dalla filosofia ai luoghi comuni c`è sempre l`aria nella nostra vita

FOCUS
DALLA FILOSOFIA AI LUOGHI COMUNI
C’È SEMPRE L’ARIA NELLA NOSTRA VITA
di Gigi Cavone *
I
The concept of air (what we breathe,
what surrounds us, what allows life on the
planet) has always intrigued the human
mind. From the very dawning of philosophy, whereas Taletes believed that water
was the force ruling the world, Anaximenes
said that it was the air. And no other
culture has ever been indifferent to such a
debate which is not only philosophical. In
fact, if we can survive without food for days
and without water for hours, without air we
can hardly live for a handful of seconds.
Invisible, odourless and tasteless, air is a
fundamental element even in our language.
The term has become descriptive,
attributive, meaningful as expressions such
as “living in the open air”, and “going out
for a breath of fresh air” suggest.
nvisibile e vitale. Impalpabile e necessaria. Nessuno sa cosa sia
davvero, ma tutti sanno che non potrebbero farne a meno. Il
concetto di aria (ciò che respiriamo, ciò che ci avvolge, ciò che
permette la vita sul pianeta) sembra fatto apposta per affascinare da
sempre il pensiero dell’uomo.
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* Giornalista
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Il concetto di aria (ciò che respiriamo,
ciò che ci avvolge, ciò che permette la vita
sul pianeta) ha da sempre affascinato il
pensiero dell’uomo. Agli albori della filosofia, la forza che anima il mondo se per
Talete era l’acqua, per Anassimene era
proprio l’aria. E nessun’altra cultura è
rimasta indifferente a questo dibattito.
Non solo filosofico, tuttavia: perché se
senza cibo si può stare per giorni, senza
acqua per ore, senza aria si vive solo per
qualche manciata di secondi. Invisibile,
inodore, insapore eppure indispensabile
anche nel linguaggio, tanto da diventare
descrittiva, attributiva, significante: mi
manca l’aria, vivere all’aria aperta, respirare un po’ d’aria buona, qui dentro
c’è aria viziata…
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E da sempre, infatti, l’uomo le dedica attenzione, passione, riflessioni. Sin dall’antichità, dagli albori della filosofia. Nelle colonie greche
dell’Asia Minore, sette secoli prima dell’avvento di Gesù, il gruppo di
intellettuali passati alla storia come “ionici di Mileto” o pre-socratici
(Talete, Anassimene, Anassimandro) formulò per primo il concetto di
arché: l’elemento principale, la sostanza unica costitutiva di tutta la realtà. Una specie di caposaldo, di origine di tutto, ciò che consente all’uomo di passare dal caos a un mondo razionale, comprensibile, spiegabile. L’arché è, insomma, lo strumento per dare ordine al mondo. Tutto –
dicono questi filosofi – viene originato da un elemento naturale, fondamento primo della materia. Per Talete è l’acqua, per Anassimandro un
infinito senza contorni, per Anassimene l’aria (pneuma): la forza che anima il mondo. È l’aria – sostiene Anassimene – a trasformare le cose: rarefatta diventa fuoco, condensata si trasforma in vento e nuvole, e poi
in acqua, terra, pietra.
Una questione solo generata, non certo esaurita dai primi filosofi
greci. Dopo di loro, Eraclito, indicherà come arché il fuoco, Empedocle
placherà la controversia riconoscendo tutti e quattro gli elementi (terra,
acqua, aria e fuoco) come fonte di ciò che esiste, senza attribuire ad alcuno di essi un primato sugli altri (… «una cosa ora cresce in modo da
formare un’unità da molti elementi, ora viceversa si divide in modo da
formare da una cosa sola più elementi: il Fuoco, l’Acqua, la Terra e l’infinita altezza dell’Aria»).
E ancora l’aria in Platone, che teorizza un ordine “proporzionale”
fra gli elementi: aria e acqua poste fra cielo e terra, di modo che come il
cielo sta all’aria, l’aria sta all’acqua; e come l’aria sta all’acqua, l’acqua alla terra, in una composizione razionale del mondo. Elementi proporzionali fra loro o descritti in un’immagine “avvolgente” fatta di sfere
concentriche, come fa Aristotele: al centro di tutto la terra, intorno ad
essa l’acqua, poi l’aria, quindi il fuoco e i cieli. È l’aria, per Aristotele, a
spiegare il moto: è lei a spingere un sasso lanciato da una mano verso
l’alto. Se ci fosse il vuoto, il movimento non sarebbe possibile.
Nessun’altra cultura è rimasta indifferente al dibattito. Nel pensiero
cinese gli elementi costitutivi della realtà sono cinque: fuoco, terra, acqua, metallo, legno. Non l’aria, presente invece fra gli archetipi della tra-
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dizione ayurvedica indiana. Sempre cinque, legati da un rapporto di
causa ed effetto: l’Etere (Akasha, elemento legato al senso dell’udito)
da cui si manifesta l’Aria (Vayu, legata al tatto); dall’Aria emana il Fuoco
(Tejas, associato alla vista); da qui l’Acqua (Apas, legata al gusto), e
dall’Acqua la Terra (Prithivi, connessa all’olfatto).
Oggetto imprescindibile di pensiero “alto” o di filosofia spicciola,
l’aria appare dunque come l’elemento più spirituale, quello che più degli altri si avvicina a quell’idea di “soffio vitale” che ci accosta al concetto di anima. Fra tutti, l’unico elemento non visibile, quasi magico.
Impalpabile ed essenziale. Più degli altri simbolo stesso di vita, perché
– più che per gli altri – la sua mancanza appare non-vita. Pensate a ciò
che, nell’immaginario, ci sembra indispensabile per vivere. Senza cibo
si può stare per giorni, senza acqua per ore, senza aria solo per qualche
manciata di secondi. Tanto da strabiliarci quando qualche mirabile
atleta subacqueo stabilisce un record di apnea: un innaturale “esistere
senza aria”.
Invisibile, inodore, insapore eppure indispensabile anche nel linguaggio, tanto da diventare descrittiva, attributiva, significante (mi
manca l’aria, vivere all’aria aperta, respirare un po’ di aria buona, qui
dentro c’è aria viziata…). Perfino gli usi più vulgati della lingua le riconoscono un valore idiomatico (c’è un’aria nuova, oggi non è aria…). Si
esce da un luogo chiuso, da una lunga riunione e si esclama: aria!
Sinonimo stesso di vita, ma anche afflato di libertà: cos’altro è “l’ora
d’aria” dei detenuti se non quella parentesi di tempo senza la costrizione di una cella, quello spasimo – insieme tormento e traguardo – verso
l’agognata condizione di uomo libero?
Aria e vita: uomini, animali e piante hanno bisogno dell’aria per esistere e per comunicare. Pensiamo alla voce e ai versi: porzioni d’aria
che si “colorano” di suono, di parola, di significato. E poi il vento: aria
che vive, che si muove, che insorge, che si manifesta con la “sua” voce.
Ma la suggestione maggiore, anche per i pensatori moderni, resta
quella dell’aria come arché: fondamento stesso del mondo vitale, scoperta e viaggio senza fine. Nel secolo scorso il francese Gaston
Bachelard, chiedendosi quale significato abbia l’aria per la psiche dell’uomo, associa ad essa proprio l’idea di un viaggio verticale, un’ascen-
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sione che sublima l’uomo, e che ha il suo contraltare nell’immagine rovesciata della caduta, della discesa.
Mistero e fascino, alito e fonte perpetua di vita, di voce e respiri, essenza stessa dell’esistere. Per questo l’aria ha preceduto l’uomo; per
questo lo tiene in vita. Per questo non potrà che sopravvivergli.
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