Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Cambridge X

Università degli Studi di Napoli
“Federico II”
Facoltà di Scienze MM. FF. NN.
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Triennale
Strong Gravitational Lensing:
uno strumento per l’astrofisica e la cosmologia
Relatori:
Candidato:
Ch.mo Prof. Massimo Capaccioli
Prof.ssa Ester Piedipalumbo
Anno accademico 2004-2005
Ciro Pinto
Matr. 567/278
2
Indice
1 Introduzione
5
2 Ottica Geometrica in uno spazio-tempo curvo
2.1 Equazioni di Maxwell in forma Tensoriale: spazio euclideo
2.2 Equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo curvo . . . . .
2.2.1 La nozione di derivata covariante . . . . . . . . . .
2.2.2 Equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo curvo .
2.2.3 L’accoppiamento minimo . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Approssimazione di Ottica Geometrica . . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
11
11
12
12
12
12
13
3 L’equazione della lente
3.1 Le equazioni di campo debole . . . . . . .
3.2 L’equazione della lente . . . . . . . . . . .
3.3 Il principio di Fermat . . . . . . . . . . .
3.4 Proprietà dell’ equazione della lente sottile
3.5 Il potenziale di Fermat . . . . . . . . . . .
3.6 L’amplificazione luminosa . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
17
17
18
22
23
24
25
4 Modelli di Lenti Gravitazionali
4.1 Lenti assialmente simmetriche . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Sfera isoterma singolare . . . . . . . . . . . .
4.1.2 Legge di potenza . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.3 Famiglia di modelli per galassie . . . . . . . .
4.1.4 Modello di Hernquist . . . . . . . . . . . . . .
4.1.5 Modelli NFW con e senza cuspide . . . . . .
4.2 Modelli ellittici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Generalizzazioni della sfera isoterma . . . . .
4.2.2 Modelli con semplici potenziali di deflessione
4.3 Cenni sulla lente Doppia . . . . . . . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
29
29
31
32
32
33
33
34
34
34
35
5 Lensing gravitazionale e cosmologia
5.1 Il lensing cosmologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.1.1 Metrica e modelli di FLRW . . . . . . . . . . . .
5.1.2 La distanza di Diametro Angolare . . . . . . . .
5.1.3 L’equazione della lente cosmologica . . . . . . . .
5.2 Equazione della lente cosmologica e principio di Fermat
5.2.1 Ritardo temporale potenziale . . . . . . . . . . .
5.2.2 Ritardo temporale cinematico . . . . . . . . . . .
5.2.3 Ritardo temporale totale . . . . . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
37
37
37
41
41
42
42
43
45
.
.
.
.
.
.
6 Regimi del lensing e quantità osservabili
6.0.4 Strong Lensing di quasars: immagini
potenziale gravitazionale della lente
6.0.5 Equazioni fondamentali . . . . . . .
6.0.6 Modelli con M/L costante . . . . . .
6.1 Metodo numerico . . . . . . . . . . . . . . .
3
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
47
multiple e ricostruzione
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
del
. .
. .
. .
. .
.
.
.
.
47
48
49
50
4
INDICE
6.2
6.3
Applicazione ad un sistema reale: PG1115+080 . . . . . . . . . . . . . . . 51
Strong Lensing da ammassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
6.3.1 Weak lensing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
7 Determinazione dei parametri cosmologici
57
7.1 I parametri cosmologici mediante archi luminosi . . . . . . . . . . . . . . . 57
7.2 Applicazioni del time delay . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
8 Conclusioni
61
A Derivazione Dell’equazione di Einstein
65
Bibliografia
67
Capitolo 1
Introduzione
Il Gravitational Lensing (GL) è, nella sua accezione piú generale, quella teoria che descrive gli effetti di un campo gravitazionale sulla propagazione della radiazione elettromagnetica, usualmente descritta in termini di raggi. Sebbene l’idea di una possibile
interazione gravitazionale radiazione - materia risalga all’ epoca di Newton, nell’ ambito della sua teoria corpuscolare della luce, essa ha avuto una formulazione fisicamente
coerente solo nell’ambito della teoria della relatività generale di Einstein. In questo
senso Il GL è senz’altro un tipico effetto relativistico. Secondo la relatività generale il
campo gravitazionale viene codificato in una metrica con segnatura Lorentziana su di
una varietà 4-dim. (lo spaziotempo). Da un punto di vista matematico, la teoria del
lensing gravitazionale è dunque la teoria delle geodetiche nulle in una varietà 4-dim.
Lorentziana. La prima osservazione di un effetto di GL si ebbe nel 1919 quando fu verificata, a sostegno della teoria di Einstein, la deflessione della luce di una stella da parte
del sole durante l’eclisse solare. Oggi le osservazioni di eventi di GL fanno riferimento
ad una grande varietà di fenomeni spesso anche molto spettacolari:
• Immagini multiple di quasars
Il campo gravitazionale di una galassia (o di un ammasso di galassie) deflette la luce
proveniente da un quasar distante in modo tale che un’osservatore sulla Terra veda due
o più immagini del quasar medesimo.
• Immagini ad anello (Einstein’s rings)
L’immagine di una sorgente luminosa estesa, quali la galassia host di un quasar od
un lobo di essa, viene distorta in un anello chiuso (o quasi chiuso) da parte del campo gravitazionale di un’altra galassia situata lungo la linea di vista. Tale fenomeno
si verifica quando il campo gravitazionale deflettente ha simmetria sferica, essendo
lente e sorgente allineati lungo una direzione che definisce l’asse di simmetria.
Gli anelli di Einstein si osservano principalmente, ma non esclusivamente, nella
lunghezza d’onda radio.
• Archi
L’immagine di galassie di fondo viene deformata in archi luminosi da parte del
campo gravitazionale di un ammasso di galassie situato lungo la linea di vista. In
questo caso la situazione è meno simmetrica che nel caso degli anelli. L’effetto
viene osservato nel range di lunghezza d’onda ottico e può produrre archi luminosi
giganteschi tipicamente di colore blue.
• Microlensing
In alcune geometrie gli angoli di deflessione sono molto piccoli, dell’ordine di
grandezza di pochi mas o anche meno, sicché le immagini multiple della sorgente
che si vengono a formare non sono osservabili. Tuttavia, poiché il lensing, mentre
preserva il numero di fotoni emessi dalla sorgente, modifica la sezione del fascio
luminoso (shear e focusing), la luminosità apparente delle sorgenti ne risulta alterata. Di conseguenza, è possibile rivelare questi tipi di fenomeni in una situazione
5
6
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
dinamica, in cui la lente e la sorgente siano in moto relativo l’uno rispetto all’altro, tramite una caratteristica variazione temporale della luminosità (che nel caso
più semplice segue il cosiddetto profilo di Paczynski). Ciò accade nel cosiddetto
regime di Microlensing Gravitazionale, che si è rivelato un efficace strumento per
la ricerca della materia oscura nell’alone della nostra o di altre galassie, qualora
essa si presenta in forma dei cosiddetti MACHOS (Massive Astrophysical Compact Halo Objects ), o per studiare il contenuto di stelle di piccola massa nel disco
o nel bulge delle galassie. Sin dalla scoperta del primo evento di Microlensing,
avvenuta nel Settembre del 1993 monitorando milioni di stelle nella Grande Nube
di Magellano nella direzione del bulge galattico, sono stati osservati centinaia di
altri eventi, e nuove ed interessanti applicazioni sono state suggerite; ricordiamo
tra le altre la possibilità di scoprire pianeti -anche di tipo terrestre- intorno a stelle
della nostra o di altre galassie [24] e [83]. Una ulteriore applicazione di grande
interesse astrofisico è possibile nel caso in cui la sorgente lensata sia estesa. In
tale circostanza, infatti, l’amplificazione indotta dal microlensing non è dovuta
ad una singola lente, ma ad un insieme di Machos o stelle che producono una
complessa figura di magnificazione. E’ noto che l’amplificazione dovuta al media
dipende dalle dimensioni della sorgente medesima: gli effetti di microlensing risultano più efficace per sorgenti piuttosto compatte. Se quest’ultima poi dipende
dalla lunghezza d’onda (come accade per esempio nei quasars), la magnificazione
presenterà una segnatura cromatica, che è, peraltro, proibita nel caso di sorgente
puntiforme. Tutto ciò fornisce uno strumento di grande efficacia per studiare la
struttura interna dei quasar e testare le teorie che li descrivono, se applicato alle
diverse immagini di quasar lensati. Infatti, poiché le dimensioni della regione che
emette il continuum e quelle responsabili della linee di emissioni sono diverse, ci si
aspetta di osservare amplificazioni diverse per tali regioni (effetti cromatici) dovute
al microlensing. Inoltre se il profilo delle linee di emissione varia con le dimensioni
della sorgente, come previsto da alcune teorie (gravitational infall o Keplerian rotation), e l’amplificazione media varia sulla sorgente, allora parti diverse del profilo
saranno amplificate in maniera diversa, determinando profili di emissione diversi
nelle diverse immagini. Da tali profili è possibile sia avere informazioni sulle dimensioni della regione di emissione che sulla massa media delle lenti che producono
gli effetti di microlensing immagini.
• Distorsione di immagini nel weak lensing
In alcuni casi l’effetto di distorsione sulle galassie di fondo è troppo debole per
produrre immagini ad anello od archi, e non può essere evidenziata su singoli
oggetti, ma con metodi statistici su campioni di sorgenti. Per esempio, valutando
la forma di un gran numero di galassie di background nel campo di un ammasso di galassie, è possibile valutare la densità di massa superficiale dell’ammasso.
Operando lo stesso tipo d’indagine su campi privi di ammassi è possibile anche
ottenere informazioni sulla distribuzione a larga scala dell’universo.
Le prime quattro classi di fenomeni rientrano nel cosiddetto regime di strong lensing:
esso è legato ad una profonda deformazione del fronte d’onda della radiazione proveniente dalla sorgente, il quale si piega producendo la diversità di fenomeni indicata.
È interessante notare che l’abilità di una lente di innescare il regime di strong lensing
dipende dalla geometria complessiva del sistema osservatore- lente- sorgente, piuttosto
che dalla massa della lente. (Wambsganss J., 1998, Living Reviews in Relativity 1,
1-80). L’approccio più comune per derivare il formalismo del GL (adoperato anche in
questo lavoro i tesi) si basa sull’ approssimazione quasi Newtoniana, secondo la quale il
formalismo che descrive lo spazio tempo della relatività generale è ridotto, tramite assunzioni ed approssimazioni, a termini essenzialmente Newtoniani (spazio Newtoniano,
tempo Newtoniano, campo gravitazionale Newtoniano). Il formalismo quasi Newtoniano del lensing appare in diverse varianti caratterizzate tuttavia dalla comune proprietà
di essere tutte approssimazioni di campo debole, nel senso che la metrica dello spaziotempo è decomposta in un termine di background (spaziotempo in assenza di lente) e
di una debole perturbazione di tale background (campo gravitazionale della lente). Per
7
il background si assume generalmente o lo spaziotempo di Minkowski (lente isolata), o
una metrica di Friedman Robertson Walker (lente immersa in uno spaziotempo curvo
descritto tramite un modello cosmologico). Il background allora definisce uno spazio
Euclideo 3-d simile a quello Newtoniano, ed il campo gravitazionale della lente è simile
al campo Newtoniano su tale spazio Euclideo. Trattare la lente come la sorgente di una
debole perturbazione del background significa che il suo campo gravitazionale (Newtoniano) produce solo piccole deviazioni dei raggi luminosi dalle rette nello spazio Euclideo
3-dim. Nella sua versione più tradizionale il formalismo assume pure che la lente sia
sottile, e che la lente e la sorgente siano ferme nello spazio Euclideo 3-dim. Esistono
anche varianti per lenti spesse ed in moto. Il cuore del formalismo quasi Newtoniano
è costituito dall’equazione della lente o lens mapping che fornisce una corrispondenza
tra le posizioni di una immagine lensata, e la corrispondente immagine non lensata. In
genere una lente sottile a riposo è descritta tramite il proprio potenziale Newtoniano
assegnato su di un piano nello spazio Euclideo 3-dim. Si assume che i raggi siano rette
nello spazio Euclideo 3-dim., deflessi in prossimità del piano della lente. Allora, per un
osservatore fermo e per delle sorgenti distribuite su di un piano parallelo al piano della
lente il lens map è un’applicazione (non lineare) tra il piano della lente e quello della
sorgente.
Brevi cenni storici
Come anticipato sopra, sebbene la deflessione dei raggi di luce dovuta alla gravità è
inquadrata nell’ ambito della teoria della relatività generale (RG) di Einstein, la possibilità dell’ interazione tra luce e gravità era stata prevista molto prima. Già Newton,
nella prima edizione del suo Optiks del 1704, poneva il problema della curvatura delle
traiettorie luminose connessa all’ attrazione gravitazionale esercitata da masse isolate.
Questa intuizione fu poi sviluppata, nell’ ambito della teoria newtoniana della gravitazione e della natura corpuscolare della luce, dal reverendo J. Michell [59] e da J. P.
Laplace [49], con studi che, tra l’altro, condussero a predire l’ esistenza dei buchi neri,
corpi cui è associata una velocità di fuga superiore a quella della luce.
Il primo calcolo teorico della deflessione della luce da parte di un corpo massivo
è dovuto a Soldner [81] che, nel 1804, usando le formule classiche per una particella
immersa in un campo di forze generato da una massa M , ottenne
2GM
c2 b
con b parametro d’ impatto. Così per un raggio di luce che passasse tangenzialmente al
00
Sole era previsto un angolo di 0.84 .
Tale valore fu ritrovato da Einstein nel 1911, applicando il principio di equivalenza;
il fisico tedesco iniziò anche ad indagare la possibilità di una verifica sperimentale in
alcuni colloqui col direttore dell’ osservatorio di Mt. Wilson, G.E. Hale. A questi
anni risale anche il primo tentativo di misurare tale effetto, da parte di un gruppo di
astronomi tedeschi, durante un’ eclissi totale nel 1914 nella penisola di Crimea che, però,
naufragò per causa della Grande Guerra che portò alla prigionia dei malcapitati scienziati
tedeschi nella nemica Russia. Con la formalizzazione della RG, nel 1915 Einstein per
primo predisse il valore corretto dell’ angolo di deflessione che risultava doppio rispetto
00
al valore di Soldner (per il Sole 1.7 ), per un fattore che scaturiva dalla curvatura dello
spazio-tempo. Tale previsione fu confermata sperimentalmente da Eddington che, col
suo gruppo [27], durante un’ eclissi del 1919 misurò lo spostamento angolare apparente
delle stelle attorno al Sole. Questo esperimento costituì la seconda grande conferma
della RG, dopo la corretta valutazione dello spostamento del perielio di Mercurio.
Sempre del 1919 è l’ introduzione del termine lente per indicare i corpi massivi deflettenti: l’ intenzione del coniatore [53] era, però, quella di dimostrare l’ inappropriatezza
di tale dicitura. Un involontario successo.
Ancora Eddington nel 1920, notò come sotto certe condizioni una sorgente potesse essere connessa all’ osservatore da traiettorie luminose multiple, generando, così, immagini
multiple di una singola sorgente.
α'
8
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
Nelle decadi successive molto raramente il GL fu oggetto di ricerca scientifica, fatte
salve alcune rimarchevoli eccezioni. Nel 1924, Chwolson considerò la creazione di stelle
doppie fittizie in un sistema composto da una stella-sorgente e da una stella-lente e il
caso di allineamento perfetto con l’ osservatore con creazione di una immagine circolare. Questa stessa analisi fu presentata, indipendentemente, nel 1936 da Einstein, che
evidenziò con forza l’ impossibilità osservativa di risolvere angolarmente tali immagini
doppie: ubi maior minor cessat, oggi chiamiamo queste configurazioni circolari anelli
di Einstein e non anelli di Chwolson. Pare comunque che Einstein avesse già ottenuto
questi risultati, non pubblicandoli, nel 1912.
Un notevole lavoro fu quello di Zwicky (1937) che estese il campo di studi del GL all’
ambito cosmologico. Già nel 1933 Zwicky, applicando il Teorema del Viriale agli ammassi
di galassie di Coma e della Vergine, aveva derivato per le galassie masse di ben due
ordini di grandezza superiori alle precedenti basate sullo studio di oggetti singoli. Oltre
a porre il problema della materia oscura, che esamineremo nel seguito, nel 1937 Zwicky
considerò che la massa delle galassie rendeva questi oggetti, allora noti come nebulae
extragalattiche, delle perfette lenti per le sorgenti retrostanti, lenti capaci di separare
angolarmente le immagini multiple della sorgente in modo da consentire osservazioni.
Zwicky, inoltre, esplorò per primo la possibilità del GL di agire da telescopio cosmico,
magnificando galassie distanti altrimenti troppo deboli. Il GL, infatti, deforma l’ area del
campo visivo rispetto a quello che si osserverebbe in assenza di lensing: questo determina
la variazione dei flussi osservati. Tutte le previsioni di Zwicky si sono avverate e il lensing
di galassie è oggi una delle branche principali del GL, sia per gli studi morfologici sia
per le determinazioni di massa.
Dopo un lungo periodo di stasi, nel 1964 Refsdal di nuovo richiamò l’ attenzione
sulle applicazioni del GL in cosmografia proponendo l’ idea di determinare i parametri
cosmologici con osservazioni di GL. La sua idea era di misurare la costante di Hubble H0
attraverso il GL di una sorgente variabile. Dato che i tempi di arrivo all’ osservatore per
immagini multiple sono diseguali, variando la traiettoria dei raggi luminosi, variazioni
intrinseche della sorgente vengono osservate in tempi diversi nelle diverse immagini. Il
ritardo temporale tra le immagini è proporzionale alla differenza nelle lunghezze assolute
dei cammini di luce e quindi a H0−1 . Misurando il ritardo temporale e disponendo di un
accurato modello per la lente, la costante di Hubble è misurabile.
Lo sviluppo del lensing era proceduto, fino a quel punto, solo su basi teoriche: ulteriori sviluppi richiedevano verifiche sperimentali. Queste furono possibili con la scoperta
dei quasar (Schmidt 1963) che si rivelarono una classe di sorgenti ideale per studiare
gli effetti del GL. Infatti, i quasar sono distanti, e questo rende alta la probabilità di
deflessione da parte di una galassia antistante; sono sufficientemente brillanti per essere
osservati a distanze cosmologiche; la loro regione di emissione ottica è molto compatta e
ben minore delle scale di lunghezza galattiche. Perciò, la magnificazione risultante può
essere molto grande, e immagini multiple sono ben separate e facilmente distinguibili.
Walsh, Carswell e Weymann (1979) scoprirono, così, anche se in modo piuttosto
accidentale il primo esempio di GL, il doppio quasar QSO 0957+561. Questo consiste
00
di due immagini, sia nell’ ottico che nel radio, a redshift 1.41, separate di 6 e formatesi
sui lati opposti di una luminosa galassia di ammasso, a redshift z = 0.36, che fa da
lente. Prove della origine comune delle immagini sono: la somiglianza degli spettri;
la costanza del rapporto dei flussi nelle bande radio ed ottica; la corrispondenza nelle
emissioni nelle due immagini radio. A tutt’ oggi, la lista dei quasar ad immagini multiple
raggiunge le due dozzine di esempi ed altri candidati sono al vaglio. Tra gli esempi più
spettacolari ricordiamo la cosiddetta croce di Einstein una configurazione di quattro
immagini del quasar Q2237+031. Sistemi di GL con quasar-sorgenti e galassie-lenti si
prestano a due tipi di studio: l’ analisi di un singolo sistema o lo studio statistico della
frazione di quasar a immagini multiple. L’ analisi di un peculiare sistema permette di
modellare sia la sorgente che la lente, mentre il ritardo temporale delle diverse immagini
permette di determinare, come abbiamo visto, H0 . Gli studi statistici, invece, si basano
sulla dipendenza della probabilità di avere immagini multiple dalle distanze diametro
angolari e tramite queste dalla costante cosmologica ΩΛ e dal parametro di densità di
materia ΩM ; in particolare la probabilità cresce al crescere di ΩΛ .
9
Un altro settore fondamentale del GL riguarda gli ammassi di galassie, considerati
teoricamente già prima della scoperta del QSO 0957+561. Rispetto alle lenti costituite
da singole galassie, gli ammassi offrono diversi vantaggi: ammassi ricchi coprono un’ area
angolare di cielo sostanzialmente maggiore, aumentando così la probabilità di fenomeni
di lensing; le sorgenti deflesse dagli ammassi, ovvero le deboli galassie di fondo, sono
molto più numerose dei quasar, particolarmente ai livelli di magnitudine raggiunti dalla
tecnica odierna; dato che le galassie sorgenti sono risolte, le distorsioni delle immagini
possono essere misurate direttamente permettendo di studiare anche gli effetti del GL
più modesti. Gli studi sul GL negli ammassi di galassie ebbero il loro supporto sperimentale con la scoperta di archi luminosi giganti negli ammassi A 370 e Cl 2244.
L’ interpretazione corretta di tali fenomeni fu proposta da Paczynski in termini di
galassie di background fortemente distorte ed allungate dall’ ammasso deflettente, interpretazione confermata dalla misura dei redshift degli archi, significativamente maggiori
di quelli degli ammassi.
Oltre agli spettacolari archi giganti, che richiedono speciali allineamenti tra sorgente
e lente, gli ammassi distorcono coerentemente le immagini delle altre galassie deboli
di fondo con fenomeni detti di weak lensing. Tali distorsioni, prevalentemente deboli,
producono archetti. Le loro osservazioni permettono sia di dedurre la geometria dell’
universo sia di ricostruire la massa proiettata della lente.
Un altro spettacolare fenomeno di GL di sorgente estesa è dato da immagini circolari di sorgenti radio allineate con galassie antistanti. Il primo anello di Einstein nella
00
banda radio è stato scoperto nel 1987: una immagine circolare di diametro 1.75 della
radio sorgente MG1131+0456, con redshift zs = 1.13, formata da una lente galattica
a zd = 0.85. Perchè si formino questi anelli la distribuzione di massa proiettata della lente, vista dall’ osservatore, deve presentare simmetria circolare e la sorgente deve
giacere esattamente dietro il suo centro geometrico. Una sorgente puntiforme, come
può essere considerato un quasar, ha probabilità formalmente nulla di trovarsi nella
condizione di perfetto allineamento; tuttavia per una sorgente astrofisica estesa, come
proprio le sorgenti radio, è sufficiente che solo una loro parte risulti allineata. Oggi gli
esempi di anelli di Einstein, trovati nella banda radio ma dotati di controparte ottica
o infrarossa, completi o con interruzioni lungo il circolo, sono una mezza dozzina, con
00
00
raggi compresi tra 0.33 e 2 . Molte di queste sorgenti radio presentano, oltre a quella
estesa, una componente compatta che viene vista come una immagine doppia, separata
dal diametro dell’ anello di Einstein. Gli anelli di Einstein forniscono molte indicazioni
sulla distribuzione di massa delle lenti e, per questo, offrono un inestimabile contributo
alla conoscenza delle galassie a redshift moderati.
Nonostante i notevoli risultati conseguiti nel GL cosmologico e le invece proibitive
difficoltà osservative già evidenziate da Einstein, l’ idea di studiare il lensing con stelle fu
riproposta con forza da Paczynski nel 1986. Per il moto relativo del deflettore rispetto
all’ asse che congiunge osservatore e stella sorgente, il parametro di impatto tra lente e
sorgente cambia con il tempo e l’ amplificazione luminosa connessa al GL viene a dipendere dal tempo con una curva di luce tipica e perciò riconoscibile. Questi eventi, detti
di microlensing perchè non permettono la risoluzione angolare della doppia immagine
della sorgente, hanno comunque una variazione nel flusso misurabile. Descritto questo
scenario, Paczynski suggerì di osservare la luminosità del milione di stelle che formano
la Grande Nube di Magellano (LMC) per osservarne le fluttuazioni dovute al moto relativo degli oggetti compatti presenti nell’ alone della Galassia rispetto alla linea di vista
passante per la sorgente e per l’ osservatore e studiare così le proprietà della periferia
della Galassia: per masse dei deflettori tra 10−6 M¯ e 102 M¯ la durata degli eventi
varia dalle due ore ai due anni. Paczynski stimò che in ogni dato istante la probabilità
che una stella della LMC fosse sufficientemente amplificata era di una su un milione
e la campagna di osservazioni proposta per il monitoraggio di un milione di curve con
buona frequenza di campionamento, nonostante la difficoltà tecniche, è stata realizzata
dando ottimi esiti e permettendo di studiare la natura e la distribuzione di massa nella
Galassia.
10
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
Struttura della tesi
Nei capitoli che seguono illustreremo i concetti fondamentali del gravitational lensing, il
cui formalismo sarà derivato nell’ambito dell’approccio quasi Newtoniano, e ne mostreremo le applicazioni principali per l’astrofisica e la cosmologia. Più in dettaglio, nel
capitolo 2 introdurremo le equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo curvo, in modo
che risultino covarianti. Ci serviremo quindi della nozione di derivata covariante, e
mostreremo come poter trattare la propagazione della luce in approssimazione di ottica
geometrica, tramite l’introduzione del concetto di raggio luminoso.
Nel capitolo 3 ricaveremo l’equazione della lente, che rappresenta un passo cruciale
nella nostra trattazione. Utilizzeremo la cosiddetta approssimazione di campo debole,
ovvero tratteremo il fondo cosmico mediante la metrica di Minkowski, mentre l’influenza della lente sarà considerata come una piccola perturbazione. Vedremo anche come
poter ricavare l’equazione della lente mediante l’applicazione del principio di Fermat,
introducendo il ritardo temporale tra due raggi luminosi, separando in esso il contributo
di campo e quello cinematico. Infine daremo uno sguardo alle proprietà fondamentali
dell’equazione della lente sottile.
Nel capitolo 4, invece, passeremo in rassegna i vari modelli di lente, partendo da
quelli a simmetria assiale, per poi analizzare i modelli ellittici, ed infine daremo alcuni
accenni alla lente doppia, importante per lo studio di sistemi solari esterni al nostro
e la ricerca di nuovi pianeti. In particolare, tratteremo in dettaglio la sfera isoterma
singolare, con la quale si possono approssimare numerosi tipi di lenti, persino i cluster
dotati di una certa simmetria.
Nel capitolo 5 ci occuperemo del lensing su scala cosmologica: a partire dalle ipotesi di
omogeneità ed isotropia e dalle equazioni di Einstein otterremo l’importante modello di
Friedmann. Una volta introdotta la distanza di diametro angolare, vedremo poi come sia
possibile scrivere l’equazione della lente cosmologica con una veste formalmente identica
a quella della lente ordinaria.
Nel capitolo 6 analizzeremo i regimi del lensing e le varie quantità osservabili, concentrandoci sullo strong lensing. Mediante lo SL, infatti, è possibile risalire al potenziale gravitazionale della lente, valutandone quindi la massa ed anche la dispersione di
velocità.
Nel capitolo 7, l’ultimo della nostra trattazione, vedremo come poter stimare i
parametri cosmologici, tentando di comprendere l’universo nelle sue proprietà più nascoste. Infatti, a partire dalle considerazioni sul time-delay, sarà possibile dare una stima
della costante di Hubble, dalla quale dipende il rate di espansione del cosmo; d’altro
canto, sempre nell’ ambito del modello di Friedmann e da importanti dati osservativi,
sarà possibile valutare i vari contributi dei parametri di densità (materia, radiazione,
curvatura dello spazio ed energia oscura). Stime compatibile con la straordinaria ipotesi
di un universo in accelerazione.
Capitolo 2
Ottica Geometrica in uno
spazio-tempo curvo
Per affrontare lo studio del lensing gravitazionale occorrono alcune nozioni di base,
innanzitutto per interpretare la propagazione della luce in uno spazio-tempo curvo in
termini di raggi luminosi. Diamo quindi alcuni richiami di relatività e, considerando
la luce un fenomeno elettromagnetico, prendiamo in esame le equazioni di Maxwell in
uno spazio-tempo curvo, per introdurre quindi l’approssimazione di ottica geometrica,
nell’ambito della quale forniremo la definizione di raggio luminoso.
2.1
Equazioni di Maxwell in forma Tensoriale: spazio
euclideo
Le equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo euclideo sono:
1 ∂E
= ρ~v , divE = ρ,
c ∂t
∂H
rotE +
= 0, divH = 0
∂t
rotH −
(2.1)
(2.2)
Un passo fondamentale è scriverle in forma covariante,in modo che risultino invarianti
per trasformazione di Lorentz; per far ciò utilizziamo il tensore degli sforzi di Maxwell
F µν , la cui espressione è:


0
H 3 −H 2 −E 1
 −H 3
0
H 1 −E 2 

F µν = 
 H 2 −H 1
0
−E 3 
E1
E2
E3
0
µν
µ
0 α
µν
si trasformano
Così infatti le (2.1) diventano ∂F
∂xν = J = ρ U , cioè se le quantità F
come le componenti di un quadritensore, una delle sue quadridivergenze coincide con la
quadricorrente J µν , per cui è facile verificare che le trasformazioni risultano:
E 01 = E 1 , E 02 = γ(E 2 − βH 3 ), E 03 = γ(E 3 + βH 2 );
H
01
1
=H , H
02
2
3
= γ(H + βE ), H
03
3
2
= γ(H − βE );
(2.3)
(2.4)
le quali essendo verificate sperimentalmente, confermano che F µν sono le componenti di
un tensore e che le equazioni di Maxwell siano covarianti.
Una volta introdotto F ∗µν , ottenuto sostituendo E → H ed H → −E nel tensore di
∗µν
Maxwell, le (2.2) si scrivono: ∂F∂xν = 0, ovvero:
∂F µν
∂F λµ
∂F νλ
+
+
=0
∂xλ
∂xν
∂xµ
11
12
2.2
CAPITOLO 2. OTTICA GEOMETRICA IN UNO SPAZIO-TEMPO CURVO
Equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo curvo
Per scrivere le equazioni di Maxwell in forma covariante, ossia invarianti secondo trasformazione di Lorentz, occorre introdurre la nozione di derivata covariante. Infatti, a causa
della natura non euclidea dello spazio, la derivata ordinaria perde di validità.
2.2.1
La nozione di derivata covariante
In uno spazio-tempo curvo la metrica cambia, e con essa cambia anche il concetto di
derivata; infatti derivando il campo Y nel punto P risulta:
dY
dY i
dei
dxk
=
ei + Y i
= (Y,ki ei + Y k e,h )
dt
dt
dt
dt
(2.5)
posto quindi eh,k = Γihk ei , risulta:
dY
= (Y,ki + Γikh Y h )X k ei
dt
(2.6)
i
i 1
n
dove X è il campo tangente alle curve soluzioni del sistema: dx
dt = X (x , ..., x ) Per cui
dall’arbitrarietà di X e delle sue componenti risulta che le quantità:
∇k Y i := Y,ki + Γikh Y h
(2.7)
che appaiono nella (2.6), sono le componenti di un tensore misto che si denomina derivata
covariante del campo Y nel punto p.
2.2.2
Equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo curvo
Su una varietà pseudo-riemanniana a quattro dimensioni, in forma covariante, le equazioni
di Maxwell si scrivono:
F;νµν = 4πJ µ
(2.8)
Fµν;λ + Fλµ;ν + Fνλ;µ = 0
(2.9)
in cui Fµν è il tensore di Maxwell definito in funzione del quadripotenziale vettore come
Fµν = Aν,µ − Aµ,ν = Aν;µ − Aµ;ν , dove la virgola denota la derivata parziale ordinaria,
il punto e virgola la derivata covariante, mentre gli indici assumono i valori 0, 1, 2, 3.
Nel prossimo paragrafo vedremo alcune ambiguità che sorgono da tali equazioni, attraverso l’ accoppiamento minimo vengono fuori equazioni di campo relative all’ influenza
della distribuzione di massa sull’ andamento del campo elettromagnetico.
2.2.3
L’accoppiamento minimo
Scrivendo le equazioni di Maxwell in termini del potenziale vettore si ha:
µ,α
α
− Aα,µ
,µ + A,µ = 4πJ
(2.10)
applicando il minimal coupling per ottenere le equazioni di Maxwell in uno spazio-tempo
curvo, ovvero se sostituisce al posto della derivata ordinaria quella covariante ed alla
metrica di Minkowski la metrica gµν , ci sono problemi derivanti dalla non più validità
del teorema di Schwartz; infatti in relatività generale le derivate seconde di un vettore
di componenti Aν non commutano, mentre vale la relazione:
µ
Aµ;αβ − Aµ;βα = Rνβα
Aν
(2.11)
µ
µ ;α
α µ
α
in cui Rνβα
è il tensore di Riemann. Per cui risulta Aµ;α
;µ = A;µ + Rµ A dove Rµ è il
tensore di Ricci (cfr. appendice A), la (2.10) si può quindi scrivere:
µ ;α
α µ
α
− Aα;µ
;µ + A;µ + Rµ A = 4πJ
(2.12)
2.3. APPROSSIMAZIONE DI OTTICA GEOMETRICA
13
Adesso imponendo la gauge di Lorentz, data da Aµ;µ = 0, la (2.12) diventa
∆dR Aα = 4πJ α
(2.13)
in cui ∆dR Aα = −¤Aα + Rµα Aµ è l’operatore di de Rham e ¤ ≡ ∇β ∇β è l’operatore
di d’Alembert in termini di derivate covarianti. Richiamando l’equazione di Einstein
Rµα − 12 δµα R = 8πGTµα , che esprime la metrica in funzione della distribuzione di massa,
la (2.13) si scrive
1 α
α µ
α
− Aα;µ
;µ + A R + 8πGTµ A = 4πJ
2
(2.14)
in cui Tµα è il tensore energia-impulso della materia ed R è la curvatura scalare. È chiaro
quindi che la distribuzione di materia influenza l’andamento del campo elettromagnetico
nello spazio-tempo.
2.3
Approssimazione di Ottica Geometrica
L’ approssimazione di ottica geometrica consiste nel considerare un fascio di luce come
un fascio di particelle a massa nulla, dette fotoni, che seguono traiettorie ben precise
con velocita c; ciò vale quando la lunghezza d’onda della radiazione e molto minore delle
distanze tipiche. L’unica differenza tra l’elettrodinamica classica e la relatività generale
è l’esistenza di una condizione sulla curvatura R della regione dello spazio-tempo dove
passa il pacchetto d’onda; questa unita al fatto che la lunghezza d’onda deve essere
molto minore del raggio di curvatura L del fronte d’onda, connesso alla distanza tipica
su cui varia il campo magnetico considerato, si ha che siamo in approssimazione di ottica
geometrica qualora valgono le
λ ¿ L, λ ¿ R.
(2.15)
Infatti in approssimazione di campo debole, gli effetti del campo gravitazionale sulla
radiazione e.m. sono analoghi a quelli di un indice di rifrazione di un mezzo isotropo e,
analogamente al caso classico, le traiettorie percorse sono delle geodetiche nulle.
Consideriamo adesso la propagazione di un’onda monocromatica, il potenziale vettore
si scrive Aµ = <(Aµ eiθ ), in cui < è la parte reale, Aµ è l’ampiezza e θ la fase. Inoltre
se valgono le (2.15), è possibile sviluppare l’ampiezza Aµ in una seria di potenze nel
λ
, Aµ viene detta lentamente
parametro adimensionale ² definito come: ² = min[L,R]
variabile nelle coordinate spazio-temporali. Il potenziale vettore si può quindi scrivere:
iθ
Aµ = <[(aµ + ²bµ + ²2 cµ + ...)e ² ]
(2.16)
√
Definito poi il vettore d’onda come kµ = ∇µ θ, l’ampiezza scalare come a = aµ aµ ∗ e il
a
vettore polarizzazione come fµ = aµ .
Le traiettorie dei raggi luminosi sono date dalle curve γ(λ) ortogonali ai fronti d’onda,
ovvero alle superfici con fase costante, per cui, verificando k tale condizione, le equazioni
parametriche dei raggi luminosi sono
dxµ
= g µσ ∇σ θ.
dλ
(2.17)
Dalla gauge di Lorentz risulta
∇µ Aµ
iθ
i
<{[ kµ (aµ + ²bµ + ...) + (aµ + ²bµ + ...);µ ]e ² } '
²
iθ
i
' <[ (kµ aµ e ² )] = 0
²
=
(2.18)
da cui risulta kµ aµ = 0, e per definizione si ha anche kµ f µ = 0, il che significa che
all’ordine più basso le onde elettromagnetiche sono trasversali.
14
CAPITOLO 2. OTTICA GEOMETRICA IN UNO SPAZIO-TEMPO CURVO
Utilizzando la (2.16), la (2.13) si può scrivere
α β
− Aα;β
;β + Rβ A
= <{[
−
kβ k β α
2ik β α
α
(a
+
²b
+
...)
−
(a + ²bα + ...);β +
²2
²
β
ik;β
iθ
(aα + ²bα + ...) − (aα + ²bα + ...)β;;β ]e ² } +
²
iθ
+ Rαβ <[e ² (aα + ²bα + ...)] '
iθ
1
1
β α
' <e ² [ 2 (kβ k β aα ) + (kβ k β bα − 2ik β aα
;β − ik;β a )
²
²
β α
α;β
α
+ (−2ik β bα
;β − ik;β b − a;β + R β ) +
α β
+ ²(−bα;β
;β + R β b )] = 0
(2.19)
Per cui all’ordine zero si ha
β α
α
− 2ik β bα
;β − ik;β b + ∆dR a = 0,
(2.20)
mentre all’ordine 1/² risulta
1 β α
k β aα
;β + k;β a = 0,
2
(2.21)
k µ kµ = 0,
(2.22)
infine all’ordine 1/²2 si ha
cioè kµ è un vettore nullo.
Derivando la (2.22) abbiamo ∇α (kµ k µ ) = 2kµ;α k µ = 0, ovvero
∇~k~k = 0
(2.23)
~ rappresenta la derivata covariante lungo la traiettoria il cui quadrivin cui ∇~k = ~k · ∇
ettore tangente è ~k; cioè in approssimazione di ottica geometrica la radiazione percorre
traiettorie geodetiche nulle. L’equazione (2.21) si può anche scrivere come
1 ~ ~
∇~k~a = − (∇
· k)~a
2
(2.24)
che costituisce l’equazione di propagazione per l’ampiezza scalare del potenziale vettore.
Dalla definizione di ampiezza scalare risulta ∂~k a2 = ∇~k a2 = ~a∇~k~a∗ + ~a∗ ∇~k~a, per cui la
(2.24) diventa
1 ~ ~
· k)a
∂~k a = − (∇
2
(2.25)
Per il potenziale vettore si ha ∇~k f~ = (∇~k~a)/a − ~a(∇~k a)/a2 , quindi dalla (2.25) risulta
∇~k f~ = 0,
(2.26)
il che significa che il vettore polarizzazione è trasportato parallelamente lungo i raggi
luminosi. Infine dalla (2.25) e la (2.20) si scrive
µ
¶
∂~k a α
− ¤aα + Rβα aβ = 2i
(2.27)
b + 2ik β bα
;β
a
la quale costituisce l’equazione per l’ampiezza aµ in cui è presente l’effetto del campo
gravitazionale.
~ · (a2~k) = 2a~k · ∇a
~ +
Per interpretare meglio la (2.25) utilizziamo la seguente relazione ∇
2~ ~
a ∇ · k; così infatti otteniamo
~ · (a2~k) = 0
∇
(2.28)
2.3. APPROSSIMAZIONE DI OTTICA GEOMETRICA
15
che rappresenta l’equazione di conservazione della quadricorrente a2~k; essa è equivalente
alla conservazione del flusso di fotoni lungo i raggi luminosi.
Per fissare le idee consideriamo un campo gravitazionale descritto nella metrica di
Schwarzschild; le componenti non nulle del tensore di Riemann hanno un andamento
del tipo GM
r 3 , dove M è la massa del corpo he genera il campo ed r è la distanza dal
centro; per cui in condizione di approssimazione di ottica geometrica, ovvero dovendo
essere verificate le (2.15), allora deve risultare
µ
λ¿
c2 r3
GM
¶ 12
(2.29)
Inoltre essendo il raggio di Schwarzschild del corpo rg =
"µ
λ¿
2r3
rg
2GM
c2 ,
si ottiene
¶ 12 #
.
(2.30)
Nel caso in cui il campo gravitazionale sia quello generato da una massa dell’ordine della
massa del sole, un fascio di luce che passa ad una distanza pari a circa 105 volte il raggio
di Schwarzschild rg , deve avere λ ¿ 1013 cm; la luce visibile verifica ampiamente questa
condizione ed è una situazione ricorrente nel microlensing galattico. Qui ,tra l’altro,
abbiamo considerato un raggio che passi in prossimità della superficie del sole, in quanto
il suo raggio è di circa 7 · 105 km ed rg ' 3km.
Infine, se si considera che nel lensing extragalattico le lenti sono costituite da galassie,
il cui raggio è molto maggiore del loro raggio di Schwarzschild, e che le sorgenti sono in
genere quasar molto lontani, allora la condizione (2.30) è sempre valida, e quindi la luce
nel fenomeno di lensing gravitazionale può essere trattata in approssimazione di ottica
geometrica.
16
CAPITOLO 2. OTTICA GEOMETRICA IN UNO SPAZIO-TEMPO CURVO
Capitolo 3
L’equazione della lente
L’approccio più comune per derivare il formalismo del GL si basa sull’ approssimazione
quasi Newtoniana, secondo la quale il formalismo che descrive lo spazio-tempo della
relatività generale è ridotto, tramite assunzioni ed approssimazioni, a termini essenzialmente Newtoniani (spazio Newtoniano, tempo Newtoniano, campo gravitazionale
Newtoniano). Il formalismo quasi Newtoniano del lensing appare in diverse varianti
caratterizzate tuttavia dalla comune proprietà di essere tutte approssimazioni di campo debole, nel senso che la la metrica dello spazio-tempo è decomposta in un termine di
background (spaziotempo in assenza di lente) e di una debole perturbazione di tale background (campo gravitazionale della lente). Per il background si assume generalmente o lo
spaziotempo di Minkowski (lente isolata), o una metrica di Friedman Robertson Walker
(lente immersa in uno spazio-tempo curvo descritto tramite un modello cosmologico).
Il background allora definisce uno spazio Euclideo 3-d simile a quello Newtoniano, ed il
campo gravitazionale della lente è simile al campo Newtoniano su tale spazio Euclideo.
Trattare la lente come la sorgente di una debole perturbazione del background significa
che il suo campo gravitazionale (Newtoniano) produce solo piccole deviazioni dei raggi
luminosi dalle rette nello spazio Euclideo 3-dim. Nella sua versione più tradizionale il
formalismo assume pure che la lente sia sottile, e che la lente e la sorgente siano ferme
nello spazio Euclideo 3-dim., ma esistono anche varianti per lenti spesse ed in moto. In
questo contesto, il cuore del formalismo quasi Newtoniano è costituito dall’equazione della lente o lens mapping che fornisce una corrispondenza tra le posizioni di una immagine
lensata, e la corrispondente Äimmagine non lensata. In genere una lente sottile a riposo è
descritta tramite il proprio potenziale Newtoniano assegnato su di un piano nello spazio
Euclideo 3-dim. Si assume che i raggi siano rette nello spazio Euclideo 3-dim., deflessi
in prossimità del piano della lente. Allora, per un osservatore fermo e per delle sorgenti
distribuite su di un piano parallelo al piano della lente il lens map è un’applicazione
(non lineare) tra il piano della lente e quello della sorgente. In questo capitolo illustreremo dunque l’approccio quasi Newtoniano al lensing, derivando l’equazione della lente e
discutendone le principali proprietà.
3.1
Le equazioni di campo debole
In questo paragrafo consideriamo la metrica di campo debole e le distanze in gioco molto
minori della distanza di Hubble c/H0 , così infatti potremo trascurare sia la curvatura
che l’espansione dell’universo. Una tale approssimazione va bene soprattutto su scala
galattica e non in presenza di campi forti (es. buchi neri). Possiamo quindi prendere in
considerazione una metrica espressa come
gµν (xα ) = ηµν + hµν (xα ), |hµν (xα )| ¿ 1
(3.1)
dove ηµν è la metrica di Minkowski e l’effetto della distribuzione di massa viene considerato come una perturbazione hµν (xα ).
17
18
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
Per determinare le componenti della perturbazione utilizziamo l’equazione di Einstein
µ
¶
8πG
Gµν =
Tµν
(3.2)
c4
dove, considerando velocità basse rispetto a quelle della luce, all’ordine più basso in v/c
, il tensore energia-impulso ha componenti
T 00 ' ρc2 , T 0j ' cρv j , T ij ' ρv i v j + pδ ij ,
(3.3)
j
dove ρ è la distribuzione di materia, v la distribuzione di velocità, p la pressione e sono
state fatte le seguenti approssimazioni: |v| = c, p = ρc2 . Sostituendo la metrica nelle
equazioni di Einstein (3.2), si ottiene per la perturbazione
 2
∇ h00 = 8πG

c2 ρ




(3.4)
∇2 hij = 8πG
c2 δij ρ




 2
l
∇ h0j = − 16πG
c3 δjl v ρ
che sono scritte in coordinate armoniche (g µν Γα
µν = 0) ed hanno soluzioni:

R
ρd3 x0

h00 = − 2G

c2
|x−x0 |





R ρd3 x0
hij = − 2G
2 δij
c
|x−x0 |





R ρvl d3 x0

 h
= − 4G δ
0j
c3
jl
(3.5)
|x−x0 |
dove l’indice temporale 0 è stato distinto dagli indici spaziali j = 1, 2, 3, ed x indica il
trivettore di componenti xk , k = 1, 2, 3. Inoltre al secondo membro delle prime due (3.5)
compare il potenziale gravitazionale newtoniano
Z
ρd3 x0
Φ = −G
|x − x0 |
per cui le componenti della perturbazione risultano

h00 = 2Φ

c2




hij = 2Φ
c2 δij





h0j = − c43 δjl V l
(3.6)
in cui V l è il potenziale relativo alla densità di corrente ρv l , definito come
Z
ρv l d3 x0
l
V = −G
|x − x0 |
Per ottenere l’equazione della lente, si considerano ρ ed v l stazionarie; questa approssimazione è sensata in quanto il lensing avviene su scale temporali rispetto a cui la
variabilità della distribuzione della massa è del tutto trascurabile.
3.2
L’equazione della lente
L’equazione della lente è data dall’angolo di deviazione formato dal trivettore spaziale
tangente alla traiettoria prima di entrare nella regione di influenza del campo gravitazionale e una volta fuori da essa. Volendo studiare le traiettorie geodetiche prendiamo
in considerazione l’intervallo proprio relativo alla metrica, dato da
dσ 2
= gµν dxµ dxν
¶
µ
¶
µ
8δlj V l
2Φ
2Φ
j
cdtdx
−
1
−
δij dxi dxj
=
1 + 2 c2 dt2 −
c
c3
c2
(3.7)
3.2. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
19
le equazioni delle geodetiche si scrivono
µ
ν
d2 xα
α dx dx
+
Γ
=0
µν
dλ2
dλ dλ
(3.8)
con λ un parametro affine e le componenti della connessione date da
µ
¶
1 αβ ∂gβµ
∂gνβ
∂gµν
g
Γα
=
+
−
µν
2
∂xν
∂xµ
∂xβ
(3.9)
le componenti g αβ della metrica sono definite in modo che g αβ gµν = δνα . Per cui
all’ordina più basso in v/c, le componenti della connessione risultano
 0
Γ00 = 0







∂Φ

Γ00j = c12 ∂x

j





³ i
´


∂V
∂V j
2
0

+
Γ
=
−

3
j
i
ij
c
∂x
∂x

(3.10)

1 ∂Φ
k

=
Γ
 00

c2 ∂xk




³
´


 Γk = 23 ∂V jk + ∂V kj

0j

c
∂x
∂x





¡ ∂Φ k
¢
 k
∂Φ k
∂Φ
Γij = − c12 ∂x
j δi + ∂xi δj − ∂xk δij .
L’equazione delle geodetiche (3.8) diventa così













d t
c dλ
2 +
2 ∂Φ dt dxj
c2 ∂xj c dλ dλ
d2 xk
dλ2
1 ∂Φ
c2 ∂xk
2
+ c43
+
³
∂V k
∂xj
−
¡ dt ¢2
c dλ +
m
− δjm ∂V
∂xk
´
2
c3
¡
m
m
∂V
δim ∂V
∂xj + δjm ∂xi
dxi dxj
1 ∂Φ
c2 ∂xk δij dλ dλ
−
¢ dxi dxj
dλ dλ
=0
2 ∂Φ dxl dxk
c2 ∂xl dλ dλ +
(3.11)
j
dt dx
c dλ
dλ = 0
Essendo le traiettorie delle geodetiche nulle, verificano dσ 2 = 0, la (3.7) può considerarsi
un equazione di secondo grado nell’incognita cdt, che all’ordine più basso in v/c dà
soluzione
µ
¶q
4δlm V l m
2Φ
cdt =
dx ± 1 − 2
δij dxi dxj .
(3.12)
c3
c
2
Definito poi l’intervallo di linea euclideo dleucl.
= δij dxi dxj , allora la seconda delle
(3.11) si può quindi scrivere
µ
¶2
d2 xk
2 ∂Φ dleucl
2 ∂Φ dxl dxk
+
+
−
dλ2
c2 ∂xk
dλ
c2 ∂xl dλ dλ
µ
¶
∂V m dleucl. dxj
4 ∂V k
−
δ
=0
+ 3
(3.13)
jm
c
∂xj
∂xk
dλ dλ
¢
¡
Moltiplicando la prima delle (3.11) per 1 + c22 Φ , si ha, all’ordine più basso in v/c,
d
dλ
µ
dt
2 dt
4
dxi
+ 2Φ
− 4 δim V m
dλ c dλ c
dλ
¶
= 0,
per cui dalla (3.13) si ottiene
µ
¶
2
4
dxi
dt
1 + 2 Φ − 4 δim V m
= cost.
dλ
c
c
dλ
(3.14)
(3.15)
20
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
Definendo il parametro λ in modo che la costante sia 1; infatti dalla (3.12) e la (3.15) ,
all’ordine più basso si ha
dleucl.
=1
cdλ
dxk
cdxk
=
dλ
dleucl.
ed
Scritto quindi il trivettore e tangente alla traiettoria come ek =
dek
2 ∂Φ
2
∂Φ
4
+ 2 k − 2 ek el l + 3
dleucl.
c ∂x
c
∂x
c
µ
dxk
dleucl. ,
¶
m
∂V k
∂V
− δjm
j
∂x
∂xk
la (3.13) diventa
ej = 0
(3.16)
che scritta in forma vettoriale diventa
de
2
4
= − 2 [∇Φ − e(e · ∇Φ)] + 3 [e ∧ (∇ ∧ V)] ,
dleucl.
c
c
(3.17)
dove il secondo termine al secondo membro è di tipo gravitomagnetico, che è di ordine
superiore rispetto al primo, pre questo sarà trascurato.
Il primo termine è proprio la componente del gradiente di Φ ortogonale al trivettore e;
∂
infatti essendo e · ∇ = el ∂x
u ∧ (~v ∧ w)
~ = ~v (~u · w)
~ −
l il prodotto scalare euclideo, si ha ~
(~u · ~v )w,
~ e quindi e ∧ (∇ ∧ V ) = ∇(e · V) − (e · ∇)V, che scritto in componenti è proprio
m
k
j
δjm ∂V
ej − ∂V
∂xj e .
∂xk
Quindi risulta
de
2
= − 2 ∇⊥ Φ.
dleucl.
c
(3.18)
All’ordine più basso in v/c il vettore e ha norma unitaria, motivo per il quale l’angolo
di deflessione del raggio luminoso, in una regione in cui sia presente un campo gravitazionale debole, è dato dalla differenza tra e all’ingresso ed all’uscita della regione, ossia
è l’angolo vettoriale
α̂ = ein − eout ,
che si ottiene integrando la (3.18) lungo il cammino del raggio luminoso:
Z
2
α̂ = 2
∇⊥ Φ dleucl.
c
(3.19)
Una volta ottenuta l’espressione dell’angolo di deflessione, possiamo ricavare l’equazioni della lente da semplici considerazioni geometriche. Consideriamo una distribuzione di massa (il deflettore), ad una distanza Dd dall’ osservatore ed una sorgente
a distanza Ds dall’ osservatore (vedi figura 3.1). Tracciamo una linea di riferimento,
asse ottico, passante per un opportuno punto della lente, come può essere il baricentro,
e per l’ osservatore e definiamo i piani perpendicolari all’ asse passanti per lente e sorgente. Siano le separazioni trasverse del raggio di luce η e ξ, rispettivamente, nel piano
sorgente e nel piano della lente che sottendono gli angoli β e θ se viste dall’ osservatore.
È immediato verificare dalla figura che
Dd
ξ
=
,
Ds tgβ + Dds tg α̂
Ds
(3.20)
con Dds distanza tra lente e sorgente e α̂ angolo di deflessione, ovvero
η=
Ds
ξ − Dds α̂(ξ).
Dd
(3.21)
Dato che gli angoli di deflessione sono molto piccoli ( anche per ammassi di galassie gli
0
angoli di deflessione sono inferiori a 1 ), ed i campi gravitazionali deboli, le equazioni
di campo linearizzate possono essere usate. Queste forniscono un angolo di deflessione
lineare nella distribuzione di massa della lente. Una massa puntiforme M deflette un
raggio luminoso distante r di
4GM
α̂ = 2 ,
(3.22)
c r
3.2. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
21
Figura 3.1: Geometria di una lente puntiforme
e, così la deflessione nella posizione ξ causata da una distribuzione di massa descritta
0
dalla densità di massa superficiale Σ(ξ ) è
Z
0
0
4GΣ(ξ ) ξ − ξ
α̂ =
d ξ
0 ,
c2
|ξ − ξ |
R2
2
0
(3.23)
con l’ integrale esteso a tutto il piano della lente.
Questa semplice derivazione rimane valida in un universo FL in cui le distanze siano
interpretate come distanze diametro-angolari, tali cioè che
separazione = angolo×distanza.
distanze per cui, in genere, Dds 6= Ds − Dd .
Dds
Inoltre, essendo θ − θs = 4GM
c2 Dd Ds θ , viene definito l’angolo di Einstein θE quella
quantità tale che
2
θE
=
4GM Dds
,
c2 Dd Ds
(3.24)
per cui θE risulta essere un angolo caratteristico per la lente; infatti ad esso si può
associare una distanza caratteristica, detta appunto raggio di Einstein, definita come
r
4GM Dds Dd
RE = Dd θE =
(3.25)
.
c2 Dd Ds
Il raggio di Einstein si trova nel piano della lente, cioè quel piano contenente la massa
M ed il vettore ξ, che è normale all’asse ottico. L’equazione della lente si può quindi
scrivere come
2
θ2 − θs θ − θE
= 0,
la quale è un’equazione algebrica di secondo grado, si hanno le due soluzioni:
r
θs2
θs
2 .
±
+ θE
θ± =
2
4
(3.26)
(3.27)
22
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
La lente puntiforme produce quindi uno sdoppiamento dell’immagine; cioè, data una
sorgente di posizione θs , si formano due immagini di rispettive posizioni θ+ ed θ− . Tra
l’altro, essendo θ+ > 0 > θ− ed |θ− | < θE < |θ+ |, le due immagini risultano situate su
lati opposti rispetto all’asse ottico, una (θ+ ) esterna al cerchio con centro sull’asse ottico
e raggio uguale al raggio di Einstein, l’altra (θ− ) interna ad esso.
Un caso rilevante si verifica quando sorgente, lente e osservatore sono allineati, cioè
quando θs = 0; infatti risulta θ± = ±θE , il che porta ad un’unica immagine a forma di
anello detta appunto anello di Einstein.
Figura 3.2:
3.3
Il principio di Fermat
In questo paragrafo ricaveremo l’equazione della lente con un altro metodo; infatti,
in analogia con l’ottica classica, il cammino della luce può essere ottenuto
mediante
R
un principio variazionale che consiste nel minimizzare il cammino ottico ndl. Quindi
l’effetto di un campo gravitazionale sarà trattato come quello di un mezzo non omogeneo;
daremo però una formulazione del principio di Fermat solo per una metrica stazionaria,
perché solo in tal caso l’associazione risulterebbe immediata.
I raggi luminosi percorrono traiettorie geodetiche nulle, cioè con dσ 2 = 0, per cui
separando la coordinata temporale da quelle spaziali si ha
¡
¢2
g00 dx0 + 2g0j dxj dx0 + gij dxi dxj = 0,
(3.28)
risolvendo rispetto alla variabile dx0 risulta
p
−g0j dxj ± (g0i dxi ) (g0j dxj ) − g00 gij dxi dxj
dx0± =
,
g00
considerando la soluzione sul cono del futuro possiamo scriverla
sµ
¶µ
¶
g0j
g0i
g0j
gij
0
j
dx = −
dx +
dxi
dxj −
dxi dxj ,
g00
g00
g00
g00
Quindi la traiettoria del raggio può essere vista come l’estremale di
sµ
#
¶µ
¶
Z
Z "
g
g
g
g
0j
0i
0j
ij
dx0 =
−
dxj +
dxi
dxj −
dxi dxj .
g00
g00
g00
g00
(3.29)
(3.30)
(3.31)
Facendo il parallelo con l’ottica classica nel caso di metrica stazionaria, ovvero ∂gµν /∂x0 =
0, l’indice di rifrazione risulta proprio
sµ
¶µ
¶
g0j dxj
gij dxi dxj
g0j dxj
g0i dxi
+
−
,
n=−
(3.32)
g00 dleucl.
g00 dleucl.
g00 dleucl.
g00 dleucl. dleucl.
R
R
in quanto sarebbe ndleucl. = dx0 . Inoltre dall’espressione di dleucl. e tenendo conto
delle (3.6), all’ordine più basso, le traiettorie della luce verificano
µ
¶q
¸
Z ·
2Φ
4δjl V l j
i dxj
dx
+
1
−
δ
δ
dx
= 0,
(3.33)
ij
c3
c2
3.4. PROPRIETÀ DELL’ EQUAZIONE DELLA LENTE SOTTILE
23
l’indice di rifrazione associato alla metrica in approssimazione di campo debole risulta
µ
¶
4δjl V l dxj
2Φ
n=
+
1
−
.
(3.34)
c3 dleucl.
c2
Parametrizzando la (3.25), mediante la sostituzione dxi → ẋi , si possono scrivere le
equazioni di Eulero-Lagrange
"
#
¶
µ
d 4δjl V l jk
2Φ
ẋk
δ + 1− 2 p
+
dλ
c3
c
δij ẋi ẋj
q
4δjl ∂V l j
2 ∂Φ
− 3
ẋ
+
δij ẋi ẋj = 0,
(3.35)
c ∂xk
c2 ∂xk
per cui risulta
µ
¶
4δkl ∂V l j
ẋk
ẋk
2 ∂Φ m
2Φ d
p
p
ẋ
−
ẋ
+
1
−
+
c3 ∂xj
c2 ∂xm
c2 dλ
δij ẋi ẋj
δij ẋi ẋj
q
4δjl ∂V l j
2 ∂Φ
− 3
ẋ + 2 k δij ẋi ẋj = 0.
k
c ∂x
c ∂x
(3.36)
Ricordando poi la definizione di lunghezza euclidea e la definizione di ek in funzione
di essa, si ha quindi che la (3.35) coincide con la (3.16), dalla quale abbiamo ricavato
l’equazione della lente.
3.4
Proprietà dell’ equazione della lente sottile
In questo paragrafo consideriamo in generale generale l’equazione della lente sottile, introducendo in dettaglio la formulazione di alcune condizioni importanti. Nel precedente
paragrafo abbiamo scritto l’equazione della lente come
Ds θs =
Ds
ξ − Dds α̂.
Dd
(3.37)
La quantità definita come η = Ds θs fornisce la distanza della sorgente dall’asse ottico,
nel piano della sorgente; mentre ξ è la distanza di massimo avvicinamento del raggio
luminoso alla massa M nel piano della lente. Tramite queste due quantità è possibile
scrivere la (3.37) come
η=
Ds
ξ − Dds α̂.
Dd
(3.38)
L’equazione della lente è quindi rappresentata da una corrispondenza tra il piano della
lente ed il piano della sorgente; quindi assegnato un valore η alla posizione della sorgente,
la posizione delle eventuali immagini sarà data da quelle ξ, che soddisfano l’equazione
della lente (3.38). Come abbiamo già menzionato, una lente si dice sottile, se la sua
materia è distribuita in una regione che, lungo la linea di vista, sia molto più piccola
delle distanze in gioco; considerata tale distribuzione come la somma di tante masse
puntiformi mi situate nel piano della lente, dalla (3.23) possiamo esprimere l’angolo di
deflessione con l’approssimazione che, in campo debole, i contributi delle varie masse si
sommano linearmente, ovvero
α̂ =
X 4Gmi ξ − ξ
i
,
2
c
|ξ
−
ξ
|2
i
i
la quale, nel limite continuo può essere scritta come
Z
4G
ξ − ξ0
α̂ = 2
d2 ξ 0 Σ(ξ 0 )
,
c
|ξ − ξ 0 |2
(3.39)
(3.40)
24
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
dove l’integrale è esteso al piano della lente ed Σ(ξ 0 ) è la distribuzione di materia superficiale della lente, che si ottiene integrando quella di volume lungo la linea di vista.
Anche qui abbiamo considerato una distribuzione di materia stazionaria, cioè con velocità basse al suo interno; inoltre si è fatta l’ulteriore approssimazione che la traiettoria,
su cui si integra ∇⊥ , sia la stessa per ogni mi , e che quindi in regime di campo debole
coincide con un’unica line retta. Per essere valido tutto ciò, la forza deflettente non deve
variare molto in prossimità della lente; perciò, essendo ∇⊥ (∇⊥ Φ) la variazione di tale
forza nella direzione normale alla linea di vista ed indicata con α̂d la regione d’influenza
della lente, si deve avere
| α̂d · ∇⊥ (∇⊥ Φ) | ¿ | ∇⊥ Φ | ,
(3.41)
per cui la forza deflettente deve essere molto piccola sulle distanze in cui è massima
l’influenza della lente sui raggi luminosi; infatti prossimo paragrafo vedremo quindi come
verrà fuori una condizione sul potenziale.
3.5
Il potenziale di Fermat
Lo studio delle lenti sottili diventa più agevole, esprimendo l’equazione della lente (3.38)
in quantità adimensionali; per cui, introdotta una scala di distanza ξ0 sul piano della
lente, cui corrisponde sul piano della sorgente η0 = Dξ0d Ds , si possono quindi definire la
seguenti quantità
x=
ξ
η
, y= .
ξ0
η0
(3.42)
L’angolo di deflessione scritto in funzione di x ed y diventa
Z
4Gξ0
x − x0
α̂(ξ0 x) = 2
d2 x0 Σ(ξ0 x0 )
.
c
|x − x0 |2
(3.43)
L’equazione (3.38) diventa
η
Ds ξ
4GDds
=
−
ξ0
Dd ξ0
c2
Z
d2 x0 Σ(ξ0 x0 )
x − x0
.
|x − x0 |2
(3.44)
Definiamo quindi una densità critica
Σcr ≡
c2 Ds
,
4πGDd Dds
per la quale l’angolo diventa
Z
1
x − x0
Dd Dds
α̂(x) =
d2 x0 κ(x0 )
=
α̂(ξ0 x).
0
2
π
|x − x |
Ds ξ0
(3.45)
(3.46)
dove abbiamo definito
κ(x0 ) ≡
Σ(ξ0 x0 )
Σcr
(3.47)
Così infatti l’equazione della lente assume la sintetica forma
y = x − α̂(x).
(3.48)
Inoltre essendo ∇x ln|x − x0 | = |xx−−xx0 |2 , risulta
0
α̂(x) = ∇x ψ(x),
(3.49)
in cui ψ(x) è il potenziale logaritmico relativo alla distribuzione superficiale κ(x0 ), detto
potenziale di deflessione
Z
1
ψ(x) =
d2 x0 κ(x0 )ln|x − x0 |.
(3.50)
π
3.6. L’AMPLIFICAZIONE LUMINOSA
25
Infine, dalla (3.48), l’equazione della lente può scriversi come
µ
¶
1 2
y = ∇x
x − ψ(x) .
2
(3.51)
Definendo il potenziale di Fermat come
φ(x, y) =
1
2
(x − y) − ψ(x),
2
(3.52)
l’equazione della lente assume una forma ancora più semplice
∇x φ = 0.
(3.53)
Fin qui l’abbiamo omesso, ma è condizione importante per la validità delle ultime tre
equazioni scritte, che la massa totale della lente, data dall’integrale di κ(x) esteso a
tutto il piano della lente, sia finita; in altri termini all’infinito κ(x) deve decrescere più
rapidamente di 1/|x|2 .
3.6
L’amplificazione luminosa
Nel gravitational lensing un altro parametro importante è rappresentato dall’ amplificazione luminosa; infatti quasi mai si verifica che le immagini si ripartiscono equamente
forma e luminosità. Poi nel fenomeno di microlensing, in cui non è possibile separare
le due immagini, l’amplificazione luminosa totale risulta essere la grandezza osservabile più significativa. In questo paragrafo la relazioneremo alle variabili che entrano
nell’equazione della lente.
In effetti il lensing non modifica la brillanza superficiale di una sorgente, ma ne
modifica l’angolo solido apparente e quindi anche il flusso totale ricevuto. Si definisce
amplificazione luminosa µ la grandezza
µ=
area dell0 immagine
.
area della sorgente
(3.54)
Consideriamo quindi una sorgente isotropa, sia LωS la sua luminosità specifica, allora il
numero di fotoni emessi nell’angolo solido dΩS , nell’intervallo di tempo proprio dτS e di
frequenze dωS è dato da
dNωS =
Lω S
dωS dΩS dτS .
4πωS
(3.55)
In virtù della legge di conservazione dei fotoni (2.28) , la stessa quantità di fotoni deve
attraversare una superficie dAO ortogonale alla proiezione spaziale del vettore d’onda,
in un tempo proprio dτO ed in un intervallo di frequenze dωO . Per cui definito FωO il
flusso specifico misurato dall’osservatore, possiamo scrivere il numero di fotoni ricevuti
come
dNωO =
Inoltre risulta
ωO
ωS
=
dτS
dτO
Lω O
dωO dΩO dτO .
4πωO
(3.56)
e, dalla (2.28) deve essere dNωS = dNωO , cioè
LωO
Lω S
dωS dΩS dτS =
dωO dΩO dτO .
4πωS
4πωO
(3.57)
Per definizione si ha anche Fω dA = Lω dΩ/4π, essendo quindi l’intensità luminosa Iω
definita come l’energia che fluisce nell’unità di superficie, per unità di angolo solido, di
tempo proprio e di frequenza, risulta
IωO = IωS
3
ωO
,
ωS3
(3.58)
26
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
per cui risulta costante lungo un arbitrario raggio luminoso il seguente rapporto
Iω (λ)
Iω
Iω
= 3S = 3O .
ω 3 (λ)
ωS
ωO
(3.59)
Potendo ora esprimere l’amplificazione luminosa, come il rapporto tra il flusso misurato
in presenza ed in assenza di lente e, considerando raggi monocromatici, per non far
spostare le frequenze, la (3.59) implica
Iω
Iω( 0)
=
Fω dΩ(0)
(0)
Fω dΩ
= 1,
(3.60)
dove col suffisso (0) sono state indicate le quantità in assenza di lente; il fattore µ si può
quindi definire come
µ=
Fω
(0)
Fω
=
dΩ
.
dΩ(0)
(3.61)
Adesso nel sistema di riferimento dell’osservatore, la sua distanza dalla sorgente e dall’immagine, in dimensioni angolari, si possono scrivere come
dΩS =
dSS
dSI
, dΩI =
,
2
4πDs
4πDd2
(3.62)
in cui dSS e dSI sono gli elementi di superficie di sorgente e di immagine.
Nel passare dal piano della sorgente a quello della lente, si induce una trasformazione
dΩI → dΩS per mezzo di una matrice jacobiana:
¯
¶¯
µ
¯
∂θS ¯¯
dΩS = ¯¯det
(3.63)
dΩI ,
∂θI ¯
motivo per il quale possiamo scrivere l’amplificazione luminosa come
¯
¶¯−1
µ
¯
dΩI
∂θS ¯¯
µ=
= ¯¯det
.
dΩS
∂θI ¯
Nel caso di lente a simmetria cilindrica (intorno alla line di vista), si ha
¯
¯
¯ θI dφ dθI ¯
¯
¯ ,
µ=¯
θS dφ dθS ¯
(3.64)
(3.65)
dove dφ rappresenta l’ampiezza angolare delle immagini ed il valore assoluto comprende
l’esistenza di immagini negative (posizione nel cerchio di Einstein). Nel caso di lente a
simmetria sferica si ha semplicemente
µ=
θdθ
.
θS dθS
(3.66)
Nel caso della lente di Schwarzschild, l’amplificazione per ciascuna immagine è data
da
¯
¯
¯ θ± dθ± ¯
¯ ,
µ = ¯¯
θS dθS ¯
(3.67)
con θ± dati dalla (3.27); la (3.26) si può scrivere come
θS = θ −
2
θE
,
θ
(3.68)
ovvero anche come
θS
=1−
θ
µ
θE
θ
¶2
,
(3.69)
3.6. L’AMPLIFICAZIONE LUMINOSA
27
differenziando invece la (3.26) si ottiene
2θdθ − θS dθ − θdθS = 0 ,
(3.70)
da cui abbiamo
dθS
=1+
dθ
µ
θE
θ
¶2
.
Infine per ciascuna immagine, l’amplificazione diventa
¯
¯ ¯
µ ¶4 ¯¯
¯ θ± dθ± ¯ ¯¯
¯ = ¯1 − θE ¯¯ .
µ± = ¯¯
θS dθS ¯ ¯
θ± ¯
(3.71)
(3.72)
Si evince così che al crescere di θS , cioè quando la sorgente si allontana dalla lente,
un’immagine si avvicina alla lente diventando più debole, mentre l’altra si avvicina alla
sorgente acquistandone la medesima luminosità. Invece per θ± → θE l’amplificazione
aumenta, tendendo all’infinito. In effetti questo ultimo discorso ha validità solo matematica, in quanto nella realtà non si riscontra mai, anche se si sono verificati enormi
variazioni di luminosità della sorgente, che, come vedremo in seguito, si hanno quando
essa si trova in prossimità di una caustica.
Nel microlensing non si possono separare le immagini, ma si può rivelare l’evento
proprio in base alla variazione (totale) di luminosità. Introduciamo il parametro u =
θS /θE , cioè la distanza angolare della sorgente dall’asse ottico in unità di θE ; allora la
(3.72) si può scrivere come
¯
¯
¯ u2 + 2
1 ¯¯
¯
µ± = ¯ √
±
(3.73)
.
2u u2 + 4 2 ¯
Quindi nel caso di immagini non risolte si avrà un’unica immagine, la cui amplificazione
luminosa sarà data dalla somma delle amplificazioni delle singole immagini, ovvero
¯ 2
¯
¯ u +2 ¯
¯
¯ .
µ = µ+ + µ− = ¯ √
(3.74)
u u2 + 4 ¯
Per una sorgente che giace sulla circonferenza di raggio rE , cioè con θS = θE , si ha
u = 1, per cui dalla (3.74) si ha µ = 1.17 + 0.17 = 1.34, che, ricordando la formula della
variazione della magnitudine in funzione del rapporto dei flussi M1 −M2 = 2.5 log(f1 /f2 ),
comporta un aumento di 0.32 magnitudini, aumento che cresce quando la sorgente stà
all’interno dell’angolo di Einstein.
Risulta chiaro come sia possibile rivelare un fenomeno di microlensing monitorando le
curve di luce delle sorgenti; infatti un corpo deflettente in moto, che passi in prossimità
della linea di vista, produrrebbe un’amplificazione della luminosità della sorgente (dipendente dalla massa del corpo e dalla sua distanza dalla linea di vista). Ciò è possibile
solo per eventi nella nostra galassia od in quelle satelliti, in cui le velocità traslazionali
sono ancora apprezzabili; quest’ analisi si è rivelata molto utile per la studio dell’Alone
oscuro e della stessa materia oscura.
Punti critici e curve caustiche
Si definiscono punti critici quei punti x del piano della lente tali che
J (x) = 0 ovvero (1 − κ)2 − σ 2 = 0.
(3.75)
quindi in tali punti l’amplificazione diverge, per cui le altre immagini, che non si trovano
in punti critici, verificano ∇x φ = 0 e detJ 6= 0. Naturalmente a seconda degli autovalori della matrice Jacobiana si hanno immagini con amplificazione positiva o negativa.
I corrispondenti punti nel piano sorgente sono detti punti caustici; inoltre mentre i
punti critici formano curve regolari, chiuse e non intersecanti, le curve formate dai punti
28
CAPITOLO 3. L’EQUAZIONE DELLA LENTE
caustici (curve caustiche o in breve caustiche) non sono regolari in alcuni punti (detti
di cuspide) e possono intersecarsi ed autointersecarsi. La caustica si può quindi definire
anche come il luogo dei punti del piano-sorgente i cui l’amplificazione diverge.
Infine si può provare che quando la sorgente si avvicina alla caustica, le due immagini
si avvicinano diventando più luminose, fino a sovrapporsi col massimo della luminosità
quando la sorgente è sulla caustica; mentre una volta attraversata la caustica, il numero
di immagini cambia.
Capitolo 4
Modelli di Lenti Gravitazionali
Nel lensing su scala cosmologica le lenti tipiche sono costituite da galassie od ammassi
di galassie (detti cluster ), mentre le sorgenti sono galassie lontane o più spesso dei
quasar ; tali oggetti sono estesi e dotati di distribuzione di massa non elementare, per
cui non sempre sarà possibile conservare l’ipotesi di lente sottile. La maggior parte dei
fenomeni in questione si possono trattare approssimativamente mediante i cosiddetti
modelli assialmente simmetrici, di cui ne fanno parte la sfera isoterma singolare, il
modello di galassia a spirale, lo strato uniforme e naturalmente la lente puntiforme.
Per quanto riguarda invece il lensing galattico un modello molto importante è costituito
dalla lente binaria, che negli ultimi anni si è rivelato un ottimo strumento per la ricerca
di pianeti extrasolari.
4.1
Lenti assialmente simmetriche
Si tratta di modelli nei quali la lente è simmetrica intorno alla linea di vista, cosicché essa
è caratterizzata non più dal vettore di connessione, ma dal suo modulo; una definizione
alternativa consiste nel dire che la densità superficiale di massa della lente è circolarmente
~ = Σ(|ξ|).
~ Ne risulta che la mappa della lente
simmetrica, cioè soddisfa la relazione Σ(ξ)
assume una forma contenente solo il modulo del vettore ~x = (x1 , x2 ), dato che tutti i
raggi devono giacere nel piano determinato dal centro della lente, dell’osservatore e della
sorgente. Per simmetria si può porre ~x = (x, 0), con x > 0, e convertire ~x0 in coordinate
polari secondo la relazione ~x0 = (x01 , x02 ) = x0 (cos ϕ, sin ϕ). Per le due componenti
dell’angolo di lensing riscalato, rispetto agli assi x1 e x2 si ottiene:
Z 2π
Z
x − x0 cos ϕ
1 ∞ 0 0
dϕ 2
x dx κ(x0 )
,
α1 (x) =
(4.1)
π 0
x + x02 − 2xx0 cos ϕ
0
Z
Z 2π
1 ∞ 0 0
−x0 sin ϕ
α2 (x) =
x dx κ(x0 )
dϕ 2
.
(4.2)
π 0
x + x02 − 2xx0 cos ϕ
0
Per questioni di simmetria il secondo integrale è nullo e quindi α
~ è parallelo a ~x; tramite
la mappa della lente anche ~y risulta parallelo a ~x. Il primo integrale diventa:
Z x
1
m(x)
α(x) ≡ α1 (x) = 2
x0 dx0 κ(x0 ) ≡
,
(4.3)
x 0
x
in cui m(x) è la massa adimensionale contenuta nel cerchio di raggio x (contribuisce alla
deflessione solo la massa contenuta nel disco di raggio x intorno al centro). Per l’angolo
di lensing si ha invece:
4GM (ξ)
,
α̂(ξ) ≡
(4.4)
c2 ξ
dove M (ξ) è la massa concentrata nel disco di raggio ξ. L’equazione della lente che ne
risulta è:
m(x)
,
y = x − α(x) = x −
(4.5)
x
29
30
CAPITOLO 4. MODELLI DI LENTI GRAVITAZIONALI
in cui x varia su tutto l’asse reale e m(x) = m(|x|).
Si può dimostrare che il potenziale di deflessione assume la forma:
µ ¶
Z x
x
0
0
0
ψ(x) = 2
x dx κ(x )ln 0 ,
x
0
(4.6)
e che valgono le seguenti relazioni:
α(x) =
dψ(x)
,
dx
(4.7)
∂φ
= 0,
(4.8)
∂x
dove φ(x) = 12 (x − y)2 − ψ(x) è il potenziale di Fermat. Si noti che nelle espressioni
ottenute il gradiente si è ridotto ad una derivata totale rispetto ad x.
Si consideri ora la matrice jacobiana A e l’angolo di deflessione nel punto generico ~x =
(x1 , x2 ) come:
m(x)
α
~ (~x) =
(4.9)
~x,
x2
dove x = |~x|. Differenziando questa espressione si ottiene:
¶
¶
µ 2
µ
dm(x) 1
m(x)
x1 x2
x2 − x21 −2x1 x2
x21
−
.
A=1−
(4.10)
−2x1 x2 x21 − x22
x1 x2
x22
x4
dx x3
Dalla (4.10) è facile scrivere la componenti dello shear:
µ
¶
1
2m m0
γ1 = (x22 − x21 )
−
,
2
x4
x3
¶
µ 0
2m
m
−
,
γ2 = x1 x2
x3
x4
in cui si è definito m0 ≡
(4.11)
(4.12)
dm
dx ;
mentre il detA risulta essere:
µ
¶µ
¶
m(x)
m(x)
detA = 1 −
1
+
−
2κ
.
x2
x2
(4.13)
L’annullarsi della (4.13) permette di ottenere la forma delle curve critiche; esisteranno
curve di due tipi: quelle per le quali si annulla il primo pezzo, chiamate curve tangenziali,
e quelle per cui è zero il secondo pezzo, dette curve radiali. Le curve critiche tangenziali
sono mappate nel punto y = 0; tale proprietà è dovuta alla simmetria della lente, e una
piccola perturbazione è tale da rimuovere la degenerazione. Inoltre, si può, manipolando
le equazioni, ottenere l’entità delle deformazioni delle immagini. I due fattori descrivono
le deformazioni di un immagine nelle due direzioni, tangenziale e radiale; i nomi dati
loro sono giustificati dal fatto che un immagine circolare in corrispondenza di una curva
tangenziale è elongata nella direzione tangenziale alla stessa, mentre in corrispondenza
di una curva radiale tale deformazione si presenta nella direzione ortogonale alla curva
critica. Si consideri una sorgente circolare infinitesima di raggio δ, che viene trasportata
nel piano delle immagini in modo da assumere una forma ellittica con assi ρ1 e ρ2 ; la
sorgente sottende un angolo φ = δ/y. Dato che vale la relazione φ = ρ2 /x e utilizzando
l’equazione della lente, si ottiene:
m
δ
= 1 − 2.
ρ2
x
Esprimendo il diametro della sorgente come δ =
dy
dx ρ1 ,
(4.14)
si trova:
δ
m
= 1 + 2 − 2κ.
ρ1
x
(4.15)
Da quanto detto risulta che l’immagine è elongata nella direzione tangenziale di un
µ
¶−1
¶−1
µ
fattore 1 − xm2
e nella direzione radiale di 1 + xm2 − 2κ
.
Si descriveranno qui di seguito alcuni modelli di lenti assialmente simmetriche.
4.1. LENTI ASSIALMENTE SIMMETRICHE
4.1.1
31
Sfera isoterma singolare
La sfera isoterma singolare (SIS) è un modello di lente in cui la distribuzione di materia
oltre ad avere simmetria sferica, è costituita da un fluido isotermo (si può dare una
definizione di temperatura legata alla velocità degli oggetti costituenti il fluido, che in
questa situazione è la stessa in tutti i punti), non collisionale (da intendersi in termini
statistici, nel senso che il tempo caratteristico di interazione tra gli elementi del fluido è
molto più grande dei tempi di osservazione), autogravitante (il campo generato è dovuto
solo alla SIS) e in equilibrio idrostatico (è presente nel sistema un equilibrio tra forze di
pressione e forze gravitazionali). Oggetti che sono descrivibili utilizzando tale modello
sono le galassie ellittiche; esso trova applicazione anche nella descrizione di galassie a
spirale, dato che per quest’ultime l’ipotesi di sfera isoterma singolare è valida per il bulge
e si ipotizza che possa valere anche per l’alone. La densità di massa superficiale per un
tale modello è:
σv 1
Σ(ξ) =
,
(4.16)
2G ξ
in cui σv rappresenta la dispersione di velocità delle stelle lungo la linea di vista. Anche
se questa espressione diverge in corrispondenza di ξ = 0, essa consente di descrivere la
distribuzione di massa delle galassie, a patto di considerare regioni che non ne comprendano il centro e quindi il punto singolare. Inoltre essa descrive bene le curve di rotazione
piatte che si osservano nelle galassie a spirale per distanze dal centro ben più grandi del
raggio ”visibile”. Si può dimostrare che per la σv vale l’espressione:
2
Vrot
= 2σv2 ,
(4.17)
dove Vtot è la velocità di rotazione delle particelle nel campo gravitazionale.
L’angolo si lensing e il potenziale di deflessione sono:
α̂ = 4π
σv2 ξ
,
c2 |ξ|
ψ = bξ,
(4.18)
(4.19)
σv2
c2
ds
dove b = 4π D
Dos è il relativo raggio di Einstein. Passando al formalismo adimensionale, e scegliendo opportunamente il parametro di scala ξ0 = b, si ottiene la seguente
espressione per la convergenza:
1
κ(x) =
,
(4.20)
2x
mentre per l’angolo di lensing riscalato, si ha
α(x) =
x
.
|x|
(4.21)
L’equazione adimensionale della lente diventa:
y =x−
x
.
|x|
(4.22)
Per 0 < y < 1, tale lente dà origine a due immagini in x = y + 1 e x = y − 1; invece,
per y > 1, è presente una sola immagine in x = y + 1. Le immagini con x > 0 sono del
tipo I, mentre quelle con x < 0 del tipo II. Il fattore di amplificazione per un’ immagine
posta in x è:
|x|
µ=
,
(4.23)
|x| − 1
mentre l’amplificazione totale di una sorgente puntiforme è:
(
2
per
y≤1
y
µ=
.
1+y
per
y
≥1
y
(4.24)
32
CAPITOLO 4. MODELLI DI LENTI GRAVITAZIONALI
Si verifica che l’immagine più interna per y → 1 diventa molto debole. Un estensione
della SIS è rappresentata da una sfera isoterma con un core interno, di raggio ξc . La
densità superficiale per questo modello è:
1
σv2
Σ0
p
=p
,
2
2
2G ξ + ξc
1 + ξ 2 /ξc2
Σ(ξ) =
(4.25)
dove Σ0 è la densità di massa superficiale centrale. La convergenza è:
1
κ(x) = p
.
2
2 x + x2c
(4.26)
Questo modello viene chiamato sfera isoterma non singolare (NIS).
4.1.2
Legge di potenza
Una generalizzazione della sfera isoterma è ottenuta attraverso il modello con densità
superficiale di massa:
1
b2−α
Σ(ξ) =
.
(4.27)
2
2 (ξc + ξ 2 )1−α/2
Questa distribuzione si riduce ad una sfera isoterma se α = 1, ad un modello modificato
di Hubble se α = 0 e ad un modello di Plummer se α = −2.
La forma del potenziale di deflessione corrispondente, nel caso in cui ξc = 0 e α > 0 è:
ψ=
b2−α α
r ;
α2
(4.28)
nel caso in cui il core è non nullo l’espressione per ψ è più complessa e dipende da una
funzione Ipergeometrica.
4.1.3
Famiglia di modelli per galassie
Alcuni modelli fin qui studiati presentano lo svantaggio di essere singolari, e ciò limita
il loro utilizzo per le galassie reali. Esistono dei modelli non singolari con distribuzione
di massa continua, aventi densità di massa superficiale:
Σ(ξ) = Σ0
1 + p(ξ/ξc )2
,
[1 + (ξ/ξc )2 ]2−p
(4.29)
dove p è un parametro di smoothness, Σ0 è la densità di massa centrale e ξc è la scala
oltre la quale la distribuzione di massa decresce (in questo caso ξc può essere visto come
il raggio del core della galassia). Per ξ >> ξc , risulta Σ ∝ ξ 2(p−1) . Qui si considerano
solo le distribuzioni con 0 < p < 1/2: nel caso particolare in cui p = 0 si ha il cosiddetto
modello di Plummer e quando p = 1/2 il modello approssima la SIS e la densità centrale
µ ¶2
. Se si sceglie inoltre ξc = ξ0 si ottengono le seguenti
assume il valore Σ0 = 4π σcv DDds
s
espressioni per la convergenza e il potenziale di deflessione:
κ(x) = κ0
ψ(x) =
1 + px2
,
(1 + x2 )2−p
κ0
[(1 + x2 )p − 1],
2p
(4.30)
(4.31)
dove κ0 = ΣΣcr0 è la densità superficiale adimensionale valida per il centro della lente.
Infine l’equazione della lente è:
y = x − α(x) = x − κ0
x
.
(1 + x2 )1−p
(4.32)
4.1. LENTI ASSIALMENTE SIMMETRICHE
33
I suddetti modelli di lenti, con κ0 > 1, presentano una curva critica tangenziale per
x = xt , dove:
q
1/(1−p)
xt = κ0
− 1,
(4.33)
ed una radiale per x = xr , con xr ottenuta come funzione implicita della relazione:
1 − κ0 (1 + x2r )p−2 [1 + (2p − 1)x2r ] = 0.
(4.34)
La caustica corrispondente ha raggio:
yr =
2(1 − p)x3r
;
1 − (1 − 2p)x2r
(4.35)
dall’equazione della lente, che peraltro può essere risolta solo numericamente, si ottiene
che sorgenti con |y| < yr hanno tre immagini, mentre quelle con |y| > yr hanno un
immagine. Inoltre le tre immagini che si hanno per 0 < y < yr sono tali che x >
xt , −xt < x < xr e −xr < x < 0; sono rispettivamente cioè, del I, II e III tipo.
L’amplificazione luminosa di un’immagine è:
·
¸−1 ·
¸−1
κ0
κ0
2
µ= 1−
(4.36)
1
−
[1
+
(2p
−
1)x
]
.
(1 + x2 )1−p
(1 + x2 )2−p
4.1.4
Modello di Hernquist
Il modello di Hernquist è rappresentato da una distribuzione di densità di materia data
dalla legge:
ρs
ρ=
(4.37)
,
(ξ/ξs )(1 + ξ/ξs )3
in cui ξs e ρs sono due parametri di scala. Questi modelli conducono a distribuzioni di
luminosità superficiale, che sembra descrivere bene il comportamento delle early type 1 .
La densità superficiale di massa è data da:
Σ(x) =
Σs
[−3 + (2 + x2 )F(x)],
(x2 − 1)2
(4.38)
in cui si sono definite le quantità adimensionali x = ξ/ξs , Σs = ρs ξs /Σcr e F(x) come
segue:

√
1
−1

x2 − 1 x > 1
 √x2 −1 tan
√
−1
1
√
F(x) =
(4.39)
tanh
1 − x2 x < 1 .
2

 x −1
1
x=1
4.1.5
Modelli NFW con e senza cuspide
L’interesse rivolto a tali modelli nasce dalla circostanza secondo cui simulazioni cosmologiche ad N corpi sembrano indicare un andamento della densità di tali sistemi del
tipo:
ρs
ρ=
,
(4.40)
(r/rs )(1 + r/rs )2
con lo stesso significato dei simboli utilizzati nel caso del modello di Hernquist. La
densità superficiale di massa è:
Σ(x) = 2Σs
1 − F(x)
.
x2 − 1
(4.41)
Alcuni, giudicando la cuspide interna del modello troppo debole, introducono un modello
generalizzato del tipo:
ρs
ρ=
,
(4.42)
(r/rs )γ (1 + r/rs )3−γ
1 Per
galassie early type, secondo una vecchia nomenclatura, si intendono le galassie ellittiche.
34
CAPITOLO 4. MODELLI DI LENTI GRAVITAZIONALI
in cui l’andamento della cuspide è del tipo ρ ∝ r−γ . La densità superficiale non è
riportata, poiché può essere valutata solo in forma numerica. Un modello ancora più
generale introdotto di recente ha la seguente forma:
ρ=
(r/rs
)γ [1
ρs
.
+ (r/rs )2 ](n−γ)/2
(4.43)
Questo modello rappresenta una generalizzazione di alcuni modelli prima esposti, al
variare della coppia (γ, n): quando (γ, n) = (1, 4) allora si ottiene un modello pseudoHernquist, quando è (1, 3), si ha uno pseudo-NFW, e per (2, 4) un modello pseudo-Jaffe
singolare. Un vantaggio pratico di questo modello è che si può ottenere una soluzione
analitica che dipende da funzioni ipergeometriche e funzioni beta.
4.2
4.2.1
Modelli ellittici
Generalizzazioni della sfera isoterma
Un ulteriore generalizzazione del modello di SIS può essere fatta nel caso in cui la lente
sia ellittica, portando ad una descrizione più realistica delle galassie che fungono da
lente. Per fare questo, bisogna rimpiazzare nella (4.16) la coordinata radiale ξ con:
q
ζ = ξ12 + q 2 ξ22 ,
(4.44)
in cui ξ1 e ξ2 sono le componenti di ξ nel sistema di riferimento scelto sul piano della
lente ed q il rapporto dell’asse maggiore e minore dell’ellisse. Questo raggio ζ è costante
sulle ellissi di asse minore ζ e asse maggiore ζ/q. Quindi si definisce la densità di massa
superficiale dell’ellissoide isotermo singolare (SIE) come:
Σ(ξ) =
√ 2
√ 2
qσv
qσv 1
1
p
=
,
2
2
2
2G
2G ζ
ξ1 + q ξ2
(4.45)
in cui la normalizzazione è scelta in modo tale che la massa all’interno dei contorni
ellittici di isodensità per Σ fissata sia indipendente da q. Il rapporto degli assi q è scelto
in modo tale che valga la relazione 0 < q ≤ 1; nel caso in cui q → 1, si ritorna al caso
simmetrico della SIS. In analogia a quanto fatto per la SIS, si può generalizzare la SIE
al caso non singolare, in cui si introduce il raggio del core e il modello che ne deriverà è
chiamato ellissoide isotermo non singolare (NIE).
Inoltre la legge (4.27) può essere generalizzata, sostituendo ζ a ξ; ma esistono soluzioni
analitiche solo nei casi α = 0, ±1.
4.2.2
Modelli con semplici potenziali di deflessione
Nei paragrafi precedenti sono state descritti alcune distribuzioni di materia utilizzate
nella descrizione delle lenti, ma un’analisi analitica di tali modelli e delle equazioni della
lente relative risulta molto complesso; infatti le distribuzioni fornite dovranno essere
integrate opportunamente in modo tale da fornire il potenziale di deflessione, la cui
forma (soprattutto quando si include un’ellitticità nella lente), è alquanto complessa e
difficile da maneggiare. Per far fronte a tali difficoltà alcuni autori hanno introdotto dei
potenziali che hanno una forma molto semplice e utilizzabili in maniera veloce anche
in studi analitici. Da tali semplici potenziali è poi semplice ottenere la distribuzione di
massa superficiale utilizzando la relazione (4.6) e quindi ottenere delle informazioni sulle
distribuzioni di massa che vi corrispondono. Il primo, peraltro semplice, potenziale che
viene considerato è del tipo:
ψ = a(c20 + c21 ξ12 + c22 ξ22 )1/2 ,
(4.46)
dove a è un’ampiezza, c0 un core centrale, mentre i fattori c1 e c2 , sono dei fattori legati
all’ellitticità della lente. Tale potenziale si oppone ad un’altro semplice modello, questa
4.3. CENNI SULLA LENTE DOPPIA
35
volta fornito attraverso la sua distribuzione di massa, e cioè il modello dell’ellissoide
isotermo (i già citati modelli SIE e NIE); per tale modello si ha una dipendenza del
tipo k ∝ (ξ 2 + R2 )−1/2 . Il potenziale (4.46) appartiene ad una classe più generale di
potenziali ellittici aventi la forma:
ψ = aF (ξ12 +
ξ22
),
q2
(4.47)
ξ2
in cui F (ξ1 , ξ2 , q) è una funzione della quantità (ξ12 + q22 ), che fornisce l’ellitticità alla
lente; in particolare la condizione ψ = cost fornisce la forma dei profili isopotenziali 2 .
La quantità q (con 0 < q < 1) rappresenta un rapporto assiale, e può essere collegata
all’ellitticità del potenziale tramite la relazione ² = 1−q. Una tipica forma utilizzata per
ξ2 α
la funzione F è del tipo (ξ12 + q22 ) 2 3 , che per alcune combinazioni della coppia (α, q) può
condurre a profili di isodensità irragionevoli da un punto di vista fisico; si verifica che
i profili così ottenuti sono ragionevoli solo per piccole ellitticità. Se si pongono uguale
a zero sia il raggio di core e sia l’ellitticità esso si riduce al potenziale di una massa
puntiforme nel caso in cui α → 0 e una sfera isoterma quando α = 1 e ad una densità
di massa superficiale costante quando α → 2
Si guadagnano ulteriori informazioni sul potenziale utilizzato se si utilizzano le coordinate circolari (r, θ), in questo nuovo sistema di riferimento è naturale introdurre un
angolo θq , atto a determinare l’orientazione del semiasse maggiore del profilo.
In aggiunta ai potenziali ellittici sopra menzionati vengono introdotti dei potenziali
ellittici omeoidali aventi la seguente forma generale:
2
),
ψ = aF (rell
(4.48)
2
in cui rell
è una sorta di coordinata generalizzata funzione della coordinata radiale r e
quella angolare θ 4 ; essa è fornita dalla relazione:
2
rell
= r2 [1 − ²p cos 2(θ − θp )],
(4.49)
in cui ²p determina l’ellitticità del potenziale, mentre θp determina l’orientazione dell’asse
maggiore. Tutti i modelli di cui sopra, sono tali che il potenziale di deflessione che vi
corrisponde soddisfi la relazione:
~
αψ = ξ∆∇
ξ~ψ = ξ1 ψξ1 + ξ2 ψξ2 ,
(4.50)
in cui ψξ1 e ψξ2 sono le due componenti dell’angolo di deflessione lungo i due assi.
Espressa in coordinate circolari, la (4.50) si trasforma in:
αψ = r
la cui soluzione generale è:
4.3
∂ψ
,
∂r
ψ = rα F (θ).
(4.51)
(4.52)
Cenni sulla lente Doppia
Lo studio della lente puntiforme è di grande interesse, sia per l’elevata frequenza di
sistemi doppi, sia per la possibilita di trovare sistemi pianeti extrasolari. Dal punto di
vista qualitativo è importante la comparsa di caustiche nel piano sorgente (la lente di
Schwarzschild risultava degenere solo nell’origine!), il che giustifica la presenza di numerose curve di luce nel fenomeno di microlensing. Consideriamo due corpi puntiformi
2 La classe di modelli che qui si discute è spesso chiamata in letteratura come PIEP (potenziali
ellittici pseudoisotermi), che si oppongo a quei modelli ellittici per i quali viene fornita la distribuzione
di massa, chiamati PIEMD (distribuzioni di massa ellittiche pseudoisoterme).
3 Questo tipo di potenziale determina la famiglia dei modelli di Plummer tilted.
4 Simile
alla quantità (ξ12 +
2
ξ2
)
q2
introdotta nei potenziali precedenti
36
CAPITOLO 4. MODELLI DI LENTI GRAVITAZIONALI
di masse M1 e M2 , che agiscano entrambi da lente per una data sorgente. Siano M
la massa totale del sistema lente, Dd la distanza del centro geometrico della lente dall’osservatore, L è il piano della lente passante per il centro della lente e normale all’asse
ottico. Introduciamo nei piani L e S due sistemi di coordinate, rispettivamente (ξ1 , ξ2 )
e η1 , η2 . L’angolo di deflessione della lente doppia è dato dalla sovrapposizione delle
singole deflessione:
α̂(ξ) =
4GM1 ξ − ξ0
4GM2 ξ + ξ0
+
,
c2 |ξ − ξ0 |
c2 |ξ + ξ0 |
(4.53)
dove ξ0 è il vettore posizione di M1 ed −ξ0 il vettore posizione di M2 . Volendo portare
il tutto in variabili adimensionali, poniamo
x≡
ξ
ξ0 ,
y≡
η
η0
ed
m1 ≡
x0 ≡ (χ, 0) con x0 =
M1
M ,
ξ0
RE ,
m2 ≡
M2
M ,
in cui RE è il raggio di Einstein; l’angolo di deflessione diventa
α̂(x) = m1
x − x0
x + x0
+ m2
.
|x − x0 |
|x + x0 |
(4.54)
Si ha così l’equazione della lente doppia:
y1 (x1 , x2 )
y2 (x1 , x2 )
x1 + χ
x1 − χ
− (1 − m1 )
(x1 − χ)2 + x22
(x1 + χ)2 + x22
x2
x2
− (1 − m1 )
= x2 − m1
(x1 − χ)2 + x22
(x1 + χ)2 + x22
= x1 − m1
(4.55)
(4.56)
Capitolo 5
Lensing gravitazionale e
cosmologia
In questo capitolo ci occupiamo di lensing gravitazionale su scala cosmologica, e vediamo
come sia possibile stimare alcuni parametri cosmologici, come ad esempio la costante
di Hubble. Cercheremo quindi di riscrivere l’equazione della lente in un contesto cosmologico, e quindi tale da rispettare la relativa metrica, e introdurremo il fondamentale
concetto di distanza di diametro angolare.
5.1
Il lensing cosmologico
Di fondamentale importanza risulta la nozione di distanza, la quale dovrà contemplare
l’espansione dell’universo e la curvatura dello spazio.
5.1.1
Metrica e modelli di FLRW
Il nostro universo è in media omogeneo ed isotropo, se lo consideriamo su larga scala; la
metrica che lo descrive è quella di Friedmann-Lemaitre-Robertson-Walker, che si scrive
come
ds2 = c2 dt2 − a2 (t) dσ 2 ,
(5.1)
2
dove t è il tempo universale, a(t) è il parametro di espansione e dσ è l’intervallo della
metrica spaziale dato da
dσ 2 =
dx
,
1 − kx2 /4
(5.2)
in cui k = 0, ±1 è la costante di curvatura. Mediante un cambio di variabili definiamo
il tempo conforme come
Z
dt
,
η=c
(5.3)
a(t)
la metrica così diventa
ds2 = a2 (dη 2 − dσ 2 ),
(5.4)
questa forma è detta conformemente piatta.
Il redshift
L’equazione della metrica (5.1), implica che la radiazione elettromagnetica emessa al
tempo ts da una sorgente S con lunghezza d’onda λS , e ricevuto da un osservatore O al
tempo to con lunghezza d’onda λo , manifesta un redshift cosmico definito come
z=
λo − λS
.
λS
37
38
CAPITOLO 5. LENSING GRAVITAZIONALE E COSMOLOGIA
Dalla (5.1) e dal fatto che la luce percorre geodetiche nulle, si ottiene
dt2
dr2
=
a2 (t)
1 − kr2
da cui integrando e considerando che il raggio si muove verso r decrescenti, si può vedere
come
Z t+∆t
Z to +∆to
dt
dt
=
;
a(t)
a(t)
t
to
da cui si ha
∆to
νo
a(t)
νo
a(to )
∆t
=
⇒
=
⇒
=
.
a(t)
a(to )
ν
a(to )
ν
a(t)
Il redshift si può scrivere
z=
λo
a(to )
−1=
−1.
λ
a(t)
Essendo t < to , risulta z(t) > 0 ⇒ a(to ) > a(t) ed z(t) < o ⇒ a(to ) < a(t), per cui si
ha espansione nel caso di diminuzione di frequenza, νo /ν < 1, ed espansione nel caso di
aumento, νo /ν > 1.
Per t ' to si ha quindi
¯
a(to ) − a(t)
ȧ(to )
da ¯¯
z=
'
(to − t) ,
con
ȧ(to ) =
a(t)
a(t)
dt ¯t=to
se poi S è vicino all’origine, si ha ∆t = to − t ' a(t)r, per cui risulta z(t) ' ȧ(to )r. Per
oggetti non molto lontani si ha quindi
z=
ȧ(to )
d = Ho d ,
a(to )
in cui d è la distanza spaziale del punto S dall’origine, all’istante to , data da
¯
Z r
dr
d ¯¯
d(to ) = a(t)|t=to
' a(to )r
⇔
' r.
a ¯t=to
o 1 − kr
La quantità definita come Ho = ȧ(t)/a(t)|t=to è il parametro di Hubble al tempo attuale
H0 ≡ h
100km
, con 0.5 < h < 0.8
s M pc
Infine posto c = 1 , v = ȧ(to )r e D = d risulta
v = Ho D ,
la quale è nota come legge di Hubble, che è un’equazione che fornisce la velocità di
recessione delle galassie in termini della loro distanza dall’osservatore.
Il modello di Friedmann
Volendo ricavare le equazioni di Einstein nella metrica di FLRW, consideriamo l’espansione in serie il parametro a(t), la quale si scrive
a(t)
= 1 + H0 (t − t0 ) + ...,
a0
in quanto
H≡
ȧ
a
(5.5)
in cui a0 è il valore di a(t) al tempo attuale e lo si pone uguale ad 1; se consideriamo
scale temporali piccole, cioè tali che H0 ∆t ¿ 1, l’intervallo di tempo conforme della
(5.3) diventa
∆η = c∆t.
(5.6)
5.1. IL LENSING COSMOLOGICO
39
La componente (0,0) delle equazioni di Einstein, nella metrica FLRW e con un tensore
energia-impulso relativo ad un fluido perfetto Tij = diag(ρ, p, p, p), porta alla cosiddetta
equazione di Friedmann
µ ¶2
ȧ
kc2
+ 2
a
a
8πG
ρtot =
3
8πG
Λ
8πG
ρrad +
ρmat + ,
3
3
3
=
=
(5.7)
dove ρtot = ρr + ρm + ρΛ , mentre ρrad e ρmat sono rispettivamente la densità di energia
della radiazione e della materia, ed Λ è la costante cosmologica la cui densità di energia
è ρΛ ≡ Λ/8πG.
La seconda equazione di Einstein indipendente porta invece ad
d
d
(ρa3 ) = −p a3 .
dt
dt
(5.8)
Una soluzione la si può trovare a partire dall’equazione di stato p = αρ, dove α = 0 per
la materia non-relativistica, α = 1/3 per la radiazione, α = −1 per l’energia del vuoto;
ciò porta alla
ρ ∝ a−3(1+α) ,
così per le varie densità di energia otteniamo
µ
ρr =
ρor
a(to )
a(t)
¶4
µ
, ρm =
ρom
a(to )
a(t)
¶3
, ρΛ = ρoΛ
(5.9)
dove ρoi denota il valore attuale.
Oggi l’universo è dominato dalla materia, per cui l’identità di Bianchi, che corrisponde alla conservazione di ρmat , si può scrivere
ρ̇mat + 3Hρmat = 0.
(5.10)
Per la densità si ottiene così
ρo
,
a3
dove ρ0 è la densità di energia della materia al tempo attuale; definiamo adesso due
quantità importanti: la densità critica e il parametro di densità, rispettivamente come
ρmat =
ρcrit ≡
3Ho2
,
8πG
Ω≡
8πG
ρo
ρ, ovvero Ωi ≡ i .
3H
ρcrit
(5.11)
E come si poteva prevedere, da dati risulta Ωm è quattro ordini di grandezza maggiore
di Ωr h2 , per cui per tempi sufficientemente piccoli l’universo è dominato dalla materia.
Possiamo quindi riscrivere la (5.10) come
8πG
ρo
3Ho
µ ¶3
1
= Ωo (1 + z)3 ,
a
(5.12)
in cui z è il redshift. L’equazione (5.7) invece diventa
£
¤1
da
= aHo Ωo (1 + z)3 + Ωk (1 + z) + ΩΛ 2 ,
dt
(5.13)
in cui abbiamo definito il parametro di densità relativo alla curvatura al tempo attuale
come
k
Ho2
Λ
con ρΛ ≡
8πG
Ωk ≡ −
ΩΛ ≡
Λ
8πG
ρΛ
=
3Ho2
3Ho
k
a2o Ho2
=−
40
CAPITOLO 5. LENSING GRAVITAZIONALE E COSMOLOGIA
Definiamo E(z) come
£
¤1
E(z) = Ωo (1 + z)3 + Ωk (1 + z) + ΩΛ 2 ,
(5.14)
in tal modo la (5.13) diventa
da
E(z)
= aHo E(z) = Ho
,
dt
1+z
in quanto il redshift lo si può esprimere come
1+z =
ao
1
=
a
a
ed
da = −
(5.15)
dz
(1 + z)2
da cui essendo
dt =
1 1+z
da,
Ho E(z)
(5.16)
e volendo esprimere il da in termini del dz , si ottiene
dt =
1
dz
da.
Ho (1 + z)E(z)
(5.17)
Ricaviamo adesso la relazione tre dz e dλ, in cui λ è un parametro affine; dalla definizione
di redshift si ha infatti
1+z =
ω(λ)
ωO
(5.18)
dove ω(λ) e ωO sono rispettivamente la frequenza di emissione alla sorgente e all’osservatore; e quindi si ha
dz
dλ
=
=
=
1 dω
1 d µ
=
(k uµ ) =
ωO dλ
ωO dλ
1 dk µ
1 µ duµ
uµ +
k
=
ωO dλ
ωO
dλ
1 µ ν
k k uµ;ν ,
ωO
(5.19)
in cui abbiamo considerato dk µ /dλ = 0 per i raggi luminosi; inoltre si può vedere come
ȧ
(uµ uν + gµν ).
a
Quindi, considerato che gµν k µ k ν e posto ωO = 1, la (5.19) diventa
uµ;ν =
dz
= H(1 + z)2 ,
(5.20)
dλ
Consideriamo adesso un sistema in cui la lente sia costituita da una galassia o da
un cluster, cioè da oggetti con campo generato debole e moti tipici con velocita v < c,
e supponiamo trascurabili gli effetti di altri oggetti esterni. Allora il raggio luminoso
emesso dalla sorgente nel passare vicino alla lente sarà soggetto alla metrica data da
µ
¶
µ
¶
2Φ 2 2
2Φ
2
2
ds = 1 + 2 c dt − a (t) 1 − 2 dσ 2 ,
(5.21)
c
c
in cui il potenziale gravitazionale è considerato indipendente dal tempo, nel senso che
nell’intervallo di tempo impiegato dal raggio per attraversare la regione di influenza
della lente, non sono avvenuti cambiamenti apprezzabili; se poi facciamo anche l’approssimazione di lente sottile, allora si ottiene la metrica conformemente stazionaria che
si scrive
·µ
¶
µ
¶¸
2Φ
2Φ 2
2
2
2
ds = a
1 + 2 dη − 1 − 2 dσ
(5.22)
= a2 ds2 ,
c
c
tale espressione combina la metrica di FLRW con la metrica locale data dalla (3.7),
inoltre i coefficienti di ds2 non dipendono dal tempo conforme η, in altre parole tale
metrica è conformemente statica.
5.1. IL LENSING COSMOLOGICO
5.1.2
41
La distanza di Diametro Angolare
La propagazione di una congruenza di raggi luminosi, che passano attraverso un campo
gravitazionale che ne deforma la sezione, viene descritta dall’equazione di Sachs riferita
agli scalari ottici. Tale equazione è molto utile in quanto fa dipendere l’evoluzione del
fascio di raggi dal tensore di Ricci, per cui è anche connessa all’equazioni di Einstein.
Risulta molto comodo, quindi, definire un nuovo tipo di distanza, la cosiddetta
distanza di diametro angolare, data da
Ã
DA (~uO , S) =
¯ ! 12
dAS ¯¯
.
dΩO ¯t1
(5.23)
Stiamo quindi considerando un osservatore in moto con velocità ~uO , nel cui sistema di
riferimento arriva il fascio luminoso emesso dall’elemento di superficie dAS sotto l’angolo
solido dΩO |t1 . Per cui tale distanza non è altro che una generalizzazione
della distanza
p
d dedotta dalla definizione di angolo solido standard d =
dA/dΩ. Inoltre si può
notare che essa dipende dalla velocità dell’osservatore, ne derivano infatti fenomeni di
aberrazione.
Figura 5.1: Distanza di diametro angolare
5.1.3
L’equazione della lente cosmologica
L’equazione trovata per la metrica è molto importante; i raggi di luce, infatti, muovendosi
lungo geodetiche nulle, ovvero ds2 = 0, in base alla (5.22) allora verificano anche ds2 = 0.
Per cui possiamo utilizzare la stessa metrica definita nella (5.22), allo scopo di ricavare
l’equazione della lente cosmologica.
Consideriamo adesso un fascio luminoso emesso dalla sorgente S, che arrivi all’osservatore O, con diametro d ed apertura angolare δ; dalla (5.4) risulta che la posizione
della sorgente risulta d/as , con as = a(ts ), mentre l’angolo δ è invariato. La distanza
di diametro angolare risulta Dds = d/δ. Da semplici considerazioni geometriche si può
ricavare il ritardo totale, che formalmente coincide con quello relativo alla lente semplice, a patto che si sostituiscano le distanze in gioco con quelle rispettive di diametro
angolare, ovvero si ottiene
·
c∆t = (1 + zd )
¸
Dd Ds
(θ − θs )2 − ψ + cost .
2Dds
(5.24)
42
CAPITOLO 5. LENSING GRAVITAZIONALE E COSMOLOGIA
Definendo in modo del tutto analogo il piano della sorgente ed il piano della lente, e le
relative quantita η e ξ, l’equazione della lente cosmologica si può scrivere come
η=
Ds
ξ − Dds α̂(ξ).
Dd
(5.25)
che è formalmente analoga alla (3.21), con la differenza che le distanze in gioco non sono
quelle euclidee bensì le distanze di diametro angolare.
Quindi la distanza di diametro angolare gioca un ruolo fondamentale, in quanto essa
è funzione del parametro affine λ che parametrizza appunto le traiettorie geodetiche; ma
si presenta lo svantaggio che λ non è una quantità osservabile, come invece lo è il redshift
z. Questo problema è stato superato da Dyer e Roeder, i quali ricavarono l’equazione
differenziale che determina la distanza di diametro angolare in termini del redshift e dei
parametri cosmologici inerenti al modello preso in considerazione. Ma questa trattazione
esula dallo scopo di questo lavoro, ne daremo alcuni cenni nell’appendice B.
5.2
Equazione della lente cosmologica e principio di Fermat
Come per il caso di una lente vicina, per la quale la metrica di background è quella
di Minkowski, così anche per un lente situata a redshifts cosmologici, redshifts cioè
corrispondenti a scale cosmologiche, è possibile derivare l’equazione della lente tramite
un principio variazionale (principio di Fermat). Sebbene esso sia formalmente analogo a
quello descritto in precedenza, preferiamo darne una derivazione dettagliata, allo scopo
di introdurre una quantità osservabile di estrema importanza per le applicazioni del Gl
in cosmologia: il ritardo temporale.
5.2.1
Ritardo temporale potenziale
Il ritardo temporale dovuto al campo gravitazionale del clump è prodotto in prossimità
del clump che funge da lente . Dato che le corrispondenti differenze temporali tra i
raggi devono essere trasportate dalla lente all’ osservatore lungo i raggi di luce, il ritardo
potenziale sarà ottenuto per mezzo della metrica locale , in cui si trascurerà il contributo
del potenziale vettore V, e opportunamente redshiftato.
Utilizzando la metrica locale per un segnale di luce (ds = 0) avremo che
µ
¶
µ
¶
2U
2U
0 = ds2 = 1 + 2 c2 dt2 − 1 − 2 dl2
c
c
da cui
¡
c2 dt2 = ¡
1−
1+
¢
2U
c2 ¢ 2
dl
2U
c2
µ
'
1−
2U
c2
¶2
dl2
dove dl = δij dxi dxj è l’ intervallo euclideo lungo la traiettoria. Per un segnale emesso
all’ evento sorgente S al tempo t = 0 [83]
µ
¶
Z
Z
2U
l
2
t=
1 − 2 dl = − 3
(5.26)
U (x(l))dl,
c
c c cammino
cammino
dove l è la lunghezza euclidea della traiettoria e il termine potenziale (detto tempo di
Shapiro) deve essere integrato lungo quel cammino. In generale la traiettoria del raggio
è espressione di una equazione differenziale, del secondo ordine, non lineare, non risolvibile esplicitamente. Nelle situazioni in generale considerate di interesse astrofisico,
comunque, l’ angolo di deflessione α̂, definito come la differenza delle direzioni spaziali
iniziali e finali della traiettoria, è molto piccolo, essendo il sostanziale contributo alla deflessione generato solo in prossimità della lente, e così è lecito integrare lungo il
cammino imperturbato x(l) = ξ + le dove ξ è il vettore di impatto misurato da un
punto opportuno della lente ed e := dx
dl , vettore tangente unitario al raggio, è fissato
5.2. EQUAZIONE DELLA LENTE COSMOLOGICA E PRINCIPIO DI FERMAT43
al valore iniziale, e = ein . L’ integrazione lungo il raggio imperturbato costituisce l’
approssimazione di Born [9].
Così, per la parte potenziale nella (5.26), abbiamo,
Z
Z
Z
Z
0
0
dl
2 0 0
U (x(l))dl = U (ξ + le)dl = −G d ξ dl ρ(ξ , l ) q
.
0
t.im.
(ξ − ξ )2 + (l − l0 )2
(5.27)
0
In situazioni realistiche il dominio di l , ovvero le dimensioni lineari della lente lungo
la linea di vista, è trascurabile rispetto alle distanze tra lente, sorgente e osservatore
coinvolte. Assumiamo, perciò, che, oltre a essere piccolo l’ angolo di deflessione totale,
anche l’ estensione L della lente in direzione del raggio incidente sia tale che la forza del
campo gravitazionale trasverso ∇⊥ U sul raggio reale devii di poco da quella sul raggio
imperturbato, cioè che la deviazione massima ∆smax ∼ α̂L del raggio sia piccola rispetto
alla scala di lunghezza su cui varia il campo,
|∆smax ∇⊥ ∇⊥ U | ¿ |∇⊥ U | .
(5.28)
Questa condizione sussiste per un ammasso di galassie a zd = 0.3 con una sorgente a
zs = 1 per cui Dds ' Dd ' 1Gpc À Rcl essendo Rcl ' 1M pc. Questa approssimazione,
detta della lente sottile, permette di valutare approssimativamente l’ integrale in l nella
(5.27),




¶
µ
Z +Dds
q
du
0
ds
 ¯ 2Dds ¯ +ln  ¯ 2Dd ¯  ,
q
= ln u + u2 + (ξ − ξ )2 |+D
−Dd ≈ ln ¯
0¯
0¯
¯
0
−Dd
¯ξ − ξ ¯
¯ξ − ξ ¯
u2 + (ξ − ξ )2
(5.29)
dove Dds e Dd sono le distanze euclidee, rispettivamente, dal deflettore alla sorgente e
dall’ osservatore al deflettore. ξ è un vettore bidimensionale nel piano della lente, definito
come il piano ortogonale alla congiungente l’ osservatore con un punto di riferimento nella
lente, come il centro di massa o quello geometrico (asse ottico).
0
0
L’ ultima espressione è indipendente da l , così l’ integrale in l nella (5.28) diventa,
#
"
0
Z
Z
0
2
4G
|ξ − ξ |
2
− 3
U (x(l))dl = − 3
d ξΣ(ξ ) ln
+ costante,
(5.30)
c
c
ξ0
dove ξ0 indica un’ arbitraria scala di lunghezza, essendo la costante di integrazione priva
di interesse. A questo punto, introduciamo il potenziale di deflessione ψ̂,
"
#
0
Z
0
4G
|ξ − ξ |
2 0
ψ̂(ξ) = 2
d ξ Σ(ξ ) ln
,
(5.31)
c
ξ0
in termini del quale scriveremo il ritardo potenziale.
Per riportare questi risultati nel contesto cosmologico bisogna considerare il redshift
zd del deflettore. Dalla definizione di redshift abbiamo che in un universo in espansione
1
∆td
=
,
∆t0
1 + zd
quindi il ritardo temporale ∆tpot per l’ osservatore si scriverà come
c∆tpot = −(1 + zd )ψ̂ + costante,
(5.32)
dove la costante è la stessa per tutti i raggi dal piano della sorgente all’ osservatore.
5.2.2
Ritardo temporale cinematico
Il secondo contributo al ritardo temporale è quello cinematico. I raggi cinematicamente
possibili saranno linee d’ universo continue a tratti , costituite da due geodetiche nulle
44
CAPITOLO 5. LENSING GRAVITAZIONALE E COSMOLOGIA
Figura 5.2: Il triangolo geoetico Ŝ IˆÔ che deriva dalla proiezione dei raggi dall’ evento di
emissione S all ’ evento di deflessione I, da quest’ ultimo all’ evento di osservazione O e del raggio
imperturbato da S aO, rispettivamente, nel 3-spazio Σk di curvatura costante. È mostrato solo
l’ angolo differenza θ − β; gli angoli individuali si riferiscono ad un asse ottico la cui scelta è,
qui, irrilevante [73].
della metrica di RW, la prima che congiunge un evento fissato di emissione S ed un
certo evento di deflessione I nei pressi della lente , e la seconda che congiunge I ad
un fissato evento di osservazione O sulla linea d’ universo dell’ osservatore. Tra questi
raggi possibili ce n’è esattamente uno che è continuo, il raggio imperturbato da S all’
osservatore. Proiettati nel 3-spazio comovente Σk di curvatura costante k = −1, 0, +1 gli
eventi S, I, O ed i raggi che li connettono costruiscono un triangolo geodetico di vertici
ˆ Ô in Σk .
Ŝ, I,
Il ritardo geometrico ∆tgeom è dovuto alla differenza della lunghezza dei cammini
ˆ
Ŝ I Ô e Ŝ Ô. Scegliamo l’ origine del tempo η in modo che il tempo di emissione sia
η = 0, il tempo di ritardo geometrico è dato da
∆ηgeom. = σds + σd − σs ,
(5.33)
dove le σ indicano le distanze misurate per mezzo della metrica dσ 2 . Dato che il tempo
di ritardo è molto piccolo rispetto al tempo di Hubble 1/H0 , possiamo porre
c∆tgeom = R0 ∆ηgeom .
(5.34)
Per valutare ∆ηgeom , dobbiamo fissare la curvatura k. Consideriamo il caso k = +1,
cioè un 3-spazio localmente sferico. La legge dei coseni in trigonometria sferica da
cos σs = cos σds cos σd − sin σds sin σd cosα̂
e, ricordando che
cosα̂ = 1 − 2 sin2
si ha
µ ¶
α̂
,
2
µ ¶
α̂
.
cos σs = cos(σds + σd ) + 2 sin σds sin σd sin
2
2
Applicando le formule di prostaferesi e utilizzando la (5.33), otteniamo
µ ¶
¶
µ
α̂
sin σds sin σd
1
2
ηgeom =
sin
.
sin
1
2
2
sin 2 (σds + σd + σs )
Se noi consideriamo Ô e Ŝ fissati, ma Iˆ variabile e prossimo, come funzione di α̂,
al punto Iˆ0 sul raggio imperturbato, deduciamo dall’ ultima equazione che, per α̂ → 0,
5.2. EQUAZIONE DELLA LENTE COSMOLOGICA E PRINCIPIO DI FERMAT45
∆ηgeom ∼ α̂2 , e così, dato che σs ≈ σds + σd ,
∆ηgeom =
sin σds sin σd 2
α̂ + O(α̂4 ).
2 sin σs
(5.35)
Per proseguire, dobbiamo mettere in relazione le distanze σ con le distanze diametro angolari imperturbate. Consideriamo un beam di luce come quello usato per
la definizione della distanza Dds della sorgente in S dal punto I, cioè in pratica dalla
lente. Se il suo diametro in S è d e se sottende un angolo δ in I, la sua proiezione dallo
spazio-tempo al 3-spazio Σ1 ha diametro d/Rs in Ŝ, perciò,
Dds = d/δ = Rs sin σds .
La prima di queste due uguaglianze è proprio la definizione di Dds , la seconda stabilisce
la relazione che sussiste su una sfera unitaria tra la lunghezza di un arco e l’ angolo che
sottende ad una distanza σds . In modo simile si ricava che
Dd = Rd sin σd
Ds = Rs sin σs ,
con Dd e Ds distanze diametro angolari dalla lente e dalla sorgente all’ osservatore,
rispettivamente. Inoltre la figura mostra che
(θ − β) sin σs = α̂σds
essendo θ l’ angolo sotto cui vediamo l’ immagine e β l’ angolo sotto cui vedremmo la
sorgente in assenza di lente. Inserendo queste ultime equazioni nelle (5.34) e (5.35) e
ricordando che R0 /Rd = 1 + zd , si ottiene il risultato,
c∆tgeom = (1 + zd )
Dd Ds
(θ − β)2 .
2Dds
(5.36)
Questa stessa formula vale anche se la curvatura k = 0 o se k = −1. Nel caso euclideo
le precedenti considerazioni vano ripetute utilizzando la geometria piana, mentre per
un universo iperbolico è richiesto l’ uso delle funzioni iperboliche in luogo di quelle
trigonometriche e si può vedere che si ottiene lo stesso risultato.
5.2.3
Ritardo temporale totale
I risultati espressi dalle (5.32) e (5.36) vanno sommati per esprimere il ritardo temporale
totale. Si ottiene così
½
¾
Dd Ds
2
c∆t = (1 + zd )
(θ − β) − ψ̂(ξ) + cost.,
(5.37)
2Dds
dove la relazione tra la variabile angolare θ e ξ è θ = ξ/Dd e dove le distanze diametro
angolari sono funzioni del redshift z e dei parametri cosmologici H0 , ΩM , ΩΛ , α̃.
Prima di applicare il principio di Fermat alla (5.37), introduciamo nuove espressioni.
Evidenziamo la parte adimensionale ψ̃ del potenziale ψ̂ usando la variabile angolare θ e
ponendo ξ0 = Dd ,
ψ̂(Dd θ) = 2RS ψ̃(θ),
(5.38)
Z
ψ̃(θ) :=
0
0
0
Σ̃[θ ] ln |θ − θ |d2 θ .
(5.39)
Nell’ espressione precedente,
Σ(Dd θ) 2
Dd
(5.40)
M
rappresenta la frazione della massa totale, M , della lente contenuta nell’ angolo solido
d2 θ, come visto dall’ osservatore, mentre RS è il raggio di Schwarzschild 2GM
c2 .
Σ̃[θ] :=
46
CAPITOLO 5. LENSING GRAVITAZIONALE E COSMOLOGIA
Con queste notazioni riscriviamo la (5.37) nella forma
c∆t = φ̂(θ, β) + cost.
(5.41)
dove il potenziale cosmologico di Fermat φ̂ è dato da
½
¾
Dd Ds
φ̂(θ, β) = (1 + zd )
(θ − β)2 − 2RS ψ̃[θ]
2Dds
(5.42)
Il ritardo temporale, così , dipende dai parametri adimensionali zd , esplicitamente, zS ,
ΩM , ΩΛ , α̃, attraverso le distanze diametro angolari, dalla distribuzione di massa adimensionale per angolo solido Σ̃ del deflettore, dalle posizioni angolari θ, β dell’ immagine e
della sorgente rispetto ad un asse ottico (arbitrariamente scelto ), e da due scale di tempo H0−1 , c−1 RS . Il principio di Fermat ci permette ora di scrivere la mappa cosmologica
del lensing, θ 7→ β. La condizione da porre è
∂ φ̂
=0
∂θ
che scriviamo in termini di ξ = Dd θ, η = Ds β, α̂(ξ) =
η=
Ds
− Dds α̂(ξ).
Dd
2RS ∂ ψ̃
Dd ∂ θ
come
(5.43)
Ricordiamo che i sistemi di riferimento nel piano sorgente e nel piano della lente hanno
origine nei rispettivi punti di intersezione con l’ asse ottico e che η è la posizione della
sorgente, ξ il vettore di impatto nel piano della lente. Per ogni distribuzione di massa
Σ(η) del deflettore la mappa ξ 7→ η è determinata univocamente, ma, essendo questa una
mappa non lineare l’ inversione, non può essere, in generale, effettuata analiticamente.
Capitolo 6
Regimi del lensing e quantità
osservabili
Una galassia che funge da lente produce effetti tra i più spettacolari della fenomenologia del lensing quando agisce sulla luce proveniente da un quasar distante, producendo
immagini multiple o ad anello di questi. Un ammasso di galassie che funge da lente
produce invece effetti tra i più variegati sulle immagini delle galassie sorgenti di background, al variare dei parametri k e γ che compongono la matrice di amplificazione A: le
immagini, così , risultano o fortemente distorte, strong lensing (SL), o debolmente, weak
lensing (WL), o, naturalmente, corrispondono ad un caso intermedio. Forti distorsioni
si hanno nei pressi delle curve critiche, ovvero nella zona di transizione tra regioni a
diversa molteplicità. Per trovarci in tale situazione è necessario che la densità di massa
superficiale Σ sia almeno in un punto maggiore della densità superficiale critica Σcr ,
µ
¶
Dds · 1Gpc
>
Σ ∼ Σcr = 0.35gcm−3
,
Dd Ds
ovvero
>
k∼1.
Questa condizione stabilisce appunto il passaggio al regime di strong lensing nel quale
si verificano forti distorsioni del fronte d’onda in prossimità delle curve critiche dell’equazione della lente. É interessante notare che la capacità di una lente di innescare
il regime di strong lensing dipende dalla geometria globale del sistema lente-sorgenteosservatore, piuttosto che dalla sola massa della lente. Nel regime di weak lensing, invece,
gli effetti della deflessione della luce non possono essere misurati individualmente sulle
singole galassie, ma piuttosto solo in un senso statistico, dato che la distorsione indotta dalla lente non prevale sulla forma originaria della sorgente, ma la modifica solo
leggermente.
6.0.4
Strong Lensing di quasars: immagini multiple e ricostruzione
del potenziale gravitazionale della lente
Avendo fornito le basi teoriche del lensing gravitazionale ed in particolare del time delay, si procederà qui di seguito nello studio degli eventi di quasar lensati, illustrando gli
aspetti più importanti: la scelta del modello di lente e la sua influenza sui parametri
fisici del sistema. Mostreremo anche come il lensing gravitazionale si ponga come un
potente mezzo di indagine nello studio delle proprietà locali e globali dell’universo e delle
caratteristiche strutturali delle galassie che fungono da lente.
In particolare mostreremo come il GL e la dinamica stellare forniscano dei vincoli complementari alla determinazione della distribuzione di massa di galassie lenti. Ciò permette
di studiare la distribuzione della materia oscura e luminosa al di là dei limiti osservativi
delle singole tecniche, soprattutto per galassie ad alto redshift (z > 1). Riserveremo
particolare attenzione al caso specifico di quasar quadrupli, cioè quasar di cui la galassia
lente abbia prodotto quattro immagini.
47
48
6.0.5
CAPITOLO 6. REGIMI DEL LENSING E QUANTITÀ OSSERVABILI
Equazioni fondamentali
Scegliamo un sistema di coordinate cartesiane (x, y) centrate sulla galassia lente e con
gli assi che puntano verso Ovest e Nord rispettivamente. Se (r, θ) sono le coordinate
polari, dove l’angolo di posizione θ è misurato da Nord verso Est, la trasformazione da
(x, y) a (r, θ) è la seguente:
x = −r sin θ,
y = r cos θ .
(6.1)
La funzione del time delay, i.e. il time delay di un generico percorso dalla sorgente all’
osservatore è data da:
∆t = h−1 τ100
·
¸
1 2
1 2
r
−
rr
cos(θ
−
θ
)
+
r
−
ψ(r,
θ)
,
s
s
2
2 s
dove (r, θ) determina, sul piano della lente, il parametro d’impatto del generico raggio
(r è misurato in arcsec), (rs , θs ) è la posizione della sorgente, che è incognita, e ψ(r, θ)
è il potenziale gravitazionale della lente. Allora, h è la costante di Hubble H0 in unità
di 100 km s−1 Mpc−1 , mentre τ100 è un time delay di riferimento definito come
Dd Ds 1 + zd
days arcsec−2 ,
(6.2)
Dds
c
dove Dd , Ds e Dds le distanze di diametro angolare osservatore - lente, osservatore sorgente, e lente - sorgente rispettivamente, zd è il redshift della lente. Se i and j indicano
due immagini, il time delay tra esse è dato da ∆tij = ∆ti − ∆tj .
Secondo il principio di Fermat le immagini si trovano in corrispondenza dei punti
critici di ∆t, cosicché otteniamo
τ100 =
∂
∂ψ
∆t = 0 ⇐⇒ r − rs cos(θ − θs ) =
,
∂r
∂r
1 ∂
1 ∂ψ
∆t = 0 ⇐⇒ rs sin(θ − θs ) =
.
r ∂θ
r ∂θ
Useremo un potenziale del tipo:
ψ(r, θ) = ψlens (r, θ) + ψext (r, θ),
(6.3)
(6.4)
(6.5)
dove ψlens (r, θ) descrive il contributo della galassia lente, e ψext (r, θ) è una perturbazione
esterna. Il primo termine è connesso alla distribuzione di massa nella lente tramite
l’equazione di Poisson:
∇2 ψlens (r, θ) = 2κ(r, θ),
(6.6)
essendo κ(r, θ) la convergenza, i.e. la densità di massa adimensionale definita come:
4πGDd Dds
Σ(r, θ)
Σ(r, θ) ≡
.
(6.7)
c2 Ds
Σcrit
Il secondo termine invece descrive l’effetto sul sistema dell’ambiente cui la lente appartiene, i.e. il cluster o il gruppo di galassie cui la lente. Descriviamo tale contributo
sviluppando il potenziale della perturbazione esterna fino al secondo ordine:
κ(r, θ) =
1
ψext (r, θ) = ψshear (r, θ) = − γr2 cos 2(θ − θγ ),
(6.8)
2
dove γ è detto shear esterno e θγ è l’angolo di shear, orientato da Nord verso Est, che
punta di solito verso la perturbazione esterna.
Classi di modelli considerati
Per descrivere la galassia lente primaria consideriamo due diverse classi di modelli : i
potenziali ellittici pseudoisotermi (PIEP) ed i profili con rapporto massa – luminosità
(M/L)costante.
49
Tabella 6.1: Potenziale separabile.
Model
ψ(r, θ)
2−α
b
α
α r
p
Modello 2 b sin(θ − θq )2 + q −2 cos(θ − θq )2 r
p
Modello 3 αb sin(θ − θq )2 + q −2 cos(θ − θq )2 rα
Modello 1
Modelli PIEP
Per la prima classe scriviamo il potenziale in una forma separabile molto semplice:
ψ(r, θ) = rα F (θ, q, θq ) ,
(6.9)
£
¤1/2
F = sin2 (θ − θq ) + q −2 cos2 (θ − θq )
,
(6.10)
dove F (θ, q, θq ) è dato da
essendo θq orientato da Ovest verso Nord.
Si noti che siccome il potenziale ψ e la densità superficiale di massa κ sono legati
da una doppia integrazione, l’ellitticità dei contorni isopotenziali è diversa da quella dei
contorni di isodensità. Quindi dobbiamo ottenere una relazione tra il rapporto assiale
del potenziale q e quello della densità di massa, indicato con qκ . Per il Modello 2, la
convergenza è:
κ(x, y) =
2q 2
·
b
p
x2 + y 2
q 2 (x2 + y 2 )
q 2 x2 + y 2
¸3/2
.
(6.11)
κ è sempre positiva, i.e., Modello 1 è sempre ben definito e vale la relazione qκ = q 3 . La
situazione è molto più complicata per Modello 3. La convergenza risulta:
1
b(x2 + y 2 ) 2
κ=
2αq 4
(α−6)
£ 4 4 2
(q x (α − 1) + y 4 (α2 − 1)
+ q 2 (x4 + y 4 + 2x2 y 2 α2 )
·
¸
¤ q 2 (x2 + y 2 ) 3/2
.
q 2 x2 + y 2
(6.12)
Affinché κ > 0, i due fattori q 2 (α2 − 1) + 1 e q 2 + α2 − 1 devono essere entrambi
positivi.
√
In particolare, se α > 1, κ > 0; invece, se α < 1, κ è negativa se q < 1 − α2 . Per
esempio, √
se α = 0.5 e q < 0.866, κ < 0. Quindi, per il modello 3, si deve imporre
q > q0 ≡ 1 − α 2 .
6.0.6
Modelli con M/L costante
La seconda classe di modelli descrive i profili di luminosità delle galassie ellittiche. Usiamo i modelli di de Vaucouleurs e di Hubble (Modello 4 e Modello 5) la cui convergenza
κ è data nella tabella 6.2. L’angolo di deflessione è:
α̂(r) =
2
r
Z
r
r0 dr0 κ(r0 ),
0
sicché, il potenziale si ottiene risolvendo l’ equazione α̂ = ∇ψ.
(6.13)
50
CAPITOLO 6. REGIMI DEL LENSING E QUANTITÀ OSSERVABILI
Tabella 6.2: Distribuzione di massa per modelli con M/L costante.
Modello
κ
Modello 4
[−7.67( Rre ) 4 ]
b
Re N e
1 b2
2 s2 +r 2
1
Modello 5
6.1
Metodo numerico
Usando modelli del tipo ψ = rα F (θ), si possono scrivere le equazioni per le quattro
immagini i, j, k e l, e le due equazioni per i rapporti di time delays:
∆tik
∆tobs
ik
=
,
∆tij
∆tobs
ij
∆til
∆tobs
il
=
,
∆tij
∆tobs
ij
(6.14)
obs
obs
dove ∆tobs
ij , ∆tik e ∆til sono i time delays misurati. L’introduzione di queste ultime
due equazioni ci consente di chiudere il sistema raggiungendo un numero di equazioni
uguale a quello delle incognite.
Quindi risolviamo numericamente il sistema ottenendo le nostre n incognite.
Essendo il sistema non lineare otteniamo un insieme di soluzioni che devono essere
poi selezionate secondo opportuni criteri di selezione:
• 0 < rs < max{ri , rj , rk , rl }: una lente non forma immagini in posizioni arbitrariamente lontane dal centro della lente stessa; per grandi valori di rs , ci sarà solo un’
immagine in (r, θ) = (rs , θs ),
• 0 < γ < γc : lo shear è positivo per definizione. Per i modelli separabili γ ≈ γcrit ,
dove γcrit come quel valore tale che per γ ≥ γcrit H0 si annulla.
• Lo shear è ben orientato: l’angolo θγ è diretto verso la perturbazione esterna.
• Il profilo ellittico della galassia deve essere fisicamente plausibile: q0 < q < 1, dove
q0 è quel valore di q tale che, per fissati valori di α, il profilo di isodensità è quasi
ellittico e non eccessivamente boxy.
• Il range degli altri parametri del modello deve fornire valori plausibili di κ. Per
il Modello 1 ed il Modello 3 0 < α < 2; siccome κ ∝ rα−2 la condizione α < 2
garantisce che κ decresce monotonomamente con r. D’altra parte, α > 0. Infine,
poiché ψ > 0 dobbiamo imporre b > 0.
• L’insieme delle soluzioni ottenute deve verificare le equazioni della lente e dei time
delays con un opportuno grado di tolleranza.
• hmin < h < hmax
Una volta selezionate le soluzioni fisicamente accetabili è anche possibile analizzare la
presenza di correlazioni tra i parametri, e quindi di possibili degenerazioni. Si dimostra
che
• Modello 1 rs , γ, b ed h sono correlati tra loro, ed anticorrelati con α.
rs ∝ 2 − α, γ ∝ 2 − α , h ∝ 2 − α.
(6.15)
• Modello 2 Per questo modello rs , b ed h sono correlati tra loro, ed anticorrelati
con γ e q.
• Modello 3 rs , γ, q, b ed h sono correlati tra loro ed anticorrelati con α.
6.2. APPLICAZIONE AD UN SISTEMA REALE: PG1115+080
51
Tabella 6.3: Parametri per P G 1115 + 080.
M odello 1 M odello 2 M odello 3M odello 4M odello 5
+0.015
+0.03
rs ( ) 0.14+0.02
−0.04 0.113−0.008 0.18−0.03
+3
+2
o
θs ( )
25−3
18−2
19+4
−5
+0.005
+0.06
γ
0.14+0.03
0.089
0.10
−0.04
−0.009
−0.08
θγ (o ) 246+2
243+5
240+9
−2
−4
−7
+0.06
q
−
0.98+0.02
0.91
−0.02
−0.04
+0.16
qk
−
0.94+0.06
−0.06 0.75−0.07
θq (o )
−
136+19
130+8
−11
−18
+0.08
+0.17
b
1.10+0.02
−0.02 1.06−0.07 0.85−0.12
α
0.64+0.33
−
0.71+0.40
−0.36
−0.52
s, Re (00 )
−
−
−
+0.09
+0.22
h
0.55+0.11
−0.14 0.42−0.06 0.56−0.17
00
0.16+0.02
−0.02
25+3
−2
0.16+0.02
−0.02
247+2
−4
−
−
−
3.02+0.72
−0.47
−
0.76+0.48
−0.36
0.60+0.07
−0.06
0.16+0.03
−0.04
24+2
−3
0.15+0.03
−0.04
247+3
−2
−
−
−
0.58+0.18
−0.14
−
0.16+0.19
−0.13
0.70+0.15
−0.17
• Modello 4 Per il modello di de Vacouleurs troviamo simili correlazioni: rs , γ, b ed
h correlano tra loro ed anticorrelano con Re , che assume il ruolo di α.
• Modello 5 Per il modello di Hubble otteniamo le stesse correlazioni del modello
di de Vacouleurs, una volta che Re sia sostituito con il raggio di core s.
6.2
Applicazione ad un sistema reale: PG1115+080
PG1115+080 consiste di 4 immagini (A1 , A2 , B and C) di un QSO a zs = 1.722, con una
galassia ellittica come lente, che appartiene ad un gruppo di galassie situate a zd = 0.31.
Questo gruppo ha un centroide luminoso (rg , θg ) = (2000 ± 0.200 , −1170 ± 30 ) adattato al
profilo della galassia lente con un modello di de Vaucouleurs con Re = 000 .58 ± 000 .05, ed
ellitticità ∼ 0.1, ed angolo di posizione ∼ 650 .
Usiamo le coordinate delle immagini ed i time delays misurati. In particolare ∆tBC =
25.0 ± 1.7 days, il rapporto tra i time delays è rABC = ∆tAC /∆tBA = 1.13+0.18
−0.17 .
Raggruppando tutti i risultati di h in un istogramma, otteniamo una stima complessiva
per H0 = 58 ± 17 km s−1 Mpc−1 .
Figura 6.1: Angolo di deflessione il funzione della coordinata r (linea continua) e le rette
r − rS (linee tratteggiate), per il Modello 5, per vari valori di b.
52
CAPITOLO 6. REGIMI DEL LENSING E QUANTITÀ OSSERVABILI
Anello di Einstein
L’immagine più caratteristica, e purtroppo più rara, è costituita dall’anello di Einstein;
quest’ immagine si realizza quando sorgente, lente ed osservatore sono allineati. Qui
in pratica, quelle che prima costituivano delle immagini multiple, adesso si fondono,
formando un’unica imagine anulare attorno alla lente. Inoltre siccome la maggior parte
degli ammassi non sono distribuzioni di massa rigorosamente sferiche e dato che l’allineamento tra lente e sorgente non è mai usualmente perfetto, non sono mai stati rinvenuti
anelli di Einstein completi attorno ad ammassi. Tuttavia ci sono esempi noti di particolari archi spettacolari che sono curvi intorno al centro dell’ammasso, con lunghezze fino
a 20 arcosecondi.
Lo studio dell’anello di Einstein è molto importante per connettere i vari modelli
cosmologici alle proprietà dell’evoluzione delle galassie lenti. Un approccio statistico
su tali proprietà può condurre alla stima della dispersione di velocità σv anche usando
semplici modelli di lente. Sarà importante ricavare l’andamento di σv in funzione del
redshift zd , e l’uso del modello SIS, per esprimere la separazione delle immagini in
funzione delle distanze in gioco (distanza sorgente-osservatore, lente-sorgente, etc.).
La determinazione dei parametri cosmologici, in particolare del parametro di densità,
rimane uno dei più importanti metodi per comprendere l’universo; dallo studio delle
supernove Ia, infatti, è stato possibile stimare i tre parametri di densità, fornendo i
seguenti risultati: Ωm = 0.3 e ΩΛ = 0.7, i quali, uniti alla consistenza di Ωk con zero,
giustificano l’ipotesi di un universo in accelerazione. In quest’ottica il GL risulta essere lo
strumento più efficace per studiare le galassie in base alla loro massa, (e non in base alla
loro luminosità apparente), e per analizzare un universo più lontano di quello osservabile
con altre tecniche.
In un sistema di coordinate polari centrato sulla galassia lente, l’equazione della lente
diventa
r − rs cos(θ − θs ) = ∂r ψ,
1
rs sin(θ − θs ) = ∂θ ψ,
r
(6.16)
(6.17)
dove (rs , θs ) indicano la posizione della sorgente e ψ rappresenta il potenziale adimensionale di lensing, che possiamo anche scrivere come
1
ψ = F (θ)rα − γr2 cos 2(θ − θγ ),
2
(6.18)
in cui γ è lo shear esterno mentre θγ è la sua orientazione; possiamo supporre la parte
angolare F (θ) come
1
F = ((1 − ²) sin2 (θ − θq ) + (1 + ²) cos2 (θ − θq )) 2 ,
(6.19)
q
1−²
dove ² è l’ellitticità, q =
1+² il tasso assiale di potenziale di lensing e θq la sua
orientazione, scelta opportunamente.
Inserendo la (6.18) nell’eq. (6.16) e (6.17) , e quadrando il tutto si ottiene l’espressione
(xF − xγ
)2
(x − y)2
= |x|2 ,
+ (xF 0 − xγ )2 − |xγ |2
(6.20)
dove abbiamo definito le seguenti quantità
x ≡ (r, θ), y ≡ (rs , θs ), xγ ≡ (γ, 2θγ ),
xF ≡ (rα−2 αF, 2θ), e xF 0 ≡ (−rα−2 ∂θ F, 2θ + π2 ).
Se poniamo |y| = 0 nella (6.20), si ricava l’equazione dell’anello di Einstein
(xF − xγ )2 + (xF 0 − xγ )2 − |xγ |2 = 1.
(6.21)
6.2. APPLICAZIONE AD UN SISTEMA REALE: PG1115+080
53
In particolare, quando è assente lo shear |xγ | = 0 abbiamo
|xF |2 + |xF 0 |2 = 1.
(6.22)
r2(α−2) (α2 F 2 + F 02 ) = 1.
(6.23)
la quale si riduce alla
Se invece il potenziale della galassia è asimmetrico , con F (θ) = b, allora l’eq. (6.21)
diventa
(xγ − xF =b )2 = 1.
(6.24)
In questi casi è comunque semplice dare un’espressione analitica per l’anello di Einstein,
esprimendo r in funzione di θ. Infine se consideriamo un potenziale asimmetrico con un
core interno rc ed uno shear esterno le equazioni (6.20) e (6.21) diventano
(x − y)2
= |x|2 ,
(xb − xγ )2
µ
dove abbiamo posto xb ≡
√
(xb − xγ )2 = 1.
¶
, 2θ .
2
(6.25)
(6.26)
b
r 2 +rc
Dall’analisi dell’equazione di Einstein è possibile ricavare una stima della costante di
Hubble, utilizzando sorgenti variabili, ma questo sarà fatto in seguito.
Adesso risulta importante ricavare il legame che intercorre tra l’anello di Einstein (in
particolare i suoi semiassi) e i parametri della lente e quelli cosmologici. Considerato
quindi il potenziale espresso nella (6.18), con α = 1.
• Se le orientazioni della lente θq e dello shear θγ hanno la stessa direzione, allora i
valori del semi-asse maggiore e del semi-asse minore sono rispettivamente
√
b 1+²
aM =
(6.27)
,
1−γ
√
b 1−²
am =
;
(6.28)
1+γ
• Se le orientazione sono prese in direzioni opposte, i due semi-assi sono rispettivamente
√
b 1−²
,
a1 =
(6.29)
1−γ
√
b 1+²
.
a2 =
(6.30)
1+γ
q
1−γ
In quest’ultimo caso, se q =
1+γ , allora a1 = a2 , cioè si ha che le due ellitticità si
compensano per generare un anello di Einstein di forma circolare. Nel caso di potenziale
con core rc otteniamo
p
b2 − rc2 (1 − γ)2
aM =
,
(6.31)
1−γ
p
b2 − rc2 (1 + γ)2
am =
;
(6.32)
1+γ
le quali mostrano una dipendenza decrescente da rc .
54
CAPITOLO 6. REGIMI DEL LENSING E QUANTITÀ OSSERVABILI
Consideriamo adesso un potenziale di lensing del tipo ψ = br, che corrisponda ad
una sfera isoterma singolare, la relazione
³ σ ´2 D
c
ds
b = 4π
(6.33)
,
c
Ds
dove σc è la dispersione di velocità, mentre Ds e Dds sono le distanze osservatore sorgente e lente - sorgente. Essendo il rapporto DDds
una funzione dei parametri cosmos
logici Ωm e ΩΛ e dei redshift di sorgente e lente, si può utilizzare la (6.33) per ricavare
una stima dei parametri di densità mediante fit di dati osservativi. I valori ottenuti
per i parametri sono ΩΛ ≈ 0.75 ed Ωm ≈ 0.19, come si può notare dalla figura 6.2 che
purtroppo presentano grosse incertezze a causa dell’elevato errore sulla dispersione di
velocità.
0
1.25
1.3
-0.2
ωX
-0.4
-0.6
-0.8
-1
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
ΩM
Figura 6.2:
Dds
Ds
in funzione di Ωm e ΩΛ
Se un sistema di lente ha un anello di Einstein circolare circolare con raggio rE , allora
operando un fit su di una SIS, dalla (6.21) si avrebbe
³ σ ´2 D
ds
c
rE = b = 4π
,
(6.34)
c
Ds
mentre nel caso di anelli ellittici, se poniamo γ = 0, dalle (6.27) e (6.28) si ha
p
a± = rE 1 ± ²ring ,
(6.35)
dove ²ring è l’ellitticità dell’anello, dovuta alla distribuzione globale di massa che genera
la lente.
Oltre ai parametri di densità è possibile valutare anche la dispersione di velocità in
un certo range; infatti dal fit ricaviamo il χ2 :
¶2
µ
n
X
rE c2
Dds
−2
,
χ2 =
σerr
−
(6.36)
8πσi2
Ds
i=1
dove n è la dimensione del campione ed σerr è l’incertezza della separazione ∆r. Tra
l’altro si possono assumere due andamenti per la σv , ovvero
σv (z)
σv (z)
= σ0 (1 + z)νv ,
= σ0 eνv (1+z) ,
(6.37)
(6.38)
6.3. STRONG LENSING DA AMMASSI
55
in cui σ0 è la dispersione di velocità a z = 0, cioè in assenza di evoluzione. Minimizzando
il χ2 nella (6.36), per un modello non evolutivo, si ottiene σ0 = 248±4 con una confidenza
del 68%; un modello evolutivo, invece, porta a valori più bassi per la σ0 ed anche ad una
migliore minimizzazione del χ2 , anche se non è il valore teorico. Infatti con fit migliori si è
ottenuto σ0 = 157±9 al 68%. Davis et al. nel 2003 trovò un valore 168 ≤ σ ≤ 200kms−1 ,
che tocca marginalmente quello ottenuto in precedenza; naturalmente l’accordo migliora
se si considera un intervallo di confidenza più ampio.
6.3
Strong Lensing da ammassi
Giunse alquanto inaspettata la scoperta nel 1986, ([55], [82]), di immagini magnificate,
distorte e fortemente elongate di galassie di background retrostanti ammassi di galassie.
Ricchi ammassi di galassie a redshift superiori a z ≈ 0.2 con masse dell’ordine di 1014 M¯
sono lenti molto efficaci se condensate centralmente; in genere i loro raggi di Einstein
sono dell’ordine di 20 arcosecondi.
Figura 6.3: Spettacolare immagine di Strong Lensing. Abell 2218
Archi Giganti ed Archetti
Gli archi giganti possono essere studiati in vari modi. Forniscono immagini fortemente
magnificate di galassie ad alto redshift, altrimenti troppo deboli per essere rinvenute
senza fenomeni di lensing: questo permette di analizzare strutture nei loro stati evolutivi
primitivi, possibilmente anche proto-galassie.
Un’altra applicazione pratica degli archi è quella di usarli come strumenti per la
determinazione del potenziale e della distribuzione di massa della lente. La posizione
di un arco in un ammasso, infatti, fornisce un modo semplice per stimare la massa
proiettata all’interno del cerchio osculatore dell’arco. Per una lente a simmetria circolare,
la densità di massa superficiale media all’interno della curva critica, hΣi, eguaglia la
56
CAPITOLO 6. REGIMI DEL LENSING E QUANTITÀ OSSERVABILI
densità di massa superficiale critica, Σcr . Dalla (6.7) si ha infatti,
k(xt ) ⇒ hΣ(θt )i = Σcr .
Dato che gli archi giganti orientati tangenzialmente si presentano approssimativamente
nella curva critica tangenziale, il raggio θarc del cerchio tracciato dall’arco dà una stima
del raggio di Einstein θt dell’ammasso. Si ha così
hΣ(θt )i ≈ Σcr ,
e per la massa racchiusa entro θ = θarc
µ
M (θarc ) = πΣcr (Dd θarc )2 ≈ 1.1 × 1014 M¯
θarc
3000
¶µ
Dd Ds
Dds · 1Gpc
¶
.
Assumendo un modello di SIS per la distribuzione di massa, allora si ha una stima della
dispersione di velocità dell’ammasso,
µ
3
σ ≈ 10 kms
−1
θarc
2800
¶ 12 µ
Ds
Dd
¶ 12
.
La stima sulla massa si basa su assunzioni molto semplici e può essere migliorata modellando gli archi con distribuzioni di massa parametrizzate ed effettuando dettagliate regressioni lineari. Alcuni risultati generali ottenuti con l’analisi degli archi sono: gli ammassi di galassie sono dominati dalla materia oscura; il tipico rapporto massa/luminosità
è M/L ≥ 100M¯ /L¯ . Inoltre la materia oscura segue sommariamente la distribuzione
luminosa in galassie, in particolare nelle regioni centrali. La presenza degli archi mostra
che la densità superficiale nelle regioni centrali deve essere molto forte. Il raggio del core,
dove il profilo di massa si appiattisce verso il centro, ha come limite superiore proprio il
raggio di curvatura degli archi giganti.
Dalle figure si evidenziano numerosi archetti, evidenziando anche un comportamento
tipico che chiariremo in seguito: le immagini rosse prevalgono all’esterno mentre gli
archi mostrano un colore blu. Lo studio degli archi permette anche di determinare la
geometria dell’universo, argomento che affronteremo in seguito.
6.3.1
Weak lensing
Gli eventi di SL sono piuttosto rari. D’ altro lato il WL influenza ogni linea di vista nell’
universo, dato che ogni traiettoria fotonica è affetta dalle inomogeneità della materia. Il
problema è quindi l’ accuratezza nella misurazione dell’ effetto. Gli effetti di WL consistono in una piccola deformazione nella forma dell’ immagine di un oggetto cosmico,
un leggero cambio nel suo flusso luminoso osservato o un modesto spostamento nella sua
posizione, effetto, quest’ ultimo in genere non misurabile data la non conoscenza della posizione non affetta dal lensing. I primi due effetti, invece, non possono essere determinati
su immagini singole. La misura della distorsione richiede, ad esempio, una procedura di
media sulle immagini dato che il WL agisce come una deformazione coerente. L’ idea di
misurare le distorsioni e gli allineamenti tangenziali delle deboli sorgenti di background
si è però scontrata con problemi tecnici osservativi risolti solo con l’ affinamento della
tecnologia CCD. Le osservazioni richiedono inoltre siti astronomici con eccellenti condizioni di seeing, camere a largo campo, disponibilità di metodi di analisi. La prima
misura effettiva di un segnale coerente di WL risale al 1990 e riguarda gli ammassi Abell
1689 e CL1409+52 [86]. Fu mostrato che l’ orientazione delle galassie di background,
vale a dire l’ angolo del semiasse maggiore dell’ immagine ellittica relativo ad un asse di
riferimento, mostrava un prevalente andamento tangenziale. Una popolazione inaffetta
dal lensing di galassie, invece, non dovrebbe presentare nessuna direzione preferenziale,
data l’ orientazione casuale intrinseca delle galassie di background.
Capitolo 7
Determinazione dei parametri
cosmologici
Le osservazioni di GL forniscono diverse possibilità per stimare i parametri cosmologici
ΩM , ΩΛ , H0 che compaiono nell’ equazione del lensing attraverso le distanze diametro
angolari. Stime sono possibili sia studiando fenomeni di SL, attraverso l’ individuazione
delle curve critiche,e le misure dei time delays, sia in regime di WL, con lo studio dell’
andamento dei parametri della lente, k e γ, al variare del redshift delle galassie sorgenti.
In questo capitolo saranno descritte le varie tecniche proposte per la determinazione
della geometria dell’ universo con osservazioni di SL.
I metodi proposti sono basati sulla determinazione dei vari rapporti delle distanze
diametro angolari Dds /Ds o Dds /(Ds Dl ).
Il primo paragrafo contiene di archi luminosi giganti. Tali osservazioni permettono
diverse possibilità, tutte, però, legate dalla necessità di disporre di un modello parametrico per la distribuzione di massa superficiale del deflettore. Saranno studiati il modello
SIS e generici modelli a legge di potenza, che permettono determinazioni analitiche dei
parametri cosmologici, ed una lente a potenziale di deflessione ellittico, che richiede una
computazione numerica.
Il secondo paragrafo contiene lo studio delle applicazioni cosmologiche del time delay
nello strong lensing di quasars.
7.1
I parametri cosmologici mediante archi luminosi
Abbiamo visto come la posizione delle curve critiche dipenda dal rapporto delle distanze
diametro angolari Dds /Ds e come questa quantità sia funzione, oltre che dei redshift di
deflettore e sorgente, dei parametri cosmologici. Se la distribuzione di massa della lente
è nota, la posizione angolare delle curve critiche fornisce immediatamente informazioni
sui parametri cosmologici. Osservativamente, il metodo più immediato per individuare
le linee critiche è la ricerca di archi luminosi giganti che, con buona approssimazione, ne
indicano la distanza dal centro stimato dell’ ammasso. Inoltre il redshift della sorgente
magnificata è facilmente determinabile per via spettroscopica.
Il problema che si pone per risalire dalla posizioni delle curve critiche al valore del
rapporto Dds /Ds è la conoscenza della distribuzione di massa. In prima ipotesi si possono considerare sistemi con distribuzione di massa superficiale assi-simmetrica, per i
quali il raggio critico tangenziale verifica la condizione,
θt2 =
4GM (θt ) Dds
;
c2 Dd Ds
(7.1)
Misurato θt e noti i parametri in cui è espressa la massa proiettata M (θ) della lente
(dispersione di velocità σ, raggio di core rc ed altri) si ricava l’ informazione cercata
sulla combinazione di distanze. In particolare per la SIS, la massa proiettata dipende
57
58
CAPITOLO 7. DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI COSMOLOGICI
linearmente dalla distanza dal centro,
M (θ) =
πσ 2
Dd θ ,
G
(7.2)
per cui la (7.1) diventa
³ c ´2 θ
Dds
t
(7.3)
=
.
Ds
σ 4π
Nota la dispersione di velocità σ si determina il rapporto di distanze. Tuttavia, l’
incertezza osservativa su σ non è inferiore al 10% e dato che, per la (7.3), gli errori
relativi sono legati da
´¯
¯ ³
¯
¯ ∆ Dds ¯
¯
¯
¯
¯
¯
¯ ³ Ds´ ¯ = 2 ¯ ∆σ ¯ ,
(7.4)
¯ Dds ¯
¯ σ ¯
¯
¯
D
s
Dds /Ds si stima con una incertezza del 20%, che permette solo di porre deboli vincoli
sui parametri cosmologici, anche nell’ ambito di universi FL. Inoltre l’ ipotesi di SIS è
piuttosto schematica ed andrebbe superata.
Per cercare di ridurre l’ incertezza contenuta nella distribuzione, consideriamo i generici andamenti a legge di potenza. Imponendo la condizione m(x) = x2 alla distribuzione
di materia, si ha per il raggio tangenziale
xδt =
2k(1)
,
2−δ
(7.5)
che riscritta in coordinate angolari, ponendo cioè la lunghezza di scala ξ0 = Dd , diventa
µ
¶1 µ
¶1
8πG Σa aδ 1−δ δ Dds δ
θt =
.
(7.6)
D
c2 2 − δ d
Ds
Il raggio angolare, così, dipende ancora dalle caratteristiche della lente, oltre che dalla
cosmologia; per δ = 1 ci si riduce alla SIS. Per un sistema a sorgenti multiple distribuite
nel redshift, il primo fattore al secondo membro della (7.6) resta fissato, e solo il secondo
varia tra le sorgenti: il considerare un sistema ad archi multipli permette, quindi, di
svincolarsi dalla distribuzione di massa, qualora questa sia espressa da una legge di
potenza. Tali sistemi ad archi multipli sono stati realmente osservati . Il rapporto tra i
raggi di Einstein per due sorgenti, l e m, è, [52],
" (l) # δ1 "
#1
(m) δ
Dds
θl
Ds
.
=
(7.7)
(l)
(m)
θm
Ds
D
ds
Combinando questa relazione per tre archi, l, m e n è possibile eliminare δ,
(l)
(m)
(m)
(l)
ln[Dds Ds /Dds Ds ]
ln(θl /θm )
=
.
(l) (n)
(n) (l)
ln(θl /θn )
ln[Dds Ds /Dds Ds ]
(7.8)
Il primo membro della (7.8) è una quantità osservabile, in principio direttamente misurabile, mentre il secondo membro è un fattore cosmologico, calcolabile per ogni modello
di universo dato il redshift della lente e degli archi: il raggio relativo degli archi giganti
ha sensibilità cosmologica e fornisce un test diretto per i vari modelli.
In realtà, le lenti gravitazionali presentano una distribuzione di massa più complessa
di quella utilizzata finora e non costituiscono sistemi risolubili analiticamente. Inoltre
anche per i semplici modelli descritti, sorgenti leggermente discoste dall’ asse ottico
del sistema osservatore-lente introducono errori addizionali nella stima della posizione
dei raggi critici. Si rende quindi necessario operare per metodi numerici in modo da
generalizzare ulteriormente il discorso fatto fin qui.
Il più immediato miglioramento consiste nell’ utilizzare potenziali di deflessione
ellittici della forma, [52], [11],
ψ(θ1 , θ2 ) =
(b2 )(1−q) 2
[s + (1 + εc )θ12 + 2εs θ1 θ2 + (1 − εc )θ22 ]q .
2q
(7.9)
7.2. APPLICAZIONI DEL TIME DELAY
59
In questa espressione, b è il raggio angolare critico, in arcosecondi, per una lente assisimmetrica (εc = εs = 0) con s = 0, s è il raggio angolare di core, q è un indice della
legge di potenza della distribuzione di massa (0 ≤ q ≤ 0.5), e εc e εs sono collegati all’
angolo di posizione ϕ dell’ asse maggiore e alla ellitticità ε del potenziale da
εc = ε cos(2ϕ) ,
(7.10)
εc = ε sin(2ϕ) .
(7.11)
Per estendere la (7.9) a sorgenti multiple, per le quali b varia col redshift, scriviamo
ψ(θ1 , θ2 ) =
Dds (b2 )(1−q) 2
[s + (1 + εc )θ12 + 2εs θ1 θ2 + (1 − εc )θ22 ]q ,
Ds
2q
(7.12)
dove ora una sorgente in zs ha raggio critico, per εc = εs = s = 0,
µ
bzs =
Dds
Ds
1
¶ 2−2q
b.
(7.13)
I parametri che compaiono nella (7.12), tra cui ΩM e ΩΛ tramite le distanze diametro
angolari, saranno trovati minimizzando una funzione di merito costruita in modo da
avere una unica soluzione.
7.2
Applicazioni del time delay
Il primo ad auspicare che una misura del time delay potesse condurre ad effettuare stime
della costante di Hubble fu Refsdal, che nei suoi primi lavori oltre ad ottenere un’espressione esplicita per ∆t, in un primo momento a piccoli redshift e poi a livello decisamente
cosmologico, fornisce le probabilità che una sorgente sia soggetta a lensing e il time delay
∆t si possa misurare.
Si supponga di aver misurato il time delay per due immagini, locate ad una certa
distanza dall’asse ottico. Vale cioè la relazione
( Ã
!
)
2rg
1 ∂ ψ̃ ~
∂ ψ̃ ~
~
~
∆t12 =
(1 + zd )
(θ1 ) −
(θ2 ) − (ψ̃(θ1 ) − ψ̃(θ2 ) ,
(7.14)
c
2 ∂ θ~
∂ θ~
essendo ψ̃ il potenziale di Fermat. Essa fu manipolata da Refsdal ottenendo:
H0 ∆t = T f (θ~1 , θ~2 , zs , zd ),
(7.15)
in cui si è definito il fattore di correzione cosmologica:
T ≡
zs − zd
H0 Dd Ds
(1 + zd )
,
c Dds
zs zd
(7.16)
e la funzione f , dipendente solo dalle posizioni delle immagini e dal modello di lente, è
data da:
zs zd
~ − φ(θ~2 , β)].
~
[φ(θ~1 , β)
f≡
(7.17)
zs − zd
Il fattore T dipende puramente dal modello di universo in cui si lavora, dipendendo
infatti dalle distanze di diametro angolare, quindi da Ω, H0 , e inoltre dai redshift di
lente e sorgente; d’altra parte la funzione f è vincolata solo alla scelta del modello di
lente, alla posizione delle immagini e ai due redshift sopra menzionati. Le operazioni
effettuate sull’espressione del time delay hanno permesso di ottenere un’espressione in
cui i contributi dovuti al modello di universo e il modello di lente scelto risultano, così
separati. Inoltre, il fattore T mette ancora più in evidenza le differenze esistenti tra il
caso in cui l’universo sia asintoticamente piatto e il caso di un universo in espansione;
infatti, per redshift piccoli T → 1.
60
CAPITOLO 7. DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI COSMOLOGICI
Ciò evidenzia ancora meglio l’importanza della fattorizzazione effettuata per T ; la
costante di Hubble è presente come membro a sé e non compare né in T né in f . La
funzione T dipende invece in maniera significativa dal modello di universo e quindi dal
contenuto di materia al suo interno, dipendenza data da Ω0 , dal parametro di smoothness α̃ e dalla costante cosmologica.
La fattorizzazione effettuata consente, d’altra parte di seguire due canali di indagine. Il
primo, noto il time delay e fissati il modello della lente e di universo, consente di determinare H0 ; l’altra strada invece permette, misurato ∆t, fissato il modello della lente e
ottenuta H0 per altra via, di determinare T e confrontarla con il valore teorico che essa
assume, vincolando così il modello cosmologico.
Si supponga di voler seguire il primo percorso e quindi effettuare una stima della costante
di Hubble, noti una volta per tutte il time delay e il modello di lente e tralasciando le
fonti di errori sia di tipo sperimentale sia dovuti al non perfetto accordo tra il modello di
lente e le osservazioni. La misura del time delay (di un quasar ad esempio) non fornisce
alcuna informazione sugli altri parametri cosmologici da cui dipende T : i valori di Ω0 e
Λ devono essere ricavati per altra via.
Per redshift molto piccoli, cioè in una situazione in cui gli effetti cosmologici non sono
rilevanti, nell’espressione del time delay non è infatti presente T ; quindi, il fenomeno
non dipende da alcun parametro cosmologico, fatta eccezione per H0 . La funzione T
fornisce una correzione all’espressione del time delay, introducendo due nuovi parametri
liberi: in sostanza, essa fornisce una misura dell’errore che si potrebbe commettere nell’usare dei particolari valori di Ω0 e Λ. Tale possibile fonte di errore può essere diminuita
opportunamente se si fa in modo che T non si discosti molto da 1.
Figura 7.1: Archi giganti tangenziali, curva critica, caustica ed anello di Einstein per un
2
potenziale ellittico oemoidale ψ = aF (rell
).
Figura 7.2: Curva critica, caustica, posizioni delle immagini (punti chiari) e sorgente
(punto scuro) per un potenziale ellittico oemoidale.
Capitolo 8
Conclusioni
Il presente lavoro è stato dedicato ad uno studio fondamentalmente teorico del gravitational lensing (GL), cioè quella teoria che descrive gli effetti di un campo gravitazionale
sulla propagazione della radiazione elettromagnetica, usualmente descritta in termini di
raggi. Nella stesura della tesi abbiamo descritto la variegata fenomenologia, i fondamenti concettuali ed il formalismo essenziale del GL (nell’ ambito della teoria generale
della relatività), mettendone in rilievo le potenzialità applicative in astrofisica ed in
cosmologia.
Oggi le osservazioni di eventi di GL mostrano fenomeni spesso anche molto spettacolari:
• Immagini multiple di quasars;
• Immagini ad anello (Einstein’s rings);
• Archi luminosi giganti;
• Microlensing;
• Distorsione di immagini nel weak lensing.
Abbiamo visto come le prime quattro classi di fenomeni rientrano nel cosiddetto regime
di strong lensing, dovuto ad una profonda deformazione del fronte d’onda della radiazione proveniente della sorgente, il quale si spiega producente la diversità di fenomeni
indicata. Si è mostrato che l’abilità di una lente di innescare il regime di strong lensing
dipende dalla geometria complessiva del sistema osservatore-lente-sorgente, piuttosto
che dalla massa della lente. Per descrivere le basi concettuali ed il formalismo essenziale
del GL abbiamo seguito l’approccio più comune, che si basa sull’ approssimazione quasi
Newtoniana, secondo la quale il formalismo che descrive lo spaziotempo della relatività
generale è ridotto, tramite assunzioni ed approssimazioni, a termini essenzialmente Newtoniani (spazio Newtoniano, tempo Newtoniano, campo gravitazionale Newtoniano), Il
formalismo quasi Newtoniano del lensing appare in diverse varianti caratterizzate tuttavia dalla comune proprietà di essere tutte approssimazioni di campo debole, nel senso
che la metrica dello spazio-tempo è decomposta in un termine di background (spaziotempo in assenza di lente) e di una debole perturbazione di tale background (campo gravitazionale della lente). Per il background si è assunto generalmente o lo spaziotempo di
Minkowski (lente isolata), o una metrica di Friedman Robertson Walker (lente immersa
in uno spaziotempo curvo descritto tramite un modello cosmologico). Il background
allora definisce uno spazio Euclideo 3-d simile a quello Newtoniano, ed il campo gravitazionale della lente è simile a quello Newtoniano su tale spazio Euclideo. Trattare la
lente come la sorgente di una debole perturbazione del background significa che il suo
campo gravitazionale (Newtoniano)produca solo piccole deviazioni dei raggi luminosi
delle rette nello spazio Euclideo 3-dim. Tali deviazioni sono descritte per il tramite di
un angolo di deflessione, che dipende appunto dal potenziale gravitazionale newtoniano
della lente. Nella sua versione più tradizionale il formalismo assume che la lente sia
61
62
CAPITOLO 8. CONCLUSIONI
sottile, e che la lente e la sorgente siano ferme nello spazio Euclideo 3-dim. Esistono
anche varianti per lenti spesse ed in moto. Il cuore del formalismo quasi Newtoniano
è costituito dall’ equazione della lente o lens mapping che fornisce una corrispondenza
tra le posizioni di una immagine lensata, e la corrispondente immagine non lensata. In
genere una lente sottile a riposo è descritta tramite il proprio potenziale Newtoniano
assegnato su di un piano nello spazio Euclideo 3-dim. Si è assunto che i raggi siano
rette nello spazio Euclideo 3-dim., deflessi in prossimità del piano della lente. Allora,
per un osservatore fermo e per delle sorgenti distribuite su di un piano parallelo al piano
della lente il lens map è un’applicazione (non lineare) tra il piano della lente e quello
della sorgente, rappresentabile, quindi in forma matriciale. Da questo punto in poi il
nostro studio e quello del GL è consistito nello studio dell’ equazione della lente e delle
sue proprietà fondamentali. Caratterizzando appropriatamente il lens mapping è stato possibile introdurre anche quantità osservabili principali: l’amplificazione luminosa,
espressa tramite il determinante Jacobiano, lo shearing e il focusing delle immagini,
espresse tramite opportuni elementi della matrice del lens mapping. Tale procedura è
stata poi specificata nel caso di alcuni semplici modelli di lente, di natura soprattutto didattica, quali la lente puntiforme o quella di Schwarzschild, che descrivono la geometria
dello spazio-tempo intorno ad una massa puntiforme ed una distribuzione a simmetria
sferica rispettivamente. Tali modelli presentano tuttavia lo svantaggio di essere singolari, e ciò limita il loro utilizzo per le lenti reali, cioè galassie ed ammassi di galassie1 .
É stato quindi necessario estendere lo studio dell’ equazione della lente a modelli non
singolari con distribuzione di massa continua, usualmente utilizzati in astrofisica per
lo studio dinamico delle galassie e degli ammassi di galassie, quali ad esempio la sfera
isoterma singolare.
Avendo fornito le basi teoriche dl lensing gravitazionale abbiamo discusso alcuni aspetti importanti nello studio di sistemi reali, quali la scelta del modello di lente e la sua
influenza sui parametri fisici del sistema. Si è visto come il lensing gravitazionale agisce
da potente mezzo di indagine nello studio delle proprietà locali e globali dell’ universo e
delle caratteristiche strutturali delle galassie che fungono da lente. In particolare il Gl
e la dinamica di massa di galassie lente. Ciò permette di studiare la distribuzione della
materia oscura e luminosa al di là dei limiti osservativi delle singole tecniche, soprattutto per galassie ad alto redshift (z > 1). Particolare attenzione è stata riservata al caso
specifico di quasars quadrupli, cioè quasar di cui la lente abbia prodotto quattro immagini, illustrando una tecnica di ricostruzione del potenziale gravitazionale sulla base di
quantità osservabili. Tuttavia gli aspetti più affascinanti dello studio del lensing gravitazionale sono quelli connessi alle problematiche cosmologiche più recenti, in particolare
la determinazione dei parametri cosmologici e l’esistenza della cosiddetta energia oscura.
Infatti durante l’ultima decade le informazioni provenienti da un abbondante e variegata
messe di dati osservativi sono andate progressivamente aumentando delineando un nuovo, seppur ancora incompleto, ritratto dell’ universo. Piccole anisotropie della radiazione
cosmica di fondo sono state evidenziate nelle ultima campagne osservative (MAXIMA
e BOOMERANG), favorendo l’ipotesi di un Universo piatto (de Bernardis et al. 2000,
Nature; 404, 955). Sembra ormai evidente che una grande frazione di materia nell’
universo sia non barionica; mentre dalle osservazioni delle Supernovae Ia gli astronomi
deducono che la costante cosmologica è non nulla e che contribuirebbe con circa il 70%
alla quantità totale di energia nell’ Universo (Perlmutter S. et al., 1998, Nature, 391,15).
Questa circostanza pone enormi problemi di natura squisitamente teorica circa l’origine
di una tale forma di energia oscura, che si cerca oggi di interpretare in termini di un
1 In realtà, la questione dell’ andamento del profilo di densità nella zona centrale delle galassie e degli
ammassi, ed in particolare la presenza o meno di singolarità, è estremamente importante in astrofisica,
essendo legata alle teorie di formazione delle strutture, ed in particolare ai risultai delle simulazioni
numeriche effettuate nel framework del modello cosmologico standard, il cosiddetto modello (Lambda)
Cold Dark Matter (Λ-CDM). Sebbene tale modello abbia riscosso un grande successo nel riprodurre
con estrema accuratezza la struttura a grande scala dell’universo, risultati non altrettanto confortanti
si sono ottenuti per quanto riguarda la struttura dell’universo su scale più piccole: quelle degli ammassi
e delle galassie appunto. Si può anzi parlare addirittura di fallimento di tale teoria per quanto riguarda
la previsione dell’ abbondanza di galassie satelliti, o parziale assenza di cuspidi nelle densissime regioni
interne degli aloni galattici, previste delle simulazioni numeriche.
63
fluido cosmologico con pressione negativa (Quintessenza). In questa che è stata definita
l’era di una Nuova Cosmologia, si aprono nuovi scenari, che richiedono grandi sforzi
sia teorici che osservativi, al fine di chiarire alcuni dei principali problemi riguardanti
la struttura e l’evoluzione dell’ Universo, e dei quali oggi si possono solo intravedere le
soluzioni. In tale contesto il GL costituisce uno strumento d’indagine particolarmente
efficace soprattutto ad alto redshift, dove l’applicabilità della maggior parte delle altre
tecniche tradizionali (dinamica di galassie ed ammassi, studio dell’ emissione X, etc.)
diventano proibitive.
Sono possibili due strategie differenti per impiegare i sistemi di lenti gravitazionali
al fine di esplorare lo spazio dei parametri cosmologici dell’ Universo. Il primo consiste
nell’ indagare un particolare sistema di lente gravitazionale in grande dettaglio, cercando
di determinare tutti i possibili parametri osservativi (posizione e numero di immagini,
amplificazione, time delay, etc.) e di realizzare un modello di lente che sia il più possibile
raffinato. in questo modo si può in linea di principio determinare la quantità di materia
oscura nella lente e -cosa più interessante- vincolare i parametri cosmologici, oltre che
ottenere una misura affidabile della costante di Hubble. Ricordiamo che una misura
accurata di questo parametro fornisce la scala delle distanze extragalattiche, cosa che gli
astronomi stanno cercando din fare da oltre settanta anni. (Refsdal S., 1964, MNRAS,
128,307). Il secondo metodo è di natura statistica e consiste nel contare il numero di lenti
gravitazionali rivelate all’interno di una survay, e di caratterizzarne la distribuzione in
termini di un certo insieme di quantità osservabili. È noto che tale distribuzione dipende
dai modelli cosmologici di riferimento, oltre che dai parametri dei modelli della lente. Nel
nostro lavoro di tesi ci siamo concentrai essenzialmente sul primo approccio discutendo in
particolare il time delay tra immagini multiple di QSOs lensati e dallo studio sull’ anello
di Einstein, il cui raggio è funzione del rapporto Dds /Ds . Tale rapporto di distanze,
in base alle equazioni di Friedmann, che governano la dinamica dell’ universo, si scrive
in funzione dei parametri di densità. Un’analisi formalmente equivalente può essere
applicata al caso degli archi giganti negli ammassi di galassie, la cui posizione infatti
dipende dal medesimo rapporto Dds /Ds . Abbiamo quindi visto come si possono stimare
i parametri cosmologici, confermando in casi reali l’ipotesi di un Universo accelerato
dominato da una forma oscura di energia, sulla cui natura per ora è possibile solamente
avanzare ipotesi, spesso estremamente audaci.
64
CAPITOLO 8. CONCLUSIONI
Appendice A
Derivazione Dell’equazione di
Einstein
In quest’appendice ricaveremo l’equazione di Einstein e definiremo alcuni fattori importanti per lo studio e l’utilizzo della metrica dello spazio. Infatti Einstein per primo
propose che gli effetti gravitazionali fossero proprietà intrinseche della geometria dello
spazio-tempo.
L’intervallo differenziale tra due eventi è dato da
ds2
con i e k
= c2 dt2 − dx2 − dy 2 − dz 2
= gik dxi dxk ,
= 0, 1, 2, 3. e gik = gki
La metrica piana si esprime con

ηik
1 0
 0 −1
=
 0 0
0 0
0
0
−1
0
∂
gik (P ) = ηik ed
g (P ) = 0
j ik
∂x

0
0 

in cui
x0 = ct .
0 
−1
Inoltre si ha
½
g ik gik = δli con
δli = 0
δli = 1
se i 6= l
se i = l
In uno spazio-tempo non euclideo la nozione di derivata (ordinaria) perde di significato;
ciò è dovuto alla curvatura dello spazio che modifica quindi la direzione lungo la quale
si va a derivare, perciò viene introdotto il trasporto parallelo e la nozione di derivata
covariante, già definita nel capitolo 1.2.
Infatti mediante la procedura del trasporto parallelo definiamo la derivata covariante di
un vettore Ai come
Ai;k =
∂Ai
− Γjik Aj .
∂xk
(A.1)
dove Γjik che forniscono la connessione metrica, sono i cosiddetti coefficienti di Christoffel,
che si scrivono
1
Γjik = g jm (gmi,k + gkm,i − gik,m ).
(A.2)
2
Per uno spazio piatto si vede come i coefficienti della connessione si annullano, riportando alla derivata ordinaria. Inoltre nello spazio-tempo curvo le derivate seconde non
verificano l’uguaglianza di Schwarz, bensì risulta
Ai;j;k − Ai;k;j = Riljk Al ,
65
(A.3)
66
APPENDICE A. DERIVAZIONE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN
in cui, essendo il primo membro un tensore, allora deve esserlo anche Riljk ; infatti è
detto tensore di Riemann ed equivale al tensore di curvatura. Si ha infatti
i
m
Riljk = Γijk,l − Γilk,j + Γilm Γm
jk − Γjm Γlk ,
(A.4)
Derivando covariantemente il tensore di Riemann si ha
Riklm;n + Riknl;m + Rikmn;l = 0,
identità di Bianchi
(A.5)
Contraendo gli indici, a causa dell’antisimmetria, si ha un tensore di rango2, ovvero
Rik ≡ g lm Rlimk = Rnimk ,
Tensore di Ricci
Contraendo l’identità di Bianchi mediante g im gkn si ottiene
¶
µ
1 ik
ik
R − g R
= 0,
2
;k
(A.6)
(A.7)
in cui abbiamo definito lo scalare di Ricci R = g ik Rik . Inoltre, siccome in relatività
speciale materia ed energia sono descritte dal tensore energia-momento Tik , e conservandosi entrambe si ha ∂Tik /∂xk = 0.
Quindi Einstein propose che il tensore Tik poteva agire come sorgente di un’espressione
contenente le prime due derivate della metrica, in quanto nel limite non relativistico e di
campo debole, avrebbe poi condotto all’equazione di Poisson ∇2 ϕ = 4πGρ. Otteniamo
così
Rik −
1 ik
g R = k Tik ,
2
equazione di Einstein.
(A.8)
;k
Dalla (A.7) è evidente come si conservi il momento, in quanto si ha Tik
= 0.
ik
Per determinare la costante k, contraiamo la (A.8) con g , otteniamo
R = −kT
per cui
Rik = k (Tik − gik T ) ,
dove T = Tii ' ρ e T00 = ρ.
Per cui, dovendo dare l’equazione di poisson nel limite di campo debole, si ha
R00 =
1 2
k
∇ ϕ= ρ
c2
2
⇒
k=
8πG
.
c4
Poi siccome in presenza di una distribuzione omogenea di materia, l’equazione di Einstein
non ammetteva soluzioni statiche, lo stesso Einstein aggiunse un termine correttivo che
permettesse all’universo di essere statico (Einstein non credeva in un universo dinamico);
per cui l’equazione di Einstein si scrive
1
8πG
Rik − gik R − Λgik = 4 Tik .
2
c
(A.9)
Dopo la scoperta dell’espansione dell’universo il termine Λ fu prima abbandonato e
poi ripreso; oggi inoltre il secondo membro è considerato come contributo della densità
di materia del vuoto o di una qualche altra componente di energia ”esotica”, infatti
attualmente si è evidenziato come abbia un valore diverso da zero, ma questa è un’altra
storia.
Bibliografia
[1] Abramowitz, M., Stegun, I.A., 1965, Handbook of mathematical functions, Dover,
New York
[2] Alcock, C. et al., 1993, Nat 365, 621.
[3] Arfken, G., 1985,Mathematical Methods for Physicists, 3rd ed., Academic, Orlando
[4] Arnold, V.J., 1984, Catastrophe theory, Springer-Verlag, New York.
[5] Asada, H., 1997, ApJ 485, 460.
[6] Asada, H., 1998, ApJ 501, 473.
[7] Bartelmann, M., 1996, A&A 313, 697.
[8] Bartelmann, M., Narayan, R., 1995, ApJ 451, 60.
[9] Bernardeau, F., Gravitational Lenses, astro-ph/990117.
[10] Binney, J., Tremaine, S., 1987, Galactic Dynamics, Princeton Univ. Press,
Princeton.
[11] Blandford„ R.D., Kochanek, R., 1987, ApJ 321, 658.
[12] Blandford, R.D., Narayan, R., 1992, ARA&A 30, 311.
[13] Bonnet, H., Mellier, Y., 1995, A&A 303, 331.
[14] Brainerd, T., Blandfotd, R., Smail, I., 1995, astro-ph/9503073.
[15] Breimer, T.G., Sanders, R.H., 1992, MNRAS 257, 97.
[16] Broadhurst, T.J., 1995, astro-ph/9511150.
[17] Broadhurst, T.J., Taylor, A.N., Peacock, J.A., 1995, ApJ 438, 49.
[18] Carlberg, R. et al., 1997, astro-ph/9704060.
[19] Carroll, S.M., Press, W.H., 1992, ARA&A 30, 499.
[20] Chwolson, O., 1924, Astron. Nachr., 221, 329.
[21] Clowe, D. et al., 1998, ApJ 497, L61.
[22] Dashevskii, V.M., Slysh, V.J., 1966, Sov. Astr. 9, 671.
[23] Dashevskii, V.M., Zeldovich, Y.B., 1965, Sov. Astr. 8, 854.
[24] De Ritis, R., Marino, A.A., Scudellaro, P., Capozziello, Lezioni di Lensing
Gravitazionale, Bibliopolis, 2000
[25] Dyer, C.C., Roeder, R.C., 1972, ApJ 174, L115.
[26] Dyer, C.C., Roeder, R.C., 1973, ApJ 180, L31.
67
68
BIBLIOGRAFIA
[27] Dyson, F.W., Eddington, A.S., Davidson, C.R., 1920, Mem. R. Astron. Soc. 62,
291.
[28] Eddington, A.S., 1920, Space, Time and Gravitation, University Press, Cambridge.
[29] Einstein, A., 1911, Annalen der Physik, 35, 898.
[30] Einstein, A., 1915, Sitzungsber. Preu. Akad. Wissensch., erster Hallband, 831.
[31] Einstein, A., 1936, Sci 84, 506.
[32] Fort, B., Mellier, Y., 1994, A&AR 5, 239.
[33] Fort, B., Mellier, Y.,Dantel-Fort, M., 1997, A&A 321, 353.
[34] Fort, B., Prieur, J.L., Mathez, G., Mellier, Y., Soucail, G.,1988, A& A 200, L17.
[35] Gautret, L., Fort, B., Mellier, Y., 1998, astro-ph/9812338.
[36] Hadrovic, F., Binney, J., 1997, astro-ph/9708110.
[37] Hamana, T. et al., 1997, ApJ 487, 574.
[38] Hattori, M., Kneib, J.P., Makino, N., 1999, astro-ph/9905009.
[39] Heun, K., 1889, Math. Annu. 33, 161.
[40] Hewitt, J.N. et al., 1987, ApJ 321, 706.
[41] Hogg, D.W., 1999, astro-ph/9905116.
[42] Kaiser, N.,1995, ApJ 493, L1.
[43] Kaiser, N., Squires, G., 1993, ApJ 404, 441.
[44] Kantowski, R., 1998, ApJ 507, 483.
[45] Kassiola, A., Kovner, I., Fort, B., 1992, ApJ 400, 41.
[46] Kayser, R., Helbig, P., Schramm, T., 1997, A&A,318, 680.
[47] Kramer, D., Stephani, H., MacCallum, M., Herlt, E., 1980, Exact solutions of
Einstein field equation, VEB-Verlag, Berlin.
[48] Landau, L.D., Lifs̆its, E.M., 1994, Teoria dei Campi.
[49] Laplace, J.P., 1795, Expositio du système du monde.
[50] Le Fèvre, O. et al., 1994, ApJ 422, L5.
[51] Linder, E.V., 1988, A&A 206, 190.
[52] Link, R., Pierce, M.J., 1998, ApJ 502, 63.
[53] Lodge, O.J., 1919, Nature 104, 354.
[54] Lombardi, M., Bertin, G., 1998, astro-ph/9806282.
[55] Lynds, R., Petrosian, V.,1986, Bull. Am. Astron. Soc., 18, 1014.
[56] Luppino, G.A. et al., 1994, ApJ 416, 444.
[57] Mellier, Y., Fort, B., 1996, astro-ph/9608105.
[58] Mellier, Y., Fort, B ., Kneib, J.P., 1993, ApJ 407, 33.
[59] Michell, J., 1784, Trans. R. Soc. London 74, 35.
[60] Miralda-Escude, J., 1991, ApJ 370, 1.
BIBLIOGRAFIA
69
[61] Misner, C.W., Thorne, K. & Wheeler, J.A., 1973, Gravitation , San Francisco,
Freeman.
[62] Narayan, R., Bartelmann, M., 1997, Lectures on gravitational Lensing.
[63] Paczynski, B., 1986, ApJ 304, 1.
[64] Paczynski, B., 1987, Nat 325, 572.
[65] Perlmutter, P. et al., 1997, ApJ 483, 565.
[66] Perlmutter, P. et al., 1998, Nature, 391, 51.
[67] Press,W.H. et al., 1992, Numerical Recipies, Cambridge University Press.
[68] Refsdal, S., 1964, MNRAS 128, 307.
[69] Sachs, R.K. 1961 Proc. Roy. Soc., Londra, A264, 309.
[70] Schmidt, M., Nat 197, 1040.
[71] Schneider, P., 1995, A&A 302, 639.
[72] Schneider, P., 1997,
astro-ph/9512047.
Cosmological Applications of Gravitational Lensing,
[73] Schneider, P., Ehlers, J. & Falco, E.E., 1992, Gravitational Lenses, Berlino,
Springer-Verlag.
[74] Schneider, P., Seitz, C., 1995, A&A 294, 411.
[75] Schneider, P., Weiss, A., 1988, ApJ 327, 526.
[76] Seitz, C., Schneider, P., 1995, A&A 297, 287.
[77] Seitz, C., Schneider, P., 1997, A&A 318, 687.
[78] Seitz, S., Schneider, P., 1994, A&A 287, 349.
[79] Seitz, S., Schneider, P., Ehlers, J., 1994, Class. Quant. Grav. 11, 2345.
[80] Smail, I. et al, 1995, ApJ 449, L105.
[81] Soldner, J., 1804, Berliner Astron. Jahrb, 161.
[82] Soucail, G. et al., 1987, A&A 172, L14.
[83] Straumann, N. 1998, Lectures on Gravitational Lensing in “Topics on Gravitational
Lensing”, Bibliopolis, Napoli.
[84] Tricomi, F.G., 1985, Integral Equation, Dover, Minnesota.
[85] Tyson, J.A., 1988, AJ 96, 1.
[86] Tyson, J.A., Valdes, F., Wenk, R.A., 1990, ApJ 281, L59.
[87] Walsh, D., Carswell, R.F., Weymann, R.J., 1979, Nat 279, 381.
[88] Wambganss, J., 1998, astro-ph/9805005.
[89] Weinberg, S., 1992, Gravitation and Cosmology, Wiley, New York.
[90] White, S.D.M., Navarro, J.F., Evrard, A.E., Frenk, C.S. 1993, Nature 366, 429.
[91] Zeldovich, Y.B., 1964, Sov. Astr. 8, 13.
[92] Zwicky, F., 1937, Phys. Rev. Lett. 51, 290.
70
BIBLIOGRAFIA
Ringraziamenti
Questo lavoro non sarebbe nato senza l’apporto del professore Massimo Capaccioli, la
persona che più di chiunque altro mi ha avvicinato all’astrofisica. Le lezioni del corso di
Istituzioni di Astrofisica hanno rappresentato il mio primo serio impatto a tale scienza
e sono state cruciali per la mia carriera, in quanto mi hanno dato quella forte spinta
che poi mi ha portato alla scelta di intraprendere la carriera appunto di ricercatore di
Astrofisica.
Ma non avrei potuto affrontare un argomento complesso come il Lensing Gravitazionale senza l’aiuto della professoressa Ester Piedipalumbo: i suoi insegnamenti di
Fisica dello Spazio, di Relatività Generale, di Fisica Extragalattica, ed ovviamente di
Lensing Gravitazionale, sono stati una fonte inesauribile di spunti per riflettere sull’argomento della tesina. Ella mi è stata sempre vicina in ogni difficoltà, dubbio o
perplessità.
Un ulteriore ringraziamento lo devo al Dott. Crescenzo Tortora, per l’aiuto offertomi
e i non pochi chiarimenti su tematiche complesse come la materia oscura, l’energia
oscura, etc.