Universita` degli Studi di Pisa

Universita' degli Studi di Pisa
Facolta' di Scienze Matematiche Fisiche e
Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2001-2002
Tesi di Laurea
Analisi dello spettro energetico di protoni
generati da interazione ultra-intensa laserplasma
Candidato
Evelina Breschi
Relatore
Prof. Danilo Giulietti
Ringraziamenti
Non credevo che, nella tesi, fosse difficile anche scrivere i
ringraziamenti; d’altra parte tenere in considerazione tutti quanti hanno
partecipato (tecnicamente e non) al lavoro senza incappare in un poema
non è cosa facile!
Dunque, per cominciare voglio ringraziare il Prof. Danilo Giulietti che
mi ha dato la possibilità di svolgere questo lavoro e per i suoi preziosi
suggerimenti. Ugualmente tengo ad esprimere la mia gratitudine al Dott.
Marco Borghesi per la sua incredibile disponibilità sia nell’accogliermi a
Belfast sia durante tutto il corso del lavoro.
Entrambi i laboratori in cui sono stata accolta, l’IPCF – CNR di Pisa e la
Queen’s University of Belfast, sono accumunati da un clima amichevole
che rende la permanenza estremamente piacevole. Grazie a tutto il
gruppo dell’IPCF: Antonio, Leonida, Paolo, Luca, Alessio, Monica,
Flavio, Paola, Petra, Gabriele e Carlo Alberto ed in particolare a Marco
per la sua smisurata pazienza! Grazie a Lorenzo ed a tutti coloro che ho
incontrato a Belfast, dove ho trascorso un periodo meraviglioso.
É indispensabile ricordare anche Angelo ed Hamish dell’Imperial
College di Londra, sempre pronti a rispondere alle mie richieste
Naturalmente quache riga deve essere dedicata agli amici: tutti quanti mi
hanno “sopportato” anche nei periodi di maggiore stress (che posso
immaginare non sia cosa facile!). In particolare Luca, senza il quale non
so come farei; Riccardo, la cui pazienza è proporzionale alla capacità di
stressare! Nicola, anche per il valido supporto tecnico!
Infine non possono assolutamente mancare i miei genitori ed il resto della
famiglia, qui le parole, però, non basteranno mai (anche se a volte non è
così evidente).
Indice
Indice
Ringraziamenti
Introduzione
1 Accelerazione di protoni
1.1
Parametri caratteristici del plasma
1.2
Interazione laser-materia
1.3
Interazione laser-plasma
1.4
Accelerazione di protoni
1.4.1
1.5
2
Modello di campo
Interazione protoni-materia
1.5.1
Stopping power
1.5.2
Range
1.5.3
Straggling
Apparato sperimentale
2.1
Configurazione dell’apparato
2.2
Il sistema laser
2.3
3
2.2.1
L’oscillatore principale
2.2.2
Chirped-pulsed-amplification
Il rivelatore
2.3.1
Struttura e configurazione
2.3.2
Principali caratteristiche
Sviluppo ed analisi dati
3.1
Trattamento delle immagini
3.2
Ricostruzione dello spettro
3.3
Programma di analisi Montecarlo
3.3.1
Perdite di energia nucleari
3.3.2
Perdide di energia elettroniche
3.4
Proprietà delle curve di Bragg
3.5
Verifica dell’algoritmo
3.5.1
Prima Verifica
Indice
3.5.2
4
Seconda Verifica
Risultati sperimentali
4.1
Composizione del fascio
4.2
Risultati dell’analisi
4.3
4.2.1
Shot 260905
4.2.2
Shot 171002
4.2.3
Shot 070905
4.2.4
Shot 230807
4.2.5
Shot 300803
4.2.6
Shot 310806
Osservazioni
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
Introduzione
Quando un impulso laser ultra-intenso interagisce con un bersaglio solido, una
parte significativa dell’energia del laser è trasformata in particelle cariche
energetiche.
Uno dei più interessanti risultati in quest’area di ricerca è stata
l’osservazione di fasci di protoni: in molti esperimenti realizzati con differenti
sistemi laser ed in diverse condizioni d’interazione sono stati rivelati protoni di
energie superiori alle decine di MeV al di là della superficie posteriore del
bersaglio irradiato. I fasci di particelle sono ortogonali alla superficie posteriore
del bersaglio ed hanno divergenza angolare limitata.
Visto che i protoni sono
stati prodotti anche da bersagli metallici, cioè da materiali che non contengono
idrogeno, è uniformemente accettato che derivino dalle impurità di idrocarburi
presenti sulla superficie e nel volume del bersaglio.
Se l’origine dei protoni
sembra accertata, la discussione resta ancora aperta riguardo al campo
responsabile della loro estrazione.
Tra le diverse teorie formulate, la più
accreditata propone il campo elettrostatico formato dagli elettroni veloci,
accelerati durante l’interazione, sulla superficie posteriore del bersaglio.
Le proprietà di questi fasci (la piccola dimensione della sorgente, l’alto grado
di collimazione, la breve durata e la dipendenza in energia dalle caratteristiche
del bersaglio) li rendono particolarmente interessanti in vista di future
applicazioni in domini scientifici diversi; per esempio:
-
nello studio di campi elettrici e magnetici generati durante l’interazione di
un impulso laser ultra-intenso con un plasma di alta densità;
-
nell’analisi di materiali ad alta densità;
-
negli studi di fusione a confinamento inerziale;
-
in fisica medica, dove possono essere sfruttati come sorgente per
“radiografie”.
I dati presentati in questa tesi sono stati prodotti durante degli esperimenti
realizzati nella Central Laser Facility del Rutherford Appleton Laboratory, sede
del sistema laser Vulcan.
In particolare il mio lavoro concerne sull’analisi di
dati raccolti in un esperimento collaborativo tra la Queen’s University of Belfast
Introduzione
e l’IPCF (Istituto per i Processi Chimico Fisici) del CNR di Pisa.
In effetti il
mio lavoro è cominciato presso la Queen’s University, dove sono stata per circa
tre mesi, e si è concluso all’IPCF.
Il contenuto di questa tesi consiste nella caratterizzazione di alcune proprietà
del fascio di protoni generato, come il numero di protoni presenti, la loro
distribuzione spaziale e quella energetica a partire dal segnale che il fascio
produce su di un rivelatore formato da un pacchetto di film radiocromici (RCF).
La tecnica di rivelazione si basa sulle proprietà dei film radiocromici di variare la
propria densità ottica a seguito dell’irraggiamento con radiazione ionizzante.
Per poter determinare lo spettro di energia del fascio di protoni è necessario
conoscere la risposta dei vari fogli di RCF a fasci monocromatici e
monodirezionali; a questo scopo è stato usato un programma di simulazione
Montecarlo.
Dopo che la validità del metodo di analisi è stata testata su fasci
simulati di protoni, l’algoritmo è stato applicato a diversi eventi (shots) ottenuti
irradiando, a differenti intensità, bersagli dello stesso materiale (Al) ma di
spessore diverso.
Cap. I Accelerazione di protoni
Capitolo I
Accelerazione di protoni
In generale, quando la radiazione di un laser di potenza investe un qualsiasi
mezzo, questo rapidamente si ionizza e si crea un plasma.
Gli elettroni liberi
oscillano nel campo del laser e, a seconda del valore di intensità e lunghezza
d’onda, possono raggiungere velocità relativistiche.
Ad esempio, per la
lunghezza d’onda di un laser a Neodimio (λ = 1 µm), velocità relativiste vengono
raggiunte per intensità che eccedono ∼ 1018 W/cm2. Fissata una certa lunghezza
d’onda, le intensità per le quali il movimento dell’elettrone nel campo
elettromagnetico risulta relativistico sono dette appunto relativistiche.
Gli
elettroni più energetici attraversano lo spessore del bersaglio ionizzando la
materia anche dove la luce laser non arriva e creano, sulla superficie posteriore,
le condizioni necessarie alla formazione di un campo elettrostatico in grado di
estrarre un fascio di ioni.
Tra i possibili ioni che possono essere accelerati,
diversi a seconda della natura del bersaglio, i protoni, che sono i più leggeri, sono
quelli che risentono di più dell’azione del campo.
In questo capitolo ci si appresta ad introdurre le nozioni fondamentali
necessarie a comprendere gli esperimenti e ad elaborare dei semplici modelli per
interpretarli. Prima di tutto si definiscono i parametri caratteristici di un plasma
e successivamente si introducono brevemente i seguenti argomenti:
•
creazione di un plasma per ionizzazione di un bersaglio di alluminio;
•
interazione laser-plasma e generazione di elettroni veloci;
•
formazione del campo di estrazione di protoni.
Infine si introduce la dinamica d’interazione di un fascio di protoni in un
mezzo solido, necessaria per capire il funzionamento del rivelatore e il
procedimento implementato per analizzare i dati.
1
Cap. I Accelerazione di protoni
1.1
Parametri caratteristici del plasma
Per cominciare ricordiamo che si definisce plasma un insieme di particelle
cariche la cui concentrazione è sufficientemente alta da mantenere la neutralità
macroscopica, cioè il loro numero è tale che le proprietà statistiche dell’insieme
sono determinate dall’interazione a lungo raggio coulombiana, piuttosto che dalle
forze di interazione tra i primi vicini.
Un plasma è caratterizzato da una serie di grandezze macroscopiche: le
temperature degli elettroni e degli ioni, Te e T i, la densità elettronica ne e lo stato
di carica medio del plasma Z .
A partire da questi parametri si derivano le
altre grandezze caratteristiche: la frequenza di plasma,
D
p,
la lunghezza di Debye,
e la lunghezza di scala L.
La luce laser che si propaga in un plasma è descritta dalla seguente relazione
di dispersione:
2
l
( 1.1 )
dove
l
=
2
p
+ kl2c 2
e kl sono, rispettivamente, la pulsazione e il vettore d’onda del laser e c
è la velocità della luce nel vuoto.
Se ammettiamo che siano gli elettroni a spostarsi mentre gli ioni restano fermi
nelle loro posizioni di equilibrio, per
( 1.2 )
p
=
p
si trova la seguente espressione:
4 ne e 2
m
in cui m ed e sono, rispettivamente, la carica e la massa dell’elettrone.
La frequenza di plasma definisce il limite inferiore delle frequenze di un’onda
elettromagnetica che può propagarsi in un plasma.
Si definisce la densità
elettronica critica quella per cui la frequenza del laser è uguale alla frequenza
propria del plasma:
( 1.3 )
p
=
l
? nc (cm −3 )= 1.1 ↔10 21
( m)
−2
in cui λ è la lunghezza d’onda del laser.
Nelle regioni in cui
ne
nc il plasma è detto
sovra-critico, e non c’è
propagazione di radiazione elettromagnetica se non sotto forma di onde
evanescenti; il vettore d’onda, infatti, diviene immaginario (Eq.1.1) e
2
Cap. I Accelerazione di protoni
l’andamento dell’intensità della radiazione elettromagnetica in funzione della
coordinata di propagazione risulta un esponenziale decrescente. Nelle regioni in
cui ne
nc, il plasma è sotto-critico, ed un’onda elettromagnetica si può
propagare.
Il parametro che caratterizza il comportamento collettivo del plasma è la
lunghezza di Debye (
D),
che definisce il limite macroscopico entro il quale il
plasma è neutro, ossia la dimensione in cui la compensazione di carica può anche
non avvenire.
Ogni specie ionica (oltre agli elettroni) presente nel plasma ha
una propria lunghezza di Debye il cui quadrato è proporzionale alla temperatura
della specie ed inversamente proporzionale alla sua densità; nel caso di elettroni
a temperatura Te si ha:
( 1.4 )
D
=
ve
=
p
kTe
4 ne e 2
Un altro parametro fondamentale è la lunghezza di scala, definita in ogni
direzione come:
1 1 n
=
L
n x
( 1.5 )
Anche L come
D
è definita per gli elettroni e per ogni specie ionica che
compone il plasma.
Quando un fascio laser, cioè un’onda elettromagnetica. si propaga nel plasma,
si ha un trasferimento di impulso dall’onda al plasma stesso attraverso la forza
r
r
ponderomotiva ( Fp ) che dipende dal gradiente d’intensità del laser ( ∇ Il ). In
pratica si tratta di un effetto che tende a spingere le particelle cariche fuori dalle
zone dove il campo è più intenso. La forza ponderomotiva è indipendente dalla
carica delle particelle ma dipende dalla massa per cui gli elettroni, che sono
molto leggeri rispetto agli ioni presenti, sono quelli che ne risentono di più. Per
derivare l’espressione nel caso di elettroni non relativistici si parte dall’equazione
fluida elettronica, si decompone la velocità nei due termini lineare e non lineare,
e si segue lo sviluppo di quest’ultimo su un periodo laser:
3
Cap. I Accelerazione di protoni
r
r
∇Il
Fp = −
2cn c
( 1.6 )
Nella regione di plasma sovra-critico, cioè quella in cui la luce laser non si
r
propaga, Fp è nulla.
La forza ponderomotiva può essere vista come un
r
r
gradiente di un potenziale ( Fp = −∇Φ p ) ,la cui espressione si ricava dal
confronto con Eq.1.6:
Φp =
( 1.7 )
Il
2cnc
Nel caso relativistico, la densità critica aumenta del fattore di
Lorentz medio
<γ>; di conseguenza la forza ponderomotiva è depressa della medesima quantità
[ 2 ].
1.2 Interazione laser-materia
In tutte le esperienze presentate in questa tesi, il laser è focalizzato su un
bersaglio solido di alluminio e la sua intensità è tale da consentire la ionizzazione
dell’area del bersaglio su cui incide, in una frazione di ciclo di oscillazione del
campo elettromagnetico.
La ionizzazione può avvenire per fenomeni diversi a seconda del regime di
interazione:
•
Per collisioni [3]; con un impulso lungo è sufficiente che si liberino
alcuni elettroni perché la ionizzazione si completi a causa delle collisioni
elettrone/ione o elettrone/atomo.
In pratica gli elettroni, sotto l’azione
del campo elettrico del laser, oscillano nel mezzo e lo ionizzano, con un
processo del tipo :
( 1.7 )
e- + M → 2 e- + M+
in cui con M si indica un generico atomo.
•
Per assorbimento di più fotoni da parte di un atomo [3]; questo
meccanismo è noto come multiphoton ionization.
In pratica, anche se
l’energia di ogni singolo fotone è inferiore a quella necessaria a
permettere una transizione del sistema atomico, la luce laser ne mette a
disposizione una quantità tale da permettere la separazione elettrone-ione:
4
Cap. I Accelerazione di protoni
M+m(h )
( 1.8 )
M+ + e-
dove m è il numero di fotoni assorbiti.
•
Per azione diretta del laser; in effetti se il campo elettrico è
sufficientemente alto può abbassare la barriera di potenziale, che
mantiene l’elettrone in orbita intorno al nucleo, tanto da permettergli di
fuoriuscire. Questo è il caso di ionizzazione per effetto tunnel [4] .
Tra gli ultimi due, il meccanismo dominante può essere individuato da una
stima del parametro di Keldysh [4, 5], che rappresenta il rapporto tra il tempo che
un elettrone impiega ad attraversare la barriera di potenziale ed un periodo di
campo elettromagnetico:
( 1.9 )
k
 E 
=  i 
 2Φ P 
dove Ei è il potenziale di ionizzazione dell’atomo e ΦP è il potenziale
ponderomotore. Se
k
>1, il campo elettrico non è abbastanza intenso da riuscire
ad abbassare la barriera di potenziale e la ionizzazione sarà soprattutto multifotonica; d’altra parte, se
k
<1, ci sarà ionizzazione tunnel.
Nel nostro caso l’energia di ionizzazione media per l’alluminio,
dell’ordine del keV [6].
Ei(Al13+), è
Per quanto riguarda il potenziale ponderomotore è
necessario distinguere due casi. Infatti, l’impulso principale di un laser ad alta
potenza è preceduto da un pre-impulso, molto più debole, ma sufficiente a creare
un plasma [Cap II Fig 2.6 ].
Quando sul campione arriva il pre-impulso, cioè
una radiazione di intensità IPd ≈ 1012 Wcm-2, il potenziale ΦP è di circa 10 eV,
ossia molto minore di Ei(Al13+).
Dunque all’inizio dell’interazione il
meccanismo dominante sarà la ionizzazione multi-fotonica.
dell’impulso principale, la situazione cambia.
All’arrivo
L’intensità è dell’ordine di 1019
Wcm-2 e ΦP è dell’ordine 103 keV, cioè molto maggiore di Ei(Al13+); per cui il
meccanismo dominante è la ionizzazione tunnel.
5
Cap. I Accelerazione di protoni
1.3
Interazione laser-plasma
Il plasma prodotto nell’impatto del
pre-impulso sul bersaglio metallico, si
espande nel vuoto davanti alla superficie anteriore del bersaglio con
una velocità dell’ordine di quella del suono ( cs ≅ 107 ÷ 108 cm / sec ).
Figura 1.1: Quando laser arriva sul bersaglio solido si crea un plasma che tende ad
espandersi nel vuoto.
L’interazione tra l’impulso laser ed il plasma prodotto è densa di fenomeni
che sono più o meno importanti a seconda del regime a cui avviene. In questo
contesto ci si propone di dare un’idea delle condizioni di generazione del fascio
di protoni.
La loro accelerazione non può essere dovuta direttamente al laser,
così come prevedono le stime teoriche. Si ritiene, viceversa, responsabili della
formazione del campo di estrazione dei protoni siano gli elettroni energetici. In
effetti sono proprio gli elettroni, data la loro massa, che assorbono la maggior
parte della luce del laser [7].
Quando un impulso laser di breve durata attraversa un plasma sotto-critico, la
forza ponderomotiva agisce, sia longitudinalmente che trasversalmente, su
6
Cap. I Accelerazione di protoni
elettroni e ioni; tuttavia quest’ultimi per la loro inerzia rimangono fermi mentre
gli elettroni vengono espulsi dalla regione in cui il campo laser è più intenso.
Quando il waist del fascio laser è maggiore della lunghezza d’onda di plasma
la componente longitudinale della forza ponderomotiva è quella dominante e
determina la formazione di zone di carica positiva e negativa, cioè di un campo
elettrostatico di richiamo (wake-field).
Quindi, dopo il passaggio della
radiazione, gli elettroni oscillano alla frequenza di plasma.
In pratica ogni
impulso laser lascia dietro di sè una “scia” di oscillazioni caratterizzate da un
campo elettrico longitudinale che accelera gli elettroni.
Affinché questo
fenomeno possa svilupparsi è necessaria una precisa proporzionalità tra la durata
dell’impulso laser ed il periodo di oscillazione di plasma, e quindi la densità
elettronica [8]. In generale si ha la possibilità che si sviluppi wake-field quando
la durata del laser è ultra-breve (tempo di durata dell’ordine delle decine di
femtosecondi).
Se
questa
proporzionalità
non
è
rispettata,
però,
l’automodulazione dell’impulso laser stesso può creare le condizioni utili per cui
l’accelerazione abbia ugualmente luogo, allora si parla di self-modulated
wakefield [9, 10].
In questo caso l’onda elettromagnetica ( ωl, kl ), decade in
un’onda di plasma ( ωp, kp ) e in un’onda di luce ( ωl-ωp, k l- k p ), per instabilità
Raman stimolata.
Se la lunghezza di scala del plasma L, è sufficientemente piccola rispetto a
quella del laser λ, l’ampiezza di oscillazione di un elettrone nel campo laser è
tale da permetterli di fuoriuscire dal plasma nel vuoto. Nel corso di un periodo di
oscillazione, però, l’elettrone sarà spinto nuovamente nel plasma, con un energia
tale da riuscire a penetrare nel bersaglio e ionizzarne la regione più interna: in
questo fenomeno (noto come vacuum heating [11] ) è il campo laser stesso che
provvede all’accelerazione.
Il vacuum heating è un effetto che si manifesta ad
elevata intensità, ma non necessariamente relativistiche.
Quando entriamo nel
range delle intensità relativistiche si producono ulteriori meccanismi di
accelerazione degli elettroni. Siccome in questo caso la densità critica aumenta
di un fattore <γ>, la luce laser riesce a propagarsi più in profondità.
A queste
intensità il termine magnetico nella forza di Lorentz non può essere trascurato.
7
Cap. I Accelerazione di protoni
Il moto degli elettroni, in un’onda polarizzata linearmente, si sviluppa nel piano
r r
r
k , E in forma di un “8” tanto più allungata lungo k quanto più elevata è
l’intensità (Fig.1.2).
E
B
k
Figura 1.2: Moto di un elettrone libero in un onda piana polarizzata linearmente.
Quindi anche il campo magnetico laser imprime agli elettroni
un’accelerazione parallela alla direzione di propagazione della radiazione stessa.
Per via della discontinuità che si presenta nel modo di propagazione dell’onda
elettromagnetica alla densità critica, oltre la quale non c’è più campo magnetico
oscillante, sugli elettroni che stanno oscillando viene a mancare la forza di
richiamo quindi continuano a penetrare nel plasma sopra-critico e nel solido
r r
( J ↔B heating) [11].
Benchè gli elettroni del plasma non siano in una situazione di equilibrio
termico durante l’impulso laser, essi possono essere schematicamente descritti
come divisi in due popolazioni: una a temperatura più alta (elettroni energetici)
ed una a temperatura più bassa (elettroni freddi).
1.4
Accelerazione di protoni
8
Cap. I Accelerazione di protoni
La formazione dei fasci di protoni, dalla loro scoperta, è stata argomento di
forte dibattito. Un punto di accordo tra le diverse teorie è la loro provenienza;
sembra, infatti, accertato che nei bersagli metallici si formino dalle impurità di
idrocarburi, dovuti ai depositi di oli della camera a vuoto, presenti sulla
superficie e nel volume del bersaglio [12].
É, dunque, l’idrogeno di questi
idrocarburi a fornire i protoni che saranno poi accelerati.
Ad intensità dell’ordine di 10 19 W/cm2 i protoni non possono essere accelerati
direttamente dal campo elettromagnetico associato alla radiazione; nonostante
questo essi acquisiscono ugualmente un impulso diretto lungo la normale alla
superficie posteriore del bersaglio grazie al campo di separazione di carica.
Tra i diversi meccanismi proposti di accelerazione, i più accreditati sono due.
Il primo prevede che i protoni siano generati sulla superficie anteriore del
bersaglio (da cui il nome front surface acceleration), cioè quella colpita dal laser.
In seguito sono accelerati nel volume ed espulsi ortogonalmente alla superficie
posteriore [13].
I protoni, dunque, si propagano nella direzione di espansione
del plasma all’interno del bersaglio e l’accelerazione è attribuita allo spostamento
di carica dovuto al movimento degli elettroni.
Questa teoria giustifica,
effettivamente, alcune caratteristiche del fascio di protoni (come per esempio la
piccola apertura radiale) ma l’evidenza sperimentale sembra, tuttavia, favorire il
secondo meccanismo, detta back surface acceleration [14, 15].
Questo
meccanismo, come vedremo, considera responsabile della formazione del fascio
di protoni l’accelerazione elettrostatica planare dovuta ad un guscio di elettroni
altamente energetici che si forma sulla superficie posteriore del bersaglio.
Attribuire l’accelerazione ad un unico meccanismo è, comunque, piuttosto
limitativo.
In effetti potrebbero essercene altri come, per esempio,
l’accelerazione dovuta ad esplosione coulombiana 1 [16] oppure quello dovuto ai
campi elettrici interni al plasma.
I contributi relativi di questi meccanismi
dipendono dalle caratteristiche del regime di interazione.
D’altra parte per
impulsi laser così intensi la maggior parte dell’energia è trasferita agli elettroni;
1
Per esplosione coulombiana s’indende la reazione repulsiva dovuta all’eccesso di carica positiva
lasciato dallo spostamento degli elettroni.
9
Cap. I Accelerazione di protoni
supporre, quindi, che sia la loro ridistribuzione ad accelerare gli ioni è più che
ragionevole [17].
A questo punto si introduce un modello, semplice, per stimare il campo
d’estrazione dei protoni secondo la teoria di formazione sulla superficie
posteriore del bersaglio.
1.4.1 Modello di campo
Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, l’arrivo di un fascio laser
ultra-intenso sul bersaglio solido produce un gran numero di elettroni energetici
in grado di penetrare nel materiale anche dove la luce laser viene riflessa. Solo
pochi di loro riescono ad uscire dal campione prima che questi sia
sufficientemente carico da far sì che il potenziale coulombiano ne intrappoli la
maggior parte. Quelli che restano oscillano nel mezzo e lo ionizzano[14].
Gli elettroni veloci che rimangono nel volume del bersaglio sono solo una
piccola parte del numero totale prodotto nell’interazione, la loro densità è molto
minore di quella critica e l’energia che assorbono dalla radiazione laser può
essere valutata dal bilancio energetico:
n H TH c ≈ I l
( 1.10 )
con nH e TH, rispettivamente, energia e densità di elettroni energetici,
parametro che caratterizza l’efficienza di conversione dell’energia del laser in
elettroni veloci, e I l intensità della radiazione.
C
D
Gli elettroni freddi, che hanno
sufficientemente piccola rispetto alle dimensioni del plasma, rimangono nel
campione e permettono la formazione di una densità di carica positiva in grado di
confinare gli elettroni più energetici in un guscio, detto “Debye sheat” (Fig 1.3)
sulla superficie posteriore del campione.
La condizione necessaria alla
formazione di questo schermo è che la lunghezza di scala degli ioni (L) sia
uguale alla lunghezza caratteristica di Debye degli elettroni veloci
infatti,
H
D
è più grande di L gli elettroni escono dal bersaglio e non
10
H
D
.
Se,
Cap. I Accelerazione di protoni
Figura 1.3: meccanismo di accelerazione dei protoni dal campo elettrostatico formato dagli
elettroni energetici sulla superficie posteriore del bersaglio.
Visto che la superficie posteriore, all’inizio dell’interazione, non è perturbata,
Li è determinata, proprio dalla sua geometria. L’ipotesi fatta è che gli elettroni si
dispongano a formare uno strato parallelo proprio alla superficie posteriore del
bersaglio, generando un campo elettrostatico in grado di accelerare protoni
ortogonalmente ad esso.
Benchè la temperatura e la lunghezza di Debye degli
elettroni energetici (rispettivamente TH e
H
D
) siano grandezze dinamiche si può
stimare il campo di accelerazione dai loro valori iniziali:
r
E=
( 1.11 )
TH
nˆ
e min ( HD , L )
dove con nˆ s’intende il versore normale alla superficie posteriore.
La produzione di protoni energetici sarà, quindi, più efficiente quanto più alta è
la temperatura degli elettroni energetici e più piccola è la lunghezza di scala degli
ioni. Sono stati fatti diversi esperimenti per verificare la validità di quest’ipotesi
e, effettivamente, è stato osservato che il fascio di protoni si attenua
bruscamente, fino a quasi sparire, se sulla superficie posteriore del foglio viene
pre-formato un plasma [14]. Infatti la L nel caso ci sia plasma è maggiore di L
in assenza di perturbazione
È stato, anche, dimostrato come la forma della
superficie posteriore del bersaglio influenzi l’emissione e la direzione del fascio
prodotto [18, 19].
Per esempio, per poter osservare un fascio ben collimato è
11
Cap. I Accelerazione di protoni
necessario che il campione irradiato abbia una superficie posteriore liscia anziché
una ruvida, ed una eventuale curvatura può focalizzare o de-focalizzare il fascio
a seconda che sia concava o convessa [ 18 ].
Visto che il campo si crea sulla superficie posteriore del bersaglio grazie agli
elettroni accelerati nella parte anteriore, nella zona di interazione tra il laser ed il
plasma, anche i meccanismi di trasporto degli elettroni nel bersaglio influenzano
la formazione del fascio di protoni.
In particolare si preferiscono materiali
conduttori, come l’alluminio, in quanto la qualità dei fasci di protoni prodotti da
bersagli plastici è molto minore. In questo caso, infatti, i fasci sono irregolari e
presentano delle strutture filamentose la cui origine è principalmente attribuita
alla minore conducibilità del materiale.
Sperimentalmente è stato osservato che anche lo spessore del bersaglio è
importante per ottenere un buon fascio: se è troppo piccolo il laser può
influenzare la struttura della superficie posteriore, se è troppo grande rischia di
fermare nel suo volume la maggior parte degli elettroni; in entrambi i casi non si
può ottenere un campo di estrazione sufficientemente intenso.
In sintesi si può dire che con un’opportuna combinazione dei parametri del
laser (intensità e lunghezza d’onda) e di quelli del bersaglio (scelta del materiale,
geometria, spessore) si può ottimizzare il fascio di protoni prodotto.
1.5
Interazione protoni - materia
In generale quando un fascio di particelle attraversa un mezzo c’è uno
scambio parziale o totale di energia tra la radiazione incidente e le componenti
(elettroni e nuclei) del materiale. Questo scambio risulta in una perdita di energia
della particella e in una deflessione dalla direzione d’incidenza.
I protoni, in quanto particelle cariche, interagiscono attraverso la forza
coulombiana con gli elettroni e con i nuclei del materiale. Le interazioni con i
nuclei atomici possono essere trattate come urti elastici (scattering Rutherford);
quindi nell’intervallo di energie d’interesse, che va da 3 a 30 MeV, la maggior
parte delle perdite energetiche è dovuta alle collisioni elettroniche. L’energia
assorbita dagli elettroni degli atomi determina l’eccitazione o la ionizzazione del
12
Cap. I Accelerazione di protoni
mezzo. A causa della differenza di massa tra protoni ed elettroni, la perdita di
energia e la deflessione dalla traiettoria iniziale durante un urto elettronico sono
piuttosto piccole. D’altra parte, soprattutto in un mezzo denso, il numero delle
interazioni è talmente elevato che, a queste energie, è sufficiente uno spessore
piuttosto piccolo per assorbire completamente un fascio: ad esempio, un protone
di 30 MeV si ferma in circa 7 mm di mylar. Dalle leggi di conservazione
dell’energia e dell’impulso nel caso classico si può dedurre una stima
dell’energia massima trasferita durante una singola collisione da uno ione di
massa mp ed energia iniziale E e un elettrone me:
∆E max ≈ 4 E
( 1.12 )
me
mp
Per protoni da 3 a 30 MeV, dunque, l’energia massima trasferita in una singola
collisione è dell’ordine di:
6keV ≤ ∆E max ≤ 60keV
( 1.13 )
Gli urti elettronici sono un fenomeno di natura statistica dominato, quindi, da una
certa distribuzione di probabilità. D’altra parte il loro numero per unità di
lunghezza macroscopica è sufficientemente grande da permettere una descrizione
per mezzo di quantità medie. Le grandezze che caratterizzano il comportamento
di una particella in un materiale sono lo stopping power e il suo range, di cui si
parla più in dettaglio nei paragrafi successivi.
1.5.1 Stopping power
Lo stopping power rappresenta la perdita di energia media per unità di
lunghezza
(dE dx)
lungo la traccia della particella. La prima trattazione
quantistica delle perdite di energia è dovuta a Bethe e Bloch:
( 1.14 )
−
dE
Z z 2   2me 2v 2Wmax 
= 2 N are2me c 2
ln
− 2
dx
A 2  
I2

2
C
− −2 
Z 
Con:
re
raggio classico dell’elettrone
me
massa dell’elettrone
Z numero atomico del materiale
A
13
peso atomico del materiale
Cap. I Accelerazione di protoni
Na
Numero di Avogadro
densità del materiale
I
potenziale medio di eccitazione
Termine correttivo di densità
z
Carica della particella espressa tramite C
Termine correttivo di shell
la carica dell’elettrone
γ
rapporto tra la velocità della
1
1−
particella e quella della luce, c.
2
Tabella 1.1 definizione delle grandezze che appaiono nella formula di Bethe-Bloch.
Wmax è l’energia massima trasferita in ogni collisione, la cui forma completa è:
Wmax =
( 1.15 )
2me c 2 (
m
1+ 2 e 1+ (
M
)
2
)
2
m 
+ e 
M 
2
Che si riduce, nel limite classico, all’Eq.1.12.
I due termini C e , sono importanti, rispettivamente, a basse ( <10 MeV) ed al
alte (>103MeV) energie.
La correzione di shell è dovuta agli effetti che
emergono quando la velocità del protone è comparabile o più piccola di quella
orbitale degli elettroni legati.
In realtà, ad energie degli ioni troppo basse,
l’ipotesi di stazionarietà degli elettroni non è più valida, e con essa la formula di
Bethe-Bloch.
A queste energie subentra la tendenza degli ioni a catturare
elettroni e diminuire così la loro carica per cui anche le perdite di energia
diminuiscono bruscamente.
La correzione di densità deriva, invece, dal fatto che il campo elettrico
associato al protone in movimento tende a polarizzare gli atomi lungo la traccia,
quindi la densità di carica negativa scherma gli elettroni più lontani.
La validità della formula di Bethe-Bloch può essere estesa aggiungendo altri
fattori correttivi, per esempio, dovuti al fatto che il proiettile non ha massa
infinita ed ha una struttura interna, oppure a termini di ordine superiore nella
stima della sezione d’urto.
Addentrarsi nella descrizione di questi fattori
correttivi va oltre quello che ci si propone in questo tesi.
È importante notare che lo stopping power dipende dall’energia cinetica della
particella incidente:
14
Cap. I Accelerazione di protoni
dE
1
1
∝ 2 ∝
dx
E
( 1.16 )
Quindi, mentre un protone attraversa un mezzo, il suo stopping power aumenta
al diminuire dalla sua energia cinetica; ciò significa che esso perde la maggior
parte dell’energia alla fine del proprio cammino. Le curve che rappresentano lo
stopping power in funzione dello spessore percorso sono note come curve di
Bragg, di cui un esempio è mostrato in Fig.1.2.
Nel caso di materiali composti si può con buona approssimazione considerare
le perdite di energia additive e valutare la media pesata per la frazione dell’iesimo componente nel composto.
Figura 1.4:
Una tipica curva di Bragg, che mostra la variazione dello stopping power in
funzione dello spessore di penetrazione di una particella in un mezzo. La curva è per un
protone di energia iniziale di 9.97 MeV in un bersaglio di mylar .
1.5.2 Range
Il range è la massima distanza a cui una particella carica penetra in un mezzo;
in generale dipende dal tipo di materiale, dal tipo di particella e dalla sua energia.
15
Cap. I Accelerazione di protoni
Dal punto di vista sperimentale ci sono diverse definizioni di
range;
teoricamente, per una particella di energia iniziale E0, esso può essere definito,
trascurando gli effetti dovuti allo scattering nucleare, come riportato in Eq.1.17:
−1
 dE 
R(E 0 ) = ∫ 
 dE
0  dx 
E0
( 1.17 )
Considerando che il termine dominante per energie sufficientemente basse è
quello in
-2
, ossia proporzionale all’inverso dell’energia cinetica (E), si ha che
il range dipende dal quadrato di E. Notiamo, per inciso, che è naturale aspettarsi
che anche la posizione del picco di Bragg sia in prima approssimazione, una
funzione quadratica di E.
1.5.3 Straggling
Le perdite di energia di una particella carica che si propaga in un mezzo sono un
processo statistico. Due particelle con la stessa energia iniziale non subiranno,
propagandosi in un mezzo, lo stesso numero di collisioni.
Perciò un fascio di
particelle inizialmente monocromatico tenderà ad evolvere in una distribuzione
di energia la cui larghezza (energy straggling) varia con la distanza percorsa. Ne
riportiamo un esempio in Fig.1.5.
16
Cap. I Accelerazione di protoni
Figura 1.5 Grafici della distribuzione di energia di un fascio inizialmente monocromatico di
particelle cariche a varie distanze di penetrazione . E è l’energia della particella e X la
distanza lungo la traccia.
Data la natura statistica delle traiettorie anche il
range seguirà una certa
distribuzione e con esso le sue proiezioni lungo l’asse di propagazione del fascio
di protoni e lungo l’asse ortogonale. La larghezza di queste distribuzioni prende
il nome, rispettivamente, di range e lateral straggling.
17
Cap. II Apparato sperimentale
Capitolo II
Apparato sperimentale
Tutte le esperienze descritte in questa tesi sono state realizzate presso la
Central Laser Facility del Rutherford Appleton Laboratory, sede del sistema
laser Vulcan. L’apparato sperimentale è costituito dal sistema laser di potenza il
cui impulso è focalizzato su una lastra sottile di alluminio. Il flusso di protoni è
raccolto su un rivelatore formato da una pila di film radiocromici alternati a fogli
di semplice plastica.
Questo capitolo inizia con la presentazione dell’apparato
sperimentale completo, procede con una panoramica qualitativa sul sistema laser
e si conclude con la descrizione del rivelatore e delle sue proprietà.
2.1
Configurazione sperimentale
Figura 2.1: Schema dell’apparato sperimentale
18
Cap. II Apparato sperimentale
In Fig 2.1 è presentato lo schema dell’apparato sperimentale. La figura
mostra la struttura della camera da vuoto ed in particolare:
•
l’ultimo stadio del processo di amplificazione della luce laser, che è
composto dai primi due reticoli.
•
la camera d’interazione che contiene il bersaglio e, disposto
parallelamente circa 2.2 cm dietro di esso, il rivelatore.
Il bersaglio è posizionato in una camera a vuoto, la cui pressione è di circa
10-4 mbar, per evitare l’interazione tra il fascio laser e l’aria. Per focalizzare il
fascio laser è stato usato uno specchio parabolico fuori asse ( Off-Axis Parabola )
di f-number uguale a 3.5.
Essendo l’energia per impulso dell’ordine del
centinaio di Joule, lo spot focale FWHM di circa 10 µm di diametro ( quasi due
volte il limite diffrattivo) e la durata
dell’impulso di circa 1 ps, l’intensità
massima sul bersaglio risulta essere maggiore di 1019 W/cm2.
Oltre al
radiocromico usato per rivelare il fascio di protoni l’apparato disponeva di altre
diagnostiche che citiamo rapidamente:
•
un fascio sonda, per caratterizzare il plasma prodotto e la sua evoluzione;
•
una pinhole camera per monitorare l'estensione della regione che emette
raggi-x;
•
le diagnostiche dell'impulso laser, per determinare spettro, durata ed
energia dell'impulso stesso.
2.2
Sistema laser
L’oscillatore usato per generare l’impulso iniziale è un Titanio-Zaffiro
(Ti:Sapphire) [22, 23].
L’impulso dell’oscillatore viene, quindi, iniettato nella
catena di amplificazione Nd:glass [24], che lavora in Chirped-PulseAmplification Mode (CPA) [25].
2.2.1 Oscillatore principale
Tsunami è l’oscillatore principale di Vulcan.
Si tratta di un dispositivo
"commerciale" Ti:Sapphire; il mezzo attivo, cioè, è una matrice cristallina di
19
Cap. II Apparato sperimentale
Al2O3 in cui alcuni ioni Al+++ sono sostituiti da Ti+++. Esso funziona in modelocking passivo tramite lente ad effetto Kerr ed è pompato da un laser ad Argon.
La cavità produce impulsi di energia di 5nJ e durata di 120 fs con una
frequenza di 80 MHz. Il modo emesso è TM00 con una distribuzione gaussiana
nello spazio.
Figura 2.2: Profilo trasversale dell’impulso del Ti:Sapphire. Il diametro dello spot è 1.5
mm.
2.2.2 Chirped-pulsed-amplification (CPA)
In generale un mezzo è in grado di supportare la propagazione di radiazioni
incidenti solo fino ad un valore d’intensità critico Ic che dipende dalla durata
dell’impulso. Negli elementi ottici, per impulsi di durata delle decine di ps, Ic è
circa 10 GW/cm2. Un modo per poter raggiungere alte intensità senza superare
la soglia di danneggiamento delle ottiche, consiste nel dilatare la durata
dell’impulso prima della sua amplificazione . Proprio su questa idea si basa la
tecnica del CPA: un impulso ultra-breve e poco energetico è disperso
temporalmente, amplificato e, infine, compresso, di nuovo, per ottenere un
impulso breve ed intenso (vedi Fig. 2.3)
L’allungamento dell’impulso iniziale è ottenuto facendo in modo che le
componenti spettrali del fascio percorrano cammini ottici diversi. In pratica la
radiazione è fatta incidere su una o più coppie di reticoli di diffrazione usati in
riflessione, in grado di creare un ritardo temporale fra le diverse componenti
spettrali (vedi Fig. 2.4).
20
Cap. II Apparato sperimentale
Figura 2.3: CPA è una tecnica di produzione di un impulso laser ultra-intenso che si basa
sull’idea di introdurre una dispersione temporale dell’impulso iniziale per rendere possibile
la sua amplificazione. Infine l’impulso amplificato è compresso in un impulso breve e molto
intenso.
Figura 2.4: Configurazione di stretcher: Il fascio in entrata
A seconda della geometria dei reticoli l’impulso può essere allungato di un
fattore compreso tra 102 e 104.
A questo punto la radiazione è iniettata
nell’amplificatore, in uscita del quale si ha un impulso lungo e intenso. L’ultimo
stadio del CPA è la compressione dell’impulso lungo per generarne uno ultra21
Cap. II Apparato sperimentale
breve ed ultra-intenso.
Anche in questo caso vengono usati due reticoli, (vedi
Fig. 2.5). Inserendo uno specchio nella configurazione riportata in Fig. 2.5, cioè
facendo passare due volte il raggio tra i reticoli, oltre alla sovrapposizione
temporale delle componenti dello spettro si avrebbe anche quella spaziale.
D’altra parte il secondo passaggio abbassa il limite di amplificazione perciò, in
molti sistemi laser come Vulcan, dove si preferisce massimizzare l’energia, il
fascio si limita a fare un passaggio nei reticoli per la compressione, a discapito
della distribuzione spaziale.
In questo modo il limite all’amplificazione
dell’impulso è dato dalla soglia di danneggiamento dell’ultimo reticolo.
Figura 2.5: Compressione dell’impulso per mezzo di reticoli di diffrazione usati in
riflessione tra loro paralleli.
Dopo essere stato così trattato l’impulso è focalizzato sul bersaglio per mezzo
di semplice ottica riflettiva: infatti è talmente energetico che se passasse
attraverso un qualsiasi mezzo si produrrebbero forti effetti di automudulazione di
fase che deteriorerebbero irrimediabilmente la sua focalizzazione.
L’elevata
intensità dopo la compressione obbliga a posizionare l’ultimo reticolo sotto
vuoto; quindi tutta la propagazione del fascio ultra-intenso e l’interazione col
bersaglio avvengono nella camera a vuoto.
Questa tecnica di amplificazione (CPA) produce, oltre all’impulso ultra-breve
ed ultra-intenso principale, altri due più deboli ( vedi Fig.2.6):
22
Cap. II Apparato sperimentale
•
Il piedistallo, dovuto alla parte di impulso che non viene compressa dopo
l’amplificazione.
•
L’ASE, acronimo di Amplified spontaneus emission, cioè la radiazione
emessa dal primo stadio della catena di amplificazione, che subisce un
notevole incremento attraverso l’amplificatore stesso.
Figura 2.6:
Forma caratteristica dell’impulso emesso da un sistema che funziona in
CPA. Il grafico mostra la forma caratteristica dell’impulso di Vulcan, costituito da tre
componenti: il meno intenso è l’ASE, dovuto al primo stadio della catena di
amplificazione; poco più intenso dell’ASE c’è il piedistallo, residuo dell’impulso lungo
amplificato durante il CPA; infine l’impulso principale la cui intensità è svariati ordini
di grandezza maggiore di tutto il resto. L’andamento è soltanto qualitativo.
Per Vulcan il valore del contrasto tra il picco dell’impulso principale e il
piedistallo è tipicamente dell’ordine di 10-7 mentre per l’ASE è 10-8.
Però
non tutta la radiazione emessa dal sistema laser investe il campione; ci sono
degli interruttori ottici (delle celle di Pockels) che limitano l’arrivo del preimpulso a qualche centinaio di picosencondi prima del picco principale.
La soglia in intensità di formazione di plasma per interazione laser-materia,
dipende dal tipo di materiale e dalla durata dell’impulso (Par 1.2); in generale nel
23
Cap. II Apparato sperimentale
caso in cui il bersaglio sia solido indicativamente va da 1012 a 1014 Wcm-2.
Mentre la maggior parte dell’ASE è tagliata dagli interruttori e non arriva sul
campione, il piedistallo, generalmente, è responsabile della formazione di plasma
prima dell’arrivo dell’impulso compresso.
2.3
Rivelatore
Il rivelatore è una pila formata da film radiocromici (RCF) di tipo
GafChromic Md-55-2, alternati con strati di plastica [26]. È un tipico sistema di
rivelazione usato in dosimetria (per fotoni ed elettroni) e si è rivelato un mezzo
utile anche nello studio di protoni. Ogni foglio di RCF ha uno spessore di circa
270 µm ed è formato da una base di mylar, cioè un materiale inerte, in cui sono
inseriti due strati di gel attivo di spessore 16.9 µm. La struttura stratificata di un
singolo RCF è riportato in Fig 2.7 e la composizione degli strati in Tab. 2.1.
Figura 2.7: Struttura e dimensioni delle film di GafChromic Md-55-2
Elemento Atomi% Peso%
Mylar
Carbonio
45.0
61.0
Ossigeno
19.0
35.0
Idrogeno
36.0
4.0
Carbonio
31.5
60.6
Strato
Idrogeno
56.0
9.0
attivo
Azoto
5.0
11.2
Ossigeno
7.5
19.2
Tabella 2.1: Composizione degli strati di GafChromic Md-55-2
24
Cap. II Apparato sperimentale
Lo strato attivo è un gel composto da elementi a basso numero atomico
(H,C,O,N); la sua densità è circa 1 g/cm3.
L’adesivo ha la stessa densità del
mylar (1.4 g/cm3), quindi la radiazione che si propaga non percepisce nessuna
discontinuità.
I fogli di plastica che intervallano i film RCF sono di mylar e
hanno uno spessore di circa 175 µm. Il rivelatore è preceduto da uno strato di
alluminio di 25 µm, che lo protegge dalla radiazione X emessa dal bersaglio,
dagli ioni veloci prodotti dalla disintegrazione dello stesso e dalla radiazione
laser. La configurazione sperimentale del rivelatore è rappresentata in Fig 2.8.
Figura 2.8: Configurazione di un rivelatore: i fogli di RCF sono alternati a fogli di mylar, il
numero e la posizione dei radiocromici varia da caso a caso, tutto è preceduto da un filtro di
alluminio.
Il funzionamento di questo sistema di rivelazione è basato sulla
proporzionalità della variazione di densità ottica delle zone attive del film con
l’energia depositata dal fascio incidente: si osserva una variazione di colore a
seconda della dose che irradia un foglio, da trasparente in assenza di radiazione
ionizzante, a blu, più o meno intenso.
La dose assorbita da un mezzo è definita come l’energia per unità di massa e
si misura tipicamente in Grey : Gy = J .
Kg
Il viraggio blu del radiocromico, esposto al flusso di particelle cariche, è
dovuto ad un marcato assorbimento nel rosso, come mostrato in Fig.2.9. [27]
25
Cap. II Apparato sperimentale
Figura 2.9: Assorbanza di un foglio di RCF dopo esposizione ad un fascio di elettroni.
I film RCF sono sensibili a qualsiasi tipo di radiazione ionizzante, quindi, il
principale svantaggio nel loro uso consiste proprio nell’impossibilità di
distinguere facilmente il tipo di radiazione che lo investe.
In Fig. 2.10 è
riportato, a titolo esemplificativo, il confronto tra la risposta del mezzo a dosi
equivalenti di raggi γ e di protoni. Dallo stesso grafico si può anche vedere che
la saturazione del film avviene per dosi intorno ai 300 Gy .
L’incertezza sul tipo di particelle responsabili delle tracce lasciate sui fogli di
RCF può essere superata abbinando l’impiego di altri rivelatori.
Sperimentalmente è stato osservato [28] che per tutti i tipi di radiazione la
risposta dei radiocromici è poco dipendente dall’energia del fascio incidente.
Questa caratteristica degli RCF implica che senza conoscere la risposta del
rivelatore tramite un programma di analisi Montecarlo non è possibile
determinare lo spettro di un fascio di particelle (Cap.III).
26
Cap. II Apparato sperimentale
5
4
3
Protoni
Raggi gamma
2
1
0
0
100
200
300
400
500
Dose (Gy)
Figura 2.10: Curve di saturazione per RCF irradiati con la stessa dose di protoni e raggi γ.
Un proprietà dei film RCF è che non necessitano di procedimenti chimici
supplementari per risalire all’informazione in essi contenuta. Sperimentalmente
è stato osservato che, anche dopo la fine dell’esposizione alla radiazione, il
radiocromico continua a scurirsi.
Tale viraggio, però, si stabilizza dopo circa
ventiquattro ore. Esso è, inoltre, uniforme su tutto il foglio, cioè è indipendente
dalla dose locale assorbita.
Di conseguenza l’informazione sull’energia dei
protoni è data dalla posizione del film nella pila.
I principali vantaggi di un dispositivo che si basa sull’uso dei film RCF sono:
•
la proprietà di raccogliere simultaneamente un piano di dati;
•
la buona risoluzione spaziale (maggiore di 1200 lines/mm);
La digitalizzazione delle immagini è stata fatta con un normale scanner e la
trasformazione da densità ottica in dose è stata estratta dalla curva di calibrazione
del radiocromico (del tipo GAFCHROMIC MD-55-2) per luce bianca riportata
sulle caratteristiche fornite dalla casa produttrice [26] (vedi Fig. 2.11).
27
Cap. II Apparato sperimentale
Figura 2.11: Curva di calibrazione del radiocromico usata per implementare l’analisi.
28
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Capitolo III
Sviluppo ed analisi dei dati
La variazione di densità ottica che subiscono i film RCF esposti al fascio di
protoni è acquisita sotto forma di immagini che, quindi, costituiscono la lettura
del segnale su cui si basa l’analisi.
L’elaborazione dei dati presenta due problematiche ben distinte:
•
Allineamento delle immagini dei vari strati e conversione da trasmittività
in energia rilasciata;
•
Ricostruzione dello spettro dei protoni dalla deconvoluzione dei dati con i
risultati delle simulazioni.
In questo capitolo presentiamo il metodo di analisi usato per la lettura dei dati,
le verifiche a cui è stato sottoposto per testarne la validità ed il programma di
simulazione Montecarlo.
Consideriamo, per chiarezza nell’esposizione, un
sistema di riferimento con origine posta all’inizio del rivelatore orientato come
mostrato nella figura seguente:
Figura 3.1:
Un generico rivelatore formato da film RCF preceduti da un filtro di
Alluminio. Gli strati di rivelatore sono intervallati da alcuni film di semplice plastica. Da
esperimento ad esperimento variano il numero di fogli e la loro posizione nella pila.
29
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
La posizione dei film nella pila sarà indicata con un numero d’ordine k,
crescente con z.
In pratica, laddove non è necessario esplicitare la dipendenza
dallo spessore come variabile continua caratterizziamo il film con il suo numero,
k, anziché con la sua posizione media (zk).
Per esempio, lo spettro che è una
funzione discreta in z, poiché il rivelatore in questa direzione non è continuo, è
stato parametrizzato in k .
3.1 Trattamento delle immagini
Per poter procedere all’analisi è necessario che le “immagini” acquisite siano
allineate tra loro: solo dal confronto delle tracce lasciate in sequenza sui fogli di
RCF, si possono ottenere informazioni sulla distribuzione spaziale ed energetica
dei protoni.
Durante gli esperimenti, però, non sono stati fissati dei punti di
riferimento comuni a tutti i film; questo implica che le immagini debbono essere
allineate.
Una prima centratura è stata fatta manualmente.
In seguito, fatta
eccezione per la prima immagine che funziona da riferimento, vengono eseguite,
nella zona di interesse, delle traslazioni con passo di un pixel lungo gli assi del
piano del rivelatore in modo da trovare un massimo locale della funzione di
r
r
correlazione C tra i segnali rilasciati in due piani contigui Lk −1 (r ) e Lk (r ).
r
Detto ∆ il vettore di traslazione, la forma analitica di C è la seguente
( 3.1 )
()
(
)
r
r
r r r
C ∆ = ∫ ∫ Lk −1 (r )Lk r + ∆ dr
Una volta centrate le immagini si può passare all’analisi vera e propria del
segnale raccolto.
30
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
3.2 Ricostruzione dello spettro
Il primo passo dell’analisi è la trasformazione della matrice di valori di ADC
(Analogic to Digital Converter) associati all’immagine in densità ottica (ρ),
definita in termini della trasmissione di luce attraverso il mezzo come:
( 3.2 )


= −log10  I 
 I0
avendo indicato con I l’intensità trasmessa e con I0 quella iniziale.
In seguito, le immagini vengono trasformate in dose (energia per unità di
massa). Poiché la digitalizzazione delle immagini è stata fatta con un normale
scanner, ci si è riferiti alla curva di calibrazione del radiocromico (del tipo
GAFCHROMIC MD-55) per luce bianca [Par. 2.3]. Dopo queste trasformazioni
il segnale depositato dal fascio incidente in un punto (x,y) del k-esimo foglio di
radiocromico si può scrivere :
( 3.3 )
Sk (x, y) =
∞
∫ R( E,z ) f
k
k
(E,x,y)dE
o
dove S è la densità di energia superficiale totale rilasciata nello strato k, R(E,zk)
rappresenta l’energia depositata nello strato da un protone di energia iniziale E ed
f è lo spettro dei protoni, definito come densità protonica per unità di energia e di
superficie. Fissata l’energia E , R(E , z) rappresenta la curva di Bragg per un
protone (vedi Fig. 1.4).
Essa è nota in forma numerica dalle simulazioni
Montecarlo [ Par. 3.3 ].
Il prodotto delle due funzioni R(E,zk) e fk(E, x, y),
rappresenta l’energia in media depositata nel film k-esimo dalle singole
componenti spettrali del fascio di protoni. In figura 3.2 è riportato tale prodotto
per una f relativa ad una distribuzione Boltzmaniana alla temperatura di T = 5
MeV.
31
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figura 3.2: Andamento dell’energia depositata da un fascio di protoni con spettro
Boltzmaniano di
radiocromici.
temperatura T=5MeV nel quinto strato di un rivelatore di film
I due picchi corrispondono ai due strati di gel presenti in ciascun film di
RCF; infatti i protoni il cui picco di Bragg cade proprio nello spessore del gel
contribuiranno maggiormente al segnale.
Il grafico precedente è noto come curva di Landau e mostra come la
variazione di densità ottica di un film RCF sia dovuto principalmente ai protoni
che hanno picco di Bragg nel suo spessore.
Lo spettro, per come è definito, è una funzione continua dell’energia dei
protoni del fascio; in generale si può decomporre, dunque, su una base di
funzioni gi(E).
Visto che il nostro rivelatore è discreto, possiamo solo
determinare il valore che la funzione spettro assume per certi valori della
coordinata z di propagazione.
Quindi il modo più semplice per procedere
nell’interpolazione è costruire una spezzata, cioè congiungere i punti contigui
con dei segmenti. Sperimentalmente si osserva che la funzione spettro assume
valori diversi da zero in un intervallo di energie limitato superiormente. Senza
perdere informazioni possiamo scrivere f, limitandoci all’intervallo di interesse,
nella seguente forma:
32
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
f k (E ) ∪
( 3.4 )
N
i =1
Aik g i (E )
È importante sottolineare che, trattando dei protoni, è lecito trascurare la
dipendenza
spaziale
in
quanto
l’allargamento
del
fascio
prodotto
dall’attraversamento dei vari strati di cui è costituito il rivelatore è molto piccolo,
ossia di dimensioni confrontabili alla risoluzione spaziali: una volta allineate le
immagini, l’evoluzione di un pixel nella pila rappresenta, in buona
approssimazione, quella di protoni emessi ad un certo angolo.
Fissato un k ed un campionamento di energie Ec, eseguiamo un’interpolazione
lineare, cioè scriviamo Sk nella seguente forma:
( 3.5 )
Sk =
n
Ec
i
i =1 E
ci −1
Np i +1 − Np i
√(E − E c )+ Np i R(E , z k )dE =
i
E ci +1 − E ci √
↵
M ik Np i
i
in cui Npi è la densità protonica campionata in Ec e gli Mik sono definiti come
segue:
( 3.6 )
M ik =
Ec
i
Ec
i −1
E − E ci −1
E ci − E ci −1
R(E , z k )dE +
Ec
i +1
Ec
i
In altri termini abbiamo scelto come
E ci +1 − E
E ci +1 − E ci
R(E , z k )dE
g i(E) dell’Eq.3.4, delle funzioni
triangolari unitarie, la cui forma analitica è riportata in Eq.3.7:
gi ( E ) =
E − E ci−1
,E ≤ E ≤ Eci
Ec i − Ec i−1 c i−1
gi ( E ) =
E ci +1 − E
, E ≤ E ≤ E ci +1
Ec i+1 − E c i ci
( 3.7 )
33
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Otteniamo, quindi, il segnale depositato come soluzione di un problema
matriciale, la cui risolubilità è vincolata alla scelta di un appropriato
campionamento di energie. È possibile subito intuire che è necessario avere un
numero di elementi della base uguale a quello dei punti sperimentali disponibili,
perché il problema non risulti mal condizionato.
Prendiamo ora in esame un determinato film di RCF; l’energia ivi rilasciata
dal fascio ha l’andamento riportato in Fig. 3.2, quindi ci si aspetta di riuscire a
trovare la matrice M in forma triangolare o quasi triangolare.
Visto che
l’oscuramento di cui disponiamo è la somma dei due depositati sugli strati attivi,
è possibile, per esempio, caratterizzare ogni film proprio con il suo punto medio
PM.
In altri termini questo significa scegliere come campionamento l’energia
dei protoni che hanno picco di Bragg in P M, perciò associare a PM l’energia del
picco EB. In realtà con questo campionamento si ottiene una matrice M del tipo:
M = T + δM
( 3.8 )
dove con T s’intende la parte triangolare superiore di M e con δM la matrice dei
termini di scarto, cioè degli elementi al di sotto della diagonale principale
(Eq.3.9).
( 3.9 )
 T11
 0

M = .

 .
 0
.
.
0
.
.
.
.
.
0
.
.
.
.
.
0
T1 N  
.  
. +
 
.  
TNN  
0
M 21
0
0
. .
0 .
. 0
. .
. 0
.
.
.
0
M NN −1
0
. 
.

.
0
Questi elementi sono diversi da zero sia perché il fronte di discesa delle curve
di Landau non è perfettamente verticale, sia perché tutte le energie in un certo
intorno contribuiscono al segnale sia a causa del range straggling [Par. 1.5]. In
realtà già con questo campionamento la maggior parte degli elementi che
compongono δM sono nulli (in pratica tutti tranne quelli della diagonale
inferiore).
Comunque per poter essere certi di trascurare δM, è necessario
spostare il campionamento di un piccola quantità δE, che varia da caso a caso a
34
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
seconda della distanza tra i film.
Per ogni rivelatore si è cercato quindi di
ottimizzare empiricamente la matrice M, verificando che fosse soddisfatta la
condizione:
δM << T.
( 3.10 )
(ove, ovviamente, si intende che gli elementi della matrice δM devono essere
molto più piccoli degli elementi di T).
A questo punto per ottenere i valori della densità protonica basta risolvere il
problema inverso di quello impostato che si presenta come un set di equazioni
lineari.
come
Un metodo tipico per trovare le incognite in problemi analoghi è noto
Gaussian
reduction
and
backsubstitution
[29],
e
consiste
nell’implementare il seguente calcolo:
( 3.11 )
1
Np k = ~
M kk
N
~
~

S
−
M ki Np i 
 k i ∑
= k +1

dove la matrice M˜ ed il vettore S˜ sono la matrice M ed il vettore S
opportunamente divisi per i cosiddetti “perni” che, nel nostro caso, sono, gli
elementi della diagonale principale.
Infatti gli Mkk sono maggiori di tutti gli
altri, poiché rappresentano i contributi al segnale raccolto della funzione di base
centrata intorno k-esimo film.
Da un punto di vista fisico questo procedimento porta alla ricostruzione del
segnale depositato su un film isolando i contributi dei protoni che hanno picco di
Bragg nel volume del film da quelli più energetici, che si fermano, cioè, dopo
aver percorso uno spessore maggiore nel rivelatore.
3.3 Programma di analisi Montecarlo
Per caratterizzare il comportamento dei radiocromici nel caso di fasci di
protoni, sono state fatte varie simulazioni Montecarlo tramite un software
35
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
chiamato SRIM, acronimo di Stopping and Range of Ions in the Matter [30]. Si
tratta di un gruppo di programmi che calcolano, appunto, stopping power e range
di fasci di ioni monocromatici che si propagano in un mezzo, basandosi sulla
trattazione delle collisioni con gli atomi del mezzo.
Tra questi programmi
quello che è stato usato si chiama TRIM, acronimo di Transport of Ions in the
Matter, ed è il programma più completo incluso nel pacchetto.
L’idea fondamentale del Montecarlo è seguire, singolarmente, un gran
numero di ioni in un mezzo, da un istante iniziale fino a quando la particella esce
dal volume del bersaglio o la sua energia scende sotto un valore prestabilito cioè,
in altri termini, si ferma. Sono richiesti due tipi di dati per definire un calcolo:
quelli concernenti la scelta degli ioni e quelli per definire la struttura del
materiale in cui si propagano. Gli ioni sono definiti dal tipo, dalla loro energia,
posizione e direzione di propagazione; per la loro scelta si può usare direttamente
la tavola periodica inserita nel programma. In generale per la massa è proposta
quella dell’isotopo più pesante in unità di massa atomica. Per quanto concerne il
bersaglio, oltre alla tavola periodica, c’è un’enciclopedia di composti comuni;
infatti la maggior parte dell’energia è assorbita dai gusci elettronici più esterni
che hanno orbitali diversi negli elementi semplici e nei composti, da cui nasce la
necessità di un fattore correttivo quando nel bersaglio sono presenti materiali
composti. In pratica questo approccio, detto “Core and Bond approximation”,
separa i contributi delle perdite energetiche dovute agli elettroni interni ed a
quelli di legame, modificando questi ultimi in base ai tipi di legame del
composto.
Le altre caratteristiche che sono richieste per definire il bersaglio
sono: spessore, densità e stato. Quest’ultima informazione è necessaria poiché
le collisioni sono trattate in maniera diversa nel caso si tratti un mezzo allo stato
solido o gassoso.
Un’ulteriore scelta che è necessario effettuare, prima di
cominciare una simulazione è il tipo di calcolo che si vuol implementare; il
programma presenta, infatti, diverse opzioni.
Non prestando, nel nostro caso,
particolare attenzione ai danni del bersaglio, è stata scelta quella chiamata Ions
Distribution and Quick Calculation of Damage, che si limita a dare una stima
veloce di questi fenomeni, ma assicura una stima accurata delle perdite di
36
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
energia.
L’intervallo di energia in cui sono efficaci le simulazioni va dai 10
eV/amu a 2 × 109 eV/amu.
Questo programma è stato utilizzato principalmente per simulare fasci di
protoni, ma, in effetti, esso consente la descrizione di qualsiasi tipo di ione in
ogni stato di carica, per cui ci si propone di introdurre brevemente i processi
fisici rilevanti per la valutazione delle perdite di energia [31].
Nel caso
particolare dei protoni restano validi tutti i risultati discussi nel Cap. I.
Le perdite di energie sono di due tipi: nucleari ed elettroniche. In pratica
l’energia è dissipata in modo continuo, a causa dell’interazione con gli elettroni
del materiale in cui si propaga, e discreto per gli urti con i nuclei degli atomi; tra
un urto nucleare e l’altro, dunque, si stima lo stopping power elettronico medio
sul cammino.
I programmi prendono in considerazione le collisioni binarie di tipo
coulombiano tra atomi e ioni (con il termine “ioni” s’intendono sempre gli atomi
in movimento e con “atomi” quelli del mezzo in cui avviene la propagazione), le
interazioni di scambio e di correlazione tra i gusci elettronici sovrapposti e la
produzione nel volume del bersaglio di elettroni eccitati e di plasmoni per
l’interazione a lungo raggio.
3.3.1 Perdite di energia nucleari
Si suppone che la forza di interazione fra ione ed atomo agisca solo sulla
congiungente tra i due, cioè non abbia componente trasversale e non dipenda né
dal tempo né dalla velocità dello ione incidente.
Quindi, nel sistema di
riferimento solidale al centro di massa, il moto relativo è riducibile al moto di
una singolo corpo sottoposto ad una forza centrale, ossia la collisione può essere
descritta attraverso un potenziale V(r) che dipende solo dal valore assoluto della
distanza interatomica.
Trascurando gli effetti di polarizzazione il potenziale
d’interazione interatomica, V(r), si può scrivere come prodotto tra un potenziale
coulombiano ed un termine correttivo, detto funzione di schermaggio
3.12)
37
(Eq.
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
V (r ) = Φ (r )
( 3.12)
Z1 Z 2 e 2
r
In altri termini il problema si riconduce a cercare un’espressione utile per
Φ(r).
Esistono diversi approcci per trovare una soluzione: in questo caso il
metodo applicato consiste nel cercare una formula analitica universale per la
funzione di schermaggio confrontando i risultati di diversi modelli teorici
applicati ad una scelta significativa di coppie di atomi campione. Inoltre, dalle
leggi di conservazione per un urto non dissipativo, e da alcune considerazioni
trigonometriche, è possibile determinare sia l’energia T, trasferita tra i due corpi,
sia l’angolo di deflessione
potenziale V(r).
, in funzione del parametro d’impatto p, e del
D’altra parte le perdite di energia dello ione per unità di
lunghezza, dE/dR, sono proporzionali alla densità atomica del bersaglio, N, ed
alla sezione d’urto , Sn(E), definita in relazione all’energia trasferita in un urto.
Quindi una volta noto V(r), sono note le curve di dispersione nucleari per uno
ione che attraversa un mezzo.
3.3.2 Perdite di energia elettroniche
Le perdite di energia elettroniche derivano dall’interazione dello ione
incidente con le nubi elettroniche degli atomi del bersaglio, e non sono riducibili
ad un unico fenomeno, come accade per quelle nucleari, perché hanno diverse
possibili origini, per esempio:
•
trasferimento di energia agli elettroni del bersaglio dovuto a collisioni
elettrone/elettrone;
•
ionizzazione o eccitazione degli atomi del bersaglio;
Ne deriva che la loro trattazione è complessa; ad alte energie (
E ≥ 10 MeV)
dove la dipendenza dal parametro d’impatto e quella dallo straggling (Par 1.5)
possono essere trascurate, le perdite di energia elettroniche possono essere scritte
in funzione della distanza percorsa tra due urti L:
( 3.13 )
∆E e (L ) = LN
e
(E ) ∆E
38
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
dove con
e(E)
si indica la sezione d’urto dei processi elettronici e con <∆E>
l’energia media perduta in una singola collisione. La stima di
e(E)
è fatta per
mezzo di un metodo frequentemente usato per valutare la risposta teorica di un
solido ad una perturbazione (detto approssimazione di densità locale).
3.3
Proprietà delle curve di Bragg
In Fig.3.3 sono riportati i risultati di alcune simulazioni relative a protoni. Il
mezzo in cui si propagano i protoni è un blocco di mylar, che simula l’insieme di
film radiocromici, preceduto da un filtro di Alluminio di 25 µm. Nella tabella
successiva sono riportate le proprietà e la composizione del bersaglio in cui si
propagano i fasci monocromatici.
Proprietà
Alluminio
Mylar
Densità (g/cm3)
2.69890
1.4
166.0
78.7
Energia di eccitazione
media (eV)
39
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Composizione
Elemento
Al
H
C
O
Numero Atomico
13
1
6
8
Frazione in peso
1
0.041959
0.625017
0.333025
Tabella 3.1:
Composizione e proprietà dei materiali usati nelle simulazioni.
40
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figura 3.3: Curve di Bragg (R(E
,
zk )) per protoni ottenuti da SRIM. Dal grafico si può
vedere che l’altezza del picco diminuisce con l’energia dei protoni, mentre la sua larghezza
aumenta.
Dato il piccolo spessore degli strati di gel (molto minore di quello del mylar)
presenti nei radiocromici e la sua densità assai vicina a quella del mylar, esso è
stato considerato nelle simulazione proprio come fosse mylar.
Questa scelta si rivela essere molto utile al fine del lavoro, soprattutto perché
il set-up del rivelatore cambia (per ogni stack variano sia il numero che la
posizione di fogli di mylar di RCF), quindi se la presenza degli strati attivi fosse
determinante per il risultato, sarebbe necessario fare un numero adeguato di
simulazioni per ogni rivelatore che si vuol analizzare.
Inoltre il programma di simulazione Montecarlo può presentare
comportamenti anomali in presenza di interfacce tra materiali diversi.
41
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Il range di energie in cui sono state fatte le simulazioni, come si può vedere
anche in Fig. 3.3, varia da circa 3 MeV a circa 30 MeV. Se si separano i
contributi dei due stopping power, elettronico e nucleare, si nota che il contributo
alle curve di Bragg più importante a queste energie è dato da quello elettronico
[33]. Come si può vedere in Fig 3.4 e Tab.3.2: la differenza tra la curva totale e
quella elettronica è inferiore dell’1%.
Materiale
Energia
Stp. Pow.
Stp. Pow.
Stp. Pow.
Cinetica
Elettronico
Nucleare
Totale
2
2
MeV
MeV cm /g
MeV cm /g
MeV cm2/g
Mylar
3
108.6
0.067
108.6
Mylar
30
17.5
0.0077
17.5
Al
3
82.5
0.05
82.5
Al
30
14.3
0.006
14.3
Tabella 3.2: Confronto dei valori stimati per stopping power di protoni in mylar per i
valori limite dell’intervallo d’interesse.
Dalle curve di Fig.3.3 si vede anche che, all’aumentare dell’energia iniziale,
i protoni percorrono distanze maggiori nel mezzo ed il loro picco di Bragg
diventa più largo e più basso: la larghezza, presa a circa il 30% del valore
massimo di stopping power, varia dalle decine di micrometri a basse energie fino
ad un centinaio di micrometri ad alte.
42
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figura 3.4: Confronto delle curve di stopping power nucleare , elettronico e totale per
protoni che si propagano in mylar.
Guardando le curve di Fig 3.3, che hanno un andamento piuttosto regolare si
può sperare di trovare una legge di scala che eviti di dover fare un numero
elevato di simulazioni.
In effetti, se si riporta su un grafico per diverse
simulazioni la posizione dei picchi di Bragg zB (Fig. 3.5), si trova in buona
approssimazione che l’andamento è quello di un polinomio di secondo grado:
( 3.14 )
zB ( m) ≈ a⋅ E f (MeV ) + b⋅ E f (MeV ) − c
2
43
a = 6.1045493
con b = 44.790236
c =136.25872
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figure 3.5: Il grafico rappresenta la relazione tra l’energia del fascio monocromatico
incidente sul bersaglio e la posizione a cui si trova il picco di Bragg. La curva è in buona
approssimazione un arco di parabola.
Inoltre, il valore massimo di stopping power scalato per la sua posizione, cioè :
( 3.15)
hB =
dE
× zB
dz
scritto in funzione dell’energia delle simulazioni ha un andamento regolare (Fig.
3.6): infatti è ben rappresentato da una retta, la cui equazione è la seguente:
( 3.16 )
hB (MeV ) ≈ a'⋅E ( MeV ) − b' con
44
a'= 3.9811018
b'= 6.55141554
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figure 3.6:
Relazione tra l’energia del fascio monocromatico incidente e l’altezza del
picco di Bragg in MeV.
In sintesi è stato osservato che, nell’intervallo di energie d’interesse, per
opportune trasformazioni degli assi, le curve di Bragg sono omotetiche, cioè
riconducibili alla stessa funzione ( vedi Fig. 3.7) .
Figure 3.7:
Curve di Bragg di figura 3.3 in cui, però, entrambi gli assi sono stati
normalizzati. Esse sono in buona approssimazione tra loro omotetiche.
45
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Le operazioni effettuate sulle curve di Fig 3.3 per ottenere il risultato di Fig.
3.7, sono semplici normalizzazioni su altezza e posizione del picco di Bragg.
Schematicamente:
1. Ogni valore dello spessore del bersaglio è stato diviso per zB.
2.
Ogni valore di stopping power è stato moltiplicato per zB, ottenendo così
hB , e, in seguito, diviso per il massimo di hB.
In sintesi una curva di Bragg per qualsiasi energia si può scrivere, con al
massimo un 5% di errore, nella forma:
( 3.17)
 aE 2 + bE −c 
f
 × Nk
Rk( E ) =  f

a'E
−
b'


f
con Nk funzione numerica indipendente da Ef.
3.5 Verifica dell’algoritmo
Per testare la validità dell’algoritmo presentato nel paragrafo precedente, si è
costruito un programma in grado di simulare, partendo dai dati ottenuti dal
programma Montecarlo, la dose che un fascio di protoni rilascia in ogni foglio di
un rivelatore a radiocromico (il cui schema è rappresentato nella figura
seguente).
Figura 3.8: Configurazione del rivelatore simulato.
46
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
La dose così trovata è analizzata dall’algoritmo, che fornisce lo spettro di
protoni incidenti sul rivelatore.
Questo spettro viene, quindi confrontato con
quello che era stato scelto inizialmente.
3.5.1 Prima simulazione
Nella prima simulazione abbiamo rinunciato ad una risoluzione spaziale
nell’analisi del fascio di protoni. Si è supposto, dunque, un fascio incidente con
distribuzione energetica alla Boltzmann e numero di protoni indipendente dalle
coordinate, x e y, del piano del foglio, Eq. 3.17.
f (E ) =
( 3.17 )
N
p
k BT
exp −
E
?
k BT ?
dove T è la temperatura del fascio, E l’energia dei protoni e kB la costante di
Boltzmann. Nella Tab. 3.3 sono riportate le caratteristiche del fascio:
KT
3 MeV
Np
3 x 1010 n.prot.
Tabella 3.3: Parametri del fascio di protoni.
In Fig. 3.9 si confronta lo spettro dei protoni incidenti con quello ricostruito
dall’algoritmo per due diversi valori di E, cioè per diverse centrature delle
funzioni di base [Par 3.2].
47
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figura 3.9: Confronto fra lo spettro dei protoni incidenti con quello fornito dall’algoritmo
di analisi, per due valori del parametro E [Par. 3.2]. L’ottimizzazione della scelta di E
consente di incrementare l’accuratezza nella ricostruzione dello spettro.
48
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Come si può vedere dal confronto dei due grafici in Fig 3.8 l’analisi che dà il
risultato migliore è quella per δE uguale 0.25 MeV. É stato stimato che l’errore
medio sui valori dello spettro energetico fornito dall’algoritmo è dell’origine del
10%.
3.5.2 Seconda simulazione
A questo punto abbiamo voluto verificare se l’algoritmo consentiva anche una
risoluzione spaziale, oltre che energetica, all’interno del fascio di protoni.
Le
immagini sono state ricostruite considerando uno spettro della forma di Eq.3.17,
in cui per il numero di protoni è stata scelta una distribuzione Gaussiana in
entrambe le coordinate spaziali x, y:
( 3.18 )
N
N p (x, y ) = G (x )⋅ G (y ) =
2 ⋅ x
 (y − yc )2 
 (x − xc )2 
exp−
 exp

2
2 x2 
 2 y 
y

Nella tabella successiva sono riportati i parametri che definiscono la sezione
trasversale del fascio nella seconda simulazione:
σx
30 pixels
σy
40 pixels
xc
150 pixels
yc
150 pixels
kT
3 MeV
3x1010 protoni
N
Tabella 3.5: Parametri utilizzati nella simulazione relativi al profilo trasversale del fascio di
protoni incidente sul rivelatore.
In Fig 3.10 è riportato lo spettro integrato sul profilo trasversale del fascio che
si ottiene dall’algoritmo. I valori così ottenuti sono confrontati con quelli della
funzione scelta come test per le energie di campionamento.
49
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figure 3.10:
Confronto fra lo spettro dei protoni incidenti con quello fornito
dall’algoritmo di analisi, dopo aver integrato sul profilo trasversale del fascio.
In Tavola I sono riportate alcune delle immagini del fascio di protoni
simulato.
Nella colonna di sinistra sono riportate alcune delle distribuzioni
spaziali della sezione trasversale del fascio di protoni per diversi valori
dell’energia.
Queste distribuzioni possono essere confrontate con quelle
ottenute dall’algoritmo riportate nella colonna di destra.
Come si può vedere in Tavola I, esiste un buon accordo tra la funzione test ed
il risultato dell’analisi delle simulazioni. In Fig 3.11 è riportato il confronto tra
il profilo lungo l’asse x del fascio di protoni incidenti e quello ricostruito
dall’algoritmo.
50
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
Figure 3.11: Confronto tra il profilo lungo l’asse x del fascio di protoni incidente e di quello
ricostruito dall’algoritmo, per E= 9 MeV.
51
Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati
TAVOLA I
Verifica dell’algoritmo
3 x 105
0
n.prot MeV-1 pixels-1
Ec= 9 MeV
Ec =10.6 MeV
Ec =12.1 MeV
Ec =14.7 MeV
Cap. IV Risultati Sperimentali
Capitolo IV
Risultati Sperimentali
Questo capitolo comincia con qualche considerazione sulla composizione del
fascio di particelle generato durante l’interazione laser-plasma.
In seguito si
presenta l’analisi di alcuni dati, raccolti durante esperimenti svolti al RAL,
effettuata con l’algoritmo presentato nel Cap.III.
Essi sono organizzati a
seconda del numero identificativo dello shot del laser.
4.1
Composizione del fascio di particelle generato
Anche se siamo interessati allo studio della distribuzione spaziale ed
energetica dei protoni, dobbiamo tener conto che il fascio generato
nell’interazione è composto da diversi tipi di particelle, principalmente elettroni e
protoni. Non si può escludere neanche la presenza di altri ioni, poiché lo stesso
campo in grado di estrarre protoni potrebbe accelerare, per esempio, anche ioni
di carbonio (provenienti dai depositi di idrocarburi come i protoni) e di alluminio
(data la composizione del bersaglio). In questo paragrafo faremo vedere come
sia possibile trascurare il contributo degli ioni e separare quello degli elettroni.
Altri esperimenti, sempre realizzati al RAL, sono stati dedicati alla rivelazione
di ioni pesanti emessi in simili condizioni di interazione [33].
Il programma
Montecarlo che è stato usato per determinare il comportamento dei protoni
[Par.3.3] permette di fare simulazioni anche con ioni più pesanti.
È stato,
quindi, possibile testare il comportamento degli ioni di Al e C scegliendo,
rispettivamente, delle energia di 200 MeV e 60 MeV che sono dell’ordine delle
energie massime rivelate nelle esperienze sopracitate ( vedi Fig.4.2).
51
Cap. IV Risultati Sperimentali
Figura 4.1: Curva di Bragg nel rivelatore per gli ioni Al 13+ ( 200 MeV ) e di C6+ (65 MeV). Il
range è in entrambi i casi dell’ordine di 100 m. Il primo gradino che si vede nelle curve è
dovuto all’interfaccia tra il filtro di alluminio e il mylar.
Il risultato di queste simulazioni mostra come gli ioni pesanti, in ragione della
loro elevata carica elettrica, possano, al massimo, contribuire al segnale sul
primo film, che, quando è di RCF, è saturo o addirittura bruciato, per cui
inutilizzabile nell’analisi.
In sintesi è stato constatato che, in questo regime di
interazione, la presenza di ioni pesanti non crea problemi all’analisi del fascio di
protoni.
La situazione varia notevolmente, invece, quando si prendono in
considerazione gli elettroni. Per separare, almeno parzialmente, il contributo dei
protoni da quello degli elettroni, si è tenuto conto del diverso andamento delle
rispettive curve di Bragg. Altri tipi di rivelatori, come Nuclear Track Detector
(NTD)di cui un rappresentante tipico è il CR-39, sono sensibili a protoni e ioni e
non ad altri tipi di radiazione ionizzante.
Perciò dal confronto tra il segnale
raccolto simultaneamente da NTD e RCF in esperimenti simili [14], è noto che il
viraggio dovuto alla dose rilasciata dai protoni è molto intenso e poco esteso nel
52
Cap. IV Risultati Sperimentali
piano del film. Al confronto il segnale depositato dagli elettroni appare debole e
diffuso su tutto il piano del rivelatore [34].
In Fig. 4.2 si riporta, a titolo
esemplificativo, la curva di Bragg per elettroni a 3 MeV che si propagano in un
rivelatore a radiocromici schematizzato nella simulazione Montecarlo con una
lastra di mylar di 8 mm di spessore.
Figura 4.2:
Curva di Bragg di un fascio monocromatico di elettroni (E = 3 MeV) in un
rivelatore composto da film radiocromici.
Inoltre, proprio per la loro piccola massa, la traiettoria degli elettroni subisce
forti deflessioni, quindi il segnale depositato sarà diffuso in tutto il piano
rivelatore. Dal confronto tra lo stopping power degli elettroni (Fig. 4.2) e quello
dei protoni (Fig. 3.3) si può concludere che per ottenere lo stesso viraggio del
radiocromico il rapporto tra il numero degli elettroni e quello dei protoni
dovrebbe essere circa 103. Dal risultato di studi sul comportamento di elettroni
generati in un’interazione laser-plasma, ci si aspetta che il numero di elettroni
presenti nel fascio sia ~ 1011 ÷ 10 12 quindi dello stesso ordine o poco più grande
di quello dei protoni rivelati.
In prima approssimazione, quindi, le
considerazioni appena fatte permettono di considerare il segnale lasciato dagli
53
Cap. IV Risultati Sperimentali
elettroni nel primo film RCF in cui non appare segnale di protoni (che
chiamiamo k*) dello stesso ordine di quello che essi lasciano nei fogli precedenti.
Si può procedere, dunque, nella separazione del contributo degli elettroni da
quello dei protoni semplicemente sottraendo la dose rilasciata sul film k* da tutti
i film precedenti .
4.2
Risultati delle analisi
In questo paragrafo sono riportate le immagini relative ad alcuni
shots
accompagnate da una breve descrizione e da qualche considerazione qualitativa.
Gli shots riportati differiscono tra loro essenzialmente per il diverso spessore
del bersaglio di alluminio, che varia da 3 µm a 250 µm. In alcuni casi dietro il
bersaglio di alluminio sono stati posizionati oggetti sottili metallici la cui ombra
appare distintamente nel profilo del fascio.
L’ombra di questi oggetti facilita
l’operazione di centratura dei film RCF. In realtà lo studio di queste ombre è di
interesse legato ai primi tentativi di usare i protoni così prodotti come strumento
di imaging [35, 36].
4.2.1 Shot 260905
In Fig 4.3 è rappresentata la successione dei film RCF e dei fogli di mylar
relativamente allo shot 260905.
Figura 4.3: Configurazione del rivelatore usato durante lo shot 260905.
54
Cap. IV Risultati Sperimentali
In questo shot l’energia dell’impulso laser era EL = 120 J, a cui corrisponde
un’intensità sul bersaglio pari a Il ≈ 4 ×1019 W 2 1.
cm
In Fig. 4.4 è riportato lo spettro integrato sulla sezione trasversale del fascio di
protoni.
I punti del grafico forniti dall’algoritmo sono stati connessi con una
spezzata.
Figura 4.4: Spettro integrato spazialmente.
1
La diagnostica del sistema laser fornisce una stima dell’energia dell’impulso laser EL; a causa
di perdite di vario tipo, solo una frazione η dell’energia EL incide effettivamente sul bersaglio.
Indicando con ξ la frazione di energia contenuta nel diametro dello spot focale, l’intensità media
sul bersaglio può essere stimata come:
Il ≈
con
Eˆ L =
Eˆ L
2

×  ⋅ d 2 
( )
× E L , cioè l’energia massima che incide sul bersaglio.
Nel nostro caso η ≅ 0.7 e ξ ≅ 0.4, per cui :
Il (
W
) ≈ 3.6 × 1017 × E L ( J)
cm 2
55
Cap. IV Risultati Sperimentali
L’energia totale del fascio Ep può essere così calcolata:
E p = ∫ Ef (E )dE
( 4.1 )
dove con f(E) s’intende lo spettro del fascio di protoni.
Questo permette di stimare l’efficienza di conversione della luce laser in
protoni (
lp
) nel range di energie coperto dalla parte di rivelatore presa in
considerazione nell’analisi:
( 4.2 )
lp
E
= ˆp
EL
dove Eˆ L è l’energia massima incidente sul bersaglio.
In Tab. 4.1 si riassumono i dati significativi relativi allo shot 260905.
Spessore del bersaglio
25 µ
Energia dell’impulso laser (EL)
( 120 ± 10 ) J
Intensità sul bersaglio ( Il )
4 x 1019 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
2.5%
Range di energie analizzato
(12.4 ÷ 25.8) MeV
Numero totale di protoni
7 x 1011
Tabella 4.1: Parametri caratteristici dello shot 260905.
Nello shot 260905 a circa 1 mm dal bersaglio di alluminio era posizionato un
reticolo di rame di passo 100 µm e formato da dei fili di diametro di circa 25 µm.
Il reticolo era parallelo al bersaglio e, quindi, perpendicolare all’asse di
propagazione dei protoni. L’ombra del reticolo appare nel profilo trasversale del
fascio (vedi Fig 4.5). Poiché lo spessore dei fili del reticolo è molto minore del
range dei protoni a queste energie, l’ombra non è dovuta a stopping ma allo
scattering dei protoni sui fili del reticolo [37].
56
Cap. IV Risultati Sperimentali
Per questo primo
shot è stato ritenuto interessante riportare non solo la
ricostruzione spaziale dello spettro di protoni ottenuta dall’applicazione del
metodo d’analisi (Tavola IV-V), ma anche i dati sperimentali prima dell’analisi,
(Tavola II-III) per poterli confrontare. In Fig. 4.5 (c) si riporta la dose rilasciata
dal fascio di protoni generato durante l’interazione sul 7° RCF. In Fig. 4.5 (a) è
riportata la distribuzione spaziale della componente del fascio di protoni
all’energia di campionamento di 12.4 MeV, così come ricostruita dall’algoritmo,
sulla base delle informazioni contenute nell’insieme dei 12 film radiocromici del
rivelatore.
Infine in Fig. 4.5 (b) riportiamo la dose che questa specifica
componente del fascio ricostruito dall’algoritmo depositerebbe nel 7° RCF.
(a)
0
(b)
4.8e+11
(c)
0
n.pro sr--1 MeV-1
E= 12.4 MeV
90
Dose[Gy ]
E= 12.4 MeV
film n° 7
0
211
Dose[Gy ]
film n°7
Figura 4.5: Confronto tra la dose, effettivamente, rilasciata dai protoni nel 7° film RCF (c)
con quella che la componente a 12.4 MeV del fascio ricostruito dall’algoritmo (a)
rilascerebbe nello stesso film (b).
Dal confronto tra Fig. 4.5 (b) e (c) si vede come, dopo l’analisi, il contrasto
migliori. Il risultato ottenuto è in accordo con l’idea che l’ombra è dovuta allo
scattering.
Infatti l’algoritmo può isolare il contributo di protoni di diversa
energia, consentendo di considerare quelli che danno maggiore contributo allo
scattering.
57
Cap. IV Risultati Sperimentali
Nelle immagini l’errore sullo spettro è ∼10% ed è stato stimato calcolando la
deviazione standard delle fluttuazioni dello spettro in un intervallo in cui esso è
costante.
58
Cap. IV Risultati Sperimentali
4.2.2
Shot 171002
Figura 4.6: Configurazione del rivelatore
Spessore del bersaglio
3 µm
Energia dell’impulso laser (EL)
( 21 ± 2 ) J
Intensità sul bersaglio ( Il )
7 x 1018 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
2.6%
Range di energie analizzato
(4.7 ÷ 12.1) MeV
Numero totale di protoni
3.1 x 10+11
Tabella 4.2: Parametri caratteristici
In questo caso sia lo spessore del bersaglio che l’energia sono molto più
piccoli che negli altri casi. L’efficienza di conversione dell’energia dell’impulso
laser in energia di protoni, però, è piuttosto alta (rispetto sempre al confronto con
gli altri shots) .
In effetti è ragionevole supporre che uno spessore così sottile
permetta che molti più elettroni riescano a fuoriuscire dalla superficie posteriore
del bersaglio dando luogo ad un intenso campo di estrazione.
59
Cap. IV Risultati Sperimentali
Figura 4.7: Spettro integrato spazialmente.
La ricostruzione bi-dimensionale dello spettro, che è presentata nella pagina
successiva (Tavola VI), mostra come, per questo spessore del bersaglio, il fascio
non presenti strutture particolarmente evidenti.
A basse energie (intorno ai 5
MeV) i protoni vengono emessi in modo pressoché uniforme: l’apertura angolare
del fascio è maggiore o uguale a 32°.
Ad energie più alte (di circa 11 MeV ),
invece è presente un addensamento di popolazione con minor divergenza
angolare (∼ 20° ). Per valori intermedi si nota un addensamento di protoni sul
bordo della popolazione ad energia più alta, la cui apertura angolare è dell’ordine
di 3°. L’energia massima dei protoni prodotti è circa 10.6 MeV.
60
Cap. IV Risultati Sperimentali
4.2.3
Shot 070905
Figura 4.8: Configurazione del rivelatore.
In questo caso posto 2 mm dalla superficie posteriore del bersaglio era stato
posizionato un foglio di 25 µm di alluminio, parallelo al bersaglio , di modo tale
che circa metà di esso fosse attraversata dal fascio di protoni.
L’ombra di un
lato del foglio appare nella ricostruzione del profilo trasversale del fascio (Tavola
VII).
Come nel caso dello shot 260905 la presenza dell’oggetto fornisce un
punto di riferimento per il processo di allineamento dei film.
Il sesto RCF è
stato escluso dall’analisi in quanto saturo.
Spessore del bersaglio
25 µm
Energia dell’impulso laser (EL)
( 120 ± 10 ) J
Intensità sul bersaglio ( Il )
5 x 1019 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
2.8%
Range di energie analizzato
( 13.8 ÷ 23 ) MeV
Numero totale di protoni
9.2 x 10+11
Tabella 4.5: Parametri caratteristici
61
Cap. IV Risultati Sperimentali
Figura 4.9: Spettro integrato spazialmente.
Anche in questo caso si vede chiaramente che la divergenza angolare tende a
decrescere con l’aumentare dell’energia. Ad energia intermedia (∼ 16.1 MeV) si
riesce a distinguere un addensamento di protoni la cui apertura angolare è circa
20°. Ad energie più alte si osservano delle strutture sottili e disordinate che non
eccedono i 5°.
62
Cap. IV Risultati Sperimentali
4.2.4
Shot 230807
Figura 4.10: Configurazione del rivelatore
Spessore del bersaglio
100 µm
Energia dell’impulso laser (EL)
( 100 ± 10 ) J
Intensità sul bersaglio (I)
4 x 1019 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
0.6%
Range di energie analizzato
(4.6 ÷ 14.4) MeV
Numero totale di protoni
3 x 10+11
Tabella 4.5: Parametri caratteristici
Figura 4.11: Spettro integrato spazialmente.
63
Cap. IV Risultati Sperimentali
Osservando il profilo trasversale del fascio, in Tavola VIII, si può notare una
struttura più ordinata rispetto a i casi precedentemente trattati.
Questa sembra
essere una caratteristica comune a tutti li spari effettuati usando bersagli di
spessori superiori ai 100 µm.
Ancora una volta è evidente come l’apertura
angolare del fascio diminuisca con l’aumentare dell’energia : a basse energie ( ∼
4.6 MeV ) è di circa 50° mentre ad alte (∼ 12.2 MeV) si riduce a circa 20°.
Inoltre si nota, fin dalla prima ricostruzione del profilo trasversale del fascio, un
addensamento sottile (∼ 7° a ∼ 7 MeV ) di protoni sul bordo della popolazione
ad energie più alte che è caratterizzata da sotto-strutture non ben definite.
64
Cap. IV Risultati Sperimentali
4.2.5
Shot 300803
Figura 4.12: Configurazione del rivelatore.
Spessore del bersaglio
250 µm
Energia dell’impulso laser (EL)
( 140 ± 10 ) J
Intensità sul bersaglio ( Il )
5 x 1019 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
2.4%
Range di energie analizzato
(10.3 ÷ 24.4) MeV
Numero totale di protoni
8.1 x 10+11
Tabella 4.6: Parametri caratteristici
Figura 4.13: Spettro integrato spazialmente.
65
Cap. IV Risultati Sperimentali
Lo spettro integrato di Fig. 4.13 ha un comportamento che a prima vista può
apparire anomalo poiché, mentre tutti gli altri spettri presentati in questa tesi
decrescono all’aumentare dell’energia dei protoni, questo resta, praticamente,
costante per poi crollare bruscamente a zero attorno ai 24 MeV.
In realtà in
questo intervallo di energie dei protoni, il risultato è consistente con spettri
ottenuti in altri esperimenti [33]. Nella ricostruzione delle distribuzioni spaziali
dei protoni a varie energie ( Tavola IX-X) si evidenzia una struttura regolare del
fascio.
I protoni ad energia più bassa formano degli anelli intorno alle
popolazioni più energetiche. All’interno di questi anelli, che si restringono con
l’aumentare dell’energia, il fascio è piuttosto uniforme, cioè spariscono le
strutture filamentose che si osservano per spessori minori del bersaglio.
É
importante notare che strutture analoghe a questa, che sono già state evidenziate
usando rivelatori NTD [33, 38], non appaiono evidenti nelle scansioni dei film
radiocromici.
Grazie all’analisi effettuata è la prima volta che queste strutture
sono state evidenziate usando RCF.
Proprio per l’andamento caratteristico dello spettro spaziale di questo shot, in
questo caso è interessante costruire il profilo longitudinale del fascio (vedi Fig.
4.4).
Figura 4.14: Profilo longitudinale (lungo l’asse x ) del fascio di protoni: si può vedere la così
detta struttura a bolla, con addensamenti di protoni ad energia più basse ai bordi di quelli
più energetici.
66
Cap. IV Risultati Sperimentali
4.2.6
Shot 310806
Figura 4.15: Configurazione del rivelatore.
Spessore del bersaglio
250 µm
Energia dell’impulso laser (EL)
( 110 ± 10 ) J
Intensità sul bersaglio ( Il )
4 x 1019 W/cm2
Efficienza di conversione (
lp
)
0.8%
Range di energie analizzato
( 7 ÷ 18 ) MeV
Numero totale di protoni
3.3 x 10+11
Tabella 4.8: Parametri caratteristici.
Figura 4.16: Spettro integrato spazialmente.
67
Cap. IV Risultati Sperimentali
Il primo foglio del rivelatore è saturo quindi non è stato usato nell’analisi.
In questo
shot il bersaglio ha lo stesso spessore del caso precedente.
Nonostante che l’energia del laser sia diminuita di 40 Joule, il comportamento
spaziale di due shots è analogo. Anche in questo caso, come si vede in Tavola
XI, appare la stessa struttura del fascio caratterizzata da anelli più esterni la cui
apertura radiale diminuisce con l’energia.
Visto che L’analisi fornisce spettri bi-dimensionali, è possibile estrarre
l’andamento spettrale della parte centrale del fascio.
Lo spettro al centro del
fascio è caratterizzato da un andamento crescente con l’energia dei protoni (Vedi
Fig. 4.17). In effetti nella struttura a bolla le energie sono parzialmente separate
nello spazio.
Quindi nel punto centrale, come si vede, contribuiscono allo
spettro soprattutto protoni ad energia più alta:
Fig. 4.17: Analisi dello spettro nel centro del fascio. L’andamento è crescente al contrario
dello spettro integrato su tutto il foglio. Questo comportamento è tipico della struttura a
bolla: le diverse energie sono parzialmente separate nello spazio, quindi nel punto centrale
contribuiscono allo spettro soprattutto protoni ad energia più alta.
68
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA II
260905
Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è
posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm).
Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J
0
Dose[Gy]
211
film
n° 7
n° 8
film
n° 9
n°10
film
n° 11
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA III
260905
Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è
posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm).
Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J
0
Dose[Gy]
211
film
n° 12
n°13
film
n°14
n°16
film
n°18
n°20
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA IV
260905
Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è
posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm).
Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J
0
n.pro sr-1 MeV-1 4.8e+11
Ec= 12.4 MeV
Ec = 13.8 MeV
Ec =15.0 MeV
Ec =16.1MeV
Ec =17.2 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA V
260905
Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è
posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm).
Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J
0
n.pro sr-1 MeV-
1
4.8e+11
Ec =18.3 MeV
Ec =19.4 MeV
Ec =20.9 MeV
Ec =22.4 MeV
Ec =23.6 MeV
Ec =24.5 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA VI
Bersaglio: foglio di Al di spessore 3 µm
Laser: Eˆ L = (15 ±1) J
171002
0
n.pro sr-1MeV-1
5.3e+11
Ec =4.7 MeV
Ec =7.1 MeV
Ec =9 MeV
Ec =10.6 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA VII
Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼2 mm dalla superficie posteriore è
posto un un foglio di Al (spessore 25 µm) di cui si vede un lato.
Laser: Eˆ L = (87 ± 9) J
070905
0
n.pro sr-1 MeV-
1
5.6e+11
Ec =13.8 MeV
Ec =16.1 MeV
Ec =19.1 MeV
Ec =20.9 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA VIII
Bersaglio: foglio di Al di spessore 100 µm
Laser: Eˆ L = ( 70 ± 7) J
230807
0
n.pro sr-1 MeV-
1
2.5e+11
Ec =4.6 MeV
Ec =7 MeV
Ec =8.9 MeV
Ec =10.6 MeV
Ec =12.2 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA IX
Bersaglio : foglio di Al di spessore 250 µm
Laser: Eˆ L = (100 ±10) J
300803
0
n.pro sr-1 MeV-
1
2.2e+11
Ec =10.3 MeV
Ec =11.8 MeV
Ec =13.2 MeV
Ec =14.7 MeV
Ec =17.3 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA X
Bersaglio: foglio di Al di spessore 250 µm
Laser: Eˆ L = (100 ±10) J
300803
0
Ec =19.5 MeV
Ec =23.0 MeV
n.pro sr-1 MeV-
1
2.2e+11
Ec =21.1 MeV
Cap.IV Risultati Sperimentali
TAVOLA XI
Bersaglio: foglio di Al di spessore 250 µm
Laser: Eˆ L = ( 77 ± 7) J
310806
0
n.pro sr-1 MeV-
1
3.5e+11
Ec =7 MeV
Ec =8.9 MeV
Ec =10.6 MeV
Ec = 12.2 MeV
Ec =14.3 MeV
Conclusioni
Conclusioni
Dal confronto dei dati analizzati si può osservare come con l’aumentare dello
spessore del bersaglio appaiano strutture regolari.
Per 3 µm di spessore la
distribuzione spaziale energetica dei protoni è completamente disordinata. Già
da 25 µm a 100 µm, la struttura del fascio comincia ad apparire più compatta,
anche se al suo interno rimangono delle filamentazioni non omogenee. Infine a
250 µm si presentano strutture anulari piuttosto uniformi al loro interno.
La
presenza di queste strutture anulari è un argomento ancora discusso.
Si
avanzano attualmente diverse ipotesi sulla loro formazione legate ai modelli di
generazione del fascio di protoni stesso.
Benché i risultati sperimentali riportati in questa tesi non permettano di
estrarre conclusioni definitive sui meccanismi di generazione dei fasci di protoni,
essi rappresentano una prima applicazione di un algoritmo originale per la
caratterizzazione di un fascio di protoni rivelato con film radiocromici. In futuro
l’applicazione di questo metodo ad un numero più consistente di eventi non solo
caratterizzati da spessori diversi dei bersagli, ma anche dall’impiego di materiali
e forme differenti, permetterà di avanzare anche nello studio dei meccanismi di
accelerazione dei protoni.
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