IL VISITATORE: UNA FINESTRA APERTA SULL'UOMO Che succede quando l'analista viene psicanalizzato? Cosa accade quando il maestro del sospetto viene messo in dubbio? “Il visitatore” (regia di Valerio Binasco) è un dramma di vigile allucinazione, un tuffo gelido nell'inconscio dell'uomo del '900, sospeso senza soluzione tra vacillanti verità e solide certezze dei massimi sistemi, proposte da un contesto di guerra e smarrita fede. La pièce vede come protagonista il dialogo tra Freud, ormai ingrigito nel suo appartamento viennese, e un irrequieto sconosciuto che si professa Dio, quello stesso Dio che il grande psicanalista ha ostracizzato dalla sua vita e che ora si presenta inaspettatamente da lui. Inizialmente non ci sono sospetti, l'uomo è un impostore, un pazzo dalla vita scombussolata come le tante alle quali Freud ha già assistito. L'analista, per deformazione professionale, anche in questo caso cerca di carpire l'inconscio dell'uomo che si trova di fronte ma è lo sconosciuto che questa volta sembra poter penetrare sofficemente nella mente di Freud, accedendo persino ai suoi ricordi, alla sua più intima essenza là dove si celano le domande esistenziali, le aspirazioni e la consapevolezza stessa di esistere. Per tutta la durata dello spettacolo il seme del dubbio inizia a germogliare nel grande pensatore: egli si trova davanti ad un pazzo che gioca ad essere Dio o sta assistendo alla manifestazione di Dio che si finge un pazzo? Ogni scena del dialogo sembra essere stata trasposta nell'utero caldo ed inaccessibile dell'inconscio dell'uomo, misterioso ed incomprensibile dove non si distinguono netti confini tra desiderio e realtà, repulsione e fantasia, dove i dettami della ragione sfumano fino a dissolversi e l'unico mezzo rimasto per comprendere è la fede. Il concreto perde di significato: che Freud sia in compagnia di Dio stesso o solo di un eìdolon della mente, l'incontro è uno stimolante momento di riflessione sul bene, sul male e soprattutto sulla libertà dell'uomo. Il fulcro della rappresentazione infatti è la domanda “se Dio esiste perché permette il male?”. E per la prima volta Dio (o colui che si professa tale) risponde: l'uomo è stato creato da un amore infinito ed è a causa di esso che all'uomo viene donata la piena libertà di azione; siamo così amati che ci viene lasciata l' indiscriminata facoltà di scelta, persino quella di operare il male. Il finale è aperto, spetta al pubblico districare i nodi della visita appena avvenuta, decidere se tutto è realmente accaduto o si tratta del frutto di un'allucinazione, ma cosa più importante se interiorizzare o meno gli spunti di riflessione immancabilmente offerti. FRANKENSTEIN JR. Sono rimasta piacevolmente colpita da questo spettacolo teatrale. La pièce è unica nel suo genere nel programma di quest’anno poiché costituisce una leggiadra e ammiccante parentesi di comicità e divertimento rilassato in un panorama di più impegnative rappresentazioni e tematiche. Il musical è irriverente e accattivante anche grazie alla presenza della componente sensuale tra il Dr. Frankenstein e Inga, tra Frankenstein e la moglie del dottore, affrontata comunque con ironia e selfhumor. Ho trovato interessante la possibilità di accostarmi ad un’opera sia recitata che cantata in primis per il valore coinvolgente ed esaltante a livello individuale della musica e del canto (che forse spesso vengono minimizzati nel teatro moderno, dimenticando che nel dramma nato nell’antica Grecia parti corali/musicali avevano uno spazio rilevante); inoltre mi sono potuta nuovamente rendere conto di come uno spettacolo simile sia in grado di unire in fragorose risate tutte le generazioni, dai giovani, agli adulti, agli anziani. Un ultimo ma non meno importante apprezzamento va fatto ai curatori della scenografia significativamente giocosa e curiosa con tutti i suoi passaggi segreti, porte nascoste ed elementi in movimento. AMADEUS Premettendo che ho amato questo spettacolo mi sento di consigliarlo a tutti i giovani della mia età che non vogliono accostarsi al teatro perché reputato noioso. Il titolo è “Amadeus”, un immediato riferimento al più noto compositore di musica classica Mozart. E’ possibile che lo spettatore si aspetti di assistere ad un’opera tediosa, una classica biografia sulla vita di un genio della musica, di una personalità irraggiungibile al quale paragone dovremo inevitabilmente sottoporci senza poterne uscire che umiliati, per non parlare dell’ambientazione settecentesca degna delle più stantie rappresentazioni. Nessun giudizio potrebbe essere più inadatto all’esibizione che ci stiamo apprestando ad ammirare. “Amadeus” rivela il lato oscuro della fama, il travaglio di un uomo che nell’era moderna è considerato tra i più grandi geni della storia della musica, dotato di raro e precoce talento ma che venne osteggiato dai suoi contemporanei; “Amadeus” svela la tragedia del visionario che mai verrà integrato nella sua società, assurdamente chiusa ed impostata sulla tradizione, e l’ingiustizia del mancato riconoscimento delle abilità dell’uomo. Ma la sofferenza non si limita al personaggio misero di Mozart: essa fluisce attraverso di lui sul personaggio di Salieri, suo avversario compositore a Vienna. Egli è l’unico prescelto che intuisce il vero genio di Mozart ma è condannato a rimanere il favorito della corte viennese nonostante la consapevolezza di essere un nulla rispetto al talento del più giovane musicista: è proprio quella stessa contezza che lo porterà sull’orlo della pazzia. L’attenzione dello spettatore è costantemente carpita dal taglio tragicomico della regia ma secondo un mio parere personale soprattutto dall’attore Tullio Solenghi (che interpreta Salieri), dotato di un carisma e di un fascino difficilmente descrivibili, dalle espressioni del viso alla modulazione della voce. I giovani dovrebbero assistere a questa rappresentazione anche solo per rendersi conto che i grandi attori non sono solo i fenomeni di Hollywood ma che abbiamo delle eccellenze molto più vicine a noi che possono offrire una visione della vera e talentuosa recitazione. FROST/ NIXON Purtroppo questo spettacolo non mi ha particolarmente entusiasmata. Probabilmente sono giunta a teatro con aspettative troppo alte (in quanto tra gli spettacoli in programma era quello che a livello di tematica mi accattivava di più) ma che alla fine non sono state corrisposte. Il risultato è stato uno spettacolo caratterizzato da una certa statica mentre mi sarei aspettata un più serrato e cinico scontro tra l’ex presidente degli stati uniti e il presentatore televisivo. La scena si svolge lenta e pesante come Elio De Capitani (Nixon) perennemente seduto sulla sua poltrona da presidente. Entrambi i personaggi mi sono parsi mancare di carisma. Nixon, rappresentante del potere che prevarica la morale e in questo caso il “cattivo” della storia non personifica in maniera adeguata né il fascino oscuro della vita immorale improntata alla riuscita personale né un affabulatore di popoli come ci si aspetterebbe ma rimane sempre un personaggio leggermente calante; in Frost invece non ho riscontrato i tratti geniali che avrei voluto trovare nell’uomo che è riuscito a strappare in mondovisione la confessione dei propri crimini all’uomo più potente d’America. Ho trovato più apprezzabili i costumi e la scenografia anni ’70, coadiuvati a fornire la giusta atmosfera dalle luci di scena giallastre. Eleonora Dicesare