Riflessioni di copertina Riflessioni di copertina L’olio su tela di Giovanni Frangi intitolato Val Bondone è un dipinto di grande formato – caso non isolato nella produzione dell’artista –, che sulla copertina di questo numero, per ovvie ragioni, possiamo ammirare soltanto in versione ridotta. Dal vero, sviluppandosi in verticale, immerge lo spettatore nel paesaggio che ritrae. Questa fruizione “immersiva” delle sue opere, indissolubilmente legata al fattore dimensionale, non è un aspetto secondario, ma è parte integrante dell’approccio di Frangi e del complesso equilibrio che la sua pittura tenta d’instaurare con la rappresentazione della natura e con la tradizione paesaggistica, all’interno della quale egli andrebbe – credo legittimamente – collocato, seppure in una posizione peculiare. Ci troviamo infatti di fronte, è bene sottolinearlo subito, a paesaggi non realistici, nonostante l’artista prenda programmaticamente le mosse dalla realtà. Questa semplice constatazione, all’apparenza contraddittoria, cela tutto lo spessore teorico della rielaborazione cui Frangi sottopone l’inesausto rapporto tra figurazione e astrattismo, per il quale la riproduzione descrittiva della natura, specie dopo l’avvento della fotografia a colori, ha sovente costituito una fonte d’imbarazzo. Non a caso, all’inizio del Novecento, il filosofo Ernst Bloch ebbe a definire il movimento espressionista tedesco (ma il suo discorso vale per qualsiasi avanguardia) come un fenomeno essenzialmente metropolitano. Le temperature cromatiche di un Franz Marc, per esempio, trasportano nelle vallate del Tirolo e dell’alta Baviera le acquisizioni estetiche maturate dall’artista tra Monaco e Parigi. Analogamente, la valle Bondone raffigurata in copertina ha perso, nella trasposizione su tela, i suoi colori originari e ne ha acquisiti altri: “innaturali”, evidentemente fittizi, forse emozionali, sorti dall’incontro tra lo sguardo del pittore milanese e la montagna. Una breve nota etimologica può aiutare a comprendere più a fondo. “Bondone” è un toponimo assai ricorrente nelle zone alpine, che deriva dal sostantivo bondo, la cui radice è comunemente ricondotta al lemma germanico medievale bont, ossia “prato, pascolo”: il fatto che nell’opera di Frangi non si trovi nemmeno una goccia di verde esprime meglio di tanti e articolati discorsi la tensione, presente in ogni suo quadro, verso la trasfigurazione della natura grazie all’uso del colore. Un tentativo intrapreso non solo sulle Alpi dal già citato Franz Marc, ma anche, all’altro estremo dell’arco novecentesco, dal britannico David Hockney nelle campagne inglesi. Mentre costoro non abbandonano mai totalmente la figurazione, in quest’opera di Frangi diventa invece difficile, se non impossibile, comprendere con chiarezza forme e contorni dei soggetti rappresentati, ormai liquefatti e dissolti in sofferte campiture e chiazze cromatiche, che trapassano e s’innestano le une nelle altre, sporcate da pennellate decise. Intuiamo vagamente il serpeggiare di un corso d’acqua, forse dei massi, ma potrebbe anche trattarsi di covoni di fieno, vacche o qualche altro animale… I colori qui sembrano coprire la natura raffigurata, nasconderla agli occhi dell’artista e soprattutto dello spettatore. Colori che tuttavia non sono autoreferenziali, non fungono cioè da puri Giovanni Frangi, Val Bondone, 2013, olio su tela, cm 130 × 100, Courtesy Galleria dello Scudo, Verona Giovanni Frangi (Milano, 1959). Dal 1978 al 1982 studia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Nel 1983 esordisce nella collettiva Giovani pittori e scultori italiani alla Rotonda della Besana a Milano. Nel 1986 la sua personale alla Galleria Bergamini di Milano è corredata da un catalogo introdotto da Achille Bonito Oliva. Del 1997 è la mostra Frangi. Paesaggi 1986-1996 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano Veneto. Nel 1998 vince il premio della Camera dei Deputati alla XII Quadriennale di Roma, che consiste in una mostra allestita l’anno successivo nella Sala del Cenacolo a Montecitorio: La fuga di Renzo. Nel 1999, presso il Palazzo delle Stelline a Milano, presenta Il richiamo della foresta, ricostruzione di un bosco dipinto. Nel 2000 realizza Viaggio in Italia alla Galleria dello Scudo di Verona. Nel 2004 presenta a Villa Panza a Varese Nobu at Elba, un fiume di notte con la luce che varia nel tempo e, lo stesso anno, inaugura la personale Take-off alla Galleria dello Scudo di Verona. Nel 2006 allestisce View-master da Poggiali e Forconi a Firenze. Nel 2008 allestisce SassiSassi alla galleria Raphael di Francoforte ed espone la suite Pasadena alla Galleria d’Arte Moderna di Udine; sempre nel 2006 Feltrinelli pubblica Giovanni Frangi alle prese con la natura, in cui vengono raccolti tutti i saggi di Giovanni Agosti dedicati al suo lavoro. Tra il 2008 e il 2009 realizza MT2425 nell’Oratorio di San Lupo a Bergamo. Nel 2010 organizza la mostra Divina – Wallpaper presso la sede del Credito Bergamasco a Bergamo ed espone il ciclo La règle du jeu presso il Teatro India di Roma nonché Giardini pubblici al Mart di Rovereto. Nel 2011 riprende l’esposizione romana di La règle du jeu al Museo Diocesano di Milano e inaugura Straziante, meravigliosa bellezza del creato presso Villa Manin a Passariano di Codroipo. Nel 2102 Il rosso e il nero viene allestito a Strasburgo nella sede del Parlamento europeo. Nel 2013 espone Sheherazade al Museo San Matteo di Pisa e nel 2014 Mollate le vele –un’installazione per Jonas al Maxxi di Roma. Nel 2003 e nel 2011 espone alla Biennale di Venezia. esercizi stilistici né tantomeno da transfert proiettivi stesi sulla tela intesa come specchio dell’inconscio. Frangi sembra piuttosto dipingere con l’intenzione di far trasparire soltanto una sensazione luminosa, un’allusione formale. Sulla tela rimane un’atmosfera di quel paesaggio reale che nell’osservatore penetra e risuona più a fondo rispetto, per esempio, a una sua immagine fotografica, e così, paradossalmente, lo reimmerge con maggiore forza in quella stessa realtà da cui il colore pareva averlo allontanato. Veronica Liotti