Universita' degli Studi di Pisa Facolta' di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Anno Accademico 2001-2002 Tesi di Laurea Analisi dello spettro energetico di protoni generati da interazione ultra-intensa laserplasma Candidato Evelina Breschi Relatore Prof. Danilo Giulietti Ringraziamenti Non credevo che, nella tesi, fosse difficile anche scrivere i ringraziamenti; d’altra parte tenere in considerazione tutti quanti hanno partecipato (tecnicamente e non) al lavoro senza incappare in un poema non è cosa facile! Dunque, per cominciare voglio ringraziare il Prof. Danilo Giulietti che mi ha dato la possibilità di svolgere questo lavoro e per i suoi preziosi suggerimenti. Ugualmente tengo ad esprimere la mia gratitudine al Dott. Marco Borghesi per la sua incredibile disponibilità sia nell’accogliermi a Belfast sia durante tutto il corso del lavoro. Entrambi i laboratori in cui sono stata accolta, l’IPCF – CNR di Pisa e la Queen’s University of Belfast, sono accumunati da un clima amichevole che rende la permanenza estremamente piacevole. Grazie a tutto il gruppo dell’IPCF: Antonio, Leonida, Paolo, Luca, Alessio, Monica, Flavio, Paola, Petra, Gabriele e Carlo Alberto ed in particolare a Marco per la sua smisurata pazienza! Grazie a Lorenzo ed a tutti coloro che ho incontrato a Belfast, dove ho trascorso un periodo meraviglioso. É indispensabile ricordare anche Angelo ed Hamish dell’Imperial College di Londra, sempre pronti a rispondere alle mie richieste Naturalmente quache riga deve essere dedicata agli amici: tutti quanti mi hanno “sopportato” anche nei periodi di maggiore stress (che posso immaginare non sia cosa facile!). In particolare Luca, senza il quale non so come farei; Riccardo, la cui pazienza è proporzionale alla capacità di stressare! Nicola, anche per il valido supporto tecnico! Infine non possono assolutamente mancare i miei genitori ed il resto della famiglia, qui le parole, però, non basteranno mai (anche se a volte non è così evidente). Indice Indice Ringraziamenti Introduzione 1 Accelerazione di protoni 1.1 Parametri caratteristici del plasma 1.2 Interazione laser-materia 1.3 Interazione laser-plasma 1.4 Accelerazione di protoni 1.4.1 1.5 2 Modello di campo Interazione protoni-materia 1.5.1 Stopping power 1.5.2 Range 1.5.3 Straggling Apparato sperimentale 2.1 Configurazione dell’apparato 2.2 Il sistema laser 2.3 3 2.2.1 L’oscillatore principale 2.2.2 Chirped-pulsed-amplification Il rivelatore 2.3.1 Struttura e configurazione 2.3.2 Principali caratteristiche Sviluppo ed analisi dati 3.1 Trattamento delle immagini 3.2 Ricostruzione dello spettro 3.3 Programma di analisi Montecarlo 3.3.1 Perdite di energia nucleari 3.3.2 Perdide di energia elettroniche 3.4 Proprietà delle curve di Bragg 3.5 Verifica dell’algoritmo 3.5.1 Prima Verifica Indice 3.5.2 4 Seconda Verifica Risultati sperimentali 4.1 Composizione del fascio 4.2 Risultati dell’analisi 4.3 4.2.1 Shot 260905 4.2.2 Shot 171002 4.2.3 Shot 070905 4.2.4 Shot 230807 4.2.5 Shot 300803 4.2.6 Shot 310806 Osservazioni Conclusioni Bibliografia Introduzione Introduzione Quando un impulso laser ultra-intenso interagisce con un bersaglio solido, una parte significativa dell’energia del laser è trasformata in particelle cariche energetiche. Uno dei più interessanti risultati in quest’area di ricerca è stata l’osservazione di fasci di protoni: in molti esperimenti realizzati con differenti sistemi laser ed in diverse condizioni d’interazione sono stati rivelati protoni di energie superiori alle decine di MeV al di là della superficie posteriore del bersaglio irradiato. I fasci di particelle sono ortogonali alla superficie posteriore del bersaglio ed hanno divergenza angolare limitata. Visto che i protoni sono stati prodotti anche da bersagli metallici, cioè da materiali che non contengono idrogeno, è uniformemente accettato che derivino dalle impurità di idrocarburi presenti sulla superficie e nel volume del bersaglio. Se l’origine dei protoni sembra accertata, la discussione resta ancora aperta riguardo al campo responsabile della loro estrazione. Tra le diverse teorie formulate, la più accreditata propone il campo elettrostatico formato dagli elettroni veloci, accelerati durante l’interazione, sulla superficie posteriore del bersaglio. Le proprietà di questi fasci (la piccola dimensione della sorgente, l’alto grado di collimazione, la breve durata e la dipendenza in energia dalle caratteristiche del bersaglio) li rendono particolarmente interessanti in vista di future applicazioni in domini scientifici diversi; per esempio: - nello studio di campi elettrici e magnetici generati durante l’interazione di un impulso laser ultra-intenso con un plasma di alta densità; - nell’analisi di materiali ad alta densità; - negli studi di fusione a confinamento inerziale; - in fisica medica, dove possono essere sfruttati come sorgente per “radiografie”. I dati presentati in questa tesi sono stati prodotti durante degli esperimenti realizzati nella Central Laser Facility del Rutherford Appleton Laboratory, sede del sistema laser Vulcan. In particolare il mio lavoro concerne sull’analisi di dati raccolti in un esperimento collaborativo tra la Queen’s University of Belfast Introduzione e l’IPCF (Istituto per i Processi Chimico Fisici) del CNR di Pisa. In effetti il mio lavoro è cominciato presso la Queen’s University, dove sono stata per circa tre mesi, e si è concluso all’IPCF. Il contenuto di questa tesi consiste nella caratterizzazione di alcune proprietà del fascio di protoni generato, come il numero di protoni presenti, la loro distribuzione spaziale e quella energetica a partire dal segnale che il fascio produce su di un rivelatore formato da un pacchetto di film radiocromici (RCF). La tecnica di rivelazione si basa sulle proprietà dei film radiocromici di variare la propria densità ottica a seguito dell’irraggiamento con radiazione ionizzante. Per poter determinare lo spettro di energia del fascio di protoni è necessario conoscere la risposta dei vari fogli di RCF a fasci monocromatici e monodirezionali; a questo scopo è stato usato un programma di simulazione Montecarlo. Dopo che la validità del metodo di analisi è stata testata su fasci simulati di protoni, l’algoritmo è stato applicato a diversi eventi (shots) ottenuti irradiando, a differenti intensità, bersagli dello stesso materiale (Al) ma di spessore diverso. Cap. I Accelerazione di protoni Capitolo I Accelerazione di protoni In generale, quando la radiazione di un laser di potenza investe un qualsiasi mezzo, questo rapidamente si ionizza e si crea un plasma. Gli elettroni liberi oscillano nel campo del laser e, a seconda del valore di intensità e lunghezza d’onda, possono raggiungere velocità relativistiche. Ad esempio, per la lunghezza d’onda di un laser a Neodimio (λ = 1 µm), velocità relativiste vengono raggiunte per intensità che eccedono ∼ 1018 W/cm2. Fissata una certa lunghezza d’onda, le intensità per le quali il movimento dell’elettrone nel campo elettromagnetico risulta relativistico sono dette appunto relativistiche. Gli elettroni più energetici attraversano lo spessore del bersaglio ionizzando la materia anche dove la luce laser non arriva e creano, sulla superficie posteriore, le condizioni necessarie alla formazione di un campo elettrostatico in grado di estrarre un fascio di ioni. Tra i possibili ioni che possono essere accelerati, diversi a seconda della natura del bersaglio, i protoni, che sono i più leggeri, sono quelli che risentono di più dell’azione del campo. In questo capitolo ci si appresta ad introdurre le nozioni fondamentali necessarie a comprendere gli esperimenti e ad elaborare dei semplici modelli per interpretarli. Prima di tutto si definiscono i parametri caratteristici di un plasma e successivamente si introducono brevemente i seguenti argomenti: • creazione di un plasma per ionizzazione di un bersaglio di alluminio; • interazione laser-plasma e generazione di elettroni veloci; • formazione del campo di estrazione di protoni. Infine si introduce la dinamica d’interazione di un fascio di protoni in un mezzo solido, necessaria per capire il funzionamento del rivelatore e il procedimento implementato per analizzare i dati. 1 Cap. I Accelerazione di protoni 1.1 Parametri caratteristici del plasma Per cominciare ricordiamo che si definisce plasma un insieme di particelle cariche la cui concentrazione è sufficientemente alta da mantenere la neutralità macroscopica, cioè il loro numero è tale che le proprietà statistiche dell’insieme sono determinate dall’interazione a lungo raggio coulombiana, piuttosto che dalle forze di interazione tra i primi vicini. Un plasma è caratterizzato da una serie di grandezze macroscopiche: le temperature degli elettroni e degli ioni, Te e T i, la densità elettronica ne e lo stato di carica medio del plasma Z . A partire da questi parametri si derivano le altre grandezze caratteristiche: la frequenza di plasma, D p, la lunghezza di Debye, e la lunghezza di scala L. La luce laser che si propaga in un plasma è descritta dalla seguente relazione di dispersione: 2 l ( 1.1 ) dove l = 2 p + kl2c 2 e kl sono, rispettivamente, la pulsazione e il vettore d’onda del laser e c è la velocità della luce nel vuoto. Se ammettiamo che siano gli elettroni a spostarsi mentre gli ioni restano fermi nelle loro posizioni di equilibrio, per ( 1.2 ) p = p si trova la seguente espressione: 4 ne e 2 m in cui m ed e sono, rispettivamente, la carica e la massa dell’elettrone. La frequenza di plasma definisce il limite inferiore delle frequenze di un’onda elettromagnetica che può propagarsi in un plasma. Si definisce la densità elettronica critica quella per cui la frequenza del laser è uguale alla frequenza propria del plasma: ( 1.3 ) p = l ? nc (cm −3 )= 1.1 ↔10 21 ( m) −2 in cui λ è la lunghezza d’onda del laser. Nelle regioni in cui ne nc il plasma è detto sovra-critico, e non c’è propagazione di radiazione elettromagnetica se non sotto forma di onde evanescenti; il vettore d’onda, infatti, diviene immaginario (Eq.1.1) e 2 Cap. I Accelerazione di protoni l’andamento dell’intensità della radiazione elettromagnetica in funzione della coordinata di propagazione risulta un esponenziale decrescente. Nelle regioni in cui ne nc, il plasma è sotto-critico, ed un’onda elettromagnetica si può propagare. Il parametro che caratterizza il comportamento collettivo del plasma è la lunghezza di Debye ( D), che definisce il limite macroscopico entro il quale il plasma è neutro, ossia la dimensione in cui la compensazione di carica può anche non avvenire. Ogni specie ionica (oltre agli elettroni) presente nel plasma ha una propria lunghezza di Debye il cui quadrato è proporzionale alla temperatura della specie ed inversamente proporzionale alla sua densità; nel caso di elettroni a temperatura Te si ha: ( 1.4 ) D = ve = p kTe 4 ne e 2 Un altro parametro fondamentale è la lunghezza di scala, definita in ogni direzione come: 1 1 n = L n x ( 1.5 ) Anche L come D è definita per gli elettroni e per ogni specie ionica che compone il plasma. Quando un fascio laser, cioè un’onda elettromagnetica. si propaga nel plasma, si ha un trasferimento di impulso dall’onda al plasma stesso attraverso la forza r r ponderomotiva ( Fp ) che dipende dal gradiente d’intensità del laser ( ∇ Il ). In pratica si tratta di un effetto che tende a spingere le particelle cariche fuori dalle zone dove il campo è più intenso. La forza ponderomotiva è indipendente dalla carica delle particelle ma dipende dalla massa per cui gli elettroni, che sono molto leggeri rispetto agli ioni presenti, sono quelli che ne risentono di più. Per derivare l’espressione nel caso di elettroni non relativistici si parte dall’equazione fluida elettronica, si decompone la velocità nei due termini lineare e non lineare, e si segue lo sviluppo di quest’ultimo su un periodo laser: 3 Cap. I Accelerazione di protoni r r ∇Il Fp = − 2cn c ( 1.6 ) Nella regione di plasma sovra-critico, cioè quella in cui la luce laser non si r propaga, Fp è nulla. La forza ponderomotiva può essere vista come un r r gradiente di un potenziale ( Fp = −∇Φ p ) ,la cui espressione si ricava dal confronto con Eq.1.6: Φp = ( 1.7 ) Il 2cnc Nel caso relativistico, la densità critica aumenta del fattore di Lorentz medio <γ>; di conseguenza la forza ponderomotiva è depressa della medesima quantità [ 2 ]. 1.2 Interazione laser-materia In tutte le esperienze presentate in questa tesi, il laser è focalizzato su un bersaglio solido di alluminio e la sua intensità è tale da consentire la ionizzazione dell’area del bersaglio su cui incide, in una frazione di ciclo di oscillazione del campo elettromagnetico. La ionizzazione può avvenire per fenomeni diversi a seconda del regime di interazione: • Per collisioni [3]; con un impulso lungo è sufficiente che si liberino alcuni elettroni perché la ionizzazione si completi a causa delle collisioni elettrone/ione o elettrone/atomo. In pratica gli elettroni, sotto l’azione del campo elettrico del laser, oscillano nel mezzo e lo ionizzano, con un processo del tipo : ( 1.7 ) e- + M → 2 e- + M+ in cui con M si indica un generico atomo. • Per assorbimento di più fotoni da parte di un atomo [3]; questo meccanismo è noto come multiphoton ionization. In pratica, anche se l’energia di ogni singolo fotone è inferiore a quella necessaria a permettere una transizione del sistema atomico, la luce laser ne mette a disposizione una quantità tale da permettere la separazione elettrone-ione: 4 Cap. I Accelerazione di protoni M+m(h ) ( 1.8 ) M+ + e- dove m è il numero di fotoni assorbiti. • Per azione diretta del laser; in effetti se il campo elettrico è sufficientemente alto può abbassare la barriera di potenziale, che mantiene l’elettrone in orbita intorno al nucleo, tanto da permettergli di fuoriuscire. Questo è il caso di ionizzazione per effetto tunnel [4] . Tra gli ultimi due, il meccanismo dominante può essere individuato da una stima del parametro di Keldysh [4, 5], che rappresenta il rapporto tra il tempo che un elettrone impiega ad attraversare la barriera di potenziale ed un periodo di campo elettromagnetico: ( 1.9 ) k E = i 2Φ P dove Ei è il potenziale di ionizzazione dell’atomo e ΦP è il potenziale ponderomotore. Se k >1, il campo elettrico non è abbastanza intenso da riuscire ad abbassare la barriera di potenziale e la ionizzazione sarà soprattutto multifotonica; d’altra parte, se k <1, ci sarà ionizzazione tunnel. Nel nostro caso l’energia di ionizzazione media per l’alluminio, dell’ordine del keV [6]. Ei(Al13+), è Per quanto riguarda il potenziale ponderomotore è necessario distinguere due casi. Infatti, l’impulso principale di un laser ad alta potenza è preceduto da un pre-impulso, molto più debole, ma sufficiente a creare un plasma [Cap II Fig 2.6 ]. Quando sul campione arriva il pre-impulso, cioè una radiazione di intensità IPd ≈ 1012 Wcm-2, il potenziale ΦP è di circa 10 eV, ossia molto minore di Ei(Al13+). Dunque all’inizio dell’interazione il meccanismo dominante sarà la ionizzazione multi-fotonica. dell’impulso principale, la situazione cambia. All’arrivo L’intensità è dell’ordine di 1019 Wcm-2 e ΦP è dell’ordine 103 keV, cioè molto maggiore di Ei(Al13+); per cui il meccanismo dominante è la ionizzazione tunnel. 5 Cap. I Accelerazione di protoni 1.3 Interazione laser-plasma Il plasma prodotto nell’impatto del pre-impulso sul bersaglio metallico, si espande nel vuoto davanti alla superficie anteriore del bersaglio con una velocità dell’ordine di quella del suono ( cs ≅ 107 ÷ 108 cm / sec ). Figura 1.1: Quando laser arriva sul bersaglio solido si crea un plasma che tende ad espandersi nel vuoto. L’interazione tra l’impulso laser ed il plasma prodotto è densa di fenomeni che sono più o meno importanti a seconda del regime a cui avviene. In questo contesto ci si propone di dare un’idea delle condizioni di generazione del fascio di protoni. La loro accelerazione non può essere dovuta direttamente al laser, così come prevedono le stime teoriche. Si ritiene, viceversa, responsabili della formazione del campo di estrazione dei protoni siano gli elettroni energetici. In effetti sono proprio gli elettroni, data la loro massa, che assorbono la maggior parte della luce del laser [7]. Quando un impulso laser di breve durata attraversa un plasma sotto-critico, la forza ponderomotiva agisce, sia longitudinalmente che trasversalmente, su 6 Cap. I Accelerazione di protoni elettroni e ioni; tuttavia quest’ultimi per la loro inerzia rimangono fermi mentre gli elettroni vengono espulsi dalla regione in cui il campo laser è più intenso. Quando il waist del fascio laser è maggiore della lunghezza d’onda di plasma la componente longitudinale della forza ponderomotiva è quella dominante e determina la formazione di zone di carica positiva e negativa, cioè di un campo elettrostatico di richiamo (wake-field). Quindi, dopo il passaggio della radiazione, gli elettroni oscillano alla frequenza di plasma. In pratica ogni impulso laser lascia dietro di sè una “scia” di oscillazioni caratterizzate da un campo elettrico longitudinale che accelera gli elettroni. Affinché questo fenomeno possa svilupparsi è necessaria una precisa proporzionalità tra la durata dell’impulso laser ed il periodo di oscillazione di plasma, e quindi la densità elettronica [8]. In generale si ha la possibilità che si sviluppi wake-field quando la durata del laser è ultra-breve (tempo di durata dell’ordine delle decine di femtosecondi). Se questa proporzionalità non è rispettata, però, l’automodulazione dell’impulso laser stesso può creare le condizioni utili per cui l’accelerazione abbia ugualmente luogo, allora si parla di self-modulated wakefield [9, 10]. In questo caso l’onda elettromagnetica ( ωl, kl ), decade in un’onda di plasma ( ωp, kp ) e in un’onda di luce ( ωl-ωp, k l- k p ), per instabilità Raman stimolata. Se la lunghezza di scala del plasma L, è sufficientemente piccola rispetto a quella del laser λ, l’ampiezza di oscillazione di un elettrone nel campo laser è tale da permetterli di fuoriuscire dal plasma nel vuoto. Nel corso di un periodo di oscillazione, però, l’elettrone sarà spinto nuovamente nel plasma, con un energia tale da riuscire a penetrare nel bersaglio e ionizzarne la regione più interna: in questo fenomeno (noto come vacuum heating [11] ) è il campo laser stesso che provvede all’accelerazione. Il vacuum heating è un effetto che si manifesta ad elevata intensità, ma non necessariamente relativistiche. Quando entriamo nel range delle intensità relativistiche si producono ulteriori meccanismi di accelerazione degli elettroni. Siccome in questo caso la densità critica aumenta di un fattore <γ>, la luce laser riesce a propagarsi più in profondità. A queste intensità il termine magnetico nella forza di Lorentz non può essere trascurato. 7 Cap. I Accelerazione di protoni Il moto degli elettroni, in un’onda polarizzata linearmente, si sviluppa nel piano r r r k , E in forma di un “8” tanto più allungata lungo k quanto più elevata è l’intensità (Fig.1.2). E B k Figura 1.2: Moto di un elettrone libero in un onda piana polarizzata linearmente. Quindi anche il campo magnetico laser imprime agli elettroni un’accelerazione parallela alla direzione di propagazione della radiazione stessa. Per via della discontinuità che si presenta nel modo di propagazione dell’onda elettromagnetica alla densità critica, oltre la quale non c’è più campo magnetico oscillante, sugli elettroni che stanno oscillando viene a mancare la forza di richiamo quindi continuano a penetrare nel plasma sopra-critico e nel solido r r ( J ↔B heating) [11]. Benchè gli elettroni del plasma non siano in una situazione di equilibrio termico durante l’impulso laser, essi possono essere schematicamente descritti come divisi in due popolazioni: una a temperatura più alta (elettroni energetici) ed una a temperatura più bassa (elettroni freddi). 1.4 Accelerazione di protoni 8 Cap. I Accelerazione di protoni La formazione dei fasci di protoni, dalla loro scoperta, è stata argomento di forte dibattito. Un punto di accordo tra le diverse teorie è la loro provenienza; sembra, infatti, accertato che nei bersagli metallici si formino dalle impurità di idrocarburi, dovuti ai depositi di oli della camera a vuoto, presenti sulla superficie e nel volume del bersaglio [12]. É, dunque, l’idrogeno di questi idrocarburi a fornire i protoni che saranno poi accelerati. Ad intensità dell’ordine di 10 19 W/cm2 i protoni non possono essere accelerati direttamente dal campo elettromagnetico associato alla radiazione; nonostante questo essi acquisiscono ugualmente un impulso diretto lungo la normale alla superficie posteriore del bersaglio grazie al campo di separazione di carica. Tra i diversi meccanismi proposti di accelerazione, i più accreditati sono due. Il primo prevede che i protoni siano generati sulla superficie anteriore del bersaglio (da cui il nome front surface acceleration), cioè quella colpita dal laser. In seguito sono accelerati nel volume ed espulsi ortogonalmente alla superficie posteriore [13]. I protoni, dunque, si propagano nella direzione di espansione del plasma all’interno del bersaglio e l’accelerazione è attribuita allo spostamento di carica dovuto al movimento degli elettroni. Questa teoria giustifica, effettivamente, alcune caratteristiche del fascio di protoni (come per esempio la piccola apertura radiale) ma l’evidenza sperimentale sembra, tuttavia, favorire il secondo meccanismo, detta back surface acceleration [14, 15]. Questo meccanismo, come vedremo, considera responsabile della formazione del fascio di protoni l’accelerazione elettrostatica planare dovuta ad un guscio di elettroni altamente energetici che si forma sulla superficie posteriore del bersaglio. Attribuire l’accelerazione ad un unico meccanismo è, comunque, piuttosto limitativo. In effetti potrebbero essercene altri come, per esempio, l’accelerazione dovuta ad esplosione coulombiana 1 [16] oppure quello dovuto ai campi elettrici interni al plasma. I contributi relativi di questi meccanismi dipendono dalle caratteristiche del regime di interazione. D’altra parte per impulsi laser così intensi la maggior parte dell’energia è trasferita agli elettroni; 1 Per esplosione coulombiana s’indende la reazione repulsiva dovuta all’eccesso di carica positiva lasciato dallo spostamento degli elettroni. 9 Cap. I Accelerazione di protoni supporre, quindi, che sia la loro ridistribuzione ad accelerare gli ioni è più che ragionevole [17]. A questo punto si introduce un modello, semplice, per stimare il campo d’estrazione dei protoni secondo la teoria di formazione sulla superficie posteriore del bersaglio. 1.4.1 Modello di campo Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, l’arrivo di un fascio laser ultra-intenso sul bersaglio solido produce un gran numero di elettroni energetici in grado di penetrare nel materiale anche dove la luce laser viene riflessa. Solo pochi di loro riescono ad uscire dal campione prima che questi sia sufficientemente carico da far sì che il potenziale coulombiano ne intrappoli la maggior parte. Quelli che restano oscillano nel mezzo e lo ionizzano[14]. Gli elettroni veloci che rimangono nel volume del bersaglio sono solo una piccola parte del numero totale prodotto nell’interazione, la loro densità è molto minore di quella critica e l’energia che assorbono dalla radiazione laser può essere valutata dal bilancio energetico: n H TH c ≈ I l ( 1.10 ) con nH e TH, rispettivamente, energia e densità di elettroni energetici, parametro che caratterizza l’efficienza di conversione dell’energia del laser in elettroni veloci, e I l intensità della radiazione. C D Gli elettroni freddi, che hanno sufficientemente piccola rispetto alle dimensioni del plasma, rimangono nel campione e permettono la formazione di una densità di carica positiva in grado di confinare gli elettroni più energetici in un guscio, detto “Debye sheat” (Fig 1.3) sulla superficie posteriore del campione. La condizione necessaria alla formazione di questo schermo è che la lunghezza di scala degli ioni (L) sia uguale alla lunghezza caratteristica di Debye degli elettroni veloci infatti, H D è più grande di L gli elettroni escono dal bersaglio e non 10 H D . Se, Cap. I Accelerazione di protoni Figura 1.3: meccanismo di accelerazione dei protoni dal campo elettrostatico formato dagli elettroni energetici sulla superficie posteriore del bersaglio. Visto che la superficie posteriore, all’inizio dell’interazione, non è perturbata, Li è determinata, proprio dalla sua geometria. L’ipotesi fatta è che gli elettroni si dispongano a formare uno strato parallelo proprio alla superficie posteriore del bersaglio, generando un campo elettrostatico in grado di accelerare protoni ortogonalmente ad esso. Benchè la temperatura e la lunghezza di Debye degli elettroni energetici (rispettivamente TH e H D ) siano grandezze dinamiche si può stimare il campo di accelerazione dai loro valori iniziali: r E= ( 1.11 ) TH nˆ e min ( HD , L ) dove con nˆ s’intende il versore normale alla superficie posteriore. La produzione di protoni energetici sarà, quindi, più efficiente quanto più alta è la temperatura degli elettroni energetici e più piccola è la lunghezza di scala degli ioni. Sono stati fatti diversi esperimenti per verificare la validità di quest’ipotesi e, effettivamente, è stato osservato che il fascio di protoni si attenua bruscamente, fino a quasi sparire, se sulla superficie posteriore del foglio viene pre-formato un plasma [14]. Infatti la L nel caso ci sia plasma è maggiore di L in assenza di perturbazione È stato, anche, dimostrato come la forma della superficie posteriore del bersaglio influenzi l’emissione e la direzione del fascio prodotto [18, 19]. Per esempio, per poter osservare un fascio ben collimato è 11 Cap. I Accelerazione di protoni necessario che il campione irradiato abbia una superficie posteriore liscia anziché una ruvida, ed una eventuale curvatura può focalizzare o de-focalizzare il fascio a seconda che sia concava o convessa [ 18 ]. Visto che il campo si crea sulla superficie posteriore del bersaglio grazie agli elettroni accelerati nella parte anteriore, nella zona di interazione tra il laser ed il plasma, anche i meccanismi di trasporto degli elettroni nel bersaglio influenzano la formazione del fascio di protoni. In particolare si preferiscono materiali conduttori, come l’alluminio, in quanto la qualità dei fasci di protoni prodotti da bersagli plastici è molto minore. In questo caso, infatti, i fasci sono irregolari e presentano delle strutture filamentose la cui origine è principalmente attribuita alla minore conducibilità del materiale. Sperimentalmente è stato osservato che anche lo spessore del bersaglio è importante per ottenere un buon fascio: se è troppo piccolo il laser può influenzare la struttura della superficie posteriore, se è troppo grande rischia di fermare nel suo volume la maggior parte degli elettroni; in entrambi i casi non si può ottenere un campo di estrazione sufficientemente intenso. In sintesi si può dire che con un’opportuna combinazione dei parametri del laser (intensità e lunghezza d’onda) e di quelli del bersaglio (scelta del materiale, geometria, spessore) si può ottimizzare il fascio di protoni prodotto. 1.5 Interazione protoni - materia In generale quando un fascio di particelle attraversa un mezzo c’è uno scambio parziale o totale di energia tra la radiazione incidente e le componenti (elettroni e nuclei) del materiale. Questo scambio risulta in una perdita di energia della particella e in una deflessione dalla direzione d’incidenza. I protoni, in quanto particelle cariche, interagiscono attraverso la forza coulombiana con gli elettroni e con i nuclei del materiale. Le interazioni con i nuclei atomici possono essere trattate come urti elastici (scattering Rutherford); quindi nell’intervallo di energie d’interesse, che va da 3 a 30 MeV, la maggior parte delle perdite energetiche è dovuta alle collisioni elettroniche. L’energia assorbita dagli elettroni degli atomi determina l’eccitazione o la ionizzazione del 12 Cap. I Accelerazione di protoni mezzo. A causa della differenza di massa tra protoni ed elettroni, la perdita di energia e la deflessione dalla traiettoria iniziale durante un urto elettronico sono piuttosto piccole. D’altra parte, soprattutto in un mezzo denso, il numero delle interazioni è talmente elevato che, a queste energie, è sufficiente uno spessore piuttosto piccolo per assorbire completamente un fascio: ad esempio, un protone di 30 MeV si ferma in circa 7 mm di mylar. Dalle leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso nel caso classico si può dedurre una stima dell’energia massima trasferita durante una singola collisione da uno ione di massa mp ed energia iniziale E e un elettrone me: ∆E max ≈ 4 E ( 1.12 ) me mp Per protoni da 3 a 30 MeV, dunque, l’energia massima trasferita in una singola collisione è dell’ordine di: 6keV ≤ ∆E max ≤ 60keV ( 1.13 ) Gli urti elettronici sono un fenomeno di natura statistica dominato, quindi, da una certa distribuzione di probabilità. D’altra parte il loro numero per unità di lunghezza macroscopica è sufficientemente grande da permettere una descrizione per mezzo di quantità medie. Le grandezze che caratterizzano il comportamento di una particella in un materiale sono lo stopping power e il suo range, di cui si parla più in dettaglio nei paragrafi successivi. 1.5.1 Stopping power Lo stopping power rappresenta la perdita di energia media per unità di lunghezza (dE dx) lungo la traccia della particella. La prima trattazione quantistica delle perdite di energia è dovuta a Bethe e Bloch: ( 1.14 ) − dE Z z 2 2me 2v 2Wmax = 2 N are2me c 2 ln − 2 dx A 2 I2 2 C − −2 Z Con: re raggio classico dell’elettrone me massa dell’elettrone Z numero atomico del materiale A 13 peso atomico del materiale Cap. I Accelerazione di protoni Na Numero di Avogadro densità del materiale I potenziale medio di eccitazione Termine correttivo di densità z Carica della particella espressa tramite C Termine correttivo di shell la carica dell’elettrone γ rapporto tra la velocità della 1 1− particella e quella della luce, c. 2 Tabella 1.1 definizione delle grandezze che appaiono nella formula di Bethe-Bloch. Wmax è l’energia massima trasferita in ogni collisione, la cui forma completa è: Wmax = ( 1.15 ) 2me c 2 ( m 1+ 2 e 1+ ( M ) 2 ) 2 m + e M 2 Che si riduce, nel limite classico, all’Eq.1.12. I due termini C e , sono importanti, rispettivamente, a basse ( <10 MeV) ed al alte (>103MeV) energie. La correzione di shell è dovuta agli effetti che emergono quando la velocità del protone è comparabile o più piccola di quella orbitale degli elettroni legati. In realtà, ad energie degli ioni troppo basse, l’ipotesi di stazionarietà degli elettroni non è più valida, e con essa la formula di Bethe-Bloch. A queste energie subentra la tendenza degli ioni a catturare elettroni e diminuire così la loro carica per cui anche le perdite di energia diminuiscono bruscamente. La correzione di densità deriva, invece, dal fatto che il campo elettrico associato al protone in movimento tende a polarizzare gli atomi lungo la traccia, quindi la densità di carica negativa scherma gli elettroni più lontani. La validità della formula di Bethe-Bloch può essere estesa aggiungendo altri fattori correttivi, per esempio, dovuti al fatto che il proiettile non ha massa infinita ed ha una struttura interna, oppure a termini di ordine superiore nella stima della sezione d’urto. Addentrarsi nella descrizione di questi fattori correttivi va oltre quello che ci si propone in questo tesi. È importante notare che lo stopping power dipende dall’energia cinetica della particella incidente: 14 Cap. I Accelerazione di protoni dE 1 1 ∝ 2 ∝ dx E ( 1.16 ) Quindi, mentre un protone attraversa un mezzo, il suo stopping power aumenta al diminuire dalla sua energia cinetica; ciò significa che esso perde la maggior parte dell’energia alla fine del proprio cammino. Le curve che rappresentano lo stopping power in funzione dello spessore percorso sono note come curve di Bragg, di cui un esempio è mostrato in Fig.1.2. Nel caso di materiali composti si può con buona approssimazione considerare le perdite di energia additive e valutare la media pesata per la frazione dell’iesimo componente nel composto. Figura 1.4: Una tipica curva di Bragg, che mostra la variazione dello stopping power in funzione dello spessore di penetrazione di una particella in un mezzo. La curva è per un protone di energia iniziale di 9.97 MeV in un bersaglio di mylar . 1.5.2 Range Il range è la massima distanza a cui una particella carica penetra in un mezzo; in generale dipende dal tipo di materiale, dal tipo di particella e dalla sua energia. 15 Cap. I Accelerazione di protoni Dal punto di vista sperimentale ci sono diverse definizioni di range; teoricamente, per una particella di energia iniziale E0, esso può essere definito, trascurando gli effetti dovuti allo scattering nucleare, come riportato in Eq.1.17: −1 dE R(E 0 ) = ∫ dE 0 dx E0 ( 1.17 ) Considerando che il termine dominante per energie sufficientemente basse è quello in -2 , ossia proporzionale all’inverso dell’energia cinetica (E), si ha che il range dipende dal quadrato di E. Notiamo, per inciso, che è naturale aspettarsi che anche la posizione del picco di Bragg sia in prima approssimazione, una funzione quadratica di E. 1.5.3 Straggling Le perdite di energia di una particella carica che si propaga in un mezzo sono un processo statistico. Due particelle con la stessa energia iniziale non subiranno, propagandosi in un mezzo, lo stesso numero di collisioni. Perciò un fascio di particelle inizialmente monocromatico tenderà ad evolvere in una distribuzione di energia la cui larghezza (energy straggling) varia con la distanza percorsa. Ne riportiamo un esempio in Fig.1.5. 16 Cap. I Accelerazione di protoni Figura 1.5 Grafici della distribuzione di energia di un fascio inizialmente monocromatico di particelle cariche a varie distanze di penetrazione . E è l’energia della particella e X la distanza lungo la traccia. Data la natura statistica delle traiettorie anche il range seguirà una certa distribuzione e con esso le sue proiezioni lungo l’asse di propagazione del fascio di protoni e lungo l’asse ortogonale. La larghezza di queste distribuzioni prende il nome, rispettivamente, di range e lateral straggling. 17 Cap. II Apparato sperimentale Capitolo II Apparato sperimentale Tutte le esperienze descritte in questa tesi sono state realizzate presso la Central Laser Facility del Rutherford Appleton Laboratory, sede del sistema laser Vulcan. L’apparato sperimentale è costituito dal sistema laser di potenza il cui impulso è focalizzato su una lastra sottile di alluminio. Il flusso di protoni è raccolto su un rivelatore formato da una pila di film radiocromici alternati a fogli di semplice plastica. Questo capitolo inizia con la presentazione dell’apparato sperimentale completo, procede con una panoramica qualitativa sul sistema laser e si conclude con la descrizione del rivelatore e delle sue proprietà. 2.1 Configurazione sperimentale Figura 2.1: Schema dell’apparato sperimentale 18 Cap. II Apparato sperimentale In Fig 2.1 è presentato lo schema dell’apparato sperimentale. La figura mostra la struttura della camera da vuoto ed in particolare: • l’ultimo stadio del processo di amplificazione della luce laser, che è composto dai primi due reticoli. • la camera d’interazione che contiene il bersaglio e, disposto parallelamente circa 2.2 cm dietro di esso, il rivelatore. Il bersaglio è posizionato in una camera a vuoto, la cui pressione è di circa 10-4 mbar, per evitare l’interazione tra il fascio laser e l’aria. Per focalizzare il fascio laser è stato usato uno specchio parabolico fuori asse ( Off-Axis Parabola ) di f-number uguale a 3.5. Essendo l’energia per impulso dell’ordine del centinaio di Joule, lo spot focale FWHM di circa 10 µm di diametro ( quasi due volte il limite diffrattivo) e la durata dell’impulso di circa 1 ps, l’intensità massima sul bersaglio risulta essere maggiore di 1019 W/cm2. Oltre al radiocromico usato per rivelare il fascio di protoni l’apparato disponeva di altre diagnostiche che citiamo rapidamente: • un fascio sonda, per caratterizzare il plasma prodotto e la sua evoluzione; • una pinhole camera per monitorare l'estensione della regione che emette raggi-x; • le diagnostiche dell'impulso laser, per determinare spettro, durata ed energia dell'impulso stesso. 2.2 Sistema laser L’oscillatore usato per generare l’impulso iniziale è un Titanio-Zaffiro (Ti:Sapphire) [22, 23]. L’impulso dell’oscillatore viene, quindi, iniettato nella catena di amplificazione Nd:glass [24], che lavora in Chirped-PulseAmplification Mode (CPA) [25]. 2.2.1 Oscillatore principale Tsunami è l’oscillatore principale di Vulcan. Si tratta di un dispositivo "commerciale" Ti:Sapphire; il mezzo attivo, cioè, è una matrice cristallina di 19 Cap. II Apparato sperimentale Al2O3 in cui alcuni ioni Al+++ sono sostituiti da Ti+++. Esso funziona in modelocking passivo tramite lente ad effetto Kerr ed è pompato da un laser ad Argon. La cavità produce impulsi di energia di 5nJ e durata di 120 fs con una frequenza di 80 MHz. Il modo emesso è TM00 con una distribuzione gaussiana nello spazio. Figura 2.2: Profilo trasversale dell’impulso del Ti:Sapphire. Il diametro dello spot è 1.5 mm. 2.2.2 Chirped-pulsed-amplification (CPA) In generale un mezzo è in grado di supportare la propagazione di radiazioni incidenti solo fino ad un valore d’intensità critico Ic che dipende dalla durata dell’impulso. Negli elementi ottici, per impulsi di durata delle decine di ps, Ic è circa 10 GW/cm2. Un modo per poter raggiungere alte intensità senza superare la soglia di danneggiamento delle ottiche, consiste nel dilatare la durata dell’impulso prima della sua amplificazione . Proprio su questa idea si basa la tecnica del CPA: un impulso ultra-breve e poco energetico è disperso temporalmente, amplificato e, infine, compresso, di nuovo, per ottenere un impulso breve ed intenso (vedi Fig. 2.3) L’allungamento dell’impulso iniziale è ottenuto facendo in modo che le componenti spettrali del fascio percorrano cammini ottici diversi. In pratica la radiazione è fatta incidere su una o più coppie di reticoli di diffrazione usati in riflessione, in grado di creare un ritardo temporale fra le diverse componenti spettrali (vedi Fig. 2.4). 20 Cap. II Apparato sperimentale Figura 2.3: CPA è una tecnica di produzione di un impulso laser ultra-intenso che si basa sull’idea di introdurre una dispersione temporale dell’impulso iniziale per rendere possibile la sua amplificazione. Infine l’impulso amplificato è compresso in un impulso breve e molto intenso. Figura 2.4: Configurazione di stretcher: Il fascio in entrata A seconda della geometria dei reticoli l’impulso può essere allungato di un fattore compreso tra 102 e 104. A questo punto la radiazione è iniettata nell’amplificatore, in uscita del quale si ha un impulso lungo e intenso. L’ultimo stadio del CPA è la compressione dell’impulso lungo per generarne uno ultra21 Cap. II Apparato sperimentale breve ed ultra-intenso. Anche in questo caso vengono usati due reticoli, (vedi Fig. 2.5). Inserendo uno specchio nella configurazione riportata in Fig. 2.5, cioè facendo passare due volte il raggio tra i reticoli, oltre alla sovrapposizione temporale delle componenti dello spettro si avrebbe anche quella spaziale. D’altra parte il secondo passaggio abbassa il limite di amplificazione perciò, in molti sistemi laser come Vulcan, dove si preferisce massimizzare l’energia, il fascio si limita a fare un passaggio nei reticoli per la compressione, a discapito della distribuzione spaziale. In questo modo il limite all’amplificazione dell’impulso è dato dalla soglia di danneggiamento dell’ultimo reticolo. Figura 2.5: Compressione dell’impulso per mezzo di reticoli di diffrazione usati in riflessione tra loro paralleli. Dopo essere stato così trattato l’impulso è focalizzato sul bersaglio per mezzo di semplice ottica riflettiva: infatti è talmente energetico che se passasse attraverso un qualsiasi mezzo si produrrebbero forti effetti di automudulazione di fase che deteriorerebbero irrimediabilmente la sua focalizzazione. L’elevata intensità dopo la compressione obbliga a posizionare l’ultimo reticolo sotto vuoto; quindi tutta la propagazione del fascio ultra-intenso e l’interazione col bersaglio avvengono nella camera a vuoto. Questa tecnica di amplificazione (CPA) produce, oltre all’impulso ultra-breve ed ultra-intenso principale, altri due più deboli ( vedi Fig.2.6): 22 Cap. II Apparato sperimentale • Il piedistallo, dovuto alla parte di impulso che non viene compressa dopo l’amplificazione. • L’ASE, acronimo di Amplified spontaneus emission, cioè la radiazione emessa dal primo stadio della catena di amplificazione, che subisce un notevole incremento attraverso l’amplificatore stesso. Figura 2.6: Forma caratteristica dell’impulso emesso da un sistema che funziona in CPA. Il grafico mostra la forma caratteristica dell’impulso di Vulcan, costituito da tre componenti: il meno intenso è l’ASE, dovuto al primo stadio della catena di amplificazione; poco più intenso dell’ASE c’è il piedistallo, residuo dell’impulso lungo amplificato durante il CPA; infine l’impulso principale la cui intensità è svariati ordini di grandezza maggiore di tutto il resto. L’andamento è soltanto qualitativo. Per Vulcan il valore del contrasto tra il picco dell’impulso principale e il piedistallo è tipicamente dell’ordine di 10-7 mentre per l’ASE è 10-8. Però non tutta la radiazione emessa dal sistema laser investe il campione; ci sono degli interruttori ottici (delle celle di Pockels) che limitano l’arrivo del preimpulso a qualche centinaio di picosencondi prima del picco principale. La soglia in intensità di formazione di plasma per interazione laser-materia, dipende dal tipo di materiale e dalla durata dell’impulso (Par 1.2); in generale nel 23 Cap. II Apparato sperimentale caso in cui il bersaglio sia solido indicativamente va da 1012 a 1014 Wcm-2. Mentre la maggior parte dell’ASE è tagliata dagli interruttori e non arriva sul campione, il piedistallo, generalmente, è responsabile della formazione di plasma prima dell’arrivo dell’impulso compresso. 2.3 Rivelatore Il rivelatore è una pila formata da film radiocromici (RCF) di tipo GafChromic Md-55-2, alternati con strati di plastica [26]. È un tipico sistema di rivelazione usato in dosimetria (per fotoni ed elettroni) e si è rivelato un mezzo utile anche nello studio di protoni. Ogni foglio di RCF ha uno spessore di circa 270 µm ed è formato da una base di mylar, cioè un materiale inerte, in cui sono inseriti due strati di gel attivo di spessore 16.9 µm. La struttura stratificata di un singolo RCF è riportato in Fig 2.7 e la composizione degli strati in Tab. 2.1. Figura 2.7: Struttura e dimensioni delle film di GafChromic Md-55-2 Elemento Atomi% Peso% Mylar Carbonio 45.0 61.0 Ossigeno 19.0 35.0 Idrogeno 36.0 4.0 Carbonio 31.5 60.6 Strato Idrogeno 56.0 9.0 attivo Azoto 5.0 11.2 Ossigeno 7.5 19.2 Tabella 2.1: Composizione degli strati di GafChromic Md-55-2 24 Cap. II Apparato sperimentale Lo strato attivo è un gel composto da elementi a basso numero atomico (H,C,O,N); la sua densità è circa 1 g/cm3. L’adesivo ha la stessa densità del mylar (1.4 g/cm3), quindi la radiazione che si propaga non percepisce nessuna discontinuità. I fogli di plastica che intervallano i film RCF sono di mylar e hanno uno spessore di circa 175 µm. Il rivelatore è preceduto da uno strato di alluminio di 25 µm, che lo protegge dalla radiazione X emessa dal bersaglio, dagli ioni veloci prodotti dalla disintegrazione dello stesso e dalla radiazione laser. La configurazione sperimentale del rivelatore è rappresentata in Fig 2.8. Figura 2.8: Configurazione di un rivelatore: i fogli di RCF sono alternati a fogli di mylar, il numero e la posizione dei radiocromici varia da caso a caso, tutto è preceduto da un filtro di alluminio. Il funzionamento di questo sistema di rivelazione è basato sulla proporzionalità della variazione di densità ottica delle zone attive del film con l’energia depositata dal fascio incidente: si osserva una variazione di colore a seconda della dose che irradia un foglio, da trasparente in assenza di radiazione ionizzante, a blu, più o meno intenso. La dose assorbita da un mezzo è definita come l’energia per unità di massa e si misura tipicamente in Grey : Gy = J . Kg Il viraggio blu del radiocromico, esposto al flusso di particelle cariche, è dovuto ad un marcato assorbimento nel rosso, come mostrato in Fig.2.9. [27] 25 Cap. II Apparato sperimentale Figura 2.9: Assorbanza di un foglio di RCF dopo esposizione ad un fascio di elettroni. I film RCF sono sensibili a qualsiasi tipo di radiazione ionizzante, quindi, il principale svantaggio nel loro uso consiste proprio nell’impossibilità di distinguere facilmente il tipo di radiazione che lo investe. In Fig. 2.10 è riportato, a titolo esemplificativo, il confronto tra la risposta del mezzo a dosi equivalenti di raggi γ e di protoni. Dallo stesso grafico si può anche vedere che la saturazione del film avviene per dosi intorno ai 300 Gy . L’incertezza sul tipo di particelle responsabili delle tracce lasciate sui fogli di RCF può essere superata abbinando l’impiego di altri rivelatori. Sperimentalmente è stato osservato [28] che per tutti i tipi di radiazione la risposta dei radiocromici è poco dipendente dall’energia del fascio incidente. Questa caratteristica degli RCF implica che senza conoscere la risposta del rivelatore tramite un programma di analisi Montecarlo non è possibile determinare lo spettro di un fascio di particelle (Cap.III). 26 Cap. II Apparato sperimentale 5 4 3 Protoni Raggi gamma 2 1 0 0 100 200 300 400 500 Dose (Gy) Figura 2.10: Curve di saturazione per RCF irradiati con la stessa dose di protoni e raggi γ. Un proprietà dei film RCF è che non necessitano di procedimenti chimici supplementari per risalire all’informazione in essi contenuta. Sperimentalmente è stato osservato che, anche dopo la fine dell’esposizione alla radiazione, il radiocromico continua a scurirsi. Tale viraggio, però, si stabilizza dopo circa ventiquattro ore. Esso è, inoltre, uniforme su tutto il foglio, cioè è indipendente dalla dose locale assorbita. Di conseguenza l’informazione sull’energia dei protoni è data dalla posizione del film nella pila. I principali vantaggi di un dispositivo che si basa sull’uso dei film RCF sono: • la proprietà di raccogliere simultaneamente un piano di dati; • la buona risoluzione spaziale (maggiore di 1200 lines/mm); La digitalizzazione delle immagini è stata fatta con un normale scanner e la trasformazione da densità ottica in dose è stata estratta dalla curva di calibrazione del radiocromico (del tipo GAFCHROMIC MD-55-2) per luce bianca riportata sulle caratteristiche fornite dalla casa produttrice [26] (vedi Fig. 2.11). 27 Cap. II Apparato sperimentale Figura 2.11: Curva di calibrazione del radiocromico usata per implementare l’analisi. 28 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Capitolo III Sviluppo ed analisi dei dati La variazione di densità ottica che subiscono i film RCF esposti al fascio di protoni è acquisita sotto forma di immagini che, quindi, costituiscono la lettura del segnale su cui si basa l’analisi. L’elaborazione dei dati presenta due problematiche ben distinte: • Allineamento delle immagini dei vari strati e conversione da trasmittività in energia rilasciata; • Ricostruzione dello spettro dei protoni dalla deconvoluzione dei dati con i risultati delle simulazioni. In questo capitolo presentiamo il metodo di analisi usato per la lettura dei dati, le verifiche a cui è stato sottoposto per testarne la validità ed il programma di simulazione Montecarlo. Consideriamo, per chiarezza nell’esposizione, un sistema di riferimento con origine posta all’inizio del rivelatore orientato come mostrato nella figura seguente: Figura 3.1: Un generico rivelatore formato da film RCF preceduti da un filtro di Alluminio. Gli strati di rivelatore sono intervallati da alcuni film di semplice plastica. Da esperimento ad esperimento variano il numero di fogli e la loro posizione nella pila. 29 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati La posizione dei film nella pila sarà indicata con un numero d’ordine k, crescente con z. In pratica, laddove non è necessario esplicitare la dipendenza dallo spessore come variabile continua caratterizziamo il film con il suo numero, k, anziché con la sua posizione media (zk). Per esempio, lo spettro che è una funzione discreta in z, poiché il rivelatore in questa direzione non è continuo, è stato parametrizzato in k . 3.1 Trattamento delle immagini Per poter procedere all’analisi è necessario che le “immagini” acquisite siano allineate tra loro: solo dal confronto delle tracce lasciate in sequenza sui fogli di RCF, si possono ottenere informazioni sulla distribuzione spaziale ed energetica dei protoni. Durante gli esperimenti, però, non sono stati fissati dei punti di riferimento comuni a tutti i film; questo implica che le immagini debbono essere allineate. Una prima centratura è stata fatta manualmente. In seguito, fatta eccezione per la prima immagine che funziona da riferimento, vengono eseguite, nella zona di interesse, delle traslazioni con passo di un pixel lungo gli assi del piano del rivelatore in modo da trovare un massimo locale della funzione di r r correlazione C tra i segnali rilasciati in due piani contigui Lk −1 (r ) e Lk (r ). r Detto ∆ il vettore di traslazione, la forma analitica di C è la seguente ( 3.1 ) () ( ) r r r r r C ∆ = ∫ ∫ Lk −1 (r )Lk r + ∆ dr Una volta centrate le immagini si può passare all’analisi vera e propria del segnale raccolto. 30 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati 3.2 Ricostruzione dello spettro Il primo passo dell’analisi è la trasformazione della matrice di valori di ADC (Analogic to Digital Converter) associati all’immagine in densità ottica (ρ), definita in termini della trasmissione di luce attraverso il mezzo come: ( 3.2 ) = −log10 I I0 avendo indicato con I l’intensità trasmessa e con I0 quella iniziale. In seguito, le immagini vengono trasformate in dose (energia per unità di massa). Poiché la digitalizzazione delle immagini è stata fatta con un normale scanner, ci si è riferiti alla curva di calibrazione del radiocromico (del tipo GAFCHROMIC MD-55) per luce bianca [Par. 2.3]. Dopo queste trasformazioni il segnale depositato dal fascio incidente in un punto (x,y) del k-esimo foglio di radiocromico si può scrivere : ( 3.3 ) Sk (x, y) = ∞ ∫ R( E,z ) f k k (E,x,y)dE o dove S è la densità di energia superficiale totale rilasciata nello strato k, R(E,zk) rappresenta l’energia depositata nello strato da un protone di energia iniziale E ed f è lo spettro dei protoni, definito come densità protonica per unità di energia e di superficie. Fissata l’energia E , R(E , z) rappresenta la curva di Bragg per un protone (vedi Fig. 1.4). Essa è nota in forma numerica dalle simulazioni Montecarlo [ Par. 3.3 ]. Il prodotto delle due funzioni R(E,zk) e fk(E, x, y), rappresenta l’energia in media depositata nel film k-esimo dalle singole componenti spettrali del fascio di protoni. In figura 3.2 è riportato tale prodotto per una f relativa ad una distribuzione Boltzmaniana alla temperatura di T = 5 MeV. 31 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figura 3.2: Andamento dell’energia depositata da un fascio di protoni con spettro Boltzmaniano di radiocromici. temperatura T=5MeV nel quinto strato di un rivelatore di film I due picchi corrispondono ai due strati di gel presenti in ciascun film di RCF; infatti i protoni il cui picco di Bragg cade proprio nello spessore del gel contribuiranno maggiormente al segnale. Il grafico precedente è noto come curva di Landau e mostra come la variazione di densità ottica di un film RCF sia dovuto principalmente ai protoni che hanno picco di Bragg nel suo spessore. Lo spettro, per come è definito, è una funzione continua dell’energia dei protoni del fascio; in generale si può decomporre, dunque, su una base di funzioni gi(E). Visto che il nostro rivelatore è discreto, possiamo solo determinare il valore che la funzione spettro assume per certi valori della coordinata z di propagazione. Quindi il modo più semplice per procedere nell’interpolazione è costruire una spezzata, cioè congiungere i punti contigui con dei segmenti. Sperimentalmente si osserva che la funzione spettro assume valori diversi da zero in un intervallo di energie limitato superiormente. Senza perdere informazioni possiamo scrivere f, limitandoci all’intervallo di interesse, nella seguente forma: 32 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati f k (E ) ∪ ( 3.4 ) N i =1 Aik g i (E ) È importante sottolineare che, trattando dei protoni, è lecito trascurare la dipendenza spaziale in quanto l’allargamento del fascio prodotto dall’attraversamento dei vari strati di cui è costituito il rivelatore è molto piccolo, ossia di dimensioni confrontabili alla risoluzione spaziali: una volta allineate le immagini, l’evoluzione di un pixel nella pila rappresenta, in buona approssimazione, quella di protoni emessi ad un certo angolo. Fissato un k ed un campionamento di energie Ec, eseguiamo un’interpolazione lineare, cioè scriviamo Sk nella seguente forma: ( 3.5 ) Sk = n Ec i i =1 E ci −1 Np i +1 − Np i √(E − E c )+ Np i R(E , z k )dE = i E ci +1 − E ci √ ↵ M ik Np i i in cui Npi è la densità protonica campionata in Ec e gli Mik sono definiti come segue: ( 3.6 ) M ik = Ec i Ec i −1 E − E ci −1 E ci − E ci −1 R(E , z k )dE + Ec i +1 Ec i In altri termini abbiamo scelto come E ci +1 − E E ci +1 − E ci R(E , z k )dE g i(E) dell’Eq.3.4, delle funzioni triangolari unitarie, la cui forma analitica è riportata in Eq.3.7: gi ( E ) = E − E ci−1 ,E ≤ E ≤ Eci Ec i − Ec i−1 c i−1 gi ( E ) = E ci +1 − E , E ≤ E ≤ E ci +1 Ec i+1 − E c i ci ( 3.7 ) 33 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Otteniamo, quindi, il segnale depositato come soluzione di un problema matriciale, la cui risolubilità è vincolata alla scelta di un appropriato campionamento di energie. È possibile subito intuire che è necessario avere un numero di elementi della base uguale a quello dei punti sperimentali disponibili, perché il problema non risulti mal condizionato. Prendiamo ora in esame un determinato film di RCF; l’energia ivi rilasciata dal fascio ha l’andamento riportato in Fig. 3.2, quindi ci si aspetta di riuscire a trovare la matrice M in forma triangolare o quasi triangolare. Visto che l’oscuramento di cui disponiamo è la somma dei due depositati sugli strati attivi, è possibile, per esempio, caratterizzare ogni film proprio con il suo punto medio PM. In altri termini questo significa scegliere come campionamento l’energia dei protoni che hanno picco di Bragg in P M, perciò associare a PM l’energia del picco EB. In realtà con questo campionamento si ottiene una matrice M del tipo: M = T + δM ( 3.8 ) dove con T s’intende la parte triangolare superiore di M e con δM la matrice dei termini di scarto, cioè degli elementi al di sotto della diagonale principale (Eq.3.9). ( 3.9 ) T11 0 M = . . 0 . . 0 . . . . . 0 . . . . . 0 T1 N . . + . TNN 0 M 21 0 0 . . 0 . . 0 . . . 0 . . . 0 M NN −1 0 . . . 0 Questi elementi sono diversi da zero sia perché il fronte di discesa delle curve di Landau non è perfettamente verticale, sia perché tutte le energie in un certo intorno contribuiscono al segnale sia a causa del range straggling [Par. 1.5]. In realtà già con questo campionamento la maggior parte degli elementi che compongono δM sono nulli (in pratica tutti tranne quelli della diagonale inferiore). Comunque per poter essere certi di trascurare δM, è necessario spostare il campionamento di un piccola quantità δE, che varia da caso a caso a 34 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati seconda della distanza tra i film. Per ogni rivelatore si è cercato quindi di ottimizzare empiricamente la matrice M, verificando che fosse soddisfatta la condizione: δM << T. ( 3.10 ) (ove, ovviamente, si intende che gli elementi della matrice δM devono essere molto più piccoli degli elementi di T). A questo punto per ottenere i valori della densità protonica basta risolvere il problema inverso di quello impostato che si presenta come un set di equazioni lineari. come Un metodo tipico per trovare le incognite in problemi analoghi è noto Gaussian reduction and backsubstitution [29], e consiste nell’implementare il seguente calcolo: ( 3.11 ) 1 Np k = ~ M kk N ~ ~ S − M ki Np i k i ∑ = k +1 dove la matrice M˜ ed il vettore S˜ sono la matrice M ed il vettore S opportunamente divisi per i cosiddetti “perni” che, nel nostro caso, sono, gli elementi della diagonale principale. Infatti gli Mkk sono maggiori di tutti gli altri, poiché rappresentano i contributi al segnale raccolto della funzione di base centrata intorno k-esimo film. Da un punto di vista fisico questo procedimento porta alla ricostruzione del segnale depositato su un film isolando i contributi dei protoni che hanno picco di Bragg nel volume del film da quelli più energetici, che si fermano, cioè, dopo aver percorso uno spessore maggiore nel rivelatore. 3.3 Programma di analisi Montecarlo Per caratterizzare il comportamento dei radiocromici nel caso di fasci di protoni, sono state fatte varie simulazioni Montecarlo tramite un software 35 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati chiamato SRIM, acronimo di Stopping and Range of Ions in the Matter [30]. Si tratta di un gruppo di programmi che calcolano, appunto, stopping power e range di fasci di ioni monocromatici che si propagano in un mezzo, basandosi sulla trattazione delle collisioni con gli atomi del mezzo. Tra questi programmi quello che è stato usato si chiama TRIM, acronimo di Transport of Ions in the Matter, ed è il programma più completo incluso nel pacchetto. L’idea fondamentale del Montecarlo è seguire, singolarmente, un gran numero di ioni in un mezzo, da un istante iniziale fino a quando la particella esce dal volume del bersaglio o la sua energia scende sotto un valore prestabilito cioè, in altri termini, si ferma. Sono richiesti due tipi di dati per definire un calcolo: quelli concernenti la scelta degli ioni e quelli per definire la struttura del materiale in cui si propagano. Gli ioni sono definiti dal tipo, dalla loro energia, posizione e direzione di propagazione; per la loro scelta si può usare direttamente la tavola periodica inserita nel programma. In generale per la massa è proposta quella dell’isotopo più pesante in unità di massa atomica. Per quanto concerne il bersaglio, oltre alla tavola periodica, c’è un’enciclopedia di composti comuni; infatti la maggior parte dell’energia è assorbita dai gusci elettronici più esterni che hanno orbitali diversi negli elementi semplici e nei composti, da cui nasce la necessità di un fattore correttivo quando nel bersaglio sono presenti materiali composti. In pratica questo approccio, detto “Core and Bond approximation”, separa i contributi delle perdite energetiche dovute agli elettroni interni ed a quelli di legame, modificando questi ultimi in base ai tipi di legame del composto. Le altre caratteristiche che sono richieste per definire il bersaglio sono: spessore, densità e stato. Quest’ultima informazione è necessaria poiché le collisioni sono trattate in maniera diversa nel caso si tratti un mezzo allo stato solido o gassoso. Un’ulteriore scelta che è necessario effettuare, prima di cominciare una simulazione è il tipo di calcolo che si vuol implementare; il programma presenta, infatti, diverse opzioni. Non prestando, nel nostro caso, particolare attenzione ai danni del bersaglio, è stata scelta quella chiamata Ions Distribution and Quick Calculation of Damage, che si limita a dare una stima veloce di questi fenomeni, ma assicura una stima accurata delle perdite di 36 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati energia. L’intervallo di energia in cui sono efficaci le simulazioni va dai 10 eV/amu a 2 × 109 eV/amu. Questo programma è stato utilizzato principalmente per simulare fasci di protoni, ma, in effetti, esso consente la descrizione di qualsiasi tipo di ione in ogni stato di carica, per cui ci si propone di introdurre brevemente i processi fisici rilevanti per la valutazione delle perdite di energia [31]. Nel caso particolare dei protoni restano validi tutti i risultati discussi nel Cap. I. Le perdite di energie sono di due tipi: nucleari ed elettroniche. In pratica l’energia è dissipata in modo continuo, a causa dell’interazione con gli elettroni del materiale in cui si propaga, e discreto per gli urti con i nuclei degli atomi; tra un urto nucleare e l’altro, dunque, si stima lo stopping power elettronico medio sul cammino. I programmi prendono in considerazione le collisioni binarie di tipo coulombiano tra atomi e ioni (con il termine “ioni” s’intendono sempre gli atomi in movimento e con “atomi” quelli del mezzo in cui avviene la propagazione), le interazioni di scambio e di correlazione tra i gusci elettronici sovrapposti e la produzione nel volume del bersaglio di elettroni eccitati e di plasmoni per l’interazione a lungo raggio. 3.3.1 Perdite di energia nucleari Si suppone che la forza di interazione fra ione ed atomo agisca solo sulla congiungente tra i due, cioè non abbia componente trasversale e non dipenda né dal tempo né dalla velocità dello ione incidente. Quindi, nel sistema di riferimento solidale al centro di massa, il moto relativo è riducibile al moto di una singolo corpo sottoposto ad una forza centrale, ossia la collisione può essere descritta attraverso un potenziale V(r) che dipende solo dal valore assoluto della distanza interatomica. Trascurando gli effetti di polarizzazione il potenziale d’interazione interatomica, V(r), si può scrivere come prodotto tra un potenziale coulombiano ed un termine correttivo, detto funzione di schermaggio 3.12) 37 (Eq. Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati V (r ) = Φ (r ) ( 3.12) Z1 Z 2 e 2 r In altri termini il problema si riconduce a cercare un’espressione utile per Φ(r). Esistono diversi approcci per trovare una soluzione: in questo caso il metodo applicato consiste nel cercare una formula analitica universale per la funzione di schermaggio confrontando i risultati di diversi modelli teorici applicati ad una scelta significativa di coppie di atomi campione. Inoltre, dalle leggi di conservazione per un urto non dissipativo, e da alcune considerazioni trigonometriche, è possibile determinare sia l’energia T, trasferita tra i due corpi, sia l’angolo di deflessione potenziale V(r). , in funzione del parametro d’impatto p, e del D’altra parte le perdite di energia dello ione per unità di lunghezza, dE/dR, sono proporzionali alla densità atomica del bersaglio, N, ed alla sezione d’urto , Sn(E), definita in relazione all’energia trasferita in un urto. Quindi una volta noto V(r), sono note le curve di dispersione nucleari per uno ione che attraversa un mezzo. 3.3.2 Perdite di energia elettroniche Le perdite di energia elettroniche derivano dall’interazione dello ione incidente con le nubi elettroniche degli atomi del bersaglio, e non sono riducibili ad un unico fenomeno, come accade per quelle nucleari, perché hanno diverse possibili origini, per esempio: • trasferimento di energia agli elettroni del bersaglio dovuto a collisioni elettrone/elettrone; • ionizzazione o eccitazione degli atomi del bersaglio; Ne deriva che la loro trattazione è complessa; ad alte energie ( E ≥ 10 MeV) dove la dipendenza dal parametro d’impatto e quella dallo straggling (Par 1.5) possono essere trascurate, le perdite di energia elettroniche possono essere scritte in funzione della distanza percorsa tra due urti L: ( 3.13 ) ∆E e (L ) = LN e (E ) ∆E 38 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati dove con e(E) si indica la sezione d’urto dei processi elettronici e con <∆E> l’energia media perduta in una singola collisione. La stima di e(E) è fatta per mezzo di un metodo frequentemente usato per valutare la risposta teorica di un solido ad una perturbazione (detto approssimazione di densità locale). 3.3 Proprietà delle curve di Bragg In Fig.3.3 sono riportati i risultati di alcune simulazioni relative a protoni. Il mezzo in cui si propagano i protoni è un blocco di mylar, che simula l’insieme di film radiocromici, preceduto da un filtro di Alluminio di 25 µm. Nella tabella successiva sono riportate le proprietà e la composizione del bersaglio in cui si propagano i fasci monocromatici. Proprietà Alluminio Mylar Densità (g/cm3) 2.69890 1.4 166.0 78.7 Energia di eccitazione media (eV) 39 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Composizione Elemento Al H C O Numero Atomico 13 1 6 8 Frazione in peso 1 0.041959 0.625017 0.333025 Tabella 3.1: Composizione e proprietà dei materiali usati nelle simulazioni. 40 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figura 3.3: Curve di Bragg (R(E , zk )) per protoni ottenuti da SRIM. Dal grafico si può vedere che l’altezza del picco diminuisce con l’energia dei protoni, mentre la sua larghezza aumenta. Dato il piccolo spessore degli strati di gel (molto minore di quello del mylar) presenti nei radiocromici e la sua densità assai vicina a quella del mylar, esso è stato considerato nelle simulazione proprio come fosse mylar. Questa scelta si rivela essere molto utile al fine del lavoro, soprattutto perché il set-up del rivelatore cambia (per ogni stack variano sia il numero che la posizione di fogli di mylar di RCF), quindi se la presenza degli strati attivi fosse determinante per il risultato, sarebbe necessario fare un numero adeguato di simulazioni per ogni rivelatore che si vuol analizzare. Inoltre il programma di simulazione Montecarlo può presentare comportamenti anomali in presenza di interfacce tra materiali diversi. 41 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Il range di energie in cui sono state fatte le simulazioni, come si può vedere anche in Fig. 3.3, varia da circa 3 MeV a circa 30 MeV. Se si separano i contributi dei due stopping power, elettronico e nucleare, si nota che il contributo alle curve di Bragg più importante a queste energie è dato da quello elettronico [33]. Come si può vedere in Fig 3.4 e Tab.3.2: la differenza tra la curva totale e quella elettronica è inferiore dell’1%. Materiale Energia Stp. Pow. Stp. Pow. Stp. Pow. Cinetica Elettronico Nucleare Totale 2 2 MeV MeV cm /g MeV cm /g MeV cm2/g Mylar 3 108.6 0.067 108.6 Mylar 30 17.5 0.0077 17.5 Al 3 82.5 0.05 82.5 Al 30 14.3 0.006 14.3 Tabella 3.2: Confronto dei valori stimati per stopping power di protoni in mylar per i valori limite dell’intervallo d’interesse. Dalle curve di Fig.3.3 si vede anche che, all’aumentare dell’energia iniziale, i protoni percorrono distanze maggiori nel mezzo ed il loro picco di Bragg diventa più largo e più basso: la larghezza, presa a circa il 30% del valore massimo di stopping power, varia dalle decine di micrometri a basse energie fino ad un centinaio di micrometri ad alte. 42 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figura 3.4: Confronto delle curve di stopping power nucleare , elettronico e totale per protoni che si propagano in mylar. Guardando le curve di Fig 3.3, che hanno un andamento piuttosto regolare si può sperare di trovare una legge di scala che eviti di dover fare un numero elevato di simulazioni. In effetti, se si riporta su un grafico per diverse simulazioni la posizione dei picchi di Bragg zB (Fig. 3.5), si trova in buona approssimazione che l’andamento è quello di un polinomio di secondo grado: ( 3.14 ) zB ( m) ≈ a⋅ E f (MeV ) + b⋅ E f (MeV ) − c 2 43 a = 6.1045493 con b = 44.790236 c =136.25872 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figure 3.5: Il grafico rappresenta la relazione tra l’energia del fascio monocromatico incidente sul bersaglio e la posizione a cui si trova il picco di Bragg. La curva è in buona approssimazione un arco di parabola. Inoltre, il valore massimo di stopping power scalato per la sua posizione, cioè : ( 3.15) hB = dE × zB dz scritto in funzione dell’energia delle simulazioni ha un andamento regolare (Fig. 3.6): infatti è ben rappresentato da una retta, la cui equazione è la seguente: ( 3.16 ) hB (MeV ) ≈ a'⋅E ( MeV ) − b' con 44 a'= 3.9811018 b'= 6.55141554 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figure 3.6: Relazione tra l’energia del fascio monocromatico incidente e l’altezza del picco di Bragg in MeV. In sintesi è stato osservato che, nell’intervallo di energie d’interesse, per opportune trasformazioni degli assi, le curve di Bragg sono omotetiche, cioè riconducibili alla stessa funzione ( vedi Fig. 3.7) . Figure 3.7: Curve di Bragg di figura 3.3 in cui, però, entrambi gli assi sono stati normalizzati. Esse sono in buona approssimazione tra loro omotetiche. 45 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Le operazioni effettuate sulle curve di Fig 3.3 per ottenere il risultato di Fig. 3.7, sono semplici normalizzazioni su altezza e posizione del picco di Bragg. Schematicamente: 1. Ogni valore dello spessore del bersaglio è stato diviso per zB. 2. Ogni valore di stopping power è stato moltiplicato per zB, ottenendo così hB , e, in seguito, diviso per il massimo di hB. In sintesi una curva di Bragg per qualsiasi energia si può scrivere, con al massimo un 5% di errore, nella forma: ( 3.17) aE 2 + bE −c f × Nk Rk( E ) = f a'E − b' f con Nk funzione numerica indipendente da Ef. 3.5 Verifica dell’algoritmo Per testare la validità dell’algoritmo presentato nel paragrafo precedente, si è costruito un programma in grado di simulare, partendo dai dati ottenuti dal programma Montecarlo, la dose che un fascio di protoni rilascia in ogni foglio di un rivelatore a radiocromico (il cui schema è rappresentato nella figura seguente). Figura 3.8: Configurazione del rivelatore simulato. 46 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati La dose così trovata è analizzata dall’algoritmo, che fornisce lo spettro di protoni incidenti sul rivelatore. Questo spettro viene, quindi confrontato con quello che era stato scelto inizialmente. 3.5.1 Prima simulazione Nella prima simulazione abbiamo rinunciato ad una risoluzione spaziale nell’analisi del fascio di protoni. Si è supposto, dunque, un fascio incidente con distribuzione energetica alla Boltzmann e numero di protoni indipendente dalle coordinate, x e y, del piano del foglio, Eq. 3.17. f (E ) = ( 3.17 ) N p k BT exp − E ? k BT ? dove T è la temperatura del fascio, E l’energia dei protoni e kB la costante di Boltzmann. Nella Tab. 3.3 sono riportate le caratteristiche del fascio: KT 3 MeV Np 3 x 1010 n.prot. Tabella 3.3: Parametri del fascio di protoni. In Fig. 3.9 si confronta lo spettro dei protoni incidenti con quello ricostruito dall’algoritmo per due diversi valori di E, cioè per diverse centrature delle funzioni di base [Par 3.2]. 47 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figura 3.9: Confronto fra lo spettro dei protoni incidenti con quello fornito dall’algoritmo di analisi, per due valori del parametro E [Par. 3.2]. L’ottimizzazione della scelta di E consente di incrementare l’accuratezza nella ricostruzione dello spettro. 48 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Come si può vedere dal confronto dei due grafici in Fig 3.8 l’analisi che dà il risultato migliore è quella per δE uguale 0.25 MeV. É stato stimato che l’errore medio sui valori dello spettro energetico fornito dall’algoritmo è dell’origine del 10%. 3.5.2 Seconda simulazione A questo punto abbiamo voluto verificare se l’algoritmo consentiva anche una risoluzione spaziale, oltre che energetica, all’interno del fascio di protoni. Le immagini sono state ricostruite considerando uno spettro della forma di Eq.3.17, in cui per il numero di protoni è stata scelta una distribuzione Gaussiana in entrambe le coordinate spaziali x, y: ( 3.18 ) N N p (x, y ) = G (x )⋅ G (y ) = 2 ⋅ x (y − yc )2 (x − xc )2 exp− exp 2 2 x2 2 y y Nella tabella successiva sono riportati i parametri che definiscono la sezione trasversale del fascio nella seconda simulazione: σx 30 pixels σy 40 pixels xc 150 pixels yc 150 pixels kT 3 MeV 3x1010 protoni N Tabella 3.5: Parametri utilizzati nella simulazione relativi al profilo trasversale del fascio di protoni incidente sul rivelatore. In Fig 3.10 è riportato lo spettro integrato sul profilo trasversale del fascio che si ottiene dall’algoritmo. I valori così ottenuti sono confrontati con quelli della funzione scelta come test per le energie di campionamento. 49 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figure 3.10: Confronto fra lo spettro dei protoni incidenti con quello fornito dall’algoritmo di analisi, dopo aver integrato sul profilo trasversale del fascio. In Tavola I sono riportate alcune delle immagini del fascio di protoni simulato. Nella colonna di sinistra sono riportate alcune delle distribuzioni spaziali della sezione trasversale del fascio di protoni per diversi valori dell’energia. Queste distribuzioni possono essere confrontate con quelle ottenute dall’algoritmo riportate nella colonna di destra. Come si può vedere in Tavola I, esiste un buon accordo tra la funzione test ed il risultato dell’analisi delle simulazioni. In Fig 3.11 è riportato il confronto tra il profilo lungo l’asse x del fascio di protoni incidenti e quello ricostruito dall’algoritmo. 50 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati Figure 3.11: Confronto tra il profilo lungo l’asse x del fascio di protoni incidente e di quello ricostruito dall’algoritmo, per E= 9 MeV. 51 Cap. III Sviluppo ed analisi dei dati TAVOLA I Verifica dell’algoritmo 3 x 105 0 n.prot MeV-1 pixels-1 Ec= 9 MeV Ec =10.6 MeV Ec =12.1 MeV Ec =14.7 MeV Cap. IV Risultati Sperimentali Capitolo IV Risultati Sperimentali Questo capitolo comincia con qualche considerazione sulla composizione del fascio di particelle generato durante l’interazione laser-plasma. In seguito si presenta l’analisi di alcuni dati, raccolti durante esperimenti svolti al RAL, effettuata con l’algoritmo presentato nel Cap.III. Essi sono organizzati a seconda del numero identificativo dello shot del laser. 4.1 Composizione del fascio di particelle generato Anche se siamo interessati allo studio della distribuzione spaziale ed energetica dei protoni, dobbiamo tener conto che il fascio generato nell’interazione è composto da diversi tipi di particelle, principalmente elettroni e protoni. Non si può escludere neanche la presenza di altri ioni, poiché lo stesso campo in grado di estrarre protoni potrebbe accelerare, per esempio, anche ioni di carbonio (provenienti dai depositi di idrocarburi come i protoni) e di alluminio (data la composizione del bersaglio). In questo paragrafo faremo vedere come sia possibile trascurare il contributo degli ioni e separare quello degli elettroni. Altri esperimenti, sempre realizzati al RAL, sono stati dedicati alla rivelazione di ioni pesanti emessi in simili condizioni di interazione [33]. Il programma Montecarlo che è stato usato per determinare il comportamento dei protoni [Par.3.3] permette di fare simulazioni anche con ioni più pesanti. È stato, quindi, possibile testare il comportamento degli ioni di Al e C scegliendo, rispettivamente, delle energia di 200 MeV e 60 MeV che sono dell’ordine delle energie massime rivelate nelle esperienze sopracitate ( vedi Fig.4.2). 51 Cap. IV Risultati Sperimentali Figura 4.1: Curva di Bragg nel rivelatore per gli ioni Al 13+ ( 200 MeV ) e di C6+ (65 MeV). Il range è in entrambi i casi dell’ordine di 100 m. Il primo gradino che si vede nelle curve è dovuto all’interfaccia tra il filtro di alluminio e il mylar. Il risultato di queste simulazioni mostra come gli ioni pesanti, in ragione della loro elevata carica elettrica, possano, al massimo, contribuire al segnale sul primo film, che, quando è di RCF, è saturo o addirittura bruciato, per cui inutilizzabile nell’analisi. In sintesi è stato constatato che, in questo regime di interazione, la presenza di ioni pesanti non crea problemi all’analisi del fascio di protoni. La situazione varia notevolmente, invece, quando si prendono in considerazione gli elettroni. Per separare, almeno parzialmente, il contributo dei protoni da quello degli elettroni, si è tenuto conto del diverso andamento delle rispettive curve di Bragg. Altri tipi di rivelatori, come Nuclear Track Detector (NTD)di cui un rappresentante tipico è il CR-39, sono sensibili a protoni e ioni e non ad altri tipi di radiazione ionizzante. Perciò dal confronto tra il segnale raccolto simultaneamente da NTD e RCF in esperimenti simili [14], è noto che il viraggio dovuto alla dose rilasciata dai protoni è molto intenso e poco esteso nel 52 Cap. IV Risultati Sperimentali piano del film. Al confronto il segnale depositato dagli elettroni appare debole e diffuso su tutto il piano del rivelatore [34]. In Fig. 4.2 si riporta, a titolo esemplificativo, la curva di Bragg per elettroni a 3 MeV che si propagano in un rivelatore a radiocromici schematizzato nella simulazione Montecarlo con una lastra di mylar di 8 mm di spessore. Figura 4.2: Curva di Bragg di un fascio monocromatico di elettroni (E = 3 MeV) in un rivelatore composto da film radiocromici. Inoltre, proprio per la loro piccola massa, la traiettoria degli elettroni subisce forti deflessioni, quindi il segnale depositato sarà diffuso in tutto il piano rivelatore. Dal confronto tra lo stopping power degli elettroni (Fig. 4.2) e quello dei protoni (Fig. 3.3) si può concludere che per ottenere lo stesso viraggio del radiocromico il rapporto tra il numero degli elettroni e quello dei protoni dovrebbe essere circa 103. Dal risultato di studi sul comportamento di elettroni generati in un’interazione laser-plasma, ci si aspetta che il numero di elettroni presenti nel fascio sia ~ 1011 ÷ 10 12 quindi dello stesso ordine o poco più grande di quello dei protoni rivelati. In prima approssimazione, quindi, le considerazioni appena fatte permettono di considerare il segnale lasciato dagli 53 Cap. IV Risultati Sperimentali elettroni nel primo film RCF in cui non appare segnale di protoni (che chiamiamo k*) dello stesso ordine di quello che essi lasciano nei fogli precedenti. Si può procedere, dunque, nella separazione del contributo degli elettroni da quello dei protoni semplicemente sottraendo la dose rilasciata sul film k* da tutti i film precedenti . 4.2 Risultati delle analisi In questo paragrafo sono riportate le immagini relative ad alcuni shots accompagnate da una breve descrizione e da qualche considerazione qualitativa. Gli shots riportati differiscono tra loro essenzialmente per il diverso spessore del bersaglio di alluminio, che varia da 3 µm a 250 µm. In alcuni casi dietro il bersaglio di alluminio sono stati posizionati oggetti sottili metallici la cui ombra appare distintamente nel profilo del fascio. L’ombra di questi oggetti facilita l’operazione di centratura dei film RCF. In realtà lo studio di queste ombre è di interesse legato ai primi tentativi di usare i protoni così prodotti come strumento di imaging [35, 36]. 4.2.1 Shot 260905 In Fig 4.3 è rappresentata la successione dei film RCF e dei fogli di mylar relativamente allo shot 260905. Figura 4.3: Configurazione del rivelatore usato durante lo shot 260905. 54 Cap. IV Risultati Sperimentali In questo shot l’energia dell’impulso laser era EL = 120 J, a cui corrisponde un’intensità sul bersaglio pari a Il ≈ 4 ×1019 W 2 1. cm In Fig. 4.4 è riportato lo spettro integrato sulla sezione trasversale del fascio di protoni. I punti del grafico forniti dall’algoritmo sono stati connessi con una spezzata. Figura 4.4: Spettro integrato spazialmente. 1 La diagnostica del sistema laser fornisce una stima dell’energia dell’impulso laser EL; a causa di perdite di vario tipo, solo una frazione η dell’energia EL incide effettivamente sul bersaglio. Indicando con ξ la frazione di energia contenuta nel diametro dello spot focale, l’intensità media sul bersaglio può essere stimata come: Il ≈ con Eˆ L = Eˆ L 2 × ⋅ d 2 ( ) × E L , cioè l’energia massima che incide sul bersaglio. Nel nostro caso η ≅ 0.7 e ξ ≅ 0.4, per cui : Il ( W ) ≈ 3.6 × 1017 × E L ( J) cm 2 55 Cap. IV Risultati Sperimentali L’energia totale del fascio Ep può essere così calcolata: E p = ∫ Ef (E )dE ( 4.1 ) dove con f(E) s’intende lo spettro del fascio di protoni. Questo permette di stimare l’efficienza di conversione della luce laser in protoni ( lp ) nel range di energie coperto dalla parte di rivelatore presa in considerazione nell’analisi: ( 4.2 ) lp E = ˆp EL dove Eˆ L è l’energia massima incidente sul bersaglio. In Tab. 4.1 si riassumono i dati significativi relativi allo shot 260905. Spessore del bersaglio 25 µ Energia dell’impulso laser (EL) ( 120 ± 10 ) J Intensità sul bersaglio ( Il ) 4 x 1019 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 2.5% Range di energie analizzato (12.4 ÷ 25.8) MeV Numero totale di protoni 7 x 1011 Tabella 4.1: Parametri caratteristici dello shot 260905. Nello shot 260905 a circa 1 mm dal bersaglio di alluminio era posizionato un reticolo di rame di passo 100 µm e formato da dei fili di diametro di circa 25 µm. Il reticolo era parallelo al bersaglio e, quindi, perpendicolare all’asse di propagazione dei protoni. L’ombra del reticolo appare nel profilo trasversale del fascio (vedi Fig 4.5). Poiché lo spessore dei fili del reticolo è molto minore del range dei protoni a queste energie, l’ombra non è dovuta a stopping ma allo scattering dei protoni sui fili del reticolo [37]. 56 Cap. IV Risultati Sperimentali Per questo primo shot è stato ritenuto interessante riportare non solo la ricostruzione spaziale dello spettro di protoni ottenuta dall’applicazione del metodo d’analisi (Tavola IV-V), ma anche i dati sperimentali prima dell’analisi, (Tavola II-III) per poterli confrontare. In Fig. 4.5 (c) si riporta la dose rilasciata dal fascio di protoni generato durante l’interazione sul 7° RCF. In Fig. 4.5 (a) è riportata la distribuzione spaziale della componente del fascio di protoni all’energia di campionamento di 12.4 MeV, così come ricostruita dall’algoritmo, sulla base delle informazioni contenute nell’insieme dei 12 film radiocromici del rivelatore. Infine in Fig. 4.5 (b) riportiamo la dose che questa specifica componente del fascio ricostruito dall’algoritmo depositerebbe nel 7° RCF. (a) 0 (b) 4.8e+11 (c) 0 n.pro sr--1 MeV-1 E= 12.4 MeV 90 Dose[Gy ] E= 12.4 MeV film n° 7 0 211 Dose[Gy ] film n°7 Figura 4.5: Confronto tra la dose, effettivamente, rilasciata dai protoni nel 7° film RCF (c) con quella che la componente a 12.4 MeV del fascio ricostruito dall’algoritmo (a) rilascerebbe nello stesso film (b). Dal confronto tra Fig. 4.5 (b) e (c) si vede come, dopo l’analisi, il contrasto migliori. Il risultato ottenuto è in accordo con l’idea che l’ombra è dovuta allo scattering. Infatti l’algoritmo può isolare il contributo di protoni di diversa energia, consentendo di considerare quelli che danno maggiore contributo allo scattering. 57 Cap. IV Risultati Sperimentali Nelle immagini l’errore sullo spettro è ∼10% ed è stato stimato calcolando la deviazione standard delle fluttuazioni dello spettro in un intervallo in cui esso è costante. 58 Cap. IV Risultati Sperimentali 4.2.2 Shot 171002 Figura 4.6: Configurazione del rivelatore Spessore del bersaglio 3 µm Energia dell’impulso laser (EL) ( 21 ± 2 ) J Intensità sul bersaglio ( Il ) 7 x 1018 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 2.6% Range di energie analizzato (4.7 ÷ 12.1) MeV Numero totale di protoni 3.1 x 10+11 Tabella 4.2: Parametri caratteristici In questo caso sia lo spessore del bersaglio che l’energia sono molto più piccoli che negli altri casi. L’efficienza di conversione dell’energia dell’impulso laser in energia di protoni, però, è piuttosto alta (rispetto sempre al confronto con gli altri shots) . In effetti è ragionevole supporre che uno spessore così sottile permetta che molti più elettroni riescano a fuoriuscire dalla superficie posteriore del bersaglio dando luogo ad un intenso campo di estrazione. 59 Cap. IV Risultati Sperimentali Figura 4.7: Spettro integrato spazialmente. La ricostruzione bi-dimensionale dello spettro, che è presentata nella pagina successiva (Tavola VI), mostra come, per questo spessore del bersaglio, il fascio non presenti strutture particolarmente evidenti. A basse energie (intorno ai 5 MeV) i protoni vengono emessi in modo pressoché uniforme: l’apertura angolare del fascio è maggiore o uguale a 32°. Ad energie più alte (di circa 11 MeV ), invece è presente un addensamento di popolazione con minor divergenza angolare (∼ 20° ). Per valori intermedi si nota un addensamento di protoni sul bordo della popolazione ad energia più alta, la cui apertura angolare è dell’ordine di 3°. L’energia massima dei protoni prodotti è circa 10.6 MeV. 60 Cap. IV Risultati Sperimentali 4.2.3 Shot 070905 Figura 4.8: Configurazione del rivelatore. In questo caso posto 2 mm dalla superficie posteriore del bersaglio era stato posizionato un foglio di 25 µm di alluminio, parallelo al bersaglio , di modo tale che circa metà di esso fosse attraversata dal fascio di protoni. L’ombra di un lato del foglio appare nella ricostruzione del profilo trasversale del fascio (Tavola VII). Come nel caso dello shot 260905 la presenza dell’oggetto fornisce un punto di riferimento per il processo di allineamento dei film. Il sesto RCF è stato escluso dall’analisi in quanto saturo. Spessore del bersaglio 25 µm Energia dell’impulso laser (EL) ( 120 ± 10 ) J Intensità sul bersaglio ( Il ) 5 x 1019 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 2.8% Range di energie analizzato ( 13.8 ÷ 23 ) MeV Numero totale di protoni 9.2 x 10+11 Tabella 4.5: Parametri caratteristici 61 Cap. IV Risultati Sperimentali Figura 4.9: Spettro integrato spazialmente. Anche in questo caso si vede chiaramente che la divergenza angolare tende a decrescere con l’aumentare dell’energia. Ad energia intermedia (∼ 16.1 MeV) si riesce a distinguere un addensamento di protoni la cui apertura angolare è circa 20°. Ad energie più alte si osservano delle strutture sottili e disordinate che non eccedono i 5°. 62 Cap. IV Risultati Sperimentali 4.2.4 Shot 230807 Figura 4.10: Configurazione del rivelatore Spessore del bersaglio 100 µm Energia dell’impulso laser (EL) ( 100 ± 10 ) J Intensità sul bersaglio (I) 4 x 1019 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 0.6% Range di energie analizzato (4.6 ÷ 14.4) MeV Numero totale di protoni 3 x 10+11 Tabella 4.5: Parametri caratteristici Figura 4.11: Spettro integrato spazialmente. 63 Cap. IV Risultati Sperimentali Osservando il profilo trasversale del fascio, in Tavola VIII, si può notare una struttura più ordinata rispetto a i casi precedentemente trattati. Questa sembra essere una caratteristica comune a tutti li spari effettuati usando bersagli di spessori superiori ai 100 µm. Ancora una volta è evidente come l’apertura angolare del fascio diminuisca con l’aumentare dell’energia : a basse energie ( ∼ 4.6 MeV ) è di circa 50° mentre ad alte (∼ 12.2 MeV) si riduce a circa 20°. Inoltre si nota, fin dalla prima ricostruzione del profilo trasversale del fascio, un addensamento sottile (∼ 7° a ∼ 7 MeV ) di protoni sul bordo della popolazione ad energie più alte che è caratterizzata da sotto-strutture non ben definite. 64 Cap. IV Risultati Sperimentali 4.2.5 Shot 300803 Figura 4.12: Configurazione del rivelatore. Spessore del bersaglio 250 µm Energia dell’impulso laser (EL) ( 140 ± 10 ) J Intensità sul bersaglio ( Il ) 5 x 1019 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 2.4% Range di energie analizzato (10.3 ÷ 24.4) MeV Numero totale di protoni 8.1 x 10+11 Tabella 4.6: Parametri caratteristici Figura 4.13: Spettro integrato spazialmente. 65 Cap. IV Risultati Sperimentali Lo spettro integrato di Fig. 4.13 ha un comportamento che a prima vista può apparire anomalo poiché, mentre tutti gli altri spettri presentati in questa tesi decrescono all’aumentare dell’energia dei protoni, questo resta, praticamente, costante per poi crollare bruscamente a zero attorno ai 24 MeV. In realtà in questo intervallo di energie dei protoni, il risultato è consistente con spettri ottenuti in altri esperimenti [33]. Nella ricostruzione delle distribuzioni spaziali dei protoni a varie energie ( Tavola IX-X) si evidenzia una struttura regolare del fascio. I protoni ad energia più bassa formano degli anelli intorno alle popolazioni più energetiche. All’interno di questi anelli, che si restringono con l’aumentare dell’energia, il fascio è piuttosto uniforme, cioè spariscono le strutture filamentose che si osservano per spessori minori del bersaglio. É importante notare che strutture analoghe a questa, che sono già state evidenziate usando rivelatori NTD [33, 38], non appaiono evidenti nelle scansioni dei film radiocromici. Grazie all’analisi effettuata è la prima volta che queste strutture sono state evidenziate usando RCF. Proprio per l’andamento caratteristico dello spettro spaziale di questo shot, in questo caso è interessante costruire il profilo longitudinale del fascio (vedi Fig. 4.4). Figura 4.14: Profilo longitudinale (lungo l’asse x ) del fascio di protoni: si può vedere la così detta struttura a bolla, con addensamenti di protoni ad energia più basse ai bordi di quelli più energetici. 66 Cap. IV Risultati Sperimentali 4.2.6 Shot 310806 Figura 4.15: Configurazione del rivelatore. Spessore del bersaglio 250 µm Energia dell’impulso laser (EL) ( 110 ± 10 ) J Intensità sul bersaglio ( Il ) 4 x 1019 W/cm2 Efficienza di conversione ( lp ) 0.8% Range di energie analizzato ( 7 ÷ 18 ) MeV Numero totale di protoni 3.3 x 10+11 Tabella 4.8: Parametri caratteristici. Figura 4.16: Spettro integrato spazialmente. 67 Cap. IV Risultati Sperimentali Il primo foglio del rivelatore è saturo quindi non è stato usato nell’analisi. In questo shot il bersaglio ha lo stesso spessore del caso precedente. Nonostante che l’energia del laser sia diminuita di 40 Joule, il comportamento spaziale di due shots è analogo. Anche in questo caso, come si vede in Tavola XI, appare la stessa struttura del fascio caratterizzata da anelli più esterni la cui apertura radiale diminuisce con l’energia. Visto che L’analisi fornisce spettri bi-dimensionali, è possibile estrarre l’andamento spettrale della parte centrale del fascio. Lo spettro al centro del fascio è caratterizzato da un andamento crescente con l’energia dei protoni (Vedi Fig. 4.17). In effetti nella struttura a bolla le energie sono parzialmente separate nello spazio. Quindi nel punto centrale, come si vede, contribuiscono allo spettro soprattutto protoni ad energia più alta: Fig. 4.17: Analisi dello spettro nel centro del fascio. L’andamento è crescente al contrario dello spettro integrato su tutto il foglio. Questo comportamento è tipico della struttura a bolla: le diverse energie sono parzialmente separate nello spazio, quindi nel punto centrale contribuiscono allo spettro soprattutto protoni ad energia più alta. 68 Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA II 260905 Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm). Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J 0 Dose[Gy] 211 film n° 7 n° 8 film n° 9 n°10 film n° 11 Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA III 260905 Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm). Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J 0 Dose[Gy] 211 film n° 12 n°13 film n°14 n°16 film n°18 n°20 Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA IV 260905 Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm). Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J 0 n.pro sr-1 MeV-1 4.8e+11 Ec= 12.4 MeV Ec = 13.8 MeV Ec =15.0 MeV Ec =16.1MeV Ec =17.2 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA V 260905 Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼ 1 mm dalla superficie posteriore è posto un reticolo di Cu (diametro dei fili 25 µm, passo 100 µm). Laser: Eˆ L ≈ ( 84 ± 8) J 0 n.pro sr-1 MeV- 1 4.8e+11 Ec =18.3 MeV Ec =19.4 MeV Ec =20.9 MeV Ec =22.4 MeV Ec =23.6 MeV Ec =24.5 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA VI Bersaglio: foglio di Al di spessore 3 µm Laser: Eˆ L = (15 ±1) J 171002 0 n.pro sr-1MeV-1 5.3e+11 Ec =4.7 MeV Ec =7.1 MeV Ec =9 MeV Ec =10.6 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA VII Bersaglio: foglio di Al di spessore 25 µm; a ∼2 mm dalla superficie posteriore è posto un un foglio di Al (spessore 25 µm) di cui si vede un lato. Laser: Eˆ L = (87 ± 9) J 070905 0 n.pro sr-1 MeV- 1 5.6e+11 Ec =13.8 MeV Ec =16.1 MeV Ec =19.1 MeV Ec =20.9 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA VIII Bersaglio: foglio di Al di spessore 100 µm Laser: Eˆ L = ( 70 ± 7) J 230807 0 n.pro sr-1 MeV- 1 2.5e+11 Ec =4.6 MeV Ec =7 MeV Ec =8.9 MeV Ec =10.6 MeV Ec =12.2 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA IX Bersaglio : foglio di Al di spessore 250 µm Laser: Eˆ L = (100 ±10) J 300803 0 n.pro sr-1 MeV- 1 2.2e+11 Ec =10.3 MeV Ec =11.8 MeV Ec =13.2 MeV Ec =14.7 MeV Ec =17.3 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA X Bersaglio: foglio di Al di spessore 250 µm Laser: Eˆ L = (100 ±10) J 300803 0 Ec =19.5 MeV Ec =23.0 MeV n.pro sr-1 MeV- 1 2.2e+11 Ec =21.1 MeV Cap.IV Risultati Sperimentali TAVOLA XI Bersaglio: foglio di Al di spessore 250 µm Laser: Eˆ L = ( 77 ± 7) J 310806 0 n.pro sr-1 MeV- 1 3.5e+11 Ec =7 MeV Ec =8.9 MeV Ec =10.6 MeV Ec = 12.2 MeV Ec =14.3 MeV Conclusioni Conclusioni Dal confronto dei dati analizzati si può osservare come con l’aumentare dello spessore del bersaglio appaiano strutture regolari. Per 3 µm di spessore la distribuzione spaziale energetica dei protoni è completamente disordinata. Già da 25 µm a 100 µm, la struttura del fascio comincia ad apparire più compatta, anche se al suo interno rimangono delle filamentazioni non omogenee. Infine a 250 µm si presentano strutture anulari piuttosto uniformi al loro interno. La presenza di queste strutture anulari è un argomento ancora discusso. Si avanzano attualmente diverse ipotesi sulla loro formazione legate ai modelli di generazione del fascio di protoni stesso. Benché i risultati sperimentali riportati in questa tesi non permettano di estrarre conclusioni definitive sui meccanismi di generazione dei fasci di protoni, essi rappresentano una prima applicazione di un algoritmo originale per la caratterizzazione di un fascio di protoni rivelato con film radiocromici. In futuro l’applicazione di questo metodo ad un numero più consistente di eventi non solo caratterizzati da spessori diversi dei bersagli, ma anche dall’impiego di materiali e forme differenti, permetterà di avanzare anche nello studio dei meccanismi di accelerazione dei protoni. Bibliografia Bibliografia 1. W. L.Kruer,” The Physics of Laser Plasma Interactions “, AddisonWesley Publishing Company 2. P. Mora, Plasma Phys. Control. Fusion 43, A31-A37 (2001) 3. Chandershekhar et al., Physics Today, 36, (1995) 4. Jéromr Faure, Tesi di dottorato presso l'Ecole Polytechnique, Etude experimentale de l'interation d'un laser terawatt avec un plasma sousdense: production d'une source brillante et courte d'electrons relativistes 2001 5. http:// www.cat.gov.in/lasernews/ln971/param.html 6. http://www.webelements.com/webelements/elements/text/Al/ioniz.htm 7. D.Umstandter, Phys. of Plasma, 8, 5, 1774 (2001) 8. T. Tajima and J.M.Dawson, Physical Review Letters, 43, 267 (1979) 9. 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