IL COLLOQUIO ALL’INGRESSO DEL PAZIENTE IN UN HOSPICE SOCIOSANITARIO MILANESE: ASCOLTO, OSSERVAZIONE E ATTESA F. CALAMIDA, G. VISCONTI, L. REBOSIO, R. DE VECCHI, G. TARASCHI, L. BIAGETTI, B. RIZZI, G. LONATI ASSOCIAZIONE VIDAS, MILANO, ITALY Premessa: L’esperienza maturata nei cinque anni dall’apertura dell’hospice ha portato a riconoscere le prime ore di permanenza del paziente in struttura come fondamentali per l’instaurarsi di una relazione di alleanza con il paziente stesso e con la famiglia. In questo contesto il colloquio d’ingresso coi proxi è un momento centrale nel creare con la famiglia del morente quell’alleanza necessaria per un accompagnamento coerente con gli obiettivi delle cure palliative. Nella realtà quotidiana le informazioni fornite in questa occasione non sempre sembra vengano recepite in modo corretto. La condizione esistenziale in cui si trova la famiglia all’ingresso in hospice è, infatti, carica di ansia e dubbi e si declina in un contesto sconosciuto in cui il vissuto emozionale sovrasta le capacità cognitive utili a comprendere l’oggettività delle comunicazioni. Questa potrebbe essere la ragione che conduce in alcune situazioni a tensioni apparentemente legate alla mancata comprensione del progetto in atto. Il trascorrere del tempo, invece, permette ai familiari un maggiore adattamento e la possibilità di far proprio, attraverso la lente della propria esperienza e personalizzando l’asetticità della comunicazione oggettiva, ciò che è stato loro comunicato. Scopo: Migliorare gli aspetti comunicativi con i familiari dei pazienti ricoverati in hospice. Materiali e Metodi: Campione di almeno 20 nuovi pazienti ricoverati in hospice. Primo colloquio di ingresso con i familiari sostenuto da medico e infermiere. Secondo colloquio, a distanza di 24-48 ore dal precedente, tra famiglia, psicologo e coordinatrice infermieristica. Analisi del grado di adesione dei familiari al secondo colloquio, delle informazioni aggiuntive fornite nel secondo colloquio, dell’impatto pratico sull’équipe. Risultati: I dati empirici preliminari ci hanno consentito sia di individuare una discrepanza tra ciò che nel primo colloquio è stato trasmesso dagli operatori e ciò che soggettivamente è stato compreso dai famigliari sia di riconoscere in essa un elemento determinante in termini di condivisione del percorso (aree di possibile alleanza terapeutica, aree di resistenza). Il secondo colloquio ha spesso fornito all’équipe la possibilità di lavorare sulle aree di minor comprensione da parte della famiglia con un’azione da un lato esplicativa e dall’altro rafforzativa. Questo ha permesso di stringere un’alleanza terapeutica anche in situazioni apparentemente “difficili”. Conclusioni: I dati raccolti suggeriscono che il modello comunicativo sperimentato, nell’ottica di una reale interdisciplinarietà, possa raggiungere gli obiettivi dichiarati: identificare i motivi di incomprensione tra personale sanitario e famiglia del paziente terminale e, lavorando su di essi, costruire un’alleanza terapeutica che possa favorire un adeguato percorso di accompagnamento nella terminalità per paziente e nucleo familiare.