbero essere considerati come modalità di assistenza ma come incentivi a fare ed intraprendere. Più che ad un intervento nel senso classico del termine tipico dello stato provvidenza, fa riferimento ad una forma di assistenza che incoraggia ed autorizza l’autonomia. Si tratta, per riprendere il testo della Rerum Novarum “di aiutare i membri del corpo sociale e non di distruggerli od assorbirli”. A livello delle competenze il principio piuttosto che mantenere sistemi rigidi nei quali lo stato interviene molto ( si pensi al caso degli aiuti per gli alloggi sociali i cui costi di ripartizione burocratica sono enormi in tempo e pertanto in denaro) spinge a trasferire alle autorità decentralizzate i mezzi finora stanziati dallo stato e scommettere sulla dinamica che potrà essere messa in piedi a livello locale. A livello finanziario, il concetto di sussidiarietà milita a favore di una larga delega di risorse implicando simultaneamente una equalizzazione dei mezzi a disposizione per l’esercizio della libertà consentita. La sussidiarietà porta quindi con sé l’idea di solidarietà positiva che consiste nel rendere possibile la decentralizzazione qualunque sia l’ammontare delle risorse disponibili. Nella dimensione propriamente orizzontale l’implementazione del principio è alla base dell’attività del c.d. terzo settore e di fenomeni di associazionismo. Lo stato non si ritira dai propri compiti di fissazione di standard qualitativi delle regole di accesso dei cittadini alle varie tipologie di servizi sociali, delle modalità di finanziamento degli stessi, dei criteri di controllo. Si tratta piuttosto di affermare che l’assolvimento di tali funzioni non comporta una gestione diretta da parte dello stato. Esiste un trade-off tra gestione e regolazione: quanto più lo stato gestisce, tanto meno riesce a regolare ed a farsi promotore di tutte quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici. La sussidiarietà si presenta dunque come un concetto nuovo le cui potenzialità non sono ancora state esplorate tutte. Tutte le norme che nel nostro ordinamento richiamano il principio di sussidiarietà sono accomunate da un elemento: esse valorizzano soltanto l’aspetto positivo del principio, che afferma la necessità di un intervento dei soggetti pubblici a sostegno e promozione dell’attività dei privati e fanno riferimento sempre a tale principio contestualmente all’attribuzione agli enti pubblici di competenze e di funzioni; manca l’affermazione del valore negativo di necessaria astensione del potere pubblico dal porre in essere le attività che devono essere lasciate alla sfera dei soggetti privati, né prevede alcun meccanismo che consenta di considerare l’intervento pubblico come eccezionale o residuale. Si può quindi confermare nel nostro ordinamento la presenza di un paradosso: le disposizioni normative che richiamano il principio di sussidiarietà sono ispirate all’esigenza di stabilire una limitazione dell’intervento pubblico a favore delle organizzazioni sociali anche se il testo che richiama espressamente tale principio prevede sempre una attribuzione di competenze ai soggetti pubblici indicando un’attribuzione in positivo di competenze ai soggetti pubblici con una indicazione precisa del modo concreto di esercitarle. Settembre 2002 8