WORD - Curzio Nitoglia

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LO STRUTTURALISMO NICHILISTICO
AVANGUSTO DELLE PENE DELL’INFERNO:
Sarte, Ricoeur e Lévy-Strauss
d. CURZIO NITOGLIA
9 novembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/struttur_nichil_sartrericoeurstr.htm
JEAN PAUL SARTRE
●Nacque a Parigi nel 1905. Nel primo dopoguerra - specialmente negli anni
Cinquanta/Sessanta - fu il pensatore più celebre in Francia, a partire dalla quale ha
ammorbato l’Europa intera. Molto vicino al ‘Partito Comunista Francese’, anche se in
maniera critica, ha svolto il ruolo del contestatore feroce della “civiltà borghese”, pur
avendone tutti i difetti e nessuna qualità. È morto nel 1980, dopo avere spinto al
suicidio, tramite i suoi libri, molti giovani sbandati e disorientati. Le sue opere
principali sono La nausea (1938); L’essere e il nulla (1943); Critica della ragione
dialettica (1960); La trascendenza dell’Io (1962).
*
Esistenzialismo nichilistico e disperato
●Sartre oltrepassa il nichilismo di Nietzsche senza averne la genialità seppur maligna
e col suo esistenzialismo negativo, volgare, di bassa lega e distruttore di ogni cosa
(l’essere, la conoscenza razionale, la morale, l’uomo animale razionale e sociale) è
giunto colla rivoluzione del maggio Sessantotto a dissolvere l’individuo sin in
interiore homine. Secondo Sartre la coscienza è un’Idra negativa che distrugge
l’essere umano e quindi va combattuta in primis et ante omnia.
●L’essere, che per San Tommaso è “la perfezione di ogni perfezione”, per Sartre è
“una massa inerte, informe, gonfia, fastidiosa, vale a dire un’enorme marmellata
gelatinosa” (La nausea, 1938). In breve Sartre confonde l’essere o l’atto con la
materia prima priva di ogni attualità. Infatti secondo il filosofo sessantottino l’essere
è “qualcosa di troppo”, di “ripugnante e disgustoso” per due ragioni: a) innanzitutto
perché la coscienza non riesce mai ad esaurirne tutta la portata, ragione sciocca
poiché anche l’infinito, che è perfezione assoluta, sarebbe sartrianamente
ripugnante; b) in secondo luogo perché possiede più di quanto occorre, come un
obeso; ragione stupida poiché l’essere non è quantità, ma perfezione suprema. Si
scorge qui nella teoria sartriana l’influsso sia del materialismo comunista che
dell’odio metafisico per l’essere, il quale accompagna i dannati dell’inferno, che
vorrebbero non-essere piuttosto che subire il rimorso di coscienza, che li divora
come un verme (“ubi vermis eorum non morietur”). È per questo che il nichilismo
disperato di Sartre è paragonabile all’avangusto della dannazione eterna, il quale è
stato fatto sperimentare ai giovani sessantottini e alla Società europea, che è nata
dai princìpi del Sessantotto, i quali grazie alla globalizzazione oramai sono sparsi nel
mondo intero.
●Un’altra caratteristica dell’essere è la contingenza e la finitudine. Sartre
completamente digiuno di sana metafisica ignora la distinzione tra ‘Essere per
essenza’ (‘Necessario’) ed ‘essere per partecipazione’ (‘contingente’). Egli nega
l’esistenza dell’Essere necessario o Dio e disdegna – gnosticamente – la contingenza
del creato come qualcosa di ripugnante, non ammette limiti né imperfezioni e nello
stesso tempo rifiuta anche l’Atto puro o l’Essere perfettissimo, ritrovandosi così
senza creature e senza Creatore, come i dannati nell’inferno.
●La caratteristica più importante dell’essere, secondo Sartre, è l’assurdità o la
contraddittorietà. Egli scorge nell’assurdità la chiave dell’esistenza di ogni cosa. Tutto
è assurdo, il mondo e Dio. Ciò che esiste non ha alcuna spiegazione, significato,
ragion d’essere, finalità, è un “non senso”[1]. Non è difficile capire come tali idee
abbiano spinto tanti poveri giovani, privati di ogni scopo e ideale, al suicidio e come –
se applicate alla Società – la portino all’anarchia e al caos totale, come avviene in
questi ultimi anni nel mondo intero: le crisi economiche che attanagliano gli Usa e
l’Europa, le rivolte sociali, le guerre in tutto il mondo sono l’effetto terminale di una
malattia letale scoppiata nel Sessantotto. La crisi comatica del mondo
contemporaneo e post-moderno è l’effetto di certe idee impazzite, che hanno
trionfato nel Sessantotto e travolto come un fiume in piena quasi ogni cosa.
●Nel suo libro del 1943 L’essere e il nulla Sartre approfondisce quanto aveva scritto
nel 1939 e si sofferma sulla funzione nullificatrice e distruttrice della coscienza (come
Pinocchio che la schiacciò nella figura del “grillo parlante”). La coscienza per la sana
filosofia è la voce dell’anima, che ci condanna se abbiamo agito male e ci loda se
abbiamo fatto il bene. Ora per il nichilismo, che è votato alla distruzione dell’essere e
della morale, all’esaltazione dell’errore e del male, la coscienza dev’essere
schiacciata come il “grillo parlante” di Pinocchio. Sartre è convinto che la coscienza
divori l’essere ed abbia come sbocco immancabile la “nausea”, poiché la coscienza
trova davanti a sé qualcosa di troppo[2] (il male, il rimprovero), ed è paragonata
epicureamente da lui ad un’indigestione. Per Sartre la fase cronologica più
importante dell’uomo non è il futuro, ma il presente accompagnato
indissolubilmente da nausea, egli è continuamente disgustato da tutto ciò che lo
circonda. Sartre è un egocentrico fastidioso, che disprezza e disdegna tutti tranne se
stesso.
●Anche il liberalismo ha influito sul pensiero di Sartre. Infatti per lui la natura
dell’uomo è la libertà. Invece per la retta ragione la libertà è una facoltà o proprietà
di cui l’uomo può servirsi per fare liberamente il bene ed evitare il male. Addirittura
per Sartre la libertà produce la natura umana ed essa è illimitata, tutto è lecito: “non
siamo liberi di cessare di essere liberi”[3]. La libertà non è vincolata da nessuna legge
morale, l’unica regola cui è sottoposta è la libertà stessa[4]. La conclusione cui
giunge è la stessa cui era arrivato Ivan Karamazov: “se Dio non esiste, allora tutto è
permesso”, da questa massima Ivan arriva a spingere un servo (Smerdiakov) ad
uccidere suo Padre Feodor Karamazov, ma poi presi dal rimorso di coscienza Ivan
impazzisce e il servo si impicca. Sartre no. La coscienza non gli appartiene, l’ha
affogata nel culto del suo Io che - secondo lui - è trascendente; tra tante macerie si
salva e si erge come un ancora di salvezza solo l’Io trascendente di Sartre, poiché
quello degli altri è l’inferno. Sartre ha lanciato lo slogan dell’Ateismo coerente sino in
fondo, secondo cui se Dio non esiste è inutile rimpiazzarlo kantianamente con una
nostra idea o bisogno subconscio di Lui, ma occorre giungere coerentemente alla
conclusione che nessun ordine, essere, valore possono sussistere e quindi occorre
distruggerli: è il Deicidio pianificato.
●L’egoismo patologico di Sartre giunge al vertice quando afferma che “l’altro è
l’inferno”, opprimendo la nostra individualità e tenendoci sotto il suo sguardo[5].
Allora l’unico modo per sottrarsi all’invadenza dell’altro è quello di renderlo un
nostro oggetto, uno schiavo, togliendoli la sua libertà e soggettività.
●Come si vede tutta la filosofia di Sartre, che ha influenzato il modo di essere, di
pensare e di agire dell’Europa dal Sessantotto ad oggi, è caratterizzata da un
nichilismo pessimistico e disperato, che non può non farci pensare alla pena del
danno dell’inferno, che non è “l’altro”, ma è “il luogo di ogni male senza alcun bene”.
Sartre non ha indicato, come i rivoluzionari prima di lui, un modo – anche se erroneo
– di costruire utopisticamente un mondo nuovo, ma ha voluto soltanto spingere specialmente la gioventù - a distruggere ogni cosa e se tessa, l’altro, Dio e il mondo
circostante. Sartre rappresenta bene il mondo contemporaneo caratterizzato dalla
dissoluzione di ogni valore, di ogni istituzione e dell’uomo stesso. Tale progetto non
può che produrre angoscia, dolore e morte. I frutti della semina di Sartre li stiamo
raccogliendo proprio ora[6].
*
PAUL RICOEUR
●Nacque a Valence in Francia nel 1913 ed è morto nel 2005. Ha studiato Jaspers,
Husserl e Marcel. Negli anni Settanta ha insegnato anche a Chicago. Le sue opere più
famose sono Karl Jaspers (1947); Gabriel Marcel e Karl Jaspers (1948); Della
interpretazione. Saggio su Freud (1965); Se stesso come un altro (1990). È il meno
profondo dei tre esistenzialisti qui studiati.
Esistenzialismo fenomenologico e psicoanalitico
●Ricoeur muove dalla fenomenologia di Husserl e dall’esistenzialismo di Jaspers e
Marcel per sfociare in una sorta di sincretismo in cui tenta di far coabitare Husserl,
Marcel, Spinoza, Kant, Freud, Hegel, Marx, Nietzsche, Heidegger; il tutto alla luce
della psicoanalisi[7].
●Lo storicismo è il filo conduttore del pensiero di Ricoeur. Infatti secondo lui ogni
conoscenza della verità umana è essenzialmente storicistica poiché ha luogo entro
un determinato tempo, che libera la dottrina o conoscenza umana da ogni valore
assoluto, stabile, immutabile e lo sottomette al relativismo e soggettivismo, in
quanto “la verità cambia col cambiare del tempo”: ciò che era vero ieri non lo è oggi
e ciò che lo è oggi non lo sarà domani[8]. Come si vede egli toglie ogni base stabile
alla verità e alla certezza della conoscenza raziocinativa, gettando l’uomo nel dubbio
perpetuo e nell’incertezza agnostica.
●Il criticismo kantiano è un’altra componente del pensiero di Ricoeur. Secondo lui
non possiamo conoscere la realtà in sé, ma come ci appare, in un intreccio di
elementi soggettivi e oggettivi. Quindi la realtà non essendo razionalmente
conoscibile può essere compresa attraverso il simbolismo, ossia un paragone, una
rappresentazione simbolica, figurativa o immaginativa di un sentimento umano, che
diventa regola di azione. Il simbolismo in Ricoeur ha un carattere essenzialmente
religioso, mutuato dal modernismo. Infatti secondo lui è il sentimento che tramite la
rappresentazione immaginativa produce la ‘prassi’ o l’esperienza religiosa. Solo il
simbolismo (modernistico e psicanalitico) permette all’uomo di mettersi in rapporto
con la “divinità”. I simboli rinviano ad una realtà occulta e misteriosa (esoterica) ed
hanno, perciò, bisogno d’interpretazione. La Fede per Ricoeur non è la virtù
teologale cristiana, ma l’interpretazione o l’ermeneutica come condizione moderna
del credere[9]. L’ermeneutica è un dono della modernità, che aiuta l’uomo
contemporaneo ad avere la sua “credenza” o interpretazione religiosa
soggettivistica.
●L’uomo da Ricoeur è visto soprattutto nei suoi limiti e deficienze: sproporzione,
fragilità e fallibilità[10], e va studiato mediante la psicologia del profondo o del
subconscio, ove la psicanalisi prevale sulla filosofia e ne decreta la crisi. Infatti la
psicanalisi ci aiuta a dubitare persino del Cogito e a de-costruirlo, è tutto il contrario
del Cartesianismo. Freud è il padre della crisi e della morte della filosofia moderna o
della crisi della coscienza di sé. Infatti per Ricoeur la filosofia post-moderna ritiene
che la coscienza non sia più un ‘dato di fatto’ (esser conscio di sapere) ma un
‘compito’ (dover divenire conscio, dubitando della coscienza, senza esserlo mai in
atto). Ricoeur ha fondato la “ermeneutica della demistificazione” ossia lo studio di
coloro che sono chiamati da lui “Maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche e Freud)[11],
la quale va completata e sorpassata dall’ermeneutica restauratrice, tipica dei filosofi
del simbolismo (modernisti ed esoteristi)[12]. In ciò è prefigurativo di Joseph
Ratzinger, che prima (1960-70) ha applicato la teologia demistificatrice alla
Tradizione apostolica, la quale era un mito da abbattere, e poi (1975-2011) ha
rispolverato la teologia o ermeneutica restauratrice - simbolicamente e non
realmente – della Tradizione, la quale è un mito da far rivivere per poter reggersi a
galla.
●L’etica di Ricoeur si basa su quella di Lévinas; essa è molto critica verso la filosofia
moderna, che si fonda sulla soggettività e il soggettivismo relativistico, ma non
intende assolutamente tornare al realismo della conoscenza e si accontenta con
Lévinas di sposare la filosofia dell’alterità ove il tu sta avanti all’io[13].
●La carenza di una solida metafisica rende l’ermeneutica di Ricoeur una sorta di
discorso monco e incompiuto, parziale e distorto, che non riesce a cogliere l’essenza
delle cose. Infatti egli assume come punto di partenza non l’essere, ma l’intimità
dell’io e la sua responsabilità di fronte all’altro. Ma l’io e l’altro senza l’essere non
hanno una base o sostanza stabile sulla quale posare[14].
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CLAUDE LÉVY-STRAUSS
●È nato a Bruxelles nel 1908 da genitori francesi e ha
trascorso l’infanzia e la giovinezza a Parigi. Si è
laureato in filosofia alla Sorbona. Nel 1935 ha
insegnato sociologia all’Università di San Paolo del
Brasile. Da quel momento si è dato all’antropologia.
Nel 1941 si è trasferito a New York, poi nel 1947 è
tornato in Francia a Parigi ove ha iniziato la sua
produzione “scientifica” strutturalistica. Il suo pensiero
strutturalistico antropologico è caratterizzato da “una
vera e propria opzione anti-filosofica”[15]. LévyStrauss si allontana radicalmente dall’idealismo e si
sposta verso “un’etnologia in sintonia con marxismo e
psicanalisi. […]. Freud gli rivela come proprio i
comportamenti in apparenza più affettivi, gli atti meno
razionali, le manifestazioni pre-logiche, sono appunto i
più significanti[16]”. Marx invece lo invita a costruire
un’antropologia sociale e anti-filosofica ove predomina l’elemento dello scambio
economico, che unito all’inconscio freudiano produce lo strutturalismo francese. Nel
suo libro Les structures élémaintaires de la parenté (Parigi, PUF, 1949; tr. it., Milano,
Feltrinelli, 1969) Lévy-Strauss parla positivamente dell’incesto e mette in dubbio le
considerazioni fatte su di esso dalla precedente ricerca scientifico filosofica. Un altro
elemento della sua dottrina strutturalistica è la “svalutazione radicale dello stesso
soggetto umano, in nome delle strutture o relazioni che lo qualificano, per cui,
quando si parla di uomo, si parla di forme o strutture e non di sostanza”[17].
Secondo lui ha ragione Michel Focault quando scrive che “l’uomo è un’invenzione”
(Les mots et les choses, Parigi, Gallimard, 1966, tr. it., Milano, Rizzoli, 1967, p. 414).
Nel 1962 col suo “capolavoro” La pensée sauvage (Parigi, Plon) egli “contrappone la
mentalità primitiva e selvaggia a quella ‘civilizzata’ in base all’idea della superiorità
affettiva, di stampo emotivo e irrazionale”[18]. Il suo influsso lo si nota ancor oggi
specialmente sui figli del Sessantotto nei quali l’elemento razionale e volontariolibero ha ceduto il posto all’emotività sentimentalistica ed irrazionale.
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Esistenzialismo strutturalistico
●Lo strutturalismo francese è la dottrina secondo la quale si debbono studiare le
relazioni (o “strutture”) tra i vari termini, senza conoscere i termini stessi. Il
fondatore dello strutturalismo Claude Lévy-Strauss scrive: «lo strutturalismo preleva
i fatti sociali nell’esperienza e li trasporta in laboratorio. Là li rappresenta sotto
forma di modelli, prendendo in considerazione non i termini, ma le relazioni tra i
termini»[19]. È come se si volesse parlare della relazione di paternità o figliolanza,
che intercorre tra padre e figlio e viceversa, senza conoscere e prendere in
considerazione il padre e il figlio. S. Tommaso D’Aquino (S. Th., I, q. 13, a. 7) spiega
che i termini della relazione o rapporto di una cosa all’altra sono quattro: 1°) il
soggetto: l’ente al quale la relazione si riferisce (p. es. paternità-padre); 2°) il
termine: con il quale il soggetto è posto in relazione (figlio); 3°) fondamento: del
rapporto tra soggetto e termine (generazione attiva); 4°) il rapporto o vincolo che
lega soggetto e termine (parentela o paternità). La relazione (paternità) ha un essere
accidentale proprio, che è l’inerire (“esse in”) alla sostanza (padre). Quindi se non c’è
un padre non esiste un figlio e non sussiste relazione di paternità; se non c’è un figlio
non esiste un padre e non sussiste relazione o “struttura” di figliolanza. Quindi è
impossibile studiare la paternità se non c’è il padre (S. Th., II-II, q. 23, a. 3). Lo
strutturalismo, perciò, è una relazione che non ha fondamento nella realtà.
●La prima caratteristica dello strutturalismo è una metodologia nichilistica che
studia “strutture” fondate sul nulla. Esso cerca di costruire o meglio “creare ex
nihilo” – come fa la mente del pazzo allucinato – schemi di relazioni o strutture,
facendo astrazione dai termini reali che fondano la relazione, soprattutto in campo
antropologico e sociologico con Lévy-Strauss, (che rilancia il marxismo classico
secondo cui l’economia è la struttura su cui si basano le sovrastrutture) e in campo
psicologico con Jacques Lacan (elaborando schemi di relazioni oscure dell’inconscio,
affiancandosi al freudismo e sorpassandolo nell’elogio del folle).
●Il metodo dello strutturalismo si fonda sulla teoria della conoscenza secondo cui la
ragione umana può conoscere solo le relazioni (o “strutture”) e non le sostanze o
essenze delle cose, che - se esistono - sono inconoscibili. Niente di nuovo: è solo la
estensione del soggettivismo moderno specialmente kantiano, secondo cui non
conosco la cosa in sé (noumeno), ma come essa mi appare (fenomeno), al campo
della sociologia materialista (Marx) e della psicanalisi del subconscio o dell’inconscio
(Freud). Lo strutturalismo oltrepassa, tuttavia, la modernità kantiano-hegeliana e si
colloca in piena post-modernità nichilistica in quanto nega non solo la possibilità di
conoscere la realtà oggettiva (Kant) o la sua esistenza (Hegel), i fenomeni (sensismo
o empirismo inglese), i fatti o esperienze individuali (positivismo), ma anche la
conoscenza e l’esistenza di un Soggetto (esistenzialismo classico), un Io o Spirito
assoluto, poiché non conosciamo termini o soggetti, ma solo le loro relazioni, il che è
assurdo perché senza soggetto o termine non c’è relazione. Perciò lo strutturalismo
come metodo e come gnoseologia è essenzialmente nichilistico e postmoderno. La
“contro-filosofia” strutturalista è stata ben definita dal suo fondatore Claude LévyStrauss come Pensiero selvaggio[20]. Infatti – secondo lui – la logica, la ragione
stessa dell’uomo è una mistificazione, un’invenzione fondata sulla filosofia realistica
e la metafisica dell’essere, secondo le quali esiste una realtà oggettiva, un soggetto
conoscente e dei termini; invece per lo strutturalismo esistono solo le strutture o le
relazioni, che si manifestano psicanaliticamente (Freud) nel subconscio umano o
sociologicamente (Marx) nelle relazioni dei popoli selvaggi, che non sono stati deviati
dal pensiero logico e dalla metafisica classica (il marxismo dalla lotta di classe del
proletariato è trasposto all’irrazionale e al delirio, che distruggono la cultura europea
meglio di quanto abbia fatto la lotta e l’odio di classe). Il compito dello strutturalismo
è quello di cancellare anche in Europa il ricordo della logica e della metafisica, per
rendere il “vecchio Continente” simile ai selvaggi aborigeni delle tribù primitive. È
quello che porterà a compimento entro breve la crisi economico-finanziaria della
‘Comunità Europea’ diretta da Usa e Israele. Quindi Lévy-Strauss propone una
contro-evangelizzazione, che renda selvaggia anche l’Europa, la quale prima
evangelizzava e civilizzava i selvaggi, mentre adesso sta per essere tribalizzata e
imbarbarita dall’invasione di massa dei nuovi selvaggi, che vengono - anzi sono
chiamati - d’oltre Oceano a inselvatichire la vecchia Europa.
●La conclusione teoretica cui giunge lo strutturalismo è il nichilismo metafisico, la cui
conseguenza pratica è quello morale. Infatti, se per la filosofia moderna più spinta
ossia l’hegelismo esiste uno Spirito o Io assoluto, lo strutturalismo decreta la morte
della realtà di ogni realtà non solo oggettiva, ma anche del soggetto o Io assoluto.
Non c’è oggetto né soggetto, materia o spirito, vi sono solo strutture o relazioni
fondate sul nulla. Ora ex nixilo nihil fit. Quindi la stessa struttura è impossibile. Se lo
strutturalismo decreta teoreticamente la morte del reale oggettivo e soggettivo,
dell’uomo, della conoscenza, praticamente ne segue la morte o il ribaltamento della
morale rimpiazzata dalla psicanalisi dell’inconscio, che rende lecite tutte le azioni più
immorali e perverse, in quanto strutture o relazioni del subconscio più oscuro, al
quale deve essere lasciata ogni libertà[21].
●Lévy-Strauss dice che “l’uomo non ha alcun senso”[22]. Quindi, praticamente o
“eticamente”, conviene lasciarsi andare verso l’inconscio, l’incosciente, la follia, la
droga, l’allucinazione. La materia di Marx, l’Io di Hegel, sono rimpiazzati dal nulla
dello strutturalismo francese, che tanto ruolo ha avuto nella Rivoluzione studentesca
del 1968, assieme alla Scuola di Francoforte, le quali hanno dato il colpo di grazia alle
ultime vestigia della civiltà greco-romana e cristiana. Queste dottrine deliranti,
selvagge, irrazionali ed illogiche hanno portato alle riforme medico-psichiatriche
secondo le quali i pazzi, essendo selvaggi illogici e non corrotti dalla metafisica
classica, dovevano essere considerati normali (Lacan, Basaglia[23] e Focault[24]).
Lacan ha teorizzato e Basaglia ha messo in pratica la dottrina secondo cui l’inconscio
prevale sul conscio (neo-psicanalisi freudiano strutturalista) e quindi ha tessuto
l’elogio della pazzia. Questo è l’esito del pensiero filosofico moderno e postmoderno: il nulla, la follia, la droga, il tribalismo cavernicolo, il mondo impazzito.
Quando alla radio si sentono notizie assurde che sembrano inverosimili, come
succede sempre più frequentemente, non ci si deve stupire: sono la conseguenza
pratica - anche se illogica - dello Strutturalismo francese. Oltre la modernità vi è il
nichilismo e il precipitare nell’abisso del nulla ove tutto affonda. Questo è il suicidio
della Rivoluzione iniziata con la modernità e giunta allo stadio terminale con la postmodernità. Perciò più il male sembra prevalere più vicina è la resurrezione. “Nolite
timere pusillus grex: Ego vici mundum!”.
Questo Modo di sragionare ha “vinto” la battaglia presente, ma non la guerra finale.
Il mondo, la scuola, la famiglia, persino gli uomini di Chiesa (col Concilio Vaticano II)
hanno respirato a pieni polmoni questa nube tossica chiamata modernità,
postmodernità e strutturalismo. Umanamente parlando la lotta è impari, infatti
l’individuo è stato corrotto sin nelle profondità dell’anima, passando prima
attraverso i sensi (musica, droga, apatia). Quindi solo Dio potrà tirarci fuori dl pozzo
dell’abisso in cui siamo stati precipitati.
*
Conclusione
●L’esistenzialismo contemporaneo o postmoderno ha annichilato, come si era
prefisso, l’uomo, la sua ragione, la morale, la nozione di Dio. Esso è una miscela
esplosiva di Marxismo o materialismo sociologico e di odio metafisico per l’essere
creato e Increato, mutuato da Nietzsche. Il tutto è condito da un’abbondante salsa di
Freudismo, in cui l’inconscio e il subconscio rimpiazzano la ragione e la libera
volontà, per cui l’uomo diviene un animale bruto: istintivo, irrazionale e determinato
ad unum (il sesso disordinato) ossia senza libero arbitrio. Anche il liberalismo
radicale tendenzialmente anarcoide con la falsa dottrina secondo cui la libertà è
l’essenza stessa dell’uomo ed è assoluto, onde tutto è lecito (anche il parricidio,
l’infanticidio, il “deicidio”), ha influito enormemente sull’esistenzialismo disperato e
nichilistico. L’Egoismo radicale ed eminente è il risultato dell’individualismo liberale,
che fa dell’Io il vero unico trascendente (il quale ha rimpiazzato Dio) e dell’altro solo
un ostacolo da eliminare. La noia ed angoscia esistenziale, che accompagna
l’esistenza assurda e contraddittoria di ogni uomo, limitato dal mondo e dagli altri, lo
spingono all’auto-distruzione e sono una specie di inferno sulla terra. Freud ha vinto
(la battaglia ma non la guerra) ed ha innescato (grazie ai suoi discepoli di Francoforte
e di Francia) la miccia esplosiva del sentimento e della passione sregolata umana nel
processo rivoluzionario: liberale, soggettivista, comunista, nichilista ed egoista,
rendendola enormemente dirompente. Non c’è nulla di più distruttivo delle passioni
disordinate, come nulla di più costruttivo della sane passioni ben finalizzate ed
educate. Le macerie della Società civile e religiosa, la larva dell’uomo che è diventato
l’europeo sono l’effetto di questa conflagrazione di rivoluzione sociologica e
sessuale. Esse sono sotto i nostri occhi.
●Che fare? Di fronte a tanto disastro il rimedio è duplice: a) innanzitutto il braccio di
Dio “che non s’è accorciato”; b) secondariamente la cooperazione umana alla grazia
divina. Il male è intellettuale: agnosticismo soggettivistico e relativistico, che si
spinge sino alla furia nichilistica fondata sugli istinti umani disordinati
scientificamente sino al parossismo, e, quindi morale: la dissoluzione di ogni arte di
ben vivere virtuosamente, sia individualmente sia socialmente. Purtroppo la
rivoluzione esistenzialistico-nichilistica ha invaso ogni ambiente (anche quello
ecclesiale) e non ha risparmiato l’individuo nell’intimo della sua anima. Sta a noi, con
l’aiuto di Dio, ri-apprendere la sana metafisica ed applicarla e viverla tramite una
retta morale naturale oggettiva. Che Dio ci aiuti in questa lotta impari e che spieghi il
suo braccio onnipotente, che solo può restaurare una situazione talmente
compromessa.
d. CURZIO NITOGLIA
9 novembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/struttur_nichil_sartrericoeurstr.htm
[1] J. P. Sartre, La Nausea, tr. it., Torino, 1952, p. 205.
[2] Id., L’etre et le néant, Parigi, 1943, p. 147.
[3] Id., L’etre et le néant, cit., p. 530.
[4] Ibidem, p. 721.
[5] Ib., p. 321.
[6] Cfr. P. Prini, Storia dell’esistenzialismo, Roma, 1989; M. Barale, Filosofia come
esperienza trascendentale. Sartre, Firenze, 1977; A. Manno, L’esistenzialismo di Jean
Paul Sartre, Napoli, 1958; L. Nardi, Sartre e l’esistenzialismo, Roma, 1973; G.
Palumbo, La filosofia esistenziale di Jean Paul Sartre, Palermo, 1953; S. Sportelli,
Sartre e la psicanalisi, Bari, 1981.
[7] P. Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, tr. it., Milano, 1967, p. 62.
[8] P. Ricoeur, Finitudine e colpa, tr. it., Bologna, 1970, p. 95.
[9] Id., Finitudine e colpa, cit., p. 249, 419, 625, 627.
[10] Ibidem, p. 228.
[11] Della interpretazione. Saggio su Freud, Milano, 1967, p. 504.
[12] Id., Il conflitto delle interpretazioni, tr. it., Milano, 1977, p. 346.
[13] Soi-meme comme un autre, Parigi, 1990.
●Per quanto riguarda Lévinas si tenga presente che la sua filosofia è incentrata sul
problema dell'Etica: l'unica filosofia possibile è quella dell'agire. La vera filosofia è
quella che distrugge tutti i miti o dottrine costruite dall'uomo per dare il primato alla
praxis. Il compito della filosofia è pensare eroticamente al "Totalmente Altro"
dall'Essere e dal Logos, che sono le categorie scolastiche e cristiane di una
comprensione riduttiva e fallace del reale. Lévinas vede come Freud nell' "eros uno
dei simboli massimi dell'alterità", l’eros per Lévinas è mistero divino, che implica la
presenza dell'infinito. Quindi Dio per Lévinas è “altro” o totalmente diverso
dall’Essere stesso sussistente e dal Verbo Incarnato. Il Dio di Lévinas è inconoscibile e
ineffabile, indefinito e soggetto a divenire (“cujus Deus venter est”). Inoltre la sua
filosofia nasce dallo "stupore del silenzio di Dio" verso le tragedie e specialmente
verso la shoah. Lévinas è contro l'amore romantico inteso come la fusione di due
esseri: occorre considerare sempre l'altro come un fine e mai come un mezzo. Per
Lévinas "L'essere è il non senso: ha senso solo l'esistente, l'uomo". E l'esistente
acquista significato solo in relazione all'Altro, cioè attraverso una relazione che
prescinde dai termini o dall’essenza avente l’essere.
[14] Cfr. P. Buzzoni, Paul Ricoeur, Roma, 1988; D. Jervolino, Il cogito e l’ermeneutica.
La questione del soggetto in Ricoeur, Napoli, 1984; P. Malvasi, L’impegno ontologico
della pedagogia. In dialogo con Paul Ricoeur, Brescia, 1998.
[15] Cfr. Italo Boni (a cura di), Claude Lévy-Strauss, in “Novecento filosofico e
scientifico”, diretto da Antimo Negri, Milano, Marzorati, 1991, III vol., p. 178.
[16] Ibidem, p. 180.
[17] Ib., p. 183.
[18] Ib., p. 184.
[19] C- Lévvy-Strauss, Nouvel Observateur, 25 gennaio 1967.
[20] Cfr. C. Lévy-Strauss, La pensée sauvage, Parigi, Plon, 1962; tr. it., Il pensiero
selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 1964.
[21] Cfr. Michel Focault, Les mot set les choses, Parigi, Gallimard, 1965
[22] Cfr. La France Catholique, 16 ottobre 1964.
[23] Cfr. F. Basaglia, La maggioranza deviante, Torino, Einaudi, 1970.
[24] Cfr. M. Focault, Sorvegliare e punire, tr. it., Torino, Einaudi, 1976.
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