ANNIVERSARI LA RICERCA CONTINUA 60 anni fa il primo CHEMIOTERAPICO Corbis di Fabio Beninati Dai gas tossici per uso bellico alla terapia del cancro: una strada dal male verso il bene a chemioterapia ha 60 rivista medica Jama narra proanni: è del 1946, infatti, prio queste vicende. E parte la pubblicazione del dal lavoro svolto da un gruppo primo esperimento con un di farmacologi ed ematologi chemioterapico contro il can- statunitensi sugli effetti anticro. Come è noto, da allora tumorali di una sostanza questo settore della ricerca far- molto simile al gas tossico macologica ha compiuto passi iprite. L’articolo del 1946, in cui da gigante. Quello che forse molti Louis Goodman e colleghi descrivevano i ignorano sono gli frutti del loro inizi di questa Nel 1946 lunga storia, lega- viene pubblicato sodalizio scientifico in tempo di ti a doppio filo allo sviluppo e il primo studio guerra, rappresulla chemio senta l’inizio uffiall’utilizzo di ciale della storia armi chimiche nel corso della Prima e della della chemioterapia moderna. Seconda guerra mondiale, e A partire da quella data diverall’osservazione degli effetti se istituzioni pubbliche americollaterali sulle vittime civili e cane iniziano a testare l’iprite nella sua forma meno tossica militari. Un lungo articolo comme- (con l’azoto a sostituire lo morativo pubblicato sul zolfo presente nel gas usato in numero di settembre della guerra) dischiudendo via via L 6 Fondamentale gennaio 2007 nuove possibilità terapeutiche: i gas tossici, noti anche col nome di mostarde azotate, sono infatti in grado di bloccare la replicazione delle cellule, particolarmente rapida nei tumori. “Prima di allora la lotta contro il cancro si basava essenzialmente sull’uso combinato di chirurgia e radioterapia” spiega Angelo Di Leo, direttore Unità operativa di oncologia medica Usl4 di Prato. In realtà, i test clinici dei ricercatori americani sull’iprite azotata nella cura di linfomi e linfosarcomi erano iniziati in totale segreto già a partire dal 1942, prima su modelli animali e in seguito anche su pazienti. Estesi programmi sperimentali sono stati portati avanti anche durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Solo dopo il periodo bellico, infatti, le chemioterapie sono entrate a buon diritto nell’armamentario terapeutico di tutti gli oncologi, portando a un drastico miglioramento nella sopravvivenza media dei malati. L’UNICO FRUTTO POSITIVO DELLA GUERRA L’iprite deve il proprio nome alla cittadina belga dove, nel corso della guerra del ’15-’18, fu utilizzata per la prima volta: Ypres, piccola località delle Fiandre Occidentali, non lontana dal confine francese. Nel luglio del 1917 questa sostanza causò, in sole tre settimane, più di 14 mila vittime. Da allora, nonostante le conferenze di Washington (1921) e di Ginevra (1925) abbiano uffi- cialmente proibito l’utilizzo dei gas tossici in guerra, l’iprite ha fatto la sua comparsa come arma chimica innumerevoli altre volte. “I soli aspetti positivi dell’utilizzo di queste armi chimiche” dice Angelo Di Leo “sono a mio avviso le terapie oncologiche a cui hanno dato origine. Comunque la si possa pensare sul loro utilizzo in un campo di battaglia, è innegabile che abbiano dato l’avvio a un importante sistema di cura del cancro”. È stata infatti l’osservazione da parte del personale medico militare di una brusca riduzione dei globuli bianchi circolanti (condizione chiamata, in termini medici, leucopenia) in persone sopravvissute a un attacco con l’iprite che ha fatto pensare a un possibile utilizzo della sostanza come farmaco contro i tumori del sistema immunitario. “Un aspetto tipico di queste sostanze tossiche” prosegue Angelo Di Leo “è la loro capacità di danneggiare il DNA, caratteristica estremamente deleteria in caso di un loro uso come armi chimiche, ma che si è rivelata molto utile in campo terapeutico”. IL FUTURO Dopo 60 anni, però, i gas tossici sono solo un ricordo. “In un certo senso la chemioterapia ha pagato lo scotto della sua origine: è stata vista a lungo dai pazienti come una terapia devastante e pericolosa, anche se oggi non è affatto così” puntualizza Francesco Perrone, responsabile dell’Unità di sperimentazioni cliniche dell’Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli. E non è nemmeno vero che si tratta di una tecnica vecchia: malgrado i progressi ottenuti con altre metodologie, per esempio con i farmaci biologici, non si smette di fare ricerca sui chemioterapici classici. “Tanto per fare qualche esempio, qui a Napoli stiamo portando avanti un progetto, chiamato ELDA, che verificherà l’efficacia dei taxani, una famiglia di chemioterapici, nelle donne anziane malate di tumore al seno”. UN PERCORSO IN DISCESA Uno dei massimi problemi legati alle chemioterapie è l’elevata tossicità. Le prime formulazioni delle antracicline, per esempio, erano molto efficaci nel contrastare il tumore all’ovaio, ma avevano pesanti effetti collaterali sul sangue, sul cuore e causavano inoltre una forte caduta dei capelli; il loro uso e la durata della terapia erano di conseguenza molto limitati. Oggi si cercano altre strade, che partono dal ‘vecchio’ farmaco per arrivare a quello nuovo. “All’interno di uno studio chiamato MITO stiamo testando forme analoghe del principio attivo che abbiano un’uguale efficacia, ma una minore tossicità” continua Perrone. Angelo Di Leo Per aggirare il problema si tenta, per esempio, di legare il farmaco a un mezzo di trasporto (come le particelle liposomali) che ne limiti gli effetti negativi per l’organismo. Ed è sempre per tentare di alleggerire gli effetti collaterali dei farmaci oncologici tradizionali che sono nati, negli ultimi anni, i cosiddetti farmaci intelligenti o biologici, ossia gli antitumorali che agiscono su un preciso difetto genetico o enzimatico delle cellule neoplastiche. Si tratta di farmaci molto selettivi e proprio per questo a bassa tossicità, ma per metterli a punto è necessario conoscere un difetto chiave contrastabile da una specifica molecola, e non sempre ciò è possibile. Alcune di queste sostanze (per esempio gli anticorpi monoclonali) vengono somministrate in associazione alla chemioterapia standard, mentre altre vengono usate anche da sole, quando i chemioterapici tradizionali hanno fallito. “L’importante” conclude lo scienziato napoletano “è avere molte armi a disposizione”.