Cornelio Nepote
Alcibiades, 1
Latino
ALCIBIADES, Cliniae filius, Atheniensis. In hoc, quid natura efficere possit, videtur experta.
Constat enim inter omnes, qui de eo memoriae prodiderunt, nihil illo fuisse excellentius vel in vitiis
vel in virtutibus. 2 Natus in amplissima civitate summo genere, omnium aetatis suae multo
formosissimus, ad omnes res aptus consiliique plenus - namque imperator fuit summus et mari et
terra, disertus, ut in primis dicendo valeret, quod tanta erat commendatio oris atque orationis, ut
nemo ei [dicendo] posset resistere -, dives; 3 cum tempus posceret, laboriosus, patiens; liberalis,
splendidus non minus in vita quam victu; affabilis, blandus, temporibus callidissime serviens: 4
idem, simulac se remiserat neque causa suberat, quare animi laborem perferret, luxuriosus,
dissolutus, libidinosus, intemperans reperiebatur, ut omnes admirarentur in uno homine tantam esse
dissimilitudinem tamque diversam naturam.
Italiano
Alcibiade, figlio di Clinia, era Ateniese. In questo, pare che la natura abbia tentato di fare le
massime prove possibili. Infatti risulta evidente tra tutti quelli che hanno tramandato la sua
memoria, che nessuno più di lui è stato eccellente sia nei vizi che nelle virtù. Nato in una
grandissima città, di ottima famiglia, era di gran lunga il più bello di tutti nel suo tempo, adattissimo
e pieno di saggezza a tutte le cose anche le più difficili ( e infatti era un grandissimo comandante sia
in mare che in terra ); era eloquente tanto da farsi valere tra i primi nel dire, poiché era di un’
eloquenza tanto straordinaria che nessuno gli poteva resistere. Quando le circostanze lo
richiedevano, era laborioso, paziente , liberale, signorile nella vita pubblica e non meno nella vita
privata, era affabile, lusinghiero, poiché si adattava con astuzia alle circostanze. Egli stesso, nello
stesso tempo si era svagato e non c’ era motivo per cui sopportasse il dolore dell’ animo, era
considerato sregolato al massimo, dissoluto, capriccioso, così tanto che tutti si meravigliavano che
in un solo uomo ci fosse una così grande varietà di costumi ed una tanto diversa natura.
Alcibiades, 2
Latino
Educatus est in domo Pericli - privignus enim eius fuisse dicitur -, eruditus a Socrate; socerum
habuit Hipponicum, omnium Graeca lingua loquentium ditissimum: ut, si ipse fingere vellet, neque
plura bona comminisci neque maiora posset consequi, quam vel natura vel fortuna tribueret. Ineunte
adulescentia amatus est a multis amore Graecorum, in eis Socrate; de quo mentionem facit Plato in
symposio. Namque eum induxit commemorantem se pernoctasse cum Socrate neque aliter ab eo
surrexisse, ac filius a parente debuerit. Posteaquam robustior est factus, non minus multos amavit;
in quorum amore, quoad licitum est odiosa, multa delicate iocoseque fecit, quae referremus, nisi
maiora potiora haberemus.
Italiano
Fu allevato nella casa di Pericle -infatti si dice che fosse suo figliastro -, istruito da Socrate. Ebbe
per suocero Ipponico, di gran lunga il più ricco di tutti i Greci, sì che se anche avesse voluto
inventarsele, non avrebbe potuto immaginare più ricchezze né ottenerne di maggiori, rispetto a
quelle che o la natura o la fortuna gli aveva concesso. Nella sua prima giovinezza fu amato da molti,
come è costume dei Greci, fra cui Socrate e di questo fa cenno Platone nel Simposio. Infatti lo
introduce che ricorda di aver dormito con Socrate e di essersi alzato dal suo letto non altrimenti che
un figlio si sarebbe alzato dal letto del padre. Dopo che divenne più maturo, ne amò a sua volta
altrettanti e nel corso di questi amori commise, finché gli fu lecito, atti biasimevoli, ma anche molti
raffinati e spiritosi. Li riferiremmo se non avessimo da parlare di cose più serie ed importanti.
Alcibiades, 3
Latino
Bello Peloponnesio huius consilio atque auctoritate Athenienses bellum Syracusanis indixerunt; ad
quod gerendum ipse dux delectus est, duo praeterea collegae dati, Nicia et Lamachus. Id cum
appararetur, priusquam classis exiret, accidit, ut una nocte omnes Hermae, qui in oppido erant
Athenis, deicerentur praeter unum, qui ante ianuam erat Andocidi. Itaque ille postea Mercurius
Andocidi vocitatus est. Hoc cum appareret non sine magna multorum consensione esse factum,
quae non ad privatam, sed publicam rem pertineret, magnus multitudini timor est iniectus, ne qua
repentina vis in civitate exsisteret, quae libertatem opprimeret populi. Hoc maxime convenire in
Alcibiadem videbatur, quod et potentior et maior quam privatus existimabatur. Multos enim
liberalitate devinxerat, plures etiam opera forensi suos reddiderat. Qua re fiebat, ut omnium oculos,
quotienscumque in publicum prodisset, ad se converteret neque ei par quisquam in civitate
poneretur. Itaque non solum spem in eo habebant maximam, sed etiam timorem, quod et obesse
plurimum et prodesse poterat. Aspergebatur etiam infamia, quod in domo sua facere mysteria
dicebatur; quod nefas erat more Atheniensium, idque non ad religionem, sed ad coniurationem
pertinere existimabatur.
Italiano
Durante la guerra del Peloponneso gli Ateniesi, seguendo il suo autorevole parere, dichiararono
guerra ai Siracusani; ed a condurla fu scelto come comandante lui stesso; gli furono inoltre
assegnati due colleghi, Nicia e Lámaco. Mentre si facevano i preparativi, prima che la flotta uscisse
dal porto, accadde che in una stessa notte tutte le erme della città venissero abbattute tranne una,
che si trovava davanti alla casa di Andocide: così quella fu in seguito chiamata il Mercurio di
Andocide. Siccome era evidente che l\'azione era stata compiuta con la complicità di molti, che non
avevano di mira faccende private, ma dello Stato, la gente fu presa da una grande paura che
all\'improvviso scaturisse nella città un colpo di Stato per sopprimere la libertà. Sembrava che tutto
questo si addicesse a pennello ad Alcibiade, dato che era abbastanza potente e più che un privato
cittadino: infatti molti aveva legato a sé con la sua generosità, più ancora aveva fatto suoi sostenitori
con la sua attività forense. Per questo motivo, ogni volta che si presentava in pubblico, attirava su di
sé gli occhi di tutti e nessuno nella città era considerato pari a lui. Così riponevano in lui non solo
una grandissima speranza ma anche timore perché poteva fare del bene o del male in sommo grado.
Godeva inoltre di cattiva fama perché si vociferava che in casa sua praticasse i misteri, cosa empia
per gli Ateniesi e si riteneva che ciò avesse a che fare non tanto con la religione quanto con una
congiura.
Alcibiades, 4
Latino
Hoc crimine in contione ab inimicis compellabatur. Sed instabat tempus ad bellum proficiscendi. Id
ille intuens neque ignorans civium suorum consuetudinem postulabat, si quid de se agi vellent,
potius de praesente quaestio haberetur, quam absens invidiae crimine accusaretur. 2 Inimici vero
eius quiescendum in praesenti, quia noceri non posse intellegebant, et illud tempus exspectandum
decreverunt, quo exisset, ut absentem aggrederentur; itaque fecerunt. 3 Nam postquam in Siciliam
eum pervenisse crediderunt, absentem, quod sacra violasset, reum fecerunt. Qua de re cum ei
nuntius a magistratu in Siciliam missus esset, ut domum ad causam dicendam rediret, essetque in
magna spe provinciae bene administrandae, non parere noluit et in trierem, quae ad eum erat
deportandum missa, ascendit. 4 Hac Thurios in Italiam pervectus, multa secum reputans de
immoderata civium suorum licentia crudelitateque erga nobiles, utilissimum ratus impendentem
evitare tempestatem clam se ab custodibus subduxit et inde primum Elidem, dein Thebas venit. 5
Postquam autem se capitis damnatum bonis publicatis audivit et, id quod usu venerat, Eumolpidas
sacerdotes a populo coactos, ut se devoverent, eiusque devotionis, quo testatior esset memoria,
exemplum in pila lapidea incisum esse positum in publico, Lacedaemonem demigravit. 6 Ibi, ut ipse
praedicare consuerat, non adversus patriam, sed inimicos suos bellum gessit, qui eidem hostes
essent civitati: nam cum intellegerent se plurimum prodesse posse rei publicae, ex ea eiecisse
plusque irae suae quam utilitati communi paruisse. 7 Itaque huius consilio Lacedaemonii cum Perse
rege amicitiam fecerunt, dein Deceleam in Attica munierunt praesidioque ibi perpetuo posito in
obsidione Athenas tenuerunt; eiusdem opera Ioniam a societate averterunt Atheniensium; quo facto
multo superiores bello esse coeperunt.
Italiano
Nell\'assemblea popolare era accusato di questo crimine dai suoi nemici. Ma incalzava il tempo di
partire per la guerra. Pensando egli a questo e ben conoscendo le abitudini dei suoi concittadini,
chiedeva che se volessero intraprendere\' un\'azione penale contro di lui, si facesse subito l\'indagine
giudiziaria piuttosto che essere citato assente per un\'accusa dei malevoli. 2 I suoi nemici però
capivano che per il momento bisognava star calmi, perché non si poteva nuocergli e decisero di
aspettare quando fosse partito, per attaccarlo durante la sua assenza. E così fecero. 3 Infatti, quando
ritennero che fosse giunto in Sicilia, lo accusarono assente di aver profanato i misteri. Per questo gli
fu spedito in Sicilia un messo dal magistrato, con l\'ordine di ritornare per difendersi ed egli, che
nutriva molte speranze di poter adempiere bene alla sua missione, non volle disubbidire e si
imbarcò su una trireme mandata apposta per riportarlo. 4 Arrivato con questa a Turii in Italia,
riflettendo molto tra sé e sé sulla licenza senza freno dei suoi concittadini e sulla loro crudeltà
contro i nobili, ritenne la soluzione migliore di evitare l\'imminente tempesta, e quindi si sottrasse di
nascosto ai suoi guardiani e da lì andò prima nell\'Elide, poi a Tebe. 5 Quando poi venne a sapere di
essere stato condannato a morte, alla confisca dei beni e, cosa che accadeva spesso, che i sacerdoti
Eumolpidi erano stati costretti dal popolo a scomunicarlo e una copia della scomunica, perché ne
rimanesse più sicura memoria, incisa su una colonnetta di pietra, era stata esposta in pubblico, se ne
andò a Sparta. 6 Lì, come soleva ripetere, condusse una guerra non contro la patria, ma contro i suoi
avversari, perché erano anche i nemici della città; i quali benché capissero che lui poteva essere di
grande aiuto allo Stato, lo avevano cacciato e avevano ubbidito più al proprio risentimento che
all\'interesse comune. 7 Così dietro suo suggerimento gli Spartani strinsero amicizia con il re di
Persia; quindi fortificarono Decelèa nell\'Attica e, posto ivi un presidio permanente, strinsero
d\'assedio Atene. Sempre per opera sua allontanarono la lonia dall\'alleanza con gli Ateniesi. Da
quel momento cominciò la netta supremazia degli Spartani nella guerra.
Alcibiades, 5
Latino
Neque vero his rebus tam amici Alcibiadi sunt facti quam timore ab eo alienati. Nam cum acerrimi
viri praestantem prudentiam in omnibus rebus cognoscerent, pertimuerunt, ne caritate patriae ductus
aliquando ab ipsis descisceret et cum suis in gratiam rediret. Itaque tempus eius interficiundi
quaerere instituerunt. Id Alcibiades diutius celari non potuit. Erat enim ea sagacitate, ut decipi non
posset, praesertim cum animum attendisset ad cavendum. Itaque ad Tissaphernem, praefectum regis
Darii, se contulit. Cuius cum in intimam amicitiam pervenisset et Atheniensium male gestis in
Sicilia rebus opes senescere, contra Lacedaemoniorum crescere videret, initio cum Pisandro
praetore, qui apud Samum exercitum habebat, per internuntios colloquitur et de reditu suo facit
mentionem. Erat enim eodem, quo Alcibiades, sensu, populi potentiae non amicus et optimatium
fautor. Ab hoc destitutus primum per Thrasybulum, Lyci filium, ab exercitu recipitur praetorque fit
apud Samum; post suffragante Theramene populi scito restituitur parique absens imperio praeficitur
simul cum Thrasybulo et Theramene. Horum in imperio tanta commutatio rerum facta est, ut
Lacedaemonii, qui paulo ante victores viguerant, perterriti pacem peterent. Victi enim erant quinque
proeliis terrestribus, tribus navalibus, in quibus ducentas naves triremes amiserant, quae captae in
hostium venerant potestatem. Alcibiades simul cum collegis receperat Ioniam, Hellespontum,
multas praeterea urbes Graecas, quae in ora sitae sunt Asiae, quarum expugnarant complures, in his
Byzantium, neque minus multas consilio ad amicitiam adiunxerant, quod in captos clementia
fuerant usi. Ita praeda onusti, locupletato exercitu, maximis rebus gestis Athenas venerunt.
Italiano
Ma pur con questi successi, gli Spartani non tanto divennero amici di Alcibiade, quanto gli si fecero
nemici per paura. Infatti conoscendo di quell\'uomo tanto energico la grande intelligenza in tutte le
cose, temettero che spinto dall\'amor di patria, una volta o l\'altra si staccasse da loro e si
riconciliasse con i propri concittadini. Così cominciarono a cercar l\'occasione di ucciderlo. La cosa
non poté rimanere a lungo celata ad Alcibiade; aveva infatti un fiuto infallibile, soprattutto quando
avesse predisposto la mente a star all\'erta. Così si rifugiò da Tissaferne, satrapo del re Dario. Ne
divenne intimo amico e poiché vedeva che la potenza degli Ateniesi, per l\'infelice impresa di
Sicilia, declinava, mentre aumentava quella degli Spartani, in un primo momento per mezzo di
intermediari entra in trattativa con lo stratego Pisandro che aveva l\'esercito presso Samo e accenna
al suo ritorno: questi infatti era delle stesse idee politiche di Alcibiade, ostile al potere del popolo e
fautore degli ottimati. Abbandonato da costui, prima grazie a Trasibulo, figlio di Lico, viene
riammesso nell\'esercito e ottiene un comando presso Samo, poi, coll\'appoggio di Terámene, per
decreto dei popolo viene riabilitato e benché assente ottiene il comando militare insieme con
Trasibulo e Terámene. Durante il loro comando, ci fu un così grande cambiamento della situazione,
che gli Spartani, che poco prima erano vittoriosi e potenti, atterriti chiesero la pace. Erano stati vinti
infatti in cinque battaglie terrestri, tre navali, in cui avevano perso duecento trirerni catturate e
cadute in potere dei nemici. Alcibiade insieme con i colleghi aveva riconquistato la Ionia,
l\'Ellesponto, inoltre parecchie città greche delle coste dell\'Asia, parecchie delle quali avevano
espugnate, tra queste Bisanzio, e altrettante se le erano fatte alleate, con una politica lungimirante
perché avevano usato clemenza con i prigionieri. Così carichi di preda, avendo arricchito l\'esercito,
e compiuto imprese grandiose, tornarono ad Atene.
Alcibiades, 6
Latino
His cum obviam universa civitas in Piraeum descendisset, tanta fuit omnium exspectatio visendi
Alcibiadis, ut ad eius triremem vulgus conflueret, proinde ac si solus advenisset. 2 Sic enim populo
erat persuasum, et adversas superiores et praesentes secundas res accidisse eius opera. Itaque et
Siciliae amissum et Lacedaemoniorum victorias culpae suae tribuebant, quod talem virum e civitate
expulissent. Neque id sine causa arbitrari videbantur. Nam postquam exercitui praeesse coeperat,
neque terra neque mari hostes pares esse potuerant. 3 Hic ut e navi egressus est, quamquam
Theramenes et Thrasybulus eisdem rebus praefuerant simulque venerant in Piraeum, tamen unum
omnes illum prosequebantur, et, id quod numquam antea usu venerat nisi Olympiae victoribus,
coronis laureis taeniisque vulgo donabatur. Ille lacrumans talem benevolentiam civium suorum
accipiebat reminiscens pristini temporis acerbitatem. 4 Postquam astu venit, contione advocata sic
verba fecit, ut nemo tam ferus fuerit, quin eius casui illacrumarit inimicumque iis se ostenderit,
quorum opera patria pulsus fuerat, proinde ac si alius populus, non ille ipse, qui tum flebat, eum
sacrilegii damnasset. 5 Restituta ergo huic sunt publice bona, eidemque illi Eumolpidae sacerdotes
rursus resacrare sunt coacti, qui eum devoverant, pilaeque illae, in quibus devotio fuerat scripta, in
mare praecipitatae.
Italiano
Giacchè tutta la popolazione era scesa loro incontro al Pireo, divenne così grande l\'attesa di tutti di
vedere Alcibiade che la gente confluì alla sua trireme proprio come se lui fosse giunto da solo. 2.
Infatti il popolo era convinto che le precedenti disfatte e le attuali vittorie si erano verificate per
opera sua. Così imputavano a loro stessi la colpa della perdita della Sicilia e delle vittorie degli
Spartani, dal momento che avevano allontanato dalla città un tale uomo. E sembrava che pensassero
questo non senza ragione. Infatti, dopo che cominciò ad essere a comando dell\'esercito, nè per terra
nè per mare i nemici poterono essere pari. 3.Qui appena scese dalla nave, nonostante Teramene e
Trasibulo fossero stati a capo delle medesime imprese e nonostante fossero giunti insieme al Pireo,
tutti seguivano lui solo e, cosa che mai era stata in uso prima - se non per i vincitori a Olimpia -, gli
venivano donati dal popolo corone di alloro e nastri. Lui riceveva commosso tale benevolenza dei
suoi concittadini ricordando l\'asprezza dei loro rapporti precedenti. 4. Dopo che giunse in città,
convocata un\'assemblea, parlò in un modo tale che nessuno fu tanto duro da non piangere delle sue
disgrazie e da non mostrarsi nemico di coloro a causa dei quali era stato cacciato dalla patria, come
se un altro popolo, e non quello stesso che allora piangeva, lo avesse condannato per sacrilegio. 5.
Poi gli furono restituiti pubblicamente i suoi beni e i sacerdoti Eumolpidi, gli stessi che lo avevano
scomunicato, furono costretti a benedirlo di nuovo e le colonne su cui era stata scritta la scomunica
furono gettate in mare.
Alcibiades, 6
Latino
His cum obviam universa civitas in Piraeum descendisset, tanta fuit omnium exspectatio visendi
Alcibiadis, ut ad eius triremem vulgus conflueret, proinde ac si solus advenisset. 2 Sic enim populo
erat persuasum, et adversas superiores et praesentes secundas res accidisse eius opera. Itaque et
Siciliae amissum et Lacedaemoniorum victorias culpae suae tribuebant, quod talem virum e civitate
expulissent. Neque id sine causa arbitrari videbantur. Nam postquam exercitui praeesse coeperat,
neque terra neque mari hostes pares esse potuerant. 3 Hic ut e navi egressus est, quamquam
Theramenes et Thrasybulus eisdem rebus praefuerant simulque venerant in Piraeum, tamen unum
omnes illum prosequebantur, et, id quod numquam antea usu venerat nisi Olympiae victoribus,
coronis laureis taeniisque vulgo donabatur. Ille lacrumans talem benevolentiam civium suorum
accipiebat reminiscens pristini temporis acerbitatem. 4 Postquam astu venit, contione advocata sic
verba fecit, ut nemo tam ferus fuerit, quin eius casui illacrumarit inimicumque iis se ostenderit,
quorum opera patria pulsus fuerat, proinde ac si alius populus, non ille ipse, qui tum flebat, eum
sacrilegii damnasset. 5 Restituta ergo huic sunt publice bona, eidemque illi Eumolpidae sacerdotes
rursus resacrare sunt coacti, qui eum devoverant, pilaeque illae, in quibus devotio fuerat scripta, in
mare praecipitatae.
Italiano
Giacchè tutta la popolazione era scesa loro incontro al Pireo, divenne così grande l\'attesa di tutti di
vedere Alcibiade che la gente confluì alla sua trireme proprio come se lui fosse giunto da solo. 2.
Infatti il popolo era convinto che le precedenti disfatte e le attuali vittorie si erano verificate per
opera sua. Così imputavano a loro stessi la colpa della perdita della Sicilia e delle vittorie degli
Spartani, dal momento che avevano allontanato dalla città un tale uomo. E sembrava che pensassero
questo non senza ragione. Infatti, dopo che cominciò ad essere a comando dell\'esercito, nè per terra
nè per mare i nemici poterono essere pari. 3.Qui appena scese dalla nave, nonostante Teramene e
Trasibulo fossero stati a capo delle medesime imprese e nonostante fossero giunti insieme al Pireo,
tutti seguivano lui solo e, cosa che mai era stata in uso prima - se non per i vincitori a Olimpia -, gli
venivano donati dal popolo corone di alloro e nastri. Lui riceveva commosso tale benevolenza dei
suoi concittadini ricordando l\'asprezza dei loro rapporti precedenti. 4. Dopo che giunse in città,
convocata un\'assemblea, parlò in un modo tale che nessuno fu tanto duro da non piangere delle sue
disgrazie e da non mostrarsi nemico di coloro a causa dei quali era stato cacciato dalla patria, come
se un altro popolo, e non quello stesso che allora piangeva, lo avesse condannato per sacrilegio. 5.
Poi gli furono restituiti pubblicamente i suoi beni e i sacerdoti Eumolpidi, gli stessi che lo avevano
scomunicato, furono costretti a benedirlo di nuovo e le colonne su cui era stata scritta la scomunica
furono gettate in mare.
Alcibiades, 7
Latino
Haec Alcibiadi laetitia non nimis fuit diuturna. Nam cum ei omnes essent honores decreti totaque
res publica domi bellique tradita, ut unius arbitrio gereretur, et ipse postulasset, ut duo sibi collegae
darentur, Thrasybulus et Adimantus, neque id negatum esset, classe in Asiam profectus, quod apud
Cymen minus ex sententia rem gesserat, in invidiam recidit. 2 Nihil enim eum non efficere posse
ducebant. Ex quo fiebat, ut omnia minus prospere gesta culpae tribuerent, cum aut eum neglegenter
aut malitiose fecisse loquerentur; sicut tum accidit. Nam corruptum a rege capere Cymen noluisse
arguebant. 3 Itaque huic maxime putamus malo fuisse nimiam opinionem ingenii atque virtutis.
Timebatur enim non minus quam diligebatur, ne secunda fortuna magnisque opibus elatus
tyrannidem concupisceret. Quibus rebus factum est, ut absenti magistratum abrogarent et alium in
eius locum substituerent. 4 Id ille ut audivit, domum reverti noluit et se Pactyen contulit ibique tria
castella communiit, Ornos, Bisanthen, Neontichos, manuque collecta primus Graecae civitatis in
Thraeciam introiit, gloriosius existimans barbarum praeda locupletari quam Graiorum. 5 Qua ex re
creverat cum fama tum opibus magnamque amicitiam sibi cum quibusdam regibus Thraeciae
pepererat. Neque tamen a caritate patriae potuit recedere.
Italiano
Questa letizia di Alcibiade non durò troppo a lungo. Infatti gli erano state decretate tutte le cariche e
affidati tutti i poteri dello Stato in pace e in guerra, sì che esso veniva governato dall\'arbitrio di lui
solo; dopo aver chiesto ed ottenuto che gli fossero dati come colleghi Trasibulo e Adimanto, fece
una spedizione navale in Asia; ma presso Cime le cose non andarono secondo le attese e quindi
ricadde nell\'odio: 2 ritenevano infatti che non ci fosse nulla che non potesse riuscirgli. Ne
conseguiva che gli imputassero a colpa tutti gli insuccessi, dicendo che aveva agito o con
negligenza o per tradimento. E così accadde anche allora: infatti lo accusavano di non aver voluto
conquistare Cime, perché corrotto dal re. 3 Per cui riteniamo che gli nuocesse soprattutto
l\'eccessiva considerazione del suo ingegno e del suo valore. Era infatti temuto non meno che
amato: c\'era il rischio che imbaldanzito dalla buona sorte e dalla grande potenza potesse aspirare
alla tirannide. Avvenne così che gli revocarono, mentre era assente, l\'incarico e gli sostituirono un
altro. 4 Come lo venne a sapere, non volle tornare in patria e si diresse a Pattia e li fece fortificare
tre borghi, Orno, Bizante, Neontico e, radunata una schiera, primo di tutti i Greci penetrò nella
Tracia, ritenendo più glorioso arricchirsi con le prede dei barbari che dei Greci. 5 Perciò si era
arricchito sia di fama che di mezzi e si era legato di stretta amicizia con alcuni re della Tracia.
Alcibiades, 8
Latino
Neque tamen a caritate patriae potuit recedere.Nam cum apud Aegos flumen Philocles, praetor
Atheniensium, classem constituisset suam neque longe abesset Lysander, praetor
Lacedaemoniorum, qui in eo erat occupatus, ut bellum quam diutissime duceret, quod ipsis pecunia
a rege suppeditabatur, contra Atheniensibus exhaustis praeter arma et navis nihil erat super,
Alcibiades ad exercitum venit Atheniensium ibique praesente vulgo agere coepit: si vellent, se
coacturum Lysandrum dimicare aut pacem petere spondet; Lacedaemonios eo nolle classe
confligere, quod pedestribus copiis plus quam navibus valerent: sibi autem esse facile Seuthem,
regem Thraecum, deducere, ut eum terra depelleret; quo facto necessario aut classe conflicturum aut
bellum compositurum. Id etsi vere dictum Philocles animadvertebat, tamen postulata facere noluit,
quod sentiebat se Alcibiade recepto nullius momenti apud exercitum futurum et, si quid secundi
evenisset, nullam in ea re suam partem fore, contra ea, si quid adversi accidisset, se unum eius
delicti futurum reum. Ab hoc discedens Alcibiades `Quoniam\' inquit `victoriae patriae repugnas,
illud moneo, ne iuxta hostem castra habeas nautica: periculum est enim, ne immodestia militum
vestrorum occasio detur Lysandro vestri opprimendi exercitus\'. Neque ea res illum fefellit. Nam
Lysander cum per speculatores comperisset vulgum Atheniensium in terram praedatum exisse
navesque paene inanes relictas, tempus rei gerendae non dimisit eoque impetu bellum totum delevit.
Italiano
Ma non poté rinunciare all\'amore di patria. Difatti quando Filocle, comandante degli Ateniesi,
ancorò la flotta presso Egospotami e vicino c\'era Lisandro, comandante degli Spartani, che si dava
da fare per protrarre quanto più poteva la guerra, perché a loro forniva il denaro necessario il re di
Persia, mentre agli Ateniesi esausti non rimanevano che le armi e le navi, Alcibiade si recò presso
l\'esercito ateniese e lì alla presenza della truppa cominciò a parlare così: se volevano, egli avrebbe
costretto Lisandro a combattere o a chiedere la pace; gli Spartani non volevano combattere in mare,
perché erano più forti nell\'esercito di terra che nella flotta; ma per lui era comunque facile
convincere Seute,il re dei Traci, a cacciare Lisandro dal continente: per cui sarebbe stato costretto o
a combattere per mare o a far la pace. Filocle si rendeva conto che le cose che quello diceva erano
giuste, tuttavia non volle fare quanto richiesto, perché capiva che se avesse accolto Alcibiade, lui
nell\'esercito non avrebbe più contato nulla e nel caso di qualche successo, non gliene sarebbe stato
riconosciuto alcun merito; nel caso di una sconfitta, sarebbe stato ritenuto l\'unico responsabile
dell\'errore. Andandosene da lui Alcibiade disse: "Poiché ti opponi alla vittoria della patria, ti
avverto di una cosa: non tenere vicino al nemico gli schieramenti navali: \'è infatti il pericolo che
per l\'indisciplina dei vostri soldati si dia a Lisandro l\'occasione di annientare il vostro esercito". E
non si ingannò a tale proposito. Infatti Lisandro, avendo appreso dai suoi osservatori che il grosso
dell\'esercito ateniese era sbarcato per depredare e che le navi erano rimaste quasi vuote, non si
lasciò sfuggire l\'occasione di attaccare e con quel solo assalto pose fine a tutta la guerra.
Alcibiades, 9
Latino
At Alcibiades, victis Atheniensibus non satis tuta eadem loca sibi arbitrans, penitus in Thraeciam se
supra Propontidem abdidit, sperans ibi facillime suam fortunam occuli posse. Falso. Nam Thraeces,
postquam eum cum magna pecunia venisse senserunt, insidias fecerunt; qui ea, quae apportarat,
abstulerunt, ipsum capere non potuerunt. Ille cernens nullum locum sibi tutum in Graecia propter
potentiam Lacedaemoniorum, ad Pharnabazum in Asiam transiit; quem quidem adeo sua cepit
humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet. Namque ei Grynium dederat, in Phrygia castrum,
ex quo quinquagena talenta vectigalis capiebat. Qua fortuna Alcibiades non erat contentus neque
Athenas victas Lacedaemoniis servire poterat pati. Itaque ad patriam liberandam omni ferebatur
cogitatione. Sed videbat id sine rege Perse non posse fieri ideoque eum amicum sibi cupiebat
adiungi neque dubitabat facile se consecuturum, si modo eius conveniundi habuisset potestatem.
Nam Cyrum fratrem ei bellum clam parare Lacedaemoniis adiuvantibus sciebat: id si aperuisset,
magnam se initurum gratiam videbat.
Italiano
Ma Alcibiade, dopo la sconfitta degli Atenicsi, ritenendo che quei luoghi non fossero
sufficientemente sicuri per lui, si nascose all\'interno della Tracia, oltre la Propontide, sperando che
lì molto facilmente avrebbe potuto tener nascosti i suoi averi. Si sbagliava. Infatti quando i Traci si
accorsero che era arrivato con una grande quantità di denaro, gli tesero un agguato: gli portarono
via quello che aveva recato con sé, ma non riuscirono a prenderlo. lcibiade, rendendosi conto che
nessun luogo nella Grecia era per lui sicuro per lo strapotere degli Spartani, passò in Asia da
Farnabazo e lo legò talmente a sé con i suoi modi affabili, da divenire il suo più intimo amico. E
così gli concesse Grinio, un castello in Frigia, da cui ricavava un tributo di cinquanta talenti. Ma
Alcibiade non si sentiva pago di questa fortuna e non riusciva a darsi pace che Atene vinta fosse
sotto il giogo degli Spartani. E così tutti i suoi pensieri erano rivolti a liberare la patria. Ma capiva
che ciò non poteva realizzarsi senza il re di Persia e perciò desiderava farselo amico ed era certo che
ci sarebbe riuscito se solo avesse avuto la possibilità di incontrarlo. Sapeva infatti che il fratello
Ciro, gli preparava in segreto una guerra con l\'aiuto degli Spartani; se glielo avesse rivelato, capiva
che avrebbe conquistato pienamente il suo favore.
Alcibiades, 10
Latino
Hoc cum moliretur peteretque a Pharnabazo, ut ad regem mitteretur, eodem tempore Critias
ceterique tyranni Atheniensium certos homines ad Lysandrum in Asiam miserant, qui eum
certiorem facerent, nisi Alcibiadem sustulisset, nihil earum rerum fore ratum, quas ipse Athenis
constituisset: quare, si suas res gestas manere vellet, illum persequeretur. His Laco rebus commotus
statuit accuratius sibi agendum cum Pharnabazo. Huic ergo renuntiat, quae regi cum Lacedaemoniis
essent, nisi Alcibiadem vivum aut mortuum sibi tradidisset. Non tulit hunc satrapes et violare
clementiam quam regis opes minui maluit. Itaque misit Susamithren et Bagaeum ad Alcibiadem
interficiendum, cum ille esset in Phrygia iterque ad regem compararet. Missi clam vicinitati, in qua
tum Alcibiades erat, dant negotium, ut eum interficiant. Illi cum ferro aggredi non auderent, noctu
ligna contulerunt circa casam eam, in qua quiescebat, eaque succenderunt, ut incendio conficerent,
quem manu superari posse diffidebant. Ille autem ut sonitu flammae est excitatus, etsi gladius ei
erat subductus, familiaris sui subalare telum eripuit. Namque erat cum eo quidam ex Arcadia
hospes, qui numquam discedere voluerat. Hunc sequi se iubet et id, quod in praesentia
vestimentorum fuit, arripit. His in ignem eiectis flammae vim transiit. Quem ut barbari incendium
effugisse viderunt, telis eminus missis interfecerunt caputque eius ad Pharnabazum rettulerunt. At
mulier, quae cum eo vivere consuerat, muliebri sua veste contectum aedificii incendio mortuum
cremavit, quod ad vivum interimendum erat comparatum. Sic Alcibiades annos circiter XL natus
diem obiit supremum.
Italiano
Si dava dunque da fare per questo piano e chiedeva a Farnabazo di essere inviato dal re; nel
medesimo tempo però Crizia e gli altri tiranni degli Ateniesi avevano mandato uomini fidati in Asia
da Lisandro per avvisarlo che se non avesse tolto di mezzo Alcibiade, nessuno dei provvedimenti da
lui presi per Atene sarebbe stato duraturo; per cui se voleva che la sua opera rimanesse, doveva
dargli la caccia. Lo Spartano, impressionato da questa notizia, stabilì di trattare in modo più stretto
con Farnabazo. Dunque gli fa sapere che l\'alleanza tra gli Spartani ed il re sarebbe stata annullata
se non gli avesse consegnato vivo o morto Alcibiade. Il satrapo non seppe tener testa a costui e
preferì violare lo spirito di umanità che vedere diminuita la potenza del re. Così mandò Susamitre e
Bageo ad uccidere Alcibiade, mentre lui era in Frigia e si apprestava ad andare dal re. Gli inviati
incaricano segretamente alcuni che abitavano vicino ad Alcibiade, di ucciderlo. Siccome quelli non
osavano attaccarlo con le armi, di notte accatastarono della legna intorno alla capanna in cui
dormiva e le dettero fuoco in modo da uccidere con le fiamme quello che non erano sicuri di poter
vincere con la spada. Ma lui come fu svegliato dal crepitio delle fiamme, sebbene gli fosse stata
portata via la spada, afferrò da un amico lo stiletto che portava sotto l\'ascella: c\'era infatti con lui
un ospite dell\'Arcadia che non aveva voluto mai separarsi da lui. Gli ordina di seguirlo e arraffa
tutte le vesti che in quel momento poté trovare. Gettatele sul fuoco, poté sfuggire alla violenza delle
fiamme. Quando i barbari videro che era sfuggito all\'incendio, scagliarono da lontano dei dardi e lo
uccisero e portarono la sua testa a Farnabazo. Ma la donna che viveva abitualmente con lui, lo
coperse con la sua veste muliebre e lo cremò, morto, nell\'incendio dell\'edificio, suscitato per
anilientarlo da vivo. Così morì Alcibiade all\'età di circa quaranta anni.
Alcibiades, 11
Latino
Hunc infamatum a plerisque tres gravissimi historici summis laudibus extulerunt: Thucydides, qui
eiusdem aetatis fuit, Theopompus, post aliquanto natus, et Timaeus: qui quidem duo
maledicentissimi nescio quo modo in illo uno laudando consentiunt. Namque ea, quae supra
scripsimus, de eo praedicarunt atque hoc amplius: cum Athenis, splendidissima civitate, natus esset,
omnes splendore ac dignitate superasse vitae; postquam inde expulsus Thebas venerit, adeo studiis
eorum inservisse, ut nemo eum labore corporisque viribus posset aequiperare - omnes enim Boeotii
magis firmitati corporis quam ingenii acumini inserviunt; undem apud Lacedaemonios, quorum
moribus summa virtus in patientia ponebatur, sic duritiae se dedisse, ut parsimonia victus atque
cultus omnes Lacedaemonios vinceret; fuisse apud Thracas, homines vinolentos rebusque veneriis
deditos; hos quoque in his rebus antecessisse; venisse ad Persas, apud quos summa laus esset
fortiter venari, luxuriose vivere: horum sic imitatum consuetudinem, ut illi ipsi eum in his maxime
admirarentur. Quibus rebus effecisse, ut, apud quoscumque esset, princeps poneretur habereturque
carissimus. Sed satis de hoc; reliquos ordiamur.
Italiano
Denigrato da molti, tre autorevolissimi storici lo esaltarono in sommo grado: Tucidide che fu suo
contemporaneo; Teopompo, che visse qualche tempo dopo, e Timeo: questi due benché molto
maldicenti, non so come mai, si trovano d\'accordo nell\'esaltare lui soltanto. Infatti hanno celebrato
le virtù di cui prima abbiamo parlato ed hanno aggiunto questo: benché nato nella splendidissima
città di Atene, superò in splendore e prestigio tutti. Quando, bandito dalla patria, andò a Tebe, si
adattò tanto alle loro abitudini, che nessuno poteva uguagliarlo nella capacità di resistenza fisica
(tutti i Beoti infatti tengono più alla robustezza dei corpo che all\'acume dell\'intelletto); parimenti a
Sparta dove la più alta virtù era riposta nella capacità di sopportazione, si dedicò ad una vita austera
tanto da superare gli Spartani nella frugalità del mangiare e del vestire; visse in mezzo ai Traci,
ubriaconi e lussuriosi: superò anche loro in queste abitudini; si recò tra i Persiani, per i quali era
somma gloria essere abili cacciatori e vivere sontuosamente: imitò così bene i loro costumi, da
suscitare in questo la loro ammirazione. Insomma con queste sue doti ottenne che, dovunque si
trovasse, fosse considerato il primo e fosse molto amato. Ma basta di lui: passiamo ad altri.