in praƟca Professioni e Settori Damiano Marinelli, ElisabeƩa Bardelli La responsabilità civile del professionista I edizione • Responsabilità generale, contraƩuale ed extracontraƩuale • Società professionali e responsabilità solidali • Responsabilità del commercialista nello svolgimento delle sue funzioni: consulenza ed assistenza in materia tributaria, assunzione di cariche sociali e incarichi giudiziari, riciclaggio e privacy Damiano Marinelli - Elisa Bardelli La responsabilità civile del professionista Copyright © 2014 - Cesi Multimedia s.r.l. Via V. Colonna 7, 20149 Milano www.cesimultimedia.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione dell’opera, anche parziale e con qualsiasi mezzo. L’elaborazione dei testi, pur se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o all’editore per eventuali involontari errori o inesattezze. ISBN 978-88-6279-096-3 Pubblicazione aprile 2014 Indice Profilo autori V Introduzione V 1. Le professioni intellettuali 1.1 La responsabilità del professionista intellettuale 1.2 Professioni intellettuali protette 1.2.1 Carattere intellettuale della prestazione 1.2.2 Intuitu personae e rapporto fiduciario 1.2.3 Carattere professionale della prestazione 1.2.4 Onerosità della prestazione 1.2.5 Autonomia e discrezionalità 1.3 La prestazione del professionista come obbligazione di mezzi o di risultato 1 1 2 4 5 6 7 7 8 2. La responsabilità contrattuale del commercialista 2.1 Premessa 2.2 L’inadempimento 2.3 L’art. 2236 c.c.: la responsabilità del professionista nei casi di speciale difficoltà 2.4 La colpa professionale: negligenza, imprudenza e imperizia del professionista 2.5 La diligenza del buon professionista 2.6 L’errore professionale 2.7 Il nesso causale tra inadempimento e danno, il danno risarcibile e l’onere della relativa prova 2.8 Responsabilità del professionista che si avvalga di sostituti e collaboratori 2.9 Società professionali e responsabilità del professionista per l’opera svolta 13 13 14 15 18 19 22 22 24 25 3. La responsabilità extracontrattuale del commercialista 3.1 Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale 3.2 La responsabilità extracontrattuale verso il cliente 3.3 La responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi 3.4 L’applicabilità dell’art. 2236 c.c. alle ipotesi di responsabilità aquiliana 3.5 Considerazioni conclusive 27 27 29 30 31 32 4. Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.1 Responsabilità connesse all’attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria 4.1.1 Responsabilità e sanzioni in relazione alle attività di assistenza fiscale 4.1.2 Responsabilità e sanzioni in relazione alla attività di trasmissione telematica delle dichiarazioni 4.1.3 Responsabilità e sanzioni a carico del “professionista infedele” 4.2 Responsabilità connesse all’assunzione di cariche sociali 4.2.1 Responsabilità degli amministratori di società azionarie 4.2.2 Responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata 4.2.3 Responsabilità del collegio sindacale di società azionarie 4.2.4. Responsabilità dell’organo di controllo di società a responsabilità limitata 4.3. Responsabilità connesse all’assunzione di incarichi giudiziari 4.3.1 Incarichi nell’ambito di procedure concorsuali 4.3.2. Incarichi di C.T.U. 4.4. Responsabilità connesse allo svolgimento di altre funzioni di natura pubblicistica 4.4.1 La funzione di giudice tributario 4.4.2 La funzione di revisore di enti pubblici 4.5 Responsabilità in materia di riciclaggio 4.6 Responsabilità in materia di privacy 33 33 33 34 34 34 35 35 35 35 35 35 36 36 36 37 37 38 Appendice © Cesi Multimedia 39 III Profilo autori Damiano Marinelli ([email protected]), avvocato, esperto di contrattualistica, già docente presso l’Università degli Studi di Firenze e coordinatore del modulo di mediazione civile presso il Master post lauream di Mediazione all’Università degli Studi di Padova. È docente all’Università degli Studi E-Campus, dove insegna Diritto privato e Diritto della mediazione, dell’arbitrato e dell'Alternative Dispute Resolution. Sempre per la stessa Università, è coordinatore del Master post lauream in A.D.R. (Alternative Dispute Resolution). È arbitro e conciliatore presso Enti pubblici e privati, Presidente dell’Associazione Legali Italiani e dell’Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani. Relatore in molteplici convegni di aggiornamento professionale, è autore di numerose pubblicazioni per diverse Case editrici e di svariati articoli in materia giuridica. Elisabetta Bardelli, avvocato e dottore di ricerca in Diritto civile nella legalità costituzionale. Introduzione Nel tentativo di affrontare nel modo più esauriente possibile il complesso tema della responsabilità professionale del commercialista, ragioniere e revisore dei conti, pare conveniente chiarire, innanzitutto, pur senza alcuna pretesa di esaustività, gli elementi di identificazione e le caratteristiche in generale della professione intellettuale. Ed infatti, la figura del commercialista si inserisce nel più ampio genus delle professioni intellettuali, tra le quali si caratterizza, oltre che per la recente emersione, per la specifica competenza tecnica ad essa attribuita. In linea generale, si riconosce a tale categoria professionale una competenza tecnica nelle materie commerciali, economiche, finanziarie, tributarie e di ragioneria. Più in particolare, l’oggetto della professione di dottore commercialista viene ora individuato dall’art. 1, nn. 1, 2 (competenze comuni a tutti gli iscritti all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) e 3 (competenze riconosciute solo agli iscritti alla sezione A Commercialisti dell'albo), d.lgs.. 28 giugno 2005, n. 139, mentre l’art. 1, nn. 1, 2 (come si è detto, competenze comuni) e 4 (competenze riconosciute agli iscritti alla sezione B Esperti contabili dell'albo), d.lgs.. n. 130 del 2005, riguarda la competenza degli esperti contabili, in precedenza, denominati ragionieri. Prima che entrassero in vigore le norme sopra richiamate, la materia è stata regolata dall'art. 1, d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, per i dottori commercialisti, e dall'art. 1, d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, per i ragionieri e i periti commerciali. L’attività professionale del commercialista si caratterizza quindi per la varietà, molteplicità e complessità degli incarichi e delle funzioni svolte. Proprio a tale peculiarità deve ricondursi la diversità dei possibili profili di responsabilità applicabili al commercialista. La responsabilità civile del commercialista può dunque derivare, in primo luogo, dallo svolgimento dell’attività professionale tipica e, dunque: • dall’attività di consulenza e gestione fiscale; • dalla redazione di bilanci; • dalla perdita, distruzione e deterioramento di atti e documenti ricevuti per l’esecuzioni di incarichi professionali; • dal trattamento dei dati personali (ex d.lgs n. 196 del 30 giugno 2003). © Cesi Multimedia V Introduzione Tuttavia, la responsabilità del commercialista può configurarsi anche laddove egli agisca al di fuori di quelle che sono le caratteristiche tipiche della sua attività professionale, ed in particolare, quando agisce: • in seguito all’assunzione di cariche sociali: − amministratore di società di capitali (artt. 2392 e segg., art. 2476 del c.c.); − sindaco/revisore di società di capitali (artt. 2407 e 2477 del c.c.; art 24, legge comunitaria del 2007); • quale membro di organi di controllo e di sorveglianza in società di capitali o enti (d.lgs. 231/2001); • nell’esercizio dell’attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria (d.lgs. n. 241/1997; d.lgs. n. 472/1997; d.P.R. n. 322/1998): fattispecie specifiche dell’attività dei ragionieri e dottori commercialisti; • in materia fiscale svolta anche presso i Caaf (per la certificazione a fini fiscali di cui al d.lgs. 490/98 e d.lgs. 241/1197 e successive modifiche); • quale amministratore di stabili (ex artt. 1330 e 1331 e ss. del c.c.); • in seguito all’assunzione di incarichi giudiziari: − nell’ambito di procedure concorsuali (art. 38 della legge fallimentare); − in qualità di consulente tecnico del tribunale (art. 64 del c.p.c.; art. 373 del c.p.); − in tutte le altre ipotesi in cui agisce in ambito giudiziale (commissario giudiziale, commissario liquidatore, commissario governativo, ausiliario giudiziario, liquidatore giudiziale, arbitro, custode giudiziario). • nelle materie di applicazione della normativa anti-riciclaggio (d.l. n. 143/1991; d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, in attuazione della direttiva 2001/97/CE). VI © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali 1. Le professioni intellettuali 1.1 La responsabilità del professionista intellettuale La fattispecie più comune di responsabilità civile del commercialista, che potremmo definire “generica” in quanto relativa a tutti i prestatori d’opera intellettuale, è quella connessa all’esercizio di una professione intellettuale (art. 2236 del c.c.). Appare quindi opportuna una preventiva ricognizione della nozione di professione intellettuale, la cui difficile elaborazione richiede l’analisi della natura, della fonte e del contenuto dell’attività del prestatore d’opera intellettuale in genere ed è resa ancor più complessa dalla vastità ed eterogeneità della tipologia di prestazioni che costituiscono il possibile oggetto di un contratto d’opera. Le professioni intellettuali sono disciplinate in maniera omogenea dal codice civile, ma nella pratica reale sono molto diverse: basti raffrontare ad esempio le varie specializzazioni in campo sanitario, le professioni di avvocato, notaio, commercialista, nonché quelle del settore delle costruzioni, come gli ingegneri ed i geometri. Come appare evidente vi sono professioni che possono avere caratteristiche più vicine al contratto d’opera e professioni che se ne discostano in maniera decisa. Il Codice Civile dedica un Capo (il II del Libro V, Titolo III) alla disciplina delle “professioni intellettuali” e del “contratto di prestazione d’opera intellettuale”1. Partendo dalla disposizione generale di cui all’art. 2222 c.c. è possibile enucleare gli aspetti essenziali che qualificano il contratto d’opera intellettuale come quel contratto in forza del quale, un soggetto: il professionista intellettuale, assume l’obbligo, nei confronti di un altro soggetto: il cliente, di eseguire, contro onorario o compenso pattuito, o in mancanza stabilito dalle tariffe professionali, una prestazione intellettuale, la quale consiste in un risultato obiettivo, in un comportamento tecnico o in un servizio2. È stato rilevato come siano assolutamente incerti i confini delle fattispecie concretamente riconducibili alle c.d. prestazioni d’opera intellettuale, cui si applica la disciplina di cui all’art. 2230 c.c., dal momento che il legislatore del nostro codice civile utilizza l’attributo della professionalità secondo formule estremamente ambigue ed eterogenee3. Si è scritto anche che il legislatore di norma adopera il termine professioni sganciato dall’attributo di intellettuale per designare indipendentemente le attività manuali, quelle intellettuali o, ancora, quelle imprenditoriali. La dottrina più tradizionale4 considera il contratto d’opera intellettuale come una species del tipo generale “lavoro autonomo”, che importa una professionalità intesa come sistematicità-continuità dell’esercizio della professione5; tale impostazione trova conferma nell’analisi degli elementi strutturali del contratto, come pure nella precisa sistemazione codicistica 6. In letteratura molti Autori7, partono dalla classica impostazione che distingue, nell’ambito della disciplina dettata dal codice civile in materia di lavoro autonomo, il contratto d’opera e l’esercizio delle professioni intellettuali 8. ------------------------------------------1 Risultano interessanti in tale ambito anche alcuni interventi legislativi, da ultimo si allude al d.l. 13 agosto 2011, n. 138 ed alla legge 12 novembre 2011, n. 183. 2 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 521; M. TAVELLA, Il Parere del professionista, in Il Diritto industriale, 2012, n. 1, p. 94; P. CENDON, Commentario al codice civile. Artt. 2135-2246: Impresa agricola, imprese commerciali, lavoro autonomo, professioni intellettuali, Milano, 2009; G. e G. GIACOBBE, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera. Artt. 2222-2228, Milano, 2009; F. RABOTTI, Le professioni intellettuali. Il cammino che le ha rese protagoniste dell’evoluzione della società lungo il percorso formativo, deontologico e di servizio, Milano, 2003; A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, Milano, 1996; N. ASSINI, G. MUSOLINO, Esercizio delle professioni intellettuali. Competenze ed abusi, Padova, 1994; G. IANNUZZI, Le professioni intellettuali e il contratto di prestazione d’opera intellettuale, Milano, 1980; C. IBBA, Le professioni intellettuali, Torino, 1987. 3 P. STANZIONE, La responsabilità civile del professionista, in Danno e Responsabilità , n. 1, 2007, p. 5 e ss. 4 V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICUMESSINEO, v. XXVII, t. 1, Milano, 1996. 5 A seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva 93.13 della CEE, è stato inserita una nuova definizione di professionista. L’art. 1469-bis, comma 2, sostiene che è professionista la persona fisica o giuridica, pubblica o privata che, nell’insieme della sua attività imprenditoriale o professionale adopera il contratto di cui al primo comma. Tuttavia codesta definizione non è decisiva per identificare il professionista intellettuale, perché essa si riferisce ad un concetto più lato di professionista, al solo scopo di metterlo a confronto alla figura del consumatore. Si veda anche C. MAZZU’, La disciplina delle professioni nella transizione verso il mercato unico europeo, Torino, 2012; G. VENETO, Le libere professioni: dal protezionismo corporativo alle liberalizzazioni. L’Italia e l’UE nel terzo millennio, Firenze, 2007. 6 Il contratto d’opera intellettuale è inserito nell’ambito del titolo III, del Libro V, del codice civile, dedicato al lavoro autonomo, trovandosi così, come del resto prevede l’art. 2230 c.c., alle stesse disposizioni del contratto d’opera in generale, poiché compatibili con la natura del rapporto. V. anche, AA.VV., I professionisti e il sindacato. Tra scoperta e innovazione. L’azione della CGIL nel lavoro professionale e la costituzione della Consulta delle professioni, Roma, 2011. 7 A. e S. BALDASSARRI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 2006; S. SICA, P. STANZIONE, Professioni e responsabilità civile, Bologna, 2006. © Cesi Multimedia 1 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali Tuttavia alle professioni intellettuali sono state costantemente riconosciute caratteristiche peculiari con connotazioni così specifiche da farne una specie che, pur incardinandosi nell’unico contesto del lavoro autonomo, ha una valenza del tutto indipendente. In particolare, alla professione intellettuale, quale disciplinata dal citato Capo II, possono ricondursi quelle attività di carattere intellettuale il cui elemento qualificante consiste nell’apporto offerto dall’intelligenza e dalla cultura del professionista medesimo, e che al contempo presentano alcuni ulteriori elementi distintivi: a) autonomia di azione nella prestazione dell’opera professionale e discrezionalità in ordine alle modalità di estrinsecazione dell’attività stessa; b) carattere personale della prestazione, con riferimento al rapporto fiduciario che si instaura tra il professionista e il suo cliente, avendo quest’ultimo diritto che il professionista presti personalmente la propria opera; c) inibizione dell’esercizio della professione a quanti non possiedano determinati requisiti di competenza, attestati dall’iscrizione in appositi albi o elenchi; d) correlativa soggezione del professionista alla potestà disciplinare del proprio ordine professionale; e) particolari modalità di definizione del compenso per l’attività professionale, sottratto alla determinazione secondo criteri puramente mercantili (dovendo risultare tale per cui la sua misura sia «in ogni caso (…) adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione»)9. Negli ultimi anni il campo delle libere professioni ha subito un particolare sviluppo, dovuto anche alla terziarizzazione del mercato: sono comparse «un elevato numero di forme professionali incorporanti abilità specifiche di nuovo tipo»10 e c’è stata un’evoluzione delle vecchie professioni, così che «il mondo dei liberi professionisti ha visto, nell’evolversi delle vicende storiche che lo hanno riguardato, oscillanti momenti nel farsi della professionalizzazione»11. Le libere professioni sono sempre più ormai occupazioni orientate al servizio, nelle quali si applica un corpo sistematico di conoscenze a problemi strettamente connessi con valori centrali per la sopravvivenza e l’equilibrio della società nel suo insieme 12. 1.2 Professioni intellettuali protette Le professioni intellettuali non sono soltanto quelle cosiddette protette, ossia quelle per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione ad un determinato albo; vi sono anche attività che non avendo questa obbligatorietà costituiscono una categoria del settore più ampio delle professioni intellettuali 13. Le c.d. professioni protette14, infatti, sono soltanto una parte, anche se probabilmente la più importante, delle professioni intellettuali 15. Tale assunto trova conferma nel tenore letterale dell’art. 2229, comma 1 c.c. , il quale nel prevedere che «la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi» conferma che vi possono essere professioni intellettuali che non sono “controllate”; allo stesso modo, l’art. 2231, comma 1 c.c., nel disporre che «quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione» è ancor più chiaro nel confermare che esistono professioni intellettuali senza albi, né elenchi, a cui, tuttavia, si applicano le ------------------------------------------8 È pacifico che la regolamentazione sia unitaria se si tiene conto, per le professioni intellettuali, del rinvio operato dall’art. 2230 c.c. che, pur riferendosi in modo specifico alle disposizioni del Capo II, richiama nel secondo comma di detto art. 2230 le norme in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto del capo precedente, che contemplano il contratto d’opera. 9 V. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 5 ss.; V. FORTINO, La responsabilità del professionista (aspetti problematici), Milano, 1984, p. 35 ss. 10 V. PRANDSTRALLER, Le fasi del professionalismo: neoprofessionalismo e nuove professioni, in G.P. PRANDSTRALLER (a cura di), Le nuove professioni nel terziario, Milano, 1994, p. 4. 11 V. POLATO, Lo sviluppo delle libere professioni, Impresa & Stato, n. 46, 2001, p. 1. 12 V. SANTORO, Professione e professionalizzazione: approcci teorici e processi storici, in Polis, n. 2, Milano, 1994. 13 Vi è in dottrina chi ha affermato che alla categoria delle professioni intellettuali apparterrebbero solo quelle attività per l’esercizio delle quali la legge richiede l’iscrizione in appositi albi, vedi V. CAVALLO, Lo status professionale, I, parte generale, Milano, 1967, p. 213. In riferimento a questa tesi, l’istituzione di un albo e della struttura organizzativa ad essa collegata, sarebbe condizione necessaria e sufficiente per qualificare «professione» una certa attività e per sottoporla alla disciplina degli artt. 2229 ss. c.c. 14 M. D’AGNOLO, Responsabilità del professionista per attività non protette, in Guida ai controlli fiscali, 2009, n. 2, Il sole 24 ore, p. 40; C. DE STEFANIS, Responsabilità dello studio professionale anche per l’espletamento di attività non protette, in Pratica Fiscale e professionale, 2009, n. 10, Milano, p. 39. 15 In caso contrario, le professioni intellettuali formerebbero una classe di attività determinate tassativamente dalla legge, la quale solo espressamente potrebbe crearne di nuove, istituendo nuovi albi e nuove associazioni: vedi V. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 9. 2 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali norme sul contratto d’opera intellettuale16. Negli ultimi anni si va sempre più accentuando l’inclinazione ad introdurre il sistema dell’obbligatoria iscrizione all’albo, con conseguente diminuzione dell’area coperta dalle professioni intellettuali non protette, nel tentativo di tutelare la posizione di coloro che si avvalgono dell’opera del professionista. L’iscrizione ad un albo, infatti, costituisce una ponderata garanzia per chi si rivolga al professionista, poiché presuppone l’accertamento anteriore del possesso dei specifici requisiti tecnico-professionali per l’esercizio della professione. In direzione opposta si muove invece la disciplina comunitaria che, mediante il processo di liberalizzazione delle professioni, insieme ad un sistema generale di riconoscimento dei titoli professionali, inevitabilmente si scontra con alcune delle limitazioni che l’ordinamento interno pone alla libera prestazione dell’attività professionale17. Le professioni che richiedono l’inquadramento in ordini o comunque l’iscrizione in un registro hanno prestazioni tipizzate, ma non tutte le attività riferibili a detti soggetti ricadono nelle mansioni per le quali si richiede detta iscrizione, in quanto essi possono effettuare operazioni anche complementari, che possono essere compiute anche da chi non ha la citata iscrizione. In altre parole, nell’ambito delle professioni protette, è possibile distinguere fra prestazioni esclusive o tipiche, riservate agli iscritti all’apposito albo18, e prestazioni non esclusive o atipiche, che sono normalmente eseguite da iscritti all’albo, ma che possono essere fornite da chiunque, anche se non iscritto nell’albo professionale19. Pertanto, l’iscrizione ad un albo non è neppure condizione sufficiente ad inquadrare le attività assoggettabili alla disciplina delle professioni intellettuali, in quanto l’iscrizione ad albi, registri o ruoli è un fatto assai diffuso che riguarda attività diverse tra loro, difficilmente raggruppabili in unica categoria 20. Ad esempio, nell’esercizio della professione di avvocato, l’appartenenza all’Ordine specifico è richiesta soltanto per l’attività propriamente giudiziale, mentre per quella stragiudiziale detta condizione non sussiste. Il caso della professione di dottore commercialista , tuttavia, è senza dubbio ancor più significativo; infatti, tale professione, sebbene protetta, non pare annoverare alcuna prestazione esclusiva 21. Si esclude, infatti, che costituiscano attività riservata sia la tenuta di registri contabili e la predisposizione della denuncia dei redditi, sia la prestazione di consulenza contabile e fiscale 22. Allo stesso modo, con riferimento ------------------------------------------16 V. CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., p. 9; F. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa, società, in Contratto impr., 1991, p. 4; V. PIAZZESE, L’accesso alla professione: l’esame di Stato, in Professione e preparazione: il dottore commercialista in un sistema economico in evoluzione, Atti del Convegno Unione Giovani Dottori Commercialisti, 1995, p. 130; A. GABRIELLI, La r.c. del professionista: generalità, in CENDON (a cura di), La responsabilità civile, Torino, 1998, p. 223; V. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 377; F. IBBA, La categoria professione intellettuale, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1987, p. 20; in giurisprudenza, tra le altre, Cass. civ., 26 agosto 1993, n. 9019, in Giust. civ. Mass., 1993, 1329; Cass. civ., 10 aprile 1980, n. 2305, in Giust. civ. Mass., 1980, 4, secondo la quale «nella categoria generale delle professioni intellettuali, solo quelle determinate dalla legge (art. 2229, comma 1, c.c.) sono tipizzate ed assoggettate all’iscrizione in albi ed elenchi; mentre, all’infuori di queste, vi sono non solo professioni intellettuali caratterizzate per il loro specifico contenuto, ma anche prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non specificamente caratterizzate, che ben possono essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo». 17 V. MASUCCI, Le professioni protette. L’associazione tra professionisti, in LIPARI (a cura di), Diritto Privato Europeo, 1996; A. TOFFOLETTO, Società tra professionisti, in Le Società, 2012, n. 1, p. 30; F. LEONE, Società tra professionisti: le novità normative e il regime fiscale, in Pratica fiscale e professionale, 2012, n. 16, p. 11; M. TOMASSI, Società tra professionisti: spunti critici alla luce del d. legisl. n. 96.2001 e dei tentativi di riforma del mercato dei servizi professionali, in Studium Iuris, 2011, n. 7.8, p. 743; A.M. LEOZAPPA, Società e professioni intellettuali. Le società professionali tra Codice civile e leggi speciali, Milano, 2004. 18 Sul punto, d’interesse, C. ROMEO, Mancata iscrizione all’albo professionale e nullità del contratto di prestazione d’opera intellettuale, nota a Cassazione civile, sez. II, sentenza 12 dicembre 2007, n. 21495, in I Contratti, 2008, n. 3, Milano, p. 274. 19 V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in CICU e MESSINEO (a cura di), Tratt. Dir. Civ. e Comm., continuato da MENGONI, Milano, 1996, p. 382; F. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa, società, in Contr. impr., 1991, p. 4; A. GABRIELLI, La r.c. del professionista: generalità, in CENDON (a cura di), La responsabilità civile, Torino, 1998, p. 223. 20 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale» in Le professioni intellettuali, Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 20. F. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa, società, cit., p. 6. Al riguardo, si tenda in considerazione che il d.lgs. n. 13 settembre 2005, sulla costituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili, all’art. 1, nel disciplinare l’oggetto della professione, fa riferimento a competenze “specifiche” e non “esclusive”. 22 Sul punto Cass. pen., Sez. VI, 23 aprile 1996, in Cass. pen., 1996, 2925, la quale esclude che incorra in responsabilità penale per il delitto di abusivo esercizio della professione, e nella specie di quella di dottore commercialista , il consulente del lavoro che presti attività di consulenza tributaria e curi la redazione e il controllo dei bilanci di imprese; allo stesso modo, Cass. pen., Sez. VI, 1 marzo 1996, in Riv. dir. trib., 1997, II, 267, secondo la quale non costituisce esercizio abusivo della professione di commercialista l’attività di un consulente del lavoro che effettui professionalmente l’attività di consulenza tributaria, la predisposizione di dichiarazioni ai fini i.v.a. ed i.r.pe.g., la redazione ed il controllo di bilanci, e assuma una consulenza tecnica e giuridica in materia tributaria su incarico di un comune. In alcuni casi, tuttavia, la giurisprudenza distingue tra la c.d. “attività tributaria minima”, quale la tenuta di registri contabili e la predisposizione della denuncia dei redditi che non costituirebbero attività riservata, in quanto prestazioni di mero rilevamento, di annotazione e catalogazione qualificabili attività di contabilità elementare e la prestazione di “consulenza contabile e fiscale”, che sarebbe attività riservata, comportando una complessa attività di interpretazione della normativa tributaria che non può che essere attribuita in via esclusiva a professionisti di accertata idoneità tecnica; 21 © Cesi Multimedia 3 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali alla redazione di bilanci societari, si esclude che tale attività rientri «nel novero delle attività protette attribuite in via esclusiva o riservata alle figure professionali dei dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, come è dato evincere, tra l’altro, dal chiaro dettato degli artt. 2380 e 2423 c.c.»23.Con riguardo all’attività di intermediazione bancaria, si afferma che anche se questa prestazione può essere espletata da ragionieri e dottori commercialisti, essa non è riservata in via esclusiva ad una particolare categoria di professionisti, soggetti all’iscrizione in albo, potendo essere espletata da qualsiasi persona 24. Tali principi sono affermati anche per l’attività di consulenza concernente l’organizzazione aziendale, i bilanci di previsione, i rapporti sindacali, con la conseguenza che siffatte prestazioni possono essere svolte anche da soggetti non iscritti all’albo professionale 25; proprio nel settore della consulenza alle imprese, si verifica una forte interferenza tra l’attività di professionisti tradizionali, quali i dottori commercialisti, e l’attività di singoli consulenti (quali ex dirigenti d’impresa, docenti, esperti di un settore o di un’area funzionale), considerati a tutti gli effetti professionisti intellettuali, anche se non appartenenti ad alcuna delle c.d. professioni protette26. 1.2.1 Carattere intellettuale della prestazione Un elemento comune a tutte le professioni intellettuali, cui si applica la disciplina degli artt. 2229 e ss. c.c., è quello del carattere intellettuale dell’attività praticata 27. Per le professioni il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in un ordine o in un collegio questo elemento è riconosciuto dalla legge, mentre per le professioni non protette deve essere accertato di volta in volta 28. L’aggettivo “intellettuale”29 ricopre notevole importanza per la determinazione dell’attività professionale, ma non è di per sé sufficiente ad enucleare la categoria in questione. L’art. 2060 c.c. afferma che «il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali». Se è vero che, in linea teorica, il lavoro intellettuale è di norma contrapposto al lavoro manuale, è del tutto evidente che in concreto non è possibile individuare lavori che siano esclusivamente intellettuali o soltanto manuali, poiché in qualsiasi attività lavorativa esistono, anche se in diversa misura, momenti intellettuali e momenti manuali; del resto la lettera della norma citata, se correttamente interpretata, conferma tale assunto30. È necessario differenziare l’intellettualità dalle attività disciplinate negli artt. 2229 c.c. e ss., dall’intellettualità presente in tutte le attività lavorative: infatti nelle professioni intellettuali si riconosce l’esistenza o comunque coesistenza, nel caso in cui essa si collochi accanto all’eventuale opera materiale del singolo professionista, di un quid pluris consistente nel significativo ruolo svolto dall’intelligenza e dalla cultura 31. Se parte della dottrina ha lamentato l’indeterminatezza ed addirittura la pleonasticità dell’aggettivo “intellettuale”, si è tuttavia riconosciuto che oltre all’autonomia, alla discrezionalità, esiste una intellettualità “propria” delle attività regolate dagli artt. 2229 c.c. e ss. da non confondere con l’intellettualità diffusa presente in tutte le altre professioni. ------------------------------------------in questo senso Pret. Bologna, 23 dicembre 1999, inedita; Pret. Verona, 22 giugno 1991, in Giur. Merito, 1992, 652; Trib. Milano, 15 dicembre 1988, in Rass. impr., 1989, 1053. 23 Cass. pen., Sez. VI, 21 ottobre 1999, n. 904, in Il Fisco, 2000, 1525; Cass. pen., Sez. VI, 27 gennaio 2000, n. 1525, in Dir. giust., 2000, 8, 66; App. Bologna, 6 aprile 2002, inedita; la Pretura di Sondrio (cfr. Pret. Sondrio 9 maggio 1994, RFI, 1994, Professioni intellettuali, 67) ha escluso che vi siano invasioni nella suddetta professione quando si proceda alla redazione di bilanci, se questi hanno la caratteristica di non configurarsi in una semplice operazione contabile nella quale i dati forniti dal cliente sono sottoposti ad un controllo formale, bensì comprenda attività d’indagine e verifica di bilancio stesso per effetto del punto d) del d.pr. n. 1067 del 27 ottobre 1953 e del punto c) d.p.r. n.1068 del 27 ottobre 1953. 24 App. Brescia, 29 gennaio 1982, in Giust. civ., 1982, I, 1906. 25 Cass. civ., 27 giugno 1975, n. 2526, in Giur. it., 1976, I, 1, 775. 26 V. PERULLI, Il lavoro autonomo, in Trattato Cicu e Messineo, Milano, 1996, XXVII, p. 378. 27 È il carattere prevalentemente intellettuale dell’attività svolta a distinguere la figura del libero professionista da altre figure d’operatori economici tipici, come l’imprenditore, il lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo e simili. 28 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 16, V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 27. 29 A. G. CIANCI, Contratto d’opera tra professionisti e indipendenza dell’avvocato: l’intellettualità e i valori della legge professionale, in Rivista di diritto civile, 2012, n. 3, Padova, parte II, p. 243. 30 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 16; F. BUSSOLETTI, Le società di revisione, Milano, 1985, p. 125; C. SCOGNAMIGLIO, Personalità umana e tutela costituzionale delle professioni, in DF, 1973, p. 804; A. TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RG lav., I, 1962, p. 3. 31 A. e S. BALDASSARRI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 2006, p. 5. 4 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali Una prima soluzione è quella mirante a considerare l’intellettualità come valore identificativo quando non è “interna” al soggetto che svolge l’attività ed esterna rispetto al servizio offerto, ma si concretizza nella prestazione fornita al cliente e per la quale il professionista è responsabile 32. In altre parole l’intellettualità costituisce elemento qualificante quando l’oggetto del contratto con il cliente si identifica nel “servizio intellettuale”; a conferma di questo l’opera intellettuale consiste nell’applicazione concreta di cognizioni tecniche e scientifiche nell’opera stessa che è l’oggetto della prestazione 33. Un secondo aspetto problematico, che la dottrina si è trovata ad affrontare, è quello dell’individuazione del nesso tra le diverse componenti (materiale, tecnica o propriamente intellettuale) delle attività di dubbia identificazione. Il criterio proposto per superare l’impasse è quello della prevalenza, in forza del quale, per aversi una professione intellettuale è necessario che i momenti intellettuali siano prevalenti sui momenti manuali o tecnici; in altre parole, l’uso della intelligenza e della cultura deve avere un’importanza molto superiore a quella del lavoro manuale prestato34. Questo criterio, tuttavia, crea notevoli problemi in sede di applicazione pratica, poiché non risulta sempre agevole stabilire se in un’attività vi sia la prevalenza delle facoltà intellettuali o l’apporto di esse rivesta solo un ruolo secondario. Ecco allora la necessità d’esaminare altri elementi identificativi per completare le nozioni di professionista e di attività professionale intellettuale. 1.2.2 Intuitu personae e rapporto fiduciario Secondo l’art. 2232 c.c. «il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia va- lersi, sotto la propria direzione e responsabilità dei sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione». Quindi la prestazione deve esser svolta personalmente dal professionista, in ragione del rapporto di carattere fiduciario che si instaura tra il professionista ed il cliente35. La persona del prestatore d’opera assume quindi un’importanza determinante, sia nella fase della stipulazione del contratto, sia al momento della sua esecuzione. Ed infatti il professionista è chiamato ad eseguire una prestazione che prevede particolari conoscenze ed esperienze tecniche, che vengono garantite attraverso l’iscrizione ad appositi albi ed elenchi professionali. La prestazione professionale viene richiesta e concordata intuitu personae 36, rispetto ad un determinato soggetto a preferenza di altri, che sarebbero ugualmente in grado di eseguirla. Il carattere fiduciario determina per il professionista un obbligo di diligenza e di fedeltà nei confronti del cliente, poiché il rapporto è fondato sull’affidamento del cliente nei suoi riguardi37. Dal rapporto professionale scaturiscono quindi obblighi di diligenza, di informazione, di fedeltà e di riservatezza, la cui violazione può dar luogo a responsabilità del professionista 38. Proprio per questo il carattere fiduciario ha un’importanza maggiore rispetto alla sola infungibilità della prestazione, nonostante la loro inevitabile correlazione. Tuttavia, nonostante il suo ruolo centrale nell’individuazione della categoria in esame, nemmeno il carattere della personalità, esaminato singolarmente, conduce ad una figura univoca di professionista intellettuale, poiché detto elemento è presente in tutti i contratti conclusi intuitu personae. ------------------------------------------32 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 17; F. GALAGANO, Diritto commerciale, II, Le società, Bologna; 1995, p. 15. 33 Cass. 14 aprile 1983, n. 2542, GI, 1983, I, 1, 1242. 34 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 17. Cass. 10 gennaio 1996, n. 163, in Gius, 1996, 988, in argomento, con riferimento ad attività concernenti la utilizzazione di sistemi di elaborazione elettronica, ha sostenuto che per accertare la natura professionale di queste il giudice deve valutare la prevalenza dell’attività intellettuale su quella manuale, tenendo conto che esistono servizi in cui la prima ha una funzione ridotta rispetto alla seconda, ed altri in cui, viceversa, l’attività intellettuale prevale, trovando nello strumento elettronico solo un mezzo per rendere più veloce, rispetto alla mano dell’uomo, la scoperta del risultato. 35 P. STANZIONE, La responsabilità civile del professionista, in Danno e Responsabilità , n. 1, 2007, p. 23. 36 P. TOSI, Intuitus personae e fiducia, in ADL Argomenti di diritto del lavoro, 2012, n. 3, Padova, parte I, p. 539. 37 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in SCIALOJA e BRANCA, Commentario, 2° ed., Bologna-Roma, 1963, p. 223. 38 Nel caso di responsabilità per atti posti in essere dal sostituto o dall’ausiliario, esercitata dal cliente, risponderà il professionista; ciò non toglie che questi, nei rapporti interni, e secondo le norme generali sulla responsabilità per fatto illecito, possa chiamare l’ausiliario o il sostituto a rispondere per danni collegabili ad una condotta non diligente o colposa dell’esecuzione dell’incarico; v. Cass. 26 agosto 75, n. 3016, in RFI, 1975, Professioni intellettuali, 40. In generale, in tema di responsabilità, v. da ultimo A. BASTIANELLO, La responsabilità penale dei professionisti. Medici, avvocati, notai, commercialisti, Padova, 2012; AA.VV. La responsabilità dei professionisti nei Ser.T. La responsabilità organizzativa, professionale e legale, Milano, 2012; M. FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, Torino, 2011; R. BALDUZZI, (a cura di), La responsabilità professionale in ambito sanitario, in Quaderni del CEIMS, Bologna, 2011. © Cesi Multimedia 5 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali Peraltro, questa caratteristica della prestazione intellettuale, e cioè il suo carattere personale inteso con riferimento al rapporto fiduciario che si instaura tra il professionista e il suo cliente, sembra, almeno in parte, perdersi nell’attuale prassi tecnicistica, ove è sempre più frequente l’utilizzo di mezzi di sofisticata tecnica e di persone (équipe), di cui il professionista si deve ormai avvalere e che alla fine potrebbero ipotizzare uno slittamento dall’area della colpa specifica (del professionista) di cui parliamo, nell’area della responsabilità d’impresa39. D’altra parte, come chiaramente previsto all’art. 2232 c.c., la personalità della prestazione non esclude la possibilità, per il professionista, di avvalersi d’ausiliari o sostituti; la norma tuttavia specifica che tale ausilio deve essere consentito dal contratto o dagli usi, ed è eventualmente escluso ove sia inconciliabile con l’oggetto della prestazione. Gli ausiliari e i sostituti non possono rivolgersi direttamente al cliente, poiché essi sono considerati come una longa manus del professionista e per questo agiscono sotto la sua sorveglianza 40, ed il loro compenso sarà corrisposto direttamente da quest’ultimo 41. In merito all’elemento della personalità della prestazione si pone il problema delle cosiddette società di professionisti 42, nelle quali si assiste all’esercizio in forma associata dell’attività professionale. Nei casi in cui la professione intellettuale viene esercitata in forma associata si teme infatti una spersonalizzazione del legame fiduciario tra il professionista ed il cliente, con conseguente supremazia dell’elemento organizzazione rispetto all’elemento della personalità, che sembra venir meno. Il problema, tuttavia, ha trovato agevole soluzione nella dottrina più attenta che riconosce alla nozione di “personalità” una accezione ampia, tale da ricomprendere sia le persone fisiche sia quelle giuridiche 43. 1.2.3 Carattere professionale della prestazione Il concetto di professione intellettuale è anche caratterizzato dalla professionalità della prestazione. Ed anzi la professione intellettuale si contraddistingue anzitutto per la natura tipicamente professionale della prestazione, la quale assume particolar rilievo44. La professionalità caratterizza i rapporti che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività lavorativa che viene svolta abitualmente e con relativa continuità allo scopo di ottenere un guadagno o un lucro. A tal riguardo, con riferimento al rapporto di lavoro del libero professionista, alcuni Autori hanno osservato che l’elemento dell’abitualità va inteso considerando la natura del rapporto stesso, il quale si svolge in regime di libertà. In senso contrario, si è sostenuto che il medesimo concetto è un carattere normale, ma non necessario delle professioni intellettuali 45, poiché la disciplina ad esse relativa non contempla alcuna differenziazione legata al carattere stabile anziché occasionale della prestazione. Nella stessa direzione si muove la giurisprudenza, favorevole a riconoscere la sussistenza del reato di abusivo esercizio di una professione anche nelle ipotesi in cui è stato compiuto un solo atto o comunque laddove vi sia stata una prestazione del tutto occasionale 46. Ad ogni modo, per quanto l’esercizio stabile e continuativo della professione non sia decisivo per identificare il professionista intellettuale, si ritiene che la presenza di prestazioni eseguite stabilmente da uno stesso soggetto possano produrre effetti in riferimento all’adempimento e quindi alla responsabilità, comportando il sorgere di obblighi di informazione e di correzione di eventuali errori professionali. ------------------------------------------39 G. ALPA, in RESCIGNO (a cura di), Trattato di diritto privato, Torino, 1995, 14, p. 86. G. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXIII, 1987, p. 1075; V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1981, p. 24. 41 V. MISCIONE, La nuova tutela obbligatoria contro i licenziamenti, in JOVENE, La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e 223/1991, Napoli, 1991, p. 719; TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in R.G. lav., I, 1962, p. 38. In giurisprudenza, vedi Cass. 27 agosto 1986, n. 5248, in RFI, 1986, Professioni intellettuali, 55; Cass. 5 settembre 1984, n. 4767, in RFI, 1984, Professioni intellettuali, 49. 42 G. MARASA’, I confini delle società tra professionisti, in Le Società, 2012, n. 4, p. 397; M. CIAN, La nuova società tra professionisti. Primi interrogativi e prime riflessioni, in Le Nuove leggi civili commentate, 2012, n. 1, p. 3; C. IBBA, Le società tra professionisti: ancora una falsa partenza?, in Rivista del notariato, 2012, n. 1, parte I, p. 1. 43 V. SCHIANO DI PEPE, Le società di professionisti, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XV, 2, Torino, Torino, 1986, p. 574; RESCIGNO, Struttura giuridica delle società tra professionisti, in Saggi di diritto privato, Padova, 1988, p. 46. 44 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in SCIALOJA e BRANCA, Commentario, 2° ed., Bologna-Roma, 1968, p. 192. 45 Di tale avviso V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 5 e ss. 46 Cass. 29 novembre 1983, Cass. 7 marzo 1985, in GP, 1986, II, 418. Pret. Bologna, 7 luglio 1962, in Giust. Pen., 1962, I, 392 ss., con nota di R. PANNAIN, ad esempio, ritiene perfezionato il reato di esercizio abusivo di una professione, ex art. 348 del codice penale, anche con l’espletamento di una sola prestazione; si ritiene di poter concludere nel senso che quello che conta al fine di rendere detta connotazione alla prestazione de qua, per tutelare in concreto l’affidamento del terzo, sia non tanto il rilievo quantitativo della prestazione erogata, bensì la circostanza di avere approntato una adeguata struttura logistica per la propria operatività e perciò l’attitudine ad operare in qualità. Sul punto, vedi anche V. CONTIERI, Esercizio abusivo di professioni arti o mestieri, in ED, XV, 1966, p. 610; V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 6. 40 6 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali 1.2.4 Onerosità della prestazione Anche se il guadagno o lucro è normalmente presente in ogni prestazione, che non si presume mai gratuita, nel rapporto di lavoro professionale esso non è strettamente essenziale47. Se infatti, di norma, il rapporto di lavoro del libero professionista ha carattere oneroso48, è anche vero che l’economicità non costituisce un aspetto necessario ed imprescindibile del lavoro professionale, poiché vi sono una serie di casi, piuttosto frequenti, in cui il professionista ha l’obbligo di prestare la propria assistenza senza compenso49, a differenza di quanto avviene per la figura dell’imprenditore50. 1.2.5 Autonomia e discrezionalità Altro elemento distintivo della prestazione intellettuale è l’autonomia d’azione che caratterizza la prestazione dell’opera professionale, anche laddove l’attività del professionista risulti inquadrata in un rapporto di lavoro subordinato51. L’autonomia connota l’opera del professionista in quanto egli agisce in una sfera di libertà che gli permette di determinare gli ambiti e gli spazi nei quali effettuare le proprie scelte professionali. Essa va intesa, non solo nel senso di libertà del professionista nell’esercizio della propria attività, ma anche come assenza di vincoli di subordinazione gerarchica e disciplinare nei confronti del cliente. Detta qualità non è contraddetta, come taluno sostiene, dalla obbligatorietà dell’iscrizione, nei casi previsti dalla legge, in appositi albi o elenchi: quest’ultima, infatti, mira ad assicurare l’iscritto dalla concorrenza52 di chi non lo sia, oltre che a garantire disciplina e decoro alla professione svolta. Trattasi, perciò, di un atto dovuto per effetto del quale l’scritto, inserendosi in un’organizzazione amministrativa, previo parere del rispettivo Consiglio dell’Ordine, acquista precisi diritti e doveri correlati alla necessità di tutelare la pubblica fede, anche in considerazione del potere degli operatori professionali di influire, solitamente, su altrui interessi costituzionalmente riconosciuti. Con il concetto di autonomia si possono quindi individuare una serie di libertà di cui il professionista gode nell’esecuzione della prestazione: libertà nell’esercitare la professione; libertà di assumere o rifiutare l’incarico del cliente; libertà nella determinazione della scelta dei mezzi tecnici idonei a realizzare l’oggetto del contratto; libertà da vincoli gerarchici e di subordinazione nei confronti del cliente 53; ------------------------------------------47 Vedi Cass., sez. II, 20 luglio 1999, n. 7741, ove si afferma che «in tema di prestazione d’opera intellettuale, la onerosità del relativo contratto, che ne costituisce elemento normale, come risulta dall’art. 2233 c.c., non ne integra, peraltro, un elemento essenziale, né può essere considerato un limite di ordine pubblico alla autonomia contrattuale delle parti, le quali, pertanto, ben possono prevedere espressamente la gratuità dello stesso». Nella fattispecie, la Suprema Corte, in applicazione di detto principio, ha confermato la decisione della corte di merito, la quale aveva ritenuto legittima la clausola contrattuale che condizionava il diritto al compenso per la prestazione di un ingegnere, cui il comune di Castellana Grotte aveva commissionato un progetto relativo alla sistemazione delle strade esterne di quel centro, al conseguimento delle approvazioni richieste e dei finanziamenti pubblici delle opere, eventi non verificatisi, con conseguente, mancata corresponsione dell’onorario al professionista per la prestazione svolta dallo stesso. 48 V. AMENDOLAGINE, Prescrizione presuntiva del credito vantato dal professionista ed inadempimento del cliente al pagamento del compenso, in I Contratti, 2011, n. 5, IPSOA, p. 488 (nota a sentenza: Tribunale civile, sez. Gallarate, Busto Arsizio, sentenza 28 febbraio 2011). 49 Si pensi a tutte quelle ipotesi in cui le prestazioni sono erogate gratuitamente dal professionista per motivi sociali, per carità, beneficenza, assistenza sociale, amicizia e parentela, o anche ai casi di gratuito patrocinio dell’avvocato. 50 Per quanto riguarda il carattere dell’economicità, la dottrina ha dato varie interpretazioni, individuando l’attività economica non solo come attività creatrice di ricchezza, che si manifesta nella produzione di nuovi beni e servizi, ma anche come attività consistente nell’aumento del valore di beni e servizi già esistenti mediante la loro distribuzione, e inoltre come attività organizzata attraverso un metodo, che consenta di compensare con i ricavi i costi di produzione. Va ricordato in particolare quell’orientamento secondo il quale il concetto di attività economica, inteso nel rispetto dell’art. 2082 c.c. relativo all’imprenditore, non potrebbe esser esteso all’attività del professionista. Secondo questa impostazione, l’esercizio di un’attività economica, intesa nel senso sopra indicato, rappresenta espressione delle sole attività imprenditoriali, e questo nonostante la professione intellettuale costituisca pure essa un’attività produttiva di ricchezza in senso lato. Tuttavia, un’altra parte della dottrina considera il concetto di attività economica in una diversa prospettiva, evidenziandone l’idoneità a rimborsare il singolo, mediante il corrispettivo dei beni o dei servizi prodotti, di quelle che sono le spese incontrare; così inteso, il concetto di attività economica si può riferire anche all’attività del professionista intellettuale. Partendo proprio da un’analisi del significato dell’economicità dell’art. 2082 c.c., si è giunti così alla conclusione che l’attività professionale è da considerarsi economica poiché produttiva di nuove utilità e poiché svolta dal professionista per conseguire utili. V. anche M. TICOZZI, Il compenso del professionista intellettuale, in Contratto e impresa, 2012, n. 4/5, p. 1155. 51 L’esempio tipico è quello del medico dipendente dell’ente ospedaliero, il quale è libero di esercitare con autonome modalità di estrinsecazione la propria attività professionale. 52 P. MAZZA, Professionisti: le misure a garanzia della libera concorrenza, in Pratica fiscale e professionale, 2012, n. 7, p. 23; M. CHIARELLI, Il principio di concorrenza nelle professioni intellettuali, Roma, 2012; V. PUTORTI’, Prestazioni d’opera intellettuale e regole della concorrenza, in Contratto e impresa, 2012, n. 1, p. 126. 53 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 8. © Cesi Multimedia 7 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali libertà da vincoli esterni poiché l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo garantisce l’iscritto dalla concorrenza dei non iscritti 54. La piena autonomia, insieme alla libertà d’azione, rappresenta, un elemento essenziale, ma non decisivo nella configurazione giuridica del professionista intellettuale. Accanto all’autonomia d’azione, tra gli elementi identificativi della professione intellettuale si colloca la discrezionalità, quale potere riconosciuto al singolo professionista di attuare le scelte consone alla realizzazione del fine prefissato, con piena libertà d’individuazione delle regole di comportamento che si rivelano maggiormente idonee per conseguire lo scopo professionale 55. La discrezionalità si sostanzia, quindi, nella libertà d’esplicazione delle proprie capacità e del proprio giudizio, sulla base delle conoscenze inerenti alla professione. Ed infatti, se è vero che il professionista, nell’esercizio della propria attività, deve osservare le regole d’arte o della professione, tuttavia ciò non comporta una standardizzazione del comportamento stesso. Il legame tra discrezionalità ed osservanza delle regole non si presenta mai come una costante, perché varia secondo il tipo di prestazione, del bene o interesse su cui l’attività incide nonché sulle conoscenze tecniche-scientifiche. Naturalmente la discrezionalità del professionista non è senza limiti, ma il giudice stabilisce i confini di tale potere, evidenziando possibili sconfinamenti di essa; il limite principale è quello che il professionista deve salvaguardare l’interesse del cliente. Dal confronto della discrezionalità tecnica del libero professionista con la discrezionalità tecnica amministrativa, si nota che il professionista deve agire non solo nel rigido rispetto delle conoscenze tecniche, come la Pubblica Amministrazione, ma anche secondo le regole della deontologia, avendo attenzione alla tutela degli interessi del cliente 56. Il concetto di discrezionalità assume importanza non solo nella identificazione della prestazione intellettuale, ma anche sotto il profilo della responsabilità: infatti il risultato della prestazione richiesta sarà inversamente proporzionale alla discrezionalità usata per l’esecuzione dal professionista e quindi del risultato stesso. 1.3 La prestazione del professionista come obbligazione di mezzi o di risultato Secondo la distinzione tradizionale, le obbligazioni da contratto, ivi comprese quelle derivanti dai contratti di prestazione d’opera intellettuale, sarebbero classificabili in due fondamentali categorie: obbligazioni “di mezzi”, che avrebbero ad oggetto “solo” un comportamento professionalmente adeguato; in altre parole, il debitore è obbligato a svolgere a favore del creditore un’attività determinata senza tuttavia garantire il risultato che da quest’attività il creditore si attende 57; obbligazioni “di risultato”, che avrebbero ad oggetto il risultato che il cliente-creditore della prestazione ha interesse a conseguire. La distinzione 58 comporta rilevanti conseguenze in termini di disciplina applicabile, anche e soprattutto in tema di responsabilità, poiché vi si collega una diversa ripartizione dell’onere della prova in caso di inadempimento. Ed infatti, secondo la rigorosa distinzione tradizionale, soltanto per le obbligazioni di risultato troverebbe applicazione la regola di responsabilità per inadempimento di cui all’art. 1218 c.c., a norma della quale «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». Per le obbligazioni di mezzi, invece, varrebbe il criterio della diligenza di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c., per cui l’onere della prova della colpa del debitore, ricadrebbe sul cliente danneggiato, tenuto a provare l’inadempimento del professionista 59. In altri termini, nelle obbligazioni di risultato, il debitore, per liberarsi dalla responsabilità per inadempimento nei confronti della controparte, deve dimostrare che la mancata o non conforme esecuzione della prestazione è di- ------------------------------------------54 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 532. Secondo alcuni Autori, la discrezionalità rappresenta l’elemento fondamentale di distinzione tra contratto d’opera intellettuale e contratto di lavoro subordinato. 56 V. BALDASSARI A. S. BALDASSARI, La responsabilità del professionista, in Il diritto privato oggi, Milano, 1993, p. 11. 57 Trib. Bari 27 dicembre 78, in RCP, 1979, 372. 58 G. D’AMICO, Responsabilità per inadempimento e distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, in Rivista di diritto civile, 2006, n. 6, Padova, p. 141; S. BALZOLA, La responsabilità contrattuale del revisore contabile: obbligazione di mezzi o di risultato?, in Giurisprudenza italiana, 2006, n. 12, Torino, p. 2334 (nota a sentenza, Corte d’appello civile, Roma, sentenza 19 gennaio 2006); P. DELLACHA’, La responsabilità del direttore dei lavori, ovvero i vantaggi dell’adempire ad un’obbligazione di mezzi, in Danno e responsabilità, 2003, n. 11, Milano, p. 1102 (nota a sentenza, Cassazione civile, sez. II, sentenza 29 gennaio 2003, n. 1294). 59 V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, p. 44. 55 8 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali pesa da circostanze esterne che hanno reso del tutto impossibile l’adempimento; il debitore si assume quindi il rischio della mancata realizzazione del risultato ed è chiamato a rispondere dei danni conseguenti. Nelle obbligazioni di mezzi, invece, il debitore è libero da responsabilità se esegue la propria obbligazione con idonea diligenza, anche se il creditore non ottiene l’esito atteso; pertanto, affinché al debitore possa essere imputata la responsabilità di un eventuale inadempimento nei confronti della controparte, quest’ultima dovrà dimostrare che la prestazione pattuita non è stata eseguita con il dovuto grado di diligenza. Ne consegue una diversa allocazione dell’onere della prova: con riferimento alle obbligazioni di “risultato”, l’onere probatorio grava in capo al debitore, mentre per quelle “di mezzi” esso è posto a carico del creditore. Ciò premesso, le obbligazioni assunte dai professionisti intellettuali nell’esercizio delle proprie attività consulenziali “tipiche” vengono normalmente qualificate come obbligazioni “di mezzi” poiché il professionista, con l’assunzione di un incarico60, si impegna a svolgere, a favore del proprio cliente, una prestazione di consulenza ed assistenza avente adeguato contenuto tecnico ed idoneo livello professionale, senza peraltro assumere, solitamente, vincoli specifici circa il preciso esito di tali attività. Il contratto d’opera intellettuale, quindi, comporta un’obbligazione nell’adempimento della quale va usata la diligenza che la natura dell’attività esige, diligenza che andrà valutata prescindendo dal risultato utile del cliente 61. Lo scopo pratico avuto di mira dal creditore assume rilievo ai fini dell’adempimento del professionista solo nel caso in cui il cliente fornisca prova della erroneità o inadeguatezza della soluzione tecnica prospettata dal professionista, che è il conoscitore della materia e possiede l’esperienza professionale adeguata alla complessità della materia trattata, fermo restando che il professionista avveduto, se ritiene di esser carente di adeguata esperienza, dovrà opportunamente rifiutare di prestare la propria opera, suggerendo al cliente di incaricare un altro professionista più esperto. Il professionista intellettuale, quindi, non è tenuto alla realizzazione delle finalità economiche che il creditore, ovvero cliente, intendeva raggiungere chiedendo l’ausilio del professionista, ma è tenuto soltanto ad un comportamento idoneo all’attesa del creditore. Del resto, nella maggior parte dei casi, l’assunzione di un simile impegno risulterebbe del tutto impossibile, dipendendo il risultato ultimo della prestazione da fattori esterni sui quali il professionista non può minimamente intervenire. Tuttavia, se di regola la prestazione del professionista intellettuale è stata inquadrata come obbligazione di mezzi, è anche vero che all’attività professionale si è riconosciuta la natura di obbligazione di risultato in tutti i casi in cui al professionista sia stato richiesto dal cliente un opus, con la conseguenza che il professionista, in questi casi, dovrà rispondere per le eventuali difformità ed i vizi dell’opera commissionata, ed in base a criteri soggettivi, quando la possibilità di un particolare impiego o di una determinata utilizzazione sia stata dedotta in contratto62. La natura essenzialmente di mezzi delle attività professionali può essere colta anche a livello intuitivo in relazione ad alcune fattispecie tipiche: nell’incarico assunto da un medico di eseguire un intervento chirurgico, ove l’esito auspicato è la guarigione del paziente ed il medico non può certo fornirne una garanzia assoluta in proposito; nell’incarico assunto dall’avvocato di provvedere al patrocinio in giudizio di un cliente, ove l’esito atteso è la vittoria della controversia, che nessun difensore può assicurare a priori ed al di là di ogni incertezza processuale. Ad esempio il commercialista – sia esso, secondo la terminologia tradizionale, dottore commercialista oppure ragioniere, ora esperto contabile – viene generalmente considerato un debitore di mezzi o di diligenza. Ed infatti l’oggetto dell’obbligazione da questi assunta non comprende necessariamente l’interesse ultimo del cliente, il fine economico che questi desidera ottenere con l’intervento professionale; il commercialista, in quanto prestatore d’opera intellettuale, è però tenuto ad adoperare tutti i mezzi utili a raggiungere tale scopo, usufruendo della discrezionalità tecnica che normalmente compete ad ogni professionista 63. La natura essenzialmente di mezzi ------------------------------------------60 V. AMENDOLAGINE, Onere probatorio al professionista per l’esecuzione delle sue prestazioni e l’affidamento dell’incarico, in I Contratti, 2012, n. 2, p. 153, nota a sentenza del 4 gennaio 2012, Tribunale civile di Bari. 61 Cass. 31 agosto 1966, n. 2294, in GI, 1967, I, 1, 1041; Cass. 12 settembre 1970, n. 1386, in GC, 1971, I, 627; Cass. 2 agosto 1973, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; Cass. 18 giugno 1975, n. 2439; Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, in AC, 1983, 496; Cass. 5885/1985; Cass. 21 giugno 1983, n. 4245, in RFI, 1983, Professioni intellettuali, 49; Cass. 11 agosto 1990, n. 8218, in RFI, 1990, Professioni intellettuali, 114. 62 Cass. 21 luglio 1989, n. 3476, in RFI, 1989, Professioni intellettuali, 78. 63 Sull’ascrivibilità della prestazione professionale alle obbligazioni di mezzi, si rimanda, a G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, p. 117 e ss. Sulla professione in esame, si vedano anche: G. PIGNATARO, La responsabilità del dottore commercialista, in Professioni e responsabilità civile, diretto da Stanzione-Sica, Bologna, 2006, p. 364 e ss.; G. GAVELLI, I limiti della responsabilità del commercialista per l’omessa dichiarazione (nota a Cass. civ., 2 dicembre 2002, n. 17021), in Corr. trib., 2003, p. 891; M. DENARO, Omessa presentazione della dichiarazione, tra responsabilità del professionista e obblighi del contribuente, in Il Fisco, 2012, n. 34, p. 5549. © Cesi Multimedia 9 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali dell’obbligazione professionale assunta dal commercialista è palese in alcuni casi, come ad esempio in sede di contenzioso tributario, meno evidente in altri. Si pensi all’impegno, assunto da un commercialista, a predisporre e trasmettere una dichiarazione fiscale, che all’apparenza sembrerebbe configurarsi come una obbligazione di risultato. Ed infatti il corretto svolgimento di tale prestazione comporta anche l’adempimento di prestazioni concepibili in termini di risultato; la fase della trasmissione telematica della dichiarazione, ad esempio, rientra senz’altro in tale categoria, sicché, in caso di inadempimento del relativo obbligo, il professionista potrà sottrarsi a responsabilità soltanto dimostrando che l’omissione o il ritardo sono dipesi da cause a lui non imputabili. Eppure, se si prescinde dagli aspetti “materiali” e si fa riferimento invece al profilo del “contenuto” della prestazione, ossia la predisposizione di una dichiarazione fiscale “corretta”, ed al risultato atteso dal committente, che è presumibilmente quello di evitare di subire atti di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’incarico assunto assume chiaramente la natura di obbligazione di mezzi. Dopo una prima fase applicativa dell’impostazione appena enunciata, si sono formate correnti di pensiero che rifiutano la distinzione fra prestazione di mezzi e prestazione di risultato64. In dottrina è sempre più diffusa la tendenza a mitigare il rigore della dicotomia mezzi/risultato, posto che, da un lato, tutte le obbligazioni si caratterizzano necessariamente per un elemento teleologico, ossia un risultato inteso come momento finale o conclusivo della prestazione che lo caratterizza, e, dall’altro, il comportamento negligente dovrebbe integrare, già di per sé, gli estremi dell’inadempimento per la generalità delle obbligazioni, non solo per quelle di mezzi. Si è anche rilevato che la distinzione in questione, peraltro recepita dalla dottrina francese, ha finito con il complicare la risoluzione di problematiche che, viceversa e paradossalmente, sarebbero forse suscettibili di soluzioni, non solo più eque, ma addirittura più semplici, se ricavate con l’ausilio dei principi propri e basilari del solo nostro ordinamento. Questo sfavore per la tradizionale bipartizione non dipenderebbe tanto dalla sua applicazione ai problemi di teoria generale che, a dire il vero, sembrano essere già stati affrontati proficuamente dalla dottrina, quanto piuttosto dalle conseguenze pratiche e soprattutto processuali che la distinzione accennata comporta, che si ritengono aggravate dalla tendenza della giurisprudenza a preferire certe soluzioni ermeneutiche piuttosto che altre, in considerazione della categoria di professionista la cui prestazione è oggetto di decisione. Ed invero, se la direttiva generale è quella di proteggere la parte più debole di un rapporto contrattuale (il che non pare discutibile, alla luce dei più recenti orientamenti legislativi, che si ispirano, del resto, alla gerarchia di valori delineata nella Costituzione), appare di tutta evidenza la parzialità e la discutibilità di un sistema di imputazione e di graduazione della responsabilità professionale alla stregua, in punto di fatto, di concetti indefiniti e, per la verità, indefinibili, come “mezzo o comportamento” e “risultato”. Si è infatti osservato che proprio la giustizia in concreto corre il rischio di venir meno tutte le volte in cui è dato al giudice di discernere le caratteristiche di una certa opera per concludere se essa sia più manuale che intellettuale e, rispetto all’intellettualità, se la “causa” del contratto sia stata la prestazione remunerata di una pura espressione dell’intelletto o di qualcosa di concreto, un risultato; il tutto poi, si evidenzia, è complicato dalla continua ed inesorabile evoluzione della tecnologia e della oramai quasi totale informatizzazione di ogni tipo di indagine, anche non scientifica; circostanze queste che rendono la mano dell’uomo sempre più evanescente e, pertanto, sempre più indefinibile il limite dell’incertezza del risultato o, il che è lo stesso, della perfezione della ricerca. Si è anche evidenziato che la distinzione in questione ha finito così con il diventare un labile sistema di graduazione della responsabilità del professionista, comportando una vera e propria ripartizione tra le obbligazioni di facere, in cui l’oggetto consisterebbe in un opus, e quelle in cui, viceversa, l’adempimento deve ritenersi avvenuto già solo per effetto di un comportamento diligente, perito e prudente del debitore65. Nel primo caso, il comportamento diligente rileverebbe come mero strumento di realizzazione della pretesa creditoria e non sarebbe esso stesso parte dell’oggetto dell’obbligazione; in altre parole, consisterebbe nello strumento, forse anche quello principale, per operare, ma non integrerebbe il contenuto della prestazione. Viceversa, nella seconda ipotesi, in detto comportamento consisterebbe proprio il contenuto della prestazione. Questo legittimerebbe a pensare che la diligenza richiesta al debitore di una obbligazione di risultato non sia la stessa di quella imposta all’altra categoria di obbligato, né per qualità né per quantità; in un caso, per evitare l’addebito di responsabilità debitoria, il fine da perseguire imporrebbe al professionista di adoperare ogni mezzo, purché lecito, idoneo a ------------------------------------------64 G. ALPA, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, Milano, 1999, p. 718; P. RESCIGNO, Voce “Obbligazioni”, in Enc. Dir., Milano, 1979, p. 190 e ss. 65 F. ANGIONI, in Modulo Responsabilità civile, Milano, 2002, p. 284. Anche la giurisprudenza di legittimità ha ammesso che le parti possano derogare a tale principio prevedendo espressamente che il conseguimento del risultato sia l’oggetto dell’obbligazione del professionista; vedi Cass. 25 novembre 1994, n. 10014, in Nuova giur. civ. comm. 1995, 1, p. 937 con nota di G. FERRANDO. 10 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le professioni intellettuali raggiungere il risultato convenuto; nell’altro caso il debitore sembrerebbe tenuto ad un comportamento solutorio di gran lunga più diligente rispetto alla media, godendo, in compenso, del privilegio di non dovere offrire alcuna certezza circa l’effettivo perseguimento del fine desiderato dal committente. Si giunge quindi a concludere che la distinzione in parola dovrebbe essere adoperata come criterio qualificativo della maggiore o minore certezza della perseguibilità dell’interesse creditorio, anche sulla base della più o meno possibile interferenza di fattori esterni rispetto alla personale esecuzione dell’opera professionale; ciò che dovrebbe rilevare, insomma, è la sola circostanza che l’epilogo della prestazione professionale svolta non possa dipendere da fattori causali suscettibili di sfuggire al controllo dell’operatore, almeno secondo la comune esperienza. La contenibilità del rischio di un esito infelice dell’applicazione professionale per la possibile maggiore incidenza di fattori causali che possono sfuggire al controllo dell’operatore diventerebbe, così, l’unico ed obiettivo criterio per individuare le prestazioni rispetto alle quali, a norma dell’art. 2236 c.c., il grado di perizia imposto nell’espletamento dell’opera può giudicarsi con minore rigore. Sebbene la dottrina non abbia mancato di offrire questi ed altri vivaci spunti e soluzioni, delineando con esattezza i limiti di rilevanza di siffatta distinzione, ed anzi i limiti proprio della stessa, la giurisprudenza persiste in atteggiamenti fortemente opinabili in nome dell’ormai acquisita articolazione. Ed infatti la giurisprudenza, essenzialmente preoccupata di offrire adeguata tutela al cliente-committente, quale presunta “parte debole” nel rapporto contrattuale con il professionista, lungi dal voler abbandonare tale distinzione, ha piuttosto manifestato la tendenza a dilatare il novero delle obbligazioni professionali di risultato rispetto a quelle di mezzi, specie in alcuni particolari settori professionali, come quello medico, con l’intento di determinare un considerevole ampliamento delle fattispecie in cui il professionista è ritenuto responsabile di inadempimento. Ferma la citata distinzione fra prestazione di mezzi o di risultato per più diffusa statuizione giurisprudenziale66, si assiste quindi all’assottigliarsi del numero dei casi ove viene applicato il principio della prestazione di mezzi ed il corrispondente moltiplicarsi di sempre più frequenti deroghe, mediante il ricorso anche nelle professioni intellettuali al criterio della prestazione di risultato67. In considerazione di ciò, non può condividersi l’affermazione che sia del tutto priva di incidenza sulla responsabilità dell’esercente una professione intellettuale la distinzione delle sue prestazioni tra quelle costituenti obbligazioni di mezzi e quelle integranti obbligazioni di risultato. Infatti – anche accettando il giusto rilievo secondo il quale, nel valutare il comportamento del professionista, nell’uno e nell’altro caso (prestazione di mezzi e prestazione di risultato) si deve pur sempre fare riferimento alle comuni regole dì correttezza e di diligenza in virtù dell’art. 1176 c.c. secondo comma, con riguardo all’attività esercitata e tenuto conto altresì che unitaria sia la disciplina delle conseguenze (ex art. 1218 c.c.) e dello stesso tipo sia la limitazione di responsabilità per i casi rientranti nell’art. 2236 c.c. non può comunque elidersi la necessità di stabilire, in via pregiudiziale, il tipo di prestazione (mezzi o risultato) a cui il professionista si deve uniformare per soddisfare l’impegno contrattualmente assunto con il cliente. Ciò in quanto l’eventuale diversità della premessa accertata, al di là delle opinioni critiche della citata dottrina, porta a differenti oneri di prova a carico del titolare dell’azione risarcitoria. ------------------------------------------66 La giurisprudenza ha accolto - seppure ultimamente con minor convinzione - la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, quanto meno attribuendo ad essa una funzione descrittiva, se non dogmatica; si vedano, tra le tantissime: Cass. 9 novembre 2006, n. 23918; Cass. 13 gennaio 2005, n.583; Cass., 7 luglio 2004, n. 12416; Cass. 4 novembre 2003, n. 16525; Cass. 19 luglio 2003, n. 11305; Cass. 29 gennaio 2003, 1294; Cass. 27 settembre 2002, n. 14008; Cass. 23 luglio 2002, n. 10741; Cass. 18 luglio 2002, n. 10454; Cass. 5 ottobre 2001, n. 12297; Cass. 29 agosto 2000, n.11359; Cass. 28 marzo 2000, n. 3738; Cass. 14 agosto 1997, n. 7618; Cass. 21 marzo1997, n. 2540; Cass. 18 giugno 1996, n. 5617. 67 A. VIGOTTI, La responsabilità civile del professionista, in Giur. sistematica, in Dir. civ. e comm., Torino, p. 782. © Cesi Multimedia 11 Capitolo 1 – Le professioni intellettuali 12 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista 2. La responsabilità contrattuale del commercialista 2.1 Premessa La responsabilità del professionista trova la sua prima fonte nel contratto 1, poiché, con l’accettazione dell’incarico, sorge tra professionista e cliente un legame, rappresentato dal vincolo contrattuale, da cui discende per il professionista l’obbligo di formulare il proprio parere per risolvere il caso prospettato dal cliente2. Per l’inestimabilità economica delle prestazioni riguardanti l’esercizio della professione intellettuale in passato tale esercizio non veniva reputato oggetto di un contratto a titolo oneroso. In epoche successive, il rapporto tra professionista e cliente è stato qualificato come mandato; tale qualificazione serviva ad evitare l’applicazione alle professioni liberali dello schema della locazione, garantendo allo stesso tempo la natura contrattuale del rapporto, e quindi anche la possibilità di agire giudizialmente per il compenso, inteso in honorarium non in controprestazione3. Il codice civile del 1942 ha risolto questo problema eliminando il termine “locazione d’opere” ed inserendo, nell’ambito del lavoro autonomo, la nozione di contratto avente per oggetto una prestazione d’opera intellettuale, garantendo così, non solo il carattere contrattuale, ma anche una precisa qualificazione del rapporto professionale; tra cliente e professionista viene quindi stipulato un contratto d’opera, che si configura come un contratto di lavoro autonomo con prestazione d’opera intellettuale 4. ------------------------------------------1 Tra gli ultimi volumi editati per una minima bibliografia, v. M. e F. BILANCETTI, La responsabilità dei professionisti tecnici. Ingegnere. Architetto. Geometra, Padova, 2012; G. CASSANO, La responsabilità civile, Milano, 2012; M. DE LUCA, La responsabilità civile del medico, Roma, 2012. L. D’APOLLO, La responsabilità del medico, Torino, 2012; A. BASTIANELLO, La responsabilità penale dei professionisti. Medici, avvocati, notai, commercialisti, Padova, 2011; M. FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, Milano, 2011; F. INTRONA, V. SANTORO, C. FIANDACA, La responsabilità professionale in odontoiatria. Aspetti dottrinali, giurisprudenziali e medico legali, Firenze, 2010; R. BALDUZZI, La responsabilità professionale in ambito sanitario, Bologna, 2010. 2 Tra gli ultimi interventi, v. P. D’ASCOLA, Responsabilità professionale, in La Responsabilità civile, 2012, n. 6, Torino, p. 403 (nota a sentenza, Cassazione civile, sez. III, sentenza 20 aprile 2012, n. 6277); G. FACCI, Responsabilità professionale, in La Responsabilità civile, 2012, n. 10, Torino, p. 711 (nota a sentenza: Tribunale civile, Bologna, sentenza 26 maggio 2011); D. COVUCCI, La responsabilità professionale dell’avvocato: l’evoluzione continua, in Danno e responsabilità, 2011, n. 7, Milano, p. 745 (nota a sentenze: Cassazione civile, sez. III, sentenza 2 luglio 2010, n. 15717, Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 febbraio 2011, n. 4422; Cassazione civile, sez. III, sentenza 6 agosto 2010, n. 18360); F. ZAULI, Responsabilità professionale da contatto sociale del medico e inadempimento contrattuale della clinica, in La Responsabilità civile, 2011, n. 6, Torino, p. 427 (nota a sentenza: Cassazione civile, sez. III, sentenza 1 febbraio 2011, n. 2334); G. IADECOLA, Responsabilità professionale la causalità nella responsabilità civile del medico, in Giurisprudenza di merito, 2010, n. 9, Milano, p. 2057; F. PROVENZANO, Note sulla responsabilità del consulente tributario tra norme deontologiche, responsabilità professionale e sanzioni tributarie,in Bollettino tributario d'informazioni, 2010, n. 19, p. 1476 (nota a sentenza: Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 aprile 2010, n. 9916); E. BRIGANTI, Responsabilità professionale, in Notariato, 2010, n. 6, Milano, p. 606 (nota a sentenza: Cassazione civile, sez. III, sentenza 2 luglio 2010, n. 15726); F. ZAULI, Responsabilità professionale da contatto sociale, attività medica e riparto dell’onere probatorio, in La Responsabilità civile, 2010, n. 8/9, Torino, p. 592 (nota a sentenza: Cassazione civile, sez. III, sentenza 26 gennaio 2010, n. 1538); V. CARBONE, Responsabilità professionale dell’avvocato, in Il Corriere giuridico, 2010, n. 3, Milano, p. 303 (nota a sentenza: Cassazione civile, sez. III, sentenza 20 novembre 2009, n. 24544); A. VASAPOLLO, La responsabilità professionale dell’amministratore di condominio per abuso di taluni condomini nell’uso della cosa comune, in La Responsabilità civile, 2009, n. 4, Torino, p. 349; A. ARLOTTA, Brevi riflessioni in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, in Giurisprudenza di merito, 2009, n. 3, Milano, p. 666 (nota a sentenza: Tribunale civile, sez. Pozzuoli, Napoli, sentenza 28 maggio 2008); G. CASU, In tema di responsabilità professionale del notaio, in Rivista del notariato, 2009, n. 6, Milano, parte II, p. 1511 (nota a sentenza: Tribunale civile, Belluno, sentenza 11 maggio 2009); G. V. CUGNO, Se la compagnia assicuratrice della r.c. debba pagare anche quando l’avvocato confessa la propria responsabilità professionale verso il cliente, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, n. 10, Padova, parte I, p. 975 (nota a sentenza, Cassazione civile, sez. III, sentenza 17 marzo 2009, n. 6429); S. BONZIGLIA, Aspetti di responsabilità professionale del medico legale, in Danno e responsabilità, 2008, n. 11, Milano, p. 1176; A. ALBANESE, La responsabilità professionale del praticante avvocato, in La Responsabilità civile, 2008, n. 3, Torino, p. 243; R. BARBANERA, La responsabilità professionale dell’avvocato italiano: Spunti di riflessione, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, n. 3, Milano, p. 243; S. MAGRA, La responsabilità professionale medica, in La Responsabilità civile, 2008, n. 10, Torino, p. 842; G. GALLO, Responsabilità professionale del medico: prova della causalità e valutazione della colpa derivante da un approccio terapeutico di «minoranza», in Giurisprudenza di merito, 2008, n. 1, Milano, p. 188 (nota a sentenza: Tribunale penale, Lecce, sentenza 7 febbraio 2007, n. 80); A. VALDO, Responsabilità professionale del difensore nel processo tributario: casi e modalità, in Il Fisco, 2007, n. 24, Milano, p. 3514; A. BRIGUGLIO, La responsabilità dell'arbitro al bivio fra responsabilità professionale e responsabilità del giudice, in Giustizia civile, 2006, n. 1, Milano, parte 2, p. 57; M. SANTAMBROGIO, La casualità nella responsabilità professionale, in Giurisprudenza di merito, 2005, n. 7/8, Milano, parte 4, p. 1756. 3 V. MUSOLINO, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, Padova, 1995, p. 47. 4 Ove il termine opera non riferisce ad opus come risultato dovuto, in quanto l’opera intellettuale consiste principalmente in un’attività: V. CATTANEO, La responsabilità civile del commercialista, Milano, 1958, p. 27-28. © Cesi Multimedia 13 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista 2.2 L’inadempimento La responsabilità contrattuale del professionista nasce a seguito del suo inadempimento agli obblighi connessi all’attività esercitata: in linea generale costituisce inadempimento la mancata, ritardata o inesatta esecuzione della prestazione professionale richiesta 5. La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale ha origini antiche 6, millenarie addirittura, ma fino ad alcuni decenni fa la casistica riguardante azioni penali o civili per responsabilità professionale era piuttosto rara, in quanto si mirava a difendere il “mito” della supremazia dell’autorità culturale dell’uomo di scienza. Di tale orientamento sono evidenti esempi sia il codice civile napoleonico che quello italiano del 1865, ove, come si è detto, il rapporto professionale era ricondotto allo schema del mandato, con tutti gli obblighi conseguenti, e la disciplina relativa alla responsabilità del professionista era volta a garantire alle professioni intellettuali la loro tipica origine liberale, indipendente e discrezionale. Il codice civile italiano del 1942 ha voluto disciplinare la materia con maggior rigore, non solo con la definizione del contratto d’opera intellettuale, ma anche con la precisa regolamentazione della responsabilità del professionista, corredata da disposizioni specifiche, quali, tra tutte, l’art. 2236 c.c.7. La responsabilità è connessa, sul piano economico, all’eventuale danno subito dal cliente, che si identifica nel pregiudizio causato dall’errato adempimento o dall’inadempimento del professionista 8. L’inadempimento del professionista non può esser fatto discendere semplicemente dalla mancata realizzazione del risultato al quale mirava il cliente, anche se è proprio del mancato raggiungimento di un risultato che scaturisce il processo a catena che può sfociare nell’individuazione di un’eventuale responsabilità per inadempimento del professionista 9. Per pervenire ad una possibile responsabilità, dunque, bisognerà partire dal mancato raggiungimento di un risultato, che tuttavia, secondo la miglior dottrina, va valutato alla stregua del dovere di diligenza, che prescinde da quella generale del buon padre di famiglia e si adegua all’attività esercitata10; tale impostazione ha ricevuto ampio riconoscimento nella giurisprudenza della Suprema Corte che con più sentenze di medesimo tenore ha stabilito che «l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata, ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine - positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo». Si prenda, ad esempio, il caso del dottore commercialista che riceve l’incarico di provvedere anticipatamente alla stesura di un piano pluriennale, che il cliente deve presentare per ottenere un finanziamento presso un istituto di credito; se il finanziamento in questione non viene concesso, il professionista non potrà essere considerato responsabile se il budget è stato correttamente eseguito sulle informazioni ricevute dal cliente. Del resto, con riferimento alle prestazioni professionali più facilmente inquadrabili come obbligazioni di mezzo, il comportamento negligente del dottore commercialista può perfezionare di per sé un presupposto di inadempimento, indipendentemente dalla mancanza di risultato e prima che essa si manifesti11. D’altro canto, non è detto che la negligenza sfoci necessariamente in un danno, come ad esempio nel caso del dottore commercialista che predispone un ricorso contro un avviso d’accertamento, e vince il ricorso disertando ------------------------------------------5 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 219; D. MESSINETTI, Considerazioni sul danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Rivista di diritto civile, 2012, n. 3, Padova, parte I, p. 333; L. VIOLA, Mediatore ex d.lg. n. 28/2010: inadempimento di contratto a favore di terzi di tipo verticale?, in La Responsabilità civile, 2011, n. 12, Milano, p. 814; I. LUCATI, F.A. FERRARO, Sospensione dei professionisti dall’albo per inadempimento degli oneri fiscali, in La Responsabilità civile, 2011, n. 11, Milano, p. 796. 6 V. MASTROROBERTO, Rivedere il concetto di colpa professionale, in MARTELLI-MASTROROBERTO Implicazioni assicurative della responsabilità professionale del medico nell’ambito del Servizio Sanitario,in La Responsabilità Medica in ambito civile, Padova, 1989, p. 193-225. 7 L’allora Ministro Guardasigilli lo commentò così: «[omissis]… trovare un punto di equilibrio fra due opposte esigenze: quella di non mortifi- care l’iniziativa del professionista, col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso, e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista». 8 V. CATTABRIGA, Delega a terzi d’adempimenti contabili e fiscali, in La tribuna dei Dottori Commercialisti, n. 5, 1996, p. 31. 9 V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, p. 48. 10 Così Cass., sez. II, 11 agosto 2005, n. 16846; v. anche Cass. 12 settembre 1970, n. 1386, GC, 1971, I, 627; più di recente Cass., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23918; Cass., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 583. V. RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1982, p. 653. 11 14 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista l’udienza dinnanzi alla Commissione tributaria: in questa ipotesi il comportamento negligente del professionista non origina alcuna responsabilità, non essendosi verificato alcun danno per il cliente. Solo con il ricorso a standard generali, quali la diligenza, si riuscirà ad individuare la linea di condotta del professionista e a determinare i presupposti in presenza dei quali si può configurare l’adempimento dell’obbligazione intellettuale. In linea generale può affermarsi che la responsabilità del professionista intellettuale ruota essenzialmente sul rapporto fra la disposizione dell’art. 1176 c.c. e quella di cui all’art. 2236 c.c. Il professionista intellettuale deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria e d’ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui, per negligenza od imperizia, comprometta la soddisfacente conclusione del rapporto professionale12; nel caso, invece, d’interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità del dottore commercialista medesimo nei confronti del suo cliente, a meno di dolo o colpa grave. L’inadempimento va valutato a seconda della natura dell’attività esercitata, considerando il tipo dell’incarico, come pure le circostanze in cui la prestazione venga effettuata. È interessante il caso del commercialista incaricato della trasmissione telematica, il quale invii oltre il termine previsto la dichiarazione tempestivamente consegnatagli dal contribuente; il professionista in questione incorre sicuramente in sanzioni di legge, tuttavia nell’ipotesi in cui il contribuente che dà l’incarico dell’invio telematico non gli fornisca per tempo tutta la documentazione necessaria per elaborare la dichiarazione, non si ravvisano responsabilità ed obblighi particolari in capo al professionista se non quello di procedere all’invio quando tutta la documentazione viene resa disponibile. 2.3 L’art. 2236 c.c.: la responsabilità del professionista nei casi di speciale difficoltà A norma dell’art. 2236 c.c. «se la prestazione d’opera implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave». Per la responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale la legge prevede quindi un’attenuazione della normale responsabilità nei casi di problemi particolarmente complessi, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave, mentre, al di fuori di questa ipotesi, il professionista risponde, secondo le regole comuni, anche per colpa lieve13. I problemi tecnici di speciale difficoltà cui la norma si riferisce sono quei casi che esulano dal sapere più ordinario, per la loro singolarità ed infrequenza, nonché per la novità della loro emersione. Anche in questo caso quindi, la previsione legislativa deve di volta in volta trovare il suo contenuto peculiare, giacché sono comunque diverse le caratteristiche salienti delle categorie alla quali appartengono i prestatori d’opera, ed essendovi, anche all’interno di ognuna, delle particolarità che meritano di essere trattate apprezzandone, per l’appunto, gli aspetti caratterizzanti. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che integrano la previsione normativa i casi che, «per essere stati oggetto (…) di dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposti, per la novità della loro emersione» ovvero «per essere caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi, non possono considerarsi ricompresi nel doveroso [rectius diligente] patrimonio culturale, profes- sionale e tecnico del professionista, avuto riguardo, anche in questo caso, alle peculiarità del settore ove svolge la sua attività, e ad uno standard medio di riferimento» 14. ------------------------------------------12 V. AMENDOLAGINE, Inadempimento contrattuale del chirurgo operante nella struttura sanitaria in occasione dell’esecuzione di un intervento: onere probatorio, in I contratti, 2011, n. 2, Milano, p. 184 (nota a sentenza: Tribunale civile, Nola, sentenza 6 dicembre 2010); M.G. FERRARO, Sulla rilevanza dell’art. 2236 c.c. ai fini della configurabilità della colpa professionale del medico, Cassazione Penale, 2012, p. 2077; L. CINELLI SILIQUINI, L’art. 2236 c.c. tra onere probatorio e risarcimento del danno, in Danno e responsabilità, 2010, p. 451; M. FOGLIA, Il prisma della prestazione medica e l'azzeramento dell'art. 2236 c.c., in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2010, p. 372; A. DELL’ERBA, M. N. DI LUCA, G. MONTANARI VERGALLO, P. FRATI, L’inversione dell'onere probatorio e gli ambiti applicativi dell'art. 2236 c.c., in Rivista italiana di medicina legale, 2006 , p. 761; M. MARTINELLI, L’art. 2236 c.c. e la responsabilità medica: la Suprema Corte quadra il cerchio, in La responsabilità civile (nota a sentenza Cass. 28 maggio 2004, n. 10297), 2005, p. 401; S. PERUGINI, La fattispecie prevista dall'art. 2236 c.c. e la ripartizione dell'onere della prova, in Giurisprudenza italiana, 2005, p. 1416; P. PIERRI, Riflessioni in tema di applicabilità in sede penale dei principi dell’art. 2236 c.c., in Rivista trimestrale di diritto penale dell'economia, 2005, p.179. 13 Cass. 15 aprile 1982, n. 2274, RFI, 1982, Professioni intellettuali, 48. 14 Cfr. Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1988, n. 3389, con specifico riferimento alla professione medica, ma sulla base di argomentazioni largamente generalizzabili. © Cesi Multimedia 15 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista Tuttavia, nonostante queste affermazioni di principio, la giurisprudenza non sembra fornire un quadro univoco con riferimento alle ipotesi concrete che integrano i presupposti di applicazione della norma in commento. Parte di essa, infatti, è molto restia a rinvenire casi in cui la prestazione d’opera implichi la soluzione di speciali difficoltà tecniche, riducendo il rilevo della fattispecie alle ipotesi in cui al professionista sia affidato un caso non ancora sufficientemente studiato e sperimentato ovvero ancora dibattuto15. Altra parte della giurisprudenza, invece, accede ad una nozione più ampia di “speciale difficoltà”, riferendola in genere a tutte le ipotesi in cui al professionista sia richiesta una preparazione superiore alla media16. Si tratta comunque di un divario ermeneutico di ridotta incidenza pratica, considerato che la disposizione dell’art. 2236 c.c. non ha trovato finora facile applicazione, sul presupposto che il progresso della scienza e della tecnica ha determinato, di conseguenza, l’effetto di ridurre l’area del preteso privilegio sancito dall’art. 2236 c.c. Una particolare ipotesi applicativa dell’art. 2236 c.c. è stata recentemente rinvenuta dalla Suprema Corte che, con riferimento alla attività di un consulente del lavoro, ha sancito il più generale principio di diritto secondo il quale, nell’ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni giuridiche opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità del professionista a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave17. Nel caso di specie un consulente del lavoro, di fronte alla richiesta di un suo cliente notaio, aveva indicato, a chiarimento di un equivoco testo di legge, la soluzione per la quale, in favore dei dipendente assunti con contratto di formazione e lavoro, i versamenti previdenziali dovevano essere versati in misura fissa, analogamente a quanto previsto per i giovani assunti con contratto di apprendistato. In seguito ad alcune verifiche effettuate dall’ente previdenziale, è invece emerso che, seppur all’interno di un confuso quadro normativo, l’interpretazione del consulente non doveva ritenersi corretta, con conseguente obbligo del cliente notaio di corrispondere le differenze e le sanzioni. Il notaio aveva adito l’autorità giudiziaria per ottenere la condanna del consulente stesso al risarcimento del danno nella misura pari all’onorario versato: la sua domanda veniva accolta in primo grado, ma rigettata dalla Corte di appello. La Corte di Cassazione, investita della questione su ricorso del notaio, ha confermato la decisione della Corte di appello, che aveva escluso la responsabilità del consulente, affermando che la poca chiarezza della legge esonera il professionista dalla responsabilità. Il consulente aveva infatti ritenuto di poter suggerire al notaio di versare i contributi previdenziali, in favore dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, in misura fissa, analogamente a quanto previsto per i contratti di apprendistato. Tale decisione muoveva, sulla base di quanto risultante dal processo, da una sostanziale omogeneità delle due fattispecie, peraltro avallato da diverse pronunce di giudici di merito, che avevo espresso la medesima tesi adottata, poi, dal consulente; si trattava di un’interpretazione che, sulla base del dato normativo e di diverse sentenze, era quindi da ritenersi senz’altro plausibile e, come tale, tutt’altro che temeraria. Nel caso di specie la Suprema Corte esonerava il professionista dalla invocata responsabilità anche per la sostanziale compartecipazione del cliente al parere espresso dal consulente, posto che, come emerso in giudizio, il notaio stesso aveva personalmente sottoscritto i moduli relativi ai versamenti previdenziali nella misura poi rivelatasi errata, manifestando, seppur implicitamente, di condividere l’interpretazione suggerita. Peraltro, i giudici di legittimità evidenziavano l’incidenza, nel giudizio di responsabilità, della professionalità del soggetto committente, ossia del notaio che, essendo comunque un professionista del diritto, sarebbe stato in grado di valutare la correttezza dell’interpretazione suggerita rispetto al dato normativo. Con l’occasione i giudici di legittimità hanno anche ribadito che, in conformità ai principi generale in materia di ripartizione dell’onere della prova, spetta al consulente del lavoro dimostrare la particolare complessità del caso, stante l’applicabilità di disposizioni di controversa interpretazione e, in ogni caso, l’assenza di un proprio inadempimento o di un proprio errore professionale. Ad una prima lettura, la disposizione di cui all’art. 2236 c.c. appare incoerente e sembrerebbe condurre ad esiti applicativi imprevisti, che mal si adattano all’intero contesto della disciplina in materia di responsabilità professionale. Ed infatti, da un lato la previsione in questione sembra collocarsi in contrasto con l’art. 1176 c.c. in tema di diligenza18. Dall’altro lato, dal tenore letterale della norma appena citata potrebbe apparire che il nostro legislatore ------------------------------------------15 Trib. Milano 19 novembre 1992, in Resp. civ. e prev., 1994, 157; Trib. Verona 15 ottobre 1990, ibidem, 1990, 1039. Quanto alla giurisprudenza di legittimità, per tutte, Cass. n. 589/1999, cit. 16 Cass. 26 maggio 1993, n. 5926, in Resp. civ. e prev., 1994, 256; Cass. 4 dicembre 1990, n. 11612, in Rep. Giur. It., 1990, voce «Professione intellettuale», n. 46, 3373; Cass. 7 agosto 1982, n. 4437, in Resp. civ. e prev., 1984, 78. 17 Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2011, n. 21700. 18 A. SPINELLI FRANCALANCI, La responsabilità contrattuale dell'avvocato: la diligenza imposta al professionista nell'espletamento del suo incarico. Rapporto tra gli artt. 1176 e 2236 c.c., in Giurisprudenza italiana, 2003, p. 461; E. RUSSO, Adempimento del dovere e adempimento dell'obbligazione (artt.1176 e 1218 c.c.), in Rivista di diritto civile, 2000, p. 737. 16 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista abbia inteso introdurre un regime di responsabilità professionale più attenuato proprio in quelle circostanze in cui, viceversa, la difficoltà tecnica dell’applicazione imporrebbe più attenzione nell’espletamento della prestazione. E a dire il vero anche la spiegazione nella relazione al Codice (n. 917) pareva avallare detta impostazione ermeneutica, fino a quando non ci si è risolti a reinterpretare la disciplina della responsabilità in genere, elaborando soluzioni più coerenti, almeno in linea di principio, con la doverosa esigenza di rispettare i “nuovi” diritti della persona. Dalle parole del Guardasigilli sembra invece potersi già giustificare la soluzione interpretativa più matura della norma in argomento; ed infatti, proprio partendo dalla consapevolezza della pressante esigenza di non mortificare l’iniziativa del professionista, col timore di ingiuste rappresaglie del cliente in caso di insuccesso, nonché dell’inversa necessità di non indulgere verso non ponderate decisioni e riprovevoli inerzie del professionista, si è giunti a concludere che l’attenuazione di responsabilità sancita dall’art. 2236 c.c. non si riferisce indifferentemente ad ogni sorta di criterio identificativo della colpa, bensì solo ed esclusivamente alla perizia, ossia alla capacità tecnica che deve connotare la prestazione di un professionista19. Ed invero tale norma fa riferimento solo alla soluzione di “problemi tecnici” e, quindi, solo alla responsabilità che può essere ingenerata dalla mancanza di adeguate nozioni di natura tecnica. L’art. 2236 c.c., perciò, è da ritenere norma speciale di natura prettamente integrativa rispetto a quella sancita dal secondo comma dell’art. 1176 c.c. Pare plausibile concludere, dunque, sostenendo che la norma in esame non abbia affatto inteso attenuare, nel senso proprio del termine, la responsabilità professionale nei casi tecnicamente più difficili, ma piuttosto spronare l’iniziativa individuale, giustificando, appunto, un giudizio di responsabilità più pragmatico, laddove sussistano particolarissime difficoltà operative, ovvero in casi di incertezze scientifiche rispetto alla problematica da risolvere. Solo in tale modo si può comprendere il senso di una limitazione della responsabilità professionale ai casi di dolo o colpa grave, ove al professionista sia richiesto di risolvere, appunto, un caso particolarmente difficile. Dal canto suo, la giurisprudenza è ormai univoca nel confermare che la limitazione della responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236 c.c. attiene esclusivamente alla perizia richiesta al professionista, e non è applicabile quindi al caso di negligenza e imprudenza, per i quali il professionista risponde anche per colpa lieve20. La giurisprudenza ritiene quindi inapplicabile l’art. 2236 c.c. in tutte le ipotesi in cui si rinvengano, da parte del professionista «palesi imprudenze o comportamenti di incuria 21: il prestatore d’opera intellettuale dovrà essere co- munque obbligato al risarcimento del danno laddove sia incorso in errori che non sono scusabili per la loro grossolanità ovvero laddove si riscontrino ignoranze incompatibili con il grado di addestramento o di preparazione (...) che la reputazione di un professionista dà motivo di ritenere esistenti», nonché nelle ipotesi di «temerarietà sperimentale ed ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affida alle cure d’un prestatore d’opera intellettuale»22. A differenza di un tempo, in cui la dottrina identificava la colpa grave in una manifestazione d’incapacità evidente e grossolana, o d’ignoranza di cognizioni elementari, con tale concetto s’individua oggi una condotta del debitore particolarmente biasimevole, la cui valutazione dovrà essere compiuta dal Giudice caso per caso23. Nei più recenti sviluppi dottrinali la colpa grave tenderebbe quindi a coincidere con l’errore dovuto a negligenza, incuria, imprudenza, al pari della colpa lieve, avendo sempre riguardo però alla natura della prestazione dell’attività svolta 24. Così chiarita l’effettiva portata dell’art. 2236 c.c., la ratio perseguita dal legislatore nel formulare la disposizione in commento, può dunque ravvisarsi nell’intento di evitare, da un lato, una eccessiva limitazione dello spirito di iniziativa del professionista, per il timore di subire azioni legali in caso di errori, dall’altro, la formazione di una indebita franchigia di responsabilità proprio innanzi a violazioni particolarmente gravi. ------------------------------------------19 L. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. dir. comm., 1954, p. 206; F. SANTORO PASSERELLI, voce Professioni intellettuali, in Noviss. Dig. It., 1967, vol. XIV, p. 26. 20 In tale senso, tra le tante, vedi Cass., sez. III, 19 aprile 2006, n. 9085; Cass., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 583. Cass. civ. sez. III, 1 agosto 1996, n. 6937; Cass. civ. sez. III, 8 luglio .1994, n. 6464. 22 Cass. 21 aprile 1977, n. 1476, in Rep. Foro it., 1977, voce «Professione intellettuale», n. 43, 2186; Cass. 2 luglio 1991, n. 7262, in FI, 1992, I, 803; Cass., 11 agosto 2005, n. 16846; Cass., 17 gennaio 2007, n. 974. 23 Cass. 7 maggio 1988, n. 3389, in RFI, 1988, Professioni intellettuali, 2380, n. 96; L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. c.c. artt. 2188-2246, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1968, p. 151-241; F. GALGANO, Diritto privato, Padova, 1990, II, 1, p. 34; G. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXXVI, 1987, 1060-1085. 24 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 850; E. BONVICINI, La responsabilità civile, Milano, 1971, p. 756. 21 © Cesi Multimedia 17 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista 2.4 La colpa professionale: negligenza, imprudenza e imperizia del professionista Relativamente al concetto di colpa, esso si articola essenzialmente, secondo le elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza più consolidate, nelle ipotesi di imprudenza (superficialità o leggerezza di comportamento), negligenza (omissiva o commissiva, consistente in disattenzione o mancanza di dovuta attenzione o sollecitudine), imperizia, inosservanza di leggi o altre disposizioni normative, nonché - per il caso particolare del professionista - di inottemperanza alle disposizioni impartite dal cliente. La giurisprudenza non presta particolare attenzione a tale differenziazione, vista la sua scarsa importanza ai fini dell’imputabilità della responsabilità, poiché spesso la negligenza si accompagna a comportamenti che costituiscono espressione d’imperizia, di modo che, nella pratica, è assai difficoltoso stabilire se il mancato adempimento del professionista sia dipeso da semplice disattenzione o da vera e propria incompetenza professionale25. Ciò premesso, nelle sentenze adottate in materia dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, la negligenza viene individuata nelle ipotesi di mera omissione del professionista dall’osservanza di determinati comportamenti26. In dottrina la negligenza è descritta in termini di dimenticanza, svogliatezza, pigrizia27. Con particolare riferimento alla figura del commercialista ad esempio, può essere richiamato il caso in cui il professionista dimentichi di inviare la dichiarazione Unico entro il termine di presentazione in via telematica: in tali ipotesi il commercialista è stato condannato a risarcire il cliente dei danni subiti di conseguenza a tale negligente omissione 28. Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, per colpa dell’intermediario, dovesse rilevare l’omessa presentazione della dichiarazione, il contribuente potrebbe anche richiedere l’annullamento della sanzione, esibendo la copia della dichiarazione e la ricevuta rilasciata dall’intermediario abilitato che “prova” la giusta data di presentazione della dichiarazione 29. La responsabilità del professionista, quale conseguenza d’imprudenza, deve invece ritenersi esistente nelle ipotesi in cui questi, potendo scegliere tra diverse soluzioni, opta per quella che presenti il maggior numero di probabilità di insuccesso. L’imprudenza, quindi, raffigura il limite oltre il quale non si può spingere la discrezionalità tecnica del professionista; che deve assumere un contegno tecnico consono alla situazione nella quale si trova ad esercitare, tenendo sempre e comunque in debita considerazione la tutela degli interessi del cliente. In altre parole, il professionista deve agire utilizzando le conoscenze tecniche essenziali per la soluzione del singolo caso, astenendosi dall’adottare scelte che si pongono al di là dei normali criteri risolutivi elaborati dalla tecnica e dall’esperienza nel settore, e più in generale evitando tutti quei comportamenti che possano comunque essere incompatibili con le finalità del suo operato. Ai fini della valutazione del parametro in questione, sarà quindi necessario operare un raffronto tra gli strumenti tecnici impiegati per la soluzione del singolo caso e quelli che sono i mezzi che la tecnica mette a disposizione. In relazione alla valutazione della colpa professionale, particolare rilevanza è attribuita dalla giurisprudenza al concetto di perizia (e correlativamente di imperizia), da intendersi come complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d’appartenenza 30. L’attività intellettuale oggetto della prestazione del professionista, infatti, deve essere tecnicamente impeccabile, basata sugli strumenti messi a disposizione dalla scienza e sul patrimonio tecnico, scientifico e morale del singolo prestatore, costituito soprattutto dal complesso delle sue cognizioni acquisite attraverso lo studio e l’esperienza. Il professionista dovrà mantenersi costantemente dotato di una normale perizia, ovvero di un livello di conoscenza che lo ponga nelle condizioni di soddisfare l’aspettativa del cliente a ricevere una prestazione caratterizzata da un adeguato livello di conoscenza 31; la valorizzazione di tale concetto risulta così determinante anche al fine del riconoscimento di un dovere di aggiornamento costante del ------------------------------------------25 V. COMITO, Il ripristino dei diritti processuali fondamentali come tutela sostanziale dell’imputato in caso di negligenza difensiva, in Giurisprudenza italiana, 2010, n. 3, Torino, p. 672 (nota a sentenza: Cassazione penale, sez. VI, sentenza 10 settembre 2009, n. 35159). 26 Trib. Padova, 9 agosto 1985, in FI, 1986, I, 1995; App. Napoli, 6 aprile 1982, in AC, 1982, 740; App. Roma, 27 novembre 86, in ND, 1988, 437. 27 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 832. 28 Cass. 31 dicembre 2001, sez. II, n. 15759. 29 A tal riguardo si sostiene che «un concordato fiscale perduto inchioda alle proprie responsabilità anche il commercialista a mezzo servizio»; se il professionista ha solo l’incarico di domiciliazione fiscale di una società, rischia di dovere risarcire i danni d’eventuali problemi tributari patiti dal cliente a causa della sua distrazione. 30 C. M. BIANCA, Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. Scialoja-Branca, art. 1218-1219, Bologna, 1993, p. 30; in giurisprudenza, Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1982 n. 5885 31 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 832; Cass. 20 febbraio 1987, n. 1840, in VN, 1987, 388. 18 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista professionista (sancito da tutti i codici di deontologia), posto che tale standard medio deve, per forza di cose, essere quello derivante da conoscenze aggiornate, e quindi tecnicamente apprezzabili 32. Il professionista dovrà inoltre possedere un’esperienza professionale adeguata alla complessità della materia esaminata, tale da consentirgli di affrontare le varie circostanze che possono verificarsi nel corso del singolo caso33. Oltre ad una preparazione sufficiente a rendere efficace il suo intervento, il professionista deve quindi essere dotato di adeguata esperienza, acquisita nel settore cui si riferisce l’opera richiesta34. La mancanza di tali presupposti imporrà al professionista, al fine di non incorrere in eventuali ipotesi di responsabilità, il rifiuto alla prestazione, suggerendo al cliente il ricorso ad altro professionista più esperto35. Il bagaglio tecnico del professionista non può inoltre prescindere dalla conoscenza delle soluzioni che siano accolte nella pratica; la sua preparazione professionale deve quindi consentirgli di applicare, durante l’esecuzione della propria prestazione, quelle nozioni acquisite sia dalla scienza che dalla pratica, per comune senso e salda sperimentazione, e che costituiscono il necessario corredo del professionista diligente36. Il bagaglio di preparazione scientifica e tecnica del professionista intellettuale costituisce parte integrante della sua prestazione, con la duplice conseguenza che il professionista è tenuto ad acquisire e conservare la necessaria perizia, e che l’attività posta in essere nel caso concreto deve essere conforme ai principi scientifici e tecnici di ogni professione37. L’insufficienza della preparazione, unita alla preesistenza di regole tecniche di comportamento, ormai acquisite dalla scienza e dalla tecnica, crea quindi il presupposto di una responsabilità per imperizia. L’inadeguatezza della prestazione professionale deve esser accertata in relazione ad ogni singola fattispecie, cercando di verificare le concrete circostanze in cui la stessa deve svolgersi38. In tutte le ipotesi sopra esaminate, la valutazione dell’esistenza e dell’entità della colpa del professionista è rimessa alla valutazione del giudice di merito e risulta sindacabile dinanzi al giudice di legittimità unicamente per il profilo dell’esistenza della motivazione che deve risultare completa ed adeguata39. 2.5 La diligenza del buon professionista Come si è già anticipato, la colpa professionale, anche nei casi di cui all’art. 2236 c.c., è da esaminare in considerazione di quanto disposto dall’art. 1176, comma 2, c.c. Risiede, invero, nel dettato dell’art. 1176 c.c. «il comples- so d’attenzioni che dovrebbero fondare il comportamento d’ogni debitore al momento di soddisfare la propria obbligazione»40. Il concetto di diligenza, che trova il proprio fondamento nell’art. 1176 c.c., riassume in sé «il complesso di cure e cautele che dovrebbero fondare il comportamento di ogni debitore al momento di soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare rapporto e alle circostanze di fatto che lo caratterizzano»41. La sua funzione è, essenzialmente, quella di parametro per la valutazione della conformità del comportamento del debitore rispetto a quello dovuto, al fine di delimitare ciò che deve ritenersi, in quel singolo caso, esatta prestazione. In ogni obbligazione avente per oggetto un’attività, l’inadempimento coincide infatti con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione e la diligenza assurge a parametro di imputazione del mancato adempimento e criterio di determinazione del contenuto dell’obbligazione42. ------------------------------------------32 C. TRAPANI, Colpa medica negligenza e causalità omissiva, in Studium Iuris, 2001, n. 4, CEDAM, p. 475 (nota a sentenza: Cassazione penale, sentenza 20 ottobre 2000, n. 1553). 33 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 832; Cass. 20 febbraio 1987, n. 1840, in VN, 1987, 644647; R. DANOVI, Errore professionale: responsabilità civile e responsabilità disciplinare, in RCP, 1986, p. 47. 34 App. Bari, 21 aprile 1983 in materia di responsabilità medica. 35 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 237238. 36 Cass. 29 marzo 1976, n.1132, in RDL, 1977, 140. 37 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 236. 38 Cass. 2 agosto 73, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; Cass. 2 novembre 82, n. 5885, in AC, 1983, 496; Cass. 15 novembre 82, n. 6101, in DPA, 1984, 405; Cass. 22 marzo 1968, n. 905, in FI, 1968, I, 2206; Cass. 12 settembre 1970, n. 1386, in GC, 1971, I, 627. Interessante il caso del commercialista, incaricato da un cliente all’elaborazione della contabilità ordinaria e della preparazione della dichiarazione annuale IVA, il quale ometta di riportare nella dichiarazione in questione, precisamente nel quadro A, l’ammontare dei corrispettivi, indicando nella dichiarazione dei redditi ricavi per la cessione di beni, nonostante l’inesistenza delle operazioni sostenute nel periodo: v. App. Perugia, 20 maggio 1995, DResp, 1996, 770. 39 Cass. 9 giugno 2004, n. 10966. 40 N. TODESCHINI, Spunti di riflessione sul concetto di diligenza, in La responsabilità civile del medico, diritto & diritti, rivista on line. 41 N. TODESCHINI, Responsabilità professionale, in www.assomedici.it. 42 Cass. 9 novembre 2006, n. 23918; Cass. 13 gennaio 2005, n. 583. © Cesi Multimedia 19 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista Nel codice civile vigente, la regola della diligenza del buon padre di famiglia richiesta al debitore nell’esecuzione della prestazione dovuta, pur conservando il carattere generale già affermato nel codice abrogato, presenta numerosi elementi di novità; essa, infatti, non risulta più disciplinata nel quadro degli effetti delle obbligazioni, bensì è collocata in apertura del capo concernente l’adempimento delle obbligazioni; la relativa disciplina, poi, non fa più rinvio alla diversa regola per il deposito ed ai casi in cui la diligenza debba essere apprezzata con maggiore o minore rigore (ad esempio, nelle ipotesi di deposito e mandato gratuito). Nel codice vigente, accanto alla regola generale di cui al comma 1 dell’art. 1176 c.c., col suo generico riferimento al “buon padre di famiglia”, compare inoltre il disposto del secondo comma, che, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, richiede di valutare la diligenza con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Dunque, esiste ora un unico grado di diligenza commisurato ad un tipo astratto di soggetto, così da evitare graduazioni della colpa per ogni singolo rapporto, se non nei limiti di un opportuno adattamento della regola generale ad una diversa e ben specifica natura del rapporto contrattuale, quella professionale. La scelta di un criterio unitario di diligenza da applicare in astratto, ossia a prescindere dalla condizione soggettiva del debitore e del tipo di rapporto, ha determinato un massimo grado di oggettivazione del concetto dell’agire diligente, anche con riferimento a quei rapporti che esigono il rispetto di regole tecniche, data la natura professionale della prestazione da espletare43. Al solo controllo in base agli standards medi dell’agire comune, perciò, se ne affianca, in detti rapporti, uno tecnico, altrettanto astratto, per accertare che il debitore abbia fatto l’uso della perizia che conviene ad un professionista di preparazione ed attenzione media: alla diligenza del buon padre di famiglia si aggiunge, così, quella del buon professionista. Alla stregua di quanto appena esposto, si può dunque concludere che la diligenza di cui all’art. 1176 c.c. non può e non deve essere mai ritenuta esclusivamente identificativa della prestazione dovuta44, ma anche e soprattutto del criterio astratto che consente la corretta imputazione della responsabilità contrattuale, tutte le volte in cui la causa dell’inadempimento manchi dei caratteri dell’assolutezza e dell’oggettività45. La regola di condotta diligente svolge dunque la duplice funzione di determinazione dell’esattezza della prestazione, e, insieme, di criterio di imputazione della responsabilità debitoria 46; il parametro della diligenza è utilizzato per specificare cosa si richiede che il debitore, professionista intellettuale, faccia nelle normali condizioni di esecuzione dell’obbligazione, nonché per individuare lo sforzo che il debitore in questione deve produrre per realizzare l’esatto adempimento, anche nel superamento degli eventuali ostacoli incontrati. Con l’introduzione del concetto di colpa, in particolare, si è passati da un sistema che sembrava recepire soluzioni più oggettivistiche, secondo cui cioè l’inadempimento bastava a generare responsabilità, ad altro che sanziona l’agire negligente47, in cui perciò l’esonero da responsabilità è legato alla dimostrazione di un comportamento diligente che, pur se valutato alla stregua di parametri oggettivi, contribuisce a ravvisare nella colpa un criterio di imputazione di responsabilità48. Quindi, la diligenza ha da essere valutata in concreto secondo il parametro dell’attività che si può pretendere da un tecnico di attenzione e preparazione media, munito di un minimo di esperienza e di cultura tale da costituire il necessario corredo di un professionista49. In proposito, non è mancato chi50 ha precisato che la diligenza di cui al primo comma e la perizia richiesta dal secondo comma dell’art. 1176 c.c., sebbene distinte, consistano comunque e sempre in fattori funzionalmente collegati rispetto all’adempimento dell’obbligazione professionale: anche perché ------------------------------------------43 A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. del c.c. a cura di SCIALOJA e BRANCA, Libro IV, Delle Obbligazioni, artt. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, p. 431. 44 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 51, sul punto, facendo un passo avanti, ha sostenuto che la diligenza dell’art. 1176 c.c., se, da un lato, fosse indicativa della necessità di un comportamento tale da costituire l’esatto adempimento delle obbligazioni che implicano l’esercizio di un’attività tecnica, dall’altro comporterebbe una valutazione etica dell’impegno del debitore; l’A. ravvisava così nella “buona fede” il criterio per arginare il severo giudizio di responsabilità contrattuale che si pretendeva dettato dalla norma dell’art. 1218 c.c. 45 M. FORTINO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1984, p. 88. 46 V. VISINTINI, La responsabilità contrattuale, Napoli, 1979, p. 190. 47 M. FORTINO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1984, p. 23. 48 La causa che impedisce l’adempimento, così, non sarà imputabile al debitore se non dipende da colpa di questi e, cioè, se il debitore non abbia potuto evitarla malgrado l’uso della normale diligenza. Così, M. GIORGIANNI, voce Buon padre di famiglia, in Noviss. Dig. It., vol. II, Torino, 1958, p. 596; M.C. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. C.c. a cura di SCIALOJA e BRANCA, Libro IV, Delle obbligazioni, artt. 1218-1229, Bologna-Roma, 1967, p. 93. 49 Cass. 15 aprile 1982, n. 2274, in Giust. civ., 1983, I, 573; Cass. 9 novembre 1982, n. 5885 e Cass. 15 novembre 1982, n. 6101, in Rep. Foro it., voce “Professioni intellettuali”, nn. 42 e 43, 2367. 50 V. LEGA, In tema di responsabilità civile del medico chirurgo, in nota a Cass. 18 giugno 1975 n. 2439, in Giur. It., 1976, 959. 20 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista «sarebbe contrario ai principi di comune buonsenso se, richiesto un grado medio di perizia e di bagaglio tecnico all’obbligato, lo si ritenesse, poi, esonerato dal rispetto di regole di comune prudenza ed oculatezza, anche nell’uso del bagaglio tecnico»51. In conclusione, se al fine di un corretto giudizio di imputazione della responsabilità professionale assume principale rilievo la perizia del buon professionista, devono altresì rilevare anche solo la negligenza e l’imprudenza del debitore. La diligenza del buon professionista non può quindi essere rigorosamente identificata con la perizia, rilevando, invece, entrambi gli aspetti in funzione di un rapporto di mezzo a fine, dal momento che la diligenza non è che un modo per l’applicazione in concreto delle regole tecniche della professione52. Del resto, è di tutta evidenza che se diverse fossero state, in merito, le reali intenzioni del legislatore, almeno per la prestazione professionale, si sarebbe dovuta fare una chiara ed inequivoca eccezione alla regola della generalità ed astrattezza della diligenza del debitore, disciplinandola nel capo delle professioni intellettuali e non collocandola, viceversa, nel contesto della disciplina generale delle obbligazioni. Solo così correttamente inquadrato il senso della disposizione in esame, sarà possibile cogliere anche l’esatta portata della norma dettata dall’art. 2236 c.c. Nel tentativo di giungere ad una qualificazione e conseguente individuazione del concetto di diligenza, si può quindi attribuire a tale concetto, considerato nel suo insieme, un duplice significato. Da un lato vi è l’obbligo del debitore di adoperarsi per evitare che si verifichino situazioni che impediscano la prestazione; e sotto questo profilo, ai sensi del comma 1 dell’art. 1176 c.c., non si può pretendere dal professionista una diligenza diversa da quella del bonus pater familiae nell’evitare fatti e situazioni che possano impedirgli di rendere la prestazione alla quale è obbligato. Dall’altro lato vi è l’obbligo di prestare la propria opera con la diligenza tecnica che deve caratterizzare il buon professionista, con riguardo alla natura della prestazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 1176 c.c. Il professionista intellettuale, tenuto conto dell’attività esercitata, dovrà quindi ricorrere a tutti quegli accorgimenti che si rivelano necessari a rendere attuabile la pretesa del cliente, adottando un’attività corrispondente ad un modello astratto di condotta, quale è postulato in determinate circostanze. Anche la giurisprudenza53 afferma che il professionista intellettuale esercita la propria attività in modo corretto quando utilizzi quella particolare diligenza definita diligenza del buon professionista, che si identifica nella diligenza media di un professionista sufficientemente preparato e accorto, che adotti una competenza media, necessaria all’esercizio dell’attività: in altri termini, deve essere a conoscenza dei risultati della scienza, oltre che nelle elaborazioni teoriche, anche nella sperimentazione e diffusione pratica. In definitiva, il prestatore d’opera intellettuale deve possedere un normale e necessario corredo di conoscenze, costituito da un minimo di cultura e d’esperienza54. Perciò il professionista deve operare con la diligenza che si presume possegga un tipo ideale di buon debitore, tenuto a fornire le stesse prestazioni che quel debitore deve dare55. Una mancata attenzione alle regole d’arte ed alle norme necessarie allo svolgimento della professione, da parte del professionista, causerà un inadempimento, che comporterà una verifica del comportamento tecnico oggettivo che evidenzi l’esatto adempimento delle obbligazioni riguardanti l’esercizio della professione56. Nell’ambito dei comportamenti che il professionista diligente deve seguire, vengono ricompresi tutti quegli obblighi c.d. integrativi strumentali, che non sono altro che specificazioni ed estensioni dell’obbligo di prestazione e che cooperano a rendere l’esecuzione della prestazione professionale maggiormente idonea all’attuazione dell’interesse del cliente 57. Un particolare aspetto del dovere di diligenza, in quanto manifestazione dell’obbligo di prestazione, è raffigurato dall’obbligo che cade sullo stesso professionista di informare il cliente della possibilità di successo di una eventuale prestazione58. Si tratta di un comportamento al quale il professionista intellettuale deve attenersi nella fase pre-contrattuale, e che può essere oggetto anche di uno specifico contratto con il quale lo stesso professionista s’impegna a fornire un parere o un consiglio, anche in vista di una possibile pre- ------------------------------------------51 A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. del c.c. a cura di SCIALOJA e BRANCA, Libro IV, Delle Obbligazioni, artt. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, p. 432. 52 M. ZANA, voce Responsabilità del professionista, Enc. Giur. Treccani, vol. XVII, p. 3. 53 Cass. 18 febbraio 1981, n. 982, in VN, 1981, 1112; Cass. 18 giugno 1975, n. 2439, in GC, 1975, I, 1389. 54 V. MISCIONE, Commento agli artt. 2222-2246 c.c, in Comm. c.c.,diretto da CENDON, V, Torino, 1991, p. 736. 55 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 637. 56 A. e S. BALDASSARI, La responsabilità del professionista, in Il diritto privato oggi, a cura di CENDON, Milano, 1993, p. 137. 57 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 91. 58 La giurisprudenza, a differenza della dottrina che vede nell’ipotesi di silenzio del professionista sulle possibilità di successo di una determinata attività un tipico caso di responsabilità pre-contrattuale, è favorevole a ricomprendere tale responsabilità nell’ambito di quella contrattuale; vedi Cass. 26 marzo 81, n. 1773, in AC, 1981, 5444 in materia di responsabilità del medico. © Cesi Multimedia 21 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista stazione futura. La corretta informazione rappresenta un aspetto determinante nell’evoluzione del consenso manifestato dal cliente, poiché consente la libera decisione del medesimo circa l’opportunità di utilizzare l’opera del professionista, ed assoggetta quest’ultimo alla responsabilità per l’inesattezza e incompletezza delle notizie fornite59. Un limite al dovere d’informazione s’incontra per il professionista in campo sanitario, dove può verificarsi la possibilità in cui il suo intervento si dimostri urgente e necessario e il paziente si trovi in uno stato tale da non poter esprimere una cosciente volontà favorevole o contraria60. In ogni modo, l’onere della dimostrazione del mancato assolvimento del dovere d’informazione da parte del professionista graverà sul cliente che agisce in giudizio per l’affermazione di responsabilità61. 2.6 L’errore professionale Si ha errore professionale quando la condotta adottata dal professionista non risulta idonea a risolvere il caso, sebbene questi abbia agito diligentemente. In altre parole, tale fattispecie ricorre in tutte quelle ipotesi in cui il comportamento tenuto dal professionista per la soluzione del problema tecnico sottoposto al suo operato si riveli insufficiente, inadatto o perfino controproducente in relazione all’oggetto del contratto62. L’errore professionale viene preso in considerazione come elemento oggettivo, ossia quale comportamento del professionista non conforme alle regole dell’arte, alle recenti cognizioni scientifiche ed alla comune esperienze, e non come elemento soggettivo63. Con tale locuzione si evidenzia infatti un comportamento che, pur risultando obiettivamente diverso da quanto esigeva la situazione concreta, non è necessariamente colposo64. Anche la giurisprudenza considera tale comportamento inidoneo ad integrare, di per sé, la colpa del professionista, e pone in evidenzia la differenza tra errore inescusabile ed errore scusabile65. L’errore inescusabile, ricompreso nel concetto di colpa professionale, è quell’errore che poteva essere evitato usando la diligenza richiesta. Quindi l’errore professionale viene a configurarsi come una vera e propria ipotesi esonerante da responsabilità, sempreché esso si presenti quale errore scusabile, ossia inevitabile secondo l’uso della diligenza richiesta66. Non può sollevarsi alcun addebito neppure al professionista che sia incorso in un errore relativo a materie non di sua competenza67. La valutazione dell’errore deve esser essenzialmente tecnica, cioè relativa alle cognizioni tecniche ed all’esperienza relativa alla professione esercitata. Possiamo ipotizzare il caso, ad esempio, del commercialista che propone al cliente di condonare alcune irregolarità, pagando una determinata cifra entro una specifica data di scadenza. Se viene stabilita una proroga del condono di due mesi e la relativa notizia viene resa pubblica di domenica, potrebbe accadere che il professionista non ne venga a conoscenza in tempo utile e non avverta il cliente della possibilità di posticipare il pagamento. Se a causa di ciò il cliente esegue il versamento entro la data originaria, può subire un danno per essersi privato di una cifra rilevante prima del tempo necessario, ma in tal caso siamo di fronte ad un errore scusabile del commercialista che non genera la responsabilità professionale del medesimo. 2.7 Il nesso causale tra inadempimento e danno, il danno risarcibile e l’onere della relativa prova La responsabilità del professionista intellettuale presuppone che il suo inadempimento determini un danno certo ed effettivo che sia connesso ad un comportamento doloso o colposo a lui riconducibile68. Al fine di configurare ------------------------------------------59 Cass. 13 dicembre 69, n. 3958, in GC, 1970, I, 404 in materia di responsabilità dell’avvocato. Cass. 18 giugno 1975, n. 2439, in GC, 1975, I, 1389. 61 App. Milano 30 aprile 1991, in FI, 1991, I, 2855. 62 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 815-820. 63 A. IACHINO, Della responsabilità professionale di èquipe: l'errore macroscopico rende tutti responsabili, Ragiusan, 2009, p. 198. 64 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 60-67. 65 Cass. 21 aprile 1977, n. 1476; Cass. 8 febbraio 1987, in RP, 1988, 202. 66 Cass. 19 febbraio 1986, n. 1003, in RFI, 1986, Obbligazioni in genere, 26. 67 Cass. 15 aprile 1982, n. 2274, in GC, 1983, I, 573. 68 Cass. 18 magio 1993, n. 5360, Cor. G., 1993, 1992. La necessaria sussistenza del danno, la cui prova è a carico del cliente, viene riscontrata anche per altre attività professionali, soprattutto per quella forense: v. Cass. 11 maggio 1977, n. 1854, 1977; RGI, 1997, Lavoro (rapporto), 203; Cass. 25 maggio 1983, n. 3612, in GI, 1983, I, 1, 1810. W. J. EIJK, Nata come conseguenza di un errore professionale (Nota a sentenza Corte di Cassazione dell'Aia 18 marzo 2005, Olanda), Medicina e morale, 2005, p. 593; V. FINESCHI, M. ZANA, La responsabilità professionale medica: l'evoluzione giurisprudenziale in ambito civile tra errore sanitario e tutela del paziente, in Rivista italiana di medicina legale, 2002, p. 49. 60 22 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista la responsabilità del professionista, occorre quindi che tra il comportamento realizzato dal professionista, e posto alla base dell’azione di responsabilità, e l’evento dannoso, sussista un nesso di causalità tale per cui il secondo sia conseguenza del primo. La giurisprudenza tradizionale, che richiedeva un rapporto di consequenzialità immediato e diretto, è stata progressivamente superata dalla più recente impostazione fondata sul concetto di causalità adeguata, in base alla quale occorre verificare se la lesione sia la conseguenza normale del comportamento colposo o doloso del soggetto agente, secondo i criteri di ordinaria esperienza. La giurisprudenza più recente afferma infatti che il nesso di causalità tra fatto illecito ed evento dannoso può essere anche indiretto e mediato, essendo all’uopo sufficiente che il primo abbia posto in essere uno stato di cose senza il quale il secondo non si sarebbe prodotto e che il danno si trovi con tale antecedente necessario in un rapporto eziologico normale e non fuori dell’ordinario69. Nell’area dei danni risarcibili devono quindi farsi rientrare anche quelli che, pur essendo mediati e/o indiretti «rientrano tuttavia nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto»70. Il danno può consistere anche in una perdita di chances 71 qualora emerga che l’evento favorevole impedito si sarebbe verificato con una possibilità almeno pari al cinquanta per cento72. Se, ad esempio, il dottore commercialista omette un adempimento che avrebbe permesso all’assistito di chiedere un beneficio o di fare ricorso contro una sanzione, l’onere probatorio del cliente, a rigore, gli imporrebbe di dimostrare che, rispettato il termine di decadenza e avviata ritualmente l’iniziativa, questa si sarebbe conclusa positivamente; dimostrazione tutt’altro che semplice, vista l’opinabilità di molte delle questioni tecniche coinvolte e specie se si dovesse dimostrare che una Commissione tributaria, o un giudice, avrebbe sicuramente deciso in senso favorevole. La soluzione individuata dalla giurisprudenza per questi casi consente di superare entrambe le difficoltà. La sussistenza del danno non comporta necessariamente la prova, in termini di certezza, dell’esito favorevole dell’iniziativa omessa o viziata. È sufficiente invece una ragionevole probabilità, ai sensi dell’art. 1225 c.c.73, circa gli effetti vantaggiosi della condotta professionale e diligente, colpevolmente omessa. È questa ragionevole probabilità, poiché entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente autonoma, a dover esser risarcita e a fornire anche la misura del quantum, ossia l’entità del risarcimento, che va liquidato, per l’appunto, in ragione delle concrete e ragionevoli possibilità di conseguire un utile. Ciò premesso, è necessario chiarire che l’onere della prova della responsabilità professionale incombe sul cliente che agisca per ottenere il risarcimento del danno, che assume di aver subito in conseguenza dell’inadempimento del professionista. Il risarcimento del danno da negligente svolgimento dell’attività professionale non può infatti fondarsi sulle mere dichiarazioni dell’attore, che dovrà invece fornire la rigorosa prova, oltre che della negligenza o dell’errore professionale inescusabile del convenuto, anche di un reale danno patrimoniale e del relativo e necessario nesso di causalità74. La giurisprudenza ha confermato che «in caso di man- cato conseguimento dello scopo, il cliente, per affermare la responsabilità del professionista per il danno derivante dal mancato raggiungimento del risultato, è tenuto a dimostrare non solo l’esistenza del danno, ma la sussistenza di un nesso di casualità fra l’irregolare prestazione del professionista ed il danno stesso» 75. La prova dell’esistenza del nesso causale, ovvero della connessione oggettiva tra fatto dannoso ed operato del professionista, spetta quindi al cliente danneggiato, che dovrà provare non solo di aver sofferto il danno, ma anche che questo è derivato dalla difettosa prestazione professionale, e cioè dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista76. Quest’ultimo, chiamato a risarcire il danno al cliente, potrà invece provare l’assenza di colpa nel comportamento tenuto, dimostrando che l’imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a forza maggiore o caso fortuito77. Quindi, l’attore indicherà l’obbligo contrattuale violato per impedimento o negligenza ------------------------------------------69 Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 1989 n. 65. Cass. civ. , sez. lav., 19 luglio 1982, n. 4236; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 1987 n. 7467. 71 V. PRINCIGALLI, Perdita di chance e danno risarcibile, in RCKP, 1985, 315; M. BOCCHIOLA, Perdita di una chance e certezza del danno, in RTDCP, 1976, 565; Cass. 5 giugno 1996, n. 5264, Dresp, 1996, 5, 581. 72 Cass. 19 dicembre 85, n. 6506, FI, 1986, I, 383. Sentenza relativa alla perdita di possibilità di assunzione in conseguenza a un concorso pubblico. 73 D. SANTOLINI, Inadempimento e risarcimento del danno prevedibile ex art. 1225 c.c., in Contratti, 2007, p. 1023. 74 Cass. 5 aprile 1984, n. 2222, in RFI, 1984, Professioni intellettuali, 59. 75 Cass. 29 novembre 68, n. 3848, in ARC, 1971, 184. 76 Corte d’Appello Perugia 20 maggio 1995, in DResp, 1996, 6, 771. 77 L’impossibilità della prestazione, sopravvenuta dopo il sorgere della obbligazione, estingue il debito, secondo un principio antico: ad impossibilia nemo tenetur. Deve trattarsi, tuttavia, di un’impossibilità di cui non sia responsabile l’obbligato, perciò la legge parla di impossibilità per causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.). Essa può dipendere da eventi imprevedibili e accidentali che costituiscono il caso fortuito, o da eventi ai quali non ci si può sottrarre che costituiscono la forza maggiore. Non può trattarsi di una difficoltà soggettiva di adempie70 © Cesi Multimedia 23 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista ed il conseguente danno, dandone adeguata prova, mentre al professionista spetterà dimostrare l’eventuale difetto di colpa per impossibilità oggettiva di effettuare la prestazione. È sempre il cliente a dover fornire la prova della negligenza professionale, in assenza della quale il professionista non può essere considerato responsabile. Anche con riferimento all’art. 2236 c.c.78, ricorre in capo al cliente il medesimo onere probatorio, poiché il dolo e la colpa grave del professionista non possono presumersi, ma devono essere specificatamente provati da chi richiede il risarcimento79. 2.8 Responsabilità del professionista che si avvalga di sostituti e collaboratori Come già anticipato, al professionista non è preclusa la possibilità di avvalersi di sostituti e di ausiliari, ossia di persone che lo sostituiscano o che collaborino con lui nell’esecuzione dell’incarico assunto 80. L’art. 2232 c.c., dopo aver individuato il carattere prettamente personale della prestazione svolta dal professionista, prevede infatti che questi possa ricorrere, sotto la propria direzione e responsabilità, all’attività di sostituti ed ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione. In tal caso è certamente da escludere che i terzi ausiliari abbiano un rapporto contrattuale diretto con il cliente creditore della prestazione, il quale pertanto non può avere un’azione diretta contro i collabori e sostituti per l’adempimento, così come questi ultimi non possono agire nei suoi confronti per il compenso. Anche la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la facoltà del professionista di servirsi della collaborazione di sostituti e ausiliari «non comporta mai che costoro diventino parti del rapporto di clientela, restando inve- ce la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente” e pertanto “il sostituto non è legittimato ad agire contro il cliente medesimo per la corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico del professionista che si sia avvalso della collaborazione»81. L’esercizio della facoltà di farsi sostituire non è soggetta ad alcun requisito di forma, tranne nel caso in cui la forma stessa sia richiesta dalla disciplina della professione 82, i possibili difetti possono, però, esser sanati anche in forma tacita, con l’accettazione della controparte83. Qualora l’utilizzazione di sostituti o d’ausiliari avvenga in mancanza di una precisa convenzione con il cliente oppure senza che gli usi lo consentano, il professionista risponderà, a causa del proprio inadempimento contrattuale, degli eventuali danni causati dal sostituto o ausiliare, prescindendo dall’indagine circa la colpa o il dolo di questi84. ------------------------------------------re, propria di un determinato debitore piuttosto che di un altro, infatti verrebbe meno il significato stesso del vincolo o dell’impegno se l’obbligato potesse liberarsi solo perché è senza denaro o perché non è in grado di realizzare il risultato promesso. Tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto che la difficoltà potrebbe essere di natura tale da far ritenere moralmente ingiusto o comunque esagerato dal punto di vista economico pretendere l’esecuzione dal debitore di una prestazione pur sempre possibile. Il fondamento di tale inesigibilità della obbligazione sta nel principio di correttezza. L’impossibilità deve esser pertanto assoluta, perché non vi è alcun modo per adempiere, e oggettiva, perché non vi è alcuna persona che sarebbe in grado di eseguire la stessa prestazione. Quest’ultima regola va, tuttavia, adattata alla natura dell’obbligazione, infatti se essa ha per oggetto una prestazione personale, si può dire che anche l’impossibilità soggettiva dovuta ad una malattia o ad un incidente è rilevante. La prestazione fungibile, che può indifferentemente esser eseguita dall’uno o dall’altro debitore, deve considerarsi oggettivamente impossibile solo se nessuno, in quelle circostanze, può realizzarla. L’impossibilità estingue l’obbligazione solo se è definitiva. Perciò l’impossibilità temporanea non fa cessare il rapporto, ma rende giustificato il ritardo nell’adempimento da parte del debitore, che non sarà responsabile per la mora. Tuttavia se il ritardo si prolunga eccessivamente vi può esser un limite oltre il quale, tenuto conte della natura della prestazione o del titolo dell’obbligazione, il debitore non si può ritenere obbligato o il creditore non ha più interesse a conseguire la prestazione. In tali ipotesi, anche la impossibilità temporanea può portare alla estinzione dell’obbligazione (art. 1256 c.c.). L’impossibilità parziale non libera il debitore, che è tenuto ad eseguire la prestazione per la parte rimasta possibile. Infatti dopo il perimento di una cosa determinata egli è tenuto a consegnare il bene deteriorato o la parte residua di esso (art. 1258 c.c.). L’impossibilità di restituire una cosa perita per caso fortuito non libera il debitore dalla responsabilità se la cosa era stata illecitamente sottratta (art. 1221 c.c.) o se la cosa era stata prestata al comandatario e questi la ha usata per un tempo più lungo o un uso diverso da quello consentito, o poteva salvarla sostituendo la cosa propria (art. 1805 c.c.). Non è concepibile una impossibilità per le cose generiche prima della individuazione (genus numquam perit) né per il danno. Solo il c.d. genere limitato (genus limitatum) può perire totalmente. V. Cass. 5 agosto 1985, n. 4386, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, 76. 78 L. SILIQUINI CINELLI, L’art. 2236 c.c. tra onere probatorio e risarcimento del danno, in Danno e responsabilità, 2010, p. 451. 79 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. c.c., diretto da SCIALOJA e BRANCA, Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1968, p. 242; Cass. 5 dicembre 85, n. 6109, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, n. 78. 80 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, pp. 95-107. 81 Cass., 29 ottobre 81, n. 5711, AC, 1982, 113. In senso analogo v. anche Cass., 30 gennaio 2006, n. 184; sulla non configurabilità di un rapporto diretto tra collaboratore e cliente v. anche Cass., 9 gennaio 1980, n. 164, in RFI, 1980, voce Avvocato e procuratore, n. 30. 82 Come nel caso degli avvocati e procuratori per i quali è necessaria la forma scritta: v. Cass., 22 marzo 1958, n. 965. 83 V. Cass. 19 febbraio 1957, n. 583. 84 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 100-110; C. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 264. 24 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista Laddove invece l’uso dell’opera di sostituti e ausiliari si compia nel rispetto dei limiti previsti dal sopracitato articolo, il professionista sarà oggettivamente responsabile, prescindendo dalla valutazione della sua colpa, dei danni subiti dal cliente per l’attività compiuta dal collaboratore85. Con una norma che rispecchia il contenuto dell’art. 1228 c.c., l’art. 2232 c.c. mantiene quindi inalterata la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, pur in presenza di fatti dolosi o colposi dei suoi collaboratori86: la responsabilità del professionista si giustifica per il fatto che egli rimane, nonostante l’altrui collaborazione, l’unico interlocutore del cliente. Non si esclude tuttavia che, nei rapporti interni, il collaboratore possa essere chiamato a rispondere nei confronti del professionista, in armonia con le norme generali dettate in materia di fatto illecito, dei danni da questo subiti e ricollegati alla sua condotta colposa osservata nell’esecuzione dell’incarico affidatogli. Nella figura del collaboratore rientrano, oltre al lavoratore subordinato o autonomo, anche i praticanti. 2.9 Società professionali e responsabilità del professionista per l’opera svolta Nel caso in cui parte del contratto d’opera intellettuale sia uno studio di professionisti associati si verificherà una situazione diversa da quella precedentemente esaminata. Il regime della responsabilità del professionista che eserciti in forma societaria la propria attività costituisce une delle questioni maggiormente discusse in materia di società professionali disciplinate secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile, introdotte dalla legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) e successivamente modificate dal decreto liberalizzazioni (d.l. n. 1/2012 convertito nella legge n. 27/2012). L’ostacolo più serio deriva dalla pretesa incompatibilità tra lo strumento societario da un lato, che per definizione impone di imputare le posizioni soggettive derivanti dai contratti stipulati in nome dell’ente non al singolo socio, ma al gruppo organizzato nel suo complesso, e le specifiche regole dettate dall’ordinamento per il contratto d’opera intellettuale dall’altro, che con l’art. 2232 c.c. impongono al singolo professionista di eseguire personalmente l’incarico assunto, salva una limitata possibilità di avvalersi, sotto la propria responsabilità, di sostituti ed ausiliari. Il punto risiede nell’accertare se la responsabilità personale del professionista costituisca un principio assoluto dell’ordinamento positivo, che non possa essere escluso o aggirato, oppure se tale principio sia invece presente in maniera meno pregnante e, in tale ultimo caso, se non occorra comunque estenderlo sino a ricomprendervi i professionisti che intervengano a dare attuazione al contratto d’opera stipulato dalla società. Nessuna norma dell’ordinamento sancisce espressamente che il professionista intellettuale debba essere in ogni caso responsabile personalmente nei confronti del cliente relativamente alle prestazioni professionali da lui direttamente eseguite. Eppure, in via di interpretazione sistematica, si ritiene che il professionista sia inevitabilmente assoggettato a responsabilità personale, sia in considerazione degli importanti valori che la sua opera coinvolge, talvolta oggetto di una specifica tutela costituzionale, sia per l’evidente constatazione che la preoccupazione di dover subire le conseguenze negative del proprio operato contribuisca ad elevarne l’impegno e gli standards qualitativi. Ebbene, pur ritenendo che l’ordinamento detti un principio inderogabile in forza del quale il professionista non può mai sottrarsi alla propria personale responsabilità contrattuale per l’opera da lui stesso svolta, tale principio non potrà non trovare applicazione anche se il professionista svolga la propria opera nell’ambito della società, in esecuzione dei contratti da quest’ultima conclusi 87. Deve considerarsi inoltre che, proprio con riguardo a fenomeni di esercizio di attività professionale in forma di società di capitali, già consentiti prima dell’avvenuta abrogazione dell’art. 2 della legge 23 novembre 1939 n. 1815, l’ordinamento prevede la responsabilità personale del professionista per l’inadempimento delle prestazioni a lui affidate nell’ambito della società. Per le società di ingegneria la legge, nel consentire che ad esse vengano affidati lavori di progettazione da parte della pubblica amministrazione, ritiene debba rimanere fermo il principio che l’attività di progettazione deve fare capo ad uno o più professionisti iscritti negli appositi albi, nominativamente indicati e personalmente responsabili88. ------------------------------------------85 A. TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RGLav, I,1962, pp. 1-38. V. anche Cass., sez. III, 13 marzo 1998, n. 2750, ove la Suprema Corte conferma, in ambito medico, che il professionista risponde della colpa dei suoi ausiliari. 87 In senso contrario, non varrebbe obiettare che non si può concepire una responsabilità contrattuale a carico del professionista allorché questi non sia parte del contratto che interviene ad attuare poiché, com’è noto, la responsabilità contrattuale non presuppone necessariamente un contratto, ma soltanto un obbligo preesistente, specifico ed ulteriore rispetto a quello generico del neminem laedere. La responsabilità contrattuale del professionista socio potrebbe dunque collegarsi all’esistenza degli obblighi istituzionali previsti dai singoli ordinamenti professionali. 88 Vedi l’art. 17, comma 8, legge 11 febbraio 1994 n. 109, convertito in legge 2 giugno 1995, n. 216 e succ. mod. 86 © Cesi Multimedia 25 Capitolo 2 – La responsabilità contrattuale del commercialista Per disciplinare la responsabilità civile delle società di revisione89, la normativa regolamentare sancisce la responsabilità delle persone che abbiano sottoscritto la relazione di certificazione e abbiano compiuto le operazioni di controllo contabile. Ebbene, si ritiene che le norme sopra citate siano espressione di un principio più generale o quanto meno che le stesse, stante l’omogeneità degli interessi in gioco, possano trovare applicazione analogica per ogni caso di società professionale. Se la titolarità del contratto d’opera in capo alla società non costituisce alcun ostacolo teorico a riconoscere la piena responsabilità contrattuale del socio professionista che abbia eseguito la prestazione, analogamente sembra potersi escludere che la sua responsabilità possa essere condizionata o in qualche modo compromessa dal regime della responsabilità proprio dei tipi sociali disciplinati dal codice civile. Non sono mancate opinioni contrarie alla legittimità delle società di capitali in campo professionale, sul presupposto che l’utilizzazione di queste ultime società, atteso il regime di responsabilità limitata che di regola le contraddistingue (per il quale soltanto la società con il proprio patrimonio risponde dell’attività sociale) consentirebbe in definitiva ai soci di esercitare la professione sottraendosi ad ogni personale responsabilità contrattuale, in aperto contrasto con i principi dell’ordinamento. Se l’obiezione fosse condivisibile, essa dovrebbe riguardare, inevitabilmente, anche le società cooperative a responsabilità illimitata e le società in accomandita semplice, la cui operatività nel campo professionale non viene invece affatto contestata. Peraltro, se si volesse collegare inscindibilmente il regime della responsabilità sociale con il regime della responsabilità professionale, la posizione del professionista che agisce in ambito societario non sarebbe mai identica a quella del professionista che agisce in proprio, poiché nel primo caso egli godrebbe comunque del carattere sussidiario della propria responsabilità. In verità, è più corretto ritenere che il regime della responsabilità del socio e quello della responsabilità del professionista non interferiscano tra loro: il regime della responsabilità dei soci riguarda le obbligazioni per le quali deve rispondere in proprio la società; la responsabilità del professionista, invece, consiste nella responsabilità cui egli deve sottostare in via diretta e trova titolo nello specifico fatto giuridico dell’esecuzione della prestazione. Già in via interpretativa appare quindi innegabile la sussistenza di una responsabilità personale di ciascun socio professionista, che si aggiunge a quella propria della società che conclude il contratto d’opera. In tal modo, l’utilizzazione dello strumento societario determina, non un pregiudizio, bensì un miglioramento della posizione del cliente90. Non esistendo un rapporto di ausiliarità, in questo ambito, chiunque degli associati può chiedere l’intero compenso al cliente, procedendo per sé e per i propri colleghi91. Il professionista si trova dunque esposto al rischio di eventuali azioni di responsabilità professionale, che col passare del tempo risultano sempre più frequenti rispetto al passato. Egli si trova quindi costretto a far ricorso a strumenti di tutela, tra i quali spicca l’assicurazione professionale92. A differenza degli altri paesi della UE, dove l’assicurazione professionale è quasi sempre obbligatoria, in Italia essa è rimasta facoltativa per alcune categorie professionali, pur diventando progressivamente obbligatoria per un numero sempre maggiore di professionisti. Ad esempio per il commercialista, l’opportunità di provvedere alla stipulazione di polizze assicurative, oltre che da parte della accorta dottrina, viene rilevata anche dalle norme di deontologia professionale, nelle quali, si recita infatti che «il dottore commercialista deve porsi in condizione di risarcire gli eventuali danni causati nell’esercizio della sua professione. A tal fine ove non disponga di sufficienti mezzi di copertura, è tenuto a stipulare un’adeguata polizza d’assicurazione con compagnia di primaria importanza. Il dottore commercialista deve altresì collaborare alla sollecita liquidazione del danno»93. ------------------------------------------89 Vedi il d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 88 e successivo d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 e succ. mod. Non vi è dubbio che, nella prospettiva di una riforma legislativa, si debba suggerire di non rimettere la questione ai principi generali, ma di riservarle un’espressa soluzione normativa, alla stregua di come, ad esempio, verificatosi nell’ordinamento francese, nel quale è stato sancito, per le c.d. sociétés d’exercice liberal, che «chaque associé répond sur l’ensemble de son patrimoine des actes professionnels qu’il accomplit. La société est solidairement responsable avec lui» (art. 16 legge n. 1258 del 31 dicembre 1990). 91 App. Milano, 21 gennaio 1977, AC, 1977, 580. 92 A seguito dell’introduzione dell’obbligo per i professionisti di stipulare idonea assicurazione che li tuteli dai rischi derivanti dall’esercizio della propria attività, già previsto dal d.l. n. 138/2011 (conv. in legge n. 148/2011) e dal d.l. n. 1/2012 (conv. in legge n. 27/2012) e, recentemente, sancito dal D.P.R. n. 137/2012, che ha prorogato di un anno l’effettività di tale obbligo (15 agosto 2013); v. M. HAZAN, D. ZORZIT, Responsabilità sanitaria e assicurazione, Milano, 2012; AA.VV., Polizze per la responsabilità professionale, Milano, 2012. 93 Commissione Nazionale di deontologia, 1994, art. 27. 90 26 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista 3. La responsabilità extracontrattuale del commercialista 3.1 Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale L’esame dei profili di responsabilità professionale non può prescindere dal sommario esame della ulteriore distinzione tra i concetti di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale o aquiliana 1. In via generale ed in linea di principio, si può affermare che sussiste un illecito extracontrattuale in presenza di violazioni di un diritto o di una situazione giuridica tutelata in modo assoluto (erga omnes), mentre la responsabilità contrattuale (da inadempimento) sorge a seguito della violazione di un diritto relativo, per quanto non necessariamente derivante da un contratto, essendo sufficiente l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio, a prescindere dalla fonte dell’obbligo violato (atto illecito, contratto, atto unilaterale, o altro). Per responsabilità extracontrattuale2 si intende quindi quella specie di responsabilità civile in forza della quale l’ordinamento reagisce alla lesione della sfera giuridica di un soggetto, a prescindere dalla sussistenza di un pregresso vincolo di natura obbligatoria tra il danneggiante ed il soggetto leso. Essa si fonda sulla previsione di cui all’art. 2043 c.c.3, in forza del quale «qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»: alla base della responsabilità civile extracontrattuale vi è quindi la violazione del generico precetto alterum non laedere 4. Elementi costitutivi di tale specie di responsabilità sono quindi il fatto, il danno ingiusto ed il nesso di causalità tra la condotta e l’evento, nonché il dolo o la colpa dell’agente, fatta eccezione per le rare ipotesi in cui l’antigiuridicità (ossia l’ingiustizia del danno) è considerata di per sé sufficiente ai fini di un giudizio di responsabilità a prescindere dalla colpevolezza del danneggiante. Si è osservato che detti casi di c.d. responsabilità oggettiva tendono a diffondersi nella legislazione moderna, con spirito antitetico rispetto a quello del legislatore del ‘42, allo scopo di offrire un tutela sostanziale ai cittadini, in aderenza all’oramai matura consapevolezza del valore del bene “uomo” ed alla connessa esigenza di consentire ad ogni danneggiato di reclamare una riparazione dall’autore del fatto dannoso. Secondo detta più attuale concezione dell’illecito civile, la responsabilità extracontrattuale trova fondamento non più nella necessità di sanzionare un comportamento antitetico a determinate regole, bensì in quella di scoprire ogni mezzo per la protezione della vittima 5. Nell’ottica di questa moderna impostazione, la colpa, pur continuando ad essere parte integrante della struttura dell’illecito, non rileva tanto come effetto di un giudizio di riprovazione morale del soggetto che ha cagionato ad altri un danno ingiusto, ma piuttosto in termini di giudizio di inefficienza, secondo canoni di normalità, dello sforzo adoperato per evitare il danno6. La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale trascina con sé rilevanti differenze di disciplina riconducibili a tre aspetti principali: la ripartizione dell’onere della prova, i termini di prescrizione della relativa azione e gli effetti giuridici relativi al risarcimento del danno. Sotto il primo profilo, si può affermare che, nelle ipotesi di illecito contrattuale, vige una presunzione di colpa per inadempimento: al cliente creditore si richiede unicamente di dimostrare il proprio diritto a ricevere la prestazione, laddove il debitore dovrà provare che l’inadempimento o il ritardo non sono a lui riferibili per impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Nell’illecito extracontrattuale permane invece l’ordinaria ------------------------------------------1 U. IZZO, Aree sciabili e responsabilità extracontrattuale: il difficile rapporto fra “responsabilità oggettiva” e colpa del danneggiato (parte seconda), in Danno e responsabilità, 2011, n. 7, Milano, p. 774; R. SIMONE, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale) e nesso causale (extracontrattuale), in Danno e responsabilità, 2011, p. 382; M. D. FRENDA, Il problema del “concorso” di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale tra dottrina e giurisprudenza, in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 205; N. LIPARI, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: il ruolo limitativo delle categorie concettuali, 2010, p. 704. 2 G. CORASANITI, Responsabilità extracontrattuale, in Obbligazioni e Contratti, 2010, n. 3, Torino, p. 238 (nota a sentenza: Cassazione civile, sez. III, sentenza 19 gennaio 2010, n. 698). 3 U. GRASSI, I danni non patrimoniali ed il “doppio” art. 2043 c.c., in Rassegna di diritto civile, 2008, p. 943. 4 M.C. BIANCA, La responsabilità, in Diritto Civile, vol. V, Milano, 1994, p. 533. 5 A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2004, p. 902, in cui si rileva pure come il fenomeno sopra denunziato si noti anche di fronte ai grandi eventi che recano danni generalizzati dei quali nessuno potrebbe ritenersi imputabile (terremoti,conseguenze dei conflitti armati o sociali, siccità, ecc.). In detti casi, infatti, si tenta di distribuire sulla collettività l’onere delle conseguenze che i singoli hanno sofferto: quasi diremmo - identificando nello Stato il soggetto residuale cui accollare i pregiudizi che non trovano riparazione nei rapporti intersoggettivi. 6 Il principio della colpa continua a rendere una nozione unitaria di responsabilità: le ipotesi normative che prescindono da essa, invero, rivelano semplicemente l’intenzione del legislatore di graduare il giudizio di responsabilità dell’agente in considerazione della natura particolarmente pericolosa dell’attività posta in essere, anche in ragione della delicatezza o dell’importanza degli interessi possibile oggetto di offesa. © Cesi Multimedia 27 Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista regola per cui l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa spetta a colui che l’avanza, sicché sarà il cliente creditore a dover provare che il comportamento del prestatore gli ha provocato un danno e che tale comportamento è stato caratterizzato da dolo o colpa. Quanto al diverso termine di prescrizione, è sufficiente ricordare che l’azione di responsabilità per l’illecito extracontrattuale si prescrive in cinque anni, mentre quella per l’inadempimento dell’obbligazione nell’ordinario termine decennale. Con riferimento all’ultimo degli aspetti sopra menzionati, la principale differenza tra le due forme di responsabilità in questione riguarda essenzialmente il danno risarcibile: in particolare, il risarcimento dell’illecito contrattuale è limitato al danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, ove l’inadempimento o il ritardo non dipendano dal dolo del debitore; tale limitazione ai danni prevedibili non si applica invece all’illecito extracontrattuale. La distinzione in parola appare piuttosto limpida in linea di principio, ma si rivela assai più sfumata nell’applicazione concreta. Alla luce di quanto sopra esposto, il regime della responsabilità civile extracontrattuale può apparire ben più grave di quello che consegue alla violazione di obblighi di fonte contrattuale. Viceversa, le più recenti interpretazioni del dato normativo e le più attuali scelte applicative della giurisprudenza, hanno conferito danno una maggiore gravità al regime della responsabilità contrattuale. In primo luogo, la ricordata distinzione tra obbligazione di mezzi ed obbligazioni di risultato e la conseguente negazione del risultato quale fine essenziale dell’esecuzione della prestazione ha fatto emergere la colpa ai fini della determinazione della responsabilità contrattuale dell’obbligato, riducendo così il rilievo dell’inadempimento di specifici obblighi. La scoperta e l’imposizione di obblighi cd. di protezione7, ossia di comportamenti considerati esecutivi del dovere di agire secondo buona fede, ha comportato il sorgere di nuovi doveri che vanno ad integrare quelli di natura contrattuale e che, probabilmente, sarebbero da catalogare più propriamente dell’alveo di comportamenti rilevanti ai fini di un giudizio di responsabilità extracontrattuale8. Se poi si considera la riconosciuta ammissibilità del concorso delle due azioni di responsabilità, la crisi della distinzione de qua appare del tutto evidente9. Si consideri inoltre che determinate scelte normative appaiono solo apparentemente frutto della consapevole volontà del legislatore di differenziare nettamente il regime della responsabilità contrattuale da quello della responsabilità extracontrattuale, ma ad una più attenta analisi sembrano piuttosto necessitate dalla consapevolezza della diversità ontologica tra l’una e l’altra specie di responsabilità.10 Fatte queste brevi considerazioni sulla responsabilità aquiliana in genere, è necessario esaminare rapidamente le problematiche che tale forma di responsabilità presenta con riferimento all’attività del professionista. A tale scopo, pare opportuno differenziare l’analisi delle fattispecie in questione, a seconda che il danneggiato sia cliente o terzo estraneo al rapporto d’opera intellettuale, oppure ancora in base alla circostanza che la prestazione professionale sia stata espletata con l’ausilio di collaboratori. ------------------------------------------7 R. SIMONE, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale) e nesso causale (extracontrattuale), in Danno e responsabilità, 2011, n. 4, Milano, p. 387 (nota a sentenze: Cassazione civile, sez. III, sentenza 2 febbraio 2010, n. 2354; Cassazione civile, sez. III, sentenza 10 novembre 2010, n. 22837); V. AMENDOLAGINE, L’inadempimento del medico nel rapporto contrattuale instauratosi con il paziente, I Contratti, 2011, n. 11, Milano, p. 1019 (nota a sentenza: Tribunale civile, Catanzaro, sentenza 29 agosto 2011); AA.VV., Circolazione di modelli giurisprudenziali in Europa: il caso degli “obblighi di protezione” (un’importazione- utile?- dalla Germania all’Italia), in Contratto e impresa. Europa, 2010; R. DE MATTEIS, La responsabilità del medico dipendente: dalla violazione di obblighi di protezione all'inadempimento di un obbligo di prestazione, in Contratto e impresa. Europa, 2010, p. 81; D. CERINI, La responsabilità del dentista: tra obblighi contrattuali e dovere di protezione, in Diritto ed economia dell’assicurazione, 2009, p. 650; M. RIARIO SFORZA, Obblighi di protezione e consenso informato nella responsabilità, in Giurisprudenza di merito, 2008, p. 3354. 8 Per un più approfondito Studio sull’argomento mi si permetta di rinviare a D. MARINELLI, A. BARRETTA, Studio sulle figure giuridiche della responsabilità, Roma, 2012. 9 F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una distinzione attuale?, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 82. 10 Si pensi, ad esempio, alla limitazione della responsabilità disposta dall’art. 1225 c.c. in tema di responsabilità contrattuale; ebbene, è stato giustamente osservato che solo al momento del sorgere dell’obbligazione il debitore possa astrattamente prefigurarsi i danni conseguenza del proprio inadempimento, perché, viceversa, nel caso di illecito aquiliano, la limitazione della responsabilità ai danni prevedibili vanificherebbe la possibilità stessa del risarcimento, giacché prima della commissione dell’illecito non è affatto possibile la previsione del danno che ne potrà conseguire. U. MAJELLO, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in Rass. dir. civ., 1988, p. 117. 28 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista 3.2 La responsabilità extracontrattuale verso il cliente La responsabilità extracontrattuale del professionista nei confronti del cliente si verifica quando l’inadempimento del professionista leda allo stesso tempo una situazione soggettiva giuridicamente rilevante in sede aquiliana. In tal caso sembra prospettarsi un concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale11, conseguente ad un unico comportamento risalente allo stesso soggetto ed ad un unico avvenimento dannoso che sia lesivo, sia dei diritti derivanti dall’altro contraente dalle clausole del contratto, sia dei diritti a lui attribuiti a prescindere dal contratto. Questa convergenza tra i due differenti tipi di responsabilità sembra garantire al creditore-cliente una più ampia protezione e pone il problema di stabilire se sia effettivamente possibile configurare ipotesi di cumulo. Secondo una recente dottrina esisterebbe un’area riservata alla responsabilità extracontrattuale fondata sulla differenziazione tra gli obblighi accessori relativi all’esecuzione della prestazione, indirizzati a renderla possibile od a potenziare l’utilità, e quelli aventi come oggetto la tutela d’interessi diversi; solo al mancato rispetto dei primi sarebbe associata una responsabilità contrattuale, mentre la garanzia dei secondi spetterebbe, invece alla responsabilità extracontrattuale in concomitanza con quella contrattuale12. Secondo questa impostazione si potrebbe individuare il diritto al risarcimento di danni derivanti da inadempienze d’obblighi non specificamente riguardanti l’attività professionale desunta in contratto. Si è però rilevato che, attraverso la teoria dei doveri di protezione, è possibile giungere al medesimo risultato senza dover configurare una responsabilità professionale di natura extracontrattuale. Peraltro, come si è già accennato, la menzionata distinzione ha scarsa rilevanza pratica nel campo della responsabilità professionale poiché si tende ad individuare, nella prestazione d’opera intellettuale, l’oggetto di una obbligazione di mezzi, con la conseguenza che, anche in caso di responsabilità contrattuale, il creditore-cliente ha l’onere di provare il dolo o la colpa del debitore-professionista per dimostrarne l’inadempimento. L’esperienza giurisprudenziale ha comunque ravvisato fattispecie di responsabilità extracontrattuale del professionista. I casi più frequenti si sono prospettati con riferimento alla professione medica, sebbene, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, possiamo ritenere che, anche nel più fertile campo della responsabilità medica, la tesi della sussistenza di fonti di responsabilità extracontrattuale del professionista nei confronti dei clienti è destinata ad essere superata. In ambito medico, i confini tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale sfumano per dare vita, in una sorta di osmosi, ad una configurazione giuridica che partecipa dei caratteri di entrambe: per un verso la lesione del bene salute e, quindi, un danno alla persona, e, per altro verso, la mancata realizzazione della pretesa creditoria e, quindi, l’inadempimento13. In queste ipotesi si è configurato un vero e proprio concorso di responsabilità, “allorché un unico comportamento risalente al medesimo autore (…) appaia di per sé lesivo non solo dei diritti specifici derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che alla persona offesa spettano”14. Nei casi di svolgimento della prestazione medica all’interno di strutture ospedaliere, pubbliche o private, di cui il professionista si serve come libero professionista, quest’ultimo si è ritenuto comunque responsabile secondo le regole generali15, in quanto abbia concluso egli stesso accordi con il paziente. Invece, nei casi in cui il professionista sia legato a tali strutture da rapporti di lavoro subordinato, la Suprema Corte, all’esito di un lungo e contrastato iter giurisprudenziale, ha preferito la tesi secondo cui anche la responsabilità dell’operatore sanitario è di natura contrattuale sul presupposto «che le obbligazioni possono sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui, cioè, taluni soggetti entrano in contatto; contatto a cui si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso»16. ------------------------------------------11 Cass. 7 agosto 1982, n. 4437, in RCP, 1984, 78. V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Torino, 1997, p. 74. 13 R. DE MATTEIS, La responsabilità medica, in I grandi orientamenti della Giur. civ. e comm., Padova, 1995, p.1. 14 Cass. 14 maggio 1979, n. 2773, in Resp. civ. e prev., 1980, 403. 15 A. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, p. 19, precisa che in dette ipotesi, infatti, l’obbligazione delle strutture si limita alla ospitalità ed alla generica assistenza infermieristica. 16 Ancora, Cass. n. 589/1999, cit. In un primo momento, la giurisprudenza, ai fini dell’inquadramento della responsabilità ascrivibile al professionista, soleva distinguere il caso che questi operasse presso un ente ospedaliero o meno, così da ritenere, nella prima ipotesi, il sanitario responsabile verso il paziente per il danno cagionato da un suo errore diagnostico o terapeutico solo in via extracontrattuale. Siffatta tesi trovava fondamento nella considerazione che l’accettazione del paziente nell’ospedale, ai fini del ricovero oppure di una visita ambulatoriale, comportasse la conclusione di un contratto d’opera professionale tra il paziente e l’ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico, nei confronti del malato, l’obbligazione di compiere l’attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica in relazione alla specifica situazione 12 © Cesi Multimedia 29 Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista 3.3 La responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi Il professionista che, nell’esercizio della propria attività, cagioni danni a terzi, ossia a soggetti estranei al rapporto d’opera professionale, risponde nei loro confronti secondo le regole della responsabilità extracontrattuale. Peraltro la Suprema Corte17 ha affermato che detto regime di responsabilità vige anche in ipotesi di esecuzione di un contratto d’opera nullo per contrarietà a norme imperative, oltre che nei casi in cui il committente dei lavori sia un ente pubblico18. Accade, infatti, che il comportamento del professionista leda l’altrui diritto assoluto di non subire pregiudizi rilevanti per legge, a prescindere dall’esistenza di un vincolo contrattuale. Si determina allora le lesione di un diritto primario, e il danno derivate sarà regolato alla stregua della responsabilità aquiliana. Le ipotesi di responsabilità extracontrattuale del professionista verso i terzi, a dir la verità, non sono molto frequenti. Questo deriva dal fatto che i danni causati ai terzi nell’esecuzione dell’opera professionale, il più delle volte, sono danni meramente patrimoniali, indubbiamente risarcibili in sede contrattuale, non ugualmente in via aquiliana, essendo in questo campo necessaria la violazione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento. Peraltro, un ampliamento della tutela potrebbe esser assicurato utilizzando la figura del contratto con effetti di protezione verso i terzi, ove sussista in contemporaneo la lesione dell’interesse leso della parte contraente e quello del terzo. Rimane invece alla responsabilità extracontrattuale il compito di tutelare il terzo da rischi derivanti dall’inadempimento contrattuale connessi alla lesione di diritti preesistenti19. L’ipotesi di gran lunga più frequente di riconoscimento della responsabilità extracontrattuale del professionista è quella nella quale quest’ultimo presti la propria opera nei confronti di un soggetto verso il quale egli non è direttamente obbligato20. Ma l’area di espansione più ampia di tale responsabilità riguarda soprattutto l’attività del notaio, alla stregua di un risalente ed oramai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è giusto che il terzo trovi un’adeguata tutela positiva nell’ordinamento giuridico «che, dando al notaio compiti di utilità generale e rive- stendolo della qualità di pubblico ufficiale, gli attribuisce in naturale e logica corrispondenza, una responsabilità di uguale portata estesa verso tutti coloro la cui utilità o il cui danno possono in qualunque modo dipendere dalla regolarità della sua attività»21. Si riconosce dunque la possibilità, per il notaio, di incorrere nell’uno e nell’altro ------------------------------------------patologica del cliente preso in cura; rapporto contrattuale a cui, dunque, il medico operante presso la struttura adita resta assolutamente estraneo, intervenendo nello stesso esclusivamente nella qualità di organo dell’ente ospedaliero. Cfr. per tutte, in vista di una esauriente descrizione dell’evoluzione dell’iter ermeneutica accennato nel testo, Cass. 589/1999, cit. Per l’indirizzo sintetizzato nel testo, v. Cass. n. 1716/1979, cit., decisione in cui, si ribadisce, la Suprema Corte ha avuto occasione di precisare che, rispetto alle dette fattispecie, parte del contratto d’opera professionale sia soltanto l’ente ospedaliero e che, perciò, mentre nel rapporto contrattuale tra ente e paziente l’errore si traduce nell’inesatto adempimento della prestazione d’opera professionale; rispetto al rapporto di impiego pubblico tra il medico e l’ente, invece, l’errore si traduce nell’inesatto adempimento della funzione di cui il medico è investito, così che questi risponderà verso l’ente in funzione del rapporto di pubblico impiego che lo lega ad esso, ma non risponderà che a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti del paziente. Vedi anche, V. AMENDOLAGINE, Inadempimento contrattuale del chirurgo operante nella struttura sanitaria in occasione dell’esecuzione di un intervento: onere probatorio, I Contratti, 2011, n. 2, Milano, p. 184 (nota a sentenza: Tribunale civile, Nola, sentenza 6 dicembre 2010). 17 Cass. 20 novembre 1970, n. 2448, in Rep. Foro it., 1971, voce “Responsabilità civile”, n. 223, 2550. 18 Ovviamente, quando si tratti del lavoro assunto da un libero professionista impegnato da un contratto d’opera e non di un dipendente, come tale, legato all’ente da un rapporto di tipo organico. Così, Trib. Larino, 27 dicembre 1975, in Giur. merito, 1977, I, 290. 19 V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Torino, 1997, p. 84 20 Di regola, è quel che avviene per i medici dipendenti di un ospedale, di una casa di cura, di un’università o di un’altra struttura sanitaria pubblica o privata, dove in questi casi il paziente non contratta direttamente con il professionista, ma si indirizza al direttore sanitario o ad altri soggetti responsabili dell’organizzazione che possono non coincidere con il medico che verrà ad eseguire l’opera. Come si è già visto, in questi casi la giurisprudenza afferma che sia l’ente che il medico vengono ritenuti responsabili dei danni derivati dalla inesatta esecuzione della prestazione, ma il primo risponde a titolo di responsabilità contrattuale, il secondo a titolo di responsabilità extracontrattuale. Cioè solo l’ente ospedaliero, l’università o la casa di cura concludano un contratto d’opera con il ricoverato, obbligandosi ad eseguire le prestazione mediche necessarie a mezzo dei propri dipendenti. Vedi, V. AMENDOLAGINE, Inadempimento contrattuale del chirurgo operante nella struttura sanitaria in occasione dell’esecuzione di un intervento: onere probatorio, in I Contratti, 2011, n. 2, Milano, p. 184 (nota a sentenza: Tribunale civile, Nola, sentenza 6 dicembre 2010); L. P. CARBONE, Inadempimento contrattuale della struttura sanitaria, in Danno e responsabilità, 2011, n. 12, Milano, p. 1240 (nota a sentenza: Tribunale civile, Tolmezzo, sentenza 2 settembre 2011). 21 Cass. 16 febbraio 1957, n. 553, in Giust. civ., 1957, I, 812; Cass. 11 maggio 1957, n. 1659, in Banca, borsa, ecc., 1957, II, 336; Cass. 25 ottobre 1972, n. 3255, in Vita not., 1973, 196; Cass. 25 maggio 1981, n. 3433, in Rep. Foro it., voce “Notaio”, n. 34, 1982. Tale orientamento giurisprudenziale si è affermato in un momento di acceso dibattito sulla natura della responsabilità del notaio. Da un lato, chi, rinvenendo nel ruolo del notaio la funzione primaria di tutore della pubblica fede, riteneva che l’unica responsabilità ascrivibile a detto professionista fosse appunto quella extracontrattuale; v. A. SCARPELLO, Su un caso di responsabilità per danni cagionati per l’esercizio delle funzioni notarili, in Foro pad., 1955, I, p. 83; analogamente, F. CARRESI, Responsabilità del notaio per la nullità degli atti da lui rogati, in Riv. dir. civ., 1956, p. 44. Dall’altro, chi, viceversa, ritenendo essere il contratto d’opera professionale l’unica fonte di obblighi, sosteneva la sola natura contrattuale della responsabilità notarile; v. A. DE CUPIS, Sulla responsabilità del notaio per l’atto da lui rogato, in Foro it., 1955, IV, p. 7. 30 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista tipo di responsabilità, o sulla base dell’individuazione del soggetto danneggiato (cliente o terzo), oppure in ragione del tipo di prestazione resa, ossia a secondo che questi provveda all’adeguamento degli strumenti giuridici alla volontà delle parti oppure a svolgere attività di certificazione. Anche in questo ambito, tuttavia, si deve sempre tener presente l’evidenziato continuo appiattimento pratico del rilievo della distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Con particolare riferimento ad esempio al dottore commercialista, la sua responsabilità verso i terzi non è obbligatoriamente legata all’esplicazione di un’attività di tipo professionale, in quanto essa può sorgere anche in presenza di incarichi di diversa natura. La Cassazione, infatti, ha identificato, la responsabilità extracontrattuale del curatore fallimentare nei confronti del creditore, per aver, dopo la revoca fallimentare, anziché restituito la somma all’Istituto di credito, consegnato la somma all’ex fallito22. 3.4 L’applicabilità dell’art. 2236 c.c. alle ipotesi di responsabilità aquiliana A questo punto, merita un breve cenno il problema dell’applicabilità o meno della norma più volte citata anche con riferimento ad ipotesi di responsabilità aquiliana. La giurisprudenza è orientata in senso affermativo, con la conseguenza che, nel caso di prestazione professionale implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il professionista intellettuale risponderà esclusivamente nel caso in cui egli si trovi in uno stato di dolo o colpa grave, anche laddove vi sia stata la lesione del generale precetto del neminem laedere23. Si ritiene infatti che la ratio di non mortificare l’iniziativa del professionista sussiste tanto rispetto a questioni inerenti lo svolgimento di un rapporto contrattuale, quanto in merito alla realizzazione di atti o comportamenti che, nell’espletamento della funzione professionale, risultino cagionare un danno ingiusto, indipendentemente dall’esistenza di un vincolo obbligatorio con il danneggiato24. Del resto, l’art. 2236 c.c. prevede un limite di responsabilità per la prestazione dell’attività dei professionisti considerata in generale, senza distinguere a seconda che il professionista agisca nell’adempimento di un obbligo contrattuale oppure al di fuori di un rapporto negoziale. Tale soluzione evita la separazione tra i criteri d’imputazione soggettiva ai quali il dottore commercialista vedrebbe legata la propria responsabilità a seconda che si causi un danno al cliente o a terzi; si potrebbe, quindi, creare un legame con l’affermazione dell’art. 1176, 2° co., c.c. che regola in generale l’agire del professionista. L’estensione, anche alle ipotesi della responsabilità aquiliana, della norma di cui all’art. 2236 c.c. importa che, per il cliente danneggiato, la differenza pratica tra le due azioni si limiti al solo termine di prescrizione: che per il risarcimento del danno da fatto illecito è quinquennale, mentre per il danno da inadempimento contrattuale è quello ordinario. In dottrina non sono tuttavia mancate opinioni contrarie, tese a restringere l’applicabilità della norma di cui all’art. 2236 c.c. al solo campo della responsabilità contrattuale, considerato quale sede sua propria25. Alcuni, in particolare, nel sottolineare la diversa conformazione del fatto generativo di responsabilità, ritiene attenuabile, nel senso anzidetto, un giudizio di colpa del professionista anche a prescindere dall’invocazione dell’art. 2236 c.c.26. Si evidenzia infatti che fattori costitutivi dell’illecito aquiliano, come l’ingiustizia del danno e la sussistenza di una causalità adeguata tra la condotta lesiva e l’evento dannoso, implicano ex se l’ovvia necessità di commisurare o meglio adeguare il giudizio di gravità della colpa, senza ricorrere affatto alla norma de qua. Sia in dottrina che in giurisprudenza si ritiene che l’art. 2236 c.c. produca l’effetto della restrizione di responsabilità, soltanto in relazione al rapporto professionista-cliente27. L’art. 2236 c.c. avrebbe quindi un campo d’azione circoscritto, ossia limitato alla responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei riscontri del committente e non trasferibile al diverso ambito nel quale le norme di comportamento sono imposte al professionista a salvaguardia dei diritti dei terzi28. Accettando questo orientamento si dà luogo ad una bipartizione delle regole alle quali il professionista deve informare il proprio comportamento di fronte di problemi tecnici complessi: nei ------------------------------------------22 Cass. 8 novembre 1979, n. 5761, in GC, 1980, I, 340. Cass. 26 marzo 1990, n. 2428, in GI, I, 1, 600. 24 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1958, p. 81. 25 V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1981, p. 17. 26 F. DE MARTINI, La responsabilità del medico, in Giust. civ., 1954, p. 1222. 27 V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1981, p. 15-50; V. VIGOTTI, La responsabilità del professionista, in La responsabilità civile, diretta da ALPA e BESSONE, IV, Torino, 1987, p. 263; Cass. 8 novembre 1979, n. 5761, in GC, 1980, I, 340. 28 Cass. 8 novembre 1979, n. 5066, in GC, 1980, 343. 23 © Cesi Multimedia 31 Capitolo 3 – La responsabilità extracontrattuale del commercialista confronti del cliente, difatti, la diligenza richiesta sarebbe quella del professionista medio, nei confronti del terzo, invece, il professionista avrebbe l’obbligo di apprestare tutti le accortezze più utili a scongiurare la possibilità di un difetto a terzi. In altre parole, ove venga in questione la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista si troverebbe a rispondere solo a titolo di dolo o di colpa grave nei confronti del proprio cliente, e pure a titolo di colpa lieve verso i soggetti estranei al rapporto. 3.5 Considerazioni conclusive Alla luce di quanto sopra esposto, si possono muovere le seguenti considerazioni conclusive in merito alla responsabilità contrattuale del professionista intellettuale. In primo luogo, per fondare la propria azione di risarcimento, il cliente dovrà fornire la dimostrazione, senza limitazioni circa i mezzi di prova ammessi, circa gli elementi essenziali che fondano la responsabilità contrattuale del professionista. Egli dovrà quindi dimostrare di aver dato l’incarico al professionista e che quest’ultimo si è reso inadempiente all’obbligazione professionale così assunta; egli dovrà altresì provare di aver subito un danno, dimostrando la sussistenza del nesso causale fra l’inadempimento ed il conseguente danno. Dal canto suo, il professionista, per sottrarsi all’invocata responsabilità, dovrà dimostrare di aver agito secondo diligenza ovvero che la colpa a lui imputabile deve considerarsi lieve in presenza di un problema tecnico di “speciale difficoltà”. Occorre, tuttavia, ricordare che il consolidarsi degli orientamenti giurisprudenziali delineati nei precedenti paragrafi tende a produrre una dilatazione dell’area di responsabilità del professionista, sotto un duplice profilo. Da un lato, la riconosciuta inapplicabilità dell’art. 2236 c.c. ai casi di imprudenza ed di incuria e l’estensione del patrimonio di conoscenze richieste al professionista medio affinché questi non possa essere qualificato come “imperito”, finisce per ampliare il novero delle possibili fattispecie di responsabilità per colpa lieve. Sicché, se è eccessivo sostenere che il professionista risponda sempre anche del danno causato con colpa lieve, è altrettanto vero che le eccezioni al principio fissato dall’art. 1176 c.c. vanno progressivamente riducendosi. Dall’altro, la tendenza a privilegiare la qualificazione degli incarichi professionali quali obbligazioni di risultato comporta un considerevole aggravio degli oneri di difesa posti a carico del consulente in caso di contestazioni. È inoltre opportuno ribadire che dottrina e giurisprudenza29 si sono pronunciate in senso affermativo circa l’applicabilità delle limitazioni ex art. 2236 c.c. anche alla responsabilità extracontrattuale del prestatore d’opera intellettuale. Con specifico riguardo alla figura del commercialista, l’attività consulenziale stricto sensu appare tutto sommato poco idonea a produrre danni extra-contrattuali, sicché tale tipologia di responsabilità sembra poter essere relegata in un ambito sostanzialmente marginale; fattispecie tipiche sono i danni riconducibili alla conduzione dello studio e alla gestione dei dipendenti. Merita, infine, ricordare che quanto sopra vale anche per il fatto degli ausiliari (collaboratori, praticanti, sostituti, ecc.) di cui il professionista si avvalga «sotto la propria direzione e responsabilità» (art. 2232 c.c.), a propria volta astrattamente articolabile nelle fattispecie della colpa in eligendo, in educando ed in vigilando 30. ------------------------------------------29 Cfr., in particolare, Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1981 n. 1544; Cass. civ., sez. I, 8 novembre 1979 n. 5761. G. L. MARELLA, G. ARCUDI, A. CAMMARANO, E. PERFETTI, M. G. MADDALENA, Le responsabilità del coordinatore infermieristico nell'esercizio delle sue attività e “la culpa in vigilando”, Zacchia, 2011, p. 498; G. DI MARCO, Culpa in vigilando del datore di lavoro e delega delle funzioni, in Diritto e pratica del lavoro, 2009, p. 2693. 30 32 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista 4. Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.1 Responsabilità connesse all’attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria Come anticipato, quanto illustrato nel precedente capitolo 2 attiene ai possibili profili di responsabilità di ciascun professionista in relazione al fatto in sé dell’esercizio di una attività (nella forma giuridica del contratto) di prestazione d’opera intellettuale: si tratta, pertanto, di considerazioni applicabili non solo al caso dei ragionieri e dottori commercialisti, ma, nella sostanza, alla generalità dei professionisti. A quanto sopra illustrato si affiancano, poi, ulteriori fattispecie sanzionatorie recate da disposizioni contenute in leggi speciali, questa volta applicabili in via specifica alla categoria dei commercialisti, in quanto fondate sull’esercizio di attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria. Dunque accanto alla disciplina civilistica si deve tenere conto anche della normativa di natura più strettamente tributaria, stabilita dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che determina l’attribuzione di sanzioni amministrative a carico diretto del professionista qualora si riscontrino violazioni di disposizioni di carattere fiscale. Dunque le violazioni di cui nel seguito sono oggetto di specifiche sanzioni, la cui applicazione non esclude affatto - anzi - l’insorgere di responsabilità del professionista nei confronti del cliente (e di un conseguente obbligo di risarcimento di danni), ove sussistano i presupposti individuati al precedente capitolo 2. Tali fattispecie vengono nel seguito schematicamente analizzate. 4.1.1 Responsabilità e sanzioni in relazione alle attività di assistenza fiscale In base agli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 241/1997 (ed in forza dei conseguenti provvedimenti di attuazione) il legislatore ha riconosciuto in capo a definite categorie di soggetti la possibilità di rilasciare, in favore dei contribuenti, tre fattispecie di certificazioni ai fini fiscali, e segnatamente: a) il visto di conformità formale (o visto leggero); b) l’asseverazione degli studi di settore; c) la certificazione tributaria (o visto pesante), rilasciabile solo a contribuenti titolari di redditi di impresa in regime di contabilità ordinaria. Queste certificazioni di fatto attestano il regolare adempimento degli obblighi tributari da parte del contribuente. In particolare: il rilascio delle prime due certificazioni è attribuito, oltre che ai CAAF, agli intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni (compresi pertanto i commercialisti) relativamente alle dichiarazioni da loro predisposte; la terza certificazione, ovvero la “certificazione tributaria” è riservata solo agli iscritti agli albi professionali dei ragionieri e dei dottori commercialisti che abbiano esercitato la professione per almeno cinque anni. Con il visto leggero si può attestare la conformità (essenzialmente “formale”, ossia senza entrare nel merito) dei dati delle dichiarazioni (predisposte dal professionista) alla relativa documentazione e alle risultanze delle scritture contabili (non necessariamente predisposte dal professionista). Con l’asseverazione si attesta la conformità degli elementi comunicati all’Amministrazione finanziaria ai fini dell’applicazione degli studi di settore rispetto alle risultanze delle scritture contabili ed alla restante documentazione fornita dal contribuente. Infine, con il visto pesante si certifica l’esatta applicazione delle norme tributarie sostanziali. Da notare che l’attribuzione del visto pesante è consentito solo a condizione che il professionista che lo rilascia abbia predisposto le dichiarazioni fiscali e tenuto le scritture contabili del contribuente, e che nei confronti di quest’ultimo siano già stati rilasciati il visto leggero e, ove ne ricorrano i presupposti, l’asseverazione degli studi di settore. Naturalmente, aumentando la certificazione aumentano le responsabilità specifiche del professionistacertificatore, anche perché, in conseguenza aumentano le tutele del contribuente rispetto a possibili iniziative da parte dell’Amministrazione finanziaria, in termini di limitazione dei poteri di accertamento. Rispetto al profilo sanzionatorio, recato dall’art. 39 del citato d.lgs. n. 241/1997: per il rilascio di un visto leggero o di una asseverazione infedeli si applica la sanzione amministrativa da euro 258,23 ad euro 2.582,28; per il rilascio di un visto pesante infedele si applica la sanzione amministrativa da euro 516,46 ad euro 5.164,57; in caso di ripetute violazioni, si applica la sanzione della inibizione della facoltà di rilascio del visto leggero o della asseverazione, ovvero la sospensione da 1 a 3 anni della facoltà di rilascio del “visto pesante”. Resta inoltre ferma la possibilità di irrogazione delle specifiche sanzioni per la violazione di norma tributarie. © Cesi Multimedia 33 Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.1.2 Responsabilità e sanzioni in relazione alla attività di trasmissione telematica delle dichiarazioni L’art. 7-bis del d.lgs. n. 241/1997 prevede una specifica sanzione per le violazioni delle norme relative alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali: il professionista che abbia ricevuto da un contribuente l’incarico di procedere alla trasmissione telematica di una dichiarazione e che non vi provveda entro i termini previsti dalla legge (rendendosi così responsabile della violazione di omessa o tardiva trasmissione) è soggetto ad una sanzione amministrativa da euro 516,46 ad euro 5.164,57. Inoltre, in caso di gravi e ripetute violazioni, l’Amministrazione finanziaria può disporre la revoca dell’abilitazione al servizio telematico (art. 3, comma 4, d.P.R. n. 322/1998). 4.1.3 Responsabilità e sanzioni a carico del “professionista infedele” Con il d.lgs. n. 472/1997 si sono introdotte numerose fattispecie che determinano, in capo al professionista che esercita una attività di consulenza in materia fiscale l’irrogazione di sanzioni con riferimento a violazioni di obblighi tributari relativi alla sfera giuridica del contribuente/cliente. La normativa origina con ottica di matrice penalistica seguendo il principio della generalizzazione della responsabilità personale per le sanzioni tributarie in quanto, quindi, «la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione» ed è applicabile a ciascuno dei soggetti che abbiano concorso ad una medesima violazione (sempre che sia riscontrabile il c.d. “elemento soggettivo”). Dunque, e a differenza della precedente impostazione dell’ordinamento giuridico in cui il centro delle sanzioni era ricercato nel soggetto passivo d’imposta, ora si determina come centro d’imputazione delle sanzioni la persona fisica effettivamente responsabile del comportamento trasgressivo. Tutto questo con la conseguenza che a carico dei professionisti-consulenti viene posta la possibilità, assolutamente rilevante, di dover rispondere personalmente e patrimonialmente per gli illeciti tributari commessi in attività svolte per conto del cliente (persona fisica, società o altro ente): e ciò sia nei casi di errori ed omissioni ignoti al cliente, sia in caso di vera e propria compartecipazione nell’ideazione e realizzazione di condotte fiscali fraudolente. Per trovare, a vantaggio del professionista, delle limitazioni della responsabilità si può determinare il caso della particolare complessità delle problematiche oggetto dell’incarico. Se tale circostanza non può essere dimostrata, soprattutto quando vi sia il compimento di attività di carattere esecutivo che non comportino particolari difficoltà interpretative, il professionista può essere chiamato a rispondere anche a titolo di colpa lieve. Si possono poi rinvenire “cause di non punibilità”, ad esempio, quando la violazione è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali essa si riferisce, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento, evenienze sempre più probabili in concreto. Risulta da sottolineare con attenzione, nell’ambito del rapporto professionista-cliente, il principio della punibilità dell’autore mediato, e cioè del nel soggetto che determina la commissione di una violazione tributaria inducendo altri in errore incolpevole. Potrebbe infatti applicarsi questa fattispecie al professionista che, con dolo o colpa, grave o lieve a seconda della complessità del caso, induca in errore un proprio assistito sulla base di una consulenza erronea. Inoltre è valutare anche il principio per cui chi ha sottoscritto gli atti illegittimi si presume autore della violazione fino a prova contraria, dunque può determinarsi una responsabilità per il consulente anche in quest’ultimo caso (considerando che l’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 ha determinato che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica»). 4.2 Responsabilità connesse all’assunzione di cariche sociali La materia è stata profondamente modificata dalla riforma del diritto societario. Per le società per azioni si possono determinare tre modelli di organizzazione distinti (oltre ad una autonomia limitata derivante dallo statuto) e con caratteristiche specifiche anche sotto il profilo della responsabilità; per le società a responsabilità limitata esiste una disciplina specifica in parte derogabile con l’autonomia statutaria che può plasmare l’organo amministrativo sulla base di schemi estesamente diversificati. 34 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.2.1 Responsabilità degli amministratori di società azionarie La responsabilità degli amministratori è stata ampliata rispetto al passato, anche perché sono state introdotte delle novità tra amministratori e soci, con una puntualizzazione dei doveri imposti proprio all’organo amministrativo (obblighi di adeguata informazione, di vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto amministrativo e contabile, di informativa periodica da parte degli amministratori delegati) e rispetto all’eventuale conflitto di interessi. Vi è dunque una ridefinizione del parametro di valutazione della diligenza richiesta. L’esercizio dell’azione di responsabilità è riconosciuto, oltre che all’assemblea, anche ai soci che rappresentino determinate aliquote di capitale (con una soglia fissata ad 1/5, elevabile con apposita clausola statutaria non oltre 1/3 del capitale; nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si prevede una soglia massima del 5%; tali soglie possono comunque essere ridotte con previsione statutaria); nonché, nel modello dualistico, anche al consiglio di sorveglianza. Gli amministratori rispondono in via esclusiva degli atti e delle omissioni relativi alla gestione dell’impresa sociale, lo statuto può riservare all’assemblea solo la concessione di autorizzazioni: ma se le stesse sono rilasciate, degli atti con cui vi danno esecuzione rispondono esclusivamente gli amministratori. Dunque gli amministratori risultano solidalmente responsabili dei danni derivanti dalla violazione dei propri doveri e tale responsabilità non si estende alle attribuzioni oggetto di delega. Però, la responsabilità a titolo di culpa in vigilando esiste se l’amministratore è informato (o conosce) di circostanze pregiudizievoli e non si è attivato per impedirne il compimento o evitarne le conseguenze. 4.2.2 Responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società s.r.l. per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Rimangono esonerati dalla responsabilità quelli, tra gli amministratori, che si dimostrino esenti da colpa. 4.2.3 Responsabilità del collegio sindacale di società azionarie La responsabilità dei sindaci di S.p.A. è disciplinata dall’art. 2407 c.c.: i componenti del collegio devono agire «con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico», il parametro di valutazione della diligenza richiesta è costituito dal comma 2, e non dal comma 1 dell’art. 1176 c.c.. Non risulta sufficiente attenersi al generico canone del “buon padre di famiglia” (ed in dottrina si fa infatti riferimento alla «diligenza professionale qualificata dell’avveduto controllore o revisore»). Inoltre, i sindaci sono resi responsabili della violazione dei propri doveri non solo nei confronti della società, ma anche dei creditori, dei singoli soci e dei terzi. I sindaci rispondono della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti, le notizie ed i documenti di cui hanno conoscenza in ragione della loro attività di controllo. Inoltre rispondono, in solido con gli amministratori, per i fatti o le omissioni di questi ultimi, quando il danno non si sarebbe cagionato se essi avessero vigilato in conformità ai propri doveri (c.d. responsabilità concorrente). 4.2.4. Responsabilità dell’organo di controllo di società a responsabilità limitata La presenza di un organo di controllo nella s.r.l. (collegio sindacale o singolo revisore) è facoltativa o obbligatoria in funzione delle dimensioni della società e dell’impresa sociale. Ai componenti l’organo di controllo si applica il regime di responsabilità ex art. 2407 c.c. di cui sopra. 4.3. Responsabilità connesse all’assunzione di incarichi giudiziari 4.3.1 Incarichi nell’ambito di procedure concorsuali L’incarico di curatore fallimentare può essere attribuito, a sensi dell’art. 1, d.l.c.p.s. n. 153/1946, agli iscritti negli albi dei ragionieri o dottori commercialisti e degli avvocati. Solo eccezionalmente esso può venire assegnato a persone non iscritte in tali albi. Le funzioni attribuite al curatore risultano particolarmente ampie (cfr. artt. 31 e segg., legge fallimentare): si va dall’ amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato, all’assegnazione del potere/dovere di procedere ad una serie di adempimenti oggetto di specifica disciplina. © Cesi Multimedia 35 Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista Il curatore risponde degli atti compiuti nell’esercizio del proprio incarico; in particolare, egli «deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio» (art. 38, legge fall.). L’orientamento prevalente sottolinea che il curatore è responsabile del compimento degli atti di gestione posti in essere (ovvero dell’omissione di atti che sarebbero risultati necessari od opportuni ai fini della procedura): in quanto soggetto dotato di un potere di libera determinazione, il curatore resta responsabile delle conseguenze degli atti compiuti anche se per gli stessi consta l’autorizzazione del giudice. Inoltre la responsabilità del curatore sarebbe di regola contrattuale, d’altronde, si propende per la qualificazione extracontrattuale nei casi in cui sussistano interessi in conflitto tra i diversi soggetti (fallito, creditori ecc.) nel qual caso non si può ritenere sussistente una obbligazione contrattuale in quanto «manca un interesse comune cui commisurare il suo adempimento» (G. CASELLI). Quanto poi al profilo della diligenza richiesta, prevale l’opinione che il curatore risponde non solo nelle ipotesi di dolo o colpa grave, ma anche in presenza di colpa lieve, in quanto la valutazione della diligenza media andrebbe operata «in relazione alla natura professionale dell’attività da lui esercitata» (G. CASELLI, e G. LO CASCIO). 4.3.2. Incarichi di C.T.U. Nell’ambito della fase istruttoria del procedimento civile, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più “consulenti di particolare competenza tecnica” in relazione alla materia su cui verte il processo, iscritti negli appositi Albi speciali (art. 61 del c.p.c.). Il consulente tecnico (art. 64, c.p.c.): a) è tenuto a svolgere il proprio incarico con la diligenza che, in dottrina, è definita “del buon tecnico medio”; in particolare: b) se incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino ad euro 10.329,14, oltre ad applicarsi l’art. 35, c.p.; c) è tenuto “in ogni caso” al risarcimento dei danni causati alle parti per via della violazione dei propri doveri. 4.4. Responsabilità connesse allo svolgimento di altre funzioni di natura pubblicistica 4.4.1 La funzione di giudice tributario L’esercizio della funzione di componente di commissioni tributarie risulta preclusa a «coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l’assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario». Dunque il dottore o il ragioniere commercialista che esercita la propria professione non può assumere alcun incarico in qualità di giudice tributario. Tale causa di incompatibilità sussiste fintantoché gli interessati «permangono in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali»: potrà far parte della magistratura tributaria il dottore o il ragioniere commercialista che abbia cessato l’esercizio della professione. La responsabilità dei componenti le commissioni tributarie è regolata dall’art. 14 del citato d.lgs. n. 545/1992: «si applicano le disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117, concernente il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali», e dunque «chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comporta- mento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della liberà personale». Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. Costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento « (…) e costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio, quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell’istanza volta ad ottenere il provvedimento”. 36 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.4.2 La funzione di revisore di enti pubblici Ai sensi dell’art. 240 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali o Tuel), i revisori degli enti pubblici «rispondono della veridicità delle loro attestazioni e adempiono ai loro doveri con la diligenza del man- datario. Devono inoltre conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione dei loro ufficio», in similitudine con l’art. 2407 del Codice Civile, che disciplina la responsabilità dei sindaci di società di capitali. La diligenza richiesta è quella dell’ «avveduto revisore contabile esterno indipendente» il quale «pur non dovendo assicurare il risultato della corretta e veritiera rappresentazione contabile dei fatti gestionali, deve tendere alla migliore realizzazione possibile dell’incarico»; ciò che presuppone «una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego degli strumenti tecnici adeguati al tipo di attività dovuta» (CENTRO STUDI RAGIONIERI). L’elevata qualificazione professionale del revisore non consente agevolmente di individuare situazioni in cui vengano a porsi problemi tecnici di speciale difficoltà, sicché il revisore sarà contrattualmente responsabile per inadeguatezza allo standard di diligenza previsto sia nel caso di dolo, sia nel caso di colpa grave o lieve (P.L. REBECCHI). 4.5 Responsabilità in materia di riciclaggio La normativa in oggetto è regolata dal d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, riguardante l’«attuazione della direttiva 2001/97/CE, recante modifica della direttiva 91/308/CEE del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite». Il decreto determina degli obblighi in materia di antiriciclaggio anche per i professionisti: e cioè estende gli obblighi strumentali alla prevenzione dell’utilizzo del sistema economico e finanziario a fini di riciclaggio, delineati dal d.l. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197), c.d. “legge antiriciclaggio”. Chiunque sostituisce o trasferisce denaro proveniente da delitto non colposo (es. frode fiscale) ovvero compia altre operazioni in modo da ostacolare la loro provenienza delittuosa commette il delitto di riciclaggio (art. 648-bis c.p.). Gli obblighi in capo ai professionisti, tendenzialmente volti a rendere evidente la commissione del reato in questione, sono: l’identificazione di chiunque compie operazioni che comportano trasmissione o movimentazione di mezzi di pagamento di qualsiasi tipo, che siano di importo superiore a euro 10.329,14 (anche se realizzate mediante più disposizioni di importo individualmente inferiore al limite, effettuate in momenti diversi ma costituenti parti di un’unica operazione complessiva); la conservazione, in un apposito archivio informatico, delle informazioni relative a ciascuna operazione (la data e la causale dell’operazione, l’importo dei singoli mezzi di pagamento, le complete generalità ed il documento di identificazione di chi effettua l’operazione, nonché le complete generalità dell’eventuale soggetto per conto del quale l’operazione stessa viene eseguita); la segnalazione, alla competente autorità di vigilanza (U.I.C.) delle “operazioni sospette”, ossia di «ogni ope- razione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter del codice penale»; l’obbligo di segnalare altresì le eventuali infrazioni, di cui si abbia notizia in relazione alla propria attività, all’obbligo di avvalersi di intermediari finanziari abilitati per il trasferimento di contanti ovvero di strumenti al portatore per un importo superiore ad euro 12.500; un generale obbligo di collaborazione attiva con le autorità di vigilanza ai fini dell’applicazione della normativa antiriciclaggio nel suo complesso. L’omessa istituzione dell’archivio informatico è punita con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 5.164,57 ad euro 25.822,84; salvo che il fatto costituisca reato, l’omissione delle segnalazioni delle “operazioni sospette” è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5% al 50% del valore dell’operazione stessa; l’omessa segnalazione delle infrazioni è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 3% al 30% dell’importo trasferito in violazione degli obblighi di legge; nel caso di violazione degli obblighi di “collaborazione attiva” con l’U.I.C., si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 25.000. I soggetti abilitati sono altresì tenuti all’obbligo di riservatezza circa le operazioni di cui vengono a conoscenza in virtù della propria attività. La violazione di tale obbligo è punita, salvo che il fatto costituisca reato, con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda da euro 5.164,57 ad euro 51.645,69. © Cesi Multimedia 37 Capitolo 4 – Forme di responsabilità specifica del commercialista 4.6 Responsabilità in materia di privacy Un ulteriore profilo di responsabilità rilevante per tutti i professionisti e, tra questi, anche ai ragionieri e dottori commercialisti, riguarda la violazione dei principi che regolano la tutela dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), che si sostanziano essenzialmente nel seguente principio «chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile», equiparando il trattamento dati personali all’esercizio di un’attività pericolosa (con particolare difficoltà, dunque, per il professionista di poter portare prova a sua discolpa). Si possono identificare una serie di violazioni e relative sanzioni amministrative come ad esempio l’omessa o inidonea informativa (prima di procedere al trattamento dei dati è necessario fornire idonea informativa all’interessato ai sensi dell’art. 13 del codice) che prevede una sanzione del pagamento di una multa da 3.000 a 18.000 euro per i dati personali e nei casi di dati sensibili o giudiziari o di trattamenti che presentano rischi specifici, la multa varia dai 5.000 fino ai 30.000 euro. In entrambi i casi, inoltre, l’importo dovuto può essere aumentato fino al triplo qualora risulti inefficace in virtù delle condizioni economiche del contravventore. Si può poi determinare una violazione relative a dati già trattati. In questo caso L’art. 162 del codice sanziona la cessione dei dati effettuata in violazione delle norme di legge con il pagamento di una somma dai 5.000 ai 30.000 euro. Inoltre, vi è una previsione specifica circa l’omessa informazione o esibizione dei documenti richiesti dal Garante: in questo caso il codice della privacy prevede che chiunque omette di fornire informazioni o di esibire i documenti richiesti dal Garante è punito con una multa dai 4.000 ai 24.000 euro (art. 164). 38 © Cesi Multimedia Appendice Appendice Dott. ………… Studio ………… INCARICO DI CONSULENZA FISCALE In data ………. nell'ufficio del dott.\rag. ………………………….(C.F. e P. Iva ) sito in: ……………….. da ora denominato commercialista, si è presentato il/la sig. ………………. in proprio o nella sua qualità di titolare d'impresa/ legale rappresentante della società con sede in cod.fisc.\p.iva da me identificato\a con carta identità ……………………. (o altro documento), di cui si allega copia fotostatica (oltre a copia del certificato camerale) al presente incarico, parte che di seguito sarà denominata per brevità cliente, PREMESSO CHE il cliente ha espresso la volontà di avvalersi dell'opera professionale del sottoscritto commercialista, conferendogli specifico incarico di consulenza tributaria, fiscale, contabile e societaria nonché di svolgimento dei servizi contabili di aggiornamento periodico dei registri obbligatori, servizi tutti meglio definiti inseguito, il cliente dichiara che, fino alla data di sottoscrizione del presente incarico, ha provveduto altrimenti e presso terzi, all'esecuzione dei propri obblighi contabili e fiscali esonerandomi espressamente da qualsiasi responsabilità in merito, il cliente dichiara che la propria azienda svolge regolare attività nel rispetto delle vigenti leggi e a tale scopo mi consegna la visura camerale e il certificato di attribuzione di partita iva che si allegano in copia al presente incarico, il commercialista dichiara di trovarsi nelle piene condizioni legali di esercitare l'attività oggetto del presente incarico e di aver adempiuto ali obbligo assicurativo, le parti con la presente scrittura privata intendono di comune accordo regolare l'incarico a prestazioni reciproche, secondo le intese intercorse e per ogni effetto di legge, le premesse sono parte integrante del presente atto SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE 1 - Servizi di consulenza Il commercialista si impegna ad effettuare la consulenza tributaria, fiscale, contabile e societaria come individuata dall'art 2230 c.c. oltre a fornire in via strumentale o sussidiaria servizi tributari, contabili e societari come meglio descritti di seguito nei punti A e B, A - Consulenza tributaria, contabile, amministrativa e societaria, denominata consulenza generica, prestata per anno solare e riguardante anche gli adempimenti di chiusura di fine esercizio, i bilanci periodici, loro conversione\revisione, nonché l'attività di consulenza generica, il cui compenso potrà essere determinato indipendentemente dal fatturato, dal numero di operazioni da svolgere e dal momento di inizio dell'attività. Da tale tipo di consulenza si esclude tutto ciò che è previsto al punto B. B - Consulenza da richiedere all'occorrenza, in ambito fiscale, contabile, amministrativo e societario, denominata consulenza specifica, da prestare anche in modo continuativo e riguardante in particolare la consulenza specifica in ordine ad obblighi fiscali o civilistici, fatti e situazioni contingenti (si citano ad es.: dichiarazioni integrative, variazioni, modificazioni, trasformazioni, rappresentanza in commissione tributaria o presso altri Enti, Istituti o Associazioni e presso gli Uffici locali e centrali dell'Agenzia delle Entrate in qualità di intermediario abilitato per la pianificazione fiscale, risoluzione di controversie, avvisi telematici, ispezioni, trasmissione comunicazioni, dati, studi di settore, ecc.), di cui il cliente farà richiesta. 2 - Servizi di elaborazione contabile Oltre quanto sopra, il commercialista si impegna anche a fornire i servizi che riguardano tutti gli adempimenti amministrativi correnti (ad esempio: elaborazione dati contabili per contabilità generale e contabilità IVA, dichia© Cesi Multimedia 39 Appendice razioni fiscali, scritturazione registri e prospetti, redazione bilanci, ecc.), considerati strumentali, integrativi o accessori rispetto alle prestazioni professionali indicate al punto 1 e si impegna ad effettuare personalmente o far effettuare da persone di sua fiducia, sulla base della documentazione ricevuta dal cliente e per conto dello stesso, l'elaborazione dei dati contabili e delle scritture obbligatorie ai fini delle imposte dirette o indirette, garantendo, nel rispetto della privacy, l'assoluta segretezza e protezione dei dati ricevuti, come prevede la legge. Il Cliente si fa obbligo di consegnare tutti i documenti da contabilizzare entro i termini previsti dalle vigenti leggi e comunque entro il giorno 10 di ogni mese. In caso contrario, il commercialista sarà sollevato da ogni responsabilità per eventuali ritardi nell' adempimento degli obblighi fiscali. 3 - Condizioni generali e particolari per l'espletamento dell'incarico Con riguardo alla natura giuridica dell'incarico conferito e "l'intuitus personae" che l'ispira, si considera oggetto della prestazione NON il risultato conseguente all'incarico stesso, bensì la prestazione convenuta. Il commercialista si atterrà sia all'ordinaria diligenza e al rispetto delle regole statuite dalla professione nell'aspetto tecnico, sia al rispetto dei principi deontologici fissati dall'Albo di appartenenza. Il commercialista dichiara di essere assicurato contro i rischi di responsabilità professionale e nell' esecuzione dell'incarico potrà avvalersi, sotto sua responsabilità, di sostituti o ausiliari previsti dall'art. 2232 c.c. Qualora nell'espletamento dell'incarico ricevuto, emergano problemi di particolare complessità richiedenti intervento di specialista (ad esempio avvocato), il commercialista lo comunicherà al cliente e, nel caso questi neghi l'intervento stesso, il commercialista potrà rinunciare all'incarico senza ulteriore preavviso, oppure, qualora decida di procedere su invito specifico del cliente, la responsabilità delle azioni conseguenti graverà esclusivamente su quest'ultimo. Il commercialista non è tenuto ad effettuare controlli o verifiche sulla autenticità delle dichiarazioni, dei documenti e dei carteggi in genere forniti dal cliente, per individuarne irregolarità o intenti fraudolenti. Il cliente pertanto dichiara fin d'ora l'autenticità e la rispondenza al vero, nonché l'inerenza dei carteggi e documenti che fornirà, assumendone piena responsabilità. Il commercialista potrà, di volta in volta e a suo insindacabile giudizio, richiedere conferma scritta in tale senso al cliente e, in caso di rifiuto, potrà rinunciare all'incarico per giusta causa, art. 2337 c.c. Ai sensi delle noi native antiriciclaggio il commercialista identificherà ogni singolo cliente come previsto dalle vigenti normative segnalando le eventuali operazioni sospette. Il cliente autorizza espressamente il Commercialista ad incaricare, qualora lo ritenga opportuno, una società di elaborazione dati affinché la stessa si occupi di tenere la contabilità del cliente ed emetta conseguentemente fattura al cliente stesso 4 - Durata dell'incarico Per l'incarico riferito al punto 1 e 2, avendo lo stesso carattere continuativo, la durata è convenuta fino al 31 dicembre dell'anno solare successivo alla sua sottoscrizione o proroga, per consentire appunto il rispetto delle scadenze per l'invio telematico e\o di quanto previsto per legge ed e tacitamente rinnovato per anni solari successivi, ove non pervenga al commercialista disdetta scritta a mezzo raccomandata A.R. entro il 30 settembre di ciascun anno. Nell'ipotesi di recesso da parte del cliente, esercitato in modo difforme e fuori dai termini previsti, permane a suo carico l'obbligo del pagamento di un contributo dovuto a titolo di penale, per il servizio comunque svolto e per l'interruzione anticipata, pari al 50 % del compenso pattuito per l'intero anno. 5 - Onorari e corrispettivi Le competenze spettanti al commercialista per l'incarico ricevuto sono regolate in base ai seguenti criteri: Per quanto riguarda la consulenza generica, punto A, gli onorari vengono preconcordati in una cifra forfetaria annuale di Euro …………….. Per quanto riguarda la consulenza specifica, punto B, gli onorari e le competenze sono stabiliti dal tariffario dell'Albo dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili in vigore al momento della conclusione del contratto. Per quanto attiene le prestazioni di cui al punto 1 e 2, il corrispettivo pattuito potrà essere aggiornato anche in base al numero dei movimenti contabili e dei documenti da registrare, ove gli stessi si discostino in percentuale superiore del 10% con riguardo al trimestre precedente. L'aggiornamento decorrerà trascorso il primo anno dalla sottoscrizione iniziale. In ogni caso spetterà al commercialista la facoltà di variarlo annualmente, anche in baso di rinnovo tacito, sulla base degli incrementi ISTAT: 40 © Cesi Multimedia Appendice Per quanto non espressamente previsto dal presente incarico, si fa rinvio alle nonne Deontologiche e al Tariffario dell'Albo dei Dottori commercialisti ed esperti contabili. 6 - Foro competente In caso di controversie tra le parti sul puntuale rispetto ed adempimento del presente incarico professionale, le parti aderiranno al servizio arbitrale dell’ALI, Associazione Legali Italiani, secondo l’apposito regolamento (www.associazionelegaliitaliani.it) che le parti dichiarano di conoscere ed accettare. IL PROFESSIONISTA …………………. IL CLIENTE ………………….. Ai sensi degli artt. 1 4 1 e 1342 del Codice Civile, il sottoscritto cliente, dopo averle attentamente lette, conferma in maniera specifica le obbligazioni di cui ai punti 1-2-3-4-5-6. _________________ lì __________________ IL CLIENTE ………………. © Cesi Multimedia 41 Appendice 42 © Cesi Multimedia