Libro teatro televisione: differenti tecnologie di

Mutazioni dei linguaggi nel teatro ragazzi italiano
Carlo Presotto
2005
I diritti dello spettatore bambino ........................................................ 2
Libro teatro televisione: differenti tecnologie di
comunicazione, differenti culture, differenti panorami
immaginari ......................................................................................................... 4
Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca ... 8
Questioni per una ricerca ........................................................................ 16
Dare parola al senso. Quale linguaggio nel teatro ragazzi
italiano................................................................................................................ 18
Leggende Metropolitane, Narrazione, Teatro. Problemi di
metodo ............................................................................................................... 24
La necessita' di un tempo inutile ....................................................... 30
I diritti dello spettatore bambino
La mia prima reazione, di fronte alle ricette, le regolette, i precetti, è quella di
perplessità, tanto più quando si parla di un composto instabile come il teatro.
Eugenio Barba in capo al suo "Aldilà delle isole galleggianti" scolpisce la frase di
Niels Bohr, il fisico padre del principio di complementarità: "Qualunque frase io
dica, non deve essere intesa come un'affermazione, ma come una domanda".
Giocare con le regole o con le parole può esserci utile per aprire nuovi livelli di
comunicazione, cercare nuove trasgressioni, individuare nuove domande.
In occasione di un incontro tra operatori teatrali ed organizzatori, sul tema della
distribuzione teatrale, mi chiedevo quale potesse essere il modo di sottolineare un
vecchio problema dei teatranti: la difficoltà di “far mente locale”.
L'ambiente, inteso non solo come spazio fisico, in cui si realizza lo spettacolo è
parte integrante del rapporto comunicativo tra attori e spettatori.
Mi rivolgevo ad assessori, responsabili di circuito, organizzatori, ben sapendo che
molti di loro, a forza di fare i conti con i bilanci, di aggirarsi nei meandri del
"giro", di condurre a fatica i docenti, si trovano a vivere come "rivendicazione di
una controparte" la difesa della "qualità" dell'evento.
Ricorda un po' il problema di dover spiegare ai pescatori che se continuano ad
usare le reti "spadare" i primi a risentirne saranno proprio loro, a causa del
drammatico impoverimento delle risorse marine. "Gli ambientalisti difendono i
delfini. Ma a noi, chi ci pensa a noi?" risponde il pescatore nell'intervista. "Le
compagnie difendono i loro spettacoli. Ma a noi, chi ci pensa a noi?" rispondono il
bibliotecario e l'organizzatore.
Mi sono molto divertito a leggere "I diritti imprescrittibili del lettore" citati da
Daniel Pennac in "Come un romanzo", Feltrinelli 1993. Ve li cito di corsa,
rimandandovi al libro:
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
Il diritto di non leggere
Il diritto di saltare le pagine
Il diritto di non finire un libro
Il diritto di rileggere
Il diritto di leggere qualunque cosa
Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
Il diritto di leggere ovunque
Il diritto di spizzicare
2
IX.
X.
Il diritto di leggere a voce alta
Il diritto di tacere
Pensando a questo elenco ho voluto proporre quasi un gioco di società: il gioco
delle preferenze, di ciò che si considera "imprescrittibile" (non soggetto a
prescrizione, di illimitata validità).
Vi presento i dieci diritti dello spettatore bambino così come sono stati presentati
all'incontro:
1)
Diritto alla partecipazione degli adulti. (E' meglio che gli insegnanti non
escano a leggere la "Gazzetta dello sport" durante lo spettacolo?)
2)
Diritto di stare in un teatro adatto. (Un bambino è più "corto" di un adulto.
A volte deve alzarsi in piedi sulla sedia per vedere cosa succede sul palco. E i
teatri all'italiana con diversi ordini di palchi? E i cinema costretti a teatri?)
3)
Diritto di essere in un numero adatto di spettatori. (Relativamente allo
spettacolo, all'età, al teatro, etc.)
4)
Diritto di non aspettare troppo tempo l'inizio dello spettacolo. (Tutto ciò che
succede da quando si parte dalla scuola a quando si ritorna ha una sua
importanza)
5)
Diritto di essere informato delle regole del gioco teatrale. (Come tutti i
giochi, se si sanno le regole ci si diverte di più)
6)
Diritto di essere informato sullo spettacolo e
diritto di essere cosciente del percorso che conduce allo spettacolo. (Ciò non
vuol dire necessariamente sapere chi è l'assassino)
7)
Diritto di replica, dal vivo o per lettera, telefono, fax, ciberspazio in genere.
8)
Diritto di vedere più di uno spettacolo all'anno.
9)
Diritto di elaborare successivamente l'esperienza dello spettacolo, ma
diritto di non fare il "riassunto".
10) Diritto di vivere la "differenza" del teatro dagli altri canali di
comunicazione: la sua preziosità, la sua multiformità, il mistero del
"momento presente".
3
Sento ogni giorno di più la necessità di essere esigente con me stesso, di
infrangere il circolo vizioso di un teatro "pre-visto" in cui gli insegnanti acquirenti
dello spettacolo (adulti!) cercano ciò che in qualche modo conoscono, gli
organizzatori (adulti!) si limitano a chiedere alle compagnie di rispondere a questa
domanda, e i gruppi (di adulti!) spesso si appiattiscono su questa domanda, dopo le
tante bastonate sui denti degli anni passati.
Perchè noi adulti dobbiamo fare pesare il nostro bisogno di conferme sui ragazzi?
Da questo gioco dei diritti dello spettatore bambino nasce una proposta, quella di
riaprire i canali di ascolto nei confronti del soggetto centrale del teatro ragazzi, il
suo protagonista, il bambino.
Riallacciare un rapporto con il suo immaginario e con la sua quotidianità, con i
suoi sogni ma anche con le sue sensazioni, i suoi gusti, le sue percezioni.
Molto teatro ragazzi ha avuto molto da "dire" ai bambini.
Ma tra il dire e il fare... c'è di mezzo il mare.
Daniel Pennac conclude il suo libro con queste parole:
"L'uomo costruisce case perchè è vivo, ma scrive libri perchè si sa mortale. Cosicché le
nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è
autorizzato a chiederci conto di questa intimità. I rari adulti che mi hanno dato da leggere
hanno sempre ceduto il passo ai libri, e si sono ben guardati dal chiedermi che cosa
avessi capito. A loro, naturalmente, parlavo delle mie letture. Vivi o morti che siano, a
loro dedico queste pagine."
Libro teatro televisione: differenti tecnologie di comunicazione,
differenti culture, differenti panorami immaginari
Questa riflessione nasce dall’ultimo dei presunti diritti dello spettatore bambino "Il
diritto di non fare il riassunto". Ma perchè prendersela con una pratica semplice e
innocente, così utile e valutabile oggettivamente.
Una lunga frequentazione del teatro ragazzi in uno dei suoi luoghi più esposti, il
palcoscenico, ed una consuetudine con gli spettatori "professionali" del teatro
ragazzi, gli insegnanti, mi ha portato ad intravedere un rischio che si pone ogni
volta che vengono a contatto linguaggi comunicativi diversi.
Il rischio, che un approfondimento culturale potrebbe fare risalire ai "padri
fondatori" della cultura scolastica italiana, è quello di continuare a porre la trinità
4
leggere/scrivere/far di conto, consciamente o inconsciamente, su di un gradino
superiore, nella serie A delle competenze.
Per cui spesso, almeno per quanto riguarda il teatro, si assiste alla necessità di
ricondurre un complesso evento sensoriale ed emozionale ad una serie di elementi
semplici.
Ed ecco che la competenza degli insegnanti, che sentono la responsabilità di
rielaborare l'evento spettacolo una volta tornati a scuola, si affida al dato
"testuale" dello spettacolo come dato primario.
Addirittura nella scelta degli spettacoli da andare a vedere, la maggior parte degli
insegnanti (perchè sono gli adulti che scelgono, e non i bambini, questo va
ricordato) privilegia favole, adattamenti di libri, che permettono una riconoscibilità
del tema secondo il vecchio motto "Carta Canta e Villan dorme".
Un elemento importante per comprendere questo atteggiamento è rilevare che
l’idea di teatro, in gran parte della cultura europea dei secoli scorsi, era prima di
tutto letteratura in scena, catalogato tra i generi letterari.1
E la nostra scuola, a differenza di quella anglosassone, non ha utilizzato la grande
potenzialità di approccio al testo data dalla sua rappresentazione scenica,
mantenendo sempre divisi i due livelli:
- quello apollineo della poesia rimane chiuso nella antologia,
- quello dionisiaco della festa e della trasgressione si scatena nelle "mattinate per
studenti".
È d’altro lato importante ricordare che la scuola italiana vive un vero e proprio
“imprinting” in una cultura fortemente influenzata dall’idealismo di benedetto
Croce, che nelle sue importanti analisi sul teatro separava nettamente il testo dalla
sua rappresentazione, indicando nel primo la dimensione ideale, e nella seconda il
suo abbassamento a compromessi che ne opacizzavano l’efficacia.2
Poi c'è stato il Novecento, con l’affermarsi nella cultura di massa di una serie di
invenzioni tecniche: il cinematografo muto prima e sonoro poi, l'automobile,
l'areoplano, La radio, la televisione, il telecomando, il satellite, la rete globale.
1
2
Da sviluppare un apparato di citazioni che ricostruisca questo fenomeno
Croce, sulla comemdia dell’arte
5
Invenzioni che hanno trasformato l'arte e la comunicazione, e non ultimo il teatro.
Ci sono stati il teatro dell'arte di mosca, il terzo studio e le avanguardie, Artaud,
Brecht, Gordon Craig. Il teatro di massa, il teatro agit prop, il teatro invisibile, il
teatro di strada, i piccoli teatri, Grotowsky, Barba, Beck, Brook...
Ma il rapporto della cultura scolastica, dalle elementari all'università, con il teatro
non è forse rimasto quello dei tempi della maestrina della penna rossa del libro
cuore di Edmondo De Amicis?3
Ma no, non è così, almeno in apparenza, tra protocolli d’intesa, attività di
aggiornamento, progetti pilota e rassegne nazionali. Ma se scaviamo dietro ai
comportamenti, dietro le motivazioni, non rcontinuiamo a veder tornar fuori una
idea di teatro come luogo della bella voce, dei monologhi, dei costumi e dei
personaggi, di una linearità narrativa, di una imitazione della realtà tutta verista?
Potrebbe essere un bel compito per casa.
In ogni caso sembra che non ci sia molto da scherzare, di fronte alla frattura
sempre più netta tra due culture,
una frattura che passa proprio, e ce ne
accorgiamo tutti da alcuni anni a questa parte, attraverso il mondo della scuola.
Da una parte la cultura del testo determinato, dei classici, della scrittura, delle arti
tradizionalmente intese. La lingua che parlano gli insegnanti.
Dall'altra la cultura che ha a che fare con quella Freccero chiama "la marmellata
catodica" la multiforme, pervasiva, omologante cultura mediale. La lingua che
parlano i ragazzi.
"Il linguaggio televisivo è un linguaggio scarsamente articolato.
Le immagini si susseguono senza una gerarchia, senza rapporti di subordinazione.
La televisione ha un linguaggio composto di brevi enunciati, disposti uno accanto
all'altro.
Un ragionamento complesso richiede una serie di passaggi in sequenza.
Ma le immagini non hanno memoria: al secondo passaggio logico il pubblico ha già
cambiato canale. [...]
Questo è il vero problema. le competenze del pubblico determinano l'utilizzo della massa
dei programmi.
Quindi chi non ha competenze rischia di essere assorbito e manipolato, ma il problema
delle competenze è esterno alla televisione, è della scuola, è della società.
Non possiamo attribuire e trasferire sulla televisione tutti i mali della società"
Carlo Freccero, la marmellata catodica. Su Linea d'ombra 4/1995
3
De Amicis
6
Differenti tecnologie di comunicazione creano differenti linguaggi, differenti modi
di pensare, differenti panorami immaginari.
Stiamo vivendo ad una velocità esasperata i primi passi di un percorso simile alla
traversata dalla cultura orale alla civiltà della scrittura.
Tutte le civiltà umane fanno riferimento a una sorta di "libro", ossia alla capacità di
mettere in serbo le informazioni al fine di reimpiegarle.
Prima dell'età omerica, il "libro" culturale greco era stato conservato nella memoria
orale. nel periodo che va da Omero a Platone questo metodo di conservazione cominciò
a modificarsi, via via che l'informazione prese ad essere alfabetizzata, e in
corrispondenza l'occhio soppiantò l'orecchio come organo principale impiegato a questo
scopo.
Eric Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, Laterza
"Con la scoperta che proiettando ventiquattro fotografie al secondo, si poteva dare
l'illusione del movimento reale grazie al fenomeno della persistenza delle immagini sulla
retina dell'occhio umano, il nostro secolo si è dotato di una nuova facoltà di vedere"
(E.Scola, Script 5/92)
E resta anche il fatto che questa "nuova facoltà di vedere" con l'invenzione del
tubo catodico ha prima arricchito la nostra percezione di spazio e di tempo di una
terza coordinata, l’illusione di essere presenti ad un evento distante, per poi
generare la grande biblioteca di babele della rete telematica.
Un luogo "virtuale" di formazione e di apprendimento per i ragazzi ed i giovani,
frequentato secondo le statistiche con maggior interesse ed assiduità della scuola e
della famiglia, e forse dei coetanei.
I ragazzi conoscono sempre più cose, possiedono sempre più abilità, ma compiono
sempre meno esperienze.
Sia la scuola che il teatro che la letteratura per l'infanzia condividono ed elaborano
la scommessa di mettere in comunicazione tra loro la cultura dei ragazzi e quella
degli adulti. La cultura mediale e la cultura del testo.
Tutto questo all'interno di un panorama più ampio, di un confronto/scontro tra le
diverse culture dell'italia, dell'europa e del mondo.
Scrive Goffredo Fofi:
"Il tema dell'incontro tra culture e diverse ed etnie diverse è il tema attorno al quale si
gioca la storia della civiltà, della civiltà di tutto il mondo. Questo tema dominerà la storia
per molto tempo a venire. La perdita dell'identità è pressocchè obbligata, e l'incontro con
l'altro diventa la fatica fondamentale per la costituzione di una civiltà nuova. Tutto
dovrebbe spingerci in direzione dell'integrazione delle culture, ma questo provoca invece
7
delle resistenze tremende, arroccamenti terribili alla propria storia, alla propria cultura.
Ed è una fatica immane trovarsi e comunicare e vivere insieme"
Ed allora, quali tracce seguire in questo lungo viaggio che ci si prospetta davanti?
Mi piace proporvi per concludere queste parole raccolte da Bruce Chatwin nel suo
"Le vie dei canti". Si tratta di un passo del mito della creazione degli aborigeni
australiani:
"Poi, come fosse il primo vagito, ogni antenato aprì la bocca e gridò:"Io sono!".
"sono il serpente, la formica... il caprifoglio..."
E questo primo "io sono" fu considerato, da allora e per sempre, il distico più importante
del canto dell'antenato.
Ogni uomo del tempo antico mosse un passo col piede sinistro e gridò un secondo nome.
Mosse un passo col piede destro e gridò un terzo nome.
Diede nome al pozzo, ai canneti, agli eucalipti:
si volse a destra e a sinistra, chiamò tutte le cose alla vita e coi loro nomi intessè dei
versi.
Gli uomini del tempo antico percorsero tutto il mondo cantando;
cantarono i fiumi, e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia. andarono a
caccia, mangiarono, fecero l'amore, danzarono, uccisero:
in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica.
Avvolsero il mondo intero in una rete di canto."
Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca
“L’unico autore buono da mettere in scena è quello morto”. Parafrasando il gergo
dei film western questa era fino a qualche anno fa l’idea corrente di molto teatro
artigianale. Perchè autori e capocomici hanno sempre vissuto un complesso
rapporto di conflitto e dipendenza reciproca, dovuto all’inevitabile tradimento
implicito nella traduzione sulla scena di un testo scritto.
Estremamente interessante in questi anni di discussione sulla proprietà intellettuale
nell’era di internet è rileggersi le Memoires di Carlo Goldoni,4 che rivendica per sè
e per la figura del “poeta di compagnia” una dignità che significa anche poter
decidere quale versione del proprio lavoro consegnare alle stampe. Una volta
stampato il testo si chiude in una forma definitiva, una volta per tutte rispetto alle
continue metamorfosi che avvengono giorno per giorno sulla scena. E di chi è un
testo teatrale, dell’autore della tessitura o di chi le dà vita sul palcoscenico? Si
tratta di un falso problema. È ormai di dominio comune l’idea che un discorso sul
4
Per comoditá cito dalla traduzione italiana di Piero Bianconi, Carlo Goldoni. Memorie, 2 voll.,
Milano, 1961, ed. B.U.R, parte II, cap.XVII, p.306.
8
teatro non può esaurirsi alla lettura dei testi teatrali, che spesso anzi si allontanano
sostanzialmente da ciò di cui rappresentano una risonanza, come succede tra una
conchiglia ed il suo fossile. Se il testo appartiene all’autore, la sua messa in scena
diventa un lavoro collettivo, e l’opera che ne risulta è una tessitura di linguaggi,
sensibilità, relazioni di cui anche lo spettatore è una parte integrante. Condanna e
salvezza del teatro oggi è proprio la sua caratteristica di essere scritto sull’acqua,
nonostante di esso possano parlarci testi, video, immagini, foto, racconti, siti
internet e chissà cosa altro.
Bisogna approfondire la natura ambigua del testo teatrale per inoltrarsi in una
ricognizione sulle relazioni tra teatro e letteratura per i ragazzi., un fenomeno in
continua riconfigurazione.
In questo primo intervento cercheremo quindi di lavorare sui termini, proponendo
alcuni strumenti di lavoro per l’indagine.
Il teatro ragazzi, nel corso degli ultimi trenta anni ha caratterizzato in modo
originale anche se spesso misconosciuto il panorama della scena italiana rispetto a
quella di altri paesi del mondo in cui pure si è sviluppato. (principalmente l’est
europeo, l’Europa, il Canada francofono).
Alla fine degli anni sessanta dalla Francia giunge in Italia l’esperienza una ventata
di nuove idee, che da Torino e dalla Biennale di Venezia cominciano ad irradiarsi
in un terreno di coltura smosso dalle istanze di trasformazione delle istituzioni.
E' da quegli anni che, con un importante influenza delle esperienze francesi da un
lato di Celestine Freinet, dall'altro del Theatre du Soleil e di Chaterine Dastè,
comincia a svilupparsi il fenomeno di quella che verrà chiamata Animazione
Teatrale.
Non è un caso, che La Dastè sia la nipote di Jacques Copeau, e che attraverso di
lei possiamo connettere idealmente una forma di teatro che coinvolge direttamente
gli spettatori, ancor prima della realizzazione dell'evento, in un processo di "messa
in comune" che coinvolge gioco, festa e rito, con l'utopia di "Teatro Popolare"
che attraversa il Novecento a partire dal Teatrino del Vieux Colombaire.
9
Nel 1967 al convegno per un nuovo teatro di Ivrea si parla di portare il teatro fuori
dai teatri, dove maggiore è la repressione delle istituzioni, come nelle carceri, nei
manicomi e nelle scuole.
In quegli anni nomi come Giuliano Scabia5, Franco Passatore6, Remo Rostagno7,
Loredana Perissinotto, Mafra Gagliardi, Carlo Formigoni si segnalano per una
serie di sperimentazioni che corrono sulle pagine di testi letti e discussi
collettivamente ed oggi introvabili.
Dall'animazione teatrale nascono i primi spettacoli di teatro "con" i ragazzi, "La
città degli animali" del Teatro del Sole di Carlo Formigoni il cui testo viene
scritto da ragazzi della scuola elementare.
Si sviluppa poi un grande numero di esperienze di teatro "dei" ragazzi, realizzato
ed interpretato da loro nell'ambito di percorsi coordinati da artisti diversi, a
spaziare sui diversi linguaggi dei teatri di tradizione e di ricerca.
E nascono entro la prima metà degli anni settanta una serie di compagnie teatrali
che propongono spettacoli "per" ragazzi all'interno di un disegno fortemente
innovativo dei linguaggi della scena e della relazione attore spettatore.
A Torino il Teatro dell’Angolo, a Milano il Teatro del Sole e il Buratto, a Reggio
Emilia le Briciole ed a Piacenza il teatro Giocovita aprono teatri-laboratorio
dedicati ai ragazzi, le preposizioni vengono superate, nasce il teatro ragazzi.
Gli anni ottanta rappresentano il consolidamento di questo mondo eterogeneo, che
da movimento si trasforma in un “settore”, cominciando a dotarsi di strutture,
strumenti e metodi comuni di lavoro. E’ il decennio della nascita dei centri teatro
ragazzi, che costituiscono dopo i teatri stabili pubblici del dopoguerra ed insieme
agli stabili privati una novità strutturale del sistema teatrale italiano.
5
Scabia, Giuliano - Fabiani, Luciano. Forse un drago nascerà, Milano, Emme, 1975.
Scabia, Giuliano. Marco Cavallo : una esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico,
Torino, Einaudi, 1976.
Scabia, Giuliano - Università di Bologna. Gruppo di drammaturgia 2. Il gorilla quadrumàno,
Milano, Feltrinelli, 1974.
6
Passatore, Franco - Gruppo Teatro-Gioco-Vita. Io ero l'albero (tu il cavallo), Rimini, Guaraldi,
1972.
Passatore, Franco - Cirillo, Vittoria. animazione dopo : le esperienze di animazione dal teatro
alla scuola, dalla scuola al sociale, Firenze, Guaraldi, 1977.
7
Rostagno, Remo - Liberovici, Sergio. Un paese : esperienze di drammaturgia infantile,
Firenze, La nuova Italia, 1972.
10
I Centri teatro ragazzi perseguono l’idea di un rapporto continuativo con il mondo
dell’infanzia, coinvolgendo le dimensioni della scuola attraverso laboratori e
rassegne teatrali e della famiglia, attraverso una programmazione di spettacoli per
il tempo libero. Il teatro apre le porte al suo pubblico in tutte le fasi della
costruzione dello spettacolo, permettendo di accedere attraverso corsi di
aggiornamento e laboratori alle tecniche di scrittura teatrale, alla realizzazione di
oggetti, figure e scene, alle discipline di lavoro dell’attore. Ci si interroga sullo
spettatore bambino e si comincia a raccogliere dati ed informazioni sul suo
panorama immaginario, sui suoi sogni e sui suoi desideri.8
Al di là delle tematiche istituzionali, e sulle mutazioni ed involuzioni del passaggio
da movimento a "settore culturale", nel corso di questi trent'anni il teatro ragazzi
ha avuto un ruolo molto importante nel mettere in discussione continuamente il
rapporto pubblico/palcoscenico.
Ancora negli anni venti il regista Vachtangov, in un momento di grande fervore
pedagogico, teorizza che perché il pubblico impari a vedere teatro occorre anche
che gli attori imparino a vedere il pubblico, a conoscerlo ed a rispettarlo.
Ed ecco che nella prima metà degli anni ottanta, in una serie di convegni,
(Segnaliamo il “fondante” convegno di Torino del 1985 “L’immaginario bambino”
i cui atti, curati da A.Attisani sono pubblicati da Casa Usher) comincia a farsi
strada il problema di "chi sia" questo spettatore bambino/ragazzo cui ci si rivolge.
-
E’ forse una persona da informare
in modo vivace, come nel teatro
didattico?
-
E’ invece una
persona da far crescere, attraverso esperienze utili e
finalizzate, come nel il teatro pedagogico?
-
E’ il futuro spettatore da educare, come per molti interventi di
"promozione" teatrale?
In questi tre casi, che rappresentavano in quegli anni la "tradizione" progressista o
innovativa per quanto riguardava il rapporto tra giovani generazioni e teatro, lo
spettatore veniva identificato in alcune o tutte le sue caratteristiche, una volta per
tutte.
8
Convegno L’immaginario bambino
11
La grande novità del teatro ragazzi, che coincide più o meno con la perdita della
preposizione, è quella di affermare che lo spettatore bambino, e più in generale
l'infanzia, è una dimensione in continua mutazione, un problema, non un
destinatario.
Avventurarsi nel campo della comunicazione per i ragazzi significa mettersi in
discussione continuamente, aprire una ricerca che non prevede un punto di arrivo,
stabilire un punto di osservazione ma mantenerlo in movimento.
Il passaggio significativo, che sembra negare uno dei primi enunciati della
pedagogia Freinetiana alla base del animazione teatrale, che afferma "Il bambino è
della nostra stessa natura" sta nel porre l'accento sulla "differenza" del pensiero
infantile, per arrivare in tempi più recenti a parlare di una vera e propria
"antropologia dell'infanzia".
Mi verrebbe da proporre di costituire una antropologia dell’infanzia. Se imparassimo a
porci nei confronti dell’infanzia come di fronte ad un popolo che non conosciamo, che è
alieno rispetto a noi e che possiamo capire solo frequentandolo, forse riscopriremmo un
po’ di quello stupore di fronte all’infanzia che farebbe retrocedere un po’ l’opera di
bambolizzazione e di cucciolizzazione. L’infanzia è un altro mondo, non si sa se più o
meno perfetto. Certo esso, come mondo a parte, è stato recentemente inventato.
(Franco La Cecla “Perfetti & Invisibili)
Da questo pensiero si sviluppa la possibilità di creare un territorio franco
dell'immaginario, in cui artista/adulto e spettatore/bambino si incontrano ognuno
al di fuori dei propri territori, ed entrambi si "mettono in gioco"
Per fare questo è necessario liberare questo spazio di incontro da secondi fini,
qualsiasi essi siano. Perché si tratti di una pagina bianca occorre che si tratti di un
tempo inutile, sottratto ad una catena lineare di causa-effetto per cui ad ogni
attività corrisponde un risultato, il raggiungimento di un obiettivo, la tappa di un
percorso.
A questa riflessione fa riferimento il Manifesto “La Necessità di un tempo inutile”
lanciato dalla Piccionaia a Vicenza nel 1990, che ha portato il suo contributo alla
riflessione sul rapporto tra arte e mondo dell’infanzia.
Un fenomeno che comincia a prendere forma alla fine degli anni ottanta è quello
del teatro di narrazione, che si sviluppa proprio nel terreno di coltura del teatro
12
ragazzi, con le prime sperimentazioni di Mara Baronti, Marco Baliani 9, Marco
Paolini10, per poi svilupparsi successivamente a coinvolgere anche il pubblico
adulto attraverso figure come.
La terza fase di vita vede negli anni novanta il tentativo, che ad oggi sembrerebbe
definitivamente naufragato, di costruire una relazione strutturale tra mondo del
teatro e mondo della scuola, attraverso un grande sforzo di artisti, teorici e
organizzatori. Dall’idea che l’arte si possa insegnare si propone l’idea che essa
nelle sue forme sia una esperienza vitale, necessaria, e che in quanto tale ne vada
garantita la fruizione fino dai primi anni di età. Un esito importante di questo
sforzo è stato l’imprevista diffusione del teatro dei ragazzi in ambito scolastico,
che ha visto un proliferare di iniziative la cui distribuzione geografica sembra
riequilibrare lo sbilanciamento del teatro ragazzi verso le regioni del centro-nord.11
Mentre Centri e compagnie sono ormai una realtà consistente e consolidata, che
con una grande capillarità copre con una rete fittissima molte aree della penisola,
portando il teatro anche in piccoli centri dove altrimenti vi sarebbero rare
occasioni di spettacolo dal vivo.
Si tratta forse, ad oggi di una forma di maturo teatro popolare, caratterizzato da un
buon livello di qualità generale, che come ogni teatro popolare si lega strettamente
nelle sue scelte artistiche ai gusti (reali o presunti) del pubblico, che indaga
attraverso strumenti sempre più articolati. 12
Questa idea di teatro popolare ci fa chiudere il cerchio e tornare al rapporto con la
letteratura. Perchè dopo la fiaba il libro per ragazzi è uno dei principali motivi
ispiratori degli spettacoli per i ragazzi. E per trovare una analogia dobbiamo
andare a riguardare il teatro popolare della seconda metà dell’Ottocento, ed il suo
rapporto con la letteratura d’appendice dell’epoca di cui spessissimo portava le
trame sulla scena.
Baliani raccontatore di storie mutanti replicanti
Marco Paolini e Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Garzanti, Milano 1997.
11
Prissinotto, Teatri a scuola
12
L’Osservatorio dell’immaginario è una rete promossa dalla compagnia Stilema di Torino, che
ha realizzato finora due ricerche su scala nazionale:
9
10
13
Che rapporto ci può essere tra Carolina Invernizio di Sepolta Viva e il Luis
Sepulveda de La Storia di una Gabbianella?
Entrambi permettono di stabilire con lo spettatore un panorama immaginario
comune già prima che si apra il sipario. Indicare un testo letterario come motivo
ispiratore lega i destini dello spettacolo a quelli del libro, seguendone la ascesa o la
discesa nei gusti del pubblico. E’ anche una strategia commerciale, per la
possibilità di sfruttare in maniera indotta la promozione diretta o indiretta del libro.
Ma soprattutto denotano una appartenenza comune, elemento discutibile ma
significativo della capacità di convocazione di un evento performativo in genere:
“è dei nostri”.
La riflessione sulla necessità di creare un orizzonte immaginario comune tra artisti
adulti, spettatori bambini e spettatori adulti (insegnanti e genitori) ha trovato prima
di tutto nella fiaba un fertilissimo territorio da esplorare. Autori come Propp13,
Bettelheim14 Rodari15 e Calvino fanno parte del bagaglio di conoscenze
fondamentale di chi fa teatro ragazzi. La fiaba viene riletta, presa in giro, ne
vengono amplificati i significati nascosti, anche se gli artisti hanno imparato a
proprie spese che mettere in scena una fiaba significa anche scherzare con il fuoco,
e che la platea può rifiutare in blocco lo spettacolo se la drammaturgia non si
svolge rigorosa secondo una serie di passaggi obbligati.
Il rapporto con la letteratura per i ragazzi è sempre stato, attraverso la messa in
scena dei classici, un terreno di lavoro del teatro, fino da prima del teatro ragazzi,
quando i testi erano divisi per compagnie maschili e femminili. Già numerose
erano le riduzioni per la scena di racconti edificanti, o di celebri libri di avventura.
Poi la stagione del Corriere dei Piccoli, del Pioniere e del Vittorioso cominciò,
sull’esempio di Tofano e del suo Signor Bonaventura a creare la possibilità di
mettere in scena brevi testi divertenti in rima, sulla base delle story-board
disegnate, che fornivano già indicazioni per la rappresentazione, le scenografie e i
costumi.
Propp, Vladimir Jakovlevic. Morfologia della fiaba, Roma : Newton Compton, 1977
Bettelheim, Bruno. Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli, 1978.
15
Rodari, Gianni. Grammatica della fantasia, Torino : Einaudi, 1973.
13
14
14
Da questa esperienza di lavoro, anche se lo studio è tutto da approfondire, nasce la
produzione per il teatro di Gianni Rodari, che vede una importante diffusione
proprio a cavallo della stagione del primo teatro ragazzi.
Come mai dopo Rodari sembra non ci siano più autori di teatro per ragazzi in
Italia?
Il paradosso è che gli autori ci sono, sempre di più e sempre più bravi ma il teatro è
cambiato, per cui non li si vede.
Le modalità di costruzione degli spettacoli non prevedono più la messa in scena di
un testo, ma un complesso processo di lavoro che, sulla scorta delle esperienze
della animazione teatrale, prevede fasi successive in cui la dimensione testuale si
sviluppa insieme alle altre che compongono lo spettacolo.
Anche perchè dagli anni settanta alla metà degli anni ottanta, fino al ritorno della
narrazione, la comunicazione verbale viene fortemente messa in discussione, a
favore di quella gestuale, musicale e visiva, in tutte le esperienze innovative della
scena nel mondo.
Si guarda più a compagnie come il Living Theatre, il Bread and Puppet, a Jerzy
Grotowsky, all’arcipelago dei gruppi che si raccoglie intorno all’esperienza
dell’antropologia teatrale di Eugenio Barba16.
Finchè intorno alla metà degli anni ottanta il libro ricompare, accompagnando un
ritorno alla parola che culminerà nel teatro di narrazione.
Ed intanto la letteratura per ragazzi comincia a vivere in Italia un particolare
fenomeno di crescita. Le biblioteche sul territorio diventano centri di animazione
culturale che incrociano spesso il lavoro dei teatranti, con spettacoli, laboratori,
ospitando eventi e corsi di aggiornamento. Spesso gli attori vengono chiamati a
leggere ad alta voce. E cominciano i primi incontri, gli scambi, le relazioni, tra due
mondi che hanno molto in comune, tra persone di una stessa generazione con
simili motivazioni artistiche nei confronti del mondo dell’infanzia.
Si sviluppano le letture animate, che presto si strutturano, crescono fino a
consolidarsi in spettacoli. Alcune compagnie commissionano testi a noti scrittori,
16
Cruciani, Fabrizio. Teatro nel Novecento : registi pedagoghi e comunità teatrali nel XX
secolo, Firenze, Sansoni, 1985.
15
altre elaborano le drammaturgie insieme agli autori, coinvolgendoli nei loro gruppi
di lavoro creativo.
Arriviamo ad oggi, un momento in cui si sente la necessità di quantificare ciò che
sta succedendo, delinearne con maggior precisione i contorni, cercare di capire
quali possono essere gli sviluppi.
Una serie di parametri da sviluppare
Questioni per una ricerca
Proviamo quindi in chiusura ad indicare una serie di dati sulla produzione teatrale
della stagione 2000/200117.
Su 194 compagnie in attività su tutto il territorio italiano 74 presentano spettacoli
che fanno riferimento in vario modo a opere letterarie.
Si tratta di 107 spettacoli, che ruotano intorno a 71 libri di 63 autori. Diverse
compagnie presentano in repertorio più produzioni ispirate alla letteratura:
teatro dell'archivolto
aida
assemblea teatro
drammatico vegetale
il ballatoio
la piccionaia
pandemonium
teatro dell'angolo
teatri comunicanti
teatro all'improvviso
teatro anteo terrammare
cargo
gianni e cosetta colla
il palchetto stage
il triangolo scaleno
nuova teatro eliseo
tangram
4
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
2
2
2
2
2
2
Ma i dati più interessanti riguardano gli autori ed i titoli più praticati:
17
Fabbri L., Palombi B., Il teatro per i ragazzi – Catalogo delle produzioni 2000/2001, Roma,
2001, ETI Documenti di teatro
16
Autori
Collodi
Cervantes
Dahl
Verne
de Saint Exupery
Ruiz Mignone
Lodi
Calvino
Roncaglia
De Amicis
Rodari
Barrie
Pennac
Stevenson
Giono
Sepulveda
Wilde
Piumini
10
7
6
5
4
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Titoli di libri
Pinocchio
Don Chisciotte
Il piccolo principe
20.000 leghe sotto i mari
Cipì
Cuore
Il giro del mondo in 80 giorni
Il principe felice
la magica medicina
L'isola del tesoro
L'uomo che piantava alberi
Matilde
Peter Pan
La Storia di una Gabbianella
10
7
4
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Dopo la conferma del Pinocchio di Collodi ancora oggi come principale
riferimento letterario, ci sorprende il secondo posto del Don Chisciotte di
Cervantes. Per leggere questo dato dobbiamo pensare al ruolo, a volte strumentale,
di attivazione dell’immaginario che viene dato alla lettura ed al teatro in ambito
educativo. Don Chisciotte incarna in queste riduzioni l’idea di un eroe malinconico
ma positivo, la cui facoltà di trasformare la realtà viene interpretata come
ricchezza e non come limite. Abbiamo poi al terzo posto il capolavoro di Saint
Exupery, che ispira viaggi fantastici tutti caratterizzati dall’impossibilità di una
messa in scena completa, dato che si tratta del testo più blindato della letteratura
17
contemporanea, forse solo come Harry Potter. Per poterlo mettere in scena
integralmente si favoleggia di limiti strettissimi alla scelta degli attori (il principe
deve essere un ragazzo) dei costumi, delle scene e della traduzione imposti dai
detentori dei diritti.
Al terzo posto degli autori è invece Roal Dahl, a proposito del quale esiste anche
un raro esperimento di guida alla messa in scena de il GGG pubblicata da Salani.
Con più di una messa in scena pochi i contemporanei italiani, Ruiz Mignone,
Roncaglia, Piumini, mentre sembra che il panorama immaginario degli adulti
artisti e delle loro letture infantili agisca in maniera consistente sulle scelte: Verne,
De Amicis, Calvino, Stevenson e Wilde.
In conclusione riteniamo che l’estensione della ricerca quantitativa sulle stagioni
precedenti, accompagnata da una scansione qualitativa delle diverse tipologie di
elaborazione dell’opera letteraria possa fornirci interessanti spunti di lavoro, sia
come autori di libri per ragazzi che come drammaturghi e registi. In fondo si tratta
di arrivare a guardarci “nel bianco degli occhi” tornando a parafrasare i film
western dell’inizio dell’articolo, per stimolarci a vicenda nella continua
elaborazione di una geografia dell’immaginario ispirata all’infanzia.
Dare parola al senso. Quale linguaggio nel teatro ragazzi italiano
- Dare senso alle parole
Prima di affrontare la questione del linguaggio in ambito teatrale è necessario
dichiarare che il teatro è scritto sull’acqua, e qualunque modalità di progettarne la
realizzazione o di restituirne la memoria fa i conti con l’impossibilità di coglierne
il mistero del “momento presente”.
Il nostro viaggio inizia quindi con lo squillo di un primo campanellino d’allarme:
il testo di uno spettacolo è sempre riduttivo rispetto a ciò che accade sulla scena, e
parlare del teatro come se fosse semplicemente letteratura drammatica è come
guidare un’automobile con un solo cilindro funzionante. Bisogna però ricordare
che nella nostra cultura il testo è stato per diversi secoli lo strumento principale per
progettare e tramandare il teatro, provocando una catena di equivoci e
fraintendimenti a volte portatori di vere e proprie innovazioni. Un testo della
18
letteratura drammatica si può anche leggere ad alta voce, persino su di un
palcoscenico, ma genera teatro solo quando diventa tessitura di azioni, quando
viene trasformato in drammaturgia. Il lavoro di registi, drammaturghi, attori è
quello di “dare senso” alle parole scritte dall’autore. E qui giochiamo volutamente
con l’ambiguità della parola italiana “senso”, significato/sensorialità, perchè ci
porta al cuore della questione. Il passaggio da letteratura drammatica a teatro
avviene quando la parola si fa corpo e viene ad incontrarci in uno spazio tempo
regolato da un preciso rituale. L’operazione di trasformare un testo letterario in
una drammaturgia può portarci molto lontano, fino ad una partitura di stimoli
sensoriali tra i quali possono trovare posto, a fianco degli altri suoni, anche parole
dette o visualizzate in una lingua comprensibile agli spettatori.
- Un nuovo teatro un nuovo linguaggio
Il teatro ragazzi italiano nasce da un superamento del teatro “per” i ragazzi,
utilizzato spesso con finalità formative e morali in ambiti pedagogici evoluti.
Questo superamento si concretizza subito in una precisa scelta linguistica.
Con il significativo influsso delle esperienze politiche di scrittura teatrale, a partire
dall’agit-prop e da Bertolt Brecht, il teatro sceglie di utilizzare la lingua parlata dai
bambini. Il modo migliore di procedere è quello di scrivere con loro lo spettacolo
durante il lavoro di messa in scena, trascrivendo le improvvisazioni, fissando
provvisoriamente sequenze di azioni.
Una metodologia che subito si richiama esplicitamente al teatro popolare, dalla
Commedia dell’Arte con i suoi canovacci, al cantastorie, al giornale di strada.
Vediamo a fianco due esempi di testo teatrale di rappresentazioni svolte da
ragazzi, che gravitano intorno allo stesso tema, quello del incontro/scontro tra
adulti e bambini.
Il birichino
Teodoro – Ascolta, Mario mio, i consigli di chi ti vuol bene... Non passa giorno senza
che non senta una lagnanza di persone che tu insulti o maltratti.
Mario - Già, io sono sempre il cattivo: le cattiverie degli altri non si guardano neppure.
[...]
Teodoro – Ieri, andando a passeggio, ho incontrato il tuo maestro. Egli si è lamentato
meco della tua irrequietezza, della tua troppa vivacità.
Mario – (prendendo la cartella e avviandosi verso l’uscio di fondo) Buon giorno (giunto
sull’uscio, si ferma e chiede) Quando mi compri, babbo, il velocipede?
19
Teodoro - Recati a scuola: del velocipede si parlerà a tempo e a luogo. Del resto non
ammetto scadenze fisse. Quando crederò giunto il momento opportuno, lo comprerò.
L’ultimo a saperlo sarai tu.
(da Il Birichino, commediola per soli ragazzi. di Andrea de Ritis, Genova, Vallardi
1925)
Il Picchiatore
Bambino – Una cosa triste è essere picchiati
(due bambini sono inginocchiati, sei alle loro spalle in piedi. In un angolo un bambino
che indossa un grande pupazzo costruito con fustini di detersivo, giornali e sacchi della
spazzatura, impersona la violenza. I bambini hanno soprannominato questo pupazzo
“Picchiatore”)
Bambino 1- Tu non fai più parte della mia banda
Picchiatore (muovendosi e colpendo con le braccia e le mani i bambini inginocchiati)
Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 2 - Guarda che guaio hai compiuto
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 3 – Ti sei sporcato i pantaloni nuovi
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 4 - Sei un bambino cattivo
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 6 – se dici le bugie vedi cosa succede
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Coro dei bambini dalle quinte – Botte, botte, botte....
Stop – buio – tutti seduti
(da Un’esperienza in prima elementare, Piossasco 1974/75, insegnante Marina Rosania,
in Animazione e città, Torino, Musolini, 1980 pg. 80)
- Due punti di vista
I due testi parlano due lingue profondamente diverse, evidenziando la diversità dei
due mondi che rappresentano.
La prima differenza è quella del punto di vista con cui entrambi gli scrittori, adulti,
raffigurano l’infanzia. A Mario, il birichino piccolo adulto, si contrappone la furia
scatenata ed eccessiva del Picchiatore. Entrambe sono raffigurazioni della realtà, la
prima dal punto di vista adulto, la seconda da quello bambino. Alla base di ogni
azione drammatica c’è un conflitto, e l’efficacia del testo sta di solito nel tenere in
sospeso lo spettatore, nel fargli prendere le parti ora di uno ora dell’altro.
In queste due operazioni lo scopo educativo del testo porta a dichiarare fin dal
linguaggio usato chi comanda il gioco, chi sta dietro le quinte, nel primo caso un
adulto, nel secondo un gruppo di bambini.
- Tra il dire e il fare...
Ma, attenzione, secondo campanello d’allarme! Ciò che sta scritto sulla pagina può
avere sul palcoscenico significati diametralmente opposti. Provate a rileggere il
primo testo immaginandovi l’interpretazione magistralmente dissacrante di un
20
attore come Paolo Poli18, provate ad immaginare il secondo ambientato in una
favela sudamericana. Ma non è tutto, provate adesso ad invertire i fattori, ed
osservate il prodotto.
La parole usate possono diventare anche del tutto ininfluenti alla costruzione di
senso, rispetto ad un linguaggio fatto di corpi in movimento, sonorità vocali,
sensazioni tattili, olfattive e gustative, che costituiscono la sensorialità dell’evento
spettacolare.
Che strade ha quindi intrapreso il teatro ragazzi in Italia per sottrarsi a questa
impossibilità del dire svelataci dai grandi maestri del teatro dell’assurdo?
- Figura, narrazione, danza
Provando un inventario parziale, possiamo allineare, a fianco del lavoro
“tradizionale” di scrittura di un testo drammatico e di messa in scena interpretativa
che ha continuato a costituire un terreno fertile di lavoro per molte compagnie, tre
percorsi di costruzione di nuovi linguaggi scenici: il teatro di figura, il teatro di
narrazione ed il teatro danza.
Tre percorsi che si sono spesso intrecciati a partire dagli anni ottanta, creando
ibridi, false piste e generose esplosioni di senso. In particolare il teatro di
narrazione ha avuto un ruolo importante nella costruzione di un nuovo linguaggio
scenico, che sedimenta sulla arcaicità dei modi fiabeschi parole ed elementi della
vita quotidiana degli spettatori.
Il Gran Porco
NARRATORE: - E insomma, avete capito chi era arrivato? Era il Gran Porco, una
specie di porco fantasma, o forse un porco mago e stregone, gigante e fatato, che
compariva e scompariva nel Gran Maialificio, e faceva dispetti tremendi al Signor
Lardero, che non lo acchiappava mai. Il Gran Porco era un vero nemico del Signor
Lardero, e anche quella volta si arrabbiò moltissimo, e cominciò a dire una sfilza di
bruttissime minacce. Poi, quando era a metà della sfilza, si ricordò dei due bambini che
lo stavano a sentire a bocca aperta, ed allora gli disse:
GRAN PORCO: - Ma voi invece chi siete? Cosa ci fanno due 'csè bî anzléini come voi
dentro al porcile? Non lo sapevo ancora che al S'gnàur Lardero allevasse anche i cinni
coi maiali: cosa vuol fare, i vùstel quei piccolini?
CELESTINA: - Ah, Signor Gran Porco Fantasma, ci aiuti lei, ci aiuti a uscire di qui! Se
non ci aiuta il mio amico Ciccio finirà nella caldaia, e verrà cotto, macinato, condito,
insaccato, e trasformato in un salsicciotto speciale per Natale! Ci aiuti lei!
GRAN PORCO: - Allàura! Prim ed'tot: grunf, chèlma! Fagna un quèl, procediamo con
ordine. 'Dess te mi dici com at'ciàmi grunf!. e com'è che siete finiti que dentar.
CELESTINA: - Mi chiamo Celestina, e lui è Ciccio.
18
Paolo Poli
21
GRAN PORCO: - Benèssum! Allàura, grunf!. Celestèina, conta ben sò tot la storia!
(da Maestra Minestra, Tognolini B., testo drammatico dep. 1988)
- Oltre il realismo televisivo
La necessità per il singolo narratore di marcare i personaggi diversi portando senza
incertezze gli spettatori da uno all’altro, la attenzione alle forme popolari
dell’oralità e del folclore, la vicinanza al grande modello di narrazione costituito
dal Mistero Buffo di Dario Fo, sono alcuni tra i motivi che riportano sulla scena i
dialetti, ridando loro vita come lingue teatrali.
La ricerca di una lingua viva, materica, veicolo di emozione e di sensazione, si
sviluppa in contrapposizione alla lingua omologante che cola fuori dalla
televisione parlata.
Discutendo con i bambini l’idea di realismo, il modo migliore per rendere una
determinata situazione, nella gran parte dei casi affiora in termini quasi dogmatici
lo stereotipo del realismo televisivo da soap opera. E di fronte alla forte differenza
tra i comportamenti rappresentati dal video e comportamenti reali il pubblico,
bambino e adulto, come reagisce? Un pensiero un po’ idealista ci farebbe
immaginare che come nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” i bambini
reagiscano con candida irrisione denunciando la nudità di una fiction in cui i
personaggi non si comportano come nella vita reale. Ed invece succede il
contrario. La vita reale, i gesti, il linguaggio, viene adeguato ad un modello, o
meglio ad uno stereotipo, con tutte le conseguenze che chiunque può osservare.
Teatro di figura, narrazione e danza permettono di uscire dalla trappola del
linguaggio che mima la realtà attraverso un linguaggio fortemente convenzionale,
che induce straniamento e non immedesimazione. Invece di fingere di imitare la
realtà si tratta di linguaggi che fin dalle prime battute dichiarano il gioco, e
chiedono agli spettatori di incontrarsi in un “campo neutro”.
Gli attori si rivolgono direttamente agli spettatori attraverso un mascheramento che
può essere un oggetto o un modo di muoversi, ma che è prima di tutto e soprattutto
linguistico.
Lo straniamento
22
Lo sforzo di creare un distacco fra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si può già
riscontrare, a uno stadio primitivo, nelle recite teatrali e pittoriche delle vecchie fiere
popolari.
Il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere usato nei baracconi da fiera
esercitano una azione di straniamento. [...] Anche l’antica arte cinese conosce l’effetto di
straniamento e lo utilizza in maniera raffinatissima. [...] In primo luogo l’attore cinese
non recita come se esistesse una quarta parete, oltre alle tre che lo circondano. Egli anzi
sottolinea la sua consapevolezza di essere visto, e con ciò elimina una delle illusioni
tipiche della scena europea. [...] allo stesso modo degli acrobati, gli attori scelgono
apertamente quelle posizioni che li rendono meglio visibili al pubblico.Un’altra regola è
questa: l’artista si guarda, [...] l’attore si rivolge ogni tanto allo spettatore come per dire:
non è così? [...]Grazie a quest’arte, le cose della vita quotidiana si elevano al di sopra del
piano dell’ovvietà.
B.Brecht, scritti teatrali, 2001 Torino, Einaudi, p.72
La Mamma di cappuccetto rosso
CAPPUCCETTO ROSSO, DOVE TI SEI CACCIATA? ECCOLA LA’, SEMPRE A
GINGILLARSI. VIENI QUA, DEVI AIUTARMI A STENDERE LA BIANCHERIA.
TENDI LA CORDA, VAI A PRENDERE L’ACQUA E LE MOLLETTE. Così dicendo
si avvicina alla tinozza e butta dentro la biancheria: L’ACQUA, PORTAMI L’ACQUA
SE NO NON POSSSO SCIACQUARE; MI SONO ALZATA ALLE CINQUE PER
LAVARE, IO.
La bambina affannata si adopera per essere efficente, corre col secchio pieno d’acqua, lo
rovescia nella tinozza, sotto lo sguardo severo della mamma, ma fa schizzare l’acqua
tutta intorno lasciando la tinozza mezza vuota: LO VEDI CHE L’HAI BUTTATA
TUTTA DI FUORI? La bambina non sa che fare, guarda la madre angosciata: CHE
ASPETTI? VA A PRENDERNE DELL’ALTRA. DEVO PROPRIO DIRTI TUTTO!
(da Cappuccetto Rosso, adattamento di Carlo Formigoni per lo spettacolo del Teatro
Kismet Opera, Roma, Altamarea,1997, pg. 22 –23)
NARRATORE – C’era una volta la laguna.
La laguna non è un luogo, è un tempo, uno spazio che muta ogni sei ore.
Non è acqua e non è terra ma è il tempo che trascorre tra acqua e terra.
Un tempo che sale e che scende a coprire e scoprire profili, miraggi di terre: barene…
È terra che va al mare e mare che va alla terra.
La laguna è un incontro
( l’immagine della mappa all’orizzonte scorre lentamente: ci solleviamo con lei fino a
sorvolare i riflessi del sole sull’acqua )
Questo è il luogo dove si semina il mare.
Si allevano pesci come mandrie acquatiche.
Cefali, passere, orate, anguillini.
Qui il mare è fertile come terra, e la terra mobile, instabile come mare.
La laguna è un confine che sconfina.
Non è né terra né mare.
E’ un riflesso di acciaio all’orizzonte.
(da Il Principe Granchio, di Silvia Roncaglia, Titino Carrara e Carlo Presotto, Genova,
Edicolors, 2000)
- Dare Parola al senso
Ed eccoci a chiudere provvisoriamente un cerchio nella nostra rapida riflessione
sulle mutazioni del linguaggio nel teatro ragazzi. A più di cento anni dall’unità
politica d’Italia, ad una trentina compiuta dell’unità linguistica nel segno
23
dell’oriundo Mike Buongiorno, il teatro ragazzi si trova a fare i conti con un
pubblico sempre più allenato alla lettura multisensoriale e sempre meno paziente
nei confronti della parola “angelicata”, isolata cioè nella sua dimensione
concettuale. Forse è un problema di allenamento, per cui il problema non sono, in
sè le 11.000 ore di televisione che un ragazzo colleziona durante l’obbligo
scolastico, ma la capacità di utilizzare un linguaggio per comunicare, non solo per
scambiare informazioni.
Il teatro si basa sulla comunicazione, ed ha scoperto da tempo che se la montagna
non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna.
Per questo ricordiamo in chiusura uno tra i testi più significativi nella storia del
teatro ragazzi, “Robinson & Crosue” del teatro dell’Angolo di Torino, nato nel
1985 e ancora in distribuzione. La forza di quello spettacolo sta nel fatto che i due
personaggi incontrandosi su di un isola dopo una catastrofe parlano due lingue
diverse, senza capirsi. Eppure riescono a stabilire una relazione, a comunicare tra
loro, come in fondo succede a bambini e adulti quando condividono il misterioso
spazio-tempo sospeso che è l’evento teatrale.
Questo sforzo, di dare quotidianamente parola ai cinque sensi, al cuore ed ai sogni,
è la scommessa impossibile che ogni giorno gioca chi si occupa di teatro.
Leggende Metropolitane, Narrazione, Teatro. Problemi di metodo
La leggende metropolitane rappresentano un 'interessante "Problema" non solo di
carattere sociale o psicologico, ma anche "linguistico".
Nel momento in cui un narratore si trova ad operare consapevolmente con il
materiale dell'oralità contemporanea si trova immediatamente di fronte a due
ostacoli che possiamo indicare come "la sindrome dell'antropologo" e "la non
linearità del mito metropolitano".
Se, come dice Renata Molinari, è importante evidenziare i problemi che l'istanza
narrativa pone al teatro per leggere una possibile mutazione vitale della forma
24
scenica contemporanea,19 diventa allora ancora più intrigante giocare con i
problemi che le leggende contemporanee pongono alla tecnica narrativa.
Chissà che lavorando per trovare una soluzione pratica al "come raccontare la
leggenda metropolitana" si possano sviluppare nuovi campi di ricerca sulla messa
in scena e sull'immaginario contemporaneo.
- La sindrome dell'antropologo
Un celebre antropologo raccontava lo strano comportamento di una tribù di
indigeni inavvicinabili e molto primitivi, sotto osservazione da tempo da parte di
un gruppo di ricercatori.
Questa tribù era perennemente in migrazione, con ritmi e direzioni inspiegabili,
per cui gli studiosi avevano cercato di tracciare una mappa ed un calendario dei
loro spostamenti. nel corso di alcuni anni avevano individuato tutta una serie di
relazioni tra il trasferimento e le condizioni climatiche, le variazioni della salinità
delle acque, lo spostamento di alcune specie di insetti migratori.
Rileggendo le mappe erano anche emerse alcune figure simboliche, come se la
tribù, nel proprio migrare, seguisse degli arcani sentieri. Ci fu chi rispolverò
l'ipotesi dell'incontro con civiltà extraterrestri... Per farla breve, dopo qualche anno
si riuscì a comunicare faticosamente con alcuni indigeni, che intervistati sulla
natura delle loro migrazioni risposero: "Non si poteva più vivere, con quegli
uomini bianchi che ci giravano intorno. Facevano scappare le bestie,
nascondevano macchine sugli alberi. Così, quando loro arrivavano da una parte,
noi andavamo via dall'altra." L'attenzione degli antropologi aveva influenzato
direttamente il comportamento della tribù, creando un ironico circolo vizioso.
Le leggende metropolitane pongono un primo problema etico al narratore
"cosciente": Rivelare la "leggendarietà" di un fatto, a chi lo crede "reale", non
significa contribuire ad erodere gli spazi dell'immaginario?
Nell'esperienza di un narratore di leggende questo problema si trasforma presto in
un altro: è giusto che le eventuali fioriture o aggiunte che con la mia libertà di
narratore
posso
innestare
sulla
leggenda,
si
sedimentino
su
di
essa
"trasformandola"?
19
riprende l’intervento al convegno Teatro e Narrazione, Como, 1995
25
Nel 1989 partecipai alla puntata "pilota" di una trasmissione televisiva su Italia 1
"Roba da Matti". Raccontavo la leggenda dell'avvistamento di un pesce siluro in
un laghetto di pesca sportiva nei dintorni di Vicenza. La storia mi era stata
raccontata due anni prima da una amica, che ne aveva documentata la realtà con
una serie di foto attendibili. La sua leggendarietà era testimoniata dal fatto che
alcuni motivi (la battuta di pesca subacquea, le ipotesi sulla provenienza del
mostro, la sua voracità) ritornavano in versioni della stessa cattura pubblicate
addirittura oltreoceano, da J.A.Brunvad.
Dopo la mia partecipazione alla puntata vi fu una incredibile fioritura di catture nei
laghetti della provincia di Vicenza, documentata da articoli sui giornali locali e da
conferme orali.
Tre elementi sono divertenti:
- Raccontando la storia chiarivo il suo aspetto leggendario
- Il titolo sul giornale locale parlava di "cacciatore di leggende"
- Per una serie di motivi io stesso non so neppure se il pezzo è andato in onda o no.
Il mass-media si presta incredibilmente a fare da "volano" ai temi miticoleggendari, indipendentemente dalla reale, presunta o inesistente scientificità con
cui li tratta.
Certo è che il narratore, a seconda del cerchio di ascoltatori su cui opera, è in
grado di dare una sua versione della leggenda, ma la tradizione di bocca in bocca è
tale da abbandonare presto le varianti che non rispondono al "senso" della
leggenda, mantenendo invece quelle che ne evidenziano la motivazione di fondo.
Diventa a questo punto importante chiedersi "perchè" la gente si racconti e creda a
storie impossibili.
ma prima di provare ad affrontare questo tema, dobbiamo confrontarci con un altro
problema, quello della forma "drammaturgica" che assumono queste storie.
- La non-linearità della narrazione metropolitana.
"L'idea di ipertesto ha alle spalle una storia non breve. A lungo e confusamente
vagheggiata da eruditi, bibliotecari ed archivisti, viene chiaramente enunciata negli anni
'30 del nostro secolo, nell'America della grande crisi. I suoi genitori indiretti sono
l'utopismo tecnologico e la rivoluzione organizzativa che porta progressivamente a
concepire il sapere e la ricerca universitaria come il risultato dell'attività di gruppi
interdisciplinari. Parecchi anni dopo, grazie alla diffusione capillare dell'informatica,
26
questa idea uscirà dallo stato di utopia visionaria per incarnarsi in semplici prodotti
commerciali reperibili presso qualsiasi rivenditore di software"
(Carlo Rovelli, I percorsi dell'ipertesto Elettrolibri)
"Gli ipertesti (nel senso libero del termine) sono testi non lineari che permettono al
lettore di perdersi nell'iperspazio di una lettura intuitiva e senza costrizioni. il lettore va
in cerca di emozioni e quesiti più che di risposte. [...] Il passaggio da testo a ipertesto è
un processo irreversibile, a meno che non si tenga una copia dell'originale. Il testo
acquista nuove dimensioni, acquista una dimensione rizomatica che non permetterà più
di costruire l'originale senza mutilare l'ipertesto. E' auspicabile quindi una corrente iperstrutturalista che smonti secoli di scrittura lineare dandogli una forma ipertestuale
irreversibile."
(da Hypertext, di Cecchi, su Decoder 2-3 1994)
La leggenda metropolitana non rientra nella misura tradizionale del dialogo e del
racconto.
Spesso, al termine del mio spettacolo "Bar Miralago" in cui racconto la storia del
mio incontro di attore con la leggenda metropolitana, mi fermo a parlare di
leggende con gli spettatori. ne racconto alcune, loro me ne raccontano altre, di
alcune ne sentiamo diverse versioni, mi chiedono se una soria che loro conoscono
sia considerabile leggenda o meno....
Si naviga insieme nell'ipertesto "leggende metropolitane" secondo una lettura non
lineare, di gruppo, in cui il mio ruolo diventa simile a quello di un amministratore
di una rete informatica, o quello di un "master" di un gioco di ruolo. "Attore" di
una narrazione condivisa, di una ricomposizione effimera di frammenti esplosi in
un universo mitico.
In sostanza la leggenda metropolitana offre l'occasione di far rimbalzare il ruolo di
narratore, di mescolare la carte, e con un "maestro del gioco" abile, trasformare gli
spettatori in attori.
Per questo sto sperimentando un modo per narrare "ipertestualmente", senza cioè
una traccia lineare precostituita, ma con la possibilità di attingere ad un serbatoio
di materiali secondo logiche ogni volta diverse.
Per questo ho realizzato un mazzo di carte, ognuna con il titolo di una leggenda del
mio "repertorio" (una trentina). Le mescolo, faccio pescare, chiedo di sfogliarle e
di sceglierne una ad uno spettatore, sto sperimentando una serie di giochi possibili.
27
Mi ritorna alla mente il meccanismo di costruzione della commedia dell'arte, con il
repertorio di lazzi da comporre sul canovaccio, ma per ora è solo una suggestione.
Resta la necessità di individuare un "codice" narrativo preciso per accompagnare il
passaggio della leggenda da confuso rumore di fondo a oggetto di
rappresentazione.
Due problemi, la sindrome dell'antropologo e la non linearità del materiale,
collegati strettamente tra di loro ci riportano alla questione del senso: perchè la
gente si racconta leggende? e soprattutto, perchè farle diventare oggetto di una
ricerca "teatrale"?
Quella che voglio dare non può essere ancora neppure lontanamente una risposta,
ma una linea di lavoro, una specie di teorema con una sua qualche consistenza
intuitiva, ma tutto da dimostrare.
Forse ciò che chiamiamo "leggenda metropolitana" non è altro che una ulteriore
finestra aperta sulla dimensione del mito.
E se indichiamo come mito una storia, che dà in qualche modo corpo e voce a
modelli di relazione tra le persone, e tra le persone e l'ambiente, certamente le
leggende appartengono a questo bisogno di fornire "immagine", "materia" a disagi,
desideri, sentimenti di colpa o di aggressività presenti nella vita quotidiana di
determinate comunità.
Grazie alla velocità degli spostamenti, ed al ruolo moltiplicatore dei mezzi di
comunicazione, queste storie si spostano, diffondendosi in aree culturali diverse
ma rese simili dalla condivisione dello stesso modello di relazione.
Le leggende si collocano quindi tra la "narrazione" di un esperienza, che si
comunica tramite "exempla", e la ridefinizione di questa esperienza in funzione di
un sistema di riferimento, il "modello di relazione" condiviso. Credere insieme ad
una leggenda significa condividere qualcosa che spesso va oltre al semplice fatto
narrato.
Basti fare l'esempio delle numerose leggende di argomento razzista, che migrano
invariabilmente dove vi siano punti di contatto tra culture "più ricche" e culture
"più povere".
Con risultati paradossali:
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Tutti avranno sentito dire che nei ristoranti cinesi ti danno da mangiare topi e
chissà cos'altro. Che arrivano in due e poi portano qui tutta la famiglia. Che
dormono in venti in una stanza. Che se muore uno lo seppelliscono in cantina per
non dover chiamare l'autorità. Forse avrete sentito dire che gli immigrati, non
sapendo che uso fare del bidè, lo riempiono di terra e ci coltivano il prezzemolo.
Tutto questo bagaglio di storie accompagnava, ed è storie recente, le famiglie di
immigrati del sud, cui venivano attribuiti gli stessi comportamenti dei cinesi.
E' curioso ricordare come negli stati uniti le stesse "voci" si trasferiscano
periodicamente sulle varie ondate migratorie. Per cui lo stesso ristoratore italiano,
che si è difeso in anni passati dall'accusa di servire carne di topo ai clienti, oggi
racconta che nel ristorante messicano a fianco avviene la stessa cosa. E ci crede!
Scoprire questi modelli di relazione non è sempre piacevole.
Un amico, provocatoriamente, mi diceva che allora, di questo passo, dovremo
definire Stephen King l'"Omero" moderno, per l'uso capillare che egli fa
dell'oralità all'interno della sua letteratura.
Forse i mezzi di comunicazione di massa, televisione, cinema, giornali, bestsellers, rappresentano la piazza allargata dove "emergono" storie presenti nella
dimensione quotidiana, affidate alla voce di narratori "eletti"? Ma eletti da chi? E
con quale funzione?
Il mio lavoro nasce dall'esigenza personale di capire, di cercare di leggere i flussi,
la struttura, di questo magma apparentemente informe della comunicazione, di
questo rumore di fondo pervasivo che tutto ingloba e tutto omologa.
separare dei frammenti, ripulirli, cercare di farli luccicare, questo è per ora un
impegno ingenuo e faticoso di archeologo ottocentesco, che seguendo le parole di
un poema cerca una città sepolta.
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APPENDICE
La necessita' di un tempo inutile 1990 Vicenza
Il concetto di infanzia come tempo della vita differente da quello adulto è
relativamente recente.
Ma in poco più di un secolo di vita ha già subito profonde trasformazioni, nella
continua evoluzione di strutture sociali e forme di relazione.
Obiettivo del nostro progetto non è quello di sostituirci ai pedagogisti
nell'articolare un progetto educativo, ma semplicemente quello di compiere un
gesto di richiamo .
Il testo nasce dalla nostra condizione di adulti, che si occupano professionalmente
dell'infanzia di oggi e del suo mondo immaginario per costruire storie ed eventi
teatrali. Nasce dalla percezione, a tratti drammatica, di un atteggiamento del
mondo adulto nei confronti di quello infantile. Un atteggiamento che tende
progressivamente a rimuovere ciò che l'infanzia rappresenta di inutile, di gratuito,
per inserire i bambini sempre più organicamente in un ciclo di consumo.
La rivoluzione mediale, che ha portato in questa seconda metà del secolo una serie
di sconvolgimenti culturali e sociali impensabili e tuttora in atto, ha cominciato a
produrre generazioni che a fianco dei genitori hanno avuto come educatore la
televisione, per un numero di ore che supera di gran lunga quelle dedicate alla
scuola.
La struttura sociale italiana si è trasformata balzando nel giro di una generazione
dalla condizione agricola o artigianale del paese, con un sistema forte di legami ed
aggregazioni sedimentate nel corso dei secoli, ad una condizione molto più
dinamica di scambio di idee e movimento di persone, sacrificando al mutato
sistema di sussistenza intere lingue e culture.
Ognuno di noi è in grado di articolare giudizi ed azioni concrete nei confronti di
questi problemi, che costituiscono il terreno su cui si gioca il tema delle identità
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culturali di fronte alle pressioni che cominciano a giungere dall'est e dal sud del
mondo.
Ma il rischio è quello di dimenticare, di fronte a cose apparentemente più urgenti,
quello che in realtà è il vero serbatoio da cui nasceranno gli elementi per affrontare
i problemi del futuro, il mondo dell'infanzia.
I numerosi segnali che ci giungono da questo mondo ci confermano che si tratta di
un terreno cruciale su cui si giocherà la grossa scommessa di una società
multietnica, in grado di utilizzare gli strumenti di comunicazione per elaborare
nuovo sapere e per affrontare battaglie per noi ancora al di là dell'orizzonte.
LA NECESSITA' DI UN TEMPO INUTILE
Lettera di intenti dedicata all'immagine del Tempo dipinta da Giambattista Tiepolo
a Villa Zileri di Monteviale
All'ombra del grande albero che stende i rami sulla sorgente dei sogni il Tempo si è
fermato a riposare.
Appoggiato alla falce, con cui miete i giorni per trasformarli in ricordi, guarda un
bambino che gioca con un pezzo di legno nella fontana.
Questo pezzo di legno è una nave, e poi il pesce che sale dal fondo del mare e la
inghiotte, e il relitto al quale si aggrappano i naufraghi stanchi, ed infine soltanto un
pezzo di legno.
Fino a che gioca, il vecchio sta lì, e lo guarda, poi riprende con nuova energia il suo
lento lavoro.
Come potrebbe continuare senza queste soste?
Una notte un bambino sogna una foglia: in alto sul ramo più in alto, si è staccata, e come
l'ala di una farfalla si è posata dolcemente, con un breve volo, sullo specchio dell'acqua.
Il bambino si sveglia e va alla finestra a guardare come se
tra i palazzi di città e le antenne sui tetti un albero potesse trovar posto.
Ma ad un tratto la luce si spegne in tutto il quartiere, insegne e lampioni si spengono
lasciandolo solo davanti alle stelle.
Sono mille le storie che le stelle raccontano a chi si ferma ad ascoltare.
Mentre alza una mano a indicare una stella, una piccola stella proprio sopra di lui, questa
si stacca, e cade giusta dentro la manica.
Lui torna in camera, la prende e la mette sul comodino, e poi torna a dormire, rassicurato
dalla piccola luce di mille colori che riempie la stanza.
Come consumando le foreste ci condanniamo al suicidio, così consumando il
tempo dedicato all'infanzia, ci condanniamo alla follia.
Passare del tempo con i bambini raccontando, giocando, inventando qualcosa per
loro, è necessario anche a noi.
Partecipano al progetto: Marco Baliani, Cesar Brie, Giovanni Caviezel, Nicoletta
Costa, Cristina Crippa, Elio De Capitani, Argia Laurini, Bruno Munari, Mandiaye
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Ndiaye, Angelo Petrosino, Ottavia Piccolo, Roberto Piumini, Beatrice Solinas
Donghi, Giacomo Verde.
Hanno aderito: Dino Coltro, Benvenuto Cuminetti, Mafra Gagliardi, Mario Lodi
SPETTACOLI E INCONTRI
Il Gabbiano Jonathan La Piccionaia- I Carrara Regia di Armando Carrara
Il Mare In Tasca con Cesar Brie
Torneranno I Miei Figli con Cesar Brie
Ottavia Piccolo Racconta Barbablu'
Il Gatto Con Gli Stivali La Piccionaia - I Carrara Regia Di Titino Carrara
Cristina Crippa ed Elio De Capitani raccontano Favola
Bruno Munari Racconta Cappuccetto Bianco
I Teleracconti con Giacomo Verde
Storie con Marco Baliani
Le due calebasse con Mandiaye Ndiaye Teatro delle Albe
Argia Laurini I racconti di mamma l'oca
corsi e seminari
Lo Scaffale Delle Storie Annalisa Peserico e Paola Rossi leggono storie per ragazzi ed
incontrano gli autori
Il Narratore Ambulante Cesar Brie ed il lavoro dell'attore dalla ricerca della scuola di
antropologia teatrale
Indovina Chi Viene A Cena sei cene per bambini, genitori, nonni ed ospiti coordinate
da Carlo Presotto
Tacaa Butun laboratorio di narrazione con Cristina Crippa e Elio De Capitani
Parole corso sulle parole per raccontare con Marco Baliani
Lo Spettatore Curioso abbonamento agli spettacoli ed incontro con gli attori ed i
personaggi ospiti
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