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Lorenzo Perrona
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NOTE SUL TEATRO ITALIANO IN AUSTRALIA
Questo articolo esamina lo sviluppo del teatro degli italiani in Australia
dal dopoguerra ad oggi, con particolare riferimento alla realtà italoaustraliana, delineando i problemi che si pongono alla pratica teatrale
(innanzi tutto la scelta di un "repertorio") e indicando alcuni risultati,
che vanno dal radicale rinnovamento al riproporsi della figura
dell'emigrato come rappresentazione stereotipata.
Nonostante l'afflusso migratorio del dopoguerra, la dispersione è il
dato di partenza. La storia del teatro italo-australiano a partire dalla
seconda guerra mondiale e dall'immigrazione di massa è determinata
dalla dispersione fisica, linguistica e culturale avvenuta negli anni '50
e '60, e dalla lenta ricostruzione di un "repertorio" che recuperi una
tradizione spesso coperta dall'oblio e dal silenzio indotti in una cultura
minoritaria.
Quella degli emigranti nel dopoguerra fu una diaspora da zone
rurali, soprattutto della Sicilia e del Veneto, sollecitata dalla propaganda
e poi abbandonata a se stessa. In Australia, diventata minoranza etnica,
fu indotta, inizialmente dalle direttive assimilazioniste, a dimenticare
le proprie origini, di fatto a ridursi al silenzio e a coltivare in privato le
tradizioni familiari. L'inglese si è sovrapposto al dialetto e spesso la
conoscenza dell'italiano nelle giovani generazioni è frutto della scelta
di una minoranza e di una conquista.
In questa situazione il riconoscimento di una tradizione di teatro
italiano ο italo-australiano è stata problematica. Una sorta di
imbarazzato oblio ha coperto la tradizione popolare di teatro religioso
(non più adatto ai tempi e priva di prestigio culturale). Solo con la fine
degli anni '70 ci sono stati tentativi da parte di gruppi teatrali
semiprofessionali di sviluppare un repertorio, per esempio, di teatro
napoletano; oppure un teatro accademico che svolgeva un'importante
opera di aggiornamento e diffusione presso gli studenti dei dipartimenti
di italiano. Un altro tentativo di istituire una tradizione è stata la
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drammaturgia italo-australiana degli anni '80. Con quest'etichetta si è
cercato di dare impulso anche al teatro nell'ambito dei festival di arte
italiana (il Melbourne-Spoleto Festival di Gian Carlo Menotti ebbe nel
1986-88 un'appendice multiculturale: il Piccolo Spoleto), grazie alla
presenza (sporadica in verità se si va oltre alla pagina scritta) di autori
che hanno fatto in quegli anni dei tentativi teatrali. La politica del
multiculturalismo ha fornito le sovvenzioni necessarie all'attività dei
primi gruppi professionali. Questi a loro volta hanno iniziato ad essere
un punto di riferimento per gli attori italo-australiani della seconda
generazione, e ad essere ufficialmente riconosciuti, insieme ai gruppi
aborigeni, greci, spagnoli, ebrei, bulgari ecc., come facenti parte della
cultura australiana, anche se ancora sotto la particolare etichetta
"multiculturale."
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La scomparsa delle forme rituali e religiose
Non è facile rintracciare documenti riguardanti iniziative teatrali di
italiani ο italo-australiani. Esistono tuttavia testimonianze che risalgono
agli anni '40 e '50 di rappresentazione nel North Queensland di forme
rituali legate al periodo pasquale, e una di queste è la serie di dodici
fotografie che documentano una processione drammatica. Nella zona
si registra, fra le due guerre, la presenza di italiani che lavoravano nelle
piantagioni come tagliatori di canna da zucchero (cane-cutters). Fu una
di queste comunità che praticò un teatro popolare, rituale, allo stesso
modo in cui si allestivano le rappresentazioni popolari nei borghi rurali
italiani. La processione drammatica si svolgeva nei luoghi comunitari:
se in Italia erano gli oratori ο le piazze, in Australia sono le strade che
collegano la country-town con i campi. All'aperto la processione
ricreava alcuni episodi evangelici della passione di Gesù (l'entrata in
Gerusalemme, e la Via Crucis: Gesù che cade sotto la croce, la
Veronica, la crocifissione, la deposizione), e sostava davanti a un palco
costituito dalla piattaforma di un camion abbellita da rami di palme: su
questi palchi si svolgevano le scene della lavanda dei piedi, dell'ultima
cena, del Sinedrio, di Pilato. I costumi erano semplici, eclettici, ma
efficaci e coerenti fra loro e all'interno delle convenzioni della
rappresentazione popolare si notano i drappeggi delle tuniche, le
parrucche e barbe finte, le divise dei soldati forniti di elmetti di tipo
americano, la foggia palestinese di alcuni copricapi, l'uso efficace di
rami di palma come elemento scenografico (elemento evangelico ma
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anche tipico del Queensland), l'effigie naif del volto di Cristo sul
lenzuolo della Veronica. L'autenticità dell'avvenimento teatrale non
stava tanto nei contenuti religiosi ma nell'affermare attraverso il teatro
la propria presenza in quel luogo. Era in corso un trasferimento di
memorie e cultura che rinforzava e permetteva l'insediamento di quella
comunità. Come scrive Robert Pascoe riguardo alle tante festività ancora
vive nella collettività italo-australiana,
la soluzione "immaginaria" comportava la riproduzione della festa del
vecchio paese non quale era stata vissuta, ma così come veniva
ricordata e ricostruita nella memoria popolare. Pertanto la festa
cambiò: non più culto magico, rito di fertilità legato alle stagioni
dell'anno rurale, bensì affermazione d'identità fra gli italo-australiani.
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Nella vastità del paesaggio australiano che si intravede nelle foto, e
tramite il percorso a tappe scandito dalla recitazione, la comunità
prendeva simbolicamente possesso del territorio.
Che spettacoli comunitari come questo non siano più avvenuti ο se
ne sia perso il ricordo suggerisce che proprio nel momento della
maggiore emigrazione aumentò la dispersione. Il passaggio dalla fase
degli "agricoltori" alla fase dei "costruttori" — come ha definito Pascoe
l'urbanizzazione degli emigrati italiani — e la creazione nelle grandi
città australiane di quartieri italiani ha comportato una riduzione al
silenzio e a spazi confinati. I gesti che affermavano un'identità e
definivano il possesso del territorio sono stati circoscritti. Nella
metropoli rimangono tracce della tradizione della recita della Passione,
come nell'area di Melbourne alcuni spettacoli di argomento sacro. Ma
il "senso" è diverso. La recita si "borghesizza," diventa "filodrammatica"
ο direttamente devozionale: non è più all'aperto, ma in sale di teatro
con palcoscenico e convenzione della "quarta parete." Anche le
processioni non percorrono liberamente il territorio, ma hanno per lo più
circuiti obbligati intorno alle chiese. A Melbourne la Filodrammatica
Italiana presentò la Passione alla Festival Hall di West Melbourne nel
1959 e una Via Crucis nel 1964 intorno alla chiesa di S. Antonio a
Hawthorn.
A volte si è trattato di operazioni più spettacolari come il dramma
storico e psicologico Golgotha di Stefano Rocco e del suo gruppo
filodrammatico (1955, Cathedral Hall, Melbourne). Oppure il teatro
religioso fornisce l'idea di partenza, come nel testo inedito dello
scrittore e giornalista Pino Bosi di Sydney, What now, Jesus Christ?,
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dove Bosi presenta una recita della Passione e, in chiave fantapolitica,
ipotizza che Pilato "non se ne lavi le mani" e Cristo non muoia in
croce. Non mancano riprese filologiche e archeologiche come La
natività di Cristo, di ignoto del XV secolo, del "Gruppo teatrale
italiano," coordinato da Colin McCormick (dicembre 1977) ο La
Passione in siciliano di Nino Sanciolo a Melbourne (National Theatre,
St. Kilda) nel 1983.
Il diminuito sentimento religioso ο la inadeguatezza di quel mondo
culturale di fronte ai tempi moderni non bastano a spiegare il
ripiegamento su se stesso di questa tradizione di teatro. Il fatto è che
non ci sono state più occasioni in cui una comunità "si sia
rappresentata" direttamente e apertamente utilizzando il proprio
linguaggio e le proprie modalità espressive, e perciò la tradizione non
è stata mantenuta viva.
L'isolamento degli anni '50 e '60
L'isolamento e la marginalizzazione, sia rispetto all'Italia, sia all'interno
della società australiana, indirizzano le scelte verso un repertorio
all'insegna dell'intrattenimento o, per pochi, alla ricerca di
emancipazione culturale. Il teatro rituale e popolare, legato alla cultura
dialettale, viene messo da parte in favore di forme di teatro borghese in
lingua italiana. Le difficili condizioni di adattamento nella società hanno
fatto si che il teatro non fosse più parte integrante della vita collettiva,
ma è praticato solo da gruppi di dilettanti dediti ad attività artisticoculturali, subite passivamente ο addirittura rifiutate dalla maggioranza
(i trafiletti sui giornali italiani dell'epoca registrano alternativamente
"grande affluenza" e "scarso pubblico" nelle cronache delle serate).
Questa spaccatura è una caratteristica costante di cui faranno le spese
tutti i tentativi di coinvolgere la collettività italiana in iniziative
culturali.
Nelle filodrammatiche, che si formano ogni qualvolta una persona
trova l'entusiasmo per farsene promotore, possiamo leggere la reazione
più ο meno consapevole alla impossibilità/incapacità di condividere con
la collettività uno spazio proprio. Ci si crea quindi uno spazio artificiale,
separato dalla realtà, dove parlare la propria lingua e dedicarsi ad una
attività artistica.
A Melbourne nel dopoguerra dal 1952 al 1965 furono attive intorno
alla Società Dante Alighieri: la Compagnia della Commedia Italiana, poi
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chiamata Teatrofiamma, animata e diretta da Stefano Rocco, e la
Filodrammatica della "Dante" coordinata da Anito Raiola. Stefano
Rocco presentò, oltre al già ricordato Golgotha, un adattamento di Don
Camillo da Guareschi (1955) e alcuni testi del repertorio leggero italiano
degli anni '40-'50 (come Il gatto in cantina di N. Vitali). Il rilievo dato
all'uso della lingua italiana come ragione fondamentale della
rappresentazione indica il tentativo di trovare un elemento unificatore
nella dispersione e nell'isolamento e di definire una comunità
attraverso la lingua (l'italiano, non i dialetti). Inoltre è ancora
operante il tentativo di affermare una continuità, un trasferimento di
modi di vita e di valori: non a caso la storia di Don Camillo riporta a
una piena contemporaneità con il clima italiano degli anni '50, e
Golgotha riprende l'uso popolare, riconducibile alla tradizione delle
Passioni italiane. Mancano invece sia i riferimenti alla condizione
dell'emigrante, sia l'atteggiamento nostalgico verso la terra natale.
Questo apparirà in seguito e caratterizzerà fortemente il teatro italoaustraliano.
Il teatro universitario
Il successivo sviluppo del teatro italiano è avvenuto in un altro contesto,
parallelo e in qualche modo indipendente dall'evolversi della situazione
sociale: l'università. A Melbourne è stato attivo Colin McCormick alla
University of Melbourne; ad Adelaide Antonio Comin alla Flinders
University; a Sydney Frederick May alla University of Sydney. Essi
hanno fondato ο contribuito a stabilire i Dipartimenti di italiano nelle
università, e il teatro, a cui si sono dedicati in prima persona e che è
stato centrale nel loro progetto di emancipazione e di diffusione della
cultura italiana. La loro attività è stata sostenuta dall'impegno politico
per una cultura non elitaria, condivisibile nella società australiana ed
elemento di vivacità e di confronto. Anche se in modo diverso essi
hanno usato il teatro in funzione di questa idea.
Per il nostro discorso è importante riconoscere come il teatro
accademico sia intervenuto a proporre per almeno una decina d'anni un
possibile repertorio di teatro italiano in Australia.
Il teatro è stato per McCormick un modo per lavorare a contatto
con la cultura e la lingua italiana ed anche una passione personale. La
sua idea di teatro italiano in Australia si basava su una consapevolezza
"politica": la necessità di dare alla componente italiana lo spazio per
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esprimersi, nella convinzione che tutta la società australiana ne avrebbe
beneficiato. Si vedano, per esempio, le sue lettere al direttore di un
quotidiano di Melbourne, che presumibilmente risalgono agli anni '60,
dove, facendo fronte agli atteggiamenti razzisti molto forti nella società
australiana, dimostra di avere presente le difficili condizioni che gli
italiani in Australia dovevano affrontare (Defending espresso bars,
Attacking the migrants; dall'archivio personale di Jo McCormick,
Melbourne). Quest'idea di apertura con una pari dignità delle due
componenti linguistico-culturali si ritrova nell'allestimento del Tumulto
dei Ciompi di Massimo Dursi (Italian Week, National Theatre, St.
Kilda, 1975), recitato a serate alterne in italiano e in inglese dagli
studenti coinvolti in tutte le fasi della lavorazione fin dalla traduzione
del testo. Più interessante fu l'intervento di McCormick sul problema
della creazione di un repertorio. Egli infatti si adoperò per un doppio
sviluppo: quello del repertorio italiano e quello della produzione
originale di novità italo-australiane. Per la diffusione del repertorio
italiano (di fatto uno sviluppo dell'attività del teatro accademico)
McCormick sostenne la formazione di un Teatro Stabile di Melbourne
(1971-73) intorno ad Osvaldo Maione, attore e regista formatosi in Italia
e stabilitosi in Australia nel 1968. L'idea era quella di un teatro sul
modello degli Stabili italiani: municipale, collegato a una popolazione
cittadina, promotore di una politica di aggiornamento culturale, "teatro
d'arte" e "borghese." Se grazie al Teatro Stabile la drammaturgia
italiana fu presente, tuttavia non si agì su un bisogno espresso dalla
società. Le condizioni generali (la dispersione e l'oblio), che avrebbero
determinato la risposta ο meno del pubblico, rimasero immutate.
Per quanto riguarda il teatro italo-australiano, McCormick fu un
sostenitore di Nino Randazzo all'inizio degli anni '80, in pieno
multiculturalismo, come possibilità di una originale produzione locale.
In questo modo cercò di stabilire un contatto fra il Dipartimento di
italiano dell'Università e la comunità italiana.
Frederick May fu attivo soprattutto attraverso le traduzioni e la
divulgazione del teatro italiano nel contesto culturale anglosassone,
iniziative che presso l'Università di Sydney diedero origine alla
Frederick May Foundation. Agli "istituzionali" Pirandello e Goldoni egli
affiancava i testi innovativi del Gruppo '63 (eseguiti nel 1969), il teatro
futurista, le commedie borghesi e poi Morte accidentale di un anarchico
di Dario Fo. Del teatro rinascimentale, in quegli anni studiato e
rivalutato in Italia, furono da lui tradotti e realizzati con gli studenti la
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commedia goliardica del '400, Lamento della moglie di Cavicchiolo e
La Venexiana, allora considerate entrambe oscene; due Dialoghi di
Ruzante, Reduce e Bifora; la Mandragola di Machiavelli.
L'attività teatrale di Antonio Comin ha un carattere diverso da
quella promossa da May ο da McCormick: un'attività di regista che non
nasce da interessi esclusivamente intellettuali, didattici ο di promozione
della cultura italiana, ma si affianca al lavoro sulle tradizioni musicali
popolari con l'Italian Folk Ensemble, "Collettivo per la musica popolare
italiana" da lui fondato e diretto, e si distingue per l'impegno politico,
in sintonia con la cultura della sinistra italiana, che ispirava le sue regie
e i suoi progetti drammaturgici.
Come regista A. Comin ha allestito nel 1975 uno spettacolo su temi
femministi basato sulla radiocommedia Femminazione di Floriana Bossi
e Bianca Garufi. L'anno seguente La figlia di Iorio di D'Annunzio fece
parte del I National Italian Festival di Adelaide ed evidenziò il tema del
conflitto generazionale.
Interpretare la storia sociale attraverso il canto popolare per offrire
un'immagine diversa da quella della cultura ufficiale è l'esigenza che
si precisa sempre meglio nei successivi spettacoli, che portano
all'incontro con Fo. Con Maria Sanciolo e Christopher Bell, Comin
preparò un collage di canti sul tema dell'emigrazione ispirato a un
saggio di Vittorio Franceschi Qui tutto bene ... e così spero di te (1972)
e intitolata Questa è una storia (1977). L'edizione di Mistero buffo
preparata nel 1978 ripropose lo schema dello spettacolo concerto. Gli
episodi del testo di Fo erano intrammezzati da canti rituali e religiosi di
diverse regioni e affrontavano il tema della religiosità popolare (come
nel 1982 La Passione di Maria, canti e testi derivati ancora da Fo).
Padrone mio ti voglio arricchire (1979) è un collage di canti che
ripercorre la storia sociale dell'Italia dalla fine dell'Ottocento fino agli
anni '80: industrializzazione e canti di filanda, guerra mondiale, canti
di emigrazione, fascismo, resistenza, canzoni di Dario Fo. Gli spettacoli
musicali con l'Italian Folk Ensemble erano scritti ο "montati" tenendo
presente la spettacolarità dei cantastorie. La Ballata grande per
Francesco Fantin ne è un esempio, fra canto, sui metri delle tradizioni
popolari delle diverse regioni, e drammatizzazione popolare di un fatto
storico. Inoltre il soggetto è un episodio della storia italo-australiana,
l'uccisione di un anarchico da parte di fascisti avvenuta nel 1942 in un
campo di concentramento di italiani a Loveday Camp in South
Australia.
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La dimensione del concerto di musica popolare prendeva così le
forme di un vero e proprio spettacolo teatrale. Come si è visto,
l'esplicito modello di questa operazione è il teatro di Dario Fo degli
anni ' 6 8 - 7 0 , da Mistero buffo a Ci ragiono e canto. L'idea di teatro
politico, un uso ideologico della cultura popolare proposta in chiave
antiborghese, l'uso teatrale della canzone, della ballata, il lavoro in
collettivo, sono gli elementi che vengono acquisiti dall'esperienza di
Comin. È la prima volta che il "repertorio" del teatro italiano in
Australia prova a vincere la dispersione e l'oblio, fa suo il tema della
cultura popolare ed affronta la questione della storia recente
dell'emigrazione.
Il teatro italo-australiano e lo stereotipo celebrativoldenigrativo
Alla fine degli anni '70 si formano diversi gruppi amatoriali, alcuni dei
quali sono tutt'oggi attivi. In generale la funzione importante di queste
iniziative dilettantesche nell'ambito della collettività italo-australiana,
diversamente da quelli degli anni '50 e '60, è di diffondere un
repertorio specifico e di inculcare l'abitudine ad andare a teatro,
obiettivo raggiungibile se le scelte sono coerenti. Al repertorio del teatro
napoletano si dedicano il Gruppo Teatrale del West Australia di Perth
(attivo dal 1977), Le Maschere di Melbourne (dal 1979) e il Gruppo
Teatrale Napoletano (animato dal 1984 da Raffaele Matarese, che, a
parte Il berretto a sonagli di Pirandello, si è dedicato al teatro di
Eduardo).
A Sydney la Compagnia Teatrale Italiana fu formata nel 1973 e
Annibale Migliucci ne riprese l'attività nel 1993 con un repertorio molto
variato. A Melbourne sono attivi gli Amici del teatro di Adriana Frosi,
attrice e regista instancabile animatrice teatrale nelle comunità dei
suburbs della città. La Italo-Australian Theatre Company, infine, è nata
nel 1982 per dedicarsi all'allestimento degli autori italo-australiani. In
realtà, nonostante la presenza di diversi registi come Osvaldo Maione,
Franco Cavarra e Renato Cuocolo, e nonostante il rilievo offerto dalla
partecipazione agli Italian Arts Festivals, l'attività è stata limitata alla
proposta di un solo autore italo-australiano, Nino Randazzo, e non ha
rispettato il programma iniziale di promuovere il teatro italo-australiano
attraverso una serie di voci e proposte diverse.
Il gruppo di appassionati di teatro che appare a suo modo più
innovativo e discusso, e che ha funzionato commercialmente fino ad
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avere un assetto professionale (e persino programmi di teatro didatticolinguistico), è stato quello delle Broccoli Productions di Melbourne. Dal
1978, quando un gruppo di studenti dell'italian Student Association
della Melbourne University guidato da John Bono organizzò uno
spettacolo comico che venne inserito nel programma del primo Festival
Italiano delle Arti, la loro formula presenta situazioni e personaggi
ispirati alla vita quotidiana e familiare degli italo-australiani, i modi di
fare, le abitudini, i gusti, che sono in realtà le manie, il cattivo gusto,
le forme mentali che essi hanno osservato e vissuto nella generazione
dei loro genitori e in loro stessi. Variando il modello della stand up
comedy, Bono ha abilmente creato spettacoli leggeri adatti
all'intrattenimento innanzi tutto nelle feste, nei club, nei dinner dance
(occasioni tipiche della socialità italo-australiana), trasferiti poi nei teatri
a Melbourne, Adelaide, Sydney. I titoli suonano come: Fuori malocchio,
Ogni casa 'na croce, Mangia broccoli e cresce grande, Tutto a posto
e niente in ordine; quest'ultimo testo presenta (1994) una serie di
situazioni, scenette ο siparietti che raccontano momenti della vita di una
famiglia italo-australiana: il figlio in discoteca, la moglie che telefona
al talk show, il maschilismo del marito che però non sa fare neanche il
caffè, la salsa di pomodoro fatta in casa, i figli che non si vogliono
sposare ma si fanno mantenere dalla famiglia e chiedono i soldi alla
nonna (che li dà al nipote ma non alla nipote) ecc. La conoscenza di
ambienti e di linguaggio (l'"italoaustraliano" fatto di una realistica
mescolanza di inglese popolare, dialetti e italiano) è fondamentale, e
questo crea una specificità e una esclusività che permette la fruizione
solo all'interno della "tribù," della collettività italo-australiana.
Questa operazione è significativa perché propone a teatro una
autorappresentazione
degli
italo-australiani,
e
questa
autorappresentazione è comica, autoironica, grottesca. Ma invece di
avere un funzione critica, eversiva, carnevalesca, in questo caso il
comico alleggerisce le tensioni, evita i problemi e conferma l'ordine
esistente. Questo tipo di spettacolo, che continua a ripetersi con poche
modifiche e a soddisfare il suo pubblico, si rivela come un modo per
esorcizzare, nel riso, una profonda e inespressa insoddisfazione. Nel
vuoto lasciato dal "repertorio" disperso e dimenticato delle proprie
origini, l'immagine di sé viene ricostruita e narrata in una celebrazione
"al contrario," in termini di cronica svalutazione. Infatti, anche se in
questo caso lo spettacolo è rivolto a un pubblico italo-australiano,
questo stereotipo è poi quello creato dalla dominante cultura
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anglosassone in funzione discriminatoria (analogo agli stereotipi italiani
del "meridionale" e del "contadino").
Per l'uso esasperato dello stereotipo le Broccoli Productions hanno
anticipato Wogs out of work (nella cui prima edizione del 1987 l'attrice
Maria Portesi interpretava la ragazza italiana). Questo fortunato
spettacolo portò per la prima volta, e inaspettatamente, sulla scena
mainstream l'autocaricatura di sudeuropei working class (greco, italiano,
spagnolo) che affermavano provocatoriamente la propria "etnicità" come
valore e forza (e di conseguenza portavano a teatro un pubblico
giovanile che finora ne era stato escluso).
L'operazione delle Broccoli Productions rimane però meno
dirompente e più ambigua perché evita le ragioni dei conflitti, passati
e presenti, non offre spunti di critica, e si limita all'autodenigrazione/
autocelebrazione consolatoria, chiusa all'interno del gruppo italoaustraliano.
La rappresentazione stereotipata ha condizionato pesantemente la
drammaturgia italo-australiana. Nelle pièce di Osvaldo Maione la
disillusione degli ultimi emigrati negli anni '70 di fronte alla realtà
italo-australiana porta alla rappresentazione di quella realtà in termini
fortemente negativi (vedi gli atti unici pubblicati nell'antologia Voci
nostre). Ne Il nuovo seme un giovane e moderno studente affronta il
padre, retrivo e ostile padre/padrone meridionale; in Bitch il faccendiere
Don Ciccio ha efficacia di personaggio, colorito come nella commedia
napoletana, ma alla fine deve essere scacciato perché esponente di una
società malata. Questa rappresentazione non fa che confermare il senso
di sradicamento e frustrazione determinato dalla perdita del valore delle
proprie origini.
Anche nei testi del più noto autore di teatro italo-australiano, Nino
Randazzo, emerge il problema dello stereotipo e della celebrazione/
denigrazione. L'essere italiano (che prende corpo nel mito nostalgico
della terra natale, delle origini) si scontra con il disagio e il rifiuto di
questa appartenenza (da qui per esempio l'immagine stereotipata e
spesso grottesca di certe figure di "comari" e "compari" italo-australiani
ritratte da Randazzo con forte impazienza). Eppure Randazzo rifiuta i
pregiudizi e il complesso di inferiorità che gli immigrati italiani hanno
patito nei decenni precedenti. Liquida definitivamente le tesi
assimiliazioniste (secondo le quali gli immigrati dovrebbero integrarsi
nella nuova società negando le proprie origini) per affermare il valore
delle tradizioni (vedi nel Pane e le rose, 1980, la statua del santo
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patrono trasportata in Australia dal paese natio) e, immergendosi nella
cultura popolare degli italiani, rivendicare una maggiore ricchezza
culturale rispetto agli australiani. Ma nonostante queste intenzioni,
permane un imbarazzo, come una colpa da espiare, che è frutto della
dispersione e dell'oblio, e che prende corpo nello stereotipo comicogrottesco della autorappresentazione. Questo funziona bene a livello
spettacolare. Il Sindaco d'Australia (1981) è una commedia interessante
per la vivacità linguistica del droghiere in pensione orgoglioso di essere
diventato "sindaco" del suo quartiere a Sydney e che fa in questa veste
un disastroso viaggio in Italia in "visita ufficiale." Ma l'uso dello
stereotipo negativo, a ben vedere, sancisce la rassegnazione,
l'impossiblità di cambiamento, retaggio forse della storia contadina
italiana, che l'esperienza italo-australiana non ha fatto che confermare.
Quando Randazzo ricostruisce un episodio di violenza contro gli italiani
in una città mineraria in Le fiamme di Kalgoorlie (1987), gli stereotipi
(l'italiano focoso, il gerarchetto fascista, gli australiani beoni ecc.)
conducono verso la tesi della pièce che in fondo i guai e le intolleranze
si evitano solo standosene tranquilli perché: "Non cambia nulla, si
continua a sbattere le ali nella stessa gabbia di sempre. (...) Il tempo si
è fermato. Si guarda al passato, si guarda al futuro, ma si rimane
immobili, come in catene, non si riesce a tornare sui propri passi né a
fare un passo avanti." E in Victoria Market (1982), dramma sulla
campagna diffamatoria creata negli anni '50 intorno a due omicidi fra
italiani nel famoso mercato di Melbourne, la tesi razzista della presenza
della mafia in Australia fatta pesare sugli italiani non viene combattuta
nel senso dell'emancipazione e dell'intervento positivo nella società, ma
con una regressione verso l'immagine irraggiungibile e mitica di una
Sicilia contadina.
I testi di Randazzo ritraggono e interpretano, come nota Randazzo
stesso in un'intervista a Tony Mitchell del 1987, il mondo degli
emigranti della prima generazione vissuta fra gli anni '50 e '80, che
scomparirà con essa ("a desire to interpret this Italian world of migrants
in Australia which is dying out and passing away, and probably won't
exist any more in ten or fifteen years"). Quest'idea del teatro che
concerne la morte di una generazione sancisce la dispersione e non
lascia nessuna prospettiva per il futuro. I figli e i nipoti sono già
percepiti come diversi, compromessi e perduti, e questo a ben vedere si
risolve nella coscienza di una profonda disperazione (vedi L'ultima
flotta, 1989).
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Questi problemi sono presenti anche in Domenic Mico, che scrive
in inglese e opera a Canberra nell'ambiente anglofono utilizzando il suo
background italiano. Ma grazie all'uso più inventivo della componente
visiva, egli riesce a "spettacolarizzare" le immagini della memoria e a
renderle mitici segnali di un'altra dimensione. In The other side of the
moon (1988) l'immagine è quella di una grande barca che Benito, ο
Benny, costruisce per sconfiggere la solitudine, dove appaiono i suoi
ricordi e i suoi sogni. Egli vive nell'outback con la moglie, una farmer
pragmatica e vitale, in un capannone di lamiera. Ormai vecchio,
ricapitola una sera tutta la sua vita. I flashback di ricordi e fantasmi
creano così un contrasto fra l'ambiente tipicamente australiano e un suo
abitante che non gli appartiene. Un altro esempio della stessa tecnica
drammaturgica di Mico è la scena iniziale di Sirocco and the angel
(1993), dove il vecchio italiano Rocco parla al nipote australiano Gino,
e contemporaneamente appaiono sulla scena personaggi e azioni mute.
Il mito, la nostalgia, il riproporre immagini canoniche, sono tutti segnali
di una mancanza, di carenze ancora sentite e di una impossibilità di
sviluppare un discorso nuovo nel presente.
Se il ripiegamento su se stessi è stata la linea principale di sviluppo
della drammaturgia italo-australiana, è sbagliato concludere nello stesso
tono rinunciatario. In realtà c'è stato un testo degli anni '70 che andava
in un'altra direzione. Ma, pur preso in considerazione per un
allestimento in inglese, non è mai stato messo in scena da professionisti
e non ha avuto seguito. Nonostante i suoi limiti, L'amaro della canna
(1976) di Joe Abiuso indicava una strada, quella del dramma che
ricostruisce il passato recente e lo fa diventare storia collettiva. La
singolarità del dramma di Abiuso è nello sfondo di storia sociale degli
anni '50 degli italiani nel North Queensland — i rapporti di potere, le
lotte sindacali — contro il quale si svolge una neorealistica "storia vera":
Sesto ama la moglie del fratello Secondo, Annetta. In seguito ad un
incidente nei campi, Secondo scompare e i due iniziano una convivenza.
Ma Secondo non è morto e ritorna vecchio e storpio dopo tanti anni,
come cantastorie, per raccontare la sua tragica storia e per vendicarsi.
Riconosciuto da Annetta, fugge nei campi con una lanterna accesa,
appicca il fuoco e muore nel rogo. Accanto al dramma passionale e alla
forza del sesso che in questa terra perduta porta all'autodistruzione
simboleggiata dall'incendio finale (da notare che il fuoco viene
normalmente usato per raccogliere la canna da zucchero), ha rilievo il
tema sociale della condizione dei tagliacanne, descritta con precisione
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e realismo.
Questa linea "sociale," idealmente vicina al lavoro di Comin, non
sarà seguito dagli altri scrittori, più interessati all'intimismo delle
commedie familiari. Ma verrà sviluppata qualche anno dopo dal Doppio
Teatro e dal community theatre del Filef Theatre Group.
Il lavoro del nuovo teatro italo-australiano
Molto a ridosso delle esperienze appena esaminate si colloca l'attività
di artisti arrivati di recente dall'Italia. Ricordiamo Maria Luisa Abbate,
attrice di teatro e cinema apprezzata in Italia per l'interpretazione fra
l'altro di Medea di Porta Medina dei Santella, stabilitasi dal 1989 a
Fremantle dove dà vita col marito Michele Gentile ad iniziative di
studio e ricerca su "visual" e "performing arts," sul teatro e la cultura
aborigena, e dirige e interpreta (Memory Rooms, 1990; Questa sera si
recita a soggetto/ Tonight We Improvise, 1994). Né meno importante è:
l'IRAA Theatre che non nasce in relazione alla collettività italiana ma
in seguito al trasferimento a Melbourne dall'Italia del suo regista Renato
Cuocolo, e che si caratterizza per una ricerca d'avanguardia sull'attore
e per lo stile di recitazione. Ma ancora più significativa è la presenza di
attori italo-australiani della seconda generazione e la formazione di
compagnie professionali. La diversa età e la diversa sensibilità culturale
e politica permette loro di avere più chiaro il problema dell'ambiente in
cui operano.
A differenza delle realizzazioni della generazione precedente, questi
gruppi non puntano sul testo scritto e d'autore, su una drammaturgia
cioè preesistente al lavoro comune degli attori e del regista, ma
elaborano spettacoli originali usando tecniche drammaturgiche più
aggiornate (il laboratorio, il teatro frutto del lavoro collettivo). Questi
gruppi sono: il Filef Theatre Group di Sydney che ha fatto "community
theatre" su temi sociali e politici dal 1984 al 1988, quando ha interrotto
l'attività; e il Doppio Teatro di Adelaide che esplora le radici culturali
della collettività italo-australiana.
13
Doppio Teatro. In molti spettacoli di Doppio Teatro vi è un uso
evidente della comicità, della caricatura e del grottesco. Sono presenti
gli stereotipi dell'immigrato italiano, come nel Cabaret dell' emigrante
(1984, uno dei primi spettacoli di Doppio Teatro) ο in Una festa di
nozze (1992) — entrambi nati nei luoghi tipici della vita italo-
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australiana, il club e le festività familiari, gli stessi luoghi dove nasce
l'intrattenimento autocaricaturale delle Broccoli Productions. Ma
l'intenzione è qui volta a creare un contrasto fra l'immagine usata e la
realtà umana e politica rappresentata. Nella realizzazione di queste
caratterizzazioni Teresa Crea riconosce l'influenza di Lina Wertmuller,
della quale ha diretto la commedia Love and magic in Mamma's kitchen
(1992) ("We use stereotypes in our work, but it's a question of what
you do with them. Wertmuller creates controversy with her stereotypes
of the south, but there is a message that pulls everything beyond that,
and you get poignant moments that look at the south in a different
way").
Fondato nel 1983 da Teresa Crea e Cristopher Bell, Doppio Teatro
è un teatro bilingue (o trilingue: inglese, italiano ed "emigrante," come
Teresa Crea ha definito la mescolanza di italiano, dialetti e australiano
parlata dagli italo-australiani). Esso, operando da un'area "marginale"
attraverso una lingua attualmente viva ma non codificata e ufficializzata,
e parlando delle tradizioni popolari e regionali italiane giunte in
Australia con l'emigrazione, è riuscito a guadagnarsi una posizione fra
le compagnie australiane, pur rifiutando ogni gerarchizzazione culturale
ο strumentalizzazione del mainstream. Il suo repertorio recupera forme
popolari con una sensibilità contemporanea, come in La Madonna
emigrante (1987), che ricreava la processione religiosa all'aperto con
l'immagine venerata trasportata a spalle dagli uomini e accompagnata
dalla banda locale, ο come il community event del Presepio vivente
(1988) ο come Una festa di nozze (1992).
Rispetto alla drammaturgia della prima generazione, ci sono affinità
tematiche e diversità ideologiche evidenti se si confrontano per esempio
(come ha già fatto Mitchell) Il pane e le rose di Nino Randazzo e la
Madonna emigrante. In Randazzo un atteggiamento a priori fortemente
selettivo valorizza fino all'idealizzazione solo certi aspetti delle
consuetudini italo-australiane, come il culto del santo, ma ne condanna
altri, come le superstizioni e le credenze magiche, che fanno parte della
stessa cultura popolare. Doppio Teatro invece acquisisce l'italoaustralianità come complesso di storie vissute e patrimonio culturale, e
opera criticamente su di esse attraverso il linguaggio scenico.
Il passato, l'emigrazione e la condizione della donna sono altri temi
centrali di Doppio Teatro, che compaiono soprattutto in Ricordi
(1989), frutto del lavoro delle attrici Josie Eberhardt, Lucia
Mastrantone, Antonietta Morgillo e Teresa Crea. (È significativo, della
1
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persistenza dei tradizionali canali privilegiati fra Australia e Inghilterra,
il fatto che Ricordi è andato in tournée in Inghilterra, allo Youth
Theatre Festival di Leeds nel 1990, e non in Italia.) Dal passato al
presente, attraverso nove personaggi di donne di diverse generazioni che
raccontano, sul palcoscenico spoglio, le loro storie, da Napoli a
Adelaide, lo spettacolo definisce il rapporto del pubblico con la
memoria e la vita attuale, e presenta le ragioni dello scontro
generazionale.
La dimensione memoriale però non rimane vagheggiamento
nostalgico ma si collega alla ricostruzione delle storie personali e
collettive, come in Tinto di rosso - Red like the devil (1992) basato
sullo stesso episodio dell'uccisione dell'anarchico raccontato dal collage
di canti di Comin. Scavando nella storia recente degli ex prigionieri, di
solito taciuta perché tocca ancora vecchi rancori e divisioni, lo
spettacolo provoca alla fine una consapevolezza storica suggerendo una
sua interpretazione proprio attraverso la dimensione del racconto mitico:
la storia diventa una leggenda popolare sulla violenza dei malvagi (i
fascisti) che opprimono la libertà dell'eroe (l'anarchico). Sono espliciti
i contenuti politici, e appare, presente in Doppio Teatro, la vocazione
a un teatro, a un teatro educativo, di presa di coscienza (in questo molto
vicino a Dario Fo).
In Filling the silence (1993) il tema è la trasformazione della
cultura d'origine quando questa viene a contatto con la realtà
contemporanea, con i gesti veloci, l'immagine elettronica, la musica
tecnologica. Di fronte a questo tema ancora aperto la risposta di Doppio
Teatro sembra una conferma della sua linea: tradizione, trasferimento,
traduzione, ricontestualizzazione. Un "progetto Pulcinella," in corso nel
1994-95, ha portato: la regista genovese Valeria Campo, Paolo
Consiglio, specialista in maschere di cuoio che lavora a Firenze, e Elio
Gatti dell'Università di Canberra in qualità di dramaturg, a lavorare con
gli attori italo-australiani sulla drammaturgia e sulla recitazione di lazzi
e tirate di Pulcinella. Lo scopo è fare acquisire tecniche teatrali come
quelle della Commedia dell'Arte, spesso fraintese in Australia, e
utilizzarle nel nuovo contesto. La cultura delle origini viene così
esplorata e riacquisita per superare l'iconografia dell'emigrazione e dare
nuovo sviluppo al "repertorio."
Filef Theatre Group. A Sydney il più innovativo evento del teatro italoaustraliano è stato frutto di un progetto politico e culturale prima che
Lorenzo Perrona
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teatrale. Promotore ne fu la Filef (Italian Federation of Migrant Workers
and their Families, federazione fondata nel 1967 da Carlo Levi) attiva
a Sydney dal 1972 nel campo dell'assistenza agli emigrati italiani e
sostenuta dal PCI. Prima della formazione del Filef Theatre Group, la
Filef, fra l'altro, realizzò nelle scuole programmi per il mantenimento
della lingua italiana. L'uso e lo studio dell'italiano fra i giovani italoaustraliani in un ambiente anglofono era visto come un modo per
rinforzare l'identità sociale e conseguentemente la coscienza politica. Su
questa linea di lavoro si è inserita la pratica del teatro bilingue, che si
rivolgeva, attraverso tecniche e accorgimenti drammaturgici, ai parlanti
in inglese e in italiano e coinvolgeva un'intera comunità.
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Nuovo paese - New country (1984), è stato infatti un esempio di
community
theatre
che
ripercorreva
l'esperienza
collettiva
dell'emigrazione. La vicenda ha inizio nel parco di fronte alla
Leichhardt High School con la scena della partenza degli emigranti
ambientata in un paese della Calabria. Quindi attori e pubblico
entravano nella scuola a rappresentare il viaggio e la vita in Australia
in 25 anni e tre generazioni. L'iconografia è ancora quella
dell'emigrazione. Ma lo stereotipo è rotto dall'intervento straniante di
personaggi, simili a giullari ο cantastorie, che commentano l'azione e
aggiornano il pubblico, con esplicito intento didattico, sulla società e la
politica italiane. Per esempio, quando la madre discute con la figlia se
è meglio che stia a casa ο vada a lavorare, i giullari danno notizie del
movimento femminista in Italia.
Anche gli altri spettacoli del FTG hanno avuto temi politici: le lotte
delle donne, il pacifismo, il contributo dei lavoratori italiani allo
sviluppo economico australiano del dopoguerra: Ottomarzo - Eighth of
March (1985), Lasciateci in pace - Leave us in peace (1986), L'albero
delle rose - The tree of the roses (1987), Storie in cantiere - Stories in
construction (1988). Ma il community theatre deve essere continuamente
rinnovato nel suo rapporto con la comunità ο è facile che ripeta se
stesso. Il FTG infatti è andato incontro a una crisi (accentuata dalla crisi
della sinistra alla fine degli anni '80) e con gli spettacoli successivi non
è più riuscito ad essere incisivo come con Nuovo paese; il quale rimane
tuttavia esemplare. Insomma il lavoro di organizzatori e artisti si è
concentrato sulla realtà metropolitana italo-australiana, ha individuato
nelle scuole del quartiere italiano di Sydney un campo d'azione e nel
binomio cultura e politica un modo per raccontare la storia degli italiani
e riflettere su di essa. Quindi, è stata una rara occasione di festa
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comunitaria in cui la collettività italo-australiana si è direttamente
rappresentata e riconosciuta intorno ad un "repertorio" di storie personali
e collettive.
Il nostro discorso si è precisato intorno al problema della creazione
di un "repertorio" di teatro italiano in Australia. Il caso dell'IRAA
Theatre è diverso da quelli finora esaminati perché non nasce né vuole
collegarsi alla realtà italo-australiana. Proprio per questo esso ha
lavorato a creare un repertorio riconoscibile che lo ha fatto percepire in
Australia come portatore di un teatro inedito, incentrato come è:
sull'attore, sull'improvvisazione e la fisicità, sull'uso dei classici come
punto di partenza per la rielaborazione drammaturgica, sulla regia come
atto creativo.
Il suo animatore Renato Cuocolo stabilitosi a Melbourne da Roma
nel 1988, visse in Italia gli anni del teatrodanza, del teatro di immagine,
caratterizzato dall'uso della parola come pretesto e occasione per il
lavoro sull'attore. Poi si orientò verso lo studio delle culture teatrali
extraeuropee (il Sudamerica, l'India, le comunità aborigene) seguendo
le indicazioni di ricerca già praticate da Peter Brook. Sulla base di una
formazione tipicamente europea (Barba, Grotowski, Brook, Bausch), le
immagini di Cuocolo danno corpo a forti conflitti con un linguaggio allo
stesso tempo raffinato e "materico." Così come egli impegna i suoi
attori in una fisicità trascendentale, allo stesso modo ingaggia lo
spettatore in una sfida emozionale che lo riporta alla sacralità e ritualità
dell'esperienza teatrale.
Lontano da dove - Far from Where, il primo spettacolo presentato
in Australia ma non ancora prodotto in Italia, si distingue per il modo
in cui tratta il tema del viaggio, dell'esilio, della memoria. Filtrate
attraverso la memoria del personaggio che appare da solo in scena (un
meta-fisico emigrante), sulla scena si susseguono situazioni introdotte
dall'arrivo ripetuto di altri tre personaggi con le valigie i quali si
confrontano con oggetti simbolici (la sottoveste, la casa che brucia, la
porta che si apre e mette in comunicazione scena e fuori scena) ma che
vengono scacciati ogni volta dal suono del campanello agitato dal
personaggio sempre in scena.
Dopo aver lavorato sulla tragedia greca (Medea, The Trojan women,
Agamemnon, The Bacchae), aggiornando quelle immagini di conflitto
con l'uso di testi novecenteschi (da Thomas Mann a Joyce, Eliot,
Pasolini, Muller), Cuocolo è approdato a Othello, Othello (1995) che
utilizza brani di Shakespeare e di Verdi ed è costruito sulla riflessione
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e moltiplicazione del personaggio e delle sue ossessioni in un viaggio
nell'inconscio. Come scrive Cuocolo, sintetizzando le sue suggestioni,
"A whole part of our unconscious, or nocturnal soul, is explained by the
myth of Death, conceived as a departure on water." I miti teatrali
(Pentheus, Othello) sono legati insieme dalla realtà psico-fisica del
viaggio e dall'elemento ricorrente dell'acqua, come in Bacchae dove il
palcoscenico è completamente inondato.
Questo ci sembra un elemento nuovo ma assai incoraggiante che ci
permette di concludere la nostra analisi con un tocco di ottimismo per
il futuro. Cifra stilistica e mondo poetico sono molto lontani da quelli
finora esaminati. Ma, se consideriamo la costante presenza della sua
attività artistica nell'ambiente australiano, possiamo osservare che
Cuocolo riesce a far emergere a poco a poco riferimenti alla tradizione
culturale italiana (è il caso di Verdi nell'ultimo spettacolo) ed a
rielaborare con la propria voce e il proprio linguaggio un repertorio
nuovo e rinnovato. Avendo davanti agli occhi questi esempi, possiamo
concludere che il grosso merito del nuovo teatro italo-australiano è stato
quello di avere recuperato l'esperienza storica e sociale degli italoaustraliani e colmato il vuoto di dispersione e oblio creato
dall'emigrazione e dalle condizioni australiane degli anni '50 e '60. E
di conseguenza di avere iniziato a togliere alla autorappresentazione
degli italiani e della cultura italiana in Australia la svalutazione e la
denigrazione così radicata da anni di storia silenziosa e subordinata.
Questo è un grande risultato, ottenuto subito dopo che la generazione
precedente aveva rotto il silenzio iniziando a raccontare se stessa anche
in forma teatrale. Si è individuato un "repertorio" e lo si è percorso con
coerenza. In questa fase occorre ora superare l'attuale repertorio e
trovare un linguaggio più articolato che si allontani definitivamente
dallo stereotipo della autorappresentazione celebrativa-consolatoria:
Doppio Teatro lo sta facendo rivolgendosi alla tradizione del teatro
comico italiano; IRAA Theatre ha impostato il suo lavoro su questa
esigenza; altri artisti stanno cercando di farlo, ma soffrono ancora la
condizione dell'isolamento.
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LORENZO PERRONA
Genova
Lorenzo Perrona
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NOTE
1
Cfr. Stephen Castle, Ellie Vasta, Joseph Lo Bianco, "Dall'assimilazionismo al
multiculturalismo," in Italo-australiani. La popolazione di origine italiana in
Australia, a c. di Stephen Castle, Caroline Alcorso, Gaetano Rando e Ellie
Vasta (Torino: Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1992), pp. 121-51.
Il censimento del 1976 registrava l'"uso" della lingua inglese da parte degli
immigrati italiani: il 17% non usa l'inglese, il 74% usa l'inglese e almeno
un'altra lingua, il 6% usa solo l'inglese (cfr. Helen Ware, A profile of the
Italian community in Australia [Melbourne: Australian Institute of Multicultural
Affairs, and Co. As. It , 1981], pp. 29-31). Per quanto riguarda l'uso
dell'italiano, l'88% degli italo-australiani nati in Italia parla italiano in casa, e
il 52% sul luogo di lavoro, contro il 69% e il 29% degli italo-australiani nati
in Australia (cfr. Victorian Ethnic Affairs Commission, Language Use in
Australia, information paper, 1984, p. 11).
Geoffrey Milne, "The other side of the story. Multicultural drama in
Australia," Meanjin 3 (1994), 495-503.
Le fotografie sono conservate presso la Historical Society, Co. As. It.,
Melbourne.
La tipologia della processione drammatica di origine medievale è descritta in
Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano (Torino: Einaudi, 1955), p. 37.
Robert Pascoe, "Luogo e comunità: la costruzione dello spazio italoaustraliano," in Italo-australiani, op. cit., pp. 173-87; per l'indicazione di altre
festività cfr. id. Buongiorno Australia (Richmond, VIC: Greenhouse
Publications, 1987), pp. 210-15.
Pascoe, "Luogo e comunità," op. cit.
Le sue traduzioni di Pirandello sono state pubblicate da Penguin (Right you
are! If you think so; Henry IV; Lazarus; The life I gave you), Heinemann (Six
characters in search of an author; The jar) e dalla Pirandello Society di Leeds,
che ha pubblicato anche altre traduzioni fra le quali spiccano Goldoni, Mine
Hostess, The servant of two masters, The fan, The impresario from Smyrna, The
merry wives of Venice; Carlo Gozzi, The King Stag; A comedy of Venice;
Machiavelli, The Mandrake; Bibbiena, The comedy of Calandro; F. T.
Marinetti, Electric puppets; Rosso di San Secondo, What passion, you puppets!;
Diego Fabbri, The seducer.
Dallo spettacolo è stato tratto un serial per la televisione commerciale,
Akropolis Now, privo del senso provocatorio/liberatorio che aveva a teatro, cfr.
Tony Mitchell, "Wogs still out of work; Australian television comedy as colonial
discourse," Australasian Drama Studies 20 (aprile 1992), 119-33.
Voci nostre, a c. di J. Abiuso, M. Giglio e V. Borghese (Melbourne:
Tusculum, 1979).
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Il Sindaco d'Australia, Victoria Market e La gabbia e il bosco di Nino
Randazzo sono pubblicati da Insegna Publishers, Melbourne.
Victoria Market è stata presentata al 1986 Australian National Playwrights
Conference di Canberra (nella traduzione di Colin McCormick, adattamento
drammaturgico di Tony Mitchell, regia di Franco Cavarra e Anne Harvey, con
Carmelina Di Guglielmo e Adriana Frosi).
Franco Cavarra ha diretto Carmelina di Guglielmo e Maria Portesi in
Dialogue of a prostitute and her client e Sexual acts di Dacia Maraini
(Melbourne, 1989). Dina Panozzo ha scritto e interpretato Varda che bruta ...
poreta (Sydney, 1993), a one-woman show che rielabora l'esperienza traumatica
del viaggio in Italia degli italo-australiani, e il conseguente rifiuto di quel
mondo così diverso da come lo si era immaginato ο ricordato (un tema già
presente nel Sindaco d'Australia di Randazzo).
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In Tony Mitchell, "Doppio: a trilingual touring theatre for Australia," New
Theatre Quarterly (gennaio-marzo 1992), 77.
Teresa Crea, Josie Composto Eberhardt, Lucia Mastrantone e Antonietta
Morgillo, "Ricordi (Memories)," a c. di Elisabeth Mansutti con la collaborazione
di Diana Cavuoto, in Around the edge. Women's plays (Adelaide, South
Australia: Tantrum Press, 1992), pp. 4-63.
Ringrazio Rose Costelloe per avermi permesso di consultare il suo lavoro
inedito sull'attività del FTG.
"Nuovo paese — New country, a bilingual community show produced by
Filef, script writing and co-ordination by Patrick Cranney and Sonja Sedmak,
performed on 12, 13, 14, and 15 December 1984, in Pioneer Park, Leichhardt
and Leichhardt High School's Auditorium and Courtyard." Dattiloscritto inedito.
Cfr. anche Robin Laurie, "Twelve weeks in a Nuovo Paese," in Community
Theatre in Australia, a c. di Richard Fotheringham (North Ryde, NSW:
Methuen Australia, 1987).
Sull'accoglienza del pubblico cfr. Maria Shevstova, "Audience for FTG's
'L'albero delle rose/ The tree of roses' and 'Storie in cantiere/Stories in
construction'," Australasian Drama Studies 20 (aprile 1992), 93-118.
Renato Cuocolo, "Water and Reverie," Inter nos 2 (marzo 1995), 9.
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