LA SCUOLA DI MILETO: TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE

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Prof. Monti – Filosofia a.s. 2016-2017 – la scuola di Mileto
LA SCUOLA DI MILETO:
TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE
1. NOTE GENERALI SU TUTTI I PRESOCRATICI
I Presofisti, detti anche Presocratici – in assoluto i primi filosofi della storia – sono un
eterogeneo gruppo di pensatori, vissuti per lo più prima di Socrate e dei sofisti (da qui la loro
denominazione di "pre-socratici" e "pre-sofisti"), che si sono occupati soprattutto del
problema della natura, del cosmo, insomma del mondo fisico.
Come vedremo a suo tempo, i sofisti e Socrate saranno più attenti all’uomo e alle sue
problematiche, tralasciando lo studio della realtà naturale, fisica.
I Presofisti fioriscono dal VII secolo ac in poi e si possono dividere in diverse scuole:
ionici di Mileto (Talete, Anassimandro, Anassimene), Pitagorici (Pitagora e seguaci),
Eraclitei (Eraclito e seguaci), Eleati (Parmenide, Zenone e seguaci), Fisici posteriori
(Empedocle, Anassagora, Democrito e altri).
Geograficamente, i presofisti operarono principalmente nelle colonie greche della Ionia
(Asia Minore, l’attuale Turchia), oppure nella Magna Grecia (Italia meridionale).
Solo con Anassagora, come vedremo, si avrà l’ingresso della filosofia in Atene, nel cuore
della Grecia. In effetti, come già abbiamo avuto modo di notare, la filosofia si sviluppò
prima ai margini della civiltà greca, dove erano meno forti le tradizioni e quindi più
facile il cambiamento, per poi estendersi verso il centro. In particolare, essa si sviluppò
inizialmente sulle coste dell’Asia Minore, dove certo era possibile sentire l’influenza delle
vicine ed evolute civiltà orientali.
Delle opere scritte dai presofisti ci sono giunti solo pochi frammenti: tutto ciò che
conosciamo di loro si basa su questi, oltre che sulle parafrasi e sulle testimonianze (queste
ultime dovute soprattutto ad Aristotele e ai suoi seguaci, in particolare il suo allievo
Teofrasto).
Abbiamo visto che la nascita della filosofia segna il sovrapporsi alla spiegazione di carattere
mitico-religioso la spiegazione razionale. Non a caso, nei primi secoli del suo sorgere, la
filosofia portò ad un’affermazione che sarà fondamentale nella costituzione della civiltà
dell’Occidente: il pensiero (non qualunque pensiero, ma solo quello razionale, logico!) è
superiore alla realtà fisica (vedremo in che senso e perché!). In relazione a ciò, è evidente
che le attività umane che più coinvolgono la ragione vennero considerate superiori alle
attività prevalentemente manuali.
Come già anticipato nell’introduzione, vedremo via via emergere con chiarezza ciò che noi
chiamiamo “ragionamento” e “concetto astratto”.
Ciò che vedremo è un progressivo e sempre più consapevole passaggio dal concreto –
concreto in senso propriamente fisico: ciò che risulta evidente alla conoscenza dei sensi –
all’astratto, ovvero a ciò che, pur collegato con la realtà, è l’oggetto proprio del pensiero
razionale.
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2. NOTE GENERALI SULLA SCUOLA DI MILETO
Fra il secolo VIII ac ed il secolo VI ac, le genti greche portarono a compimento un lungo
processo di migrazione verso terre situate fuori dalla Grecia.
In particolare, i greci si diressero verso la Magna Grecia (l’Italia meridionale, dove vennero
in contatto con un ambiente ancora culturalmente arretrato) e verso l’Asia Minore (dove i
greci, viceversa, entrarono in contatto con culture evolute).
Proprio sulle coste dell’Asia Minore, nella città di Mileto, nacque quella che è stata
considerata la prima scuola occidentale del pensiero filosofico.
Dice Aristotele che Talete, primo rappresentante e fondatore di questa scuola, fu il fondatore
della filosofia della Physis. In effetti proprio l’indagine sulla physis, cioè la “natura”, sarà il
motivo dominante per tutti i presofisti e, addirittura, andrà a costituire il titolo tradizionale
delle loro opere: Sulla Natura (Perì Physeos in greco).
Il termine greco physis viene tradotto con la parola “natura”, ma a questo riguardo sorge un
problema comune. Concetti che oggi, nella nostra lingua, sono differenziati e articolati
con diversi termini, in epoca arcaica erano indicati dalla medesima parola.
Ecco che physis non significa solo “natura” – cioè l’insieme dei fenomeni, dei fatti e degli
oggetti che formano la natura – ma anche e soprattutto il principio intrinseco del
mondo, in un certo senso la sua legge, il suo fondamento, in grado di spiegare la sua
organizzazione e le sue trasformazioni.
I vari presofisti hanno affrontato il problema della physis in forme assai diverse, ma in
generale essi applicano un procedimento simile: la ricerca dell’arché.
Per gli antichi il termine arché sta ad indicare l’origine delle cose, il loro principio
fondante, ma anche ciò di cui le cose sono fatte, la realtà ultima cui tutto prima o poi si
riduce, e anche l’aspetto divino dell’universo.
I nostri sensi testimoniano che la realtà che ci circonda è in continuo mutamento e
trasformazione, le cose cambiano di continuo, le creature viventi nascono, crescono e poi
spariscono, come in una sorta di infinita guerra, senza vincitori né vinti. Di fronte a tutto
questo la domanda cui i primi filosofi cercano insistentemente di rispondere è, in buona
sostanza, la seguente: “che cosa sta a fondamento del mondo naturale e delle sue continue
trasformazioni? Qual è il principio, l’elemento primordiale, che lo costituisce e lo
governa?”.
Aristotele, secoli dopo, parlando dei Milesii – Talete, Anassimandro e Anassimene – sostenne
che essi scoprirono la causa materiale, ovvero “la materia di cui le cose sono fatte”, e poi
criticò la parzialità della loro ricerca la quale, a suo avviso, non spiegava l’esistenza e la
natura del movimento. In effetti non è così: come abbiamo appena detto, l’arché non indica
solo la materia di cui le cose sono fatte, ma anche il loro principio e la loro fine, ed ha in sé
anche la ragione di tutte le trasformazioni e di tutti i movimenti.
Per quale motivo si fa iniziare la storia della filosofia con la scuola di Mileto e la ricerca
sull’arché?
Abbiamo già parlato del mito e di quanto fosse importante nell’antica Grecia, ricordiamolo in
breve: il mito non era una semplice “storia inventata”, ma un discorso, una verità rivelata da
un essere divino. Anche il mito propone, come sappiamo, delle spiegazioni per la natura e
i suoi fenomeni, è però vero che tali spiegazioni sono insoddisfacenti, perché non
permettono alcuna verifica né indagine razionale.
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Pensate all’Iliade: essa comincia con la peste che si abbatte sul campo degli achei, peste
causata dalla volontà del Dio Apollo. Questa è una spiegazione che in termini razionali non
dice nulla: spiega una malattia, sconosciuta nella sua natura e nelle sue cause, tramite
l'intervento di una divinità, ancora più ignota della malattia stessa! Diversamente da quanto
accade nel mito, i Milesii individuano i loro principi in un’ottica razionale e, seppure le
loro considerazioni appaiano certo banali agli occhi di noi moderni, esse si fondano su
considerazioni logiche e verificabili, ipotesi che si possono osservare e criticare, proprio
come accade per le teorie di uno scienziato contemporaneo.
Dicendo che “La peste è causata da Apollo” ne sappiamo quanto prima: sia l’una che l’altro
ci sono del tutto ignoti! I Milesii invece propongono spiegazioni che, per quanto ingenue e
sbagliate possano essere, vengono ricavate in ordine a considerazioni razionali e verificabili.
È forse questo il secondo merito dei Milesii: l’aver creato un’immagine dell’universo
regolato da leggi costanti e determinabili, da rapporti di causa-effetto comprensibili
dalla comune ragione umana.
3. TALETE (624-23 AC – 546-45 AC)
Assai ricca è la tradizione che parla di Talete, uomo che acquisì in vita e ancor più dopo la
morte grande fama e credito, ma è difficile distinguere le notizie vere da quelle false,
leggendarie. Pare, inoltre, che Talete non abbia lasciato nulla di scritto. Anche sulla data
di nascita e morte ci sono dubbi. Egli va comunque collocato fra la fine del VII e la metà del
VI secolo ac. Dovette essere, fra l’altro, contemporaneo dell’ateniese Solone.
Talete, cosa comune a tutti gli intellettuali dell’antichità, si occupò di molte questioni
situate in campi che a noi, oggi, appaiono completamente separati l’uno dall’altro.
Pare che Talete fu un valente uomo politico: consigliò ai greci della Ionia di unirsi in
un’unica realtà statale contro la minaccia Persiana e dissuase i cittadini di Mileto dall’alleanza
con Creso, re di Lidia (Ciro era, in quel periodo, re di Persia). In effetti la fama di sapiente
significava spesso l’attribuzione da parte dei cittadini di cariche politiche.
Famose sono rimaste anche le sue teorie astronomiche e matematiche. Fu probabilmente
proprio la corretta previsione di un’eclissi ad allargare enormemente la fama di Talete:
proprio le eclissi erano allora considerate avvenimenti contrari per antonomasia al regolare
svolgimento delle cose, e quindi impossibili da prevedere!
Tramandano le fonti che egli scoprì i solstizi1 e la distanza fra di essi, calcolò le proporzioni
fra il Sole, la Luna e le loro orbite, scoprì l’Orsa Minore, comprese che la Luna è illuminata
dal Sole. In ambito matematico, cinque sono le proposizioni geometriche che gli vengono
attribuite.
Aggiungono alcune fonti che egli avrebbe acquisito le sue conoscenze in Egitto, notizia
peraltro attribuita a numerosi filosofi e da considerarsi leggendaria. Gli si attribuiscono anche
alcune applicazioni pratiche delle sue scoperte, come la misurazione dell’altezza delle
piramidi a partire dalla loro ombra.
- Per quanto riguarda la vita di Talete, due episodi di segno opposto ci sono narrati da
Platone e Aristotele, entrambi elaborati nel tentativo di difendere la propria posizione.
Platone ci racconta che Talete, tale era il suo distacco dalla realtà quotidiana, una notte,
mentre osservava le stelle, cadde in un pozzo. Una serva lo trovò e lo prese in giro, dicendogli
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I solstizi sono le due date dell’anno, 22 giugno e 22 dicembre, in cui in ogni emisfero terrestre si ha, rispettivamente, il
giorno più lungo e la notte più lunga.
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che era così assorto nelle cose celesti da non curarsi delle terrene e da incappare, a causa di
ciò, in numerosi guai.
Aristotele, invece, ci riferisce che Talete, ripreso da un conoscente che lo accusava di essere
povero e di non saper usare la propria sapienza per arricchirsi, grazie alle sue conoscenze
meteorologiche riuscì già in inverno a prevedere una stagione ottima per il raccolto di olive.
Così affittò con grande anticipo tutti i frantoi disponibili subaffittandoli poi a prezzo ben
maggiore.
Ma vediamo ora l’aspetto delle riflessioni di Talete che più ci interessa.
Aristotele attribuisce a Talete l’identificazione nell’elemento umido, segnatamente l’acqua,
il principio, l’arché.
Per quale ragione proprio l’acqua? È umido ciò di cui ogni cosa si alimenta, di natura umida
sono tutti i semi. L’umido si trova in tutte le cose, specialmente negli oggetti animati. Sempre
Aristotele testimonia che, secondo Talete, la Terra galleggerebbe sulle acque. A Talete
viene anche attribuita un’affermazione secondo cui “tutto è pieno di déi” ed un’altra che
attribuirebbe un’anima anche al magnete, data la sua capacità di muovere.
Bisogna poi dire che per Talete vale, come del resto era comunemente accettato, il principio
dell’Ilozismo. Egli cioè non aveva il concetto della materia inerte ed inanimata e delle forze,
come separate da essa, che la muovono. La materia, secondo l’ilozismo, ha in sé la ragione
del suo movimento e delle sue trasformazioni. Tale animazione è indistinguibile ed
inseparabile dalla materia stessa. In modo analogo si spiega anche l’affermazione sulla
divinità: probabilmente Talete voleva opporsi all’idea mitica dell’Olimpo e degli déi
antropomorfi, e dire che la divinità non sta in un luogo, ancor meno in una sorta di
“superuomo”, ma in tutto, e probabilmente per lui essa coincideva con l’arché. Tipico dei
presofisti è appunto questa indistinzione fra materia e forza, come fra spirituale e
terreno.
4. ANASSIMANDRO (611-10 AC – ? AC)
Discepolo di Talete, fu con ogni probabilità il secondo filosofo della scuola di Mileto. Anche
lui svolse attività di tipo politico in patria, ed anche lui ebbe interessi nelle matematiche
e nell’astronomia, anche se tale attività non pare vasta quanto quella del suo predecessore e
la sua fama è decisamente minore.
In realtà di Anassimandro, così come di Anassimene, non abbiamo notizie anteriori ad
Aristotele. Pare sia stato lui il primo fra i greci a scrivere un libro concernente la sua
speculazione filosofica, ed è questo il primo testo cui i dossografi pongono il nome
tradizionale di Sulla Natura. Fra le altre cose, è singolare che questo libro fosse scritto in
prosa, e non in poesia, com’era invece consuetudine.
Di cosa parlava il libro di Anassimandro? Doveva, per quanto ne sappiamo, trattarsi di una
storia fisico-geografica dell’universo, a partire dalla sua costituzione. Dicono alcune fonti
che egli per primo tentò di disegnare un profilo delle terre allora conosciute. Gli viene
attribuita anche l’invenzione dello gnomone2, strumento con cui egli poté calcolare i solstizi,
gli equinozi3 e gli intervalli fra le stagioni.
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Lo gnomone è un semplice strumento ad asta, con varie inclinazioni, la cui ombra consentiva di stabilire la posizione del
sole e, quindi, l’ora del giorno.
3
Si chiama equinozio ciascuna delle due date in cui la durata del giorno e quella della notte è, su tutta la Terra, uguale: si
tratta del 21 marzo e del 23 settembre.
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Quasi tutte le informazioni che abbiamo su di lui ci derivano da Aristotele e dai suoi
seguaci. L’unico frammento originale del suo libro è riportato da Simplicio, commentatore di
Aristotele:
“Da dove, infatti, gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione
secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro le pene e l’espiazione
dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.”
Pare, inoltre, che sia stato Anassimandro, per primo, ad introdurre la parola arché per
indicare ciò da cui tutto ha origine.
Per Anassimandro cos’è l’archè? La sua risposta differisce in modo molto significativo da
quella di Talete e costituisce, rispetto ad essa, un notevole progresso.
A parere di Anassimandro l’archè non è nessuno degli elementi che noi conosciamo
attraverso i nostri sensi, nulla che faccia direttamente parte della nostra esperienza
quindi, ma una natura, che possiamo cogliere solo con l’intelletto, in-finita che lui
chiamò àpeiron.
Il principio di Anassimandro non ha, come l’acqua di Talete, caratteristiche sensibili
determinate e ben note. Apeiron è normalmente tradotto con il termine italiano “infinito”, ma
la parola ai tempi dei milesii aveva anche altre accezioni: vuol dire propriamente “senza
limiti”, “illimitato”, “indefinito”, “informe”.
Da un lato l’àpeiron indica una sostanza, un essere illimitato, infinito (se fosse finito
anche la sua attività generatrice e trasformatrice dovrebbe essere finita...) da cui tutto ciò che
esiste proviene. Dall’altro è semplicemente la natura di tutte le cose che precede le loro
distinzioni, è qualcosa di indefinito, di indeterminato al suo interno e che, proprio per
questo, può assumere tutte le diverse determinazioni, fungendo così da arché.
Certo è che Anassimandro non concepiva il suo àpeiron come concetto formale, di tipo
matematico, astratto, ma come una vera e propria materia che in qualche modo circonda e
costituisce tutto l’universo. In effetti le fonti sembrano mettere l’accento più che sull’idea di
infinito su quella dell’indeterminatezza dell’àpeiron.
Perché Anassimandro non ha assunto una sostanza fra quelle note all’esperienza, come
aveva fatto Talete, ipotizzando l’esistenza di una sostanza che nessuno ha mai visto?
Anche se la cosa può apparire strana, proprio in questo consiste il progresso rispetto a Talete!
Aristotele spiega in questo modo la scelta di Anassimandro: pare che egli pensasse che se un
elemento materiale fra quelli noti alla nostra esperienza sensibile fosse il principio, l’arché,
esso tenderebbe ad inglobare e a distruggere tutti gli altri. Insomma: Anassimandro riteneva
che il principio, l’arché dell’universo, la causa di tutte le sostanze che noi conosciamo, non
potesse essere una di queste sostanze medesime! In altre parole ancora: la causa del mondo
reale va ricercata al di là di ciò che costituisce la nostra esperienza sensibile del mondo reale
stesso, non può semplicemente farne parte.
La tradizione ci dice anche che l’àpeiron possiede un movimento eterno (dal quale ha origine
la generazione delle singole cose) che è immortale e indistruttibile.
Anassimandro inoltre esprime per la prima volta con chiarezza un’idea tipica della Grecia,
quella secondo cui la realtà non sarebbe composta di moltissime determinazioni diverse e
indipendenti, ma da un insieme di contrari che si oppongono e trapassano l’uno nell’altro.
Possiamo ipotizzare che i contrari (caldo-freddo, umido-secco, ecc.) si stacchino e si
differenzino dall’àpeiron a causa del suo continuo movimento e si distruggano
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vicendevolmente con regolarità ciclica. Anassimandro pare vedere il distacco, la
differenziazione dall’unico essere come una sorta di ingiustizia, sempre pagata con la
distruzione ciclica stabilita dal tempo. Forse l’esperienza che dovette suggerirgli tale
modello è il succedersi regolare delle stagioni. Sembra anche assodato che Anassimandro
estendesse questa vicenda ciclica anche ai mondi, che a suo avviso sono infiniti. Essi
nascono e muoiono ciclicamente, sostituiti da altri. Questo risponde ad un’altra concezione
tipica: la concezione del tempo come un circolo e non come linea retta che procede
all’infinito.
Il milesio sostenne anche che la Terra ha forma cilindrica, con un’altezza pari ad un
terzo della larghezza, e secondo lui è librata in alto, non è sostenuta da niente perché
equidistante da tutte le cose. Talete non riesce a superare l’idea che ogni cosa poggia su
qualcos’altro, mentre Anassimandro compie qui, come vedete, una notevole astrazione.
- Anassimandro pare anche fare un’ipotesi sull’origine degli esseri viventi.
I primi viventi furono generati nell’umido, nell’acqua (qui probabilmente Anassimandro ha
svolto considerazioni simili a quelle di Talete) avvolti in membrane spinose che con il passare
del tempo approdarono a terra e, spezzatasi la membrana, poco dopo “mutarono genere di
vita”. C’è chi ha voluto vedere in questa idea un’anticipazione dell’evoluzionismo.
4. ANASSIMENE (VI AC)
Amico e discepolo di Anassimandro, egli è l’ultimo rappresentante della scuola di Mileto.
Anche Anassimene è autore di un’opera intitolata Sulla Natura, di cui ci sono rimasti
pochissimi frammenti, insieme a delle testimonianze. Pare che questo testo sia sopravvissuto
sino all’epoca ellenistica. L’esiguità delle informazioni che lo riguardano ci fa comprendere
come la sua fama e la portata delle sue scoperte fosse decisamente inferiore a quelle dei suoi
predecessori.
Anassimene sostiene che l’aér – vocabolo tradotto con “aria”, ma che allora si riferiva a
tutte le sostanze volatili, gassose e impalpabili – sia l’arché.
Questa “aria” è eternamente mobile, da essa si generano le cose e in essa si risolvono, è
divina ed illimitata, seppure non indeterminata. Pare che quello effettuato da Anassimene
sia un passo indietro: egli, come già aveva fatto Talete e a differenza di Anassimandro, torna
ad identificare il principio con un elemento determinato, ben preciso.
Anassimene in effetti ha, con questa sua scelta, cercato di chiarire le modalità secondo
cui tutte le cose derivano dall’aria. Ha spiegato questa genesi con i processi di
condensazione e rarefazione: a suo avviso l’aria, condensandosi, dà origine a tutte le cose e,
rarefacendosi, le distrugge. Anassimene può aver pensato che, essendo l’àpeiron del
maestro al di fuori della nostra conoscenza sensibile, in effetti non sappiamo nulla di
come le cose derivino da esso ed in esso facciano ritorno. Anassimene, è il primo a
supporre che tutte le cose siano formate tramite un diverso grado di aggregazione dell’aria
(differenza quantitativa e non qualitativa).
Secondo le testimonianze, inoltre, la Terra a parere di Anassimene sarebbe assai piatta e per
questo galleggerebbe sull’aria. I corpi celesti, inoltre, sarebbero fatti della medesima sostanza
della Terra. Il sole sarebbe terra infuocata a causa della rapidità del movimento.
- Perché Anassimene ha scelto proprio l’aria?
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Le testimonianze dicono che per il milesio l’aria è l’elemento fra tutti più mobile, in secondo
luogo elementari esperienze metereologiche ci mostrano come l’aria possa facilmente,
condensandosi e rarefacendosi, formare fenomeni fra loro diversi (nuvole e pioggia).
Qual è, inoltre, la cosa che caratterizza tutti i viventi? Essi si muovono, proprio come
l’aria e, soprattutto, respirano. Vita e respirazione apparivano allora inscindibili: come sapete
nei poemi omerici la vita è una specie di alito che, all’atto della morte, abbandona il corpo.
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