Archivio - Il Chiostro Sant`Agostino

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Chiostro Sant'Agostino a Recanati
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Recanati
Chiese e monumenti a Recanati
Chiesa di Santa Lucia
Nella estesa contrada di Montazzano vi furono molte chiese, S. Filippo, S. Maria, S. Stefano,
elencate nella bolla di Innocenze IV del 1249. Nel 1299 vi troviamo anche la chiesa di "S. Lucia
de Montazzano" con Giacomo, cappellano di questa chiesa per il castello, e lacobuzio,
prebendato, i quali giurano di non avere la quantità contemplata nel decreto del papa per
pagare la decima degli anni 1299­1300. Vi era anche la chiesa di S. Pietro con Lorenzo
cappellano, che non può pagare la stessa decima. Servivano a gruppi di famiglie, a piccoli
borghi, a nuclei sparsi di coloni. La chiesa di S. Lucia, detta anche in contrada S. Martino, esisteva pure nel 1412 con il
cappellano Giacomo Ciccolini e pagava una tassa di 8 soldi. Si trovava sulla strada Recanati­Montefano e serviva a quella gente
per la messa festiva quale antenato della parrocchia di S. Croce.
Di fatto anche oggi è la cappellania e tanto frequentata per le case che sono sorte d'intorno e nelle vicinanze. La sua esistenza è dovuta alla nobile
famiglia Prosperi di Recanati. Costruita la chiesa parrocchiale di S. Croce nel 1792, con il 1794 questa famiglia per la sua villa o casino di campagna
potè avere la proprietà della chiesa di S. Lucia e del luogo dove sorgeva. La riparò o quasi ricostruì, essendo stata benedetta domenica 5 luglio 1795,
secondo una carta col disegno della pala d'altare raffigurante la SS. Trinità. In quell'anno il complesso di campagna era valutato 2400 scudi.
Durante il soggiorno estivo-autunnale vi celebravano la messa i due fratelli della famiglia, canonici e letterati Alessandro e Matteo. Nel settembre
1812 in questa chiesa rurale della casa Prosperi, "Eccl.. rurali Domus Prosperi", furono celebrate le nozze del conte Gaetano Bettini e Maria Prosperi,
figlia di Carlo, fratello dei due sacerdoti e di Prospero, superiore provinciale dei Barnabiti a Roma, governatore di Recanati nel 1823, cameriere di
Spada e Cappa di Pio VII. Il 23 gennaio 1813 fu fatta una perìzia legale di questo possedimento per alienarlo, ma nel 1814 tutto era ancora dei
Prosperi, secondo l'Archivio Vaticano. In quel tempo S. Lucia deve essere passata alla parrocchia di S. Croce.
Questa chiesetta viene ricordata per esservi stata portata nel 1795 la campana antichissima che era sul campanile della chiesa di S. Onofrio nel rione
Mercato. Aveva scolpito l'anno 1133, la data storica più antica di Recanati. Il canonico Alessandro Prosperi la comprò dal sacerdote Tito Luciani, il
quale l'aveva ricevuta dalla compagnia della Misericordia, quando S. Onofrio fu demolita. Egli la mise sul piccolo campanile di S. Lucia, ma la notte del
14 settembre 1797 fu rubata e non più ritrovata e sparì per sempre. La "cartula" di questa memoria storica, scritta in un latino classico dallo stesso
canonico Prosperi, è riportata sul Casanostra del 1983-84.
Per le case nuove sorte presso l'antica chiesa di S. Lucia e anche per devozione e comodità ancora oggi è frequentata per la messa festiva e ben
conservata.
Chiesa di Santa Maria in Varano
Era l'anno 1450 quando la chiesa di S.Maria in Varano e il Convento abitato dai Francescani ­
Osservanti minori furono edificati. Lo storico recanatese don Cesare Fini con una accurata e
approfondita ricerca ci dà la possibilità di conoscere le vicende dei suddetti edifici durante i secoli
mediante questa pubblicazione: mentre lo ringraziamo, gli auguriamo ancora tanti anni di vita.
Ringraziamento anche per don Luigi Varinelli per le notizie attinte dalle sue pubblicazioni per la compilazione di
questo opuscolo.
La piccola chiesa con il titolo mariano esisteva in tempi assai remoti, sebbene non nello stesso posto, essendo la
costruzione primitiva sotto la strada. L'inizio si perde verso il mille al pari della pieve di S. Vito, a cui poi apparteneva,
e della chiesa di S. Maria de Recanato. L'indicazione Varano è nome di origine romana, derivata dal nome del
proprietario. Infatti "fonte di Varano", "piano di Varano", "contrada Varano", "Borgo Varano", "Pintura di Varano",
"S. Maria di Varano" si riferiscono allo stesso pro prietario del luogo.
leggi l'articolo
Chiesa e Convento dei frati Cappuccini, Un angolo di memorie leopardiane
La presenza a Recanati dei frati cappuccini - un ramo dell' Ordine francescano - risale al 1558. Il loro primo convento sorse su
una collina, fuori di Porta Morello. Di qui i frati si recavano giornalmente al vicino santuario di Loreto per svolgervi umili
mansioni. Nel 1616 fu costruito l'attuale convento con la rispettiva chiesa, dedicata alla Madonna di Loreto, come dichiara
anche l'iscrizione posta sopra l'architrave della porta della chiesa, all'esterno: Templum Deiparae Virgini Mariae Lauretanae
dicatum MDCXVI. In questo convento sono vissuti santi e operosi frati. Si cita, fra tutti, p. Bonaventura Massari da Recanati
(1614-1691), uno dei più insigni cappuccini del Seicento, celebratissimo predicatore apostolico e autore delle famose Prediche
di Palazzo. Il convento, nel secolo XX, prima è stato Centro regionale dell'Ordine Francescano Secolare, guidato anche dal p.
Gaetano da Cerreto (1876-1954), illuminato promotore di un ardente apostolato socio-religioso, e poi, dal 1976, Centro
regionale delle Missioni Estere dei Cappuccini marchigiani.
La storia di Palazzo Venieri
Le vicende costruttive del palazzo che il Venieri fece edificare a Recanati sono ricostruibili con una buona dose
di certezza grazie agli studi archivistici del Vogel e del Benedettucci che hanno contribuito a dissipare molti
dubbi circa la storia primitiva dell'edificio. La data di inizio dei lavori può fissarsi intorno ai primi mesi del
1473, in un tempo assai prossimo alla nomina cardinalizia del Venieri; è chiaro però che l'imponente
costruzione, da erigersi nel luogo più centrale ed elevato della città, rendeva necessario acquisire prima i
modesti fabbricati che si trovavano sull'area prescelta dal Venieri e quindi consolidare la scarpata verso mare.
Queste opere preliminari erano probabilmente già state avviate negli ultimi mesi del 1472. Le spese per la
costruzione dell'imponente edificio furono in parte sostenute dalla comunità di Recanati che nel 1473 erogava
700 ducati ed altri 800 nel 1475; in cambio di questi cospicui sussidi il Venieri si impegnava ad ospitare nel
nuovo palazzo i cardinali legati ed altri illustri personaggi di passaggio a Recanati.
Grazie agli studi compiuti dal Vogel nel 1815, resi noti dal Giannuzzi e ripresi dal Benedettucci nel 1884, è
emerso che l'incarico di progettare l'edificio era stato affidato all' architetto toscano Giuliano da Majano; tre
lettere indirizzate dal Venieri a Lorenzo il Magnifico per sollecitare il ritorno dell'architetto a Recanati, nonché
altri contratti nei quali si fa il nome del da Majano, confermano pienamente il riferimento all'architetto
toscano che si avvalse di maestranze fiorentine per l'esecuzione del progetto. L'aspetto che il palazzo doveva
avere secondo il disegno quattrocentesco è oggi di difficile ricostruzione perché le vicende intercorse ne hanno
notevolmente alterato la forma; doveva trattarsi di un imponente edificio quadrilatero di 4 piani sopra il
suolo, articolato intorno ad un cortile centrale a cinque interculumni per lato, secondo uno schema
tipicamente toscano riscontrabile anche in altri palazzi ideati dal Majano palazzi Pazzi e Quaratesi a Firenze,
palazzo Spannocchi a Siena). Sulla facciata, al piano terreno, dovevano aprirsi delle ampie botteghe che il
comune si era riservato in tempi di fiera ed è presumibile che le finestre dei piani superiori fossero a forma di
bifora con colonnina al centro.
Il progetto che abbiamo così provato a ricostruire non poté essere portato a termine per la morte del cardinale
e gli stemmi Venieri furono scalpellati per far posto a quelli del cardinale Farnese, committente dell'opera.
Con la morte improvvisa del Venieri cominciava un lungo periodo di abbandono del palazzo; avocato dalla
camera apostolica, passava nel 1480 in proprietà a Giovanni Venieri, nipote del costruttore e vescovo di
Ragusa, che lo acquistava per 1200 scudi. Nel 1490, morto il vescovo, ne diveniva proprietario Giacomo
Venieri ed alla scomparsa di questi nel 1519 passava alla confraternita di San Giacomo che, pur attuando
qualche intervento d'ordinaria manutenzione, lo sfruttò soprattutto come immobile da pigione.
Dopo quasi due secoli di degrado il palazzo veniva acquistato nel 1729 dal conte Roberto Carradori che, sotto
la direzione dell'architetto Pietro Augustoni , gli diede l'odierno aspetto.
L'intervento settecentesco
Passato nel 1729 in proprietà della famiglia Carradori, l'antico Palazzo dei Venieri subiva un radicale
intervento di trasformazione per essere adibito alle funzioni di rappresentanza richieste dal rango dei nuovi
proprietari. L'incarico di sovrintendere i lavori era stato affidato all'architetto comasco Pietro Augustoni (1741
- 1815), lungamente attivo a partire dal settimo decennio nelle Marche, soprattutto a Fermo dove ebbe stabile
residenza. E' probabile che l'intervento abbia avuto luogo intorno al 1770, quando l'Augustoni aveva ricevuto
numerosi incarichi nel maceratese, a Caldarola (chiesa di Santa Maria del Monte), a Mogliano, a Treia. Chiuse
le botteghe del piano terreno, venne dimezzato il primo piano ricavandone due magazzini per i servizi; tutte le
finestre della facciata e del cortile vennero ridotte a forma rettangolare ed ornate con cornici lapidee; a destra
ed a sinistra del cortile si approntarono due basse costruzioni adibite a stalla ed a rimessa per le carrozze; sul
lato nord-est del cortile, dove probabilmente il colonnato majanesco non era mai stato innalzato, fu realizzato
un prospetto classicheggiante con un'apertura al centro, sormontata da un timpano con orologio, dalla quale si
gode una stupenda veduta verso Loreto ed il Conero.
Internamente, oltre a prevedere una nuova distribuzione degli ambienti, l'Augustoni disegnò l'imponente
scalone di linee sobrie ma sontuose.
Per sostenere la costruzione così modificata si rese anche necessario consolidare le colonne del lato sud-ovest
del cortile, che vennero affiancate da pilastri in laterizio. Da questo sintetico esame emerge dunque che si
trattò di un intervento molto esteso nel quale Augustoni seppe coniugare le necessità dei nuovi proprietari con
la volontà di salvaguardare la struttura quattrocentesca di maggior rilevanza estetica, il cortile.
I capitelli danneggiati vennero così rifatti secondo il disegno del da Majano, sostituendo lo stemma Carradori a
quello Venieri; le colonne che fu necessario consolidare con pilastri vennero lasciate visibili; sulla facciata del
palazzo vennero mantenuti i due stemmi angolari tipicamente quattrocenteschi ed anche per il nuovo scalone i
capitelli delle colonne e delle paraste riprendono la forma di quelli del cortile, ricreando così una certa
continuità fra il passato ed il presente. Com'era consuetudine dell'Agustoni, testimoniataci anche dai palazzi
che a Fermo edificava per le famiglie Pelagallo, Erioni e Nannerini, l'architetto sfruttò soprattutto il laterizio,
limitando l'uso della pietra alle cornici delle finestre, sormontate da timpani triangolari e curvilinei alternati,
mirando ad ottenere un effetto complessivo di sobria compostezza, memore di certe soluzioni vanvitelliane.
Il Palazzo durante la proprietà dei Carradori
Durante i 153 anni che il Palazzo rimase in proprietà alla famiglia Carradori subì continui miglioramenti
interni tanto da essere ritenuto degno di ospitare nel 1814 Pio VII che tornava a Roma dopo i lunghi anni
dell'esilio francese. I più importanti lavori ebbero luogo nel 1838 in occasione delle nozze del conte Antonio
Carradori con la principessa Laura Simonetti, quando dal Moretti vennero eseguiti i dipinti murali
dell'appartamento al piano nobile riservato agli sposi. Era già stata da tempo ultimata la decorazione della
cappella domestica dove vennero collocate le spoglie di Santa Ruffina rinvenute sin dal 1805 nelle catacombe
di Roma. A completare gli ambienti, le cui pareti dovevano essere tappezzate di stoffe preziose, erano molti,
importanti mobili, una ricca quadreria oltreché una scelta biblioteca composta di rari volumi. All'amenità del
Palazzo contribuivano poi due giardini, l'uno verso il mare prospiciente le mura cittadine, l'altro assai più
grande, organizzato a terrazze, sul lato anteriore della costruzione, al di là della pubblica via. Per agevolarne
l'uso, Antonio Carradori faceva congiungere questo giardino al Palazzo tramite un passaggio sotterraneo che
porta al ripiano intermedio, ornato di un prospetto di gusto neo-gotico. Il giardino anteriore veniva anche
arricchito da una serra e da una kaffeehaus; a completare l'effetto erano le numerose sculture disposte lungo i
vialetti e sulle balaustre. I mobili, i quadri, i libri rari e le statue del giardino vennero vendute nel 1882 alla
morte del conte Antonio quando, per far fronte alle disagiate condizioni finanziarie della famiglia, anche il
Palazzo cambiò proprietario; ad acquistarlo era il genero del Carradori, Pascucci Carulli che apportava ben
poche modifiche, fatta eccezione per la decorazione del soffitto dello scalone dove campeggiava lo stemma
della casata.
LA CHIESA DI SANT'ANNA IN RECANATI
La chiesa i di Sant'Anna ha una storia antica e ricca, che merita di essere riassunta, anche perché intimamente
legata alla Santa Casa di Loreto.
Da chiesa di Sant'Angelo a chiesa di Sant'Anna
La chiesa che ospita la nuova Porta si ricollega storicamente a quella di Sant'Angelo, elencata con tale titolo in una
bolla di Innocenzo IV del 22 marzo 1249. Un'immagine della Madonna denominata Majestas lmm (Maestà) era
dipinta sulla parte antistante ed era molto venerata dalla popolazione recanatese, tanto che nel 1341 nove vescovi
concessero un'indulgenza a chi la visitasse. Vi fu eretto anche un altare - su cui ardevano ceri votivi isolato in
seguito con un cancello, con una piccola struttura a difesa dalle intemperie. Il vescovo di Recanati però lo fece
rimuovere perché i riti devozionali venivano turbati dalla gente che transitava o sostava davanti.
il Chiostro Sant'Agostino ­ Piazzale Pietro Giordani, Recanati ­ Provincia di Macerata | email
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