Le procedure di riferimento per una corretta gestione dei casi di

Le procedure di riferimento per una corretta
gestione dei casi di violenza di genere
Claudio Pagliara1, Alessandra Kustermann2
1
Task Force Codice Rosa, ASL 9, Grosseto
2
Fondazione IRCCS Cà Granda Osp. Maggiore Policlinico, Milano
Ai centri antiviolenza, talvolta ai consultori, e alle forze dell'ordine arrivano
donne che hanno già deciso di chiedere aiuto per uscire da un legame violento,
mentre ad un Pronto Soccorso arrivano donne diverse, non meno sofferenti,
ma spesso ancora incapaci di dare un nome a ciò che è avvenuto, che
raccontano storie di improbabili cadute accidentali o di incidenti domestici.
Donne che non riuscirebbero a pronunciare la parola violenza sessuale per
descrivere rapporti imposti e subiti dopo minacce o percosse da parte del
partner.
Quali sono gli elementi fondamentali per un'adeguata accoglienza?
• identificare un luogo adatto caratterizzato da quiete e riservatezza,
• fare in modo che il numero di operatori presenti, di procedure e di
spostamenti siano solo quelli strettamente necessari
• avere una sincera disponibilità verso la donna e identificare un tempo
adeguato per ascoltare
• non drammatizzare, ma anche non banalizzare
• sospendere qualunque giudizio
• ascoltare in modo empatico, senza immedesimarsi eccessivamente
• spiegare le finalità degli accertamenti sanitari e richiedere il consenso
della paziente per ogni singolo intervento proposto
• restituire alla vittima il suo valore di “persona” e di protagonista in ogni
fase dell’accoglienza e degli accertamenti: darle la possibilità di scegliere
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che cosa dire o non dire, che cosa accettare o non accettare delle proposte
di diagnosi e cura sanitaria (consenso informato)
• considerare gli aspetti clinici, senza dimenticare le implicazioni medicolegali, e proporre ulteriori accertamenti diagnostici e terapie sulla base
delle evidenze scientifiche
• non avere fretta di prendere decisioni per tutelare la donna e non lasciarsi
incalzare dall'urgenza
• permettere alla donna di accogliere l'offerta di aiuto per iniziare un
percorso di uscita da una situazione violenta nell'immediato o in un
momento successivo
• tenere sempre presente che è indispensabile avere una rete territoriale di
riferimento per un approccio multidisciplinare.
Inoltre è importante:
• la duttilità dell’operatore: pur seguendo uno schema logico e un protocollo
concordato, deve essere in grado di modificare in ogni istante il suo
comportamento per adattarsi alla persona che ha di fronte,
• il consenso a qualunque procedura deve sempre essere richiesto ed è
importante tenere presente che l’unica persona abilitata a darlo è la
vittima, a qualunque età. Tutte le volte che viene espresso un esplicito e
“incontrattabile” rifiuto non si deve procedere alla visita, anche se l’esame
ispettivo viene richiesto dall’Autorità Giudiziaria, dalle Forze dell’Ordine o
dai genitori di un minorenne.
E’ raro che le pazienti rifiutino alcune o tutte le procedure proposte, ma la
possibilità di dire no consente di ripristinare quei limiti e confini che la violenza
ha annullato. Gli accertamenti sanitari, le eventuali terapie, la profilassi per le
malattie sessualmente trasmesse possono avere il significato di restituire
l’immagine di un’integrità fisica ancora presente o comunque recuperabile e
aiutare a superare il senso di frantumazione che la violenza può causare.
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Protocolli Sanitari Per La Violenza Sessuale
Anamnesi
L'anamnesi patologica prossima deve sempre contenere:

data, ora e luogo dell’aggressione

numero degli aggressori, conosciuti o no, eventuali notizie
sull’aggressore

presenza di testimoni

minacce e eventuali lesioni fisiche

furto, presenza di armi, ingestione di alcolici o altre sostanze

perdita di coscienza

sequestro in ambiente chiuso e per quanto tempo

se la vittima è stata spogliata integralmente o parzialmente

se c’è stata penetrazione vaginale e/o anale e/o orale unica o ripetuta

se c’è stata penetrazione con oggetti

se è stato usato un preservativo

se è avvenuta eiaculazione

se vi sono state manipolazioni digitali.
Devono essere riportati i sintomi fisici:
cefalea, dolore al volto, al collo, al torace, all’addome o agli arti, algie pelviche,
disturbi genitali, perianali, disuria, dolore alla defecazione, tenesmo rettale o
altro.
Devono essere riportati i sintomi psichici riferiti o manifestati o elementi di
valutazione dello stato psichico:
paura, sentimenti di impotenza e di orrore, distacco, assenza di reattività
emozionale, sensazione di stordimento, amnesia dissociativa, incapacità di
ricordare aspetti importanti del trauma, persistente rivissuto dell’evento
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attraverso immagini, pensieri, sogni, flash-back, sintomi di ansia e aumentato
stato di allerta, come ipervigilanza, insonnia, incapacità di concentrazione,
irrequietezza, risposte di allarme esagerate, pianto, tristezza, paura di
conseguenze future o altro.
In cartella è inoltre importante riportare:
 tempo trascorso tra la violenza sessuale e la visita
 precedenti visite presso altri operatori o presidi sanitari
 pulizia delle zone lesionate o penetrate
 cambio degli slip o di altri indumenti
 minzione, defecazione, vomito o pulizia del cavo orale (secondo le diverse
modalità della violenza)
 assunzione di farmaci
 vanno segnalati eventuali rapporti sessuali intercorsi prima o dopo
l’aggressione per una eventuale successiva corretta attribuzione del profilo
genetico dell'aggressore e del partner.
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Esame obiettivo generale
L’esame obiettivo generale è guidato dal racconto.
È importante porre una particolare attenzione alle regioni in cui il corpo è stato
afferrato. Vanno cercate su tutta la superficie corporea, descritte e
possibilmente documentate fotograficamente tutte le lesioni presenti
specificandone l’aspetto, la forma e il colore, la dimensione e la sede.Le lesioni
più comuni possono essere di tipo contusivo (ecchimosi, escoriazioni,
lacerazioni e fratture), dovute all’urto di una superficie corporea con una
superficie piana o ottusa oppure essere provocate da un’arma.
Le ecchimosi sono lesioni “chiuse” che si
manifestano come una discolorazione (il
colore varia a seconda dell’epoca di
produzione e va da rosso-blu per le più
recenti a verdastro, a marrone e infine
giallo per le più vecchie) dovuta alla
rottura di vasi sottocutanei che
provocano una infiltrazione emorragica
dei tessuti.
La modalità di produzione di tale rottura può essere per compressione (es. un
pugno), per suzione (es. “succhiotto” o suggellazione), o per strappo (es. un
“pizzicotto”). Variano di dimensioni, a seconda della superficie contundente e
possono riflettere la forma dell’oggetto: per esempio, se piccole e tondeggianti
possono essere attribuibili a dita, a seguito di afferramento violento o, se più
grandi, a pugni, calci o urti contro il suolo.
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Le escoriazioni superficiali implicano una perdita di
sostanza superficiale della cute dovuta all’effetto di
frizione in senso tangenziale di una superficie piana
o curva contro il corpo.
Le escoriazioni profonde raggiungono lo stroma, e
la guarigione di queste ultime avviene per seconda
intenzione e con esiti cicatriziali.
L’irregolarità della superficie e la forza applicata si
riflettono nella profondità della lesione nonché nella
irregolarità della sua morfologia.
Escoriazioni lineari, parallele e superficiali possono rappresentare graffi,
mentre vaste escoriazioni su dorso e glutei possono indicare il trascinamento
del corpo su una superficie. L’evoluzione delle escoriazioni avviene attraverso
la formazione di croste sierose, siero-ematiche e ematiche.
Le lacerazioni o ferite lacero-contuse
sono solitamente perdite di sostanza
lineari a margini irregolari spesso
associate a ecchimosi e escoriazioni.
Le lacerazioni si distinguono dalle lesioni da taglio (inferte con un’arma bianca)
per i margini irregolari e poco netti e per il fondo della lesione, che spesso
presenta ponti e briglie. Quando la discontinuazione interessa il tessuto osseo
prende il nome di frattura.
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Le soluzioni di continuo da
arma bianca sono lesioni
discontinuative, in genere
lineari, con margini
accostabili, superficiali (ad
es. taglio) o più profonde
(ad. es da punta o punta e
taglio).
Nei casi di violenza sessuale le lesioni coinvolgono
più frequentemente il capo, il collo e le estremità
(tipiche ad esempio le ecchimosi sulla superficie
interna delle cosce, dovute alla forzata divaricazione
degli arti inferiori).
Possono riscontarsi segni di morsicature, sotto forma di ecchimosi o
di escoriazioni in base agli elementi dentari rappresentati e alla forza
esercitata, o di franche lacerazioni. Nei casi di morsi è possibile,
attraverso tamponi, prelevare materiale genetico dell’aggressore o
rilevare forma e dimensioni dell’arcata dentaria dell’aggressore, per
eventuale comparazione tra la morfologia della lesione e la
disposizione degli elementi dentari dell'aggressore. Nei casi di
sospette fratture, che spesso possono essere anche pregresse, è
necessario ricorrere a radiografie onde documentare il quadro acuto
o il carattere evolutivo di una pregressa lesione (callo osseo può
permanere anche a distanza di anni).
Esame ginecologico
Può essere effettuato ad occhio nudo, ma sarebbe meglio utilizzare una lente
di ingrandimento. Il colposcopio, sarebbe lo strumento migliore, in quanto
permette di evidenziare lesioni anche meno evidenti e di effettuare una
documentazione fotografica.
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Va segnalata la presenza di lesioni recenti (arrossamenti, escoriazioni,
soluzioni di continuo superficiali o profonde, aree ecchimotiche, sanguinamento
o altro), specificandone la sede (grandi e piccole labbra, clitoride, meato
uretrale, forchetta, perineo e ano).
L’imene va descritto accuratamente specificando la presenza o meno di
incisure e la loro profondità, in particolare va segnalato se raggiungono la base
di impianto e la presenza di eventuali lesioni traumatico-contusive recenti.
L’esame con speculum deve essere effettuato per la raccolta degli eventuali
spermatozoi dal canale cervicale, sede in cui permangono più a lungo,
specialmente utile nei casi in cui la donna si sia lavata dopo la violenza.
Se indicato, può essere opportuno completare l’esame con una visita
ginecologica bimanuale e/o un'ecografia.
Prelievi
Va effettuato nel corso della visita lo screening delle malattie sessualmente
trasmesse tramite tamponi vaginali e/o cervicali per la ricerca di:
 neisseria gonorrhoeae
 trichomonas vaginale
 clamydia trachomatis
 batteriosi vaginale
Va effettuato un prelievo ematico da ripetere a 1-3-6 mesi per :
 VDRL-TPHA
 HIV
 markers per epatite B e C
E' obbligatorio procedere al campionamento mediante tamponi per le indagini
sul profilo genetico dell'aggressore.
In base al tempo trascorso dalla violenza (massimo entro 7-10 giorni) vanno
effettuati due tamponi sterili per la raccolta di spermatozoi e materiale
genetico dell’aggressore nelle diverse sedi: vulva, fornice vaginale posteriore,
canale cervicale, retto, cavo orale. Per ogni sede vanno effettuati due tamponi
e il primo dei tamponi va strisciato su un vetrino da fissare con normale
fissativo spray per l’esame citologico per la ricerca di spermatozoi.
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La persistenza degli spermatozoi nelle diverse sedi può variare da 6 ore (cavo
orale) a 1-3 giorni (retto e genitali esterni) fino a 7-10 giorni (cervice).
In base al racconto, tracce biologiche dell’aggressore possono essere ricercate
sulla cute (tampone sterile asciutto e bagnato con soluzione fisiologica sterile)
o sotto le unghie della vittima (con scraping subungueale mediante tampone
bagnato e asciutto, o meglio tagliandole e conservandole) e possono essere
ricercati e raccolti eventuali peli pubici dell’aggressore con pettine nuovo a
denti mediamente spaziati.
Conservazione dei campioni e delle foto
Ogni ospedale, che adotti un protocollo per la violenza sessuale, deve
programmare dove verrà raccolto il materiale (compreso eventuali indumenti
con tracce biologiche). Tutto il materiale raccolto deve essere conservato
presso strutture dotate di freezer a -20°/-80° che garantiscano una corretta
conservazione delle prove raccolte e che consentano di rintracciarle con la
sicurezza che non vi siano errori di attribuzione (garanzie sulla “catena di
custodia”). Le indagini sul profilo genetico dell'aggressore, se richieste dalla
Magistratura, dovranno essere effettuate in centri di provata esperienza.
Per garantire la corretta “catena di custodia” e, contemporaneamente, tenere
conto del fatto che non tutte le violenze sessuali prevedono l'obbligo di
denuncia di reato da parte degli operatori sanitari, oltre al fatto che la
maggioranza delle vittime non ha intenzione di denunciare la violenza subita, è
opportuno che i reperti siano conservati nella struttura ospedaliera o
nell'istituto di medicina legale. Qualora queste ipotesi non fossero percorribili i
reperti, previo protocollo firmato con la Procura della Repubblica presso il
Tribunale Ordinario, possono essere consegnati alla sezione di Polizia
Giudiziaria della procura di riferimento.
Esami tossicologici
In base al racconto, possono essere effettuati esami ematici o sulle urine. È
importante raccogliere un campione di sangue in provetta sterile eparinizzata
(almeno 5 ml) e un campione di urina in contenitore sterile (almeno 30 ml).
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Solo nei casi in cui siano trascorse più di due settimane dall’evento si potrà
prelevare un campione di capelli (50-100 mg equivalente all’incirca allo
spessore di una matita) nella regione del vertice posteriore, tagliando il più
possibile vicino alla radice. I capelli dovranno essere fissati con un laccetto al
fine di evidenziare la zona prossimale ed inseriti in una bustina di plastica o
carta da conservare a temperatura ambiente. I campioni dovranno essere
raccolti il prima possibile, meglio se entro 24 ore dalla riferita violenza subita. I
campioni di sangue intero e urine, raccolti in doppio per ulteriori e più
sofisticate ricerche, da effettuare eventualmente in un secondo momento su
richiesta dalla Magistratura, verranno conservati in frigorifero alla temperatura
di 4°C, e successivamente congelati in un freezer a – 20° e deve essere
possibile rintracciarli con la sicurezza che non vi siano errori di attribuzione
(garanzie sulla “catena di custodia”).
La “catena di custodia” prevede:
 alla paziente va assegnato un codice alfanumerico, da riportare sulle
provette e sugli indumenti, e nella cartella clinica di pronto soccorso, che
garantirà la riconoscibilità del campione in sede di eventuale successiva
analisi. In alternativa indicare sulle provette i dati anagrafici completi della
vittima;
 il personale sanitario, responsabile della custodia e della corretta
conservazione del campione fino alla consegna, è tenuto a compilare,
timbrare e firmare il foglio di accompagnamento;
 la trasmissione del campione al luogo di conservazione prevede comunque
il rilascio della ricevuta di consegna da parte di chi la riceve e che diventa
il responsabile della corretta archiviazione;
 la copia della ricevuta va conservata nella cartella clinica di pronto
soccorso cartacea o scannerizzata se la cartella è informatizzata;
 le foto delle lesioni, devono essere effettuate apponendo alla parte
anatomica vicina alla lesione, un cartellino identificativo con i dati
anagrafici della vittima e il numero di scheda clinica. Devono essere
archiviate con la scheda clinica di pronto soccorso per una eventuale
successiva consegna su richiesta della magistratura. Non è necessaria
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un'attrezzatura fotografica dedicata, anche le foto del cellulare sono
accettabili se il caso è correttamente identificabile e l'immagine viene
archiviata nel computer o stampata.
Profilassi
Profilassi antibiotica
Nei casi in cui ci sia un rischio legato alle modalità dell’aggressione o
all’identità dell’aggressore e non siano trascorse più di 72 ore dall’aggressione,
va prescritta una profilassi antibiotica che copra le diverse possibilità di
trasmissione di malattie sessualmente trasmesse.
Lo schema consigliato è:
AZITROMICINA 1gr. per os
o in alternativa
TETRACICLINA 100mg. x 2 die x 7 giorni + CEFTRIAZONE 250 mg. i.m.
+ METRONIDAZOLO 2 gr. per os
In presenza di ferite sporche di terra o altro e in base al tempo trascorso
dall’ultimo richiamo di antitetanica, può essere prescritta la profilassi.
Può essere consigliata la vaccinazione anti-epatite B.
Profilassi HIV
Il rischio di acquisire l’infezione da HIV da una singola violenza sessuale è da
ritenersi, in base ai dati attuali, basso, ma non facilmente quantificabile. Nei
casi in cui il rischio di trasmissione è probabilmente alto (aggressore
sieropositivo noto o tossicodipendente o con abitudini sessuali ad alto rischio, o
proveniente da aree geografiche ad alta prevalenza di questa patologia, in
presenza di lesioni genitali sanguinanti, o di rapporti anali o in caso di
aggressori multipli) o se la vittima lo richiede, può essere somministrata la
profilassi. Va discussa con la paziente la non sicura efficacia della terapia, la
sua possibile tossicità renale, ematica, gastrointestinale e neurologica, la
comparsa di effetti collaterali importanti, la necessità di controlli regolari
durante la terapia.
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La terapia consigliata consiste in ZIDOVUDINA + LAMIVUDINA + INIBITORE
DELLE PROTEASI. Va iniziata il prima possibile, probabilmente al massimo
entro 12-24 ore, ma comunque mai oltre le prime 72 ore e continuata per 4
settimane. È consigliabile fare riferimento a un centro specializzato per le
malattie infettive che seguirà la paziente per il periodo della terapia e per il
follow-up.
Intercezione postcoitale
Se sono trascorsi meno di 5 giorni è opportuno proporre l’intercezione
postcoitale :
 LEVONORGESTREL 1 cp 1,5m in unica somministrazione se sono trascorse
meno di 72 ore
Il Levonorgestrel ha un'efficacia del 95% se assunto entro 24 ore dal
rapporto che scende al 58% se assunto in 3° giornata.
 ULIPRISTAL ACETATO 30mg in un'unica somministrazione entro 120 ore.
L'uripristal acetato ha un efficacia del 98% se assunto entro 24 ore dal
rapporto che scende al 30% se assunto in 5° giornata.
Follow-up
Dopo aver eseguito tutte le pratiche di emergenza, lo scopo del follow-up è
quello di completare gli accertamenti sanitari. Ripetere gli esami infettivologici
dopo 1 mese, dopo 3 mesi e dopo 6 mesi. In base alle condizioni psichiche
della vittima può essere opportuno consigliare una visita psichiatrica e una
psicoterapia. È inoltre fondamentale valutare la situazione sociale della
paziente (i suoi bisogni, le risorse personali, la rete di supporto) e le
conseguenze della violenza subita, con un invio alla rete territoriale istituita
localmente. Infatti è opportuno elaborare un progetto condiviso con la vittima
e, sulla base delle sue problematiche, attivare le risorse del Centro Antiviolenza
o inviare comunque a una rete esterna.
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PROTOCOLLI SANITARI PER LA VIOLENZA DOMESTICA
Un problema sommerso
Gli operatori che si trovano di fronte a una situazione di violenza domestica
hanno spesso molte difficoltà nel far emergere il problema e appaiono restii a
cercare e riconoscere i segni di un maltrattamento.
Altri elementi ostativi allo svelamento della violenza da parte degli operatori
sono:
 la presenza di stereotipi relativi alla vittima, all'aggressore e alla dinamica
della violenza
 la mancanza di consapevolezza del fenomeno e del riconoscimento dei
costi
 sociali e delle conseguenze psicologiche della violenza
 pensare che non sia un proprio compito intervenire
 non sapere come intervenire e aiutare la vittima di violenza
 temere ritorsioni o aggressioni da parte dell'autore della violenza
 presenza di alcuni meccanismi di difesa psichica di fronte all'evento
narrato
 come ad esempio minimizzare, negare, razionalizzare
 difficoltà ad essere empatici con la vittima per il suo rifiuto:
 a denunciare il partner,
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 a interrompere la relazione maltrattante,
 a aderire a proposte e progetti di uscita dalla violenza.
 difficoltà a affrontare e gestire i propri sentimenti, evocati da una donna
che descrive la violenza subita (“trauma vicario”).
Come far emergere il problema
Gli operatori sanitari devono avere ben presente che, di fronte a una vittima di
violenza domestica, hanno il dovere di intervenire e quindi di:

Cercare di far emergere il sommerso

Non ignorare i segnali inespressi

Essere competenti e professionali
L’anamnesi medica deve essere puntuale. È fondamentale individuare se in
passato ci sono stati altri accessi al Pronto Soccorso e se si sono già verificati
episodi che hanno portato a traumi o ferite. È utile anche indagare la presenza
di dolore pelvico cronico o infezioni recidivanti all’apparato genito-urinario
(molto frequenti in coloro che hanno subito violenza fisica). Bisogna ricordarsi
di chiedere se vi sono stati episodi depressivi, tentativi di suicidio, abuso di
sostanze o alcol.
L'esame obiettivo deve essere attuato con lo scopo di riconoscere, descrivere
accuratamente e trattare le lesioni. E' importante registrare eventuali segni di
lesività esogena traumatico-contusiva (ecchimosi, escoriazioni, ferite lacerocontuse, fratture, avulsioni dentali) o da energia termica (ustioni), nonché le
cicatrici. Di ogni lesione tegumentaria si dovrà segnalare la sede, il colore, la
forma, le dimensioni e le caratteristiche dei margini e, possibilmente, le stesse
dovranno essere documentate fotograficamente. Per una descrizione accurata
vedere l'esame obiettivo generale riportato nel capitolo sulla violenza sessuale.
Anche in questo caso va rispettata la catena di custodia segnalata nel capitolo
sulla violenza sessuale.
Quali sono gli indicatori inequivocabili di maltrattamento o violenza?
Un indicatore spesso misconosciuto è il ritardo nel presentarsi in Pronto
Soccorso rispetto al momento del dichiarato “incidente domestico”. Se una
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donna cade da una scala e ha dolore difficilmente attende molte ore prima di
farsi visitare.
La commissione dei chirurghi americani che ha redatto il protocollo ATLS –
Advanced Trauma Life Support [American College of Surgeons 1978] (adottato
in 37 stati in tutto il mondo, tra cui anche l’Italia) ha identificato una sezione
specifica per discriminare la violenza domestica.
Secondo questo protocollo l’obiettivo è rilevare:
1. le lesioni che non concordano con l’anamnesi
2. la diminuzione dell’autostima, segni di depressione, tentativi di suicidio
3. atti di autolesionismo
4. la rilevazione degli accessi pregressi in pronto soccorso
5. sintomi riconducibili ad abuso di sostanze
6. dichiarazioni di autocolpevolizzazione
7. presenza oppressiva del partner alle visite
8. manipolazione dei colloqui da parte del partner.
Al fine di poter effettuare un’adeguata accoglienza ed anamnesi clinica è
opportuno, in caso di sospetta violenza domestica:
 non permettere la presenza di alcuna altra persona, soprattutto se la
paziente è adulta
 rivolgere alla donna domande dirette sul problema della violenza
 in caso di donna straniera sarebbe opportuno richiedere la presenza di una
traduttrice o di una mediatrice culturale (considerare che partner o altri
familiari o amici di famiglia potrebbero volutamente tradurre omettendo
particolari legati all'episodio di violenza)
 valutare il rischio di recidiva e di escalation della violenza prima della
dimissione, nel dubbio o se il rischio è elevato trattenere la donna in
ospedale e contattare la rete territoriale
 qualora la vittima sia arrivata in ospedale accompagnata da figli minorenni,
specialmente se hanno assistito ai maltrattamenti, si rammenta che
quando il medico di Pronto Soccorso, rivestendo la qualifica di pubblico
ufficiale o incaricato di pubblico servizio, evidenzia situazioni di grave
pericolo per l’incolumità del minore può trattenerlo in ospedale, a
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prescindere dalle esigenze cliniche, “per approfondimenti”, ai sensi dell’art.
403 del codice civile.
 valutare in base alla normativa vigente se sussistano gli estremi per una
denuncia di reato all'autorità giudiziaria e in tal caso comunicarlo alla
donna, spiegandole il suo diritto di presentare a sua volta querela o di non
rispondere durante l'eventuale successiva indagine se non ha intenzione
di denunciare le violenze subite.
 indicare alla paziente prima della dimissione i servizi e i centri antiviolenza
del territorio ai quali si può rivolgere per essere aiutata e consegnarle il
materiale informativo sul tema della violenza domestica. Se la donna è
disponibile può essere utile fissarle direttamente un appuntamento con il
centro di riferimento.
Come si desume da quanto esposto fino ad adesso, i casi di maltrattamento
presentano un alto grado di complessità e richiedono l’intervento di operatori
con diverse professionalità. Quindi, è considerata una prassi indispensabile
creare una rete tra servizi diversi. Per attuare ciò è necessaria una conoscenza
e una mappatura aggiornata delle risorse pubbliche e private presenti sul
territorio.
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