I momenti della storia greca in Thuc. II 36,1-3

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«EIKASMOS» XVI (2005)
I momenti della storia greca in Thuc. II 36,1-3
1. Nel discorso funebre per i caduti del primo anno di guerra, II 36 costituisce
l’esordio dell’epainos, cioè della parte centrale e più propria dell’ejpitavfio" lovgo".
Secondo il canone di questo genere, l’elogio delle generazioni passate precede
quelli rivolti prima alla patria e poi alle gesta dei caduti che si intende celebrare1.
Nell’Epitafio che Tucidide fa pronunciare a Pericle, l’elogio della patria è di gran
lunga la parte più corposa e ideologicamente più ricca, anzi è il vero e proprio
nucleo del discorso (gli altri temi, pur non scomparendo del tutto, risultano limitati
nell’estensione2). Thuc. II 36,1-3 è di fatto un breve e sommario catalogo delle
generazioni che, dall’antichità alla contemporaneità di Pericle, si sono succedute
alla guida e alla difesa di Atene:
1 a[rxomai de; ajpo; tw'n progovnwn prw'ton: divkaion ga;r aujtoi'" kai; prevpon de;
a{ma ejn tw'/ toiw'/de th;n timh;n tauvthn th'" mnhvmh" divdosqai. th;n ga;r cwvran oiJ
aujtoi; aijei; oijkou'nte" diadoch'/ tw'n ejpigignomevnwn mevcri tou'de ejleuqevran
di` ajreth;n parevdosan. 2 kai; ejkei'noiv te a[xioi ejpaivnou kai; e[ti ma'llon oiJ patevre"
hJmw'n: kthsavmenoi ga;r pro;" oi|" ejdevxanto o{shn e[comen ajrch;n oujk ajpovnw" hJmi'n
toi'" nu'n proskatevlipon. 3 ta; de; pleivw aujth'" aujtoi; hJmei'" oi{de oiJ nu'n e[ti o[nte"
mavlista ejn th'/ kaqesthkuiva/ hJlikiva/ ejphuxhvsamen, kai; th;n povlin toi'" pa'si
pareskeuavsamen kai; ej" povlemon kai; ej" eijrhvnhn aujtarkestavthn3.
1
L’epitafio si divide canonicamente in esordio, epainos, paramythia (o consolatio) ed
epilogo. Nell’Epitafio tucidideo questa scansione è rispettata: l’esordio occupa il capitolo 35,
mentre l’epainos va dal capitolo 36 al 43; seguono poi la paramythia (44s.) e l’epilogo (46).
2
L’opinione di Ziolkowski (1981), che ha comparato fra loro gli epitafii superstiti, è che
Tucidide segua da vicino, seppure in maniera meno evidente, i canoni tradizionali dell’ejpitavfio"
lovgo": al pari degli altri autori di epitafii, Tucidide inserisce pressoché tutti i topoi e i «commonplaces»
della tradizione (vd. in particolare 95ss. e 135ss.), rivelando così una «dependence on a tradition
common to the other funeral speeches» (181).
3
«Comincerò dunque dagli antenati, poiché è giusto e adeguato alla situazione conferire a
loro l’onore di questo ricordo. Nel succedersi delle generazioni e fino ai giorni nostri, essi,
abitando da sempre questa terra, la tramandarono libera grazie al valore. E se degni di lode sono
costoro, ancor di più lo sono i nostri padri: infatti, a ciò che avevano ereditato essi aggiunsero
quella potenza, quanta ora noi ne possediamo, e non senza fatiche trasmisero l’impero a noi
contemporanei. Ma la maggior parte di quella potenza, siamo stati noi, che ora siamo ormai in
età matura, ad averla ingrandita; e abbiamo reso la città il più possibile autosufficiente per ogni
contingenza, tanto per la pace, quanto per la guerra».
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Il modo in cui Pericle descrive le tre generazioni fornisce a queste un motivo
comune, una specie di chiave di lettura attraverso cui interpretare l’intera diadochv.
È infatti individuabile un processo ‘ereditario’ che fa sì che ciascun elemento della
successione ‘tramandi’ qualcosa, o lo ‘riceva in eredità’, o compia entrambe queste
azioni nei confronti dell’elemento a sé contiguo: 1 oiJ provgonoi parevdosan → 2 oiJ
patevre" ejdevxanto ... hJmi'n proskatevlipon → 3 hJmei'" ...4
Allo stesso tempo, però, ciascuna generazione possiede una o più caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre e che permettono la tripartizione. Pericle,
infatti, vuole descrivere quanto ciascuna generazione ha compiuto di memorabile,
con l’intento di instaurare una climax crescente che giunga ad assegnare il massimo
grado di lode all’età contemporanea.
I provgonoi si sono guadagnati il merito della menzione per aver lasciato in
eredità la ‘terra libera’ (th;n cwvran ... ejleuqevran ... parevdosan), dopo avervi
abitato ‘da sempre’ (aijei; oijkou'nte"). I tratti distintivi degli antenati sono perciò
due: l’autoctonia – l’accenno alla quale proietta il lettore verso la rievocazione del
passato mitico di Atene, costituendo il debito pagato brachilogicamente da Pericle
alla tradizione dell’encomiastica – e l’ajrethv – che permette la paravdosi" dagli
antenati alla generazione dei padri e anche oltre (mevcri tou'de), e che, seppur non
meglio specificata, è verosimilmente corretto leggere come ‘valore militare’5.
Proseguendo nella successione, i padri, «ancor più degni di lode» dei loro
predecessori, compiono tre diverse azioni: essi 1) «ricevono» (ejdevxanto) ciò che
è stato loro tramandato, cioè la ‘terra libera’; 2) «acquistano in aggiunta» a questa
eredità (kthsavmenoi pro;" oi|") l’impero nella quantità che i successori possiedono
(o{shn e[comen ajrchvn); 3) «lasciano» (proskatevlipon) ai contemporanei (hJmi'n
toi'" nu'n) l’insieme di ciò che hanno ricevuto e di ciò che hanno conquistato. Quel
che caratterizza storicamente i padri, e che quindi permette di distinguerne la generazione dalle altre due, è il fatto che essi hanno aggiunto l’ajrchv alla cwvra
ejleuqevra. Vi è però anche una somiglianza fra patevre" e provgonoi, poiché la
litote avverbiale oujk ajpovnw", come già il precedente di` ajrethvn, serve a riassumere
il modo in cui sono state condotte delle imprese militari. Molto semplicemente,
infatti – cioè senza vedere in ogni povno" un elogio dell’industriosità ateniese6 – si
4
Il motivo dell’eredità della patria non è una particolarità dell’Epitafio: anche negli altri
due discorsi diretti di Pericle, allorché l’oratore rievoca i patevre", a tale ricordo si affianca
sempre – seppure in differenti maniere – l’idea di una successione generazionale che prende
forma nel tramandare ai posteri ciò che si possiede (I 144,4 e II 62,3). L’incitamento a lasciare
non diminuiti i propri beni ai posteri compariva nel giuramento efebico (Poll. VIII 105s. ~ Stob.
IV 1,48 ~ Tod, GHI II 204; vd. Siewert 1977) e ricorrerà poi nell’oratoria del IV secolo (Dem.
3,36, 9,74; Isocr. 6,12, 8,94, 9,35). La parodia di questo topos sembra trasparire in Ar. Av. 540ss.
(vd. Tosi 1979).
5
L’accezione è giustificata dal contesto profondamente tradizionale dell’Epitafio: vd. Creed
1973, 219s.
6
Gomme (1956, 104) e Hornblower (1997, 297) hanno un po’ pretenziosamente correlato
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deve rilevare come in Tucidide l’avverbio ajpovnw" venga sporadicamente impiegato
per descrivere conquiste ottenute senza eccessivi sforzi bellici7: nell’Epitafio, dunque, si dice che i padri furono effettivamente impegnati in qualche battaglia8.
Infine, i meriti della generazione attuale sono quelli di avere ingrandito l’impero soprattutto dal punto di vista qualitativo (ta; de; pleivw aujth'" [scil. th'" ajrch'"]
... ejphuxhvsamen)9 e di avere reso la città il più possibile «autosufficiente» (th;n
povlin ... pareskeuavsamen ... aujtarkestavthn). Come si è detto, i contemporanei
costituiscono il termine a cui il discorso di Pericle vuole giungere, poiché l’intento
principale del suo Epitafio è l’esaltazione di quell’Atene di cui egli è prw'to" ajnhvr10.
2. Problematica risulta l’esatta delimitazione cronologica di questi tre momenti. La questione, su cui molti studiosi sorvolano11, è solo apparentemente di poco
conto, se non altro perché riguarda il modo in cui gli Ateniesi – e in particolare
Tucidide – rileggevano la storia patria.
questo avverbio con la concezione generale di Atene come ‘città di povnoi’; più in particolare,
Hornblower (1997, 115 ad I 70,8) lo ha collegato alla polupragmosuvnh, cioè all’atteggiamento
che, condannato dai Corinzi nel corso dell’assemblea a Sparta, viene più volte lodato come virtù
nei discorsi tucididei di parte ateniese, tra i quali lo stesso Epitafio pericleo e il discorso di
Alcibiade nel libro VI.
7
Al pari di ciò che, ad esempio, gli Ateniesi sperano di ottenere dai Melii con il solo
esercizio della diplomazia: V 91,2 boulovmenoi ajpovnw" me;n uJmw'n a[rxai. Un’altra ricorrenza è
in I 122,2; in I 11,2, infine, ajponwvteron è usato, nelle considerazioni sull’andamento della guerra
di Troia, come comparativo di rJa/divw". Vd. anche Hdt. IX 2,2 (hapax).
8
Alla questione se il nesso avverbiale sia più implicato con kthsavmenoi o con proskatevlipon,
penso che le risposte migliori le abbiano date Poppo (1834, 154s.) e Classen-Steup (1889, 62),
riferendo oujk ajpovnw" a entrambe le azioni verbali.
9
A differenza del verbo semplice, ejpauxavnein sembra dover essere collegato a un aumento
essenzialmente qualitativo. Tucidide lo usa in una sola altra occasione (VII 70,7), quando i
Siracusani, durante la battaglia nel porto, e dunque in una situazione che non prevede per loro
alcun aumento territoriale, vengono esortati a «rendere più grande, con la vittoria, la propria
patria» (th;n oijkeivan ... patrivda nikhvsanta" ejpauxavnein). Cf. Poppo (1834, 155s.) e soprattutto
Gomme (1956, 105): l’aumento non è in contraddizione con il precedente o{shn e[comen ajrchvn,
se si riconoscono al terzo gruppo solo un consolidamento e un rafforzamento dell’impero.
10
Vd. Ziolkowski 1981, 185: il fine dell’intero discorso è la giustificazione dell’impero
ateniese e, dunque, «contrary to the other funeral speeches, greater honor is given to the present
than to previous generations». Cf. Gaiser 1975, 32ss.: l’autarchia della povli" e l’autarchia dei
suoi abitanti (II 41,1) sono gli estremi entro cui si sviluppa la prima parte dell’Epitafio, che mira
a descrivere le basi ideologiche della grandezza di Atene.
11
Poppo (1834, 155), ad esempio, non è interessato tanto a fornire una scansione precisa,
quanto a sottolineare come lo scopo delle prime due generazioni sia stato quello di approntare per
la terza un impero costituito di territorio e di potere. Sulla questione non si soffermano né de
Romilly 1967, né Cagnetta 1986, e neppure Longo (2000, 58) si sbilancia a dare giudizi. Hornblower
(1997, 297), a proposito dei provgonoi qui presentati, rimanda ai patevre" evocati da Pericle nell’ultimo discorso (II 62,3), senza tuttavia ipotizzare una precisa identità per gli uni e per gli altri.
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Negli ultimi due secoli la critica si è orientata verso due principali filoni interpretativi. F. Müller (1886, 77) – seguito da E.C. Marchant (1891, 168s.) – provvide
a dare un ruolo preciso a ciascuna generazione, interpretando i provgonoi come
coloro che conservarono la libertà «zur Zeit der Perserkriege», e i patevre" come
coloro che in queste guerre combatterono12. Nel quasi contemporaneo commento di
Classen e Steup, invece, il conflitto contro i Medi era incluso nel primo gruppo,
mentre il limite fra secondo e terzo veniva collocato a metà degli anni ’40, più o
meno coincidente con la «Schlacht von Koronea» (1889, 62).
In tempi abbastanza recenti, le differenti letture hanno trovato autorevoli sostenitori in J.Th. Kakridis e in A.W. Gomme. Il primo include nella generazione dei
provgonoi l’intero periodo plurisecolare che dai miti di Eretteo e di Teseo giunge
al 478, «als der defensive Krieg gegen die Perser zu Ende war»; i patevre", di
conseguenza, sono coloro che ingrandiscono l’impero dal 478 alla pace con Sparta
del 446, «als Perikles mit der Organisierung der attischen ajrchv fertig war»; in tal
modo i contemporanei occupano gli ultimi quindici anni di storia fino allo scoppio
della guerra del Peloponneso (Kakridis 1961, 11s.)13. Gomme, invece, limita l’età
dei provgonoi al VI secolo e non include fra questi la generazione di coloro che si
opposero ai Persiani: perciò è dal 490 in poi che si può parlare di patevre", mentre
con oiJ nu'n Tucidide intende la «Perikles’ own generation» (Gomme 1956, 104s.)14.
Le motivazioni addotte da entrambi gli studiosi sono valide; rimangono, tuttavia, alcuni punti oscuri. Non si capisce, ad esempio, chi secondo Gomme siano
stati, fra i tanti che la restante letteratura encomiastica era solita lodare, i provgonoi
tucididei, cioè coloro che valorosamente preservarono la libertà del proprio territorio. Certo non furono i combattenti inviati a Troia o a Tebe, né i difensori degli
Eraclidi, poiché tutti costoro impiegarono sì il loro valore, ma per la libertà di
qualcun altro. Né d’altra parte sono qui da intendere i fondatori della democrazia
– lodata nell’Epitafio come inventio foriera di libertà (II 37,2) – poiché virtù di
Solone o di Clistene non fu propriamente l’ajrethv. Gli unici Ateniesi a cui si può
pensare sono coloro che sostennero una guerra difensiva e che dunque affrontarono
una qualche invasione, come quella delle Amazzoni o quelle dei Persiani. Nelle
pitture murali della Stoà, la lotta di Teseo contro le Amazzoni e la battaglia di
Maratona erano raffigurate quasi contigue, separate soltanto dalla spedizione ateniese
a Troia (Paus. I 15,2s.), perciò non è da escludere che anche l’uditorio di Pericle
potesse associare mentalmente le due invasioni da cui Atene si era difesa in passato. Il fatto, però, che l’oratore parli di una ejleuqeriva rimasta sostanzialmente
invariata fino al 430 (mevcri tou'de), autorizza a pensare che in discussione vi sia
qui un evento abbastanza recente da conseguire ancora effetti, piuttosto che un
avvenimento che, pur rievocato talvolta come exemplum, appartiene tuttavia a un
12
13
14
Comune a questi due studiosi è anche la lettura di diadoch'/ come dativo strumentale.
Questa ripartizione è stata difesa recentemente da Fantasia 2003, 371.
La stessa suddivisione è stata poi adottata anche da Flashar 1969, 14s. e n. 23.
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passato lontano. Per quanto riguarda la prima generazione, dunque, conviene concordare almeno in parte con Kakridis, e includere fra i provgonoi anche coloro che
furono coinvolti nell’opporsi ai Persiani. Penso, infatti, che a questo punto sia
incontestabile l’osservazione dello studioso greco a proposito di II 36,1: «welchen
anderen Athenern konnte mit größerem Recht nachgerühmt werden, daß sie th;n
cwvran ejleuqevran di` ajreth;n parevdosan?» (1961, 11).
D’altra parte, però, di Kakridis mi sembra discutibile il fatto che egli si spinga
così tanto avanti nel tempo per iniziare a contare il secondo gruppo (a partire dal
478), e che perciò anche i ‘contemporanei’ di Pericle siano per lui così recenti (dal
446). Per l’individuazione del terzo gruppo, dunque, più attenta si rivela l’analisi
di Gomme, il quale legge in hJ kaqesthkui'a hJlikiva l’età dell’uomo che va dai 4050 anni (cioè dalla fine del servizio militare) ai 60-6515. Correttamente Gomme
lascia concludere che, mentre il secondo gruppo coincide con la nascita dell’impero
(è lo stesso Tucidide che lo scrive: kthsavmenoi ... ajrchvn), il terzo coincide invece
con la nascita di ciò che noi chiamiamo ‘imperialismo’. Una tale lettura di hJ
kaqesthkui'a hJlikiva è, in un certo senso, la conferma di quanto si trovava nell’acuta analisi storica compiuta da Meiggs 1943: «it was with the eclipse of Cimon
that the most vital phase of the transformation of the League began» (21)16. La
ripartizione di Gomme evita quella discordanza fra i paragrafi 1-3 e l’incipit del
successivo § 4 che si ha invece se si interpreta con Kakridis: la frase h] ei[ ti aujtoi;
h] oiJ patevre" hJmw'n bavrbaron h] ”Ellhna povlemon ejpiovnta proquvmw" hjmunavmeqa
di II 36,4 contraddirebbe in tal caso il fatto che furono gli antenati a doversi difendere. Per questo motivo, Kakridis (presumibilmente assumendo che la guerra contro i Greci sia quella che si va combattendo quando Pericle pronuncia il suo discorso) si chiede quale povlemo" bavrbaro" le due generazioni più recenti abbiano da
vantare in aggiunta a quello combattuto dai provgonoi contro i Persiani17.
15
Gomme 1956, 105. Si tratta di un’espressione poco usata comunemente, poiché solitamente i Greci elencavano soltanto tre classi d’età (infanzia, giovinezza e vecchiaia), quando non
addirittura due (Gomme cita come esempio i conflitti giovani-vecchi nella commedia), ma il
medesimo nesso, con identico significato, si trova in Plat. Ep. 3, 316c.
16
Meiggs motiva questa affermazione accogliendo come prove tre serie di eventi storicopolitici: le riforme del 462 – delle quali la più famosa e sconvolgente fu quella di Efialte – che
resero Atene una democrazia più forte e, soprattutto, cosciente della propria forza; il nuovo
corso della politica estera ateniese, in particolare l’alleanza con Argo e la Tessaglia, definita
«an open challenge to Peloponnese» (22); le attività militari della Persia di Artaserse, a causa
delle quali si ebbero il fallimento della spedizione in Egitto e quindi un ridimensionamento
tanto dei sentimenti degli alleati di Atene, quanto dei rapporti interni alla Lega. Lo sviluppo
dell’imperialismo si ha poi negli anni ’50: «during this period all the most important instruments
of the empire had been forged» (Meiggs 1943, 33; cf. ancora Gomme 1956, 105 sul significato
di ejphuxhvsamen).
17
Kakridis 1961, 16. L’osservazione non verrebbe invalidata, qualora pure si accettasse la
proposta di Haase – seguita da molti editori, ma secondo me superflua – di correggere il povlemon
dei codici in polevmion.
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Una posizione intermedia, secondo me risolutiva, è stata prospettata, pur senza
precisazioni e argomentazioni, da G.P. Landmann (1974, 77s.): gli ‘antenati’ sarebbero i combattenti di Maratona e i ‘padri’ quelli di Salamina. Penso di poter dimostrare che questa lettura è la più corretta e la più vicina al testo tucidideo.
3. Le proposte di Kakridis e Gomme, secondo me, sono poco convincenti
nell’individuazione del discrimine tra primo e secondo gruppo. Si nota chiaramente, infatti, che tutti e due trattano le vicende persiane come un unico e indivisibile
evento storico, e che perciò Kakridis pospone ai Persikav il limite tra provgonoi e
patevre", mentre Gomme a essi lo antepone.
Almeno durante il V secolo, però, le guerre persiane non presentano ovunque
queste caratteristiche di unità o di compattezza che i due commentatori assegnano
loro18: la battaglia di Maratona e la vittoria navale di Salamina – che, secondo
l’ottica atenocentrica, dei Persikav costituiscono gli episodi-chiave – furono battaglie separate nel tempo e nello spazio, e caratterizzate diversamente in quanto a
svolgimento, partecipanti, obiettivi raggiunti ed effetti conseguiti.
Eschilo, di cui pure si dice che desiderasse essere ricordato per aver preso parte
al trionfo di Maratona (Paus. I 14,5), tralascia nell’intero svolgimento dei Persiani
l’esaltazione di questa battaglia, così come di quella di Platea, per dare maggiore
risalto alla vittoria navale di Salamina, incentrando su di essa la trama della tragedia. Enzo Degani (1979, 258ss.) ritiene causa di questa selezione l’adesione del
tragediografo alla politica di Temistocle19: «del trionfatore di Salamìs i Persiani
costituiscono una vibrante, appassionata celebrazione», poiché essi «fanno di Salamìs
il vero e proprio elemento centrale del dramma, l’episodio di gran lunga più importante e decisivo delle guerre persiane»; perciò «appena qualche cenno è dedicato a
Marathòn, gloria di Milziade e dunque di Cimone, solo di scorcio si ricorda Plataiài,
che vide il barbaro piegato dalla ‘dorica lancia’»20. Del resto, è un fatto accertato
che in Atene la lotta politica si svolgesse anche attraverso l’uso propagandistico dei
diversi eventi storici, e dunque non stupisce l’atteggiamento del temistocleo Eschilo
in aperto contrasto con la fazione cimoniana, la quale, al contrario, si arrogava il
18
Eccezione alquanto precoce si ha nei Dissoi; Lovgoi, la cui natura essenzialmente retorica,
però, e la cui conseguente ricerca di parallelismi lessicali e grammaticali non consentono di
considerarli documento di analisi storica: 90 B 1,8 D.-K. e[n te tw'/ polevmw/ (kai; ta; newvtata
prw'ton ejrw') aJ tw'n Lakedaimonivwn nivka, a}n ejnivkwn `Aqhnaivw" kai; tw;" summavcw", Lakedaimonivoi"
me;n ajgaqovn, `Aqhnaivoi" kakovn: a{ te nivka, a}n toi; ”Ellane" to;n Pevrsan ejnivkasan, toi'" me;n
”Ellasin ajgaqovn, toi'" de; barbavroi" kakovn. Per una datazione alta dello scritto (ca. 450),
contrariamente a chi lo giudica posteriore al 404 sulla base della tw'n Lakedaimonivwn nivka (e.g.
Untersteiner 1954, 152), vd. Mazzarino 1966, I 288ss.: la ‘vittoria degli Spartani’ sarebbe quella
di Tanagra.
19
Degani 1979, 258 e n. 123 (con ampia bibliografia sull’Eschilo ‘politico’): tale adesione
segna tutto il primo periodo della produzione poetica del tragediografo.
20
Degani 1979, 261. Di Maratona Eschilo parla solo ai vv. 236 e 244, di Platea al v. 817.
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prestigio per la vittoria oplitica. Nicole Loraux scrive che, a fianco dell’esaltazione
aristocratica e conservatrice di Maratona, si costituì nel V secolo «toute une construction
idéologique visant en réalité à rabaisser Salamine, victoire du peuple des rameurs
[…]. L’occultation systématique de Salamine par Marathon est surtout l’œuvre de
Cimon et de son entourage» (1981, 162)21.
La diversità storico-politica delle due battaglie divenne così anche diversità
retorica, quando esse si cristallizzarono in topoi dai contenuti e dagli scopi differenti. È addirittura pensabile, leggendo Erodoto (IX 27,5ss.), che siano state separate nel tempo anche le loro ‘cristallizzazioni’: subito prima della battaglia di Platea, infatti, gli Ateniesi reclamano un posto di riguardo nello schieramento e giustificano la loro pretesa adducendo i fatti di Maratona, ma eludendo Salamina, che
risale soltanto all’anno precedente e che dunque, forse, non è ancora nel loro bagaglio retorico. E se anche, riguardo a questa parziale reticenza degli Ateniesi, ci
si affida all’interpretazione di W. Kierdorf (1966, 99), che vede in essa la volontà
degli oratori di mettere in luce i meriti nelle battaglie di terra, essendo Platea teatro
campale, non si fa che trovare conferma dell’esistenza di una sostanziale peculiarità, dal punto di vista retorico, propria dell’uso e della fruizione di questo topos22.
Per le stesse ragioni di diversità retorica, nel primo libro di Tucidide si trova
una situazione opposta a quella erodotea: l’ambasceria ateniese a Sparta preferisce
incentrare l’apologia della propria polis sulla vittoria navale (I 73,4-75,1), liquidando Maratona in una frase soltanto (I 73,4). Fine di questo logos è infatti dimostrare
la fondatezza etica e giuridica del potere ateniese (I 73,1), e solo la rievocazione
di Salamina consente agli ambasciatori di appellarsi a concetti quali proqumiva,
xuvnesi" e potenza della flotta.
In definitiva, la mia opinione è che, in quanto topoi diversamente caratterizzati
e impiegati, i due episodi – Maratona e Salamina – siano considerati separatamente
anche nella successione generazionale descritta da Tucidide in II 36,1-3, e che,
dunque, uno stesso gruppo di antenati non possa comprenderli entrambi.
In particolare, penso che il limite fra provgonoi e patevre" sia costituito proprio
dalla battaglia navale di Salamina: nel pensiero dello storico, come in parte si è già
21
È inoltre provato dalla studiosa francese che, nonostante le apparenze, la distinzione fra
i due eventi non si interrompe con il IV secolo (ibid. 163s.). Ancora sul significato politico delle
guerre persiane, e sulle loro ricezioni (anche al di fuori di Atene) differenti a seconda delle
contingenze storiche, vd. West 1970, che studia la diffusione degli ideali panellenici nelle reminiscenze letterarie e nelle testimonianze epigrafiche.
22
Kierdorf viene ripreso da Masaracchia 1995, 166. Pregnante nell’esposizione erodotea di
Maratona è anche il verbo mounomacei'n : esso ha un proprio parallelo mitico nella vicenda di
Euristeo, appena raccontata, in cui gli Ateniesi furono ‘gli unici’ a prendere le difese dei figli di
Eracle (IX 27,2 mou'noi ... th;n Eujrusqevo" u{brin kateivlomen), ma serve anche a controbilanciare
dialetticamente quanto vantato dai Tegeati (rivali degli Ateniesi nella contesa): l’episodio mitico
del duello uno-contro-uno fra il tegeate Echemo e Illo, campione degli Eraclidi (Hdt. IX 26,3-5;
vd. ancora Kierdorf 1966, 99s.).
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visto, essa costituiva un evento cruciale non solo per la Grecia intera23, ma per la
stessa città di Atene. Come più o meno esplicitamente viene lasciato intendere più
volte nel corso del primo libro, la preparazione della battaglia24, i presupposti per
poterla combattere25, lo svolgimento stesso del confronto26 sono le condizioni prime
e necessarie per l’acquisizione dell’ajrchv da parte di Atene e sono, dunque, condizioni che appartengono ai ‘padri’.
In conclusione, la scansione temporale che Tucidide, secondo me, ha più verosimilmente immaginato all’inizio dell’Epitafio, perciò, coincide con queste date:
provgonoi = dal periodo mitico di Atene, del quale viene rimarcata l’autoctonia,
fino a Maratona, che è simbolo della preservata libertà territoriale, poiché
rappresenta la vittoria ottenuta senza abbandonare la cwvra
patevre" = generazione a cui appartengono Temistocle e Cimone e che, a partire da
Salamina (e per mezzo di Salamina: oujk ajpovnw") fino agli anni ’60 del V
secolo, non fa che aggiungere ajrchv al territorio già posseduto
hJmei'" = generazione di Pericle e di coloro che aumentano qualitativamente l’impero e che si dedicano a coltivare virtù civili e politiche
Di fronte ai 60 anni di storia che il secondo e il terzo gruppo si spartiscono
quasi esattamente, può sembrare dilatato in maniera eccessiva il periodo compreso
nella generazione degli antenati27; ancora, nel primo gruppo, stupisce la coesistenza
delle dimensioni mitica e storica, quasi che esse siano sottoposte a un medesimo
processo conoscitivo28; inoltre, la cesura situata a metà fra le due guerre persiane
spezza di fatto anche quella generazione che combatté in entrambe e di cui né
Pericle né Tucidide potevano non avere memoria; poco comprensibili, infine, rischiano di essere l’esclusione di fatti di estrema importanza, quale la fondazione
23
Salamina è la prima occasione storica, dopo il lungo periodo delle tirannidi, in cui i Greci
compiono qualcosa di comune accordo (koinh'/ ) ed è, allo stesso tempo, causa prima della divisione delle città fra filoateniesi e filospartane: Thuc. I 18,2 koinh'/ te ajpwsavmenoi to;n bavrbaron,
u{steron ouj pollw'/ diekrivqhsan pro;" `Aqhnaivou" te kai; Lakedaimonivou" oi{ te ajpostavnte"
basilevw" ”Ellhne" kai; oiJ xumpolemhvsante". dunavmei ga;r tau'ta mevgista diefavnh: i[scuon
ga;r oiJ me;n kata; ghvn, oiJ de; nausivn.
24
Thuc. I 18,2 oiJ `Aqhnai'oi ejpiovntwn tw'n Mhvdwn dianohqevnte" ejklipei'n th;n povlin kai;
ajnaskeuasavmenoi ej" ta;" nau'" ejsbavnte" nautikoi; ejgevnonto.
25
Thuc. I 74,1 triva ta; wjfelimwvtata ej" aujto; parescovmeqa, ajriqmovn te new'n plei'ston
kai; a[ndra strathgo;n xunetwvtaton kai; proqumivan ajoknotavthn.
26
Thuc. I 93,4 [oJ Qemistoklh'"] th'" ga;r dh; qalavssh" prw'to" ejtovlmhsen eijpei'n wJ" ajnqekteva
ejstiv, kai; th;n ajrch;n eujqu;" xugkateskeuvazen.
27
Già Kakridis aveva parlato di una suddivisione «völlig ungleich und unberechtig» (1961,
11), ma per lui erano completamente sbilanciati anche gli ultimi due gruppi (35 anni i ‘padri’ e
15 i contemporanei).
28
Ciò che Gomme vuole presumibilmente evitare delimitando i patevre" agli anni 490-465.
I momenti della storia greca in Thuc. II 36,1-3
101
della Lega29, e la scelta di affidare il riassunto della storia patria all’evocazione di
simboli piuttosto che a descrizioni puntuali. Tutte queste difficoltà sono però facilmente superabili.
4. La selezione degli eventi da evidenziare, la scansione dei momenti storici
e la presentazione dei dati, infatti, rispondono qui alle esigenze retoriche di Pericle
e non più, come nell’Archeologia e nella Pentecontaetia, a quelle storiografiche di
Tucidide. La tripartizione di II 36,1-3 – sintatticamente bilanciata e tesa a una
climax formale e concettuale ascendente30 – e il carattere evocativo dei simboli
usati garantiscono un forte impatto retorico e tolgono importanza a eventuali tentativi
volti a una ricostruzione storica più puntigliosa, come ad esempio la ricerca di un
maggiore equilibrio tra le generazioni. Si consideri poi che già nell’Archeologia il
tema delle guerre persiane era trattato alla pari dei palaiav (vd. I 20,1), e che
comunque qui decade quell’istanza tucididea di esaminare separatamente fatti antichi e fatti più recenti, istanza che aveva determinato la creazione di due diversi
excursus nel primo libro, ma che ora, come anche negli altri epitafii, non ha valore
poietico.
Inoltre, come già la stessa sinteticità dell’elogio del gevno" – si è detto – è in
funzione di una maggiore attenzione dedicata a quello della patria, così anche i
criteri della selezione sottostanno alla funzione proemiale di questi paragrafi. In
essi domina una particolare analisi dell’accrescimento i n t e r n o della potenza
ateniese, compiuta attraverso una linea che riesce contemporaneamente a introdurre
l’argomento principale dell’Epitafio, cioè a mettere in primo piano Atene soltanto.
La natura di tale analisi, perciò, esclude episodi storici che, sebbene importanti,
risultano estranei alla linea cwvra - ajrchv - povli" aujtarkestavth. Diversamente, ciò
che univa tra loro gli excursus storici del primo libro era sì lo sviluppo della
potenza di Atene, ma innanzitutto i n r e l a z i o n e a l l e a l t r e r e a l t à p o l i t i c h e della Grecia, in un confronto continuo che dal passato mitico giungeva
fino ai prodromi della guerra peloponnesiaca, considerata come ultimo e massimo
evento originatosi dall’interazione tra le povlei"31.
Dunque, tanto per gli argomenti trattati e per la loro esposizione, quanto, soprattutto, per la scansione dei momenti e per la scelta degli episodi-cardine, la storia
29
Kakridis, invece, aveva esplicitamente citato il 478 come limite fra antenati e padri.
Kakridis 1961, 13s.
31
Thuc. I 1. La guerra di Troia viene così ricordata, nell’Archeologia, come la prima
occasione che l’Ellade ebbe per compiere qualcosa in comune (I 3,1 pro; ga;r tw'n Trwikw'n oujde;n
faivnetai provteron koinh'/ ejrgasamevnh hJ ~Ellav") e lo stesso si dice di Salamina al termine del
periodo delle tirannidi (I 18,2); nella Pentecontaetia, invece, l’evento capitale, in quanto cardine
della struttura bipartita di questo excursus, è la fondazione della Lega (I 96), considerata, appunto, inaugurazione dei rapporti tra Atene e gli alleati, mentre uno dei fatti più a lungo trattati (I
89,3-93,1) è la questione diplomatica a monte della costruzione delle Lunghe Mura (più che la
costruzione stessa).
30
102
BIAGINI
greca presentata in II 36,1-3 costituisce una ‘alternativa’ allo stesso Tucidide. Si
può parlare propriamente di una complementarità fra le due sintesi storiche – quella
del primo libro e quella dell’Epitafio? O piuttosto, nell’economia dell’opera, sono
indipendenti l’una dall’altra? Di certo, per sua natura, il discorso funebre di Pericle
è difficilmente assimilabile ai più canonici logoi tucididei, la cui stretta connessione con il récit alcuni critici moderni hanno riconosciuto32: la forma epidittica e i
temi trattati contribuiscono a classificarlo come unicum, come «texte un peu à
part»33. D’altro canto, però, anche chi, come Flashar, ha negato una piena e immediata validità storica a questo discorso, è pur sempre pronto ad ammettere che vi si
mostra un Pericle tucidideo, non appena viene concessa alla modernità una lode
maggiore che alla gloria del passato (1969, 14): nonostante le ambiguità interpretative
che l’Epitafio può generare, perciò, rimangono comunque legami anche sostanziali
con il resto delle Storie34.
La dissonanza che ho rilevato tra logos ed ergon è certamente minima e, dissimulata all’interno di un’accuratissima elaborazione retorica, risulta poco percettibile. Essa, tuttavia, testimonia a mio parere una divergenza, nella rilettura della
materia storica, tra Pericle e Tucidide. Inoltre, proprio per questo suo carattere
marginale, l’interpretazione di questa dissonanza e la sua comprensione all’interno
dell’opera tucididea vanno oltre il tanto celebrato tentativo storiografico di «rimanere saldo alla xuvmpasa gnwvmh di ciò che realmente si disse» (I 22): mi sembrano
concorrere qui anche vere e proprie istanze di caratterizzazione letteraria.
LORENZO BIAGINI
32
Si vedano, ad esempio, pur se limitati a specifici ambiti di ricerca, Immerwahr 1973 e
Vattuone 1981 (in particolare 238): per entrambi narrazione e discorsi sono manifestazioni di un
unico «modello retorico, inteso come forma di conoscenza reale» (Vattuone, l.c.) ed esprimono
sostanzialmente le stesse idee (Immerwahr 1973, 31). Al fine di collocare storicamente questa
tendenza della filologia moderna, interessante è ancora Immerwahr 1973, 16 e (sull’Epitafio in
particolare) 26: egli critica alcune ‘recenti’ letture (nello specifico caso di II 35ss. la critica è
diretta a Flashar 1969) che hanno interpretato i discorsi in chiave troppo ‘drammatica’, subordinandoli così alla parte narrativa.
33
De Romilly 1967, XXV.
34
Vd. ad esempio Reinhardt 1960, 212ss., che descrive la narrazione tucididea della peste
come una ‘risposta’ all’esaltazione di Atene fatta da Pericle pochi capitoli prima. Cf. anche
Canfora 1991, 9ss.: proprio relativamente alla trattazione della materia storica, Archeologia ed
Epitafio costituiscono insieme un unico bersaglio di polemica anti-tucididea nel Panegirico di
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I momenti della storia greca in Thuc. II 36,1-3
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