Primo capitolo del libro

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Breve introduzione alla storia critica delle idee
I. Che cosa sono le idee?
1. Visibilità delle idee
Dobbiamo innanzitutto confrontarci con una difficoltà: l’idea – oggetto della
storia delle idee – non compare mai, come tale, in una sua delimitata singolarità e tanto meno possiede una sua chiara visibilità. Certo, è paradossale –
sia detto con un pizzico di ironia – che un’espressione la cui origine si
ritrova, come è noto, nella radice indoeuropea u(e)di- (da cui, si ha per
l’appunto eidos e idéa e che significa vedere, indichi un oggetto che non è,
come tale, visibile. D’altra parte, come si è già detto nella prefazione, non è
all’idea intesa, sin dall’opera platonica, come forma essenziale delle cose
(significato che trova il corrispettivo nella sua etimologia) che ci riferiamo.
Né possiamo rimandare al significato che essa ha successivamente assunto
(a partire da Enrico di Gand e Duns Scoto sino all’esplosione della modernità)
come “contenuto del pensiero”.7
L’idea di cui intendiamo qui fare uso e di cui parleremo è qualcos’altro.
È un’altra idea, derivata senza dubbio dai suoi più antichi omonimi con i
quali resta comunque semanticamente apparentata. È una rappresentazione,
!
7
A cavallo tra il XIII e il XIV secolo si ha in effetti quella “svolta epistemologica” di cui sono
protagonisti i due citati autori: “le idee vengono interpretate d’ora in poi prevalentemente come
contenuti di pensiero e viene tematizzato il carattere ontologico dell’essere intelligibile”
(Tobias Hoffmann, Creatura intellecta. Die Ideen un Possibilien bei Duns Scotus mit Ausblick
auf Franz von Mayronis, Poncius und Mastrius, Aschendorff, Münster 2002, p. 12). Ci si
riferisce anche allo studio di L.M. De Rijk, Un tournant important dans l’usage du mot idea
chez Henri de Gand, in: a cura di M. Fattori, L. Bianchi. Idea, VI Colloquio internazionale,
Roma, 5-7 gennaio 1989, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1989.
!
11
Sebastiano Ghisu
certo. Una forma, un’immagine, un contenuto di pensiero. Ma questi sono
soltanto alcuni dei suoi aspetti – i più scontati, forse. Gli altri – quelli che
più la caratterizzano – sono così molteplici e variegati, tanto diffusi e articolati da rendere impossibile la formulazione di una definizione soddisfacente.
Le definizioni del resto sembrano essere ostili alla filosofia. Scriveva
Kant nella Critica della ragion pura (sezione prima del primo capitolo della
“Dottrina trascendentale del metodo”):
definire, come dice la stessa parola, non può propriamente significare altro che
esporre originariamente il concetto esplicito di una cosa dentro i suoi limiti8.
Tuttavia, secondo Kant, non può essere definito né un concetto empirico
né un concetto a priori, puro. Infatti non posso mai esser sicuro di raggiungere
con la definizione l’interezza dell’oggetto. Nel primo caso, infatti, (ovvero
nel caso del concetto empirico),
non è mai sicuro se con la parola, che designa uno stesso oggetto, una volta
io non pensi più note (Merkmale), e un’altra volta meno.9
Nel secondo caso, invece, (concetto a priori)
io non posso mai esser sicuro che la chiara rappresentazione di un concetto
dato (ancora confuso) sia stata sviluppata esaurientemente, salvo che io sappia
che essa è adeguata all’oggetto.10
Insomma, non può darsi definizione di un oggetto dato (dall’esperienza
o, per così dire, dalla mente, a priori). Quindi, poiché
né i concetti empirici, né quelli dati a priori possono essere definiti, non restano
che i concetti arbitrariamente pensati su cui si possa tentare questa operazione.11
Altrimenti, precisa Kant,
!
8
Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft, Riga 1787, trad. it. Critica della ragion pura.
Bari 1977, p. 560.
9
Ibidem.
10
Ibidem, p. 561.
11
Ibidem.
12 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
invece del termine “definizione”, io userei a preferenza quello di esposizione
(Exposition)…12
Alla definizione dovremo quindi sostituire l’esposizione. Tanto più che,
come scriveva Nietzsche circa un secolo dopo la stesura della Critica
kantiana,
tutti i concetti, nei quali si riassume semioticamente (semiotisch) un intero processo, si sottraggono alla definizione; è definibile solo ciò che non ha storia.13
E l’idea – e l’idea dell’idea – hanno una loro storia.
Certo, va precisato che sia Kant che Nietzsche paiono intendere per
“definizione” una formulazione conchiusa, definitiva, statica, universale. Il
primo sottolinea la difficoltà di cogliere “l’interezza dell’oggetto” e il secondo, di fatto, la sua storia: l’estensione teoretica da una parte e quella
storica, per l’appunto, dall’altra. Ma se è così, viene a essere possibile una
definizione che non pretende di essere conchiusa e che rimanda alla storia
dell’oggetto da definire ovvero, più esattamente, alle dinamiche e ai contesti
che la producono e producono l’oggetto.
In tal senso, per quanto riguarda l’idea, la sua definizione sarà sempre
incompleta non tanto perché cambia o è cambiato ciò che le varie scuole di
storia delle idee hanno inteso per idea, quanto perché le idee stesse sono
inserite in un complesso e articolato insieme di dinamiche di cui la loro
storia non è che un effetto, e che non possono essere racchiuse, per l’appunto,
in una definizione. Non è dunque possibile fornire una definizione di idea
che non rimandi a ciò che l’idea stessa esprime e a ciò attraverso cui essa si
esprime. Ciò che l’idea esprime corrisponde all’insieme di cui l’idea è
componente. Ciò attraverso cui essa si esprime sono i segni o i significanti
che la supportano e la veicolano. Rileviamo allora due dimensioni dell’idea:
1. il suo carattere distributivo;
2. il suo esser celata, la sua “occultazione”.
!
12
Ibidem.
Friedrich Nietzsche: Zur Genealogie der Moral (1887), Zweite Abhandlung: “Schuld”,
“Schlechtes Gewissen” und Verwandtes, in: Nietzsche-Werke, C. Hanser Verlag, München
1954, Vol. 2, p. 820.
13
!
13
Sebastiano Ghisu
Sono proprio tali dimensioni che determinano la presenza non immediatamente visibile delle idee. Potremmo anche parlare di una dimensione
orizzontale e di un’altra verticale, ovvero, utilizzando una diversa metafora,
del loro carattere estensivo e dell’altro, intensivo. Se volessimo poi civettare
con Hegel, potremmo aggiungere che la visibilità non immediatamente visibile
delle idee è data proprio dalla sintesi di queste due dimensioni (che noi distinguiamo analiticamente, ma che sono evidentemente intrecciate tra loro).
2. Distribuzione delle idee
L’idea è distribuita in un complesso variegato di segni e tra supporti di varia
natura: il concetto filosofico, un prodotto artistico, una legge o consuetudine
morale, un credo religioso, un’istituzione, una composizione musicale, un
teorema scientifico e così via. Niente di tutto ciò ne ha l’esclusiva (ma ne
espone semmai il significato in un modo che è almeno in apparenza più
limpido e chiaro, come il concetto filosofico: ma è una chiarezza, per
l’appunto, solo apparente; una chiarezza che, spesso, inganna).14 Niente di
tutto ciò, assunto isolatamente, ne completa il significato reale.
Come ben si comprende, le idee costituiscono gli elementi di cui si compongono le ideologie, il pensiero di tutti, le immagini del mondo (ovvero i
modi di concepire, vivere e fare il mondo). È ciò che Gramsci chiamava il
“senso comune”, un sorta di “filosofia dei non filosofi”, vale a dire
la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali e
culturali in cui si sviluppa l’individualità morale dell’uomo medio.15
Tali concezioni o immagini del mondo sono per l’appunto ciò che le
idee esprimono.
!
14
Come vedremo meglio in seguito, il concetto, preso isolatamente, può costituire l’accesso
privilegiato all’idea. Ma è, per l’appunto, solo una porta d’ingresso. E come di una casa non
possiamo conoscere gli interni se restiamo sulla soglia, allo stesso modo non potremmo mai
conoscere un’idea se insistiamo entro i confini fin troppo chiari e limpidi del concetto. Esso
non fornisce neppure una mappatura dell’idea…
15
Antonio Gramsci, Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia…,
cit. p. 1396.
14 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
In tal senso, possiamo accedere al significato di “idea” esponendo il
significato di ideologia. Ci rifacciamo in particolare alla definizione che ne
fornisce Louis Althusser in Marxisme et Humanisme del 1963:
nell’ideologia gli uomini esprimono, in effetti, non i loro rapporti con le loro
condizioni di esistenza, ma il modo in cui essi vivono il loro rapporto con le
loro condizioni di esistenza: ciò che suppone a un tempo un rapporto reale e
un rapporto “vissuto”, “immaginario”. L’ideologia è, allora, l’espressione
del rapporto degli uomini al loro “mondo”, vale a dire l’unità (sovradeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario alle loro
condizioni di esistenza reali.16
L’ideologia consiste dunque in un “sistema di rappresentazioni”,17 o in
un sistema di idee, potremmo aggiungere noi. Queste rappresentazioni, precisa
comunque Althusser,
non hanno il più delle volte nulla a che vedere con la “coscienza”: per lo più
sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture, e come
tali s’impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare
attraverso la loro “coscienza”. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti
che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro.18
L'ideologia, si aggiunge, è “profondamente inconscia”.19 È insomma
legata al vissuto (e così le idee), è interna al corpo stesso della società e degli
individui (in ciò consiste, tra l’altro, come vedremo, la sua materialità). Ma
“legata al vissuto” significa che è tacitamente e implicitamente presente nel
fare quotidiano di tutti e non solo nel modo in cui tutti concepiscono il loro
fare o il mondo stesso nel suo complesso. Non vi è un fare senza idee (che
si tratti del lavoro manuale o delle grandi produzioni intellettuali, del nostro
agire condizionato dai sentimenti o delle scelte governate, almeno in
apparenza, dalla ragione), ma non vi sono neppure idee che non “fanno”,
ovvero idee che non siano strutturalmente immerse in un qualche agire e
che non producano quindi un qualche effetto (per quanto astratte ed eteree
!
16
Louis Althusser, Marxisme et Humanisme (1963), in: Louis Althusser, Pour Marx (1965).
Edition La Découvert, Paris 1986, p. 240.
17
Ibidem, p. 239.
18
Ibidem, p. 239sg.
19
Ibidem, p. 39.
!
15
Sebastiano Ghisu
possano essere, per quanto “intime” siano). In tal senso, ogni idea è distribuita in una grande eterogeneità di “pratiche teoriche”, di pensieri e di azioni,
più o meno significative, più o meno semplici, originali o abitudinarie.20 È
distribuita in tali pratiche e nei loro prodotti. Potremmo anche precisare: nel
prodursi e riprodursi di tali pratiche e nelle loro produzioni.21
A ciò va aggiunto il carattere d’apparato delle ideologie o sistemi di idee.
Una ideologia, scrive Althusser,
esiste sempre in un apparato, e la sua pratica, o le sue pratiche. Questa esistenza
è materiale.22
Le pratiche sono dunque regolate
da dei rituali nei quali queste pratiche s’iscrivono, nel seno dell’esistenza
materiale di un apparato ideologico, sia pure di una piccola parte di questo
apparato: una piccola messa in una chiesetta, un funerale, un piccola partita
di una società sportiva, una giornata di una classe in una scuola, una riunione
o un meeting di un partito politico etc.23
!
20
“Non vi è da una parte la teoria, che non sarebbe che pura visione intellettuale senza corpo
né materialità e dall’altra una pratica tutta materiale che ‘metterebbe le mani in pasta.’” [Louis
Althusser, Du Capital à la philosophie de Marx (1965), in: Louis Althusser, Etienne Balibar,
Lire le Capital (1966), vol. I, Maspero, Paris 1973, p. 69 sg.]. Riprendo dunque l’espressione
“pratica teorica” da Althusser. Per la verità egli parla di “pratiche” in generale, riservando il
termine “pratiche teoriche” alle sole attività cognitive (scientifiche): “affermiamo teoricamente
il primato della pratica mostrando che tutti i livelli dell’esistenza sociale sono i luoghi di
pratiche distinte: la pratica economica, la pratica politica, la pratica ideologica, la pratica
tecnica e la pratica scientifica (o teorica). Pensiamo il contenuto di queste differenti pratiche
pensando la loro propria struttura che è, in tutti i casi, la struttura di una produzione” (ibidem,
p. 70). In altri passi della stessa opera di parla di “pratiche teoriche” anche in relazione alle
ideologie in quanto esse producono comunque un effetto teorico (non di conoscenza, ma di
disconoscimento). Ci torneremo nel secondo capitolo. Vorrei qui soltanto sottolineare che
preferisco estendere il termine pratica teorica a tutti i sistemi di idee, ai loro apparati o
dispositivi e non limitarlo alle sole attività cognitive.
21
Queste considerazioni, del resto, coincidono con quelle, largamente accettate in ambito epistemologico, secondo le quali non vi è una percezione del mondo che non sia carica di teoria.
A tali conclusioni si è giunti peraltro in un quadro del tutto estraneo alle teorie dell’ideologico.
Vi è stato una convergenza di risultati tra due linee di ricerca differenti ed eterogenee.
22
Louis Althusser, Idéologie et appareils idéologiques d’État (notes pour une recherche)
(1968), in : Positions, Éditions sociales, Paris 1976, p. 118.
23
Ibidem, p. 120.
16 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
Ne consegue che le idee di ciascun individuo, ovvero di ciascun soggetto,
sono i suoi atti materiali inseriti nelle pratiche materiali, regolate da dei
rituali essi stessi materiali definiti dall’apparato ideologico materiale da cui
emergono le idee di tale soggetto.24
L’ideologia è dunque legata all’esser stesso delle società umane: non è,
scrive Althusser, “una aberrazione o una escrescenza contingente della
Storia: è una struttura essenziale ala vita storica delle società”.25 Queste, più
esattamente, “secernono l’ideologia come l’elemento e l’atmosfera stessa
indispensabile alla loro respirazione, alla loro vita storica”.26 Non vi sono,
insomma, società senza ideologia o, se si preferisce, senza sistemi di idee.
Ciò significa che “ideologia” non corrisponde necessariamente a una forma
“distorta” di conoscenza del mondo e che non possono esservi delle società
umane integralmente trasparenti a se stesse, ma che le società (così come
del resto gli individui) si percepiscono comunque e percepiscono comunque
il mondo circostante attraverso delle idee – sia pure delle idee che le società
o una parte di esse stesse assumono come scientifiche.27 Si tratta, in un
certo senso, dell’intrascendibilità dell’ideologico.
!
24
Ibidem, p. 121. Come si vede, Althusser utilizza l’espressione “idee”. È tuttavia corretto
precisare che qualche riga più avanti non ritiene di dover insistere su di essa e continuare a
parlare di idee, “in quanto dotate di una esistenza ideale, spirituale” (ibidem, p. 122). Non si
sofferma più a lungo. Ora, noi pensiamo che il termine idea non debba necessariamente
rimandare alla sola dimensione ideale o spirituale (tanto poco quanto “ideologia”, “pensieri”,
“rappresentazioni” e così via).
25
Louis Althusser, Marxisme et Humanisme, cit., p. 239.
26
Ibidem, p. 238.
27
Come si sa, Althusser ritiene che l’ideologia costituisca una forma di disconoscimento e
contrappone a essa le scienze. Affermando tuttavia che le ideologie sono inevitabili ritiene
che le scienze non possano sostituirle del tutto. Alla frase da noi citata aggiunge: “solo una
concezione ideologica del mondo ha potuto immaginare delle società senza ideologia, e
ammettere l’idea utopica di un mondo in cui l’ideologia (e non quella delle sue forme storiche)
scompaia senza lasciar traccia, per essere rimpiazzata dalla scienza. Questa utopia è, per
esempio, al principio dell’idea che la morale, che è, nella sua essenza, ideologia, potrebbe
essere rimpiazzata dalla scienza o divenire da parte a parte scientifica; o la religione dissipata
dalla scienza, che ne prenderebbe in qualche modo il posto; che l’arte potrebbe confondersi
con la conoscenza o diventare ‘vita quotidiana’, etc.” (ibidem, p. 238sg.). Del tema “disconoscimento-scienza”, e del rapporto tra storia delle idee e storia delle scienze, parleremo più
approfonditamente in seguito. Per ora ci è sufficiente precisare come a nostro avviso anche il
sapere scientifico costituisce, o piuttosto fa parte di, un sistema di idee. Con ciò non intendiamo
!
17
Sebastiano Ghisu
L’ideologia del resto, scriveva ancora Althusser, ha orrore del vuoto.28
Non vi sono spazi sociali che si sottraggono a essa ed essa, in un certo
senso, si appropria, come sapere, come morale, come estetica (o gusto
estetico) – insomma: come modo di concepire e fare il mondo – di tutte le
umane faccende. È proprio tale estrema, inevitabile diffusione, questa tacita,
articolata ubiquità a rendere le idee non immediatamente visibili come tali.
Tanto più che l’horror vacui delle ideologie può anche avere una forte
sistematicità e coerenza. Non solo e non tanto la sistematicità di una stessa
idea distribuita tra pratiche, apparati, comportamenti eterogenei (ma in qualche
modo coerenti), quanto la sistematicità delle idee tra loro: ogn’una di esse è
legata a delle altre e appare dunque anche attraverso le altre a cui è legata.
Scriveva Jules Vuillemin nel suo rapporto al Collège de France per la
creazione di una cattedra di Storia dei sistemi di pensiero (destinata a
Foucault):
i pensieri (…) sono innanzitutto queste relazioni, viventi e vissute, fra la
pratica e la teoria, fra l’istituzione e il concetto. […] … in nessun caso i
pensieri sono entità che possono essere comprese isolatamente. Essi formano
dei sistemi…29
Tale sistematicità (dei pensieri, delle idee) è certo sostenuta o attraversata
da apparati, dispositivi, meccanismi istituzionali, ma è anche di tipo semantico: il significato di un’idea implica il significato di un’altra idea (una certa
idea di animale, per esempio, implica una certa idea di uomo, una certa idea
di uomo una determinata idea di natura e così via). Non è detto, del resto,
che tale sistematicità affiori chiaramente in superficie. E anzi, nel singolo
soggetto ciò accade piuttosto raramente. In esso possono infatti esservi (e vi
sono senz’altro) delle incoerenze più o meno marcate. Alla sua idea di
!
affatto svalutarlo. Non è certo compito della storia delle idee (e neppure della storia della
scienza o della sua filosofia) sostenere o contestare il valore di verità dei saperi dati.
28
Cfr. Louis Althusser, L’objet du Capital, in: L.Althusser, E. Balibar, Lire le Capital, cit.,
p. 134 e Louis Althusser, La querelle de l’humanisme, in: Écrits philosophiques et politiques,
Tome II, Stock/Imec, Paris 1995, p. 485.
29
Rapporto del professor Jules Vuillemin per la creazione di una cattedra… in: Didier Eribon,
Michel Foucault, Leonardo Editore, Milano 1989, p. 414 sg. Il testo di Vuillemin è naturalmente
ispirato da Foucault, per cui potremmo quasi leggere queste righe come se questi ne fosse
l’autore (sulla redazione del rapporto si veda la ricostruzione di Eribon in: ibidem, p. 256).
18 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
società può non corrispondere in pieno, poniamo, la sua idea di uomo.
D’altra parte, non è detto che l’idea di uomo che egli espone o che ritiene di
possedere sia effettivamente quella che ne condiziona il comportamento e
le scelte (o quella che il suo comportamento e le sue scelte implicano).
Gramsci afferma che il tratto “fondamentale e più caratteristico” del senso
comune “è di essere una concezione (anche nei singoli cervelli) disgregata,
incoerente, inconseguente”30 e rileva in esso
il contrasto tra il pensare e l’operare, cioè la coesistenza di due concezioni del
mondo, una affermata a parole e l’altra esplicantesi nell’effettivo operare.31
Vi è in ogni caso un horror vacui interno ai soggetti reali che distribuisce
“disordinatamente” idee spesso in contrasto tra loro. Ma vi è un horror
vacui di un sistema di idee che si espande, si distribuisce coerentemente
senza limiti, attraversando i diversi campi delle attività umane: un’idea
morale implica un’idea cognitiva e un’idea estetica, un’idea estetica (un
determinato gusto) un’idea morale, cognitiva e così via. Un sistema di idee
non ha confini e, per così dire, dice sempre la sua: non riconosce mai la sua
ignoranza e prende sempre posizione.
Una tale sistematica coerenza trova concreta, reale espressione nella
filosofia (che traducendo le idee in concetti, le sottrae, fino a una certa
misura, alle intemperie delle esistenze, degli eventi, delle società).32 Ma
trova espressione anche in quegli apparati che costruiscono la loro presenza
ed efficacia sull’uniformazione dei soggetti che li abitano (per esempio la
Chiesa, gli Stati totalitari o i corrispondenti partiti politici). A causa di tale
!
30
Antonio Gramsci, Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia…,
cit., p. 1396.
31
Ibidem, p. 1379.
32
Essa, tra l’altro, sollecita nei soggetti una tale coerenza e per questo motivo svolge una
funzione particolarmente irritante (una tale costante sollecitazione non è forse costata la vita
a Socrate?). Anche in ciò consiste, come vedremo meglio in seguito, il lavoro critico della
filosofia: denunciare una certa incoerenza, portare alla luce le idee che determinate azioni
implicano, renderci perlomeno consapevoli di quel che facciamo. Essa, ovviamente, non rende
trasparente il rapporto con le nostre condizioni di esistenza, ma se non altro espone le idee che
ne producono la percezione. Certo, non sempre la filosofia compie questo lavoro critico: altre
volte sancisce l’incoerenza o eleva a concetto un determinato comportamento o atteggiamento
senza rilevare le idee implicite che essi contengono. Ciò accade, in particolare, quando la
filosofia si rifiuta di essere storia delle idee (e rigetta la storia della filosofia).
!
19
Sebastiano Ghisu
loro insistenza su una visione coerente del mondo essi appaiono (secondo
l’inesatto uso convenzionale del termine) “ideologici”. Ma appaiono tali
soltanto perché esplicitano ciò che in altri apparati o dispositivi è soltanto
implicito (e non meno efficace).
3. Occultazione delle idee
L’altra dimensione che abbiamo rilevato delle idee è il loro essere celate,
nascoste. È la dimensione verticale, dell’intensità. Si tratta di evidenziare
gli effetti che in tale dimensione producono le caratteristiche dell’ideologia
che noi, rifacendoci prevalentemente ad Althusser, abbiamo rilevato. Entra
qui in gioco il rapporto tra ciò che un’idea significa e ciò che ne supporta
il significato.
È tuttavia bene precisare che cosa intendere per significato di un’idea:
esso è, lo si evince da quanto affermato finora, l’immagine del mondo e
dell’esistenza che l’idea stessa implica (sia sul piano cognitivo che sul
piano morale – ovvero sia in relazione al mondo in cui si pensa di essere e a
ciò che si ritiene di essere, sia in relazione al mondo cui si aspira e all’esistenza che si desidera vivere).33 Una singola idea costituisce naturalmente
solo una parte (più o meno grande, a seconda della sua portata semantica)
dell’immagine del mondo. Proprio in quanto parte, tuttavia, il suo significato
non si esaurisce entro i suoi confini, ma si dà nei suoi rapporti con il tutto
(ovvero con l’immagine del mondo o dell’esistenza).
Ora, è per l’appunto l’immagine del mondo e dell’esistenza a venir celata
e ad apparire come tutt’altro: tutto ciò che il mondo umano fa nel suo
rapporto con se stesso o con la natura. E anche qualora l’immagine del mondo
si presenta come tale – esplicitamente come immagine del mondo – non è
detto che l’immagine del mondo detta sia quella significata (proprio come
io non sono ciò che – a me stesso, nella massima sincerità – dico di essere).
È proprio la storia critica delle idee – che peraltro non si sottrae a questo
meccanismo illusorio – a rilevare e ricostruire una tale discordanza. E lo fa,
per l’appunto, analizzando la distribuzione delle idee e la loro occultazione.
!
33
Non si pensi tuttavia che sia il soggetto la fonte dell’idea. Piuttosto il contrario: è il sistema
di idee, come lo abbiamo inteso, a istituire il soggetto.
20 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
Una prima dinamica da evidenziare è l’implicito: come si è già detto, le
idee sono implicite nelle pratiche, negli apparati, nel fare di tutti. Esse sono,
in un certo senso, celate dentro tali significanti. Significanti che non appaiono, di conseguenza, come tali, ma come dei meccanismi naturali, delle
procedure intrinsecamente neutrali, dei dispositivi distanti da una immagine
del mondo o da una qualsiasi presa di posizione. D’altra parte, se anche
appaiono o si mostrano come significanti di un’idea – o piuttosto di un sistema di idee – non è detto che il sistema esplicitato sia quello che quelle
pratiche o quegli apparati contengono e riproducono. E soprattutto – inevitabilmente – non dicono le loro relazioni o le loro interazioni con altri forme di
significanti (per esempio un testo filosofico o un prodotto artistico).
Ciò vale a maggior ragione se ci si sofferma sull’altra dinamica che
nasconde le idee. L’abbiamo già rilevata, richiamandoci ad Althusser: il
carattere inconscio delle ideologie. Inconscio qui, è bene precisare, non va
inteso come semplice sinonimo di “inconsapevole”.34 È piuttosto nel senso
più forte del termine che utilizziamo tale espressione, nel senso che a esso
ha dato la psicoanalisi (era del resto questo il riferimento di Althusser).
Non è certo il caso di ricostruire qui la teoria althusseriana dell’ideologico
e i suoi forti, fortissimi legami teorici con la psicoanalisi lacaniana (e freudiana
in generale).35 Ma un elemento va messo in risalto: le idee, per come le abbiamo intese, non semplicemente condizionano i soggetti, ma li producono in
quanto tali. Non evidentemente come esseri biologici, ma come esseri sociali,
culturali – esseri umani, appunto. “Gli individui sono sempre e già soggetti”
scrive Althusser.36 Il che significa che essi non sono soggetti prima di essere
immersi nei sistemi di idee in cui verranno a trovarsi sin dalla nascita, ma
che divengono soggetti attraverso e in questi sistemi di idee. Althusser dirà
!
34
Come vuole Arthur O. Lovejoy. Egli, infatti, nel capitolo introduttivo del suo The Great Chain
of Being scrive che il primo tipo di “unità-idee” ha a che fare con i “presupposti impliciti o non
completamente impliciti, o abiti mentali più o meno inconsci, che operano nel pensiero di un
individuo o di una generazione. Si tratta di credenze talmente scontate da essere tacitamente
presupposte più che formalmente espresse e sostenute” (The Great Chain of Being. A Study of
the History of an Idea, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1936, p. 7, trad. it. La
grande catena dell’essere, Feltrinelli, Milano 1966, p. 14).
35
Mi permetto qui di rimandare al mio Ewigkeit des Unbewußten - Ewigkeit der Ideologie,
Argument Verlag, Hamburg 1995.
36
In: Idéologie et appareils idéologiques d’État, cit., p. 128.
!
21
Sebastiano Ghisu
anche che il soggetto è decentrato rispetto all’individuo37 (di contro a quelle
teorie filosofiche che pongono invece un’identità originaria tra individuo e
soggettività): il soggetto è già presente prima che l’individuo biologico nasca
e prima che a questo possa venir, per così dire, “attribuito”. Esso è infatti la
forma che un sistema di idee o una combinazione di sistemi di idee danno
all’individuo, al suo corpo.
Le idee, così intese, sono insomma ciò che ci fanno essere quel che
siamo, l’identità in cui noi ci riconosciamo. Sono ciò che ci fanno pensare
quel che pensiamo e desiderare quel che desideriamo (nel modo in cui lo
desideriamo). Sono ciò che ci fanno fare quel che facciamo: nella vita
quotidiana o nei momenti eccezionali, come cittadini, come madri, padri,
amanti, membri di una qualche associazione, come scienziati o filosofi,
come lavoratori, artisti e così via. Gli interessi materiali, i bisogni, i desideri
sono comunque mediati dalle idee e non agiscono direttamente o immediatamente. Sono comunque “filtrati” dall’ordine simbolico cui apparteniamo
e in cui siamo stati gettati.
Ma se sono le idee a farci agire nel modo in cui agiamo e a farci essere
quel che siamo, esse vengono a essere, a prima vista, invisibili: non vediamo
i nostri occhi, pur vedendo, ovviamente, attraverso di essi. Ma è quel che
dobbiamo fare: guardarci dal di fuori. Fuoriuscire dal sistema di idee che
noi stessi siamo. È quel che fa la storia critica delle idee, che non è, innanzitutto, lo studio del passato (questo è un momento, come abbiamo già
detto, secondario, derivato). La storia critica delle idee non guarda le idee
dal passato, ma dal di fuori, ovvero nel sistema di articolazione e interazioni
in cui le idee si producono e riproducono, generando soggettività.
In un certo senso, i sistemi di idee e gli apparati che li accompagnano costituiscono, delle forme di potere – se per potere s’intende (seguendo
Foucault) non una forza che costringe i soggetti a essere altro da ciò che sono,
ma un meccanismo che rende i soggetti ciò che sono, li genera e li riproduce.
!
37
Freud, “ci rivela (…) che il soggetto umano è decentrato, costituito da una struttura avente
essa stessa un ‘centro’ soltanto (…) nelle formazioni ideologiche in cui si ‘riconosce’” (Louis
Althusser, Freud e Lacan. In: Louis Althusser., Freud e Lacan. Editori riuniti, Roma 1977, p.
30). Il tema del soggetto decentrato è di chiara origine lacaniana: “il soggetto non si confonde
con l’individuo” (Jacques Lacan, Il seminario. Libro II. L'io nella teoria di Freud e nella
tecnica della psicanalisi. Einaudi, Torino 1991, p. 11), ma è, per l’appunto, “decentrato rispetto
all'individuo” (ibidem, p. 12; cfr. anche Jacques Lacan, Scritti. Einaudi, Torino 1974, p. 511).
22 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
Scrive Foucault che
le relazioni di potere non sono in posizione di esteriorità nei confronti di
altri tipi di rapporti (processi economici, rapporti di conoscenza, relazioni
sessuali), ma (…) sono loro immanenti (…); le relazioni di potere non sono
in una posizione di sovrastruttura, con un semplice ruolo di proibizione o di riconferma; essi hanno, laddove si dispiegano, un ruolo direttamente produttore.38
Il potere, dunque viene dal basso. Vale a dire
che non vi è, a principio delle relazioni di potere e come matrice generale,
un’opposizione binaria e globale tra i dominatori e i dominati.39
Si può quindi parlare di una
onnipresenza del potere: non perché esso avrebbe il privilegio di raggruppare
tutto sotto la sua invincibile unità, ma perché esso si riproduce in ogni
istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione di un punto con un altro.
Il potere è dappertutto…40
L’onnipresenza del potere è la diffusione delle idee, la loro distribuzione,
il loro orrore per il vuoto. Ne abbiamo già parlato. Qui possiamo ancora
sottolineare che tale “onnipresenza”, la distribuzione diffusa delle idee,
produce la loro occultazione. È la terza tra le dinamiche che nascondono le
idee dentro i loro significanti. Il loro significato è distribuito, frammentato
nei vari supporti, come un mosaico è composto da una miriade di tessere.
Non lo si coglie in pieno (e del resto non agisce con tutta la sua forza) se
non nell’insieme dei supporti e delle relazioni che lo istituiscono (apparati,
linguaggi, valori morali, consuetudini, abitudini, saperi, concetti, dispositivi
e così via). Ma tale insieme non viene per l’appunto assunto o vissuto come
tale. Piuttosto, vissuto e assunto (dalla stessa filosofia, assai spesso) nei suoi
componenti specifici, separati gli uni dagli altri. Filosofia, diritto, arte,
moralità, conoscenze, analisi delle lingue, economia, il vivere stesso, e il
suo parlare, si pensano come separati, nella loro semplice e naturale imme-
!
38
Michel Foucault, La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976, p. 123 sg.
Ibidem, p. 124.
40
Ibidem, p. 122.
39
!
23
Sebastiano Ghisu
diatezza, dal tutto di cui fanno parte. In tal modo il significato dell’idea,
distribuito tra i vari sistemi, viene occultato. O piuttosto, se ne conferma –
a livello teoretico – l’occultazione (comunque già vissuta).41
Il mosaico di cui, metaforicamente, si parla, deve essere invece ricostruito
dalla storia delle idee.42 Ma una tale ricostruzione viene resa difficile dalla
eterogeneità del materiale con cui ricostruirlo: è come se le tessere del
mosaico consistessero di materiali differenti. Ed è proprio tale eterogeneità
– l’eterogeneità dei significanti – a celare le idee, a non renderle visibili e
non farle apparire come tali ma sempre come qualcos’altro, e farle dunque
apparire come qualcosa di “astratto”, etereo, separato dalla concretezza del
vivere e del fare. L’eterogeneità del materiale che trasporta le idee è la
quarta dinamica del meccanismo di occultazione, dell’esser celato delle idee.
Insistendo sulla metafora del mosaico (e precisando che va presa a tutti
gli effetti come metafora: l’idea non è un’immagine in senso stretto, per
quanto tra i significanti delle idee vi siano ovviamente anche delle immagini),
possiamo aggiungere che esso rappresenta il significato delle idee – più
esattamente: il significato che si dipana, si distribuisce tra i vari supporti. In
tal senso quel mosaico (che lo storico ricostruisce), il significato delle idee,
è la loro origine nel senso (in parte) che Benjamin dà a questa espressione
nell’Origine del dramma barocco e in particolare nella sua Premessa
gnoseologica. L’origine (Ursprung), precisa Benjamin,
non ha con nascita (Entstehung) niente in comune. Nell’origine non viene
inteso alcun divenire di ciò che scaturisce, piuttosto ciò che scaturisce dal
divenire e dal trascorrere. L’origine sta nel fiume del divenire come un
vortice e inghiotte nella sua ritmica il materiale della nascita.43
!
41
Qui emerge chiaramente come il significato di un’idea, distribuito tra pratiche e apparati
eterogenei, possa essere pensato come origine, nel senso che Benjamin dà a tale espressione
goethiana. Lo vedremo in seguito. Va comunque ricordato che ogni “analisi” di un campo
specifico (filosofia, arte, letteratura, economia etc.) ha senza dubbio una certa autonomia e
che entro certi limiti tale autonomia è molto forte. Non di meno: il luogo reale in cui le idee
si generano e riproducono è nell’insieme delle istanze e delle loro relazioni.
42
Ricostruito non nel senso che va, per così dire, restaurato. Esso è dato, esiste e agisce come
tale. È nelle cose stesse: implicito, inconscio, celato.
43
Walter Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels (1925), in: Gesammelte Schriften,
Bd.I, 1, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1980, p. 226.
24 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
Nella nostra terminologia: l’origine (non immediatamente visibile) si dà
nelle cose (visibili) che si producono e riproducono (scaturiscono e trascorrono). Non è l’inizio, il principio, ma ciò che è alla base di una molteplice
eterogeneità di fenomeni, i supporti delle idee, i loro significanti. Non è
neanche il fondamento. Non si sottrae infatti al divenire, ma è il divenire
stesso delle cose di cui è origine.
Circa dieci anni più tardi la stesura dell’Origine del dramma barocco,
nel mezzo delle ricerche e riflessioni sui passaggi parigini e, soprattutto,
dopo il suo incontro con il marxismo, Benjamin annota:
nello studio dell’esposizione simmeliana del concetto goethiano di verità,
mi divenne chiaro che il mio concetto dell’origine nel libro sul dramma è
una rigorosa e inevitabile trasposizione di questo fondamentale concetto
goethiano dal campo della natura in quello della storia. Origine – è il concetto
importato da un contesto pagano della natura nel contesto ebraico della storia.44
Benjamin si riferisce alla categoria goethiana di Urphänomen (fenomeno
originario o archetipo) esplicitamente inteso come origine (Ursprung).
Ursprung è in Goethe proprio il fenomeno originario (Urphänomen). Non è
visibile come tale, ma è “dentro” una serie di fenomeni (evidentemente)
percepibili. In un certo senso è la forma originaria (non in senso cronologicoevolutivo, ma strutturale) di un insieme di oggetti naturali (piante, animali).
In un certo senso è l’invariante fondamentale (inesistente come tale, per
l’appunto) di una serie di variazioni (per esempio le variazioni della forma
delle foglie intese come trasformazioni di una invariante di fondo). È fenomeno archetipo nel senso che è alla base delle trasformazioni. Queste sono
quasi delle sue “irradiazioni”.45
!
44
Walter Benjamin, Das Passagen-Werk – Anmerkungen und Aufzeichnungen, in: Gesammelte
Schriften, Bd. V.1, Das Passagen-Werk, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1991, p. 577.
Il lavoro di Simmel a cui Benjamin si riferisce è Goethe, Verlag von Klinkhardt & Biermann,
Leipzig 1913.
45
Di Goethe, per una precisa definizione di Urphänomen, si veda in particolare il paragrafo 175
di Zur Farbenlehre, In der Cotta’schen Buchhandlung, Tübingen 1810, p. 66 sg. (anche in:
Goethe. Werke. Hamburger Ausgabe in 14 Bänden, textkritisch durchgesehen und kommentiert
von Erich Trunz, München 1989, vol. 13, p. 367 sg.). Rileviamo ancora un altro aspetto: il
fenomeno originario è per Goethe la verità del fenomeno percepito, sensibile, empirico.
!
25
Sebastiano Ghisu
Simmel richiama ripetutamente il concetto in questione46 e lo utilizza
anzi per ricostruire l’intera filosofia goethiana – quasi si trattasse di
cogliere dell’opera goethiana il fenomeno originario, la matrice della sua
vasta, vastissima opera:
… si tratta della natura ultima e delle motivazioni ultime della sua spiritualità,
che danno forma alla sua poesia e alla sua ricerca, al suo agire e alla sua
concezione del mondo – si tratta del Goethe “fenomeno originario”, che si
esplicita appena in modo puro e integrale in una qualche singola espressione,
ma che è piuttosto frammentato centinaia di volte in tutte le sue frasi e
intenzioni contraddittorie, insinuanti, altamente molteplici e distanziate.47
Questo è appunto il significato dell’idea: l’unità frammentata, articolata
e finanche contraddittoria di una eterogenea molteplicità di elementi. E sia
pure (in un senso metaforico): fenomeno originario, origine. Più prosaicamente
potremmo aggiungere: un’immagine del mondo si compone di molte idee
depositate in un insieme eterogeneo, articolato e spesso anche contraddittorio
di elementi. Ecco: l’immagine del mondo è l’origine (il significato) delle idee.
4. Materialità delle idee
L’annotazione benjaminiana su Goethe – da noi già citata – prosegue così:
ora, anche nel lavoro sui passaggi ho a che fare con una esplorazione dell’origine. Seguo infatti l’origine delle formazioni e modificazioni dei passaggi
parigini dal loro inizio sino al loro declino e la colgo nei fatti economici.
Ma questi fatti, osservati dal punto di vista della causalità, dunque della
causa, non sarebbero fenomeni originari (Urphänomene); lo divengono solo
quando, nel loro specifico sviluppo – dispiegamento sarebbe meglio dire – fanno
emergere (hervorgehen) da se stessi la serie delle concrete forme storiche dei
passaggi, come la foglia dispiega (herausfaltet) da sé l’intera ricchezza del
mondo empirico delle piante.48
Seguendo tali riflessioni, possiamo affermare che tra l’origine e le effettive, concrete, manifestazioni delle idee non vi è un rapporto di causalità.
!
46
Si veda però in particolare: Georg Simmel, Goethe, cit., p. 55 sgg.
Ibidem, p. V.
48
Walter Benjamin, Das Passagen-Werk – Anmerkungen und Aufzeichnungen, cit., p. 577.
47
26 !
Breve introduzione alla storia critica delle idee
L’origine non è insomma la causa delle idee, ma – come si è più volte sottolineato – il loro significato. In tal senso, la storia delle idee – e in particolare
la storia critica delle idee – non ricostruisce un rapporto di causalità all’interno
del complesso sistematico che costituisce un’ideologia o un’immagine del
mondo, ma dei rapporti di reciprocità. In altri termini: delle interrelazioni,
dei legami, delle reciproche implicazioni. È quella sistematicità a cui si è già
accennato. Tali rapporti di reciprocità sono sostenuti da degli apparati – o si
istituiscono attraverso degli apparati. Ma sono anche date dai significati
stessi delle idee e dei loro complessi – da una sorta di coerenza semantica
(più o meno implicita).49 Essi emergono, tuttavia, anche attraverso gli effetti
che le idee e i sistemi di idee producono: un’idea, nel suo impatto, nella sua
diffusione, contribuisce non solo al riprodursi del sistema in cui è più o
meno coerentemente inserita, ma contribuisce anche alla riproduzione o
trasformazione di una determinata formazione sociale, di un complesso di
rapporti sociali o anche di una particolare forma d’esistenza.
Non si tratta dunque di ricondurre o ridurre le idee e i loro significati a
una concrezione di interessi o desideri (intesa come loro origine prima), ma
di ricostruire una consonanza o coerenza tra un’idea, un sistema di idee,
una formazione sociale, un complesso di rapporti di potere. Si tratta di
analizzare le idee a partire dai loro effetti, piuttosto che andare alla ricerca
delle loro cause.
In tal senso la materialità delle idee non è data dalla sola materialità
delle loro condizioni di possibilità. Come se le idee vivessero davvero in
una dimensione “ideale” (in un senso convenzionale), astratta, mentre soltanto ciò da cui emergono possiede una natura materiale. No. Le idee sono
in tutto materiali e non vi sono idee che non lo siano. Sono sempre dentro il
corpo, dentro gli apparati: sono quel corpo e quegli apparati.
Tuttavia, la materialità delle idee non è solo la loro “corporeità”, la loro
fisicità o socialità (il loro essere apparato, corpo, mente). La loro materialità è
anche il loro essere parte integrante dei meccanismi di produzione e riproduzione del reale. E se è vero che il mondo non si cambia cambiando l’idea
che se ne ha (appellandosi magari alla coscienza), ma modificando il modo
!
49
Ricordiamoci, tuttavia, che la coerenza è dei sistemi di pensiero come tali. Si possono
rilevare “empiricamente” in una singola soggettività o in una collettività più o meno estesa
delle immagine effettive del mondo incoerenti – prodotto di ideologie in contrasto tra loro.
!
27
Sebastiano Ghisu
in cui esso si riproduce, è altrettanto vero che, per l’appunto, in questi
meccanismi di riproduzione ritroviamo effettivamente anche le idee (le
ideologie, le immagini del mondo). Queste non sono il cielo stellato, ma il
ventre e le viscere della nostra esistenza e della nostra società.
Del resto, proprio il carattere (prevalentemente) inconscio delle idee
rende illusorio, nel fare e pensare il mondo, il richiamo alla coscienza o ai
meccanismi governati dalla coscienza. Si tratta piuttosto di puntare lo sguardo
sui quei meccanismi che la istituiscono e la governano. Su questi bisogna
operare e intervenire. Forse è arrivato il momento di riprendere per mano e
pronunciare nuovamente, con forza, la parola “materialismo”. Perché tanto
timore nel dirla? Per la sua ovvietà? Chi non sarebbe infatti materialista?
Non si tratterebbe del resto di contrapporlo all’idealismo: chi può definirsi,
ormai, idealista? Piuttosto: con tale espressione si intende rilanciare un programma di ricerca che non pensa i concetti nel loro, apparente, splendido
isolamento, non pensa le idee come entità astratte ed eteree, ma ricostruisce
l’insieme complessivo di cui le idee si nutrono e che le idee stesse nutrono.
Attraversando la loro immediata invisibilità.
28 !
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