1. Il nuovo volto dell`Europa: la nascita di nuove monarchie

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L’alba dell’Europa
1. Il nuovo volto dell’Europa: la nascita di nuove monarchie feudali e il
consolidamento di quelle vecchie creano le condizioni per la stabilità e lo
sviluppo del continente europeo
Tra il X e l’XI secolo muta la mappa europea e si stabilizza il quadro politico, venendosi a creare le condizioni per lo
sviluppo culturale dell’Europa cattolica. Gli aspetti più significativi di questo nuovo volto dell’Europa sono i
seguenti:
1) La spartizione dell’Impero carolingio
Nell’843 l’impero carolingio viene spartito in tre regni, affidati ai tre figli di Ludovico il Pio, successore di
Carlomagno: Italia (affidato a Lotario), Germania (Ludovico), Francia (Carlo il Calvo)
2) La formazione di nuovi regni cristiani
Si formano nuovi regni cristiani a est (Polonia, Bulgaria, Russia) e a nord (Danimarca, Norvegia, Svezia), che
mettono il continente al riparo da nuove invasioni (come quelle che avevano colpito l’Europa tra il IX e il X secolo,
da parte di Arabi, Vichinghi, Ungari, Normanni e avevano favorito la disgregazione dell’Impero carolingio) e
permettono lo sviluppo culturale dell’Europa cattolica
3) L’avvio della Reconquista nella penisola iberica
Nella penisola iberica si avvia il fenomeno della Reconquista: la riconquista dei territori sottoposti al dominio dei
mussulmani (Califfato di Cordova e Regno di Granada), da parte dei regni cristiani (Regno di Castiglia, Regno di
Navarra, Regno d’Aragona, Contea di Barcellona e Regno di Leon da cui si staccherà la Contea del Portogallo)
4) Il consolidamento delle monarchie di Francia e Inghilterra
Si verifica un vasto processo di consolidamento degli antichi regni dell’Europa centrale, Francia e Inghilterra, in cui
il potere centrale, rappresentato dalla monarchia, si rafforza e riesce a sottomettere i signori locali.
In Francia si spegne la dinastia carolingia e emerge la figura di Ugo Capeto, fondatore della dinastia capetingia. I
re capetingi riusciranno a costruire una monarchia solida, ad aumentare il loro potere, intervenendo come arbitri
nelle dispute tra i feudatari (Vedi immagine p. 8). Tra loro, Luigi VI e Luigi VII, assunsero il ruolo di protettori della
Chiesa, guadagnandosi l’immagine di “re taumaturghi” (si credeva che il re, in quanto unto dal Signore nel corso
della cerimonia d’incoronazione, avesse il potere di guarire con il solo tocco della mano. Immagine pag. 9).
In Inghilterra, nel 1042, dopo un breve periodo di dominio di Canuto il Grande (figlio del re di Danimarca),
ripresero il sopravvento gli Anglosassoni, con Edoardo il Confessore. Alla sua morte si aprì una contesa dinastica,
in cui ebbe la meglio Guglielmo, duca di Normandia, detto il Conquistatore, che sconfisse il suo avversario Aroldo
nella battaglia di Hastings (1066) e cinse la corona d’Inghilterra. Guglielmo introdusse nell’isola, oltre alla lingua e
alla cultura francese, i rapporti vassallatico-beneficiari: i cavalieri al suo seguito infatti furono ricompensati con la
concessione di feudi (la terra concessa dal signore al vassallo1).
La conquista normanna: http://www.youtube.com/watch?v=QaA06SBYt1U&feature=related
Nel corso del XII secolo la monarchia inglese accrebbe la sua potenza grazie all’azione del re Enrico II il
Plantageneto.
5) La frammentazione del Regno d’Italia
Il Regno d’Italia (comprendente la Toscana e l’Italia settentrionale), al contrario di Francia e Inghilterra, si
caratterizza per una situazione politica molto frammentata. Dopo la deposizione di Carlo il Grosso, la corona fu
disputata tra i più potenti signori italiani (marchesi del Friuli, di Ivrea, di Toscana, duchi di Spoleto); l’ambizione
era sollecitata anche dalla possibilità di esercitare il proprio controllo sul soglio pontificio e aspirare al titolo
imperiale (era il papa che dava l’investitura all’imperatore). Nell’888 fu eletto re Berengario del Friuli (Berengario
1
Vassallo: colui che, in qualità di concessionario, riceve dal sovrano (il concedente) l'affidamento di incarichi
amministrativi e, contemporaneamente, la gestione di territori, prestando in cambio un giuramento di obbedienza e fedeltà,
oltre allo svolgimento delle funzioni amministrative delegate dal sovrano
I), subito scalzato da Guido da Spoleto, il quale fece consacrare imperatore il figlio Lamberto dal papa Formoso;
tuttavia il pontefice concesse successivamente il titolo imperiale al re di Germania Arnolfo di Carinzia. Per questo
voltafaccia, Lamberto di Spoleto, dopo aver ripreso il potere impose come pontefice Stefano VI, il quale fece
riesumare il cadavere di Formoso, lo portò in giudizio e ne fece disperdere i resti nel Tevere (immagine pag. 10).
Alla morte di Lamberto, la corona passò a Ludovico di Provenza, poi a Ugo di Provenza e infine a Berengario
d’Ivrea (Berengario II). Quest’ultimo si era affermato grazie all’appoggio del re di Germania Ottone I, che di lì a
poco avrebbe dato l’avvio all’annessione del Regno d’Italia a quello di Germania
6) La nascita del Sacro Romano Impero di Nazione Germanica, con Ottone I
Alla morte di Arnolfo di Carinzia, si aprirono contrasti dinastici per la corona del regno di Germania tra i quattro
grandi ducati (Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera… vedi immagine p. 11). Si affermò con Enrico I, detto
l’Uccellatore, la dinastia di Sassonia. Alla sua morte gli successe il figlio, Ottone I, che fu il principale protagonista
della storia europea del X secolo.
Per imbrigliare i grandi feudatari2 Ottone diede vita a una rete di potenti signorie feudali affidate non
all’aristocrazia laica, ma a vescovi (i cosiddetti vescovi-conti). Era lui stesso a investire questi ultimi sia dei poteri
temporali che di quelli spirituali. Da un lato si assicurò una schiera di feudatari ecclesiastici fedeli e capaci,
dall’altro lato, garantì alla monarchia il controllo di molti benefici feudali: l’obbligo del celibato impediva ai grandi
feudatari ecclesiastici di trasmettere ereditariamente i propri privilegi e alla morte del vescovo-conte, il re
poteva assegnare il beneficio a suo piacimento, con evidenti vantaggi per il prestigio e l’autorità della corona.
Ridimensionato il suo potere Ottone I fu in grado di ridimensionare definitivamente gli ungari sconfiggendoli nella
battaglia di Lechfeld (955) e di annettere il Regno di Boemia, costruendo così la marca d’Austria.
Nel 951 Ottone I discese in Italia e assunse il titolo di re d’Italia, potendo così dar corpo al suo grandioso
progetto: la rinascita del Sacro Romano Impero. Nel 962 infatti scese nuovamente in Italia e si fece incoronare
imperatore da papa Giovanni XII. Successivamente promulgò il Privilegio Ottoniano, secondo il quale il papa,
una volta eletto dal clero romano, doveva prestare giuramento all’imperatore. Quest’ultimo aveva il diritto di
pronunciarsi preventivamente sull’elezione dei pontefici. Ottone depose Giovanni XII sostituendolo con il
proprio segretario di corte, che prese il nome di Leone VIII: in questo modo il papa era divenuto uno strumento
nelle mani dell’imperatore. Il Privilegio Ottoniano stabiliva anche il divieto, per i papi, di consacrare imperatori
che non fossero di stirpe germanica: nasceva così il Sacro romano Impero di nazione germanica (destinato a
sopravvivere fino al 1806).
7) la conquista normanna dell’Italia meridionale
Le prime compagini normanne arrivarono nel sud Italia in occasione di una rivolta antibizantina esplosa a Bari. In
seguito ottennero la conta di Aversa, che divenne una sorta di roccaforte da cui parti la conquista normanna.
Guglielmo Braccio di Ferro, della famiglia degli Altavilla, si impadronì della contea di Melfi (1043) e suo fratello
Roberto il Guiscardo ampliò i territori in loro possesso. Nel 1059 il Guiscardo ottenne da papa Nicolò II il titolo di
duca di Puglia, Calabria e Sicilia, che equivaleva a una formale autorizzazione a spazzare via i residui domini
bizantini in Italia e ad occupare la Sicilia musulmana. In poco meno di vent’anni, il Guiscardo ridusse in suo
potere l’Italia meridionale e sbarcato in Epiro arrivò sino a minacciare la stessa Costantinopoli (1082). La
sottomissione della Sicilia, strappata ai musulmani, fu invece opera di suo fratello Ruggero d’Altavilla. All’inizio
del XII secolo Ruggero II d’Altavilla riunificò i due domini normanni e assunse, nel 1130, la corona del Regno di
Sicilia (comprendente tutta l’Italia meridionale… vedi cartina p. 15), ponendo la sua corte a Palermo e fornendo al
regno un’organizzazione centralizzata, che impedì la formazione di comuni, come invece avvenne in Italia
centro-settentrionale.
http://www.youtube.com/watch?v=HDjOvwW3Wl4&feature=related
Arte normanna in Sicilia: http://www.youtube.com/watch?v=UU77c4ZC-Sw&feature=related
2
Il termine feudatario (detto anche vassallo o signore) indicava il governatore di un feudo. Il feudo era un bene in
grado di fornire una rendita, quasi sempre di natura fondiaria (terreni), concesso da un signore più grande, in genere dal
monarca o dall’Imperatore, a un signore più piccolo a fronte dell'espletamento di un servizio
8) Lo scontro fra l’Impero e il papato
Crisi e rinnovamento della Chiesa
Fra il IX e il X secolo la Chiesa vive un periodo di grave indebolimento politico (vedi Privilegio Ottoniano), inoltre
soffre per alcuni gravi problemi interni:

la diffusione della pratica della simonìa, la vendita delle cariche ecclesiastiche, acquistate per godere
delle rendite della proprietà terriera connessa alla carica, nonché dei ricavi per la somministrazione dei
sacramenti, la celebrazione delle funzioni religiose e le indulgenze per i defunti;
 il diffuso malcostume del concubinato ecclesiastico
Di fronte a questi mali, molti si fecero promotori di una riforma religiosa. Uno dei primi e più importanti centri di
riforma religiosa fu il monastero di Cluny (fondato nel 910). In breve altri monasteri dipendenti da quello di Cluny
sorsero in molte parti d’Europa, così come monasteri di altri ordini religiosi, come i certosini e i cistercensi.
Verso lo scontro
La corruzione della Chiesa raggiunse il suo culmine nel 1045, quando il papa Bendetto IX vendette addirittura il
seggio pontificio al suo successore Gregorio VI. Di questo scandalo ne approfittò l’Imperatore Enrico III di
Franconia, che prese l’iniziativa di scendere in Italia e di imporre come papa Clemente II, un vescovo tedesco
che sosteneva la causa dei riformatori.
Nel 1059 il pontefice Niccolò II decretò che la Chiesa non avrebbe più tollerato alcuna ingerenza imperiale
nell’elezione del papa. Fino ad allora l’elezione avveniva per acclamazione dal popolo di Roma, d’ora in avanti
invece l’elezione veniva affidata ai cardinali. Inoltre Niccolò II stabilì che nessun ecclesiastico potesse essere
nominato da un laico: da questo momento si aprì il grande conflitto tra Impero e papato noto come lotta per le
investiture.
La lotta per le investiture
Nel 1075 Gregorio VII promulga il Dictatus papae: il papa affermava il proprio diritto di deporre l’imperatore,
affermando così la supremazia della massima autorità spirituale su quella temporale. L’imperatore reagì
convocando a Worms, nel 1076, un concilio di soli vescovi tedeschi, che dichiarò decaduto il papa. A questo
punto il papa scomunicò l’imperatore e i feudatari oppositori dell’imperatore ne approfittarono per ribellarsi.
Enrico IV fu costretto a implorare il perdono del papa, per intercessione di Matilde di Canossa e dell’abate Ugo
di Cluny: l’imperatore attese per tre giorni, in mezzo alla neve, prima che si aprissero le porte del castello di
Canossa, dove venne infine ricevuto da Gregorio VII, che ritirò la scomunica. Tuttavia l’imperatore, una volta
eliminati i propri oppositori in Germania, riprese a nominare i vescovi, in aperto spregio dei decreti papali.
Inoltre, scese nuovamente in Italia, depose il pontefice e nominò al suo posto Clemente III. Assediato in Castel
Sant’Angelo, Gregorio VII chiamò in aiuto il re dei normanni Roberto il Guiscardo. Quest’ultimo riuscì a occupare
la città e a liberare il papa, ma i suoi soldati si abbandonarono a saccheggi e violenze. Il popolo di Roma si
ribellò così contro Gregorio VII, che fu costretto a riparare a Salerno, dove morì nel 1085. Enrico IV morì nel 1106,
gli successe Enrico V, che riuscì a trovare un accordo con il pontefice Callisto II, che fu formalizzato nel
concordato di Worms del 1122: i vescovi dovevano essere investiti dal papa, mentre l’imperatore aveva il diritto
di concedere loro o meno anche i poteri politici.
2. La mappa dei poteri dell’Europa medievale
Il potere pontificio e la sua organizzazione
Il papa si proclamava autorità superiore all’imperatore a tutti i sovrani della Cristianità, sostenendo la
derivazione divina del suo potere (potere teocratico). I sovrani, nell’ottica del papato, hanno il compito di
sradicare il male (per esempio le eresie), e quindi sono un organo ausiliario del papa. Lo strumento giuridico che
legittima il potere pontificio è il diritto canonico: il sistema delle norme giuridiche stabilite dalla Chiesa cattolica.
Iniziata fin dall’età tardo-antica, quando il cristianesimo era stato riconosciuto dall’imperatore Costantino come
religione lecita, l’elaborazione del diritto canonico era proseguito lungo tutta l’età medievale. Un momento
decisivo di tale rielaborazione fu il cosiddetto Decretum Gratiani (1139-1148).
Il pontefice governava direttamente, in Italia, le terre del “Patrimonio di S. Pietro”, il cui fondamento giuridico
risiedeva nella cosiddetta “donazione di Costantino”, un documento secondo cui l’imperatore romano
Costantino il Grande avrebbe concesso alcuni territori in Italia alla Chiesa già nel IV secolo. Il documento,
smascherato come falso da Lorenzo Valla solo nel XV secolo, fu spesso utilizzato dai papi nel Medioevo come
arma giuridica nelle controversie con i sovrani3.
Il papa dirigeva una struttura complessa che aveva il suo centro nella Curia romana (l’insieme degli uffici
dell’amministrazione centrale). Il più importante organo di governo era il Collegio dei cardinali, a cui competeva
l’elezione del pontefice e la trattazione delle principali questioni; in quanto rappresentanti (legati) del pontefice i
cardinali rivestivano incarichi diplomatici. Altri uffici: la Camera apostolica, che si occupava dell’aministrazione
finanziaria, e la Cancelleria, dove si costudivano gli atti papali.
La Chiesa era radicata nel sistema feudale attraverso la rete dei poteri episcopali: il vescovo estendeva il suo
potere su tutto il territorio della diocesi ed era responsabile dei fedeli e dei chierici. Le città che erano sedi
episcopali godevano di particolare prestigio e la loro chiesa principale, detta cattedrale, era un edificio suntuoso
che spesso custodiva reliquie importanti. Vescovi e abati amministravano terre, esercitavano la giustizia,
esigevano le imposte regie. Alle funzioni ecclesiastiche era legato il godimento di un “beneficio”, un patrimonio,
di proprietà della Chiesa, le cui rendite erano destinate al mantenimento dell’assegnatario e dell’ente (chiesa,
monastero, ecc.) che da lui dipendeva. Questi patrimoni non venivano dissipati, come quelli dei re e dei signori,
nelle imprese di guerra e nelle spese di prestigio e non si frammentavano al momento delle eredità.
Il papato, in quanto istituzione centrale, doveva affrontare gravi problemi finanziari: le spese per il mantenimento
dell’esercito, del personale, ecc. Per farlo imponeva “oboli” ad alcuni re cristiani legati da rapporto di
vassallaggio, inoltre vi erano i versamenti degli enti ecclesiastici locali e i donativi dei vescovi durante le visite a
Roma.
Il potere monarchico
I re sostenevano che nelle questioni temporali (riguardanti la vita concreta) doveva essere superiore il potere
monarchico (riconoscevano invece la superiorità del papa in campo spirituale). Anche il potere monarchico si
reputava di diritto divino (teocratico). Il monarca non faceva parte del popolo e non poteva essere giudicato
dalla comunità, poiché stava “sopra il popolo”. Tuttavia, in quanto membro della Chiesa, come tutti i cristiani,
era però soggetto all’autorità papale. Nella prospettiva del pontefice infatti l’imperatore era un advocatus, un
difensore della Chiesa, il cui compito era quello di assistere la Cristianità nella sua espansione universale.
La comunità di villaggio
Oltre al potere pontificio e a quello monarchico, che traggono il loro consenso dall’alto, vi sono nel Medioevo altri
poteri dal basso che nascono dal consenso dei membri della comunità: nelle città, il comune, nelle campagne, le
comunità di villaggio. Queste ultime sono villaggi composti da un castello, una chiesa, case di legno o pietra.
Dove finiva il villaggio cominciava la distesa delle terre arabili: i poderi appartenevano alle varie famiglie, ma non
erano divisi da nessuna recinzione. Dopo la mietitura l’insieme dei campi venia infatti utilizzato in comune per
il pascolo. Oltre questi campi si estendevano i terreni incolti e i boschi, sfruttati collettivamente per il pascolo, la
caccia, la pesca, la la legna, la raccolta del miele e dei frutti selvatici. Altri lavori svolti collettivamente erano
l’aratura, la potatura delle vigne, il taglio del fiemo, la mietitura, la vendemmia, la manutenzione dei ponti e delle
strade, il disboscamento per ricavare nuove terre da coltivare, la costruzione di dighe, argini e canali. Pur
dipendendo dai signori, le comunità di villaggio avevano forme di autogoverno: l’assemblea decideva l’uso delle
terre comuni, stabiliva il momento dell’aratura, della semina, del dissodamento e di tutti i lavori che richiedevano
un impegno collettivo; inoltre le comunità eleggevano gli individui incaricati di compiti di sorveglianza e di
3
Nel documento noto come “donazione di Costantino”, che porta la data del 315 e afferma di riprodurre un editto
emesso dall’imperatore romano Costantino I, si narra di una guarigione miracolosa dalla lebbra effettuata da papa Silvestro
nei confronti dell’imperatore Costantino, in seguito della quale Costantino avrebbe concesso al pontefice il primato spirituale
nella Chiesa e il potere temporale in Italia e nelle province occidentali. Lorenzo Valla nel 1440 dimostrò che questo
documento è un apocrifo. ll documento fece la sua apparizione, per la prima volta, nell'VIII secolo, in seguito ad una vicenda
politica che interessò papa Stefano II. I Longobardi avevano conquistato Ravenna, capitale dell'esarcato dell'Impero Bizantino
nel 751, e cominciarono a fare pressione su Roma. Nel 754 il pontefice si rivolse quindi a Pipino il Breve, Maggiordomo di
Palazzo del Regno dei Franchi e, per convincerlo a muovere guerra ai Longobardi, gli mostrò un documento: la “Donazione di
Costantino” secondo il quale l'imperatore avrebbe donato alla Chiesa numerose terre in Italia. Di conseguenza Stefano
pretese la consegna di parte del Veneto, quasi tutta l'Emilia Romagna, la Toscana, l'Umbria, le Marche, il Lazio, metà
dell'Abruzzo e la Corsica, in cambio Pipino avrebbe potuto inglobare i restanti territori Longobardi ed essere consacrato
protettore della cristianità. Pipino sconfisse i Longobardi nel 756 e assegnò al papa i territori che sarebbero appartenuti alla
Chiesa per circa mille anni.
rappresentanza. Queste comunità erano caratterizzate da una forte solidarietà e da omogeneità sociale (non vi
erano significativi squilibri di ricchezza).
I comuni
L’origine del comune
La forma più originale di organizzazione dal basso fu il comune cittadino, affermatosi tra XI e XII secolo. Comune
= forma di autogoverno delle città, apparse in Germania, Inghilterra, Francia, Fiandra e soprattutto Italia, come
associazioni private fra cittadini, che stipulavano giuramenti di pace (coniurationes) per affermare le loro
rivendicazioni nei confronti del signore, poi sviluppatesi fino a ottenere il riconoscimento da parte dell'autorità
superiore (il signore, il re o l'imperatore). Quando i signori rifiutavano di concedere la “carta di comune”, spesso
seguivano delle rivolte armate. Il comune, si può affermare, si afferma sempre in contrapposizione esplicita o
implicita alle vecchie autorità feudali, come espressione di forze sociali emergenti: mercanti, artigiani, liberi
professionisti. La nascita dei comuni ebbe ripercussioni anche sul piano urbanistico: la piazza e il palazzo
comunale divennero il simbolo dell'autonomia cittadina e il punto di riferimento e di aggregazione dei cittadini.
Il comune in Italia
Il movimento comunale fu particolarmente accentuato in Italia centro-settentrionale: per la debolezza del potere
centrale e la possibilità per i vescovi di appropriarsi delle funzioni di governo, coadiuvati dalle comunità cittadine.
La volontà di autonomia dei comuni era poi sostenuta dal papato in funzione anti-imperiale. Al sud invece i
comuni erano pochi, a causa della presenza di una monarchia accentratrice come quella normanna. Nelle città
italiane, di norma, fu cospicuo l'insediamento di piccoli e grandi feudatari, interessati a estendere l'autorità del
comune anche fuori dalle mure. Si formava così uno spazio di irradiazione del potere politico del comune che
viene definito contado. I comuni italiani assunsero quasi subito la fisionomia di Stati territoriali, caratterizzati da
forti spinte espansionistiche.
3. La svolta dell'anno mille
Il popolamento dell'Europa
Agli inizi dell'XI secolo si registra in Europa una crescita demografica (da 23 milione dell'anno Mille si passa ai 55
milioni del 1300). Cause: miglioramento delle condizioni tecnologiche, il miglioramento del clima, la fine delle
invasioni, una maggiore sicurezza nelle campagne e il miglioramento della condizione giuridica dei servi (prima
lavoravano alle dipendenze dirette dei grandi proprietari, ora erano autorizzati in numero crescente a installarsi
su piccoli e medi poderi perché li coltivassero in relativa autonomia, dietro pagamento di canoni in natura o
denaro). L'aumento demografico e quindi della manodopera significò la messa a coltura di nuovi terreni, sottratti
alle paludi e alle zone boschive. Qui nacquero nuovi insediamenti, i cosiddetti “villanova” o “borgofranco”, a cui i
signori concedevano alcuni privilegi, come l'esenzione fiscale.
Il progresso delle tecniche agrarie
La società medievale era una società prevalentemente agricola: dallo sfruttamento dei campi provenivano gli
alimenti e le materie prime di cui tutta la popolazione aveva bisogno. La ripresa demografica fu sostenuta da
alcuni importanti perfezionamenti delle tecniche agrarie, come la diffusione dell'aratro: dall'aratro semplice, che
non rovesciava le zolle e richiedeva un massiccio apporto di lavoro manuale, si passò all'aratro pesante a vomere
dissimmetrico e versoio, dotato di avantreno mobile e di ruote, che penetrava in profondità e ribaltava la zolla. Il
possesso o meno dell'aratro pesante e, più in generale, degli animali da tiro, segnava la linea di demarcazione tra i
contadini più poveri e quelli più agiati. I buoi che tiravano l'aratro erano animali preziosi (quando incombeva un
pericolo, i contadini si affrettavano a mettere al sicuro i buoi). L'impiego dell'energia animale migliorò con il
sistema del collare rigido a spalla (invece delle cinghie di cuoio legate alla gola). Il collare rigido consentiva di
impiegare anche il cavallo, meno costoso e più produttivo, anche se meno resistente alle malattie.
La rotazione triennale, i mulini, la produttività
Un altro importante progresso fu il passaggio dalla rotazione biennale (superficie divisa in due: metà semina
autunnale, metà maggese) alla rotazione triennale delle colture (3 parti: nella prima, in autunno frumento e
segale; nella seconda, in primavera avena, orzo, piselli, ceci, lenticchie, fave; la terza a riposo. L'anno seguente si
ruotava). Il cereale maggiormente coltivato era il grano, da cui si ricava il pane, l'alimento principale della dieta
dei contadini. L'importanza della panificazione è confermata dalla diffusione dei mulini (ad acqua), utilizzati per la
macinazione dei cereali. Nonostante l'aumento della produzione, tuttavia, l'alimentazione dei contadini era
precaria e insufficiente e la speranza di vita restava bassa.
L'artigianato e le manifatture urbane
La crescita demografica e l'incremento della produttività agricola determinarono la ripresa dei commerci e lo
sviluppo delle città, soprattutto in Italia centro-settentrionale, nelle Fiandre e nella valle del Reno. In città si
svolgevano i mercati, dove i contadini potevano vendere le eccedenze agricole, e le attività artigianali che
acquisirono una sempre maggiore specializzazione. Nelle città gli artigiani si riunivano in associazioni chiamate, in
Italia, Arti o Corporazioni. Esse controllavano ogni aspetto dell'attività lavorativa, dagli orari di lavoro alla tutela
della clientela, e funzionavano anche come associazioni di mutuo soccorso, per assistere i membri ammalati, le
vedove e gli orfani. Il maestro era il proprietario della bottega, degli attrezzi, della materia prima, e dirigeva i
lavoratori, che si dividevano in operai (socii) e apprendisti (discipuli), reclutati a 10/12 anni.
I commerci
Questo mondo dinamico favorì la circolazione degli individui (prima assai ridotta). A spostarsi non erano soltanto
i pellegrini, ma anche i mercanti (i quali avevano bisogno di una fitta rete di locande), che a partire da questo
momento vissero un periodo di notevole ascesa sociale. Nel mondo del commercio trionfava l'iniziativa
individuale, ma si praticavano anche moderne forme di associazione (l'Italia era all'avanguardia): molto diffusi
erano contratti commerciali denominati commenda o societas maris, stipulati in occasione di un unico viaggio
dal detentore del capitale e dal mercante (il quale rischiando la vita, con coraggio e intraprendenza, otteneva una
quota significativa degli utili).
Le principali vie marittime dei traffici attraversavano il Mediterraneo orientale, dominato da Venezia, Pisa,
Genova e, inizialmente, Amalfi. Le rotte del Baltico e del Mare del Nord erano, invece, dominate dalle città
fiamminghe e, successivamente, tedesche (come Amburgo). Vi erano anche delle vie terrestri, che mettevano in
contatto il Nord e il Sud Europa. Le principali erano: la via che collegava Venezia alla Germania, attraverso il valico
del Brennero; quella che collegava Genova alla Germania, attraverso Milano e le Alpi, quella che collegava
Marsiglia al Nord Europa, attraverso la valle del Rodano. Lungo quest’ultima via fiorirono, nel XII secolo, le fiere
della Champagne.
La ripresa dei traffici stimolò anche la produzione di nuova moneta e lo sviluppo delle attività bancarie, che
finanziavano le grosse iniziative commerciali. Città, sovrani, grandi signori feudali iniziarono a batter monete
d'argento, dette grossi. A partire dal XIII secolo si riprese a coniare monete d'oro, come l'augustale (Federico II), il
fiorino aureo, il ducato d'oro veneziano. Fu possibile anche il trasferimento di fondi dei clienti da una città
all'altra, tramite lo strumento della lettera di cambio. Questo settore era dominato da banchieri italiani.
I poli dello sviluppo urbano
In Italia i principali centri che beneficiarono della ripresa dei commerci furono le cosiddette città marinare. Se
Amalfi e le altre città marinare del Sud d'Italia furono presto schiacciate dal centralismo normanno, Genova e Pisa
si disputarono lungamente l'egemonia del Mediterraneo centrale e occidentale, fino al prevalere della città ligure
nel 1284. I veneziani invece controllavano il commercio nell'alto Adriatico e gli scambi con l'Impero bizantino
(empori bizantini), dove stabilirono numerose colonie commerciali che godevano di privilegi ed esenzioni fiscali. I
veneziani si specializzarono nello scambio di merci orientali (spezie, seta, cotone) con merci occidentali (schiavi
slavi, ferro, legname). Una manifattura tipicamente veneziana che conobbe grande fortuna furono i vetri di
Murano. Venezia ampliò progressivamente la propria presenza nel Mediterraneo orientale, con l'inevitabile
scontro con i pisani e i genovesi. Oltre alle città marinare, il risveglio urbano interessò anche l'Italia centrosettentrionale e le Fiandre, la valle del Reno e le coste del Baltico (le cui città si unirono nel XIII secolo nella
potentissima Hansa tedesca).
Università
Il risveglio della vita cittadina accrebbe la domanda di cultura. L'università era prima di tutto una corporazione
(universitas magistrorum et scholarium). La Scuola di medicina di Salerno (la più antica università) era già attiva
alla metà dell'XI secolo e fu riconosciuta nel 1231 per volontà di Federico II. L'Università di Bologna nacque per
iniziativa degli studenti di diritto, cui nel 1158 l'imperatore Federico Barbarossa concesse immunità e privilegi.
L'altra grande Università medievale, Parigi, ebbe un primo parziale riconoscimento nel 1200. Oxford si formò nel
1170 in seguito all'emigrazione di un gruppo di studenti parigini, e diede a sua volta vita, tra il 1230 e 1240,
all'Università di Cambridge. In Italia, oltre Salerno e Bologna, le più antiche Università furono quelle di Padova
(1222), Napoli (1224), Macerata (1290), Roma (1303), Perugia (1308), Pisa (1343).
Nonostante i tentativi delle autorità politiche, dei comuni e dei poteri ecclesiastici locali di controllare e dirigere le
università, esser riuscirono a mantenere la loro autonomia e indipendenza grazie alle letto dei membri della
corporazione e all'appoggio del papato. Favorendo le università, il papato rivendicava da una parte la superiorità
della Chiesa contro i poteri laici e dall'altra affermava la propria autorità contro i poteri religiosi locali.
L'organizzazione degli studi
Gli studi universitari erano organizzati in facoltà: Arti (cioè “Arti liberali”: grammatica, dialettica, retorica,
aritmetica, geometria, astronomia, musica), Decreto (cioè diritto canonico), Diritto civile, Medicina, Teologia. La
facoltà di Arti costituiva una sorta di insegnamento di base, impartito fra i 14 e i 20 anni e propedeutico alle altre
facoltà. Gli studi più lunghi e complessi erano quelli di Teologia, che potevano durare fino a 15 anni (età minima
per la laurea era 35 anni). Al termine si otteneva la licentia ubique docendi. Non tutti però diventavano
professori, molti preferivano carriere più redditizie nella pubblica amministrazione, nella Chiesa, o nell'attività
privata. L'insegnamento veniva impartito in latino e si basava sulla lettura (lectio) e sul commento (quaestio) di
testi classici autorevoli (Aristotele, Boezio, Cicerono, Tolomeo, Padri della Chiesa). Seguiva poi la discussione
(disputatio) intorno a un tema scelto dal maestro, che veniva illustrato agli studenti ei discusso con loro da un
assistente, il bacelliere; infine il maestro esprimeva il proprio punto di vista (determinatio).
Strumento importante di lavoro divenne il libro (che perse così la funzione sacra): divennero più maneggevoli e
tendevano a perdere le miniature e le decorazioni preziose. Il supporto restava ancora la pergamena, ma già
cominciava a diffondersi la carta. Tuttavia, il costo rimaneva alto e solo gli studenti più ricchi potevano
permetterseli.
4. La cristianità e il mondo
L'impero bizantino
Tra il X e l'XI secolo cominciò per l'Impero bizantino un periodo di decadenza, determinato da diversi fattori: la
fine della dinastia macedone (1056) e le lotte interne; la pressione dei nemici lungo i confini e la perdita di
numerosi territori strappati a Oriente dai turchi selgiuchidi e a Occidente dai normanni.
Quello bizantino era un impero cristiano, ma profondamente diviso dalla Cristianità di Occidente. La Chiesa
bizantina non riconosceva il primato del vescovo di Roma e dipendeva direttamente dall'imperatore, che a
Costantinopoli era anche la suprema autorità religiosa. Gli occidentali sostenevano che lo Spirito Santo
discendesse sia dal Padre sia dal Figlio (filioque), i bizantini affermavano che discendeva unicamente dal Padre.
Nel 1054 si arrivò allo scisma: il papa Leone IX e il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario si
scomunicarono a vicenda. Dallo scisma nacque la Chiesa ortodossa, che ancora oggi gestisce il culto cristiano
nelle regioni dell'Europa orientale.
I bizantini abbandonarono anche la Sicilia e l'Italia meridionale, dopo l'intervento degli arabi nel IX secolo e poi
dei normanni nel XI. I Normanni, con Roberto il Guiscardo, tentarono addirittura di conquistare Costantinopoli.
L'Imperatore Alessio I chiese aiuto a Venezia, che sconfisse i normanni, ottenendo in cambio ampi privilegi,
come il permesso di commerciare liberamente in tutte le città dell'Impero, senza pagare tasse e dazi.
Cristiani e musulmani
La presenza musulmana in Sicilia e in Spagna favorì i contatti tra il mondo cristiano e quello islamico. Oltre ai
saperi scientifici e artistici che gli arabi avevano ereditato dalla tradizione greco-romana, arrivavano in Europa
numerose merci che i musulmani facevano affluire dall'Oriente e dall'Africa centrale tra cui sete, pietre
preziose, oro e spezie. Le esportazioni occidentali verso l'Islam riguardavano invece tre generi principali: gli
schiavi (la legge islamica proibiva di ridurre in schiavitù i musulmani), provenienti in particolar modo dall'Europa
orientale, le armi e la lana inglese. Nei secoli dal X al XII i corsari musulmani della Spagna, Sicilia e Africa
settentrionale effettuarono periodiche incursioni lungo le coste del Mediterraneo, catturando migliaia di
prigionieri. Gli europei, con in testa i veneziani, non disdegnavano di vendere ai musulmani schiavi provenienti
dall'Europa orientale (sclavus da slavus).
Infedeli contro infedeli
Per i musulmani l'umanità si divideva in due: la Casa dell'Islam, i paesi in cui si seguiva la legge coranica, e la
Casa della guerra, che comprendeva il resto del mondo. Nei paesi musulmani si faceva però una distinzione fra
atei e politeisti da una parte, ebrei e cristiani dall'altra. Questi ultimi erano ritenuti seguaci di religioni superiori
– perché monoteiste come quella islamica – alle religioni politeiste. I musulmani riconoscevano al cristianesimo e
all'ebraismo la dignità di religioni rivelate. L'avvento di Maometto nel 622 e la diffusione del Corano erano stati
per i musulmani l'ultima e definitiva di una serie di rivelazioni attraverso le quali Dio si era manifestato agli
uomini: ebrei e cristiani erano infedeli nel senso che, pur avendo ricevuto a suo tempo la rivelazione del vero Dio,
si erano poi rifiutati di riconoscerne la volontà ultima e perfetta (quella rivelata da Maometto). Agli ebrei e
cristiani che vivevano sotto l'Islam era permesso di praticare la loro religione, di frequentare i luoghi di culto, di
svolgere le loro attività. Dovevano però riconoscere la superiorità islamica attraverso il pagamento di una tassa
speciale.
Aggressività cristiana, debolezza islamica
Con l'ascesa del califfato abbasside aveva avuto inizio la frammentazione politica del mondo islamico. Tra il 1061
e il 1091, i normanni di Ruggero d'Altavilla, conquistarono la Sicilia. Nella penisola iberica, i regni avevano dato
inizio dal IX-X secolo alla Reconquista dei territori occupati dai musulmani: alla fine del XIII secolo i musulmani
controllavano ormai solo il Regno di Granada.
La prima crociata
Nel corso dei concili di Piacenza e Clermont-Ferrand (marzo e novembre 1095), il pontefice Urbano II dichiarò
che il vero nemico della Cristianità erano i miscredenti e che i luoghi santi (Palestina) dovevano essere
rioccupati. Il fenomeno della crociata nasce, dall'incrocio tra motivazioni di entusiasmo religioso e aspettative di
avventure di ricchezza. Per gli ebrei, la Palestina è la Terra promessa, il luogo dove sorgono il Muro del pianto e
il Tempio; per i cristiani, è la regione dove si trova il Santo Sepolcro e dove è nato Cristo; per i musulmani, è il
paese della montagna di Abramo, da dove Maometto salì al cielo.
Una prima spedizione, detta crociata popolare, raccolse spontaneamente nel 1096 una moltitudine di contadini
e di avventurieri, di nobili impoveriti e di semplici fanatici. Questa massa inferocita non andò molto lontano: in
Ungheria furono attaccati e dispersi dalle popolazioni locali, esasperate dalle violenze e dalle rapine; il resto
della spedizione fu sterminato dai turchi in Asia minore.
La prima crociata “ufficiale” partì alla fine del 1096 e radunò guerrieri da tutta Europa, comandati da signori
come Goffredo di Buglione, Boemondo di Taranto, Tancredi d'Altavilla, Roberto di Fiandra, conti e duchi
dell'alta nobiltà francese, tedesca, normanna. Ma giunti in Oriente, i crociati furono costretti a una dura
trattativa con Bisanzio. L'Imperatore bizantino Alessio I Comneno accordò il suo appoggio solo a patto del
riconoscimento della sua suprema autorità sulla spedizione. Raggiunto l'accordo, i crociati proseguirono per il
Vicino Oriente e assediarono Gerusalemme, che conquistarono nel 1099. Nei territori strappati ai musulmani i
crociati costituirono numerose compagini di tipo feudale.
Le crociate – otto complessivamente, di cui l'ultima nel 1270 – divennero una istituzione permanente. Ogni anno
con l'arrivo della primavera, dai porti europei partivano convogli di navi che portavano in Terrasanta una folla di
cavalieri, soldati, pellegrini, mercanti, monaci (ci furono persino le “crociate dei bambini”). Per disciplinare
questo fenomeno furono creati gli ordini monastico-cavallereschi, come i templari e gli ospedalieri di San
Giovanni, attraverso i quali la Chiesa dimostrò di sapersi adattare efficacemente alla società guerriera del tempo.
Dopo la prima crociata
Alla prima crociata, conclusasi con successo, ne seguirono altre sette, che dal punto di vista militare furono un
fallimento. La seconda crociata (1147-49) fu promossa da Luigi VII di Francia e dall'imperatore Corrado di Svevia
per la riconquista della contea di Edessa, perduta dai cristiani nel 1144; la spedizione dopo una clamorosa
sconfitta presso Damasco, si sciolse. La terza crociata (1189-92) condotta dall'Imperatore Federico Barbarossa
(che vi perse la vita) e poi da Filippo II Augusto, re di Francia, e Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra; fu
organizzata perché nel 1187 Gerusalemme era stata ripresa dai turchi, sotto la guida del sultano Saladino. La
terza crociata ebbe come unico risultato la creazione del Regno di Cipro.
I rapporti fra crociati e bizantini precipitarono in occasione della quarta crociata, bandita da papa Innocenzo III
nel 1202. Lo scopo era riconquistare Gerusalemme. Il doge veneziano Enrico Dandolo cercò di sfruttare la
spedizione a vantaggio della propria città: mise a disposizione, per il trasporto dei crociati, la sua grande flotta,
ma chiese in cambio la conquista di Zara, una città chiave dell'Adriatico, allora in possesso del re d'Ungheria. I
crociati espugnarono Zara, ma non raggiunsero mai la Terrasanta. Addirittura, nel sostenere uno degli aspiranti
al trono dell'Impero bizantino, i crociati posero l'assedio a Costantinopoli. La città cadde nel 1204: gli abitanti,
donne e bambini compresi, furono massacrati, chiese e biblioteche furono distrutte, splendidi tesori d'arte e di
cultura accumulati nei secoli furono dispersi. A Costantinopoli fu insediato un debole Impero latino d'Oriente,
legato a Roma, mentre i feudatari “franchi” si spartirono le varie province bizantine. I mercanti veneziani
dilagarono in tutti i porti ottenendo il controllo delle principali vie di traffico. L'Impero latino d'Oriente non durò
a lungo e già nel 1261 fu ristabilita la vecchia ortodossia greca. Dopo l'inconcludente e sanguinosa quinta
crociata (1217-21), l'imperatore Federico II di Svevia ottenne la liberazione dei luoghi santi per un decennio
(sesta crociata, 1228-29). Sottratta ancora una volta Gerusalemme dai turchi, disastrose furono le ultime
crociate promosse dal piissimo re di Francia Luigi IX il Santo: la settima (1248-54) e ottava (1270, in cui Luigi morì
di peste). L'ultima piazzaforte cristiana, San Giovanni d'Acri, cadde nel 1291.
L'espansione mongola
I mongoli erano una regione nomade proveniente dalla regione attorno al lago Baikal, nelle steppe asiatiche.
Temudjin riunì le tribù mongole in una confederazione che governò con il titolo di Gengis Kahn. Nel 1215 i
soldati di Gengis Kahn invasero la Cina ed entrarono a Pechino; poi si diressero verso l'Asia centrale e occuparono
Samarcanda e Bukhara. Dopo la morte di Gengis Kahn, nel 1277, l'avanzata proseguì con i figli e nipoti. Tra il
1233 e 1241 furono invasi l'Iran e l'Armenia, poi il Caucaso e i principati russi di Vladimir, Kiev e Mosca; quindi
giunsero in Polonia (1241, battaglia di Liegnitz), Ungheria (le campagne di Vienna a ferro e fuoco); un'altra
colonna si abbatté nel 1256 sull'Iraq e la Siria. Solo l'Egitto riuscì a resistere. L'Impero mongolo arrivò ad
estendersi dall'Ungheria alla Corea, dalle steppe del Nord al Golfo Persico. I fattori che spiegano una tale
espansione sono: l'esperienza tattica e strategica di Gengis Kahn e la violenza del suo esercito, nonché la sua
terribile fama. L'enorme compagine mongola unificò gli spazi dell'Asia sotto un'unica potenza, rendendo quindi
più sicure le grandi vie di comunicazione internazionali, che i mercanti e i missionari cristiani potevano ora
percorrere con una certa libertà. I mongoli erano disponibili ai contatti esterni: “pace mongolica”. Mercanti in
cerca di fortuna e di avventure, come Marco Polo, si avventurarono lungo le vie carovaniere che dalla Crimea,
attraverso la Russia meridionale e il Turkestan, portavano in Cina, risalivano i valichi interminabili della Persia e
dell'Afghanistan, si affidavano al ritmo dei monsoni e sbarcavano sulle coste dell'India, proseguendo di lì per i
mari dell'Estremo Oriente.
Il tramonto di Bisanzio
La riconquista di Costantinopoli da parte di Michele Paleologo nel 1261 (Costantinopoli era caduta durante la
quarta crociata nel 1204 in mano ai crociati, che diedero vita al debole Impero latino d'Oriente) diede inizio a una
nuova dinastia imperiale che regnerà fino alla caduta definitiva dell'Impero (conquista di Costantinopoli da parte
dei turchi ottomani, nel 1453).
5. I comuni, i regni, l'Impero
Lo scontro tra l'Imperatore e i comuni italiani
Dopo una crisi dinastica (alla morte di Enrico V), divenne imperatore il duca di Svevia Federico di Hohenstaufen,
la cui madre apparteneva alla casa di Baviera. Federico I si dedicò al consolidamento del potere imperiale:
l'urgenza più immediata era in Italia, dove i comuni avevano acquisito larghi margini di autonomia.
Federico I – detto, in Italia, Barbarossa – discese in Italia nel 1154; fattosi incoronare re d'Italia, convocò a
Roncaglia (presso Piacenza) i rappresentanti dei comuni italiani e dichiarò nulle le regalie (diritti d'imporre tasse,
battere moneta, stipulare contratti, ecc. che erano stati acquisiti dai comuni). Dopo essere stato incoronato
Imperatore a Roma, fu costretto a tornare in Germania a seguito di una sommossa.
La seconda spedizione di Barbarossa in Italia fu nel 1158. Federico riaffermò l'esclusiva competenza sulle regalie
e dispose che in ogni città si insediasse un governatore di nomina imperiale, proibendo qualsiasi altra forma di
organizzazione politica. Di fronte a queste durissime prese di posizione, molti comuni non accettarono il
rappresentate imperiale e le decisioni di Roncaglia; anche la Chiesa si schierò con i comuni ribelli. La reazione
dell'Imperatore fu durissima: Crema fu distrutta e Milano vide abbattute le sue fortificazioni. Per combattere
contro Federico, nel 1167 alcuni comuni veneti e lombardi diedero vita alla Lega Lombarda, cui aderì anche il
pontefice. Lo scontro decisivo con il Barbarossa avvenne nel 1176 a Legnano, dove le truppe imperiali vennero
duramente sconfitte dai confederati. Nel 1183 fu firmata la pace di Costanza: i comuni dell'Italia centro-
settentrionale ottennero il riconoscimento della loro autonomia, in cambio di un formale atto di sottomissione
all'Imperatore; inoltre, Barbarossa aveva già riallacciato buoni rapporti con il papato.
Nel 1190 Federico I morì annegando mentre tentava di attraversare un fiume in Asia minore, durante la terza
crociata. Nel 1186 Federico aveva fatto sposare suo figlio Enrico con Costanza d'Altavilla, unica erede del re
normanno Guglielmo II. Enrico divenne quindi, oltre che erede del trono Imperiale, anche legittimo pretendente
della corona del regno normanno.
Le difficoltà dell'Impero e le glorie del papato
Enrico VI, figlio di Barbarossa, riuscì a recuperare anche la corona del Regno di Sicilia: il suo Impero si estendeva
così dal Nord Europa al Mediterraneo. Enrico VI aveva in progetto di conquistare anche i territori bizantini, ma
morì nel 1197, in Sicilia, a soli 32 anni.
Dopo la morte di Enrico VI, divampò la lotta per la corona imperiale, contesa da due grandi casate: quella di
Baviera (i cosiddetti guelfi), guidata da Ottone di Brunswick e quella di Svevia (i ghibellini), guidata da Filippo,
fratello di Enrico VI. Nel 1198 moriva anche la regina di Sicilia Costanza d'Altavilla (moglie di Enrico VI), la quale,
prima di morire, affidò il figlio Federico, di soli 4 anni, alla tutela del pontefice Innocenzo III. Quest'ultimo,
quando Federico compì 14 anni, lo incoronò re di Sicilia.
Il papa Innocenzo III era un forte sostenitore della subordinazione dell'Impero al papato, per questo intervenne
più volte nelle vicende dell'Impero: prima (1209) incoronò Imperatore Ottone di Brunswick (Ottone IV); poi,
deluso dalla volontà del nuovo imperatore di accrescere la propria influenza in Italia e dal suo progetto di
invadere il Regno di Sicilia, lo scomunicò e designò al suo posto il giovanissimo sovrano di Sicilia Federico II. Nel
1212 Federico II venne incoronato re di Germania, dopo essersi impegnato a non unire mai la corona imperiale a
quella siciliana. La definitiva vittoria di Federico II su Ottone fu sancita soltanto nel 1214, in occasione della
battaglia di Bouvines. L'esito della battaglia consacrò nuovo imperatore Federico II, che però ricevette dal papa
la corona imperiale soltanto nel 1220.
Le eresie
A partire dall'XI secolo si diffusero in Europa movimenti religiosi popolari caratterizzati dall'opposizione nei
confronti delle gerarchie ecclesiastiche e da una diffusa rivendicazione di uguaglianza sociale. I più organizzati
erano: il movimento dei catari che, diffuso dall'Europa orientale alla Catalogna, aveva dato vita a una Chiesa
alternativa; i valdesi (o poveri di Lione), che rifiutavano il rituale cattolico e la funzione dei sacerdoti; in Italia poi
vi erano i seguaci della dottrina spiritualista del frate Gioacchino Fiore. Definiti “eretici” dalla Chiesa, tali
movimenti vennero perseguitati e repressi duramente. L'istituzione del tribunale dell'inquisizione (1231) stabilita
dal pontefice Gregorio IX, rese sistematica e capillare la repressione delle eresie.
Gli ordini mendicanti
La Chiesa non usò solo la forza e la repressione nei confronti delle aspirazioni di rinnovamento religioso. In alcuni
casi i movimenti religiosi popolari furono accettati nel senso della Chiesa cattolica e divennero veri e propri
ordini religiosi, riconosciuti dalle gerarchie ecclesiastiche. Il caso dei francescani è emblematico: verso il 1210
erano un piccolo gruppo di penitenti di Assisi che si raccoglievano attorno a Francesco, il figlio di un ricco
mercante che si era votato alla povertà. Pochi anni dopo, ottenuta l'approvazione papale, i francescani, che si
facevano chiamare “frati minori”, erano uno dei movimenti più attivi e diffusi del mondo cristiano. Essi rifiutavano
i beni materiali e vivevano nella povertà assoluta, con il ricorso alla carità.
Negli stessi anni si diffuse anche l'ordine dei domenicani, fondato nel 1216 dallo spagnolo Domenico di Guzman,
secondo il quale l'ignoranza del clero cattolico in materia religiosa era una delle cause principali del successo degli
eretici. I domenicani furono un ordine colto e teologicamente agguerrito e divennero gli uomini di punta
dell'Inquisizione.
Sia l'ordine dei francescani che quello dei domenicani si radicarono soprattutto in Italia e la loro predicazione era
legata al fenomeno dell'urbanesimo, in quanto avveniva nei luoghi cittadini (piazze, mercati, ecc.) dove era
possibile entrare rapidamente in contatto con grandi masse di fedeli.
L'ascesa di Federico II
Incoronato a Roma nel 1220 dal pontefice, il giovane imperatore Federico II si dedicò al consolidamento del
potere centrale. Per ottenere la corona imperiale, Federico aveva promesso al pontefice una nuova crociata, ma
gli impegni e una profonda ammirazione per la civiltà araba lo avevano trattenuto. Il nuovo papa Gregorio IX nel
1227 scomunicò Federico accusandolo di non avere a cuore la lotta contro gli infedeli. Federico allora partì per
la Terrasanta, ma diede alla sua impresa (la sesta crociata, 1228-30) un carattere insolito: alle armi preferì la
diplomazia e sottoscrisse una pace decennale col sovrano d'Egitto; quindi raggiunse la Terrasanta, dove fu
incoronato re di Gerusalemme, titolo che gli spettava per aver sposato Isabella di Brienne, figlia di Giovanne di
Brienne, che deteneva formalmente quel titolo. La Palestina era dunque nuovamente riaperta ai cristiani, e
senza versare una sola goccia di sangue. Il papa però accusò Federico di essere sceso a patti con gli infedeli e
arrivò addirittura a lanciare il suo esercito contro il Regno di Sicilia. Rientrato prontamente dalla Palestina,
l'imperatore sconfisse con facilità le truppe del pontefice, che si vide costretto a ritirare la scomunica e ad
accettare un accordo (pace di San Germano, 1230).
Il Regno di Sicilia
Il Regno di Sicilia, comprendente tutta l'Italia meridionale, fu il centro del potere di Federico II. Il suo manifesto
politico fu il Liber Augustalis, pubblicato nel 1231, un corpo di costituzioni, in cui si proclamava la suprema
autorità del sovrano sui baroni, sui comuni, sulla Chiesa. La riorganizzazione del potere si basò su un corpo di
funzionari con compiti amministrativi e giudiziari, per la cui formazione Federico aveva fondato apposite scuole
giuridiche, come l'Università di Napoli (1224). Nella famosa scuola medica di Salerno (1231) Federico istituì la
prima cattedra di anatomia d'Europa dove era consentito praticare la dissezione dei cadaveri.
A Palermo Federico insediò una corte sfarzosa, che divenne luogo di cultura dove confluivano esperienze
intellettuali del mondo arabo e cristiano e dove si praticava un'arte poetica tra le più raffinate dell'epoca. La
scuola siciliana, il circolo di poeti radunatisi intorno all'imperatore, è la prima scuola letteraria fiorita nel nostro
paese durante l'età medievale.
Federico II suddivise il Regno di Sicilia in circoscrizioni e fece costruire una rete di castelli. A capo delle
circoscrizioni pose dei funzionari (i provisores) che ricevevano un incarico revocabile e retribuito con un salario.
Federico istituì monopoli regi sui prodotti di prima necessità e sulle materie prime (sale, ferro, rame), creò nuove
aziende agricole di proprietà della corona (le masseriae regiae) e riorganizzò e appesantì il sistema fiscale. La
situazione delle classi più povere, oppresse dal duplice peso delle prestazioni feudali dovute ai signori e delle
esazioni regie, si fece molto difficile.
Il crollo di Federico II
Mentre nell'Italia meridionale (Regno di Sicilia) si costruivano le strutture di una compagine accentrata, nell'Italia
settentrionale (Regno d'Italia) si accentuavano quelle tendenze all'autonomia comunale. Nel 1234, Enrico VII, il
figlio a cui Federico aveva il Regno di Germania, appoggiò i comuni della Lega Lombarda, affermando che la
politica del padre, tutta incentrata sulla Sicilia, nuoceva alla stabilità del potere imperiale in Germania, lasciandolo
in balia dei baroni. Federico domò senza difficoltà la rivolta del figlio (1235) e lo prese prigioniero (Enrico
sarebbe morto suicida qualche anno dopo), poi sconfisse la Lega nella battaglia di Cortenuova (1237). Nel 1241
Federico riportò un'altra vittoria contro le navi di Genova alleate del papa. Queste navi trasportavano a Roma i
vescovi francesi convocati da papa Gregorio per un concilio che avrebbe dovuto deporre l'imperatore.
Papa Gregorio morì lo stesso anno. Il suo successore, Innocenzo IV, convocò un concilio a Lione (1245),
scomunicò l'imperatore e gli scatenò contro una crociata. La situazione per Federico cominciò a farsi difficile a
causa di tumulti e ribellioni e sospetti di congiure (il cancelliere e amico di Federico, Pier della Vigna, accusato di
tradimento fu accecato e si suicidò in carcere: Dante ne avrebbe raccontato la tragedia). Nel 1249 i soldati di
Bologna inflissero una pesante sconfitta alle truppe imperiali. Mentre Federico preparava la controffensiva morì
inaspettatamente a 56 anni. Gli sopravvisse il mito imperiale, vagheggiato da Dante come unica soluzione ai mali
d'Italia.
La fine della dinastia sveva
Dopo la morte di Federico II, Rodolfo I fu incoronato re di Germania e dei Romani. Egli era virtualmente anche il
nuovo imperatore, ma Rodolfo non si recò mai a Roma per l'incoronazione ufficiale dalle mani del papa. Rodolfo
apparteneva alla casata degli Asburgo (dal nome del castello di Habichstburg, da cui Habsburg, pochi km a ovest
di Zurigo), la quale deteneva feudi nell'alta Alsazia e nella Svizzera tedesca, fra l'alto Reno e il lago di Costanza. I
domini personali della casata si arricchirono enormemente quando Rodolfo sottrasse al Regno di Boemia la
Stiria, la Carniola, la Carinzia e soprattutto l'Austria. La potenza degli Asburgo venne a identificarsi sempre più
con il territorio austriaco (Casa d'Austria).
Nel 1258 fu incoronato re di Sicilia il figlio di Federico II, Manfredi (Colto, raffinato, abile e ambizioso). Egli
intraprese una politica mediterranea, alleandosi con le città marinare di Genova e Venezia, con i sovrani di Epiro
e Aragona e favorì la ripresa del movimento ghibellino nei comuni italiani (in Italia, i guelfi erano i sostenitori del
papa, i ghibellini erano i seguaci dell'Imperatore. In realtà si diventava guelfi o ghibellini, più che per un'ideologia,
per motivi di rivalità). Il pontefice temeva l'unione del Regno di Sicilia e del Regno d'Italia sotto un unico
monarca. Per questo Clemente IV scomunicò Manfredi e proclamò al suo posto re di Sicilia il fratello del re di
Francia Carlo d'Angiò (accordo con il papa: la casa angioina si era impegnata a non pretendere anche la corona
imperiale).
Manfredi fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento (1266) e suo nipote Corradino, a cui aveva affidato il
trono di Germania, fu sorpreso da un'imboscata a Tagliacozzo (1268), catturato, fu poi decapitato nella piazza
del mercato di Napoli, aveva solo 15 anni.
Angioni e Aragonesi
Gli angioini imposero un dominio molto duro sul Regno di Sicilia: la capitale fu trasferita da Palermo a Napoli, le
imposte inasprite. I grandi banchieri fiorentini avevano finanziato la spedizione di Carlo d'Angiò. I nobili e il
popolo siciliani si ribellarono, delusi dal trasferimento della capitale. La rivolta antifrancese scoppiata a Palermo
nel 1282, portò all'incoronazione di Pietro III d'Aragona, considerato erede legittimo al trono svevo (in quanto
marito di Costanza, figlia di Manfredi). Gli eventi andarono così: nell'ora del Vespro del lunedì di Pasqua dell'anno
1282 un soldato francese perquisì una donna davanti alla chiesa del S. Spirito a Palermo; la folla reagì
violentemente e la rivolta si diffuse a macchia d'olio in tutta l'isola: una caccia allo straniero che colpì la colonia
francese, che subì circa 4000 morti. Le truppe spagnole sbarcarono subito dopo in Sicilia bloccando l'intervento
angioino. Pietro III d'Aragona fu incoronato a Palermo. Seguì un conflitto ventennale (la guerra del Vespro) che si
concluse nel 1302 con la pace di Caltabellotta, in seguito alla quale l'isola fu affidata a Federico, fratello del re
Giacomo d'Aragona (succeduto a Pietro III) con la condizione che alla sua morte la corona sarebbe tornata agli
angioini, cosa che però non avvenne. L'Italia meridionale quindi si trovò divisa in due: il Regno di Sicilia (Sicilia e
Sardegna) apparteneva agli aragonesi, mentre il Regno di Napoli (dalle Marche/Campania alla Calabria) agli
angioini.
L'evoluzione politica dei comuni italiani (secoli XII-XIII)
I comuni italiani riuscirono a consolidare il proprio potere e a estendere il loro controllo sul contado. Tale
processo coincise con la crisi delle antiche istituzioni comunali e con l'insediamento di un nuovo tipo di
magistrato, il podestà, chiamato a mediare tra le diverse fazioni in cui era divisa l'oligarchia cittadina. I podestà
(inizialmente scelti tra i cittadini, poi forestieri) erano professionisti dell'arte di governo, svolgevano le loro
funzioni per un periodo limitato (da sei mesi a un anno). Il loro spostamento da un centro all'altro aveva reso
omogeneo il quadro legislativo dei comuni italiani. Nella seconda metà del XIII secolo riesplosero le tensioni: un
ceto relativamente ampio di imprenditori, mercanti, professionisti (popolo grasso, cioè ricco) e di bottegai e
artigiani (popolo minuto) si era organizzato attraverso le Arti o Corporazioni e esercitava una forte pressione per
acquistare peso nella gestione del comune.
Lo scontro tra magnati e popolari
A Milano il governo rimase costantemente disputato tra le due fazioni aristocratiche dominate dai Torriani, guelfi
e “popolari”, e dai Visconti, ghibellini e favorevoli ai “magnati”.
A Firenze, riuscì a prevalere il popolo grasso, che fece approvare nel 1293 gli Ordinamenti di giustizia con cui si
escludevano le famiglie aristocratiche dal governo della città. Questi ordinamenti non furono modificati neppure
con la spaccatura dei guelfi fiorentini nelle due fazioni dei Bianchi e dei Neri. Se questi ultimi, capeggiati dagli
aristocratici Donati, riuscirono a sconfiggere e esiliari, nel 1302, gli avversari – tra cui Dante – capeggiati dai
popolari Cerchi, ciò non comportò alcun mutamento costituzionale.
A Venezia, l'ascesa dei nuovi gruppi sociali fu contrastata dalla vecchia classe dirigente che, nel 1297, con la
cosiddetta Serrata del Maggior consiglio, limitò l'accesso alle cariche politiche principali a un numero ristretto di
famiglie, imponendo alla guida della città un'oligarchia che si riproduceva ereditariamente.
6. Il consolidamento delle monarchie nazionali
La monarchia francese
Durante il regno di Filippo II detto Augusto (1180-1223), l'estensione territoriale del Regno di Francia aumentò a
spese dei possedimenti dei feudatari francesi e in particolare del re d'Inghilterra (vedi cartina pag. 97). Decisiva fu
la partecipazione delle truppe di Filippo alla battaglia di Bouvines: la vittoria sull'esercito anglo-germanico
permise al re di Francia di imporre la propria autorità su tutti i grandi feudatari del regno. Sul piano
amministrativo, Filippo II e il suo successore Luigi IX, detto il Santo, procedettero nell'opera di perfezionamento e
specializzazione degli organismi centrali (il Consiglio del re, la Corte dei conti e il Parlamento) che cominciarono
ad aprirsi anche a esponenti della borghesia urbana.
Il conflitto tra la monarchia francese e il papato
Mantenere in vita uno Stato centralizzato era impossibile senza risorse finanziarie adeguate: tasse indirette sul
commercio, diritti di dogana, confische, vendite di cariche e di titoli, operazioni sulla moneta; i cosiddetti
“aiuti” (i contadini, le città, i nobili stessi versavano alla corona somme considerevoli). Filippo IV, detto il Bello, si
spinse sino all'imposizione di decime agli ecclesiastici senza il preventivo assenso del pontefice. Il papa Bonifacio
VIII (1294-1303) reagì con veemenza.
Filippo convocò per la prima volta nella storia di Francia, gli Stati generali (1302), di cui facevano parte i
rappresentanti del clero, della nobiltà e della borghesia cittadina. Gli Stati generali proclamarono che i poteri del
sovrano discendevano direttamente da Dio, senza la mediazione papale (Filippo fece un abile uso della
propaganda: volantini, manifesti, opuscoli...). Bonifacio VIII reagì nel 1303 con la bolla Unam Sanctum, con cui
ribadiva gli ideali teocratici (già di Gregorio VII e Innocenzo III). Filippo il Bello agì rapidamente, senza dare al papa
il tempo di scomunicarlo. Uno dei suoi consiglieri, con l'appoggio della potente famiglia romana dei Colonna
(nemica dei Caetani, cui apparteneva Bonifacio VIII) sorprese il pontefice nella sua residenza di Anagni il 7
settembre 1303 e lo catturò. Durante l'episodio fu addirittura schiaffeggiato dal capo della famiglia rivale. Il
vecchio Bonifacio non sopravvisse alla terribile umiliazione e morì appena un mese dopo.
Il papato di Avignone
Il papato cercò una mediazione con la monarchia francese: venne eletto un papa francese, Clemente V (130514), il quale rifiutò di recarsi a Roma e trasferì la sede papale ad Avignone (1309). Qui, fino al 1376, si
succedettero sette papi, tutti francesi. La Curia divenne un grande centro d'affari, dove si vendevano cariche
ecclesiastiche.
Un'altra fonte di guadagno per la Chiesa era rappresentato dalla vendita delle indulgenze per i defunti (pratica
connessa alla radicata idea del purgatorio).
Le spese della Curia, il lusso della corte, l'estraneità dei cardinali alle comunità loro affidate, la richiesta
crescente di contributi e decime, contribuì a distaccare le popolazioni dalla Chiesa cattolica.
La monarchia inglese
La sconfitta nella battaglia di Bouvines e la conseguente perdita di prestigio di Giovanni senza Terra consentirono
ai baroni inglesi di strappare al sovrano una serie di concessioni e diritti che confluirono nel 1215 nella Magna
Charta Libertarum, che stabiliva le liberà dei nobili, della Chiesa e delle città. Il sovrano era inoltre obbligato a
ottenere l'approvazione del grande consiglio del regno (dal 1242 prese il nome di Parlamento dei Lords) prima di
emanare disposizioni fiscali. Il documento limitava il potere del sovrano il quale era sottoposto alle leggi e
all'autorità del Parlamento. Quest'ultimo risultava composto da due Camere, la Camera dei Lords e la Camera dei
Comuni (creata nel 1339), che comprendeva i rappresentanti del basso clero, della piccola nobiltà e della
borghesia cittadina.
La penisola iberica
Intorno alla metà del XIII secolo, il movimento di Reconquista poteva dirsi concluso, rimaneva in mano
musulmana solo il Regno di Granada (vedi cartina pag. 103). I regni cristinai di Portogallo, Navarra, Aragona (che
aveva assorbito la Catalogna) e Castiglia (unita dal 1223 al Leon) intrapresero, al pari di Francia e Inghilterra, il
processo di rafforzamento delle istituzioni monarchiche.
Il Regno di Castiglia ampliò progressivamente il suo dominio. Vennero periodicamente convocate le Cortes
(equivalenti del Parlamento inglese) per trovare compromessi tra il potere regio e quello dei nobili. Lo stesso
avvenne nel Regno d'Aragona. Mentre l'economia castigliana era di tipo agrario e si fondava sul latifondo, quella
aragonese era di tipo commerciale e legata ai traffici marittimi mediterranei (Barcellona era la città più
importante con vocazione mediterranea, che si tradusse nella conquista delle Baleari e nella conquista del Regno
di Corsica e Sardegna 1323-30).
Il declino dell'Impero
I successori di Federico II si trattennero prevalentemente in Germania. L'Imperatore essendo tedesco appariva
agli italiani come uno straniero e esercitava il suo potere tramite dei vicari.
In Germania il potere imperiale era limitato dai grandi feudatari che, con la Bolla d'oro (1356) ottennero il
diritto di eleggere l'imperatore: la designazione al trono imperiale spettò a sette grandi elettori: tre signori
ecclesiastici (arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia) e quattro principi laici (il re di Boemia, il conte palatino del
Reno, il duca di Sassonia, il marchese di Brandeburgo). L'eleggibilità della carica subordinava l'imperatore ai suoi
elettori e impediva la realizzazione di un'amministrazione centralizzata e la costituzione di una forza militare
stabile.
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