ANTONIO MARTIRE
POESIE E TEATRO
IN DIALETTO PEDACESE
CNPSY EDITION
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Copyright 2005
E’ vietata la pubblicazione parziale o totale dell’opera
senza il permesso dell’autore
E’ vietata, altresì, la pubblicazione in fotocopia e sotto
altre forme di pubblicazioni elettroniche
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A
mia moglie, CETTINA e
al nostro nuovo nipotino, FRANCESCO
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Presentazione
Si dice, e a ragione, che nel dialetto sia racchiusa l’anima vera di una
comunità. Nelle cadenze particolari, negli idiomi speciali, nelle espressioni e
nei suoni tipici è nascosta tutta la potenza dei sentimenti comuni, della
memoria, della stessa storia di gente che negli anni ha condiviso vicende e
spazi di territorio.
Nella lingua speciale, conservata nei decenni, c’è l’identità.
Concordiamo con il grande Ignazio Buttitta quando afferma (tradotto dal suo
dialetto) che “il popolo diventa povero e servo quando gli viene rubata la
lingua dei padri; quando le parole non figliano parole e si mangiano tra di
loro”.
Ecco: il libro di Antonio Martire, personalità eclettica, grande studioso di
tradizione e cultura, allontana un’eventuale spoliazione regalando il ruolo di
primo piano in un’opera letteraria alla lingua più vera ed autentica. Alla
parlata di Pedace Martire ridà tutta la dignità appannata dall’uso quotidiano,
frequente a difesa dai colpi di lingue, e soprattutto linguaggi, dominanti, che
non fanno capo solo all’italiano ma anche alla televisione, al gergo
giovanile, all’inglese sempre più presente. Anche per questo tale opera è
preziosa, perché conserva e valorizza un modo di parlare e poi perché fa
della poesia e del teatro, dell’arte insomma, vita vissuta.
Non è estranea, certo, all’opera di Martire la sua personale esperienza, il suo
impegno politico, la sua passione civile. Felice, quindi, risulta la fusione tra
elemento stilistico e vissuto: il dialetto serve da supporto alla lirica ma anche
al teatro che propone, a sua volta, temi di attualità.
Nell’opera del Martire si affaccia sovente la mai risolta questione
meridionale che qualcuno vorrebbe dimenticare ma che invece è più presente
che mai. Ed è questo elemento che impone una lettura attenta.
E’ un libro questo che la Provincia di Cosenza, impegnata nella promozione
culturale del suo territorio oltre che nella ricerca ed attuazione delle
condizioni del suo sviluppo, saluta con estremo favore.
Consigliamo su di esso una riflessione, soprattutto alle generazioni più
giovani affinché, sottratte per un attimo alle lusinghe di tempi confusi, si
riapproprino di un patrimonio comune, sul valore di questo riflettendo.
Magari in dialetto.
On. Mario Oliverio
Presidente della Provincia di Cosenza
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COMMENTI CRITICI
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E se fosse guerriglia?*
di Giulio Palange
Evocate, per un attimo, l’intonazione con cui “uno” - uno, per
intenderci, che per vicenda personale e collettiva ha dovuto e deve
travagliare per vivere- pronunzia, mostrando la propria sbrindellata
esistenza, le parole “‘ssa vita”: evocatela e sarete automaticamente in
possesso della chiave complessiva di lettura di questa raccolta di
poesie di Antonio Martire. Anche se non è facile, perché per
razionalizzare questa intonazione in tutte le sue contestuali
significanze forse non basta una biblioteca di testi di antropologia, di
dialettologia, di sociologia e di tutte le altre “…logìe” possibili e
immaginabili. E non è un paradosso: accade, sovente, che tutta una
storia entri intera in una parola di poche sillabe o, ancor più, in una
intonazione di voce che dura solo qualche secondo, mentre sta
abbastanza stretta in un miliardo di parole stampate. E proprio questo
è il caso di “‘ssa vita”, dell’intonazione con cui “uno” la pronuncia e
di tutto quello che storicamente sta dietro alla stessa intonazione.
Ergo: la faccenda della chiave di lettura delle poesie di Martire risulta
vera nella misura in cui si è in grado di dare al titolo della raccolta non
un valore puramente accidentale o, al meglio, programmatico ma
proprio uno spessore di vissuto collettivo e individuale allo stesso
tempo; uno spessore intessuto di rassegnazione e di rabbia, di
saggezza e di bestemmia, di disincanto e di stupita incomprensione di
fronte alle piccole e grandi ingiustizie delle quali è intramata
l’esistenza di chi sulla sua propria esclusiva pelle ha imparato a
coniugare fino in fondo solo i verbi “campare” e “fatigare”, “fatigare”
e “campare”.
“‘Ssa vita”!
Come dire generazioni più generazioni consumate a gettare il
sangue dalla mattina alla sera senza una prospettiva e fra difficoltà e
problemi di ogni genere, a tirare avanti alla giornata, ad esistere per
modo di dire….
Che poi, è vero, a scriverle a tavolino, tutte queste cose, sanno
sempre di una retorica della miseria e di una epopea stracciona che
fanno rivoltare lo stomaco e puntare i piedi alla ragione perché troppo
a lungo hanno costituito l’alibi di una malapianta di parolai che
piangendo sulla spalla del fratello diseredato e maltrattato dalla storia
gli hanno cucito addosso, su misura, la camicia di forza di una
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autocommiserazione operativamente traducibile in termini di pietismo
e di assistenzialismo; e cioè: altro modo di gettare il sangue, di tirare
avanti alla giornata, di esistere per modo di dire.
C’entri o meno la poesia, per poterle dire e scrivere senza
provocare rivolgimenti intestinali e rifiuti della ragione, certe cose uno
deve averle fatte proprie o per via di esperienza personale o per
razionalizzata presa di coscienza: solo che – e qui c’entra la poesia- ad
utilizzare esclusivamente l’esperienza personale si corre il rischio di
cadere nella trappola del viscerale populismo, mentre a proporre le
cose in chiave di puro ideologismo il pericolo è quello di un asettico
engageament. E la poesia, quella fatta di pasta buona, non sa che
farsene e dell’uno e dell’altro: altrimenti diventa marmellata fatta in
casa o nella sede di partito.
Ma Antonio Martire no, questi pericoli non li corre: lui, da
ragazzo – e come lui, e prima e dopo di lui tanti ragazzi nelle sue
stesse condizioni- il cosiddetto “esproprio proletario” lo ha messo più
volte in pratica quando lo stomaco gli “rugliava” per la fame e l’unico
rimedio era quello di andare per le macchie a sgobbare a chi aveva la
ricchezza di un orto, un pomodoro da azzannare condito con una
pizzicata di sale e accompagnato da un morso di pane duro ammollato
con l’acqua perché così saziava di più; lui –e come lui eccetera
eccetera- ha visto partire a notte piena “’u trainieri” che, bello o
cattivo tempo, impiegava intere giornate per andare fino in Sila, non
in villeggiatura fra i boschi di pini e di abeti odorosi di resina, ma a
sbancare l’anima per cavare qualche solco di patate magnanimamente
concessogli dal grazioso signore che, forte della propria ingorda
arroganza e profittando del tacito consenso o, nel migliore dei casi,
dell’ignavia di tanti regnanti, aveva saputo trasformare le difese
demaniali della stessa Sila in latifondo privato; ha visto “a sarcinara”
giorno per giorno aggobbirsi e storpiarsi sotto il peso delle fascine,
gramo e gravoso eppur necessario utile di arrancate mozzafiato per
montagne e valloni godendo (si fa per dire) di usi civici sacrosanti ma
spesso magnanimamente ostacolati se non addirittura negati dal solito
grazioso signore; ha visto “a furnara” –gradino più basso di una
gerarchia economico-sociale ordinata comunque e sempre sulla legge
del bisogno- consumarsi in sudori e fatica ad una bocca di forno per
“ammantare” con le sue uniche esclusive forze la famiglia.
E chi ha visto e vissuto tutto questo, ed altro, molto altro ancora,
o aspetta, stremato, che arrivi la burrasca finale che annunciandosi con
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nuvole dense di incognito saldi comunque definitivamente il conto del
dare e dell’avere; o appena può se ne scappa cercando altrove il
riscatto da una secolare condizione di indigenza e di discriminazione
per poi magari rimuovere il proprio passato, col quale recide ogni
sostanziale legame, in termini di nostalgia per un microcosmo paesano
fatto di volti, usanze e tradizioni da rivivere, una tantum ed
epidermicamente, durante i rientri vacanzieri sottolineati dalla
ostentazione dei simboli del nuovo status raggiunto; oppure stringe i
denti e fra tutto un campionario di difficoltà, resistenze,
incomprensioni, sacrifici, si crea gli strumenti per filtrare la propria
personale vicenda e quella simile dei propri simili, attraverso la presa
di coscienza di una storia fatta e di una storia da fare, di una lotta da
realizzare giorno per giorno con altri e per altri. In quest’ultimo caso –
che è poi quello di Antonio Martire-, e quando si ha anche a
disposizione sensibilità e capacità di penetrare nell’essenziale delle
cose, può accadere che la poesia –con il sovrappiù dell’aggettivo
“dialettale”- diventi oltre che un momento di necessaria decantazione
delle proprie esigenze di comunicazione, anche e soprattutto lo
strumento iniziatico per rivisitare senza viscerali rancori, senza
compiacimenti rievocativi e senza sovrastrutture concettuali, il proprio
patrimonio di vissuto e di memoria (la storia fatta); per cui, quando
questo accade e accade come deve accadere –com’è nel caso del far
poesia di Antonio Martire- il politico in senso stretto si fa ideologia, il
particolare si propone come esemplare, il privato si trasforma in
emblematico e la poesia dialettale diventa poesia e basta mandando a
quel paese tutti quei rocciatori dell’estetica che stanno ancora lì ad
arrampicarsi sostenendo l’aparthaid della poesia in genere da ogni
forma di promiscuità linguistica e, soprattutto, contenutistica.
Ma quando questo non accade, o accade come non deve
accadere, non rimane che aprire le finestre per mandar via la puzza di
rifritto: le migliori e più oneste intenzioni si sfanno nella genericità
sentenziosa, nell’improbabilità del bozzetto, nel sentimentalismo
languoroso, nel pietismo di maniera; ed i rocciatori si possono, a
ragione, permettere il lusso di parlare di “coserelle”.
Pertanto: un intenso e partecipato patrimonio di memoria e di
vissuto, una ideologicizzante presa di coscienza, una lucida tensione
razionalizzatrice, un accorto uso interpretativo dello strumento
poetico; ma, in verità, manca ancora qualcosa al quadro delle
componenti di base del far poesia di Antonio Martire: ed è un dato
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geo-storico-culturale. Perché, in fondo, non si è quel che si è per caso
o per accidenti né ci si alza un mattino decidendo all’improvviso di
scrivere poesie, e poesie di un certo tipo per giunta. È anche una fatto
di aria che si respira. E l’aria che si è respirata e si respira nei Casali
Casentini e a Pedace in particolare - di qui è Martire- non è stata e non
è certo di quella che induce agli ozi accademici ed alla pecorona
supinità al potere costituito: in effetti Pedace è, storicamente, non solo
area culturale caratterizzata da una ricca e significativa espressività
subalterna e da una produzione poetica in dialetto opulenta di
immagini e straripante arguzia, ma anche terra di ribellioni, di
briganti, di lotte contadine fatte non per delega, di antifascismo
militante e non solo da post-ventennio, di battaglie progressiste che
nulla hanno da spartire con il vezzoso impegno di tanti radical-chic di
provincia. Anche questo bisogna mettere nel conto per decifrare il
perché nella poesia di Martire –sia essa costruita in chiave di
partecipata rievocazione o di provocatoria denunzia o di accorato
racconto o di sottile ironia o di altro ancora- il retroterra culturale e
l’angolo prospettico combaciano fino ad identificarsi con quelli de’ “a
furnara”, de’ “u trainieri”, de’ “a sarcinara” e di tutte le altre
inquietanti incarnazioni, più o meno anonime, che trasformano questa
raccolta di poesia in una brugheliana tela brulicante di umanità offesa
e stravolta. Si identificano al punto che l’intonazione con cui queste
stesse incarnazioni direbbero “‘ssa vita!” la si ritrova puntualmente in
ogni verso di Martire: un’intonazione impastata appunto di
rassegnazione e di rabbia, di saggezza e di bestemmia, di disincanto e
di stupita incomprensione… Per cui a leggerle, queste poesie, ti rendi
perfettamente conto che l’autore non vuole imboccarti per amore o per
forza pappardelle che “lui” e solo “lui” ha cucinato a tavolino, conscio
della “propria” cultura e del “proprio” esser poeta, mettendo in bocca
a questo o a quel povero cristiano parole e ragionamenti posticci,
perché in effetti sono proprio loro, le incarnazioni, a raccontare
tramite lui, ad incazzarsi, ad alzare impotenti le spalle, a sperare, ad
ammonire, a sentenziare magari anche ricorrendo al luogo comune e
all’ovvio come capita a chi per secoli si ritrova a fare sempre le stesse
considerazioni sulla miseria, su chi comanda, su chi pena sgobbando e
su chi se la spassa grattandosi la pancia. Ed anche quando lui, Martire,
parla per i cavoli suoi, e cioè in prima persona, rimane sempre uno di
loro, perché quello che dice non si mimetizza in proiezioni concettuali
o immaginifiche colte per imporre, o per lo meno per propinare, una
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morale che con la realtà culturale degli “altri” ha poco o nulla a che
fare: quello che lui dice e come lui lo dice lo direbbero pari pari questi
stessi altri perché il codice di interpretazione della realtà è lo stesso
identico così come sono gli stessi identici i segnali che
contraddistinguono la comunicazione di tali codici (i proverbi, i modi
di dire, le costruzioni lessicali e concettuali, le cadenze, gli stereotipi
verbali, etc., tutti funzionalmente e specificamente usati da Martire).
Insomma, il poeta non ha fatto altro che razionalizzare lo stesso
codice, dargli coscienza di sé oltre che prospettiva dialettica, “con” la
poesia e “in” poesia.
“Con” la poesia, perché questa, proprio come strumento
interpretativo
che
non
s’accontenta
semplicemente
e
semplicisticamente di descrivere o di annotare, gli ha consentito
anzitutto di cavare da personaggi e situazioni un nucleo di verità
oggettiva in grado di renderli esemplari pur nella loro specificità
storico-culturale, facendo loro perdere ogni connotato “paesano” o
comunque particolaristico, e poi di sciogliere il nodo dei rapporti fra la
memoria personale e quella collettiva, fra il privato e l’ideologia, fra
l’istintualità e la ragione, e quindi e in definitiva, di rintracciare una
sua propria identità lungo la traccia di una identità di classe.
“In” poesia, perché, in fondo, solo il contesto poetico gli poteva
permettere di coagulare i personaggi e le situazioni in visualizzazioni
laceranti nella loro rappresa chiaroscuralità e prive di superflue
insistenze descrittive da tranche-de-vie; di proporre i significati per
via di rimandi sempre interni ai simboli verbali usati, di dire le cose
sulla base di ritmi e cadenze sincroniche con il succedersi dei concetti
e delle immagini; di utilizzare in modo così originariamente
interpretativo e così contestualmente comunicativo il ruvido dialetto
pedacese, impronunciabile e in certa misura intraducibile da chi
pedacese non sia.
Ecco, le poesie di Antonio Martire fanno pensare a quei muri a
secco di pietra che un po’ in tutti i paesi calabresi sembrano insistite
sottolineature di un secolare destino di indigenza: muri a prima vista
scostanti nella loro slabbrata spigolosità, fragili nella loro arida
precarietà, formalmente irrilevanti nella loro semplicistica
essenzialità. Ma se si hanno gli occhi buoni per guardarli come vanno
guardati e la mente e l’animo disponibili per accettarli come debbono
essere accettati, allora rivelano tutto il loro nascosto fascino, la loro
antica solidità, la loro sostanziale bellezza. Espressione coerente e
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perfetta di una storia che ha lasciato anche sui muri la traccia della sua
logica, stanno su da secoli, pietra su pietra, in equilibrio, con nessun
altro coesivo che non sia una perizia che ha saggiamente usato gli
elementi esistenti in natura e che si è inventata da sola i mezzi e i
sistemi per far fronte alla necessità. E poi, ogni pietra è diversa
dall’altra, ha una sua forma che però ha ragione di esistere solo in
rapporto alla forma di tutte le altre che costituiscono il muro; e chi
l’ha fatto, quel muro, ha sputato l’anima per dare ad ogni pietra quella
forma ed ha provato e riprovato ogni pietra accanto alle altre perché si
azzeppasse con loro e su di loro gravasse adeguatamente con il
proprio peso.
Ogni poesia di Martire è proprio come un muro a secco di
pietra: ogni parola, pur avendo una propria anima, ovvero una propria
autonoma identità semantica, è sempre interrelata alle altre, dalle quali
riceve significato e sulle quali sgrava il proprio significato, per via di
aggregazioni che possono anche sembrare accidentali, instabili nei
loro equilibri formali ma che in effetti sono il risultato, solido anche se
spigoloso, di una ricerca espressiva fatta di paziente e duro lavoro
artigianale attento innanzi tutto e soprattutto alla sostanzialità della
resa e su di un materiale –il dialetto pedacese- non artefatto e non
mistificato. E il coesivo che tiene su questi muri a secco che sono le
poesie di Martire è costituito proprio dalla tensione di opporre ad una
storia fatta da pochi e ad uso e consumo di pochi un argine di
contenimento di razionalizzata presa di coscienza di ciò che agli
“altri” ha comportato e comporta vivere “‘ssa vita”. “Altri” che nelle
quattro sezioni sulle quali è organizzata la raccolta si ritrovano
intieramente e puntualmente perché, ad ulteriore riprova della lucida
adesione del poeta alla loro identità culturale, vi ritrovano gli
atteggiamenti specifici mediante i quali loro stessi hanno tradotto in
termini di sopravvivenza una logica esistenziale e sociale altrimenti
inaccettabile; e cioè: la fatalistica ma sempre stupita osservazione del
vissuto come necessaria presa d’atto di una realtà per loro immutabile
(“Vernata amara”), la memoria e il privato come rifugio estremo (“A
cascia”), il proverbialismo come ricorso obbligato ad un collaudato
codice collettivo di interpretazione e di comportamento (“A pisca”), la
provocazione e la denuncia come rito eliminatorio che si consuma in
se stesso (“Tire c’arrenne”).
Ma la raccolta di poesia di Martire non è solo una sorta di
documentario sia pure, diciamo, alla Rossif su di un terzo mondo che
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è appena fuori la porta di casa nostra: è il percorso obbligato per
arrivare da “‘ssa vita” (la poesia di apertura) a “Scirocco anticu” (la
poesia di chiusura), e cioè il filo rosso da seguire per trasformare
un’antica intonazione espressa sommessamente e impastata di tante
cose, in un assordante, dirompente, liberatorio grido. Ed allora gli
stracci indossati dalla fornaia, dal carrettiere e dagli altri si rivelano
come emblemi sventolanti in un universo - quello storicamente
subalterno - che sopravviverà a se stesso fin quando sotto qualsiasi
latitudine bivaccheranno comunque l’ingiustizia, lo sfruttamento, la
frode, la sperequazione e tutte le altre belle cose che hanno fatto e
fanno invivibile “‘ssa vita”; per cui ogni parola, ogni verso, ogni
concetto di ogni poesia di Martire potrebbe anche esser letto come un
colpo a sorpresa portato alla sempre più arrogante indifferenza di chi
da sempre ha interesse a che “tutto cambi perché tutto rimanga come
prima”.
Che anche con la poesia si possa far guerriglia?
* Questo articolo è già apparso quale prefazione alla raccolta di poesie Ssa vita,
pubblicata nel 1981 dalla casa editrice MIT di Cosenza.
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“’A vijielia ‘e Natale”*
Commedia in due atti, scritta da Antonio Martire nell'ottobre del
1986, messa in scena per la prima volta il 26 dicembre 1986 nella
parrocchia dei S.S.Apostoli Pietro e Paolo in Pedace, ha riscosso un
enorme successo di pubblico. È stata, per tale motivo, riproposta alla
comunità pedacese nuovamente il 6 gennaio 1987 ed è rimasta nel
cuore di tutti per la sua dimensione antropologica e una connotazione
fortemente simbolica e valoriale.
L'eco del successo riportato si è notevolmente diffuso ed ha fatto sì
che in molteplici paesi limitrofi, e non, della provincia, la commedia
venisse altre volte rappresentata ad opera di diverse compagnie teatrali.
Anche in ambito scolastico il lavoro di Antonio Martire trova
collocazione e diventa un'opera con buoni esiti interpretativi per gli alunni
delle scuole medie.
La consacrazione definitiva, intesa come riconoscimento ufficiale
da parte della critica letteraria, giunge col conquistare il quinto premio
nel concorso nazionale CARM, indetto in Cosenza nell'anno 1995-96, a
cui hanno partecipato oltre 300 concorrenti.
E dovendo presentare questo lavoro al pubblico dei suoi lettori, è
necessario darne la giusta collocazione artistica nel novero delle opere del
teatro popolare in vernacolo calabrese. E lo si fa in modo affettuoso e
sentito perché i vincoli di amicizia e di stima che ci legano a Tonino
Martire sono tanti e tali che vergare lodi di apprezzamento in suo onore
ci riesce facile e spontaneo e di conseguenza il discorso scorre fluido e
non inceppa in forzature o in encomi indebiti.
Già il titolo della commedia, ‘A vijielia ‘e Natale, ci inoltra in una
particolare e suggestiva atmosfera: la serata della vigilia di Natale,
vissuta in una famiglia qualsiasi del paese e i motivi conduttori sono il
sentimento religioso coinvolgente, sentito ed avvertito, e
l'attaccamento alla tradizione.
I personaggi sono sette e su di loro campeggia la figura di
"Tumasi", l'anziano patriarca che incarna la tradizione e rimane
estraneo alle innovazioni, profondamente radicato com’è al suo modo
di vivere. È una figura emblematica che l’autore ci presenta subito nel
prologo e a cui fa proferire un elogio sincero e spassionato sul "focularu",
"‘ssu gran cumpagnu chi se fa amare", che ha la capacità di raccogliere
intorno a sè tutta la "famigliella ", mentre fuori imperversa la bufera o
è in atto "na bella nivera ".
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Il tempo passa, cambiano gli stili di vita, le consuetudini e anche il
"focularu" è destinato ad essere soppiantato da altre fonti di calore. E
l’allusione del vecchio tutore dell'ordine familiare al
frenetico modo di voler cambiare tutto è racchiusa nei versi ”’e
cose antiche le boni pezziare” , e giura a se stesso che fino agli ultimi
istanti della sua vita rimarrà fedele al suo grande e vecchio amico "u
focularu", accanto al quale ha trascorso attimi lieti e superato momenti
difficili.
È da far rilevare la caparbietà con cui il vecchio stigmatizza il
sentimento quasi di religioso attaccamento alle tradizioni sacre. Infatti,
come ogni anno, nella vigilia di Natale, momento sacro nel mondo
cristiano, in cui tacciono gli odi, i rancori spariscono e gli animi sono
colmi di sentimenti di pace e d'amore, c’è una ricorrenza che non si può
infrangere, quella di accendere un grande fuoco nel proprio focolare
domestico.
L'immagine del vecchio, con la sua inseparabile pipa, davanti al
camino acceso, apre la scena della Commedia.
Gli altri personaggi sono: Giovanni, il figlio del vecchio Tumasi;
Tiresina, la moglie di Giovanni; Peppe, il fratello di Tiresina, scapolo e
sfaccendato; Rosicella e Maruzziellu, figli di Giovanni e Tiresina; Gegè, il
fidanzato di Rosicella. Sono personaggi anch’essi ben delineati che
simboleggiano l’anelito verso il nuovo, che si proiettano verso il futuro
con tutto il loro modo diversificato di essere, che appare ora in linea
con la continuità del passato, ora in netto contrasto.
L’azione scenica è rappresentata da una lunga conversazione che
si svolge nella vigilia di Natale in questa famiglia, i cui componenti,
con toni a volte pacati, altre volte pungenti e ironici, discutono della
quotidianità, del loro modo di porsi e di essere e non mancano alcuni
efficaci squarci disvelatori sulla situazione politica italiana.
A dire il vero l’autore insiste più sulla caratterizzazione dei
personaggi, che si muovono nel loro stretto ambito familiare, che su
quello ambientale e sociale. Pochi sono in effetti i richiami alla realtà
circostante. Forse il rientro di qualche emigrato dall’America, "Riamunnu
‘ccu la mugliere" è uno dei pochi riferimenti, ben facilmente
identificabili con persone realmente esistenti e che, in via del tutto
confidenziale, l'autore cita in seno alla Commedia. E questo
riferimento non è del tutto casuale se si considera che l’autore non è
incline a dimenticare il passato, rinvangandone anche i suoi aspetti
spiacevoli a mo’ di monito per il presente e per il futuro. E Pedace, come
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tanti altri paesi della Calabria, in un passato non molto lontano, ha
conosciuto anche l’emigrazione oltroceanica, per sfuggire alla miseria
e alla fame. È un ritorno trionfante di vittoria di chi ha saputo
realizzarsi anche in terre lontane, ma che rimane costantemente
legato, col cuore pieno di nostalgia e di affetto, al suo sito natio. Il
momento della festa rappresenta un ritrovarsi insieme in un piccolo
microcosmo di affetti amicali.
Altro momento di forte richiamo alla vita paesana è la costruzione
del falò, "'u fuocu 'e Natale" in piazza, "mienzu 'e pezze": è simbolo di
unione, di pace e di calore e fa parte di una tradizione secolare.
Pedace funge così da contesto ambientale alla commedia ed è
presente anche con il suo dialetto a cui l'autore attinge pienamente,
facendo parlare i suoi personaggi con un linguaggio semplice, mirato,
reso efficace e colorito dal ricorso ad eloquenti proverbi, a motti vivaci e
a modi di dire sagaci che palesano l’attaccamento pervicace alla civiltà
contadina e al suo tesoro esperienziale e valoriale.
In definitiva, la Commedia, nel suo intreccio, non riserva colpi
di scena o grosse sorprese. La chiusa è affidata alla saggezza di Tumasi
che, rimasto solo nella notte di Natale, trova conforto e consolazione
nel focolare, l’amico di sempre, il banditore di ogni malinconia e colui
il quale si fa portavoce del significato più profondo del Natale.
Prof.ssa ERMINIA BARCA
* Il presente testo ha costituito la prefazione all’omonimo lavoro teatrale nella sua
prima pubblicazione, avvenuta nel 1996 presso il Centro Arte Ricerche Meridionali
(CARM).
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Arte e vita nel teatro di Tonino Martire
Il teatro calabrese non è mai stato una “scuola“ organizzata
con una sua struttura, una sua lingua, una sua poetica. Lo stesso
territorio, frammettato dalle montagne, ha reso difficili le
comunicazioni e i rapporti umani, sociali e culturali. Fino a qualche
tempo fa, nel riferirsi a questo estremo lembo della penisola, si usava
il termine “le Calabrie” a indicare l’esistenza di una realtà non
omogenea, di una società non uniforme, di una cultura non unitaria.
La popolazione calabrese, contadina nella stragrande maggioranza, è
sempre stata, comunque, una società subalterna, di “vinti“, fatalistica,
con una sua struttura feudale, che ha alimentato una cultura
genericamente protestataria e ribellistica. Il mondo degli “umili“
calabresi non ha mai intercomunicato, privo di collegamenti utili ad
una sia pur elementare organizzazione sociale e culturale non solo per
la frammentazione del territorio, ma anche per l’assenza storica di
grandi centri urbani, per la sua insignificanza politica e, di
conseguenza, per le diversità culturali ed etniche dei paesi e dei
villaggi, isolati e chiusi in se stessi. Nel tempo non si è affermato
nemmeno un linguaggio dialettale comune, per la debolezza della sua
tradizione culturale e per l’assenza di un centro politico, commerciale
e amministrativo. Il teatro, come la poesia, è così affidato ad uomini
diversi per storie e sensibilità; è vissuto nella genialità di autori che
hanno cercato nei loro solitari percorsi umani d’interpretare e
rappresentare un mondo di subalternità e di emarginazione
Di questi autori di teatro fa parte a pieno titolo Antonio
Martire, di Pedace, dove è nato e vive, degno continuatore del teatro
dialettale di Michele De Marco, in arte Ciardullo. Legato da un
profondo amore per il suo paese, l’autore è impegnato per la crescita
culturale e civile della comunità presilana. Il suo primo interesse
letterario è stato per la poesia dialettale. Risale al 1981 la
pubblicazione della raccolta di poesia Ssa Vita, un insieme di gustosi
e significativi bozzetti di vita contadina e di tradizioni che ritraggono
speranze, abitudini e costumi della popolazione pedacese e presilana
nel difficile periodo del dopoguerra. A partire dal 1986, Antonio
Martire si accosta al genere teatrale, scrivendo in vernacolo pedacese
la sua prima commedia, intitolata ‘A Vijielia ‘e Natale, un lavoro in
due atti che, a buon titolo, è da considerare il manifesto dell’arte
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drammatica del Martire. In questa prima commedia sono già presenti
temi e motivi caratterizzanti il suo teatro: l’amore per il passato, le
sue tradizioni, i suoi usi e costumi, il contrasto tra vecchio e nuovo,
l’atteggiamento protestatario verso il potere costituito, la ritrattistica
bozzettistica dell’ambiente e dei personaggi. Attraverso la memoria,
vera musa ispiratrice della sua arte, l’autore non costruisce ma
ricostruisce una società preindustriale, precapitalistica, ma soprattutto
preconsumistica, con una folla di personaggi fortemente e
artisticamente tipizzati e caratterizzati. Antonio Martire basa il suo
teatro su una costante contrapposizione di sentimenti e di valori, su
una struttura tecnica semplice e popolare, lontana da ogni
sperimentalismo tecnico e da intellettualismi paradossali. La comicità
che ne deriva non porta però al riso aperto e a tutto tondo, ma solo al
“sorriso“ perché i suoi personaggi parlano e discutono cose vere, di
fatti realmente vissuti e fanno riflettere. Alla fine dello spettacolo, lo
spettatore si allontana dalla sala sorridente ma anche pensoso perché
in quel “ dramma “ ha ritrovato qualcosa della sua vita, della sua
storia, della sua fanciullezza-giovinezza. E’ avvenuto un reale e
compiaciuto processo d’inteficazione.
L’elemento centrale del teatro di Tonino Martire è l’orgogliosa
rivendicazione dell’autenticità di un mondo che “nella sua semplicità
e pur segnato da sacrifici e stenti possedeva una forza immensa di
calore umano e un cuore aperto alla speranza e al perdono”
(Prefazione alla commedia ‘A vijielia ‘e Natale).
Il teatro di Tonino Martire, costituito di gente comune per
lo più, di azioni quotidiane, tende alla conservazione di un mondo che
ormai sta scomparendo, ma che non eleva ad un’ottica di una
cosciente protesta politica. Certo non manca la denuncia sociale,
politica, ma a Tonino Martire interessa soprattutto difendere e
conservare quel mondo perché non si rassegna all’idea che un popolo
perda la memoria del suo passato, che le nuove generazioni crescano
senza avere conoscenza degli uomini, delle opere e dei giorni che
hanno segnato il tempo della nostra comunità. Il teatro, ma più in
generale l’arte di Tonino Martire, si permea molto della mentalità
dello storico. Il nostro autore, come lo storico, è uno che cammina ma
con la testa rivolta verso il passato. Non a caso il punto di
osservazione di questa società in via di estinzione è lo stesso autore
che, a un certo punto, si “ eclissa “ nei suoi personaggi. Il passato che
fa rivivere con le sue tradizioni, i suoi sentimenti, le sue abitudini, i
17
suoi contrasti è il suo passato. Personaggi, fatti, scene aneddoti si
sviluppano “attorcigliati“ all’esistenza stessa di Tonino Martire. Si
può dire che c’è una perfetta identificazione tra arte e vita. Come in
un lungo feed-back scorrono personaggi che diventano non simboli o
astrazioni di qualcosa, ma tipi concreti di una società, fissati in alcuni
fondamentali caratteri di facile e istintiva distinzione (vecchiogiovane, buono-cattivo, antico-moderno).
In precedenza ho sostenuto che nel teatro di Tonino Martire è
presente una “ironica“ vena polemica verso il potente, il potere
costituito, ma questa (lo voglio ribadire) si ferma alla semplice
constatazione, all’implicita denuncia e non si trasforma in protesta
politica né pretende ad un nuovo ordine sociale. Tonino Martire non è
un rivoluzionario, ma è un grande artista, innamorato del mondo che
rappresenta, piccolo mondo antico, fatto di stenti e di disperazione,
ma grande mondo per i vincoli di amicizia e di solidarietà che lo
animano. L’atteggiamento di Tonino Martire è lirico più che
oggettivo e questo lo conduce a trasfigurare le sue storie e i suoi
protagonisti proiettandoli in una magica e coinvolgente lontananza
dove si smarriscono gli odi ed i rancori e si assiste ad un recupero di
amorevole bontà.
Tornando all’analisi della sua produzione teatrale, nella
prima commedia (‘A Vijielia ‘e Natale) già il titolo ci inoltra in una
suggestiva e magica atmosfera: la serata della vigilia di Natale,
“vissuta in una famiglia qualsiasi del paese, e i motivi conduttori
sono il sentimento religioso coinvolgente, sentito e avvertito, e
l’attaccamento alla tradizione. L’azione è rappresentata da una lunga
conversazione che si svolge in questa famiglia, i cui componenti con
toni a volte pacati, altre volte pungenti ed ironici, discutono della
quotidianità e … non mancano alcuni efficaci squarci… sulla
situazione politica italiana” (ibidem). Pochi sono i richiami alla realtà
circostante perché l’autore privilegia la caratterizzazione dei
personaggi. Fra tutti prevale la figura del vecchio Tumasi, simbolo di
un mondo che non c’è più, attaccato al suo focolare domestico, e, in
questo, in antitesi con suo nipote Maruzziellu, che ascolta con le
cuffie alle orecchie continuamente musica moderna e non capisce
quel vecchio che ha come amico il fuoco del camino.
Dopo ‘A Vijielia ‘e Natale Tonino Martire dà alla luce
numerose altre commedie, tutte incentrate sui temi classici della
tradizione, nonché sul socio-politico. I personaggi ritratti portano
18
sulla scena gli eterni problemi della società meridionale e l’ottusità
della sua classe dirigente. Nella commedia Le campagne
dell’onorevole domina la satira contro il politico demagogo e
populista, che promette tutto a tutti prima delle elezioni per poi
dimenticarsi di tutti gli impegni e delle promesse fatte a “risultato
raggiunto”: è un eterno ritornello. Nella successiva commedia
L’amure nun s’accatte, in tre atti, la scena si svolge in una sartoria
del paese. Il tema è quello di un amore contrastato. La nipote delle
sarte rifiuta il matrimonio col giovane scelto dalle zie, per sposarsi
invece con quello che “lei” ha scelto. E’ una commedia per certi versi
“corale”, perché vi partecipa a vario titolo l’intera comunità. La
vicenda afferma il diritto all’amore, in una società nella quale,
soprattutto i diritti delle donne, i diritti dei più deboli, erano
conculcati. In questo Tonino Martire esalta le motivazioni femminili
nell’impostare il problema del diritto all’amore mettendo il dito nella
realtà crudele della donna sola e depotenziata, ubbidiente ai voleri
della famiglia. Nella commedia ‘U postu ‘e Giacominu, atto unico,
dietro la “burla“ che gli amici combinano a Giacomino emerge il
dramma non ancora risolto della questione meridionale: il tema del
lavoro che non c’è. La commedia in due atti ‘U scalune ‘e re
cummari è ambientata in uno dei tanti “vicinati“ del nostro paese in
un caldo pomeriggio estivo. Protagonista è “ ‘ u scalune “, fatto di
pietra di fiume, dove le ciarliere comari sono sedute intente a
svolgere alcuni tradizionali lavori artigianali e, come al solito, a
passare in rassegna con abile lavoro di forbice i fatti e la vita del
vicinato, del paese e dello stato. L’ironia bonaria che attraversa
l’intera commedia consente ai personaggi, tra pettegolezzi, equivoci e
imprecazioni, di trattare alcuni problemi del nostro tempo, con
filosofia, tipica della nostra gente, col cuore disposto alla bontà e al
perdono. Ironia bonaria e indulgente è in fondo il tono dominante del
teatro di Tonino Martire.
Prof.. Giovanni Curcio
19
POESIE*
Il tempo che avanza inesorabile
scava sui nostri volti rughe
simili alle linee di un pentagramma musicale,
sul quale sono scritte le note della colonna sonora del nostro vissuto;
in esso trova spazio e legittimità anche la poesia.
20
* Le poesie contenute in questo volume appartengono alla raccolta in
versi Ssa vita, pubblicata nel 1981 dalla casa editrice MIT di Cosenza.
Alla presente edizione sono state aggiunte le seguenti poesie inedite:
U’ paise, Rughella antica, ‘A chiazza, Natale, Pensieri, Munnu
‘mbrogliatu, Scippatore, U’ pane, Za’ Vicenza, U’ campanaru, U’
fuocu
‘e
Natale,
Amure,
Passione,
Capricciusella.
21
‘SSA VITA
Oh sule chi guardi e corìi 1
‘ssa terra, ‘ssa gente ‘ncerata2,
‘sse case, ‘ssi tanti penìji3,
‘ssa vita patut’e strigliata,
nun pruovi pietat’e turmientu
ppe’ ‘sse manu calluse, ‘ntostate4
chi cchìù p’u rulure ‘un sa sientu
ppe’ ‘sse catreje5 chicate6?
‘Ssa gente norra nun biri
penzusa, rolent’e sciancata7
chi tire avanti a suspiri
e r’éni a trent’anni ‘mbecchiata?
Ccu’ ‘nu rulure chi sbissa8
‘mpetratu9 ‘ntr’u cielu cocente,
ha vistu morire a Melissa
cercannu fatiga10 la gente.
Nun parri! Tu manni calure
‘ssi raggi vruscenti stenniennu
cacciannu a jumi ‘u surure
a chine fatiche suffriennu.
1
Riscaldi
Arrabbiata, imbronciata
3
Travagli, stenti
4
Indurite
5
Schiene
6
Piegate
7
Lussata, zoppa
8
Sconquassa, dirompe
9
Fisso
10
Lavoro
2
22
Nun baste ‘ssa forza tua ranni
ppe’ cangiare ‘ssa vita rolente
pp’attagnare11 ‘u sangu chi spanni
re povera gente ‘nnozente12.
Nun cacci ‘ssa race chi ‘mpiettu
macina e sbulle13 lu core
e crisce ogne jurnu a dispiettu
e tutta ‘ssa terra chi more!
‘Nu jurnu se spreje14 a vampata15
‘ntra nuvule scure, gravuse16,
speranza re vita stutata17
supra ‘sse facce penzuse,
e ccu’ china18 chi ‘mbie19 ogne cosa
11
Coagulare
Innocente
13
Apre, spezza
14
Scompare
15
Fiammata
16
Dense, pesanti
17
Spenta
18
Piena
19
Trascina
12
23
tropìa20 possente pue vene,
‘ssa vita frunuta se ‘mpesa21
ppe’ sempre, e ccu’ illa le pene.
Luglio 1978
20
21
Temporale
Porta via
24
VERNATA AMARA
Ccu’ nive e gelate
è benutu lu viernu,
ccu’ guale jurnate
chi paru ‘n’etiernu;
‘ntra ‘ss’errama1 casa
nun se trove ripuosu
ccu’ lu vientu chi trasa2
r’e ‘ngaglie3 furiosu.
Allu fuocu arrollata
guardu ‘a famiglia,
pensusa e ‘ncamata4
e ‘na freve me piglia.
E’ cchiù e ‘nu mise
c’un truovu fatiga
e crirenza ppe’ spise
nun fau le putighe.
E’ bacante5 ‘a cannizza6,
frunutu è lu pane,
nemmenu ‘na stizza7
re uogliu rimane.
Squazatu è Nicola,
le scarpe rrurìu8,
1
Raminga
Entra
3
Fessure
4
Affamata
5
Vuota
6
Stuoia, canniccio che conteneva il pane
7
Goccia
8
Consumò
2
25
ma marru Cuzzola
pur’a sola finìù.
Linuzza vo ‘a vesta,
‘u cappottu Teresa:
v’apprache ‘ssa pesta,
‘ssa china chi ‘mpesa9.
Cchi bita Maronna!
Cchi malu patìre
‘ntra chissa cupogna
chi luce nun bire;
mo’ vene Natale,
‘a festa cuntata,
ppe’ mie nun bale
‘ssa Santa jurnata.
Bumbinu chi vieni
‘ntr’a nott’e Natale,
tu nente nun tieni
e ccu’ mie t’agguale.
Tu chi ha provatu
lu malu patìre,
re mie sbenturatu
canusci ‘u suffrìre;
fa chi ‘ntra nente
‘ssu viernu se vule,
a ‘ssa casa pezzente
fa escere ‘u sule.
Dicembre 1980
9
Travolge, porta via
26
‘A PENZIONE
Roppu quarant’anni e tosta1 fatiga
s’è penzionatu marru Mattia!
- Finarmente cce signu arrivatu,
mo’ me ricriju2, me tiegnu guardatu! Progettiava lu buonu ‘zianu
faciennu ‘i cunti ccu’ le rue manu
e aspettava friscu e squitatu3
quann’u librettu mannava lu statu.
Passau ‘n’annu ccu’ ‘nsistimienti,
ma surdi ha trovatu chilli fetienti.
Marru Mattia è carutu malatu,
‘na ‘nfruenzella ll’ha ammuzzellatu4,
roppu tri jurni s’ha cuotu i filati
mannannu a fa futtere penzion’e arretrati.
Mentr’era stisu ‘u librettu è benuto,
cci l’hau mmisu ‘ntra lu tavutu.
Marru Mattia, vatinne squitato,
tieni ‘u librettu c’ha suspiratu,
‘mmatriculatu, bullatu e grisu5
mo’ te va paghi allu paravisu.
Si nun te quatre, mintecce sale,
c’u tiempu ce pierdi a te ‘ncazzare;
chissu è l’usu ‘ntra chissu statu,
ca roppu muortu si accuntentatu.
Marzo 1972
1
Dura
Me la godo
3
Tranquillo
4
Ridotto a mal partito
5
Intatto
2
27
‘U TRAINIERI
Tipico personaggio di un amaro passato, lavoratore coraggioso ed
inesauribile che, col suo caratteristico carretto, sfidando le intemperie,
partiva dal suo paese per recarsi in Sila a guadagnarsi il necessario per tirare
avanti alla giornata.
‘Ncutta1 la neglia2 cale pisciulara3
‘u jurnu a pocu a pocu sta ‘mbrunannu,
zu Battista a parte’ se prepara,
mmienz’a via ‘u traìnu4 sta ‘mpajannu5;
’nfila conzata6 supra lu vignanu7
‘a famigliella cce fa lu baciamanu.
‘Na staffilat’a Stella8 e ‘n’atr’a Baju9,
lient’u traìnu part’e cigulìe,
appriess’u cane le vani ccu’ ‘n’abbaju,
sone l’orologiu e sunnu ‘e sie;
allarghe pu’e vriglie chianu
ppe’ Carru Mangu va e r’è luntanu.
‘Ncapu10 ‘a ‘taliana11 ppe’ cappiellu,
‘nu mantu a rota tuttu lu cumbeglia12,
1
Fitta
Nebbia
3
Piovigginosa
4
Carro a due ruote
5
Aggiogando i muli
6
Sistemata
7
Pianerottolo
8
Nome della bestia
9
Nome della bestia
10
In testa
11
Berretto tipico, con la sola tesa anteriore.
12
Copre
2
28
assettatu13 ccu’ le gambe a cavarchiellu14
avanze ccu’ curaggiu ‘ntra la neglia;
sutt’u traìnu voculiannu luccichìe
‘na lanternicchia ppe’ le storte vie.
Sempre cchiù scuru, ‘ntra la notte
avanza lientu e macina caminu,
anima viva una nun se sconte
rorme lu munnu tuttu a suonnu chinu;
vigliante ‘mbece zu Battista stani
re friddu azzerpulatu cum’i cani.
A Montescuru ‘ncima gia arvìe15,
l’iertu16 è finitu, cumince lu penninu17;
ccu’ llu staffile i muli zillichìe18,
è allu mmienzu ancor’e ru caminu;
trove ‘nu vivieri19 lung’a strata,
ferme lli muli ppe’ l’abbiverata.
Via ripiglie e tutt’a ‘na tirata
a Carru Mangu arrive la matina;
senza ‘n’abbientu21 cumince lla jurnata,
s’aza lla neglia, ‘a tramontana mina;
cante ‘nu gallu ch’era llani ‘ntuornu,
ppe’ llu trainieri è llu bongiornu.
Arrase22 lli muli e piglie ‘nu zappune,
‘nu campu e ‘patate sta aspettannu,
cumu ‘nu rannatu si cce rune,
13
Seduto
A cavalcioni
15
Albeggia
16
Salita
17
Discesa
18
Solletica, pungola
19
Abbeveratoio
21
Riposo
22
Mette da parte
14
29
sur’e fumìe23 mentre sta scavannu ;
cavuru don Mimì ‘m’poltrona leja,
a zu Battista le role24 lla catrèa25.
A ccapu vascia ppe’ tri jurni zappe,
supra ‘nu fullune26 ‘a notte ‘ntru pagliaru
‘e ra vucca ‘na jestigna nun le scappe
ppe’ ‘ssu pane sue tuostu e amaru;
a runa a runa ‘e patatelle coglie
dintra li sacchi e carrich’e ‘sse ricoglie27.
Settembre 1975
23
Emana vapore
Duole
25
Schiena
26
Pagliericcio
27
Ritorna a casa
24
30
CUNTADINELLE
Amuru te cercamu e tu nun bieni
ppe’ cunzulare ‘u core nuorru affrittu,
ricenne cuntr’e nuve tu cchi tieni
chi ‘n’facce nu’ ‘ne guardi e ba rerittu?
Si facc’e manu sulu tinte avimu,
‘u cor’è chiaru e parpite d’amuri,
ccu’ nuve ‘ngratu è statu lu restinu
chi ‘a vita ‘n’ha stipatu1 re sururi.
Re piccirille alla campagna jire,
re munnu e cristiani rraniate2,
‘e tannu3 ‘a vucca norra cchiù nun rire
ca la fatiga ‘n’hani scoscinate4.
Fare ‘u majise5, lu granu annettare,
tagliare l’erva ccu’ lu favuciune,
‘e ra matina ‘nfin’a se scurare
e ppe’ sfogu cantare ‘ssa canzone:
cuntadinelle ‘ntra ‘ssu munnu simu
e sule sule n’amu e cunzulare,
ppe’ lu friddu r’amure chi avimu
a lu focularu n’amu de scarfare6.
1
Conservato
Allontanate
3
Da allora
4
Aggobbate
5
Maggese: lavorare un terreno incolto
6
Riscaldare
2
31
Nun r’amu avutu mai ‘n’ura d’abbientu7,
‘nu jurnu chiaru, ‘na parola ruce,
‘mpesate8 ‘ncuollu ‘e l’erramusu9 vientu
de l’anni vierdi stutannune la luce.
‘Ssa vita norra si ne va penannu,
lassannu supr’a terra lu surure,
‘u ‘nfiernu lu scuntamu nue campannu
‘nnozentemente, senza cce curpare.
Marzo 1976
7
Riposo
Portate via
9
Errante, disgraziato
8
32
‘A SARCINARA
Emblematica figura di lavoratrice instancabile la quale, spinta dai pressanti
bisogni della famiglia, di primo mattino, con l’ansia nel cuore, usciva di casa
lasciando i figlioletti addormentati per recarsi nei boschi, alla ricerca di
fascine di ramaglie.
Chine ‘ntra ‘ssi tiempi e scialamientu
canusce ‘na regina ‘e ru passatu,
chi nun ha canusciutu mai abbientu1
e tutta a vita sua ha fatigato2?
‘A curuna sua era de pezza,
arrangiata ccu’ zinzuli3 ‘e cucina
e ogne bota, quannu all’accurrenza,
‘n’capu si la mintìa re la matina.
Era chiamata ‘e nume sarcinara,
china re petitu4 e ‘mberverata5,
e tirannu avanti ‘a vita amara
cercava ‘ntra li stienti a campata6.
‘Mprimu matinu, quannu ancor’è scuru,
‘a sarcinara s’aza e se ‘ncamina,
‘a cummari sua re casa a muru
‘na vuce l’ha jettatu e chilla fina.
Maniete, sbrighete, fa ‘mpressa,
ca sunnu già ‘e quattru ru matinu,
‘e ‘nu muorsu za Maria fila e tessa
e llu cantinieri è jutu a binu - .
1
Riposo, sosta
Lavorato
3
Cenci, stracci
4
Fame
5
Ansiosa, pensosa
6
Il necessario per vivere
2
33
Arranche7 a lampu ‘e ‘na finerrella:
- Cummà’ ca viegnu, ‘nzigne8 a caminare - .
‘nu muorsu9 e pane ‘ntra ‘na mappinella10
e ba versu a porta a se ‘mbiare11.
‘N’occhiata rune alli figlicielli
‘ntr’u liettu bielli e cumbegliati12,
‘na lacrima le spunte re li cigli
lassannuli suli e addurmentati.
‘Mpunta re pieri lasse a casicella,
appena fore aze lu passu e tacchìa13,
ppe’ jire a r’arrivare ‘a cummarella
chi l’aspetta caminannu ppe’ la via.
Ppe’ chill’ertata14 longa ‘e ra Carrera,
appriessu a tutte l’atre sarcinare,
tene alla manu ‘e lume ‘na jacchera15
‘ntr’u scuru funnu ppe’ se quartiere16.
Pass’u Faghitu, Tripuori, Prat’e chianu,
Acqu’e mielu, Gariellu, Castagnella:
dduve va bani lu postu è luntanu
ppe’ ragare17 alla casa ‘a sarcinella.
7
Si affaccia
Incomincia
9
Pezzo
10
Tovagliolo
11
Avviare
12
Coperti
13
Cammina in fretta
14
Salita
15
Pezzo di legno resinoso
16
Scansare gli ostacoli
17
Portare faticosamente
8
34
Roppu c’ha ‘ntorchinatu18 ‘u rituornu,
ccu’ la sarma19 ppe’ carruoli20 e cigli,
suspir’e fuje21 ch’èni fattu jurnu
e sunnu risbigliati già li figli.
A ‘na tirata22, senza s’abbentare,
alla casa se ricoglie arragata23;
quattr’ure tunne ‘e tuostu fatigare
e ancora è de cominciare a jurnata.
Sarcinara ‘mbecchiata, china r’amure,
regina ‘ntra ‘ssu munnu sini stata;
sempre fatigannu ccu’ àvutu l’onure
ppe’ sfamare li figli te si sc-coscinata24.
Moni arriddutta chjna re ruluri,
sula a ‘na rasella ammuzzellata25,
ccu’ lu cunfuortu sulu e quattru muri
re tutti chiamata vecchia e arretrata.
Ppe’ ricuordu re ‘na vita passata,
‘ss’amara litanìa mo’ haju cuntatu,
sperannu dintra ‘ss’era smemurata
ca ‘ssi figli canuscissin’u casatu.
Nobile certamente, figli re regina,
‘mprillinchinati e ccu’ li franchi26 chini
18
Legato la fascina con polloni di castagno
Carico
20
Viottoli, sentieri
21
Scappa
22
Di continuo
23
Stanca, senza fiato
24
Aggobbata, incurvata
25
Gettata in un angolo
26
Fianchi
19
35
e conzannuse a gagà e a gagherina
‘un sannu ca su principess’e principini…
Aprile 1976
36
1
‘U GAVIU ‘NSUONNU
Va alla scola Giuvanniellu
‘nu guagliune prumettente,
tene apiertu lu ciarviellu
e r’apprenne cumu nente.
Scanze tutt’e malevie,
nun se fani ‘nfruenzare,
mai nun dice fissarìe
penze sulu a se ‘mparare.
‘A famiglia ci l’ha dittu,
ca ‘ssu munnu è tantu tuostu
e si unu marcia rerittu
ppò trovare ‘ncunu postu.
- Sulu ‘a scola figliu caru
te sbalanche tutt’e strate,
lu futuru te fa ‘mparu
ccu’ li sordi a palate.
Certu truovi li scaluni2
e stanchizza all’iertu3 ‘mpiernu4:
nun t’arrennere ca pue fruni
e te cuonzi5 ppé l’etiernu -.
Ccu’ lla vucca sbalancata
‘ssu guagliune se collava6
tutta quanta ‘ssa parrata
e ‘ntra capu la ‘nzaccava7.
1
Gaudio, allegrezza.
2
Gradini, in senso figurato asperità
3
Salita
4
Scoscesa
5
Sistemi
6
Ingoiava
7
Introduceva
37
Alla lettera ha pigliatu
‘ssi cunzigli a modiellu
e ‘ntr’i libri è ‘mbolicatu8
cumu ‘a rina allu grassiellu.
Tutti l’anni le passava
ccu’ li voti cchiù de rece,
ppe’ lli marri9 se chiamava
lu campiune re la spece.
Va lu nume alli giornali
quannu lasse lu liceu,
ca ‘ssu spiertu re l’annali
vani a Roma all’ateneu.
Lla cce fani ‘nu vulune,
la spertizza sbolicannu
e addutturatu ‘ssu guagliune
se ricoglie pue cantannu.
Bravi, agurìi e basuni
ne ricoglie senza fine,
archi a tutti li purtuni,
le finerre ‘e gente chine.
Re ‘ssa festa chi le fannu
si ne gore Giuvanniellu,
mentre rire sta penzannu
a ‘nu biellu posticiellu.
- Certu, caru, ranne spiertu10
ca t’aspette, tu ha suratu!
Ha fatigato sempre all’iertu,
vo’ ca ‘un bieni premiatu?
8
Avviluppato, impastato
Professori, maestri
10
Intelligente
9
38
Tu po’ scegliere duve vuve:
alla banca, ‘ntra la scola,
‘e cassieri e diretture,
baste chi t’esce la parola! Ma ccu’ la capu ‘ntra le manu
moni penze e pace un tene,
nun se speghe ‘ssu baccanu
re lu postu chi nun bene.
E camine ‘ntra ‘ssu munnu
ccu’ ‘ntr’a capu’a filosofia,
‘ncunu ‘u chiame bacabbunnu
e ppe’ lle vie stolachìa11.
Ottobre 1980
11
Sragione, dà i numeri
39
‘A FURNARA1
Dintra ‘nu vasciu2 scuru affumicatu,
‘e notte a notte senza nullu turnu,
‘na fimminella rune tutt’u jatu3
sula e penzusa a ‘na vucca ‘e furnu.
Cruru restinu ti l’ha cunnanata
ccu’ ‘na famiglia ‘ntra la pezzentìa
e ccu’ sururi s’abbusche4 la jurnata
ppe’ lli figlicielli alla rranìa5.
Ligatu ‘ncapu tene ‘u maccaturu6
e la facciuzza janca re Maronna,
‘ntieri vestuta tutta quanta ‘e scuru
ppe’ r’onurare a chine cchiù nun torna.
Nun tene abbientu7 dintra chillu ‘nfiernu
e ppe’ lu fumu ‘e l’uocchi a lacrimare,
‘nchiovata tene rulerusu piernu
dintra lu core chi la fa penare.
Alla majilla8 conzata9 ‘mboccusutta10
prepara senza aiutu la ‘nfurnata,
ammass’e sc-cane11 cumu ‘ntra ‘na lutta:
quannu se aze èni scatrejata12.
1
Panettiera
Locale a pianterreno
3
Fiato
4
Si guadagna
5
Sbaraglio, disperazione
6
Fazzoletto
7
Riposo, sosta
8
Madìa, recipiente di legno
9
Disposta, situata
10
Piegata con la testa in giù
11
Impasta
12
Con la schiena rotta
2
40
Staglie li pani ccu’ la rasulilla13
supra le tavole ‘e minte a levitare,
arde lu furnu, piglie la palilla
e ccu’ gran galapu14 ‘nzigne15 a le ‘nfurnare.
Mentre li panicielli su’ a cottura,
pulizze ‘n’atra vota a majilluzza,
tutta ‘mpressata ch’èni quasi ura
ru turnu chi spette a Mariuzza.
Ccu’ la pacienza re ‘na ranne santa,
‘nzigne de capu, oje cumu jieri,
rannu16 le forze la famiglia ammanta17
faciennu ppe’ destinu ‘ssu mistieri!
Gennaio 1981
13
Paletta
Destrezza, maestrìa
15
Incomincia
16
Dando
17
Sfama, governa
14
41
NICOLA E LLU CIUCCIU
‘Nziemi allu ciucciu marru Nicola
guali le forze ‘nu jurnu finiru,
jettaru1 tuttu, ‘u ‘mbastu e la viola2,
tirannu forte ‘nu gran suspiru.
- Simu arrivati – disse Nicola,
l’iertu3 è finitu, mo’ n’abbentamu4,
ti lu prummintu, signu e parola,
tutt’i malanni mo’ ne curamu.
Tu alla vota5 mangi squitatu6
ca china te tiegnu la mangiatura,
io alla casa staju assettatu7
e mi la spassu cumu me chiura8.
- Marru Nicò, ma tu rici raveru,
ccu’ la famiglia tu ci ha parratu? –
- Penze a mangiare senza penzieru
ca ‘ntra la casa signu stimatu.
Tiegnu li figli chi valu oru,
tutti amurusi li neputielli,
mo’ ti n’adduni9 re lu ristoru
chi ricevimu nue vecchiarielli.
1
Buttarono
Zappa
3
Salita
4
Riposiamo
5
Locale a piano terra
6
Tranquillo
7
Seduto
8
Pare, conviene
9
Accorgi
2
42
- Ddio ‘u vulissi patrune mie,
io accussientu senza jatare10,
‘ssa vita mia è ligata a ttie
allu tue core lu mie campare -.
Lu ciucciariellu ccussi diciennu
tutt’e prumisse nun s’ha collatu11,
dintra re illu penzau allu viernu,
alli prugietti e ‘nu penzionatu.
Lisciu è filatu ‘nu buonu mise,
saglìa e scinnìa marru Nicola,
sempre abbunnante furu le spise,
mantinne fire12 alla parola.
Ma dintra l’ariu già se virìa,
‘nu tropiune13 stava arrivannu;
‘nu battibeccu supra sentìa,
marru Nicola stava luttannu!
Se fice bacante la mangiatura,
tuttu a ‘na vota rivinne scuru,
li povarielli finiru la cura
e de la fine sentiru l’adduru.
‘Nfatti ‘nu jurnu friddu e amaru,
a marru Nicola e allu ciucciariellu
supra ‘dui camii li carricaru,
targati SPIZIU e ‘n’atru MACIELLU!
Gennaio 1981
10
Fiatare
Ingoiato
12
Fede
13
Temporale
11
43
‘A CASCIA1
Ranne ‘na cascia ‘e zimbilli2 chjna
misa a ‘na rasa3 e tutti scordata,
a nente cchiù serve, fani ‘mboina
èni ‘na cosa re ‘n’era passata.
Tuttu se perde, tuttu scumpare
‘ntra ‘ssu munnu chi ‘mpressa vani,
ccu’ li paruocchi se tire a campare,
c’è sulu oje, ne ieri e domani.
Povera cascia, vecchia e finita,
‘ssu munnu modernu t’hani jettatu4,
ma dintra re tie c’èni ‘na vita
lu testamientu re tutt’u passatu.
C’è la cunocchia, ‘u fusu e la lana,
‘u matassaru5 ccu’ filu attaccatu,
‘a baschinella6, ‘u sciallu, ‘a suttana,
‘nu maccaturu7 ra capu juratu8.
‘Na casciottella10 chjna ‘e buttuni,
‘nu gliombaru11 ‘e spacu, ‘na saccurale
fatta alli fierri, ruvi cuzettuni
ccu’ le taccaglie12 re marca norrale13.
1
Cassapanca
Indumenti e utensili fuori uso
3
Angolo
4
Buttato
5
Aspo
6
Giaccone da donna
7
Fazzoletto
8
Fiorato
10
Scatolina
2
11
12
13
Gomitolo
Legacci
Dei nostri luoghi, rudimentale
44
‘U ‘ndrigaturu14 ‘nziemi alla gliara15,
‘na cassarola16, ‘nu spitu17 arruciatu,
‘na vecchia fressura18, ‘na rusellara19,
‘nu quararuottu20 senz’asa21 arramatu.
‘Na vuce re vecchia chi si n’è juta22,
chi va diciennu c’hani campatu,
piccule cose ‘e ‘na vita frunuta,
‘nu signu pussente c’ha fatigatu.
‘Na vuce arretrata chi rice e chi ‘mpare,
chi murre onuratu lu nuorru pitignu23,
‘nu puntu ‘e partenza ppe’ cominciare
‘nu nuovu riscursu ‘e prugriessu e de ‘mpignu.
Aperimu ‘ssa cascia, guardamu li stigli24,
è bita passata, nun è brigogna
e ccu’ spertizza ricimu a ‘ssi figli
ca ‘ntr’a pezzentìa ricchizza se coglia.
Gennaio 1981
14
Fuso di ferro che serve per riempire i cannelli
Cesto col fondo crivellato
16
Casseruola
17
Spiedo
18
Padella
19
Padella per cuocere le castagne
20
Paiuolo
21
Manico
22
Andata, morta
23
Origine, razza
24
Arnesi, utensili
15
45
SERENATA
Nottata ‘e atri tiempi paisana
china re vita, amure e poesia,
sutta ‘u chiaru lurru re la luna
‘na musica se sente ppe’ la via.
Franca si ne va ‘ntra la nottata
e nun se cure de friddu e de nive,
sempre ‘ntra li tiempi tantu amata,
litterella r’amure chi t’arrive.
‘Ntr’i simpuorti1 e supra li scaluni2
i sonaturi tenanu ‘u cunciertu,
minanu3 lu jatu4 ‘ntra l’ottuni5
ppe’ cantare a Rosa ‘ntra lu liettu.
E ru suonnu chinu te risbiglie,
ruce te sone ppe’ t’accarizzare,
chianu te parre e te cunsiglie
re stare vigliante a ‘ntregulare6.
Ccu’ sarsofanu, chitarra e crarinu,
cantaturi re ‘na musica r’amure,
senza lassare, ‘nzin’allu matinu
lu core re gioia te ‘ncalure.
‘Ssa musica toccante a ttie te parre
e ‘nu sberagliu7 ranne fa benire,
e campiannu8 r’arrieti9 chille larre
1
Portici adiacenti le case
Gradini
3
Gettano
4
Fiato
5
Ottoni
6
Ascoltare
7
Frenesia
8
Spiando, affacciandosi
2
9
Da dietro
46
ccu’ ‘nu signu mutu fa capire.
E tannu10 puru l’aria è contenta,
‘e vie, i muri tenanu ‘u secrietu
re ‘ssa serenatella chi se sente
ppe’ cocere ‘ss’amure a fuocu quietu.
Maggio 1971
10
Allora, in quel momento
47
‘A CUCCÌA
Tradizionale piatto costituito da grano bollito e condito con cotenne e carne
di capra e/o di maiale. Si usa prepararlo a Pedace la quarta domenica di
settembre, in occasione della festa patronale dedicata alla Madonna
Addolorata detta la “Pecorella”.
D’anticu tiempu ancor’è dd’usu
allu paise mie ‘na pitanza,
piattu ricercatu e guliusu
chi arricette1 e sazie la panza2.
Cuccìa sini tu ‘mbarsamu fatatu,
granne bannera re la “Pecurella3”,
tu spacchi4 e ‘nzapuri ‘u palatu
ricrìi5 alla gente a trippicella.
Peraci tuttu l’annu tene ‘n mente
s’usanza chi li patri hau lassatu
e a settembre pur’u cchiù pezzente
certu la cuccìa hani preparatu.
Chine ‘un te canusce ‘un ce crire
quantu sapure tu tieni ammucciatu6,
mai chin’è abbuttu7 pò sapire
quantu vucche amare ha ‘nzuccaratu.
1
Soddisfa, appaga
Pancia
3
Festa della Madonna Addolorata detta la “Pecorella”
4
Rinfreschi
5
Ristori
6
Nascosto
7
Sazio
2
48
Granu ‘ndoratu, vita ppe’ lu munnu,
chi a tutti ne stuti lu petitu8,
sini tu chi addurare fa lu furnu,
patrune regnante r’ogni gran cumbitu.
Ccu’ li chicci tue chini e allitti9
nuve sempre la cuccìa preparamu;
ccu’ carn’e chianca10, cuori e prisutti
e ‘ntra li tinelluzzi te ‘nfurnamu.
Cc’adduru chi se spanne la matina,
‘nziemi allu cuonzu11 quannu si cotta,
ppe’ tutti si la prima ‘e re gulìe
re li suttani, alle pezze, alla jotta.
La rominica matina ‘ntra li furni
‘nu jire e benire re le fimminelle,
‘ncapu portannu li tinelli12 tunni
e ‘ntra li cuofini13 puru ‘e pignatelle14.
‘U primu assaggiu è dd’usu la matina
versu le rece, l’ura re mursiellu15,
dintra lu piattiellu fumantina
‘ngrazìi cumu null’u stomachiellu.
Chillu chi pigli ccu’ lu cucchiariellu
‘nzacchi dintra la vucca afantina16,
tuttu sa buonu, granu e coriciellu
e cumu scinne ‘u sciruppu17 e cantina.
8
Fame
Scelti
10
Macelleria
11
Condimento
12
Vasi di terracotta
13
Ceste di vimini
14
Piccole pignatte
15
Colazione frugale in uso nelle famiglie contadine di primo mattino
16
Affamata
17
Vino
9
49
Pazzu ne va ppe’ ttie ‘u forestieri
chi tutti l’anni vene a te cercare,
chinu curmu ne volissi ‘nu vivieri18
ppe’ si ne potire ‘nu pocu saziare.
‘Ncunu pue rice ca si pisantella,
quasi t’agguale allu ciment’armatu,
ma mai china è rimast’a pignatella
o ‘u tiniellu ha fattu lu lamatu.
Nun te trarimu mai cuccìa bella,
firata amica re ‘ssu jurniciellu,
‘u miegliu piattu si’ da “Pecurella”
festa re core ppe’ ‘ssu paisiellu.
Settembre 1974
18
Abbeveratoio
50
JAZZA1
‘Nu negliulizzu2 ‘ncuttu e granzillusu3,
‘u cielu è fattu jancu a furmichìu;
jazza, ‘u focularu arde sc-cattarusu4
e cchiù de lluocu i cuntuorni ‘un biju;
le pullule5 guale e chianu chianu,
mentre sciannanu se tenanu ppe’ manu.
‘Nu rruscitiellu6 nun sienti, ‘na mutìa,
‘u munnu pare fermatu, è ‘nu ‘ncantu;
‘a nive sta cumbegliannu7 case e bia,
tuttu sta sutta a ‘nu jancu mantu;
sutta re ‘n’alivu pigulìa ‘n’aggiellu8,
nun po’ trovare lu civu povariellu!
E mentre scinne la nive ondeggiannu9,
tuttu lu core te sienti aperire;
i quatrarielli ‘e gioia stau girannu
mentr’e petitu10 ‘nu poveru suspire;
re la piertica scippi ruvi ‘mpuosti11,
sozizza frisca ‘e st’annu e l’arrusti.
1
Nevica
Nebbia fitta
3
Rorido
4
Scoppiettante, crepitante
5
Fiocchi di neve
6
Rumorino
7
Coprendo
8
Uccello
9
Ondeggiando
10
Fame
11
Rocchi di salsiccia
2
51
‘U Generale Biancu12 oje a cummanne,
quannu vo’ illu fa jancu lu munnu;
certu alla fatiga nullu se ranne13,
è tiempu ‘e ‘nu bullitu a menzijurnu;
vicinu allu fuocu tuttu ‘ncarcaratu14
gualu lu cuorpu te sienti ricriatu15.
Vinu tuostu ‘e annu pastusu e russu
guardi e biri tuttu jancu fore;
‘a cannata t’appuzzi16 allu mussu17,
clu clu clu, gioia allegracore;
fore fa friddu, intra è mollure18,
viatu chine si lle po’ fa ‘sse cure.
S’aza la neglia, ‘u cielu se sbapure,
esce llu sule e tuttu luccichìe;
ha finitu ‘e fatigare lu pitture,
chianu ‘a vita ripiglie e cigulie;
‘nfila i pisc-cantanni19 su conzati20,
capicchi21 friddi ppe’ li risperati.
Gennaio 1975
12
Colui che fa cadere la neve
Si arrabbia
14
Infiammato
15
Ristorato
16
Avvicini
17
Muso, bocca
18
Caldo
19
Ghiaccioli
20
Disposti
21
Capezzoli
13
52
RICUORDI
Luntanu si nn’è jutu1 lu cerviellu
stasera chi lu friddu m’ha aggattatu2
a ‘nu spicune3, duve ‘u focariellu
‘ntra la cucina èni appiccicatu4;
‘nu lignu ‘e cerza5 sc-cattarusu6 arde
e io ccu’ rillu fazzu l’ure tarde.
Azziccanu7 ‘e stizze8 lungu lu caminu
e quete quete se stutanu9 ppe’ via,
‘ncuna allu mmienzu10, atre allu curinu11,
se stute l’urtima chi de cchiù lucìa;
ccu’ lla molla12 ‘u cippu stuzzichìu
e ‘n’atru attaccarizzu13 ‘e stizze ‘mbiu14.
Torna ‘ntra lu core la speranza,
cchiù lurrusu15 se fani lu caminu,
cerche la mente ‘ntra la luntananza
tutt’i ricordi ‘e ru tiempu primu;
acqua re fonte vivu assitatu
e cumu tannu me sientu ricriatu16.
1
Andato
Raccolto, accovacciato
3
Angolo
4
Acceso
5
Quercia
6
Crepitante, scoppiettante
7
Salgono
8
Scintille
9
Spengono, smorzano
10
Metà
11
Cima del comignolo
12
Attizzatoio
13
Lungo crepitio
14
Avvio
15
Luminoso
16
Dilettato e sazio
2
53
Sientu a Peppinu chi me stà fisc-cannu17
‘nziemi all’amici tutti ‘ntr’a rughella18,
rispunnu a lampu fore fuju19 zumpannu20,
lassu grirannu intra a mammarella;
e a ‘na tirata21, senza n’abbentare22,
alla jimara23 i bagni jamu a fare.
A muollu24 cce stamu ‘ntra lu vullu25,
faciennu crapiole26, zumpi e griri,
cchiù cuntientu e nuve nun c’è nullu
‘ntra chilli tiempi chini re suspiri,
sc-carannu27 ‘ntre macchie a pimbirori28
‘ntra frasc’è surchi cumu sproratori.
Tannu29 ‘a trippa30 vacante ne rugliava,
pane nun c’era ‘ntra le norre case
e ppe’ llu petitu31 sulu s’arrupava,
scavuzi jiennu ppe’ lle case rase;
lu bisuognu avia bintu lu spagnu32
ppe’ lu caru benerittu muzzicuognu33.
17
Fischiando
Vicolo
19
Scappo
20
Saltando
21
Di continuo
22
Riposare, sostare
23
Fiumara
24
A bagno
25
Ricettacolo di acqua
26
Giravolte
27
Ricercando
28
Pomodori
29
Allora
30
Pancia
31
Fame
32
Paura
33
Boccone di pane
18
54
Mis-cannu uva e nuce ‘ntra lu piettu
fujiennu34, ca n’ha bistu lu patrune;
’a sira un mancava mai l’appriettu35
e de li patri ‘nu paliatune;
‘ntra nente ne scotuliavamu36 a paliata,
cumu ‘a gallina ccu’ ‘na scillichiata37.
Mienzu ‘a via liberi cumu aggielli,
‘ntinieri tutta quanta la jurnata
re mille tanti bielli jocarielli
la pezzentìa norra era arrassata38;
chine te scorde vicinanzu biellu,
munnu ‘ncantatu re tannu quatrariellu !
Serii li juochi ccu’ la cumpagnia,
ammucciatelle39, rrumbuli40 e palluni,
‘a vuce re mammarella nun sentia
mancu si ‘ngola l’escian’i purmuni;
e l’attroppicuni41 nun ti nne curavi,
pisciuliann42’u sangu, la jocavi.
Passe ‘nu biellu43 carricu e cravuni
e ccu’ ‘nu zumpu44 t’appicchi45 alla culazza46,
34
Scappando
Accusa, bega
36
Scrollavamo
37
Dibattuta delle ali
38
Allontanata
35
39
Nascondino
Trottole
41
Inciampi
42
Gocciolando
43
Camion 18 B.L.
44
Salto
45
Aggrappi
46
Estremità posteriore
40
55
‘mpingi47 a ‘nu cruoccu48 e tte ‘mpiruni49,
ppe’ scinne ‘a cammina ti se strazza;
rire de tannu ancore Peppiniellu,
chill’atru erv’e roglia Mungibiellu50.
Tutti principali simu stati atturi
e chillu teatru ranne all’apiertu,
ccu’ ‘nu scenariu riccu re culuri
hamu tenutu gratis lu cunciertu;
surannu, senza abbientu, ricriati51,
spartiennune ‘a passulilla52 cumu frati.
‘Na sacchettata53 ‘e castagn’e ficu
tene Franchinu mentre stà beniennu,
‘mpressa l’arrollamu, nun te ricu,
e ni lle sparte a tutti surridiennu;
‘u rittu ricìa tannu ca a visazza54
nun s’avìa d’aperire mienzu ‘a chiazza.
Cumu ‘ntra nente passati vuve siti
jurni cuntienti re la quatraranza55,
pecchì ‘ntr’a capu mie mo’ veniti
vuve chi siti ‘ntra la luntananza?
Ppe’ mie buonu venuti sempre siti,
restati sempre cca’, nun ve sprejiti56!
47
Rimani attaccato
Gancio
49
Rimanere penzoloni
50
Etna, in senso figurato discolo, turbolento
51
Dilettati
52
Chicco d’uva passa
53
Tasca piena
54
Bisaccia
55
Adolescenza
56
Dileguati
48
56
Gioia me rati e sustentamientu,
‘ntra chissu munnu fattu a zanchera57,
ma puru nostargia e arraciamientu
ppe’ chilla vita pover’e sincera;
amur’e gioia ‘ntr’u petitu primu,
‘ntra la ricchizza mo’ pace ‘u’ r’avimu.
‘Ntr’u focularu ‘a vrasca58 sta moriennu
e ligna cchiù un c’è ppe’ l’attizzare;
fa friddu, simu ‘ntru funnu re lu viernu,
m’azu tremannu e baiu a mme curcare,
sperannu ch’escia llu sule lu matinu
ppe’ coriare ‘ssu munnu ‘e friddu chinu.
Gennaio 1976
57
58
Fanghiglia
Brace
57
‘A ZITA
- Cumu si bella oje ccussì vestuta,
giojuzza chi me parti re la casa,
‘ntuornu te guardi rimaniennu muta
a mamma tua abbrazza ca te vasa.
Gioia re mamma, pari ‘na regina,
fatte guardare ccu’ ‘ssa janca vesta,
ccu’ ‘sse rosicelle cote stamattina
crisciute apposta ppe’ la tua festa.
E bbìa1, signorinella mia, nun chiangìre,
‘ssu jurnu te vuogliu virere cuntenta;
va’, varca ‘ssa soglicella e rire,
‘e mammarella ‘ssu consigliu senta.
Papai tue è lla chi già t’aspette,
ppe’ te portare grisa2 ccu’ l’onure
‘nziemi a ‘ssu corteu e bona gente
all’artaru maggiore ‘e ru Signore -.
- Si tu cchiù bella, mammarella mia,
chi m’ha fattu, m’allevatu ccu’ amure
e mo’ te lassu, pigliu ‘n’atra via,
rulure e gioia ppe’ lu mio core.
Duve ‘a forza truovu ppe’ lassare
‘ssa casa, ccu’ lu mie letticiellu,
chine m’aiute mo’ chi me scordare
chille sirate allu focariellu?
Duve cuntannume tante passatelle3
tu, mammarella mia, m’hai ricriatu4;
1
Lascia perdere
Intatta, senza macchia
3
Favolette
4
Dilettato
2
58
cumu a tutt’e quatrarelle5
‘a befana i regali m’ha portatu.
Ricordi chi ‘ntra mente mo’ veniti,
cosicelle chi tantu v’haiu amatu,
nun be sciollati6, restati cumu siti
ca ‘ntra la vita serve llu passatu.
Perdunatime si mo’ ve lassu a tutte,
‘n’atru amure m’ha cuottu lu core;
scusa ve ciercu ccu’ lle mani junte,
sempre ‘ntra l’anni ve pienzu re fore.
‘Ncunu alla cchiesa stà aspettannu,
‘a gente è ‘mpaziente ppe’ lla via,
ca risu e archi preparatu m’hannu
ppe’ fare l’aguriu alla festa mia -.
Luongu e ccu’ posa passe lu corteu,
‘a gente fa l’agurìi e rè cuntenta;
‘ntra ‘ss’allegria c’è ‘nu sulu neu,
chiange l’amica ch’è restata sc-chetta7.
Settembre 1976
5
Bambine
Guastatevi, distruggete
7
Nubile
6
59
ALLA ‘MBRUNATA
Guardu ‘n’uomin’e luntanu
chi serpìe1 ppe’ lla via:
cunzumatu marru Ghetanu
se ricoglie2 da fatiga!
Allu cuollu ‘u maccaturu3,
supr’a spalla ‘nu zappune,
surchìatu4, ‘n’facce scuru,
‘mbucca tene ‘nu muzzune.
Arrozzulannu5 ‘ntr’u serciatu
rruscitìe6 ‘nu chiccariellu7,
ccu’ lli cavaci ‘mbuttatu8
e se ferme a ‘nu muzziellu9.
Premurusa ‘na mammarella,
campiannu10 e ‘nu purtiellu11,
grire forte ‘ntr’a rughella12
ppe’ chiamare ‘u figliciellu.
1
Procede a zig zag
Ritorna
3
Fazzoletto
4
Rugato
5
Rotolando
6
Rumoreggia
7
Barattolino
8
Spinto
9
Mucchio, ammasso
10
Spiando, affacciandosi
11
Sportello
12
Vicolo
2
60
Cupa sona ‘a vemmarìa
mentr’u sule sta tumbannu13;
- curi14, curi -, za Maria
va ‘e galline ammasunannu15.
‘Ntru silenziu acquetacore
trase tuttu lu paise,
‘n’atru jurnu pass’e more
fatigannu16 ppe’ le spise.
Settembre 1978
13
Calando, tramontando
Verso di richiamo per le galline
15
Conducendo al pollaio
16
Lavorando
14
61
‘A PISCA
‘Ntra ‘ssu statu scumbenatu
nun se sa cumu te sciorte1,
o si spiertu2 o si toccatu
riesti ‘n baliu re la sorte.
Se va avanti all’attrappuni3
allu scuru ‘ntra la pilla4,
po’ scontare5 li valluni
e te rumpi la curilla6.
‘A via ‘mpara7 po’ trovare
senza curve e cilindrata
e ‘ntra nente po’ arrivare
alla fine re la strata.
Po’ scontare ‘u crucevia
senza frecce chi te ‘mpare,
‘n buocchi chilla chi finìa
e stancatu te votare.
‘Nu sorteggiu tuttu pare
‘nu gran juocu re lu fatu
e a ‘ssa pisca tu ‘e stare
misu ‘nfila e numeratu.
1
Capita
Intelligente
3
A tentoni, brancolando
4
Fango, melma
5
Incontrare
6
Parte finale della schiena (vertebre coccigee)
7
Pianeggiante, comoda
2
62
O si spiertu o si gallante8,
rifferenza nun c’è nulla,
si ‘nu semprice aspirante
cumu l’atri ‘ntra la fulla.
Te po’ jescere ‘a cartella
e te cuonzi9 mentre campi,
po’ restare a mammarella10
mienzu ‘a via sutt’i lampi.
Sa jocare bon’a pinna?
E te tocche de zappare!
Nun sa fare mancu ‘a firma?
E po’ jire a cummanare!
‘Ssu misteru chi tu speghe
e te sbroglie ‘ssa matassa,
‘ssa timpesta chi t’anneghe
e a ‘n’angulu t’arrassa?
Nullu sa ‘ssa magherìa
chi aperire fa le porte
a taluni chi e ciotìa
ne po’ inchìe cientu sporte.
O chine pare la tagliola
alli fini re cerviellu
ppe’ tant’anni ‘ntra la scola
e jettati a ‘nu muzziellu11?
All’ammassu, senza scartu,
senza nume, senza razza,
cumu nati re n’abbuortu
re ‘na mamma esciuta pazza.
8
Deficente
Sistemi
10
A mani vuote
11
Mucchio
9
63
Nun arrescianu li cunti,
‘nfunnu vannu li progietti,
stannu a galla li prisutti
supr’u ‘mbastu12 ri potienti!
Ottobre 1980
12
Basto
64
FRATI RE SORDI
Sonânnu ‘na chitarra a battente,
‘nu viecchiu chi a vita canuscìa
cantava ‘na canzuna ‘ntra la gente,
caminânnu chîanu e toscu1 ppe’ la via.
Eranu parole chiare e ammartinâte2,
chi ‘ntr’a capu trasanu re pizzu3,
all’uomini e ‘ssu munnu ‘ndirizzate
mâlandrinu, buonu o scugnizzu.
‘Nu riccune dde terre e dde palazzi,
alla ‘ntrasata4 Ddio si l’ha chîamâtu
stenniennu e pistole5, capu e brazzi,
‘mbanca li sordi e l’oru ha lassatu.
I figli ripinnâti6 ru rulure
ppe’ lla partuta ‘e ru patre caru,
stimâtu ‘nvita sempre ccu’ amure,
roppu orvicatu7 vannu allu notaru.
Ruvi fratiscielli, ruvi corazzuni,
‘na pappa8 e ‘na ‘nzunza9 eranu stati,
ma appena hannu adduratu li miliuni
‘ntra facc’e tânnu cchîu ‘un se su guardati.
Se liticanu ppe’ lla villa ra muntâgna,
ppe’ lli sordi e lle terre da marina,
1
Serio
Piene di significato
3
Punta
4
Improvvisamente
5
Arti inferiori
6
Strappatisi i capelli e graffiatisi il viso
7
Seppellito
8
Pane
9
Sugna
2
65
unu ‘mpunte lli pieri e l’atru appâgna10,
cc’accuordu, cchi putiferio, cchi ‘mboina.
Allu trinunâle pue hannu ratu parte
pp’avìre giustizia e d’esere spartuti;
cce su arresciuti, ma su nimici a mmorte:
frati re sordi eranu i scunchîuti11!
A novantânni mârru Ricu è muortu,
‘nu vecchîariellu buonu e onoratu
nun ha lassatu vigna, casa o uortu,
era poveru e sordi, ma stimâtu.
‘Nna murra12 e figli haû chîangiutu,
ccu’ lacrime re core veramente,
‘ssu patre chi ‘ntru munnu ha combattutu
lassânnu ‘nu buonu nume ‘ntra la gente.
‘Nu testamientu hannu trovatu
chînu re sienzu e de significatu :
- Figli ‘nu grânne tisoru v’haiu lassatu,
a pace e ll’amure e ‘nu risperatu -.
Marzo 1971
10
Si irrita, s’adombra
Filibustieri
12
Moltitudine
11
66
‘A ‘MBIRIA
Chîanu chîanu Giuvanniellu,
chi ‘ntr’i guai ha navigatu,
cuntr’a sorte cumbattiennu
roppu anni s’èni azatu.
S’ha accattatu1 ‘na vittura
e ‘na casa ammobigliata,
all’accurtu2 mo’ se ‘nzura3
s’ha trovatu ‘a fidanzata.
Camine francu e animusu,
ti n’adduni4 si lu scuonti5
ca mo’ file a ‘n’atru fusu,
tene tutti li cunfuorti.
Mo’ se spagne re lu picciu6,
fa lli corn’a due manu,
ha sentitu fietu ‘e micciu
ca è chiamatu “americanu”.
L’atru jurnu m’ha fermatu
e m’ha fattu ‘ssa parrata :
ca se sente piccìatu
e lla vita affascinata7.
- Si è chissa ‘a malatia,
Giuvannì’ nun peniare,
vate dduve za’ Maria
ca te sani sfascinare -.
1
Comprato
Presto, tra poco tempo
3
Sposa
4
Te ne accorgi
5
Incontri
6
Malocchio
7
Colpita dall’invidia
2
67
Rittu fattu, lla è jutu8
e lu fattu l’ha cuntatu,
za’ Maria a ‘nu minutu
tutt’i mali l’ha cacciatu.
- Za’ Marì, ‘u vi ‘ssi gienti,
mamma mia cchi munnu ‘ngratu,
quannu comberu te sienti
a lampu t’hannu piccìatu -.
- Giuvannì’, statti squitatu9,
a fa ‘sse cose ‘un su li gienti
e ‘mparatillu ‘ssu filatu
ca su sulu li parienti!
Aprile 1971
8
9
Andato
Tranquillo
68
‘U FRINGILLU1
- A ‘na trappula2 haiu pigliatu
‘nu fringillu canterinu,
sanu e sarvu è restatu
cumu primu, vulantinu.
‘A cchiù bella mia caciula3
l’haiu ratu cumu casa,
ma sta fermu e cchiù ‘un bula,
s’è arrunchîatu4 ‘ntra ‘na rasa5.
L’haiu accattatu6 ppe’ mangiare
civu buonu e prelibatu;
‘nu llu vo’ mancu provare
e se vote all’atru latu.
È benutu a me trovare
l’atru jurnu zu’ Runatu,
senza ‘n’attimu tricare7
‘e l’aggiellu l’haiu parratu.
- Tene civu, acqua e amure,
tuttu chillu chi l’aggrare8
e cce fazzu mille cure
ppe’ lu sentere cantare.
1
Fringuello
Tagliola
3
Gabbia
4
Raggrinzato, rattrappito
5
Angolo
6
Comprato
7
Tardare
8
Piace
2
69
Cumu va, cchi l’è pigliatu,
ca sta sempre culerusu,
propriu a mie m’è capitatu
‘ss’aggelluzzu mottettusu9? –
- Ti n’abbutti10 ‘e l’allisciare11,
abbuttannulu12 ‘e mangiare,
voglia ‘un tene cchiù ‘e cantà’
ppecchì ha piersu ‘a libertà.
Aprile 1972
9
Schizzinoso
Hai voglia
11
Accarezzare
12
Saziandolo
10
70
L’ANIM’UMANU
L’anim’umanu cumu èni secrietu,
scuru, sulagnu1,chînu re fietu,
ma certe vote buonu e amurusu,
affezionatu e spanticusu2.
Mai lu lieji, mancu a ‘n’amicu,
chi se confire, sacciu si ricu;
sempre rimane ‘na cosa ‘gnota,
chîna ‘e misteru chi ‘un se sbota.
E nun te sonnare mai de rire
ca pue ‘ntra nente tuni capire
chillu chi tene ‘ncapu ‘u vicinu
puru si illu pigliatu è a binu.
Cumu lu rittu rice de fare,
tu ccu’ la gente ti ce mangiare
‘na ruva ‘e sale ‘ntra la minerra
ppe’ lla pisare supra ‘ssa terra!
Ottobre 1972
1
2
Solitario
Amorevole
71
‘U POVERU E LA GALLINA
Quannu ‘u barune ‘nterra galliava1,
spapanziannu2 ‘ntra oru e abbunnanza,
‘a gente povarella a spachìava3,
‘nu rugliu4 gualu avìa ‘ntra la panza5.
Senza ‘nu spacchîu6 travagliava
amminazzata7 cumu li cani,
‘na vota ‘u jurnu appena mangiava,
jia sbattiennu ppe’ munti e ppe’ chîani.
‘E ra carne canuscìa sulu lu nume,
cibbu re lussu e prelibatu;
bullitu ‘e cicoria e de cardune
era llu pranzu ppe’ llu sue palatu.
Ppe’ chissu ‘nu jurnu è capitatu
ca don Mimì ‘ntramente passiava
re scattu l’uocchi ha sbertulatu8
ca un cridìa a ciò ca merava9.
Pecchi virìa ‘ntra ‘nu natriellu10
ca cummari Mariuzza ‘e Cicalina
avìa ‘ntra le manu ‘nu curtiellu
e stava pp’ammazzare ‘na gallina.
1
Spadroneggiava
Navigando
3
Soffriva la fame
4
Gorgoglìo
5
Pancia
6
Rinfresco
7
Minacciata
8
Spalancato
9
Guardava
10
Pollaio
2
72
E chissu l’avìa tuttu ‘nciotalitu11,
s’intenne, no ppe’ llu sc-cantu12,
ma pecchì ‘u’ ravìa ancora capitu
lu festeggiamientu ‘e qualu santu.
Quannu pensannu le vinne a lla mente
lu rittu viecchîu ‘nzapientatu,
sempre re mora, passatu e presente
chi grulliannu13 va llu risperatu:
quannu ‘nu povarieullu sbenturatu
ammazze ‘na gallina a lla ‘ntrasata14,
o è ‘ntr’u liettu stisu malatu
o la gallina èni ‘mpagliarata15.
Dicembre 1972
11
Stordito
Spavento
13
Scuotendo
14
All’improvviso
15
Accasciata, accovacciata sotto le penne e, quindi, ammalata
12
73
‘U CARU LIBRU
‘E Ruminicu ‘a mugliere vo’ dittu,
premurosa e chîna re malanni,
duve ha misu ‘u libru chi c’è scrittu
‘u secrietu ppe’ campà’ cent’anni.
- Ohi mugliè’, me sa’ tantu fessa?
Ccu’ mammata chi gira ‘ntra ‘ssa casa
e cummanne cumu ‘na contessa
l’haiu ammucciatu1 ‘ntra ‘na bona rasa2 -.
Ottobre 1974
1
2
Nascosto
Angolo poco visibile e,quindi, posto segreto
74
UOMINI E ANIMALI
A ‘nu spicune1 ‘nu poveru assettatu2
‘na manu stenne cercannu aiutu:
passe ‘nu riccu e cc’è attroppicatu3,
stuortu l’ha guardatu e ‘ssi nn’è jutu4.
‘Nu gattariellu ‘ncamatu5 e azzerpulatu6
se lamentava dintra ‘na rasella7:
passe ‘na gatta rraina8 e ll’ha allattatu
faciennu illa ppe’ la mammarella.
Ottobre 1974
1
Angolo
Seduto
3
Inciampato
4
Andato
5
Affamato
6
Raggrinzato, infreddolito
7
Cantuccio
8
Estranea
2
75
FORTUNA
Malaru, buonu, giustu e posatu,
‘ntra ‘nu lavinaru1 è carutu;
povariellu! ‘Ntra nente s’è affucatu
senza chi lle jissi ‘ncun’aiutu.
Girolamu ‘mbece, c’era r’ammazzatu2,
‘ntr’u mare ‘ntimpesta scivulatu,
no solamente s’è sarvatu,
ma ‘ntre sacchette3 i pisci ha portatu.
Ottobre 1974
1
Ruscello
Mattacchione, spericolato
3
Tasche
2
76
‘U POVERU CRISTIANU
‘Ntra lu munnu risperatu
tu si jutu penijannu1
ccu’ lu sguardu allampanatu
e llu petitu2 ppe’ cumpagnu,
murmuriannu ‘ntra re tie
ppe’ ‘ssa sorte tanta tinta,
mai trovannu ppe’ lle vie
null’aiutu o ‘ncuna spinta.
Si ricuotu a pennulune
rrisciannu ‘a rasa rasa,
ppe’ te minte a ‘nu spicune3
e penare ‘ntra la casa.
Sulu piensi e tte cunsuoli
ca nun frune cca’ ‘ssu munnu
e ‘sse pene e ‘ssi ruluri
si ne vannu ‘ncunu jurnu.
C’a furtuna cecagliune4
chi re tie s’è scordata,
te livisse5 ‘nu vasune
e tte fa cangià parata.
1
Penando
Fame
3
Angolo
4
Cieca
5
Lancia
2
77
Spieri, prieghi cum’è d’usu
chissa santa spaturnata6,
mentre fili ‘u stessu fusu
tutta quanta la jurnata.
E lli jurni, i misi, l’anni
senza lurru7 si nne vannu,
- ‘a speranza -, t’addimmanni,
- è chilla chi ricìa nannu? Chine campa de speranza
certu more risperatu,
mai menza fa la panza8
ppe’ ‘na legge ru creatu.
Si r’a stella si signâtu
ccu’ lla marca grigio scura,
frate mio si spacciatu,
truovi guai a r’ogne ura!
Va luttannu senz’abbientu9
ccu’ li ranni risperati
e ‘nu jurnu, lu cchiù tintu10,
pue te cuogli li filati.
Aprile 1977
6
Maledetta
Luce
8
Pancia
9
Riposo, sosta
10
Nero, amaro
7
78
‘A VURPICELLA
Ha de razza ‘u gallinâru1
intra l’uortu zu’ Pasquale,
cumu a chi lu tene caru
vale chîù e ‘nu capitale.
‘Na matina capizziava2
assettatu3 supra ‘u siettu,
‘nu rrusciu4 lu bisbigliava,
sgranâu l’uocchi e stette attientu.
Te smiccie ‘na vurpicella
chi’ntre frasche5 caminâva,
serpiânnu a ‘na rasella6
le galline già puntava.
Ccu’ perizia e marranza7
Zu’ Pasquale l’ha appostata,
ccu’ ‘nu zumpu li se lânza
e intre mânu l’ha acchiappata.
Ma l’ha vista spâgnitusa8,
nun s’ha ‘ntisa e l’ammazzare,
‘ntra ‘na caggia l’hani chiusa
ccu’ lu ‘ntentu e l’allevare.
1
Pollaio
Faceva un pisolino
3
Seduto
4
Rumore
5
Ramaglie
6
Cantuccio
7
Maestrìa
8
Spaventata
2
79
Mo’ la cive e si l’allisce,
generusu è de core,
mentre ‘a vurpa mâng’e crisce
e la cacce puru fore.
Mânza mânza e joculara9
‘ntra chill’uortu si la spasse,
nun r’ha nente cchiù da razza
sula e libera la lasse.
- U gallinâru po’ aperire,
dammi fide muglierella,
ca la curpa, tu ‘e sapire,
mo’ s’è fatt’a pecurella -.
Ma ‘a mugliere re Pasquale,
chi è furba e suspettusa,
sta bigliânt’e lla se ‘mpale
e la talìe10 mentre cusa.
- Ohi Pasquà, tu nun me ‘ncânti
ca ancora un signu pazza,
chissa vurpa chi m’avanti
nun se po’ scordare ‘a razza.
Illa fa ppe’ t’assonnâre
ccu’ lle sue mâgagnelle
e ccussì ce liberare
tutte quânt’e gallinelle.
Pue tu mi sai a dire
quânnu tutte l’ha scannâte!
Ohi Pasquà’, tu ‘e capire
ca le vurpe vaû ligate -.
9
Giocherellona
Scruta
10
80
Ma Pasquale ccu’ franchizza,
uominicchiu buonu e caru,
ppe’ murrrare la certizza
sbâlancaû lu gallinâru.
Tutte quânt’e gallinelle,
a ‘na vota liberate,
pizzuliavanu11 llà belle
‘ntra chill’uortu sparpagliate.
Mentr’a vurpa ntântaviglia12
si ne stava ‘ntra ‘na rasa,
zu’ Pasquale ‘a via piglia
e trasìu dintra la casa.
Cumu quânnu ‘u ventulizzu13
a ‘na vota fisch’e mine14,
chilla vurpa ppe’ r’ogne pizzu15
rava ‘ncuollu16 a lle galline.
E ‘ntra nente, cumu lâmpu,
le muzzau la cânnarozza,
senza avire nulla scâmpu
fatte tutte a cientu stozza.
E tu, populu ‘ngannâtu
chi nun biri re quattr’anni
‘u viecchiu deputatu
chi appracava chiânti e affânni
e mo’ ccu’ ‘n’atru ritorniellu
se prisente torn’a ttie
11
Beccavano
Era in dormiveglia
13
Forte vento
14
Percuote
15
Parte
16
Addosso
12
81
ppe’ cercare ‘u voticiellu
ca ppe’ ttie spântichìe17.
‘Nfacce a chissu juru ‘e linu
chi te fa ‘ssa parratella,
tu chi fai? ‘N’atru ‘nchinu?
Tieni ‘n mente ‘a vurpicella!
Settembre 1979
17
Ne muore
82
TIRE C’ARRENNE
‘Na minna1 chîna e ‘ntrugliatella2
ppe’ ‘ssi guagliuni affamatizzi,
pronta la tene la mammarella
‘ntr’u statu spasi3 a tutt’i pizzi4;
mai ‘ssa mamma, mai s’arrenne,
viviti figli! Tire c’arrenne5…
Sucanu6 tutti cumu rannati,
‘e notte, ‘e jurnu, senza sperâgnu7,
abbacatizzi8 o su stancati
sempre ‘u mussu a ‘ssu rugagnu9;
è tuttu gratis, nente se spenne,
viviti tutti! Tire c’arrenne…
Puru si ‘a freve10 chîche11 la mamma,
‘ntra lu liettu janca re faccia,
a tutti sempre tire la canna12
e ddu capicchiu13 a vucca nun caccia14;
sempre cchiù duce ‘ssa minna penne15,
ruce de zuccheru! Tire c’arrenne…
1
Mammella
Rotonda
3
Sparsi
4
Parti, luoghi
5
Cede, rende, frutta
6
Succhiano
7
Succhiano
8
Oziosi
9
Recipiente
10
Febbre
11
Piega, debilita
12
Gola
13
Capezzolo
14
Toglie
15
Pende
2
83
Chine sperâgne16 ‘ssa mammarella
chi sc-coscinata17 va ppe’ lu munnu?
Pensanu tutti alla minnella,
allu scinnente18 chi tenanu funnu19;
nun c’è riparu, ‘a vucca se ‘mperne20,
gioia cchi ‘mèrica! Tire c’arrennne…
Paranu jienchi21, tutti ‘ngrassati,
tuttu fa broru, nente le frene,
su ‘ntra lu munnu li spenzerati
ccu’ sângu talianu intra le vene:
‘nfinga chi tiri e illa se stenne
chin’è lu fissa? Tire c’arrenne…
Tutti ricuoti ‘ntuornu le biri,
figli re core sempre sucannu22
e tu ririennu arrieti ‘un te tiri,
‘ncuollu le tieni ppe’ tuttu l’annu;
senza surare, viviennu le renne,
chine te lassa? Tire c’arrenne…
Ottobre 1975
16
Risparmia
Aggobbata, incurvata
18
Apparato digerente
19
Profondo
20
Fissa, ferma
21
Giovenchi
22
Succhiando
17
84
L’ASTA ‘E GEPPINU
Marru Geppinu
s’ha ruttu ‘na gamba,
tiratu ru picciu1
ballannu ‘na samba;
allu spitale
ci l’hau conzata2,
senza ‘a ‘ngessare,
ccu’ ‘n’Asta ‘ndorata.
Roppu ‘nu mise
sa vente3 e camine,
‘ntra ierti4, scise5
e dintra le spine.
Piglie fatiga6
ccu’ l’ANAS a ‘na strata,
‘a gamba va storta
e torna è spezzata:
era ‘n’Asta truccata!
Marzo 1971
1
Malocchio
Aggiustata
3
Si sente in forza
4
Salite
5
Discese
6
Lavoro
2
85
‘E CURVE
Tumasi Cirmiellu1,
‘nu simpriciune,
addimmanne a Pasquale
‘nu citu2 jume:
- Ccu’ ‘ssa spertizza,
vuogliu de tie pecchì ‘e curve
cce su alle vie? –
- E’ cosa difficile,
re gran giometria;
‘nu fattu ‘e avutizza3
fa storta ‘a via -.
- Ma puru ‘mpianura
‘e curve cce stannu,
speghemme allura
‘e cose cu’ vannu? –
- Ihi vrocculuni!rispunne zu’ ‘Ndria,
chi a sentere stava ‘ssa litania.
- Sentite a mmie
piezzi e cazzuni,
fau storte le vie
marchisi e baruni ;
putenti e riccuni
re terr’e palazzi,
gran marpiuni,
no teste re cazzi.
‘A via la tiranu
duve cchiù le cumbene,
pocu se fricanu si storta vene.
È fatta ‘ncurva l’Italia tutta,
chi po’ cchiù tira
e ‘un si nne futta!
Marzo 1971
1
Letteralmente significa piccolo sacco
Silenzioso
3
Altezza
2
86
‘U RICURSU
‘Gnazullu tuttu pipe,
senza postu ppe’ lle vie,
cumbatte e ‘sse quartìe1
ogne jurnu concorsìe;
alla cassa ‘e menzijurnu
e a chilla e vemmaria,
cchi tte fa è ‘na scarogna,
sempre è fore chi spassia.
Mo’ le mancu due punti,
mo’ lu scartanu ppe’ nente,
si proteste e fa lla sc-cuma
fisc-cu e pica, nullu ‘u sente.
L’atra vota, ‘nziemi a tanti
‘nu concorsu è jutu2 a fare,
esce fore ‘u risurtatu
e ‘Gnalluzzu torna care.
Cc’ha de fare povariellu?
‘Nferocitu cumu ‘n’ursu,
senza ‘n’attimu tricare
ce va spicche ‘nu ricursu.
‘Natru l’hani preparatu
Tumasina e Tapparella,
ca ccu’ ‘mbroglie l’hau gapatu3
‘u postu re bidella;
1
Si da da fare
Andato
3
Imbrogliato
2
87
e Luvige re cannata
tutt’i jurni ricursie
ca duve illu se prisente
trove cchiuse porte e vie.
All’ufficiu’e re tasse
va Nicola ‘u cacagliu,
paghe tunne trentamila
fa lu cuntu e trove sbagliu;
mo’ aspette ‘ncazzatizzu
‘e ra summa ‘u rimborsu;
è passato cchiù de ‘n’annu,
se ‘ncapricce e fa ricursu.
Chine oje ‘un ricursie
‘ntra ‘ssu cavulu de statu?
Chine ha rugne ppe’ lle vie
mai vene appracatu.
Cumu l’acqua re li jumi
chi cantannu scinne a mmare,
mmienzu a frasche e cantamuni1
ppe’ pue jire a ‘sse fermare;
‘u ricursu gualu a illa,
passannu e manu a manu,
se ferme ‘ntra la pilla2
re lu statu ‘talianu.
Febbraio 1972
1
2
Pietre
Fango
88
‘U CARU PETROLIU
‘Nu carricu ‘e petroliu
‘n’mienzu lu mare
a ‘na simana
nun po’ sbarcare.
È clandestinu,
‘un tene fattura,
priestu lu ‘mbruogliu
finisce ‘n pretura.
Puru ‘u guvernu
ne fannu ‘ntrarire
ppe’ miegliu potìre
‘ssi ‘nfami corpire.
A lampu ‘e pressa
arrivanu ‘e Ruma
tri deputati
propriu ‘n persuna.
Roppu ‘nu jurnu
‘e ’ndaggine funne,
‘nu deputatu
ccussì rispunne:
- Tuttu è chiaritu,
se po’ sbarcare
ca ‘n mienzu mare
si se triche ‘ncare;
c’è statu ‘n’equivucu
re prucedura,
nun c’è bisuognu
re la fattura-.
89
Ma cumu po’ essà’
si pè la verdura
chi cumpri all’uortu
ce vo’ puru a fattura?
Su fatti tutti
a ‘na fiscella,
si arriva a lampu
‘a BUSTARELLA!
Ottobre 1974
90
ONOREVOLI ‘E RAZZA
Sempre accumpagnati ‘e ru Patreternu
a novant’anni vau allu guvernu,
sunnu i senaturi e li deputati
chi tenanu i seggi testamentati.
L’arteriosclerosi mai l’acchìappe,
friche sulamente a chine zappe;
tenimuli buoni ca sunnu ‘e razza,
si le perdimu l’amu fatta ccu’ i cazzi!
E cose vecchie mo’ vau de moda
perciò ‘u Parlamentu nun se rinnova,
ca puru ‘u vinu eni apprezzatu
quannu ‘ntra vutta eni ‘mbecchiatu:
senza ‘nu ververu, bielli squitati,
e jiennu ‘ntra l’anni a moda tirati,
‘ss’onorevoli nuorri riddutti a mortoriu
su tutti ‘mbecchiati ‘ntra Montecitoriu!
Dicembre 1974
91
I PRIVESSURI
Armete Peppe, ‘nzigne1 la scola!
Minte a San Giuseppe ‘ntr’a mariola2;
‘n’aiutu te rune dintra ‘ss’arrembagiu
e t’accumpagne durante lu viaciu.
Chine te rice duve tu chist’annu
va sbatti i corna ppe’ jire ‘nzegnannu?
A Papanici, a Salianu, a Grisolia,
a Campana, a Canna o a Cerenzia?
Duve va vai longa è la via
mentre la capu a tie te sbarìa3.
si titolare o si supplente,
statti squitatu4: nun cange nnente;
sempre girannu te tocche de jire
no duve annu, silenziu se gire!
Prima giravanu i jurnatieri,
l’ammalafuorfici e puru l’uscieri.
Intra ‘ssi tiempi ‘e prugressi avanzati
giranu a murre5 li laureati.
nun te scurare, aspette squitatu
ca oje o romani te conze6 lu statu!
Fa la riforma ‘u’ l’ha saputu?
Te ‘nquatre a norma e tuttu è frunutu.
Tu ci lu scrive duve vo’ jire7
1
Incomincia
Tasca interna della giacca
3
Delira
4
Tranquillo
5
Flotte, moltitudini
6
Aggiusta, sistema
7
Andare
2
92
e illu certu te sta a sentire.
Oji cazzè8, chisà ca ce criri?!
Tu te fa viecchiu e ancora giri,
cchiù chianu certu re scola a scola
cumu ‘u pallune alla moviola.
Settembre 1975
8
Stupido
93
PAGLIETTE E BALICE1
S’affacce da finestra ‘na matina
‘nu giovanottu ‘e Oppido Mamertina,
vide ‘nu fumu chi ‘ncielu si ne va
s’addimanna pecchì ma nun lu sa.
Scinne ‘mpiazza vestiennuse ‘mpressa
e bire ‘na fulla chi se cunfessa2:
-Ch’eni succiessu! Dicitime gente…
-‘A ‘ndustria e pagliette vruscia ‘ntra nente!
-E li pagliettari se sunnu vrusciati?
-A puzza hanu ‘ntisu e sunnu scappati!
-E mo’ cumu facimu? Simu fricati,
ca simu rimasti disocuppati!
-No! Ppe’ mintè fatica moni se rice
ca fannu ‘n’ndustria granne e balice.
Mille ogni juornu pue si ne fannu,
cussì p’u munnu jamu giriannu!
Dicembre 1975
1
2
Valige
Mormora
94
U’ CANE ITALIANU
‘Nu casinu tene don Sanzune,
ccu’ intra ‘na ricchizza senza fine,
‘nu cane ci ha misu allu purtune
chi a cchine prumminte1 e a chine mine2.
‘E luntanu è passatu ‘nu strazzatu
chi cercava ‘a limuosina ppe’ bia;
‘u cane ha ruttu ‘a catina e l’ha frugatu3
conzannulu4 chi ‘un se canuscìa.
Ciccu Peppe, re cerviellu finu,
‘nu marpiune ‘e rinari agliuttu5,
senza timure è trasutu6 ‘ntru casinu
e ‘ntra ‘na notte si l’ha scuotu7 tuttu.
E llu cane, tu pienzi, cchi facìa?
Ppecchì tuttu sanu8 ‘u l’ha sbranatu?
Cc’era llu cane, attientu e un dormìa
‘e ‘na pagnotta s’eni accuntentatu!
Aprile 1976
1
Promette
Dà
3
Azzannato
4
Riducendolo
5
Avido, bramoso
6
Entrato
7
Saccheggiato
8
Intero
2
95
U’ CANE DELUSU
‘Nu can’e caccia
delusu r’amure,
è scuru re faccia
ppe’ ‘ssu disonure;
pigliatu ‘e scunfortu
‘un po’ cchiù campare,
va piglie ‘u ribottu1
ppe’ se sparare.
‘U patrune capisce
e appriessu le va,
‘u parr’e e l’allisce2,
sparare ‘u llu fa.
Ma ‘un s’arrenne,
furbu se fa
e speranzusu
a Sevesu va.
Appena arrivatu,
senza tricare3,
ha respiratu
e ‘nterra llà care.
Ottobre 1976
1
Fucile a due colpi
Accarezza
3
Tardare
2
96
‘A RANA E LLU CRAC
‘E sira ‘ntr’u stagnu,
‘na rana ‘nfocata
chiame llu zitu
ppe’ fa ‘na parrata.
Appena cumince
e fa crac, crac,
te passa Sindona
vestutu ‘nfrac.
-Vile carogna,
te fazzu arrestare,
te armu1 ‘na rugna
ppe’ te ‘mparare;
chisse parole
e ba rice a Berzottu,
ca illu nun jate2
ppecchì ha rottu-.
-Ma caru Eccellenza,
cchi ne sapìa
ch’era ‘ndecenza
‘u crac ppe’ ttia!
Chissa è lla parra
chi mamma m’ha datu
e de piccirilla
haju sempre cracchìatu3;
mo’a cumu viju ca ve ‘nzerrati4
1
Impianto, creo
Fiata
3
Gracidato
4
Arrabiate
2
97
forse puru vuve ‘ssa lingua parrati?
Ottobre 1979
98
GENTE R’ONURE
Quannu ‘ntra l’anni ‘u petitu1 regnava
dintra ‘sse trempe2 chìne e paisi,
ccu’ gran cuntiegnu ‘a gente campava
teniennu all’onure re calavrisi.
Mo’ chi lu tuempu tantu cangiau
a chissu munnu facce e culure,
‘na razza e gienti pere pigliau
chi vene chiamata gente r’onure.
Ddiu l’ha fatti senza speragnu3,
ccu’ tutt’i sienzi si c’è appricatu;
l’ha baccinati cuntra lu spagnu4
e l’ha livissati5 ‘ntra chissu statu.
Su fatti e ’nu ‘mpastu re canigliata6,
ccu’ cromosomi re marca frichigna,
tenanu ‘a capu a r’uovu munnata7
e ppe’ testamientu campanu a bigna.
Jocanu e bincianu ccu’ le parole,
chi ccu’ decenza ‘a chiamu fatiga,
mentre se inchìanu le mariole8
ri barbettuni chi mancanu a ttia.
1
Fame
Luoghi scoscesi
3
Risparmio
4
Paura
5
Lanciati
6
Crusca
7
Pelata
8
Tasche interne delle giacche
2
99
Paranu ‘e tutti li rifenzuri,
l’appracaturi re tutti li mali,
si ‘u le canusci guarde li muri,
nente ce manche, su tal’e quali.
Sunnu re tie, populu stancu,
l’amici cari ‘mpari9 conzati10,
chi vau corianu11 a Ruma ‘nu vancu
e sulu ri sordi su risbigliati.
Mentre tu aspietti e illi ‘nu signu,
ca chissa vita cchìuni se scure,
sulu t’arrive ‘nu cantu frichignu
‘nu viecchìu motivu e sempre chi rure.
Ma chill’amicu, lu deputatu?
Lu parolaru re tutte le ure?
A ‘nu nuovu scandau éni ‘mpricatu!
Ma reste sempre gente r’onure.
Dicembre 1980
9
Comodi
Sistemati
11
Riscaldano
10
100
SCIROCCU1 ANTICU
‘U stessu scuru vientu è chi jujjìe2
i cuosti3 re ‘ssa gente accerata4,
mai se stanche, jujje e cumbìe5
i figli r’antica razza risperata;
senza pietate tutti le rranìe6
chini re race7 ppe’ l’amare vie.
E ancora mine, furiusu d’etiernu,
gustannese ververi8 e lutte,
cumu ‘nu pattu, ‘na legge re ‘nfiernu
ancor’arsusu e ‘ssu sangu s’abbutte9:
cesse sciroccu, cchìu nun minare10,
lasse ‘ssa gente lluocu campare.
Guarde ‘sse vie, ‘sse case mute,
‘ssi viecchi ‘n fila spasi11 allu sule,
le meglie forze si ne su jute12
tutte le cose hau piersu culure:
penze sciroccu, abbasce ‘ssa grigna13,
fa chi ‘na vita diversa cca ‘nzigna14.1
1
Vento caldo, caligine
Soffia, percuote
3
Dorsi, schiene
4
Col viso indignato
5
Manda via
6
Disperde
7
Rabbia
8
Pensieri, ansie
9
Si sazia
10
Soffiare
11
Distesi
12
Andate
13
Ira, superbia
14
Incomincia
2
101
102
Lasse ‘ssa terra, abbentete1, è ura,
mini re sempre nun si stancatu?
Cchiù nun ‘nzenare2 ‘ssa gente, ‘ssi mura
chi cumbattiennu hau persu lu jatu;
fa chi ‘ncumincie ‘nu jurnu chiaru
ca ‘u priezzu pagatu è statu caru.
È tiempu re fare chiari li cunti,
mintiennu re parte sort’e speranza,
‘un sienti ca tremanu i mari e li munti
e lla misura è curma e n’avanza?
‘ssi giuvinotti nun chiangianu cchiù
e nullu lle ferme, nemmeno tu.
Tu nun t’arrienni, i prighi ‘un sienti,
‘mbutti3 ogne cosa, le speranze stuti?
Ma ‘e nuovu curaggiu se armu ‘ssi gienti
e lutta te fannu ‘nfina c’ammuti;
lutta ppe’ sempre senza cchiù abbientu,
tutti jungiuti e te stutanu4 vientu!
Febbraio 1979
1
Riposati
Inquietare
3
Spingi
4
Spengono
2
103
‘U P A I S E
‘ Nu muzzelluzzu ‘e case ‘ncutte mise
all’umbra re ‘nu viecchiu campanaru,
‘e vie sunnu fatte a ierti1 e scise2
‘a chiazza solamente è allu ‘mparu:
‘na chiesa, tante funtane e simpuorti
e tuttu ‘ntuornu cervicali e uorti.
Pare ‘nu quatru a sangu disegnatu
‘ntra ‘na cornice vierde re natura,
duve ogne cosa parre du passatu,
duve li stienti lieji supr’i mura;
tuttu è ammantatu re ricordi amati
ppe chine ‘ntra ‘ssu luogu sunnu nati.
Lu guardi, lu giri tuttu ‘ntuornu
e parica nun tene nente povariellu,
‘u sule chi lu coce quannu è jurnu,
‘a notte ‘u cante ‘ncunu grilliciellu;
‘na sula ranne ‘ndustria c’è criata:
chilla r’i figli chi nascianu a cucchiata3.
Tanti fumari spannanu la vuce
re le famiglie ‘ntra le case a celle’
‘ntra l’ariu le parole amar’e duce
re patri, figli e sante mammarelle;
ppe dire ca lu core chjange e cante
‘ntra ‘ssu paise rispettusu e amante.
Passannu te cunte ‘na canzuna antica,
pussente ‘ntra le vie e le rughelle,
cuntannu i fatti va ‘ssa vuce amica
1
Salite
Discese
3
Coppia
2
104
re ‘nu passatu ‘e cose brutt’e belle
chi apere ‘nu ranne libru ‘ntra la mente,
scrittu ccu’ lu surure ‘e tanta gente.
Li jurrni sunnu fatti ‘e cosicelle,
re canti ‘e galli e ragli ‘e ciucciarielli;
li vicinanzi tuttu chjni ‘e cummarelle
e a murrate4 re vispi quatrarielli;
mentre a ‘nu tric-trac ‘e ‘nu tilaru
rispunne lu martiellu ‘e ru forgiari
Supra ‘nu siettu re ‘nu viecchiu muru,
‘nfila assettati ce sunnu l’anziani,
portanu ‘nfaccia i signi ‘e ru lavuru,
chjni re calli e contre5 su’ le manu;
scarpari, sarti, marri r’ascia tanti,
massari e zappaturi ‘ntra li manti.
‘A matina l’ortulanu ccu’ ‘nu griru
risbiglie ‘e ru suonnu tutt’a gente,
mentre l’aggielli lassanu lu niru
e lu paise se inchje ‘ntra ‘nu nente,
e ppe’ via, ‘ziemi a piecure e a cani
caminanu senza sc-cantu i cristiani.
‘A sira quannu ‘u sule sta tumbannu6,
se sente lu suonu cupu ‘e vemmaria,
e mamme i figlicielli vau chiamannu
e le galline ammasune7 za’ Maria;
‘ntra le case è appicciatu ‘u focularu
e la famiglia se junge8 a ‘ss’artaru.
4
Moltitudini
Cicatrici
6
Tramontando
7
Fa rientrare nel pollaio
8
Riunisce
5
105
Chissu è lu paise, tuttu e nente:
‘n’anticu core apiertu e ‘nnamuratu,
‘na vuce chi ronzie ‘ntra la mente,
‘nu fuocu re ricordi appiccicatu;
‘mprunte ccu signi spasi ppe’ le strate,
adduri e suoni re l’età passate.
E’ chillu piezzu ‘e terra assulicchiata,
chi ti la puorti appriessu duve vai,
ccu’ li chianti sempre aracquata,
suspirannu chillu jurnu chi tornerai;
ca stare luntanu ‘e illa è veru scuornu
pecchì ogne notte ‘a viri ‘ntra lu suonnu.
106
‘A CHIAZZA
Cum’è bella e gentile ‘ssa sirata
sutta le stelle ‘ntra la vecchia chiazza,
‘nu tiempu tantu viva e apprezzata
‘e ra gente peracise d’ogne razza.
E oje simu venuti alla trovare,
ppe’ ce rire ca bene le volimu,
ppe’ ne potire ‘nziemi ricordare
tutti li fatti re lu tiempu primu.
Amu fattu buonu? Vue cchi diciti?
Cchi vi ne pare de ‘ssa gran pensata?
‘U sacciu ca ve piace e accussentiti
ca siti gent’e core affezionata.
Nun sentiti dintra ‘ss’aria fatata
la ranne gioia re na vuce amica?
‘A vita re li patri ch’è passata
fatta re stienti cumu la furmica.
‘E ru paise chissà era lu core,
‘e lluocu gioia e affanni su’ passati;
ohi quanta gente si n’è juta fore
‘ntra chilli tiempi amari e disperati!
‘Ssi muri, ‘ssi simpuorti ccu’ ‘sse case,
quantu pensieri tenanu ammucciati1
re gente ch’è passata ‘e ‘ntra ‘sse rase2
ccu’ suspiri e canti re l’innamorati.
1
2
Nascosti
Angoli
107
Quantu parole ‘e supra ‘ssu barcone
ritte a ‘na fulla chjna1 re speranze:
bandiere russe ‘nsiemi alle cansune
sonnannu re ne inchjere le panze.
Tantu tiempu re tannu mo’ è passatu
e li ricordi su’ rimasti sulamente,
chilli chi ‘ntatti oje amu trovatu
tuttu jungiuti2 ‘ntra la norra mente.
Stasira simu lluocu piccirilli e ranni3
ppe’ ne guardare ‘ntra l’uocchi e ne parrare,
ppe’ sentere ‘na vuce chi ‘e tant’anni,
ne mbite ccu’ gran forza cca a tornare.
‘A romanica festeggiamu ‘a “Pecorella”,
la norra Patrona, Maronna Addolorata,
prummintimulu a ‘ssa norra mamma bella,
ca ‘a chiazza ‘e Peraci torne affollata.
1
Piena
Uniti
3
Grandi
2
108
RUGHELLA ANTICA
‘N mienzu allu paise, bella riparata
ce stai tuni,rughelluzza amica,
‘u sule chi t’allurre1 a jurnata
‘nfina chi ‘e r’i munti si ne chjca2;
i patri ccu’ tantu amure t’hau criata
e fatiga ccu’ sururi si’ custata.
‘E case conzate3 belle a filarata,
su’ fatte tutt’e petre fravicate,
una supr’a l’atra è appoggiata
ccu’ granne arte, tutte ‘ncatinate;
vicinu ‘u simpuortu, all’angulu ra via,
c’è sistemata puru ‘a casa mia.
Supra ‘na porta ‘ntra ‘na nicchiarella
c’era lu quatru re l’Addolorata
tuttu alluciatu re ‘na lampicella
ppe’ butu a ‘ssa Maronna tant’amata,
chi a settembre vene pregata tutt’e sire
e ognunu li sue bisogni le confire.
Quantu vuce ‘ntonavanu a ‘ssi mura,
quantu suoni se spannianu ccu’ adduri,
vicina se sentia tutta la natura
ccu ‘na ranne mercanzia re culuri;
r’e graste alle finerre ccu’ l’adduri,
scinnianu li jurilli lungh’i muri.
1
Illumina
Tramonta
3
Sistemate
2
109
‘E tutte l’ure, r’a gente chi passava
‘u rrusciu1 e r’e perate se sentìa,
mentre ‘a sielica2 ccu’ ritmu accordava
i murmuri3 e za’ Filumena chi facìa;
chi mentre assettata4 si ne stava
nu’ muzziellu5 re panni arripezzava6
Parianu uocchi tutt’e finerrelle,
vucche spalancate eranu ‘e porte,
duve affacciate tante fimminelle
parravanu re la vita e de la morte;
e mentre ‘u filu allu fusu ‘ncuna coglìa
‘a jurnata chjanu chjanu si ne jia.
L’atru jurnu a te trovare signu venutu
c’avìa tanta voglia e te parrare,
ma re la pena signu restatu mutu
appena chi t’haiu vistu lacrimare.
Haiu ‘ntisu ca ‘u jatu te mancava
e la vita a pocu a pocu se stutava7.
Nun se sente cchiù ntinnare ‘u martiellu
dintra la forgia re marru Jennaru,
‘ntra ranne mutìa è puru lu natriellu8
duve a jurnate faticava lu scarparu;
escianu sulu surici, secutati9 ‘e ‘na gatta
‘e chilla porta duve faticava la sarta.
1
Rumore
Selciato
3
Lamenti
4
Seduta
5
Cumulo
6
Rattoppava
7
Spegneva
8
Sottoscala
9
Inseguiti
2
110
Mo’ i fumari su’ niri ppe’ l’aggielli
e guardanu lu cielu ppe’ pregare,
ppe’ fa’ tornare chilli tiempi bielli
ppe’ potìre ‘n‘atra vota fumiare;
ma a ‘ssa preghiera re chiantu abbragata10
l’ecu le rispunne ca è sprecata.
Quannu ‘u sule ‘e ra Tenna campiava11
‘sse finerrelle ‘na manuzza l’aperìa,
‘ncuna mammarella pue s’affacciava
e lu core tantu forte ne vattìa:
mo’ sbattiti sule ‘ntra ‘ssa muta via
ca’u vientu cumu voni ve tessia12.
I muri su’ tutti quanti stonacati,
l’erva ha cumbegliatu13 via e scaluni14,
i canti ‘e r’i tilari se su’ ammutati
‘nziemi alle grirate ‘e ri guagliuni,
passe ‘nu cane e pisce a ‘na porta:
‘u le fa’ nente, ‘a rughella è morta.
.
10
Rauca
Spiava
12
Dimena
13
Coperto
14
Gradini
11
111
NATALE
Dicembre ccu’ lu friddu è arrivatu,
i munti cumbegliati su’ de nive;
‘ssu mise chi èni tantu ricordatu
se canusce ‘e l’adduri quannu arrive;
ppecchì se spanne dintra tutt’e vie’
‘na gioia chi lu core ‘ngrannizzie1.
‘Na festa dintra l’ariu se sente,
‘na cosa chi nun se sa spegare,
cuntenta tu viri tutt’a gente
ccu’ ‘na voglia tantu ranne re amare;
‘ntra ‘na cornice ‘e stelle e lucitelle
e ccu’ ‘nu ruce suonu ‘e ciaramelle.
Se vire ca Natale sta beniennu,
lu granne jurnu chi lu munnu aspette,
la mente li ricuordi va jungiennu
e le cose chi lu core arricette2;
chille chi hau sempre intra cuvatu,
tenner’e duce ‘ntra lu passatu.
Ppe’ chissu jurnu ranne e gloriusu,
ognunu se ricoglie d’ogne rasa,
pecchì Natale è biellu e calurusu
si se passa ‘nfamiglia ‘ntra la casa;
‘ntra chillu luogu caru affezzionatu
‘ntra chillu postu duve sini natu,
ppe’ godere l’usanze tantu care
vere lumere re lu tiempu anticu,
ppe’ sentere tanta voglia r’amare,
lu munnu sanu viecchiu caru amicu;
ppe’ sentere ‘u core vattere assai forte
guardannu ‘a stella chi alla grutta porte.
1
2
Soddisfa
Sazia
112
Natale sempre ‘u stessu è restatu,
cumu alli bielli tiempi re quatraru1,
jurnu re vera pace aspettatu
‘ntuornu allu cippu re lu focularu,
duve era jungiuta tutt’a famigliella
ppe’ se gorere la santa siratella.
Ancora la viju la mia cara mamma
tutta mpacciata dintra la cucina,
chi allu fuocu re ‘na viva fiamma
re cullurielli facìa ‘na frijitina:
turdilli, crustuli, scalille e pizze,
signi ‘e r’a festa vere bellizze.
Tuttu era suonu, granne allegria
alla vijielia ‘e ‘ssa festicella,
nun c’era figliu chi nun mintia
sutt’u piattu la litterella,
ccu’ le prumisse re ranne bontà
versu le mamme e li cari papà.
Juochi ppe’ tutti ‘ntra ‘ssa sirata:
nucill’e tombula ‘nu veru spassu,
tutt’a famiglia virìa appricata2
tra risa e griri, granne fragassu;
mentre ‘nu suonu anticu ‘e campana
tutta la gente alla chiesa chiama.
Lassanu ‘e case piccirilli e ranni,
tutti rispunnanu a ‘ssa chiamata,
a chiss’usanza chi sempre ‘ntra l’anni
ccu’ granne fede vene rispettata,
e puru si lu friddu fa azzerpulare3
tutt’u paise è fore a vigliare.
1
Ragazzo
Intenta
3
Rannicchiare
2
113
‘N mienzu la chiazza ‘u fuocu vampìe
re gente ‘ntuornu c’è ‘na gran murra1:
chine spare botte e chine se corìe2,
chine re pace e d’amure discurra;
nasce ‘ntra ‘ssa notte lu Redentore
e ‘na nova speranza trase ‘ntr’u core.
Speranza re vita, re pace e d’amure
ppe’ chissu munnu chi sta gelannu,
vene lu Messia chi cacce le paure
‘e violenze, ‘u ‘ntrigu e lu ‘ngannu;
preganu tutti lu granne Divinu
chi la Maronna culle ‘ntr’u sinu3.
Tu Bumbiniellu chi ha male patutu,
chi ‘e r’u munnu canusci i peccati,
sai quantu serve lu tue aiutu
‘ntra chissi tiempi re granni spietati;
‘ssu sangu chi scurre fallu attagnare4
ca cchiù la gente nun fani campare.
Fa’ chi pigliassi pere ‘a ragiune,
simine torna ‘u bene a ‘ssa terra
e ca la gioiusa vita ‘e guagliune
nun canuscissi cchiuni ‘na guerra.
Tu sai quantu è spasu lu granne male,
rune speranza, oh Santu Natale!
Cumu ‘na vota quann’era quatraru,
1
Moltitudine
Riscalda
3
Grembo
4
Fermare
2
114
senza mai ‘n’umbra ‘ntra ‘ssa jurnata,
vicinu ‘u presepiu r’a chiesa all’artaru
quannu passava vigliante ‘a nottata;
guardannu la grutta allucinata ‘e ‘na stella
e ricriatu ‘e ‘nu ruce suonu ‘e ciaramella.
115
‘U FUOCU ‘E NATALE
Re tiempu luntanu ‘ss’usanza nu’ more,
rimane appicciatu ‘ntr’a mente lu fuocu,
lu cuorpu corìe1, ristore lu core
‘ssu caru amicu, cumpagnu re juocu.
‘Ntiempu ‘e guagliuni a tutti applicava
e gioia ranne ognunu sentia,
nun c’era nullu chi se scanzava,
tutte le forze a ‘ss’impresa mintia.
E quannu lu mise ‘e dicembre trasìa,
‘nu ververu gualu, possente portava,
a murra i guagliuni ‘n mienzu la via
ccu’ carri e gacce ognunu sbrittava2.
Versu ‘a jimara e ‘ntra le castagne
tutti jungiuti cumu ‘na pigna,
sc-carannu3 ‘ntr’e rrope nullu se spagna,
sulu se pense a trovare li ligna.
Sarcine, cippi e gran raricuni
s’abbirettavanu4 ‘ntra trempe5 e vallate,
nu’ ne fermavano sepale e patruni,
se jia avanti tra gioia e grirate.
Nun s’appuntava mai ‘e girare,
‘nfinu a quannu nun era mbrunatu
ppe’ potire ‘u carru curmu carricare
chi ccu’ le corde venìa tiratu.
1
Riscalda
Fuggire rapidamente
3
Ricercare
4
Avvistavano
5
Luogo scosceso
2
116
‘Nu buonu mise rurava ‘ssu juocu,
chi lu sapure ‘e Natale ne rava,
pensannu sulu a fare ‘nu fuocu
chi ‘ntr’i cuntuorni nullu ‘u passava.
‘N mienzu le “Pezze” virìa ‘na fera,
‘mprimu matinu cuntentizza regnava,
‘na ranne fulla ‘ntuornu la c’era
ccu’ ‘na ranne voglia re aiutare.
Pue la sira alle nove ‘a vampata,
ccu’ ntuornu festusa tutta la gente,
bell’e spassusa scurrìa la sirata
ccu’ lu Bumbinu dintra la mente.
‘Ntantu sone la missa ‘a campana
mentre lu tiempu pruminte nive;
‘na vecchia zampugna sone luntana
e chissu suonu ‘ntra l’aria arrive.
Le stizze azziccanu6 ‘nziemi alle fiamme
e duci pensieri ‘ntra ille sunnu,
chi vannu a scontare l’amure ranne
chi oje scinne supra lu munnu.
6
Salgono
117
U’ CAMPANARU
‘N mienzu ‘e “Pezze” èni ‘u stennicchiune1,
stemma pussente ppe’Peraci ‘ntieru
e d’anticu tiempu è granne amicune,
c’ammucce2 li segreti ‘ntr’u pensieru.
Ccu’ lu sguardu azzicchi chianu chianu
e parica ‘u r’arrivi mai alla curina:3
Peraci lu fa canuscere ‘e luntanu
‘ssu viecchiu chi r’amure ne ‘ncatina.
Lurrusu uocchiu è ogne finerrale,
ricchizza le ‘ntonate sue campane;
‘ntra li cuntuorni nun ne truovi guale
chi all’avutizza4 sua ranne acchiane5.
Parre de la supra allu paise:
lu viglie, lu cuverne e l’accarizze,
e le rughelle, ‘e case spare6 mise,
sutta re illu paranu ricchizze.
Ha ‘ntisu ‘ntramare squatre re briganti
1
Gigante
Nasconde
3
Cima
4
Altezza
5
Sale
6
Accidentate
2
118
e partere ha vistu li garibaldini,
ha benerittu nozze ‘e tanti amanti
e chiantu ppe’ chine jia alli pini.
Tante risate e lamienti ha sentutu
e d’e ciotie e d’i sbagli hani risu
ma illu, firatu amicu sempre mutu,
ha fattu finta ca ‘u’ r’avìa ntisu1.
‘Ntr’u core si lu porte l’emigratu
chi lu lasse ccu’ dulure amaru,
e pue luntanu, quantu vote scunsulatu
rice: volissi d’esere sutt’u campanaru,
all’umbra e illu ‘mparu assettatu2,
‘nziemi all’amici cari peracisi
e parrare ‘e r’i fatti ‘e ru passatu
chi ‘ncore e’n mente su’ rimasti grisi3.
Gorutu si l’hannu i nuorri nanni,
e ccu’ gioia li patri l’hannu amatu
e de nue perciò, picculi e ranni,
‘ssu viecchiu parente vani rispettatu;
ca ancora cchiù forte fa battere lu core
quannu se sente chilla campanella,
chi sone ppe’ la gent’e intra e fore
ppe’ ogni occasione brutta o bella.
Passe lu tiempu e tuttu sinne porte,
ma illu sanizzu4 rice a tutti i paisani,
ca mai paura tene de la morte,
pecchì aspette li figli chi nascianu romani.
1
Udito
Seduto comodamente
3
Intatti
4
Pieno di salute
2
119
‘A PECURELLA
Ohi neputiellu mie fujantinu1
fermete ‘nu pitazzu2 ccu’ nannuzzu,
‘nu saccu re ricchezze tiegnu chjnu
e lu vuogliu rare a tie, mio giojuzzu.
Assettate3 ccu’ mie ca te cuntu,
lu cielu è chiaru, bella è la sirata ;
‘ssa ricchezza ch’io haiu juntu4,
l’antichi re Peraci mi l’hau lassata.
E’ fatta ‘e tante vuce sapuruse,
‘e vecchie usanze e de fattarielli,
re cose tennerelle e guliuse
chi vannu ricordannu i jurni bielli.
I mumenti chi su’ stati ‘ntr’u passatu
lurrusi e aspettati re la gente,
le ure chi hannu a tutti ricriatu
dintra lu tiempu nivuru e pezzente.
E oje chi la festa sta trasiennu
‘ntra ‘ssu settembre re adduri chjnu,
me sientu ‘n’atra vota quatrariellu
‘n mienzu ‘e Pezze appriessu ‘u tumbarinu,
chi va sonannu ppe’ tuttu lu paise
ppe’ annunciare ‘a festicella bella,
chilla chi fa cuntientu ‘u peracise:
la spanticusa5 e Divina “Pecurella”.
1
Frettoloso
Momento
3
Siediti
4
Riunito
5
Meravigliosa
2
120
Chi ogne annu è sempre aspettata
pecchì è arraricata6 ‘ntra lu core,
la granne e cara santa affezionata
chi supra ‘e nue viglie a tutte l’ure.
La chiesa tutta intieri è addobbata,
‘nu sparu ‘e corpiscuri a tutti avvise,
ch’è lu jurnu ‘e ra Madonna Addolorata
la quarta romanica re ‘ssu mise.
Ognunu re ‘ssa festa ne fa vantu
ca re ricuordi è chjna e de sapuri,
pecchì ‘ssa santa re l’azzurru mantu
patrona è de ‘sse case e de ‘ssi muri.
Nun sienti gioia mia ‘ntr’a rughella,
giojusu, ‘ntonare ‘nu gran cantu:
“Vergine Addolorata, Divina Pecorella”
scritta ‘e ‘nu figliu re ‘ssu luogu vantu?
‘Nu cantu chi ‘ntra l’aria se spanne
inchjennu7 re melodia la sirata,
‘n’usanza chi r’anticu se tramanne
e ‘ntra la mente ‘ntatta è conservata.
L’adduru tu nun sienti ‘e ra cuccìa
la pietanza re ‘ssa festa guliusa?
Li furni stau cociennu a ogne via
pignate e tinelli chjni re carusa.
Cchi suonu, quantu bene ammucciatu8
se spanne d’i Suttani allu Catusu,
lu cursu chjnu ‘e archi illuminatu
chi tuttu fa parire purtentusu.
6
Radicata
Riempiendo
8
Nascosto
7
121
Arrivano puru i figli re luntanu,
‘ss’affezionati spasi ‘ntra lu munnu:
re Roma, re Torinu, re Milanu,
e de l’America vene puru Riamunnu;
‘ccu ‘ntra lu core ‘na ranne nostalgia
e lli ricordi a murra re quatraru,
ririennu pue le biri ppe’ la via,
cuntienti sutt’u viecchiu campanaru.
Rice lu muntanaru allu cumpare:
<allegru ca ppe’ la Maronna ni ne jamu>
ca a chissa festa nullu po’ mancare
e ppe’ signu ‘na pecurella ne portamu.
Su’ preparate ‘e bancarelle ccu’ pizzille9,
ricchezze funne ppe’ li quatrarielli10:
palluni, machinicchie, turruni e pupille,
‘nsiemi a tanti atri articulicchj bielli.
E pue quantu juochi chi se fannu:
‘a ‘ntinna11 ‘a pastasciutta e le pignate,
pue ‘a sira ppe’ le vie lu cavallu
ccu’ tante frugulere appiccicate.
Peraci cange tuttu re culure,
re cuntentizza e giubilu se vesta
e murrannu12 vani tuttu ‘u sue amure,
chi tene ‘ncore ppe’ ‘ssa ranne festa.
Se porte a spalla ‘a Maronna ppe’ le vie,
ppe’ ogne porta, ppe’ spicuni e rase13,
ccu’ ‘nu cantu re preghiere e litanie
9
Mercanzie
Ragazzini
11
Albero della Cuccagna
12
Mostrando
13
Angoli
10
122
e la gente ‘nginocchiuni chi la vase;
ppe’ dire: oh Protettrice, Maronnella,
chi re bontà si chjna ‘ntra lu piettu,
te priegu, oh mia Divina Pecorella,
fa’ chi ‘n atr’annu io cca t’aspiettu!
123
SCIPPACORE
Alla chiesa ce stani la Maronna
e ‘ntra la casicella c’è la mamma,
ruve facciuzze re ‘na sula forma
chi vive su’ ntr’u core cumu fiamma.
Tu si’ sicuru quannu tieni a ille
pecchì lu bene loru mai nun frune1
e puru si sbagli tu ne fai mille
una t’assolve e l’atra te perdune.
Le truovi sempre pronte a ogne ura
si le tue pene vai a ce cuntare;
‘nu bene ranne tenanu ‘e natura
chi tutt’i mali fannu acquetare.
E quantu vote ppe’ ‘nu ranne sc-cantu2
ha rittu senza tricare3 <Maronna mia>
e illa pronta t’ha asciuttatu ‘u chjantu
e pue animusu ha’ ripigliatu ‘a via.
Oppure ‘e notte, spagnatu4 re lu scuru,
re lu suonnu te sini risbigliatu;
‘a mamma ha chiamatu ppe’ esere sicuru
e illa ccu’ gran cura t’hani cunsulatu.
1
Finisce
Paura
3
Tardare
4
Impaurito
2
124
Forte forte t’ha rrintu allu piettu
e la facciuzza assai t’ha vasatu,
pue chjanu t’ha cumbegliatu1 ‘ntr’u liettu
e lu suonnu ‘ntra nente t’è pigliatu.
Cchi forza ranne, cchi sapire fare
chi tene la mamma, ranne santa,
tuttu lu jurnu senza s’abbentare
‘a famigliella sua ‘e tuttu ammante.
Cum’è fatatu chillu pizz’a risu,
chi sulamente illa s’hani fare,
re lurru inchje gualu tutt’u visu
chi tuttu lu caminu fa allurrare.
Avìre vicinu ‘na mamma è ‘na fortuna,
ca sempre aperta tene la sua porta,
e chilla vuce chi te chiame mentre ‘mbruna,
ti l’arricuordi puru roppu ch’è morta.
Mo’ tu, Maronnella bella Addolorata,
si nun t’offienni e mi lu permettessi,
ppe’ la vita sua tanta sacrificata,
santa alla mamma la facissi,
ccussì pregare potissimu ruve maronne,
chi n’hau datu ‘a vita e tantu amure,
ppe’ onurare ‘sse ruve sante donne
chi chiamamu mamme, ma su’ scippacore.
1
Coperto
125
U’ P A N E
Va speghe cchir’è lu pane; è ‘na parola!
Pecchì significati funni n’hani tanti;
nemmenu i marruni fini re la scola
lu sannu spegare buonu tutti quanti.
Certi ricianu ca stute1 lu petitu2,
atri ‘u chiamanu ricchezza re la casa,
perciò simu scritti tutti a ‘ssu partitu
‘ntra tutt’u munnu, dintra a ogne rasa3.
Sa buonu e tutte quante le manere:
ccu’ zuccaru, ccu’ uogliu oppure asciuttu,
sia ca fa cavuru o ccu’ le nivere,
ppe’ la vita re l’uomu èni tuttu.
Cosa cchiù cara nun c’è ‘ntra la natura,
ricìa ‘ntiempu primu l’uomu anticu,
chi nun te fa’ ventare la paura
quannu vicinu tieni chissu amicu.
Senza pane, se rice, nun se cante
e la casa è ‘ntra le vampe ‘e ru ‘nfiernu,
e se preganu ccu’ fede cielu e sante
ppe’ fa’ passare priestu ‘u malu viernu.
Quannu tieni ‘u pane tieni tuttu,
se sente dire allu paise mio:
s’è pocu lu bagni e si’ abbuttu,
ringraziannu sempre lu buon Dio.
1
Spegne
Fame
3
Angolo
2
126
Alla pasta se fa la cruce ‘ntr’a majilla4,
ca u’ pane è cosa sacra e beneritta,
pue la si staglie ccu’ la rasulilla5,
ppe’ fare pani, frese, muccelati e pitta.
Quannu esce fumante re lu furnu
re ‘n mienzu ‘a via l’adduru se sente,
‘na festa ranne fa’ dintra ‘ssu jurnu
ppe’ chissu gran tisoru tutt’a gente.
Ppe’ ‘nu piezzu ‘e pane tanti vau luntanu,
lassanu ‘a famiglia e lu paisiellu,
ccu’ ‘na valicia rrinta ‘ntra ‘na manu
e ‘ntra lu core ‘nu rulure etiernu.
Su ‘ chjni ‘e sienzu tutti ‘ssi motivi,
ma ppe’ lu pane unu è lu cchiù ranne,
chi ti lu tieni ‘n mente mentre vivi:
‘u pane fa gioire figli, patri e mamme.
4
5
Madia
Radimadia
127
ZA’ VICENZA
Ancora ‘a viju lla a za’ Vicenza,
davanti allu scalune6 re la porta;
assettata7, ‘ssa marra re pacienza,
sfidannu senza spagnu8 ‘a mala sorte.
Faticava a capu vascia senz’abbientu,
ccu’ ‘nu rulure dintr’u piettu chiusu
e ogne tantu affidava allu vientu
‘nu messaggiu re speranza piatusu9.
“Ohi vuce chi me jiesci re lu piettu,
gire ‘nziemi allu vientu ‘ntra ‘ssa terra,
pue tornati cca, ca io v’aspiettu,
e portatime nova10 re lu mio figliu ‘nguerra!
Mi l’hannu arrupatu ‘ntra la casa,
lu figliciellu mie ‘ntra ‘nu minutu,
nun sacciu moni cchiù a quale rasa
senza nulla curpa mi l’hau partutu”.
Finiscìa ‘sse parole ccu’ ‘na grirata,
guardannu ‘na nicchiarella ‘ntra ‘nu muru,
pue vasava la figurella ‘e l’Addolorata
e s’asciuttava li chianti ccu’ lu maccaturu11.
Cunocchia e fusu ‘n’atra vota ripigliava
ppe’ filare la lana ‘e ‘ntra ‘nu saccune
e lu pizz’a risu quannu tu passava
sempre te facìa ‘ssa vecchia corazzune12.
6
Gradino
Seduta
8
Paura
9
Pietoso
10
Notizia
11
Fazzoletto
12
Affettuosa
7
128
Ccussì passava tutta la jurnata,
‘ssa vecchierella chiamata ‘e tutti zia,
chi ‘e chillu scalune nun s’è mai azata
si prima nun sonava l’avemaria.
Quannu s’azava ‘a cruce se facìa,
ccu’ granne amure e ‘na gran speranza
e mentre pensusa alla casa si ne jia
movìa la capu cumu ‘n vilanza.
Pensava a domani ppe’ tornare fore,
ppe’ aspettare ‘u figliu avanti ‘a via,
ppe’ arrequiare13 lu sue chjagatu14 core
chi ‘ntra lu piettu forte le vattìa.
Pue ‘nu jurnu alla cara ziarella,
‘u vientu ci l’ha portata ‘a risposta;
ma lejiennu chilla sospirata litterella
care lla ‘nterra: l’ha chjagata ‘a sorta.
Nun l’haiu vista cchiù e chillu jurnu,
‘e r’a casa ha sbarratu la sua porta:
s’è alluntanata alla ‘mbivienza re lu munnu
e fore è esciuta sulu roppu morta.
13
14
Acquietare
Afflitto
129
PENSIERI
Quannu guagliune li suonni a migliara
a r’uocchi aperti lu jurnu facìa,
cumpagna firiele m’era ‘a jimara
e lu murmuru ‘e l’acqua mentre scinnìa.
Sentìa le frunne movute ‘e ru vientu,
‘n’anticu motivu frusciannu sonare,
u’ core trovava ‘na pace, ‘n’abbientu,
‘na voglia vera pussente r’amare.
Lu cielu serenu prejatu1 ‘ncantava
sutta li raggi ‘e ru sule cocente,
speranza, curaggiu jocannu trovava
e campare cuntenta virìa la gente.
‘A sira ‘mbrunannu ‘u paise virìa
ricuotu ‘ntr’a pace ‘e ru focularu,
duve ‘a famiglia jungiuta2 sentìa
sincera ‘na vuce ‘e ‘n’affettu caru.
Tuttu parìa cchiù veru, cchiù sanu,
‘ntr’e piccule cose pezzente trovava
‘nu siensu veru, stisa ‘na manu,
chi senza paura ‘u futuru ‘mparava.
Puru si fatta re nente ‘a jurnata,
re ‘nu granne amure chjna parìa,
‘nu pizz’a risu, cosa fatata,
dintra lu core gran luce facìa.
1
2
Contento
Unita
130
Puru si la pezzentìa tannu regnava
dintra le case, ‘n mienzu la via,
lu filu ‘e speranza nun se stutava1
e dintra li stienti avanti se jia.
Mo’ lu progressu tuttu ha cangiatu
e ccu’ l’abbunnanza chiusi ne simu
dintra ‘nu munnu chi pare gelatu,
arridduciennu cchiù poveri ‘e primu.
Nun c’è cchiù pace, malatu è l’amure,
ververi2 e guai ronzianu ‘n mente,
nun trove l’uomine cchiù lu calure,
se sente sulu ‘n mienzu la gente.
E mentre lu sule a punente se spune3,
inchjennu ‘ssa valle tutta re scuru,
‘n’atra jurnata pezzente se frune
senza murrare ‘nu signu ‘e futuru.
Passe la notte e vene lu matinu,
tornanu ‘nvulu l’aggielli a jocare
e l’uomine torna se minte ‘ncaminu
ppe’ ‘nu spiragliu ‘e speranza trovare.
Pensusu passe vicinu a ‘nu muru,
vire a ‘na ‘ngaglia4 ‘na rosa jurita
e mentre spanne ‘ntuornu ‘n’adduru
a tutti rice: bella è la vita.
1
Spegneva
Pensieri
3
Tramonta
4
Fessura
2
131
MUNNU ‘MBROGLIATU
‘N facce a ‘ssu figliu oje ch’è natu,
dintra ‘ssa casa jurillu biellu,
tuni cchi dici munnu ‘mbrogliatu,
cchi ce pruminti a ‘ssu quatrariellu?
Moni chi ‘nzigne1 ‘ssu vulu ‘e aggielli
dintra ‘ssa terra chjna ‘e paure,
mentre te stenne li vrazzicielli
ppe’ te cercare lu risu e l’amure;
quale accoglienze ci ha preparatu?
Quali prugietti ppe’ lu futuru?
E’ piccirillu, è senza peccatu,
brame de luce, vene d’u scuru.
Ci l’ha cacciate ‘e spine ppe’ via
mo’ chi cumince a caminare?
Tenalu buonu ch’è figliu a ttia
e quannu è ranne te po’ onurare.
Nun fare ‘u cruru, runecce ‘a manu,
‘sse sc-cuppettate falle ammutare,
illu nun sa nente re ‘ssu frastuonu
e mentre joche se po’ spagnare2.
Chjche3 ‘ssa capu, cange ‘ss’agire,
fatte ‘nu patre largu re core
e a ‘ssu criaturu fallu ‘ntrarire
ca re ‘ssu munnu nun èni fore.
1
Inizia
Spaventare
3
Piega
2
132
Ma tu nun rispunni, guardi ammutatu,
ccu’ lu tue core siccatu ‘n ‘mpiettu,
nente a ‘ssu figliu ci ha’ preparatu,
lu fai ‘mbuttare1 re ogne vientu.
E mentre annuvule e scure lu jurnu
e dintra lu gelu ‘u viri culinuru2
nun tinne role, nun sienti scuornu;
cruru re core, tu lu lassi sulu!
1
2
Spingere
Nudo
133
AMURE
L’haiu vista a ‘nu ballu ‘na sira
conzata1 ccu’ gustu a pinniellu
e ancora ‘e tannu2 ‘a capu me gira
chi me fani sbariare3 ‘u cerviellu.
Girava ririennu ‘ntr’a sala,
e ‘ntuornu spannìa ‘n’adduru,
‘nu tangu ‘nu discu sonava
e io addurava ‘ssu juru.
‘U core ‘ntr’u piettu sbattìa
e l’uocchi supra illa ‘ncollati;
‘ntuornu cchiù nente virìa
ma sulu ruvi fari appicciati.
Se scontanu4 l’uocchi a ‘na vota
e ‘nu sgrizzu attraverse la vita,
spanticusa5 parrava ‘na nota
chi accarezzava ‘ssa calamita.
Duce l’haiu fattu ‘nu risu
e illa rispunne a ‘ssu ‘mbitu,
‘e fuocu se fani lu visu
1
Adorna
Allora
3
Impazzire
4
Incontrano
5
Fantastica
2
134
ppe’ allurrare1 ‘ss’amure juritu.
Tantu tiempu è passatu re tannu
e chillu fuocu è sempre appicciatu,
e ogne tantu ‘u core addimmannu
ppe’ capire ‘ssu fattu fatatu.
E illu rispunne cuntientu
ccu’ ‘nu sulu filillu re jatu:
‘ss’amure l’ha portatu lu vientu
ed era forte già quannu è natu.
1
Illuminare
135
PASSIONE
Finerra chi te suonnu tutt’e notte
e spanni re le graste1 mille adduri’,
lu mie core vattere fa’ forte
ca l’ha ‘mparatu ‘a via re l’amuri.
Apere le tue ‘mposte tutte quante
e fa’ affacciare la palumba mia,
ppe’ fa’ cuntientu lu mio core amante
sutta lu simpuortu re ‘ssa via.
Ruce è l’aria re chissa sirata,
u’ cielu re le stelle è ricamatu,
tuttu è a cunciertu ppe’ ‘ssa serenata
ch’io te vuogliu fare a perdaiatu2.
Cumu c’è biellu, gioia, re ‘sse parte
pecchì ce stai tu bellizza mia,
tuttu pare fattu ccu’ gran arte
‘ntuornu alla casa tua chi lurrìa3.
Si mentre cantu fazzu ‘ncunu sbagliu
perduname ca nun lu fazzu apposta,
ca ‘ncuollu io tiegnu ‘nu sberagliu4
ch’è tantu forte chi nun se cumporta.
L’occhiuzzi tue u’ piettu m’hau grupatu5
e si’ trasuta ‘ntra la vita mia,
te priegu a ‘ssu scalune ‘nginocchiatu
curame gioia tu ‘ssa malatia.
1
Vasi di fiori
Senza risparmio di fiato
3
Splende
4
Smania
5
Bucato
2
136
Patruna si’ diventata re ‘ssu core
chi senza abbientu6 fa lu prepotente,
m’ha misu ‘ncuollu forte ‘nu calore
ca tu cchiù ‘e ru sule si’ cocente.
Amure io te priegu nun tardare,
runame tu ‘nu signu tenneriellu,
‘nu biellu pizz’a risu chi sa’ fare
me vaste ppe’ acquetare lu cerviellu.
Grazie e buonanotte, mia regina,
ca lu mio core tuttu ha’ saziatu,
vigliante riestu ‘nfinu alla matina
ppe’ me gorere ‘ssu sini suspiratu.
Cumu li cchiù ranni ‘nnamurati,
cocente amure sarà ppe’ tutt’a vita,
re forte passione stamu ligati:
io signu u’ fierru e tu la calamita.
6
Riposo
137
CAPRICCIUSELLA
Stasira ‘ncielu c’è la luna chjna1
ppe’ allurrare chissa ruga antica,
l’ura è tarda e nullu cchiù camina,
sente ‘ssa serenata vecchia amica.
Tu chi canusci bona ‘a vuce mia
e lu tiempu r’amure ‘nzuccaratu,
te ricu ca m’è passata ‘a malatia
e de catine me signu liberatu.
Tu te crirìa ca me ‘ntossicava,
ca me chiurìa dintra ‘nu cummientu,
ma nun sapìa quantu te sbagliava,
ca io ‘nnamurate oje n’haiu cientu.
Me sientu ‘n’aggelluzzu vulantinu
chi pizzulìe2 a tutt’i siminati,
ricievu ‘mbiti e fazzu ‘u libertinu
e li gusti mie su’ tutti saziati.
Fazzu la vita re lu spenseratu,
‘a notte ‘a cangiu spessu ccu’ lu jurnu,
‘e quannu me signu re tie liberatu
cuntientu vaju girannu ppe’ lu munnu.
Chiusa riesti tu dintra la casa
a chjangere ‘a bella vita ch’è passata,
nullu t’addure cchiù dintra ‘ssa rasa,
‘a vuce re lu core s’è stutata.
1
2
Piena
Becca
138
Statti ppe’ tie mo’, core sulagnu1,
l’amure sinn’è jutu a ‘sse spassare,
lu gaudiu2 tiegnu moni ppe’ cumpagnu
e tiempu ‘u’ r’haiu cchiù ppe’ riposare.
Ricriate3 allu tilaru bella mia,
fa jire a derra e a manca la navetta,
mentr’io cuntientu vaju ppe’ la via
duve lu nuovu amure chi m’aspetta.
Te ‘nfurmu ca è finita ‘a serenata
e la vuce ppe’ dispiettu haiu sprecatu;
ma nun fa nente, ch’è l’ultima cantata
fatta ppe’ ‘n’amure tramuntatu.
1
Solitario
Giubilo
3
Divertiti
2
139
TEATRO*
Tutti noi, con ruoli diversi,
facciamo parte della grande compagnia teatrale che,
nell’arco della vita
calca il palcoscenico del mondo.
Tra applausi, risa, sospiri e pianti,
senza soste nel tempo,
si alza e si chiude il sipario
per rappresentare le commedie e le tragedie umane,
sotto la direzione di
un ignoto regista.
140
* Tutti i testi teatrali proposti in questa edizione sono inediti, ad
eccezione della prima commedia, ‘A vijielia ‘e Natale, che è già stata
pubblicata nel 1996 dal Centro Arte Ricerche Meridionali (CARM).
141
‘A VIJIELIA ‘E NATALE
Commedia in due atti
V Premio al “Concorso del Centro Arte Ricerche Meridionali”
(1996)
142
PREMESSA
Innanzitutto, voglio ringraziare tutti coloro che leggeranno, spero con piacere,
questo mio lavoro teatrale al quale sono particolarmente legato, sia perché ha
rappresentato il mio esordio in un nuovo genere letterario - il teatro -, sia per il
tema trattato, a me particolarmente caro e sentito.
Del tutto occasionale è stato il motivo che mi ha spinto alla sua composizione.
Durante una piovigginosa sera d'autunno, nel corso di una delle solite
passeggiate insieme ad alcuni amici, ricevetti l'invito da parte del mio caro
amico Raimondo Martire, neo-presidente del comitato per i festeggiamenti del
Natale 1986, a scrivere una piccola sceneggiatura da portare in scena per la
suggestiva festività.
La cosa mi allettò subito enormemente e accettai con entusiasmo e senza
indugio, benché mancassero solo due mesi al Natale. E tale fu il mio
coinvolgimento e il mio impegno che riuscii a completare il lavoro in appena
una settimana.
Il tema di questa commedia, tanto forte e pregno di significato, ha aperto la
mia mente ai ricordi illuminando un percorso antico vissuto intensamente dove
ho potuto attingere elementi palpitanti di vita, gli usi, i costumi, la tradizione
e le parole da mettere in bocca ai personaggi per far rivivere sulla scena un
mondo che nella sua semplicità, e pur se segnato da sacrifici e stenti,
possedeva una forza immensa di calore umano e un cuore aperto alla
speranza e al perdono.
Pertanto, considero questo mio lavoro teatrale, non solo un atto d’amore e un
omaggio verso il mio paese, ma soprattutto un inno al rito del Sacro evento
che, ogni anno, nella frenesia dell'attesa, perpetua nel mondo e nel cuore degli
uomini forti richiami di valore eterno.
Nella speranza che la vigilia di Natale possa ancora oggi riuscire ad
emozionare e costituire una valida ed insostituibile occasione per
affermare il valore della famiglia e riunirla attorno ad una tavola imbandita,
ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla messa in scena dell'opera e al
suo successo.
ANTONIO MARTIRE
143
PERSONAGGI
TUMASI
GIUVANNI
TIRESINA
PEPPE
ROSICELA
GEGE
MARUZZIELLU
pensionato di anni 81
il figlio di anni 47
la moglie di Giuvanni di anni 45
il fratello di Tiresina di anni 48 (scapolone)
la figlia di Giuvanni di anni 23
il fidanzato di Rosicella di anni 24
il figlio di Giuvanni di anni 16
LA SCENA
Un'ampia cucina con il tradizionale focolare, un fornello, un tavolo al
centro e una credenza.
Alle pareti sono appesi alcuni oggetti antichi e molti arredi natalizi. In
un angolo è situato l'albero di Natale.
All'alzarsi del sipario si odono le note delle cornamuse e,
contemporaneamente entra in scena Tumasi.
Indossa un mantello, la sciarpa e il cappello; stringe tra i denti la sua
inseparabile pipa e, strofinandosi le mani per il freddo, si aggira per la
cucina. Si ferma davanti al focolare, si scuote, (manifestando sintomi di
freddo) e, dopo un po' si porta al centro della stanza.
144
ATTO P R I M O
Tumasi
'U sentiti puru vue ‘ssu friddiciellu chi dintra l'ossa trase cumu
nente? 0 sulu io ca signu vecchiariellu: cchi ne riciti vue bona
gente? Nun rispunniti, 'u sacciu cchi pensati! Nun c'è
bisuognu ‘e ru 'nduvinataru: vue siti giuvini, sanizzi e
spenserati, ma io signu viecchiu e appicciu 'u focularu. E pue
stasira è propriu indicatu, mi lu ricìa primu zu Pasquale:
nun c'è famiglia chi nun ha appicciatu quannu è la vijielia 'e
Natale. Vue accussentiti? Ve pare ca cunchiuru? E pue l'usanza
s'ha de rispettare! Guardatilu cum'è biellu 'ntra lu muru ‘ssu
gran cumpagnu chi se fa amare. Vue ce scherzati quannu è
'ncarcaratu ‘ccu 'ntuornu tutta quanta 'a famigliella? Cchi
calure chi rune l'ammazzatu: lassa chi fore fani 'na nivera.
Sienti li truoni fore? E tu attizzi, Mine lu vientu e fische? E
t'abbicini, ‘nu spicchiu 'e sozizza pue 'mpizzi l'arrusti alla
vrascia e ti lu mini. Ve pare nente a bue chissa cura ordinata re
‘ssu granne dottorone?
Ma c'è 'ncunu spiertu chi rice ch'eni ura re lu mannare priestu
'mpensione. Già, 'a moda cange propriu tuttu, 'e cose antiche le
boni pezziare;
ma re ‘ssa pazza nun ne tiegnu cuntu: 'nfina chi campu vuogliu
'u foculare. Lu viecchiu amicu mie nun lu cangiu, ca
m'arricorde fatti e bielli jurni, ca signu fattu viecchiu, chissu
chjangiu; cchi ce vo' fa, 'a vita è fatt'a turni.
(Va verso la finestra, guarda fuori e poi rientra manifestando
brividi di freddo).
È propriu 'a vijielia 'e Natale, cchi friddu siccu chi dintra l'ossa
trase, 'a meglia cosa ch'è è d'appicciare ‘ssu cavalieri ch'è 'ntra
tutt'e case.
(Si siede accanto al focolare, accende la pipa e, a voce alta,
chiama il nipote che è nella stanza accanto).
Maruzzì’, Maruzziellu (pausa). Fisch'e pica, l'erv'e roglia un
sente.
(Si alza e va verso la porta) Maruzzì’, si' muortu o si'
'nzurdatu?
Maruzziellu (Entra munito di cuffie, dondolandosi a suon di musica) Nulla ‘e
re ruve nannù’, statti squitatu. Tiegnu 'nu suonu 'ntra ‘sse
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Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
ricchicelle, chi tu nun sai quantu me ricrìe.
Avoglia 'e fare 'u cagnu ‘ccu ss'armaciu. Guarde 'na picca cchi te
vannu a fare, cchi 'nvenzione bella, cchi scuperta. (Pausa).
Chine l'adderizze cchiù ‘ssu male andazzu; puru allu cessu 'a
musica è de moda. (Afferra per un braccio il nipote che
continua a dondolarsi) Appunte, me fa' girare 'u munnu;
appunte ‘nu pitazzu. Senteme ppe’ 'na vota, jette ‘ssu 'mpacciu.
Ca 'ncunu jurnu te furmini 'u ciarviellu.
(Si ferma, si toglie le cuffie e sbuffoneggiando porge l'orecchio
al nonno) Sentimu 'a musica tua ch'è cchiù bella. Ca, mo’ ce
vo’, è fatta re taluorni. Vi’, propriu ppe’ te fa' pigliare 'u suonnu.
Benerittu te via! Cchi capu tunna, cchi crozza chjna; tu nun
canusci nente: nun sai Mascagni e Verdi chine sunnu.
‘U sacciu nannù’, 'u sacciu: su' gente chi su' jute all'atru
munnu.
Bravu, 'u sa' ca ci ha 'nduvinatu però nun sai chillu c'hannu
lassatu: opere ranne, cose ‘ccu li siensi, e no ‘ssu tu tu a
tremulizzu chi stone li murtora e chi sutterra.
Va buonu nannù’, lassamu jire: chi t'haiu 'e rire a ttie ca nun sai
cchi r'e lu pop e lu ballu e r'u mattune? Tu nun sai cchi me fannu
venire.
Te fannu venire 'a ciotìa: chissi su' rrusci chi te fannu fare
cazzune.
(Fa con la mano gesti di lasciar perdere) Simu alle solite,
nun ne capiscimu. Votamu sonata ca è miegliu. Antura m'ha
chiamatu, cchi m'avìa ‘e rire?
(Conciliante e amorevolmente accarezza il nipote) Ma tu si
buonu 'e core, io lu sacciu. Tu si' lu neputiellu mie amurusu;
sulu ca ‘ss'errame mode ogne tantu te fannu fare cazzillusu.
Sente giojuzza mia: stasira è la vijielia 'e Natale, 'a festicella
cara 'e r'a famiglia, chilla chi lu munnu fa acquetare. È festa re
l'amure e de la pace, ognunu minte de parte lu rancore e pense a
cose ruce e allu bene.
E ppe’ me rire chissu m'ha chiamatu?
T'avìa chiamatu ppe’ te cummannare, ppe’ m'aiutare a fare ‘nu
servizu; 'na cosicella 'e nente un te spagnare, (Maruzziellu di
nascosto fa gesti di insofferenza) ca pue te fazzu ‘nu bellu
regalicchiu propriu chillu chi te piace a ttie Maruzzì’: i soldini.
(Si scuote all'improvviso e mostra piena disponibilità) Nannù’
146
t'ha pagatu 'a pensione?
Tumasi
E puru 'a tredicesima Maruzzì’!
Maruzziellu (Si sfrega le mani) Ricemme cchi bo' fattu, ca vulu ‘ntra ‘nu
nente.
Tumasi
Bravu a Maruzziellu: cumu si' fattu ruce a ‘na vota. Io lu sacciu
ca tu me vue bene, ca me stai a sentere; specialmente quannu
me pagu, tannu pue lu bene se fa cchiù funnu, cchiù
sbrisceratu.
Maruzziellu Ma cchi dici nannù’! È sempre bene 'u mie, statti squitatu, è
sempre 'u stessu.
Tumasi
E io te criju. Però i sordi vonnu rire puru, ammazzatù’, rice 'a
verità!
Maruzziellu ‘Nu pocu è veru nannù’, tieni ragiune; ‘ccu li rinari 'u core se fa
cchiù ranne, cchiù spaziusu.
Tumasi
Lassamu jire 'u bene e li rinari, chi caminanu sempre
'ncumpagnia; pensamu a ‘na cosicella 'e nente, chi stasira ppe’
mie è ranne assai. (Pausa) 'U fuocu Maruzzì’, propriu 'u fuocu.
Maruzziellu E cchi bue re mie, cchi c'intre mo' lu fuocu.
Tumasi
C'intre c'intre. Stasira è vijielia, 'u focularu ha de vampiare. E
pue porte buonu signu, allegria e calure. Va, vate alla
vota e piglie 'u cippu cchiù ranne, ca io 'ntramente preparu ‘a
reglia 'e lume.
Maruzziellu Sacciu si c’ha fazzu? Forse ce vo' 'n’ajutu. ‘Ccu tuttu chissu,
vaiu fazzu 'a prova. (Si avvia verso la porta ed esce di scena).
Tumasi
Aiutu, cerche aiutu; allu mangiare nun ne va cercannu, ca
benerica nun ce lasse nente, pare 'na favuce, mete a tutte l'ure. È
'mpattatu mangiuniscu 'u guaglione, re forchetta lavore
propriu finu. Ca tu,'a giuventù 'a tene, 'a spenseratizza puru
e chisse su' due cose chi aperanu 'u petitu. (Si ode un rumore
che proviene dalla legnaia, seguito da un grido di dolore di
Maruzziellu) Maronna mia, è sguallaratu. Te paria c'a
cunchiurìa lu scunchiutu. Famme jire a birere. (Esce di scena
con premura).
Maruzziellu (Fuori scena) Ahi, ahi 'u pere, ahi cchi dulure, ‘ssu malerittu
cippu. (Entra in scena, zoppica vistosamente sostenuto dal
nonno. Esprime smorfie di dolore) Si cuntientu mo'? 'U vi’ cchi
m'ha cumbenatu? Me fa' tenere a mente Natale...
Tumasi
Cchi te cumbenatu io? Ti ce curpi sulu, ca si' sgalapatu gioia
mia. E pue, quannu'e cose se fannu cuntravoglia, chissu
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Maruzziellu
Tumasi
Mlaruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Tiresina
Maruzziellu
Tiresina
Maruzziellu
Tiresina
succere; assettete, assettete a ‘ssa secia ca virimu cchi t'ha
fattu.
(Il nonno gli prende il piede) Chianu, chianu, ahi, ahi ca mi
l'haiu ruttu. (Furibondo si rivolge al nonno) Appicce 'u fuocu
mo', volìa puru 'u cippu ranne...
Stenne ‘ssu pere, famme virere. Joculialu ‘nu pocu; minalu
versu liertu e allu penninu.
Mo' ce mintu puru 'a marcindietru...
'U vi' ca 'u r'è nente. Guardalu cumu 'u juochi biellu biellu. Mo'
cchi bolissi, ancora 'a botta è frisca, ‘u’ lu sa' ca role. Mo' ce
ligamu 'na bella fassulla rritta rritta e biri ca te carme. M'avìa
fattu morire ‘e ra paura ‘ccu chille grirate squillenti.
(Tranquillizzato). Ca parica 'u pere è du tue? 'U rulure io l'haiu
sentutu. Supra 'a pelle 'e l'atri, ognunu fa lu curaggiusu.
È juta bona neputì’, è juta bona. ‘Ccu lu galapu chi tieni statti
squitatu ca fatighe pisanti un ti ne uordinu cchiù? Tu si' ‘nu
tipu delicatu, abituatu a fatigare ‘ccu la capu, a frangere buttuni
alli jocarielli: cchi ne po' sapire tu re cippi e ligna.
Votala nannù’, cange parrata. Puru mo' me fa' ‘ssu paragiricu?
È juta ‘e ccussì ca ci avia de jire, e pue 'a vota era scura, signu
attroppicatu e r'haiu sbattutu 'u pere allu cippu.
(Da un cassetto prende una benda) Illu èni cchiù tuostu e tie e
t'ha aromatu! 'U ne parramu cchiù, tieni ragiune. (Inizia a
fasciare).
T'arricummannu, chianu e delicatu.
Chissa vo' rritta, si no un fa effettu.
Allura ‘nu pocu rringi e 'n atru pocu allarghi.
Facimu cumu 'u tilaru e za Rosina. Mo' ne mintimu a jocare
‘ccu lu pere tuttu stasira.
(Entra in scena indossando un grembiule e portando in mano un
cesto pieno di cibi. Vedendo il figlio in quelle condizioni si
allarma) Sciuollu mie! Cchi t'è successu gioia 'e mamma?
Famme virere. Chin'è statu?
'U cippu ma'.
Quale cippu?
Chillu ranne chi volìa nannuzzu.
'U sapìa io, ca 'ncunu ‘un s'avìa fattu i fatti sue. Mme bire,
mme bire, propriu stasira mi l'hannu mercatu.
Cumu t'u sienti gioia?
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Tumasi
Tiresina
Maruzziellu
Tumasi
Tiresina
Maruzziellu
Tumasi
Tiresina
Maruzziellu
Tiresina
Maruzziellu
Tiresina
Maruzziellu
Tiresina
Nun te spanticare para para, carmete; t'avissi de pigliare 'ncuna
cosa... È sanu e sarvu Maruzziellu, 'u vi' duv'è. Tene sulu 'na
botticella alla nucilla. 'A curpa è tutta ‘e ra mia e mi la pigliu.
Virimu si mo' s'ha de fare ‘nu pruciessu!
Ma cchi pruciessi e pruciessi, io signu 'a mamma e buogliu puru
sapìre cumu su' jute 'e cose, chine ha 'nzoppatu a figliuma.
(Rassicurante verso la madre) ‘U r'è nente ma', è sulu 'ndolenzitu.
Nannuzzu curpa ‘u’ ne tene mancu. Mi cce curpu sulu, ppe’ la
maleritta pressa. (Accenna a camminare) Parica va buonu, 'u
rulure è quasi sprejutu.
Eccu ch'è risuscitatu: camine miegliu 'e prima.
Mo' vire c'avìa de rimanire zuoppu! Te ringraziu, Maronna
mia, triste è juta e bona è benuta.
E si no stasira cumu facìa a jescere! Io me signu scoscinatu
a carriare i ligna e lu fuocu 'e Natale s'u gorìanu l'atri? Sempre
bona ha de jire mammarè’, sempre bona.
Cumu ha bolutu Dio, 'a timpesta è pracata. Ma 'u fuocu l'haiu e
appicciare 'u stessu. (Accarezza il nipote) Bravu, te sta' faciennu
uomine veru, si crisciutu 'e ciarviellu. (Pausa). Tiresì’, chiurimu
l'incidente, ca l'avìmu fatta abbastanza longa. T'aspette lu
regnu tue, 'u vi' duv'è. (Gli indica i fornelli) E stasira, runete 'e
fare, mintecce tutt'i siensi t'arricummannu, ca 'e pitanze sunnu
tante. 'Ncumince a fare, ca io mo' viegnu e te rugnu 'na manu.
(Esce di scena).
Si è cumu chilla c'ha ratu a figliuma puozzu sperare ppe’
daveru, mi l'abbientu bona 'a catrea!
Però 'u buonu core 'u tene, 'u pensieru l'ha avùtu.
(Va verso i fornelli). Certu figlicì’. Però ‘ccu ‘sse cose fatiga ‘un
si ne fa, 'a casa ‘un va avanti. Nun se mange Maruzzì’.
Ma, sai cum'è, vo dire puru quannu unu canusce la fatiga 'e l'atri,
quannu sai ca si' apprezzata e avantata.
L'avantu e l'apprezzamientu cuntanu sulu alla fera, 'ntr'a casa su
lavafacce, serr'e giru. Nun servanu a nente. Ma io cce passu 'e
supra, 'ncassu e citu. A via è sulu chissa ppe’ mantenere 'a pace
'ntra la casa.
Tu si chjna 'e filosofia mammarè’, si' sapientusa. Chissu l'haiu
sempre capitu. 'Na parolicchia ‘e re tue ruce ruce fa stutare li
fuochi appiccicati.
Cumu chilli chi appicciati tu e nannuta... Ppe’ chilli nun ci
149
abbastanu mancu i pompieri: su' fuochi speciali i vuorri.
Maruzziellu E 'mbece se stutanu suli: su' de paglia, fannu sulu fumu.
Tiresina
Chi va 'ntra l'uocchi mie ammazzatù!
Tumasi
(Entra col ceppo sulla spalla). Largu, faciti largu, pista... Eccu
cumu se fa. Pagliaru viecchiu arde.
Maruzziellu È arrivatu Moser.
Tiresina
(Intenta ai fornelli, si volta di scatto) Me biralu 'u caputuostu,
me biralu... Attientu, attientu ca mi ci alluordi paru paru.
Quannu se minte 'na cosa alla capu, chine ci la cacce cchiù,
chine lu ferme, l'ha de portare a termine.
Tumasi
(Fa le corna contro il malocchio) Chissu è signu buonu Tiresì’,
vo' dire c'ancora mi la sientu e ‘un staiu speranza a nullu.
Maruzziellu Sente se', cumu sa jettare 'e botte. Te parìa ca si la tenìa.
Subitu s'ha de scarricare 'e chillu chi tene 'ntr'u core.
Tumasi
Mancu ‘ssa vota ci ha 'nduvinatu Maruzzì’; me vuogliu
scarricare sulamente 'e chillu chi tiegnu supr’a spalla ca
benerica pare chiumbu.
Tiresina
(Al figlio). Arrassete, fatte cchiù la, ca l'aiutu a spunere, si no
te fa 'ncun atru ranneggiu.
Tumasi
(Tira un lungo sospiro) E’ cunchiusa l'operazione 'e guerra.
Feriti unu sulu, 'n’atra è scantata, ma muorti cumu ha bolutu
Dio nun ci ne su' stati. Vo' dire ca 'u cummannante è statu
all'altezza.
Tiresina
Sempre 'a stessa capu... Attacciante e scattarusu. Appicce si ‘e
appicciare.
Tumasi
E pue ve coriati tutti, vi ce spaparati ravanti e v'arrustiti.
(Pausa) Duve l'avìti misi i fospari.
Tiresina
Maruzzì’: pigliaccelli ca su' ntr'u tiraturu.
Tumasi
Chissu è ‘nu lavorettu delicatu, lieciu lieciu, senza rischiu e lu
po' fare... Riminiete gioia.
Maruzziellu (Ha rimesso le cuffie e non riesce a sentire; canticchia il
motivo che sta ascoltando) “Non farmi aspettare stasera, il
tempo è prezioso per noi...”
Tumasi
(Lo osserva con stupore). Se se, staiu aspettannu io no tu. Simu
alle solite, è jutu torna 'ncoma. Interrogatu 'u muortu nun
rispunne. (Gridando) Maruzzì’, i fospari.
Tiresina
Cchi su' ‘sse grirate; ca 'nfin'a mo' sentimu tutti 'ntra ‘ssa
casa...
Tumasi
Ma figliuta no, l'ha 'nzurdatu 'u progressu. Girete, guardalu e ti
150
n'adduni. I grupi le tene tutti fucati...
(Dopo avere osservato il figlio, unisce le mani in segno di
preghiera e va verso di lui) Maronna mia, mo' vire tu s'è
cosa... Nun si lu cacce mai tutt'u jurnu... C'è 'ncazzunitu
paru paru ‘ccu ‘ssu cancaru 'e tranganiellu. (Lo tocca ad un
braccio).
Maruzziellu (Si desta di schianto) Cchi c'è, cch'è successu!
Tumasi
Denneliberi cum'è sensibile!
Tiresina
Risbigliete 'e ‘ssu suonnu scunchiurente, 'u munnu è fattu 'e
tante atre cose, no sulamente 'e ‘sse fricularie 'mpacchiate alle
ricchie. (Pausa). Pigliecce i fospari a nannuta 'ntr'u tiraturu.
(Ritorna ai fornelli).
Maruzziellu (Esegue il comando) Nun se po' stare ‘nu minutu 'mpace, nun te
fannu pigliare gustu a nente ssi 'nzenaturi 'e mistieri. (Porta i
fiammiferi al nonno) Virimu si te potimu accuntentare 'na
picca...
Tumasi
Finarmente simu pronti, mo' nun ce manche propriu nente. Però
quantu parole e fatiga ci ha bolutu! Ppu ppu ppu...
Maruzziellu Ricriete mo' ‘ccu ‘ssu mobile, ca io mi ne vaiu a stare 'mpace
all'atra stanza. Ma', quannu è prontu me chiami. (Esce di scena).
Tiresina
Finalmente su' arrequiati... 'U fochiste e lu musicante hannu
trovatu riciettu. A mie 'mbece me tocche de cumbattere. Io nun
finisciu mai, tutt'i jurni guali e mai 'n ajutu ‘e nullu. E chine
t'apprezze, chine canusce ‘ssa fatighella, ‘ssu sturdimientu
'e capu 'ntra ssi quattru mura! Tutt'i pensieri 'e ra casa
'ncuollu a mie e, ppe’ paga, sulu arraciamientu. 'U vintisette
l'aspette chine un fa nente, chine lindrunìe tutt'u jurnu 'ntra
ss'uffici vicinu a 'na stufa. Cchi ba fa; cumbatte Tiresì’, chissa è
la vita, chissa è l'ugna si ce vo' ferrare.
Tumasi
E io 'mbece me ricriu no? ‘Ccu chillu 'nzenarugne 'e fratetta chi
'u mi ne fa passare una, chi passa lu tiempu a me sfriculiare.
Tiresina
Ca tuni vo' tiratu 'u vrazzu, parica ‘un rispunni sempre ppe’ le
rime? 0 te mancanu 'e parole ppe’ lu gnurare? Stamune citu...
Stamune citu ch'è miegliu.
Peppe
(Entra in scena, allegro e spavaldo. Ha in mano un giornale
e guarda intorno curiosando) Bonasira, bonasira a tutti, a
Tiresinella mia e a zu’ Tumasi.
Tumasi
È finita 'a pace: ricica c’appunte fore...
Peppe
Chi armunìa, c'adduru 'e cose bone chi se spanne!
Tiresina
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Tiresina
Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
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Peppe
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Tumasi
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Tumasi
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Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
Tiresina
Cumu parìti bielli appricati a ‘sse fatighelle toghe e antiche.
Cumu fazzu a ‘un be volìre bene!
Citu prericatù’. 'U fa' ca te cumbene, chissu è lu mistieri tue;
avanti e allisci a tutti ppe’ campare.
E ppe’ ne stonare tutt'i jurni!
(Insensibile alle parole udite, si toglie sciarpa e cappotto e,
strofinandosi le mani, si avvicina al focolare) Si' ‘nu tisoru zu’
Tumà, tu manni calure 'e tutt'i pizzi. Cumi l'ha appicciatu
biellu 'u focularicchiu, parica te manche l'arte?
Propriu ppe’ ttie, ppe’ t'asciuttare i sururi 'e r'a fatiga.
Tu nun sai cchi ci ha bolutu ppe’ l'appicciare!
I fospari, 'u lume e li ligna, cchi ci ha bolutu cchiù? 0 è
cangiata 'a tecchinica.
Bravu allu scienziatu: cum'ha fattu a ce 'nduvinare?
Intuitu zu’ Tumà, granne esperienza.
Eh, s'avìa ‘sse ruve cose, ‘un stava 'ntra ‘ssa casa.
Avìti 'nzignatu torna a be scagliuniare? 'U r'avìti nente a cchi
pensare? Cercati a b'arrustere e finiscitila ‘ccu ‘ssu
stonamientu, c'a mie 'a capu me va cumu ‘nu varrìele
mienzu...
Chine ha 'nzignatu Tiresì? Tu l'ha vistu, io mi ne stava a
‘ssa rasella quietu quietu, cchi bue re mie.
Vuogliu ‘nu pocu 'e abbientu, ‘nu pocu 'e pace...
E a mie lu rici? Ricialu a ‘ssu 'nzenature chi parre a suonu 'e
acqua.
'U ricu a chine tene ricchie ppe’ sentere e capu ppe’ capire.
(Indicando Peppe) Ricchie ci ne sunnu, ma 'e capu duve le
truovi!
'U vi' ca un capisciti nente, ca siti propriu 'e natura
lotanusi e un sapìti pigliare mai 'a chiacchiera. Io te volìa
dare propriu chillu chi cercava tu Tiresì’: 'a pace e l'abbientu.
E cumu, ‘ccu le fantasticherie e ‘ccu le barzellette? Va’
biellu, va’.
Vue nun lu sapìti, ma servanu puru chisse allu munnu,
distraianu ‘u pensieru, aiutanu a campare, allucianu la casa
e nun fannu pisare la fatiga.
(Conciliante) Te via benerittu Peppì’. Cchi trovate belle,
originali chi tieni, quantu si' curiusu! Però ‘ccu ‘sse cose
tue 'a catreia mia è fraganiata 'u stessu, 'a capu me zonzìe
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Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Peppe
Tumasi
Peppe
Tumasi
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Peppe
Tumasi
Peppe
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Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Peppe
sempre guala, cumu va Peppì’?
E a mie m'hannu fattu 'mbecchiare primu e r'u tiempu!
'U vi' cumu vi ne venìti suli suli; chissu vene a dire ca nun me siti
stati mai a sentere, ca 'e re parole mie n'avìti fattu pocu cuntu.
(Pausa). E mo' ve tenìti i guai, cchi ce puozzu fare.
Tiresì’: cchi ciuoti chi simu stati, cchi pastinache! Avìamu
‘ssu miericu 'ntr'a casa e un ni ne simu mai addunati. Chi
peccatu! A chist'ura, tu avìa 'a catreia sana e io ‘un n'era
'mbecchiatu!
Pacienza, ni ne servimu e oje avanti. Vo' dire ca ne sbullamu 'e
ricchie e ne curamu ‘ccu le parole miraculuse 'e Peppe.
(Mostra soddisfazione) Ccussì avìti 'e fare e 'ntra mancu ‘nu
mise...
Jamu allu manicomiu!
E 'ntra mancu ‘nu mise, puru primu forse, vi lu giuru, sani e
frischi cumu ‘nu pisciu diventati e zumpati 'a casa casa 'e
cuntentizza.
Supra 'u tavulinu, supr'u liettu, ‘e ra finerra; ne mancanu sulu
'e scille ppe’ bulare!
Cumu sta bulannu 'u tiempu stasira a chiacchiarelle. Famme
arrimiscare 'na picca a ‘ssa cucina, ca si no va a finire ca
mangiamu a menzonotte.
Brava, brava a Tiresina, ha avùtu 'n'idea ranne, chjna 'e
significatu: apprichete cumu sa' fare tu, ‘ccu galapu e marrìa, e
si te serve aiutu, runamme 'na vuce: signu tuttu ppe’ tie.
(Rivolto al pubblico) L'adduru ‘e r'u mangiare ha fattu effettu,
ci ha 'nchiaratu 'u ciarviellu. Chissu è lu sport sue preferitu: 'a
trippa.
(Si mette a leggere il giornale) Paratuffiti, tiritanghiti,
cozzitrumbuli cumu sempre.
(Osserva Peppe) Viatu a r'illu, è misu torna 'njuocu.
Cchi te chiavatu? Sta sbariannu? T'è benuta 'a cecalìa alla
capu? Cchi su' ssi scami?
Su' signali 'e tropìa, ritornelli antichi (indica il giornale).
Sbarìanu illi zu’ Tumà, no io. È carutu 'u governu. L'hannu
'ncavunatu Tiresì’. Me cumu c'è scrittu bellu chiaru.
'E duve è carutu, cchi s'ha fattu?
A nuce ‘e r'u cuollu si l'ha rutta?
Nun ve sacciu rire, cca parre sulu 'e 'mprovisa caruta ppe’
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Tiresina
Peppe
Tumasi
Tiresina
Tumasi
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Tumasi
Peppe
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Tumasi
Tiresina
Peppe
Tumasi
Tiresina
Tumasi
Peppe
siluri minati re franchi tiratori. 'E ruttura 'e ossa nun dice
nente, forse ancora l'hannu 'e visitare...
E chine sunnu ssi franchi tiratori, 'u portu d'arma ‘u
tenanu? E pue, Peppì’, ‘u’ r'e chiusa ‘e ‘ssi tiempi 'a caccia?
Ppe’ chissi è sempre aperta.
Ppe’ senatori e deputati nun c'è chiusura. Chissi su'
spenserati, abbacatizzi e jocanu ‘ntr'u scuru; paranu
trappule e sparanu siluri.
E chine ci l'ha mannati a chissi lluocu, a ssi malanova chi
armanu tranielli?
'U populu Tiresì’, 'a gente, io, tu, (indica Peppe) ‘ssa capu 'e
glianna, tutti nue, ppe’ esere difesi e 'mbece jocanu; assettati
bielli 'mpari, se caccianu i chiurìti e li cuntra, 'mbece 'e
pensare a mintere fatiga. Ne fricanu 'u voticiellu e addio
populicchiu.
E mo' cchi se fa, rimane 'nterra? Chine 'u aze?
Nun c'è paura, Tiresì’, se aze sulu, ca c'è 'mparatu a ssi
cozzitrumbuli. Chianu chianu se scotulìe le botte, se licche
le contre e 'nzigne a caminare.
Sempre si un ce su' rutture e ossa, zu’ Tumà’, ca si no ce vo’
tutt'u populu ppe’ l'azare.
U sa' ch'è ‘nu jocariellu curiusu? E lu populu, 'u populu cchi
fa, sta quietu? Guarde e citu?
'U populu vote, vote sempre, Tiresì’, fa cruce ‘ntesta, rune
preferenze, se litiche, grire e se 'ncatture sulu. Nun sa
cangiare, se fa 'ngannare sempre, nun sa scegliere l'uomini
veri e conchiusi, i cristiani onesti.
E bravi a illi, n'hau preparatu 'u cumprimentu propriu ppe’
Natale: 'mbece ‘e ru panettone e d'u spumante ne regalanu
'a crisi! Se se, jamu propriu buoni.
L'hannu trovata ‘ssa minna chjna, Tiresì’, vue ca nun
sucanu? Tire c'arrenne.
Lassamu stare, nun ne parramu cchiù, re ssi campiuni senza
valure, pensamu a nue, a ‘ssa sirata bella. A propositu, a cchi
puntu simu, Tiresì’, cumu procere la cucina.
A fuocu lientu.
T'avissi scordatu 'ncuna cosa? Pense buonu, ca 'e pitanze
hannu ‘e resere nove stasira.
Bella tradizione chissa, è ‘n’usanza chi s'ha de rispettare.
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Tiresina
Peppe
Tiresina
Peppe
Tumasi
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Peppe
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Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Stative squitati, ce su' tutte, ce su' tutte. Manche sulu a parte
ruce: 'u panettone. Ma 'n'atra picca se ricoglie Giuvanni e lu
porte.
Ne si' propriu sicura o s'avissi de scordare?
Sente a r'illu cumu è fattu penserusu; nun te preoccupare,
Giuvanni tene la capu supr'e spalle, è precisu, 'u canusciu
buonu.
E de cchi marca è lu panettone?
Chilla chi te piace a ttie: marca a bigna.
Fa' puru 'u scardusu? Pecchi si 'u r'e 'na marca bona 'u ne
vue?
No, propriu, ma si è Alemagna 'u gustu 'e cchiù, ce su' cchiù
passule 'e intra.
L'atri l'ammarianu, le rascanu 'u cannaruozzu. Vo' l'Alemagna
'u sa' pecchì?
Sentimu pecchi!
Pecchì fa rima ‘ccu cuccagna e magna magna; e quannu
sente ‘ssu nume 'u palatu le zillichìe e lu stomacu se
prepare.
E a ttie forse te 'mpinge e t'affuche? 0 te fa alligare i
rienti?
Macari avissi li rienti, e mo chi l'haiu piersi!
Ppe’ chissu parri sempre fore i rienti!
E tu parri senza capu, pecchì 'u n'ha mai avutu.
Pecchì, ppe’ rispunnere alle parole tue ce vo puru capu?
(Arrabiatissimo, accenna a scagliarsi contro Peppe, ma riesce
a trattenersi) Ih malanova tua, cchi serpa velenusa! Teneme,
Segnure, si no ‘un se sa cumu va a finire.
E mo' basta, ‘ccu ‘ssu scagliunamientu, finiscitila. E
cannaruozzu, e rienti; 'a trippa l'avìmu tutti. (Si odono dei
passi). Ci ci, ammutati, ca sta' arrivannu 'ncunu.
(Entra in scena. Ha in mano un panettone e un pacco di
noccioline) Me signu scacchiatu a malappena, Tiresì’. Su'
ricuoti tanti amici ppe’ le feste e, sai cum'è, tra saluti e rrinte 'e
manu 'u tiempu è bulatu. E lluocu cchi se fa, i preparativi cumu
proceranu?
Procere tuttu buonu, Giuvà’. È quasi prontu ppe’ mangiare.
Allura fore se sente ch'è Natale?
155
(Intanto Peppe osserva il panettone che ha portato Giuvanni
e fa una strizzatina d'occhio)
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tumasi
Giuvanni
Ti lu po' immagginare, Tiresì’, c'è aria propriu'e festa, 'a gente
parica è diventata cchiù bona, 'e case su' tutte illuminate e mille
adduri se spannanu ppe’ le vie. Pue 'st'annu è particolare, c'è
puru Riamunnu ‘ccu la mugliere: su’ benuti apposta ‘e
l'America ppe’ passare Natale 'nziemi alli peracisi e t'ha
organizzatu‘nu comitatu ppe’ li festeggiamenti, ppe’ dare
cchiù siensu e significatu a ‘ssa festa.
E bravu 'a Riamunnu, se vire ca tene lu core ranne, ca tene
tantu amure ppe’ lu paise.
Pue hannu preparatu puru 'na catascia ‘e ligna ranne, cchiù de
latr'anni, ppe’ fare 'u fuocu 'e Natale 'n mienzu 'e Pezze, e dicica
l'appiccianu vers'e nove. 'Nzomma se sente propriu ch'è ‘nu
jurnu diversu e 'mportante.
Puru io me sientu diversa: sacciu, cchi te puozzu rire; 'na cosa
'ntr'a vita, chi me fa sentare cchiù sicura, cchiù disposta a tuttu,
‘ccu 'na firucia ranne versu 'e cose 'e r'u munnu.
Ccussì cumu te sienti tu stasira avissi de resere tuttu l'annu,
sempre; ma 'mbece nun'è cussì; passata 'a festa, ognunu fa
cumu sempre, cumince torna a s'arraciare, a odiare, a r'armare
'ntrillazzi.
Purtroppu simu fatti ‘e ccussì: l'uomine nun cange mai, l'amure e
l'odiu rormanu 'ntr'u core sue e, a secondu 'a circostanza, se
risbiglianu 'na vota unu e 'na vota l'atru. Pruvirecce tu,
Segnure, a ne cacciare l'odiu!
Brava a Tiresina mia, ha fattu 'n'analisi propriu funna 'e filosofia;
nun mi l'aspettava propriu re tie ‘ssa parrata sapiente; tu chi si'
senza scola e chi sta sempre chiusa a cumbattere 'ntra ‘ssa casa.
Ppe’ capire ssi fatti, nun ce vo' né scola né atru, ce vo' sulu
esperienza e ciarviellu, e criju ‘e re pussedere tutt'e ruve ‘sse
cose.
(Rivolto a Tumasi e a Peppe) E bue cchi ne ricìti, ‘sse cose ‘un
be 'nteressanu?
Ricu sulu ca si benutu a ‘nu muorsu e 'u’ n'ha mancu guardatu;
'ntr'u ragionamentu nun ni ci ha fattu trasere, cchi bue ca te
ricu!
'Ntra ‘ssa casa, 'nfin'a prova cuntraria, nun ce vo' lu permessu
156
Peppe
Giuvanni
Tumasi
Peppe
Tiresina
Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
ppe’ parrare, ognunu po' dire chillu chi vo'; perciò, chilli chi su'
presenti ponnu parrare tutti; 'a curpa 'u r'è da mia si tu si statu
citu e Peppe ammutatu. Cca c'è libertà ppe’ tutti, chissa è 'na
casa democratica, aperta a tutt'e corrente.
Ppe’ chissu i raffreddori e le bronchite su' a portata 'e manu!
Cumu sempre spiritusu. Tu campi cent'anni, tieni 'a vena 'e r'u
comicu e minti 'u sale a tutt'e minerre. Bravu, me piaci raveru: 'a
malinconia 'nsiemi a ttie nun se sente propriu.
Ppe’ r'illu cumu va ba, un c'è paura ca se piglie de coriatura; 'u
tene scrittu supra 'u testamientu chi ci l'ha lassatu 'a furtuna
cecata.
E chine a canusce a ‘ssa signora, zu’ Tumà; quannu signu natu
io ‘un c'era mancu luce, signu natu àllu scuru, c'eranu sulu
truoni e malutiempu: riciaccellu tu, Tiresì’.
E sini, nun dicìmu ciotìe! Furtuna Peppe... ca s'era de ccussì a
chist'ura 'u r'era 'ntra ‘ssa casa, c'avìa trovatu fatiga e r'era
spusatu!
Allura ce vo' male, Tiresì’? Illu sta buonu ‘e ccussì, liberu 'e
tuttu, cumu 'n’aggelluzzu chi vul'e cante.
E cchi pizzulìe 'ntr'u piattu tue ppe’ lu sbacantare, ca sulu nun
ci la fai!
Eviva 'a sincerità! Chissu tieni 'e buonu, ca te sa' cunfessare
senza paura.
E senza prievite puru.
'U cinamu continue: can'e gatta 'ntr'a stessa vota, viriti si
ponnu jire r'accuordu?
Però nun se fannu male, se bottìanu 'e luntanu, ca male core ‘u’ ne
tenanu nullu ‘e ri ruvi. (Si avvicina ai fornelli, controlla la
situazione e guarda l'orologio) ‘Na meraviglia, Tiresì’, si' 'na
cuoca 'e prima classe; l'adduri parranu suli, 'a gola cumince a
zillichiare.
(È contenta per il complimento ricevuto dal marito) E mo'
'n'atra picca, quantu arrivanu i figli.
E a duve su' juti?
Maruzziellu è 'ntra l'altra cambara chi cum'u solitu cumbatte
‘ccu la musica; Rosicella è esciuta e se ricoglie ‘ccu lu
fidanzatu ca mange ‘ccu nue, (indica Tumasi e Peppe) illi ruvi
su cca, sempre presenti; ‘e atru parica ‘u’ manche nullu. Io
l'haiu rittu ch'era tuttu prontu ppe’ le ottu e pienzu ca su'
157
Giuvanni
Peppe
Tumasi
Giuvanni
Tumasi
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
puntuali.
Quasi ce simu, Tiresì’: (Rivolto a Tumasi e a Peppe) E bue siti
pronti? Ve manche 'ncuna cosa?
A mie propriu nente: 'u petitu c'èni e chissu baste.
Chissu senza ca 'u rici, 'u sapiamu già, è ‘nu donu 'e natura
benerica. (Peppe fa le corna contro il malocchio). A mie 'mbece
me manche 'na cosa chi nun mi la po' rare né tu, Giuvà’, né nullu.
'Mpossibile papà, rice ca virimu, ca ti la truovu io ‘ssa cosa
difficile.
Eh, figlicì’, e duve la va' pigli: alla fera ‘e r'a Runza? 'A
gioventù me manche, Giuvà’, 'a salute ‘e ri vint'anni; e
stasira servìa ppe’ daveru ‘ccu tutte ‘sse pitanze guliuse.
E noni c'ancora ti la vienti; duve va' pensannu, ce fossimu
tutti cumu tie, arzilli e sani!
(Si odono delle voci e dei passi) 'Ngrazia 'e Dio, Rosicella e
Gegè stannu arrivannu, menumale figli, menumale.
(Va all'incontro) Bonuvenuti, bonuvenuti, aspettavamu sulu
a bue ppe’ cuminciare a mangiare.
(Rosicella e Gegè entrano con in mano dei regali)
Gegè
Giuvanni
Tiresina
Rosicella
Tiresina
Rosicella
Tiresina
Gegè
Tumasi
Gegè
Rosicella
Giuvanni
Bonasira a tutti e scusati 'u ritardu.
Quale ritardu, siti stati puntuali, avìti spaccatu i secondi.
Ti l'avìa dittu ca eranu precisi.
Ma', volissi ajutu? Ricemme c'haiu 'e fare.
'A tavula, Rosicè’, sulu 'a tavula c'è d'apparecchiare.
Fazzu a lampu ma'. 'A tuvaglia nova ricamata a duv'è.
Vire ch'è 'ntra cridenza.
(Da un'occhiata in giro per la stanza) E’ propriu 'n'atra cosa
intra te sienti propriu ristoratu. Avìti fattu 'e cose in grande:
l'arberu, 'a viscogna, 'u fuocu; nun ce manche propriu nente.
(Inorgoglito per aver sentito apprezzare il fuoco) E pue
ricica ‘un serve lu fuocu, ca fa cinnera, ca tinge! Bravu a
Gegè ca sa apprezzare e cose belle!
E’ la verità, nannù’, ‘sse cose c'avìti fattu s'avantanu sule: c'è
lu signu ‘e ra manu 'ngalapata e de l'arte antica.
Sentalu stasira cchi favella chi l'è benuta. 'U sa' ca ‘u’ mi
n'era addunata ancora c'avìa ssi gusti fini.
Ancora ‘un siti fidanzati mancu a ‘nu mise, cchi bolìa
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Tiresina
Tumasi
Gegè
Rosicella
Gegè
Tumasi
Peppe
Tumasi
Peppe
Giuvanni
Gegè
Giuvanni
Gegè
Giuvanni
Gegè
Giuvanni
Tiresina
Rosicella
Giuvanni
Gegè
scoprire, Rosicè’.
E noni, Giuvà’, ca io mi ne signu addunata ‘e ru primu
mumentu ca Gegè era de gusti fini.
Rifetti e pregi ognunu le tene ammucciati; escianu chianu
chianu, a unu a’ vota, ppe’ tutt'a vita; ogne jurnu se scopre
'ncuna cosa.
Rosicè’, allura nue ancora n'amu 'e fare scoperte!
(Accarezz a Gegè) Io 'a cchiù ranne e 'mportante c'avia de
fare l'haiu già fatta e l'atre 'e oje avanti, cumu su' sunnu,
l'acciettu tutte.
E ppe’ mie è lu stessu, lu sientu 'ntra ‘ssu core chi s'è ligatu a
ttie.
L'amure: quantu ne fa l'amure quannu è daveru illu. È ‘nu
miericu chi sane guerre e malatìe, ‘nu fuocu chi 'ntr'u piettu
vampulìe.
Cum'u fuocu 'e zu’ Tumasi.
Sentitilu a pistillu: cumu sempre, 'u r'ha chiavatu mancu a 'na
turra, gioia mia. ‘Ccu ‘ssu sentimentu nun se fissìe. Già, ca tu
cchi ne po' sapìre 'e chisse cose, si lu tue core è siccatu
'mpiettu!
Ppe’ chissu arde de cchiù, zu’ Tumà: ch'è siccatu.
Gegè: te piace ss'accuordu? ‘Ssu battibeccu e ‘ssu bottiamientu
chi se fannu?
Mi l'avìa dittu Rosicella ca eranu spiritusi ma buoni 'e core. Me
piacianu ‘e cussì tutt'i ruvi.
È propriu 'e cussì: ‘ccu illi 'ntra ‘ssa casa, nun manche mai
l'allegrìa: se pizzulianu, se toccanu 'e contre, ma su' sempre
'mpace, pronti a cuminciare 'e nuovu.
Su' marri 'e filosofia, se vire c'hannu capitu 'a vita.
(Ironico) E io ne signu cuntientu, Gegè; chine ‘u tene ‘nu
patre e ‘nu canatu cumu e tiegnu io! Cumu l'accucchi ruvi ‘e
‘ssa manera chi te fannu passare 'a malinconia!
Vo' dire ca siti statu furtunatu!
Chissu cchiù ca rici: furtuna ruppia Gegè.
E chine 'a po' ammucciare ‘ssa ricchizza, è tanta chiara!
Gegè, papà, 'u vinu quale pigliamu, chillu 'e Cirò o chillu 'e
Petrafitta?
Gegè, sceglie tu, vire chillu chi preferisci 'e cchiù.
Viriti vue, io a ‘ssa materia ‘un tantu vaiu buonu, signu
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Giuvanni
Tumasi
Peppe
Rosicela
Giuvanni
Tumasi
Giuvanni
Tumasi
Gegè
'ncompetente.
Allura facimu scegliere 'u cchiù ranne: papà, cchi ne rici tu.
(Facendo segno a Peppe) Si ‘u’ murmurìe ‘ssu biellu
mobile e ssi ‘u’ lle 'mpinge, io ricissi ca ppe’ stasira è
miegliu chillu 'e Petrafitta; 'u canusciu, mo ce vo', re
tant'anni. E’ cchiù sanizzu, cchiù pastusu, cchiù...
Cchiù tuttu insomma: lu rice illu! Va buonu, Giuvà’, ppe’
‘ssa vota ci la fazzu passare, sia ppe’ Petrafitta.
Papà, quantu fiaschi n'amu 'e pigliare.
(Conta i presenti). Cca simu sie, Maruzziellu sette: facimu
‘nu pocu 'u cuntu: (riflette un po') picculi e ranni, cuntamu
menzulitru a testa, (pausa) venanu tri litri e mienzu;
piglienne ruvi fiaschi.
(Indica Peppe e mima col dito pollice il suo modo di bere).
L'ha fatti buoni i cunti, Giuvà’? L'ha tenutu presente a illu?
(Abbozza un sorriso). Allura piglienne tri fiaschi, Rosicè’; è
miegliu ca ce reste e no a mancare.
Ma cchi reste e reste, pue ti n'adduni!
Aspette, Rosicè’, ca viegnu puru io ca te rugnu 'na manu.
(Rosicella e Gegè escono di scena)
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Tiresina
Tumasi
Giuvanni
(Si avvicina alla moglie e l'accarezza sulla spalla). Ma 'a
protagonista principale si' tu, Tiresì’, tu chi ossiervi, sienti e
citu, vicinu a ssi fornelli ppe’ accuntentare a nue, ppe’ fare
ranne ‘ssa sirata!
È lu mistieri mie chissu,'u compitu ‘e r'a mamma 'e casa
e io, Giuvà’, lu fazzu ‘ccu gioia.
E puru ‘ccu spertizza e marrìa.
(Sorride al marito). Però 'ntra tuttu l'annu ‘u’ mi l'ha ritte
mai ‘sse cose, c'è boluta 'a vijielia 'e Natale ppe’
m'apprezzare! Eh, biatu a ttie, cchi sforzu ranne c'ha fattu!
Nun ti l'haiu mai rittu, tieni ragiune; ma 'ntra re mie l'haiu
sempre pensatu.
Vo' dire ca me cuntientu 'e 'na vota all'annu, si no appizzi
troppu jatu. 'Mbece fratemma Peppe, chi povariellu lu faciti
passare ppe’ ‘nu sbandatu, sta tuttu l'annu a m'avantare!
'U sa illu 'u motivu, Tiresì’, parica è fissa?
È partuta 'n'atra botta!
160
Peppe
'U fazzu ca m'è suoru e no ppe’ chillu chi piensi tu; ca la viju
cumbattere tuttu lu jurnu e mi ne rispiace pecchì le vuogliu
bene.
Tumasi
'U sacciu 'u sacciu, ma sempre bene 'nteressatu è.
Giuvanni
Papà, è bene e basta; cumu fai tu a lu misurare, ‘ccu lu metru
o ‘ccu la vilanza?
Tumasi
‘Ccu lu ciarviellu, Giuvà’, ‘ccu li siensi, ‘ccu l'esperienza 'e
tutt'i jurni.
Peppe
E ‘ccu la 'mbirìa chi tieni ppe’ mie.
Giuvanni
Ma nun faciti i quatrarielli, ‘ccu se sentenze facili. (Si porta
la mano al cuore), 'u bene è 'ntra cca, ammucciatu 'ntra lu
core, è lu canusce sulu chine 'u sente. Tu cchi ne rici, Tiresì’?
Tiresina
Ca a pasta è quasi cotta e ssi problemi ‘e risorve illa: chissa
ferme puru 'e guerre!(Tutti sorridono).
Giuvanni
Sulu tu s'ha fucare 'e vucche, Tiresì’, tu sulamente s'ha
stutare i fuochi appiccicati.
Peppe
Se vire ca simu 'e razza sperta e sapientusa!
Tumasi
‘Ccu 'na sula differenza: ca Tiresina i fuochi le stute e tu
l'appicci.
Peppe
Ppe’ fare corìare a ttie, zu’ Tumà, ppe’ te ténere compagnia.
Tumasi
Va' biellu va': ca si' propìu 'mpattatu! Juru 'e linu.
Tiresina
Giuvà’, affaccete 'e ‘ssa porta e chiame i figli ca simu
pronti ppe’ mangiare.
Giuvanni
(Va verso la porta e chiama a voce alta). Rosicè’, Maruzzì’,
jamu gioia, faciti 'na cosa 'e jurnu ca stamu aspettannu a bue.
Rosicella
(Fuori scena). Stamu veniennu papà, arrivamu subitu.
Giuvanni
Tiresì’, Maruzziellu ‘u’ n'ha rispusu, forse ‘u’ r'ha 'ntisu?
Tiresina
E chillu mo’ sente, ‘ccu chilli 'ntippagli alle ricchie 'un sente
mancu 'e cannunate, figurate 'a vuce tua!
Giuvanni
(Riprova a chiamare più forte). Maruzzì’, Maruzziellu... Ma
guarde 'na picca ‘ssu guagliune cumu c'è 'ncazzunitu ‘ccu ‘ssa
musica! Maruzzì’, rispunni?
Maruzziellu (Fuori scena). E cchi su ‘sse grirate, parica signu surdu? Cchi
bue papà.
Giuvanni
Vuogliu ca t'e riminiassi a rispunnere. Manìate, ca stamu
aspettannu sulu a ttie ppe’ jungere 'a famiglia tutta quanta
stasira.
Maruzziellu Fazzu a lampu, arrivu vulannu. (Entra tenendo in mano le
cuffie). Eccume ccà, 'u vi' cumu signu 'e parola papà!
161
Giuvanni
Mo' te ricìmu puru bravu, te ramu 'u premiu ‘e ra svertizza. E
cchi cos'è, puru stasira vo' 'u chiamu figlicì’!
Maruzziellu E si sapissi papà, avìa 'na musicicchia 'ntra ‘sse ricchie propriu
'e chille toghe. (Rivolto al nonno). Nannù’, 'u r'è daveru?
Riciaccellu tu.
Tumasi
Ammazzatù’, torna 'nzigni a me sfriculìare? Ti l'haiu già rittu
ca è sulu rrusciu ‘ssu tu tu tu chi tu chiami musica.
Giuvanni
Haiu capìtu 'a sonata: è chilla solita, l'antica e la moderna,
cumu 'a nora e la socra, 'ntonate a tutte l’ure.
Tiresina
Jamu ja, abbicinative alla tavula.
(Per primo prende posto Peppe, gli altri si attardano un po')
Tumasi
(Rivolto al pubblico). Illu è sempre 'u primu, ricica vo' pregatu
'ncuna vota!
(Entrano Gegè e Rosicella con in mano due fischi di vino,
Peppe lo ammira e si strofina le mani)
Rosicella
Tumasi
Scusame mammarè’ si amu tardatu 'na picca, avìamu 'e finire
‘nu parragiune ‘ccu Gegè.
(Scherzando). Ssi parragiuni 'e canusciu buoni, su' luonghi Rosicè’
'u sacciu, vo' ca mammata ‘un te scuse!
(Tutti trattengono un sorriso imbarazzato)
Giuvanni
Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Papà, evitamu complicazioni stasira. (Indicando Peppe). Illu è
già assettatu, ha già scertu 'u postu; perciò a ttie te tocche de te
mintere ccà. (Indica un posto lontano da Peppe). Rosicella e
Gegè fannu 'e isolante 'e ‘ssu pizzu, io, Tiresina e Maruzziellu
e l'atru e speriamu ca la corrente ‘un passe.
Cumu vo' tu, Giuvà’, tu me canusci buonu, io vuogliu 'a pace
e ppe’ chissa cosa fazzu chillu chi vue. (Indicando Peppe).
Speriamu ca illu 'a capisce e accussente!
Statti squitatu, zu’ Tumà: stasira c'è l'armistiziu, ti l'assicuru,
po' rire chillu chi vue, ca mi ne prieju.
'U volìssi Gesucristu!
E sini, e sini ca Peppe è buonu e si 'ncuna vota ha dittu
'ncuna parolicchia 'e cchiù l'ha fattu ppe’ chiacchiara, ppe’ se
162
Tumasi
Tiresina
Tumasi
sfogare.
E io ppe’ scherzu l'haiu avùtu 'e cuntrastare Tiresì’...
Certu papà tieni ragiune, pue cchi bolìssi, 'ntra ‘nu gallinaru
rrittu, 'u pizzulìamientu c'è sempre 'ntr'e galline.
Esempiu azziccatissimu, propriu lurrusu!
(Tutti prendono posto a tavola tranne Tiresina e Rosicela
che servono le portate)
Tiresina
Gegè
Rosicella
Tiresina
Gegè
Ce sunnu gusti speciali e priferenze ppe’ la pasta?
Rosicè’, cumu già sai, a mie senza formaciu.
Già fattu Gegè.
Mancu 'na picca? Chissu è pecurinu, è d'a Siela!
Grazie ma' 'u ne mangiu 'e nulla razza ca me fa ‘nu pocu 'e
aciru allu stomacu.
Giuvanni Alla mia ce minti 'u solitu piperiellu ardente.
Tiresina
Ce fuossi 'ncun'atra priferenza?
Tumasi
Ppe’ mie regulare, cumu sempre, Tiresì’.
Peppe
Puru ppe’ mie.
Tumasi
B U ...U... 'A prima vota chi ‘un dici 'u contrariu 'e mie!
Maruzziellu A mie portammilla cumu vo' tu, mammarè’.
Tiresina
'U quatru è cumpretatu, nun ne potìmu sbagliare Rosicè!
(Dopo aver servito, prende posto a tavola insieme alla figlia
mentre in sottofondo si odono le note di Bianco Natale o Tu
scendi dalle stelle. Dopo un po’, con le mani giunte, invita alla
preghiera e tutti assumono un atteggiamento di meditazione).
Grazie, Segnure, re ‘ssa sirata bella, re ‘ssu bene 'e Dio chi 'n'ha
ratu supra ‘ssa tavula luminusa. Sempre 'e ccussì, 'e miegliu a
miegliu, Segnure, ppe’ la casa mia e ppe’ tutti; ppe’ lu munnu
sanu chi stasira trova la pace, ‘nu ristoru, ‘nu pocu 'e
abbientu, scurdannuse le lutte e le guerre ruleruse.
(Fa una breve pausa). Bonappetitu a tutti.
163
ATTO SECONDO
(Maruzziellu, Tumasi e Peppe hanno in mano un “frugolo”
acceso e Maruzziellu gira intorno al tavolo, saltellando e
cantando)
Giuvanni
Gegè
Tumasi
Peppe
Tiresina
Rosicella
Evviva... Evviva...
Allegria... Allegria...
Bravu a Maruzziellu, divertete gioia!
Bonu signu, bonu signu.
Attientu all'uocchi figlicì’!
È ‘nu 'mpisune ma', statti squitata. Gire Mariuzziellu.
(Dopo un po Maruzziellu ritorna a sedersi a tavola)
Giuvanni
Cchi bellizza, cchi pace Tiresì’. Nun lu sentiti puru vue
‘ss'adduru anticu, ‘ssa cosa 'ntra lu core chi nun se sa'
spegare: cumu ‘nu suonu chi 'e carne fa' sgrizzare!
Tiresina
Sini Giuvà’, me sientu cum'e ttie, 'n'allegria chi passe tutt'a
vita e chi me fa' pensare allu bene.
Gegè
Certu, chissa è la festa cchiù bella 'e l'annu, 'a cchiù
sentuta, chilla chi fa' jungere 'a famiglia.
Rosicella
E cchi ne fa' stare 'nziemi a tutt'i ruvi.
Peppe
(Riempie i bicchieri). Brindamu a ‘ssa gioia, a ‘ssa sirata 'e
pace, a tutti nue, ppe’ ‘nu futuru sempre cumu oje.
Tumasi
E senza odiu e fissiamientu.
Maruzziellu E a chine ha fattu ‘ssu vinu 'ntr'u parmientu...
(Tutti alzano i bicchieri)
Giuvanni
Maruzziellu
Tumasi
Peppe
Giuvanni
Tiresina
Giuvanni
Papà, cchi mericina, cchi purvera ‘ssu vinu!
Propriu cumu chilla ‘e ri fruguli!
È propriu pastusu, se fa' apprezzare: cchi t'avìa dittu io.
‘Ccu chissu 'un se po' tantu fissiare, si no la capu ni la conze
bona!
Ma quannu è buonu, male 'u ne fa' mai.
Però è sempre buonu a ‘u’ r'esagerare.
Gegè, e dai, stasira fa' 'n'eccezione, vive ca 'un te fa 'nente.
164
Gegè
L'haiu già rittu, ‘ccu chissu vaiu malucciu, nun tantu ce fazzu
pace. Sulu ogne tantu ‘nu beccheriellu 'ncumpagnia.
Rosicella
Però miscatu ‘ccu gassosa.
Tumasi
'A giuventù 'e oje su' cchiù delicati Giuvà’; ‘ssu viecchiu amicu
nun l'hannu canusciutu buonu, preferiscianu l'acqua tinta:
cocacola, arangiate e cianfrusaglie varie: è propriu ‘nu peccatu!
Tiresina
'U munnu è jutu avanti, parica è cumu 'na vota chi 'e cantine
eranu sempre chjne e le pirucche parravanu ‘ccu l'angiuli?
Tumasi
C'era lu motivu Tiresì’, c'era e cumu. Mo' è cangiatu tuttu, i
pensieri su' alleciati, c'è cchiù fatiga, cchiù benessere ma prima
era 'n'agunìa, ‘nu patimientu gualu ppe’ tutti; e ‘nu povaru
cristianu trovava sulu ‘nu pocu 'e sfogu ‘ccu lu vinu, jiennu alla
cantina.
Peppe
Analisi perfetta zu’ Tumà, lucida e funna. Cchi ne sannu chissi ‘e
mo' ‘e r'u petitu e d'i rugliamienti 'e trippa. Mo' ce su' le cure
dimagranti, ce su' le vilanzelle ppe’ misurare 'e calorie: se po'
jire avanti zu’ Tumà’? Primu alli cristiani ce potìa cuntare
l'ossa e mo', si le tuocchi, affunni 'ntr'u grassu!
Tiresina
È curpa ‘e r'u prugressu, re ‘ssu casciottune e televisore chi tutt'i
jurni bumbarde ‘ccu la propaganna tutt'a gente, inchjennucce la
capu 'e porcherie.
Rosicella
Ma puru 'e cose bone, ricimu 'a verità!
Tiresina
Ogne tantu, cumu 'e musche janche.
Tumasi
E bia, c'ha guastatu 'a capu a tutti, c'ha 'mberveratu a ranni e
piccirilli. ‘Ccu r'illa su' finite tante usanze belle; ‘nu
parragiune 'ntr'a casa 'un se po' fare cchiù: mo' 'na cosa, mo'
'n'atra, citu tu e citu io, 'a famiglia s'è ammutata, ci hannu
tuotu 'a parola! ‘U virìti cumu parìmu bielli stasira ch'è
stutata e un se 'ntromette 'ntr'i fatti ‘e r'a famiglia? 'U virìti
quantu cose chi ne ricìmu senza 'e illa?
Peppe
È lu veru, io l'haiu sempre rittu: chissu è ‘nu mezzu
periculusu. È propriu cumu 'e mericine: si ti le pigli a dose giuste
forse t'aiutanu, ma si ti ne fa' 'n'abbuffata t'ammazzanu ‘e ru
tuttu.
Maruzziellu Si l'arrizzietti tu 'e mericine stamu frischi: ne 'mbalieni a
tutti!
Giuvanni
Nun c'è bisuognu 'e aggiungere atru, 'a diagnosi è perfetta. Peppe
e papai hannu parratu cumu ruvi mierici 'e fama mondiale.
Maruzziellu Chi sannu ordinare sulu purghe! Cumu'a facìti longa mo', 'a
165
paragonati allu riavulu ma pue 'a jati cercannu tutti, chine
frange ‘nu buttune e chine 'n'atru.
Gegè
A dire 'u veru, ni ce calamu tutti.
Rosicela
E sini, ormai cumu si ne po' fare cchiù a menu!
Giuvanni
Certu, 'u telegiornale è 'mportante, puru io mi lu viju!
Tumasi
Io chisà cumu ha de resere! Sulu quannu c'è 'ncunu filmu 'e
guerra.
Maruzziellu E pue 'a pace 'a vonnu 'e l'atri!
Peppe
'U stessu io: 'ncunu filmu e 'ncunu spettaculu 'e varietà, però ogne
tantu.
Tiresina
Io 'a guardu caminannu, faciennu 'e fatighe ‘e ra casa; ma mai mi
ce 'mpalu ravanti ppe’ ure e ure cumu fannu certi gienti.
Maruzziellu Gir'e bote, fannu i stufati, 'a cunnannanu a morte, ma pue si la
viranu tutti: se vire ca è gustusa.
Peppe
Ma mai cumu 'a pasta c'ha cucinatu Tiresina: bella addurusa.
Tiresina
Grazie Peppì’, troppu buonu si' ‘ccu mie!
Tumasi
C'era propriu 'a marrìa 'e ra fimmina cunchiusa e 'ngalapata.
Giuvanni
Tiresì’, io senza ca t'avantu, 'u sai già ca me piace tuttu 'e tie.
Tiresina
Mo' me cunfonditi ‘ccu tutti ssi comprimenti: haiu fattu chillu
ch'haiu potutu!
Rosicella
U r'avìti provatu l'atre pitanze?
Gegè
Se canuscianu re l'adduru, parranu sule.
Peppe
Ppe’ chissu me signu cuntrollatu alla pasta, si no adduve 'a
'nzaccava l'atra rropa!
Tumasi
E tu 'e ssi prubremi 'u ne tieni, si' già collaudatu: cchi paura
tieni ca'un digerisci? Divertete stasira ‘ccu tutte ‘sse razze 'e
pisci.
Peppe
Fazzu chillu chi puozzu, ppe’ onurare 'a tavula e ppe’ dare
soddisfazione a Tiresina.
Tumasi
E alla trippa puru.
Giuvanni
Certu papà, rropa ci n'è tanta e r'è peccatu a la lassare:
vruocculi, baccalà, finuocchi, lupini; c'è tutt'u bene 'e Diu:
‘nu pocu n'amu 'e sforzare tutti.
Rosicella
(Confabula con Gegè). Ci ci, sentiti tutti, Gegè vo' fare ‘nu
brindisi.
Gegè
Ce pruovu, nun sacciu si cunchiuru.
Tiresina
Ne signu propriu sicura ca si sensatu.
Giuvanni
Certu nun pue fallire!
Tumasi
Maruzzì apere 'e ricchie!
166
Maruzziellu (Mette le mani sulle orecchie) Puru 'a vucca nannù’?
Tumasi
Silensiu, silensiu!
Gegè
‘Ssu vinu tuostu fattu a Petrafitta, chi scinne sulu sulu cumu
mele, ‘nu puzzu ti ne vivi e ‘un ti ne pienti: brindisi fazzu a
tutti li presienti. Primu pensava ma nun cunchiurìa, ma ‘ccu
l'aiutu 'e illu m'è jesciuta chissa frasa: auguru furtuna e bene
a chissa casa.
(Tutti battono le mani manifestando allegri
mentre Rosicella dà un bacio a Gegè)
Rosicella
Tiresina
Tumasi
Maruzziellu
Tumasi
Peppe
Giuvanni
Gegè
Rosicella
Cunchiusu, propriu cunchiusu Gegè!
Cchi parole belle: bravu e bravu!
Ma tu si' ‘nu poeta neputì!
Propriu cumu chilli e supr'i libri e r'a scola!
(A Peppe). E tu 'un dici nente? L'ha capita ‘ssa sonata?
Sempre prima 'e tie: 'na vera cannunata!
Gegè: a nume ‘e r'a famiglia ‘nu grazie re core, ma ppe’ te
murrare 'a stima nun truovu le parole.
Nun c'è bisuognu, lu sacciu ca m'amati e quannu haiu
canusciutu ‘ssa Rosicella 'e maju addurusa, chi spanne bene
dintra 'a vita mia.
(Sprizzante di gioia e imbarazzata nello stesso tempo) ‘Ccu
tie vicinu lu munnu pare 'mparu, c'haiu trovatu cchiù de ‘nu
tisoru.
(Tiresina e Rosicella servono altre pietanze)
Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Quannu c'è l'amure c'è tuttu, è cumu ‘nu faru c'alluce tutt'e
cose e puru si su' pover'e pezzente le fa' parire belle,
graziuse. Viatu chine 'u tene ‘ssu cumpagnu c'aiute a campare
'ntra ‘ssu munnu.
Io lu tiegnu 'e quannu signu natu, (porta la mano al cuore)
'ntra cca chiusu.
E mo' te esce lu jatu? Era gelusu allu murrare, haiu
capitu.
Nuve l'avìmu tutti 'ntra ‘ssa casa, ca simu gente semprice
alla bona: ppe’ chissu c'è l'accuordu, l'armunìa, 'a pace chi
ognunu va' cercannu.
167
Giuvanni
E pensare ca certe famiglie ricche nun su' mai cuntente,
forse mancu stasira.
Tumasi
Avoglia quantu ci ne sunnu.
Giuvanni
Ma ricu io: cchi le manche, cchi bannu cercannu!
Tumasi
Le manche la sempricità e vannu cercannu i stilli fritti.
Tiresina
A nue 'u Segnure n'ha bolutu bene, n'ha misu 'ntr'u piettu
‘nu tisoru chi nun l'appatte nente 'ntra lu munnu.
Giuvanni
E puru 'un ce vo' nente ppe’ n'amare, ppe’ dire 'na parolicchia
ruce.
Tumasi
Pare a ttie, Giuvà’, ma chine è egoiste e 'nteressusu
jestime puru ppe’ 'na ficazzana, si lu'mpese lu riavulu.
Tiresina
Jesu, Jesu, (fa il segno della croce) a chine ha numinatu! Ca
spreje tuttu!
Tumasi
Scusame Tiresì’, m'è jesciuta.
Peppe
E un t'avìa de escere, se vire ca 'u vinu ha fattu effettu.
Tumasi
Ha fattu 'a ciotìa chi tieni 'ntra ‘ssa cicculatera.
Maruzziellu Quantu ne jati trovannu ‘ccu ‘sse crirenze antiche: ranni e
gruossi criranu a ‘sse cose.
Rosicella
E sini ma', su' tutte venzunìe ppe’ fare spagnare 'a gente.
Gegè
È 'n'atra epuca mo': 'a giuventù 'e oje crire sulu a chillu chi vire e
tocche ‘ccu le manu.
Peppe
Crire alle more ciote: alli giubbochissi, alli bigliardini, alle
carte!
Tumasi
Ve manche l'esperienza. I dubbi arrivanu chianu chianu,
criscianu ‘ccu l'anni e io lu sacciu, ca signu stagiunatu.
Peppe
Cumu 'a lignama 'e castagna tagliata a primavera!
Tumasi
Ohi Tiresì’, trovecce 'na mugliera ca 'ncunu jurnu sinnò vaiu
'ngalera.
Tiresina
Mo' basta ‘ccu ss'argomenti scunchiusi, parramu r'atru.
Giuvanni
Brava a Tiresina, tieni ragiune, stasira s'ha de parrare 'e cose
belle, chi su' 'ntonate ‘ccu la festa: 'e l'arberu, ‘e ru presepiu, ‘e
ru fuocu 'e Natale, 'e cose cunchiuse chi tenanu 'e rariche funne.
Rosicela
‘Ppe’ ‘sse cose ce vo' nannuzzu, ca tene cchi cuntare.
Maruzziellu Ca zu Peppe nun fissie mancu, forse stasira è 'mpacciatu ‘ccu lu
mangiare e ‘u’ le cumbene, ma si no è ‘nu storicu quasi cumu
nannuzzu. Allura, nannù’, ppe’ stasira cunte tuni ca nue
pigliamu appunti.
Gegè
Dai nun te fa' pregare, fanne cuntienti.
Rosicella
Aspettamu sulu ca 'nzigni, nannù’.
168
Tiresina
E 'nfurmali ssi guagliuni, facce sentere 'a vuce 'e ra tradizione,
chillu motivu chi vene de luntano e chi nun more mai.
Tumasi
Se vire ch'è ‘nu motivu buonu, sanizzu, Tiresì’. Nun ve sprecati
tantu, io parru sulu, senza ssi pregamienti. Parru pecchì 'u sientu
'ntra re mie ‘ssu bene chi me cuverne e m'accarizze. Natale 'e
primu: me sgrizzanu le carne quannu 'u pienzu. 'E ciaramelle 'e
sientu 'ntra le ricchie, quannu passavanu r'avanti a porta norra e
giravanu tuttu lu paise. ‘Nu mise primu 'nzignavanu i guagliuni a
carriare ligna ppe’ lu fuocu, ppe’ lu fare cchiù ranne ‘e l'atri
paisi. Nun c'era famiglia chi un facìa lu presepiu 'ntra 'n’angulu
re casa. E pue li juochi, quantu juochi 'a sira ‘e ra vijelia: a
nucille, a tombula, alle carte, ognunu s'appricava ‘ccu r'amure.
Pue lu suonu biellu 'e "Tu scendi dalle stelle" chi ppe’ tutte le vie
se spannìa e te portava davanti a chilla grutta ppe’ pregare
‘ccu gioia 'nginocchiuni lu Bumbiniellu dintra la pagliuzza.
Giuvanni
Bravu a papai mie: lucidu e sapientusu, 'un t'ha scordatu
nente.
Tiresina
M'ha fattu sgrizzare 'e carne Giuvà’!
Giuvanni
Gioventù, cchi ne riciti? V'è piaciuta 'a lezione?
Rosicela
Bella nannù’, bella assai, chjna re sentimientu.
Maruzziellu E chine le sapìa ‘sse cose belle!
Tiresina
Apposta ce sunnu l'anziani, ppe’ cuntare 'e cose antiche, 'a
storia passata, chilla chi nun è scritta, ma chi è tutta 'ntr'a
memoria.
Gegè
Certu, sunnu ricchizze chi nun vannu perse, pecchì
n'appartenanu, ni l'hau lassate i patri nuorri.
Rosicella
E cchi l'hannu tante amate Gegè.
Tiresina
A tradizione va rispettata, si no trariscimu l'antenati e a nue
stessi.
Peppe
Nun ce chiove Tiresì’, signu r'accuordu.
Maruzziellu Tu si d'accuordu sempre a tuttu: si' biellu furbu tu zu Peppì’, 'a
sa' longa.
Peppe
O longa o curta io signu r'accuordu ‘ccu le cose 'e primu,
(scherzoso) e ‘ccu la diagnosi 'e zu’ Tumasu.
(Tumasi manda il capo su e giù, sentendo le parole di Peppe)
Maruzziellu Però chille 'e mo' ‘un t'ammarìanu mancu, rice 'a verità.
Peppe
Su' cchiù amare ca ruce.
169
Maruzziellu Vo' dire ca è miegliu ppe’ li rienti e ppe’ lu diabete.
Tiresina
Parica potimu passare alla frutta. Rosicè’, pigliala gioia 'e
mamma, ‘un me fare azare a mie.
Rosicella
(Scherzosa). Cumu cummanne la patrune. (Porta sul tavolo un
cesto di frutta varia). Gegè, ce su' puru i tortigliuni chi piacianu
a ttie.
Gegè
Ahi cchi bellizza! 'N'avìa de mangiare a tantu tiempu.
Giuvanni
Chissi piacianu a tutti, pue ‘ccu lu vinu, vannu propriu
r'accuordu.
Peppe
Ca i lupini, 'e nuce e li finuocchi ammarianu?
Tumasi
Su' tutti spizzicarielli guliusi, rropa sanizza.
(Gegè, Rosicella e Maruzziellu confabulano sottovoce)
Rosicella
‘Nu pocu 'e attenzione, c'è 'na sorpresa e ni la fa Maruzziellu, 'u chiù picculu ‘e r'a casa.
Gegè
Dai Maruzziellu, biellu francu, ‘un t'emozionare.
Rosicela
Cumu si' ciuotu, nun te vrigognare, forza, simu tutti tra
nue.
Maruzziellu (Imbarazzato). Papà, è sutta 'u piattu tue.
Giuvanni
Cchiri?
Tiresina
A sorpresa Giuvà’...
Giuvanni
(Solleva il piatto e trova la letterina di Natale, mette gli
occhiali e prova a leggere). E’ 'na parola! (È visibilmente
emozionato). Te gioia, lejala tu a buce avuta, ca cussì
sentanu tutti.
Tumasi
Nun potìa mancare, 'u guagliune è affezzionatu!
Peppe
E sensibile puru!
Maruzziellu Caro papà, cara mamma, anche quest'anno ho preparato la
letterina di Natale per non venire meno a questa bella
tradizione e per esprimere tutto il mio bene che sento per voi,
per il nonno, per zio Peppe, per Rosicella e Gegè. (Tutti
manifestano tanta emozione, il nonno si asciuga le
lacrime). Queste semplici paroline, che escono dal mio
cuore, sono piene d'amore e di buone intenzioni per il
futuro. Prometto di non fare più i capricci, di essere buono e
ubbidiente, di non fare arrabbiare più a nessuno di voi.
Pregherò a Gesù Bambino, affinché vi faccia stare bene di
salute e per non fare litigare più a zio Peppe col nonno, e che
170
la nostra casa sia sempre piena di felicità come stasera. Vi
bacio la mano vostro figlio.
(Tutti battono le mani)
Tiresina
Giuvanni
Tumasi
Peppe
Rosicella
Gegè
Peppe
Tisoru 'e mamma: fatte abbrazzare!
Bravu a Maruzziellu, nun t'ha scordatu a nullu!
Gioia 'e nannuzzu, cchi parole cunchiuse, cchi talientu,
grazie gioia.
È nepute a mie, nun potìa mancare!
Avìa ‘ssa bella littera e te spagnava ‘e parrare?
Nun mi la crirìa propriu; ‘nu guagliune ‘ccu tantu
sentimientu: è 'na cosa rara!
Certi parranu ppe’ ure cumu i deputati e nun chiavanu
mancu a 'na turra; Maruzziellu 'mbece, ‘ccu quattro
parolicchie, 'n'ha 'nzaccatu 'ntr'a capu e lu core ‘nu munnu
'e amure e bene.
(Tumasi e Giuvanni si apprestanu a regalare
dei soldi a Maruzziellu).
Tumasi
Giuvanni
Peppe
Te gioia ca ti lu mieriti ppe’ daveru.
E chissi su' ppe’ mie e mammata.
E io te pagu ‘ccu basuni, (strofina l'indice con il pollice) ca
signu fagliu a ‘ssu palu.
Maruzziellu È lu stessu zu’ Peppì’, pense alla salute.
Gegè
(Va a prendere i pacchetti con i regali). Io e Rosicela ne
simu permessi 'e fare ‘nu pensierinu a tutti vue, sulu ‘nu
signu 'e affettu, nente cchiù.
(Peppe manifesta tutta la sua curiosità per il regalo)
Tiresina
Gegè
Peppe
Rosicella
Peppe
Beneritti ve via, nun ce volìa propriu nente, ve siti disturbati
troppu.
Nullu disturbu, ppe’ mie è statu ‘nu piacire rispettare
ss'usanza bella.
Giustu, quannu unu 'e sente certe cose l'ha de fare.
Gegè ce tene a ‘sse cose, è propriu sensibile, tene gusti fini.
Vo' dire ca ce gorimu tutti. (Si strofina le mani).
171
Tumasi
Gegè
Maruzziellu
Tiresina
Giuvanni
Tumasi
Gegè
Tumasi
Maruzziellu
Peppe
Maruzziellu
Peppe
Maruzziellu
Peppe
Tumasi
Peppe
Tiresina
Tumasi
Tiresina
Tumasi
Tiresina
Rosicella
Tiresina
Ha fattu 'na scelta bona Rosicè’, si' stata sperta, Gegè 'ntra
‘ssa casa ce mere propriu.
(Consegna i pacchetti e ognuno si appresta ad aprirli).
Parica ‘u’ n'amu scordatu a nullu Rosicè’!
Ci avìti propriu 'nduvinatu; 'u regalu chi volìa io! A cassetta
‘e ri Pooh..
Giuvà’, me bire me bire: me cchi bella cravatta puliciata ppe’
ttie. A mie 'mbece 'u sciallu 'e lana.
Grazie figli: penserusi assai. Nun sacciu propriu cumu me
rissobrigare.
A mie 'a pippa Tiresì’, 'u strumentu ‘e ra vecchiaia. Grazie re
core.
Chissa è de rarica 'e ulici, originale.
Se vire gioia se vire. Propriu cumu chille chi use l'amicu mie
Pertini. (Soppesa la pipa). Me cum'è pisante. E cumu è
lavurata 'e fore?
Zu Peppì’, e a ttie? Cchi ci ha trovatu tu?
'Na cosa bella 'e fore e brutta e intra.
Cchi bene a dire?
‘Nu portafogliu, Maruzzì’!
Chjnu o vacante?
‘E pella ‘e elefante!
Maruzzì’, chissi se vinnanu vacanti, biellu mie, e ppe’ le
inchiere s'ha de fatigare, s'ha de sudare.
Grazie alli neputi ppe’ ‘ssu pensieru biellu e luongu.
È bon'aguriu ppe’ lu futuru Peppì’, ppe’ lu inchjere biellu
curmu quannu truovi fatiga.
Campe cavallu ca l'erva crisce e a maju t'abbutti! ‘Ccu ssi
chiari 'e luna e ‘ssa tramuntana chi mine ha voglia 'e
sperare.
Vene lu tiempu vene.
'E virere si accussente Peppe! Ha trovatu ‘ssa ‘merica lluocu,
chine lu sposte!
Mme bia ca è sulu sfurtunatu.
Ma', cchi dici, t'aiutu a sparecchiare? Si no ‘un facìmu a
tiempu ppe’ la missa 'e menzannotte.
Noni figlia, ‘un c'è bisuognu: stasira nun se sparecchie, 'a
tavula ha de rimanire 'ntatta, ‘ccu tutt'e pitanze restate e
‘ccu li Natali 'n mienzu: chissu è l'usu gioia. Chissu è ‘nu
172
signu r'amure e de ospitalità ppe’ lu Bumbiniellu chi nasce
stanotte.
Giuvanni
Tiresì’, ‘un te scuordi propriu nente tu, l'usanze e le
tradizioni le tieni sempre vive 'ntra re tie!
Tiresina
Su' le meglie cose Giuvà’, senza re ille nue nun simu nente:
arberi senza rariche!
Maruzziellu Io 'ncuminciu a jescere ma', vaiu alle Pezze, ca a chist'ura 'u
fuocu 'e Natale l'hannu già appicciatu. Ciau a tutti.
Tiresina
Attientu a 'ncuna stizza e a ‘sse bumbicelle chi se sparanu. E
pue t'arricummannu: vieni alla missa.
Maruzziellu Statti squitata ma'. (Esce).
Tumasi
E nu’ l'affriggere ‘ssu guagliune, è tiempu ‘e ru sue, ha de
jocare 'nziemi alli cumpagnielli sue, Tiresì’; è chissu lu tiempu
‘e r'a spenzeratizza chi 'na vota passata nun ritorne cchiù.
Tiresina
Ma 'n'avertenza è sempre bona a ci la fare!
Rosicella
Ma', io me vaiu cangiu, e cussì me truovu pronta.
Tiresina
E io quantu me cacciu ‘ssu sinale, me ‘nzaccu 'u cappottu e
signu appostu.
Rosicella
Gegè: vieni puru tu?
Gegè
Si Rosicè’, quantu me lavu sulu 'e manu.
(Rosicella e Gegè escono di scena).
Tiresina
Giuvanni
Tumasi
Peppe
Tiresina
Peppe
'Ngrazia a Dio Segnure! È jutu tuttu buonu, parica amu
cumparisciutu ‘ccu Gegè.
Certu Tiresì’: è stata 'na meraviglia ‘ssa sirata, una 'e chille
chi nun se scorde mai.
‘Nu cunciertu all'antica Tiresì’, ‘nu gorimientu gualu, puru
‘ccu le sparate 'e ‘ssu scapulune. (Indica Peppe).
Sulu ppe’ meritu tue, ppe’ ‘sse manuzze tue fatate e ppe’ lu sale
chi tene 'ntr'a crozza zu’ Tumasi.
Forse nun ce cririti, ma stasira me signu 'ntisa 'ntra re mie 'na
forza ranne, 'na vuluntà chi nun haiu mai avùtu, 'n'allegria chi
nun m'ha fattu ventare la stanchizza, parica m'ha aiutatu 'u
Segnure.
Si fimmina re fede, timorata 'e Dio: ppe’ chissu Tiresì’.
(Si odono i rintocchi delle campane che annunciano la santa
messa).
173
Tiresina
Giuvanni
Peppe
Tumasi
Peppe
Tumasi
Tiresina
Rosicella
Giuvanni
Peppe
Gegè
Peppe
Tiresina
Tumasi
Peppe
Tiresina
Tumasi
Rosicella
Tumasi
(S'inginocchia, fa il segno della croce e rimane con le mani
giunte, Peppe fa altrettanto). Grazie campana santa, chi suoni
tu ppe’ nue dintra ‘ssu jurnu 'e amure. (Si alza). Vue veniti puru
alla missa no?
Sicuru Tiresì’: jamu tutti ‘n'ziemi.
Io nun c'haiu mancatu mai 'a notte 'e Natale, 'u bumbiniellu l'haiu
sempre vasatu 'ntr'u cistelluzzu.
Però ‘un ci ha mai rittu re te fare cangiare capu!
E chine mi lu rava lu tiempu, si haiu pregatu sempre ppe’ ttie:
ppe’ ‘un te fare cchiù murmurare!
A ttie t'hannu sempre cuvernatu ssi murmuri!
(Va verso la porta e chiama Rosicella). Rosicè’: c'a missa è già
sonata, fa priestu figlia ca si no ‘un trovamu postu.
Haiu già finitu ma', signu pronta! (Rientra in scena insieme a
Gegè). Eccoci ccà. (Rivolgendosi agli altri). Vue veniti puru no?
Jamu tutti 'nsiemi!
Si potìmu avìre ss'onure 'e jescere ‘ccu bue!
Certu, l'onure è d'u nuorru zu’ Peppì’.
Sai cum'è: certe vote se pò dare fastidiu...
Tu cchi fai papà, vieni puru? Certu c'a sirata è
friddicella: sapìmu si te fa male?
(Ironicamente) È miegliu ‘un currere rischi Tiresì’, jati vue
'nsarvamientu ca siti giuvini. (Indica Peppe). Abbasta ca ve
portati puru a illu ca tene tantu bisuognu 'e pregare!
Sapimu zu’ Tumà’: chine ne tene cchiù bisuògnu?
N'avìmu bisuognu tutti, chine cchiù, chine menu supra ‘ssa
terra simu tutti peccaturi e stasira, chi nasce lu Bumbiniellu, tutti
amu 'e pregare: ppe’ nue, ppe’ l'atri, ppe’ ‘ssu munnu
'mbrogliatu e periculusu, chi minte 'ntra la gente la paura.
Pregare ppe’ la pace, ppe’ ‘ssu bene ranne senza fine, chi
quannu c'è te sienti ‘nu regnante, ‘nu core chjnu 'e gioia chi
parpite d'amure. (A Tumasi). Papà, nun sai quantu ne role a te
lassare sulu sulu.
Jati gioia mia, nun vi ne 'ncarricati; sbrigative ca si no trovati
già 'nzignata 'a missa.
Pregamu puru ppe’ ttie nannù ppe’ stare sempre buonu.
(Rivolto al pubblico strofina il pollice e l'indice) Ricìti 'a verità:
vò dire 'a pensione! Grazie Rosicè’, fa cumu vo' tu.
174
(Tutti salutano Tumasi ed escono, tranne Tiresina che si
attarda per un attimo sull'uscio).
Tiresina
Tumasi
Statti attientu papà: venimu priestu priestu, appena finisce la
missa. A priestu! (Esce).
(Gira per la stanza scuotendo il capo). Eh, quantu
raccomandazioni quannu si' biecchiù! Quantu premure! Propriu
cumu se fa ‘ccu li quatrarielli: statti attientu, mo' riesti sulu!
Quantu parole vacante chi se ricianu! Te 'ncazzi? E cchi
cunchiuri! Io ce passu 'e supra e mi ne grattu. Io riestu sulu? Eh
gioia mia! Nun sapìti chillu chi riciti. Rimane sulu chine ‘un tene
amure e fantasia, chine 'un s'attacche a nente e lindrunìe.
(Indica il focolare). E pue c'è illu, guardatilu cchi cumpagnu:
te parre, t'arricorde lu passatu, te minte 'ntra lu piettu
l'allegria. ‘Ccu illu te passe la malincunia. 'Na fumata alla
pippa, 'na bella corìata: cchi bue cchiù Tumà’, cchi ba
cercannu! Ca Maruzziellu zumpe e joche? È tiempu r'u sue. Ca
Peppe mange a bigna? Passecce 'e supra. 'Un ce cunchiuri nente a
t'arraciare. Dintra ‘ssa vita, si vo' buonu campare, tutti li jurni e
filosofare. Natale 'e primu e mo' cchi vaiu 'e rire re ‘ssa festa chi
lu male fa appracare, ve ricu sulamente re gioire e lu simile vuorru
sempre amare. Chissa è la festa 'e piccirilli e ranni: ‘ssu bene 'u
bumbiniellu n'ha cuncessu; a dece, a trenta oppuru a
r'ottant'anni, 'ntr'u core Natale rimane sempre 'u stessu.
(Mentre si avvicina al focolare cala il sipario).
FINE
175
LE CAMPAGNE DELL’ONOREVOLE
COMMEDIA IN DUE ATTI
176
PERSONAGGI
DON NICOLA PASTETTA
Onorevole
anni 60
DONNA CARMELA
Moglie di don Nicola
anni 55
‘NTONETTA
Domestica
anni 45
LINARDU
Segretario
anni 35
SANTUZZU
Galoppino
anni 20
MICHELE
Fattore
anni 65
DON FOFO’
Cavaliere
anni 57
BRUNILLU
Laureato disoccupato
anni 30
DON CICCIU
Medico
anni 40
LA SCENA
Lo studio di Don Nicola, arredato in stile antico: due scrivanie, un divano
e delle sedie. Ad una parete è attaccato un crocifisso e alle altre dei quadri.
Compaiono due porte: una d’ingresso ed un’altra che dà l’accesso alla
cucina. Si è in piena campagna elettorale, Don Nicola, candidato al
Parlamento (Camera dei Deputati), si appresta a preparare il comizio
d’apertura.
177
ATTO PRIMO
(‘Ntonetta è intenta a fare le pulizie nello studio di don Nicola)
‘NTONETTA E’ ‘nzignata ‘n’atra jurnata....Sbatte ‘ Ntonetta supra e sutta
cumu ‘na trotta, ‘ntra ‘ssa casa chi pare ‘na fera. Chissu è lu
compitu tue, chillu ‘e r’a serva: sgobbare senza abbientu
tutt’u jurnu ppe’ quattro sordi fetusi. Chine te cummanne de
‘na parte e chine ‘e ‘n’atra. Attenta a nun sgarrare, ca si no
chine te perdune? Donna Carmela ccu’ chillu core ‘e petra o
‘a capu nervusa ‘e don Nicola? Speciarmente moni chi è
aperta ‘a campagna ‘lettorale ccu’ tutti chilli pensieri chi le
giranu ‘ntr’a capu. Ma pue tene ragiune, ‘a lutta è difficile,
‘u risurtatu è troppu ranne, certu ca è preoccupatu e
scantatizzu. (Nella stanza da letto di donna Carmela suona
la sveglia, ‘Ntonetta ne ode il suono e scruta il suo orologio
da polso). E’ arrivata l’ura, ‘u signale ‘e guerra è scoccatu,
mo’ cumince la battaglia. (Guarda intorno) Parica haiu misu
tuttu a postu cumu voni ‘a signora patruna, ccussì ‘u’ la
sientu grirare.
D. CARMELA (Fuori scena). ‘Ntonè’, ‘Ntonetta.
‘NTONETTA (Manifesta insofferenza) Signu già all’opera donna Carmè’,
haiu finitu propriu mo’ ‘u studiu. Cchi desiderati?
D. CARMELA (Adirata). Chilllu chi te scuordi sempre ‘e fare: ‘u cafè,
‘Ntonè’, ‘a sbeglia ‘u l’ha ‘ntisa?
‘NTONETTA Puru si l’haiu ‘ntisa: n’haiu ‘ntisu già ruve, ‘a mia e la vorra
si è ppe’ cchissu!
D. CARMELA Fa’ poco spiritu e maniete.
‘NTONETTA (Ironica) Ve siervu subitu, fazzu a lampu. (Da un’occhiata
intorno ed esce di scena).
D. NICOLA (Entra in scena don Nicola. Indossa una giacca da camera e
le pantofole. Ha in bocca un sigaro e in mano una
voluminosa cartella che posa sulla scrivania. Si aggira per lo
studio manifestando nervosismo). ‘A vita è ‘na lotta. Nun
ne puozzu cchiù, nun se po’ stare tranquilli ‘e nulla manera.
Mo’ era statu elettu ‘ngrazie ‘e Dio, parica avìa trovatu ‘nu
pocu ‘e pace roppu ‘a tremenda campagna elettorale e la
storia ‘nzigne ‘n’atra vota ‘e capu. Mancu ruvi anni eranu
passati, ancora m’avìa d’assettare, m’avìa d’asciuttare i
178
sururi e, patapuffiti, ‘u governu è carutu. Frichete don
Nicola! I ‘mbiriusi e li jettaturi hannu avutu ragiune, hannu
vintu. A malappena ci l’avìa fatta, ‘u sacciu io quantu
n’haiu avútu ‘e fare. Chine ti lu rice mo’ cumu va a finire,
chine ti l’assicure ccu’ tutti ‘ssi colleghi affamatizzi e
frichigni chi cercanu voti puru ‘ntra li muorti? Cchi figura
ce fai ccu’ la gente si nun vieni elettu? Chine te rimborse li
sordi chi spienni ‘ntra ‘ssa lutta? (Si avvia verso la
scrivania e siede rivolgendosi al crocifisso appeso ad una
parete).
Gesucristu mie pensace tuni, aiutame ca si no signu
ruvinatu. Salve l’onure mie ! Tu lu sai ca signu buonu,
onestu e luottu ppe’ lu populu, ppe’ li poveri, ppe’……. (il
crocifisso si stacca dalla parete e cade per terra, don Nicola
sobbalza dalla sedia spaventato e, stringendosi la testa tra le
mani e disperandosi, va a rimetterlo al suo posto).
(Si accerta della solidità del chiodo) Eppure ‘u chiuovu è
fermu, ‘u lazzu è sanu, cumu si’ potutu carìre. (Pensa per un
po’) Cchi haiu rittu ‘e male, Gesù mie? Quale parola t’ha
offesu? Io t’haiu sempre pregatu, nun po’ esere ‘ndignatu
ccu’ mie. (Torna a sedersi, sfogando la sua rabbia) Tutte a
mie capitanu, a mie chi luottu sulu, chi nun tiegnu aiutu ‘e
r’u partitu, ‘e nullu, chi cumbattu supra ruvi fronti: ‘ntr’a
politica e ‘ntr’a casa. (Batte i pugni sul tavolo) Ma io nun
m’arriennu, nun lassu largo a nullu ‘nfina chi mi la vientu.
D. CARMELA (Avendo udito l’eccitato monologo del marito, entra
preoccupata) Cch’è statu Nicò’ , cchi t’è chiavatu a ‘na
vota? (Guarda intorno e non vede nessunu.) Tu parri sulu.
Maronna mia, Nicola parre sulu!
D. NICOLA (Gridando) Io parru sulu? Parru ccu’ tutti, ccu’ chine m’ha
tuotu ‘a pace, ‘a tranquillità’.
D. CARMELA ‘A politica Nicò’, illa t’ha tuotu ‘a pace, ni l’ha tota a tutti
‘ntra ‘ssa casa. Malerizione cchi potenza chi tene, cchi
fuocu ranne. Nun se ripose né notte né jurnu.
D. NICOLA E ‘mbece c’è chine ripose e chine sbatte.
D. CARMELA Cchi bo’ rire Nicò’, e chi su’ ‘sse botte...
179
D. NICOLA
E’ la verità: ‘a campagna elettorale ‘nfurie e bue m’avìti
lassatu sulu cumu ‘nu cane. (Guarda l’orologio) Guarde ‘nu
pocu, su’ già, ‘e nove e non se vire nullu, mancu chillu
beccamuortu ‘e r’u segretariu. L’atri fatiganu, nun dormanu.
D. CARMELA Cchi dici Nicò’, e carmete ‘nu pitazzu, ritorne ‘ntr’e tie;
rifrette, si no è pieju. Ccu’ la carma se vincianu ‘e battaglie,
ccu’ le trovate sapientuse se sconfiggianu l’avversari, e no
ccu’ li niervi.
D. NICOLA Ha parratu gagumilla, ‘u carmante ‘e r’a vita mia! Mo’ si ca
i pensieri spreianu tutti. Mo’ me mintu a rirere, zumpu ‘e r’a
gioia.
D. CARMELA Parre sulu allura, batte ‘a capu ‘e ri mura mura ca è miegliu,
i voti ‘e fa’ escere ‘e r’i mura.
D. NICOLA (Rabbonito guarda il Crocifisso) Citu Carmè’, citu ‘u’
m’arricordare i mura.
D. CARMELA (Preoccupata) Nicò’, ma cchi dici? I mura? Triemi? Cchi
bene a dire?
D. NICOLA Tuttu Carmè’, vene a dire tuttu. Haiu avutu ‘nu signu bruttu.
D. CARMELA Cchi signu?
D. NICOLA U’ crucifissu Carmè’. ‘U vi’ ‘u crucifissu?
D. CARMELA E cumu ‘u’ lu viju, signu cecata?
D. NICOLA E’ carutu. Tutt’a ‘na vota paratuffiti e r’è chiumbatu ‘nterra.
D. CARMELA Nicò’, tu tieni bisuognu ‘e riposu, io chiamu ‘u miericu.
D. NICOLA Ma quale miericu e miericu, crireme Carmè’, è carutu
raveru.
D. CARMELA Quannu?
D. NICOLA Antura, quannu parrava d’u progressu, ‘e l’operai, ‘e r’u
programma e ce cercava aiutu ppe’ ‘ssa lutta ranne.
D. CARMELA Benerittu te via Nicò’! Duve va’ pensannu! Nun te sapìa
tantu superstiziusu! Me bire, me bire, ‘n’onorevole
superstiziusu! ‘Ntra ‘na casa quantu cose caranu ‘nterra: ‘nu
becchieri, ‘nu piattu, cchi c’è de male?
D. NICOLA Tu po’ rire chillu chi vue, ma ‘e cose nun cangianu, illu è
carutu, ‘u signu mi l’ha datu.
D. CARMELA E bia Nicò’, ragiune, nun te mintere tanti pensieri ‘ntr’a
capu. E’ potuta esere ‘na scossicella ‘e terrimutu allu fare
carire’.
D. NICOLA Va bona Carmè’, facimulu passare ppe’ terrimutu, tantu ‘a
verità ‘a sapimu priestu, esce de ‘ntra l’ urne!
180
D CARMELA Mintete l’anima ‘mpace, sente a mie, e cerche sulamente a
birere cumu ‘mpostare ‘nu biellu programma lettorale,
luongu e sustanziusu, duve parri ‘e tuttu: ‘e fatiga, ‘e
uguaglianza, ‘e benessere ppe’ tutti. Prumesse Nicò’,
prumesse nove chi sunnu crirute ‘e r’a gente. Chissu te rune
li voti e no le fantasticherie e la superstizione. Mintete
all’opera, ca ‘e trovate e le risorse nun te mancanu!
D. NICOLA Certu, ma chisse nun bastanu, ce vonnu gruossi aiuti ‘ssa
vota, parentati ranni, amici ‘e tutt’e razze. E pue sordi
(stropiccia l’indice e il pollice), assai sordi. Chissi su’ li
cchiù fidati amici, i cchiù convincenti!
D. CARMELA ‘E facimu escere Nicò’. E pue tuni, baste ca aperi vucca e le
banche se sbalancanu, te cumbeglianu ‘e sordi. Tantu
l’investimentu è sicuru, frutte buonu!
D. NICOLA Tu ‘a fa’ troppu facile, sapimu duve ne ‘mbarcamu! E si va
storta?Duve le jamu sbattimu i corna ppe’ pagare i rebita?
D. CARMELA Và deritta; statti tranquillu:’u populu è sempre ‘u stesso! E
pue, faciennu i corna avissi de jire male, cchi paura tieni!
Vinnimu ‘a proprietà ‘e r’u vallu, anche si ce signu
affezionata: ccu’ chilla pagamu i rebita e ne restanu puru
sordi. Eccussì ne cacciamu ravanti puru chillu pestusu ‘e
fatture.
D. NICOLA E 1’onure, l’onure duve ‘u minti, cchi dice la gente: Don
Nicola ha avùtu ‘e vinnere ppe’ disperazione, ppe’ sordi!
No Carmè’, chissu mai! Don Nicola ‘nfina chi campe nun
vinne, accatte!
D. CARMELA Votamu parraggiune, pensamu alli voti, alle preferenze, al
numero diciassette della lista scudo crociato, Don Nicola
Pastetta: una garanzia per il lavoro e il benessere!
D. NICOLA Pensamu a tuttu ‘mbece. A ‘ssu numeru malerittu chi m’è
toccatu, difficile allu scrivere e ccu’ ‘nu significatu chi
prumminte male. Sapimu cumu ‘a pense la gente? Ccà simu
allu Sud e ‘sse cose cuntanu! ‘Nu numeru cum’u mie fa
paura, l’ignoranza è ranne! Unu pensa: chine mi la fa fare...
e si porte daveru risgrazia? E nel dubbio scrive ‘n’atru
numeru! E statti buonu Don Nicola!
D. CARMELA (Seccata) Prima ‘u Crucifissu, pue i sordi, mo’ ‘u
diciassette... ma ‘nzomma Nicò’, tu ‘e bo’ vincere ‘e lezioni
o no?
181
D NICOLA
Certu ca ‘e buogliu vincere!
D. CARMELA Allura risbigliete, nun te fare tanti scrupuli, vate avanti
cumu ‘na ruspa e minte sutta tuttu chillu chi truovi ravanti.
Chissa è la via si vo’ arrivare torna a Roma! I dubbi, ‘e
paure, ‘ssu tir’e molla, nun fannu parte ‘e r’a politica, ccu’
‘ssa mula vizarra ce vo’ curaggiu e sangue freddo. Tu ne
tieni?
D NICOLA
E cumu nun ne tiegnu!
D. CARMELA Allura avanti Nicò’, jettete ‘ntr’a mischia e pezzìe, chiure
1’uocchi e cumbatte all’antica, ca i risurtati arrivanu!
D. NICOLA (Spronato, teneramente batte la mano sulla spalla della
moglie). Grande lezione, azzeccata rizetta, m’ha ‘nchiaratu
‘u ciarviellu Carmè’ Me sientu ‘n’atru. Fa’ preparare a
‘Ntonetta ‘nu biellu cafè, ca ‘ntramente ciercu ‘e fare
partere ‘a machina elettorale.
D. CARMELA (Mentre esce). A razzu Nicò’, t’arricummannu! Partenza
veloce e senza soste!
D. NICOLA Speriamu ca nun se fondissi lu motore ! (Va a sedersi e
sfoglia delle carte selezionandole). Provveditorato agli
Studi, Ospedale, Cassa di Risparmio, Parrocchie,
Imprenditori. (Trilla il campanello della porta). Chin’è!
LINARDU
(Dall’esterno) Signu io Don Nicò’!
D. NICOLA Io Chine!
LINARDU
Linardu, ‘u segretariu vuorru; c’è puru Santuzzu.
D. NICOLA (Mentre va ad aprire). E’ arrivata l’armata Brancaleone,
signu sarvatu! Nun ce su’ cchiù preoccupazioni!
LINARDU
(Ha in mano la borsa e sotto l’ascella dei rotoli di manifesti,
Santuzzu altrettanto). Bongiornu Don Nicò’, scusate ‘u
ritardu. (E’ affetto da Tic nervoso)
SANTUZZU Bongiornu, Don Nicò’.
D. NICOLA (Li osserva da capo a piedi). Meh bire, meh bire cchi
scartamiennule! E be pare ura chissa! Su’ le dieci passate!
Duve siti pruveriati?
LINARDU
‘E ‘mmasciate Don Nicò’… guarda cchi lista! (Mostra un
foglio). Haiu avùtu ‘e girare Cusenze ‘e capu a cura!
SANTUZZU Io altrettantu. Haiu sbattutu supr’e sutta ‘nfin’a moni. ‘E
gambe nun mi le sientu chiù ‘e r’a stanchizza.
D. NICOLA (Con ironia). Povarielli, guarde cumu siti sciupati. Volissiti
‘na cosa frisca? ‘N’arangiata, ‘na cocacola, ‘na
182
LINARDU
SANTUZZU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
SANTUZZU
D.NICOLA
SANTUZZU
D. NICOLA
SANTUZZU
D. NICOLA
LINARDU
pestachivevegna? (Si adira) Ccà nun s’ha de fissiare brutti
tricatizzil S’ha de volare! Avimu ravanti ‘u nemicu! Simu
allu fronte, Linà’, e chine ‘un se sa guardare i corpi more’.
Sparisce. Sparimu tutti, perdimu ‘u pane io e bue; ‘ssu
studiu se chiure e restati cumu ruvi fessa ccu’ la trippa allu
sule. ‘E ‘mmasciate armenu l’avìti cunchiuse tutte?
Quasi tutte.
Io cchiù d’e menze.
(Nervoso) Quasi tutte... ‘e menze... Cumu? Ve prisentati
alle dieci e ‘nu’ r’avìti mancu cunchiusu? Pastinache, siti
ruve pastinache.... povero io duve signu ‘ncappatu!
‘E cose ‘mportante l’haiu fatte tutte, Don Nicò’; (mostra i
manifesti) ‘u vi’ i manifesti, ‘e buste, l’indirizzi; potimu già
partere.
Ppe’ lu manicomiu, là avìssi ‘e jire! E li volantini duve
sunnu?
Ce vo’ domani; stava finisciennu ‘e r’e stampare, l’haiu
visti ccu’ l’uocchi mie girare ‘ntrì ‘ngranaggi ‘e r’u
machinune... sapissiti cumu parianu bielli!
Don Nicò’, io ‘e march’e bullu l’haiu portate tutte, però i
sordi ‘un m’hannu abbastatu, ma appena c’haiu rittu
ch’eranu ‘e re vorre m’ha fattu creritu, anzi mi ne volìa dare
puru ‘e cchiù.
(Disperato) Puru ‘e cchiù?
Ma cchi cunciertu,
cc’armonìa.....io me rascassi! Me bire cchi capu vulata, cchi
‘ntuitu! Francubuli t’avìa dittu, franchubulli ppe’ littere e no
marche.
‘U n’avìa franchibulli, Don Nicò’; cc’avìa de fare, mi ne
venia ccu’ lle manu vacante?
Ccu’ le manu musce, ciotagliune mie! Ha fattu ‘na pensata
originale. E chine si la crirìa ch’era ccussì chjnu ‘e fantasia!
Ciambrellune mie, fuie ‘e pressa e ba ci le bote, sinnò ti le
‘mpacchiu alla frunta.
(Impaurito) Subito Don Nicò’ ...vulu... cunchiuru subitu
‘ssa vota. (Esce di corsa).
CChi fera, cchi sbattimientu. Linà’, piglie postu, assettete,
spremete ‘nu pocu ‘ssa cicculatera ‘e capu, runame ‘n’aiutu,
ca oje partimu.
Duve jamu, Don Nicò’?
183
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. CARMELA
D. NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
‘NTONETTA
LINARDU
D. CARMELA
LINARDU
D. CARMELA
‘NTONETTA
D.NICOLA
A villeggiatura, ne jamu facimu i bagni. (Adirato) Partimu
ccu’ lu programma, impostamu ‘a campagna elettorale, ha
capìtu mo’?
Chissu l’avìa già capìtu, ‘e ‘nu muorsu era già prontu ppe’
‘nzignare.
Tu capisci sempre tuttu allu vulu, si’ ‘nu mostru ‘e
spertizza. Signu statu propriu furtunatu a ‘ncappare a ttie!
Lassamu perdere... famme virere ‘ssi manifesti cumu su’
benuti.
(Svolge un manifesto) ‘Na meraviglia Don Nicò’, propriu
cumu ‘nu quatru.
(Fuori scena) ‘U cafè Nicò’, è prontu ‘u cafè’. T’a puortu
mò ‘na tazzulla?
Fa’ priestu Carmè’. T’arricummannu, stretto e senza
zuccaru. (Domanda a Linardu) Tu cum’u vue.
Cumu volìti vue.
Cumu vuogliu io? Tu ti le vivere. Cumu t’u pigli alla casa
tua?
Allu bar m’u pigliu luongu e ccu’ assai zuccaru... però ‘u
pomeriggiu.
(Stufato) E’ matina, mo’, Linà’: ‘u vue ‘ssu cafè o no?
Allura va bene, m’u pigliu ppe’ be fare cumpagnìa.
(A voce alta) Carmè’, portane ‘n’atru ppe’ Linardu... ‘a
gagumilla. (Prende in mano il manifesto scrutandolo con
soddisfazione) La forza del mio futuro, il mio compagno di
lotta. (Entra ‘Ntonetta col vassoio in mano seguita da donna
Carmela).
E’ cavuru cavuru, è esciutu propriu mo’. Machinetta
napulitana espressa!
(Mentre segue con lo sguardo ‘Ntonetta della quale è
invaghito). Bongiornu Donna Carmè’.
Bongiornu allu signorinu. ‘A sbeglia nun l’ha ‘ntisa
stamatina?
(Un pò seccato) L’haiu mannata a conzare.
Spiritusu, fa puru ‘u spiritusu! Cerche a mintere i siensi
giuvinò’!
(Stufata dalle insistenti occhiate di Linardu) Duve ‘u spugnu
Don Nicò’.
A nulla parte, n’u pigliamu all’allierta cumu i cavalli, ca
184
sinnò m’avissi ‘e ‘nquacchiare ‘sse carte.
‘NTONETTA Grazie ‘e r’i comprimenti, Don Nicò’. Mo’ signu tanta
sgalapata?
D.NICOLA
Linà’, ha capitu? All’allierta.
LINARDU
Cchi bene a dire?
D.NICOLA
Vienite piglie ‘ssu cafè e maniete. (Linardu, nell’apprestarsi
a prendere il caffè, sfiora un braccio di ‘Ntonetta che si gira
di scatto facendo traballare il vassoio) Attenta, sgalapata...
cchi t’ha sonnatu a ‘na vota.
‘NTONETTA (Con allusione) ‘U riavulu, Don Nicò’, propriu ‘u riavulu.
(Linardu, preoccupato, con gesti la esorta a non accusarlo).
D. CARMELA Serve e cittu, nun fare tante storie.
D.NICOLA
(Mentre gusta il caffè) E cchi t’ha fattu, t’ha puntu?
‘NTONETTA Propriu ccu’ la cura.
D. CARMELA T’ha fattu passare ‘a muscìa cronica ca tieni!
LINARDU
‘U scunchiutu se sceglie sempre ‘e cchiù belle Don Nicò’,
‘a capisce la rropa bona!
‘NTONETTA (Guarda torvo Linardu) Capisce la ciotìa chi tieni; ammute
si un bo’ lettu ‘a pampina.
LINARDU
(Impaurito) Come non detto ‘Ntonè... me ritiru ‘e parole.
D.NICOLA
(Posa la tazza sul vassoio) Ritirete puru tu; va t’assette
Linà’. (Linardu porta con se la tazzina e, nell’ atto di
posarla sulla sua scrivania, la fa cadere per terra).
‘NTONETTA (Soddisfatta) I peccata se chiangianu.
D. CARMELA (Adirata) Bravu a tie, ha propriu cunchiusu. Duve l’ha
trovatu a chissu Nicò’, allu spiziu?
D.NICOLA
(Sconfortato) Ma cchi ne sacciu. Chissu è ‘nu prodottu ‘e
r’a politica.
LINARDU
(Mortificato) Scusate Donna Carmè’. ‘U bruttabestia, è
statu ‘u bruttabestia, oje se vire ca gire de ‘sse parte. (Si
china per raccogliere i cocci).
D. CARMELA Ma nun te ‘mpese mai. Esce ‘e lluocu, arrassete c’ha
cunchiusu. ‘Ntonè’, va piglie ‘a scupa. (‘Ntonetta mentre
esce fa una smorfia di soddisfazione a Linardu).
D.NICOLA
Basta, chiurimu l’incidente. Tornamu a nuve.. Tu si’ prontu
Linà’?
LINARDU
Sempre pronto e lucidu.
D.NICOLA
Cumu ‘a cromatina brill!
D. CARMELA Speriamu ca ‘u cafè t’avissi risbigliatu.
185
‘NTONETTA Certu Donna Carmè’, m’ha zillichiatu tutt’a nervatura.
D.NICOLA
Speriamu puru ‘u ciarviellu.
‘NTONETTA (Porta l’occorrente e si accinge a pulire) Ppe’ lu sgalapu ‘e
l’atri facimu sempre ruppia fatiga.
D. CARMELA Senza murmuri e bottiamienti: chissu è lu compitu tue; te
pagamu ppe’ chissu.
‘NTONETTA Aviti ragiune, però ‘u contrattu nun dice c’haiu ‘e stare
puru citu!
D. CARMELA ‘Ntonè, tu cierchi rugne? Me vo’ fare partere ‘e capu?
Ammute ppe’ piacire, pulizze e fuie ‘e pressa.
D.NICOLA
Ppe’ carità, vi ne priegu, nun ‘nzignamu ‘ncun’atra rugna.
D. CARMELA Certe cose ci le puru arricordare a certe persone, ppe’ ce
fare capire chine cummanne cca.
‘NTONETTA (Fa gesti d’insofferenza col capo mentre esce) ‘A patruna è
cuntenta? E’ fattu buonu ‘u serviziu?
D. CARMELA (Nervosamente) Vate ‘Ntonè’, spreje, ca ‘a misura se stà
inchiennu!
D.NICOLA
Carmè’, basta, ccà ce vo’ sulu aiutu. ‘E mo’ avanti se parre
sulu ‘e politica e programmi.
D. CARMELA E’ chillu chi staiu riciennu io a ‘nu muorsu.
D.NICOLA
Allura partimu. Linà’, i manifesti, duve l’ha misi i
manifesti?
D. CARMELA Su’ arrivati? Cumu su’ benuti.
D.NICOLA
Ccu’ tutti ‘ssi ‘ntuoppi chine l’ha avùtu ‘u tiempu ‘e le
birere!
LINARDU
Eccoli ccà, ‘e boliti tutti, Don Nicò’?
D.NICOLA
Erva ‘e rò’, cchi ci haiu ‘e fare ‘na ‘nzalata? Unu, unu sulu
quantu ‘u virìmu. (Linardu in modo stentato e
disordinatamente porge il manifesto).
D. CARMELA Cchi culure biellu, me cumu è benutu chiaro, cchi scrittura
precisa!
D.NICOLA
Me piace puru a mie, parica te parre.
LINARDU
(Allunga il collo per scrutare il manifesto) E’ ‘na bumba,
chissu fa corpu puru ‘ntr’i spierti, le pinotizze.
D.NICOLA
(Guardando il Crocifisso) Grazie Segnure, certu c’è statu
l’aiutu vuorru ppe’ ‘ssa bona riuscita.
D. CARMELA (Prende in mano il manifesto e legge ad alta voce).
Democrazia Cristiana. Un nome ch’è tutto un programma,
Nicola Pastetta, candidato alla camera dei deputati col
186
SANTUZZU
D.NICOLA
D. CARMELA
SANTUZZU
D.NICOLA
D. CARMELA
D.NICOLA
LINARDU
SANTUZZU
D. CARMELA
SANTUZZU
D.NICOLA
D. CARMELA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
SANTUZZU
D.NICOLA
numero diciassette. (Don Nicola si esalta) La speranza del
vostro domani, il difensore dei poveri, una garanzia per
tutti. (Entra Santuzzu di corsa e Donna Carmela interrompe
la lettura).
I franchibulli, Don Nicò’, ‘ssa vota su’ propriu illi.
Ce volìa puru.
Ma cchi spiritatu, cumu sa’ scegliere i momenti giusti ppe’
arrivare!
Non potìa tricare, Don Nicola m’ha dittu ‘e fare priestu.
(Consegna i francobolli a Linardu che provvede ad
affrancare le lettere) Linà’, tutti da cento.... divertete!
Ss.. Silenzio, silenzio, damme ccà e arrassete.
(Riprende a leggere il manifesto) Ammute, guagliù’!
L’uomo giusto al posto giusto, votatelo e fatelo votare.
(Soddisfatta, abbraccia il marito) E’ fatta Nicò’, nun ce
manche propriu nente. Chissu trase ‘ntr’e capu vulannu. Fà
presa, è convincente.
Speriamo, speriamo. ‘A colla, duv’è la colla?
Santù, l’ha preparata ‘a colla?
Ce manche sulu l’acqua, ‘u pinniellu e lu catu, sinnò ‘e atru
c’è tuttu.
E c’ha fattu ‘nfinu a mo’, ha rormutu?
‘A pila, Donna Carmè’, senza sordi nun si ne cantanu misse.
(Mette mano al portafoglio) Te tricatizzu mie, (consegna a
Santuzzu diecimilalire) te, accatte tuttu l’accurrente e
riminiete.
Joch’e gambe e rapere l’uocchi. (Accenna ad uscire)
‘Nu mumentu, Santù’, quantu finisciu ‘e ‘mpacchiare n’atri
ruvi franchibulli e ccussì imbuchi puru ‘e littere.
T’avissi scordatu ‘ncun’amicu?
A nullu, Don Nicò’, i numi chi m’avìti ratu su stati scritti
tutti. Anzi, n’haiu mannatu puru una allu prievite ‘e
Cervicati, ch’è ‘na canoscenza vecchia ‘e r’a famiglia mia.
Ecco fatto. (Lega le buste con un elastico). Te Santù’, mo’
tocche a tie.
(Prende il voluminoso plico e lo soppesa) . Don Nicò’ e
cumu fazzu a le ‘mbucare?
Pecchì, nun tieni tiempu o si sguallaratu? A posta è a duvi
passi repulù’.
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D. CARMELA Va camine ‘e lluocu e sbrighete, ccu’ tutti ‘ssi mottetti!
SANTUZZU (Con la mano misura lo spessore del fascio di lettere) ‘A
buca, Don Nicò’.
D.NICOLA
Cchi bene a dire, un ce jungi?
D. CARMELA Se spagne ca ce trove de intra ‘ncunu serpente e ce tire la
manu.
SANTUZZU (Mostra le lettere) Me cumu su’ grosse, cumu ci le puozzu
fare trasere ‘ntra chillu grupu picculu?
D.NICOLA
Ccu’ la capu, ci le ‘mbutti ccu’ ‘ssa capu ‘a vrascera.
D. CARMELA Cchi spertizza funna... mammata n’avìa de fare ‘na recina
cum’e tie e si ch’eramu sarvati!
LINARDU
(Concentratissimo per trovare la soluzione. Ci riesce dopo
un po’) ‘A lastica, Santù’, cacci ‘a lastica e ci le ‘nzacchi a
una a una belle belle.
D.NICOLA
(Meravigliato) Colpo di genio. E chine si la crirìa!
D. CARMELA L’ha ‘ntisu allu collega scenziatu?
SANTUZZU Tuttu chiaru, haiu capitu a lampu.
D.NICOLA
E tra vue ve capisciti, parrati ‘a stessa lingua.
SANTUZZU Allura puozzu partere?
LINARDU
Aspette, te i manifesti.
D.NICOLA
Tene a mente, spazio dodici, fa’ ccu’ galapu e ‘mpacchiali
reritti.
D. CARMELA Santù’, sente a mie, attaccali duve vue, a tutt‘i mura, spazio
dodici e dintorni. Fanne ‘na spasìna.
SANTUZZU E la legge, Donna Carmè’!
D. CARMELA Cchi legge e legge, va’, fa’ priestu: cca s’ha de battere
l’avversariu, Nicola ha d’arrivare a Roma.
SANTUZZU E io ‘ngalera.
D. CARMELA ‘Mpacchie e nun ce pensare, va’ sbrighete.
SANTUZZU (Mentre esce) Don Nicò’, aviti ‘ntisu? Fore responsabilità,
mi l’ha dittu illa.
D.NICOLA
N’a mannassi bona Gesucristu!
LINARDU
Puozzu cuminciare a battere ‘u comiziu d’apertura?
D.NICOLA
Ca cchi ‘ncanti, ‘nzigne, m’addimmanni puru? (Linardu
inizia a battere lentamente) ‘Na cosa ‘e jurnu, Linà’, ‘un ti
ci avìssi de pigliare ‘u suonnu.
D. CARMELA E’ luongu assai Nicò’?
D.NICOLA
E’ luongu e chjnu: rure due ure bone.
D. CARMELA L’ha trattati tutti i punti? Ha ‘nsistitu supr’i giovani e la
188
fatiga?
D.NICOLA
E cumu no, ‘n’ura sana sulu ppe’ ‘ssi ruvi punti.
D. CARMELA Bravu, bravu, i giovani vannu trattati bene, tenanu ragiune.
Almenu ccu’ le parole l’accuntentamu. E ppe’ llu
meridione, cumu l’ha trattatu ‘u meridione?
D.NICOLA
A dovere, ccu’ li guanti, cumu se merite. Grandi progetti
ppe’ la sua rinascita. Il problema del mezzogiorno
……(‘Ntonetta dalla porta della cucina).
‘NTONETTA Donna Carmè’, l’acqua vulle, quantu pasta ce jettamu?
(Linardu, mentre batte a macchina, incolla gli occhi su
‘Ntonetta e và a finire fuori spazio. (‘Ntonetta gode
dell’errore).
D.NICOLA
Dicevo: il problema del mezzogiorno è il più importante, è
quello che riesce di più ad appagare il popolo e va risolto
subito.
D. CARMELA Allura jettaccenne ‘nu chilu. Cchi dici, vaste Nicò’?
D.NICOLA
Dipende d’u petitu e d’e vucche, cuntale e te rieguli.
D. CARMELA (Pensa un po’). E’ ‘na parola, cumu fazzu? Comunque
‘Ntonè’, rigatoni: ‘nu chilu abbondante.
‘NTONETTA Don Nicò’, ‘u broru cumu sempre piccante no?
D.NICOLA
Nun me provocare, ‘Ntonè’. ‘E murroide, duve ‘e minti ‘e
murroide! Vruscianu, l’ha capita ca vruscianu?
D. CARMELA Allura menzu chilu bianca ccu’ olio e l’atra russa?
‘NTONETTA Aglio e oglio o sulu oglio?
LINARDU
E io haiu fattu sbagliu.
D.NICOLA
Attientu Linà’, chissa è ‘na cosa seria!
LINARDU
Ccu’ ‘tutti ‘ssi sc-cami, ‘a curpa ‘u’ r’è d’a mia. Aglio,
oglio; e io, ‘mbece ‘e scrivere il caso è al vaglio, haiu scrittu
il caso del quaglio! (‘Ntonetta ride’)
D.NICOLA
Ccu’ li viermi chi te mangianu ‘a capu. Ih malanova!
D. CARMELA Corregge Linà’, concentrete e cerche ‘e quagliare. (Rivolta
a ‘Ntonetta) E tu sparisce e fa’ chillu chi t’è statu ordinatu.
(‘Ntonetta esce facendo una smorfia di disapprovazione).
D.NICOLA
Allura duve eramu rimasti.
LINARDU
Al problema del mezzogiorno, Don Nicò’.
D. CARMELA Cchi memoria fina chi tieni! Chillu è già risoltu!
LINARDU
(Rivolto al pubblico con ironia). Ccu’ la pasta rigatoni!
D.NICOLA
Certo, certo, iamu avanti mo’. Parica di atru c’è tuttu: ‘a
scola, l’anziani, ‘a pace, l’economia ecc.. ecc... Dovrebbe
189
jire bene. Ho accontentato tutti i ceti e tutte le categorie.
Nun se pò lamentare nullu, ho spartuto le cose ccu’ la
vilanza.
D. CARMELA Sarà ‘nu successu, ‘nu truonu. ‘A gente se spelle le
manu quannu ‘u sente’. T’arricummannu l’espressione,
Nicò’, chilla cunte assai. Tu ‘e recitare, ‘e parrare puru ccu’
le manu.
D.NICOLA
Cercherò di sforzarmi. Ci la mintu tutta.
D. CARMELA Bravu a Nicola, ccussì ‘e fare, francu e decisu.
D.NICOLA
Mo’ te ciercu ‘nu piacire, ho bisogno di concentrarmi....
lassame sulu ccu’ ‘ssu scenziatu (si riferisce a Linardu),
ccussì concertiamo le mosse e le tattiche da usare.
D. CARMELA Cuncerte buonu, servete ‘e r’a capu tue, (indica a Linardu)
t’avissi ‘e fare cunsigliare ‘e illu! Bon lavoru Nicò’. (Esce)
D.NICOLA
(Evidenzia segni di stanchezza e, stringendo il capo tra le
mani va a sedersi). Buon lavoro Nicò’! Cchi parolicchia
lecia, ‘nzuccarata. Ma ‘a fulla ‘e r’i pensieri, ‘u
ronziamientu ‘ntra capu rimanano a mie. Linà’, a cchi puntu
sì.
LINARDU
Stò per chjcare pagina.
D. NICOLA ‘A capu un te chjche mai, ciotagliune! (Alterato) Quantu
pacine n’ha scrittu?
LINARDU
Facimu ‘nu pocu i conti. Tuttu ‘u discorsu su’ trenta pacine,
scritta compreta una. (Fà il conto con le dita, mentre Don
Nicola lo osserva seccato) Facciamo un po’ il conto... ce vo’
‘na menu no, Don Nicò’?
D.NICOLA
Ce vo’ lu palu, chillu sulu te po conzare ‘ssa cicculatera ‘e
capu.
LINARDU
Si nun fazzu sbagliu mi ne rimananu ancore vintinove.
D.NICOLA
(Rassegnato) Riestu ‘un ti ne rune no?
LINARDU
Senza riestu, ‘u cuntu quatre tunnu.
D.NICOLA
Sente giuvinò’, tu ce vo’ stare a ‘ssa secia?
LINARDU
Certu ca ce vuogliu stare!
D.NICOLA
Allura minte capu a frasche, arrimischete sinnò vuli fore ‘e
r’a finerra. (Adirato) Tu lu sai ca ccu’ ‘ssa sveltezza chi
tieni ‘u discorsu ‘u finisci roppu ‘e lezioni?
LINARDU
V’assicuru ca ‘e mo’ avanti vulu, ‘ngrano ‘n’altra marcia e
sgrano pure l’occhi.
NICOLA
Basta; attacche e citu. (Linardu riprende a battere ed è
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LINARDU
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D. NICOLA
infastidito da una mosca, Don Nicola lo osserva per un po’).
‘N’atru ‘ntuoppu? Cchi t’è chiavatu mo’? Si diventatu puru
piletticu?
A musca Don Nicò’. ‘A risgraziata nun me lasse de pere,
me zillichìe ‘ntr’e ricchie.
Se vire ca si’ duce: si’ ‘na cicculata, ppe’ chissu un te lassa,
tieni ‘u sangu ruce. (La mosca ora infastidisce Don Nicola).
(Ha notato la cosa) ‘A musca mi ha lassatu Don Nicò’, se
vire c’ha trovatu ‘ncun’atra cicculata.
Scrive, menzamerulla! (Dopo un pò, con un pugno riesce a
schiacciare la mosca sulla scrivania e, il rumore, fa
sobbalzare Linardu dalla sedia).
‘U terrimutu, Don Nicò’... fujimu! (Accenna a scappare).
Va t’assette, a dduve va’. Va’ finisce, erv’e rò. Gesucristu ‘a
sensibilità ti l’ha data sulu alli rrusci! (Prende un foglio di
carta in mano e legge. Dopo un po’ cerca qualcosa sulla
scrivania) Avissi vistu ‘a gomma?
A tiegnu io, m’è servuta ca haiu avùtu ‘e scassare ‘na ti ca
c’era de cchiú.
Cumu cumu, famme sentere! Puru e ‘sse cose capisci tu?
Me puru corrieggi? Famme sentere, famme sentere ‘nu pocu
‘a frase.
(Prende il foglio in mano si appresta a leggere) E duve
cuminciu...
(Seccato) ‘E r’u puntu Linà’, ‘e r’u puntu!
‘A lieju cumu era primu o cum’è mo’.
Sbrighete ca sinnò te viegnu fazzu ‘na visita.
Allura cumu è mo’. “Elettori ed elettrici, il mio moto è
sempre lo stesso”; continuo o me fiermu? Il “moto” l’ho
passato!
Chi te vo’ pigliare raveru ‘nu motu, menza capu.
(Rassegnato alla stupidità di Linardu) Mintecce torna ‘a ti e
non te fare venire cchiù ‘ssi lampi ‘e geniu. Mottu, Linà’, ha
capitu? Motto.
‘E mo’ avanti, cuopiu e basta. (Squilla il telefono).
Pronto.... chi t’è successu?... te volianu arrestare?....e duve
l’ha ‘mpacchiati i manifesti?.... puru alla porta ‘e r’u Partitu
Comunista?.... risgraziatu.... ricogliete, ricogliete c’ha
cunchiusu.... Quale avucatu e avucatu, ricogliete ca mi la
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LINARDU
D. NICOLA
viju io. (Posa la cornetta) Ha fattu cumu ci ha dittu
Carmela, ‘u scunchiutu.
Numero dodici e dintorni, Don Nicò’?
E la pesta chi ve vegna a tutti, compresa mia moglie. (Trilla
il campanello della porta) Se ...Se…., jamu propriu buoni.
Linà’ va apere. Virimu ss’atru aiutu chi n’arrive ! (Linardu,
alzandosi, urta dei fogli che cadono per terra e si china per
raccoglierli) Va’ apere mo’ ca roppu ‘e cuogli.
(Entrano in scena Don Fofò e Brunillu)
DON FOFO’
D. NICOLA
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
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DON FOFO’
D.NICOLA
DON FOFO’
D.NICOLA
DON FOFO’
Permesso? Oh caro candidato!
Il mio caro amico Fofò, da quanto tempo. (Si alza e va ad
abbracciarlo) Cumu t’a passi Fofò.
(Con timidezza). Bongiorno onorè’.
Eh, caro Nicola, ‘u tiempu nun baste mai. Si vive di fretta.
A chine ‘u rici, sapissi ‘e cose mie. Quantu grattacapu!
Mancu ‘a notte tiegnu ripuosu. E, diceme, chine t’ha
‘mbuttatu oje ccà.
‘U vientu, Nicò’. Il vento del bisogno m’ha portato da te.
(Scherzando) Allura è stata ‘a tramuntana, chilla sicca.
Indovinato, propriu chilla.
Parreme francu, cchi te serve?
A mie nente.
E allura qual è lu bisuognu?
C’è lu bisuognu e sulu tu ce po’ pruvirere!
Rice alla libera, parra.
Ecco il bisogno (indicando Brunillu). ‘U vi’ ‘ssu
giuvinottu?
E cumu ‘u’ lu viju.
Tene trent’anni, ‘a laurea e la spertizza, e cilindre tutt’u
jurnu ppe’ le vie. E’ disoccupatu Nicò’, cerche fatiga!
Oh perbacco! Trent’anni senza lavoro! E’ un caso raro,
com’è possibile?
Sacciu io, chissa è la realtà, ‘a fatiga nun l’ha canusciuta
mai.
Ma il giovane si è dato da fare, ha cercato, ha fatto delle
domande, dei concorsi?
A muzzielli, Nicò’. Brunì’, ragguaglia l’onorevole,
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BRUNILLU
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DON FOFO’
D.NICOLA
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D.NICOLA
DON FOFO’
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DON FOFO’
BRUNILLU
raccontaci le tue peripezie, esprimi i tuoi desideri.
‘E peripezie su’ tante, ma ‘u desideriu è unu sulu onorè’: un
posto di lavoro dopo tanti anni di sacrifici.
Hai pienamente ragione, ti spetta di diritto, è scritto sulla
costituzione.
(Con meraviglia) Veramente Nicò’? E pure questo nun lu
sapìa.
Dal quarantasei, è ‘na cosa vecchia. E, diceme, cchi titulu di
studio ci hai.
‘A laurea in filosofia, onorè’, con voti centodieci e lode.
E’ spiertu, il giovane è capace.
Non lo metto in dubbio. (Pensa un po’, storce il muso)
Peccato, se avesse avùto la laurea in legge ‘a cosa era fatta.
Proprio ‘ntra questi giorni ci sono delle assunzioni alla
banca e io potia fare molto. Posso dire c’a cosa era fatta.
Ma guarda cchi scarogna! E de atro nun se po’ fare nente?
La sua è una laurea inflazionata, troppi filosofi ce su’ oggi
in giro. Fofò, duve ‘u va minti ‘nu filosofo. (Riflette).
Vediamo un po’. (Rivolto a Brunillu) Tu ci hai delle
preferenze, qualche idea?
Onorè’, roppu tant’anni ‘e cilindramientu vo’ ca fazzu pur’u
scardusu? Ogne bucu è buonu: uscieri, scribbacchinu, chillu
chi ‘ncappe. Pisu supr’e spalle ‘e r’a famiglia!
Il giovane non fa storie, Nicò’, è marchiaru, vo’ fatigare
onestamente. E’ sano, resiste a tutte le tentazioni malefiche
dei nostri giorni, di questa società insidiosa e malata.
Sapissiti cum’è difficile a resistere, a scanzare ‘e male
occasioni!
Certo, ti capisco, comunque.mo’ è ‘nu pocu difficile,
speciarmente ccu’ ‘ssa campagna lettorale ‘n cuollu chi nun
me lasse tiempu e respiru. Però ti prometto che prenderò la
cosa a cuore e quantu prima ti troverò una sistemazione.
Non devi avere fretta nè ti devi stancare. Farò il miracolo!
Brunì’, ha sentutu? Non devi avere fretta. Tu ne tieni
pressa?
Ce signu ‘mparatu a r’aspettare, ci haiu fattu il callu.
Bravo, bravo, ‘n’atru poco ‘e pacienza, ca don Nicola ti
risolverà il caso’. Te sisteme ppe’ sempre!
M’ affido a bue, signu ‘ntr’e manu vorre.
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DON FOFO’
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BRUNILLU
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BRUNILLU
LINARDU
BRUNILLU
LINARDU
Linà’, piglie l’appunti del caso.
(Sorpreso) Quale casu.
Pecurinu! Di questo giovane, ciambrì’! Eh, caru Fofò! Vedi
duve signu ‘ncappatu? Tra ‘u cippu e la mannara!
(Indicando Linardu)Chissu e ‘na parte e la campagna
lettorale ‘e ‘n’atra e te ricu io ch’è propriu ‘nu rifriscu! A
propositu, tu te sta’ moviennu ppe’ ‘ncunu votu? (Brunillu
si avvicina alla scrivania di Linardu)
E lu volìa dittu puru? Ho messo in moto tutte le mie
conoscenze.
E parte mia statti squitatu, me fazzu a piezzi.
E il giovane, il giovane ha un parentato grande?
Me pare de sì, è di origine contadina e come ben sai lla i
figli nascianu a cucchiate. Brunì’, il tuo parentato è tanto
numeroso?
Pecchì don Fofò?
Si deve regolare l’onorevole, Brunì’, per le votazioni.
‘N’esercitu, don Fofò, e tutti elettori! (Don Nicola si
stropiccia le mani per la buona notizia).
Bene, bene. Apposto Nicò’... come supposto. (Rivolto a
Brunillu) Ha finitu ‘e ce dettare i dati allu segretariu?
Ancore ‘e cuminciare don Fofò, ‘u r’è prontu.
E quanto ce minti, ‘e scrivere ‘nu libro? Fofò, questo è il
mio aiutante.
Abbastanza sveltino!
Cumu ‘nu lampu! ‘U’ mi ne parrare! Ce su’ li manifesti,
(gliene porge uno), cchi ti ne pare, esprime ‘nu giudiziu!
Fammi vedere, fammi vedere un po’. (Mentre lo guarda dà
segni di consenso)
Allura duve eramu rimasti?
Al punto di partenza, ancora ‘u’ r’avìmu mancu cuminciatu!
Dunque parrati. Tuttu in ordine v’arricummannu. Una
appriessu l’atra tutte chille cose la.
Volete dire le generalità? Il curriculum?
Si ce voliti mintere puru ‘sse cose fuori responsabilità, io
scrivo chillu chi me riciti.
(Ha notato la stupidità di Linardu) Va bene, ho capito.
Allora: Bruno Lavoratore nato a...
Allora “Buono Lavoratore”.
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DON FOFO’
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DON FOFO’
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D.NICOLA
DON FOFO’
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DON FOFO’
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D.NICOLA
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D.NICOLA
DON FOFO’
D.NICOLA
DON FOFO’
Proprio cum’e ttie. Ripetete per favore.
« Brunu » segretà’, « Brunu » ccu’ la erre.
E mannaia la pressa santa! (Corregge) Pue, iamu avanti.
(Brunillu continua a dettare i dati parlando sottovoce e a
gesti, correggendo spesso gli errori del segretario).
(Osservando il manifesto) Nicò’, è ‘nu quatru; riuscitissimo
e chjnu ‘e psicologìa. Cunchjusu ‘e tutt’e manere.
(Orgoglioso) L’haiu studiatu a luongu, mi ce signu
appricatu raveru.
Farà successu, colpirà a tutti!
(Entra di corsa ansimando e spaventato, attirando
l’attenzione di tutti). A ma..., a ma.... (Gli manca il fiato per
finire la parola).
N’ha cumbenatu ‘ncun’atra ‘e r’e sue. Ratice ‘na secia,
facitilu assettare; Linà’, ‘na secia. (Linardu esegue l’ordine
e ritorna subito al suo posto, seguendo per un po’ le vicende
di Santuzzu per poi riprendere il suo compito). Cchi t’è
chiavatu speghete.
Il ragazzo è in debito di ossigeno.
Ha fattu ‘a maratona. Maniete, rice.
A maleppena me signu sca..a..atturatu, don Nicola mie
(affanna); eranu quattru, me su’ fijuti appriessu, m’hannu
ratu ‘ncuollu.
Chine, pecchi?
Quattru omìnazzi ‘e ‘n’atru partitu. Ci haiu cumbegliatu i
manifesti.
Allora c’è la ragione!
Quantu rugne Fofò, quantu guai. Me bire, me bire, ne
cumbenassi una bona.
Io haiu seguitu sulu l’ordini, don Nicò’!
No li mie però!
Chilli ‘e Donna Carmela.
E allura vate duve illa ca te fà passare ‘u sc-cantu.
Al ragazzo piace il rischio, è un po’ imprudente!
Nu pocu? Assai Fofò. Sinne friche delle regole, se po’
apparigliare ccu’ chill’atru uomu ‘e mente (indica Linardu).
E guarda casu l’haiu junti ‘ntra ccà, su’ capitati propriu a
mie.
Sono i tempi, non ci sono cchiu regole, si sono persi i
195
D.NICOLA
valori: oje regna lu disordine!
Lassamu perdere, lassamu perdere ch’è miegliu. (Rivolto a
Santuzzu) Bella rro’, si’ ripigliatu? T’è passata ‘a paura?
(Don Fofò si mette a leggere il giornale).
SANTUZZU
D.NICOLA
SANTUZZU
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SANTUZZU
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SANTUZZU
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SANTUZZU
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SANTUZZU
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D.NICOLA
DON FOFO’
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D.NICOLA
DON FOFO’
BRUNILLU
‘Nu pocu, don Nicò’.
E fatt’a passare tutta, ca te va’ fa ‘nu giru ccu’ le trumbe a
r’annunciare ‘u comiziu.
Sulu?
E mo’ vire ca jamu tutti, magari ce portamu puru a ‘Ntonetta.
(Con fermezza). Risbigliete giuvinò’, joche i pieri e bule. Te
l’appuntu. T’arricummannu, parre chiaro e ‘ntinnente.
(Mentre sta per uscire) Sulu ‘e vie principali, no?
E dintorni.
‘U vi’, pue ricica signu io ‘u stuortu!
‘Ssa vota “e dintorni” è nella legge, ohi gramalune. Va’ fa
priestu, sbrigne ‘e lluoco e segue tuttu alla lettera.
Stative squitatu, ‘ssa vota sarò precisu cumu ‘n’orologiu
sguizzeru. (Esce, ma dopo un po’ rientra per chiedere
delucidazioni sull’annuncio) Scusate don Nicò’; allura
piazza Fiera ore venti, giusto?
(Arrabbiatissimo) ‘A fiera si tu! Piazza Fera! Ha capitu?
Fera. (Lo spinge vero la porta) Vule.
Perfettamente, chiarissimu.
Dio mio quantu ‘ntuoppi! Beh, segretà’, a cchi puntu si’,
quantu ce vo’ a pigliare ‘n’indirizzu!
Signu quasi alla fine. S’è trattatu ‘e ‘nu ‘nderizzu ‘nu pocu
compricatu.
Povariellu, te si’ scervellatu, no? Fofò, allura restamu
d’accordo, ti darò notizie appena avrò ‘mbiato la cosa.
D’accordo. Io comunque di tanto in tanto ti dò un colpetto.
(Mima il telefono).
E’ tuttu fattu, compreto di tutto.
Sia lodatu Gesucristu!
Bruno, allura noi possiamo andare. Il nostro onorevole ci
darà presto buone notizie. (Don Nicola fa cenni di
consenso)
Chissa è la mia ultima speranza onorè’... aiutatime.
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D.NICOLA
DON FOFO’
D.NICOLA
BRUNILLU
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BRUNILLU
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DON FOFO’
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DON FOFO’
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DON FOFO’
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DON FOFO’
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BRUNILLU
DON FOFO’
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LINARDU
D.NICOLA
Vai tranquillo, sarai continuamente nei miei pensieri.
(Batte la mano sulla spalla di Brunillu) E’ fatta, stanne
certo, ‘ssa vota siamo sulla strada giusta.
Ah, dimenticavo, siete a conoscenza del mio numero di lista
vero?
Certu onorè’, da un pezzo. Numero diciassette Scudo
Crociato. (Don Fofò annuisce soddisfatto).
Bravo, bravo! Ti raccomando: amici parenti e conoscenze
varie.
Non mi fermerò mai, impegnerò tutte le mie forze. Non
piglierò sonno ppe’ bue onorè’.
Fofò, allura restamu ‘e ccussì.
D’accordo.
Scusame si nun te ricu rimane a pranzo ccu’ mie, come vedi
ccu’ ‘ssa timpesta in corso non è il momento, sarà per
un’altra volta.
Nun te preoccupare, capisco i tuoi impegni. Grazie, Nicò’, e
tanti aguriì anticipati ppe’ la tua vittoria.
Fofò, siamo nelle mani di Dio, ‘a concorrenza è spietata!
Sarà ‘nu successu, ‘n’apoteosi! Ah, dimenticavo, portate i
miei saluti a Donna Carmela.
Grazie, ve siervu.
Allura, Brunì’, potìmu jire, ‘a missione è compiuta.
Onorè’, v’arricummannu: cacciatime ‘ssu pensieru ‘e r’a
capu, aiutatime!
(Mette la mano sulla spalla di Brunillu) Vai, vai tranquillo,
cercherò di fare quagliare il tuo caso.
Grazie onorè’, grazie e buona giornata.
(Abbraccia Don Nicola) Cchi te vaiu ricu Nicò’... mantenete
tuostu e vurpignu, e stammi bene. Mi farò sentire presto.
Ciao Fofò, ciao. (Don Fofò e Brunillu escono. Guarda
1’orologio da polso) Malerizione! ‘Na ura, ‘na ura m’hannu
arrupatu. Finalmente sinne su’ juti! Quantu rugne, quantu
‘ntuoppi! Vi, tutti ‘nfilarata! ‘U postu: ih belli mie!. Duve ci
lu jamu pigliamu ‘u postu, Linà’?
Alla banca ‘e r’i lamienti! Viriti vue, don Nicò’,
scegliticcenne unu cchiù togu, ccu’ ‘na paga bella àvuta.
Se...se! Allu ministeru ‘e r’u tesoru! ‘A cosa è rrinta, nun
dunanu retta mancu a mie cchiù. E pue su’ a migliara i
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LINARDU
D.NICOLA
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D.NICOLA
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D.NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
giuvini chi cercanu fatiga. Ci ne su’ Brunilli ‘ntra l’Italia!
E’ ‘nu nume assai diffusu, cumu và don Nicò’?
Bravu a pastinaca! Cumu sempre ha capìtu a vulu, ha
centratu
‘u bersagliu. Vatte supra ‘ssi tasti e nun pensare assai, sinnò
fa ‘ncuna ‘nvenzione. A cchi puntu si’?
Si nun m’avissi fattu perdere tiempu ‘u cercante fatiga a
chist’ura avìa finitu. Comunque signu alla cura.
Propriu chilla ch’è cchiù difficile alla scurciare. Sveltu
Linà’, riminiete, mintete sutta ca l’ura è arrivata e, nun dicu
cchiù, ruve o tri bote mi l’haiu ‘e lejere prima di jire sul
palco; cussì ce puozzu rare cchiù espressione, cchiù mimica.
Allura pue parrati a memoria don Nicò’? Senza lejere, cumu
fannu tutti l’onorevoli?
E ‘ssa fatigata allu scrivere, laprista mia, a cchi è servuta
allura? Io lieju Linà’, nun ‘mbientu, nun fantasticu, io signu
‘na persona seria e ‘un dicu fissarie alla gente. ‘E biri ‘ssi
fogli chi sta scriviennu?
Puru si le biju, m’hannu fattu jettare ‘u sangu alle scrivere!
Su’ atti ‘e notaru Linà’, documenti ‘e valore, duve ogne
parole è pisata ccu’ la vilanza e rimane supr’a carta ppe’
sempre.
Scusati ‘a ‘gnoranza, ma vue allura alla gente cchi ce ricìti
si cumu aviti rittu ‘e parole rimananu supr’a carta? Parrati
sulu a signi ccu’ le manu?
E chine ti la conze ‘ssa capu! Io ‘a volissi birere ‘e intra
cchi c’èni, cchi ti ci ha misu Gesucristu allu postu ‘e r’a
merulla!
Eppuru, quann’ero bambinu, tutti m’accarezzavanu ‘a capu,
si ne prejavanu ch’era bella cumprìta e dicianu: chisà quanta
merulla ce tene de intra! Chissu divente ‘nu scenziatu,
scopre sicuru ‘ncuna cosa!
‘Mbece ha scopertu ‘a fravica ‘e r’a ciotìa! T’è juta male, se
vire ca allu sviluppu ‘a merulla è diventata caniglia! Si statu
propriu sfurtunatu!
Ma io mi contento ‘u stessu: il lavoro di macchina mi piace,
quanno tasto di pressa me siento che mi scarico, me rilasso
cumu nente.
E ‘mbece i niervi ‘e fa venire a mie no? Me fa’ jettare ‘u
198
LINARDU
D. NICOLA
SANTUZZU
D. NICOLA
SANTUZZU
D. NICOLA
SANTUZZU
D. NICOLA
SANTUZZU
D.CARMELA
D. NICOLA
D.CARMELA
D. NICOLA
D.CARMELA
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
SANTUZZU
D.CARMELA
D. NICOLA
LINARDU
sangu!
Io nun tiegnu curpa, don Nicò’, nun lu fazzu apposta, sono
proprio di natura carmo e preciso, ecco pecchi ‘e cose le
conchiuro tutte!
E’ inutile, e chine te move! Chine nasce tunnu nun po’
morire quatru! Cerche ‘e cunchiurere ‘ssu comiziu mo’, ca
t’haiu capìtu buonu cchi marca sini! (Trilla il campanello
della porta) Chin’è!
(Fuori campo) Aperiti onorè’, signu Santuzzu!
E’ aperta pastinà’! ‘Mbutte ch’è aperta! (Entra) Nun te
capitatu nente ‘ssa vota?
Propriu nente, è jutu tuttu lisciu! ‘Nu successu, onorè’, è
statu ‘nu successu!
Cchi cosa, speghete buonu.
Mentre io passava ccu’ le trumbe a tuttu volume e
annunciava lu comiziu, ‘a gente se fermava, ‘ncantava,
sbarrava l’uocchi e facianu signi ccu’ le manu. ‘Ncunu fujia
puru appriessu! Forse se volìa congratulare. Ma io vulava
cumu ‘na freccia. ‘Nzomma, haiu lassatu ‘u signu.
Pecchi nun te si’ fermato, cussì te rendia cuntu ‘e cchi signu
se trattava!
E ca io parica signu fesso, don Nicò’.
(Entrando) Beh, cumu va la parata!
Camine Carmè’, però ccu’ incidenti varii di percorso.
(Santuzzu va a dare fastidio a Linardu)
Abbasta ca camine!
Però sapìmu versu duve?
‘U pranzu è quasi prontu, si po’ lassare ‘nu pocu.
(Indica a Linardu) Quantu finisce ‘ssa capu ‘e vumbula.
(Infastidito da Santuzzu) Chiamatillu don Nicò’, ca sinnò
pierdu ‘a pacienza e lu stennicchiu.
Esce ‘e lluocu guastafè’, lassalu ‘mpace!
‘Un ci haiu fattu nente... ‘un puozzu mancu guardare mo’!
‘Me bire cchi duvi campioni? Sempre ‘a stessa capu!
Lasse finire ‘ssa timpesta, Carmè’, ca pue ‘u sacciu io duve
‘e pruveriu!
(Si alza tirando un lungo respiro, alza le braccia al cielo e si
asciuga la fronte col fazzoletto) E’ fatta, compretatu don
Nicò’, da cima a fondu.
199
D. NICOLA
Povariellu, cchi fatigata! ‘Un pigliare corrente, asciuttete
buoni i sururi ca t’avìssi de venire ‘ncuna purmunita! (Con
severità) Camin’e lluocu, sbrigative tutt’i ruvi e
v’arricummannu alle quattru precise cca. E’ arrivata l’ora
del comizio d’apertura.
D.CARMELA Aviti ‘ntisu? Alle quattru.
LINARDU
Ce potiti cuntare ccu’ mie ‘e illu nun ve puozzu garantire (si
riferisce a Santuzzu).
SANTUZZU Stative tranquilli, viegnu puru primu ‘e illu; ‘e garanzie e
‘sse sparate ‘e galla ti le tieni ppe’ tie!
D. NICOLA Dai, sbrignati ‘e lluocu, jati v’accordati fore!
LINARDU
(Inciampa su Santuzzu) Arrassete ‘e lluocu, sempre ‘n
mienzu i pieri m’u truovu. Arrivederci e bon’appetitu.
SANTUZZU Mintete ‘e lente si ‘un ce viri. Arrivederci alle quattru.
(Linardu e Santuzzu escono).
D. NICOLA E’ tornata ‘a pace! Ppu… ppu…ppu, cchi pesta chi sunnu!
‘NTONETTA (Dalla porta della cucina) ‘A pasta fumìe supr’a tavula,
faciti subitu. (Rientra).
D. NICOLA E a mie me fumìe lu ciarviellu.
D.CARMELA (Si avvicina affettuosa al marito, lo prende sotto braccio e si
avviano versa la cucina) Jamu Nicò’, nun te risperare.
‘N’atru pocu, ‘n’atru pocu ca pue t’abbienti, n’abbentamu
tutti. (Don Nicola tentenna col capo). (Escono).
FINE PRIMO ATTO
200
ATTO SECONDO
(All’alzarsi del sipario la scena è vuota. Lo studio è tutto in disordine.
Squilla il telefono per una quindicina di secondi)
D.CARMELA Virimu a chine le role la trippa a stura. (Si siede sbuffando e
prende la telefonata) Pronto.... oh, quel simpatico don Fofò!
(Tentenna il capo e dimena la mano) In che cosa te potìmu
servere. Il caso del giovane? Quale giovane? Se è risorto? Io
signu allu scuru Fofò, Nicola non mi ha ‘ntrarita....come….
ti l’avìa data sicura. E allura cchi paura tieni, rormece ‘e
supra, si ti l’ha assicuratu illu. Nicola? E’ uscito da un po’, è
juto al seggio, sai com’è, cumu se rice: l’uocchiu ‘e r’u
patrune ingrassa il cavallu. Simu all’urtimi minuti e tu
capisci bene qual’è il travaglio! Quannu vue Fofò, ‘a casa è
aperta……d’accordo... ricambio, a presto. (Poggia il
microfono e si alza, evidenziando nervosismo e disprezzo)
‘A pesta chi te vegna, spilione chi un si’ atru. Fa puru
l’aristocraticu e lu nobile. ‘U cavalieri senza cavallu. Va
esce ‘e lluocu ‘ssu ragapieri! T’u facìssi io ‘u piacire alla
capu! Va fatighe cumu fannu l’atri, chiacchiarune! (Ad alta
voce) ‘Ntonè’, ‘Ntonetta.
‘NTONETTA M’ha chiamatu donna Carmè’?
D.CARMELA No, me signu sonnata. ‘E cose ‘e bo’ ritte sempre cientu
vote: guarde cumu c’è arridduttu ‘ntra ‘ssu studiu, cchi
disordine!
‘NTONETTA (Mentre riordina le cose) A curpa è d’a mia forse? Pigliatilla
ccu’ tutti chilli signori chi ce praticanu tutt’u jurnu!
D.CARMELA Poche parole e sbrighete. Tu si’ la serva, a tie tocche ‘ssu
lavoru.
‘NTONETTA (Molto dispiaciuta) Ca l’atre cose chine ‘e fa, sempre
‘Ntonetta, malevoluta puru. Eh, mannaia la furtuna!
(Sospira intensamente).
D.CARMELA Senza chi me cunti tutte ‘sse paranghelle, si vo’ stare cca
chissa è la legge!
‘NTONETTA Bella legge è chissa, assai democratica, chjna ‘e umanità.
Chine sgobbe sempre e chine mai!
D.CARMELA Sente, ‘a pacienza tene ‘nu limite, tu me canusci bene
‘Ntonè’. E nun me provocare, altrimenti....
201
‘NTONETTA (Ha uno scatto d’ira, gettando sul pavimento dei fogli di
carta che ha in mano) Altrimenti nente, te chiantu e mi ne
vaiu. Ca ne signu abbutta ‘e tutti ‘ssi bielli trattamenti.
D.CARMELA (Sorpresa) Tu te ribielli?
‘NTONETTA (Continua con lo stesso tono) E tu si la serva, e fa chissu e
fa chillu, ‘Ntonetta statti attientu... Basta! Mi ne vaiu! ‘U
tiegnu puru io ‘nu core, ‘na dignità, cchi be crirìti.
Facitiville sula ‘e cose, ccussì pue m’apprezzati. Stative
bona. (Si avvia verso la porta).
D.CARMELA (Cerca di trattenerla con maniere garbate e buone parole).
Cumu si’ sensibile certe vote, fermete. Duve vai? Rifrette
‘nu pitazzu, ragiunamu!
‘NTONETTA (Scoppia a piangere e desiste dalla sua decisione) S’ha de
ragiunare sempre donna Carmè’, io signu ‘na persona, ‘un
signu ‘na cosa!
D.CARMELA (Con tenerezza) Certu, certu, tieni ragiune, scusame. Certe
vote ‘e parole escianu sule.
‘NTONETTA E fannu male, taglianu cchiù d’i curtielli!
D.CARMELA Mo’ basta, siediti e riposete ca ne facìmu ‘na bella parrata.
(‘Ntonetta si rasserena). (Si odono dei passi e delle voci).
Arrivanu ospiti ‘Ntonè’. Guarde ‘na picca, propriu mo’ chi
potìamu stare ‘nsiemi ‘nu pitazzu!
(Ritornano da fuori Don Nicola e Linardu e, con passo svelto,
anno diritti a sedersi dietro le loro scrivanie)
D.CARMELA (Sbalordita) E cchir’è ‘ssa furia!
D. NICOLA (Mentre sfoglia delle carte) E’ arrivato il momento, l’ura
della verità. Se coglianu i frutti, Carmè’! Fra un’ora
comincia lo spoglio!
LINARDU
(Mimando con la mano) ‘A pisca donna Carmè’.
D.CARMELA ‘U sacciu, ‘u momentu è delicatu, ma cchi cos’è Nicò’, si’
trasùtu e ‘un n’ha guardatu mancu ‘n facce. Una se sente
puro male. Io e ‘Ntonetta stavamu parrannu belle belle,
stavamu parrannu tra amiche.
LINARDU
(Rivolto al pubblico e facendo gesti di meraviglia) E’
muortu ‘ncunu lupu!
D. NICOLA Scusame Carmè’, ho sbagliato. E, diceme ‘na picca,
‘ss’amicizia tra vue ruve quannu è nata?
202
D.CARMELA C’è stata sempre, tu nun ti ne si’ mai addunatu, ma c’è stata.
Tra noi donne ne capiscimu. Diciaccellu ‘Ntonè’!
‘NTONETTA (Con timidezza) E’ lu veru don Nicò’.
D. NICOLA (Con meraviglia) Sta cangiannu ‘u munnu, ‘a scala sociale
se sta accurtannu. Linà’, po’ sperare puru tu!
LINARDU
(Si desta di scatto) A cchine don Nicò’?
D. NICOLA Al nemico... ma cc’ha capìtu!
LINARDU
Ca puru io puozzu sparare.
D. NICOLA (Scandendo la parola)...”sperare” Linà’! Vene a dire che
puoi avere fiducia nel futuro.
LINARDU
Chissu ‘u sapìa don Nicò’, io sono speranzoso di natura.
Appartiegnu a ‘na razza ‘e speranzusi!
D.CARMELA Nicò’, ‘Ntonè’, chissu campe cent’anni. ‘Ntr’e vene sue
scurre gagumilla! Jamuninne ‘Ntonè’, jamu ppe’ li fatti
nuorri ca continuamu ‘u parraggiune. T’arricummannu
Nicò’, appena cumincianu a r’arrivare i primi risurtati
runeme ‘na vuce.
D. NICOLA (Con posa) Vai, vate tranquilla, ti farò avvisare. (Donna
Carmela e ‘Ntonetta escono. Linardu segue con sguardo
penetrante ‘Ntonetta) Me bire cum’è ‘mpetratu! Cchi t’è
chiavatu!
LINARDU
Nente don Nicò’, propriu nente, haiu fattu ‘na pausa di
lavoro.
D. NICOLA E ‘ssu ‘mpetramientu ti l’ha ordinatu ‘u sindacatu?
LINARDU
No, ppe’ carità!
D. NICOLA Allura ti s’è bloccatu ‘u motore?
LINARDU
E’ solo ‘nu difettuccio che haio di natura; e ‘mpetro!
Quannu ruve e quannu tri bote al giorno, da quando ero
bambino.
D. NICOLA (Sarcastico) E chine sinn’era addunatu! E, diceme,
quann’era bambino, a chine ‘mpetrava? ‘E bambole?
(Diventa furibondo) Finisciala, Linà’, fatt’u passare ‘ssu
difettu, sinnò te fazzu abballare ‘u sbrignu! (Mima con la
mano che lo caccia via).
LINARDU
Ce pruovu don Nicò’. ‘U risurtatu però nun vi lu puozzu
garantire.
D. NICOLA A forza, Linà’, nun vuogliu scandali ‘ntr’a casa mia!
Capito? E chiurimu l’argomentu: da mo’ in avanti tieniti
pronto a segnare sull’elenco, per ogni comune, i dati che
203
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
MICHELE
arrivano. Chissa è ‘na cosa seria. Ti raccomando, vispo e
preciso.
Nun ce chiove... signu prontu ppe’ l’operazione!
(Guarda l’orologio) Fra pocu Santuzzu ci dovrebbe
telefonare i primi risultati. L’ura ics stà ppe’ scattare.
Speriamu ca scatte bene. (Trilla il campanello della porta)
Ce simu don Nicò’. (Si alza le maniche della giacca).
Ma cchi fai! ‘A porta, Linà’, ‘a porta!
Cchiri?
Va apere. (Linardu esegue l’ordine e subito dopo torna a
sedersi).
(Entra in scena. E’ affetto da tic nervoso. Ha in mano un
paniere di ortaggi e un sigaro in bocca. Indossa il cappello,
giacca e pantaloni di velluto e calza un paio di scarpe grosse
e gambali) Bongiornu a tutti! ‘A bellezza ‘e don Nicola!
(Posa il paniere in un angolo e tende la mano a Don Nicola).
(Sorpreso e preoccupato) Michele mie, e chine t’aspettava
propriu mo’! Cari propriu a pinniellu! Ha sapùtu scegliere
‘u momentu giustu!
Io signu telematico, ho sentuto come una voce chi me
chiamava e ho pensatu: certamente è don Nicola chi me
cerche ppe’ me parrare. E cumu vedi signu venutu!
(Sconsolato) Ha fattu propriu buonu, n’avìa ‘nu spinnu
ranne ‘e te virere! ‘U’ me pigliava suonnu!
Lo vedi ca nun me signu sbagliatu! E pensare ca ‘n’atra
picca nun potìa benire, stava rimandannu, era tantu
‘mpacciatu.
Ma guarde ‘nu pocu! Avìa fattu propriu ‘na fissarìa!
Ma pue, cumu ha bolùtu Dio, ‘a ciuccia è figliata, cussì me
signu liberatu puru io.
Ho capito, ve siti liberati ‘nsiemi. (Con allusione) Linà’ ha
capìtu? Se su’ liberati.
La famiglia è aumentata! Vol dire ca ne runanu ‘na manu
puru illi, mo’ n’avìamu propriu ‘e bisuognu!
Si, certu, ni la runanu ruppia.
Eh, don Nicola mie !Sapissi quantu cose v’haiu ‘e dire. I
tiempi su’ tristi, ‘a proprietà nun frutte cchiù cumu ‘na vota.
Sta siccannu tuttu! Ppu ppu ppu, cchi carestia! E, dicitime
‘na pocu, vue l’avìti ‘nu pocu ‘e tiempu? Nun dicu cchiù,
204
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
LINARDU
MICHELE
LINARDU
MICHELE
LINARDU
MICHELE
LINARDU
MICHELE
LINARDU
ruve o tri ure, cussì ve ‘nfurmu ‘e tuttu puntu.
(Sbrigativo) Sente Michè’, tu ci ne vuve bene a don Nicola?
E cumu no! Ppe’ buve, ne jiesciu pazzu!
Allura, ppe’ l’anima ‘e r’i muorti, tutte ‘sse risgrazie va le
cunte a Donna Carmela, ‘a proprietà è la sua e te capisce
miegliu.
Ma, sa’ cum’è don Nicò’, ccu’ bue ce tiegnu cchiù
cunfirenza, me comprenniti ‘e cchiù.
Michè’, fa’ cumu t’haiu rittu. Non ho tempo. Signu
acchjaccatu
ppe’ lu cuollu. Sto aspettando i frutti della campagna!
(Indicando il paniere) Me duve sunnu don Nicò’, ‘ntr’u
panaru. Su’ pocu, ma vi l’haiu portati: pimbirori,
milingiane, quattru reste rape, ‘nzomma ‘na cosa ‘e tuttu.
(Seccato) Ma c’ha capitu. Sto aspettando i risultati
elettorali, no l’ortaggi! I voti, Michè’, chilli ppe’ jire a
Roma!
‘Nzomma, ‘na specie ‘e bigliettu?
‘Nu bigliettu buonu, sapissi!
E quannu arrivanu!
Priestu, da momento a momento. Perciò mo’ vaiu avvisu a
Carmela ca si arrivatu e te cunfiessi ccu’ illa. Intesi?
Si ve fa comberu a bue ‘e ccussì, vo’ dire ca me cuntientu ‘e
Donna Carmela.
(Mentre esce) Linà’, alla prima telefonata, t’arricummannu,
chiamame ‘e pressa.
Nun ve preoccupati, sto ccu’ le ricchie tise!
(Osserva per un pò l’atteggiamento di Linardu che, con la
penna in mano, attende i risultati) Giuvinò’, ricitime ‘na
cosa: vue ‘e quannu ce siti lluocu, ‘un vi ce sapìa!
‘E quannu su’ benute ‘e roglie a don Nicola.
Allura vue siti miericu? E ci l’aviti fatte passare ‘sse roglie?
Le su’ forzate cchiù assai, è diventatu puru nervusu.
Allura cchi miericu siti, faciti aumentare ‘e malatìe?
Signu miericu ‘e r’e carte: io scrivo e batto, sono lesto di
mano ccu’ la pinna. ‘U vi’ ss’aggeggiu? (Indica la macchina
da scrivere). Sutt’e mie treme, lu fazzu vulare!
(Con meraviglia) Tene le scille?
Senza scille, ma vule lu stessu.
205
MICHELE
‘Nzomma, siti ‘n’uomine ccu la capu chjna, capisciti ‘e
tuttu?
LINARDU
‘E tuttu; m’intenno di tutto, puro di campagna!
MICHELE
Quale campagna, chilla ‘e don Nicola o ‘a mia?
LINARDU
‘E tutt’e ruve; io tratto politica, voti, tritruli, pimbirori, tutto.
MICHELE
‘Nzomma miscati tuttu, faciti ‘na ‘nzalata!
LINARDU
Chillu chi ce vene! Tu ‘mbece canusci sulu ‘a zappa o sa
fare atro? ( Mima i movimenti dello zappatore).
MICHELE
(Che ha notato da un pezzo il tic nervoso di Linardu, pensa
di essere preso in giro, altrettanto pensa Linardu di
Michele). ‘N’atra picca tinn’adduni cchi sacciu fare cchiù!
LINARDU
Ci aviti ‘e pensare buonu?
MICHELE
(Adirato) Sente, giuvinò’, mintimu ‘e cose ‘nchiaru: tu
piensi ‘e me sfuttere? Te fuossi cunchiutu ‘ncunu piru?
LINARDU
Ma quale sfuttere e sfuttere, vue, cchiu priestu, me stati
pigliannu ‘n giro. E p’amure ‘e don Nicola ce staiu
passannu ‘e supra.
MICHELE
Io? Pellizzune chi ‘un si’ atru! Vire c’ancora mi la vientu: te
fazzu vulare ‘e r’a finerra. (Accenna a scagliarsi contro)
LINARDU
(Si alza per difendersi) A chine, a mie? Ma va’ camìne!
Carmete ziarì’, te perdugnu ppe’ l’età, sinnò cca virìssi ‘na
chjanca!
MICHELE
(Saltandogli addosso) E birimu allura chin’è lu chjanchieri e
chine ‘a piecura!
LINARDU
(Impaurito, invoca aiuto) Don Nicò’, donna Carmè’, fujiti,
veniti pristu! (Cade a terra una sedia e qualche foglio di
carta).
D. NICOLA (Fuori campo) I voti, i voti, Carmè’, stannu arrivannu i voti!
Ce simu! (Entrano di corsa Don Nicola e Donna Carmela).
MICHELE
Te scrapiettu…mi ne mangiu ‘u ficatu!
LINARDU
Ahi! Ahi ‘u vrazzu!
D. NICOLA (Disperato) Fermatevi, fermatevi!
D.CARMELA Dio mio, cchi diavuli scatinati!
MICHELE
Te fazzu virere io ‘u sfuttimientu!
D. NICOLA (Riuscendo finalmente a separarli insieme alla moglie) Cchi
b’è chiavatu, c’avìti avùtu?
LINARDU
M’è zumpatu ‘ncuollu, don Nicò’.
MICHELE
(Cercando di liberarsi della stretta di don Nicola) Te fazzu
mangiare terra!
206
D.CARMELA Mo’ basta, finiscitila!
D. NICOLA (Disperato) Ma cchi boti, propriu confortanti! Spegatimme
‘nu pocu, cch’è successu?
MICHELE
M’ha fissìatu, don Nicò’, me sfuttìa ccu’ lu difettu chi
tiegnu, ‘u tic nervusu.
LINARDU
Bugiardu, tu me sfuttìa!
D. NICOLA Carmè’, me bire me bire cchi grande equivoco!
D.CARMELA Nun n’avìti nullu ‘e r’i ruvi curpa, siti stati sulu sfurtunati a
be trovare ‘nziemi. (Linardu, sofferente, si tiene il braccio).
MICHELE
Cchi sunnu ‘ssu quivucu e ‘ssa sfurtuna don Nicò’?
D. NICOLA (Rientrato in se e con pazienza) Sente Michè’, la colpa è
della sorte che vi ha punito con lo stesso difetto. Il tic, una
sciocchezza si può dire; ‘u guai è statu ‘n’atro, che né tu
canuscìa ‘u difettu ‘e Linardu né Linardu canuscìa lu tue.
Ha capitu? Siti compagni di sventura, vi dovete volere bene.
MICHELE
Sicuru, don Nicò’!
D. NICOLA Stanne certo, io ve canusciu a tutti ruvi, conosco il vostro
insignificante difettuccio!
D.CARMELA Ma si, oggi chine ‘u’ lu tene ‘nu tic, ‘nu saurimentu nervusu
ccu’ ‘ssa vita chjna ‘e rrusci?
MICHELE
Allura, s’e de ccussì, ciercu perdunu. (S’inginocchia ai piedi
di don Nicola) Me ritiru tuttu chillu ch’haiu fattu. Scusatime
don Nicò’!
D. NICOLA Su’ Michele, alzati, non fare il bambino!
LINARDU
‘E scuse va bene, però a mie ‘u vrazzu me role lu stessu!
D.CARMELA Zitto Linà’, non è niente, ti passerà presto.Ora datevi la
mano, fate la pace, su’ sbrigative, dimenticate tutto. (I due si
riconciliano).
MICHELE
Caro giovane scusame, ma ‘un ce simu capiti! (Linardu
annuisce).
D. NICOLA Bravo, bravo a Michele, si vede che hai il cuore
buono.Adesso vai con Carmela in cucina che ti offre ‘na
cosa frisca e potete parlare a lungo della proprietà.
D.CARMELA Jamu Michè’, vieni, ‘ntrarisceme di tutto. (Escono).
D.NICOLA
Linà’, cumu te sienti? Il braccio po’ funzionare?
LINARDU
‘Nu pocu miegliu. (Si siede) Parica ‘u puozzu movere ‘e
cchiù. Ma cchiù d’u vrazzu, ‘a paura don Nicola mie. Tutt’a
‘na vota mi 1’haiu vistu ‘ncuollu, chillu bestiune, ccu’ chille
manu chi parìano mazze.
207
D.NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
Mani di agricoltore Linà’, toste, piene di calli, certo che
fanno male. Ma tu, benerittu te via, nun potìe fujere ‘ntr’a
cucina!
E cumu facìa! Nun m’ha datu tiempu, m’ha tagliatu ‘a via.
Mo’ cerche di ripigliarti, come vedi è finitu tuttu.(Va a
sedersi)
E’ finita! Ma si viriati cchi furia! ‘Mprima m’ha livissatu
‘nu pune cca (indica la fronte) e ppe’ dire ‘a verità me signu
‘ntisu ‘nu pocu cchiù lucidu ‘e prima.
Ti avrà messo a posto qualche ‘ngranaggio che prima era
guasto. E, dimmi, ancora ti senti lucido, ‘nzomma cchiù
sveglio di prima?
Pare de si, don Nicò’.
E’ un miracolo Linà’, puoi ritenerti fortunato, si’ sanatu
senza operazione!
‘Ssu miraculu m’è custatu assai!(Squilla il telefono).
Pronto.. si…si... ce simu... ancora a metà sfoglio? Linà’,
penna e fogliu,scrive.Papanici,preferenze:quarantotto...
Parenti…sessantasei... Carpanzano…settanta.
Simu in salita, ‘a cosa va crisciennu!
(Preoccupato) Silenzio, sta scriviennu?
Con precisione!
Va bene... si… va bene....Santù’, allura fra circa un’ora?
Certu, i definitivi... Va bene. (Abbassa il microfono)
Cuminciamu buonu, cuminciamu! Eppure da questi paesi
mi aspettavo qualcosa in più!
Don Nicò’, stamu jiennu buoni?
Stamu trabballandu Linà’! I primi signi nun su’ tantu buoni.
(Squilla di nuovo il telefono) Si….oh caro Giovanni... certo
ti stavo aspettando, detta pure. Scrive Linà’. Rogliano,
centocinquanta; Mangone, settantacinque; Cellara, trenta;
Figline, quaranta. D’accordo... D’accordo. (Sconsolato
abbassa il microfono).
‘A cosa pare ca aze e basce, no don Nicò’?
Cumu ‘a freve ‘e r’a gola! Sapìmu cchi ne esce? Duve ne
‘mbarcamu?
Qualsiasi puortu è buonu, purchè se naviche!
(A Linardu che ha ripreso ad esprimersi in maniera sciocca).
E’ guastatu torna ‘u ‘ngranaggiu! ‘E rotelle su jute torna
208
LINARDU
D.NICOLA
LINARDU
D.NICOLA
D.CARMELA
MICHELE
D.NICOLA
D.CARMELA
D.NICOLA
D.CARMELA
D.NICOLA
D.CARMELA
D.NICOLA
LINARDU
D. CARMELA
D. NICOLA
D. CARMELA
MICHELE
fore postu! Me sa ca ce vo’ ‘n’atru punu ‘e Michele. (Si
concentra, poi ad un tratto chiama ad alta voce) Michè’,
Carmè’! (Linardu sobbalza dalla sedia spaventato).
Cchi faciti don Nicò’, ca io fuju!
Cca male capìtu, assettate, duve fuji!
E bue pecchì aviti chiamatu a Michele!
‘U sacciu io, statti carmu ca ‘un te succede nente.
(Entrano Donna Carmela e Michele. Linardu scruta con
timore Michele che va a mettersi vicino a lui).
(Con premura) Nicò’ ha chiamatu, cchi bue?
Comandi don Nicò’!
Ma cchi comandi e comandi, su’ arrivati i parziali. Metà
sfogliu.
E cumu su’, cumu sunnu?
Sconfortanti Carmè’, chjni ‘e dubbi! Dobbiamo prepararci
al peggio!
(Disperata) Non è possibile, nun ce vuogliu crirere! Riceme
ca nun è veru Nicò’, ca m’ha volùtu fare ‘nu scherzu!
(Don Nicola rimane muto e pensoso) Tu nun rispunni Nicò’,
allura è veru? (Implorante) Maronna mia, è veru! Fammilla
tu ‘ssa grazia, caccene ‘e ‘ssu disonore, ‘e ‘ssa chjna!
‘Ncunu ha traditu, m’ha fatto ‘u pere ‘e gallu, m’hannu
sabotatu! Carogne, sciacalli, votafaccia.
Disgraziati, sutta ‘sse granche ‘e bolissi ‘ssi favuzuni!
E’ finita Carmè’, è finita ppe’ tutti! (A Linardu) Mo’ te va’
abbuschi pane a ‘ncun’atra parte, pistilicoiu mie, cca se
slogge! Ha finìtu ‘e me fare jettare ‘u sangu.
Don Nicò’ e cc’haiu fattu io ‘e male! Nun me jettati ‘n
mienzu ‘na via. Io staiu pregannu a Santu Bartolomeu.
Ancora ‘u r’è ditta l’urtima parola. (Michele assiste
sbalordito).
(Accovacciata su una sedia) Cchi sciuollu, cchi rovina!
Michè’, cumince puru tu a te cogliere ‘e baghettelle, trovate
‘n’atra rropa, la campagna ni l’amu jocata! Si vende
Michè’! (Michele è frastornato e incredulo).
Nooo, ‘a campagna no! E’ ‘nu ricordu ‘e famiglia! Miegliu
‘a morte!
Ma cchi diciti, nun ce staiu capisciennu propriu nente,
facitime ‘ntrarire ‘nu pocu.
209
D. NICOLA
E a cchi serve! Capirai, capirai dopo. (Squilla il telefono,
tutti sono ansiosi) Pronto... si, ce su’ novità? (Donna
Carmela prega) Quanto? (Sconsolato) Aspetterò! Si,
aspetterò (posa il microfono).
D. CARMELA Allura Nicò’? Parre, cchi t’hannu rittu?
D. NICOLA Continue a jire male. I jettaturi e li ‘mbiriusi hannu vintu,
m’hannu potutu!
D.CARMELA (Viene colta da una crisi isterica) E’ ruvinata ‘a casa mia!
E’ finita. Sciuollu mie ranne! (Strappandosi i capelli, cade a
terra svenuta).
D.NICOLA
Dio mio! Carmè’, Carmè’ rispunne! ‘Nu miericu, chiamati
‘nu miericu. Linà’ fúje, va chiame a don Cicciu. (Michele e
don Nicola cercano di dare aiuto a donna Carmela).
MICHELE
Maronna mia! Donna Carmè’, parrati!
LINARDU
Duve sta don Nicò’.
D.NICOLA
Al portone di fronte, nu’ perdere tiempu, fa priestu! ‘Nu
pocu ‘e acitu, Michè’, ‘ntr’a cucina, sbrighete. E’ la fine i
signi eranu giusti! Sono rovinato! (Dopo un po’ entrano di
corsa Michele e ‘Ntonetta che ha un bicchiere in mano e lo
dà subito a don Nicola).
‘NTONETTA Cch’è successu! Cch’è statu? (Allarmata) Maronna mia, è
morta donna Carmela!
D. NICOLA Allargative, allargative, un po’ di aria. (Donna Carmela dà
segni di ripresa). Carmè’, Carmè’, cumu te sienti? (Esprime
a gesti che va meglio) Aiutatemi, portiamola sul divano.
(Entra Linardu).
LINARDU
Ho conchiuso, don Nicò’.
D. NICOLA E duv’è don Cicciu?
LINARDU
E’ addietro, l’ho staccato, haiu fijutu cumu ‘nu direttu.
D. CICCIO
(Entrando) Com’è successo, Nicò’?
D. NICOLA Pue te cuntu, pue te cuntu, Ci’.
LINARDU
Mentre parrava, tutt’a ‘na vota è chiumbata ‘nterra.
MICHELE
(Porta il dito indice al muso per far zittire Linardu) Ss...Ss...
D. CICCIO
Vediamo un po’, vediamo di che si tratta. (Effettua
un’accurata visita) State tranquilla, donna Carmè’, non è
niente. Ma come mai, voi così battagliera!
LINARDU
(Di nascosto) ‘Un ne parramu propriu!
D. NICOLA (Preoccupato) Ci’, com’è la situazione?
D. CICCIO
Stai calmo Nicò’, state tutti calmi, che si risolverà tutto
210
D.CARMELA
D. CICCIO
D.CARMELA
D. NICOLA
DON CICCIO
D. NICOLA
DON CICCIO
D. NICOLA
DON CICCIO
D.NICOLA
D.CARMELA
DON CICCIO
D.CARMELA
D.NICOLA
DON CICCIA
LINARDU
‘NTONETTA
D. CARMELA
bene. La pressione va bene, i battiti del cuore un po’
accelerati ma tonici. Niente di preoccupante, nun ce vonnu
nemmenu mericine. Donna Carmela ha bisogno solo di un
po’ di riposo e di tranquillità.
(Con voce fioca) E chine t’a rune, don Ci’, chissa è ‘na cosa
chi nun s’accatte!
Capisco, avete ragione. Comunque si è trattato di una
piccola crisi nervosa. C’è stato-qualche motivo serio?
(Linardu esprime con gesti il movente dell’accaduto).
Gruossu, don Ci, ‘na timpesta!
(Scuotendo la testa) ‘A politica, Ci’, le preferenze!
Oh perbacco! Eppure non sapevo che donna Carmela
s’interessava tanto di politica, che la emozionasse tanto.
Ci’, ‘u fattu è ‘n’atru, abbiamo avuto delle notizie
allarmanti sull’esito delle votazioni. ‘Nzomma ‘a cosa è
‘mbilicu. Ci’, sto rischiando il seggio! E Carmela non ha
resistito, è crollata povera donna!
Ma guarda cche donna premurosa, sensibile! Nicò’, e come
mai, con tutte le tue amicizie! No, non ci voglio credere!
Eh, caro Ciccio, le cose cambiano, siamo ai tempi dei
tradimenti, ‘e r’i votafaccia! Ti promettono sicuro e pue te
fricanu certu!
Dio, quanta perfidia c’è negli uomini! Quanto inganni!
Quindi tu dici che non ci sono più speranze?
Su’ piccule, ma ancora ce sunnu, Cì’!
(Ripresa abbastanza). Ci hannu ‘e resere, ppe’ forza Nicò’,
nun po’ finire tuttu a ‘na vota. Nun ce vuogliu crirere!
Calma, donna Carmè’, calmatevi. Pensate alla vostra salute
ch’è cchiù importante ‘e r’a politica!
‘E cose su’ ligate, caminanu ‘nziemi: si va male una, va
male puru l’atra!
Cchi t’avìa dittu, Cì’, Carmela ‘a sente cchiù de mie, è ‘na
fimmina all’antica, affezionata!
Lo vedo, lo vedo. Infatti è svenuta ppe’ tie. Cche sensibilità!
(Squilla il telefono e tutti sobbalzano. Don Nicola si
appresta a rispondere).
(Rivolto al pubblico) L’urtima sentenza!
Speriamu bene, donna Carmè’!
Maronna mia ‘a grazia, fammilla ‘ssa grazia!,
211
D.NICOLA
D. CARMELA
D. NICOLA
LINARDU
DON CICCIU
D.CARMELA
D. NICOLA
D.CARMELA
‘NTONETTA
D. NICOLA
D.CARMELA
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
D.CARMELA
D. NICOLA
D.CARMELA
LINARDU
MICHELE
‘NTONETTA
(Emozionatissimo) Calma, calma e silenzio. Pronto... rice
subitu. (Cala un silenzio di tomba) Si... Si...(Riceve buone
notizie ed è visibilmente euforico) Veramente? Sia
benedetto il Signore! (Donna Carmela è frenetica).
Rice Nicò’, ‘nfurmeme!
(Fa segno con la mano di pazientire) Ss...Ss... Un attimo, un
attimo, Linà’ scrive….
A lampu, fazzu a lampu.
(Cerca di calmare donna Carmela) Ti prego, conserva la
calma, non vi agitate.
E cumu fazzu?
(Fa
segno
di
zittire)
Ss...
Ss...
Dici....quattrocentocinquanta... settecento.... milleduecento.
(Euforica) Se saglie, ‘Ntonè’, stamu sagliennu!
(Stupita) Adduve donna Carmè’?
(Fa
segni
di
giubilo
con
la
mano)
Millecinquecento...tremila……
(Incontenibile dalla gioia) Cchi zumpu, Nicò’!
Si...Si... Va bene, dammi solo il totale....venticinquemila.
(Euforico). Ho capito bene? Ripeti...venticinquemila. (Fa un
salto di gioia) Lo vedo, lo vedo, c’è stato un terremoto. I
miei voti erano tutti sotto.
Stavanu cuvannu don Nicò’!
Appena ti è possibile vieni, ti aspetto...ciao. (Eleva le
braccia al cielo e si alza) Cchi sorpresa, cchi sorpresa!
E’ fatta, è fatta Nicò’!
Un minuto, un momento di calma. Linà’, manìete, porte
l’elencu. (Linardu esegue l’ordine) Facciamo ‘nu pocu i
conti. (Tutti attendono ansiosi) Allura, quorum: trentamila.
Zero, zero, cinque e tri uottu, cinque e quattru nove e duvi
unnici... unu che riporta e duvi tri... Totale:
trentunumilaottocento. (Salta dalla sedia esultando. Tutti
sprizzano di gioia) Vittoria, Carmè’, vittoria: è fatta!
Simu salvi, signu sanata don Ci’, ‘a timpesta è finita! (Corre
ad abbracciarlo).
‘U postu è sarvu, ‘u pane è assicuratu!
‘A campagna ha fruttatu Don Nicò’.
Simu salvi, simu sarvati tutti! (Tutti fanno gli auguri a don
Nicola e a donna Carmela).
212
DON CICCIU Calma, calmatevi! A volta le gioie sono più pericolose dei
dispiaceri!
D.CARMELA Ma armenu se more cuntienti, don Ci’!
D. NICOLA (Mentre abbraccia la moglie) Carmè’, amu vintu! ‘Nu
successu! ‘N’apoteosi! E chine ce crirìa cchiù!
DON CICCIU Vedi Nicò’, cchi t’avìa dittu io: la speranza è sempre
l’ultima a morire.
D. NICOLA Ci’, te ringraziu, me si’ statu ‘e granne aiutu!
DON CICCIU Di niente Nicò’: dovere e amicizia. L’ho fattu con piacire.
D.CARMELA ‘U spumante, duv’è lu spumante. Fuie, ‘Ntonè’, ‘ntr’a
cucina, va lu piglie. ‘U francese, ‘Ntonè’!
‘NTONETTA Chillu chi sbruffe assai?
D.CARMELA Chillu chi fa botte ranne e sc-cattaruse, alla facce ‘e r’i
‘mbiriusi! (Linardu si stropiccia le mani e, rivolto a
Michele, strizza l’occhio).
LINARDU
Allegria, se brinde: amu vintu!
MICHELE
Don Nicola ha bintu, nue amu ‘e fatigare ‘u stessu!
D.CARMELA Amu vintu tutti, chine ‘e cchiù e chine ‘e menu, s’intende!
MICHELE
Brava a donna Carmela! Chine assai e chine pocu. Ne
cuntentamu ‘e chissa.
DON CICCIU Beh! Io haiu ‘e scappare, ho lasciato ‘u studio con tanti
pazienti.
D. NICOLA ‘N’atru pocu Ci’, cchi pressa tieni, mo’ arrive lu spumante.
I pazienti aspettanu, su’ pazienti ppe’ nente?
DON CICCIU Eh, sapissi Nicò’, come sono fatti esigenti! I tempi su’
cangiati. Te venanu disturbanu puru ppe’ ‘na semplice
cacarella.
D. NICOLA Magari roppu ‘n’abbuffata ‘e cerasa! Come ti capisco Ci’,
come ti considero. (‘Ntonetta porta lo spumante ed alcuni
bicchieri).
D.CARMELA Nicò’ ‘a botta falla tu, tocche a ttie! ‘Ntonè’, runece ‘a
buttiglia. (Distribuisce i bicchieri).
D. NICOLA Damme ‘ssa francese, ‘Ntonè’, ca ce fazzu cantare l’inno di
Mameli. (Si appresta a sturare la bottiglia mentre Linardu, Michele
e ‘Ntonetta, impauriti dal botto, cercano riparo) Bu..um! Alla
vittoria, crepassinu i jettaturi! (Si appresta a riempire i bicchieri).
D.CARMELA Forza Nicola, inchje, brindamu, ca ‘u sc-cantu è statu ranne.
DON CICCIU Ppe’ ‘nu futuru brillante, pieno di successi!
MICHELE
Alla salute e bona furtuna!
213
LINARDU
Allegria e cin cin.
D.CARMELA Giojimu, giojimu assai, vivìti ca ci n’è cchiù.
‘Mbriacamune, abbiamo conquistato Roma!
D. NICOLA E chine s’a crìria, chine ce sperava cchiù roppu tutti chilli
lampi e truoni!
D.CARMELA E’ ‘nchiaratu a ‘na vota Nicò’, ‘a timpesta ha pigliatu
‘ncun’atra parte, ha annegatu a ‘ncun’atru. Cumu se rice,
don Ci’: chine periculu scampe, campe cent’anni!
DON CICCIU E’ vero, aviti ragiune, è propriu ‘e ccussì. Ora però vi devo
lasciare. Vi ringrazio di tutto. Ci vediamo con calma.
D. NICOLA Si propriu ‘e jire nun te trattiegnu, fa’ cumu vue. Ah,
dimenticavo, quant’è lu fastidiu, Ci’? (Prende il portafoglio)
DON CICCIU Ma va’ Nicò’, non mi fare ridere! Da te aspetto solo
comandi. L’amicizia non ha prezzo! Stammi bene Nicò’.
Donna Carmè’, i miei rispetti!
D.CARMELA Ci rissobrigheremo, grazie e salutame assai a donna Lena.
DON CICCIU Vi servirò. E vi raccomando, cercate di contenere
l’emozione.
D.CARMELA Chissa è ‘n’emozione bona: ‘un fa nente!
D. NICOLA Arrivederci, Ci’, sempre a tua disposizione.
DON CICCIU Servo tuo! Ciao. (Esce).
D.CARMELA E fatte guardare Nicò’! ‘Ntonè’, Michè’, Linà’ guardati,
ammirati l’onorevule nuorru, ‘a speranza ‘e tutti!
D. CARMELA ‘A festa Nicò’, amu ‘e preparare ‘a festa..
D. NICOLA Calma Carmè’, mo’ ce vo’ sulu ‘nu pocu ‘e abbientu, ‘nu
pocu ‘e pace. Non c’è fretta. Mo’ vuogliu restare ‘nu pocu
sulu, me vuogliu rilassare.
MICHELE
Roppu ‘ssa fatigata tu ricu io, sacciu si ce vo’ ‘n’abbentata!
D.CARMELA Cumu vue, fa’ chillu chi te piace, ne tieni ragiune.
Abbentete! Scarriche tutt’u tuossicu, nue jamu ‘ncucina.
Gioventù’, dai, jamuninne. (Don Nicola rimane solo).
D. NICOLA (Sprofonda sul divano rimanendovi per un po’. In seguito si
alza e volge lo sguardo al Crocifisso) M’ha volutu fare
spagnare, m’ha volutu fare sentere ‘u sapure ‘e r’a sconfitta!
Nun fa nente, io te ringraziu ‘u stesso, te amu cchiù de
primu. L’haiu sempre ‘ntisu dintra re mie ca nun me potìa
lassare sulu, ca me sarvava re la chjna. Grazie, grazie re
tuttu ‘u’ mi ne scuordu mai. ‘E oje avanti don Nicola
Pastetta sarà il servo vostro e del popolo, lotterò per le cause
214
DON FOFO’
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
D. NICOLA
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
BRUNILLU
D. NICOLA
DON FOFO’
D. NICOLA
giuste e ppe’ tutt ‘i bisognosi. Penso ch’è chillu chi vo’ tu,
no? Non mi farò corrompere da tangenti e sfruttatori, mi
farò bastare i miseri sette milioni al mese che mi passa lo
Stato! Aiuterò i giovani e non ingannerò mai nessuno.
(Trilla il campanello della porta) ‘Nzignanu i rumpimienti!
Jamu propriu buoni! M’era abbentatu assai! (Va ad aprire)
Onorevole mie caru! Fatti abbracciare. Mi ha informato
Giovanni.
Bongiorno e aguri Onorè’! (Ha in mano un fagotto che
contiene un regalo per don Nicola).
Auguroni ce l’abbiamo fatta, eh!
Ppe’ miraculu Fofò, ppe’ ‘nu pielu!
L’interessante è ca è fatta, che sei rimasto al tuo posto tanto
meritato. ‘U riestu ‘un tene ‘mportanza. Sapissi, Nicola mie,
quantu me signu ratu da fare, non ho chiuso occhio. Così
pure questo bravo giovane. Ha sbattutu cumu ‘na trotta,
Nicò’. Ha mobilitatu tutt’u parentatu.
Grazie, grazie a tutti. Simu stati tutti al fronte!
E’ statu ‘nu piacire lottare ppe’ ‘na causa giusta, per un
uomo onesto e comprensivo.
Certo, certo, il nostro Nicola merita, si fa amare da tutti.
No propriu tutti, Fofò. Pensa ‘nu pocu ai colleghi candidati
chi nun su’ stati eletti! Tu piensi ca chilli me amanu? Ti
l’ammagini a chist’ura quantu jestigne e maleparole
ammuzzellanu!
E’ veru, tieni ragione. Ma cchi tinne ‘mporta, tu fai le corna
e si’ appostu! Lassa ca priericanu! Brunì’, la gente è
maligna, invidiosa. Tu si’ ancora giovane e tante cose nun le
sai! Eh, sapessi figlio mio! S’ha de caminare ccu’ ‘nu ciceru
‘e sale ‘ncuollu!
L’haiu notatu don Fofò, l’haiu notatu ‘ntra ‘ssa campagna
elettorale. Sapissi ccu’ quanta gente me signu avutu ‘e
liticare quannu ce rava lu numeru ‘e don Nicola!
Sarai ricompensato, avrai quello che aspetti e ti meriti!
Ce su’ novità? Ha già fattu tuttu Nicò’! (Brunillu è
visibilmente lieto).
Tuttu! E’ ‘na parola, a ‘na vota! Diciamo ca m’hanno
promesso. ‘Nzomma me signu ratu da fare, anche si signu
statu acchiaccatu ppe’ lu cuollu.
215
BRUNILLU
DON FOFO’
BRUNILLU
D. NICOLA
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
BRUNILLU
D. NICOLA
DON FOFO’
BRUNILLU
D. NICOLA
BRUNILLU
D.NICOLA
DON FOFO’
Grazie, grazie Onorè’.
‘Un c’eranu dubbi. Ti l’avìa dittu Brunì’. Don Nicola te
cacce d’i guai, è di parola. Nun fissìe, ‘un prumminte si nun
è sicuru.
Chissu l’ho capitu dal primo giorno ca ‘un n’era cumu l’atri.
Nun fujimu però. Ricimu ca la cosa è ‘mbiata, mo’ va
seguita.
Cchiù de vue, onorè’, chin’è ca a po’ seguire!
Certu, va tenuta ‘e uocchiu, potrebbe ‘ncepparsi e quindi va
spinta. ‘A concorrenza è grossa, Brunì’, ognunu spinge le
cose sue. Ma cchiù o menu ‘e cchi se tratte, Nicò’?
Del campo dei trasporti.
Nicò’, nun te scordare ca illu è filosofu!
Eh, sapissi di quantu filosofia c’è bisuognu in questo
campo, ccu’ tutt’i scioperi e li ritardi ‘e r’i treni!
Si ‘u rici tu! Brunì’, tu cchi ne rici, si’ cuntientu?
E cchi be puozzu rire, magari fuossi! Haiu rrurutu ‘e scarpe
a girare a pere! Forse è benutu ‘u momentu ca camignu a
cavallu. Ce vaiu vulannu, puru romani matinu.
Intendimune buoni, nun vuogliu equivochi io, né illudere a
nullu. Io ho datu parte a ‘n’atru onorevole amico, chi è
cchiù vicinu alli trasporti, che mi ha detto di sperare, pecchì
ha scopertu ca ce unu che deve jire in pensione o st’annu o
stannichivene, e si ‘u postu ‘un va a concorsu, capìtu? Si
‘un va a concorsu la cosa si potrebbe cunchiudere, chiaru?
Ppe’ dire ‘a verità non tantu Nicò’, però si ‘u rici tuni! (A
Brunillu) A ttie cchi tinne pare?
(Ha intuito la paradossale situazione e manifesta una certa
rassegnazione). ‘A cosa ppe’ dire ‘a verità è ‘nu biellu pocu
‘ntrugulata! Cchi te puozzu rire don Fofò?! Continuo a
campare di speranza!
Ecco, bravo, il giovane ha capito. E’ fiducioso. Nun se
scoraggia. E’ signu ‘e forza e saldezza di nervi. Continua
così, nella vita c’è tanto bisogno di queste tue doti!
Ppe’ dire ‘a verità, onorè’, tra quannu studiava e doppu
l’esaurimenti su’ stati cinque, l’urtimu mancu ruvi misi
addietro.
Oh perbacco! Eppure non si nota.
Il giovane è sensibile, all’apparenza nun se note il dramma,
216
D. NICOLA
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
DON FOFO’
BRUNILLU
DON FOFO’
BRUNILLU
D. NICOLA
DON FOFO’
D. NICOLA
BRUNILLU
D. NICOLA
DON FOFO’
ma macine dintra, ‘u ficatu si lu pezzie d’a race! E ha più
che ragione poverino.
Quantu me rispiace nun potire fare nente .subito! Ppe’
mettere sulla bocca di questo giovane il sorriso, ppe’ dargli
la gioia di vivere. Ma stati sicuri che mi farò a piezzi ppe’
risolvere il caso. Bisogna sapere attendere.
Onorè’, haiu aspettatu trenta e aspiettu trentunu, tantu nue
giuvini ce simu abituati a r’aspettare, a cunsumare l’energìe
passiannu.
Situazione pericolosa questa Nicò’! Eccu pecchì tanti
giuvini sbalerranu, diventano facile preda della droga e
della mafia. ‘U motivo c’è e granne puru! E pue, ‘ssi ranni
scienziati fannu ‘e tavole rotonde ppe’ scoprire ‘e cause.
Ma, ricu io, fannu i fissa o ce su’ daveru?
‘A cosa è compricata, i motivi su’ tanti e curpe ci ne su’ de
tutt’e parte. Comunque, lassamu stare, l’indagine sarebbe
lunga. La sua situazione, però, vi prometto che sarà risolta.
Non bisogna avere fretta.
Ha sentutu Brunì’, non devi avere fretta. Tu ne tieni pressa?
(Ironicamente) E a duv’è ‘ssa pressa! Cchiù chianu ‘e cumu
staiu jiennu!
Allura, avute tutte sse garanzie nun ce rimane che
andarcene, toglimu ‘u disturbu a Nicola ca tene tantu
bisuognu ‘e riposu roppu ‘ssa ranne lutta. (Si alza).
Cumu voliti vue don Fofò, io signu prontu. (Si alza ed è
indeciso, vista la situazione poco rassicurante, se dare il
regalo a don Nicola).
Aviti propriu decisu?
Vo’ dire ca me fazzu sentere in seguito ppe’ avìre notizie
cchiù frische!
D’accordo, intesi, restamu ‘e ccussì.
(Si decide di consegnare il regalo) Onorè’, v’haiu portatu
‘ssu picculu signu ‘e riconoscenza, ‘nu prodottu fattu alla
casa, ‘nu capeccuollu. Vi lu mangiati pp’amure mie!
(Visibilmente interessato alla cosa) Oh, benerittu giovane!
Te si’ bolutu disturbare! Nun ce volìa propriu nente, io i
piaciri li faccio sbrisceratamente!
Accettalu Nicò’, è ‘nu prodottu squisitu, ti l’assicuro!
Brunillu mi n’ha regalatu ‘n’atru a mie e nun te ricu ‘u
217
D. NICOLA
BRUNILLU
DON FOFO’
D. NICOLA
BRUNILLU
D. NICOLA
sapure!
Allura l’accettu, vuogliu virere se i nostri gusti sono simili.
(Brunillu porge il regalo). Grazie; oh, cumu è luongu! (A
Brunillu) Nun te preoccupare, sarai sempre nei miei
pensieri!
Ce spieru, onorè’, ce spieru!
A priestu Nicò’.
Ciao Fofò, sempre in gamba!
Bongiornu onorè’. V’arricummannu! (Escono).
(Molto scocciato) Jati, andate al diavolo! A priestu, ti
raccomando, ma jati a morire ammazzati, ‘ssi scocciaturi!
(Va a sedersi) ‘U sacciu io ch’haiu passatu, ‘a paura c’haiu
avútu! Mo’ vene illu, don Cazzera, bellu friscu e ordine!
Ma va’ pasce piecure!
(Entrano donna Carmela, Michele e Linardu. Linardu ha
bevuto qualche bicchiere in più e, sbandando vistosamente,
si appoggia a Michele che cerca di evitarlo).
D.CARMELA Nicò’ te si’ riposatu ‘nu pitazzu?
D. NICOLA (Ironizzando) Propriu buonu, a suonnu chjnu! Eh, si sapissi!
C’è statu torna chillu perdatiempu. Mo’ sin’è jutu, ‘nu
minutu addietru.
D CARMELA Chine?
D. NICOLA Fofò, Carmè’, ‘nsiemi al giovane, ppe’ lu postu.
D. CARMELA Ma cumu sa scegliere ‘u mumentu giustu, ‘u scunchiutu!
E’ statu furtunatu ca ‘un ce signu trovata, sinnò ci la cantava
io ‘a pampina! Io ‘n’atra picca era morta e l’atri vonnu i
posti. Ih, sbrigognati!
D.NICOLA
(Si è accorto dello stato in cui si trova Linardu) Me bire, me
bire ‘u mobile! Cumu l’avìti cumbenatu a chissu?
D. CARMELA S’è conzatu sulu, Nicò’, ppe’ la ranne gioia.
D.NICOLA
Illu già era finu! Linà’, ma cumu si’ conzatu?
LINARDU
In piedi Don Nicò’, in piedi e col vino qua dentro (indica lo
stomaco). Però lo porto bene (alza un piede), vedi, non
chiumbo a terra. (Sbanda e va addosso a Michele).
MICHELE
Ma ‘nzomma a vo’ finire o te rugnu ‘n’atra dose?
NICOLA
Lassalu perdere Michè’, assettalu a ‘na rasa. Puru ‘u
‘mbriacu ce mancava ppe’ la fare compreta!
218
LINARDU
D. NICOLA
D. CARMELA
D. NICOLA
LINARDU
D. CARMELA
D. NICOLA
MICHELE
D. CARMELA
D. NICOLA
D. CARMELA
MICHELE
D. NICOLA
D. CARMELA
MICHELE
D. NICOLA
D. CARMELA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
‘Mbriaco si, ma di gioia, ppe’ tua vittoria, ppe’ norra
vittoria, doppo fatigato e sc-cantato tanto. (Tutti ridono).
Va bona va, c’amu capitu! Cerche a dormere e ‘un dare
fastidiu. Carmè’, e ‘u’ lu potiati guardare?
E chine ‘u tenia! Vi’, unu appriessu l’atru! (Mima il
trangugiare)
N’avìa ragiune, povariellu! (A Linardu) Riposete mo’,
roppu ‘ssa fatigata!
Come volete, eseguo subito. Bonanotte (si addormenta sulla
sedia).
Lassalu jire, cchi ‘mpacciu te rune! Cchi ba’ fa Nicò’! S’è
bolutu sfogare puru illu!
Michè’, e tu nun te si’ sfogatu? Nun ne tieni bisuognu?
Io me sfuogu in campagna, ccu’ la zappa, Don Nicò’! Ccu’
illa haiu voglia ‘e me sfogare!
‘U vi’ a Michele cumu sa pigliare ‘a chiacchiera, cum’è
spiritusu!
Simu rimasti nue suli ‘e ne sfogare Carmè’`? Ce vo’ ‘nu
bellu viaggettu.
(Ironica) Facimu ‘a secunna luna di miele. Io me signu già
sfogata, ‘ssa ranne vittoria me vaste. Me vasti tu Nicò’,
cumpagnu ‘e r’a vita mia. Tu onorevole mie, chi me runi
onure e grolia.
E’ lu veru, è lu veru, donna Carmela è china ‘e sentimientu.
Me cunfuondi Carmè’, me fa’ emozionare. Io nun mieritu
tuttu chissu.
Mieriti ‘e cchiù, si’ ‘nu tisoru! Mo’ sbrighete Nicò’, t’haiu
preparatu ‘na sorpresa. T’aspiettu ‘ncucina.
‘N’adduru Don Nicò’, ‘na cosa fina!
Cumu vue Carmè’, viegnu subitu. (Ogni tanto si sente il
singhiozzo di Linardu).
T’arricummannu, nun tardare. Statti buonu Michè’,
saluteme ‘a campagna. (Esce).
Ve siervu donna Carmè’, ve servirò.
Eccome sulu ccu’ Michele! Ccu’ ‘n’uomine ‘e guaglia!
Sapissi quantu l’haiu aspettatu ‘ssu mumentu, Michè’!
Assettete, sdraiete comberu ca parramu. Ca mi ce abbientu
ccu’ tie.
E cchi dicimu, don Nicò’? Io haiu già parratu ccu’ donna
219
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
Carmela. Haiu chiaritu tuttu.
Pare a tie Michè’! Parramu ‘e atru, ‘e tuttu, tu sulu me po’
capire, tu chi stai ccu’ l’animali, ‘n mienzu ‘a terra, ‘ntra la
natura viergine, duve te risbiglie lu cantu re lu gallu!
Faciennu jurnu, don Nicò’, alle qrattru! (Si ode un forte
singhiozzo di Linardu).
Puorcu! Sente ‘u puorcu cchi musica! Chine ce sta miegliu
‘e tie, tu campi senza rrusci e sturdimienti: aria pulita e
acqua frisca. Cumu te ‘mbiriu, Michè’!
Vi ne manche la gulìa! Si voliti cangiare signu prontu!
Furtunatu tu chi nun canusci ‘a politica, chi nun sai quantu
se fatighe ‘ntra la mia campagna.
Cumu ‘u lu sacciu! Quaranta jurni ogne quattr’anni e pue
basta! ‘Ntr’a campagna mia ‘mbece se fatighe tuttu l’annu,
tutt’a vita. E pue duve buve se usanu ‘e parole, chi è ‘n’arte
lecia, duve mie ‘mbece se use la zappa! E sapissiti cumu
pise!
Eh, Michele, Michele! Tu parri da profano, nun canusci
bene il mio campo, nun sai quanto è minato! Tu nun sai
l’ingranaggi, i ‘nganni, l’ambizioni chi rotanu ‘ntuornu alla
politica. Quantu ‘ntrillazzi, Michele mie! Simu arrivati alli
curtielli!
Denneliberi! Alli curtielli? E chine t’a fa fare, don Nicò’,
ccu’ tutti ‘ssi pericoli. Esciatinne ‘e ‘ssu ‘nfiernu!
E’ ‘na parola! E cumu fazzu Michè’! Quannu ce si’ de intra
cum’e mie, ‘nzaccatu ‘nfin’allu cuollu, marcia indietru ‘un
se po’ fare cchiù, se perde l’onure, ‘a faccia, se perde tuttu.
Puru i rinari?
Puru chilli, certu, ma sunnu secondari. Ce sunnu atre cose
cchiù importante, cchiù care!
E chine si l’ammaginava! Comunque si ‘u ricìti vue...
(Si accorge che Linardu si sta svegliando) Don Nicò’,
l’aiutante sta ritornannu ‘mbita, guardalu cumu se torcinìe.
Tene lu risbigliu difficile, Michè’; è ‘na machina Diesel:
tene bisuognu ‘e se riscaldare! (Osserva per un po’ Linardu)
Me bire cchi fatiga chi sta faciennu. Puru quannu rorme
chissu se stanche.
Forse se sonne la fatiga?
E chine t’u rice cchi le passe ppe’ la capo. Chissu é tutto
220
MICHELE
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
D. NICOLA
LINARDU
MICHELE
D. NICOLA
LINARDU
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
speciale, è chjnu ‘e sorprese! (Linardu si sveglia
sbadigliando).
Me cchi bucca chi tene benerica! Pare la porta ‘e r’u furnu
mie.
Sulu chissa tene de buonu, sinnò ‘e atru….Linà’ t’è ricrinata
‘a pirucca?
Quasi don Nicò’, tiegnu ‘nu pocu ‘e giramientu ‘e munnu.
Ancora ‘a capu ‘u’ r’è completamente a postu.
E quannu e mai c’è stata! Cchi te preuoccupi a fare. Chissa
è la tua condizione forma!
Caro don Nicola, ricordatevi però che il compagno vino
aiuta sempre, speciarmente in politica!
Va’ biellu, va’, ca si’ propriu ‘nu tutumagliu! Va’ piglie ‘nu
pocu ‘e aria fore ca t’aggiove.
(Ancora un po’ traballante) Certo, certo ubbidisco. Come si
dice: l’aria frisca ricrina, ti ‘nchiara il cerviello! I miei
rispetti e salute a tutti. (A Michele) Puro a te, contadino
dalle manu toste.
(Con compatimento) Bona furtuna gioia, va’ ccu’ la
Maronna!
(Accompagna Linardu sull’uscio) ‘A via ‘e r’a casa, Linà’,
t’arricummannu! Attientu alle machine!
Nun ve preoccupati, scanzo tutto: ci fazzo ‘na singa ‘nfino a
casa! (Esce)
Cchi tipu difficile, don Nicò’: tocche li niervi a tutti!
E a chi lo dici, Michè’! Mah, finarmente ni l’amu cacciatu
‘e ‘ncuollu. Ci ha male ‘mpestatu ‘ntra lluocu! (Si ode un
rumore fragoroso) Ha pigliatu ‘u primu camaciu…te parìa?
‘U vaiu aiutu don Nicò’?
Lassalu perdere, se aze sulu, cussì se ‘mpare a non fare il
porco! Eh, caru Michele, cumu è compricata ‘ssa vita,
quantu n’ha de cumportare ‘nu cristiano ppe’ stare a galla.
Ha de combattere ccu’ la ciotìa ‘e Linardu, ccu’ la capu
vulata ‘e Santuzzu, ccu’ ‘Ntonetta, ccu’ chillu spilìone ‘e
Fofò chi cerche aiutu ppe’ l’atri. Spere amicu caro, ti
n’abbutti ‘e aspettare! Michele mie, cchi fera! E pue ‘ssi sccanti ogne quattr’anni, chi te mintanu ‘u fuocu ‘ncuollu e
nun si’ mai sicuru si ci la fai, si vieni pugnalatu alle spalle.
E pue ‘u populu: chillu pue! ‘U’ ne parramu propriu, chine
221
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
MICHELE
D. NICOLA
tu cuntente! Chine vo’ spinte, chine vo’ posti, nun te ricu,
Michele mie e cumu fa ‘nu poveru cristianu, cumu fa
Michè’?
Sacciu io, don Nicò’? Cumu fa?
Se difende Michè’, divente cruru, se chiure a rizzu e pense
alle cose sue. Se cure la proprietà sua e bonanotte!
Chissa è ‘na bona regula, se. Ve chiuriti ‘n’ difesa e chine
s’è bistu s’è bistu! Ma periculi ci ne su’ sempre veru don
Nicò’?
Eh caru Michele! ‘E campagne su’ sempre difficili, c’è
sempre ‘u rischiu ‘ncuollu.
E a chine ‘u ricìti don Nicò’, ‘u sacciu buono: tutt’a ‘na vota
‘na granninata e frichete raccoltu!
Bravu, bravo! Oppuru ‘na silurata, ‘nu complottu ‘e partito
e statti buonu onorevole. Però, cumu se rice: “si voi fricare
lu tue vicinu, azete priestu lu matinu!” E nue n’azamu
priestu Michè’, nun dormimu propriu! Tu viglie ‘ntra la
terra, ca io vigliu ‘ntr’a politica e ‘nsiemi restamu sempre a
galla. Chine tene le rugne si le gratta, nue cantamu vittoria:
ppe’ ss’atra vota è fatta!
CALA IL SIPARIO
222
‘U SCALUNE ‘E RE CUMMARI
Commedia in due atti
223
PERSONAGGI
MICUZZU
di anni 50, muratore;
TIRESINA
di anni 45, ricamatrice, moglie di Micuzzu;
MENUZZA
di anni 22, figlia di Tiresina e Micuzzu;
‘NTONETTA
di anni 52, filatrice;
MATALENA
di anni 70, casalinga;
PEPPINELLA
di anni 40, casalinga, figlia di Matalena;
MARIA
di anni 50, bottegaia, vedova;
TURUZZU
di anni 25, figlio di Maria;
MARRU ‘NDRIA
di anni 80, il saggio del paese;
MARRU CICCIU
di anni 53, barbiere, scapolone;
ROSINA
di anni 60, casalinga, nubile;
SANTULLU
di anni 30, giovane campagnolo;
PIPIRINU
di anni 45, banditore municipale.
La scena, unica per i due atti, si svolge in un vicinato di paese, in un caldo
pomeriggio estivo. Sullo sfondo compaiono la bottega di Maria e la sala da
barba di Marru Cicciu; sul lato destro la casa di Tiresina, accanto alla cui
porta si trova un sedile di pietra, e sul lato sinistro la casa di ‘Ntonetta, con la
porta socchiusa.
Di tanto in tanto, per tutta la durata della commedia, si odono voci, suoni e
rumori: il tintinnio del martello del fabbro, il cinguettio degli uccelli, canzoni
melodiche e le grida festose di bambini che giocano.
224
ATTO PRIMO
PEPPINELLA (Rivolta al pubblico). ‘A sentiti ‘ssa canzuna? Chissa è illa,
musica cunchiusa, chjna ‘e sentimientu, poesia e amure, e
no chilla ‘e mo’: corpiscuri e mitragliate, chi denneliberi te
mintane ‘ncuollu ‘a corrente lettrica e te fa’ ‘ngrignare i
capilli. ‘Mbece ‘na vota ‘u tangu, (mima il ballo) biellu,
appassionatu, chi te facìa escere l’anima ‘ntra chille feste ‘e
ballu. Stretti stretti, core a core, e te facìa trovare puru ‘u
zitu. (Viene osservata da Tiresina che esce di casa con gli
arnesi da ricamo in mano). Gioia mia biellu duve si’ jutu,
chine t’ha ammazzatu; cumu haiu ‘e fare senza ‘e tie!
TIRESINA
Peppinè’, cchi t’è successu? A chine hannu ammazzatu?
PEPPINELLA (Sorpresa si volta di scatto). ‘U tangu, Tiresì’.
TIRESINA
A chine?
PEPPINELLA (Con passione mima il ballo). Il tangu: due passi avanti e
unu arrieti, due passi avanti e unu arrieti, chi se ballava
guancia a guancia e chi ti lu sonnava puru ‘a notte.
TIRESINA
(Abbozzando un sorriso ironico, va a sedersi sul gradino).
Chi te via beneritta, cchi capu vulata! Me bire, me bire!
M’avìa fattu morire ‘e ra paura, me crirìa ch’era successa
‘ncuna cosa; ‘mbece era lu tangu!
PEPPINELLA (Si fa una sonora risata). E’ sc-cantata ppe’ lu tangu! ‘Nu
quivucu Tiresì’, è statu ‘nu quivocu. Però cchi cos’è, tu
pienzi sempre a cose male.
TIRESINA
Peppine, cumu ‘u solitu a tie te rice de chiecchiariare, se
vire ca ‘un ne tieni pensieri ppe’ la capu.
PEPPINELLA E cumu ‘u’ ne tiegnu; hai voglia quantu ne tiegnu, però su’
pensieri allegri e fantasiosi. Tiresì’, tutt’u paise ‘u tiegnu
‘ntra cca (indica il capo) e tutt’u jurnu mi lu ripassu. Certe
vote puru ‘a notte ce rugnu ‘na passata. Me risbigliu e ccu’
lu penzieru me fazzu ‘na girata ppe’ lu paise. Me ‘nfurmu
‘e tutt’e cose: si ‘ncuna è figliata, si ‘ncunu è ricuotu ‘e
l’America, si ‘ncun’atru si n’è jutu alli pini (mima cun due
dita la morte).
TIRESINA
‘Nzomma tieni tuttu sotto controllu, nun te fuie propriu
nente. Va a finire ca tieni puru ‘a contabilità ‘e ri cani e di
ciucci.
225
PEPPINELLA Propriu cussì: tiegnu ‘nu quatru generale ‘e r’a situazione e
ogne tantu l’aggiuornu, a secondu si ‘ncunu nasce o si
‘ncunu more. Ppe’ r’esempiu, sacciu puru ca Ninetta ‘e
Gemma s’ha fattu ‘a eco e la criatura è risultata di razza
mascolina.
TIRESINA
Cumu, cumu, famme sentere?
PEPPINELLA ‘A eco, quella della pancia grossa.
TIRESINA
(Con meraviglia) Brava a Peppinella, sai puru ‘sse cose!
Hai fattu passi ‘e gigante nel campo della cortura!
PEPPINELLA Cortura niente Tiresì’, ca ‘a rropa mamma l’ha vinnuta e
accattamu tutto dal fruttivendolo.
TIRESINA
Ma quale rropa e vruocculi ‘e rapa, io dicevo ‘a cortura
della mente che hai ‘ngrandito e te po’ parare puro
‘n’agenzia d’informazione, così ‘a gente ppe’ ogne bisognu
vene duve ttie e tu, pronta, ce ‘nchiarisci ‘u dubbio del
cerviellu.
PEPPINELLA Chissu è lu mistieri mie Tiresì’! La natura m’ha volutu
bene, mi ha datu questo biellu donu, vo’ ca nun lu sfruttu?
Ho pigliatu tutto ‘e chilla buonanima ‘e zia Rusaricchia chi,
mo’ ce vo’, era fantasiosa e ‘mpaccera. Tu ti l’arricuordi?
TIRESINA
E cumu no, jia ppe’ numinata ‘ntr’u paise.
PEPPINELLA Nun avìa né sordi né studiu ‘a povarella, ma avìa però ‘nu
‘ntellettu finu e funnu, chi te facìa ‘mpressione. E chissu mi
l’ha lassatu a mie ppe’ eredità. ‘U’ r’è veru Tiresì’?
TIRESINA
E cumu no, se vire propriu subitu. Appena unu te guarde e
te sente parrare rice: chissa è ‘na fimmina ‘e scienza e de
cultura, ‘a capu ‘a tene tantu chjna chi ne vo’ cacciatu!
PEPPINELLA E io ringraziannu a zia ne goru e porto puro avanti ‘u nume
della razza. Puru l’atri ce goranu Tiresì’: u’ vicinanzu e lu
paise.
TIRESINA
E cumu no, si’ ‘nu comberu e ‘na ricchizza ppe’ tutti.
PEPPINELLA Mo’ ti ne rugnu subitu ‘na prova. Ppe’ r’esempiu, pigliamu
‘u fattu ‘e Menuzza tua chi s’è lassata ccu’ lu zitu…
TIRESINA
Citu Peppinè’, ‘ss’argomentu è chiusu, nun ne vuogliu
sentere cchiù parrare, ca a ferita ancora è aperta.
PEPPINELLA E io ti la curu Tiresì’, ti la fazzu sanare. Signu puru
medichessa delle ferite aperte.
TIRESINA
Ppe’ piacere, nun mintere atru sale supr’a piaga!
226
PEPPINELLA Ma quale sale Tiresì’! Io ce mintu zuccaru. Ti la
‘ndorcificu. Te ricu cose chi nun le sa nullu: rropa ‘e prima
scelta, originale.
TIRESINA
(Molto incuriosita e nervosa). Cumu, quale cose?
PEPPINELLA Eh, si sapissi Tiresina mia quantu vipere velenose ce sunnu
‘ngiru, quantu male fa la gente ccu’ la lingua ppe’ ‘mbirìa e
gustu..
TIRESINA
Cchi su’ ‘sse menze parole, ‘sse allergogie; parre chiaru
Peppinè’! Avanti, sbuombiche, fore i fatti.
PEPPINALLA (Con le mani giunte e lo sguardo rivolto al cielo).
Gesucristu mie perduname, ma a Tiresina ci l’haiu ‘e rire ‘a
verità, è ‘na fimmina ‘e fede, bona e si l’ammierite.
TIRESINA
(Eccitatissima). Priestu, parre, ‘ntrariscime!
PEPPINELLA Pruminteme però ca nun me cacci parole, ca ti la tieni sulu
ppe’ tie.
TIRESINA
Ti lu prummintu…
PEPPINALLA E giurete.
TIRESINA
Ti lu giuru supra ‘ssa santa jurnata.
PEPPINELLA Nun baste Tiresì’; t’e giurare supra ‘na cosa cchiù cara.
TIRESINA
Ti lu giuru supr’a famiglia, suprì i figli?
PEPPINELLA S’è de cussì allura parru, cacchiu!
TIRESINA
Parre, sbrighete.
PEPPINELLA Tiresì’, è stata Rosina! L’haiu ‘ntisa mentre cunfessava a
Turuzzu ‘ntr’a putiga.
TIRESINA
I fatti Peppinè’: c’ha dittu, c’ha fattu?
PEPPINELLA Tuttu Tiresì’, tuttu. Ha ‘nfamatu a Menuzza tua. E’ juta a
cuntare a Turuzzu, ‘u fidanzatu ‘e Menuzza, ca figliata nun
si facìa l’affari sue e ca, citu citu (mima le corna), gli
‘ncorniciava la capo. Perciò, mintete ‘ntr’i panni ‘e
Turuzzu povariellu! Certu ca ‘a lassava a Menuzza.
TIRESINA
(Furibonda, butta gli arnesi da lavoro). Farabutta, scrufune,
‘mbiriusa; mi ne sucu ‘u sangu! A figliama ‘sse cose?
Figliama è chiara cumu l’acqua ‘e sorgente, tutt’a razza
norra simu chiare e oneste!
PEPPINELLA (E’ impaurita per quello che può accadere). Carmete
Tiresì’, nun grirare ca te sentanu. Servatinne e citu.
TIRESINA
Cchiri? Me carmu? Ce fazzu virere io chin’è Tiresina ‘e
Vrasciola a chilla cupellune chi nun l’ha voluta mai nullu
uomine ppe’ li malecustumi e la bruttiezza chi tene. Nun ti
227
nne ‘ncarricare ca allu momentu giustu te siervu alla coscia
(si percuote con la mano una natica). ‘U’ re passare ‘e cca
ppe’ jire alla putiga? Te fazzu virere io chine signu!
PEPPINELLA (Preoccupatissima) Madonna mia, aiuteme tuni! Cchi ti
l’avìa de rire a fare; chisà cumu va a finire!
TIRESINA
Cchi su’ ‘sse mosse Peppinè’, ha fattu buonu a mu rire. E
tu, statti squitata ca ‘un te succere nente. E pue, chine rice
la verità nun sa de spagnare ‘e nullu.
PEPPINELLA Ma chilla è ciotigna e nun vo’ sapire ragione! ‘Ncunu jurnu
m’apposte e me cacce du munnu. (Molto turbata) Povarella
io, duve me signu juta a mintere!
TIRESINA
Illa c’è ciota e io fazzu ‘a pazza, e pue virimu chine ‘a
vince. (In piena crisi di nervi, urla come un’ossessa) Tutti
l’avìti ‘e sapire a ‘ssu vicinanzu: Menuzza mia è ‘nu juru ‘e
figlia, è ‘na perla!
PEPPINELLA (Cerca di rabbonire Tiresina) Sini, sini, certu ca ‘u sapimu
ch’è ‘na figlia ‘e oru, ma mo’ carmete, ppe’ l’amure ‘e
Dio! Ti ne priegu!
TIRESINA
(Spinge Peppinella) Me carmu? Fazzu succedere ‘u
terribiliu! Nun ce lassu stare finu a quannu nun jesce a
galla ‘a verità supra ‘a facenna ‘e figliama.
MENUZZA
(Ha udito la madre urlare ed esce spaventata. Esce anche
‘Ntonetta) Ma’, ch’è successu, cchi t’hannu fattu?
‘NTONETTA Cummari Tiresì’, ch’è statu ‘ssu ribellu?
TIRESINA
(Scoppia a piangere) ‘U sacciu io ‘u rulure chi tiegnu, ‘u
tuortu c’hannu fattu alla famiglia mia!
MENUZZA
C’hannu fattu mammarè’, riciammillu! Chine t’ha offesu ?
‘NTONETTA Parre cummà’, quale sgarru ha ricevutu?
TIRESINA
(Piangendo abbraccia la figlia) Figlia mia sfortunata, gioia
‘e mamma tua, cchi trappola chi t’hannu paratu. (‘Ntonetta,
a cenni, chiede lumi a Peppinella, la quale, con imbarazzo,
scuote la testa e stringe le spalle per dire: io non ne so
nulla).
MENUZZA
Chine, mammarè’? Cchi m’hannu fattu?
TIRESINA
(Togliendo le braccia dal collo della figlia) Tuttu figlicè’,
tuttu. T’hannu ‘nfamatu, hannu ‘nfangatu ‘u numiciellu
tue! Su’ juti a dire a Turuzzu ca ‘un te facìa i fatti tue! Ppe’
chissu…
228
‘NTONETTA
Gesù, Gesù cchi maleritta gente, cchi ‘nfame ce su’ allu
munnu!
PEPPINELLA (Con imbarazzo) Raveru ‘Ntonè’! Io però nun ne sacciu
nente!
MENUZZA
(Pensosa) Eccu ‘a spiegazione! Mi l’avìa ‘mmaginatu ca
‘ncunu s’era jocatu ‘e cura…. E lu fissa c’e carutu!
TIRESINA
Sini figlia, propriu ‘na pugnalata alla ‘ntrasata. Cummari ‘
Ntonè’, chissa nun mi la tiegnu!
‘NTONETTA Cummari mia, cchi te vaiu ricu: ‘a cosa è grossa, grossa
assai; nun ti l’ammeritava ‘ssa carognata!
TIRESINA
Peppinè’, priestu ne virimu.
PEPPINELLA (Impaurita) Cumu rici tu Tiresì’. Però i patti s’hannu ‘e
rispettare.
TIRESINA
‘E rispiettu ‘e rispiettu, statti squitata!
MENUZZA
Quale patti, mammarè’?
TIRESINA
Chilli ‘e ra fera ‘e l’infamità.
PEPPINELLA Io mi ne vaiu Tiresì’, sinnò alla farmacia ce truovu chiusu e
torna oje i pinnuli ppe’ la culite ‘e mamma e ppe’ li ruluri
romantici mie nun ni le pigliamu. (Mentre esce fa’ segno a
Tiresina di mantenere il segreto) Allura rimanimu ‘e cussì!
TIRESINA
Me bate duve e jire Peppinè’, va te piglie ssi pinnuli e nun
sc-cantare cchiù.
MENUZZA
(Con molto fervore) Mammarè’, io nun mi lu puozzu tenere
‘ssu spregiu, è troppu gruossu! Riceme chin’è statu chi
m’ha fattu perdere a Turuzzu e la pace.
TIRESINA
‘N’atra pocu, quannu è tiempu giustu ti lu ricu.
‘NTONETTA Carmete moni, figlicè’, sinnò è pieiu. Riflette e biri ca ccu’
lu tiempu tuttu s’appare.
MENUZZA
(Indemoniata) Tiegnu pressa, cummari ‘Ntonè’, ‘u vuogliu
sapire moni. (Rivolta alla mamma) E tu mi lu rici, sinnò un
sacciu cumu ‘a pienzu. Fazzu ‘na pazzia!
‘NTONETTA Noni figlia, nun le mancu pensare certe cose. Cummari
Tiresì’, cchi te vaiu ricu io, vire tuni si ti la sienti ‘e ci lu
rire. E resere, pue, ‘a guagliuna, tene puru dirittu a
canuscere i nimici sue, chine ha guastatu ‘a capu allu zitu.
TIRESINA
Certu cumma’, ma ccu’ chilla cupellune, mi ci la vuogliu
virere io ‘e piettu a piettu: ‘a vuogliu conzare cumu
l’acciomu.
‘NTONETTA Allura è ‘na fimmina poca?
229
TIRESINA
MENUZZA
TIRESINA
MENUZZA
‘NTONETTA
MENUZZA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
TURUZZU
Tene sulu ‘u nume ‘e fimmina, ma ‘a disgraziata è ‘nzertata
a r’uomine.
‘Nzomma , basta, riceme chin’èni.
(Tiresina batte la mano sulla spalla di Ntonetta) Cummari
‘Ntonè, è stata Rosina!
Mi l’avìa penzata ch’era una ‘e ssu vicinanzu! Sulu illa
potìa fare chissu! Ih brutta acida ‘mbiriusa zitellone!
Oh la disgraziata, duve s’è juta a mintere; ca illa n’avìa
picca rugna ‘e se grattare! Cumu si l’ha potuta ‘mbentare
‘ssa cosa?
Si n’ha de pentere amaramente ‘e chillu c’ha fattu, ppe’
quantu è veru Cristu ca la ripinnu. Mi l’ha de venire a dire
ravanti a Turuzzu duve m’ha vistu ‘a disgraziata e ccu’’
chine.
Aspette figlia, lassece jire ppe’ moni, ca cchiù tardu
passamu all’attaccu. Aspettamu quantu apere la putiga e
cussi chiarimu tuttu ‘e capu a pieri.
Allu buonu ‘e Dio, cummari mia! Ccu’ la ragione e lu
tiempu ‘e cose se chiariscianu, tuttu vene a galla.
(Nervosissima) Signu carma cummà’, puru si signu carma,
però decisa a trovare ‘a verita puru s’è ‘ntra lu ‘nfiernu.
(Prende sotto braccio la figlia). Jamu figlia, trasimu ca
cuncertamu ‘e cose. Cummari ‘Ntonè’, permettitime.
(Mentre Tiresina e Menuzza si avviano verso casa) Mo’ ce
vo’, jati ‘nsarvamientu. V’arricummannu, facitive ‘na tazza
‘e gagumilla ca ve carme la nervatura. (Pensosa si siede al
gradino e, mentre inizia a filare, entra in scena Maria,
seguita dal figlio Turuzzu che porta sulla spalla una scatola
piena di merce).
‘Ntonè’, cumu sempre già al lavoru; cca t’haiu lassatu e cca
t’haiu trovatu. Si juta a mangiare armenu?
E cumu no! Sacchi all’allierta ci ne ponnu stare?
Nue ‘mbece oje amu fattu ‘nu pocu ‘e ritardu.
Aviti fattu buonu, miegliu ‘e cussì.
(Stupita) Cumu miegliu, allu commerciu s’ha de resere
puntuali, i clienti nun ponnu aspettare.
Io ‘mbece puozzu aspettare, no? Maniete, apere ‘ssa putiga,
ca ‘ssa casciotta pise cumu ‘u chiumbu.
230
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
E nu minutu figlici’ cchi cos’è! Quannu era ‘ntr’a trippa
mia, t’haiu aspettatu nove misi, e benerica pisava chi
mancu, e mo’ tu nun po’ aspettare ‘nu minutu? ‘Ntonè’,
fuossi venutu ‘ncunu?
Alla putiga noni.
(Apre la porta della bottega ed entra Turuzzu) E io alla
putiga ricìa, sinnò adduve poca.
Pensava c’avìa saputu.
Cchiri, c’avìa de sapire?
Allura ‘u’ r’ha saputu nente? (Fa cenno col capo verso la
casa di Tiresina). C’è statu ‘nu cinamu pocu primu assu
vicinanzu chi nun te ricu; sapimu duve sbocche la cosa?
Pecchì, ch’è successu, s’è liticatu ‘ncunu?
Cchiuni Maria mia, cchiuni!
(Fuori campo) Ma guarde cchi casinu: casciottelle,
bottiglie, sacchietti: ce pare ‘na fera. Oi ma’, sbrighete ca
sinnò m’assiettu e ‘un mi ne friche nente!
‘Nu minutu ‘e pacienza, cchi cos’è. Cum’è ‘mpattatu ppe’
la fatiga!
E mo’ su’ tutti e n’errama manera: a ssi giuvini ‘e mo’ le
piacianu sulu i soldini, i motorini e li giochi americani.
Pue si n’accorgianu, ‘Ntonè’. Allura, riceme, cch’è
successu?
Via Maria mia, ‘na cosa grossa.
(Allarmata) ’Ncuna risgrazia?
Cummari Tiresina ccu’ la figlia se su’ ‘mbalenate ‘e mala
race; parìanu riavute e volianu erva ppe’ cientu cavalli.
E lu motivu, qual’era lu motivu?
Gruossu Marì’, ‘mportante assai: chillu chi ‘nteresse puru a
ttie.
A mie, e cchi c’intru io, staiu veniennu mo’ ‘e ra casa.
Chissu è veru, tu ‘u’ r’ha fattu nente, però tu si’ la mamma
‘e Turuzzu.
E cchi c’intre figliuma a ‘ssa storia?
C’intre e come, illu è propriu allu mienzu ‘e r’u vesparu.
Cumu sai, Turuzzu ha lassatu a Menuzza.
E mo’ si ‘n‘addunanu ‘e fare ‘a scenata, su lassati già ‘e tri
misi, mo’ l’è benutu ‘u rulure? L’effettu è statu a scoppiu
ritardatu?
231
‘NTONETTA
MARIA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
MARIA
Noni Marì’, moni hannu saputu ‘u veru motivu: friscu
friscu.
(Va verso la porta della bottega) Turu’, fa’ chianu chianu,
chillu chi po’ fare ca io tiegnu ‘na cosa ‘mportante ‘e
sbrigare ccu’ ‘Ntonetta.
(S’affaccia dalla porta della bottega) Io m’assiettu propriu e
mi ne fricu; cca è tuttu lavuru pisante e ccu’ ‘ssu cavuru
nun m’aggiove propriu ‘e nente. (Rientra borbottando).
(Si tira un pizzicotto alla guancia per dire: che grande
lavoratore che sei) Cumu ce curre alla fatiga, tene sempre
‘nu cujizzu gualu. Allura, riceme ‘Ntonè’.
Marì’, parramune chiaru, ‘ncunu è jutu a parrare male ‘e
Menuzza a figliuta e ci ha guastatu ‘a capu. Cose ‘e
curtellate Marì!
Sciuollu mie, possibile? A mie me risurte ca su’ lassati
ppe’ lu carattere; ca illa era articulusa e ‘mpaccera.
Noni Marì’, ‘mbece è statu ppe’ lli corna. Sempre secondu
‘ssa gran ruffiana però.
Madonna mia beneritta, ‘a cosa paria finita ‘n ‘mpace,
‘mbece ‘n’atra vota cumince.
Mamma e figlia su’ malintenzionate, anzi su’ ‘ndiavulate, e
priestu vonnu fare ‘nu chiarimentu completu: ‘nu facc’e
prova ‘nzomma.
Ma tu vire cchi storia, una vene ppe’ ss’abbusc-care ‘nu
piezzu ‘e pane e ‘mbece trove ‘na fera aperta.
E’ lu veru Marì, tieni propriu ragione!
(Sconsolata si avvia verso la bottega) Mah, nue simu cca,
nun avimu nente cchi ammucciare e d’avìre paura; male ‘u’
n’amu fattu, perciò…’Ntonè’, quannu venanu, nue simu
pronti.
(Mentre Maria entra in bottega e ‘Ntonetta riprende a lavorare, entra a passo
svelto Marru Cicciu. Ha in mano un giornale e sotto il braccio il borsellino.
Zoppica vistosamente. Mentre apre la porta del suo salone, si rivolge
scherzosamente a ‘Ntonetta)
M. CICCIU
Buon pomeriggio alla signora ‘Ntonetta, maestra fina di
fuso e cunocchia.
232
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
Puru a tie, grande tecnico dei peli e affini. Sa cchi te ricu,
aperete ‘ssa putiga e pocu scherzi, ca oje ‘u vicinanzu è ‘n
guerra. Perciò, tenete prontu e cussì nun sc-canti.
Ntonè’, tu chiecchiarìi o rici raveru?
‘N’atru pocu ti n’adduni, nu’ l’ha ‘ntisi i truoni?
(Stupefatto e incuriosito) Nun me po’ rare mica
‘n’anticipu?
E’ troppu luongu ‘u fattu, troppu esplosivu, abbi pazienza,
se tratte de minuti. Tieni pressa, duv’e jire?
A nulla parte, questo è il mio regno (indica la bottega). Su’
trent’anni c’aspiettu sempre a ‘ncunu, figurate si me
‘ncrisce propriu mo’ ppe’ pochi minuti. Ma cchiù o menu
‘e cchi se tratte?
(Gli fa segno di zittire) Cose chi te fannu ‘ngrignare i
capilli, Marru Ci’. Trase, statti citu e aspette.
(Con movenze lente si avvia ad entrare in bottega) Mi fido
di te Ntonè’, io mi ritiro, però quannu ce su’ novità me
chiami.
Si ancora tieni bona ‘a ntisa, nun c’è bisuognu ‘e te
chiamare, ca ti n’adduni sulu quannu cumince l’incontru.
(Entra in scena; è un po’ gobbo e veste indumenti pesanti
malgrado faccia caldo. Porta il cappello e in mano un
bastone). Finalmente ca ci l’haiu trovatu chillu spasulatu ‘e
varvieri! (Ad alta voce) Marru Ci’, ne tieni capu ‘e
carusare?
(Affacciandosi alla porta) Ma quale capu Marru ‘Ndri’, ca
mo’ si le fannu criscere ‘nfinu alla catrea i capilli e nue
guardamu ‘e ciavule chi passanu. Su’ tri jurni chi nun
puozzu fare ‘na capu, trase ca te sbrigu a lampu (accenna
ad entrare).
Tu nun te fa criscere i capilli, marru ’Ndri’?
(Non si era accorto della presenza di Ntonetta) Ntonè’, tu
si’ cca? Neca t’avìa bistu.
E duve vue ca vaiu, chissu è lu postu mie ‘e villeggiatura:
‘u scalune. E pue ce signu affezionata, cumu fazzu a lu
lassare?
Quindi si’ contenta e cussì? Questo è il tuo mondo?
‘U vi’, me diviertu ccu’ lu fusu, juocu ccu’ illu.
233
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
E tu si ca si’ fimmina ‘e casa, premurosa e lavoratrice,
l’atre fimmine a chist’ura su’ stennicchiate supr’a rina e
‘ssi mari mari a ss’arrustere.
Viate a ille ca ‘u ponnu fare, ca se ponnu cacciare tutt’i
chiuriti.
E a tie chine te ‘mpedisce; ogne tantu, nun ti lu po’ pigliare
puru tu ‘nu jurnu ‘e sbagu: cchi te ricu, ‘na gita allu mare
ppe’ r’esempiu.
Mo’ l’ha ritta propriu bona, vaiu rugnu spettaculu menza
culinura ccu’ chilli ruvi cinguli, unu supra e ‘natru sutta,
chi sacciu cumu pesta se chiame (mima le parti del corpo
interessate).
Forse vo’ rire il due pezzi?
Vire tu cumu ‘u vo’ chiamare, certu ca su’ cose ‘e pazzi.
Nun ce su’ problemi Ntonè’, si tu ce vo’ jire te tieni ‘a
suttana e cussì risorvi il problema e frechi a tutti.
E a Duminicu duve ‘u minti, ti l’ha scordatu a illu?
E cchi c’intre Duminicu mo’, illu è all’America, forse
propriu allu mare ccu’ ‘ncuna signorina.
Cchi c’intre? E biellu mie si sapissi quantu è suspettusu.
Ho capitu, ma tu neca po’ aspettare a illu ppe’ te fare ‘nu
bagnu. E pue ccu’ ‘ssu lemperu ‘e cavuru rice propriu.
E torna Marru ‘Ndria, to’! ‘Na vota, roppu ch’è partutu,
signu juta sula a Cusenze a m’accattare ‘na cappottina,
l’erramu l’ha saputu e vi’, ppe’ miraculu nun m’ha
chiantatu. ‘U’ m’ha scrittu ppe’ sie misi, atrica gite allu
mare e cosce ‘e fore al sole.
Troppu gelosu l’amicu. E puru me parìa ‘n’omu normale,
mancipatu. E chine si la crirìa! Duminicu gelosu, mah!
Marru ‘Ndri’ ‘a lontananza fa’ ‘sse cose: ‘a fantasia joche e
fa birere sempre tri ppe’ quattro. E’ tuostu, Marru ‘Ndri,
sinnò all’età mia chine vo’ ca te guarde cchiù?
E’ lu veru; comunque ‘u telecomandu ‘u tene Duminicu
all’America e te fa jire in onda supra ‘u canale chi vo’ illu.
Ottimo progressista!
(Affacciandosi sull’uscio della bottega) Marru ‘Ndri’, si’
pentutu? I fierri su’ già pronti e pue si viene qualche atro
cliente io nun ne vuogliu fare nente: ti freca il posto e passi
secondo.
234
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. N’DRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
E de ‘sse paure ‘un ci ne sunnu: ‘a fulla se friche. Allura
Ntonè’, causa Duminicu e a scanzo di equivoci, ppe’
mantenere ‘a pace, ccu’ ‘ssi lemperi ‘e cavuru ti ne sta’
‘nchiovata a ‘ssu scalune. Quantu pacienza tieni ‘Ntonetta
mia! Mancu assettata a ‘na poltrona, ma a ‘nu scalune ‘e
petra ‘e jimara tosta!
Cchi ce va’ fa’, ormai ce signu ‘mparata, ci ho fatto il callo
a stare assettata.
Bisogna avere pazienza. Vo’ dire ca quannu vene
Duminicu pue te runi alla pazza gioia, te minti ‘ncaminu e
ricuperi tuttu a ‘na vota.
E cumu no, fra cinque o sie anni, si vo’ Dio, facimu ‘a
secunna luna di miele; propriu quannu simu ‘mbecchiati e
ragamu i pieri. Pue tannu se ricoglie cazzera e facimu ‘u
giru d’Italia ‘nziemi alli ciclisti.
A propositu ‘e giru, chillu di nozze duve l’ha fattu?
Alli “Pantaniti”, a chiantare patate ‘nziemi a chilla riavula
‘e socrama.
‘Nzomma, t’è juta sempre bona la vita, ha cuminciatu a te
divertere propriu priestu.
‘E quannu signu nata s’è ppe’ chissu: tannu, allu scuru,
m’ha fattu carire ‘nterra puru ‘a levatrice.
Chissa pue è lu massimu! E cumu ha fattu ‘ssa specialista?
Eh, caru Marru ‘Ndria! Ca propriu a chillu momentu nun ti
la va muzziche ‘na vespa a ‘nu vrazzu e ppe’ si la cacciare
ha lassatu a mie. Signu salva ca signu caruta ‘e pieri cumu
‘e gatte, sinnò cumu era affacciata allu munnu mi n’era
juta. E forse era statu miegliu, ca nun avissi fattu ‘ssa vita
‘e peniamientu, sula cumu ‘nu cane.
Ti capisco ‘Ntonè’, come ti capisco cchi bene a dire stare
suli a r’aspettare a chine ‘un vene mai. Supra ‘ssu campu
tiegnu ‘na lunga esperienza. Su’ già passati cinque anni ‘e
quannu si n’è juta chilla buonanima della mia compagna (si
commuove e si asciuga le lacrime col fazzoletto).
Coraggiu, Marru ‘Ndri’, ce vo’ coraggiu!
E ci ne vo’ puru assai cara ‘Ntonetta. Mah, ccu’ tuttu
chissu, vaiu sutt’i fierri da Marru Cicciu; ‘ssu discursu ‘u
continuamu ‘n’atra vota, ‘u facimu a puntate cumu ‘a
televisione. Con permessu. (Mentre entra dal barbiere)
235
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
Ecco maestro, sono tutto ppe’ ttie. E t’arricummannu, sulu
piettine e forbice, pecchì ‘a macchinetta pizziche e
zillichìe.
(A passo svelto entra in scena. Ha in mano la borsa per la
spesa e si dirige verso la bottega di Maria) Allu friscu
‘Ntonè’?
(Vedendola ha un sussulto) Raveru Rosì’, cumu sempre ne
rifennimu. Ca tu ‘u’ lu viri cchi cavuru chi s’è botatu!
(Curiosa e preoccupata) Parica quannu m’ha vistu si sccantata, cumu va’ ‘Ntonè’?
E noni Rosì, pecchì avìa de sc-cantare; forse haiu avutu
cumu ‘nu sgrizzune ‘e friddu.
Ccu’ ‘ssu cavuru?
A vote nun vo’ dire nente, ‘a vita norra è curiusa e certe
vote sgrizze.
Cumu rici tu ‘Ntonè’, cumu se rice: ognunu è miericu ‘e se
stessu. Mah, ccu’ tuttu chissu, vaiu a ‘ssa putiga, fazzu ‘nu
pocu ‘e spisa ppe’ stasera.
E cumu se fa’, ricica ni la ‘mpicamu ‘a trippa?
Allura vaiu, permettittime!
(Mentre Rosina entra nella bottega, ‘Ntonetta, preoccupata
di quello che sta’ per accadere, mette le mani giunte e
guarda verso il cielo implorando Dio) Mo’ cumince la
tropìa! Allu buonu, Maronna mia, allu buonu ’e Dio!
(Riprende a filare).
(Accortasi che Rosina è entrata in bottega, esce di casa con
grande furia e agitazione) Finalmente è giunta l’ura ichissi!
‘A ‘nfame è passata, no ‘Ntonè’?
(Con imbarazzo e tremore) Sini, è passata; ma carmete, use
‘a ragiune cummari Tiresì’. Vire chillu chi fai ca po’ jire
‘ngalera.
Ma quale ragiune e galera, mo’ ci lu fazzu virere io chin’è
Tiresina, ci le fazzu mangiare io ‘e parole bugiarde c’ha
dittu ‘a granne ‘nfamune.
Carmete cumma’, riflette, vire chillu chi fai!
L’ura è benuta, a noi. Se passe all’attaccu! (Entra urlando
in bottega).
(Preoccupata, va avanti e indietro, poi sta per entrare in
casa ma si pente) E’ cuminciata ‘a guerra!
236
TIRESINA
ROSINA
TIRESINA
MARIA
TURUZZU
TIRESINA
(Fuori campo si sente la voce di Tiresina) ‘Nfame,
farabutta, venzunara! Mi ne sucu ‘u sangu! Te chissa. (Si
sente il rumore di bottiglie che cadono) Te mintu ‘a
cecafuca, ‘u nume ‘e figliama alla vucca tua fetusa. Ih,
malanova tua! Te mannu all’atru munnu.
(Fuori campo) Aiutu, aiutu, Marì’! Ohi cchi demoniu! Nun
sacciu nente io, nun haiu rittu nente.
Ti la nieghi puru? Ih maleritta purpettara, te penzava c’a
passava liscia? Corna alla casa mia nun n’hannu mai giratu.
(Fuori campo) Mo’ basta, fermete, parramu, chiarimu ‘a
cosa.
(Fuori campo) Carmete Tiresì’, c’è ‘nu ‘quivocu; Rosina è
innocente, nun c’intra nente povarella.
(Fuori campo) Cchiri, ‘a finisciu? Siti tutti r’accuordu, nun
me convinciti. Vieni cca ca te rugnu ‘u riestu, ohi
sbrigognata!
(Sconvolta, esce di corsa dalla bottega Rosina, che è rincorsa da Tiresina,
seguita da Maria e da Turuzzu. Rosina si protegge dietro ‘Ntonetta che,
spintonata, finisce a terra. Nel frangente, Rosina si infila in casa di ‘Ntonetta
e chiude la porta)
ROSINA
TIRESINA
(Fuori campo) Te puortu alla curta, bruttu demoniu!
T’ammucci? Esce fore si tieni curaggiu, ohi cupellu’! Ma
nun tinne ‘ncarricare, c’è tiempu ppe’ te ripinnare bona!
Chillu chi t’haiu ratu è sulu ‘n’anticipu, i cunti precisi ‘e
facimu quannu te truovu sula a ‘ncuna rasa.
(Alle urla, accorrono Marru Cicciu e Marru ‘Ndria che ha la tovaglia al collo
e la faccia insaponata)
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
TIRESINA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
Cch’è successu?
Ccu’ chine ‘a tieni Tiresì’?
Ccu’ chine nun s’ha fattu i fatti sue. (Gridando vicino la
porta di casa di Ntonetta) T’è benuta mo’ ‘a tremarella, ohi
faccia gialla! Apere ca te rugnu ‘nu vasune alla facce ccu’
lli rienti.
A chine Tiresì’?
Cchi cosa t’ha fattu?
237
TIRESINA
M.CICCIU
‘NTONETTA
M.CICCIU
‘NTONETTA
M.CICCIU
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
TIRESINA
TURUZZU
TIRESINA
MARIA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
TIRESINA
MENUZZA
TIRESINA
(Fuori di se) L’onure, Marru ‘Ndri’, m’hannu ammacchiatu
l’onure ‘e figliama (scoppia a piangere, consolata da
‘Ntonetta).
(Interessato e serio) Oh perbacco, è ‘na cosa seria dunque?
Ma statti citu ppe’ piacere, arrassete ‘e lluocu, ssu spilione!
‘Mbece ‘e ru stutare ‘u fuocu, l’appicci?
No, nun sia mai, io signu sempre ppe’ la pace.
Allura statti citu ca è miegliu. Marru ‘Ndri’, chiamatillu e
ritirative, ca ‘u sapune ‘e r’a facce se sta siccannu. Chisse
su’ sulu cose ‘e fimmine.
Io volìa dare sulu ‘na manu, ma si tu rici di no, nun ce su’
problemi; mi ritiro.
Sini Marru Ci’, ha capitu buonu, vavatinne!
Maestro, ha capitu? Ni n’amu ‘e jire. (Accennano a
rientrare in bottega, ma si attardano a curiosare).
(Prende per un braccio Tiresina e la scuote) Mo’ basta
cummà’, ragiune, nun dare gustu alla gente. Ccu’ carma
chiarimu ‘e cose.
Be, virimu, io signu pronta. Però l’amu ‘e chiarare mo’ c’a
cosa è cavura. Avanti, chiamamu ‘e parti interessate alla
vicenda.
Signò’, ti lu staiu riciennu a ‘n’ura ca c’è ‘n’equivocu in
partenza ‘e r’u fattu.
(Altezzosa) E tu nun me chiamare ‘e ccussì! Cchi bene a
dire ‘ssa signò’: signu casalinga io, ‘e razza onurata e
fatigature.
Turù’ modere ‘e parole ‘n’atra vota.
Scusame, vo’ dire ca nun ti ce chiamu cchiù ‘e ccussì;
t’avissi ‘e offendere ppe’ chissu!
Turù’, abbicinete, vieni vicinu a mie.
(A Tiresina) Tu statti queta, t’arricummannu.
Va bene, io staiu carma, purchè parramu e chiarimu tuttu.
(Ad alta voce chiama la figlia ch’è in casa). Menù’,
Menuzza.
(Fuori campo) Cchi bue ma’.
Vieni fore ca è arrivata l’ura ‘e r’a verità: facimu ‘u facc’e
prova.
238
MENUZZA
TIRESINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
ROSINA
TIRESINA
MENUZZA
ROSINA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
ROSINA
TIRESINA
(Imbarazzata, gira lo sguardo per tutta la scena. Si accorge
della presenza di Turuzzu, col quale scambia occhiate di
fuoco ) Me pare ca ce manche propriu ‘a ruffiana.
Mo’ vene puru figlice’, ‘a facimu escere ‘e forza. (Si
avvicina alla porta di ‘Ntonetta) Esce, vieni fore, vieni nu
rice ravanti c’ha vistu e c’ha ‘ntisu.
(Un po’ seccata) T’haiu rittu ‘e stare queta; e mo’ basta!
(Chiama Rosina) Vieni fore, Rosì’.
(Fuori campo) Noni ‘Ntonè’, nun puozzu venire.
Esce, nun te spagnare ca ce signu io. Chiarimu tuttu e cussì
se finisce ‘ssa storia. Dai, apere.
(Fuori campo) Allura mi l’assicuri?
Ma sini, esce squitata. (Rosina esce con timore e va a
ripararsi dietro a ‘Ntonetta, la quale però la prende per un
braccio e la mette al suo fianco) E bieni avanti, quantu
mosse. Be, cuminciamu! Cummari Tiresì’, tu statti queta,
t’arricummannu!
(Minacciosa guarda Rosina) Guardatila ‘a mobile cum’è
bella! Quannu ‘nfangavi a figliama nu’ n’avìa paura no,
mo’ ti la cachi?
Basta, ‘e mo’ avanti vuogliu sentere sulu fatti e no minacce
e fantasticherie. Rosì’, avanti, parre, rice cumu su’ jute ‘e
cose.
Nun sacciu nente io, signu ‘nnocente, signu accusata senza
curpa.
Cumu, t’hannu ‘ntisu parrare e come.
C’è chine t’ha vistu tramare ccu’ ‘na persona, riciennu cose
‘nventate e porcherie.
(Più risoluta e decisa a fare chiarezza) Allura riciti chin’è
‘ssa persona e ccu’ chine m’ha ‘ntisu parrare ‘e tie.
Portatimilla ravanti, ca pue virimu chine mente.
E’ ‘na persona chi nun puozzu ‘nduvinare.
Tiresì’, e de cussì nun cunchiurimu nente: ppe’ benire bona
‘a causa e fare trionfare ‘a giustizia ce vonnu i testimoni.
Me signu giurata ca nun la ‘nduvinava ‘ssa persona.
Allura nun è veru nente, m’aviti ‘ncurpatu senza motivu.
Tu e ccussì dici? E mo’ virimu allura. (Da un’occhiata
intorno e poi chiama marru Cicciu) Marru Ci’, vamme
chiame a Peppinella ‘a romantica ppe’ piacere.
239
M. CICCIU
TIRESINA
‘NTONETTA
MARIA
M. CICCIU
TIRESINA
ROSINA
TIRESINA
MENUZZA
‘NTONETTA
MARIA
TIRESINA
M. CICCIU
ROSINA
TIRESINA
‘NTONETTA
MARIA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
(Un po’ titubante si avvicina a Tiresina) Veramente tiegnu
a marru ‘Ndria ‘nzapunatu, già pronto ppe’ l’operazione
pilifera.
E cchi cazzu è, te trovassi ‘na vota disponibile!
S’è ppe’ chissu, su’ già ruve ure ch’è ‘nzapunatu.
Quantu storie, me bate si ‘e jire, arrieti lluocu sta
Peppinella, parica ‘e jire a Londra?
Allura vado subito, vado subito. Marru ‘Ndri’, abbi
pacienza, torno a lampu.
Mo’ vuogliu virere si ti la nieghi ravanti a Peppinella.
E mo’ virimu! ‘Ssa ciotagliune faluotica nun la viju a cchiù
‘e ‘nu mise, duve m’ha ‘ntisu parrare, alla pestachilevegna?
Aspette, mo’ vene e ti lu rice illa quannu e ccu’ chine.
E le falsità chi ricìa a chillu signore chi si le collava.
Calme, v’arricummannu, e faceti parrare ‘a teste Peppinella
mo’ c’arrive, sinnò nun arrivamu mai alla verità.
Ma guarde ‘nu pocu cumu se complicanu ‘e cose, parìa ‘na
cosa ‘e nente, ‘mbece….
Ppe’ ttie Marì, no ppe’ la famiglia mia, ppe’ ‘ssa giuvinella
‘e figlia, umiliata e offesa. (Si sentono dei passi) Sta
arrivannu finalmente! (Compare solo marru Cicciu) E
Peppinella?
E si sapissi, cara Tiresina! Appena ci haiu rittu ‘u fattu, è
fatta gialla tutt’a ‘na vota e d’a paura l’è benuta ‘a
cacarella. Quindi, ora, se trove a ‘nu statu chi nun po’
viaggiare.
Parica ha de jire all’America, ‘u vi’ ca se spagne, ca tene la
cura ‘e paglia.
Cchiri, tene la cacarella e ‘un bene? Ci la fazzu passare io,
ce fazzu ‘na cura ‘e cavuci a chillu postu e ci la ‘ntippu. (Di
corsa va lei a chiamare Peppinella).
Povera Peppinella, mo’ si ca le passanu ‘e coliche e li ruluri
romantici!
‘Ntonè, illa si c’è misa a ‘ssu ballu e mo’ abballe!
Marru Ci’ quannu finiscimu, su’ due ure ccu’ ‘ssu sapune
alla faccia.
Miegliu, cussì ‘ss’anziti s’ammorbidiscono bene e nun
m’ammarri ‘u rasulu. E pue cchi pretendi, nun lu sai ca
240
quannu se lavore al pubblico ci sunno sempre gli inprevisti;
e cussì l’operazione si allonghe un pochino.
M. ‘NDRIA
Menumale ca tiempu n’avimu a sufficienza qui da noi al
sud, ma s’eramu a Milanu, marru Ci’, ccu’ ‘ssa sveltezza
chi tieni, potìa chiudere, ricica ce venìa ‘ncunu pulentune
duve ttie.
M. CICCIU
E’ lu nuorru naturale chissu, ni l’ha datu Gesù quannu ci ha
criati. E ha fattu bene, pecchì ha pensatu: chissi tenanu
bisuognu ‘e penzare assai e di fare ‘e cose ccu’ calma,
sinnò ccu’ ssu cavuru povari figli se squaglianu.
M. ‘NDRIA
Quindi n’ha bolutu bene? Ah, ppe’ chissu c’è poca fatiga e
chiacchiere assai!
‘NTONETTA Mo’ su’ dati alla politica e alla storia e ti lu ricu io chillu
chi ne po’ escere. Me fucative ‘u mussu ca ce su’ cose
cchiù ‘mportante ‘e chisse mo’. (Compare Tiresina
trascinando per un braccio Peppinella la quale trattiene la
pancia con la mano).
TIRESINA
Eccu a’ testimone culare! Avanti, sbrighete, parre; rice
chillu c’ha vistu e ‘ntisu.
PEPPINELLA Tiresì’, i patti però nun eranu chissi, ‘e r’u giuramentu
tinne sei fricata.
TIRESINA
Ma quale giuramentu e giuramentu, io tiegnu ‘na figlia ‘e
salvare, l’onure ‘e difendere! Avanti, rice chillu ch’è
esciutu ‘e r’a vucca ‘e ‘ssa buggiardune (rivolta a Rosina).
ROSINA
(Con risolutezza) Si, parre, virimu cchi m’ha ‘ntisu rire e
duve m’ha vistu.
‘NTONETTA (Scuotendola) Dai, riciaccellu.
PEPPINELLA (A testa bassa) Haiu vistu a Rosina chi cunfessava a
Turuzzu.
M. CICCIU
‘Ntr’a chiesa Peppinè’?
M. ‘NDRIA
(Scandalizzato) Gesù, Gesù, è peccatu mortale!
TIRESINA
Citu vue, arrassative ‘e lluocu e jativinne. Cunte Peppinè’,
rice duve l’ha ‘ntisa e l’ha vista.
PEPPINELLA ‘Ntr’a putiga ‘e Maria: Turuzzu projia la ricchia e Rosina
cuntava.
TIRESINA
Ha ‘ntisu? Negatilla mo’ si tieni curaggiu.
ROSINA
E va bene, si, amu parratu, però no de figliata Tiresì’.
Turù’, riciaccellu tu.
241
TURUZZU
Certu ca è statu…. (Gli viene impedito di continuare a
parlare da parte di Tiresina).
TIRESINA
Citu tu, ancora nun te tocche de parrere.
TURUZZU
(Un po’ alterato) ‘Nzomma signu ‘mputatu o no, ‘ssa verità
a voliti sapire?
TIRESINA
A tiempu giustu parri.
TURUZZU
(Con enfasi) Allura aspettamu quannu il signor giudice me
rune la parola.
MARIA
Silenzio, fa’ parrare alla pubblica accusa mo’ e pue parri tu
e Rosina.
M. CICCIU
Giustu, propriu cumu alli processi: prima l’accusa e pue ‘a
difesa.
TIRESINA
(Guarda marru Cicciu di traverso) Basta ccu’ ‘sse
paranghelle, Peppinè’, rice ‘u tema.
PEPPINELLA ‘N’atra cosa mo’ è esciuta fore, cchi ne sacciu io ‘e ssu
tema: signu alfabeta.
TIRESINA
(Adirata) ‘U fattu ‘e r’a causa Peppinè’, chillu c’ha
‘nfamatu a figliama.
PEPPINELLA Si va bene, ‘u fattu era de corna e de ‘ncorniciamento.
TIRESINA
Ha’ vistu?
ROSINA
E quale articulu ‘e legge rice ca ‘ntr’i negozi pubblici nun
se po’ parrare ‘e ‘sse cose?
TURUZZU
‘U codice ‘e Peppinella, chillu chi s’ha ‘mparatu
all’università ‘e r’u Spitalettu.
M. CICCIU
E già, là i processi le fannu precisi, è ‘na sede molto
affermata e seria.
M. ‘NDRIA
Certu, ce su’ prufessuri ‘e prima classe, avucatuni.
TIRESINA
V’haiu rittu ‘e ve fucare ‘u mussu a bue ruvi. Cunte
Peppinè’.
PEPPINELLA ‘Nzomma, Rosì, tu ha rittu ca puru Menuzza…. ecc, ecc…
ROSINA
Ih ciotagliuna! Cumu sempre ha pigliatu fischi ppe’ fiaschi.
Va’ te passe ‘na visita alle ricchie ca ne tieni bisuognu.
Eccu duv’è lu ‘quivocu: ‘a bestia ha capitu “puru
Menuzza” ‘mbece ‘e “però Menuzza”.
M. CICCIU
‘Nzomma c’è ‘nu piru ‘e mienzu, no Rosì’?
ROSINA
Nu “però” marru Ci’ e no ‘nu piru.
M. CICCIU
E ppe’ ssu “però” è successu tuttu ‘ssu putiferiu?
242
TURUZZU
Propriu ‘e cussì, chissa è la sula e unica verità. Rosina
povarella anzi ha dittu: però Menuzza nun ha nente a cchi
fare ccu’ ‘sse porcherie, è ‘na guagliune onesta e pulita.
(Tutti rimangono sbalorditi di questa nuova verità)
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
TIRESINA
M. ‘NDRIA
(Quasi in lacrime) Sente Tiresì’, sentiti tutti gente ‘e r’u
vicinanzu, Rosina è sincera, è chiara ‘e facce e de core.
Chissu è vangelu. ‘E r’a vucca mia su’ esciute sempre
parole ‘e pace e d’amure e no ‘sse lordìe mise ‘ngiru.
Sini, sini Rosi’, e mo’ ricica ‘un ne canuscimu? Certe vote
se piglianu male ‘sse cacchie ‘e parole; cchi ce va’ fa’, ccu’
Peppinella norra ce vo’ ‘nu pocu ‘e pacienza.
Ppe’ chillu chi m’ha fattu ci ne vo’ propriu assai ppe’ nun
la cacciare ‘e r’u munnu.
(Inveisce contro Peppinella) Cchi m’ha cumbenatu,
malanova tua! Me guardala, me guardala cchi fimmina!
‘N’atra vota sbullete ‘e ricchie maleritta romantica!
(Peppinella, in grande imbarazzo, continua a trattenersi la
pancia con una mano) ‘A purga t’ha fattu effettu no?
Avissi ‘e sc-cattare propriu.
Mo’ vo’ dire ca ppe’ ‘ssa vota ‘a perdunati. E pue,
cummari Tiresì’, quantu vote è successu a ‘ssu paise ca ‘e
parole ‘e trasformanu mentre caminanu, mentre passanu ‘e
vucca a vucca: alli suttani una rice “c”, alla chiazza ce
mintanu “o”, allu travu ‘a erre, alle pezze ‘u “na” e alle
baracche diventanu corna. E’ propriu ‘na caratteristica
paisana chissa, ‘nu giornalismu norrale terra terra, dicimu.
E’ lu veru, cummari ‘Ntonè’, tieni ragione; Però, ‘ssa
parolicchia chi s’è formata ‘a via via caminannu cumu ‘a
cacci cchiù ‘e r’a capu ‘e r’a gente, cumu fa’ ppe’ la fare
tornare torna arrieti ‘e duve è partuta?
In questo caso ce volissi la marcia indietro. No, marru
‘Ndri’?
Ce volissi la pestachitevegna! U’ palu ce volissi, chissu
fuossi lu rimediu giustu. (Riferendosi a Peppinella) Chissu
tuttu ppe’ ttie, gazzettà’!
Povera donna, se vogliamo poi tanta curpa nun ne tene; ‘nu
pocu semplice c’è ed è veru, ma la curpa maggiore è della
243
televisione italiana chi l’ha ‘nfruenzata. Vue ce scherzati
ccu’ tutti ‘ssi “butifulli” e “quando si ama”, quantu corna
circulanu ogne jurnu ‘e sse case case e illa, poverina, l’ha
visti puru ‘ntr’a putiga ‘e Maria. ‘U’ r’è veru Peppinè’?
(Peppinella timidamente annuisce)
TIRESINA
M. CICCIU
‘NTONETTA
TURUZZU
M. CICCIU
TURUZZU
M. CICCIU
TURUZZU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
TIRESINA
TURUZZU
Illa, chi è affermata giornalista gazzettara, ha fattu il suo
dovere: l’ha propagandati senza sapire ‘u rannu chi facìa.
Cchi trama oh, parìa ‘na fissaria, ‘mbece ‘n’atra pocu ce
volìa l’ispettore Cattani ppe’ ne escere.
Pue tuni varvì’, nun cunchiuri mai quannu parri; statti citu
ch’è miegliu.
Peppinè’, chissu ti lu ricu ppe’ ‘mparamientu: ‘n’atra vota,
‘u ragionamentu ppe’ lu giudicare, le sentere tuttu, sinnò,
ccu’ ‘ssu metudu tue, po’ fare scoppiare puru ‘na guerra
atomica e ne fa’ morire a tutti.
(Spaventato fa gli scongiuri) Maronna mia, nun sia mai!
A dire u’ veru, ccu’ Rosina l’argomento corna in questione
l’amu trattatu veramente, però ‘ngenerale e la povera
Peppinella, di passaggio, ha afferrato solo ‘u significatu
peggiore del tema.
‘Nzomma, ‘na cosa ad alto livellu: antropologica?
Si diceva che questo ramo, cioè le corna, ci sono sempre
state a ‘nzignare dall’antichità, ma che ai giorni norri, sono
molto più sviluppate, ramificate e diffuse.
‘U’ ne parramu, ‘u’ ne parramu! Cumu ciervi, marru Ci’,
cumu ciervi.
Forse oggi le prevede la costituzione italiana?
E’ molto prubabile, vistu ca l’onorevoli nuorri le tenanu
‘ntorciniati e a colori.
Mo’ basta, chiurimu ‘u spettaculu ch’e statu luongu e
divertente abbastanza; e ‘n’atra vota, prima ‘e aperire ‘a
vucca, penzati buonu a chillu chi riciti. (Invita Menuzza a
rientrare in casa) Ormai ‘a cosa è chiarita: jamuninne figlia.
(Visibilmente commosso) Menù’, fermete! Signora Tiresì’
aspettati ca vuogliu chiarire tuttu ‘e capu a pieri. (Tutti
ascoltano con interesse e stupore). ‘A curpa ‘a tiegnu io s’è
scoppiatu tuttu ‘ssu putiferiu. Tra mie e Menuzza c’eranu
244
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
TURUZZU
M. ‘NDRIA
TURUZZU
M. ‘NDRIA
TURUZZU
state sulu parole ‘e nente, senza ‘mportanza, chi nun
c’intranu propriu nente ccu’ l’argomentu diffusu ‘e
Peppinella.
‘U sapimu, ‘u sapimu ca erati ruvi gigli.
Ha capitu marru Cì’? (Lo scuote per un braccio).
(Colto di sorpresa sobbalza) Eh, certo, certo: ‘nzomma,
niente attrezzi pericolosi ‘ntesta, vero?
Cumu se rice: n’eramu concessi solo una pausa di
riflessione, cosa normale tra fidanzati. Non è veru marru
‘Ndrì’?
E cumu no, certu, ‘e ‘ncazzatine e li rispettucci ppe’
l’amure su’ cumu ‘u zuccaru, ce vonnu e come; ‘u fannu
crescere e le prevede puru ‘u patronu: S Valentinu.
Sulu ca nue ‘u’ r’avìamu previstu a santa Peppinella e le
sue geniali ‘ntuizioni.
Turù’, chisse cumu ‘e po’ fermare, tenanu ‘na licenza
speciale. Ci ne su’ state e ci ne sunnu Peppinelle ‘ntra ‘ssi
vicinanzi chi fannu liticare ‘a gente ppe’ nente, ppe’ le
sentenze facili chi sfurnanu tutti i jurni senza sapire ‘u male
chi ponnu fare.
(Si avvicina a Menuzza e le cinge il collo con un braccio)
Menù’ io signu ‘u stessu ‘e prima, nun è cangiatu nente,
l’amure ppe’ ttie è sempre ranne e cocente!
(Tutti assistono commossi. Marru Cicciu si stropiccia le mani per la gioia)
MENUZZA
TURUZZU
M. CICCIU
TIRESINA
Però ‘e oje avanti, senza pause cchiù!
Ti l’assicuru! E mancu Peppinelle, statti tranquilla.
‘E ‘ncazzatine passanu, però l’amure veru trionfe sempre.
(Imbarazzata) Rosì’, perduname ppe’ lu ranne ‘quivocu; ne
simu fatte portare ‘e r’u riavulu!
PEPPINELLA Allura, mo’ chi ce siti, perdunatimme puru a mie ppe’
r’avìre ‘mbiatu ‘ssa ranne timpesta. ‘N’atra vota vo’ dire ca
me sbullu ‘e ricchie ppe’ sentere bene.
ROSINA
(Allarga le braccia in segno di accondiscendenza alle
suppliche) Su’ cose chi succeranu, cchi ce jamu facimu; ‘u
‘mportante è c’amu chiaritu ‘a cosa. Io ve perdugnu a tutti
e cumu sempre rimanimu ccu’ ranne amicizia.
M. CICCIU
(Batte le mani e saltella) E’ scoppiata ‘a pace!
245
MARIA
Sia lodato Dio! Ohi quantu haiu pregatu ppe’ ‘ssu
momentu ‘e pace.
(Maria abbraccia il figlio e Menuzza; lo stesso fa Tiresina. Si abbracciano
anche Maria e Tiresina., mentre gli altri gioiscono e battono le mani. In
quest’atmosfera di festa entra in scena Micuzzu di ritorno dal lavoro. Ha in
mano un mazzo di fiori da regalare alla moglie per il suo compleanno)
MICUZZU
TIRESINA
MICUZZU
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
MICUZZU
TIRESINA
M. ‘NDRIA
ROSINA
MICUZZU
TIRESINA
Me guarde me guarde, e cchi v’è pigliatu oie, cchi su’ ‘ssi
festeggiamenti?
(Imbarazzata ma felice) Micu’, si’ benutu propriu allu
momentu giustu.
Se vire c’haiu ‘ntuitu l’aria ‘e festa. ‘Nzomma, ‘e cchi se
tratte?
Eh si sapissi ch’è successu Micù’! ‘Nzomma, ‘na cosa, ‘na
cosa chi nun ci haiu capitu nente. ‘U’ r’e veru marru
‚Ndri’?
E cumu no‚ na cosa partuta male e finita bene.
‘Nzomma, cchir’è ‘ssa cosa misteriosa e difficile?
(Inventa una bugia) E’ arrivata ‘a penzione a Rosina. Mo’
jamuninne ca pue alla casa te cuntu tutt’a storia. Nun è veru
Rosì’?
Se se, propriu quannu u’ statu le sta cacciannu a l’atri
E’ lu veru Tiresì’. È veru! Puru l’arretrati Micù’.
Allura tanti auguri a Rosina. Certu ca c’è bisuognu ‘e
festeggiare. Rosì’, ‘ssu mazzu ‘e juri ti lu rassi ccu’ tutt’u
core ma l’haiu portatu a Tiresina mia ca oje compie l’anni.
Te Tiresì’ (Tiresina prende il mazzo di fiori con tanta
emozione).
Grazie Micù’ ‘e ‘ssu biellu pensieru addurusu e gentile.
(Tutti danno gli auguri alla festeggiata)
MARIA
‘NTONETTA
ROSINA
PEPPINELLA
E ‘u’ n’avìa rittu nente!
Ppe’ cent’anni cuntenta cummari mia.
Agurìi e tanti jurni ‘e chissi sempre cuntienti.
(Timidamente porge la mano a Tiresina) Agurìi ppe’ l’anni.
246
TIRESINA
M. ‘NDRIA
MICUZZU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
MICUZZU
M. CICCIU
TIRESINA
(Abbraccia Peppinella) Vieni cca, abbrazzeme Peppinè’
nun te spagnare ca nun te muzzicu, runeme ‘nu vasu.
(Peppinella esegue l’invito ricevuto).
E chine si la crirìa oje ‘ssa sorpresa: eramu partuti ccu’ ‘na
guerra totale e simu arrivati ccu’ due feste! Cchi fantasia
ranne c’avìmu!
Quale guerra marru ‘Ndrì?
Nulla guerra Micù’, sulu parole ‘e vicinanzu, senza fare
male, cumu allu teatru ‘nzomma.
Rropa ‘e fimmine Micù’: a ‘nu mumentu grirate, jestigne,
improperi e doppu ‘nu pocu, risate, abbrazzi e abballi.
Ppe’ chissu, marru Ci’, alle fimmine norre ‘u’ le passa
nullu, tenanu ppe’ natura l’animu ‘e r’e commedianti:
fantasia ranne e cannaruozzu forte.
Perfettu Micù’, ha ritrattatu perfettamente ‘a cosa.
(Prende sotto braccio suo marito) Micù’, trasimuninne ca
sinnò ‘a torta c’haiu preparatu si la mangianu ‘e musche.
Anzi, trasiti tutti, ca roppu ‘ssa faticata, ‘u dolce vi lu
meritati ppe’ daveru. (Tutti si avviano verso casa di
Tiresina).
FINE DEL PRIMO ATTO
247
ATTO SECONDO
(All’apertura del sipario ‘Ntonetta è seduta al solito posto ed è intenta a
lavorare, canticchiando sottovoce una canzone melodica. Dopo un po’, entra
in scena Tiresina; porta con se una sedia e gli arnesi da lavoro e va a sedersi
accanto a ‘Ntonetta).
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
Cummari ‘Ntonè’, ricica ‘ncuna vota te puozzu gapare ‘u
postu, cumu sempre si’ la prima a escere e a pigliare fatiga.
Tieni ragiune cummà’, ‘ntramente cchi fazzu ‘ntra ‘ssa
casa, ricica tiegnu a ‘ncunu ppe’ parrare? Roppu chi te
mangi ‘ssu pitazzu ‘e minerra, lavi ‘ssu piattu, ‘na scupata
alla reggia e r’haiu finitu ‘e te cuntare ‘u fattu.
Propriu ‘e cussì, finiti i servizi cchi fa’ intra. Armenu fore
se sburìe, ‘u tiempu passe de cchiù, respiri ‘n’atra aria.
‘U paise almenu ppe’ ‘ssa cosa è buonu, ca jiesci fore
‘ntr’u vicinanzu e truovi a ‘ncunu ppe’ dire ‘na parola; e
puru ca una è sula, se sente cchiù animusa, cchiù protetta e
tranquilla.
Denneliberi, atrica alle città! Piglie ppe’ r’esempiu ‘na
persona anziana, chi sta de casa allu quintu pianu e macari
puru menza sciancata, se po’ considerare ‘ngalera, agli
arresti domiciliari.
Via, via, via! Specialmente si allu palazzu nun c’è chillu
bidone chiusu chi va supra e sutta, chi mo’ me fuje d’a
mente cumu se chiame.
Ah, l’ascenzione, cummà’, e cussì se chiame; chillu chi te
fa’ risparmiare ‘e scale. Sempre si nun si ne va lu ‘lettricu e
se ferme a menza via, ccu’ lu periculu puru ‘e ce morire
affucata e intra.
Nun sia mai! E mo’ me freche a mie!
‘Nzomma, cumma’, a ‘na cristiana chi l’azziccanu lla supra
esce sulu quannu ce fannu fare l’urtimu viaciu, in posizione
orizzontale.
Però armenu tannu esce a cavallu, accompagnata ‘e ‘na
fulla ‘e gente tutta commossa e sc-cantatizza, chi se
248
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
arricordata e ‘ssa povarella sulu quannu ha lettu ‘u
manifestu.
Cchi ce va’ fa’, cummari mia, chissu è lu munnu, te fannu
viaggiare ccu’ la machina ‘e lussu propriu quannu nun te
serve cchiù.
E’ lu veru! Mah, ‘mbecchiarìa, nun se sa mai cumu va a
finire e chillu chi ne tocche!
Specialmente ‘ntra ‘ssi tiempi moderni e progressisti, duve
tenanu valore sulu i sordi! Ppe’ r’esempiu, ‘ssi figli ‘e mo’
tantu chi su’ affezionati chi allu primu corpu ‘e tussa te
ponnu fare cangiare aria cumu nente e ccu’ ‘na scusa
qualunque te mannanu in villeggiatura nelle prigioni di
lusso, chi loru ‘e chiamanu case di riposo.
Propriu ‘e cussì! Te ricianu ca ‘u fannu ppe’ lu tuo bene, ca
lla po’ stare ‘nziemi all’amici guali tue, ca ve potiti
ripassare ‘a storia antica, ca te venanu a trovare tutt’i jurni,
ecc... ecc….
‘Ntantu, ccu’ ‘ssa scusa, ti ne mannanu ‘e r’u paise tue, se
piglianu ‘a casa, ‘ncuna rropicella e chine s’è vistu s’è
vistu. Addio siettu ‘e r’u vicinanzu! Pue, ‘sse belle jurnate
e le cummari parrettere ti le suonni.
Cumu è successu a Caterina ‘e Carretta, ca l’hannu portata
allu spiziu e allu paise sue nun ci l’hannu portata cchiù
mancu roppu morta. (Implorante con lo sguardo al cielo)
Te priegu, Gesù mie, famme finire i jurni a ‘ssu vicinanzu,
‘ntr’a casicella mia.
Cumu n’è destinata nun po’ mancare! Nue nun cuntamu
propriu nente, potimu sulu sperare r’avire furtuna.
Propriu chilla chi m’è mancata a mie. Rimasta cca, sula
ccu’ ‘na figlia e chillu biellu ‘e marituma chi si la spassìe
‘ntra l’America. Trariture!
A propositu, cchi bita mine cumpà’ Ruminicu?
Chilla ‘e r’u pascià! Ormai, cummari mia, mancu scrive
cchiu. S’è scordatu ‘e tutti, puru ‘e r’a figlia. ‘U sacciu io
cumu staiu tirannu avanti.
Ce vo’ curaggiu, forza e curaggiu.
‘U facìmu escere a forza, sinnò ‘e atru cchi ba fai ccu’ ‘ssu
biellu galantomu.
E Sarina, cumu va la cummarella ccu’ lu studiu?
249
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
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‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
‘Ngrazia ‘e Dio parica sta finiennu, l’è rimasta sulu ‘n’atra
materia ‘e rare; pare ca se tratte da pepsicologia e pue le
rimane la tesa.
Menumale, ‘e cussì se cacce ‘ssu collatu e lu ververu.
‘U pensieru e li sordi, ca quannu unu è fore nun ci abbaste
nente, è sempre ‘na funniaria guala. Cchi ura po’ esere
mo’?
(Guarda in alto verso il sole) E saranno vers’e quattu! Ppe’
cchi, t’e pigliare ‘ncunu pinnulu?
Noni cummà’! Chillu ppe’ lu polisterolu àvutu mi l’haiu
già pigliatu prima ‘e mangiare, mentre chillu ppe’ lu
cervicale roppu ‘mbece.
E allura, pecchì te serve l’ura?
Ppe’ Sarina mia, ca a chist’ura se sta preparannu ppe’
partere.
Si ne vene? E nun m’avìa rittu nente.
Ha fattu ‘na decisione a ‘na vota. Ma sulu ppe’ pochi jurni
però, ca me vo’ fare canuscere ‘u fidanzatu nuovu: Piero
Brachetto.
‘U vì’ cchi bella notizia! Tanti agurìi poca.
Te ringraziu, cummà’.
E brava a Sarina, e cussì se piglie due cose a ‘na vota: ‘a
lavurìa e lu zitu.
E’ ‘nu milanese pulentone. Mo’ sapimu cum’è ‘mpersona?
Illa m’ha dittu ca è ‘nu biellu cazzale altu; e s’ha de
laureare puru illu ‘e na cosa chi mo nun me vene a mente.
(Pensa un po’) Aspette…me pare ancheologìa.
‘Ncunu ramu chi riguarde le natiche e lu bacinu?
Noni chissu, me pare ch’è ‘nu ramu chi tratte de caverne ‘e
r’a terra.
Se vire ch’è curaggiusu allura? Bravu, bravu.
‘U patre ‘e r’u fidanzatu porte ‘nu drammu supr’i binariì
‘ntra Milanu; ‘a mamma ‘mbece fatiche a ‘na ranne
fabbrica ‘e tirallampi.
‘Nzomma, è ‘na famiglia bona, agiata? Me fa’ piacere,
bravi! E cussì, cummà’, ‘ncuna vota va’ viri l’artitalia.
Nun ci ne sunnu ‘e ‘sse paure, stassi duv’èni, ca io ‘e ‘ssu
scalune nun me muovu, a cambiamientu ‘e aria nun ce
vaiu. (Entra in scena Maria).
250
MARIA
TIRESINA
‘NTONETTA
MARIA
TURUZZU
TIRESINA
‘NTONETTA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
TIRESINA
MARIA
TIRESINA
MARIA
‘U vi’ ‘e cummari cumu si la sannu parrare quete quete!
Raveru Marì’, ne stavamo ripassannu ‘nu pocu ‘e giografia
e storia antica.
E puru chilla moderna. ‘U fattu è, cara Maria, ca la
trovamu sempre cchiù difficile e complicata.
‘E chine ‘u vo’ rittu: cchiù passanu l’anni e cchiù ‘u libru
divente gruossu e ‘ngarbugliatu. Cumpermessu quantu
aperu. (Mentre va ad aprire la bottega entra Turuzzu).
Salutamu ‘e signore, grandi lavoratrici.
E a tie bonu venutu e bona digestione.
Salute e pace Turù’! Cumu va la vita?
‘A solita ‘Ntonè’, se tire avanti, se combatte ccu’ la fatiga.
(Indica la madre che sta aprendo la bottega) ‘A vi’ ‘a
patrune mie, è puntuale puru ccu’ ‘ssu cavuru. M’era
pigliatu a malapena ‘nu pocu ‘e suonnu e illa, cumu ‘na
matrigna, senza chi le rispiacissi, m’ha disbigliatu a ‘na
vota.
Povariellu, è sc-cantatu ‘e r’a paura. Stamattina è azatu alle
undici e lu pomeriggiu tene puru bisuognu ‘e fare ‘u
ricuperu. Camine ‘ntra ‘ssa putiga e sbrighete, ca mo’ è
tiempu ‘e t’arrimisc-care ca si’ giuvine, ca pue ne tieni
tiempu ‘e t’abbentare.
Cca mammata tene ragione Turù’.
E chine ‘u sa’ si tene ragione, ccu’ ‘ssi tiempi vizarri duve
c’è chine nun fa mai nente e campe miegliu ‘e l’atri:
machinuni, villeggiatura e festini.
Se vire ca a chissi le fa’ l’uovu ‘u gallu!
Oppuramente, fatiganu allu turnu ‘e notte (mima con una
mano l’atto della ruberia).
Miegliu a esere furmiche cum’e nue e fatigare sempre e no
cumu fannu tanti scialacquni.
E’ lu veru Tiresì’, è lu veru! Allu munnu ‘a prima cosa è lu
risparmiu e l’onestà. (Con fare affettuoso e cordiale) E
Menuzza è supra? Cchi sta faciennu?
Sini, è intra. L’haiu lassata chi stava ricamannu ‘nu
lenzulu. Povera figlia, ce sta ‘ncecannu!
Ma armenu ‘u fa perfettu, ricica ‘u’ r’è ‘ngalapata?
251
TURUZZU
‘NTONETTA
MARIA
‘NTONETTA
‘MARIA
TURUZZU
MARIA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
(Si rivolge alla mamma ironicamente) Signara patruna, me
potiti concedere ‘nu pocu ‘e permessu, quantu vaiu ‘nu
minutu a salutare a Menuzza?
Marì, chissu ravero ca nun ci lu po’ negare: ‘e visite alle
fidanzate nun le po’ vietare nemmeno ‘a dittatura cchiù
forte.
T’arricummannu, però, fa’ priestu ca avimu ‘e aggiustare
‘u bancu.
Pue tuni Mari’, pretienni troppu, cchi cos’è! Te pare bella
ca campìe d’a porta, ‘a vire e se vote? E Menuzza cumu
po’ dire: l’haiu fattu spagnare. ‘Mbece trase, ‘a visite si sta
bona, l’addimmanne si le manche ‘ncuna cosa e pue si ca
po’ venire cuntientu e tranquillu alla putiga.
Ntonè’, ‘a legge ‘e l’amure è chilla ca rittu tu, però, s’ha de
conciliare puru ccu’ la legge ‘e r’a fatiga.
Va bona ma’, nun fare sempre ‘sse prieriche lagnose;
cumince a fare ca io ti promettu di venire priestu. (Entra
in casa di Menuzza).
Cchi ba fa’, ce vo’ pacienza. Permettitime. (Entra nella
bottega).
Cummari Tiresì’, te ricu ‘a verità: Turuzzu a mie m’è
sempre piaciutu, ‘e r’u primu momentu haiu rittu: Menuzza
ha fattu ‘na scelta bona, chissa è ‘na coppia ‘mpattata.
Grazie cummà’, grazie! Sempre però si nun esce fore
‘ncun’atra Peppinella chi ‘nzacche fuocu e compliche le
cose; tu ‘u’ l’ha vistu ppe’ nente cchi t’ha scatinatu ‘a
gramalune.
Speriamo ‘e noni e pue nue simu lluoco, cchi guardamu,
chillu chi ce reste? Facimu jire ‘nfumu ‘nu matrimmuoniu
sulu ppe’ le chiacchiere ‘e ‘ncuna menza merulla?
‘Ntantu ha’ vistu alla figlia ‘e Carminella ‘a cagnusa cchi
l’è capitatu.
Noni cummà’, è la prima parola chi sientu: cchi l’è
successu?
‘U zitu, roppu cinqu’anni ‘e lungo tirociniu, l’ha chiantata
propriu ppe’ le parole ‘nfamanti chi hannu rittu ‘e ‘ssa
giuvinella.
E mo’, cumu l’ha pigliata ‘ssa povarella ?
252
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
Ricica ppe’ lu forte rispiacire s’ha tagliatu ‘a ven’arteria e,
d’u tantu sangu c’ha piersu, ppe’ pocu ‘u’ r’è juta ‘ncomu.
E cchi ce avìa de jire a fare a ‘ssu Comu?
(Con ironia) Cumma’, no Comu Comu, chillu vicinu a
Milanu, ma chill’atru comu vicinu ‘u campusantu (mima
con due dita la morte).
Povera figlia ‘e mamma, nun sia mai! Ma vire ‘nu pocu
cchi persune maligne chi ce su’ allu munnu, pare ca su’
nate apposta ppe’ fare male. E mo’ ‘ssa guagliuna cc’ha de
fare povarella? E’ rimasta ‘n mienzu ‘na via?
C’è la ‘mbirìa allu munnu, cummari Ntonè’, ce su’
‘mbiriusi e jettaturi: due categorie abbastanza affermate e
potente.
Sini, sini! Cumbene a caminare ccu’ ‘nu ciceru ‘e sale
‘ntr’a sacchetta e ‘nu fierru e cavallu ligatu allu cuollu.
Chissi certe vote nun abbastanu nemmenu, ca ce vo’
propriu ‘u palu ppe’ chine nun sa tenere ‘a lingua a postu.
Ppe’ r’esempiu, ppe’ una cumu Peppinella.
(Entra in scena Peppinella. Ha in mano una radio)
‘NTONETTA
TIRESINA
PEPPINELLA
TIRESINA
PEPPINELLA
TIRESINA
PEPPINELLA
TIRESINA
‘NTONETTA
PEPPINELLA
(Rivolta al pubblico) Parri ‘e r’u riavulu e spuntanu ‘i
corna!
Peppinè’, cchi va’ girannu ccu’ ‘ss’attrezzu?
(Con aria trasognante) ‘A mosica, Tiresì’: io signu
appassionata. E chilla vecchia però: tanghi varzeri e
marzuche.
Sulu ‘e chissi, Peppinè’? E lu turiste nun te piace?
Quello ‘un tanto, perché mi fa’ sguazzariare il cerviellu e
mi spagno che mi guasta il ragionamento!
‘E ‘sse paure ‘u’ n’avìre gioia, ca tu ‘u ‘ngranaggiu ‘u tieni
guastatu ‘e natura: c’è statu ‘nu difettu ‘e fabbrica!
‘Nzomma, signora Tiresì’, io signu melodica nella vita!
E chine rice lu contrariu! Cuntenta tu!
Mo’ duve e jire ccu’ ‘ssu cavuru? Assettate lluocu ‘nu pocu
ca ne tieni cumpagnia.
Noni, io viaggio! Me fazzu ‘u giru ppe’ il paese e, ogne
tanto, me fermo a ‘ncunu vicinanzu. ‘Nzomma, fazzu sosta
ppe’ m’abbentare e ppe’ me ‘ntrarire di tuttu chillu chi
253
succere.’E natura tiegno questo vizio ‘e me ‘nfurmare e io
me ‘nfurmu!
‘NTONETTA Allura assettate a ‘ssu vicinanzu ca te ramu ‘e prime notizie
e ne fa sentere puru ‘ncunu motivu ‘e r’i tue, appassionatu.
TIRESINA
E no de chilli chi fannu liticare ‘a gente, t’arricummannu!
PEPPINELLA Tranquilla, Tiresì’! ‘E chilli mai cchiù! (Va a sedersi vicino
a ‘Ntonetta). Signora ‘Ntonè’, te siervu subito! (Fa’
ascoltare una canzone appassionata).
(Ascoltando la melodia, Maria esce dalla bottega,
Turuzzu e Menuzza escono di casa)
‘NTONETTA
TIRESINA
MARIA
TIRESINA
MARIA
TIRESINA
‘NTONETTA
(Emette un lungo sospiro) Eh! Quantu ricordi, quantu cose
chi tornanu ‘n mente ccu’ ‘ssa canzuna!
Cumu su’ passati vulannu chili bielli tiempi!
E brava a Peppinella, ca ne tene allegre e ne fa’ faticare
ccu’ la musica!
Marì’, tutt’a buonanima ‘e r’a zia. Ti l’arricuordi?
E cumu ‘u’ mi l’arricuordu a Tarazzuna!
Sulu ca chilla sonava ccu’ la pettinissa e illa ‘mbece ccu’ la
radiu.
Però ‘a passione ppe’ la musica è la stessa! Se vire ca è
tutt’a razza ‘ntonata!
(Maria esce)
TURUZZU
MENUZZA
Gente cumu Peppinella su’ necessarie cum’u pane ‘ntra ‘nu
paise; si nun ce fuossinu l’averamu ‘e ‘mportare ‘e fore!
Portanu movimentu, allegrìa…..
Litiche, ‘nimicizie!… Citu, ci’, ca ‘n’atra pocu n’avìa fattu
pezziare!
(Intanto, stringendo la radio al petto, Peppinella si è addormentata)
TURUZZU
E va’ camine! Pue tuni! Cchi curpa ne tene illa si ha questo
piccolo difettuccio di natura? Povarella, ogni tantu
equivoche e arme qualche rugna. Te, guardatila benerica
cum’è quagliata a ‘na vota! A chine rune fastidiu? Pare
‘n’angiolettu!
254
‘NTONETTA
TIRESINA
MARIA
TURUZZU
‘NTONETTA
TURUZZU
MARIA
TURUZZU
Me birala cum’è tranquilla l’erramusa! Parrannu e sonannu
l’è pigliatu ‘u suonnu! E dire c’avìa de girare tutt’i
vicinanzi! ‘Mbece s’è fermata alla prima stazione.
Allu munnu ‘e oje chisse goranu ‘e cchiù: nun s’arracianu
ppe’ nente e campanu cent’anni tranquille.
(Dalla porta della bottega) Turù’, cchi cos’è, ancora staiu
aspettannu a ttie!
Già, m’era scordatu! Comunque obbediscu alla mia
mamma patrune! Menù’ vieni puru tuni, ca ‘nziemi ‘a
fatiga vene meglia!
Ah, chissu cchiù ca rici, figlicì’! Ccu’ l’amore vicinu, ‘a
fatiga pise de menu e renne de cchiù!
Viate a bue ‘mbece, ca ve potiti ricreare assettate vicinu a
Peppinella e alla sua mosica!
Camine e sbrighete, e vieni alla putiga senza fare tante
storie!
Bon divertimentu allura! Jamuninne Menù’!
(Maria, Turuzzu e Menuzza entrano nella bottega. Ad un tratto si sente un
cane abbaiare e una persona che urla spaventata)
ROSINA
(Fuori campo) Pristullà’! Chiamative ‘ssu cane! Ohi
Madonna mia, za'! ‘E chin’è ‘ssu risgraziatu ‘e cane?
(Entra in scena stravolta dallo spavento). Aiutu, aiutu!
Cchi bestione, denneliberi! M’ha muzzicatu!
(Viene soccorsa da Tiresina e da Ntonetta)
PEPPINELLA (Peppinella si sveglia e, spaventata, si mette a correre
all’impazzata, pensando che Rosina la voglia bastonare).
Aiutu! Nun te ‘mpucciu cchiù, ti li giuru!
‘NTONETTA (Afferra Peppinella per un braccio) Mme fermete! Statti
male queta, ca nun la tene ccu’ ttie!
TIRESINA
Cchi t’è successu, chin’è statu?
ROSINA
(Quasi senza fiato) ‘U cane Tiresì’! ‘Nu bestione ranne!
PEPPINELLA ‘U virati ca nun va’ d’accuordu mancu ccu’ li cani?
TIRESINA
Zitta Peppinè’! ‘A cosa è ‘mportante.
‘NTONETTA Carmete mo’, carmete! Tutti a ttie capitanu ssi pest’e guai?
Cchi cos’è!
255
ROSINA
M’ha frugatu e arrieti alla ‘ntrasata, ‘Ntonè’! Avìa ‘nu pocu
‘e pane alla manu ccu’ ‘nu spicchiu ‘e sozizza e mi l’ha
scippatu.
PEPPINELLA Propriu ‘a merendina Rosì’?
ROSINA
Propriu ‘a pestachitevegna, ciotagliune! T’avìa de capitare
a ttie ppe’ birere!
PEPPINELLA A mie i cani me vonno bene ca signu ‘e naturale bona e il
pane mi ci lo sparto prima.
TIRESINA
Chissu è veru, ccu’ le bestie parranu ‘a stessa lingua.
‘NTONETTA Assettate, assettate a ‘ssu scalune ca te vaiu fazzu ‘nu
bicchieri ‘e acqua e zuccaru.
(Mentre Ntonetta va a casa, Rosina, assistita da Tiresina, si siede al gradino)
PEPPINELLA (A Rosina) Cara amica Rosina, tu nun sai quantu mi ne pise
‘e chisso incidente chi t’è capitatu! Allura, ‘u cane era di
razza ranne?
TIRESINA
Va t’assette Peppinè’, v’a t’assette e dorme ‘n’atra pocu!
PEPPINELLA Noni, nun me frechi Tiresì’! E ‘ssi vene lu cane?
TIRESINA
Te tire la trippa!
(Entra ‘Ntonetta e porge a Rosina il bicchiere d’acqua zuccherata)
‘NTONETTA
Vive Rosì’, vive ca chissa te carme!
(Rosina ne beve due sorsi e depone il bicchieri sopra il gradino.
Ne approfitta Peppinella per finire di svuotarlo)
ROSINA
‘NTONETTA
Parica mi ce sientu ‘nu pocu meglia!
E’ miegliu si ti lu vivi ‘n’atra picca ca t’aggiove! (Prende il
bicchiere e lo trova vuoto. Intuisce subito che a compiere
tale operazione è stata Peppinella). Peppinè’, ‘sse cose nun
se fannu, ha capitu?
PEPPINELLA Scusa ‘Ntonè’, ma puro io ho avuto lo sc-canto! Stava
dormendo io, capito? E tu ‘e sapere ca lu sc-canto del
suonno è cchiù pericolosu ‘e chillu c’ha avuto Rosina ppe’
il cane! Lo sai chisso?
TIRESINA
Certo, ha subitu cumu ‘nu infortunio sul lavoro, po’ fare
puru ‘a causa ‘e serviziu e la vinci di sicuro.
256
ROSINA
(Ristabilita, si rivolge a Rosina con compatimento) Eh,
malanova tua! Sempre ‘a stessa si’, nun cangi mai!
TIRESINA
Cchi ce va’ fa’ Rosì’, l’amu ‘e accettare cum’è!
‘NTONETTA ‘U mportante ca ‘u cane nun t’ha muzzicatu ‘a gamba, ca
pue ‘a paura passe!
ROSINA
(Osservandosi e ispezionando attentamente) Pare de noni,
c’è sulu ‘na scigatina alla vesta!
TIRESINA
‘Ssi disgraziati ‘e cani, su’ sempre ‘ngiru a flotte ‘ntr’u
paise. Te spagni puru ‘e caminare.
‘NTONETTA Nun c’è nullu rigore cummà’! Volissi ca ce muzzicassinu
‘e mugliere a ‘ssi cummannanti, ppe’ birere pue cumu se
sentano! Sc-cantassinu o no!
TIRESINA
Mah, cchi ce va’ fa’, ce vo’ pazienza! Parramu sempre ma
nun cunchiurimu mai nente! ’A meglia cosa ch’è:
ripigliamu a faticare, ca ni ne vene cchiù utile.
‘NTONETTA Raveru, tieni ragione, chissa è la santa verità.
ROSINA
L’haiu portata puru io ‘na matassa ‘e fielu ppe’ la cogliere;
sulu ca ce volissi ‘n’aiutu.
‘NTONETTA Me, ricialu a Peppinella!
ROSINA
Sapimu s’è de genu? Peppinè’, sempre si nun si’ mpegnata
ccu’ la mosica e si te rice, volissi data ‘na mano a cogliere
‘na picca ‘e fielu. Si’ disponibile?
PEPPINELLA E comu no! Alla mia amica Rosina con tutto il core! Ti
l’ammieriti propriu roppu ‘ssu ranne sc-canto c’hai avutu.
‘NTONETTA (Rivolta al pubblico) Roppu chillu chi ci ha fattu passare ce
volissi puru!
PEPPINELLA (Offre le braccia a Rosina per reggerle la matassa) Ecco,
pronta ppe’ Rosina! (Per l’imperizia di Peppinella,
l’operazione si svolge con molta difficoltà).
ROSINA
Brava a Peppinella, grazie! Pue ‘ncuna vota me
rissuobbricu!
(Regna un po’ di pace. Mentre tutte le donne sono intente al lavoro, di corsa
entra marru Cicciu. Ha in mano un giornale e si dirige verso la sua bottega)
M. CICCIU
‘NTONETTA
Salutiamo, salutiamu le nostre donne lavoratrici!
Puru a tie, maestro! Oje simu in ritardu? Cumu va’, marru
Ci’?
257
M. CICCIU
Raveru ‘Ntonè; c’è statu ‘nu piccolu ‘ntuoppo! Ho dovutu
sbrigare ‘na faccenna ‘nu pocu delicata.
PEPPINELLA Sapimu, marru Ci’! Io rico ca t’è pigliatu il suonno.
M. CICCIU
Cumu rici tu, Peppinè’! Tu si’ telematica, sa’ tuttu!
(Entra in bottega e ne esce dopo un po’ col camice addosso e un scopa in
mano. Borbottando, scopa l’uscio della bottega. Dal negozio di Maria,
tenendosi per mano, escono Turuzzu e Menuzza)
MENUZZA
TIRESINA
TURUZZU
‘NTONETTA
Oji ma’, nue ne jamu facimu ‘na passeggiata!
Adduve jati , ca ancora fa’ cavuru!
Ppe’ chissu nun te preoccupare, pecchì duve jamu nue c’è
‘nu friscu meravigliosu.
Cummari Tiresì’, mo’ cchi bue, ca i fidanzati nun
canuscianu i posti frischi?
(Peppinella si dondola e canticchia)
ROSINA
‘U viale dell’amore: dove sotto le fresche frasche si sta
freschi!
TIRESINA
Ma pue, chissu è tiempu ‘e ru loru, mo’ se ponnu sburiare
‘nu pocu. Comunque, v’arricummannu, nun faciti troppu
tardu!
MENUZZA
Nun te preoccupare, prima ‘e ‘mbrunare simu già cca.
TURUZZU
Ciao a tutte e buon lavoru. Puru a ttie, signorina Peppinè’!
(Escono).
PEPPINELLA Ciavo alli ziti!
MARIA
(Mentre esce dalla bottega) Su’ già juti?
TIRESINA
Propriu moni Mari’!
MARIA
A dire ‘a verità, hannu fatigatu raveru, però avianu ‘na
pressa guala ‘e finire.
PEPPINELLA Chiamali ciuoti! ‘U sannu illi il motivu. (Tutti abbozzano
un sorrisetto).
TIRESINA
‘Ssu pesta ‘e tombulu nun va buonu ‘e nente, me sta
faciennu jettare l’anima! Peppinè’, mi ce va’ ‘nu momentu
duve Rosa ‘e Grancu e ce rici si me ‘mpreste lu sue?
PEPPINELLA E la matassa, chine ci la tene alla mia amica Rosina?
MARIA
Peppinè, si ce vo’ jire, ci la tiegnu io ppe’ ‘nu pocu, tantu a
‘ssu mumentu nun haiu nente cchi fare.
258
PEPPINELLA Cumu voliti vue, ppe’ me è lu stessu, anzi è meglio, ‘e
cussì durante ‘u viaggiu approfittu ppe’ jire a fare ‘na visita
allu cerasu ‘e Timpesta, ppe’ birere s’è cunchiutu.
TIRESINA
Fore responsabilità Peppinè’! Si ce vo’ jire! Io te ricu ‘e
filare reritta ca si ti ce trove chillu te gaccìe.
PEPPINELLA Stai squitata e nun sc-cantare, ca io signo furba e nun me
fazzu virere: Maria ‘a putiga’, te la matassa. E te
raccomando,
tenila
bene!
(Indica
la
radio)
V’arricummannu, guardatime bene lo strumentu.
MARIA
Ah, chi te via santa! Damme cca e vieni priestu.
PEPPINELLA Stai squitata Marì’! ‘Ngrano subito la quinta. (Esce di
corsa).
TIRESINA
E cunchiure, t’arricummannu!
M. CICCIU
(Mentre sta scopando davanti la porta della bottega) Eh
quantu vote mamma me ricìa: vate alla scola figliu!
‘Mparete bellu struitu, ca ‘nu diploma chisà quantu vale: te
fa conzare ‘mparu e te fa guadagnare tanti sordini.
‘NTONETTA Però, nun la si’ stata a sentere a cummari Filumena!
M. CICCIU
Noni ‘Ntonè’! ‘E parole sue ‘e na ricchia me trasianu e de
‘n’atra me escìanu. Io ‘mbece tirava filuni, jia allu cinamu
ccu’ chill’atru tartaruca ‘e Tumasinu o appriessu alle
signorine.
MARIA
Si’ statu viziusu no?
M. CICCIU
E puntualmente a giugnu abbusc-cava la silurata: bullatu
senza nulla pietà!
TIRESINA
Sa’ cumu s’arraciava ‘a povera Filumena!
M. CICCIU
Eh, si sapissi! Ancora ‘e tiegnu ‘ntr’e ricchie ‘e grirate ‘e
mamma e le jestigne ‘e patrima.
TIRESINA
Avìanu ragione e come povarielli! Ca tu ce pienzi cchi
bene a dire ‘n’annu piersu?
MARIA
Supra e sutta tutt’i jurni a viaciare! E ti la ricu io!
‘NTONETTA Quante matinate sprecate!
M. CICCIU
L’haiu fatti morire ‘mbalenati! (Si commuove).
TIRESINA
Certu ca ‘nu patre e ‘na mamma te volissinu virere cumu
‘nu re!
M. CICCIU
Ma ccu’ ‘ssa capu mia ‘e glianna nun ci hannu potutu fare
nente, se su’ dovuti ‘e arrendere.
‘NTONETTA Mah, certe vote su’ destini ‘e r’a gente!
259
(Tutte annuiscono)
M. CICCIU
MARIA
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
M. CICCIU
‘NTONETTA
MARIA
E mo’ te frichi, marru Ci’! Ricriete ccu’ ‘ssa scupa alle
manu e ccu’ li fuorfici ‘ntra ‘ssa reggia, aspettannu ‘ncunu
spasulatu chi vo’carusatu ‘a lana ‘e r’a capu. (Scorge vicino
la porta una busta. Si accinge a raccoglierla e ad aprirla con
ansia). Virimu ‘nu pocu chine s’è arricordatu ‘e mie!
Speriamu cose bone, marru Ci’.
Magari ‘ncunu rimborsu ‘e sordi, ‘n’eredità ‘e l’America!
(Mentre legge camminando si ferma di scatto manifestando
una rabbia incontenibile) Ahi a quantu corna aviti!
Vigliacchi! Latri ‘e mistieri ‘nfina alli catananni! Torna a
mie cercati sordi, a ‘ssu poveru cristianu ‘ntra ‘ssu bucu? E
nun v’abbuttati mai?
Cchi t’è successu, marru Ci’?
Nun c’è cchiù scampu, ogne jurnu c’è ‘na nova tassa ‘e
pagare! Hannu decisu ‘e me fare chiudere ‘a putiga! Nun ci
la fazzu cchiù! (Entra furioso nella bottega).
E mo’ duve fuji, marru Ci’?
Tene ragione povariellu, ne sacciu ‘ncuna cosa io supra
‘ssu campu: ppu, ppu, ppu, quantu tasse! Nun si ce fa
cchiù!
(Entra in scena Peppinella insieme a marru ‘Ndria.
Peppinella ha in mano una tombola)
M. ‘NDRIA
Simu trovati ppe’ strada e haiu viaggiatu ‘nziemi a
Peppinella.
PEPPINELLA Missione compretata Tiresì’: eccu ‘a tombula! (Tutti
ridono).
MARIA
Ha fattu venire ccu’ anticipu Natale.
TIRESINA
Te parìa c’a cunchiurìa la scunchiuta? Me bire, me bire! ‘U
tombulu t’avìa dittu, no la tombula. Cchi n’haiu ‘e fare ‘e
chissa ?
‘NTONETTA Vo’ dire ca lassamu ‘e fatigare e ne mintimi a jocare!
PEPPINELLA Io signu già pronta!
TIRESINA
N’avimu propriu ‘na gulìa! Peppinè’, allazzate torna ‘e
scarpe e va ci la porte. T’arricummannu, cunchiure ‘ssa
260
vota! ‘U tombulu ce rire: genere maschile, chillu ppe’
ricamere. Ha capitu?
PEPPINELLA E ce volìa tantu allu rire?
TIRESINA
Vate Peppinè’, vate e maniete.
(Peppinella esce manifestando insofferenza)
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
ROSINA
TIRESINA
ROSINA
M. ‘NDRIA
ROSINA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
ROSINA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
Il maestro varvieri non lo vedo, cchi fine ha fattu?
E’ dintra! Ma è nervusu marru ‘Ndri’. Sapimu cchi l’è
successu?
(Spia nella bottega di marru Cicciu) Mah, il maestro nun si
vede! Chisà se ha avutu ‘ncuna chiamata urgente dal cesso?
Tuttu po’ esere ccu’ tutte ‘sse paure chi ce sunnu ‘ngiru.
Rosì’, e tu nun dici nente, ti ne sta muta?
E’ miegliu, cussì nun tiegnu paura ‘e sbagliare! Ha vistu
cumu se piglianu storte ‘e parole certe vote?
E bia Rosì’, sbersala! Mo’ è tuttu passatu e pue, ricica ‘a
gente te capisce sempre malamente?
Tiresì’, cchi ne sai cchi gire ‘ntra ‘sse capu.
E pue mo’ ne po’ approfittare, tantu Peppinella nun c’è.
No ppe’ chissu, ma haiu decisu ca me vuogliu
disintossicare ppe’ ‘nu periedu ‘e tiempu: me fazzu i fatti
mie e basta!
Rosì, penzacce, fatte venire ‘a parola, ca ‘u vicinanzu senza
‘a vuce tua è muortu.
Certo, certo, ‘a sua è ‘na vuce ‘mportante: chiara, ‘ntonata.
Rosì’, ritorna tra di noi cumu prima: allegra e parrettera.
Ce pruovu marru ‘Ndri’, però ‘a lezione è stata troppu
ranne!
(Esce di corsa dalla bottega, straccia la lettera e si appresta
a togliersi il camice) Disgraziati! Ce siti arresciuti. Latri,
boiazzi!
(Preoccupato) Cchi t’hannu fattu, marru Ci’?
Mi ne vaiu all’esteru! Ccu’ ‘ssu statu chi premie sulu ‘e
cecale e ammazze le formiche nun se po’ combattere cchiù!
Cchi t’è chiavatu, maestro? Carmati un pochinu, ragione.
‘U sacciu io, ‘u sacciu io! Chiuru ppe’ sempre. E a ttie ti
prego, fatte i fatti tue.
261
M. ‘NDRIA
Come non dettu, mi ritiro tutto; anzi, mi ne vaiu propriu.
Marì’, vieni alla putiga ppe’ piacere, ccussì toglimu ‘u
disturbu e me fazzu puru ‘a spisa ppe’ stasera.
(Maria e marru ‘Ndria entranu nella bottega. Marru Cicciu, agitatissimo e
borbottando, va avanti e indietro, entra ed esce dal salone)
‘NTONETTA
TIRESINA
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
Cumu ce curre marru ‘Ndria a ‘ssa putiga, me sa ca c’è
‘ncunu mme!
Ce fa’ tri biaci ‘u jurnu, cummari ‘Ntonè’! E’possibile
c’accatte sempre rropa?
Ah, ppe’ nue alla fin fine si cunchiuranu fannu buonu, nun
c’è nente ‘e male.
Cchiù ca rici, cumma’! E pue tenanu ‘e carte in regula: illa
è libera, illu è sulu e se ponnu jungere.
(Emette un tremendo urlo da fare sobbalzare dallo spavento
‘Ntonetta e Tiresina) E’ finita! Nun vuogliu virere a nullu!
(Entra in scena: deve tagliarsi i capelli da marru Cicciu).
Mancu a mie vo’ virere marru Cì’?
(E’ di spalle e si volta di scatto) Haiu rittu a nullu! ‘A
pacienza è finita e ve salutu a tutti!
(Marru Cicciu continua ad andare su e giù mentre Santullu lo guarda stupito)
SANTULLU
‘NTONETTA
SANTULLU
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
Quale pacienza, io te puortu fatiga e me maltratti puru? Ma
guarde cchi sfortuna chi tiegnu! A malapena m’era decisu
roppu ‘n’annu a me fare ‘na pulizia completa e te vaiu
truovu ‘u specialista chi vo’ chiudere ‘a putiga.
Raveru giuvinò’, si’ sfurtunatu raveru!
Vo’ dire ca rimandu l’operazione ‘a ‘n’atr’annu.
E noni, ca mo’ ce ripense lu maestru e t’accuntente!
(Rasserenato, batte la mano sulla spalla di Santullo,
raccoglie la lettera da terra e si rimette il camice) Scusame,
nun la tiegnu ccu ttie; sulu ca si’ capitatu allu momentu
sbagliatu.
Vo’ dire ca ‘n’atra vota, prima ‘e venire, consurtu
l’oroscupu e pue s’è favorevole me ‘mbiu. Comunque mo’
‘ssa capu mi la fai o no?
262
M. CICCIU
(Si ferma guardando fisso nel vuoto) Famme pensare un
pocu.
(Dopo un po’) Maestro, ha’ finitu ‘e pensare?
‘N’atru pocu, signu quasi alla fine.
Ma aspetti a ‘ncunu?
Disgraziati e ‘nfami! M’aviti tuotu ‘a pace.
Chine su’ chissi, marru Ci’?
Su’ sempre illi, i cummannanti nuorri, i piscicani
faccituosti. Me stanno scatreiannu ccu’ le tasse. ‘Mbece ‘e
ra creare ‘a fatiga, ‘a fannu perdere a chine già ‘a tene.
Ma mo’ hannu ‘e passare ‘e cca chissi chi t’hannu fattu
‘ncazzare?
Parica su’ fissa! Magari passassinu ‘e cca, mi ne ricriassi
de maleparole.
Allura è tiempu piersu. Cacceme ‘ssa lana ‘e r’a capu ch’è
miegliu.
M’ha convintu! Aspette ca pigliu ‘na secia e te carusu fore,
ca intra se more du cavuru.
Purchè mi le fai, fa’ cumu vo’ tu.
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
(Marru Cicciu va a prendere gli arnesi da lavoro)
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
Ricica jia all’esteru ‘mbece ‘u’ r’è jutu mancu a Turzanu.
Ma dduve va’ chissu, ca fore ‘e ‘ssu vicinanzu se perde!
(Ritorna in scena con l’attrezzatura e, implorante, volge lo
sguardo al cielo) Gesucrì’, penzecce tu! Cangecce ‘a capu a
‘ss’onorevoli nuorri sucasangu! A noi Santù’! Assettate ca
partimu
Duve jamu marru Ci’? (Tutti ridono).
Ne ‘mbarcamu, jamu all’America a trovare ‘u maritu ‘e
‘Ntonetta e a cogliere dollari. Ce vo’ venire ‘Ntonè’?
Macari! E ccussì, ce facissi finire ‘e fare ‘a bella vita a
chillu farabuttu ‘e omu!
T’e rassegnare ormai cummà’. Cchi ce va’ fai!
Mah, cuminciamu, prima ca me pientu.
Ccu’ calma maestru, apprichete a ‘ssa capu e
t’arricummannu: tagliu estivo e modernu. Me serve ppe’
‘n’occasione ‘mportante.
Va a finire ca t’ha trovatu ‘a zita.
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SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
‘NTONETTA
TIRESINA
ROSINA
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
Quasi, marru Ci’.
Cumu quasi: ti l’ha trovata o no?
Stasera, stasera fazzu tuttu. M’hannu preparatu ‘nu
‘ncontro ccu’ ‘na ragazza bitter di buoni costumi. E io
spieru ca le piacio!
Cummari Tiresì’, ccu’ chissu me pare ca ‘a fabbrica ha
sbagliatu puru; me pare puru ‘nu pocu difettusu ‘e capu.
‘Nu pocu? Me sa ca chissu passe puru a Peppinella. Rosì’,
tu cchi ne rici?
Mah, sacciu! ‘A marca me pare la stessa, ma forse ‘ssu
signorinu è ‘nu pocu cchiù furiusu.
‘A cosa curiosa però è c’a ‘ssi campioni ‘e spertizza si la
fannu tutti ‘e ‘sse parti.
Se vire ca l’aggiove l’aria lluocu.
Allora cunchiuri, vero? Bravu a Santullu, me fa tantu
piacere! Arrimischete, vai avanti, ca ppe’ mie nun manche.
Te fazzu ‘nu tagliu modernissimo, all’urtimu griru: propriu
da primo incontru.
Nun badare a spese, mintecce tuttu chillu chi ce vuole:
aromi de tante specie, ‘nzomma. Sai com’è, il profumo è
molto ‘mportante!
Certu, certu! Te cuonzu a pinniellu. Te fazzu ‘na ‘nzalata
mista.
Bravo! Sai com’è, la ragazza è cittadina!
Oh perbacco! Allura tieni cchiù ragione ancora: quelle
tenanu cchiù grilli ppe’ la testa, sono più schizzinose!
(Tutti abbozzano un sorriso ironico)
‘NTONETTA
SANTULLU
ROSINA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
E allura, me sa ca me sa!
E io ci provo, gioco ‘ssa carta ‘mportante, pecchì è ‘nu
sognu chi haiu sempre avutu da picculo
Eh chi t’avissi ‘mpittatu mammata quannu si’ natu!
E’ propriu ‘mpattatu ‘u spaturnatu!
Eppuru nun parìa a prima vista. Ma guarde ‘nu pocu, a
Santullu le piacianu ‘e cittadine! Cuntientu tu!
Allura fazzo bene a r’avìre chissa gulìa difficile?
Certu ca fa’ buonu, ognunu è liberu ‘e avìre ‘e gulìe chi
vo’, sulu ca cchiù ‘e gulìe su’ ranne e cchiù aumentanu i
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‘NTONETTA
ROSINA
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‘NTONETTA
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‘NTONETTA
TIRESINA
rischi e le complicazioni. (Rivolto al pubblico, mima il
segno delle corna).
‘Ssa vota ce intranu raveru ‘e ramificazioni, Rosì’!
‘Ntonè’, io nun haiu vistu e nu’ ne sacciu nente, puru si le
biu fare r’avanti!
‘U rischiu c’è daveru; anzi, ne signu quasi certa.
Allura si’ propriu convinto di fare il passo ‘mportante?
Io signo uno deciso quanno voglio una cosa e quanno parto
ppe’ la pigliare nun me ferma cchiù nullo, perché nun me
spagno del futuro.
‘U vi’ cumu è curaggiusu ‘u giuvinottu! Chissu è omu!
Bravu, me fa piacere; chisse su’ doti chi garantiscianu ‘u
risurtatu. Te po’ considerare già zitu. La ragazza, appena te
vire, te zumpe ‘ncuollu.
E lu ripinne, marru Cì’.
E io appoggiu i pieri e l’aspiettu, signu fissa ca me muovu?
Te fazzu l’agurì’ anticipati, anzi, agurìi e figli masculi.
(Si commuove e si asciuga le lacrime) Grazie, grazie assai.
E mo’ cchi fai, chiangi? Avìa rittu ch’eri curaggiusu!
Si, ma quannu tu ha ‘nduvinatu i figli me signu ‘ntisu
toccare cca dintra (si tocca il petto).
Si l’avissi saputu c’avìa ‘ssu puntu debole nun l’avìa
‘nduvinati propriu i figli. Ti lu giuru!
Mah, ormai m’è passata, nun ce penzo cchiù.
L’amicu tene lu telecomandu, passe d’u chiantu allu risu
cumu fa’ Michele Cocuzza alla televisione.
Marru Ci’, puozzu rare ‘n’occhiata a ‘ssu giornale?
‘U vi’, sa puru lejere.
Allura propriu fissa fissa nun ci ha de resere.
(Gli porge il giornale) Ecco il giornale! Sulu ca pare ‘nu
bollettinu ‘e guerra, ricica ‘ncuna vota ce trovi ‘ncuna
notizia confortante? Sempre guerre, sdangate e sc-canti!
A me però nun me fa’ nente: io signo furbo e il giornale lo
sfogliu solamente ppe’ passare il tempu e sulu qualche
bota, leio sulu le ‘nzignanti dei scritti grossi.
Signore ‘e r’u vicinà’, l’amicu certu s’ha fattu ‘ncuna
vaccinazione!
Chilla cuntra ‘e paure ‘e r’a stampa!
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Tieni un buon metodo ‘e difesa allura? Bravu a Santullu!
Allura, tu sai ca c’è lu periculu e fa’ finta ‘e nente?
‘Nzomma lo snobbi. Bella filosofia!
Cumu se rice, marru Ci’: uocchiu chi ‘un bire, core chi ‘un
dole!
Allura ‘e ra politica sporca italiana nun ne sa’ nente? Nun
sai i ‘ntrallazzi e lu mangia mangia chi ce sunnu, no?
‘Ncuna cosa la canosciu ca mi n’accorgiu da un mio vicino
di casa, chi tutt’i jurni grire e jestime lu governu. E io
furbo, quanno lo sento, rico ‘ntr’e mie: chisà ‘ssa vota cchi
ci hannu fattu; cchi guaio hannu cumbenatu?
Ha’capitu tu l’amicu cchi metudu c’ha trovatu? Chiamalu
fissa!
Si n’ha de ‘ncarricare r‘u giornale si c’è radio amica chi ce
fa’ lu notiziariu?
E chine si la criria! Allura sa’ puru ca l’Italia è chjna ‘e
rebita e disastrata?
E cumu ‘u’ lu sacciu!
Bravu! Mo’ ppe’ r’esempiu, pigliamu ‘u casu tue.
(Guarda marru Cicciu stupito) Quale casu marru Ci? Io,
nun ne tiegnu cchiù, l’haiu finitu ‘e ‘nu piezzu. Ppe’ dire ‘u
veru, però, c’è rimasta sulu ‘na ricotta.
Ma cc’ha capìtu! Io, nun me riferisco al caso formaggio,
ma al caso della vita. Allura, ammessu ca mo’ cunchiuri
ccu’ ‘ssa ragazza cittadina…..
Cumu ammessu, è garantitu, signu sicuru.
Va bene, ricimu ca te fa’ zitu, va bene? Pue te spusi e dopu
‘n’annu te nasce ‘nu figliu….a propositu cumu lu
chiamassi ‘ssu quatrariellu?
(Molto commosso) Cumu ‘u nannu, Giuvanni.
Bene, tu lu sai ca ‘ssu quatrariellu chi nasce, propriu
Giuvannuzzu tue, nasce già ccu’ trenta milioni ‘e rebita?
(Risentito, sobbalza dalla sedia) Cumu, cumu, trenta
milioni? E cc’ha fattu ‘e male povariellu?
Nente Santù’, propriu nente.
E de quannu c’è ‘ssa legge ca ‘nu cristianu ppe’ venire allu
munnu ha de pagare ‘u bigliettu d’ingressu?
E’ entrata in vigore ‘e pocu tiempu, ppe’ curpa ‘e ra
politica frica frica.
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(Pensoso) Poveru figliu mie cchi malutiempu chi trove!
Duve ci le ba piglie tutti ‘ssi sordi.
Cummari Tiresì’, l’amicu è già rifriddatu.
Me sa propriu ca se pente.
Maestro, spegheme; ammessu ca unu nun se vo’ ‘ncollare
‘ssu rebitu, si ne va torna ‘e dduve è benutu?
‘A levatrice ce minte la marcia indietro e lu spedisce allu
mittente.
Eh, caru Santullu! E’ propriu ‘e ccussì : si l’ha de ritirare ‘a
fabbrica.
E de ccussì chin’è lu fissa chi fa figli, si portanu ‘ssa spisa?
E’ pentutu!
Perciò, nue italiani ‘e ‘ssu passu stamu battiennu tutt’i
record. Simu i primi nel mondo in questo campo, attestati a
crescita zero.
(Sconfortato) Sacciu cchi fazzu allura! Marru Ci’, cumu
rici tu, me ‘mbiu?
Allu curaggiusu mo’ l’è benuta ‘a paura!
Certu ca ‘a tropìa è in corsu. Cchi te puozzu rire….tu ti la
sienti ‘e l’affrontare? L’ombrellu ‘u tieni?
‘U tiegnu alla casa.
Ma cc’ha capitu! ‘Nzomma, tu ne tieni curaggiu, Santù’?
E cumu no: abbastanza.
Allura parte, ‘mbiate Santù’. E pue i capilli ti le sta
faciennu, c’è puru ‘ssa ragazza chi t’aspette, ne vale cchiù
la pena ‘e te votare?
Chissu volìa dire puru io: ‘a menza via è fatta.
Appuntu, nun ne vale cchiù la pena. Però, tene sempre
presente, chisà alle vote avissi ‘ncapu ‘e fare assai figli, ca
custanu trenta miliunu l’unu.
Allura me ‘mbio, sperannu ca ‘nfuturo, farannu ‘ncunu
scontu puru supr’ì figli, cumu fannu alli negoziì ‘e re
scarpe.
Nun ce sperare Santù’: ‘u statu ‘talianu fa’ prezzi fissi!
Te ricu ‘a verità, marru Ci’: a mie i figli me piacianu misti;
cchi te ricu….ruvi masculi e due fimmine.
(Rivolta al pubblico) Cumu ‘a frittura ‘e r’i pisci!
Perfetto! Si’ de gusti fini, ammazzatù’! (Rivolto alle
comari)’ Atrica vue, ca ve siti fermate a unu.
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SANTULLU
N’è mancatu ‘u tiempu ppe’ le fare.
Me chine parre, tu mancu unu.
Tanta curpa pue nun ne tene, cumu facìa povariellu si è
celebre cum’e mie?
Nu’ n’avìti avutu gulìa, ca sinno, quann’era tiempu, ve
jungiati: ‘nu celebre e ‘na nobile e a chist’ura aviati i figli
ranni.
Quannu nascimu ‘n’atra vota pue, Tiresì’! Comunque, io
sula staiu bona.
Ricimu ‘a verità, n’è mancatu ‘nu pocu ‘e curaggiu, simu
stati spagnusi e timidi.
Unu l’ha de sentere ‘e cose ppe’ le fare, deve avire la
vocazione.
Nue ‘mbece, Santù’, amu preferitu ‘a vacazione,
derivazione del verbo vacare.
Il giovane tene ragione, cumu se rice mo’: va’ dove te porta
il cuore.
A duve c’è gustu ‘un c’è perdenza.
Grazie signò’! Io signu ‘nu tipu speransosu, perciò nun mi
spagno di ‘mbiare ‘na famiglia.
Fa’ bene, si nun fuossi ppe’ li tipi cum’e ttie a chist’ura ‘u
munnu era finitu, ccu’ tutte ‘sse paure chi ce sunnu ‘ngiru.
E ccu’ ‘sse coppie moderne chi se vonnu sulu divertere e
fannu i figli programmati.
Giuvinò’, tu ccu’ ssu curaggiu chi tieni t’ammieriti ‘na
medaglia cumu grande, irriducibile continuatore della razza
italiana.
Sempre però si accussente la zita? Vi l’avìti scordata a illa?
E già, c’è puru illa; ricica Santullu ‘e po’ fare sulu i figli?
Santù’, tu rici c’accussente?
U’ core me rice de sì, illa sientu ca me ama. Stasera
conchiuru e ‘nzignu ‘n’atra vita.
E nue t’aguramu fortuna e bene, pecchi si’ ‘nu tipu
speransosu e ti l’ammieriti.
Nue ce simu tutti de razza, mi lu dicìa mamma da picculu,
ca noi amu campatu sempre di speranza.
Quindi siti specialisti in materia?
Certamente signò’: tuttu u’ parentatu!
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M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
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M. CICCIU
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Vue suli? Ca si tutti nue allu sud nun avissimu avutu
pacienza e speranza a chist’ura ‘e mo’ ch’eramu muorti,
ppe’ curpa e tanti tangentisti.
A propositu ‘e ‘ssa parola c’ha rittu, marru Ci’.
Quale parola?
(Mostra il giornale) Me, tangentista, c’è scritta puru cca,
bella ranne. Cchi bene a dire?
Cchi bene a dire? Eh, frate mmie! Vene a dire tuttu: è cumu
‘na fera, e ‘ntra ‘ssa fera ce simu tutti: io, tu, ‘sse signore
assettate cca, i rebita, ‘a politica, i latri; ‘nzomma, c’è
l’Italia ‘ntera.
Ahi a chillestrasonanu ‘e campane! E paria ‘na parola bella
‘a disgraziata!
Propriu ‘e ccussì: bella e maligna.
‘Nzomma, marru Ci’, chir’è ‘ssa tangente?
Eh caru Santullu! Allura vo’ sapire chir’è la tangente di
oggi?
Pecchì, c’è puru chilla ‘e ieri?
Certu ca c’era, però chilla era sulu ‘na linea retta, ‘mbece
mo’ è storta, serpie Santù’; ne suche lu sangu ‘e cruru,
senza anestesia. Moni tangente vo’ dire tocch’e piglie,
porte alla casa tua la purpetta, dintra ‘ssu statu fattu a
parapiglia, chine cchiù po’ se inchie la sacchetta.
E de cchi si la inchje?
(Stropicciando l’indice col pollice) ‘E nicheli Santù’, ‘e
soldini; chilli chi mancanu a mie.
E cumu fannu a si la inchjere ‘a sacchetta?
(Con la mano mima l’arte di arrangiarsi rubando) Ccu’ lu
metudu anticu e ccu’ lu vizu modernu.
Nun sacciu se haiu capito bene: grattannu, veru marru Ci’?
Cchi ‘ntuitu sviluppatu chi tene l’ammazzatu!
Ha capitu propriu buonu. Illi ci hanno il potere!
Puru io ‘u tiegnu marru Ci’.
Cchi tieni tu…. famme sentere?
‘U podere. (Tutti ridono).
Ci l’ha datu l’Opera Sila.
Eh caru Santullu! ‘U podere tue è ‘n’atra cosa: chillu è
terra ppe’ zappare, ppe’ jettare ‘u sangu, ppe’ surare e no
ppe’ grattare.
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TIRESINA
M. CICCIU
ROSINA
M. CICCIU
‘NTONETTA
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M. CICCIU
ROSINA
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M. CICCIU
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M. CICCIU
‘NTONETTA
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M. CICCIU
Certu ca unu a ‘ssu munnu s’ha de trovare onestu ‘e natura,
sinnò ‘e chillu chi po’ s’arrange.
No tutti ‘u ponnu fare Tiresì’. Piglie io, cumu fazzu a me
tagliare ‘nu piezzu ‘e torta.
Pecchì, nun tieni ‘u curtiellu?
Ppe’ chissu ‘un manche, me (mostra il rasoio), tiegnu ‘u
rasulu chi benerica taglie ch’è ‘na bellezza.
E allura qual è lu problema?
Le manche lu curaggiu.
‘Mbece, nullu ‘e ri ruvi; è la materia prima pregiata chi me
manche. Signore belle, io trattu capu, signu ‘mpastatu ccu’
le manu ‘ntra capilli e varve, cchi puozzu fare? Ricica alli
clienti ce puozzu tagliare ‘na fettina ‘e ra facce?
Chissu noni, ch’è peccatu mortale.
E te jocassi puru ‘a libertà.
Perciò, dicevo! Ppe’ r’esempio, mo’ tiegnu sutt’i fierri, a
mia disposizione, ‘ssu povar’omu; tutt’a ‘na vota, a mie me
gire la capu e zacchiti, ce fazzu partere ‘na ricchia (Santullo
spaventato cerca di scappare).
Maronna mia bella sarveme! E’ esciutu pazzu marru
Cicciu! (Si tocca le orecchie). Ohi Gesù mie! Parica ce
sunnu.
Fermete, vieni cca.
Ma cchi l’è chiavatu a ‘na vota.
‘U curaggiusu s’è ‘mpressionatu.
(Lo prende per un braccio e lo fa sedere) Calmate, assettate
lluocu! Ma cc’ha penzatu?
Lassime jire, mi ne vaiu!
Assettate e statti quietu, pastinaca! Cchi n’haiu ‘e fare ‘e
r’e ricchie tue?
(Si porta la mano al petto) Ohi ‘u core, cumu vatte forte!
Maronna mia cchi paura!
Calmo, statti squitato ca completamu l’opera, te si’
scordatu ca tieni l’incontru ccu’ la zita?
‘N’atra pocu l’avìa fattu morire, atrica incontru ccu’ la zita.
Però, fa’ sparire ‘u rasulu marru Ci’ e fa’ ‘na cosa ‘e jurnu.
Certo, te sbrigo a lampo!
270
(Marru Cicciu, fischiettando, riprende a lavorare, mentre Santullo guarda
spesso l’orologio. Intanto esce dal negozio di Maria marru ‘Ndria e va a
parlare con marru Cicciu)
M. ‘NDRIA
ROSINA
M. CICCIU
‘NTONETTA
TIRESINA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
TIRESINA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
SANTULLU
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
SANTULLU
Maestro, oggi se fatiche all’aperto?
‘Nu marru ‘e valore cum’è illu po’ fatigare a tutt’e parte.
(Con ironia) E’ duve jiesci marru ‘Ndri’? ‘E quannu ce si’
‘ntra ‘ssa putiga? Chisà c’è ‘ncunu mme ppe’ lu mmienzu?
E sai com’è, certe vote i ragionamenti se fannu luonghi; se
ponnu puru complicare no?
(Allusiva) Oppure ‘na vilanza chi nun va bona, ‘na
telefonata longa e lu tiempu passe…
(Imbarazzato) Ma quale vilanza e telefonata, stava
cuntannu a Maria, a proposito del cibo, ca io digerisco
cchiù ‘na saraca ca ‘na mozzarella. Ce cririti puru vue?
All’anima ‘e r’u bicarbonatu ‘e sodiu!
Adduve marru Ci’: senza bicarbonato.
Se vire ca ‘u motore ancora è funzionante.
Ppe’ chissu ancora ‘u passu ‘u po’ fare. Cchi c’è de male?
Tiresì’, me sa ca chissu è ‘nu suonnu: Maria ‘e
‘ss’argomentu nun ne vo’ sentere mancu parrare, l’ha
chiusu vint’anni fa.
Ih, furbacchione! Ppe’ lu sapire allura ci avìa provatu?
A dire ‘a verità, tantu tempo fa, c’è stata ‘na menza parola,
ma dalla trama ho subito capitu che l’argomentu
‘nquestione jia chiusu definitivamente. Tutte le cose vannu
fatte a tiempu giustu. Ppe’ r’esempiu all’età ‘e ‘ssu giovane
chi tieni sutt’i fierri.
Ci ha propriu ‘nduvinatu, ca illu propriu stasera tene
l’incontru ccu’ l’amore.
Raveru giuvinò’? Apposta te sta faciennu i capilli!
Sempre se il marro se manìe e me libere priestu, sinnò
addio: me fa perdere l’occasione.
Marru Ci’, avissi de mancare ppe’ ttie!
Amico bellu, ppe’ ‘na capu cum’a tua ce vo’ lu tiempu chi
ce vo’: parìa ‘nu spinaru gioia! Poi, abbiamo pure
sconfinato nel sociale, ‘u’ lu sa’ ca passe lu tiempu.
Chisso è veru, amo sconfinatu nelle rrope degli altri. Certu
ca lluocu è cumu ‘na scola, se parre de tuttu.
271
M. ‘NDRIA
SANTULLU
M. CICCIU
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
ROSINA
TIRESINA
M. CICCIU
SANTULLU
M. CICCIU
SANTULLU
TIRESINA
‘NTONETTA
ROSINA
M. CICCIU
TIRESINA
‘NTONETTA
M. CICCIU
Proprio così! Caru giuvinottu, tu ‘e sapire ca ‘e tutti i fatti
‘e ru paise e de chilli ‘e ru statu si ne parre duve i varvieri.
(Indica marru Cicciu). ‘U vi’ chissu, è cumu ‘n’operatore
sociale, anzi cchiuni.
Allura inchie la capu e intra e la pulizze de fore?
Bravu, ha ratu ‘na risposta filosofica, e chine si la crirìa!
(Spazzola i capelli a Santullo e gli toglie la tovaglia dal
collo) Santù’, l’opera è finita, ‘e ricchie ‘e tieni tutt’e ruve,
puoi andare all’incontro. Anzi, aspette ‘nu pocu, m’era
scordatu ‘e te mprofumare (gli fa un’abbondante spruzzata
di profumo).
‘N’atra pocu avìa fattu ‘na fissarìa grossa, marru Ci’. Vaiu
puru io a casa ‘nu pochettinu, quantu stipu ‘a spisa e tornu
subitu.(Esce).
Rosì’, me cum’è venutu biellu!
Chissu stasira cunchiure sicuru.
Nun sacciu pecchì, ma io ‘ncunu dubbiu ‘u tiegnu.
Mo’ te po’ azare, amu finitu ppe’ daveru (Santullo si alza e
mette mano al portafoglio).
Vaste una pampina da decimila?
Ppe’ regalo del fidanzamentu te rugnu puru ‘u riestu
Santù’; anche se il taglio è stato difficile e lungo. (Gli
porge la mano) Stammi bene e, t’arricummannu, cunchiure
ccu’ la zita.
Grazie assai, pue te ‘nfurmu cum’è juta. Alle signore e a
tutti arrivederci.Pue ve fazzu sapire. (Visibilmente contento
saluta il pubblico ed esce).
Aguriì e bona fortuna.
Va’ ccu’ la Maronna, gioia, va’!
Cchi cliente difficile, marru Ci’, forse cumu chissu nun ti
ne su’ capitati mai, è veru?
Unico, un caso unico e speciale. Ti devo dire che in
trent’anni di onorata carriera mai mi n’eranu capitati cumu
chissu.
E’ statu ‘nu tagliu difficile dunque?
E ‘u’ l’ha vistu, cummà, ci l’ha tenutu ruve ure sutt’i fierri.
Infatti il giovane ci ha la capo tutta complicata e
particolare, sia di fore ca ‘e intra. I capilli denneliberi
parìanu anziti ‘e puorcu: m’hannu ammarratu ruve fuorfice.
272
ROSINA
M. CICCIU
‘NTONETTA
TIRESINA
M. CICCIU
ROSINA
‘NTONETTA
M. CICCIU
ROSINA
‘NTONETTA
TIRESINA
ROSINA
‘NTONETTA
ROSINA
M. ‘NDRIA
ROSINA
M. ‘NDRIA
TIRESINA
M. ‘NDRIA
Ma chin’è chissu, a quale razza appartene?
E’ uno campagnolo, è figliu a Tumasina ‘a ricottara.
Teh, teh… E chine l’avìa canusciutu! Tene propriu ‘a
‘mpruntatura e la fantasia ‘e r’a mamma.
Mo’ ce porte ‘ssa cittadina a Tumasina e si ca sinne ricrìe,
sa’ cumu vannu r’accuordu.
Secondo me, ppe’ come è il caso, ‘e sse paure nun ci ne
sunnu; Tumasina po’ stare tranquilla.
Appena ‘u vire la cittadina ce fa lu fogliu ‘e via: ‘u licenzie
‘ntroncu senza tricare.
Opporu, prima ce friche ‘ncunu sordu, ‘u spinne biellu
biellu, e pue ce fa ballare ‘u sbrignu e lu manne duve ‘a
mamma, intatto ‘e natura.
Comunque sia, a mie m’ha fattu jettare l’anima. Mo’ ce vo’
propriu ‘nu pocu ‘e riposu ristoratore. Si ppe’ casu avissi
de venire ‘ncun’atru cliente ce riciti ca ‘u maestru sta
recuperannu ‘e forze e benissi fra tre giorni. (Sprofonda
sulla sedia e, coprendosi la faccia col giornale, si mette a
dormire).
Siccome i clienti se fricanu; si nun passe ‘na settimana,
chine vue c’arrive.
Po’ rormere a sette cuscini, varvì’.
Si lu lassanu ‘mpace ‘e musche, me cumu l’hannu
arremuratu.
Se vire ca tene lu sangu ruce l’amicu.
U’ bellu è ca nun le sente propriu. ‘A pelle l’ha d’avìre
cumu ‘a corchia ‘e ra rana l’ammazzatu!
Va pensannu propriu alle musche, nun lu viri cum’è
quagliatu biellu: parica ci hannu fattu l’anestesia.
(Entra in scena mentre marru Cicciu russa) Benerica cchi
lavoratore.
Sta faciennu l’intervallu pomeridianu.
Sentalu cumu sbruffe: pare lu trenu a vapore quannu esce
da galleria ‘e ru Catusu.
E tu ha fattu a lampu marru ‘Ndri’, nun te potìa stendere
‘nu pocu supra ‘na secia! Ce pigli i pulici alla casa?
Ppe’ mie ‘a casa è cumu ‘n’albergu, me serve sulu ppe’ ce
rormere ‘a notte.
273
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
ROSINA
M. ‘NDRIA
M. CICCIU
(Fa allusione indicando con il capo la bottega di Maria)
Cummari Tiresì’, si unu c’è affezionatu ‘e ‘sse parte, cchi
ne vo’ fare tu.
(Ha capito l’antifona) ‘Ntonè’, ti prego, ccu’ li scherzi
basta, perche io all’amicizia ‘e Maria ce tengo; e cumu fa’
tu me sa ca ‘a fa’ guastare. Ha vistu ppe’ ‘na parola pigliata
male, ppe’ quantu riguarde la figlia ‘e Tiresina, cumu su’
complicate ‘e cose?
E sini marru ‘Ndri’, nun lu viri ca chiacchiarìu. Si nun
potimu fare mancu chissu a ‘ssu vicinanzu mi lu sai rire
cchi ne reste de fare cchiù? Quale atru divertimentu avimu?
Ho capito ‘Ntonè’, però, sempre ccu’ moderazione, senza
passare i limiti pericolosi. (Osserva marru Cicciu) E
guardati ‘u maestro cum’è beatu, cche orchestra sinfonica
che ha organizzato.
Certe vote ce fa puru ‘u risucchiu e lu cuntracantu.
Ha ragione poveretto, quel giovine innamorato l’ha fattu
sforzare troppu, ci ha esaurito le energie. (Entra in scena
Pipirinu, si fa un giro veloce intorno alla piazzetta e,
fermandosi al centro con le gambe divaricate, emette
diversi squilli di tromba che fanno sobbalzare marru
Cicciu).
(Spaventato) Cch’è successu? Cch’è statu?
(Tutti ridono)
‘NTONETTA
M. CICCIU
PIPIRINU
M. CICCIU
PIPIRINU
M. CICCIU
‘Na scossicela ‘e terrimutu, marru Ci’.
(Accortosi della presenza di Pipirinu) Bruttu risgraziatu,
propriu mo’ avìa ‘e venire: te pare ura ‘e jettare ‘u bannu
chissa? ‘A gente a st’ura rorme!
Io viegnu quannu me mannanu, caru marru Cicciu: ‘u
signor Sindacu m’ha mannatu mo’ e io signu venutu. Io
eseguiscio ordini e volo a lampo, capito?
Comunque, ‘n’atra vota, prima ‘e sonare ‘ssa riavula ‘e
trumba, almenu avvise primu.
Nun lu prevede lu regulamentu bandisticu comunale. E pue
cumu fazzu, prima ricu ca jiettu ‘u bannu e pue suognu? E
de ccussì ‘u’ sc-canti ‘u stessu.
Ma no cumu moni, chi m’ha fattu quagliare ‘u sangu.
274
PIPIRINU
‘NTONETTA
Noni, nun me frechi, tu me vo’ fare licenziare forse?
Pipirì, ‘n’atra vota ‘u sa’ cumu ‘e fare: va’ vicinu ‘a ricchia
e citi citu ce rici: maestro, io haiu ‘e jettare ‘u bannu, ti
pregu di nun sc-cantare.
PIPIRINU
‘Ntonè’, nun lo pozzo fare ti ho detto, io signo ‘n’omu
precisu e sconti nun ne fazzo a nullo. Io mi devo guardare
il pane perché tiegnu famiglia.
M. CICCIU
Va bona, guardate chillu chi vue, ma nun azare troppu ‘a
vuce mo’ ca cominci a jettare, ca denneliberi è cchiù forte
‘e r’u suonu ‘e ra trumba. (Riprende a dormire).
PIPIRINU
‘Nzomma, basta! Cca me stati faciennu perdere tiempu,
ancora haiu ‘e girare tutt’u paise.
TIRESINA
Allura pecchì ha cuminciatu ‘e cca? Tu prima jia all’atre
parte e cca ce arrivava stasira; cussì, marru Cicciu se
svegliava dolce dolce e nun lu facìa sc-cantare.
PIPIRINU
E torna Tiresina! Io pozzo cominciare ‘e dove vuogliu e
nullu me po’ dire nente, ‘u ‘mportante è ca giru il paese e
‘nfurmo bene tutt’a popolazione. Silenzio! (Divarica di
nuovo le gambe e suona).
ROSINA
Veramente chissa l’avìamu già ‘ntisa Pipirì’.
PIPIRINU
Attenzione, attenzione! Su arrivati ricrami allu comune
ppe’ la puzza e la lordìa chi c’è ‘ntr’u paise.Chissa è ‘na
cosa grava, ha dittu l’amministrazione. Perciò, ‘e oje
avanti, ‘e persone chi tenanu crape, galline, puarci e ciucci
o mantenanu ‘a massima pulizia o puramente si le binnanu.
Ppe’ chine nun la vo’ sentere, ce su’ cuntravenzioni salate e
pipate. Pue ancora: ppe’ causa polizia della vasca
dell’acquedottu, romani manche l’acqua tutta la jurnata,
perciò prucurative ‘ntiempu, sinnò v’arrangiati. ‘U bannu è
finitu, arrivederci. (Emette altri squilli di tromba).
TIRESINA
Chi ‘na vota mannassinu a dire ‘na cosa bona; sempre guai
e minacce.
‘NTONETTA E nue cumu sempre facimu campana ‘e buon suonu. Duve
‘e jamu mintimu ‘ss’animali, ‘e portamu alla fera? (Entra a
passo lesto Peppinella).
TIRESINA
E me, e me ca se ricoglie! Ha fattu propriu priestu, ha
cunchiusu almenu?
PEPPINELLA Filumena m’ha dittu ca ‘u tombulu l’è ruttu.
TIRESINA
E duve si’ stata tuttu ‘ssu tiempu?
275
PEPPINELLA Mentre me ricoglia m’ha vistu mamma e m’ha chiamatu,
anzi m’ha griratu. Mo’ ‘a tene ccu’ tutte vue, fimmine
pettegole, parrettere e senza cuscienza, pecchì ha saputu
tutt’i fatti chi su’ successi e ca me cummannati e me
fissiati. Mo’, ha ditto, ca priestu se fa sentere.
‘NTONETTA Marru ‘Ndri’, l’aviti ‘ntisa? Cuminciati a tremare.
M. ‘NDRIA
Io nun c’intru propriu a ‘ssa faccenna, ‘u saputi tutti.
‘NTONETTA E tu cchi ci ha rittu a mammata, Peppinè’?
PEPPINELLA Ca nun era veru nente. Sempre ppe’ ve scurpare. Ma illa
nun ci ha crirutu. Anzi, m’ha datu puru ‘n’anticipu ‘e palate
e m’ha dittu ca i cunti precisi le fa’ ‘n’atra vota.
ROSINA
Nue simu cca, ‘e male ‘u r’amu fattu nente, perciò….
‘NTONETTA Ma si c’è stata ‘na parola è statu ppe’ scherzu.
TIRESINA
Marru ‘Ndri’, sapimu si a tene puru ccu’ ttie?
M. ‘NDRIA
Cumu regula no, io ho miso sempre la pace a tutt’e cose.
ROSINA
E mo’ priestu ni n’addunamu.
M. ‘NDRIA
Io veramente avissi de jire a fare ‘na mmasciatella cca
vicinu.
‘NTONETTA Ti la fifi, marru ‘Ndrì’?
M. ‘NDRIA
Quale fifa, haiu fattu la guerra io! Adesso vaio, pue ne
parramu.
MATALENA (Mentre marru ‘ndria si avvia, si affaccia infuriata dal
balcone di casa e coglie tutti di sorpresa. Urlando, inizia la
sua lunga arringa contro le comari del vicinato) Ce siti
tutti? Guardatile ‘e vacabunne, ‘e forficiare ‘e ru paise. (A
marru ‘Ndria che sta per andare via) Fermete coscinù’,
duve fuji.
M. ‘NDRIA
Io veramente…
MATALENA Veramente nente, sentete puru tu ‘a prierica. Haiu aspettatu
‘ssu jurnu ‘e tantu tiempu ppe’ be lejere i pannizzi, ppe’ be
fare ‘na lavata ‘e capu a tutti. Ve cririati ca ‘a passavati
liscia? Mi n’haiu ‘e ricreare! Guardatile ‘e mobile! A
figliama l’avìti e lassare jire, nun è fatta ‘a serva vorra e lu
passatiempu preferitu.
PEPPINELLA (In forte imbarazzo, va su e giù sulla scena tappandosi le
orecchie e invitando la madre a placarsi). Citu, va’ trase e
statti citu, sinnò nun me ricuogliu cchiù alla casa.
‘NTONETTA Brava alla signora Matalena, ha’ fattu ‘nu bellu comiziu;
propriu all’usu tue: delicatu.
276
MATALENA
‘NTONETTA
MATALENA
Chissu è pocu, ancora v’haiu ‘e scumberdare e sbrigognare
a tutte, ca ci ne su’tante cose ‘e rire…
Cerche a te fucare ‘a vucca, ca cca simu tutte persone
perbene.
Se, propriu ‘e marca! Siti cristiane maligne ‘mbece. Chine
‘ncappe alla vucca vorra ne esce ruvinatu.
(Da dietro, qualcuno cerca di trattenere Matalena per farle finire l’arringa)
TIRESINA
ROSINA
MATALENA
ROSINA
MATALENA
ROSINA
MATALENA
M. ‘NDRIA
MATALENA
Mo’ basta Matalè’, ca ‘a pacienza tene nu limite. ‘Ssi
‘mproperiì chi te ‘mbienti ti le dice ppe’ ttie, ppe’ la facce
tua.
Virete ppe’ ttie Matalè’, ca ne tieni cose r’ammucciare! Tu
parri a rota libera? Nun lu sai ca figliata m’ha fattu trovare
‘ntra ‘na rugna…
(Ancora più infuriata) Me chine parre! Te canuscianu tutti
a ‘ssu paise, ne parranu i cani e li puorci ‘e tie.
Ih buggiarduna ‘nfamante! A mie ‘sse cose? Ca sigmu
chiara cumu l’acqua ‘e Cardune; va vire chine t’ha
d’ammazzare ca ccu’ ttie nun mi ce appricu ca è tiempu
piersu e m’alluordu (gli mette il sedere in faccia). Te, parre
ccu’ chissu!
Ih, sbrigognata! ‘U canusciu buonu chissu, ca ti ci n’haiu
fattu gnezione gratis quannu avìa ‘e roglie, te si’ scordata?
T’haiu pagatu profumatamente ‘mbece, buggiardù’! E pue
dottorè’, te si scordata ca mi ci ha fattu spezzare l’acu e
intra e m’è cunchiuta?
T’ha castigatu Dio, tantu ca si’ bella!
(A gesti, cerca di convincere Rosina a sedersi e a zittire)
Mo’ basta Matalè’, cerche di moderare ‘e parole, lu sai ca
hai offesu abbastanza?
Teh, me chine parre! Coscinù’, puru a ttie te lavu i
pannizzi, ca puru tu t’ha pigliatu ‘u pizzulune; tu, e
chill’atru tardumotu ‘e r’u varvieri. Guardatilu cumu
‘nchijriche e si ne freca lu carognune. (Si accorge che
Maria spia dalla porta della bottega) Putigà’, senza chi
campiì, te spagni? Esce fore si tieni curaggiu ca ci n’è puru
ppe’ ttie.
277
MARIA
TIRESINA
M. ‘NDRIA
MATALENA
TIRESINA
MATALENA
TIRESINA
MATALENA
TIRESINA
MICUZZU
TIRESINA
MICUZZU
TIRESINA
MATALENA
A mie lassime jire, ca nun tieni nente cchi me rire; io
m’ammazzu ‘e fatiga tutt’u jurnu, cchi bue ‘e mie Matalè’?
Ma nun ti ce appricare Marì, lassala vataliare ‘ssa
ciarlatana: ‘n’atra pocu si la piglie puru ccu’ le petre e
mmienzu ‘a via.
(Indicando marru Cicciu) Illu rorme e si ne friche; se, bella
soluzione! Nue simu a ‘ssu ‘nfiernu ‘mbece lu varvieri
forse se sta sonnannu ‘u paravisu. Matalè’, ritirete ca t’ha
capitu puru marru Cicciu chi rorme a suonnu chjnu.
Ne tene bisuognu ‘e rormere ‘u vacabunnu, parica tene a
cchi pensare? Aviti fattu ‘na bella società a ‘ssu vicinanzu.
Jati ppe’ numinata: tutt’i jurni taglio e cucito supr’e spalle
‘e ra gente. Ih, malelingue maleritte! Vi la fazzu pagare.
Fuchete ‘u mussu e statti citu, ca a ‘ssu paise ne canuscimu
tutti chine simu, ha capitu?
Mo’ ce vò’, ne canuscimu e come! Tiresì’, ‘u passatu nun
se scorde facilmente. (Entra in scena Micuzzu, che torna
dal lavoro e rimane stupito del fuoco incrociato in corso).
‘U tue raveru, chjnu ‘e attroppicuni porcariusi.
(Si accorge della presenza di Micuzzu e rincara la dose) Va
vire si ‘e jire a cucinare a marituta, sbrigognata!
(Infuriata, cerca di andare verso casa di Matalena, ma viene
trattenuta da Micuzzu) Trase e statti citu, ca sinnò ti ce
viegnu jiettu ‘e ‘ssu barcone, ohi vatalara!
Ma duve va’, fermete si’ esciuta pazza? ‘Nzomma, cch’è
successu?
(Infuriata) Arrassete, famme passare. A marituma ‘u sacciu
io cumu l’haiu ‘e trattare. Ohi cupellu’, priestu ne virimu!
Ma c’aviti avutu, se po’ sapire?
Nente ‘e positivu, Micù’. (Indica Peppinella) Me, ppe’ ‘ssa
ciotagliuna, t’ha arremuratu ‘u munnu! Guardatila cum’è
biellu ‘u mobile!
Si’ bella tuni cecagliù’! E sia l’urtima vota chissa chi ve
pigliati ‘u pizzulune supr’e figliama, sinnò vaiu alla
caserma e dugnu cuntu alla legge. Peppinè’, venitinne alla
casa e nun ti ce fare virere cchiù ‘nziemi a ‘sse pettegole
ciarlatane. Ha capitu? Venitinne! ’E bi’ ‘e cummari ‘e ru
vicinanzu, ‘e femminelle ‘e casa. Ih, brutte streghe
maleritte! Stativicce morte ammazzate a ‘ssu scalune. Te,
278
‘NTONETTA
MICUZZU
M. ‘NDRIA
TIRESINA
MICUZZU
M. ‘NDRIA
MICUZZU
TIRESINA
discutiti ccu’ chissu! (Volta il sedere ed entra sbattendo le
imposte del balcone. Peppinella, a testa bassa, stringendosi
la radio al petto, esce di scena singhiozzando).
Alla faccia tua sporca.
Mah. Io continuo a nun ce capire nente. ‘Sse fimmine
tenanu sempre l’abilità ‘e nun te fare capire, parica su
laureate in misteriologia.
Chissu è ‘nu donu ‘e natura ‘mbece, Micù’, sinnò ne virìa
guerre ‘ntra ‘sse case.
Micù’, jamu trasimu ca a nervatura ancora m’abballe.
Ma quantu è ‘mprevedibile e curiusu ‘u vicinanzu: ieri sira,
a chist‘ura vi‘ho trovatu ccu’ li festeggiamenti,stasira
mbece ccu la guerra totale. Marru ‘Ndrì’, va ce capisce.
Micù’, chissu è ‘nu tema melodrammatico chi se svolge a
puntate, ppe’ tutta la settimana, sulu ‘a romanica ‘ncuna
volta si riposa.
Speriamo, almenu ‘e signore ricuperanu ‘e forze. Trasimu
Tiresì’, ca ‘u petitu è propriu cunchiutu.
Sini Micù’, jamuninne! Bonasira a tutti. Ne virimu romani.
(Tiresina e Micuzzu escono di scena)
‘NTONETTA
M. ‘NDRIA
ROSINA
MARIA
ROSINA
M. ‘NDRIA
ROSINA
MARIA
ROSINA
Ca ninne jamu puru nue, cc’amu ‘e fare cchiù! Bonasira a
chine reste. (Esce di scena).
Bonasira puru a ttie.
Statti bona ‘Ntonè’. Tantu ‘a jurnata è finita, ‘u spettaculu
c’è statu puru, cchi jamu trovannu cchiù? Marì’, t’aspiettu?
‘Nu mumentu quantu chiuru ‘ssa putiga e ni ne jamu.
Vo’ dire ca rimananu sulu i masculi, pecchì tenanu ‘a
licenza ‘e stare fore ‘a sira.
Riestu ppe’ fare ‘n’atra pocu ‘e compagnia al maestro
varvieri ‘nfina ca nun se risbiglie, ca l’avissi de frugare
‘ncunu cane chi passe. E pue, sulu, alla casa cchi baiu fazzu
ccussì priestu?
Tieni ragione Marru ‘Ndri’, suli se more de malinconia!’A
sira e la notte su’ le nemiche ‘e chine sta sulu.
‘A jurnata è completata; Rosì’, ni ne potimu jire.
Bonasira marru ‘Ndri’. T’arricummannu, guardalu buonu
allu maestru. (Indica con un cenno del capo marru Cicciu).
279
MARIA
M. ‘NDRIA
Bonasira e a domani.
Buonanotte puru a bue, care signore. E v’arricummannu,
nun ve sonnati a Matalena stanotte, sinnò cariti ‘e ru liettu.
(Rosina e Maria escono di scena, mentre si sentono fuori campo delle voci di
mamme che chiamano i loro figli. Marru ‘Ndria, molto pensieroso, va avanti
e indietro sulla scena)
I° VOCE FUORI CAMPO Peppinì’, Peppiniellu! Ricogliete ch’è
‘mbrunatu! Quannu ti n’abbutti ‘e stare
fore!
II° VOCE FUORI CAMPO Giuvannù’, Giuvannuzzu! Maniete, ricogliete
c’amu ‘e mangiare ch’è ricuotu patritta.
(Ammantato dalle ombre della sera, finalmente il vicinato è immerso nel più
completo silenzio)
M. ‘NDRIA
Buonanotte, cchi parola lecia lecia e tranquilla!
Buonanotte, e si ne vannu tutti. Ognunu s’arricette ‘ntra la
casa e se fannu i cunti ‘e ra jurnata. Bonanotte: se rice de
ccussì. Buonanotte a tutti, puru a bue amici cari chi aviti
avutu ‘a pacienza e ne sentere. (Con largo gesto della mano
indica il pubblico) S’appiccianu ‘e luce e ss’ammute lu
vicinanzu e fore rimane sulu chine alla casa nun l’aspette
nullu: io e lu signore varvieri. (Lo indica) Guardatilu ‘ssu
prototipu ‘e ra specie cum’è tranquillu, cumu sa dormire, ti
ne fa’ venire ‘a gulìa. Cchi diciti, ‘u risbigliu? E ssi pue sccante povariellu? Ma si, ‘u lassu e ccussì, ‘u fazzu scialare,
tantu, cchi pressa avìmu? Amu parratu ieri, oje; è ‘na vita
chi parramu, chi progettamu senza cunchiurere nente.
(Marru Cicciu emette una russata prolungata, uno sbadiglio
e gesticola con le braccia). Ci’, ci’, ca forse sta ritornanno
in vita. (Marru Cicciu invece riprende a dormire
pacificamente) Simu sbagliati, era sulu ‘a fine ‘e ru primu
tiempu. Ma si, rorme amico bello, scialate; tantu rorme
puru ‘u Governu, ‘a Regione, ‘u vicinanzu, tutti
n’arricettamu sutta ‘ssu cielu chiaru e stellatu peracise. E’
tornata ‘a calma roppu ‘a tropìa. ‘N’atra jurnata è passata
tra suspiri, risa, grirate e guerre, senza cangiare nente!
280
Rimananu sulu ‘ntr’i pensieri i corna ‘e Peppinella, ‘a vuce
tonante ‘e Tiresina, ‘a faccia ‘e Santullu e le jestigne ‘e
Matalena. (Indica marru Cicciu) Rimane puru ‘ssu quatru
‘e natura morta chi concilie lu suonnu, sperannu ca romani
ce sia cchiù fatiga, amure e pace ‘ntra ‘ssu munnu.
CALA
IL
281
SIPARIO
L’AMURE NUN S’ACCATTE
Commedia in tre atti
282
PERSONAGGI
Michele
Giovannina
Mariuzza
Santinu
Giginiellu
Santu
Marafrancisca
Custanza
Cosima
Don Peppe
Donna Lena
Gregoriu
Pasquale
Crimentina
Robertu
Riamunnu
Dora
Compa’ ‘Toninu
Ventirupulu
Picariellu
Furmicune
Cummari Ciavula
Bianchina
Ninetta
Gianninu
calzolaio
moglie di Michele
sartina
studente universitario
scolaro
pensionato di guerra
moglie di Santu, casalinga
sarta
sarta
ufficiale postale in pensione
nobildonna
benestante
muratore
moglie di Pasquale, casalinga
disoccupato
pedacese emigrato in America
pedacese emigrata in America
fontaniere
apprendista fontaniere
apprendista calzolaio
portalettere
casalinga
casalinga
scolara
scolaro
La scena, unica per i tre atti, è costituita da un’ampia stanza arredata con
mobili e oggetti antichi; vi spiccano un focolare, una finestra e due porte,
una comunicante con l’esterno e l’altra con l’interno della casa. Ad una
parete è attaccato il crocifisso e, su di un’altra, un quadro. Questa stessa
stanza non solo ospita la famiglia di Michele Purgatorio, ma funge anche da
laboratorio per l’attività sartoriale esercitata dalle sorelle di Michele,
Custanza e Cosima.
283
ATTO PRIMO
SANTU
(Si crede sempre in guerra e si comporta di
conseguenza: ha il cappello da bersagliere in testa e il
bastone in mano; cammina speditamente, controllando
con sospetto tutti gli angoli della stanza. Emette due
fischi, si strofina le mani e si porta al centro della
scena).
Tutti arresi, ‘u nemicu ha azatu le mani davanti al
bersagliere Santu Grillettu fu Cesare. (Fuori campo si
sente un rumore e Santo entra in azione di guerra).
C’è rimastu quarche feritu. Fore, esce fore ccu’ le
mani in arto; avanti, nun fare ‘u fesso, pecchè a Santu
non lu frechi. Te rugnu l’urtimatumu: o jiesci fore
ccu’ le mani azate o te viegnu a pigliare. (Attende un
po’) Tu tieni ‘a capu tosta, pieju ppe’ te, pecche mo’
sei morto!
MARAFRANCISCA (Fuori campo) Finisciala ca signu io, ca signu juta allu
cessu, ha capitu? E cchi cos’è, mo’ puru i rrusci ‘e ru
cessu pigli ppe’ cannunate.
SANTU
(Si fa riflessivo e poi sbotta in una risata) Chissa è mia
moglie Marafrancisca e ogne tantu puru illa spara
quannu va’ di corpo; ‘nzomma, m’aiute a combattere
povera donna.
Marafrancì’, Marafrancisca.
MARAFRANCISCA (Fuori campo) Cchi male vue torna.
SANTU
Si viva ppe’ miraculo, vi’, ppe’ pocu non ti ho
scarricato il fucile ‘ncuollo. N’atra vota avvise ca vai
al cesso.
MARAFRANCISCA (Fuori campo) Se, jiettu ‘u bannu ccu’ ‘na trumba.
SANTU
(Rasserenato e felice) Torna la pace è conquistata!
(Apre lo stipo e beve il caffè che è dentro una
bottiglietta) Io giocu d’anticipu, pecchè chissu piace a
tutti. Nullo po’ frecare un sordato come me; chissa è
tattica militare. Operazione compiuta, mo’ ‘u
guerriero ha de ricuperare le forze e si va stenne in
branda. (Emette due fischi ed esce)
284
(Entrano a passo svelto Custanza e Cosima e subito, impugnando una scopa,
iniziano a fare le pulizie. Dopo quindici secondi di silenzioso lavoro, Cosima
si ferma di colpo)
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
Custanza
(Spaventata) Si Cosima, cchi t’è chiavato?
Nente di grave, nun sc-cantare.
E allura pecchì sei appagnata a ‘na vota?
Te volìa dire che stamu diventannu vecchie.
Pecchì Cosima, come ti ne sei addonata?
Pecchì ne ‘ncominciamu a scordare le cose. Ppe’
r’esempiu stamatina nun ci simu fatte il signo di croce
prima di cuminciare la jurnata.
(Con meraviglia) Gesù, Gesù, cche sbagliu gruossu!
Cumu è potutu succedere!
‘Ntantu è successu, miegliu riparare a lampo.
Certu sorella, senza cchiù tricare. (Si mettono in
ginocchio, si fanno il segno di croce e pregano). Gesù
buonu, runaci la forza di fatigare tutta la jurnata,
mannaci crienti buoni e benestanti, che nun ci
facessero jettare il sango pecchè vonno cacciati tutti li
chiuriti, che a nue ci fannu tantu unchiare.
Maronna mia bella Addolorata, fa rormere almenu
‘nfinu a menzijurnu a papai e a Giginu, cussì nun ne
mintanu ‘ncruce e potimu sbrigare la fatiga. Grazie.
(Si fanno il segno di croce e iniziano a lavorare).
Cosima
Si, Custanza
Lo hai ‘ntiso ‘u gallu stamatina?
E come nun l’ho ntiso, ‘u risgraziatu ‘e cantare si n’è
fattu ‘na passa.
Ha vistu, s’è ricriatu propriu.
Forse era cuntientu, nun la finiscìa mai.
Cche si pense il cretinu, che ‘a gente è surda o che le
fa’ piacere allu sentere. Nun lu sa c’avimu ruve
sbeglie di marca chi ne risbiglianu la matina.
Sa’ cche ti dicu Custanza, lu sai? Ca ‘ssu gallu prima
o pue ci fa’ liticare ccu’ cummari Maria.
285
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
Lu penzu puru io. Ca tu il disgraziatu nun se scorde
nemmenu un giorno, è sempre puntuale: cante alle
quattru ‘mpunta.
Illo s’abbutte di sonno e si ne freche de l’atri, pecchì
‘a sira se va curche priestu. Scostumatu, nun lu sa ca
risbiglie la gente.
Mo’ noi sa’ cchi facimu, prima l’avertimo con il
buono….
A chine, allu gallu?
Alla patrune, no? Ce ricimu che la bestia ci rompe il
sonno, che il giorno pue non potimo cunchiurere bene
la fatiga e che ci fa scordare puro di fare le cose.
E già, come il signo della croce per esempio.
Giusto, eccu pecchì ci simo scordate, perché nun
avevamo conchiuso il sonno ed eramo ‘ncialenate.
‘Nzomma, nue facimo il riclamu regulare e pue s’ha
de decidere. Due su’ le cose: o il cantante si lu vinne o
si lu fa al forno.
Perfetto, Cosima, nue la facimu scegliere, pecchì
volimu la pace, ‘ncaso nun la vo’ sentere vo’ dire che
dichiaramo la guerra.
E la vincimu, pecchì avimu la ragiune dalla parte
norra.
La portamu alla curta, dal pretore, e pue virimu. ‘A
legge parre chiaru: le bestie, sia ppe’ li rumori che
ppe’ la puzza, nun ponnu stare ‘ntr’u paise vicinu alli
cristiani.
E cumu no. Illa nun se la crire, pue se ne addona: ce lo
facimo il cumprimento. Te l’arricuordi per esempiu ‘u
casu ‘e ru ciucciu ‘e Scarpiellu?
E cumu no, n’hannu parratu puru i giornali. ‘U
chiamavanu ‘u tenore ‘e ri suttani.
Ha vistu? ‘A bestia ragliava a jurnate, parìa ‘nu
cantante chi s’allenava ppe’ lu festivallo ‘e San Remo
e nun la volìa sentere de nulla fatta manera.
Cussì, raglie oje, raglie romani, ‘a gente s’è scocciata
e lu poveru Scarpiellu è stato costrettu a portare ‘u
cantante alla fera della runza e si l’ha vinnutu.
286
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
Cumu se rice: o ccu’ lu buonu o ccu’ lu triste ‘a pace
se cunquiste.
Ccu’ li straini è cumu rici tu, cara Cosima, ma ‘n’tr’a
casa, ccu’ li parienti, cumu fai, ricica po’ jire alla
legge? Al massimo te po’ fare ‘na bella liticata.
Armenu te sfoghi ccu’ la vuce, cumu facimu nella
casa norra, duve se vive tra longhe guerre e curti
periodi ‘e pace.
N’avìmu ‘e cuntentare ‘e chissu, pecchì io ricu ca la
pace vera allu munnu nun è mai esistita; s’è campatu
sempre ccu’ la speranza ‘e ra conquistare.
Perciò conzamune di sienzi e supportamu ‘e fantasie
‘e papai, ‘e malandrinerie ‘e ri neputi e tuttu ‘u riestu,
si nun volimu cadère malate.
Mah, parica amu misu tuttu a postu.
Certu Custanza, ‘u campo di battaglia è tuttu in
ordine, potimu cuminciare la battaglia del lavoro. (Le
due donne iniziano il lavoro di sartoria)
(Apre lo stipo) Si nun ricuordu male, parica jieri sira
‘nu pocu di caffè c’è rimastu, tu ‘u vue puru ‘nu pocu?
‘Na guccia mi la pigliu. Assai no, pecchì n’amu ‘e
mantenere calme. Armenu ogni tantu ne spacchiamu.
‘A matina ‘nu pocu ‘e caffè è buonu ppe’ cuminciare
bene ‘a jurnata: te ‘ndorcifiche la bocca e ti zillichìe la
nervatura. (Si accorge che la bottiglia del caffè è
vuota) Te fa diventare propriu ‘na riavula. Farabbutti,
chi ve vo’ bivere n’ursu!
Cchi c’è Custanza?
Nun ci appunte nente; torna stamatina n’amu ‘e
cuntentare ‘e l’acqua frisca: Cosima, se su’ spacchiati
torna i soliti, ci hanno anticipato.
Si l’hannu sucatu tuttu?
‘N’atra pocu mancu ‘a buttiglia ce trovamu cchiù.
Ma ricu io, se azanu ‘a notte ppe’ si lu vivere
Ma cchi ne sacciu cchi fannu chilli, certu è ca simu
assai ‘ntra ‘ssa casa perciò, cara sorella, ‘e oje avanti
si volimu trovare le cose amu ‘e mintere tuttu sutta
chiave
Speciarmente le cose cchiù guliuse…
287
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
CUSTANZA
(Riempie due bicchieri d’acqua, li zucchera e li
bevono) Te, vive Cosima: acqua clorata e zuccherata,
antica affermata mericina.
Chilla chi fa passare ‘e paure e li ruluri ‘e trippa.
(Conserva i bicchieri e riprende a lavorare) Armeno
ne simu fatte ‘a bocca. A noi! A fatiga ci aspette:
ramune ‘e fare prima chi se risbiglie tuttu l’esercitu.
(Lavora nel locale sotto la sartoria, ora entra con furia
ed imprecando) Carogne, farabbutte! Nun c’è cchiù
cuscienza al mondo; cchi tiempi risgraziati!
Ch’è statu, fratellu Michele, chine t’ha ‘nsurtatu?
Mo’ virimu ‘nu pocu si ‘nu cristianu nun po’ mancu
cchiù fatigare ca rune fastidiu, ca disturbe li
vacabunni chi se azanu a mezzogiornu.
Cumu, cumu, famme sentere.
C’e ‘ncuna ‘a ‘ssu vicinanzu ch’è delicata ‘e ricchie e
nun vo’ sentere rrusci di martelli, perciò è juta a
ricramare allu comune; è passata ‘a guardia e m’ha
avisato con il buono.
E cchi t’ha dittu ‘e precisu ‘ssa guardia? Sentimu…
Ca ppe’ ragioni ‘ntrinseche e de quieto vivere haiu ‘e
cangiare abitudine di lavoro. Nun ha bolutu rire ‘u
nume ‘e ru ricramante però…
Nun c’è bisuognu, ‘u sapimu già chine è potuta esere,
ne lo ‘maginiamo. Custanza, tu che ne rici, approvi?
Certu Cosima, sicuramente è stata illa.
‘Nzomma, chine è statu? N’amu ‘e rare ‘na
controllata, care sorelle, sinnò potimu passare ‘ncunu
guai. Perciò, ‘e oje avanti, nun potimu cchiù
cuminciare a fatigare tantu priestu ‘a matina e nun
potimu cchiù fare tantu rrusciu ccu’ la machina singer
di cucito.
Cchiri! Ce facimu virere nue alla cupellune ‘mbiriusa,
manu muscia: statti squitata ca t’accuntentamu
priestu.
Se, se, vo’ dire ca mintimu ‘u silenziatore alla
machina, arogliamu i ‘ngranaggi e pedalamu cchiù
chianu.
288
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
C’amu ‘e fare, ricica potimu jire alla pretura ppe’
chissu?
Chi vo’ jire guai chiamannu; ma nun sinne
‘ncarricassi…
Vo’ dire ca puru io vattu ‘a sola cchiù chianu e
delicatu.
Chi ‘a vonnu vattere cumu i pistilli, risgraziata! ‘u’ re
venire torna ca vo’ scurtatu i cavuzi a marituta: te
scurtu ‘a vita.
Ce vo’ carma Cosima, nun te ‘ncazzare.
E brava a Maria ‘a franca e sisita, ‘a patrune ‘e ru
gallu!
Nue amu fattu ‘e parole e illa ‘mbece ha fattu i fatti.
N’ha pigliatu ‘ncontropiede.
Nue simu di razza tennera e bona, perciò ne
approfittanu.
Si? Ti pienzi ca la vince illa? Adessu, mo’ virimu
cumu fa’ a fare stare citu ‘u cantante ‘e re quattru ‘e ra
matina, ce minte lu mussale?
Chissu nun lo so, stamu a vedere.
Illa ha bolutu ‘a guerra e guerra sia; illa è juta a
ricramare allu comune e nue jamu ricramamu ppe’ llu
gallu alla caserma.
(Con tono moderato) Ma quale comune e caserma, cca
amu ‘e virere cumu potimu risorvere ‘a cosa
pacificamente, sinnò chilli chi ce perdimu simu nue,
‘u sapiti chissu?
Nun è veru, fratellu Michele, la famiglia Grillettu nun
si arrenne, cumbatte ‘nfinu all’urtimu.
Nun l’ha de vincere illa, la ‘mbiriusa e maligna.
Sentiti ‘nu pocu, ragiunamu. Ammessu ca jamu alla
legge cumu riciti vue, ‘u sapiti cchi succere?
Avanti, sentimu cchi succere.
Ca spennimu tanti sordini e alla fine a nue ne vietanu
‘e cuminciare a fatigare priestu e alla signora vicina di
casa, al massimu, ce fannu ammazzare il gallo. ‘A
risgraziata si lu fa al forno e si lu ‘mbucche. Viriti
chine ne tene lu dannu e la peggio.
289
COSIMA
CUSTANZA
(Annuisce col capo) Tieni propriu ragiune; la
disgraziata tene il coltello ‘e ra parte del manico!
Custanza, me sa’ ca n’amu ‘e arrennere.
(Impreca rivolta al cielo) Gesù, Gesù, quantu chiuovi
n’avimu ‘e collare, ccu’ tutta la ragione c’avìmu. Ma
nun sinne ‘ncarricassi, prima o pue l’ha de pagare.
(Più di una volta si sente in lontananza il canto del gallo)
MICHELE
COSIMA
CUSTANZA
MICHELE
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
MICHELE
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
CUSTANZA
Ancora ‘u cantante nun è saziato, fa lu straordinario.
E’ d’accuordu ccu’ la patruna, lu fa apposta il cretino.
(Si alza di scatto, prende la scopa e si avvia verso la
porta imprecando) Mo’ ci lu fazzu finire io il canto.
(Cerca di fermarla) Ma duve vai, fermete, nun
cumplicamu ‘e cose. Oh, ppe’ la miseria, capisciala
‘na bona vota!
E si, noi buttiamo il sangu e illa ne sfotte!
Carmete Custanza, nun damu gustu alla gente.
Ne signu propriu abbutta ‘e ‘ssa storia.
Dimostramu ‘mbece ca nue simu superiori e nun
n’appricamu a certe cose; tornati al lavoro, care
sorelle, ch’è meglio; il tempo pue ne darà ragiune,
farà giustizia.
Se, fra vint’anni! Michè’, ‘a giustizia o se fa subitu
sinnò nun serve a nente, perde tutt’a forza e lu
significatu.
Lassamu perdere, Custanza, ripigliamu ‘u lavuru ch’è
cchiù ‘mportante: le criente tenanu pressa!
‘Nzomma l’ha de vincere illa no?
No, cara sorella, vince lu buon sensu…
E pue sa’ cchi ho pensatu?
Avanti, sentimu.
Mo’ vene la festa e po’ darsi puru ca ‘ssu cazzu ‘e
gallu finisce in tajella, cussì, senza ne liticare, ‘u
problema se risolve sulu.
Si, tieni ragiune, bravu a Michele, il penzamento è
propriu giustu.
‘U volissi Dio ca si lu ‘mbuccassinu e chi le jissi de
stuortu puru.
290
PICARIELLU
MICHELE
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
COSIMA
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
MICHELE
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
COSIMA
(Fuori campo) Marru Michè’, marru Michè’, ca signu
venutu.
(Con ironia) Chissu è il mio ajutante Picariellu.
Sempre puntuale: ccu’ li cazzi. (Cerca nello stipo la
bottiglia del caffè che trova vuota) Mancu ‘na guccia,
oh! Mah, torna ppe’ oje signu arrivatu in ritardu.
Puru noi, Michè’.
Si, puru come te, l’amu trovata vacante.
E’ ‘nu misteru, nullu sinne vive, ‘a buttiglia nun
funne, duve cacchio va a finire ‘ssu cafeiu?
Mah, e chine lu sa. Pare un giocu ‘e prestigiu.
Però c’è ‘ncunu chi ‘u giocu lu sa bene.
Su’ ‘ncognite, caro fratello, cose chi capitanu.
Sempre alli stessi fissa però. Mah, ccu’ tuttu chissu
vaiu scinnu alla putiga. (Si avvia).
(Entra di corsa) Marru Michè’, scinne subitu ca c’è su
clienti ‘mportanti.
Chine sunnu.
E’ ‘nu fresalone chi pise ‘ncunu quintale e mienzu.
Cchiù du puorcu tue, ‘nzomma?
Ija, avissi voglia! Parre mienzu ‘mericanu, né lu
canusciu, né l’haiu capitu.
Mi la ‘mmaginu: tu nun capisci mancu ‘u ‘talianu!
A razza mia è tutta alfabeta, marru Michè’.
Si, avantatillu puru! Mah, jamu virimu ‘ssu
giargianese.
Puru stranieri, Michè’, ‘u nume s’è spasu.
Se, propriu allu sule.
Michele nuorru è finu, è n’artista.
Picarì, jamu scinnimu. Buon lavuru puru a buve, care
sorelle. (Esce di scena)
(Sfottente) Signorì’, cumu pariti belle mentre fatigati:
pariti ruvi angioletti. Ma raveru siti gemelle?
(Con compatimento) Va’ scinne Picarì’, ca ‘u marru
t’aspette.
Signorì’, mi lu cacciati ‘nu desideriu?
Va’ scinne Picariellu, ca sinnò te cacciu ‘n’uocchiu.
Pecchì nun ve siti spusate, ‘u’ r’aviti avùtu tiempu?
Su’ affari nuorri chissi; vavatinne ripellù’.
291
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
COSIMA
PICARIELLU
CUSTANZA
COSIMA
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
Ma armenu prima ‘ncunu zitu l’avìti avutu o siti
propriu ‘nconpetenti in materia?
(Infuriata) Oji figliu ‘e bona mamma, ti ne vai o ti ne
fazzu jire ccu’ ‘ssu tappinu alla frunta. (Si toglie la
scarpa e minaccia di tirargliela addosso)
Carma, signorì’, cumu siti sensibile. Avìti i niervi
troppu scoperti.
Ma guarde ‘na pocu cchi guagliune ‘mpertinente,
scustumatiellu patentatu. Mo’ lu ricimu allu marru.
‘U sacciu pecchì siti rimaste zitelle: ca un v’ha volutu
nullu, no signorì’?
Mascalzone, linguacciutu; su’ fatti nuorri chissi (gli
corre dietro minacciandolo).
Scustumatazzu, via ‘e ra casa norra.
Ciao zitelle, volimune bene, fatigati assai e scusati ‘u
scherzu. (Correndo, mette lo scompiglio nella stanza.
Poi esce)
Via, via! Ma guarda ‘nu pocu quantu n’amu ‘e
cumportare.
(Ritorna e spia dalla porta) Pigliative assai gagumilla,
signorì’, sinnò nun rendete al lavoro. (Esce
definitivamente)
Torna, risgraziato! Che mondo, che mondo, sorella
mia! Nun c’è cchiù rispettu ppe’ nessunu, nemmenu
ppe’ noi che simu, mo’ ce vo’, fimmine di fede e
botate al bene.
(Tira un sospiro di sollievo liberatorio, subito imitata
dalla sorella; entrambe riprendono a lavorare) E’
figliu propriu alla mamma, ‘u risgraziatiellu, vi’: tale e
quale.
E’ veru, Custanza, ccu’ ‘na piccula differenza però: ca
la mamma ha fissiatu all’uomini ‘e mille paisi e lu
figliu sfotte le femmine.
Però il ramo è lo stesso. Cchi ce potimu fare, cara
sorella, amu ‘e cumportare e subire i prodotti della
premiata ditta “Riscignola e figli”.
Quella chi rune lurru al norro paise.
(Bussano ripetutamente alla porta)
292
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
NINETTA
GIANNINU
COSIMA
CUSTANZA
NINETTA
CUSTANZA
NINETTA
GIANNINU
COSIMA
NINETTA
CUSTANZA
GIANNINU
COSIMA
GIANNINU
NINETTA
COSIMA
NINETTA
COSIMA
(Scocciata) Chin’è ss’atru erva ‘e roglia mo’.
Cosima, va vire a chine le role la trippa.
E si, mo’ jocamu allu lasse e piglie e addio fatiga.
Maniete, fa’ priestu ca sinnò jettanu ‘nterra ‘a porta.
(Mentre va ad aprire) E cchi cos’è, ce vo’ puru ‘nu
pocu ‘e terminazione.
Forse tenanu ‘ncuna siecuta.
(Apre la porta ed entrano affannando e spaventati
Gianninu e Ninetta. Gianninu ha la testa fasciata) Ma
cchi v’è chiavatu, cchir’è ‘ssa pressa.
(Preoccupata) Via, via, me cumu su sc-cantatizzi,
povarielli!
Cchi v’è successu, gioia, parrati.
(Affannando) Ri…riciaccellu tuni.
‘U vi’…., ‘u vi’.
‘U viscuvu?
Cchi dice, cchi ce intre ‘ssu viscuvu.
Bum, ‘na petrata sanizza e r’è fattu a cientu morsa.
Ma chine?
‘U vitru ‘e ra finerra ‘e Carcarazzu.
Carcarazzu se stava assulicchiannu assettatu allu
scalune e r’è sc-cantatu.
E pue?
N’ha datu ‘nsiecuta, illu ccu’ lu palu azatu e
Carminella, ‘a patruna ‘e ru vitru, ccu’ jestigne
nivure ‘nfinu alla settima generazione.
Cchi gente brutta. E cchi cos’è!
Mo’ n’aspettanu fore.
(Riempie un bicchiere d’acqua) Te, viviti, vivitive
‘nu pocu ‘e acqua, ca ve passe la paura.
(Beve l’acqua e domanda a Ninetta) Mo’ me sientu
miegliu. E tu? T’è passata puru a tie ‘a paura?
L’acqua ti l’ha vippita tutta tuni, cumu me passava.
(Riempie un altro bicchiere d’acqua) Te, gioia, vive
puru tuni, ca chissu è n’atru chi pense sulu ppe’ illu.
(Beve) Siccome è sc-cantatu ‘e cchiù.
(A Gianninu) E ‘ssa capu ‘nfassata?
293
GIANNINU
CUSTANZA
GIANNINU
NINETTA
COSIMA
GIANNINU
CUSTANZA
GIANNINU
COSIMA
NINETTA
CUSTANZA
GIANNINU
NINETTA
GIANNINU
CUSTANZA
NINETTA
COSIMA
CUSTANZA
GIANNINU
COSIMA
Nente, ‘nu vitruognu. Jieri sira me signu scontatu
ccu’ la capu ‘e ‘nu cumpagnu: Spicoschi, ‘u
risgraziatu, ‘a tene tosta cumu ‘na petra e io l’haiu
avùta ‘a peggio.
‘U vì cchi succede quannu se fa la race e nun se
tenanu ‘e manu a postu.
Ti lu giuru, nun l’haiu fattu apposta.
Però io ti l’avìa dittu ch’era pericolosu.
‘U vi’, t’avìa avvisatu.
Giudicati vue, signorì’, ppe’ birere si tiegnu curpa. Io
volìa minare ‘a petra a ‘nu niru ‘e passeru supr’a
cagia. Cchi ne potìa sapire ca ‘e arrieri ‘u risgraziatu
‘e Parrupacristu me ‘mbuttava.
Allura t’hannu ‘mbuttatu?
Certu, signorì’, m’hannu ‘mbuttatu. E cussì ‘a petra
ha cangiatu direzione e r’è juta a battere allu vitru ‘e
Carcarazzu. Sinnò, a dire ‘a verità, tiegnu ‘na mira
precisa.
Quatrarì’, ‘u fattu è ca ‘e petre nun se minanu
nemmenu alli niri ‘e aggielli. Hannu ‘e stare ‘nterra,
l’ha capita?
E chissu mo’ se ‘mpare! E ‘na ricchia le trase e de
n’atra le jesce.
Però, ancora nun haiu capitu pecchì ccu’ tante case
c’avìti passatu, ‘e re Barracche allu Spicuniellu, siti
venuti a ‘mbussare propriu alla norra.
Raveru, ce criri ca nun lu sacciu?
‘A ‘mmasciata Giannì’.
‘N’atra picca ‘a paura m’avìa fattu scordare ‘e ra
‘mmasciata.
Quale ‘mmasciata.
Mamma vo’ sapire si è pronta ‘a vesta, ca ‘a
rominica si l’ha de mintere c’ha de jire alla zita ‘e
Filumenella ‘e Grullulera.
E cumu ‘u r’è pronta! Vero, Custanza?
Se, simu alle solite! E r’ha mannatu a tie?
Veramente ha mannatu a tutt’i ruvi.
Ah si? Vecchia tattica, Custanza (stropiccia l’indice
sul pollice).
294
CUSTANZA
NINETTA
GIANNINU
NINETTA
CUSTANZA
GIANNINU
NINETTA
COSIMA
CUSTANZA
GIANNINU
NINETTA
CUSTANZA
NINETTA
GIANNINU
COSIMA
NINETTA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
NINETTA
COSIMA
NINETTA
GIANNINU
COSIMA
NINETTA
GIANNINU
Cari ragazzi, ‘a vesta è finita a tri jurni e r’è puru
stirata.
Menu male.
Ti l’avìa dittu ch’era finita.
Allura ha dittu mamma ppe’ ci la mannare.
Allura ricecce a mammata ca venissi illa a si la
pigliare.
(Rivolto al pubblico) Chisse nun su’ cocivule, me sa
ca ci amu appizzatu ‘u viaciu.
Forse mamma nun tene tiempu.
Si vo’ la vesta ricecce ca ‘u trovassi lu tiempu.
E trovassi puru i sordi: prima chilli ‘e ra cappottina
‘e l’annu scorsu e pue chilli ‘e ra vesta ppe’ jire alla
zita.
Ninè’, me sa ca ni n’amu ‘e jire a manu vacante; ‘e
signorine tenanu ‘na bona memoria.
E su’ puru attaccate alli sordi.
Bravi alli giovani, avìti capitu propriu bene.
Allura ni ne potimu propriu jire?
E torna, ‘u’ l’ha capita ca chisse su’ gente serie.
E capire simu capiti; ‘a paura v’è passata, vi ne potiti
jire, c’avìti ‘e fare cchiù?
E a mamma, allura, ‘e precisu cchi ce ricimu?
(Stropicciando l’indice col pollice) Ca venissi illa,
proprio di persona, e cussì ne puru salutamu.
Sempre si vo’ jire alla zita.
Illa ce vo’ jire, no?
Certu ca ci ha de jire, simu cummari ccu’ la mamma
‘e ra zita!
Custanza, allura è la vota bona: forse vene.
(Delusa) Jamuninne, Giannì’.
Speriamu armenu ca Carcarazzu e Carminella nun
n’aspettanu fore, sinnò ne tocche de fare ‘ncun’atra
cazza ‘e cursa.
‘E gambe parica ‘u’ l’avìti belle longhe ppe’ fujere!
Allura, bona giornata.
Puru! E camine ‘e lluocu, nun l’ha capita ca ci amu
appizzatu ‘u viaciu (Tocca il crocifisso attaccato al
295
CUSTANZA
GIANNINU
COSIMA
GIANNINU
COSIMA
GIANNINU
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
SANTU
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
CUSTANZA
muro e lo fa cadere) Perduno, ve ciercu scusa, nun
l’haiu fattu apposta, signorì’; io ‘u volìa sulu vasare.
Se vire ca nun vo’ vasatu ‘e tie chissu e r’è carutu.
E già, chissu è particolare, è du vuorru. Chillu ‘e ra
casa mia nun care però, pecchì?
Va’ biellu, va’, vavatinne ccu’ la Maronna.
E Ninetta rimane cca?
Va’ vire duve ‘e jire e camine ‘e lluocu.
Jamuninne Ninè’, ca ‘sse signorine su’ tutte nervuse.
Ciao, ciao (Esce con Ninetta).
(Mentre mette a posto il crocifisso) Le frijanu ‘e
manu a ‘ssi figli ‘e bona mamma: l’ha fattu carire
ppe’ la quarta vota: perdunalu Gesù mio!
S’ha fattu ‘ncuna cosa?
Me pare de no.
Se vire ca sa’ carire, tantu c’è ‘mparatu!
(Riprendendo a lavorare) Quanto tiempu se perde
ppe’ curpa ‘e l’atri senza utile.
Mo’ Picariellu, mo’ i figli ‘e ra signora ‘e ra vesta e
lu tiempu vule. Speriamu bene ‘e mo’ avanti. (Si
sente tossire con insistenza e dopo un po’ si odono
degli squilli di tromba).
Via via Maronna mia, simu torna puntu e d’accapu: è
disbigliatu papai.
Nun c’è ripuosu! Mo’ l’amu fatta propriu bona: si
entra di nuovu in guerra.
(Disperata). Cosima mia dove simu chiavate!
(Entra a passo lesto, porta il cappello da bersagliere e
numerose decorazioni sul petto. Compie un paio di
giri intorno alla stanza cantando) Vai fuori d’Italia.
Vai fuori straniero. Vinceremo!
Papà, papai, ma frunala ppe’ piacire.
(Controlla tutti gli angoli della casa). Ss…ss..
Silenzio, ‘u nemicu ci ascolta.
Ma sentala ‘na bona vota, è finita a quarantanni ‘ssa
riavula ‘e guerra, ‘a vo’ capire o no?
(Urlando) C’è statu l’armistiziu.
296
SANTU
COSIMA
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
(Impugna la scopa a mo’ di mitra e spara dalla
finestra) Abbasciatevi, panza a terra, arrivanu ‘e
mitragliate.
(Lo va a tirare per la giacca) Mo’ basta, finisciala
ppe’ piacire; ‘u vì ca nun spare cchiù nullu?
(Scherzosa) ‘U nemicu s’è arresu, papà.
(Orgoglioso) L’haiu stisi, su’ muorti tutti. N’haiu
fattu ’na spasina.
Ti l’ha pulizzati tutti? Menu male. Mo’ statti quietu
‘nu pitazzu; tutti se riposanu roppu ‘a battaglia.
Assettate.
(Santu si siede)
CUSTANZA
Duve simu chiavate, Gesù mio. Atrica dolce casa:
chissa è ‘nu campu ‘e battaglia.
(Santu cerca di alzarsi, ma è fermato da Cosima)
COSIMA
Nun ce sta mancu si ci lu lighi! Ma statti assettatu
‘nu pitazzu; duve ‘e jire torna si i nemici su’ tutti
muorti?
SANTU
Devo jire alla posta a me pagare la pensione di guerra.
(Si alza e cerca nello stipo il libretto)
CUSTANZA
Patreternu miu, runenne pacienza! Atrica pensione ‘e
guerra, guardati cumu è ridduttu ‘n’uomine c’avìa ‘nu
‘ntellettu sanu cumu pochi allu munnu!
MARAFRANCISCA (Entra a passo lento e va a sedersi accanto al focolare)
Ancora è cca ‘u guerrieru?
COSIMA
Ppe’ n’atra pocu, ‘u’ lu vi’: se sta armannu ppe’
partere.
MARAFRANCISCA Maronna mia, c’ha fattu tuttu stanotte! Ha tenutu una:
era ‘mpegnatu su’ tutti i fronti.
CUSTANZA
Oji ma’, cchi potimu fare, l’ha pigliata ‘e cussì.
MARAFRANCISCA Figlicelle mie, cchi attaccarizzu… nun m’ha fattu
chiurere uocchiu: ‘e palle fisc-cavanu e le cannunate
parravanu ccu’ l’angiuli.
COSIMA
Quantu vote t’haiu rittu ‘e te fucare ‘e ricchie ccu’
vambace ‘a sira e cussì nun lu sienti?
297
MARAFRANCISCA Via via; ma quale vambace e ‘ntippagli: nun ce fannu
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
COSIMA
SANTU
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
CUSTANZA
SANTU
nente. Nun ce cririti cchi fani: grire cumu n’arcissimu,
fische e fa botte.
Sini ma’, ca te cririmu, te cririmu e cumu.
Oji figlie! S’è datu ‘na carmata stamatina, ca mentre
se girava ppe’ scanzare ‘na palla del nemico è carutu
‘e ru liettu: paratuffiti, ‘nterra cumu ‘nu salame e r’è
ammutatu. Signu morta ‘e ra paura! Me azu
straguisata, pensannu ca era muortu, quantu guardu
buonu e viju ca ‘u mobile riria a crepapelle ‘e ra
cuntentizza.
Teh! E pecchì rirìa?
Ca ricica ca roppu tantu tiempu chi le cercava,
finarmente, avìa acchiappatu a Hitler e Musolino e le
stava vattiennu capu e capu.
Però cumu idea non è che fessa: ha fattu propriu
buonu a vattere ruve capu ‘e vumbula ‘e ‘ssa manera.
Ppe’ fantasia fricatinne: chine ‘ u passe?
Nun me scappi, vigliaccu. Eccolo, finarmente t’ho
trovatu. (Sbandiera il libretto) Eccu il bottino di
guerra. Io allura partu; vue state attente al nemico, ve
raccumannu.
Aspette, aspette ‘nu pitazzu, ca mo’ se aze Giginiellu
e t’accumpagne.
Raveru papà, portate a Giginiellu ppe’ cumpagnia. Sai
cum’è: è sempre buonu, ccu’ ‘ssi latri chi ce sunnu
‘ngiru.
(Spavaldo) Cchiri! A mie accumpagnare? Nun
vuogliu a nullo appriessu: Santu il bersagliere nun se
spagna de nullo.
Armenu caccete ‘ssi stemmi ‘e ru piettu e cangete ‘ssu
cappiellu: cumu te prisienti e cussì alla posta ca le fa’
spagnare?
Me prisento come sordato che ha fattu la guerra al
fronte ‘ntra le cannunate; che ppe’ la patria s’è feritu e
mo’ vo’ pagatu i danni.
Cca ricica nun tieni ragiune ppe’ daveru, papà?
I danni ce su’ e cumu.
Brave: e allura vaiu a ‘ncassare la moneta.
298
MARAFRANCISCA Ti le ‘ncarrichi ‘ssi quattru sordi fetusi, si nun si’
cchiù Santu ‘e na vota.
(Entra Giginiellu sbadigliando e piangendo)
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
SANTU
MARAFRANCISCA
GIGINIELLU
MARAFRANCISCA
GIGINIELLU
COSIMA
CUSTANZA
GIGINIELLU
COSIMA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
CUSTANZA
GIGINIELLU
COSIMA
Me me ch’è azatu Giginiellu.
Pecchì chiangi, chine t’ha corpito?
Ma cchi t’è chiavatu?
Parre, cchi t’è successu?
Giginì’, ciao. Nonnu va fa rifornimentu. (Lucida il
cappello)
Papà, e aspettalo ca jati ‘nsiemi.
Si finisce il pianto ce lo porto, però a lampo oh!
Ha’ ‘ntisu? Riceme cchi bue biellu ‘e nanna.
(Piangendo) ‘A suppa, vuogliu ‘a suppa.
Tuttu chissu era; nun chiangere ca mo’ nannà ti la
fazzu ‘na bella suppa. (Prepara la zuppa)
Io ‘a volìa portata allu liettu.
E mo’ cumu facimu, si’ azatu biellu e zia. Vo’ dire ca
ti la vivi all’allierta.
(Scherzosamente) E cussì ‘u latti le va alli pieri.
Vuogliu puru a mamma: duv’è juta?
Nun buve nente cchiù? E cchi cos’è, ogne matina se
aze ccu’ ‘ssa serenata!
(Si guarda allo specchio a lungo) Tutto in ordine: ora,
mo’ potimu partire. Marafrancì’!
(Stizzita) Cchi bue torna.
Oie è festivu, pecchì è jurnu di paga; allura te
raccumannu ‘e me fare trovare pasta e ciceri a
mezzogiorno.
E cumu no; ‘u comandante tene sempre ragione. Statti
sicuru. (Inizia ad imboccare la zuppa a Giginiellu) Te
biellu ‘e nonna, mange gioia.
Fai a lampo Giginì’, ca sinnò alla posta finiscianu i
sordi e rimanimu frecati.
Papà, e cchi cos’è, ma s’ha d’affucare ‘ssu guaglione!
‘Ssu callu e latti, torna ‘e ra crapa ‘e Gemma è; vi
l’haiu rittu ca me tampe.
Povariellu: statti squitatu ca romani cangiamu crapa.
299
GIGINIELLU
Vuogliu chillu chi fa’ lu muntune ‘e Tartaruca, ca si lu
piglie puru Affronzinu e le sa’ buonu.
CUSTANZA
E chi te via benerittu, cumu si ‘mpattatu vuccapiertu!
SANTU
A cchi puntu simu?
MARAFRANCISCA Ecco cca, l’urtima cucchiarata: opla. Finito.
(Giginiellu ricomincia a piangere e a battere i piedi per terra)
COSIMA
CUSTANZA
GIGINIELLU
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
Cchi te male chiavatu torna.
Ne volìa cchiù?
Vuogliu a mamma, duv’è juta?
(Spazientito) Allu fronte è juta, a combattere ccu’ le
frasche ai monti. Giginì’, o vieni o te lassu e te frechi.
(Gli asciuga gli occhi) No ca vene. Va’ biellu mie, va’
ccu’ nannuzzu ca t’accatte la cioccolata.
Finalmente simu pronti, potimu partere. Sverto
Giginì’, damme ‘a manu ca ne ‘mbiamu. (Prende la
mano del nipote ed escono)
Dio mio cchi ‘nfiernu, potimu jire avanti ‘e cussì?
Cosima, me sbagliu o stamattina deve venire don
Peppe e la moglie. (Fanno subito le corna e toccano il
ferro di cavallo)
(Consulta il quaderno degli appuntamenti) Nun te
sbagli propriu. Oje è venneri: ecco cca, segnato don
Peppe e l’ufficiale postale e moglie.
Speriamo bene. Certu ca cumu jettature è potente.
T’arricuordi quannu c’è statu l’atra vota quantu guai
ne su’ capitati.
Sapimu duve ne ‘mbarcamu ccu’ ‘ssi signori jettaturi?
Facimu ‘u cuntu: ‘u portafiori fattu a cientu morsa, ‘u
quatru della buonanima di Za’ Caterina chiumbatu
‘nterra….
Ti sei scordata de la purmunita di papai, chi n’atra
pocu si n’era jutu.
E forse era statu miegliu.
Però sa’ cche ti ricu; tannu nun eramu preparate, ci ha
pigliatu alla ‘ntrasata; ma mo’ cchi ne po’ fare cchiù,
avìmu miso ‘ncampo tutti i rimedi!
Dipende dalla potenza, cara sorella.
300
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
Vo’ dire ca lu sparamentamo di nuovu e poi ci
regulamu si avìmu ‘e aumentare ‘e difese.
N’è benutu buonu ‘u spuostu, chissu ne mancava ‘ntra
‘ssa casa ppe’ la fare completa: ‘u jettature.
‘Ntantu ‘u partitu è buonu, nun potimu tantu fare le
scarduse.
Vi lu ripietu ancora: alli fatti ‘e core facitive i fatti
vuorri, pecchì nun ve riguardanu.
Ma’, nue volimu il bene di Mariuzza.
E allura lassati a fricare ‘mpace ca ‘sse cose si le bire
sula.
Oi ma’, tu ce pienzi? Duve ‘a trovi cchiù ‘na famiglia
nobile e dinarosa cumu chilla di don Peppe? È
‘n’occasione unica ppe’ Mariuzza norra di fare ‘nu
bello matrimonio.
La quale se troverà bene in futuro pecchè se piglie
cumu sposo a Gregoriu, figliu di un nobile: don Peppe
il granne cavaliere.
Senza cavallu.
E noi ne gorimu puro, pecchè ni ce ‘mparentamu.
E la gente del paise ci ‘mbirianu tutte.
Vulati cchiù basciu ca potiti carire.
Nun sai quantu signo contenta ppe’ chissa cosa se
riuscimu alla cunchiurere.
Gesù mio, te priegu: speriamo ‘e noni.
Nue lottamu, cara sorella, lottamu ccu’ tutte le norre
forze contra tutti chilli chi nun vonnu chissu
matrimoniu, e signu sicura ca vinceremo la battaglia.
E perditi ‘a guerra.
Mariuzza l’ha de capire ca si troverà bene si se piglie
a Gregoriu, pecchè è ‘nu ragazzu seriu, di bona
famiglia e che nun le farà mancare nente ppe’ tutta la
vita.
Li c’è sbotatu ‘u ciarviellu ccu’ ‘ssi mobili: ma nun ce
cunchiuranu nente.
Cosima, io pensu che quel difettuccio del tic che ha lu
giovane Gregoriu è stata la ruvina, sinnò a chist’ura la
norra nipote s’era già convinta e lu matrimonio era
conchiuso.
301
COSIMA
‘Ntantu chillu riavulu di zinna zinna e quella
grulluliata del brazzu chi fa’ ogni tantu lu fannu ‘nu
pocu scomparire.
MARAFRANCISCA ‘Nu pocu? A mie me fa ‘mpressione!
CUSTANZA
Oji ma’, e finiscialu ‘ssu rucculu chi sta’ faciennu.
Cchi bo’ ca sia allu munnu e oje ‘na zinnata e ‘nu
tremulizzu ‘mprovvisu; si ce fa’ casu ‘u facimu tutti
con lu stresso c’avìmu tutti i jurni.
MARAFRANCISCA (Mentre esce) Chisse tenanu ‘a capu tosta. Mariuzza
mia sfortunata, cumu te chiangiu!
(Bussano alla porta e le sorelle scattano in piedi credendo che sia don Peppe)
COSIMA
FURMICUNE
CUSTANZA
FURMICUNE
COSIMA
FURMICUNE
(Va ad aprire) Tuttu tu era, Furmicù’.
(Scherzosamente) Buongiorno alle sorelle marre.
Buongiorno puru a tie. Mah, ci simo sbagliate.
(Mentre spulcia la posta) Pecchì, aspettavati a
‘ncun’atru?
Clienti Furmicù’, te si scordatu ca chissa è ‘na casasartoria?
Mo’ ce vo’, sartoria di granne nume. Purtroppu oje
v’avìti ‘e cuntentare solamente ‘e mie, ‘nu miseru
portalettere. Ecco cca, chissa è ‘na litterella ppe’ la
signorina Mariuzza, vorra nipote.
(Cosima e Costanza con fretta prendono la lettera)
FURMICUNE
COSIMA
FURMICUNE
CUSTANZA
COSIMA
FURMICUNE
COSIMA
CUSTANZA
Chianu, chianu ca la scigati ‘e ru tuttu. Ma la
signorina è ‘ntr’a casa?
(Con imbarazzo) Si, veramente ancora rorme.
Allura, veramente, io la dovevo consegnare propriu a
illa.
Nun fa nente, nue simu le zie e tra nue nun c’è
ammucciamu nente, nun avimu secreti.
La norra è ‘na famiglia affiatata.
E chine ‘u minte ‘ndubbiu! Però alla lettera c’è scrittu:
consegnare alle proprie mani; ‘u viriti?
Furmicù’, nun ne ru’ fiducia.
Cchi te pienzi, ca simu favuze?
302
FURMICUNE
CUSTANZA
FURMICUNE
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
Ppe’ carità, chissu mai; ma il regolamento tecnicu,
amministrativu postale dello Stato dice questo e io
nun vuogliu jire cuntro legge, sinnò puozzo perdere
anche il pane, lu sapiti?
Ma quale pane e murtatella! Furmicù’, va’ rune l’atra
posta e statti squitatu ca ‘a lettera sarà consegnata alla
norra nipote Mariuzza sana e sarva.
Signorì’, io allura me fidu di voi. Stamoci bene. Bona
giornata.
Puru a tie Furmicù’.
Bona passeggiata.
(Osserva bene la lettera insieme alla sorella) E’ senza
mittente.
‘U bullu postale però è de Verona. Madonna mia! ‘A
città dell’amore.
Via, via, certamente è torna chillu risgraziatiellu del
militare chi busse al cuore di nostra nipote.
Si, Cosima, certamente è illu.
(Riflette) Ma nue nun ce facimu ‘mbussare.
Nun la vo’ sentere ‘e nulla manera ca la deve lassare
jire, ca nun la deve cchiù ‘nzenare.
Gesù, Gesù, ni l’ha ‘nfiammata ‘ssa figlia, ni l’ha
cotta.
Però te ricu ‘na cosa Cosima, ca ‘ssu Robertu, ‘u
figliu ‘e chilla bona mamma ‘e Crimentina ‘e
Sbrasciune, o ccu’ lu buonu o ccu’ lu triste a norra
nipote si l’ha de scordare, nun ci l’arrennimu mai,
‘nfina chi nue campamu.
(Entra Marafrancisca)
COSIMA
Mo’ vire ca cangiumu Gregoriu, ‘u figliu unicu di ‘na
famiglia nobile, con uno scartamiennule di razza
umile.
MARAFRANCISCA Tantu ppe’ cangiare ‘u tema è sempre ‘u stessu.
CUSTANZA
(Si fa molto riflessiva) Ohi, cumu volissi ca ‘ssa storia
fussi già finita cumu volimu nue!
COSIMA
Puru io, Costanza, nun criju l’ura.
303
CUSTANZA
Però c’è l’amure ppe’ lu mmienzu; c’è ‘ssu pesta ‘e
core chi nun se fa cummannare ‘e nullu, fa cumu vo’
illu e nun se ‘ncarriche né de sordi né de filosofia.
MARAFRANCISCA L’ha capita finarmente? Perciò lassece fottere.
COSIMA
(Implorante al cielo) Aiutane tu Segnure a vincere ‘ssa
battaglia difficile!
CUSTANZA
(Mostra la lettera) ‘A vi’ chissa, è lecia lecia, pare ‘na
piuma, si ‘a jujji po’ puru vulare, ma tene la forza ‘e
‘nu truonu: cancelle la ragiune.
MARAFRANCISCA (Cerca nello stipo) Avissiti vistu a pasta a
cannaruozzu?
CUSTANZA
Va vire ca è la dintra ‘ntr’u casciune.
MARAFRANCISCA (Mentre esce) A chine è benuta ‘a gulìa ‘e ra
trasferire.
COSIMA
Custanza, nun ci la potimu rare ‘ssa bumba alla norra
Mariuzza. Ruve su’ le cose: o a scigamu oppure a
vrusciamu.
CUSTANZA
I metodi su’ tutt’i ruvi buoni: portanu allu stesso
risurtatu. Però, prima ‘e passare all’operazione, io ‘a
volissi lejere. Cchi ne rici?
COSIMA
E’ ‘na bella idea, cumu no; tantu ppe’ ne ‘ntrarire
bene. Sempre ppe’ il bene di norra nipote però, no
ppe’ atru.
(Si odono dei passi e Custanza si appretta
a nascondere la lettera dietro un quadro)
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
Bongiorno zi’.
Bongiorno e salute.
Cara Mariuzza, cumu si’ bella stamatina. Custà’, e
guarde.
Raveru, si’ propriu lurrusa.
(Cerca nello stipo) ‘U meritu è du sule chi c’è
stamatinu.
Si cierchi ‘u cafè è tiempu piersu.
Mancu ‘na guccia gioia.
Nun è ‘na sorpresa, ppe’ quantu me ricuordu io ‘ssa
buttiglia nun l’haiu vista mai china. Comunque stava
cercannu ‘n’atra cosa.
304
CUSTANZA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
Mariù’.
Cchi bue zi’.
L’ha finitu ‘e minare ‘u supramanu alla camicetta ‘e
donna Lena, ‘a mamma di Gregorio?
C’è rimasta sulu ‘na manica ‘e finire.
Allura si’ a bon puntu. Maniete gioia, compretala ca
‘n’atra pocu si la vene misure.
Ppe’ mie, quannu vo’ benire venissi.
Nun sa’ nente, vene ‘nziemi a don Peppe, il marito e
dicica forse portanu puru a Gregoriu, il loro amato
figlio.
(Prende il lavoro e accompagna con gesti
d’insofferenza le parole delle zie) Si, puru allu
signorinu portanu?
E allura! Ricica lu ponnu lassare sulu alla casa?
(Con ironia) Nun sia mai, s’avissi de spagnare.
Comunque, venanu in tre: patre, matre e figliu.
Praticamente vene tutt’a sacra famiglia?
Se vire ch’è ‘na famiglia unita e de buoni custumi.
Ch’è ‘mbiriata da tutto il paese e chi tutti si ce
volessero ‘mparentare.
Viatu chine po’ avìre ‘ssa furtuna.
Fortunatu chine trove ‘ssu tisoru.
Chis’à cchi facissi io ppe’ lu trovare.
Mariù’, tu nun dici nente, nun rispunni al
ragiunamento delle tue zie?
Ma cchi boliti chi ve ricu, si ‘ssa nobile prierica l’haiu
‘ntisa mille vote.
Volimu ca te convincissi bella ‘e zia, cussì ci fai tantu
felici e cuntente.
Puntu e d’accapu: ‘a sonata è sempre ‘a stessa.
Mariuzza cara, fatte persuasa: nun pue fare i capricci
‘e rifiutare ‘nu giovane cumu Gregoriu, figliu di un
nobile e de ‘na nobile signora, chi tutti lu volissinu.
(Scocciata, butta il lavoro, si alza e mette tutta la
stanza in disordine) E donna là e Gregoriu cca: nun ne
vuogliu sentere parrare cchiù ‘e ‘ssu spaventapasseri.
Si lu pigliassi chine ‘u vo’. Ricitice alla mamma ca ‘u
mintissi all’asta o ‘u portassi duve Albertu Castagna,
305
ca certamente chillu pennulune ce trove l’amore. Io
nun lu vuogliu né mo’ né mai a chillu pisc-cariellu,
nemmenu carricatu ‘e oru.
(Si sente bussare alla porta)
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
CUSTANZA
Via, ca su’ illi! Te raccumannu Mariuzza carmete, nun
ce fare scomparire.
(Con fretta e imbarazzo) Maronna mia, su’ arrivati;
mintimu tuttu in ordine, priestu, faciti priestu.
Ma jativinne ‘e lluocu, parica chine ha d’arrivare:
siccome su’ bielli i mobili!
(Mentre Cosima va ad aprire, si rivolge alla nipote)
Assettete gioia ‘e zia, fatte trovare col lavoro in mano.
Me fazzu trovare ccu’ lu palu, ca chillu l’aggiove de
cchiù.
Citu, citu ca mo’ trasanu.
(Mariuzza stufata riprende il lavoro)
COSIMA
CUSTANZA
DON PEPPE
(Apre la porta) Benvenuto al nostro don Peppe e
famiglia.
Favorite, favorite.
Bongiorno alle signorine e alla bella nipote. Me sento
onurato di entrare in questa casa.
(Si stacca il quadro dalla parete e cade la lettera. Custanza,
con fretta ed imbarazzo, va a raccoglierla e la mette nel petto,
dove di solito tiene il fazzoletto)
MARIUZZA
COSIMA
DONNA LENA
MARIUZZA
COSIMA
(Fa le corna di nascosto al jettatore) Cchi potenza, e
ancora ha de trasere!
Prego, veniti avanti, nun faciti comprimenti.
Bongiorno e bentrovati. (E’ seguita passo passo dal
figlio Gregorio)
(Alza appena il capo) Bongiornu.
Accomodative, prego, accomberative.
306
DONNA LENA
GREGORIU
CUSTANZA
DON PEPPE
COSIMA
CUSTANZA
DONNA LENA
Grazie, grazie, troppu gentili. (Rivolta a Gregorio che
segue la mamma e per l’imbarazzo inciampa ai suoi
piedi) Ma Gregorio, fatti cchiù là, no?
(Ha un vistoso tic nervoso all’occhio sinistro e al
braccio destro. In mano porta un mazzo di fiori) Scusa
mammà, sono un po’ ‘ntroppicato.
E’ ‘na cosa di nente: tutti ‘ntroppicanu durante il
giornu.
Certu, cchi cosa vuoi ca sia ‘na ntroppicatina, alli pieri
di una mamma pue: niente.
Certu, a vote puru ppe’ il troppu affettu alla mamma si
ci va allu pere allu pere.
E pue si ‘ntroppica, come lu caso di Gregoriu. Ma
lassamu perdere chissu. Ve ricu ca ne sentimu tantu
onurate stamatina ‘e avìre ‘ncasa norra tutta la
famiglia del nobile don Peppe.
A dire ‘u veru simo venuti ccu’ tantu piacire pecchè ci
sentimu di casa, e puru quarche cosa in più.
(Mariuzza continuamente fa’ smorfie di insofferenza, non solo per quello
che sente dire ma anche per le occhiate insistenti che riceve da parte
di Gregoriu)
DON PEPPE
GREGORIU
DON PEPPE
GREGORIO
CUSTANZA
MARIUZZA
DONNA LENA
Forse nun ci credete, ma a chissa visita ci simo
preparati da tanti giorni, speciarmente il norro figlio
Gregoriu qui presente, chi nun crirìa l’ura di venire.
Nun è veru, Gregò’? (Vedendo Gregoriu distratto, lo
scuote)
(Frastornato) Cchi bue papà, mi devi parrare?
Stava dicennu ca tu ti sei preparatu ppe’ benire cca, è
veru o no?
(Sorridente e accentuando i tic) Certu, certu, cumu no,
haiu cuntatu i giorni ccu’ li jirita della manu manca.
Sente se’, ha cuntatu i jurni. Mariù’, ha capitu?
Gregorio ha cuntati i jurni!
(Con ironia) Si….e quant’eranu?
Mio figlio è tantu sensibile e se prepare sempre alle
cose ‘mportanti, speciarmente a una cumu chissa pue.
307
COSIMA
CUSTANZA
Nue chissu lu sapimu già!
Nun c’è bisognu ‘e ru rire, sulu a lu guardare e ti
n’adduni che lu ragazzu è tenneru ‘e core.
(Gregorio si poggia ad un manichino e, se non fosse soccorso dal padre,
finirebbe a terra)
MARIUZZA
COSIMA
GREGORIO
DON PEPPE
COSIMA
DONNA LENA
(Sorridendo e rivolgendosi al pubblico) ‘U coppulune
se crirìa ca s’appoggiava alla mamma.
Nun è nente, Gregorio, nun è nente, pensa alla salute.
Io veramente pensava ca illu ci la facìa a me tenere.
Ma no Gregorio, chissa mantene sulu i vestiti, perché
è debole di pieri.
Lassamu perdere, sorvolamu a certe fricularie chi
capitanu, donna Lena; tornamu alle cose cchiù serie.
Appuntu, volìa dire. Per esempiu, ppe’ dire quantu è
buonu il mio figliu, ca ieri sera è uscito e non si
ricoglia mai. Io e il patre a dire ‘u veru ci simo
preoccupati, simu stati ‘mpensieru pecchì di solitu illu
se ricoglie sempre prima delle galline del vicinanzo;
ma quannu è arrivatu, però, viriennulu ccu’ ‘nu mazzu
di juri in manu, io e Peppe mio ci simu guardati e ci
simu abbrazzati dalla gioia, per avere ‘mpattato ‘nu
figliu tantu sensibile.
(Custanza e Cosima annuiscono con gioia)
DON PEPPE
CUSTANZA
COSIMA
DONNA LENA
COSIMA
CUSTANZA
DON PEPPE
GREGORIO
Perché illu sapìa bene che questo gesto dei fiori è
signo d’amore e quindi…
Certu, certu.
Cchi giovane gentile!
E siccome oggi avìamu di venire cca ‘ntra la mente di
Gregorio è nato questo bellu pensieru dei fiori.
E cumu adduranu, se sente de cca.
Cchi gioia, cchi pensieru biellu!
Gregoriu, offri i fiori a questa famiglia, sinnò
s’ammuscianu.
A chine papà?
308
DONNA LENA
Ma cumu a chine, Gregorio, ma alla cchiù bella, alla
cchiù giovane.
(Tutti vivono il momento con trepidazione)
GREGORIO
DONNA LENA
GREGORIO
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
GREGORIO
CUSTANZA
MARIUZZA
DON PEPPE
DONNA LENA
GREGORIU
DONNA LENA
GREGORIU
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
(Dopo aver guardato in giro per un po’) Ma’, a illa
no?
Cuma sì spiertu, biellu di mamma; certu, a Mariuzza.
(Timidamente si avvicina a Mariuzza) Chissi su’ a
nume della mia famiglia.
(Con freddezza accetta i fiori) Si? Ma cchi bielli juri
‘e linu!
(Quasi a volerla richiamare) Mariuzza!
(Scocciata) Cchi bue, zì’.
Ringrazia per il bell’omaggio, su’.
Dai bella, fa’ ‘nu sorrisu cumu lu sa’ fare tu: biellu
lurrusu.
(Risoluta e beffarda) Care zie, forse nun ce crirìti ma
propriu oje tiegnu ‘nu rulure ‘e capu, ma ‘nu rulure,
chi me va’ dda frunta a lu cuzziettu; e nun tiegnu nulla
gulia ‘e chiecchiariare. Simu capite no?
Apposta stava colerosa.
E nun n’avìa rittu nente?
M’è benutu a ‘na vota.
Po’ capitare, mica ti lu manne a dire ‘u dolore ca sta
arrivannu; vene e basta.
Povera figlia, io però me n’ero addonata ca ‘ncuna
cosa nu’ jija: l’haiu vista troppu muscia e r’apatica.
Quindi, perciò ho fatto il pensamento e mi ho
mangiato la foglia.
E pecchì ti l’ha mangiata mammà?
Ppe’ il dolore di capo di Mariuzza.
Ah, già, m’era scordatu.
Ma mo’ le passe, ‘u’ r’è veru Mariù’?
Nun me passe propriu.
E sini, nun desere pessimista; mo’ viri ca ‘n’atra pocu
te rune ‘na carmata.
Me sa ca ‘ssa vota rure parecchiu, care zie, pecchì è
cchiù forte e ‘mportante ‘e l’atre vote.
309
DONNA LENA
GREGORIU
CUSTANZA
COSIMA
GREGORIU
CUSTANZA
MARIUZZA
DONNA LENA
COSIMA
DONNA LENA
COSIMA
DON PEPPE
CUSTANZA
DON PEPPE
GREGORIU
COSIMA
DON PEPPE
GREGORIU
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
Ci volesse qualche pinnolo armeno.
Io ppe’ casu me truovu ‘na scatola di cachet ‘ntr’a
sacchetta. (Toglie la scatola dalla tasca). Chissi su’
buoni ppe’ sturdimienti di capu, giramenti di mondo e
micranie generali.
Me guarde, me guarde cchi furtuna: eccu subitu ‘u
rimediu.
Certamente fa’ subitu effettu, no?
E cumu no, a lampo. Appena ti le bivi ccu’ acqua
frisca nun senti cchiù nente, ti spreia tuttu.
Ha ‘ntisu Mariù’: ti spreia.
E cumu no, ‘n’atra pocu però sprieju io.
Noi ce lo pigliamu tutti a casa, quanno sentimo i primi
sintomi.
Cchi bene a dire donna Lè’?
Che appena sentimu un ronziu o qualche spingolata
dentro la capo nun tricamu un minutu: subitu pigliamu
il cachet e il dulure forte nun lu facimu arrivare.
Apposta caminati attrezzati di pinnoli?
Nue, care signorine, simu aggiurnati; tenimu il passu
ccu’ la scienza medica, facimu prevenzione e
ammazzamo il malo primo che ci se facesse grande
Certu, mo’ ce vo’, vue avìti ‘u sturiu nel cervello!
Allura nun perdimu tiempu. (Prende un bicchiere con
acqua)
Su Gregoriu, rune il rimedio alla signorina.
Quantu ne volìti: tri, quattru, tutt’a scatula?
Ohi, cumu è generusu!
Ma Gregorio, unu solo baste, nun se deve abusare.
(Porge la scatola alla signorina Custanza) Te,
tenitivilla, tantu io alla casa tiegnu l’atri ‘e riserva.
(Scioglie la pillola nell’acqua ed invita Mariuzza a
berla) To, gioia di zia, vivatilla ca te passe.
(Con un gesto della mano rifiuta il bicchiere) Nun me
serve cchiù, ‘u rulure ‘e capu m’è passatu; chissu si lu
vivissi chine tene ‘ncuna fissazione alla capu ca ci la
fa’ passare.
(Verso il pubblico) Tosta cumu ‘a rana, nun s’arrenne
mancu roppu morta!
310
CUSTANZA
DON PEPPE
DONNA LENA
GREGORIU
MARIUZZA
DONNA LENA
COSIMA
DON PEPPE
DONNA LENA
DON PEPPE
DONNA LENA
DON PEPPE
GREGORIU
COSIMA
CUSTANZA
GREGORIU
MARIUZZA
Però, è ‘nu misteru: se capu a bote cumu su’ curiuse,
nun si ce capisce nente. (Posa il bicchiere sul tavolo)
E’ ‘nu meccanisimo difficile, chjno di rotelle ‘ntra ‘na
scatula chiusa, quarche bota ‘ncuna va fore postu e la
capu role, pue baste ‘na tringuliata oppure ‘nu sccantu e tuttu s’aggiusta; le rotelle ritornanu a girare
bene e la capu nun dole cchiù.
Il cervello è misteriosu, ‘e quannu è natu l’uomu:
nullo lu sa lejere bene. Facitive un conto ca è cumu
‘nu libru scrittu in lingua araba chi lu leje ‘n’alfabeta
completu. Comunque ‘u ‘mportante mo’ è ca alla
signorina Mariuzza ‘a capu l’è passata.
Forse l’ha tringoliata bene. Menu male, io ne signu
morto contentu.
(Al pubblico) Oji galla, ‘u sacciu io pecchì m’è
passata!
Tutti simu felici, così potimu parrare bene ccu’
Mariuzza e fare ‘nu bellu e lungu ragionamentu.
(Implorante verso il pubblico) Facce cangiare capu,
Maronna mia bella della catina.
(Prende la scatola delle pillole e l’osserva a lungo) Ma
vire, guarda un po’ certe vote cumu se fannu li sbagli.
Pecchì, Peppì’?
Guarde ‘ssa scatula, leggi, leggi cumu c’è scrittu.
(Prende la scatola e legge) Contro la stitichezza,
purganti efficentissimi.
Gregoriu, ma cumu hai fattu a nun ti ‘n’addunare?
Haiu sbagliatu scatula. (Tira dalla tasca un’altra
scatola) A vi’ la risgraziata: eccu chilla dei pinnoli de
la capo c’era puru, sulu ca era a l’atra sacchetta.
Mo’ nun fa’ nente: n’errore se po’ puru fare no?
Certu, ppe’ la pressa e ppe’ l’amore ogne tantu se po’
sbagliare.
‘U ‘mportante però è ca la signorina nun si l’ha
pigliati i pinnuli: eccu duv’è ancora ‘u bicchieri ccu’
illi dentro.
(Molto scocciata) Si era ppe’ buve però a chist’ura era
assettata supra ‘na secia ‘e cessu. Mah, quasi quasi era
statu miegliu e cussì me liberava de ruve cose.
311
COSIMA
DONNA LENA
CUSTANZA
DONNA LENA
GREGORIU
E bia, ca arruri si ne fannu sempre!
Cumu mio zio Bartolomeo ppe’ r’esempiu, chi puru
ppe’ sbagliu ‘nu giornu s’ha pigliatu ppe’ via orale le
supposte ppe’ la sciatica.
E la sciatica l’è passata armenu?
Magari! Illo ‘mbece poveruomo quannu se n’è
addonato l’è benutu a lampo il rovescio e
dall’annusiamientu nun ha volutu mangiare ppe’ ‘na
settimana.
Povero zio, n’atra pocu si l’avìa quazata.
(Bussano alla porta)
PICARIELLU
COSIMA
(Fuori campo) Signorì’, aperiti, signu Picariellu.
E’ il riscipule di norro fratello Michele.
(Picariellu continua a bussare con insistenza)
CUSTANZA
PICARIELLU
DON PEPPE
PICARIELLU
CUSTANZA
DON PEPPE
PICARIELLU
COSIMA
PICARIELLU
(Mentre va ad aprire) Nun tene terminazione. Appunte
‘nu pitazzu. (Apre) Le jettare ‘nterra ‘ssa porta, cchi
cos’è!
(Appena entra è attratto dai tic di Gregorio e lo
osserva con insistenza e meraviglia) Marru Michele
tene pressa e bo’ mannatu ‘u pere ‘e puorcu e ‘na
buttiglia ‘e acqua frisca.
Signorina Custà’, chir’è ‘ssu pere ‘e puorcu chi vo’ il
maestro.
Pecchì, nun lu canusciti; siti stranieru?
Statti zitto tu, Picarì’. Caro don Peppe, il pere di porco
è ‘n’attrezzu dello scarparo chi serve ppe’ arrutunnare
e ppe’ allisciare i cigli delle scarpe.
Eppure nun lu sapevu.
(Indicando Gregoriu) E chissu chin’è, signorì’; nun
l’haiu vistu mai.
E’ lu figliu dei signori qui presenti: il signorino
Gregorio.
(Incrocia lo sguardo con Mariuzza e ridono entrambi)
Quali signori?
312
COSIMA
PICARIELLU
MARIUZZA
DON PEPPE
PICARIELLU
DON PEPPE
CUSTANZA
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
CUSTANZA
COSIMA
PICARIELLU
COSIMA
PICARIELLU
COSIMA
CUSTANZA
PICARIELLU
MARIUZZA
PICARIELLU
Ecculi cca (li indica con ampio gesto della mano), nun
le biri, si’ cecatu?
(Dopo averli squadrati a lungo) Ah, vue siti signori?
Eppuru ‘nfinu a mo’ nun v’avìa vistu mai, oh!
(Con ironia) Picarì’, tu sta’ sempre chiusu ‘ntr’a
putiga a r’addirizzare simice e bullette, cchi bo’
canuscere!
Ancora è giovane, pue impara.
E dicitime ‘na cosa, cumu faciti a d’esere signori.
(Mostra imbarazzo e Mariuzza lancia un’occhiata di
compiacimento a Picariellu) ‘E già, lu sai ca nun ci
avìa pensatu. (Riflette) Simu signori pecchì lo siamu.
(Mentre poggia l’arnese e la bottiglia sul tavolo
accanto al bicchiere con i purganti) Pecchì stanno
bene…
Pecchì nun su’ malati no? Haiu capitu.
Ma no, perché stannu bene di soldi, parrano bene, se
vestano bene, eccetera eccetera.
(Rimane perplesso) Ma guarde ‘nu pocu, oh! U sapiti
ca io ‘u’ lu sapìa? Cumu su’ toghi però i signori!
(Riferendosi a Gregorio) Chissu allura è ‘nu
signorinu?
Propriu ‘e cussì, Picarì’.
Pecchì è figliu ‘e ri signori. (Don Peppe e donna Lena
si pavoneggiano, mentre Mariuzza li guarda di
traverso).
(Riflessivo) Allura io, vue, marru Michele nun simu
signori: simu poveri; cchi simu allura?
(Con imbarazzo) Vo’ dire ca simu cristiani, figli di
Dio.
Puru illi su’ figli ‘e Dio? Io sapìa ca l’eranu figli sulu i
poveri.
E cumu no, puru i signori su’ figli ‘e Dio.
Tutti simu figli del Signore.
(Stralunato) Cchi cazza ‘e mbroglia, oh! ‘A voliti
sapire ‘na cosa, signorì’: io nun ci haiu capitu nente.
Te aggiornare, Picarì’.
Raveru, Mariù’; mo’ ne parru a Marru Michele.
(Osserva Gregorio) Però, cumu è togu ‘u signorinu.
313
DONNA LENA
DON PEPPE
COSIMA
PICARIELLU
MARIUZZA
CUSTANZA
PICARIELLU
CUSTANZA
PICARIELLU
MARIUZZA
DONNA LENA
PICARIELLU
COSIMA
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
Peppì’, l’è trasutu ‘nsimpatìa.
I giovani se ‘ntendanu prestu, fannu subitu amicizia.
Te piace, Picarì’?
Parica mi l’haiu ‘e spusare? Mariù’, tu cchi ne rici?
Haiu rittu già tuttu io Picarì’, statti squitatu.
(Al pubblico) Via vi’: come prima, più di prima!
Però, pecchì ‘u signorinu fa ‘ssu cacchiu ‘e zinna e
‘ssa grulluliata ‘e vrazzu.
E’ ‘na cosa ‘e nente, ‘nu difettucciu ‘e pocu cuntu.
Ccu’ li cazzi, chiamala cosa ‘e nente, a mie me fa
spagnare propriu. Mariù’, e a tie?
‘U’ ne parramu Picarì’, ‘u’ ne parramu ch’è miegliu.
Nun è curpa di Gregorio, così c’è natu.
Allura è natu zinnannu?
Picarì’, quantu ne va trovannu. È sulu ‘nu picculu
difettu di toccu.
Allura s’è sulu chissu fallu scinnere duve marru
Michele ca ci l’aggiuste ‘ssu toccu.
(Fuori campo, urlando) Picarì’, Picariellu.
Cchi bue, somma?
(Fuori campo) Ca te pigliassi lu riavulu, chissu
vuogliu. Bruttu miserabile, quannu te decidi a
scinnere, ce s’ì muortu supra?
(Gli ospiti manifestano repulsione)
CUSTANZA
PICARIELLU
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
E’ il norro fratello Michele, chi fatighe sutta.
Fazzu a lampu. Avìti vistu, ppe’ parrare ccu’ bue e
ppe’ guardare ‘ssu signorinu mo’ abbusc-cu ‘a
cazziata ‘e ru marru. (Di fretta prende la bottiglia e
l’arnese, beve l’acqua del bicchiere contenente il
purgante e va via).
O lu risgraziatu, s’ha bivutu l’acqua ccu’ lu purgante!
(Al pubblico) Gire, gire ‘ncunu s’avìa de purgare oje!
Povaru Picariellu: è toccatu a illu.
Se ‘ncarriche, su’ fatti ‘e ri sue mo’.
Se, se su’ fatti nuorri puru, ca mo’ ‘n’atra pocu quantu
fa’ effettu ti n’adduni.
Cchi significhe?
314
COSIMA
GREGORIU
DON PEPPE
MARAFRANCISCA
COSIMA
DONNA LENA
DON PEPPE
CUSTANZA
GREGORIU
CUSTANZA
DON PEPPE
COSIMA
MARAFRANCISCA
DON PEPPE
MARAFRANCISCA
DON PEPPE
MARAFRANCISCA
DONNA LENA
MARAFRANCISCA
COSIMA
DON PEPPE
MARAFRANCISCA
DON PEPPE
MARAFRANCISCA
Ca cumince a viaciare supra e sutta ccu’ li cavuzi alle
mani.
Pecchì, se deve allenare a ‘ncuna corsa?
(Sconfortato) A quella del cesso!
(Entra sbadigliando. Ha un fazzoletto in mano che le è
stato mandato da una persona perché possa toglierle il
malocchio. Mostra una certa sorpresa per la presenza
degli ospiti) Bongiorno. ‘U vi’ cchi bella comitiva.
Chissa è mamma; ‘a canusciti no?
E come no, ne parrano tutti bene nel paise: ‘a
chiamanu ‘a dottoressa del popolo.
E’ conosciutissimna, pecchì fa’ il bene.
Ca tu su’ sessant’anni chi opere.
Allura è della chirurgia?
No, signorino Gregoriu, mamma ‘mbece appare
muscule, pieri, vrazzi e fa puru affascini.
Quindi pratiche medicina generale?
Si, puro; però illa veramente è specializzata ppe’
affascini e carmi di terzo grado. No, ma’?
E cumu no! Però ci ha bolutu sturiu e tanta sperienza.
Me, guardati (mostra le mani), haiu rrurutu i jirita ‘e
re manu a furia ‘e apparare.
Ma guarde un po’! E’ ‘na professione difficile,
usurante. Armeno pigliate ‘na bona pensione?
Adduve! Niente, signore mie bellu: campamu sulu
ccu’ chilla ‘e mio maritu Santu. Io figuru casalinga!
E’ ‘n’ingiustizia però.
Viriti vue cchir’è, certu ca chissa è la verità.
Povera donna, quantu fatiga ha fattu! Me rispiace!
Figurete a mie, signò’!
Chine nun c’è passatu sutta ‘e illa: tuttu ‘u paise ha
avutu bisuognu.
Ma armenu ‘a gente paga l’onorariu, la parcella?
Ma quale purcella, macari. Nue ‘u puorcu a jennaru ni
l’accattamu sule alla rina.
Ma no, signora; io volìa dire se vi paganu l’opera chi
prestati, no la purcella-porco.
Ah, chilla? A parole, me paganu a parole: chiacchiere
assai, ma nichili niente.
315
COSIMA
DONNA LENA
Certe vote ci amu appizzatu puru l’uogliu e la fassa.
Nun è giustu però: ‘u lavoro ha de esere pagatu!
MARAFRANCISCA S’avissi de pagare, si, riciti propiu buonu; ma ‘u
populicchiu,’a povera gente, duve ‘e ba piglie li rinari
si le ruglie la trippa ‘e ru petitu: alla banca ‘e ri
lamienti?
CUSTANZA
Mamma tene lu core ranne, don Pe’!
DON PEPPE
Veramente. E, cara signora, vue siti troppu buona!
Vedi Gregorio, questa donna, la nanna di Mariuzza
appunto, possiede tanta umanità, nella sua vita ha fatto
sempre bene e continuamente cerca amore.
GREGORIU
(Guarda insistentemente Marafrancisca) Cumu, puru
illa cerca amure?
MARAFRANCISCA (Molto allusiva) Chissu v’è figliu?
DON PEPPE
Si: è Gregorio, figliu unicu ppe’ giunta!
MARAFRANCISCA (Al pubblico) Peccatu, l’avissinu fatti quattru o cinque
vistu ca venianu buoni! (Mentre esce sbadigliando)
Allura io ve salutu, ca tiegnu morto cchi fare lla
dintra.
DON PEPPE
Bon lavoru.
DONNA LENA
Arrivederci. Però, se mantene propriu bene ‘a signora!
COSIMA
Ca tu sta sempre attiva!
DONNA LENA
(Rivolta al figlio) Hai visto come sa fatigare
Mariuzza?
GREGORIU
Sulu ‘e luntano.
DONNA LENA
Allura abbicinate, cussì ti rendi miegliu conto.
GREGORIU
(Si avvicina a Mariuzza) Cchi sta faciennu?
MARIUZZA
(A testa bassa risponde con aria di sufficienza) Fatigu
alla manica ‘e mammata, te piace?
GREGORIU
(Mentre tutti osservano con interesse ed ansia) Morto
bella. Ma chisso è ricamu?
MARIUZZA
No, è supramanu.
GREGORIU
E tu lu fai ccu’ l’acu e lu filu?
MARIUZZA
No, ccu’ la suglia e lu spacu, cumu i scarpari. ‘U’ lu
viri, si’ cecatu?
GREGORIU
Allura mentre fatighi te po’ puru pungere no?
MARIUZZA
E cumu no! S’è ppe’ chissu tutti i jurni ce su’
pungitine (con allusione) e rutture varie! Me, guarde
‘ssi jirita, su’ fatti a rusellara.
316
GREGORIU
COSIMA
DONNA LENA
GREGORIU
MARIUZZA
GREGORIU
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
DON PEPPE
DONNA LENA
DON PEPPE
MARIUZZA
COSIMA
GREGORIU
DON PEPPE
MARIUZZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
GREGORIU
DONNA LENA
E’ ‘nu lavuru periculusu?
Se sta ‘nfurmannu!
Gioia di mamma, cumu se sa ‘nfurmare!
Allura te po’ puru cunchiere ‘ncunu jiritu?
Vo’ dire ca si cunchje ni lu mangiamu!
Ma armeno siti assicurata?
Cuntra ‘e pungitine si, ma cuntra i scocciaturi ancora
no. (Si alza di scatto, tanto da fare spaventare
Gregorio) Te, zi’, haiu compretatu l’opera; ‘a
camicetta ‘e ra signora è pronta ppe’ ci la provare.
L’ha già finita! Cumu si’ sberta, gioia.
Io vaiu cuonzu ‘u liettu, ca n’atra pocu se ricoglie
mamma e lu trove ancora ‘e conzare.
(Prende la camicetta e l’osserva) Guardati cumu l’ha
fatta bella precisa!
Pare accattata.
E’ ‘n’amore, mi andrà certu bene.
E’ fatta a pinniellu: troppu precisa.
(Al pubblico) Carricati e fricartivinne: vi lu fazzu io
‘u cumprimentu!
Ccu’ tuttu ca è difficile fatigare ccu’ la sita.
Ca illa nun potìa bivere, chine ci lu proibiva.
Ma Gregorio la signorina si riferiva alla seta stoffa e
no alla sita sete, chilla chi se stute ccu’ l’acqua.
(Decisa) Comunque, cari signori e signorine, ‘u
compitu mie è finitu, mo’ tocche a bue care zie.
(Ironica) Bai, bai e stamuce bene. (Mentre si avvia
verso la porta è ostacolata da Gregorio) Arrassete ‘e
lluocu, famme passare: ‘ssu ‘mpacciu!
(Rivolta alla nipote, mentre questa esce di scena) Ma
duve vai Mariuzza, aspetta.
(Cerca di scusar la nipote) E’ juta a r’aggiustare ‘u
liettu della mamma: cchiù tardu pue viene.
Ccu’ li cavuli: vene cumu è benuta nanna ‘e l’atru
munnu!
Nue pressa nun ‘n’avìmu, vo’ dire c’aspettamu.
(Che ha capito l’antifona) A chine nun vene mai. Caro
maritu, ‘a missione è fallita: ‘a purvera era bagnata.
317
DON PEPPE
GREGORIU
DON PEPPE
GREGORIU
DONNA LENA
DON PEPPE
Come se rice: quannu ‘u ciucciu acqua nun ne vo’ ha
voglia ca fischi.
(Cosima e Custanza si sentono mortificate)
Pecchì ‘u ciucciu nun ne vo’ acqua, papà?
Ca ‘a sita ci la stute ‘ncun’atru vivieri!
Nun capisciu, c’ha rittu papà?
Ca ni n’amu ‘e jire figlicì’. Bene nun n’ha bolutu.
Amu ‘e cercare altri partiti, battere nuove piste.
(Gregorio va a spiare dalla porta se arriva Mariuzza)
DONNA LENA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
DON PEPPE
DONNA LENA
DONNA PEPPE
DONNA LENA
COSIMA
Guardatilo: povero figliu, c’è ‘ncazzonito!
Nun potiti pensare quantu ni sentimu mortificate, nun
è veru Cosima?
Via, via, via: nun te ricu, nun te ricu!
Mariuzza norra è ‘na ragazza tosta di capo, cumu ‘na
petra ‘e jimara.
Però nun avimu piersu tutte le speranze: nue, cumu
‘nu guttaru, tanti chi vattimu chi l’ammollamu.
Megliu nun ‘nsistere cchiù; la ragazza nun fa’ ppe’ il
mio Gregorio.
Mio figlio se po’ dire ca è tantu dorce e tennero cumu
‘na ricotta.
Perciò, cara moglie, nun potimu pretendere ‘e fare
incontarre ‘na ricotta ccu’ ‘na petra, pecchì è la ricotta
a se fare male, a ‘sse fare ‘na paparotta.
Nun sia mai: Gregoriu se merite ‘n’amure dolce.
Cumu ‘a Nutella! Eh, cara donna Lena: duve le ba
truovi cchiù ss’amuri tenneri e duci cumu riciti vue; i
tiempi su’ cangiati, i cuori su’ fatti cchiù tuosti e li
giovani ‘e ri consigli, speciarmente ‘e chilli ‘e r’e zie,
si ne grattanu.
(Entra di corsa Picariellu, tenendosi con le mani il ventre)
PICARIELLU
CUSTANZA
‘U cessu, ppe’ carità, duv’è lu cessu.
Ce si ‘ncappatu? Bene mie! Vire ca è la dintra, si nun
è occupatu.
318
PICARIELLU
DONNA LENA
DON PEPPE
GREGORIU
DON PEPPE
GREGORIU
DON PEPPE
CUSTANZA
COSIMA
DONNA LENA
CUSTANZA
GIUVANNINA
CUSTANZA
DONNA LENA
CUSTANZA
DONNA LENA
CUSTANZA
COSIMA
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
COSIMA
GIUVANNINA
COSIMA
(Mentre esce) Nun voglia la Maronna, speriamu ‘e
noni.
Ha fattu effettu.
Allura potimu veramente andare. Dobbiamo tagliare
la corda.
Ccu’ cchi papà?
Ccu’ la forbice delle signorine.
(Cerca le forbici e le porge al padre) Eccu servitu.
(Demoralizzato, alza gli occhi al cielo e poi si rivolge
al pubblico) Gregorio, Gregorio: cche malasorte!
Figlio unico e lu vaiu a ‘mpattare puru galla. Cche
sfortuna nivura! Lena, azete e jamuninne.
E la misura della camicetta?
E già, neca l’avìmu fatta la prova.
Mi la pigliu lu stessu, ca me sa’ che queste calle di
prove nun cumbene alle fare: falliscianu.
Ppe’ nue nun ha mancatu.
(Fuori campo) Mariù’, Mariuzza, portame ‘a chiave ‘e
ra vota c’aiu ‘e stipare ‘a sarcina. Maniete!
E’ la norra cognata che s’è ricota.
Ah si! E duve era juta?
A sarcine alli monti.
Tene ‘na bella voce sanizza.
‘U’ ne parramu: s’allene tutti i jurni ccu’ li figli
quannu ‘a fannu arraciare.
E quarche bota puru ccu’ nue.
(Entra con furia, sbattendo la porta). Siti muorti tutti
‘ntra ‘ssa riavula ‘e casa? E cchi cos’è, staiu faciennu
‘u cagnu e nullu chi rispunne.
Veramente amu ‘ntisu.
E allura pecchì nun avìti rispusu? Avìti piersu ‘a
parola?
Stavamu finiennu ‘nu ragionamentu ccu’ li signori cca
presenti.
Si, e brave! (Urlando) Io signu azata alle quattru
stamatina, avìti capitu? ‘A catrea mi la sientu
fraganiata, atrica raggiunamenti all’assettata e chiuriti
vari.
Sini, ‘u sapimu, ma mo’ carmete.
319
GIUVANNINA
GREGORIU
GIUVANNINA
GREGORIU
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
DON PEPPE
DONNA LENA
GIUVANNINA
DON PEPPE
GIUVANNINA
DON PEPPE
PICARIELLU
GIUVANNINA
PICARIELLU
GIUVANNINA
PICARIELLU
GIUVANNINA
PICARIELLU
DON PEPPE
GREGORIU
GIUVANNINA
PICARIELLU
GIUVANNINA
Nun me carmu ‘e nente ‘mbece. E Mariuzza duv’è,
ancora rorme?
E’ juta la dintra e mo’ vene.
E tu cchi ne sai? Ah, già, tu avissi ‘e r’esere Gregoriu?
(Sorridente) Me canusciti?
E cumu no, te canusciu e r’haiu capitu. Mo’ virimu
duve va a finire ‘a faccenna…
Giuvannì’, mo’ la devi frunere, puru ppe’ rispettu ‘e
l’ospiti.
(Mentre beve con foga alla ciarriglia) Io finu a prova
cuntraria nun haiu offesu a nessunu. Si pue ‘ncunu
tene la cura ‘e paglia mi lu ricissi. (Agli ospiti) V’haiu
rittu ‘ncuna cosa ‘e male a bue?
Ppe’ carità, niente di male.
Siti stata gentile ‘mbece!
Aviti vistu? (Si fa un’altra lunga bevuta alla
ciarriglia).
Ma signora nun bevete assai, siti surata e ve po’ fare
male.
Ih…, duve jati pensannu! Su’ quarant’anni ‘e battaglia
e ‘sse vippite ‘e acqua frisca m’hannu sempre curatu,
atrica fannu male.
Si siti collaudata allura faciti come volete.
(Entra di corsa, trattenendosi il ventre) Maronna mia,
Maronna mia, cchi timpesta!
E duve jiesci Picarì’, duve si’ jutu?
E cuorpu, signu jutu ‘e cuorpu.
Cumu, cumu, famme sentere.
E ‘ssi sapissi, zia marra mia, cchi fuocu! E pue ‘a
risgraziata ‘e diarrea nun dune tiempu ‘e nente.
E cumu va, t’avissi fattu male ‘ncuna cosa?
Forse su’ statu i cerasa ‘e ‘Nciru Ghetanu, ca ieri ccu’
li cumpagni ci l’avìmu scuotu ‘u cerasu.
Poveru figliu; puru i cerasa: allura ‘a miscela è
propriu esplosiva.
A bote però ponnu esere stati i pinnoli del bicchiere.
Quale pinnuli Picarì’, t’ha pigliatu pinnuli?
Mai ‘mbita mia. Ti lu giuru, zia ma’.
E allura, cchi cunte ‘ssu Gregoriu lluocu?
320
DON PEPPE
Niente, niente, c’è statu ‘n’equivocu. Quindi nente
pinnuli, nun è veru Gregorio?
(Donna Lena fa segno al figlio di zittire, portando il dito al naso,
ma Gregorio fraintende)
GREGORIU
GIUVANNINA
PICARIELLU
GIUVANNINA
PICARIELLU
GIUVANNINA
DONNA LENA
CUSTANZA
GIUVANNINA
DON PEPPE
GREGORIU
DONNA LENA
GIUVANNINA
GREGORIU
GIUVANNINA
DON PEPPE
CUSTANZA
DONNA LENA
DON PEPPE
COSIMA
DONNA LENA
GREGORIU
CUSTANZA
No ppe’ lu nasu mammà, io ricìa ppe’ il corpo.
(Interviene nell’imbarazzo generale che si è creato) E
chine te capisce, tu parri raveru ‘n’atra lingua!
Allura, zia ma’, io scinnu sperannu bene.
Figlicì’, cchi te puozzu rire: si te vene ‘n’atra scarrica
saglie torna e attientu a nun m’allordare ‘e scale.
(Mentre esce) Grazie, grazie. V’arricummannu, teniti
libero ‘e vie e puru ‘u cessu.
Statti squitatu, ce mintimu ‘a segnaletica. (Si rivolge a
donna Lena) Allura, cumu va ‘ssa visita?
Niente, amo già conchiuso ccu’ le signorine.
Su’ state ‘mmasciate ‘e sartoria.
(Sospettosa) Sulamente? Va bene, ‘a verità parica pue
nun vene a galla? (Agli ospiti) Vue cchi ne riciti?
Ca mo’ ni ne potimu veramente andare. Dai su’!
E a Mariuzza nun l’avìmu ‘e salutare?
Jamuninne bellu di mamma, jamuninne ca ni la
salutanu le zie.
(Con strafottenza) S’è ppe’ chissu vi la salutu puru io!
Già, vue siti la mamma.
Se, propriu chilla chi l’ha fatta. Simu capiti ccu’ tutti,
no? (Giuvannina esce)
E’ molto delicata la signora.
Propriu come il porco. Don Pè’, scusatine tantu ppe’
illa.
Pè’, jamuninne prima chi vene torna a ne dare il resto.
Care signorine, su finite le trattative, però restamu
‘mpace.
Nue amu fattu di tutto, se vire ca nun eranu destinati.
(Tira per un braccio Gregoriu) Vieni Gregorio,
andiamu.
Nun ve scordati ‘e me salutare a Mariuzza.
Vatinne squitatu, ca ppe’ li saluti nun manche.
321
DON PEPPE
C’è ‘ncazzunitu ‘u pistilicoi, guardatilu: la speranza
del mio futuro, me rasc-cassi! Jamu, jamuninne.
(Si sente una scossa di terremoto)
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
COSIMA
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
Maronna mia, ‘u terrimutu (Spaventata, fa le corna
insieme alla sorella).
E’ statu don Peppe: cum’è potente, Gesù mio!
‘U jettature subitu s’è vendicatu.
Cchi figura, però, c’amu fattu; chine si la pensava.
Scunfitta ruppia: amu perdutu l’amure e li clienti.
Però l’amu ‘e affrontare a norra cognata e ci n’amu ‘e
rire ‘e tutti i colori: ca sta ruvinannu ‘a figlia e pure la
razza.
Nun si ne ‘ncarricassi ca ci lu preparamu noi il
piattinu.
(Entra con furia, seguita da Mariuzza piangente). ‘A
misura è curma, è arrivatu ‘u momentu ‘e vi le dire
quattru; sentiti bene, l’avìti ‘e lassare jire, nun l’avìti
‘e affriggere. ‘E ri fatti sue, speciarmente chilli ‘e ru
core, nun n’aviti ‘e volire fare nente, ca si la vire sula.
Simu capite?
Ma tu te vo’ liticare? Carmete e cerche ‘e ragiunare.
Nun me carmu propriu ‘mbece; figliama è libera ‘e se
pigliare a chine vo’ illa. Mo’ virimu si ‘ssa guagliune
mi la fannu chiangere tutti i jurni ppe’ ‘ssu
sturdimientu chi le fannu.
Sente, nue, si amu rittu ‘ncuna parola, l’amu fattu ppe’
suo bene.
Se, se, propriu ccu’ li cuntracazzi, siccome su bielli i
mobili.
Se vire ca tu li signori nun li canosci bene.
Ma quale bene e nobiltà, io mi ne grattu; e pue virimu
duve su ‘ssi pregi ‘e ‘ssi signori: ‘u patre è ‘nu
jettature ‘e prima classe, rinomatu ‘ntra tuttu ‘u paise,
‘a mamma, donna Lena dei miei stivali, letticusa e
articulusa ‘e ra nascita; pue propriu illu, l’oggettu
preziosu, juru ‘e linu, Gregoriu, chjnu ‘e mille rifetti,
322
MARIUZZA
PICARIELLU
GIUVANNINA
COSIMA
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
COSIMA
GIUVANNINA
MARIUZZA
CUSTANZA
GIUVANNINA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
SANTU
ricitime vue duve su’ ‘ssi vantaggi ppe’ Mariuzza
mia!
Mo’ finisciala ma’, si scarricata? Mo’ basta.
(Passa di corsa tenendosi il ventre) ‘N’atra scaricata
zia ma’, tiegno ‘nu fuocu ‘ncuollu: è lu terzu viacio.
(Va al bagno)
Vate gioia, liberete buonu. Ccu’ bue allura simu
capite!
Statti squitata, ca nun ne volimu fare cchiù nente:
ammutamu!
E faciti buonu pecchì, supra ‘ssu campu, me sa ca
l’ideje chiare nun l’avìti, sinnò nun erati restate zitelle.
(Cosima e Custanza scattano dalla sedia) Nun toccare
chissu tastu, scustumata, ca chissi su affari nuorri.
E puru ‘e ri mie, ca ve staiu sopportannu a ‘na vita.
(Urlando) Ah si? Nue ne stamu scoscinannu ppe’ tie e
ppe’ portare avanti a famiglia tua.
Sentitele, cumu escianu fore ‘e cose, cumu sannu
bottiare.
(Trattiene la mamma) Te priegu, mammarè’,
finisciala, mo’ basta.
Nue simu state sempre sincere, tu ‘mbece ha fattu a
scustumata!
Cchiri, io scustumata? Ih faccitosta, io rispettu puru ‘e
petre ‘e mienzu ‘a via; signu ‘na mamma fatigatura io,
haiu crisciutu ‘na famiglia. Guardati ‘e vrigogne ‘e ru
passatu vuorru!
(Scoppia a piangere insieme alla sorella) ‘U demoniu,
‘u demoniu. (Mentre prende il fazzoletto dentro il
petto cade la lettera che viene prontamente raccolta da
Mariuzza).
Nun ci la vince nullu ccu’ ‘ssa bestia.
(Scruta la lettera di nascosto ed intuisce il tranello)
Dio mio, eccu ‘u motivu! Hai voglia ‘e aspettare;
mamma mia bella cchi munnu! (Fa sparire la lettera)
(Entra insieme a Giginiellu) Ecco il bottinu, mi hannu
pagatu i danni di guerra, allegria, allegria. (Si accorge
che le figlie piangono) Siti pazze? Haiu portatu i sordi
‘e chiangiti?
323
GIUVANNINA
COSIMA
GIGINIELLU
E’ cunchiusa l’opera: è arrivatu l’atru passatiempu!
I sordi sue però te piacianu, no?
(Piangendo) Ma’, stamatina ‘a suppa nun mi l’hannu
portata allu liettu e pue ‘u’ r’era bona.
GIUVANNINA
Daveru? Povariellu. (Spingendo il figlio) Arrassete ‘e
lluocu puru tuni, ca me stati faciennu escere pazza
‘ntra ‘ssa casa.
MARAFRANCISCA Cchi b’è male chiavatu, cchi v’avìti ‘e spartere!
GIUVANNINA
Vire si te jire a r’assettare, sinnò ci n’è puru ppe’ tie…
MARAFRANCISCA Ce volissi puru. Te perdugnu ca nun sai chillu chi rici.
SANTU
Eccu i sordi, Marafrancì’; ppe’ li sordati c’è statu
l’aumentu.
GIUVANNINA
Signu ‘ncappata ‘ntr’i pazzi, mi ne fujissi, nun ne
puossu cchiù. (Scoppia a piangere; si siede ed è
confortata dai figli).
MARAFRANCISCA (Mentre esce) ‘A titolare è illa, se merite lu confortu!
MARIUZZA
Carmete, mammarè’, finisciala, nun dare gustu a
l’atri.
GIGINIELLU
(Piangendo) Nun te fazzu arraciare cchiù, ti lu
prumintu.
MICHELE
(Entra di corsa, spaventato) C’avìti cumbenatu, ch’è
statu?
SANTU
(Conta ripetutamente i soldi) Signu pagatu, Michè’!
Allegria.
MICHELE
Basta papà! Sempre la te va la capu. Allura, ch’è
successu?
MARIUZZA
Nente papà, nente, è finitu tuttu mo’.
MICHELE
Cumu nente, haiu ‘ntisu ‘e grirate ‘e sutta. E pue
guarde ‘nu pocu, pare ‘na strage. Allura, Giuvannì’,
cchi b’è chiavatu?
GIUVANNINA
‘U sacciu io cchi tiegnu ‘ntr’u core.
(Santu prende Giginiellu per la mano ed escono)
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
Avanti, parre, rice cchi ce tieni.
‘Nu chiuovu, Michè’, ‘nu rulure chi nun se supporte.
Ma pecchì, rice ‘u motivu, sbrighete.
324
GIUVANNINA
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
MARIUZZA
Ppe’ chillu chi t’haiu sempre rittu, Michè’: ‘ntra ‘ssa
casa cummannanu troppe persune e pue stamu troppu
ritti.
Statti squitata ca priestu n’allargamu, cara cognata.
Però avimu ‘e stabilire puru chine s’ha de trovare
casa.
(Molto pensieroso) Va l’accorde ‘ssa chitarra, va’
trove ‘a pace ‘ntra ‘ssa fulla. Quantu è difficile ‘a
convivenza misc-catizza. Patreternu miu, quanta
pacienza ce vo’!
(Entra trascinandosi dietro i pantaloni un rotolo di
carta igienica) Marru Michè’, siti cca? Finarmente
mo’ haiu finitu.
Me biralu, me biralu! Disgraziatu, nun ti n’abbutti
cchiù?
Io nun tiegnu curpa somma’, rispunnu sulu alle
chiamate.
E quantu cazzu su’ ‘sse chiamate! ‘U sa’ ca sta
viaciannu tuttu oje? Cchi cos’è!
Comunque me pare ca ‘ssa vota avissi d’avutu ‘e
frunere. Allura, marru Michè’, io ho compretatu; mi
ne vaiu?
(Alludendo alla carta igienica) E chissa ti la puorti
ppe’ ricuordu? Caccete ‘ssa cura, bruttu tricatizzu!
(Si accorge della coda e provvede a toglierla) ‘A
pressa, marru Michè’: quannu ce su’ urgenze chissu
succere.
Picarì’, t’arricummannu, alle ruve puntuale alla
putiga.
E cumu no, statti squitatu; ce po’ cuntare (esce).
Te canusciu buonu: ‘u risgraziatu è de marca svizzera.
Allura, tornamu a noi, virimu ‘nu pocu si potimu
accordare ‘sse capu. Avanti, dai, a unu a vota parrati
tutti. Ognunu ricissi le ragiune sue: io fazzu ‘e
giudice.
Sente a mie papà, chiurimu ‘a cosa cca ch’è miegliu.
Ne parramu ‘n’atra vota. Ppe’ fare ‘u prociessu ce
vonnu i testimuoni e cca, caru papai, nun ci ne sunnu
pecchì simu ‘na famiglia.
325
MARAFRANCISCA (Si affaccia alla porta) Avvisu a tutti chilli chi le fa’
petitu ca ‘a pasta è supr’a tavula chi fumìe: chine è
‘nteressatu se facissi avanti.
(Tutti rispondono all’invito e svelti si apprestano ad uscire. Cala il sipario)
FINE PRIMO ATTO
326
ATTO SECONDO
(C’è Mariuzza seduta accanto al camino che legge una rivista.
Dopo un po’ entra la madre che, intuendo il particolare momento di intensa
vita affettiva che sta vivendo la figlia, la osserva da lontano in silenzio)
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
Mariù’, ma nun t’abbienti mai, gioia mia? Pecchì
figlicè’?
(Come colta di sorpresa si volta di scatto) Propriu
ma’, ‘u fazzu pecchì me piace.
Mah! ‘E l’acu passi allu giornale, ‘e ru giornale
all’acu; a mie nun me pare cosa giusta, te fa male,
l’uocchi se stancanu figlicè’.
E noni ma’, ce passu ‘u tiempu, sinnò cchi fazzu?
Sacciu cumu te viju però; chis’à tieni ‘ncuna cosa chi
te gire ‘ncapu?
S’è ppe’ chissu pensieri ci ne su’ sempre chi ronzianu.
Cunfirete allura, gioia mia: io signu mammata!
(Con imbarazzo) Ma’, mo’ ci n’è unu particulare, chi
suverchie tutti l’atri.
E’ ranne assai?
Sini ma’, è quantu ‘na casa.
Aperete a mammarella tua, parre gioia.
Nun sacciu cumu ti lu rire. È ‘na cosa troppu bella e
cara, ‘na cosa chi forse ‘e parole nun’arrescianu a la
spegare bona.
Fallu ‘nu sforzu, parre, cchi paura tieni?
Ma’, Robertu vo’ benire alla casa, ce vo’ portare i
genitori.
(Si fa pensierosa) Avìa ragiune ca ‘u pensieru era
ranne.
Vo’ approfittare moni pecchì ce sunnu i zii, Riamunnu
e Dora, ca su’ benuti ‘e l’America e ce tene a ci le
portare.
327
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
Figlia mia, cchi te vaiu ricu mo’, alla ‘mprovisa:
famme pensare ‘nu pocu. (Dopo un po’) ma illu
quannu è ricuotu ‘e r’u militare?
E mo’ è quasi ‘na settimana.
Sacciu, cchi te vaiu ricu. ‘A cosa è troppu seria, è ‘nu
passu ‘mportante: amu ‘e parrare ccu’ patretta.
E puru ccu’ zia Cosima e zia Custanza; magari ccu’
ille cce parru io.
Me lassele perdere, duve va’ pensannu; tantu chi si
l’ammieritanu. Si era ppe’ ille t’avìanu ‘mpintu chillu
biellu mobile.
Noni ma’, puru si hannu fattu chilli ‘ntrillazzi e
m’hannu ammucciatu ‘e littere ‘e Robertu alla fine ‘e
ri cunti su’ sempre zie; su’ ‘ntra ‘ssa casa e ppe’ lu
quietu vivere ci l’haiu ‘e rire.
Ti la viri sula, io però ccu’ chille ruve petre ‘e tiniellu
nun ce parru.
‘E chissu statti squitata, ca nun ti ce fazzu misc-care.
(Vedendo la mamma farsi di colpo pensierosa e seria)
Cchi tieni, ma’?
(In lacrime, abbraccia la figlia) Si fatta ranne, tisoru
mie: me vo’ lassare!
Te vuogliu sempre bene, mammarè’; ‘u miegliu postu
‘ntr’u core mie è sempre ppe’ tie.
E io te criju, gioia, però nun te sbilanciare assai.
(Entra senza essere visto e coglie di sorpresa la moglie
e la figlia) Puru ppe’ mie c’è postu, Mariù’?
Tu si’ cca, Michè’?
Ma chi be pigliatu, chi ssù s’abbracci?
Nente Michè’, propriu, e cussì…
Allura va a finire ca ve stavati faciennu ‘nu giru ‘e
ballu.
Magari! Pue te ricu Michè’, a tiempu giustu te
‘nfurmu.
Vire tu, mugliè’, mo’ ce vo’, tu si’ alla regìa. Armenu
sulu ‘u titulu ‘e ru tema mi lu po’ rire?
Sacciu, è ‘nu tema chi tene ‘na traccia ‘nu pocu longa
e funna.
Allura è ‘nu tema-problema?
328
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
MICHELE
GIUVANNINA
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
Quasi ci ha ‘nduvinatu. Cchi dici Mariù’, ci lu ricimu?
(Con imbarazzo) Vire tu ma’, cumu vo’ fare.
Ma, è miegliu a tu rire subitu. Sente Michè’…
Aspette ma’. Io tiegnu ‘e sbrigare ‘na cosa lla dintra
(esce).
Me sa ca ‘ssu tema a Mariuzza nun le ‘nteresse
propriu.
Te pare a tie. E caru maritu, ‘u tema è propriu illa:
Mariuzza.
(Mentre prepara il caffè) Amu fattu ‘na figlia ranne,
Michè’. Mariuzza è crisciuta, è diventata ‘na fimmina
vera.
E mo’ c’avìmu ‘e fare, ‘u’ lu sapìa ca diventava ranne:
chissa è ‘na novità?
Ma tu si’ ‘nturdunitu? Vo’ fare ‘u ciuotu ppe’ un jire
alla guerra?
Parre chiaru, Giuvannì’, ccu’ se zippe chi jietti nun te
capisciu.
Senteme buonu, Michè’: Mariuzza tene problemi ‘e
core e soffre assai, povera figlia.
(Molto allarmato) Maronna mia bella, cchi ruvina. E
nun m’avìti fattu sapire mai nente?
Cchi te jia dicia, pensava ca ‘a cosa nun era tantu
compricata.
Tu sta’ fissiannu? ‘Na cosa ‘e core cussì grave; passe
sula?
‘U sacciu, però è diventata seria a ‘na vota. Mariuzza
m’ha cunfessatu tuttu a pocu tiempu. M’ha dittu ca
soffre assai e de cussì nun po’ stare cchiù.
Dio mio, povera figlia! Certu, ca cumu ce sta de cussì;
a cosa è seria. E affannu, ne tene affannu?
E cumu no, nun te ricu: affanni, suspiri, assai suspiri.
Puru suspiri? Allura ‘a cosa è grave. Nun perdimu
tiempu, Giuvannì’, subitu l’amu ‘e fare visitare ‘e ‘nu
cardiologicu. (Vede che la moglie lo guarda e ride)
Giuvannì’, cchi fa’, riri? Ma tu si’ esciuta pazza?
Tieni ‘na figlia a ‘sse condizioni e tieni gulìa ‘e rirere?
329
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
Oji Michele mie, cumu si’ jutu luntanu ccu’ ‘ssa cazza
‘e capu, quantu caminu ha fattu ‘a fantasia.
Giuvannì’, ma tu sta’ fissiannu o rici raveru?
Nun fissiu propriu, cchi bue ‘e mie si nun capisci a
mitafora.
Torna, Giuvannì’; cchi ne sacciu io chir’è ‘ssa cosa
chi rici, a mie me parrare chiaru.
E Michele, Michele, ‘a scola a tie nun t’ha aggiovatu
propriu. Si’ senza vocabolariu, gioia.
Prejete tuni, professoressa, ccu’ ‘ssa terza elementare
c’ha fattu!
Lassamu perdere, Michè’! Sente, ‘a malatia ‘e
Mariuzza ‘a sai qual è: è l’amure, tene lu core
‘nfiammatu e lu miericu chi ‘a po’ sarvare è sulu unu,
‘u figliu ‘e Crimentina ‘e Sbrasciune.
E brava a mia moglie, cumu sa dire ‘e cose a tiempu
giustu, roppu chi ‘a malatia ha pigliatu forza. Chissa
jia curata all’iniziu, Giuvannì’; sanala tu mo’ a
Mariuzza si ti la vienti.
Michè’, pari ‘nu quatrariellu. Nun lu sai ca ‘sse cose
su’ jute sempre ‘e cussì, se sannu a picca a picca e la
verità se sa tutta sulu quannu ‘a malatia ha pigliatu
pussessu e nun ce po’ fare cchiù nente.
E chine ve capisce a bue fimmine, ppu ppu ppu, cchi
soggetti misteriosi chi siti.
E’ misteriosu l’amuri ‘mbece, Michè’, pecchì fa
perdere ‘a pace, ‘u suonnu, te ‘ncatine li pensieri,
t’appicce la vita e nun lu stuti cchiù.
E allura, si nun ce potimu fare cchiù nente, cchi mi
l’ha rittu a fare?
Pecchì si’ lu patre e nun ti la po’ scollare.
E già, io signu ‘u patre: chillu chi ‘e cose le sa’
quannu su’ già fatte. (Sospirando) Però, cumu passe lu
tiempu!
Allura, Michè’, tu cchi ne rici?
C’è pocu ‘e rire, Giuvannì’: quannu ‘a frittata è fatta
‘na cosa sula ce reste de fare, ti le sulu mangiare e
basta.
330
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
Comunque ‘u giuvine è Robertu ‘e Crimentina, parica
male un c’è, ‘a famiglia è puru proletaria cumu ‘a
norra e nun ne potimu lamentare; cchi ce resta cchiù
‘e pisare.
A fatiga, Giuvannì’. ‘U giovane ‘u tene armenu ‘nu
‘mpiegu?
Pue tuni, pretienni troppu; ancore a pocu tiempu è
ricuotu ‘e ri sordati. Ppe’ la fatiga se spera da trovare.
Anticu ritornellu! E già, m’era scordatu ch’eramu al
sud.
Chillu chi te volìa dire però è ‘n’atra cosa.
(Spaventato) Cumu, ancora nun ha finitu? Cchi c’è
cchiù?
Carmu, nun sc-cantare. Te volìa dire ca ‘u giovane,
chi se chiame Robertu, vo’ portare ‘u patre e la
mamma alla casa norra, ppe’ se ‘mpegnare
seriamente.
Giuvannina mia, oje me sta fraganiannu ‘a capu, me
sta minannu ‘na mazzata ‘a vota. ‘Nzomma, vo rire ca
venanu fannu a ‘mmasciata, no? E parre chiaru!
Propriu ‘e cussì: se vonnu fidanzare.
(Dopo una lunga riflessione) Però, cchi cazza ‘e
pressa chi tenanu, oh! ‘Ntantu, cchi te vaiu ricu: si illi
se vonnu, io nun mintu ostaculi. Vo’ dire ca
aumentamu ‘a famiglia. E pue miegliu ‘e ru figliu ‘e
ru jettature c’è sempre.
(Soddisfatta) ‘U sapìa c’accussentìa, ca capiscìa ‘e
ragioni del core, pecchì tu si’ statu sempre ‘n’uomine
veru.
Sbersala, Giuvannì’, ccu’ ‘sse sviolinate. Me
vo’pigliare puru ppe’ fissa, mo’?
Nun sia mai, mo’ ce vo’, a tie ‘sse cose? Via, via,
quannu e mai me signu permessa?
Comunque sia, cara moglie, vire tuni chillu chi c’è de
fare, ricica te mancanu i mezzi? Io te fazzu ‘a delega.
Bravu a Michele! ‘U vi’ cumu si’ buonu: me ru’ a
firucia, te scarrichi ‘e tuttu e tinne frechi. Se, mi lu fa’
buonu ‘u piacire, propriu ccu’ li fiocchi.
331
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
Nun fesseggiare, tu lo sai ca ppe’ guaragnare ‘ncuna
lira nun tiegnu abbientu, speciarmente moni c’avìti
armatu ss’atru rotiellu dell’amore. Perciò, io mi la viju
ccu’ lu ministeru del lavoro e delle finanze e tu tieni i
rapporti diplomatici e le pubbliche relazioni.
(Sorridendo) M’ha convintu, i pisi e cussì paranu
spartuti. Te Michè’, te meriti ‘nu bellu cafè
‘ndorcificatu.
Roppu ‘ssu bellu collatu chi n’amu ‘mpesatu ce vo’
daveru, ppe’ ne mantenere vurpigni.
E pue ‘e novità bone vannu festeggiate.
Sulu ccu’ ‘nu cafè, Giuvannì’? Ma nun me fare rirere.
I gienti si ne cugnanu rece ‘u jurnu senza festeggiare
nente!
Pare a tie, sinnò i mali vizi e la vacabbunnaria nun
venanu festeggiati?
Allura tuttu a postu e nente in ordine, ricìa lu diretture
‘e ra fera. Sperannu ca a Picariellu l’è passata ‘a
timpesta e r’è benutu, io scinnu alla putiga.
Cumu vo’ fare. Michè’, vire si po’ ricogliere ‘ncuna
lira.
Preghe ‘ncunu santu buonu. Comunque te priegu ‘e
‘na cosa: tu lu sai ca simu ‘na murrata e ca ‘ssa casa
sta’ diventannu ‘na polveriera. T’arricummannu ‘e te
mantenere carma: ppe’ ogne cosa chi succede fuchete
‘e ricchie, fa’ ‘a mossa ca nun sienti, sinnò escimu
pazzi, mi lu pruminti?
Sempre si l’atri nun appiccianu ‘a miccia però.
(Scuote il capo) E allura ni la mannessi bona Gesù
Cristu (esce).
(Mentre fa i lavori di casa) Cum’è tosta ‘ssa vita,
cum’è difficile fare ‘a mugliere, ‘a mamma, ‘a
casalinga. Via, via c’arraciamientu, quantu rugne Dio
mio! Certe vote te sienti sfinita, te volissi stennere e
nun pensare a nente ppe’ r’acquetare ‘nu mumentu
‘ssa capu chi frije. E chine ti ce fa’ arrescere: mo’ se
aze lu guerrieru, mo’ te venanu ‘ntr’i pieri la cara
suocera e le amatissime cognate restatizze; e lu core ti
s’annumbre. Cchi sfurtuna haiu avùtu a ‘ncappare
332
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
MARIUZZA
‘ntra ‘ssa regia: guardatila, vinti metri quadrati
polifunzionali, cucina, sartoria, soggiornu, tuttu ‘ntra
‘ssu niru. Cumu fai a tenere i niervi a postu e a nun te
liticare! (Rivolge lo sguardo al cielo) Chisà quannu
puozzu avìre puru io ‘na cambera ranne, sulu ppe’ mie
e Michele; cchi sognu ranne chi fuossi. Gesucrì’, te
chiedu troppu?
(Sorprende la madre con le mani giunte) Ohi ma’, cchi
fai, sta pregannu?
(Con imbarazzo) Noni, gioia, m’è broccatu ‘nu pocu
‘u cervicale. Me, tutta ‘ssa catina ‘e cuollu.
Ma te juta storta? Famme virere ‘na picca.
Sini, a mie me va stuortu tuttu, ‘e quannu signu nata.
Assettate ca chiamamu a nanna, ca ti l’appare.
Aspette, duve vai, lassala jire ‘a dottoressa ca me
passe sula. (Muove il capo) ‘U vi’, m’è già passata.
Menu male, miegliu ‘e cussì. Allura, ma’, cum’è juta?
Cchiri?
Cchi t’ha dittu papai ‘e chilla cosa.
Eh, si sapissi! Virimu a tie cchi te rice lu core.
Sacciu….Speru cose bone però.
Ci ha ‘nduvinatu, patretta è tenneru ‘e core, è ‘nu
bonazzune.
Allura?
Allura è fatta, ha accussentutu; ansi, l’è jesciuta puru
‘ncuna lacrima.
(Abbraccia la madre) Grazie, mammarè’, te vuogliu
bene assai.
E a patretta, ci ne vue?
Puru, ve vuogliu bene a tutt’i ruvi. Signu cuntenta
ma’, me vene voglia ‘e grirare, ‘e ru rire a tutti.
Noni, ancora statti citu, nun jettare ‘u bannu ca te
ponnu ‘mbiriare e te armanu ‘ncunu traniellu.
Mancu a nannà’ ‘u puozzu rire?
E torna! Mancu a illa, ca nun si l’ammierite. Ti le
tenere ppe’ tie, gelusamente chiusu ‘ntra lu core,
pecchì ‘u munnu è bruttu e li maligni ccu’ li jettaturi
su’ sempre appostati, pronti a sciollare ‘e cose belle.
Cumu rici tu, mo’ ce vo’, tu tieni sperienza.
333
MARAFRANCISCA (Fuori campo) ‘A pesta-chi-te-vegna, duve ‘e male
jire mo’!
(Fuori campo) Arrassete, ‘u momentu della partenza è
arrivatu.
GIUVANNINA
Cchi l’è male chiavatu torna. Cchi male pesta chi èni!
SANTU
(Entra, trattenuto da Marafrancisca) Lasseme, nun ne
volire sapire
MARAFRANCISCA Fermete, nun dare gustu alla gente. Demoniu!
GIUVANNINA
E l’amu fatta propriu bona, tutt’i jurni puntu e
d’accapu.
MARIUZZA
C’è la pace nannù’, sente a mie. ‘U nemicu s’è arresu.
SANTU
Cchiri…. Nun le sentiti ‘sse cannunate fisc-care;
arrassative tutti, ‘u fronte m’aspette (nel trambusto fa
cadere il manichino).( finisce a terra anche lui )
GIUVANNINA
Patretè, pruvirece tuni.
MARIUZZA
Via, via, me: ha fattu rumpere ‘u manichinu.
MARAFRANCISCA O lu risgraziatu, mo’ chi venanu ‘e figlie ti la viri ccu’
ille.
SANTU
(Rivolto ai presenti che cercano di alzarlo da terra)
Nun è cosa vorra, nun ci la faciti a me fare
prigionieru.
GIUVANNINA
I pinnuli, Mariù’, piglie i pinnuli ppe’ la carmezza.
MARIUZZA
Quantu ci ne mintimu ‘ntr’u bicchieri, ma’.
GIUVANNINA
Tutti, figlicè’, mintacelli tutti.
MARAFRANCISCA Vire c’avìssiti ‘e fare e cussì mi l’ammazzati.
MICHELE
(Entra spaventato insieme a Picariellu) Ch’è successu,
cchi bè male chiavatu torna?
PICARIELLU
Me zu’ Santu: marru Michè’, è muortu!
MICHELE
Arrassete, fuje ‘e lluocu.
GIUVANNINA
Michè’, cca ‘a cosa è seria, amu ‘e virere cchi s’ha de
fare ccu’ chissu; mo’, ha de jire allu frunte, vire tuni.
MICHELE
Papà, ti lu ciercu ppe’ carità: finisciala ccu’ ‘ssa calla
‘e guerra.
MARIUZZA
(Porge al padre il bicchiere) Papà, te i pinnuli.
MICHELE
Quale pinnuli.
GIUVANNINA
Ppe’ lu carmare, Michè’.
MARIUZZA
Ma’, io vaiu la dintra, haiu ‘e fare ‘na cosa urgente
(esce).
MICHELE
Te, papà, vivatilli.
SANTU
334
SANTU
Niente, nun me frecate: mme voliti ‘mbalenare forse?
MARAFRANCISCA Nun c’è versu: ‘a bestia è tuostu!
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
PICARIELLU
MICHELE
(Poggia il bicchiere sul tavolo) Picarì’, t’avissi de
venire ‘ncun’atra gulia e ti le bivi, ca ‘ssa vota nun è
cchiù cacarella, ma rimani stisu cumu ‘nu fessa.
Allura tannu nun su’ stati i cerasa!
T’hannu purgatu, oji pappagà!
Allura nun sia mai, acqua ‘e ri bicchieri nun mi ne
vivu cchiù.
(Cerca di alzare Santu) Giuvannì’, aiutame, piglie ‘e
lla.
Amu ‘e raccogliere puru i caduti ‘e ra guerra mo’.
Te raccumandu, collabore papà. Dai su, forza.
Chissu ne fa’ jescere ‘a guallara oje!
A papai l’è jesciuta puru ‘nu mise addietru, ppe’ ‘nu
colpu ‘e tussa chitarrale.
Vavatinne Picarì’, va’ scinne ch’è miegliu.
Io te volìa dare ‘na manu.
E ‘mbece io te rugnu ‘na perata: fuje ‘e lluocu.
Cumu riciti vussuria. Però siti tutti nervusi ‘ntra ‘ssa
casa, ppu ppu ppu. (Indica il manichino) Me, hannu
fattu carire puru ‘u zitu ‘e re signorine; chine ‘e sente
mo’ (esce).
Su, azete papà. Ma guarde ‘nu pocu, ci ha pigliatu
gustu a stare ‘nterra?
(Entrano Custanza e Cosima. Hanno in mano dei pacchi con finimenti)
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
GIUVANNINA
CUSTANZA
GIUVANNINA
COSIMA
CUSTANZA
Sciuollu mie, ch’è successu?
Papai, è carutu papai.
Me sta faciennu jettare ‘u sangu: signu sfinitu.
(Ha una crisi di nervi e percuote le guance con le
mani) Via, via, ‘u manicomiu mo’ è propriu al
completu.
A si, allura tu si’ la direttrice.
Oji patreternu mie, quantu chiuvi m’haiu ‘e collare!
‘U manichinu, Custà’, hannu ruttu ‘u manichinu.
(Disperata) Maleritti demòni! E cumu fatigamu mo’
senza ‘e illu.
335
GIUVANNINA
SANTU
Pigliatilla ccu’ lu guerrieru ca l’ha fattu carire.
Ccu’ ‘nu corpu sulu, zacchiti, e il nemicu è vulatu a
terra.
MARAFRANCISCA Prejete, pastinaca; tutt’i ruvi siti atterrati cumu ruvi
fessa.
MICHELE
(Infuriato) Mo’ basta, nun ne puozzu cchiù. Avìti
capitu ca me stati cunsumannu ‘a salute? Porco Giuda:
io haiu ‘e fatigare, simu capiti? Sinnò, ne mangiamu
rariche.
MARAFRANCISCA (Al marito) Me biralu; mo’ li ce piglie lu suonnu
‘nterra.
PICARIELLU
(Fuori campo) Marru Michè, scinne, fa’ priestu.
MICHELE
Ih, chi vo’ ammutare! Te viegnu ammazzu, oi figlio ‘e
bonamamma.
PICARIELLU
(Fuori campo) M’ammazzi? C’è lu maresciallu ccu’ li
stivali.
MICHELE
Allura scusame: scinnu subitu. Dai, provamu torna
all’azare.
CUSTANZA
E lu manichinu, ‘u’ l’amu ‘e azare puru?
MICHELE
E cumu no, roppu azamu puru a illu. Primu a uno e
doppu a l’atru. (Tutti danno una mano) Uno, due e tre:
via (alzano prima Santu e poi il manichino).
GIUVANNINA
Finalmente i caduti su’ azati.
MICHELE
E mo’, ppe’ piacire, tutti v’assettati.
SANTU
M’avìti preso, va bene, però vi haiu fattu surare a tutti.
COSIMA
Mo’ ce vo’ riposu in branda, papà, vieni. Custà’,
piglie ‘e lla.
(Santu, mentre viene accompagnato fuori da Cosima e Custanza,
canta “O bella ciao”)
MICHELE
GIUVANNINA
MICHELE
GIUVANNINA
(Si asciuga il sudore dalla fronte) Vistu ca c’è carma
su’ tutt’i fronti io vaiu scinnu, ca n’atra picca
‘mbrune.
Michè’, t’arricummannu: prima ‘e sagliere va chiame
a Giginu.
Brava a mia moglie! Puru a mie tocche ss’atru
‘mpegnu?
E a chine allura, tu si lu patre!
336
MICHELE
Ah si! Me sa’ ca signu ‘u fissa. Mannaia lu riavulu: ‘u
marasciallu m’è fujutu ‘e ra capu: chi figura (esce).
GIUVANNINA
(Mette ordine alle cose) Cchi fera, Maronna mia.
Spusete e biri cchi ti ne vene; cumu te recriji. E chine
si lu cririjia tuttu ‘ssu divertimentu: cinema, teatru,
ballu, villeggiatura, cchi ba girannu cchiù, Giuvannì’.
Si’ stata propriu furtunata a ‘ncappare ‘ntra ‘ssa casa,
combera ‘e tutt’e manere: vita movimentata, sempre
‘ncumpagnia e cchi cumpagnia!
MARAFRANCISCA (Con tracotanza) Vo’ dire ca chine sta’ ritta s’allarhe!
Chissa è la casa mia e io c’è staiu bona.
GIUVANNINA
Pecchì te piace lu teatru, ppe’ chissu….Ringrazie ‘a
risgraziata ‘e ra furtuna chi s’è scordata ‘e mie, ca
sinnò ‘e mo’ chi mi n’era juta. Mah, prima o pue vene
lu jurnu.
MARAFRANCISCA E chine te ferme, vire tuni quannu vo’ fare ‘ssu passu
ca, mo’ ce vo’, a mie nun me fa’ spagnare propriu.
GIUVANNINA
Chissu ‘u sapìa già! Allura, ‘u sa’ cchi bo’ fare?
Preghe ‘a Maronna chi te facissi ‘ssa grazia.
MARAFRANCISCA Io ‘a Maronna ‘a priegu sulu ppe’ me fare stare bona e
ppe’ nun r’avire bisuognu ‘e nullu.
GIUVANNINA
Brava, e chissa è ‘na preghiera propriu bona!
(Mentre esce, incrocia Custanza e Cosima che stanno entrando.
Le donne si guardano in cagnesco)
COSIMA
CUSTANZA
Custanza, l’ha vista come ci ha guardato di storto?
Ca io forse l’haiu guardata diritta? Sa’ cche ti ricu,
Cosima, passamuce di supra, sinnò ne po’ azare la
pressione del sangu. La timpesta parica è passata,
perciò gorimune questo mumento ‘e pace.
COSIMA
Ah, cumu è bella ‘a vuce ‘e r’u silenziu! Tu ‘a sienti,
ma’?
MARAFRANCISCA Cchiri, c’haiu ‘e sentere.
COSIMA
‘A vuce ‘e chine nun parre.
MARAFRANCISCA Ma stati stolachiannu o me fissiati?
337
CUSTANZA
Eh, mamma, mamma! Nun te piace la carma? ‘U vi’,
te sienti cchiù cristianu: ‘n’atra persona, ‘nzomma.
COSIMA
E’ veru: parica respiri miegliu, ‘a capu ti la sienti
cchiù libera e lecia.
MARAFRANCISCA Stative attientu ‘u’ r’avissiti ‘e vulare. Mah, chine ve
capisce! (Bussano alla porta) Chine siti?
C. CIAVULA
(Fuori campo) Signu cummari Ciavula.
COSIMA
Se, se, propriu ‘a cummari ‘e ra vesta. Speriamu
c’avissi portatu i sordi armenu (va ad aprire).
C. CIAVULA
C’è permessu? (Entra insieme alla figlia Bianchina
che sbadiglia).
COSIMA
Avanti, trasiti.
C. CIAVULA
Ben trovate alle cummari; ‘e quannu n’amu ‘e virere!
CUSTANZA
A dire ‘a verità è ‘nu bellu pocu, cummà’.
COSIMA
Cummà’, però nun ha mancatu ppe’ nue: lu sai ca
t’aspettavamu.
C. CIAVULA
‘U sacciu, ‘u sacciu, ma certe vote i ‘mpegni sunnu
tanti…
CUSTANZA
Chissu raveru, ‘nfatti ni l’avìa dittu ‘a guagliune,
quannu è benuta a se pigliare ‘a vesta, ca era
mpacciata.
COSIMA
Apposta, tannu ci amu rittu ppe’ benire tuni: puru ppe’
ne virere, ppe’ parrare.
C. CIAVULA
Allura ppe’ chissu? No ppe’ li sordi.
CUSTANZA
Quale sordi? Via, via, via, nun sia mai cummari mia:
nue faciamu ‘na cosa ‘e chissa?
COSIMA
Se vire c’ha male capitu ‘a guagliune.
C. CIAVULA
Po’ desere; ‘ssi figli, certe vote, capiscianu alla storta.
Ma mo’ armenu è pronta?
CUSTANZA
E cumu no, è pronta ‘e tannu veramente.
C. CIAVULA
Cumu se rice: vo’ dire c’haiu fattu ‘na via e dui
servizi, me ritiru a vesta e fazzu fare l’affascinu a
Bianchina ‘e cummari Marafrancisca. Me povera
figlia cumu soffre.
COSIMA
(Bianchina sbadiglia) Me guarde, povarella, cumu ti
l’hannu ‘mbiriata.
C. CIAVULA
Su’ duvi jurni chi se sta sgallannu ‘a vucca a r’alare.
CUSTANZA
E nun potìa benire prima. (Rivolta a Bianchina) Cumu
te sienti Bianchì’?
338
BIANCHINA
COSIMA
C. CIAVULA
CUSTANZA
C. CIAVULA
COSIMA
CUSTANZA
C.CIAVULA
COSIMA
MARAFRANCISCA
COSIMA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
COSIMA
CUSTANZA
‘Na muscìa, me sientu morire.
Me povera figlia! Nun avìa ‘e tricare a benire
cummà’: quannu i rimedi ce sunnu, cchi m’aspetti?
‘U sacciu, però i sordi ppe’ pagare ‘a vesta l’haiu
arrangiati propriu oje.
Ha volutu fare troppu ‘a precisa e ha fattu buonu, cchi
te vaiu ricu mo’?
Ma, ccu’ tuttu chissu me rivuorgiu alla dottoressa.
(Osserva Marafrancisca) Illa parica capizzie.
Illa mo’ era bigliante.
A s’età, cchi bolissi: se rorme a lasse e piglie cumu ‘e
gatte.
Cchi fimmina però, cummari Marafrancisca, quantu
bene ha fattu a tuttu ‘u paise; ‘u’ lu sa’ ca puru illa
ogne tantu tene bisuognu ‘e se riposare ‘nu pitazzu.
Mo’ ‘a chiamu però. Ma’, oji ma (le tocca un braccio).
(Spaventata) Cchi c’è, cch’è successu?
Nente, nun sc-cantare: ‘u vi’ chine t’è benuta a
trovare: cummari Ciavula.
Cummari Marafrancì’, e cchi cos’è: ‘e quannu n’amu
‘e virere. Cumu stai?
E me, e me chine se vire. E, cummari mia, cumu vue
ca staiu? Cumu vo’ Dio. E ‘ssa bella quatrara, chin’è?
E’ Bianchina; m’è figlia, cummà’.
E brava. E ‘ssa visita, cumu va ‘ssa visita?
Sapissi, cummari mie; cumu se rice: quannu tieni
bisuognu mintete ‘ncaminu e ‘mbusse alle porte sante.
E de cussì haiu fattu io. Cummà’, ha vi’ ‘ssa
giuvinella ‘e figlia?
E cumu no, è tanta ranne, cumu ‘u’ la viju?
Mi l’hannu affascinata, cummari Marafrancì’; mi
l’hannu ammusciata. Ppe’ carità, sanatimilla!
(Inizia l’operazione) Fazzu ‘e tuttu, cummà’. Vieni
vicina, gioia, nun te spagnare. Famme virere, famme
virere.
Statti squitata, ca mo’ ce pense illa, u vi cum’è
cuncentrata.
‘N’atru pocu e biri ca la risuscite.
339
C. CIAVULA
‘U volissi Dio. Ca io perciò signu venuta lluocu. Haiu
rittu: sulu cummari Marafrancisca mi la po’ fare ‘ssa
grazia.
CUSTANZA
Statti squitata, ha risortu casi cchiù difficili ‘e chissi.
COSIMA
Via, via, certe vote ‘a gente su’ arrivate propriu
musce, parica spiravanu, e ‘ntra nente, roppu ‘a
terapia ‘e mamma, su’ tornate in vita, surridente.
C. CIAVULA
‘U sapimu, ‘u sapimu: tene le manu sante ‘a cummari.
MARAFRANCISCA (Sbadiglia di continuo). Silenzio, silenzio, ammutati
tutti, ca signu alla parte cchiù difficile, sinnò nun fa
effettu.
C. CIAVULA
Ss.. Ss.. Ci, ci, ca sinnò nun vene buonu. (Entra
Mariuzza)
MARIUZZA
Zi’, ‘a fatiga l’haiu finita tutta.
CUSTANZA
Silenzio, Mariù’; Bianchina è sutta operazione!
MARIUZZA
(Con sorpresa) Nun mi n’era accorta: c’è d’assai?
COSIMA
(Sottovoce) Ancora mo’ ha cuminciatu.
C. CIAVULA
E me ‘a cummarella: cumu stai?
MARIUZZA
Nun me puozzu lamentare.
C. CIAVULA
E brava. Haiu saputu certe cose, su’ vere?
MARIUZZA
Cchiri, cchi su’ ‘sse cose.
C. CIAVULA
(Custanza e Cosima entrano in agitazione). Cose
bone: cose ‘e core, cussì rice la gente, è veru?
MARIUZZA
(Con imbarazzo). Dipende, ancora nun puozzu rire
nente.
C. CIAVULA
Cumu, chisse su cose belle, le ‘e grirare chiaru e forte,
‘e chine te spagni?
MARIUZZA
(Mentre lavora dà un’occhiata alle zie) E nullu, ‘e
chine m’haiu ‘e spagnare?
C. CIAVULA
(Alle zie) E bue, cchi ne riciti, immaginu cumu siti
cuntente ‘e ‘ssa cosa bella.
CUSTANZA
(Contegnosa) Nun sapimu nente, nue ‘e ‘sse cose nun
ne capiscimu, cummari Cià’.
C.CIAVULA
Cumu, vue siti ‘e zie preferite, l’avìti crisciuta ‘ssa
guagliune e nun sapiti ca s’ha de fidanzare?
COSIMA
Cara cummari Ciavula, nue le notizie le sapimu
sempre roppu, ‘a posta e le telefonate n’arrivanu
sempre in ritardu.
C. CIAVULA
Se vire ca ‘e linee nun funzionanu bene.
340
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
C. CIAVULA
CUSTANZA
C. CIAVULA
CUSTANZA
COSIMA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
BIANCHINA
C. CIAVULA
BIANCHINA
C. CIAVULA
BIANCHINA
COSIMA
CUSTANZA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
COSIMA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
A dire ‘u veru ‘ntra ‘ssa casa a ‘nu pocu ‘e tiempu nun
funzione cchiù nente: ‘u bene nun se capisce!
Però ppe’ nue nun ha mancatu, nue avìmu la
cuscienza apposto, Custanza; amu fattu di tutto ppe’ la
sistemare bene.
(Scocciata) Io me sientu tutta gonfia: vaiu allu bagnu
(esce).
Io, a dire ‘u veru, nun ci haiu capitu nente.
Nente, parravamu del bene di norra nipote Mariuzza.
Allura vue siti cuntente e d’accuordu, no?
(Con rassegnazione) Cussì ha bolutu ‘u destinu.
Eh si, ha vintu illu, lu spaturnatu!
‘E chine ‘u voliti rittu: illu vince sempre.
Via, via, figlia, cumu è male potente e carricu: chissa
è propriu ‘na magaria, gioia.
Mi l’avìa ‘mmaginata: su state certu chille brutte
restatizze ‘mbiriuse ‘e ru vicinanzu.
E’ d’amuri, ‘a ‘mbiria è d’amuri. Me sta jesciennu
l’anima e nun vo’ sprejere.
Vire tuni, cummari mia; lutte, fa’ chillu chi po’ fare,
pecchì tu sula me po’ sarvare ‘ssa figlia.
(Da’ segni di ripresa) Ohi, mamma mia!
Ci’, ci’, parica se sta’ ripigliannu.
Parica staiu esciennu e ‘nu suonnu funnu.
Bianchinè’, Bianchinè’, cumu te sienti?
Miegliu, ma’, me stannu veniennu ‘e forze.
Ha fattu effettu, cummà’, ‘a cura è juta bona.
Mamma è difficile ca sbaglie, tene troppu ‘ntuitu e
‘sperienza.
(Si inginocchia) Grazie, cummari mia, famme vasare
‘sse manuzze tue sante (bacia le mani a
Marafrancisca).
Ma via, ma via, figlia, cchi fai; nun c’è bisuognu ‘e
chissu.
Ppe’ lu bene chi fai tu avìssi ‘e campare sempre.
Puru pecchì supra ‘ssu campu specialiste ci ne su’
pocu.
E jettaturi assai.
’Mbiriusi, picciusi, fattucchieri: ‘e categorie su tante.
341
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
C. CIAVULA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
C.CIAVULA
BIANCHINA
MARAFRANCISCA
C.CIAVULA
MARAFRANCISCA
Menu male ca ce siti puru vue, cummà, ‘a mamma ‘e
ri bisuogni. Cumu se rice: c’è lu male e ce su puru i
rimedi. Nun sacciu propriu cumu me rissobrigare.
Pense a stare bona.
Però ‘ssa cosa mi le permettere: appena se fannu ‘e
fave alli pantaniti ‘na minerrella frisca, frisca ti l’haiu
‘e portare, ca su’ belle tennere e profumate.
Ah, vire tuni, si t’è benutu ‘ssu desideriu cchi te
puozzu rire: cacciatillu.
Sini, cummà’, mi l’haiu ‘e cacciare; quantu primu ‘a
prumissa sarà mantenuta.
(Al pubblico) Se, aspette e spera! Si nun passe lu
fruttivendulu mo’ ne mangi.
Mo’, ‘n’atra pocu me scordava. Eh, la vecchiaia…
Cchiri, cummà’?
‘Na curicella ppe’ la guagliune.
Raveru, ‘u’ lu sa’ ca ce vo’, speciarmente ppe’ li primi
tiempi, ppe’ nun fare ‘a ricaruta.
Allura facimu ‘e cussì: piglie ‘nu bellu ciceru ‘e sale,
‘nu corniciellu ‘e metallu, ‘nu ferruzzu ‘e cavallu, ‘e
minti ‘ntra ‘nu cusciniellu e ci l’attacchi allu cuollu.
Allura chissi vastanu, cummà’? Chisà ce mintumu
puru ‘na fegurella?
Nun sia mai: sarebbe de cuntrastu, chilla è ppe’ lu
spagnu.
‘U vi’ quannu nun sai! Scuseme, cummà’, haiu rittu
‘na ciotìa.
Statti squitata, chillu chi ci haiu ordinatu è lu
massimu.
Chissa è ‘na cura forte, ppe’ li casi ‘mportanti.
‘A ordine sulu alli cchiù intimi però.
Ve ringraziu, mo’ ce vo’. (A Bianchina) ‘U vi’ cumu
t’ha trattatu bene ‘a dottoressa norra. Ringrazie, gioia.
Grazie ppe’ tuttu ‘u bene chi m’ha fattu.
Ma quale grazie, pense a criscere cuntenta.
Ppe’ quantu tiempu l’ha de seguere ‘a cura, cummà’.
(Pensa un po’) ‘Nu bonu mise po’ bastare. Mah,
parica amu finitu. Io vaiu ‘e lla, vaiu viju cchi fa’ lu
guerrieru. Permettiti.
342
C.CIAVULA
Statti bona, cummà’; speriamu ‘e ne virere ppe’ cose
bone.
MARAFRANCISCA Io signu sempre cca a disposizione.
C.CIAVULA
Bianchinè’, ‘a visita è finita, ‘a cura ti l’ha ‘mparata
puru, ni ne potimu jire. E la vesta? Cchi capu, mo’
‘n’atra pocu mi la scordava.
MARAFRANCISCA Cchi paura tieni, t’arricordavamu nue, cummà’.( esce)
C.CIAVULA
(Prende il pacco con la veste) Allura, Bianchinè’,
jamuninne.
BIANCHINA
Arrivederci e bon lavoru.
C.CIAVULA
‘N’atra vota grazie ‘e tuttu e stative bone.
CUSTANZA
Cummà’, ppe’ l’affascinu grazie va bene, ma ppe’ la
vesta nun baste, un te pare?
C. CIAVULA
Sini, sini, cchi errama capu, m’era scordata ‘n’atra
vota. Bianchinè’, e tu nun potìa arricordare.
BIANCHINA
Ppe’ la troppu cuntentizza nun ci haiu pensatu.
COSIMA
‘E guagliune nun ce pensanu a ‘sse cose! ‘U
‘mportante ca ci amu pensatu nue.
C. CIAVULA
Ah, chissu è veru. Allura quant’era tutt’u cuntu
generale?
CUSTANZA
Prezzo di favore: ventimila, cummà’, cum’eramu
restate.
(Cummari Ciavula cerca i soldi nel portamonete)
CUSTANZA
C. CIAVULA
COSIMA
C. CIAVULA
CUSTANZA
COSIMA
C. CIAVULA
COSIMA
CUSTANZA
(Al pubblico) Chissa me sa’ ca l’ha piersi.
(Prende i soldi) Sulu quindicimila. Mah, è ‘nu
misteru, chisà duve su’ jute a finire l’atre cinquemila!
Ma tu si’ sicura ca alla casa ci l’ha misi giusti?
Cumu ‘a morte, cummà’; ‘u sa’ cumu volimu fare? Vi
le puortu tutti ‘a prossima vota, quannu viegnu torna.
Cchiri, ‘n’atra vota? Noni, runenne chissi chi tieni ca
n’accuntentamu ‘u stessu, un è veru Cosima?
Certu; sinnò ci devi fare ‘n’atru viaciu, te cumbene?
(Consegna i soldi a Cosima) Te, moneta liquida,
surata, cummà’. Eccu, rimanimu ‘mpace e amici.
Statime bene e a priestu.
(Abbraccia la comare) Tanti saluti a tutti.
Bona furtuna, va’ ccu’ la Maronna.
343
BIANCHINA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
Bon lavoru e scusati ‘u disturbu (esce insieme alla
madre).
Ppo, ppo, ppo, cchi fatiga chi ci ha bolutu ppe’ ce
tirare ‘ssi quattru sordi fetusi. (Riprende il lavoro
insieme alla sorella) Cosima?
Si, Custanza?
Però la cummari amica ci avia provatu torna a ci
frecare.
E si, ha fattu finta ca soffre de scordamento.
‘Mbece pate sulu di fricamento.
Menu male ca nue ancora ‘a memoria l’avìmu frisca.
(Entra decisa) Zi’, v’haiu ‘e rire ‘na cosa.
(Con contegno) Avanti, virimu, rice.
M’avìti ‘e capire, ‘e scusare puru. Prima nun c’è stata
l’occasione giusta ppe’ vi la rire.
Su, fa priestu, ‘e cchi se tratte.
Nun v’avìti ‘e sentere propriu offese vue, anzi…
Parre, Mariù’, i fatti: chir’è ‘ssa cosa.
‘U fidanzamentu, zi’: Robertu vo’ benire alla casa.
No, no, no. Nun ne vuogliu sentere parrare.
Nue nun ce mintimu lingua: su’ fatti vuorri chissi.
(Commossa) Su’ fatti ‘e tutti ‘mbece, puru ‘e ri vuorri,
pecchì io ve vuogliu bene e vuogliu ca trovamu
l’accuordu ‘e tutti.
Nue nun simu state bone, simu state sconfitte.
Perciò…
Perciò nente; riflettimu tutti ‘nu pocu ‘e cchiù ch’è
miegliu.
(Si fa’ più dolce) Eh, Mariuzza, gioia ‘e zia, nun te si’
boluta fare cunsigliare!
Io nun v’haiu volutu fare nullu tuortu: nun haiu
potutu, zi’, è stata ‘na cosa cchiù ranne ‘e mie, ‘na
forza cocente chi m’ha ligatu ppe’ sempre.
Perdunatime! (Abbraccia le zie).
(Commossa) Gioia ‘e zia, cumu si’ fatta ranne. Te
perdugnu, zia, certu ca te perdugnu.
Tieni ragiune, gioia : l’amure nè se vinne e nè
s’accatte, pecchì nun tene priezzu.
344
CUSTANZA
E’ propriu ‘e cussì, ‘u core nun tene patrune: è liberu,
fa cumu vo’ illu.
GIUVANNINA
(Entra e trova Mariuzza abbracciata alle zie) Se, se,
baci e abbracci, cumu Giuda a Gesù Cristu.
CUSTANZA
Eccu, è arrivata guastafeste!Te parìa ca nun arrivava
allu momentu giustu?
MARIUZZA
Ma’, ss’abbrazzi sunnu veri, su’ chjni ‘e affettu.
GIUVANNINA
Figlicè’, ma tu te sienti bona? Chisà tieni ‘a freve e
sbarìi.
MARIUZZA
Ma’, amu chiaritu tuttu ccu’ le mie zie: ‘u’ r’è veru,
zi’?
COSIMA
Certu, chillu ch’è statu è statu, ‘u passatu nun cunte
cchiù.
MARIUZZA
Ha’ ‘ntisu, ma’?
CUSTANZA
Supra ‘e cose vecchie ci amu misu ‘na petra ‘e supra.
GIUVANNINA
Ma è ‘na bella petra armenu, sinnò simu torna puntu e
d’acapu.
COSIMA
Statti tranquilla, ‘ssa vota è ‘nu cantamune.
GIUVANNINA
Sia lodato Gesù Cristu! Ve vuogliu crirere. Allura,
fatigamu tutti uniti ppe’ li preparativi ‘e ra festa ‘e
Mariuzza mia.
CUSTANZA
No sulamente tua, Giuvannì’, ‘e Mariuzza norra.
GIUVANNINA
Già, vue siti ‘e zie. Allura scusatime.
COSIMA
Certu, e simu sempre pronte ccu’ lu core ‘n manu.
MARIUZZA
(Abbraccia tutte) Grazie, grazie assai. Signu cuntenta!
MARAFRANCISCA (Ferma sull’uscio osserva le scene di festa) Te! Sicuru
è muortu ‘ncunu lupu alla muntagna. ‘U vi’ cumu
s’abbrazzanu ‘e signore e le signorine: brave!
GIUVANNINA
Cara suocera, nun sacciu quantu rure, però amu
accordatu ‘e chitarre e li mandolini.
MARIUZZA
Na’, vieni, abbicinate puru tu (Mariuzza abbraccia la
nonna).
MARAFRANCISCA Ma cchi b’è chiavatu a ‘na vota. Chianu, chianu ca me
fa’ carire. E chine ce capisce ‘ntra ‘ssa casa: ‘a
temperatura saglie e scinne cumu ‘a freve ‘e ra gola.
MARIUZZA
Na’, è successa ‘na cosa bella, bella assai ppe’ tutt’a
famiglia norra.
MARAFRANCISCA Nun grirare, gioia, ca sinnò se risbiglie nannuta e pue
sì ca l’amu fatta bona. ‘Nzomma, ch’è successu?
345
CUSTANZA
Ma’, a Mariuzza ‘n’atra pocu ‘a perdimu.
MARAFRANCISCA Sciuollu mie! ‘A perdimu e bue festeggiati? Siti
COSIMA
CUSTANZA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
CUSTANZA
COSIMA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
esciuti pazzi?
Ohi ma’, s’ha trovatu ‘u zitu.
E ‘ntra ‘ssi jurni facimu ‘u fidanzamentu ufficiale.
Sini na’, è propriu ‘e cussì, è veru.
Teh, e a ‘na vota è cunchiuta ‘a cosa?
Tuttu è jutu rispettannu ‘a legge ‘e ra natura ‘mbece:
prima è sbocciatu ‘u juru, pue ha fattu ‘u fruttu e
doppu, chianu chianu, è crisciutu, curatu ‘e l’acqua e
du sule.
E io nun ne sapìa nente. Mah, ‘u ‘mportante è ca tuttu
è jutu lisciu cumu l’uogliu.
A dire ‘u veru tuttu lisciu no, ca ostaculi, tropìe e
granninate ci ne su’ state; però, ‘u fruttu ha resistitu, è
riuscitu a cunchiere ‘u stessu: ‘u’ r’è veru, cogna’?
E’ acqua passata, nun ne parramu cchiù.
Si, è veru; ‘ncun’attroppicune ppe’ la via c’è statu.
Propriu cumu ‘a storia ‘e l’amure: i passaggi ce su’
stati tutti. Allura simu in linea. Cchi bolissi: ‘e quannu
è fattu ‘u munnu l’amure è statu sempre cuntrastatu,
criticatu, ‘mbiriatu, ma alla fine s’era daveru illu ha
sempre vintu e spissu è cunchiutu miegliu.
Sini, nannarè’, ‘u mie è daveru illu, è amure veru ppe’
Robertu.
Sini, gioia, ce criju. Mariù’, ‘e chine arrazze?
E’ lu figliu ‘e Crimentina, ma’.
Ce criri ca nun me vene ‘n mente chin’è ‘ssa
Crimentina?
Chilla ‘e Sbrasciune, ma’.
Te, te, te e chine si la crirìa ca n’avìamu ‘e
‘mparentare ccu’ li Sbrasciuni. Mah, ‘a razza parica
male nun c’éni.
Su’ proletari, gente fatigaturi e oneste cumu nue.
E chissu serve de cchiù allu munnu, ‘nsiemi alla
salute.
(Si sente da lontano il pianto di Giginiellu e tutti sono in apprensione)
346
GIUVANNINA
MICHELE
(Spaventata) Sciuollu miu, è Giginiellu!
(Fuori campo) Camine, ‘ssu pappamolla.
MARAFRANCISCA Gioia ‘e nanna! Chisà cchi l’è successu?
CUSTANZA
Sicuru è liticatu ccu’ ‘ncunu cumpagnu.
MICHELE
(Entra con Giginiellu) Eccu, guardatilu ‘u pappaficu.
GIUVANNINA
Ch’è successu, famme virere.
MARAFRANCISCA Cchi tieni, Giginì’?
MICHELE
Ma lassatilu jire, ca nun tene nente.
GIUVANNINA
E allura ‘ssu chiantu?
MARIUZZA
E’ cumu ‘u solitu: chiange ppe’ nente.
COSIMA
Rice biellu ‘e zia.
GIGINIELLU
(Piangendo) ‘A squatra.
GIUVANNINA
Cchiri, quale squatra?
MICHELE
‘A Roma, Giuvannì’. I cumpagni l’hannu fissiatu ca
ricica nun vince mai ‘u campionatu, ca stannu forse
scinne in serie B; e lu fissa si c’è pigliatu.
MARIUZZA
Cumu v’avìa dittu io: ca chiange ppe’ ‘na ciotia. Io
vaiu lla dintra ca nun mi lu viju sentere (esce).
GIUVANNINA
Te via benerittu, figliu: sulu ppe’ chissu chiangi?
GIGINIELLU
E si, vue vi ne ‘ncarricati ca nun tifati ppe’ nullu.
MICHELE
Ca tu fessa pecchì t’ha sceltu ‘ssa squatra ‘mbalusa; te
sceglìa l’Inter o a Juventus e birica ‘ssi problemi nun
l’avìa: ‘a sira te ricoglìa sempre ririennu.
GIGINIELLU
Mo’ nun puozzu cangiare cchiù ch’è brigogna.
MICHELE
E chiange e frichete allura
MARAFRANCISCA Nun chiangere cchiù, gioia, ca mo’ vince puru ‘a
squatra tua.
MICHELE
Macari ‘u mannamu a dire allu papa ppe’ la fare
vincere.
GIGINIELLU
Raveru, papà? E cchi cce rici?
MICHELE
Chi pregassi ppe’ te fare cangiare capu e cussì finisci
‘ssu chiantu rissapitu.
GIUVANNINA
E dire ca quannu è natu, a differenza ‘e tutti l’atri
figli, nun ha chiantu propriu, ‘nfatti ‘a levatrice ha
dittu: chissu vene sicuru curaggiusu, ha vistu ‘ssu
munnu complicatu e nun s’è spagnatu!
MICHELE
‘Mbece s’è sbagliata: ‘u scunchiutu ha attaccatu ccu’
ritardu a chiangere, ma pue nun l’ha spicciata cchiù,
fa’ il recupero.
347
MARAFRANCISCA Quantu ne jati girannu moni, ccu’ tutte ‘sse storie.
Jamuninne, Giginì’, jamuninne ca nannà t’haiu stipatu
‘na cosa bella.
GIGINIELLU
Ricemme prima cchir’è, sinnò un biegnu.
MARAFRANCISCA ‘Na bella cicculata sguizzera.
GIGINIELLU
(Smette subitu di singhiozzare) Allura jamu subitu
(esce con la nonna).
MICHELE
Ma cumu è ‘mpattatu ‘u carogna, va a finire ca
chiange puru quannu se spuse chissu.
GIUVANNINA
Pue tuni, Michè’: si’ troppu pessimista.
CUSTANZA
Cchi bolissi, ancora è ‘‘nu guagliune, ‘u’ lu sa’ ch’è
volubulu.
COSIMA
Chianu, chianu comprete lu sviluppu, ‘u pensieru
divente cchiù ‘ngranditu e pue viri ca…
MICHELE
Chiange e rire cumu ‘nu ciambriellu.
COSIMA
Pue viri ca sa’ pisare bene ‘e cose e ne rune tantu
onure.
MICHELE
‘U volissi la Maronna. Giuvannì’, tu cchi dici?
GIUVANNINA
Ca è ura ‘e mangiare, ritiramune tutti, ca roppu ‘na
jurnata ‘e cumbattimentu ‘a cena ni l’ammeritamu
ppe’ daveru.
MICHELE
Armenu ce su’ cose bone stasira?
GIUVANNINA
E cumu no: tantu ppe’ cambiare, bollitu di verdura
mista.
MICHELE
Miegliu, cussì nun ni se aze lu polisterolu e la
pressione. Sorelle, nue ‘nzignamu a jire.
(Giuvannina e Michele escono. Custanza e Cosima smettono di lavorare)
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
COSIMA
MARIUZZA
Cosima, ‘a jurnata è finita puru ppe’ nue.
Si, Custanza, ma come al solitu torna oje granne
battaglia.
Oh, cumu simu state fortunate!
Nun ne parramu, nun ne parramu.
(Entra mangiando un pezzo di pane) Zi’, sbrigative ca
‘a cena è pronta.
E tu nun vieni?
Io haiu mangiatu prima, ca haiu ‘e fare certe cose
‘mportanti.
348
CUSTANZA
COSIMA
CUSTANZA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
Allura cose bone.
Eh, l’amuri, l’amuri; quantu ne fa’ l’amuri.
Se; fa’ sprejere puru ‘u petitu. Ciau bella (esce con la
sorella).
(Mostra una grande gioia) Grazie, Maronna mia, ca
m’ha cacciatu re li guai. Grazie, grazie assai ppe’
r’avìre stutatu ‘u fuocu ‘e ra casa mia, faciennu
vincere ‘a ragiune e l’amure. L’amure: parìa la cosa
cchiù facile ‘e ru munnu, ‘na cosa chi nasce sula,
tennera e semplice, chi tu l’accarizzi, la curi e illa
crisce ‘ntra lu core e se fa ranne, pussente e te fa
prigioniera ppe’ sempre. Nun sienti ccchiù ‘e parole ‘e
ra mamma, ‘e ru patre, ‘e re zie: ‘e nullu. Cunte sulu
illu: l’amure, ‘ssa vampa ‘ntra lu core chi te sazie e
chi…
(Entra e conclude il monologo di Mariuzza) ….
t’allurre li jurni e lu caminu. (Va a cercare qualcosa
nello stipo) Duve l’hannu fatta jire? Nun se trove mai
nente ‘ntra ‘ssa casa. Mariù’, l’avissi vista?
Cchiri, na’?
‘A vambace. Cca l’avìa lassata.
Cchi ne fare ‘ssa vambace, mo’ te jire a curcare.
Apposta ca m’haiu ‘e jire a curcare me serve.
E pecchì te serve, na’?
Ppe’ me ‘ntippare ‘e ricchie, figlicè’; ppe’ nun sentere
‘u guerrieru ‘e nannuta. Ti l’ha scordatu ca rorme
vicinu a mie? Sulu e cussì puozzu rormere ‘nu
pitazzu.
Già, m’era scordata. Tieni ragiune, na’, cchi ba fa’, ce
vo’ ‘nu pocu ‘e pacienza.
‘Na pocu, figlicè’? Me, me ca l’haiu trovata; menu
male.
A domani e bona notte, na’.
Speriamu: cumu vo’ Dio. Eh, quantu è brutta ‘a
vecchiaia (esce)
(Tira un forte respiro) E’ propriu veru; cum’è bella ‘a
sira quannu ‘u core parpite d’amure. Tieni voglia ‘e
restare sula, ‘ntra ‘ssu silenziu re pace. Tuttu te parre,
te rire; l’aria te sazie lu piettu e li pensieri tenneri e
349
duci vulanu luntanu, liberi e bielli. (Prende nello stipo
un album di fotografie, va a sedersi accanto al camino
e lo sfoglia con grande passione.)
(Dopo un po’ si sentono le dolci note di una serenata, che le è stata portata
da Roberto. Mariuzza, sorpresa e particolarmente emozionata, gode
intensamente di questa emozione. Entrano poi anche i familiari, esprimendo
con sorrisi allusivi la gioia e il consenso per il suggestivo avvenimento).
COSIMA
CUSTANZA
GIUVANNINA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
Custanza, ma chissa è ‘na serenata?
Si, Cosima; te piace?
Cchi musica bella, te scippe propriu ‘u core.
Chissa sì ca cuverne l’amuri!
E’ ‘nu tangu, no?
(Ballando a braccia aperte) Sini, zi’, un tango
appassionato nella notte, tuttu ppe’ me. (Cala il
sipario)
FINE DEL SECONDO ATTO
350
ATTO TERZO
(Fervono i preparativi per il fidanzamento di Mariuzza. Santu è stato colpito
da una paralisi e, oltre a non poter più camminare, parla con difficoltà.
All’alzarsi del sipario, Santu è seduto sopra una sedia a straio: è
addormentato e, ogni tanto, tossisce e ha il tic di strizzare l’occhio sinistro.
Marafrancisca gli è seduta accanto e, di tanto in tanto, con il fazzoletto gli
allontana le mosche di dosso. Santu indossa una vestaglia, mentre la moglie
veste in maniera elegante. Dopo alcuni secondi, Marafrancisca termina di
recitare il rosario e si fa il segno della croce)
MARAFRANCISCA (Con molta tristezza) Ha’ finitu ‘e cumbattere, ‘u’ ne
tieni cchiù nemici mo’! Ohi, cchi sfurtuna nivura!
Cchi sciuollu! Ancora nun ce puozzu crirere. E ba
capite propriu a mie, alla marra ‘e l’affascinu, a mie
chi re sessant’anni haiu cacciutu ‘mbiria, fatture e
maluocchiu a migliaia ‘e gente; e io, cumu ‘na ciota,
nun m’accorgìa ca me picciavanu a marituma. Ca nun
sta’ mai fermu, ca rune fastidiu a tutti, ca chissu, ca
chillu, ‘nfinga chi mi l’hannu ammusciatu, ‘u
guerrieru mio. (Si mette a piangere) Guardatilu, cumu
mi l’hannu conzatu; chine mi l’avìa de rire ca ‘na
cerza ‘e uomine ridducìa a ‘nu muzziellu supra ‘na
secia. Ma io ‘nu sospettu ‘u tiegnu; certu è statu chillu
jettature ‘e don Peppe, chillu è potente, ‘u risgraziatu.
GIUVANNINA
(Torna a casa da fuori. Ha in mano la borsa e un
pacco) Ancora nun su’ ricuoti loru?
MARAFRANCISCA ‘Nfinu a ‘ssu momentu ‘u’ r’è benutu nullu.
GIUVANNINA
(Mentre mette in ordine alcune cose) Stannu tricanno,
su’ cchiù de tri ure chi su’ jute, quannu venanu?
Maronna mia, ce su’ tante cose ‘e fare!
MARAFRANCISCA Ca ille nun si le potìanu fare sule i capilli; avìanu ‘e
jire duve ‘a parrucchiera ca, mo’ ce vo’, ‘e sa’ fare
miegliu.
GIUVANNINA
Ma tu ha chiantu? Cchi t’è successu?
MARAFRANCISCA E nente, me signu sfogata ‘nu pitazzu (indica Santu).
Te, ‘un lu viri, cumu fa’ a mantenere i chianti?
351
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
SANTINU
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
MARAFRANCISCA
Sente, fammillu ppe’ piacire, ‘u vi’ ca t’u ricu? Oje
nun vuogliu facce culeruse e né chianti; oje se fa’ zita
figliama e vuogliu allegrìa. Ha capitu?
Vo’ dire ca me sfuorzu ca, mo’ ce vo’, Mariuzza se
merite chissu e atru.
Tutt’i guai oje s’annu ‘e mintere ‘e parte, amu ‘e
virere cumu miegliu potire cumparire ccu’ la famiglia
Sbrasciune. (Indica Santu) Speriamu ca illu nun
facissi ‘ncuna sparata.
Po’ stare squitata: allu statu chi è arridduttu cchi po’
fare cchiù? Ha finitu ‘e munizioni, si l’ha sparate
tutte.
Avissi ‘ntisu si è azatu Santinu?
Noni, parica ‘u’ r’haiu ‘ntisu a nullu.
‘Ntantu mo’ è ura ‘e s’azare, ca n’atra pocu venanu i
Sbrasciuni e lu trovanu allu liettu.
Povariellu, ha biaciatu tutt’a notte; ‘u’ lu sa’ ca le fa
suonnu allu guagliune.
E Giginiellu?
E’ intra; sulu ca ogne tantu se lamente ca le fa’ male
‘u vrazziciellu.
Ce volìa puru chissu moni, ‘u’ r’abbastava lu nannu,
puru ‘u nepute. Eh, mannaia la fortuna!
Amu fattu ‘a casa ‘e l’invalidi.
(Fuori campo) Ma guarde ‘nu pocu cchi casinu;
propriu mo’ avìa de capitare.
E’ Santinu, sapimu cchi tene?
Se vire ch’è azatu ccu’ lu quartu stuortu.
(Entra di corsa) ‘U bagnu ma’: ‘na lavìna!
Cchiri, cchir’è ‘ssu bagnu?
E’ ruttu ‘u flessibile, ma’, e me sta allagannu tuttu.
‘A guerra continue: ancora ‘u jettature è all’opera,
virimu quannu si n’abbutte.
Te cririca ‘u’ r’è statu chillu riavulu e Picariellu?
Chine, ‘u riscipulu ‘e papai? E cum’ha fattu?
Ca l’atru jurnu ha avùtu ‘na cacarella a musica, ‘u
risgraziatu, e ha viaciatu supra e sutta ‘na jurnata.
Illu ca ccu’ le mani nun sa’ stare fermu e ha de toccare
tuttu!
352
GIUVANNINA
Famme jire a birere (esce e torna subito).
MARAFRANCISCA Santinì’, ‘u vi’ quantu guai?
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
Cchi ce va’ fa: succeranu.
Cum’amu ‘e fare mo’?
‘Ntantu ‘e cussì nun ce po’ stare: ce vo’ lu funtanaru.
Io mo’ tiegnu cchi fare, va lu chiame tu, figlicì’. Ce
rici ca è ‘n’urgenza ppe’ daveru.
MARAFRANCISCA Duve lu va trove mo’ a chillu specialiste.
SANTINU
Mannace a Giginiellu, ma’; ‘u’ lu vi’, ancora m’haiu
‘e vestere.
GIUVANNINA
Ma vire, Segnure, n’avìa cchiù jurni ppe’ se jire a
rumpere: propriu oje. (Affacciandosi sulla porta)
Giginì’, Giginiellu.
MARAFRANCISCA Sapimu s’è cunfessatu?
GIUVANNINA
Giginì’, rispunne.
GIGINIELLU
(Fuori campo) Cchi v’abbisogne?
SANTINU
E’ bivu, è bivu.
GIUVANNINA
Vieni ca me va’ fa’ ‘na ‘mmasciata urgente a mamma.
GIGINIELLU
(Entra con un braccio ingessato) Sempre a mie ‘sse
‘mmasciate, no?
GIUVANNINA
Ricica ce mannamu a nannuta? Me, cum’è conzatu!
GIGINIELLU
Nun è c’haiu ‘e jire luntanu, no? Ca ancora ‘u vrazzu
me role.
SANTINU
Me bire si ‘e jire, quantu mosse: parica ‘e caminare
ccu’ lu vrazzu?
GIGINIELLU
Ti ne ‘ncarrichi tu; ‘u sai ca quannu camignu se
tringulìe e me fa’ male?
GIUVANNINA
Sini, gioia, ca ‘u sapimu. Mo’ sente a mie: vire ca
patretta è jutu duve ‘u varvieri; tu vai e ce rici ca
urgentemente trovassi lu funtanaru, propriu ‘u capu, e
lu portassi alla casa norra, ca ne stamu allagannu. Ha
capitu?
MARAFRANCISCA Va’, bell’e nanna, e cunchiure, t’arricumannu.
GIGINIELLU
(Esce piangendo) Sempre a mie ‘sse cazze ‘e
‘mmasciate luntane.
GIUVANNINA
Te parìa ca ‘u’ r’armava la musica? Santì’, jamu
virimu, jamu virimu ca ce ramu n’asciuttata (esce
insieme al figlio).
353
MARAFRANCISCA (Fruga in un cassetto e prende un piccolo corno e un
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
MARAFRANCISCA
COSIMA
MARAFRANCISCA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
COSIMA
MARAFRANCISCA
ferro di cavallo. Li lega entrambi al collo) L’unica
cosa è aumentare ‘e difese, ca sinnò a cumu è pigliata
finisce propriu male. Eh, Santu mie, quantu ‘mprevisti
ce su’ allu munnu, quantu attroppicuni ppe’ la via,
‘nfinu a quannu nun facimu ‘u traslocu definitivu
all’atra casa. (Mentre mima la morte con due dita, si
sentono dei passi e un vocìo) Sapimu chine n’arrive
mo’?
(Entra di fretta, insieme a Cosima e a Mariuzza)
Maronna, cumu è bulatu ‘u tiempu! (Si appresta
insieme alle altre donne a riassettare la casa).
Subitu, Custanza, sbrigamoci che l’ura s’abbicina.
Na’, tu si’ già pronta? Famme virere, fatte vedere.
Ohi, cumu pari bella: pari ‘na signorina!
Se, propriu ‘e primu sbrittu. (Si tocca la faccia) E tutte
‘sse belle pieghe duve le manni, mi l’appari ccu’ lu
fierru ‘e stiru?
Cu ‘na carezza, nannarè’ (le fa una carezza).
Grazie, gioia! Te via sempre cuntenta cumu oje.
Ma’, Santinu è azatu?
E’ azatu, poveru figliu. Ma mo’ sta cumbattiennu ccu’
la mamma a cacciare acqua la dintra.
Pecchì ss’acqua, ma’?
Ricica è male ruttu ‘nu flessibile: sacciu io?
Maronna mia! E mo’?
Ce vo’ lu dragulu e, a maleppena, l’è jutu a chiamare
Giginiellu.
‘A cosa care propriu a pinniellu.
Si, Custanza: cumu ‘u casu supra i maccarruni.
Speriamu armenu ca ‘u funtanaru arrivassi priestu.
Sapimu, figlicè’! Chissu è ‘nu specialiste ‘e ri cchiù
affermati, chine ti lu rice si tene tiempu?
Si lu trovanu, volissi rire?
‘Nfatti, certe vote, opere puru all’esteru.
Pue vue; siti jute troppu luntane. Volissiti rire a
Casule o a Peritu?
354
CUSTANZA
Ma, ‘ntramente, jamu a ne cangiare. Cosima,
Mariuzza, priestu, ramune ‘e fare: veniti ccu’ mie
(escono).
(Si sente una voce che da un altoparlante annuncia un comizio elettorale.
Santu si sveglia di soprassalto)
MARAFRANCISCA Via, via, risgraziati, mi l’hannu risbigliatu, mi l’hannu
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
SANTINU
SANTU
SANTINU
SANTU
SANTINU
SANTU
fattu sc-cantare. Vacabunni, nun hannu a chi pensare,
i vacabunni.
(Sbadigliando) Marafrancì’, ch’è statu, ch’è successu?
Nente, nente, pense a dormere.
Nente, cumu nente? ‘E botte, bum…bum…
Statti carmu, nun t’arterare. Risgraziati, veniti ‘u teniti
vue moni. ‘U comiziu e ra pesta-chi-ve-vegna. Pane,
lavoru e pace, e a mie m’hannu armatu ‘a guerra,
Cchiri, ‘a guerra? E’ scoppiata ‘a guerra: fate largo, si
parte per il fronte (si agita).
Se, ccu’ le stampelle! Patreternu mie, pruvirece tuni.
(Chiama il nipote) Santinì’, vieni ch’è disbigliatu
nannuta e te vo’ birere.
(Diventa allegro) E’ benutu Santinu? Quannu è
benutu?
Stamatina, faciennu jurnu.
Bravu, bravu. (A voce alta) Santì’, Santinu, vieni duve
nonnu.
(Abbraccia il nonno) Eh, carissimo nonnu, cumu ti la
passi?
(Piangendo, gli fa notare il suo precario stato di
salute) Cumu staiu? ‘U vi’: signu conzatu propriu
bene. Signu fricatu!
Ma no, nun te preoccupare. Mo’, chianu chianu, viri
ca migliori.
Eh, Santinu mio biellu! Allura miglioru? Tu me
chiacchiarìi a nonnu.
Ma statti tranquillu; chisse su’ cose chi ce vo’ tiempu
ppe’ potire sanare.
Bravo! Però io tiempu nun ne tiegnu abbastanza,
Santinì’; mi ne rimane pocu a nonnu, ha capitu?
355
MARAFRANCISCA Nun c’è versu, sempre lla batte ccu’ la capu. Oji Sa’, e
SANTU
SANTINU
MARAFRANCISCA
SANTU
SANTINU
MARAFRANCISCA
SANTU
SANTINU
MARAFRANCISCA
SANTU
SANTINU
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
SANTINU
SANTU
SANTINU
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTINU
bia, pense alla salute e lassece jire.
Ca io a illa staiu pensannu, a chine allura: alle
signorine e ra televisione?
Tu ‘mbece puru ‘e signorine ‘e guardare, pecchì no?
Tu ‘e svagare nannu’.
‘U vo’ dittu ‘e tie; si ne fa’ certe passe chi….Si primu
nun si ne vannu tutte, neca se vo’ jire a curcare. E’
gelosu, le bo birere ca se ricoglianu alla casa.
Bugiarda, nun è veru. Io viju sulu ‘a signorina Marini
e la Carrà, ca le preferisco.
Ha rittu nente: t’ha sceltu ‘e meglie, nannù!
L’atre l’ammarianu. Ne tene ‘ncuna: è bellu furbu.
Caru nipote,io m’accuntientu,un signu scardusu. E
diceme ‘nu pocu a nonnu: ‘u sturiu, cumu va lu
sturiu?
Va beninu, nun me puozzu lamentare. E’ tuostu, ‘u
risgraziatu! Ma tuttu procede bene.
‘U vì’, Sa’, ‘n’atru pocu avìmu ‘nu dottore ‘ntr’a casa
norra.
Bravo, bravo. Fa’ priestu però, sinnò nannuzzu si ne
va, more e nun lu pue curare cchiù.
Ma via, quantu ne va’ pensannu! Vaiu la dintra,
aspette, te vaiu pigliu ‘nu fogliu ‘e cioccolata ‘e
marca. L’haiu accattata allu miegliu bar ‘e Milanu
(esce).
Affezionatu assai. È bravu Santinu, Marafrancì’.
E cumu no, se chiame cum’e tie, ‘u’ lu sa’ ch’è bravu.
Chissu porte avanti ‘u nume ‘e ra razza. Poi minte la
targa alla porta: Dottore Santino Papaleo. Bellu ‘e
nonnu! Quantu onure, quantu onure.
(Entrando) Ecco a nonnu ‘a cicculata ‘e Milanu.
Grazie e ‘ssu pensieru ruce, gioia.
Naturalmente vi la spartiti ccu’ la nonna.
Forse le fa’ male, tene lu diabetu molto arto.
Nun tiegnu propriu nente io, nun lu sentere, ca staiu
bona.
Allura parti uguali, nannù, me raccomando.
356
SANTU
Haiu chiacchiaratu, Santì’, ‘u’ lu sa’ ca mi la spartìa
ccu’ la mia signora: chissa sula tiegnu. (Si odono i
passi di più persone) L’esercitu, sta arrivannu
l’esercitu.
MARAFRANCISCA Armenu arrivassi puru ‘u draulicu.
(Entrano Michele, Giginiellu, Compà’ Toninu e Ventirupulu. Sono forniti di
tre borse, contenenti i ferri del mestiere)
COMPA’ TONINU C’è permessu?
MARAFRANCISCA Avanti, trasiti, trasiti.
MICHELE
Ch’è successu, c’avìti ruttu?
MARAFRANCISCA ‘U flessibulu ‘e ru bagnu.
SANTU
Ma quale bagnu, ‘e ru cessu, pregu.
MICHELE
(Agitato) O bagnu o cessu jamu virimu ch’è successu.
SANTINU
Calma, papà, ce vo’ calma (esce insieme al padre e al
fratello).
SANTU
(Fa segno a compà Toninu con la mano) E me, e me
chine se vire. E quantu tiempu n’amu ‘e virere, nepù’!
COMPA’ TONINU Ohe, zu’ Sa’! Cumu stai?
SANTU
Te, ‘u’ lu vì’: assettatu. Simu fricati.
COMPA’ TONINU E no ca sta’ buonu: me benerica !
SANTU
Ccu’ li calli, ‘u’ lu vi’: ‘mpoltrona!
COMPA’ TONINU Duve va’ pensannu, cchi te manche?
SANTU
Tuttu, tuttu, me manche tuttu. Nun ne parramu.
COMPA’ TONINU Me, tieni a za’ Marafrancisca vicina, ricica ‘un
t’assiste?
SANTU
Nun si la vente, è fatta vecchia.
MARAFRANCISCA A tie t’è rimastu ‘u’ rente amaru! ‘u’ r’è cuntientu
mai, nepù’.
SANTU
E ‘ssu guagliune, chin’è ‘ssu guagliune?
COMPA’ TONINU E’ lu riscipulu mie, zu’ Sa’: Ventirupulu.
SANTU
E’ svertu ‘u ragazzu, se vire propriu.
COMPA’ TONINU ‘U’ lu vi’: rorme all’allierta.
VENTIRUPULU
E torna sommà: ‘u’ lu vi’ cchi cavuru chi fa’?
SANTU
C’ha dittu?
COMPA’ TONINU Ca le fa cavuru.
SANTU
Povariellu: fallu lavorare allu friscu allura
COMPA’ TONINU Si, propriu ‘ngalera ‘u mannassi, ca la c’è bellu friscu.
357
GIUVANNINA
(Dall’uscio) Compà’ Tonì’, e cchi cos’è, quannu
vieni?
COMPA’ TONINU Stava parrannu ccu’ zu’ Santu ‘nu pocu; e mo’ chi
l’avìa de virere. Mo’ me signu fermatu ‘nu pocu, cchi
cos’è!
GIUVANNINA
Vieni ferme l’acqua ‘mbece, ca ne sta ‘mbiannu, ca
pue parri.
COMPA’ TONINU E si, Giuvannì’, cchi paura tieni; mo’ viegnu.
Ventiru’, ‘nzigne a jire a piazzare tutti i ferramenti,
sberto, su.
VENTIRUPULU
Rivacu tutt’a borsa, sommà?
COMPA’ TONINU Chi te vonnu rivacare ‘a capu! E fare ‘ncuna mostra?
Dai, sbrigne ‘e lluocu.
(Ventirupulu esce mormorando)
GIUVANNINA
E ‘nzani, ‘nza! E venire tuni, ha capitu? Cchi me
manni ‘ssu riscipule. E maniete! (rientra)
MICHELE
(Dall’uscio) Compà’ Tonì’, e chi cazzu è, quannu
vieni? T’haiu chiamatu ppe’ la funtana, no ppe’
parrare.
COMPA’ TONINU Ajadò, cchi pressa oh! Nun se po’ scambiare mancu
‘na parola cchiù. E cchi cos’è, i rapporti sociali nun se
ponnu cchiù curare. Ppu, ppu, ppu, cchi munnu
pressarulu, oh!
MICHELE
Sbrighete, compà’ Tonì’, nun la fare longa, ca papai
t’aspette allu ritornu. ‘U’ l’aspietti, papà?
SANTU
E cumu no? Si, allu nepute si ca l’aspiettu: è troppu
simpaticu e spassusu.
COMPA’ TONINU Allura zu Sa’, permessu, quantu vaiu fazzu ‘ssa
diagnosi.
MICHELE
Se, se, le conzare, atrica diagnosi.
COMPA’ TONINU E allura, certu ca ‘a cuonzu; ma primu u re virere e
cchi se tratte.
MICHELE
(Lo prende per un braccio). Maniete e trase, nun fare
tante storie. (Escono Michele e compà’ Toninu).
SANTU
Marafrancì’, è sempre ‘u stessu ‘u comparuccio; se
mantene allegro e giovane. Me fa piacire, bravo.
358
MARAFRANCISCA Pecchì ha capitu ‘a vita l’ammazzatu, e le cose ‘e
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
VENTIRUPULU
MARAFRANCISCA
VENTIRUPULU
MARAFRANCISCA
VENTIRUPULU
MARAFRANCISCA
SANTU
piglie ccu’ filosufia; sinnò, povariellu, ccu’ tutt’e
fimmine chi ‘u cercanu grirannu, a chist’ura avìa de
esere esciutu pazzu.
Chiamalu fissa! Nun s’arrace mai, niente, niente. Ha
vistu, puru ‘u riscipule se sta mparannu ‘u stessu.
Se vire ca ‘u maestru è buonu, e lu riscipule apprenne.
Si, è n’artista, e ‘nu maestru del tubo.
(Entra mormorando). Cchi callu ‘e guai ch’è ‘ssu
marru: illu se scorde le cose pue io haiu ‘e jiere supr’e
sutta.
Ti ne sta jiennu giuvinì.
Macari mi ne potissi jire. ‘mbece ci haiu ‘e jire a
pigliare ‘na guarnizione allu marru.
Allura fa’ priestu, t’arricummannu.
(Mentre esce) Tutti ‘a stessa cazza ‘e capu avìti? Ccu’
‘ssa pressa ce siti fissati?
Oji, Sa’, ‘u guagliune promette bene.
Raveru, chissu fra pocu supere allu marru.
(Entrano Custanza, Cosima e Mariuzza. Indossano abiti eleganti e portano
dei vassoi con dolci, confetti e liquori, che poggiano sul tavolo. Iniziano a
sistemare tutte le cose)
MARAFRANCISCA Fatte virere, Mariù’. Oji gioia ‘a nanna, cumu pari
bella. Oji Sa’, guardala cchi principessa.
Bella, bella assai: parica vule.
Papà, puru tu te cangiare oje. Te minti ‘u custume e si
ca ringiovanisci.
SANTU
Nun ce perditi tiempu, io staiu bene e cussì.
COSIMA
(Prende il vestito e insieme a Custanza e a
Marafrancisca si apprestano a farglielo indossare)
Papà, o vue o un buve oje te cangiare. Dai su, aiutati
(iniziano l’operazione, malgrado la ferrea opposizione
di Santo)
SANTU
Lassatime jire, maleritte.
MARAFRANCISCA E quantu moti, mo’ virimu chine a vince.
COSIMA
‘U pere, Custà’, tene ‘u pere.
CUSTANZA
Forza, ‘n’atra pocu su. È jutu, finalmente è jutu.
SANTU
CUSTANZA
359
SANTU
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
CUSTANZA
SANTU
MARAFRANCISCA
COSIMA
SANTU
MARAFRANCISCA
SANTU
CUSTANZA
COSIMA
SANTU
MARIUZZA
SANTU
MARAFRANCISCA
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
SANTU
COSIMA
MARIUZZA
MARAFRANCISCA
SANTU
CUSTANZA
Gesù mie, aiuteme!
Ma lassatilu stare, me cumu è suratu, facitilu riposare
‘nu pocu.
E lu giaccu, quannu ci lu mintimu, romani?
Dai, papà, ‘n’atra pocu e amu finitu, collabore.
Arrassative ‘e lluocu, v’ammazzu a tutte.
‘U vrazzu, stennitice ‘u vrazzu. Eccu cca; finarmente.
Azatilu ‘n’atru pocu quantu ce tiru ‘a giacca.
Te tiru ‘a capu. Ahi, ahi miserabile !
Citu, citu, c’amu finitu. E cchi cos’è ?
Custà’, ‘a scolla. Papà, ‘a vo’ puru ‘a scolla?
Vuogliu lassatu jire, ca signi sfinitu.
Mo’ basta, ca è appostu. Me cum’è suratu (prende un
fazzoletto e gli asciuga il sudore)
Arrassete, magara, ca m’affuchi.
‘U vi’ cumu pari biellu mo’?
Ce fa’ ‘nu figurone ccu’ li Sbrasciune.
Nun vi ne ‘ncarricati, quannu me ripigliu ve sturciu.
Oji nannù’, carmete, mo’ è passatu tuttu, nun ce
pensare cchiù. Armenu mo’ pari ‘nu giuvinottu.
Mariuzza mia bella, però nun sai chillu c’haiu
passatu!
E ‘u’ la fare cchiù longa: cchi pigulusu!
Piuttostu, papà, t’arricummannu: stasira controllete,
cerche ‘e parrare pocu e cunchiusu.
E chine ci la fa cchiù a parrare: roppu ‘ssa fatigata me
sientu muortu!
Comunque, si’ avisatu, pecchì amu ‘e cumparire ccu’
li suoceri ‘e Mariuzza e li zii, Riamunnu e Dora, ca
su’ benuti apposta ‘e l’America ppe’ lu fidanzamentu.
Ha capitu buonu?
Tranquilla, io rispunnu sulu si signu ‘nterrogatu.
Bravu a papai.
Grazie, nannù’, ce tiegnu assai a cumparire.
Quannu tuttu manche ‘u controllu io.
Dottorè’, e a te ce penso io: ha capito?
‘Nzomma, simu capiti: nente schirole.
(Entra Ventirupulu)
360
VENTIRUPULU
Virimu si l’accuntentamu: a malapena ci l’haiu
trovata.
CUSTANZA
Giuvinì’, cercati a be sbrigare, faciti ‘na cosa ‘e jurnu.
VENTIRUPULU
Chissu nun vi lu puozzu garantire, signorì’, pecchì ‘u
marru è troppu precisu e tene tiempi luonghi ‘e
lavorazione (esce).
COSIMA
E l’amu fatta bona ccu’ chissi.
MARIUZZA
(Agitata) Maronna mia, propriu stasira s’avìa de
rumpere ‘ssa funtana, nun ci n’eranu cchiù jurni?
MARAFRANCISCA Nun t’arraciare, figlia, ca tuttu s’aggiuste. Illi a cchi
ura t’hannu rittu ca venanu?
MARIUZZA
Cchiù o menu tra ‘e sie e le sette.
(Bussano alla porta e va ad aprire Costanza)
CUSTANZA
Sapimu chin’è?
VOCE FUORI CAMPO Jamu girannu ‘u funtanaru, è ‘ lluocu.
CUSTANZA
Cca nun c’è nullu funtanaru.
VOCE FUORI CAMPO ‘Mpossibile, ‘a machina sua è fore cca.
CUSTANZA
Jativinne, giuvinò’, nun perdimu tiempu. Arrivederci
(rientra). Ss’atri ce mancavanu ppe’ la fare completa.
Certe vote ‘e rire puru ‘e bugie.
COSIMA
Ha fattu buonu, ti sei saputa regulare.
SANTU
Parica me sentu miegliu, Marafrancì’; me sientu cchiù
cuntentu.
MARAFRANCISCA Menu male, parica cuminci a ragiunare.
CUSTANZA
Cosima
COSIMA
Custanza
CUSTANZA
Cchi dici, ‘u manichinu ‘u cumbegliamu?
COSIMA
Certu, po’ fare ‘na certa ‘mpressione.
(Mentre coprono il manichino con un panno, entrano Santinu e Giginiellu.
Quest’ultimo va a sedersi vicino al nonno)
SANTINU
MARIUZZA
L’ura s’abbicine, Mariù’: cumu te sienti?
‘Na cosa, ‘na cosa, chi nun ti la sacciu spegare (si
commuove).
361
SANTINU
Te criju, ‘e cose chi riguardanu l’amure nun ce su’
parole adatte ppe’ le fare capire.
COSIMA
(A Mariuzza) Asciuttete ss’uocchi, statti calma.
SANTINU
(A Giginiellu) Mancu tu ‘e chiangere stasira, ha
capitu?
MARAFRANCISCA Fallu ‘ssu fiorettu, Giginì’.
SANTU
Nonnu te prumintu ca te compru ‘u motorinu si nun
chiangi:
brum,
brum
(mima
il
rumore
dell’acceleratore).
GIGINIELLU
Raveru, nannù’?
SANTU
Sicuru, colore giallo-rosso, cumu ‘a squatra tua.
GIGINIELLU
Allura stasira riru sempre.
MARAFRANCISCA Giginì’, ‘e cussi pue allu nonnu ce fa fare ‘nu giru,
macari chillu ‘e ra Siela.
GIUVANNINA
(Entra con un cesto pieno di fresine) L’operazione è
riuscita: ‘u maestru ha finitu.
(Marafrancisca, Cosima e Custanza si fanno il segno della croce)
CUSTANZA
COSIMA
MARIUZZA
GIGINIELLU
Sia lodatu Gesù Cristu.
Ogni sempre sia lodatu.
Zì’, allura jamu la dintra ca preparamu l’atre cose.
Santì’, vieni puru tu ca ne runi ‘na manu.
Aspettati ca viegnu puru io.
(Escono Custanza, Cosima, Mariuzza, Santinu e Giginiellu)
GIUVANNINA
Però compà’ Toninu sa fatigare raveru, e rire un dire.
MARAFRANCISCA Chissu è ‘nu marru chi nun va ‘mpressatu, duve minte
le manu illu ne esce. Po’ desere tra ‘nu mise, tra
‘n’annu, ma ‘u ‘mpegnu ‘u mantene.
GIUVANNINA
Apposta chiamanu tutti a r’illu.
MARAFRANCISCA E pue ‘u’ r’ha duve se spartere ‘u primu, perciò certe
vote ritarde.
COMPA’ TONINU (Entra asciugandosi il sudore con un fazzoletto) Amu
cunchiusu, zu Sa’. Tuttu in ordine.
GIUVANNINA
Cumu si’ suratu, oh!
COMPA’ TONINU Nun ne parramu, ‘u’ ne parramu.
SANTU
Bravu allu nepute, bravu!
362
MARAFRANCISCA Benerittu te via, figlicì’, tieni ‘e manuzze fatate.
(Entrano Michele e Ventirupulu. Quest’ultimo ha una borsa a tracolla
e altre due borse alle mani. Da’ segni di sofferenza e di impazienza)
SANTU
COMPA’ TONINU
MICHELE
COMPA’ TONINU
GIUVANNINA
VENTIRUPULU
COMPA’ TONINU
VENTIRUPULU
COMPA’ TONINU
VENTIRUPULU
COMPA’ TONINU
MICHELE
COMPA’ TONINU
GIUVANNINA
COMPA’ TONINU
SANTU
COMPA’ TONINU
GIUVANNINA
VENTIRUPULU
COMPA’ TONINU
Allura, nepù’, mancu ‘na guccia ne care cchiù?
Nente, zu Sa’, perfetto: tutto secco.
Ce volìa puru: ‘a cosa siccome era difficile.
Michè’, nun è veru nente chillu chi rici tu, pecchì devi
sapere che quannu si opera i rischi ce su’ sempre; ppe’
r’esempiu ‘nu giru ‘e cchiù ccu’ la chiave e tacchiti,
se po’ spezzare il dado.
E sini, e sini ca Michele chiacchiarie, sinnò ‘u’ lu
sapimu ca ‘u compitu è rischiusu.
Sommà, quannu ni ne fricamu a jire, ‘u’ lu vi’ ch’è
‘mbrunatu?
E aspè’, aspette ‘n’atru pocu, cchi pressa tieni, duv’è
jire?
‘U vi’ ca signu carricatu cumu ‘nu ciucciu?
Ca tu si’ fessa, poggiali ‘nterra no?
E me vuogliu ricolgiere puru alla casa, ca ce mancu ‘e
stamatina.
E mo’, mo’, ‘n’atru pocu ni ne jamu. Ajadò, cchi
taluornu, oh.
(Prende il portafoglio) Allura, sommà’, quant’è lu
disturbu?
Nun è nente, statti squitatu.
Cussì nun va bene, ‘ncuna cosa ti le pigliare.
Ma quale cosa, propriu ‘e ra famiglia ‘e Santu me vaiu
a pagare. Pensati alla salute.
Aviti vistu, ‘u’ fa’ ppe’ mie. Grazie, nepù’.
A ‘sse piccolezze nun ce badu, io ce tiegnu
all’amicizia.
E cumu no: fa’ buonu.
E jamuninne, sommà’. (Al pubblico) Cchi sfurtuna oh,
propriu io haiu avùtu ‘e ‘ncappare ‘ssu marru
perditiempu.
Mah, puru ppe’ nun sentere cchiù ‘ssu chiantu ‘e
Ventirupulu ve salutu: mi ne vaiu.
363
GIUVANNINA
Via, via, ‘n’atra pocu mancu ‘nu dolce ci avìmu
offertu allu compari. (Prende il vassoio) Te, piglie.
Ventirù’, piglie puru tu, gioia.
(Ventirupulu si libera delle borse e si appresta a servirsi)
COMPA’ TONINU Chissi l’acciettu raveru. Ventirù’, t’è passata ‘a pressa,
no? Ih, figliu’e bona mamma!
VENTIRUPULU
Sommà’, io me truovu a tuttu: a fatigare e a mangiare.
Sbagliu?
COMPA’ TONINU Silenzio, scostumatu. Ma riciti ‘na cosa: me sbagliu o
c’è aria ‘e festa ‘ntra ‘ssa casa?
GIUVANNINA
Nun te sbagli propriu: tieni ‘nu granne ‘ntuitu.
MICHELE
Eh, caru compari; i figli chianu chianu criscianu, se
fannu ranni.
GIUVANNINA
Se mintanu ‘e scille e pue vulanu.
(Intanto Santu si è addormentato)
COMPA’ TONINU Veramente nun haiu capitu nente.
GIUVANNINA
Stasira se fa zita Mariuzza mia, compà’ Tonì’, venanu
fannu ‘a ‘mmasciata.
COMPA’ TONINU Apposta tutti ‘ssi preparativi?
MICHELE
Compà’, si vo’ restare si’ lu patrune, me fai tantu
piacire.
GIUVANNINA
Raveru, pecchì nun rimani, ne fa’ cumpagnia.
COMPA’ TONINU Ppe’ carità, grazie. Chisse su cose troppu intime e pue
sono in abiti di lavoro. Comunque ve lassu i migliori
aguriji e bona sirata. Ventirù’, jamuninne.
VENTIRUPULU
Oh, finarmente! (Tenta di prendere altri dolci).
COMPA’ TONINU (Strattona Ventirupulu) Esce ‘e lluocu, camine; e cchi
cos’è, nun ti n’abbutti cchiù?
GIUVANNINA
Lassalu jire, compà’: è ‘nu guagliune.
COMPA’ TONINU Però viziatu. Zu Sa’, statti buonu.
MARAFRANCISCA Nun t’ha ‘ntisu (scuote un po’ Santu). Oji Sa’, ‘u
cumpari si ne sta jiennu.
SANTU
(Frastornato) Cumu, chine sta fujiennu?
COMPA’ TONINU Te salutu, zu Sa’, arrivederci a tutti. Però, ‘u cchiù
biellu pare zu Santu: guardatilu.
364
SANTU
Eh, si sapissi, nepute mie, cchi lutta, quantu n’haiu
passatu ppe’ ‘ssu custume! E ogne tantu vieni me
trove, ammazzatù’.
COMPA’ TONINU E cumu no, appena tiegnu ‘nu pocu ‘e tiempu.
VENTIRUPULU
(Al pubblico) Se, se, ca pue.
COMPA’ TONINU Di nuovu, bona sirata e aguriji.
MICHELE
Grazie, grazie ‘e tuttu.
SANTU
Ciao, ciao, nepù’.
(Compà’ Toninu e Ventirupulu escono)
GIUVANNINA
Ccu’ tutt’i ‘ntuoppi, cumu ha volutu Dio, ‘e cose su
aggiustate.
MARAFRANCISCA Sini, sini, speriamu bene ‘e mo’ avanti.
MICHELE
Però cchi uomine buonu ch’è ‘ssu cumpari marru, no
papà?
SANTU
Ppe’ la miseria! È ‘nu generosu, ‘nu ‘mbarsamu,
‘n’uomine veru.
GIUVANNINA
Raveru, avissi de campare sempre ‘ssu gran signure
del tubo.
SANTU
‘Ntra ‘ssi paisi è necessariu cumu ‘u pane.
MARAFRANCISCA Sini, accuntente sempre a tutti.
MICHELE
Sempre si trove lu tiempu, però.
(Entrano Custanza, Cosima e Mariuzza.
Hanno in mano delle scatole e dei regali)
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
Su, priestu, l’ura è arrivata.
Preparamune, ognunu allu postu sue.
E cchi cos’è, chianu chianu: parica ne stamu
preparannu ppe’ affrontare ‘u nemicu.
SANTU
Ppe’ lu nemicu ce penso io: Santo il bersagliere.
MARAFRANCISCA Se, pue quannu nasci ‘n’atra vota.
GIUVANNINA
Dunca, cumu facimu quannu arrivanu?
MARAFRANCISCA Stabilimu primu chine rapere.
COSIMA
Io ricissi Mariuzza: mo’ ce vo’, è illa ‘a protagonista!
MARIUZZA
Noni, zi’, nun mi la sientu, me vriguognu. Macari ce
va’ nanna, ch’è la cchiù ranne.
CUSTANZA
Noni, Mariù’, e cussì parica facimu n’offesa a papai.
365
MARIUZZA
CUSTANZA
COSIMA
MICHELE
CUSTANZA
Veramente toccava a illu ch’è lu patrune ‘e ra casa.
Ma mo’ te, cumu ci lu manni, ccu’ la secia a sdraia?
(Riflessiva) E’ daveru ‘nu problema gruossu.
‘Ntantu ‘u protocollu va rispettatu.
‘N’atra pocu ‘mbussanu e ancora nun sapimu chine ha
de jire a raperire. Io ricissi de tagliare ‘a testa al toru e
‘ssu compitu ‘u ramu alla cognata Giuvannina. Cchi
ne riciti?
COSIMA
Sini, sini, cchi stupide, nun ci avìamu pensatu ‘e
nente.
MARAFRANCISCA Certu, illa è la mamma, mo’ ce vo’, le tocche de
dirittu. Vo’ dire ca se minte ‘nu bellu maccaturu
coloratu allu cuollu e le ba rapere.
MICHELE
Giuvannì’, ha vistu cumu si’ ‘mportante, tra tanti
hannu sceltu a tie, si’ cuntenta?
GIUVANNINA
E cumu no, ‘u fazzu ccu’ piacire. Ve ringraziu a tutti.
MARAFRANCISCA Oji Sa’, parica ‘e chitarre su accordate.
SANTU
Su’ già arrivate?
MARAFRANCISCA Se, se ‘e ricchie su’ ‘nsurdate.
MICHELE
Chiame i figli Giuvannì’, ‘u’ r’hannu e venire puru
illi?
GIUVANNINA
E allura, parica puru illi fannu parte ‘e ra famiglia
(Mentre si appresta a chiamarli)
CUSTANZA
Giuvannì’, aspette, ca le chiamu io, sinnò, chilli
‘mbussanu e le facimu aspettare fore?
COSIMA
Custanza è precisa, pense propriu a tuttu.
MARIUZZA
Grazie zi’: si n’amore. (Custanza esce).
MICHELE
Speriamu ca Giginiellu ‘u’ r’attaccassi ‘ncuna pippa. ‘
A squatra sua ‘a rominica ha bintu, quindi avissi de
resere cuntientu.
GIUVANNINA
Michè’, nue e avertere l’amu avertutu, pue si la vire
sulu.
MICHELE
Si ne fa scumparire, te giuru ca ‘ssa vota nun lu
perdugnu, ci affraccu ‘nu cavuce addietru chi ce lassu
‘mpinta ‘a scarpa.
MARAFRANCISCA Vire c’avìssi ‘e fare, cussì pue scumparisci ‘e cchiù.
366
(Entrano Custanza, Santinu e Giginiellu.
Quest’ultimo indossa la maglietta della Roma)
CUSTANZA
Eccu, ‘a famiglia è junta tutta.
MARAFRANCISCA Grazie, Segnure: cumu pare bella ‘a famiglia unita
SANTINU
GIGINIELLU
SANTINU
GIUVANNINA
c’aspette ‘ntra la pace ‘nu ‘mbitu ‘e amure.
(Consola il nonno che si è commosso e piange) Su, su,
allegria, tu si’ ‘nu surdatu, nannu’ te si’ scordatu?
Pecchì chiange, cchi ci avìti fattu allu nonnu?
Ci hannu toccatu ‘u core e chiange; tu chiangi senza
motivu, cchi ba girannu?
Su, pigliati postu, assettative e aspettamu assettati.
(Tutti si siedono, mentre Giuvannina aspetta in piedi vicino alla porta)
MARIUZZA
GIUVANNINA
(Dopo una decina di minuti di attesa) Nun ci la fazzu
cchiù, me sientu ‘u lettricu ‘ncuollu.
Cumporte, figlia, mo’ ‘a cosa è a mumenti.
(Si sente bussare e tutti scattano in piedi)
CUSTANZA
COSIMA
GIUVANNINA
Su’ arrivati, su’ arrivati.
Silenziu. Giginì’, t’arricummannu ‘u chiantu.
(Apre) Chi te vonnu fare all’acitu: tuttu tu era! Trase,
tra’!
FURMICUNE
Pecchì, aspettavati ‘a ‘ncun’atru?
GIUVANNINA
Cchi ba girannu a st’ura, Furmicù’?
FURMICUNE
(Si guarda stupito intorno) ‘U vi’ cchi bella comitiva!
MICHELE
Cumu si’ arrivatu allu momentu giustu, Furmicù’!
FURMICUNE
E’ capitatu, Michè’! Cumu se rice: quannu nun t’aiute
la capu t’hannu ‘e aiutare i pieri. Me, c’è ‘ssu
telegramma ppe’ tie. Ti l’avìa de portare prima
veramente, ma nun me va care mentre rava la posta
stamatina?
GIUVANNINA
Ah si, t’è carutu?
SANTU
Chine è carutu?
MARAFRANCISCA Nente, nente, è carutu ‘u telegramma.
367
FURMICUNE
MICHELE
FURMICUNE
MICHELE
FURMICUNE
GIUVANNINA
FURMICUNE
MICHELE
CUSTANZA
GIUVANNINA
MICHELE
SANTINU
MICHELE
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
CUSTANZA
Stava dicennu ca m’è carutu e, furtunatamente, l’ha
trovatu ‘a signora Ciavula, la quale jija alla putiga a
fare ‘a spisa.
Taglie curtu, Furmicù’, ‘a storia ‘a rici ‘n’atra vota
pue.
Ho capitu, benerittu Michele, però volìa dire ca la
signora Ciavula in questione ha capitu la ‘mportanza
della cosa e mi l’ha portatu. Mo’, ve giuru, io nun ho
tricato cchiù un secondo, appena mi l’ha datu signu
venutu: eccu ‘u telegramma.
(Glielo strappa di mano) Damme cca e camine,
Furmicù’.
Va bene, certu ca mi ne vaiu, ma armenu siti
soddisfatti?
Sini ca simu cuntienti. Statti buonu, Furmicù’, vate
ccu’ Dio.
E be raccumannu, nun lu riciti a nullo di chissa cosa,
ca si lu sa’ l’amministrazione perdu ‘u postu e lu
pane; ciau (Esce)
E te frichi e cussì ‘n’atra vota sta cchiù attientu.
Cosima, ma vire ‘nu pocu cumu se mintanu tutte di
traversu le cose.
Me sa ca è sempre chillu risgraziatu ‘e ru jettature.
Santì’, te, vire chine ne scrive (consegna il
telegramma).
(Osserva il telegramma e tutti lo guardano con ansia)
E’ za’ Liberata.
E cchi ba girannu a stura, cchi manne a dire?
Ne fa l’agurìi a tutti.
Santì’, ‘nu scrittu luongu?
E’ curtu, ma’, ‘na cosa breve.
Allura leje.
Allura: saputu fidanzamentu nipote Mariuzza con
figlio di famiglia Sbrasciune, tutta mia famiglia
manda alla vorra un mondo di aguri felici e sinceri
perché siamo contenti di questa cosa. Ed io scrivente,
zia Liberata Purgatorio, vi posso dire che
dall’emozione mentre scrivo piango.
‘U vi’, nun sulu Giginiellu, puru illa chiange.
368
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
Se vire ca siti ‘na bella razza ‘e chiangitari. Ha finitu,
Santì’?
Ce su’ li saluti.
Regulete, si su’ assai ‘u’ le dire, sinnò facimu tardu.
Ma’, veramente su’ parecchi: tanti, tanti e cari puru.
E allura lassale jire, figlicì’. Mah, ognunu allu postu
sue.
(Tutti siedono nuovamente e Giuvannina va vicino alla porta. Dopo dieci
secondi di silenzio, si sente di nuovo bussare. Tutti scattano in piedi. Santu,
colto di sorpresa, si spaventa)
SANTU
GIUVANNINA
DON PEPPE
GIUVANNINA
DON PEPPE
Ma cchi be male chiavatu oje ccu’ ‘ssa ginnastica?
Silenziu, ce simu; ‘ssa vota su’ illi. (Apre la porta e
appaiono Don Peppe, la moglie e il figlio. Appena li
vedono tutti fanno le corna e, delusi, si rimettono
seduti).
Bonasera e scusati.
(Con indifferenza) Bonasira puru a bue e ‘ssa visita a
st’ura?
Veramente simu venuti ppe’ l’anello.
(Tutti impietriscono)
GIUVANNINA
MARIUZZA
Cumu, cumu, famme sentere: quale aniellu?
(Scoppia a piangere e viene consolata dalle zie) Ma
cchi bonnu chissi, chine l’ha chiamati?
MICHELE
(Deciso ed adirato) Sentiti ‘‘nu pocu: vue me voliti
guastare ‘a festa? Cchir’è ‘ssa storia ‘e ‘ss’aniellu?
DON PEPPE
Nun ve ‘ncazzate, calmo, buonu. Mia moglie volìa
cunchiurere.
MARAFRANCISCA Cchiri, torna ‘ssu capu?
GIUVANNINA
(Nervosissima) Ma siti esciuti pazzi? Cchir’è ‘ssu
cunchiurere: viriti si vi n’avìti ‘e jire ‘e lluocu, prima
ca va a finire male. Jativinne, ca nue aspettamu ‘a
r’atri ppe’ cunchiurere.
CUSTANZA
Dio mio, cchi ‘mbrogliatina!
COSIMA
(Con lo sguardo al cielo) Aiutane tu, Gesù mio!
369
DON PEPPE
Carmative, me sa ca c’è ‘‘nu quivoco. Mia moglie cca
presente ve stava dicenno ca quannu ‘ venuta a se
misurare ‘a camicetta dalle signorine sarte ha perso
l’anello del dito, che è un ricordo del fidanzamento. E
mo’ simu venuti ‘a virere si l’avìti trovatu.
GIUVANNINA
E propriu mo’ avìati ‘e fricare a benire, ‘u’ n’avìati
cchiù jurni? (Tutti sono agitati).
DON PEPPE
Pecchì ni ne simu addonati jieri.
MICHELE
Sentiti ‘nu pocu, ‘u voliti ‘nu bellu consigliu?
Jativinne ca cca ‘u’ r’amu trovatu propriu nente. (Si
rivolge ai familiari) Vue avìti trovatu ‘ncuna cosa?
(Tutti rispondono di no) Avìti sentutu? E allura
sbrignati ‘e lluocu.
DONNA LENA
Comunque signu sicura ca m’è carutu cca; puro mio
figlio Gregoriu lu conferma: riciaccellu.
GREGORIU
(Mentre guarda Mariuzza) Si, è davero comu ha ditto
mamma.
GIUVANNINA
Ma quale veru, ‘ssu ‘ncantu! ‘u’ lu vi’ ca rorme
all’allierta.
GREGORIU
Però signu sicuro: tanno mamma lu tenia al dito.
GIUVANNINA
Signò’, sa’ cchi be ricu: chiamatillo ‘e jativinne, ca
nue aspettamu atre visite assai, assai ‘mportanti.
DON PEPPE
Va bene, ni ne jamu, però l’aniello è carutu cca.
MARAFRANCISCA (Molto adirata) Cca simu gente oneste: esciti ‘e ra
casa mia, ‘ssi tricatizzi, muorti ‘e fame. ‘U sa’ cchi
c’è carutu cca? ‘U picciu chi ci ha jettatu tu, bruttu
jettature.
DON PEPPE
Badi cumu parri, nun offenditi.
MARAFRANCISCA Parru cumu sacciu parrare ‘mbece; ca ‘e quannu si’
trasutu ‘ntra ‘ssa casa nun ne stamu viriennu cchiù
bene. E r’ha fattu carire ‘u quatru, ha fattu fare ‘u
terrimutu, e su’ due; è paralizzatu marituma, e su’ tri;
Giginiellu s’ha ruttu ‘u vrazzu, e su’ quattru; è rrutta
‘a funtana, e su’ cinque; e cchi cos’è, nun ti n’abbutii
cchiù!
DON PEPPE
Allura pensati chissu? Ah si; allura ni ne jamu subitu.
GIUVANNINA
Sini, ‘u pensamu e ‘na cosa ‘e cchiù.
370
MICHELE
DON PEPPE
GIUVANNINA
DON PEPPE
GIUVANNINA
MICHELE
SANTINU
GIUVANNINA
SANTINU
GIUVANNINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
‘A contabilità parre chiaru: cinque risgrazie in pochi
jurni, ha battutu tutti i record. ‘E resere potente ccu’ li
cazzi.
Lena, Gregorio, jamuninne, ca a quantu pare nun simu
grariti.
Mo’ ti ne si’ addonato? Ancora siti cca: jativinne!
Quanno nun se po’ragionare (esce con la moglie e il
figlio che, mentre esce, saluta con la mano).
Ancora ‘u galla salute
E cchi cos’è, è possibile ca capitanu unu appriessu a
l’atru ‘ssi guai? Me sa ca amu ‘e chiamare ‘u prievite
ppe’ ne fare benerire ‘a casa.
Oji ma’, mi la rici ‘na cosa: ‘ssi signori chine sunnu?
Sunnu i rumpiscatule ‘e ru paise: ‘u patre è jettature,
‘a mugliere è faluotica e lu figliu è galla ‘e nascita.
Però haiu vistu ca è ‘‘nu terzettu propriu affiatatu.
E cumu no, operanu in equippe cumu i chirurghi. (Si
sente di nuovo bussare e tutti scattano in piedi) E cchi
bon’ura, chissa è la terza ‘mbussata, avissinu ‘e resere
illi, cchi cos’è! Cchi be rice lu core a bue, ca su’ illi?
(Fremente) Sini ma’, fa’ priestu, va’ rapere ca ‘ssa
vota su’ veramente illi.
(Apre la porta) Finarmente! Bonuvenuti, bonuvenuti
alla casa mia, avanti, trasiti.
(Entrano Pasquale, Crimentina, Robertu, Riamunnu e Dora.
Hanno in mano dei regali. Segue uno scambio di saluti e di abbracci)
CRIMENTINA
PASQUALE
MICHELE
SANTU
RIAMUNNU
MICHELE
DORA
Bon trovati.
Bonasira e salute a tutti.
Bonuvenuti, trasiti, veniti avanti.
Eviva, eviva: su’ illi.
Salutiamu a tutti. Carissimi, cumu vi la passati?
E me a Riamunnu: cchi bella sorpresa!
Cumu stati, vi la passati bona? ‘U vi’ cumu ci avìti
conzatu biellu.
(Mariuzza e Robertu, uno accanto all’altra,
seguono con imbarazzo la cerimonia)
371
MARAFRANCISCA Bonuvenuti a tutti alla casa mia.
CUSTANZA
SANTU
COSIMA
CRIMENTINA
GIUVANNINA
CRIMENTINA
MARIUZZA
GIUVANNINA
ROBERTU
CRIMENTINA
MARAFRANCISCA
RIAMUNNU
DORA
RIAMUNNU
MARAFRANCISCA
DORA
MARAFRANCISCA
DORA
RIAMUNNU
MARAFRANCISCA
SANTU
RIAMUNNU
SANTU
MARAFRANCISCA
RIAMUNNU
DORA
MARAFRANCISCA
GIUVANNINA
Quantu onure stasira! Accomberative.
E bravi, e bravi.
V’amu aspettatu ccu’ tanta ansia.
Grazie, grazie.
Finarmente, cunchiurimu ‘ssa bella cosa.
Mariù’, ma tu triemi tutta.
Sacciu cumu me sientu, nun lu sacciu spegare.
Crimentì’, me Robertu puru cumu treme.
Eppuru pensava ‘e resere cchiù forte, comunque
l’emozione c’è e cumu.
Su’ cose normale chisse, ca tu ‘u’ lu sai?
Senza complimenti, alla libera: faciti cumu si fuossiti
alla casa vorra.
Tenchiù, tenchiù: siti troppu buona e gentile
Raveru Ramù’: cchi famiglia bona, accogliente.
Cchi t’avìa dittu io.
Oji Doricè’, ‘e quannu ‘n’amu ‘e virere, gioia: cumu
stai?
Staiu bona, cummari Marafrancì’, e tuni, cumu ti la
passi?
E cchi bolissi: ce su’ l’anni, figlicè’, anni e malanni.
Duve va’ pensannu: me, cumu pari bella. Salutu a zu’
Santu ‘nu pocu. Ramù’, l’ha vistu a zu’ Santu?
E me chillu zu’ Santu!
L’ha canusciutu armenu?
‘Mprima, Marafrancì’, a Riamunnu chine ‘u’ lu
canusce? Eh, chilla vita tua, nepù’!
Zu’ Sa’, cumu t’a passi?
Assettatu, nepù’, ‚u vi’, simu fricati.
Ha avutu ‚a mala furtuna, povariellu.
Me rispiace tantu. Però è lucidu.
Sciur, è propriu vispu: n’ha canusciutu subitu. Za
Marafrancì’, ‘u vi’, mo’ fa zita ‘ssa bella nepute: si’
cuntenta?
Puru si signu cuntenta ‘u’ r’haiu crisu l’ura, Doricè’.
Michè’, cumpà’ Pasquà’, e abbicinative ca virimu
c’amu ‘e fare: puru ppe’ ‘nu cunsigliu.
372
PASQUALE
MICHELE
PASQUALE
RIAMUNNU
GIUVANNINA
DORA
CUSTANZA
GIUVANNINA
CRIMENTINA
GIUVANNINA
Nue supra ‘ssu campu simu ‘ncompetenti, viriti vue.
Io fazzu a delega a mia moglie.
Nue uomini cumu se svolgianu ‘sse cose nun ne
capiscimu nente, ‘u’ r’è beru, Pasquà’?
E’ propriu e cussì, chisse su’ cose ‘e fimmine.
Bravu, ille su’ cchiù brave, tenanu cchiù esperienza.
Sini, sini, grazie ‘e ri complimenti; nun v’affrigiti ca
nue ‘sse cose ‘e facimu ccu’ piacire.
E cumu no, cummari Giuvannì’; chisse su’ cose belle
chi nun stancanu: ne ‘ncarricamu ‘e l’uomini.
Brava a Dora, ca illi cchi se criranu?
Allura io ricissi ‘na cosa: cummari Crimentì’, vire si
te quatrizze e te va bona.
Fa’ tu e fa’ tuttu, ca certamente fa’ buonu.
Dunca, pigliati tutti postu, naturalmente Robertu e
Mariuzza vicini, e cussì ‘nzignamu ‘a cerimonia ‘e
l’oru e pue facimu tutte l’atre cose. Cchi diciti, va
bona ‘e cussì?
(Tutti rispondono in coro di si)
RIAMUNNU
DORA
CRIMENTINA
MARIUZZA
Ah, cchi bella cosa, ‘na meraviglia, Giuvannì’.
Sini, propriu all’usu anticu.
S’è de cussì allura tocche a mie ppe’ prima. Mariù’,
azete gioia. (Tutti sono interessati e guardano
Crimentina che, con garbo, lega al collo di Mariuzza
una catenina e le lega al polso un bracciale) Ti le
gorissi ccu’ bona furtuna ppe’ cent’anni, gioia.
Grazie, grazie assai.
(Segue un forte battimani)
CRIMENTINA
ROBERTU
MARIUZZA
DORA
MARIUZZA
Robè’, mo’ tocche a tie e a Mariuzza.
Si lu rici tu, ma’, io signu prontu: eccomi cca.
Allura nun ne reste ca ‘nzignare (segue lo scambio
degli anelli e dei doni).
E parte mia e de Riamunnu chissu è ‘nu ricordu, gioia,
sulu ‘nu signu ‘e affettu (consegna un pacchettino).
L’accettamu ccu’ piacire: grazie.
373
RIAMUNNU
Speriamu ca ve piace: è ‘na cosa mericana, l’amu
accattata là.
ROBERTU
Ne piace de sicuru, zu Riamù’: l’avìti sceltu tu e zia
Dora!
DORA
Certu ca siti ‘na bella coppia: bielli e bravi tutt’i ruvi.
GIUVANNINA
Chissu raveru, Do’. Cumu se rice: poveri ma belli.
CRIMENTINA
Ma si, cchi ne fa’ ‘sse ricchizze, ‘a cosa cchiù
‘mportante è la salute.
GIUVANNINA
Mo’ ce vonnu ‘e cose ruce. Dai Custà’, rative ‘e fare
ca v’aiute puru Santinu e Giginiellu.
CUSTANZA
Su Cosima, ramune da fare.
COSIMA
Si Custanza, signu pronta. Santì’, tu passe i liquori e
Giginiellu i cunfietti; io e Custanza ‘e pastette
(offrono a tutti i liquori e i dolci).
CUSTANZA
Dai, su, pigliati, chisse su’ fatte alla casa.
DORA
Se vire, se vire: su’ belle profumate e frische.
COSIMA
Su’ all’antica, Do’, senza tutte ‘sse misture ‘e moni.
DORA
Sciur, tenanu ‘nu bellu sapure, ha vistu Ramù’?
RIAMUNNU
Su’ ‘nu ‘mbarsamu, ‘na cosa fina, Doricè’; chissi
stasira ne fannu ‘ngrassare.
SANTINU
Pigliative puru ‘nu liquorinu, ca spinge le pastette.
RIAMUNNU
Chianu, chianu, Santinì’, ca ‘a sirata è longa, gioia.
MICHELE
Stasira però ‘n’eccezione se po’ fare, ‘u’ r’è veru,
Pasquà’?
PASQUALE
Certu, ppe’ bon’aguriu ‘nu pocu n’amu ‘e sforzare
tutti a bere.
CRIMENTINA
(Richiama il marito) Sempre ccu’ moderazione però.
CUSTANZA
Papà, tè, pigliete ‘nu pocu ‘e arangiata tuni.
SANTU
Ma tu si’ pazza? Me vo’ ‘mbalenare? Io vuogliu ‘u
vinu.
COSIMA
Te fa male, papà, te si scordatu?
MARAFRANCISCA Te raccumannu, nun cuminciare a fare a l’usu tue.
SANTINU
Nun abusare, nannù’: ti lu ricu io.
SANTU
Ma jativinne, arrassative ‘e lluocu ca si sientu a buve
me faciti morire. Quannu e mai ‘u vinu ha fattu male?
MARAFRANCISCA Tu tieni ‘a capu tosta? Ti la viri sulu roppu.
SANTU
Quannu me capite cchiù ‘n’occasione ppe’ ‘ntruzzare
ccu’ lu nepute mie Riamunnu, quannu muoru?
Abbicinative, gioia.
374
RIAMUNNU
(Si avvicina insieme a Dora) Ccu’ piacire, zu’ Sa’.
Alla salute ‘e tutti quanti nue ppe’ cento anni.
SANTU
(Mentre beve la sua mano trema in maniera evidente)
Ah, cchi sapure, cchi soddisfazione, signu cuntientu.
RIAMUNNU
Zu’ Sa’, chissu è ‘nu ricordu chi mi lu puortu sempre
ccu’ mie.
DORA
Zu’ Santu è ‘n’uomine veru, ne passe a tutti ancora.
MARAFRANCISCA Però s’ha de guardare, ca è conzatu a pinnuli e
‘gnezione: ‘n’attaccarizzu prima e dopo i pasti.
DORA
Povariellu, me rispiace.
MICHELE
Pruovu a fare ‘nu brindisi, attenzione: ‘ssa sirata chjna
‘ amure è tantu bella e spanne ‘ntuornu l’allegrìa,
bonuvenuti a bue signori alla casa mia.
(Tutti battono le mani)
CRIMENTINA
PASQUALE
COSIMA
RIAMUNNU
Grazie, grazie assai.
Io ‘a volissi dire puru ‘ncuna cosa, ma ‘e parole se
fermanu alla gola e nun escianu. Riamù’, pensece tu
ppe’ mie.
Silenziu, silenziu ca parre Riamunnu.
Cchi bellizza, quantu armonia ‘ntuornu a ‘ssi giuvini
chi se purmintanu amure,’ na cosa bella chi ni
l’arricordamu ppe’ tutt’a vita, fazzu l’aguri ‘e core
allu zitu e alla zita.
(Nuovo battito di mani)
SANTU
GIGINIELLU
SANTU
RIAMUNNU
GIGINIELLU
RIAMUNNU
‘Mparate Giginì’.
Ma chissu è ‘nu poeta ‘mericanu, nannù’
E’ Riamunnu, neputì’: ‘nu figliu ‘e ‘ssa terra peracise.
Bravu a Giginiellu, ha fattu ‘na domanda propriu
difficile. È propriu ‘e cussì, gioia: all’Italia me
chiamanu ‘u mericanu e all’America ‘u ‘talianu; va’
speghe ‘ssa cosa!
E pecchì?
Pecchì quannu ti ne vai e ra terra tua ppe’ tantu
tiempu pierdi tante cose belle ppe’ la via, ‘ntra re tie
se scave ‘nu vuotu, ‘na mancanza chi ti la puorti
375
appriessu ppe’ tutt’a vita. Chissu ‘u po’ capire sulu
chine ‘u prove.
SANTU
Te capisciu, gioia, e cumu te capisciu.
MICHELE
Riamù’, papà, e lassatice jire ccu’ ‘ssu ragionamentu
seriu.
PASQUALE
Stasira nun c’è tiempu ppe’ ‘sse cose, n’amu sulu ‘e
divertere.
ROBERTU
Zu Riamù’, allura pensece tuni a r’animare a cosa.
MARIUZZA
Raveru, tu si’ lu cchiù indicatu, ca tieni fantasia.
RIAMUNNU
Va bene. Allura ce vo’ la musica, ca è ‘na mericina
potente.
GIUVANNINA
Bravu a Riamunnu: mo’ ce vo’ lu ballu.
CRIMENTINA
‘Na bella sonata appassionata e si’ ca te sienti ricriare.
DORA
Zu Sa’, attientu, ca mo’ se aperanu ‘e danze.
SANTU
Cchi se aperanu?
DORA
Se balle, tu nun lu fa’ puru ‘nu giru?
SANTU
E cumu no; me, ccu’ mia moglie. No, Marafrancì’?
MARAFRANCISCA Se, ccu’ le stampelle. Va esce ‘e lluocu, va’.
SANTU
Riamù’, chissa nun piglie mai ‘u scherzu: è ‘na donna
all’antica e puru nervosa.
GIUVANNINA
Santì’, minte ‘nu bellu discu: ‘nu tangu ca i ziti
aperanu ‘e danze.
SANTINU
Quale tangu, ma’: quello del mare o delle capinere?
GIUVANNINA
Quello dell’amore, ch’è lu cchiù biellu e vince
sempre, pecchì tene ‘nu rittaggiu: l’amure nun
s’accatte.
RIAMUNNU
Allura aspettati, ca lu canusciu io ‘ssu motivu e vi lu
fazzu sentere (esce tra la sorpresa di tutti).
GIUVANNINA
Do’, ma duve è jutu?
CRIMENTINA
Sicuru ne fa ‘ncuna sorpresa Riamunnu.
DORA
Chissu cchiù ca rici: si ne ‘nvente una ‘u momentu.
RIAMUNNU
(Rientra insieme ai musicanti) E mo’ sì ca potimu
ballare ppe’ daveru. (A Mariuzza e Robertu) A bue
l’onore ‘e cuminciare ‘u ballu, ca siti i festeggiati ‘ntra
‘ssa sirata ‘e sapure anticu, chi inchje lu core ‘e tantu
amure.
GIUVANNINA
Grazie, Riamù’, ppe’ ‘ssu toccu ‘e fantasia chi fa’
cchiù bella ‘a festa ‘e Robertu e de Mariuzza mia.
376
RIAMUNNU
E allura musica ‘fina a domani.
(I musicanti intonano la cumparsita e Mariuzza con
Robertu aprono le danze e, dopo un po’, ballano anche
gli altri. Alla fine del ballo c’è un intenso battimano e
tutti i personaggi, infine, si prendono per mano,
schierandosi sul palcoscenico a formare un
semicerchio. Cala il sipario).
FINE
377
‘U POSTU E GIACOMINU
ATTO UNICO
378
PERSONAGGI
GIACOMINU
LINUZZA
FURTUNATU
SARINA
GUSTINO
GASPARUZZU
PASQUALINU
GRABIELE
La scena si svolge in una stanza soggiorno, arredata con mobili di stile moderno.
Una porta comunica con l’esterno e un’altra è l’ingresso della cucina.
379
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
(Si aggira per la stanza manifestando nervosismo ed
euforia).
E' fatta, ne signu sicuru cum'a morte. Si sarvatu
Giacomì’, chilla c'arrive mo’ è chilla bona, a littera cchiù
‘mportante ‘e r'a vita tua, chilla chi te conze ‘mparu ppe’
sempre. Mi la sientu propriu. (Guarda l'orologio). E'
quasi ura, mo’ avissi de passare a posta. Maronna mia,
cumu me vatte lu core, parica parre, cumu me volissi dire
‘na cosa. (Si mette la mano al cuore) Gioia mia,
cumporte puru tuni n'atra pocu, ca pue zumpamu,
griramu ‘e r’a gioia. (Va verso la porta e origlia) Parica
avìa ‘ntisu sagliere. Maniete Grabie’, fa priestu, porteme
‘ssu ‘nguientu chi me sane. Tuppitù. Chin'è? Signu
Grabiele ‘u postinu. Vaiu raperu e mi lu truovu ravanti
Te Giacomì’, c'è ‘ssa raccomandata ppe’ tie. L'abbrazzu
forte forte e lu ringraziu, pue pigliu ‘a littera, ‘a raperu
delicatamente, sgangheru l'uocchi e la lieju: Giacominu
Speranza, finalmente il tuo caso è quagliato, presentati
domani alle ottu precise, alla sede centrale della Cassa di
Risparmio di Cosenza, per prendere servizio. Ti auguro
una splendida carriera, firmatu ppe’ r'estesu, onorevole
Mivasi. (Intanto sente bussare alla porta. Salta di gioia,
portando una mano al petto). E' arrivatu, Maronna mia, è
arrivatu! Grabiè’, ca viegnu. (Va ad aprire e si trova
davanti la fidanzata. Rimane visibilmente deluso). Cumu,
‘un si Grabiele?
Quale Grabiele, sta sbariannu?
Scusame Linù’, aspettava la posta!
Me bire, me bire cchi smerullatu! E r'è cchiù ‘mportante
‘e mie ‘ssa posta chi stava aspettannu?
Tutt'e ruve, siti ‘mportanti tutt'e ruve
Bravu a ttie, si ‘na bella rropa, ‘mbece ‘e zumpare ‘e r’a
gioia quannu m'ha vistu, si rimastu cumu nu trunzu
carrinu. Bellu amure è llu tue, propriu ‘e chilli vruscenti.
‘U postu Linù’, Grabiele m'avìa de portare ‘u postu, e lu
stava aspettannu.
Quale postu, ti l'ha sonnatu stanotte?
(Visibilmente scosso) Noni, Linù’, senza sonnare, mi c'è
jutu a ‘na vota ‘u pensieru. Appena signu azatu ‘e r’u
380
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
liettu stamatina, m'haiu ‘ntisu ‘na cosa ‘ntr'a vita... cumu
‘na vuce chi me ricìa: Giacomì’, è arrivata l'ura, preparete
alla ranne notizia
E tu fissa fissa si preparatu, no?
E c’avia de fare allura, me jia curcava torna?
Miegliu avia fattu, ‘u’ lu vì cchi biellu risurtatu chi n'è
jesciutu! Bi, mo’ carmete ‘nu pitazzu, cchir’é ‘ssu
tremulizzu chi t'è chiavatu?
E' ‘na parola, cumu fazzu a stare carmu; ce piensi ‘na
pocu cchi chjna ranne ‘u postu, Linù’, ‘a secia ‘mpara,
eramu sarvati tutt’i ruvi, finalmente ne potiamu spusare!
Si, ccu’ la fantasia! Io signu diventata scridebbole
Giacomì ‘un criju cchiù a nente, si ‘un tuoccu ccu’ le
manu.
Statti tranquilla, priestu te fazzu toccare.
Ci haiu piersu ‘e speranze, ca tu ‘u’ l'ha vistu ‘nfin’a mo’
quantu littere te su arrivate, sempre vacante: prumise e
mai fatti….”Mi sto interessando, non avere fretta, ci
vuole pazienza”…, ti l'ha scordatu? E chissa c’arrive mo’
sarà la stessa, una ‘e r’e solite, chjna ‘e fumu e senza
arrustu.
Noni Linù’, te sbagli; criremme, ‘ssa vota ‘a littera
c'arrive è chjna.
Chjna ‘e aria fritta! Ma, va biellu, cerche ‘e atterrare, nun
fare volare ‘ssu ciarviellu ‘e l’ariu ariu.
Tu rici ‘e cussì? Pue mi lu sai a dire quannu te fazzu
virere i fatti; cumu cangi parrata pue.
Cange capu ‘mbece ch’è miegliu, sente a mie. Ma pue, si
ne sini propriu convintu, ca te sienti ‘ssa cosa ‘ntr’a capu
chi te parre...
Sini Linù’, ‘na vuce.
E allora, avissi de mancare ppe’ mie, si tu sienti ‘ssa vuce
io ‘un te guasto u’ programma.
E mo’ si c'ha parratu cunchiusa! Ohi Linù’, ti l’ammagini
quantu ‘mbiria, cumu restanu ccu’ ‘nu parmu ‘e nasu tutti
l'amici e li parienti quannu ‘u sannu? Sa cchi race chi le
vene. Tutt’u paise se ‘mbervere, ‘na parrasia guala:
Giacominu ha pigliatu u’ postu.
Si è ppe’ chissu ‘un ce pensare, ca mi la viju io: t'accattu
381
GIACOMINU
LINUZZA
GIA COMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
‘nu paru ‘e corna e ‘nu fierru ‘e cavallu e ti le lighi alla
currìa, e pue si ca po’ stare tranquillo ‘e affascinu e de
‘mbiria!
Brava a Linuzza, ha trovatu subitu u’ rimediu, si propriu
‘nu tisoru, ‘na fimmina cunchiusa!
E ppe’ ‘sse cose lasse fare a mie, ca mamma mi l'ha
‘mparati tutti ‘ssi rimedi.
E si, chissi fannu parte puru ‘e r’a rota.
‘Sse cose su' de cchiù, a rota è a parte.
Simu ‘ntra ‘na vutta ‘e fierru, senza periculi.
E ca tu a gente è maligna, ‘mbiriusa, specialmente
l'amici, i vicini e casa e li parienti; chissi pue nun te ricu,
crepanu tutti ‘e r’a ‘mbiria.
Ma a mie cchi m'hannu ‘e fare: tantu tiegnu i corna!
E lu fierru ‘e cavallu puru.
Cchi dici, ‘un fuossi puru buonu ‘nu ciceru ‘e sale? Sai
com’è, cchi ce perdimu, stamu cchiù sicuri.
E cumu no, è sempre miegliu a r'abbondare. Ti lu cusu
‘ntra ‘nu sacchettiellu e ti l'attaccu alla maglia ‘e intra.
Chissu ppe’ avere a massima sicurezza, si no vastavanu
sulu i corna.
E già, i corna su’ sempre i miegli, tenanu cchiù potenza,
su’ cchiù canusciuti, appartenanu alla tradizione.
Certu, chine ‘u’ le tene allu munnu ‘e oje ‘nu paru ‘e
corna, vannu tantu e moda! (Si avvicina alla porta della
cucina e origlia) Parica ‘un sientu a nullu intra, si sulu?
E ‘un ti n'era addunata! Mamma e papai su juti a fare
l'uogliu allu trappitu e piensu ca ce vo’ stasira ppe’ se
ricogliere.
E chilla ‘nzilletta ‘e suortata a duv'è juta?
E chilla cumu ci appunte ‘ntr’a casa; appena se aze la
matina se trove la sbiata, pruverie de ‘sse vie vie E'
moderna, le piace la libertà.
Tu rici ca è ppe’ la libertà o tene lu core ‘nfiammatu?
Macari, ‘e cussì mi la cacciassi de ‘ncuollu ‘ssa pesta.
Allura simu suli? (Con imbarazzo).
Certu ca simu suli, ‘u’ lu viri! Ma tu cchi paura tieni?
No, propriu, ‘a gente, ‘u’ lu sai cum'è, si ce minte a birere
a certe cose e nun sta queta.
382
GIACOMINU
LINUZZA
A tie cchi ti nne ‘ncarriche, abbastica stamu quieti nue.
Ah, chissu sini! Ricica me puozzu lamentare ‘e tie;
sempre a postu ‘e tutt’e manere.
GIACOMINU
Io signu onestu, Linù’, osservu l'usu anticu.
LINUZZ
Chissu l'avia già capito, ca era ‘nu ranne osservatore!
GIACOMINU
Forse tiegnu tuortu?
LINUZZA
(Con enfasi) Mah, io ‘u’ lu sacciu!
GIACOMINU
(Va ad origliare alla porta) Me fannu ‘e ricchie o c'è
‘ncunu?
LINUZZA
Duve va? Torna ‘u ronziu t’è benutu?
GIACOMINU
Parica avìa ‘ntisu caminare.
LINUZZA
E bia, ca te fannu ‘e ricchie.
GIACOMINU
I passi s'abbicinanu, Linù’; (gioiendo) è Grabiele! Sta
arrivannu ‘u postu! Vieni sente.
LINUZZA
(Si avvicina alla porta) E chissi su ‘na murrata ‘e gienti,
sente quantu passi! ‘U’ r'avissinu mannatu tutt'u
personale ‘e l'ufficiu postale a te portare ‘a littera
raccomandata?
GIACOMINU
Nun lu sacciu, ma chissa è l'ura chi passe Grabiele. (Porta
la mano al cuore) Maronna mia, cumu zumpe forte u’
core.
LINUZZA
Carmete, carmete, preparete a tuttu. (Si sente bussare con
insistenza alla porta).
GIACOMINU
(Con affanno) E' arrivatu. (Gridando) Grabiè’, gioia mia,
ca te raperu. (Apre la porta e si trova di fronte gli amici
che, con la scusa di giocare a carte, si vogliono gustare
fino in fondo lo scherzo preparato da loro a spese di
Giacomino. Vedendo gli amici, Giacomino rimane di
gelo. Linuzza scuote il capo, manifestando la sua
delusione).
FURTUNATU Chi cos'è, chir’è ‘ssu funerale; ‘e cussì accuogli l'amici,
pari ‘a Maronna ‘e r’u juovi santu!
PASQUALINU T'è successa ‘ncuna cosa?
GIACOMINU
Tutti vue erati? Eh mannaia la furtuna! Trasiti erv’e rò’
GUSTINU
E chine pensava ca eranu, allura aspettavi a ‘ncun’atru?
GIACOMINU
(Deluso). Ma cchi ne sacciu!
GUSTINU
Bravi a illi; ‘u vi’ cumu si la spassanu suli suli i ziti
frischi.
GASPARUZZU Chissi ‘a sannu longa!
383
LINUZZA
PASQUALINU
LINUZZA
SARINA
E bue rumpiti l'ova sempre allu mumentu giustu.
Se vire ca ne piace la frittata Linù’.
Cchi r’è chi ‘un ve piace a vue: siti belli marchiari!
M’e scusare Linù’, io nun volìa venire, ma ‘ssi riavuli mi
ci hannu portatu ‘e ‘nforza.
LINUZZA
Nun te rare pensieru, Sarì’, anzi m'ha fattu piacire ca si’
benuta ‘e cussì ne facimu ‘na chiacchiarata.
FURTUNATU Giacomì’, te viju fattu giallu, forse ‘un sta’ buonu?
GIACOMINU
(Con enfasi) Tiegnu ‘a freve gialla! E chine ti ce fa stare
buonu, c’è sempre ‘ncunu ronziu ‘ntra la capu.
FURTUNATU E ‘ssi tiempi speciarmente! Te capisciu, te capisciu.
SARINA
Linù’, ma vue siti raveru suli?
LINUZZA
E ‘u’ lu viri. Però stavamu sulu parrannu.
GUSTINU
Sapimu?
GASPARUZZU Subitu ‘a mala lingua jette botte. E pue, ammissu ca
fuossi chillu ca piensi tuni, cchi c’è de male? Forse ‘un
tenanu ‘e carte in regula?
LINUZZA
Cumu siti simpatici tutti ruvi, ricica aviti atru a cchi
pensare. Assettative si v’aviti ‘e assettare, ca me pariti
canniele. (Linuzza fa gli onori di casa. Tutti gli altri si
mettono a sedere, mentre Giacomino rimane in piedi
vicino la porta d'ingresso origliando).
SARINA
Allura Linù’, cchi me rici ‘e belllu, n’amu ‘e virere ‘e
tantu tiempu.
LINUZZA
(Si va a sedere vicina a Sarina) E cchi te ricu, se cumbatte
Sarì’, ne difendimu.
PASQUALINU Ah! Ma cumu su comode ‘sse sece, se sta propriu ‘e
patreternu, su propriu riposanti.
GUSTINU
E ca parica a tie t’ha stancatu ‘a fatiga? Benerica sta
lindruniannu ‘e quannu si natu!
PASQUALINU Ca tuni si’ scoscinatu, povariellu! ‘U’ lu vi’ cumu si’
‘nchiattatu.
GASPARUZZU A dire ‘a verità, simu stancati tutti, ‘ssu governu ne vo’
bene, ne fa riposare!
FURTUNATU E aspettamu a chine ‘u’ ‘mbene mai.
SARINA
E chin’è c’avissi de venire?
FURTUNATU A manna ‘e r’u cielu! Mo’ fa puru ‘a stonata. ‘U’ lu sai
chine ha de venire?
SARINA
Già, m’era scordata: Baffone!
384
GUSTINU
Ma quale Baffone, ‘u postu Sarì’; si no quannu ve
spusati, ‘u mise ‘e maiu? (Giacominu, sentendo nominare
“u’ postu” ed ha un sussulto).
GASPARUZZU Giacomì’, cchi t'è chiavatu, ha pigliatu ‘a corrente?
GIACOMINU
Nente, nente, signu sgrizzatu ‘e r’u friddu.
GASPARUZZU E mintete ‘n’atra maglia, cchi aspietti.
GUSTINU
Macari puru i mutandoni ‘e lana.
LINUZZA
(Accortasi dell'imbarazzo del fidanzato, cerca di
giustificarlo) Ma quale maglia, è de stanotte chi tene ‘nu
pocu ‘e freve e le fa’ a sgrizzuni? Giacomì’, e pigliatillu
‘n’atru pinnulu.
GIACOMINU
(Giacominu non capisce l'antifona) Tu sbarìi, ca quale
pinnulu m'haiu pigliatu cchiù?
LINUZZA
(Gli fa cenno di acconsentire) Fa’ puru ‘u scordatu mo’?
Chilli ppe’ la ‘nfruenza, quali?
GIACOMINU
(Finalmente capisce) E su’ male finiti chilli.
FURTUNATU S’è ppe’ chissu, nun te preoccupare, Giacomì’, ne tiegnu
unu io a portate ‘e manu: risurtatu garantitu.
SARINA
Ha parratu ‘u farmacista "salute"! Te paria; buttiglielle e
scatulicchie sempre appriessu.
GUSTINU
A ‘ssu priezzu, parica ci ha suratu?
FURTUNATU Citu tuni, malannà’. (Prende dal taschino una scatolina)
Eccu servitu il nostro Giacomino!
GIACOMINU
(Prende la scatola) Allura tu rici ca m’aggiove?
LINUZZA
(Famme virere ‘na picca a mie, ‘u’ l'avissi ‘e mannare
all’atru munnu. (Prende la scatola e legge)
Po...Posto...sicur.
FURTUNATU Postosicur, Linù’, statti tranquilla.
LINUZZA
E ca tu ti n’e ‘ncarricare! La ‘mbentata tu ‘ssa mericina?
FURTUNATU E’ nova, vene d’a Sguizzera: lla su precisi! Va bene
cuntra tutti i ruluri, ‘e capu, ‘e trippa; pue ppe’ lu nervusu
su’ ‘na cosa santa.
LINUZZA
(Dubbiosa) Te, tenatilli gioia, curaticce ‘e cose tue, ‘un
m’avissi ‘e cumbenare ‘ncunu guai!
FURTUNATU Giacomì’, tenete a freve! Io te volìa sanare. Pigliatilla
ccu’ la cara fidanzata scantitusa: illa nun vo’, cchi ce
puozzu fare io?
GIACOMINU
Grazie, ‘un fa nente; mo’ parica me sientu miegliu.
385
LINUZZA
Sarì’, ha trovatu ‘ssu miericu ppe’ zitu, la salute ti la cure
bona!
SARINA
Si, puozzu rormere a sette cuscini! Speriamu però ca ‘un
carissi malata, ca sinnò...
GUSTINU
Beh, giuvinò’, simu venuti cca ppe’ fissiare? Ni l’amu ‘e
fare ‘ssa partita o ni ne jamu? Gasparù’, ‘e carte duve
su’?
GASPARUZZU Eccole cca, nove ‘e zecca.
PASQUALINU Allura cumu facimu, jocamu ‘ncinque no?
GASPARUZZU Certu, cumu sempre. Giacomì’, tu si’ prontu?
GIACOMINU
Nun mi la sientu Ga’, nun signu ‘nforma; jocati vue ppe’ oje.
GUSTINU
E no Giacomì’, ‘u’ nill’e fare ‘sse cose: prima ne ‘mbiti e
pue ‘un bo’ jocare?
GIACOMINU
E r’è curpa ‘e r’a mia forse? ‘A freve neca t’u manne a
dire quannu te vene.
PASQUALINU Ma guarde ‘nu pocu cchi scarogna, nè prima nè pue l'è
pigliata propriu oje!
LINUZZA
Vue n’avìti gulia ‘e jocare? E jocati: ce siti quattru e chi
jati girannu?
FURTUNATU E sini va’, sai cum’è, ‘e carte portanu sempre agitazione e
allu statu ch'è Giacominu po’ esere periculusu.
‘Nzignamu nue, pue si cchiù tardu se sente miegliu ‘u
facimu trasere. Sarì’, ppe’ piacire, ‘un stare arrieti ‘e mie
ca si’ gia sperimentata, me fa’ perdere sicuru. ‘A batosta
un po’ mancare.
SARINA
Ih, cumu ‘a fa’ longa, mi ne vaju si, statti squitatu, ‘ssu
superstiziusu!
LINUZZA
Sarì’, lassali perdere, vieni ca parramu ‘e r’e cose norre.
SARINAì
(Andandosene) Ricriete, jochete i jurni!
FURTUNATU Ah, cchi pace ... (Sarina lo guarda di traverso).
GUSTINU
Giacomì’, armenu vieni guarde, cchi fai vicinu a ‘ssa
porta ‘mpalatu?
GIACOMINU
Nente, aspiettu.
GUSTINU
A cchine aspietti?
GIACOMINU
A nullu, propriu a nullu, pensati a jocare e ‘un vi ne
‘ncarricati. (Fra di se) ‘U sacciu io cchi tiegnu ‘ncuollu!
GUSTINU
(Che ha sentito la frase di Giacomino) Riciannillu ca
virimu si te potimu aiutare a te scarricare su collatu. Vue
cchi ne riciti?
386
FURTUNATU
Cchi bue ca te ricu: facimu i posti ch’è miegliu. ‘A carta
cunnanne.
(Linuzza e Sarina confabulano fra di loro. Giacominu passeggia
nervosamente vicino la porta, mentre gli amici iniziano a giocare).
GASPARUZZU (Dopo avere mischiato le carte, ne da una ciascuno per
fare i posti) Allura sceglie Pasqualinu.
PASQUALINU Io riestu duve signu.
GUSTINU
(Riferendosi a Furtunatu) Io viegnu duve ttie e tu allu
postu ‘e Gasparuzzu. (Ognuno si sistema al proprio
posto).
GASPARUZZU Allura potimu cuminciare.
PASQUALINU Quantu facimu ‘e messa?
FURTUNATU Minimu mille a testa, menu ‘e chisse cchi ba fa.
SARINA
(Avendo udito) E si, minati ‘ngruossu, tantu siti tutti
benestanti.
FURTUNATU Ma cchi musica! Ppe’ piacire ‘un cuminciare, ca io tiegnu
bisuognu ‘e concentrazione, sinnò me azu e mi ne vaiu.
SARINA
Ma ppe’ piacire! Ca tu ‘u granne chirurgu chi opere
supr’u core. E cumu se po’ parrare!
FURTUNATU Linù’, chiamatilla ppe’ piacire, fucacce ‘u mussu. (Sarina
fa un gesto di stizza).
GUSTINU
E oje ‘u’ ni ne virimu bene! E lu cip quantu facimu?
GASPARUZZU Minimu cinquecientu.
LINUZZA
Ha parratu l'atru ‘mericanu.
GUSTINO
Gasparù’, avissi ‘na sigaretta?
GASPARUZZU (Prende il pacchetto) Ruve sule ci ne su rimaste, n’e
fumamu ‘e cussì ne stujamu ‘u mussu. Te, Gustì’,
strazza.
GUSTINU
(Strofinandosi le mani) Pasqualì’, te trovassi ‘nu fosparu?
SARINA
Ma a ttie te manche tuttu Gustì’!
GUSTINO
A carta vo’ fumu Sarì’.
SARINA
Ma si ‘un tieni l'arrustu cumu ‘u fa’ ‘u fumu?
LINUZZA
Amu scopertu tutt’e ricchezze! ‘U voliti ‘nu consigliu?
GUSTINU
S’è buonu ppechì no?
LINIZZA
Ccu’ ‘ssi quattru sordi c’aviti, jative accattati ‘e sigarette.
SARINA
E li fospari puru. (Gustinu fa un gesto di lasciar perdere).
FURTUNATU Ma cchi taluornu! Ppu...ppu...ppu.. Ogne tantu ‘nu sfogu
387
e subitu te ‘ncanianu. Si sapìa ‘un ti ce portava propriu
appriessu.
SARINA
Sente a r’illu! ‘Un te rispunnu ca si no n’amu ‘e liticare.
FURTUNATU (Guarda Sarina con aria di sufficienza) Linù’, pruvirecce
tu ppe’ piacire.
LINUZZA
Lassamule jire Sarì’, facce fare chillu chi vonnu, ca nue
ni ne stamu ppe’ li fatti nuorri.
FURTUNATU ‘U volissi Gesucristu!
GASPARUZZU Allura, carte fa Gustinu. (Gustinu mischia e da carte).
PASQUALINU (Guarda le carte e riflette a lungo) Aperu.
FURTUNATU Juocu.
GASPARUZZU Passu.
GUSTINO
Juocu puru io. Carte?
PASQUALINU Tri carte.
FURTUNATU A mie ruve.
GUSTINU
Io signu servitu
PASQUALINU Parola al servito.
GUSTINU
Piattu.
FURTUNATU (Dopo avere riflettuto un po’) Vedo.
PASQUALINU Io mi ne vaiu.
LINIZZA
E pecchì ti ne vai, aviti ‘nzignatu moni! (Tutti ridono).
PASQUALINU Vene a dire ca ppe’ ‘ssu giru nun juocu Linù’.
LINUZZA
E chin’e sa tutti ‘ssi scami!
FURTUNATU Allura Gustì’, cchi tieni.
GUSTINU
Fullu ‘e assi.
FURTUNATU Ma guarde ‘nu pocu….Ha vintu, signu rimastu ccu’ lu tris.
SARINA
E r’è la prima botta.
FURTUNATU (La guarda di traverso) E ccu’ tie stasira ‘u’ r’è cosa,
avoglia ‘e sbursare rinari.
(Di tanto in tanto gli amici, osservano i movimenti nervosi di Giacomino e,
facendosi dei cenni d'intesa, abbozzano dei sorrisi sarcastici).
SARINA
FURTUNATU
Ca parica ‘un ne tieni? (Si continua a giocare)
(Dopo avere guardato le carte) Me famme passare ppe’
‘ssa vota, ca i niervi su’ già azziccati alla capu.
GASPARUZZU Bussu (Batte forte due volte il pugno sul tavolo e
Giacominu ha un sussulto, credendo che abbiano bussato
alla porta).
388
GIACOMINU
Linù’, a porta, hanno ‘mbussatu. (Tra se) E' arrivatu! (Va
per aprire, mentre gli amici trattengono le risa).
LINUZZA
Aspette, aspette ca vaiu io. (Va ad aprire la porta e non
trova nessuno) Ma te si’ sonnatu, ‘u vi ca ‘un c’è nullu?
GIACOMINU
Eppuru haiu ‘ntisu ruvi corpi, unu appriessu all’atru!
LINUZZA
(Chiude la porta e torna a sedersi) Ma runete ‘na carmata,
ca mo’ ogne tri te paranu quattru. Assettete ‘nu pitazzu.
GIACOMINU
E le murroide adduve ‘e manni? Te si scordata?
GUSTINU
Puru a r’ille tieni! E te ricu io!
LINUZZA
E' conzatu propriu buonu, vi’, ppe’ le feste. ‘Un bastava
la freve chi ti lu fa scantare ogni pitazzu!
SARINA
Raveru, ‘a freve è sole fare ‘ssi sgherzi.
LINUZZA
E la sua è ‘na freve forte, propriu speciale.
FURTUNATU Diecimila.
SARINA
Sente cchi freve chi tene ‘ss’atro! Mine ll'uocu.
GUSTINU
Viste le diecimila.
SARINA
Fullu ‘e assi.
FURTUNATU Full ‘e jecchi.
GUSTINU
Colore.
FURTUNATU Ahi allu culutu ‘e r’a miseria, oh. Chiame tre carte e fa
culure!
SARINA
E r’è lu secunnu corpu! Ma cchi Furtunatu si’: mammata
t’avìa de chiamate scarognatu.
GUSTINU
Alle carte ce vo’ marria, vonnu sapute spizzicare, vonnu
allisciate chianu chianu.
FURTUNATU Certu, si no se sc-cantanu! Carta vene e jocature s'avante.
Vo’ stare buonu ‘ssu prosiu chi tieni!
LINUZZA
Cchi, jocatù’, v’u pigliati ‘nu liquorinu?
GUSTINU
E cumu no, addimmnanni puru?
LINUZZA
Sai cum’è, se po’ esere puru a dieta!
GASPARUZZU Quale dieta, cca simu tutti sanizzi. Porte a purvera ca ti
n’adduni.
GUSTINU
Si c'è, a mie ‘nu cognacchinu!
PASQUALINU Puru a mie, possibilmente francese.
LINUZZA
Furtunà’, tu cumu l'atri?
FURTUNATU Si tieni n’amaru Averna è miegliu.
LINUZZA
Parica ci ha de resere. Giacomì’, c’è l’amaru Averna?
GIACOMINU
E chi ne sacciu, apere ‘ssu stipu e bire!
389
(Mentre Linuzza prende i liquori, si sente bussare alla porta e
contemporaneamente chiamare: Giacomì’. Giacomino è incontenibile dalla
gioia e corre verso la porta, lo stesso fa Linuzza che, dalla fretta e per
l’emozione, fa cadere un bicchiere. Gli amici si gustano la scena).
GUSTINU
Quantu sc-canti ppe’ ‘na ‘mbussata alla porta, manco si
fuossi lu terrimutu!
GIACOMINU
E’ arrivata! Finarmente è arrivata! (Gli amici smettono di
giocare e abbozzano risate beffarde).
GASPARUZZU Chine Giacomì’, chin’è ch’è arrivata? U’ presidente ‘e r’à
repubblica?
(Linuzza e Giacomino afferrano contemporaneamente
la maniglia della porta e, aprendo, si trovano davanti Gabriele).
GIACOMINU
GRABIELE
LINUZZA
GRABIELE
FURTUNATU
PASQUALINU
GIACOMINU
GRABIELE
GIACOMINU
GRABIELE
GIACOMINU
GRABIELE
(Non crede ai suoi occhi) Gioia mia, Grabiè’, cumu te sì
fattu aspettare!
(Entra) Pecchì, me stava aspettannu?
Grabiè’, l'amici s’aspettanu sempre!
(Accorgendosi degli altri) Siti ‘na bella cumpagnia: bravi
a vue, vi la sapiti gorere ‘a vita! Io ‘mbece supra e sutta
ccu’ ‘ssu biellu collatu.
Però tu ‘u vintisette ‘ncassi ‘na bella mazzetta (Stropiccia
l’indice e il pollice).
Nuve ‘mbece aspettamu ‘u postu jocannu.
(Fremente) Grabiè’, e allura?
Ah già, m’era scordatu! (Cerca nella borsa) ‘N’atra
raccomandata, Giacomì’. Me pare ca chissa è la terza
‘ntra ‘ssu mise o me sbagliu?
Sini, Grabiè’, nun te sbagli propriu. (Impaziente) Duv’è?
E cchi pressa, chianu, chianu. Eccola cca. (Giacominu gli
toglie la lettera dalla mano e la osserva a lungo).
Minteme ‘na bella firma cca e simu appostu.
Subitu, subitu, Linù’ ‘na pinna.
Te ‘a pinna. (Giacominu firma nervosamente). Tuttu
appostu, speriamu ch’è ‘na cosa bona. Ve salutu a tutti e
bon divertimentu.
(Rispondono in coro: statti buonu Grabiè’)
390
LINUZZA
E mo’ ti ne va ‘e cussì, aspette ca te uoffru ‘nu
beccherinu.
GRABIELE
Grazie ‘u stessu, ccu’ la posta ‘un se fissie, chissu è ‘nu
serviziu seriu
LINUZZA
Cumu vo’ fare tu, io ‘un te fuorzu.
GRABIELE
Arrivederci.
LINUZZA
Statti buonu, va’ ccu’ la Maronna. (Chiude la porta e si
avvicina a Giacominu che, in un angolo della stanza,
tiene la lettera stretta al petto).
GUSTINU
Ma cumu simu sfurtunati oh! A nue nun ne scrive nullu.
GASPARUZZU E chine ne canusce a nue, sulu chillu farabbuttu ‘e r’u
statu ppe’ la chiamata alle armi!
GUSTINU
Tannu fricatinne! Te venanu trovanu puru ‘ntr’u ‘nfiernu!
FURTUNATU Giacomì’, ma è ‘na cosa ‘mportante?
PASQUALINU E ‘u’ lu viri cumu pise, a tene ccu’ due manu!
GUSTINU
Me cumu è sanatu a ‘na vota, ci ha fattu passare puru ‘a
freve!
LINUZZA
Ancora ‘un se sa cchi c’è de intra.
SARINA
Ma a cumu viju ci ha de resere ‘na cosa ‘mportante.
LINUZZA
‘U volissi Gesucristu, chissu volimu nue.
GIACOMINU
(Raggiante e impaziente) Me benuta ‘na sita a ‘na vota,
ma ‘na sita chi ‘un ce cririti. Permessu ‘nu pocu, quantu
vaio vivu ‘ntr’a cucina (si avvia).
LINUZZA
Aspette ca viegnu puru io.
FURTUNATU A sita è ‘na malatia contagiosa.
LINUZZA
Propriu ‘e nente, ce vaiu ppe’ ‘n’atru motivo.
SARINA
Ma ‘nzomma vue cchi ne voliti fare duve va una, mo’
mintiti cuntu puru alla gente?
GUSTINU
Sicuru ‘e l'Africa vene ‘ssa littera: l'ha fattu venire
‘ss’arsura. (Tutti ridono).
GASPARUZZU Forse ci l’ha mannata Gheddafi.
LINUZZA
(Risoluta) ‘E duve arrive e chine a manne e manne su’
fatti nuorri. Giuvinò’, cum permessu ‘na picca.
GIACOMINU
Continuati a jocare ca nue venimu priestu priestu. (Esce
insieme a Linuzza).
FURTUNATU (Tra le risa generali) Ma cchi pianu oh, sta jiennu propriu
alla perfezione.
PASQUALINU Aviti vistu cumu si la rringìa forte allu piettu ‘u fissa!
GUSTINU
Cchi potenza oh, ‘na littera fasulla fa sanare ‘e malatie!
391
GASPARUZZU Però, cum’era convintu c’arrivava la posta!
GUSTINU
Ca illu tutti jurni fa de cussì, tutt’e matine tene ‘ssu
sberagliu; appena se aze se minte e r'aspette a Grabiele ‘u
postinu.
FURTUNATU Ma ‘ssa vota ci la trove daveru ‘a sorpresa, ce trove ‘ssu
biellu postu (tutti ridono). A ‘stura sa cumu zumpanu
tutt’ì ruvi.
SARINA
Ohi c'avìti cumbenatu! Ci aviti fattu ‘nu scherzu troppu
pisante. Ma adduve ci l’avìti ratu ‘ssu postu?
FURTUNATU A Cusenze, alla Cassa ‘e Risparmiu, ricica ‘u
mannavamu luntanu? Unu aspette tant'anni e pue puru
fore le tocche de jire? (Indicando Gustinu) ‘U vi’ ‘u
diretture, illu ha firmatu ‘e fattu l’assunzione.
GUSTINU
Però vue siti stati tutti ‘e commissione! ‘U parere
favorevole è statu unanime.
SARINA
Sapimu cumu ‘a piglie; ce po’ restare ‘e r’u tuttu! Io me
sientu ‘na vrigogna ccu’ Linuzza.
GASPARUZZU Duve va' pensannu! Statti squitata ca ‘un succede nente,
c’è don Gustinu chi tene li carmanti a portata ‘e manu:
pinnuli santi ppe’ sc-canti ‘e ‘ncazzatine.
PASQUALINU Cchi paura amu ‘e avire, Giacominu è collaudatu ppe’
‘sse cose, parica è la prima vota c’abbusche ‘ssi rifrischi,
l’onorevoli ‘u fissianu a decianni. Ppe’ Linuzza ancora
‘un canuscimu l'effettu chi le fa’; vo’ dire ca ne
preparamu a tuttu e simu appostu.
FURTUNATU Me staiu convinciennu ca ‘a cosa è seria; giuvinò’, faciti
jocare ‘u ciarviellu ppe’ birere cumu n’amu ‘e jescere ‘e
‘ssa storia. Ce vo’ tattica e strategia!
GASPARUZZU Cchiù da fantasia ‘e Gustinu, lassati fare a illu ca trove le
parole giuste ppe’ stutare ‘u fuocu!
GUSTINU
Senza chi vi n’esciti ‘e fore, aviti ‘e aiutare tutti. Io vo’
dire ca fazzu ‘u gruossu e bue faciti ‘e rifiniture.
GASPARUZZU Tuttu ochei! Chine accellere e chine frene. Vo’ dire ca
‘nzigne Sarina a jettare ‘ncuna botta e pue nue jamu ‘e
appriessu.
SARINA
A mie lassatime jire, chine l’ha cumbenatu ‘u ‘nquacchiu
si lu sbroglie!
PASQUALINU Cumu ‘a faciti longa, ‘n’atra pocu jati chiamati
all’ispettore Rok. Alla fine ‘e r’i cunti è sulu ‘nu scherzu;
392
GASPARUZZU
GUSTINU
SARINA
PASQUALINU
SARINA
GASPARUZZU
SARINA
FURTUNATU
GUSTINU
SARINA
GASPARUZZU
FURTUNATU
SARINA
GUSTINU
SARINA
GASPARUZZU
GUSTINU
FURTUNATU
SARINA
FURTUNATU
SARINA
PASQUALINU
SARINA
GUSTINU
ammettu pisante, ma sempre ‘nu scherzu fattu a
‘n’amicu!
Ormai è fatta, amu ‘e virere cumu n’amu ‘e jescere,
‘ntramente continuamu a jocare e aspettamu l'effettu.
Ottima idea. Furtunà’, fa carte, toccavanu a tie.
(Assorta e pensosa, va su e giù per la stanza) Maronna
mia, cchi brigogna!
Passu.
E li faccituosti si la jocanu.
Aperu io.
Volissiti chiusi tutti..
Io juocu.
Puru io.
E io me rannu l'anima. Chine mi l’ha fatta fare a benire
ccu’ ‘ssi riavuli pinnuti!
Damme tri carte.
A mie ruve.
Ma cchi biellu piattinu!
Servitu.
Vi lu rassi io ‘u servitu!
Parola al servitu.
Piattu.
‘A scarogna continue! Mi ne vaiu.
E miegliu fai, mi ne viegnu puru io (tutti ridono).
A duve vai, assettete ll'uocu e cumporte! Vene a dire ca
‘un biru a Gustinu! Ha capitu mo’?
Mintete l'occhiali.
(Si sentono dei passi) Preparamune, stannu arrivannu!
(Si fa il segno della croce) Pruvirecce tu Gesucristu mie!
Amici jocarini all’opera: cumince la grande scena!
(Giacominu e Lunuzza entrano baldansosi ed euforici.
Gli amici smettono di giocare)
GIACOMINU
GUSTINU
PASQUALINU
Signu sanatu! Furtunà’, Gasparù’, haiu vintu ‘a lutta, è
fatta!
Quale lutta, Giacomì’? Antura stava moriennu e mo’ pari
‘nu toru ‘nfuriatu!
Se vire c’ha trovatu ‘a mericina giusta.
393
GIACOMINU
GASPARUZZU
GIACOMINU
FURTUNATU
GIACOMINU
LINUZZA
GUSTINU
GASPARUZZU
PASQUALINU
GUSTINU
FURTUNATU
GASPARUZZU
GIACOMINU
GASPARUZZU
GIACOMINU
PASQUALINU
GIACOMINU
GASPARUZZU
FURTUNATU
PASQUALINU
LINUZZA
GIACOMINU
GASPARUZZU
FURTUNATU
(Ad alta voce) ‘U postu, è arrivatu ‘u postu!
Quannu, a duv'è?
‘Ntr’a littera, chilla chi m’ha portatu antura Grabiele.
Apposta avìa chilla freve cavallina.
Sini Furtunà’, era ppe’ chissu. Ma mo’ m’è sprejuta a ‘na
vota. Me sientu ‘n’atru, ‘n’uomine veru!
Avìa ragiune Giacominu, si la sentìa propriu ca oje
arrivava. Già ‘e stamatinu, appena è azatu ‘e r’u liettu, ha
avutu i primi sintumi.
Nuve però ni n’eramu accorti ca c’era ‘ncuna cosa grossa
in vista; l'agitazione ‘e Giacominu ‘un ne paria giusta.
Io ce criju puru a li signi ‘e r’u destinu!
Io puru, ‘nfatti ‘na matina me sentìa puru agitatu, cumu
‘na cosa c’avìa d'arrivare ‘na chiamata, aspette aspette
‘nfinu a menzijurnu e tutt’a ‘na vota m’è benuta ‘na
colica alle parte vasce: signu finitu allu spitale, m’hannu
avutu operare ‘e guallara! (Tutti ridono).
Se vire ca i sintomi ‘u’ r’eranu i stessi ‘e chilli ‘e
Giacominu!
Chissu è lu munnu: a chine l’arrive lu postu e chine se
opere ‘e guallara.
Tantu ‘a differenza è pocu. Giacomì’, a ttie t’è juta bona!
Certu, è finita l'agonia, l'aspettamientu, i sururi friddi:
amici cari ve salutu, romani pigliu serviziu!
A duve?
Alla Casa ‘e Risparmiu ‘e Cusenze.
Cchi furtuna, propriu ‘ntr’a casa! Lla ricica ‘un paganu
buonu?
‘U sacciu, ‘u sacciu: ricessette misate all'annu!
Propriu ‘a risgrazia, ‘un potìanu fare armenu riceuottu.
Chiamala risgrazia!
Riciti chillu ca voliti, ma Giacominu ha trovatu ‘a
mericina giusta.
Senza chi ‘ncuminciati a picciare, ca ‘u postu si l'ha
suratu buonu.
E cchi paura tieni Linù’: ce su’ illi! (Mostra i corni
attaccati alla cintura dei pantaloni).
Previdente l'amicu, puru colorati si l’ha trovati.
Crepassi chine tene ‘mbiria, mo’ ce vo’, parica ‘u’ lu
394
GUSTINU
GIACOMINU
LINUZZA
GUSTINU
GIACOMINU
sapimu quantu ha luttatu ppe’ ‘ssa secia?
Allura si’ propriu sicuru Giacomì’?
E me a r’illu! ‘A littera parre chiaru, è firmata dal
direttore generale. Linù’, va la piglie ca le facimu
specchiare.
Lassele jire a ‘ssi ‘mbiriusi, si ce vonnu crirere ce
criranu!
No ca ‘un ce cririmu, ma sai cum’è, certe vote ‘nu
sbagliu, ‘nu scherzu, cchi ce vo’; po’ puru succedere no?
Gustì’, tu sta’ rannu i numeri? Ma quale sbagliu; è tanta
chiara. (Deciso) Linù’, piglie ‘e buttiglie ca brindamu ‘e
cussì le passe lu dubbiu a ‘ss'amici.
(Linuzza si appresta a preparare da bere).
SARINA
(Con fare accomodante) Aspette Linù’, aspette ‘na picca,
c’è tiempu ppe’ ‘sse cose.
LINUZZA
Via cchi dici! Moni è lu momento giustu ‘e brindare e de
gioire!
SARINA
Sai cum’è, certe vote se po’ puru sbagliare.
LINUZZA
Nun te capisciu, cchi bene a dire?
SARINA
(Con imbarazzo) Nente, nente. (Sospirando) Eh mannaia
lu riavulu!
LINUZZA
Cumu nente, parre!
GUSTINU
Linù’, Giacomì’, certe vote ppe’ fissiare ‘e cose se
compricanu e r’è difficile a ne escere. A ‘ssa vita si ne
fannu tanti sbagli!
GIACOMINU
(Sospettoso) Ma cchi c’intranu mo’ ‘sse cose?
GUSTINU
C’intranu, c’intranu e cumu c’intranu! A bote, quannu
unu pense ca se fa’ ‘na passa ‘e mangiare ‘mbece more
d’u petitu!
LINUZZA
Ma cchi sta’ ‘mpapocchiannu, speghete buonu.
FURTUNATU Chissu è ‘nu filosufu, parre difficile.
GUSTINU
Linù’, sempre ppe’ curpa ‘e ‘ssu governu ‘nfame quannu
tanti giuvini lindrunianu tutt’u jurnu e ‘un sannu cumu
passare ‘u tiempu, pue finisce ca cumbenanu ‘ncunu guai.
PASQUALINU E a bote puru gruossu!
GASPARUZZU Chine se droghe, chine va arrupe.… nue, ‘ngrazia a Dio,
ne simu limitati a cose cchiù piccule.
395
GIACOMINU
GUSTINU
GIACOMINU
LINUZZA
GUSTINU
GIACOMINU
LINUZZA
GUSTINU
GIACOMINU
GUSTINU
GIACOMINU
GUSTINU
LINUZZA
GIACOMINU
GUSTINU
GIACOMINU
LINUZZA
SARINA
‘Nzomma, cca stati fissiannu? Cchi su’ ‘sse menze
parole?
Giacomì’, Linù’, l'amicizia è ‘na cosa ranne e sacra, ‘na
cosa chi ‘un s’accatte alla fera, è ‘na cosa chi lighe ppe’
sempre, cumu simu ligati nue ppe’ r’esempiu. E ‘ssa
ligatura troppu rritta a bote fa fare sbagli grossi: cumu
amu sbagliatu nue versu vue ruvi.
Quale sbagliu?
Chi Gustì’, sta’ rannu i numeri?
Magari, e cussì ne faciamu tutti ricchi! ‘Mbece staju
cercannu ‘e sbrogliare ‘na matassa! A mie m’e toccatu ‘e
parrare e parru. Speru ca a corda ‘un se rumpe e
l'amicizia rimane.
Parre, ppe’ mie ‘un manche, statti tranquillu.
Cchi tieni ‘e rire, sentimu!
‘U postu, Giacomì’!
Cchi c’intre mo’ ‘u postu?
Ti l'amu ratu nue, io e ‘ss’atri tri spasulati, ‘e bì’, chi mo’
stannu muti ‘e r’a vrigogna. (Giacominu e Linizza
cambiano colore in volto e rimangono interdetti).
Chiamene miserabili, sbrigognati, faccituosti, cumu vue
tuni, ma simu stati nue a te scrivere a littera ‘e
assunzione! Cchi t'haiu ‘e rire ‘e cchiù! Te cercamu
scuse, perdunu, ma chissa è la verità.
(Con le mani tra i capelli) No! Ppe’ l'amure ‘e r’a
Maronna! Riceme ca ‘u r’e veru, ca sta fissiannu.
Magari, e cumu fazzu!
Gesù, Gesù! Quanta ‘ngratitudine c’è allu munnu!
V’ammeritassiti ‘na sputacchiata. Apposta si la ririanu i
farabutti. Ma ‘u’ vi ne ‘ncarricati...
(Disperato) Ohi cchi m’aviti fattu! Carognuni, ‘ngrati!
(Rientra in se) Ma mi la pagati cara, ve fazzu virere io
chin’è Giacominu. Chissi ‘un su scherzi ‘e fare.
Ma carmete Giacomì’, sente ‘na pocu.
E c’haiu ‘e sentere ‘e vue, ‘ncun’atra pastocchia?
Ammutati ppe’ piacire, si no ‘un se sa cumu va a finire.
Sarì’, e puru tuni te minti a fare ‘sse cose? Proprio ‘e tie
‘un mi l'aspettava!
Ti lu giuru supra ‘ssa santa jurnata, nun ne sapìa nente,
396
era allu scuru ‘e tuttu, antura mi l’haru dittu. Linù’,
crireme, ppe’ lu bene chi ne volimu!
LINUZZA
E bravi all’amici, i cumpagnuni fidati! Ppe’ chine l'aviti
pigliatu a Giacominu, ppe’ ‘nu pupazzo? Scustumati!
Tenanu puru ‘u curaggiu ‘e parrare.
FURTUNATU Puozzu rire ‘na parola, no ppe’ atru, ma ppe’ chiarire ‘e
cose.
LINUZZA
Ti la po’ risparmiare, ‘e cose su’ già chiare abbastanza,
anzi su’ trugule propriu.
FURTUNATU Nue nun volianu arrivare ‘nfinu a ‘ssu punto, ma vue,
appena è arrivata a littera, siti fijuti ‘e pressa la dintra, si
no ‘u’ r’era statu nente, vi l’avissimu rittu prima ca era
‘nu scherzu, ni ce facianu ‘na bella risata ‘e supra e tuttu
era finito. Grazie ca pue su compricate ‘e cose.
GASPARUZZU C’è statu ‘nu contrattiempu, n’errore ‘e copione, si no era
‘nu scherzu semplice, cumu tanti.
LINUZZA
Sente a pistillu, ancora ‘u chiame scherzu! Chisse su’
cose ‘e curtellate.
GUSTINU
E dai mo’, Linù’, cumu a faciti longa, ne simu permessi
ppe’ la troppa amicizia. Giacomì’, e sbersala. (Giacomino
rimane muto e pensoso).
LINUZZA
‘Un vi ne ‘ncarricati, vo’ dire ca ne dissobrigamu priestu,
chisse su’ pitte e pane chi se rennanu.
SARINA
Brava, e cussì me piaci! A tiempu opportuno ve renniti
tutto, cussì se ‘mparanu ‘ssi spalamandri.
GASPARUZZU E chine se murmure, nue accettamu tuttu, simu
marchiari!
PASQUALINU Certu, certu, ‘e Giacominu e de Linuzza accettamu chillu
chi vonnu e ringraziamu puru.
LINUZZA
Giacomì’, nun ce rare gustu, lassele perdere, falle
assincerare ca a tiempu opportunu ne rennimu ‘u scherzu.
GUSTINU
T’arricummannu, no cchiù pisante ‘e chissu; ricica ne
potiti mannare i carabinieri alla casa ?
LINUZZA
Chissu v’ammeritassiti.
FURTUNATU (Batte la mano sulla spalla di Giacominu) E dai
Giacomì’, cumu ‘a fa’ tragica mo’, parica è la prima vota
chi fissiamu tra nue? Tu ha partecipatu sempre a tuttu!
Ririmuce ‘e supra.
GIACOMINU
(Con tono sostenuto) M’è già passata, statti squitatu! Ma
397
mo’, e romani avanti, amaru chine ce ‘ncappe.
Bravu! ‘U vi’ cumu si togu quannu ‘un si’ ‘ncazzatu? Oje
è toccatu a tie, romani a Gustinu, roppuromani a ‘ss’atri
ruvi galerani, e cussì passamu ‘u tiempu!
GIACOMINU
A tie quannu te tocche, mai?
FURTUNATU Quannu vue, anzi quannu voliti: io ccu’ li scherzi ‘e
l'amici ce ‘ngrassu, me curanu.
SARINA
E si parica ‘e pensare a atru? O te manche lu tiempu, ppe’
chissu benerica ‘un te passe nullu.
FURTUNATU E’ ‘nu donu ‘e natura, cchi ce puozzu fare: allu munnu c'è
chine nasce mutu e chine fissiature, e io furtunatamente
appartiegnu alla secunna categoria.
LINUZZA
Biellu donu chissu! ‘U lu viriti ca a furia ‘e chiacchiare e
fissiamienti siti arrivati a trent'anni e ancora cilindrati e
vie senza ‘nu ‘mpiegu!
GUSTINU
E ccu’ chine n’a pigliamu, ccu’ la sorte? E pue neca
manche ppe’ nue, avimu tutt’e carte in regula: a forza, ‘u
diploma, ‘a patente, tuttu ‘nzomma; riciaccellu tu a ‘ssi
politicanti ‘taliani e nun fissiare e de ne trovare ‘a fatiga,
ca nue simu pronti.
GASPARUZZU E fricala Giorgio, fri'! Ce vonnu santi ‘mparavisu e nue
‘u’ n’avimu, i santi nuorri su’ stancati ‘e pregare!
PASQUALINU Ma quale santi e santi, a ‘ssu munnu ce vo’ ‘nu culu tantu
si vo’ jire avanti. (Mima con le mani quanto ha detto)
FURTUNATU Nue simu sulamente numeri ‘e r’a pisca reale, chine
pesche bene e chine pesche male.
SARINA
E ccu’ ‘ssa filosofia stamu frische, e mo’ ne spusamu!
FURTUNATU Vire tuni si tieni ‘ncun’atra idea meglia, si te vo’ trovare
a ‘ncunu chi tene lu postu!
SARINA
Signu troppu bona, si no ‘e cussì t’ammeritassi.
FURTUNATU (Alterato) Allura è finitu tuttu tra nue, a parola t’è
jesciuta, se vire ca ti l’ha dettata ‘u core.
SARINA
Mi l’ha dettata ‘a ciotìa chi tieni.
FURTUNATU E ba te trove ‘nu spiertu allura. (Molto adirato, si avvia
per uscire) Stative buoni, tuogliu ‘u disturbu, mi ne vaiu!
FURTUNATU
(Sarina scoppia in lacrime e viene consolata da Giacomino).
LINUZZA
(Cerca di fermarlo prendendolo per un braccio) A duve
398
va’, e bia, carmative, ‘na parola ‘e nente e l'aviti pigliata
cussì furiusa!
FURTUNATU (Desiste dalla decisione di andarsene) E cussì se ‘mpare
‘n’atra vota a mantenere ‘a lingua a postu.
GUSTINU
(Scherzoso) Linù’, facce ‘na gagumilla a tutti ruvi e cussì
se carmanu.
GASPARUZZU Ma quale gagumilla, ‘u canusciu buonu io a chissu,
runecce ‘na pocu ‘e vinu ca le fa cchiù effettu.
PASQUALINU Ma tu si’ ‘ncazzunitu raveru? Carmete giuvinò’, a cchi
juocu jocamu: a Giacominu l’è passate a ‘ncazzatina e t’è
benuta a tie?
FURTUNATU (Scoppia a ridere) Vi l’haiu fatta, ci aviti crirutu tutti
ch’era partutu ‘e capu. Ih, mammalucchi, cumu collati!
Adduve si’. (Si avvicina a Sarina) E cumu ‘u lassu ‘ssu
tisoru! Asciuttete ‘sse lacrime e finisciala (le cinge il
collo con un braccio).
SARINA
(Abbozzando un timido sorriso) Si’ ‘nu demoniu, mi
c’avìa fattu crirere!
FURTUNATU Però ‘a paura l’ha avuta!
GUSTINU
Ma cc’attore, cumu sa recitare ‘u farabuttu.
GASPARUZZU E ca pue alla fine ‘e r’i conti parica cchi perdia Sarina!
PASQUALINU Hai voglia quantu uomini ce sunnu cumu illu a ‘ssu
munnu!
FURTUNATU Hannu parratu i ruvi pistola! Quannu e mai l’aviti vista ‘e
vicino ‘na fimmina, pariti ruvi seminaristi spogliati!
Giacomì’, guardali cchi luminieri.
GIACOMINU
E mo’ s’a trovano puru illi ‘na guagliune.
FURTUNATU ‘U mise ‘e mai, alla fera ‘e r’i ciucci.
GASPARUZZU ‘Un ce pensare tu, ancora ‘u’ r’è tiempu, ma pue viri.
FURTUNATU Povariellu! T’ha de nascere ‘u primu scagliune.
PASQUALINU Te fazzu rimanire cu ‘nu parmu ‘e nasu; n’haiu
arocchiatu una propriu ‘e chille maggiorate (mima con le
mani il fisico della ragazza)
FURTUNATU Cumu ‘na Ferrari?
GUSTINU
Pasquà’, sempre ccu’ la fantasia no?
FURTUNATU E ccu’ cchi allura, si ne sazie ccu’ l’uocchi. Ppe’ dire a
verità, a vista ‘a tene bona!.
PASQUALINU Comunque alle prove ne virimu.
FURTUNATU E me spagnu ca ‘sse prove vannu male.
399
GUSTINU
FURTUNATU
PASQUALINU
LINUZZA
Tu cchi dici, ca fonde lu motore?
Gustì’, dipende d’a cilindrata, chissi te parano currituri?
‘U tiempu fa chiarezza: chine ‘un more vire.
Beh, chiurimu l'incidente va’. Giacomì’, va’ piglie lu
vinu ca aggiustamu ‘sse capu.
GIACOMINU
E chissa è la meglia cosa! (Mentre si avvia verso la porta
della cucina, si sente bussare alla porta).
LINUZZA
(Va per aprire la porta) Virimu a chine role mo’ ‘a trippa?
GIACOMINU
Aspette Linù’, ca vaiu aperu io. (Apre la porta e si trova
davanti Grabiele; Giacomino ha un sussulto) Torna tu
Grabiè’.
GRABIELE
E ‘un me viri? (Tutti, osservano con incredulità).
GIACOMINU
Te viju buonu e cumu.
GRABIELE
E allura ‘ssa facce scantatizza...
GIACOMINU
Nente, nente...
GRABIELE
Nente, ‘na piccula svista. Te Giacomì’, ‘e littere eranu
ruve e io ti n’haiu ratu sulu una antura, chissa era juta a
‘n’atra via, era ‘nzaccata ‘ntr’i giornali e le stampe. Cchi
ba fa’, certe vote succede!
GIACOMINU
Ppe’ carità, tutti ponnu sbagliare, ‘un te fare scrupulu,
penze alla salute. (Tutti stanno in trepidante attesa).
GRABIELE
Scusame ‘e nuovu e statti buonu. Arrivederci a tutti.
GIACOMINU
Te salutu, ciau. (Giacominu rimane impassibile e guarda
gli amici con sospetto. Gli amici fanno altrettanto uno
con l'altro. Linuzza va vicino a Giacominu).
GUSTINU
Giacomì’, si’ ‘mpetratu?
GASPARUZZU Giacomì’, io ‘un c’intru nente ‘ssa vota!
PASQUALINU E chine ne sa ‘ncuna cosa!
FURTUNATU Giacomì’, stava jiennu a pigliare ‘u vinu, si’ scordatu?
LINUZZA
Cchi te chiavatu, parre!
SARINA
(Disperata) Dio mio, cchi farabutti, nun se su’
accuntentati mancu ‘e una.
FURTUNATU Ma cchi sta ‘nciarmannu ccu’ ‘ssa capu Sarì’, cca simu
persone serie, ‘na vota se fa lu scherzu.
LINUZZA
Cchir’è Giacomì’, avanti, sbuombiche fore!
GIACOMINU
(Con severità) Sentiti, ‘ssa vota nun fissiju, si ‘nzia a mai
aviti fattu ‘n’atru scherzu ‘ssa vota finisce male, vi lo
giuru, fazzu ‘nu maciellu.
GUSTINU
(Alza le mani al cielo) Io signu innocente.
400
GASPARUZZU
FURTUNATU
PASQUALINU
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
SARINA
FURTUNATU
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
GUSTINU
FURTUNATU
GIACOMINU
LINUZZA
Io mi ne lavu ‘e manu!
Ppe’ carità, ‘na vota se fissie.
Io signu allu scuru ‘e tuttu!
‘U volissi Dio, ppe’ lu bene vuorru; vi l’aviertu.
Ma aspette primu ‘e fare tutti ‘ss’amminazzi, virimu ‘ssa
littera ‘e cchi se tratte (toglie la lettera di mano a
Giacomino).
(Molto agitato) Aspette Linù’, ‘u’ l’aperire. E si pue è
cumu l’atra? N’amu ‘e curtelliare pue?
(Trepidante) Ma cchi storia, duve signu avuta ‘e trovare
stamatina!
Cchi paura tieni, nue avimu ‘a cuscienza appostu.
(Indicando la lettera) ‘A viriti ‘ssa littera, chissa po’ fare
finire l'amicizia. Sta a chillu chi c’è de intra. Si ancora
v’avissi chiusu ‘u...... senza ca me spiegu, preparative:
‘ssa vota nun fissiju!
Giacomì’, io ‘a r’aperu avanti ‘e tutti, ‘a fazzu pubbrica,
nue ‘u’ r’avimu nente cchi ammucciare. (Apre la lettera
in un silenzio di tomba).
(Guarda in cielo e stringe le mani) Mannaia lu
bruttabestia, cchi situazione!
(Scruta a lungo la lettera e man mano il suo volto si
colora di un sorriso. Tutti tirano un sospiro di sollievo,
abbozzando un tiepido sorriso) ‘Na timpesta cchiù ranne
‘e r’a prima Giacomì’!
Cchiri! ‘N’atra timpesta?
Ma chissa è bona, ‘u r’affuche, è una ‘e chille chi sane li
guai. (Salta di gioia) E’ fatta. (Sventola la lettera) ‘U
postu Giacomì’, ‘u postu! (Abbraccia Giacomino).
No, nun ce criju, nun po’ esere, famme virere, (Prende la
lettera e, dopo averla osservata per un pò, esulta). E’ illu,
‘un ce su’ dubbi, è propriu illu. (Mostra la lettera agli
amici) Te, fissiati mo’, specchiative l’uocchi!
(Prende la lettera e tutti gli altri lo attorniano e
meravigliati annuiscono) Agurìi, bonafurtuna! (Abbraccia
Giacomino e Linuzza. Gli altri fanno lo stesso)
Bravu a Giacominu, signu cuntientu.
Grazie, grazie.
Grazie a tutti, è finitu l’aspettamientu!
401
GASPARUZZU
PASQUALINU
GIACOMINU
SARINA
LINUZZA
GIACOMINU
GUSTINU
Ccu’ salute!
Te aguru ‘na bona carriera!
Ve ringraziu a tutti.
Sia lodatu Gesucristu! Simu cuntienti tutti.
Quantu emozioni oje: ‘a quiete roppu ‘a timpesta! E
chine si la crirìa cchiù. (Si riprende la lettera che è
rimasta nelle mani di Gustinu) Damme, famminne
ricriare. Me cumu c’è scrittu biellu chiaru: Giacomo
Chiarenza, presentati domani alle ore otto precise alla
sede centrale della Cassa di Risparmio per prendere
servizio. Firmato, Direttore Scocciamigliu. (Bacia la
lettera e va a metterla nella credenza) E mo’ si ca ce vo’
lu vinu. Giacomì’, vallu piglie.
Fuju subitu. ‘E cchi annata ‘u voliti?
E ccu’ ‘ssa copanata ch’è arrivata, piglie ‘u cchiù tuostu!
(Giacomino va in cucina)
GASPARUZZU Me vuogliu ‘mbriacare: ppe’ amure ‘e Giacominu chissu
e atru.
PASQUALINU Ne ‘mbriacamu tutti ppe’ l’agurìi e ppe’ lli sc-canti!
LINUZZA
I sc-canti su’ passati Pasqualì’, ma ‘u postu rimane! Mo’
c’è la cassa c’appare tuttu!
(Giacomino porta il vino)
PASQUALINU
GIACOMINU
PASQUALINU
GIACOMINU
GUSTINU
LINUZZA
GIACOMINU
E bo’ dire ca ne gorimu tutti! Sai cum’è, certe vote ‘nu
prestitu, ‘nu bisuognu... avimu a Giacominu chi ne sarve.
Ricica ne lasse affucare?
Grazie Pasqualì’, si nun sa’ natare, accattete ‘u
sarvagente ch’è miegliu!
Cchi core cruru oh! E l’amicizia ‘un cunte nente poca?
Cunte sulu ppe’ certe occasioni ma no ppe’ l'uf-ficiu,
chillu è ‘na cosa seria, ‘nu santuariu!
E già, la s’ha de pregare ppe’ ottenere! Pasqualì’,
l’amicizia cunte sulu alla cantina!
E noni e noni ca pue virimu; quantu se fa ‘nu pocu ‘e
largu Giacominu, ca pue ‘na manu vi la rune a tutti.
(Accondiscendente) E... sai cum’è.... però c’è vo’ tiempu,
402
FURTUNATU
SARINA
FURTUNATU
SARINA
FURTUNATU
LINUZZA
SARINA
GUSTINU
LINUZZA
SARINA
LINUZZA
GUSTINU
GIACOMINU
LINUZZA
SARINA
FURTUNATU
SARINA
LINUZZA
SARINA
io ve parru chiaru, senza chi v’aspettati romani!
Nell'attesa, Sarì’, a pigliamu ‘na bella pella?
Ti la viri sulu, chillu chi vo’ fare fai, tantu parica ‘un ce si
‘mparatu?
Chissa è ‘n’occasione unica, l’amici vannu onorati.
Ccu’ le bone azioni però, no ccu’ lu vinu!
Ccu’ tutt’e ruve, nun dubitare.
(Dopo aver preso i bicchieri nella credenza) Beh, pigliati
postu, ca inchjmu ‘ssi calici.(Tutti si siedono).
Ih ciambrelluni! Arurative ccu’ lle carte; Giacominu v’ha
chiantatu, è sistematu!
E nue ne simu cuntienti, vo’ dire c’ha ‘nzignatu a via.
E sini, mo’ viriti ca chianu chianu ve sistemati puru vue.
Allu manicomiu! ‘U’ le biri cchi malannate!
E noni, s’ha d’avIre fede allu munnu, l’uomu nun s’ha de
perdere ‘e animu.
E chine sc-cante, tanto ci avìmu fattu ‘u callu e pue, ccu’
la filosofia c’avimu, cchi paura amu ‘e avìre: nun ne
perdimu ‘e sicuru. Vivimucce ‘e supra e bonanotte!
‘U vino è de ruve qualità, chine ‘un bo’ unu se vive l'atro.
Inchie Linù’.
(Colma i bicchieri) Eccu fattu, alla curma, allegria! Sarì’,
a tie ‘n’amaru?
No grazie, nun ce signu abituata a ‘ssi liquori forti!
Illa è abituata ccu’ le gamumille.
Ha parratu ‘u spiritusu!
Allura ti ne mintu ‘na picca, puru ppe’ aguriu. Ni lu
vivimu ‘nziemi.
Allura l'acciettu propriu ppe’ chissu.
(Linuzza riempie due bicchierini)
GUSTINU
(Indicando Giacominu) Me cumu rire mo’ ‘u lupellune,
‘a ‘ncazzatina l’è passata!
GASPARUZZU ‘U sangu l’è jutu alla capo, me cumu è fatto russo! ‘A
cuntentizza fa sagliere ‘a pressione.
PASQUALINU E li rispiaciri ‘a fannu abbasciare!
GIACOMINU
(Con sicurezza e ironia) Eh, frate mmie, ‘a mericina è
miracolosa, m’ha sanatu a ‘na vota.
403
GASPARUZZU Peccatu ca si ne trovanu pocu e ‘sse medicine!
GUSTINU
Cchi te pienzi, ca ‘u statu è fissa ca ne fa assai? Ne fa ‘nu
giustu, ppe’ sanare i malati cchiù gravi.
GASPARUZZU Allura Giacominu era grave?
GUSTINU
E cchi ne sacciu io, adimnannalu.
GASPARUZZU Giacomì’, tu era malatu grave?
GIACOMINU
Grave e periculusu puru, se stava sviluppannu ‘a pazzia!
GASPARUZZU Gustì’, allura aggravete puru tuni e cussì te sistiemi.
GUSTINU
(Facendo le corna) Ma m’u fa’ ‘nu piacire, oh! Penze a
sc-cattare tuni.
FURTUNATU Be, ‘ntruzzamu va’; lassamu perdere ‘sse frascatule e le
cose vecchie. (Alzano i bicchieri. per brindare).
GUSTINU
Alla salute e agurìi.
GASPARUZZU Allu nuorru Giacominu, chi se ‘mpeghe domani matinu!
GIACOMINU
(Gioiendo insieme a Linuzza) Grazie, Grazie.
GUSTINU
(Vedendo Pasqualinu che vuole fare il suo brindisi)
Ci...ci... tenitive ca parre Linardu dinamite.
PASQUALINU Modestamente ‘e ‘sse cose mi n'intendo.
GUSTINU
Certo, si diplomatu ‘ntr’a cantina!
PASQUALINU Modestamente e puru ccu’ trenta gradi e lode si ‘un te
dispiace. Comunque, dicevo…. (Pensa un po')
GASPARUZZU E’ jutu in tilt.
FURTUNATU ‘U ‘ngranagiu è bloccatu!
PASQUALINU (Si scuote) Ecco, dicevo: a Linuzza e allu fidanzatu
brindo ccu’ ‘ssu bicchieri ‘e rosatu, ppe’ lu futuru chi
s’hannu assicuratu. (Battono le mani)
GUSTINU
Cchi truonu, oh! Chissu va a finire alli giornali!
FURTUNATU Guagliù’, ‘e mie ‘un v’aspettati truoni sanizzi, ma sulu
rrusci e tumbarini.
GUSTINU
Vai facile, Furtunà’, ‘u sapimu ca si’ stonatu.
FURTUNATU Allura partu: brindu a ‘ssa jurnata e a ‘ssu postu sccantatu chi Giacominu re sempre ha suspiratu.
GUSTINU
E ti ne frichi, ricica ‘un cunchiurìa! Se vire ca ‘ss’urtimi
tiempi t’ha fattu ‘na mess’a puntu! (Risata generale).
Sarì’, mo’ ce vo’ lu tue.
SARINA
Io ‘un ce signu ‘mparata, chisse su’ cose ‘e uomini.
LINUZZA
Dai, Sarì’, ‘un te fare pregare.
SARINA
Ce pruovu va’, cumu jesce e jesce. (Pensa) Agurìi a
Giacominu ppe’ ‘ssu ranne passu e fazzu puru ‘nu
404
brindisi a chine è rimastu a spassu.
Brava a Sarina, proprio ochei.
Furtunà’, ‘ssa ‘ntonata l'ha capita?
Pense ppe’ tie, ca io l'haiu digerita. Forza compagni, fino
in fondu, via. (Tutti bevono il vino)
GASPARUZZU Ah, cchi sapure roppu ‘ssa fatigata!
PASQUALINU Sa’ propriu cumu minna, rifrische a ‘na vulata..
LINUZZA
Giacomì’, inchjie torna i becchieri ca all’amici ‘u vinu le
fa’ parrare ccu’ la rima.
GIACOMINU
(Colmando i bicchieri) Te, viviti, strazzati, ‘mpiruccative.
SARINA
Carmete, Giacomì’, vacce chianu, ca chissi già ‘un
cunchiuranu seri, figurete ccu’ lu vinu!
GIACOMINU
E cchi le fa’, falle sfogare ‘ss’amicuni, ne tenanu ragiune,
‘u scherzu l’è jutu male: hannu fattu cum’u prievite ‘e
Cervicati, su venuti ppe’ gapare e su’ rimasti gapati!
GUSTINU
Sente se’, cumu arrumbe mo’ chi è allu riparu! T’è
benuta mo’ a favella no? I sgrizzuni ‘e r’a freve te su’
passati?
GIACOMINU
(Sfottente) ‘Nfatti, è passatu tuttu, me sientu cumu ‘nu
toro: sanizzu e curaggiusu.
GUSTINU
Però ‘a cacarella l’ha avuta, ‘ssu jurnu ‘u tieni ‘n mente
mentre campi.
GIACOMINU
E cchi le fa’, a paura passe ma ‘u posto rimane!
FURTUNATU (Prende il bicchiere) Gustì’, ‘ntruzze ch’è miegliu, sente
a mie; Giacomino è a cavallu!
GASPARUZZU Cumu se rice: ‘a botta chjna paghe la vacante.
GUSTINU
Ni l'avìa ‘e rire tuni, capu ronzante.
FURTUNATU Parre cumu ‘nu libru stampatu, oh!
GUSTINU
Ccu’ nue chissu si ce perde; ne potìa fare strada, peccatu
ca l'è morta ‘a marra alla prima elementare.
GASPARUZZU M'è morta ‘a ciotia c'aviti tutti rovi!
SARINA
Linù’, i mulinari se liticanu, guardete ‘a farina.
LINUZZA
E lassali bottiare, ne tenanu ragiune povarielli.
SARINA
(Guarda l'orologio) Ohi, è già menzijurnu, ni n'amu ‘e
jire. Furtunà’, sbrigative ca l’ura è tarda.
LINUZZA
E mo' parica perditi ‘u trenu?
SARINA
Sai cum'è, alla casa aspettanu.
FURTUNATU (Un po' brillo) A te as..pe..ttano, ma a me non mi
a.spe...tte nessu..no. Vai pure Sa..ri..na se vuoi anda..re.
LINUZZA
GUSTINU
FURTUNATU
405
SARINA
FURTUNATU
SARINA
E l'amu fatta bona: l'arculu ha già fattu effettu! Furtunà’,
te azare, senza ca fa ‘sse storie. (Lo prende per un
braccio)
Calma, calma che mi fai cadere. (Si alza). Me ne vengo,
ma no ppe’ te, lo fazzo ppe’ Giacomino che ha de
cucinare.
Be, giuvinò’, sbrigative puru vue.
(Si alzano tutti, visibilmente brilli)
FURTUNATU
Come è bulato il tempo, ppu...ppu...ppu... Ami…ci,
co…glia...moci li mor..sa e jamo via.
GUSTINU
Ha parrato il coo.. mmannante!
GASPARUZZU La ma...a.. tinata è fi..nita.
PASQUALINU Sa' cche boi fa..a..re? Pa..a.. ssa dalla ca..a…ssa ca ti
pagano. Tanto la fa..a..tiga è stata ranne.
GASPARUZZU Ma non me fa...a..re ridere, tranganiello. Non lo viri ca
nun ti reji di catrea!
SARINA
Me bire, me bire cumu su' cumbenati.
LINUZZA
Duve va penzannu, è miegliu ‘mbriachi ca malati! ‘U
vinu tuostu fa brutti scherzi.
GUSTINU
Vo di..i..re che adesso simo pari co’ li scherzi; noi avimo
sche..e..rzato col po..o..sto e tu co..ol vino. Iamo
compagni, andiamo a ri..i..crinare la pella!
GIACOMINU
Tutt'a ‘na vota, propriu allu cchiù bellu vi ne jati?
GUSTINU
E cchi. bo..o..levi, ca te ma..a..nnavamo ‘n'atro avviso
ppe’ Grabiele?
GIACOMINU
Ppe’ carità! Allura jati e attienti alle scale.
GASPARUZZU Puoi sta..are squitato, ‘e gambe anco..o..ra
ri..ispondo..o..no bene.
GIACOMINU
Speriamu bene.
FURTUNATU Gia..a..comì’, ti ra..a..ccomanno, non ti avi...i...ssi de
pigliare il sonno do..o..mani matino, ra..a..to ca ‘e
tre..e..ntanni sei alzato se..e..mpre alle undici.
GIACOMINU
Nun ce pensare, haiu gia pensatu a tuttu; in previsione ‘e
r’u posto m'haiu già accattatu ruve sbeglie, una ppe’
ricchia.
GUSTINU
Fu…u..rbo il giovanotto, non si lasce fricare!
FURTUNATU Gia..a..comì’; ppe’ il regalo ci hamu de pensare be..e..ne,
406
te l'amme..e..riti grosso.
Pue, pue si ne parre.
Linù’, statti bona, pue ne virìmu.
E parica ‘u’ n'avìmu tiempu! Io riestu ‘n'atra picca,
quantu rugnu ‘na reggistrata ‘ssi becchieri.
GUSTINU
Ciao, ami..i..co ‘mpegato!
GASPARUZZU Sta..a..moci bene e scu..u..sate le chia..a..cchiere.
FURTUNATU A..a..do..o..mani. Te ra..a..ccomanno Gia..a..comì’,
ca..a..rriche ‘e sbeglie.
GIACOMINU
Già fatto, Furtunà’, stative buoni. (Escono). Ah
finarmente. (Abbracia Linuzza) Linù’, ‘u sognu è
raggiunto, amu vintu!
LINUZZA
Me sentìa scoppiare, nun ci la facìa cchiù, volìa grirare
‘e r' a gioia ma me trattenìa. L'onorevole è statu ‘e parola,
s'ammerite lu prisuttu.
GIACOMINU
(Raggiante) Ma ci lu rugnu tuttu ‘u puorcu! (Con le mani
al cielo) Grazie Segnure, ca m'ha cacciatu e ‘ntr' e spine,
era carutu e tu m’ha azatu. (Si sente un gran fracasso
nelle scale) Se su’ arrozzulati! E dicica le reggìanu ‘e
gambe?
LINUZZA
Vaiu viju? Chissà se su' fatti male!
GIACOMINU
Adduve va’, lassale jire, ca chissi su’ de gomma, quannu
caranu rimbalzanu.
LINUZZA
Speriamu, si tu ‘e canusci! (Affettuosa) Ohi Giacominu
mie, cumu si’ fattu ‘mportante a ‘na vota: ‘u posto alla
cassa! Cchi soddisfazione! Ti la ‘mmaggini quannu passu
ppe’ le vie cumu rice la gente me, chilla è la fidanzata ‘e
r'u cassieri.
GIACOMINU
(Serio) E forse ‘u’ r'è lu veru?
LINUZZA
Però l'amu passata brutta, cumu l'hanno saputu
cumbenare a r' arte ‘u scherzu, e cumu sapianu recitare l'
ammazzati. Ma l’è juta male però, si ne su juti male
cotulati, ci hannu trovatu ‘u patrune ‘ssa vota. ‘U
fissiamientu l'è botatu cuntra.
GIACOMINU
‘Na vota me cuntava nanna mia ca fissiati ‘mparavisu
puru ci ne vannu, ma li fissiaturi scunzulati facile vita
certu nun hannu. Gustinu e Gasparuzzu, povarielli, cumu
‘e cecale cantano a jurnata; Pasqualinu e Furtunatu,
chiacchiaruni, ‘a trippa si la scarfanu allu sule. Sarina,
GIACOMINU
SARINA
LINUZZA
407
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
LINUZZA
GIACOMINU
tanta bona ppe’ daveru, è ‘ncappata ‘ntra ‘ssu fuocu
apiccicatu, cchi ce va’ fa', vo’ bene a Furtunatu e aspette
frutti ‘e ss'arberu scotulatu.
(Meravigliata dal parlare forbito di Giacomino)
Giacomì’, ma cchi pensieri luonghi e cunchiusi, me sta'
propriu ‘ncantannu. Me sientu ‘mparavisu!
Atterre Linù’, ca me siervi cca a mmie, supr'a terra.
Certo Giacomì’, certu. Simu fatti unu ppe’ l'atra nue,
cumu ‘na pigna, junti ppe’ sempre! Ccu’ tie vicinu a vita
me pare ‘n'autostrada, larga e ‘mpara.
Linù’, a via cchiu è larga e deritta e cchiù è pericolosa!
Amu ‘e stare attienti.
E nue stamu attienti, vo’ dire ca ‘nu pocu accelleramu e
‘n'atru pocu frenamu.
Brava, mo’ ha rittu ‘na cosa giusta! Si se camine sempre
ccu’ l'accelleratore a tavoletta prima o pue se fonde lu
motore.
E chine n'a fa fare. L'amici chissu volissinu, ca carissimu
‘mbascia furtuna ppe ‘sse ricriare. Ma ‘ssu jurnu ‘u’ lu
viranu mai, ormai simu azati, ‘nfunnu nun ce jamu cchiù.
Dio ‘u volissi Linù’; amu assapuratu tutte l'amarizze, ‘u
sc-cantu l'amu avùtu e de cchi manera: l’errami amici
n'hannu fattu purgare alla rijuna, ma pue ne simu abbutti
‘e gran pitanza. ‘Ssa vota l' è jutu male ‘u granne scherzu
e cotulati s'hannu cuotu ‘a cura. Ma rancore nun ne
tiegnu ‘ntra lu core, l'amici ppe’ mie su' cari cchiù de
prima, puru si ‘a commedia l’hannu fatta a dramma,
comunque ppe’ ‘ss'atra vota s'acchiappanu allu tramm!
CALA IL SIPARIO
408
Ringraziamenti
Ringrazio innanzitutto il Presidente della Provincia di Cosenza, Mario
Oliverio, per la sensibilità dimostrata e gli apprezzamenti fatti riguardo la
mia produzione letteraria.
Ringrazio ancora la prof.ssa Erminia Barca, il prof. Giovanni Curcio e il
prof. Giulio Palange per la loro preziosa collaborazione e per i lusinghieri
giudizi espressi nelle loro rispettive prefazioni.
Un sentito grazie va anche agli ingegneri Vincenzo Martire e Francesca
Leonetti, nonché a Sabrina e Salvatore Martire, per il paziente lavoro di
trasformazione in formato digitale delle opere che giacevano solo sulla carta.
Infine desidero ringraziare l’amico Saverio Barca, per avermi dato stimoli ed
incoraggiamento alla pubblicazione delle mie opere.
409
INDICE
•
Presentazione di Mario Oliverio
•
-
Commenti critici:
E se fosse guerriglia? del Prof. Giulio Palange
‘A vijielia ‘e Natale della Prof.ssa Erminia Barca
Arte e vita nel teatro di Tonino Martire del Prof. Giovanni Curcio
-
Poesie:
‘Ssa vita
Vernata amara
‘A penzione
‘U trainieri
Cuntadinelle
‘A sarcinara
‘U gaviu ‘nzuonnu
‘A furnara
Nicola e llu ciucciu
‘A cascia
Serenata
‘A cuccia
Jazza
Ricordi
‘A zita
Alla ‘mbrunata
‘A pisca
Frati re sordi
‘A ‘mbiria
‘U fringillu
L’anim’umanu
‘U poveru e la gallina
‘U caru libru
Uomini e animali
Fortuna
‘U poveru cristianu
‘A vurpicella
Tire c’arrenne
•
410
•
L’asta ‘e Geppinu
‘E curve
‘U ricursu
‘U caru petroliu
Onorevoli ‘e razza
I privessuri
Pagliette e balice
‘U cane ‘talianu
‘U cane delusu
‘A rana e llu crac
Gente r’onure
Scirocco anticu
‘U paise
‘A chiazza
Rughella antica
‘U fuocu ‘e Natale
‘U campanaru
‘A Pecorella
scippatore
‘U pane
Za’ Vicenza
Pensieri
Munnu ‘mbrogliatu
Amure
Passione
Capricciusella
Teatro:
- ‘A vijielia ‘e Natale
- Le campagne dell’onorevole
- ‘U scalune ‘e re cummari
- L’amure nun s’accatte
- ‘U postu ‘e Giacominu
•
.
.
Ringraziamenti
411
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA ALL’AUTORE
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