l` inesauribile attrattiva di charles dickens

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FRONTIERA DI PAGINE
LETTERATURA MODERNA
L’ INESAURIBILE ATTRATTIVA DI
CHARLES DICKENS
DI ANDREA GALGANO
http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Prato 20 settembre 2011
R.W.BUSS, Dickens's Dream, 1875, Londra, The Charles Dickens Museum L
’opera di Charles Dickens (18121870) è interamente attraversata da
una positiva e inesauribile difesa per
la bellezza del cosmo e dell’esistenza umana.
G. K. Chesterton, che fu uno dei più grandi
esegeti dello scrittore, pur mettendo in guardia
da una scrittura, che in alcuni frangenti si
rifugiava nel sentimentalismo corrosivo, scriveva che “chi ama Dickens ha
l’impressione che egli sia davvero inesauribile. È questa sua infinitezza straordinaria
che lo distingue anche dai più grandi e prolifici artisti romantici dell’ultimo periodo –
I come, ad esempio, Stevenson. Ho letto “L’isola del Tesoro” venti volte e la conosco
bene. Eppure, non sento di conoscere così bene “Pickwick”. Potrei leggerlo un milione
di volte e ogni volta leggere qualcosa di nuovo” e ancora “nelle sue pagine ci dice di
amare l’uomo. Ma nelle sue pagine spensierate, crea uomini da amare. Con la sua
gravità ci comanda di amare il nostro prossimo. Ma sono le sue caricature che ce lo
fanno amare”
Lo sguardo di Chesterton si posa sull’intima natura di Dickens, che nei suoi romanzi ha
amato e fatto vivere la libertà umana, contrassegnando la dignità e quella “prosa
segreta”, come scriveva Graham Greene, che scopre i fili della memoria e li lega in un
unico tessuto
Inizia dai bozzetti urbani (Sketches by Boz) pubblicati sul «Morning Chronicle», a cui
egli collaborava come giornalista tout court. Già da quest’opera si percepisce come
sentiva l’anima dei suoi personaggi, in una luce immortale che resisteva ai confini della
pagina. Pre-esistono, in un certo senso, al suo autore. Sono appunti d’immaginazione di
fatti accaduti, rivisti con la sua scintilla e che egli non esita a descrivere: i bassi quartieri
londinesi, popolati da figure strane e caricaturali, puntellate con voce e tratto sicuro. La
sua stessa vita sembra intrecciarsi con quella precarietà e quel senso di rivendicazione,
con forza e ricchezza. Questa vivezza non è frutto solo di un’immaginazione fervida, è
espressione di una profonda conoscenza e coscienza dell’avventura umana. L’umorismo
de “Il circolo Pickwick”, pubblicato tra il 1836 e il 1837, è pieno di trame tragicomiche,
sin dalle presentazioni dei suoi attori. Multiformi, come Sam Weller, servo di Pickwick,
simbolo di una conoscenza allegra del mondo, o Pickwick stesso che finisce in prigione
a causa di una bonaria ingenuità. In quest’opera Dickens assomiglia a una figura molto
vicina a Cervantes, come sottolineò Mario Praz nella sua letteratura. Romanzo che si
perde in romanzi e strade abitate dalla spavalderia di un meccanismo sociale e legale,
ancora attraversato da un’ingiustizia di un mondo, quello della vecchia Inghilterra, in
preda a trasformazioni industriali, nuove e imminenti
Sembrerebbe quasi che qui Dickens esprima il suo sense of humour compiutamente, ma
è già codice di una mente ampia, di un fluttuare di immagini senza resa, in una parola,
di una visione di insieme. L’iniziazione alla vita ha l’immagine della fragilità, come
testimoniano Nicholas Nickleby e Oliver Twist (trovatello in mano a una banda di ladri e
in lotta con il suo fratellastro) o Christmas Carol (parabola del vecchio spilorcio
Scrooge che subisce una conversione), dove l’io narrante entra nel mondo amandolo e
combattendolo. L’avventura dei suoi personaggi fluttua nell’avventura, in modo quasi
picaresco e spesso brutale. Oliver Twist è l’emblema di un realismo vivido e
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II trasparente. Entrare nel mondo significa percorrere la vertigine dell’esistenza, una
rivolta radicale che non disdegna il pittoresco, ma che nel punto focale del discorso
narrativo insegue un’immagine compiuta e precisa. Secondo J.Hillis Miller, egli si
rifarebbe, pertanto, ai temi ereditati da Fielding o da Sterne, con la sua folla indistinta di
figure e panoramiche interiori di città
Egli rimane contrario al positivismo meccanicistico della scelta. I suoi sono personaggi
che scelgono, che impongono la loro direttiva all’esistere. L’analisi del reale è sempre
debordante in Dickens, fa mutare di prospettiva. In Tempi difficili, Gradgrind piega la
‘sua’ realtà dinanzi a quella vera, non precostituita, non misurabile: «Chissà se vide se
stesso vecchio e canuto, intento a piegare le sue inflessibili teorie alle circostanze; ad
assoggettare fatti e cifre alla Fede, alla Speranza e alla Carita, senza più cercare di
ridurre in polvere, con la macina del suo piccolo mulino, quei tre sublimi valori?».
L’aria cattiva della sgradevolezza del tempo, il suo imbroglio, che vive Stephen, uno dei
personaggi chiave, lo lacera, lo incide, ma ad un tratto, dal pozzo in cui era caduto invita
Rachael a guardare in alto. Vide che egli fissava un punto di stella: «Ha brillato sopra di
me quand’ero la sotto, mentre penavo e soffrivo, ‐disse con riverenza.‐ Ha brillato sulla
mia anima. L’ho guardata e ho pensato a te, Rachael, finche tutto l’imbroglio che avevo
in testa non s’è un po’ schiarito, almeno un po’, spero. Se mi vogliono capire meglio,
anch’io ho cercato di capirli meglio. [...] Ma nei nostri giudizi e nelle nostre azioni
bisogna sopportare e avere pazienza. Nella mia pena e nella mia sofferenza ho guardato
in alto, e la c’era una stella che brillava e ho visto tutto più chiaro. La mia ultima
preghiera e che tutti a questo mondo possano stare più uniti e capirsi meglio di quando
c’ero qui anch’ io con il mio povero corpo».
David Copperfield è un poema più che un romanzo. Itinerario di giovinezza
innanzitutto, ma anche vitalità espressiva, dove le caratterizzazioni morali sono
subitanee, istintive (si pensi a Micawber) e dove le mille traversie del personaggio
cercano un approdo, un limpido sguardo d’amore. Un poema, si è detto, ma anche
un’autobiografia speculare, che vibra del bisogno di raccontare se stesso, per raccogliere
un bisogno e un istinto primario di salvezza. Anche in Grandi speranze, romanzo finale
della maturità, egli possiede un’ironia serena, una placidità che però mette in crisi la
stessa idea di romanzo di formazione, lo scompagina in mille rivoli. Pip è la figura
dell’aspettativa, di un ‘di più’, che si posa, come scrive ancora Chesterton: “sulla
prossima persona che parlerà, sul prossimo comignolo da cui uscirà del fumo, sul
prossimo evento, sulla prossima estasi, sulla prossima realizzazione di qualsiasi
insaziabile fantasia umana”. L’orizzonte di uno sguardo rivela l’anima dickensiana:
«Uno sguardo muto di amore e considerazione quando tutti gli altri occhi si volgono
freddamente altrove»
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III «… Rachael,guarda là, in alto!
Seguendo il suo sguardo, Rachael si accorse che fissava una stella
«Ha brillato sopra di me, nel mio dolore e nella mia sofferenza quaggiù», disse in tono riverente. «L’ho
guardata e ho pensato a te, Rachael, fino a che tutto l’imbroglio che avevo in testa non si è schiarito, un
pochino almeno, spero. Se mi vogliono capire meglio, anch’io ho cercato di capirli meglio. Quando ho
ricevuto la tua lettera, ho subito visto ch quel che mi aveva detto e aveva fatto per me il fratello, era
tutt’uno e che c’era una malvagia complicità fra loro contro di me. Quando sono caduto nel pozzo, ero
pieno di rabbia contro di lei e correvo per essere verso di lei ingiusto, come gli altri lo erano stati verso di
me. Ma nei nostri giudizi e nelle nostre azioni bisogna sopportare e avere pazienza. Nella mia pena e
nella mia sofferenza ho guardato in alto, e la c’era una stella che brillava e ho visto tutto più chiaro. La
mia ultima preghiera e che tutti a questo mondo possano stare più uniti e capirsi meglio di quando c’ero
qui anch’ io con il mio povero corpo».
(Tempi difficili)
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