ANTONIO MARTIRE POESIE E TEATRO IN DIALETTO PEDACESE CNPSY EDITION 1 Copyright 2005 E’ vietata la pubblicazione parziale o totale dell’opera senza il permesso dell’autore E’ vietata, altresì, la pubblicazione in fotocopia e sotto altre forme di pubblicazioni elettroniche 2 A mia moglie, CETTINA e al nostro nuovo nipotino, FRANCESCO 3 Presentazione Si dice, e a ragione, che nel dialetto sia racchiusa l’anima vera di una comunità. Nelle cadenze particolari, negli idiomi speciali, nelle espressioni e nei suoni tipici è nascosta tutta la potenza dei sentimenti comuni, della memoria, della stessa storia di gente che negli anni ha condiviso vicende e spazi di territorio. Nella lingua speciale, conservata nei decenni, c’è l’identità. Concordiamo con il grande Ignazio Buttitta quando afferma (tradotto dal suo dialetto) che “il popolo diventa povero e servo quando gli viene rubata la lingua dei padri; quando le parole non figliano parole e si mangiano tra di loro”. Ecco: il libro di Antonio Martire, personalità eclettica, grande studioso di tradizione e cultura, allontana un’eventuale spoliazione regalando il ruolo di primo piano in un’opera letteraria alla lingua più vera ed autentica. Alla parlata di Pedace Martire ridà tutta la dignità appannata dall’uso quotidiano, frequente a difesa dai colpi di lingue, e soprattutto linguaggi, dominanti, che non fanno capo solo all’italiano ma anche alla televisione, al gergo giovanile, all’inglese sempre più presente. Anche per questo tale opera è preziosa, perché conserva e valorizza un modo di parlare e poi perché fa della poesia e del teatro, dell’arte insomma, vita vissuta. Non è estranea, certo, all’opera di Martire la sua personale esperienza, il suo impegno politico, la sua passione civile. Felice, quindi, risulta la fusione tra elemento stilistico e vissuto: il dialetto serve da supporto alla lirica ma anche al teatro che propone, a sua volta, temi di attualità. Nell’opera del Martire si affaccia sovente la mai risolta questione meridionale che qualcuno vorrebbe dimenticare ma che invece è più presente che mai. Ed è questo elemento che impone una lettura attenta. E’ un libro questo che la Provincia di Cosenza, impegnata nella promozione culturale del suo territorio oltre che nella ricerca ed attuazione delle condizioni del suo sviluppo, saluta con estremo favore. Consigliamo su di esso una riflessione, soprattutto alle generazioni più giovani affinché, sottratte per un attimo alle lusinghe di tempi confusi, si riapproprino di un patrimonio comune, sul valore di questo riflettendo. Magari in dialetto. On. Mario Oliverio Presidente della Provincia di Cosenza 4 COMMENTI CRITICI 5 E se fosse guerriglia?* di Giulio Palange Evocate, per un attimo, l’intonazione con cui “uno” - uno, per intenderci, che per vicenda personale e collettiva ha dovuto e deve travagliare per vivere- pronunzia, mostrando la propria sbrindellata esistenza, le parole “‘ssa vita”: evocatela e sarete automaticamente in possesso della chiave complessiva di lettura di questa raccolta di poesie di Antonio Martire. Anche se non è facile, perché per razionalizzare questa intonazione in tutte le sue contestuali significanze forse non basta una biblioteca di testi di antropologia, di dialettologia, di sociologia e di tutte le altre “…logìe” possibili e immaginabili. E non è un paradosso: accade, sovente, che tutta una storia entri intera in una parola di poche sillabe o, ancor più, in una intonazione di voce che dura solo qualche secondo, mentre sta abbastanza stretta in un miliardo di parole stampate. E proprio questo è il caso di “‘ssa vita”, dell’intonazione con cui “uno” la pronuncia e di tutto quello che storicamente sta dietro alla stessa intonazione. Ergo: la faccenda della chiave di lettura delle poesie di Martire risulta vera nella misura in cui si è in grado di dare al titolo della raccolta non un valore puramente accidentale o, al meglio, programmatico ma proprio uno spessore di vissuto collettivo e individuale allo stesso tempo; uno spessore intessuto di rassegnazione e di rabbia, di saggezza e di bestemmia, di disincanto e di stupita incomprensione di fronte alle piccole e grandi ingiustizie delle quali è intramata l’esistenza di chi sulla sua propria esclusiva pelle ha imparato a coniugare fino in fondo solo i verbi “campare” e “fatigare”, “fatigare” e “campare”. “‘Ssa vita”! Come dire generazioni più generazioni consumate a gettare il sangue dalla mattina alla sera senza una prospettiva e fra difficoltà e problemi di ogni genere, a tirare avanti alla giornata, ad esistere per modo di dire…. Che poi, è vero, a scriverle a tavolino, tutte queste cose, sanno sempre di una retorica della miseria e di una epopea stracciona che fanno rivoltare lo stomaco e puntare i piedi alla ragione perché troppo a lungo hanno costituito l’alibi di una malapianta di parolai che piangendo sulla spalla del fratello diseredato e maltrattato dalla storia gli hanno cucito addosso, su misura, la camicia di forza di una 6 autocommiserazione operativamente traducibile in termini di pietismo e di assistenzialismo; e cioè: altro modo di gettare il sangue, di tirare avanti alla giornata, di esistere per modo di dire. C’entri o meno la poesia, per poterle dire e scrivere senza provocare rivolgimenti intestinali e rifiuti della ragione, certe cose uno deve averle fatte proprie o per via di esperienza personale o per razionalizzata presa di coscienza: solo che – e qui c’entra la poesia- ad utilizzare esclusivamente l’esperienza personale si corre il rischio di cadere nella trappola del viscerale populismo, mentre a proporre le cose in chiave di puro ideologismo il pericolo è quello di un asettico engageament. E la poesia, quella fatta di pasta buona, non sa che farsene e dell’uno e dell’altro: altrimenti diventa marmellata fatta in casa o nella sede di partito. Ma Antonio Martire no, questi pericoli non li corre: lui, da ragazzo – e come lui, e prima e dopo di lui tanti ragazzi nelle sue stesse condizioni- il cosiddetto “esproprio proletario” lo ha messo più volte in pratica quando lo stomaco gli “rugliava” per la fame e l’unico rimedio era quello di andare per le macchie a sgobbare a chi aveva la ricchezza di un orto, un pomodoro da azzannare condito con una pizzicata di sale e accompagnato da un morso di pane duro ammollato con l’acqua perché così saziava di più; lui –e come lui eccetera eccetera- ha visto partire a notte piena “’u trainieri” che, bello o cattivo tempo, impiegava intere giornate per andare fino in Sila, non in villeggiatura fra i boschi di pini e di abeti odorosi di resina, ma a sbancare l’anima per cavare qualche solco di patate magnanimamente concessogli dal grazioso signore che, forte della propria ingorda arroganza e profittando del tacito consenso o, nel migliore dei casi, dell’ignavia di tanti regnanti, aveva saputo trasformare le difese demaniali della stessa Sila in latifondo privato; ha visto “a sarcinara” giorno per giorno aggobbirsi e storpiarsi sotto il peso delle fascine, gramo e gravoso eppur necessario utile di arrancate mozzafiato per montagne e valloni godendo (si fa per dire) di usi civici sacrosanti ma spesso magnanimamente ostacolati se non addirittura negati dal solito grazioso signore; ha visto “a furnara” –gradino più basso di una gerarchia economico-sociale ordinata comunque e sempre sulla legge del bisogno- consumarsi in sudori e fatica ad una bocca di forno per “ammantare” con le sue uniche esclusive forze la famiglia. E chi ha visto e vissuto tutto questo, ed altro, molto altro ancora, o aspetta, stremato, che arrivi la burrasca finale che annunciandosi con 7 nuvole dense di incognito saldi comunque definitivamente il conto del dare e dell’avere; o appena può se ne scappa cercando altrove il riscatto da una secolare condizione di indigenza e di discriminazione per poi magari rimuovere il proprio passato, col quale recide ogni sostanziale legame, in termini di nostalgia per un microcosmo paesano fatto di volti, usanze e tradizioni da rivivere, una tantum ed epidermicamente, durante i rientri vacanzieri sottolineati dalla ostentazione dei simboli del nuovo status raggiunto; oppure stringe i denti e fra tutto un campionario di difficoltà, resistenze, incomprensioni, sacrifici, si crea gli strumenti per filtrare la propria personale vicenda e quella simile dei propri simili, attraverso la presa di coscienza di una storia fatta e di una storia da fare, di una lotta da realizzare giorno per giorno con altri e per altri. In quest’ultimo caso – che è poi quello di Antonio Martire-, e quando si ha anche a disposizione sensibilità e capacità di penetrare nell’essenziale delle cose, può accadere che la poesia –con il sovrappiù dell’aggettivo “dialettale”- diventi oltre che un momento di necessaria decantazione delle proprie esigenze di comunicazione, anche e soprattutto lo strumento iniziatico per rivisitare senza viscerali rancori, senza compiacimenti rievocativi e senza sovrastrutture concettuali, il proprio patrimonio di vissuto e di memoria (la storia fatta); per cui, quando questo accade e accade come deve accadere –com’è nel caso del far poesia di Antonio Martire- il politico in senso stretto si fa ideologia, il particolare si propone come esemplare, il privato si trasforma in emblematico e la poesia dialettale diventa poesia e basta mandando a quel paese tutti quei rocciatori dell’estetica che stanno ancora lì ad arrampicarsi sostenendo l’aparthaid della poesia in genere da ogni forma di promiscuità linguistica e, soprattutto, contenutistica. Ma quando questo non accade, o accade come non deve accadere, non rimane che aprire le finestre per mandar via la puzza di rifritto: le migliori e più oneste intenzioni si sfanno nella genericità sentenziosa, nell’improbabilità del bozzetto, nel sentimentalismo languoroso, nel pietismo di maniera; ed i rocciatori si possono, a ragione, permettere il lusso di parlare di “coserelle”. Pertanto: un intenso e partecipato patrimonio di memoria e di vissuto, una ideologicizzante presa di coscienza, una lucida tensione razionalizzatrice, un accorto uso interpretativo dello strumento poetico; ma, in verità, manca ancora qualcosa al quadro delle componenti di base del far poesia di Antonio Martire: ed è un dato 8 geo-storico-culturale. Perché, in fondo, non si è quel che si è per caso o per accidenti né ci si alza un mattino decidendo all’improvviso di scrivere poesie, e poesie di un certo tipo per giunta. È anche una fatto di aria che si respira. E l’aria che si è respirata e si respira nei Casali Casentini e a Pedace in particolare - di qui è Martire- non è stata e non è certo di quella che induce agli ozi accademici ed alla pecorona supinità al potere costituito: in effetti Pedace è, storicamente, non solo area culturale caratterizzata da una ricca e significativa espressività subalterna e da una produzione poetica in dialetto opulenta di immagini e straripante arguzia, ma anche terra di ribellioni, di briganti, di lotte contadine fatte non per delega, di antifascismo militante e non solo da post-ventennio, di battaglie progressiste che nulla hanno da spartire con il vezzoso impegno di tanti radical-chic di provincia. Anche questo bisogna mettere nel conto per decifrare il perché nella poesia di Martire –sia essa costruita in chiave di partecipata rievocazione o di provocatoria denunzia o di accorato racconto o di sottile ironia o di altro ancora- il retroterra culturale e l’angolo prospettico combaciano fino ad identificarsi con quelli de’ “a furnara”, de’ “u trainieri”, de’ “a sarcinara” e di tutte le altre inquietanti incarnazioni, più o meno anonime, che trasformano questa raccolta di poesia in una brugheliana tela brulicante di umanità offesa e stravolta. Si identificano al punto che l’intonazione con cui queste stesse incarnazioni direbbero “‘ssa vita!” la si ritrova puntualmente in ogni verso di Martire: un’intonazione impastata appunto di rassegnazione e di rabbia, di saggezza e di bestemmia, di disincanto e di stupita incomprensione… Per cui a leggerle, queste poesie, ti rendi perfettamente conto che l’autore non vuole imboccarti per amore o per forza pappardelle che “lui” e solo “lui” ha cucinato a tavolino, conscio della “propria” cultura e del “proprio” esser poeta, mettendo in bocca a questo o a quel povero cristiano parole e ragionamenti posticci, perché in effetti sono proprio loro, le incarnazioni, a raccontare tramite lui, ad incazzarsi, ad alzare impotenti le spalle, a sperare, ad ammonire, a sentenziare magari anche ricorrendo al luogo comune e all’ovvio come capita a chi per secoli si ritrova a fare sempre le stesse considerazioni sulla miseria, su chi comanda, su chi pena sgobbando e su chi se la spassa grattandosi la pancia. Ed anche quando lui, Martire, parla per i cavoli suoi, e cioè in prima persona, rimane sempre uno di loro, perché quello che dice non si mimetizza in proiezioni concettuali o immaginifiche colte per imporre, o per lo meno per propinare, una 9 morale che con la realtà culturale degli “altri” ha poco o nulla a che fare: quello che lui dice e come lui lo dice lo direbbero pari pari questi stessi altri perché il codice di interpretazione della realtà è lo stesso identico così come sono gli stessi identici i segnali che contraddistinguono la comunicazione di tali codici (i proverbi, i modi di dire, le costruzioni lessicali e concettuali, le cadenze, gli stereotipi verbali, etc., tutti funzionalmente e specificamente usati da Martire). Insomma, il poeta non ha fatto altro che razionalizzare lo stesso codice, dargli coscienza di sé oltre che prospettiva dialettica, “con” la poesia e “in” poesia. “Con” la poesia, perché questa, proprio come strumento interpretativo che non s’accontenta semplicemente e semplicisticamente di descrivere o di annotare, gli ha consentito anzitutto di cavare da personaggi e situazioni un nucleo di verità oggettiva in grado di renderli esemplari pur nella loro specificità storico-culturale, facendo loro perdere ogni connotato “paesano” o comunque particolaristico, e poi di sciogliere il nodo dei rapporti fra la memoria personale e quella collettiva, fra il privato e l’ideologia, fra l’istintualità e la ragione, e quindi e in definitiva, di rintracciare una sua propria identità lungo la traccia di una identità di classe. “In” poesia, perché, in fondo, solo il contesto poetico gli poteva permettere di coagulare i personaggi e le situazioni in visualizzazioni laceranti nella loro rappresa chiaroscuralità e prive di superflue insistenze descrittive da tranche-de-vie; di proporre i significati per via di rimandi sempre interni ai simboli verbali usati, di dire le cose sulla base di ritmi e cadenze sincroniche con il succedersi dei concetti e delle immagini; di utilizzare in modo così originariamente interpretativo e così contestualmente comunicativo il ruvido dialetto pedacese, impronunciabile e in certa misura intraducibile da chi pedacese non sia. Ecco, le poesie di Antonio Martire fanno pensare a quei muri a secco di pietra che un po’ in tutti i paesi calabresi sembrano insistite sottolineature di un secolare destino di indigenza: muri a prima vista scostanti nella loro slabbrata spigolosità, fragili nella loro arida precarietà, formalmente irrilevanti nella loro semplicistica essenzialità. Ma se si hanno gli occhi buoni per guardarli come vanno guardati e la mente e l’animo disponibili per accettarli come debbono essere accettati, allora rivelano tutto il loro nascosto fascino, la loro antica solidità, la loro sostanziale bellezza. Espressione coerente e 10 perfetta di una storia che ha lasciato anche sui muri la traccia della sua logica, stanno su da secoli, pietra su pietra, in equilibrio, con nessun altro coesivo che non sia una perizia che ha saggiamente usato gli elementi esistenti in natura e che si è inventata da sola i mezzi e i sistemi per far fronte alla necessità. E poi, ogni pietra è diversa dall’altra, ha una sua forma che però ha ragione di esistere solo in rapporto alla forma di tutte le altre che costituiscono il muro; e chi l’ha fatto, quel muro, ha sputato l’anima per dare ad ogni pietra quella forma ed ha provato e riprovato ogni pietra accanto alle altre perché si azzeppasse con loro e su di loro gravasse adeguatamente con il proprio peso. Ogni poesia di Martire è proprio come un muro a secco di pietra: ogni parola, pur avendo una propria anima, ovvero una propria autonoma identità semantica, è sempre interrelata alle altre, dalle quali riceve significato e sulle quali sgrava il proprio significato, per via di aggregazioni che possono anche sembrare accidentali, instabili nei loro equilibri formali ma che in effetti sono il risultato, solido anche se spigoloso, di una ricerca espressiva fatta di paziente e duro lavoro artigianale attento innanzi tutto e soprattutto alla sostanzialità della resa e su di un materiale –il dialetto pedacese- non artefatto e non mistificato. E il coesivo che tiene su questi muri a secco che sono le poesie di Martire è costituito proprio dalla tensione di opporre ad una storia fatta da pochi e ad uso e consumo di pochi un argine di contenimento di razionalizzata presa di coscienza di ciò che agli “altri” ha comportato e comporta vivere “‘ssa vita”. “Altri” che nelle quattro sezioni sulle quali è organizzata la raccolta si ritrovano intieramente e puntualmente perché, ad ulteriore riprova della lucida adesione del poeta alla loro identità culturale, vi ritrovano gli atteggiamenti specifici mediante i quali loro stessi hanno tradotto in termini di sopravvivenza una logica esistenziale e sociale altrimenti inaccettabile; e cioè: la fatalistica ma sempre stupita osservazione del vissuto come necessaria presa d’atto di una realtà per loro immutabile (“Vernata amara”), la memoria e il privato come rifugio estremo (“A cascia”), il proverbialismo come ricorso obbligato ad un collaudato codice collettivo di interpretazione e di comportamento (“A pisca”), la provocazione e la denuncia come rito eliminatorio che si consuma in se stesso (“Tire c’arrenne”). Ma la raccolta di poesia di Martire non è solo una sorta di documentario sia pure, diciamo, alla Rossif su di un terzo mondo che 11 è appena fuori la porta di casa nostra: è il percorso obbligato per arrivare da “‘ssa vita” (la poesia di apertura) a “Scirocco anticu” (la poesia di chiusura), e cioè il filo rosso da seguire per trasformare un’antica intonazione espressa sommessamente e impastata di tante cose, in un assordante, dirompente, liberatorio grido. Ed allora gli stracci indossati dalla fornaia, dal carrettiere e dagli altri si rivelano come emblemi sventolanti in un universo - quello storicamente subalterno - che sopravviverà a se stesso fin quando sotto qualsiasi latitudine bivaccheranno comunque l’ingiustizia, lo sfruttamento, la frode, la sperequazione e tutte le altre belle cose che hanno fatto e fanno invivibile “‘ssa vita”; per cui ogni parola, ogni verso, ogni concetto di ogni poesia di Martire potrebbe anche esser letto come un colpo a sorpresa portato alla sempre più arrogante indifferenza di chi da sempre ha interesse a che “tutto cambi perché tutto rimanga come prima”. Che anche con la poesia si possa far guerriglia? * Questo articolo è già apparso quale prefazione alla raccolta di poesie Ssa vita, pubblicata nel 1981 dalla casa editrice MIT di Cosenza. 12 “’A vijielia ‘e Natale”* Commedia in due atti, scritta da Antonio Martire nell'ottobre del 1986, messa in scena per la prima volta il 26 dicembre 1986 nella parrocchia dei S.S.Apostoli Pietro e Paolo in Pedace, ha riscosso un enorme successo di pubblico. È stata, per tale motivo, riproposta alla comunità pedacese nuovamente il 6 gennaio 1987 ed è rimasta nel cuore di tutti per la sua dimensione antropologica e una connotazione fortemente simbolica e valoriale. L'eco del successo riportato si è notevolmente diffuso ed ha fatto sì che in molteplici paesi limitrofi, e non, della provincia, la commedia venisse altre volte rappresentata ad opera di diverse compagnie teatrali. Anche in ambito scolastico il lavoro di Antonio Martire trova collocazione e diventa un'opera con buoni esiti interpretativi per gli alunni delle scuole medie. La consacrazione definitiva, intesa come riconoscimento ufficiale da parte della critica letteraria, giunge col conquistare il quinto premio nel concorso nazionale CARM, indetto in Cosenza nell'anno 1995-96, a cui hanno partecipato oltre 300 concorrenti. E dovendo presentare questo lavoro al pubblico dei suoi lettori, è necessario darne la giusta collocazione artistica nel novero delle opere del teatro popolare in vernacolo calabrese. E lo si fa in modo affettuoso e sentito perché i vincoli di amicizia e di stima che ci legano a Tonino Martire sono tanti e tali che vergare lodi di apprezzamento in suo onore ci riesce facile e spontaneo e di conseguenza il discorso scorre fluido e non inceppa in forzature o in encomi indebiti. Già il titolo della commedia, ‘A vijielia ‘e Natale, ci inoltra in una particolare e suggestiva atmosfera: la serata della vigilia di Natale, vissuta in una famiglia qualsiasi del paese e i motivi conduttori sono il sentimento religioso coinvolgente, sentito ed avvertito, e l'attaccamento alla tradizione. I personaggi sono sette e su di loro campeggia la figura di "Tumasi", l'anziano patriarca che incarna la tradizione e rimane estraneo alle innovazioni, profondamente radicato com’è al suo modo di vivere. È una figura emblematica che l’autore ci presenta subito nel prologo e a cui fa proferire un elogio sincero e spassionato sul "focularu", "‘ssu gran cumpagnu chi se fa amare", che ha la capacità di raccogliere intorno a sè tutta la "famigliella ", mentre fuori imperversa la bufera o è in atto "na bella nivera ". 13 Il tempo passa, cambiano gli stili di vita, le consuetudini e anche il "focularu" è destinato ad essere soppiantato da altre fonti di calore. E l’allusione del vecchio tutore dell'ordine familiare al frenetico modo di voler cambiare tutto è racchiusa nei versi ”’e cose antiche le boni pezziare” , e giura a se stesso che fino agli ultimi istanti della sua vita rimarrà fedele al suo grande e vecchio amico "u focularu", accanto al quale ha trascorso attimi lieti e superato momenti difficili. È da far rilevare la caparbietà con cui il vecchio stigmatizza il sentimento quasi di religioso attaccamento alle tradizioni sacre. Infatti, come ogni anno, nella vigilia di Natale, momento sacro nel mondo cristiano, in cui tacciono gli odi, i rancori spariscono e gli animi sono colmi di sentimenti di pace e d'amore, c’è una ricorrenza che non si può infrangere, quella di accendere un grande fuoco nel proprio focolare domestico. L'immagine del vecchio, con la sua inseparabile pipa, davanti al camino acceso, apre la scena della Commedia. Gli altri personaggi sono: Giovanni, il figlio del vecchio Tumasi; Tiresina, la moglie di Giovanni; Peppe, il fratello di Tiresina, scapolo e sfaccendato; Rosicella e Maruzziellu, figli di Giovanni e Tiresina; Gegè, il fidanzato di Rosicella. Sono personaggi anch’essi ben delineati che simboleggiano l’anelito verso il nuovo, che si proiettano verso il futuro con tutto il loro modo diversificato di essere, che appare ora in linea con la continuità del passato, ora in netto contrasto. L’azione scenica è rappresentata da una lunga conversazione che si svolge nella vigilia di Natale in questa famiglia, i cui componenti, con toni a volte pacati, altre volte pungenti e ironici, discutono della quotidianità, del loro modo di porsi e di essere e non mancano alcuni efficaci squarci disvelatori sulla situazione politica italiana. A dire il vero l’autore insiste più sulla caratterizzazione dei personaggi, che si muovono nel loro stretto ambito familiare, che su quello ambientale e sociale. Pochi sono in effetti i richiami alla realtà circostante. Forse il rientro di qualche emigrato dall’America, "Riamunnu ‘ccu la mugliere" è uno dei pochi riferimenti, ben facilmente identificabili con persone realmente esistenti e che, in via del tutto confidenziale, l'autore cita in seno alla Commedia. E questo riferimento non è del tutto casuale se si considera che l’autore non è incline a dimenticare il passato, rinvangandone anche i suoi aspetti spiacevoli a mo’ di monito per il presente e per il futuro. E Pedace, come 14 tanti altri paesi della Calabria, in un passato non molto lontano, ha conosciuto anche l’emigrazione oltroceanica, per sfuggire alla miseria e alla fame. È un ritorno trionfante di vittoria di chi ha saputo realizzarsi anche in terre lontane, ma che rimane costantemente legato, col cuore pieno di nostalgia e di affetto, al suo sito natio. Il momento della festa rappresenta un ritrovarsi insieme in un piccolo microcosmo di affetti amicali. Altro momento di forte richiamo alla vita paesana è la costruzione del falò, "'u fuocu 'e Natale" in piazza, "mienzu 'e pezze": è simbolo di unione, di pace e di calore e fa parte di una tradizione secolare. Pedace funge così da contesto ambientale alla commedia ed è presente anche con il suo dialetto a cui l'autore attinge pienamente, facendo parlare i suoi personaggi con un linguaggio semplice, mirato, reso efficace e colorito dal ricorso ad eloquenti proverbi, a motti vivaci e a modi di dire sagaci che palesano l’attaccamento pervicace alla civiltà contadina e al suo tesoro esperienziale e valoriale. In definitiva, la Commedia, nel suo intreccio, non riserva colpi di scena o grosse sorprese. La chiusa è affidata alla saggezza di Tumasi che, rimasto solo nella notte di Natale, trova conforto e consolazione nel focolare, l’amico di sempre, il banditore di ogni malinconia e colui il quale si fa portavoce del significato più profondo del Natale. Prof.ssa ERMINIA BARCA * Il presente testo ha costituito la prefazione all’omonimo lavoro teatrale nella sua prima pubblicazione, avvenuta nel 1996 presso il Centro Arte Ricerche Meridionali (CARM). 15 Arte e vita nel teatro di Tonino Martire Il teatro calabrese non è mai stato una “scuola“ organizzata con una sua struttura, una sua lingua, una sua poetica. Lo stesso territorio, frammettato dalle montagne, ha reso difficili le comunicazioni e i rapporti umani, sociali e culturali. Fino a qualche tempo fa, nel riferirsi a questo estremo lembo della penisola, si usava il termine “le Calabrie” a indicare l’esistenza di una realtà non omogenea, di una società non uniforme, di una cultura non unitaria. La popolazione calabrese, contadina nella stragrande maggioranza, è sempre stata, comunque, una società subalterna, di “vinti“, fatalistica, con una sua struttura feudale, che ha alimentato una cultura genericamente protestataria e ribellistica. Il mondo degli “umili“ calabresi non ha mai intercomunicato, privo di collegamenti utili ad una sia pur elementare organizzazione sociale e culturale non solo per la frammentazione del territorio, ma anche per l’assenza storica di grandi centri urbani, per la sua insignificanza politica e, di conseguenza, per le diversità culturali ed etniche dei paesi e dei villaggi, isolati e chiusi in se stessi. Nel tempo non si è affermato nemmeno un linguaggio dialettale comune, per la debolezza della sua tradizione culturale e per l’assenza di un centro politico, commerciale e amministrativo. Il teatro, come la poesia, è così affidato ad uomini diversi per storie e sensibilità; è vissuto nella genialità di autori che hanno cercato nei loro solitari percorsi umani d’interpretare e rappresentare un mondo di subalternità e di emarginazione Di questi autori di teatro fa parte a pieno titolo Antonio Martire, di Pedace, dove è nato e vive, degno continuatore del teatro dialettale di Michele De Marco, in arte Ciardullo. Legato da un profondo amore per il suo paese, l’autore è impegnato per la crescita culturale e civile della comunità presilana. Il suo primo interesse letterario è stato per la poesia dialettale. Risale al 1981 la pubblicazione della raccolta di poesia Ssa Vita, un insieme di gustosi e significativi bozzetti di vita contadina e di tradizioni che ritraggono speranze, abitudini e costumi della popolazione pedacese e presilana nel difficile periodo del dopoguerra. A partire dal 1986, Antonio Martire si accosta al genere teatrale, scrivendo in vernacolo pedacese la sua prima commedia, intitolata ‘A Vijielia ‘e Natale, un lavoro in due atti che, a buon titolo, è da considerare il manifesto dell’arte 16 drammatica del Martire. In questa prima commedia sono già presenti temi e motivi caratterizzanti il suo teatro: l’amore per il passato, le sue tradizioni, i suoi usi e costumi, il contrasto tra vecchio e nuovo, l’atteggiamento protestatario verso il potere costituito, la ritrattistica bozzettistica dell’ambiente e dei personaggi. Attraverso la memoria, vera musa ispiratrice della sua arte, l’autore non costruisce ma ricostruisce una società preindustriale, precapitalistica, ma soprattutto preconsumistica, con una folla di personaggi fortemente e artisticamente tipizzati e caratterizzati. Antonio Martire basa il suo teatro su una costante contrapposizione di sentimenti e di valori, su una struttura tecnica semplice e popolare, lontana da ogni sperimentalismo tecnico e da intellettualismi paradossali. La comicità che ne deriva non porta però al riso aperto e a tutto tondo, ma solo al “sorriso“ perché i suoi personaggi parlano e discutono cose vere, di fatti realmente vissuti e fanno riflettere. Alla fine dello spettacolo, lo spettatore si allontana dalla sala sorridente ma anche pensoso perché in quel “ dramma “ ha ritrovato qualcosa della sua vita, della sua storia, della sua fanciullezza-giovinezza. E’ avvenuto un reale e compiaciuto processo d’inteficazione. L’elemento centrale del teatro di Tonino Martire è l’orgogliosa rivendicazione dell’autenticità di un mondo che “nella sua semplicità e pur segnato da sacrifici e stenti possedeva una forza immensa di calore umano e un cuore aperto alla speranza e al perdono” (Prefazione alla commedia ‘A vijielia ‘e Natale). Il teatro di Tonino Martire, costituito di gente comune per lo più, di azioni quotidiane, tende alla conservazione di un mondo che ormai sta scomparendo, ma che non eleva ad un’ottica di una cosciente protesta politica. Certo non manca la denuncia sociale, politica, ma a Tonino Martire interessa soprattutto difendere e conservare quel mondo perché non si rassegna all’idea che un popolo perda la memoria del suo passato, che le nuove generazioni crescano senza avere conoscenza degli uomini, delle opere e dei giorni che hanno segnato il tempo della nostra comunità. Il teatro, ma più in generale l’arte di Tonino Martire, si permea molto della mentalità dello storico. Il nostro autore, come lo storico, è uno che cammina ma con la testa rivolta verso il passato. Non a caso il punto di osservazione di questa società in via di estinzione è lo stesso autore che, a un certo punto, si “ eclissa “ nei suoi personaggi. Il passato che fa rivivere con le sue tradizioni, i suoi sentimenti, le sue abitudini, i 17 suoi contrasti è il suo passato. Personaggi, fatti, scene aneddoti si sviluppano “attorcigliati“ all’esistenza stessa di Tonino Martire. Si può dire che c’è una perfetta identificazione tra arte e vita. Come in un lungo feed-back scorrono personaggi che diventano non simboli o astrazioni di qualcosa, ma tipi concreti di una società, fissati in alcuni fondamentali caratteri di facile e istintiva distinzione (vecchiogiovane, buono-cattivo, antico-moderno). In precedenza ho sostenuto che nel teatro di Tonino Martire è presente una “ironica“ vena polemica verso il potente, il potere costituito, ma questa (lo voglio ribadire) si ferma alla semplice constatazione, all’implicita denuncia e non si trasforma in protesta politica né pretende ad un nuovo ordine sociale. Tonino Martire non è un rivoluzionario, ma è un grande artista, innamorato del mondo che rappresenta, piccolo mondo antico, fatto di stenti e di disperazione, ma grande mondo per i vincoli di amicizia e di solidarietà che lo animano. L’atteggiamento di Tonino Martire è lirico più che oggettivo e questo lo conduce a trasfigurare le sue storie e i suoi protagonisti proiettandoli in una magica e coinvolgente lontananza dove si smarriscono gli odi ed i rancori e si assiste ad un recupero di amorevole bontà. Tornando all’analisi della sua produzione teatrale, nella prima commedia (‘A Vijielia ‘e Natale) già il titolo ci inoltra in una suggestiva e magica atmosfera: la serata della vigilia di Natale, “vissuta in una famiglia qualsiasi del paese, e i motivi conduttori sono il sentimento religioso coinvolgente, sentito e avvertito, e l’attaccamento alla tradizione. L’azione è rappresentata da una lunga conversazione che si svolge in questa famiglia, i cui componenti con toni a volte pacati, altre volte pungenti ed ironici, discutono della quotidianità e … non mancano alcuni efficaci squarci… sulla situazione politica italiana” (ibidem). Pochi sono i richiami alla realtà circostante perché l’autore privilegia la caratterizzazione dei personaggi. Fra tutti prevale la figura del vecchio Tumasi, simbolo di un mondo che non c’è più, attaccato al suo focolare domestico, e, in questo, in antitesi con suo nipote Maruzziellu, che ascolta con le cuffie alle orecchie continuamente musica moderna e non capisce quel vecchio che ha come amico il fuoco del camino. Dopo ‘A Vijielia ‘e Natale Tonino Martire dà alla luce numerose altre commedie, tutte incentrate sui temi classici della tradizione, nonché sul socio-politico. I personaggi ritratti portano 18 sulla scena gli eterni problemi della società meridionale e l’ottusità della sua classe dirigente. Nella commedia Le campagne dell’onorevole domina la satira contro il politico demagogo e populista, che promette tutto a tutti prima delle elezioni per poi dimenticarsi di tutti gli impegni e delle promesse fatte a “risultato raggiunto”: è un eterno ritornello. Nella successiva commedia L’amure nun s’accatte, in tre atti, la scena si svolge in una sartoria del paese. Il tema è quello di un amore contrastato. La nipote delle sarte rifiuta il matrimonio col giovane scelto dalle zie, per sposarsi invece con quello che “lei” ha scelto. E’ una commedia per certi versi “corale”, perché vi partecipa a vario titolo l’intera comunità. La vicenda afferma il diritto all’amore, in una società nella quale, soprattutto i diritti delle donne, i diritti dei più deboli, erano conculcati. In questo Tonino Martire esalta le motivazioni femminili nell’impostare il problema del diritto all’amore mettendo il dito nella realtà crudele della donna sola e depotenziata, ubbidiente ai voleri della famiglia. Nella commedia ‘U postu ‘e Giacominu, atto unico, dietro la “burla“ che gli amici combinano a Giacomino emerge il dramma non ancora risolto della questione meridionale: il tema del lavoro che non c’è. La commedia in due atti ‘U scalune ‘e re cummari è ambientata in uno dei tanti “vicinati“ del nostro paese in un caldo pomeriggio estivo. Protagonista è “ ‘ u scalune “, fatto di pietra di fiume, dove le ciarliere comari sono sedute intente a svolgere alcuni tradizionali lavori artigianali e, come al solito, a passare in rassegna con abile lavoro di forbice i fatti e la vita del vicinato, del paese e dello stato. L’ironia bonaria che attraversa l’intera commedia consente ai personaggi, tra pettegolezzi, equivoci e imprecazioni, di trattare alcuni problemi del nostro tempo, con filosofia, tipica della nostra gente, col cuore disposto alla bontà e al perdono. Ironia bonaria e indulgente è in fondo il tono dominante del teatro di Tonino Martire. Prof.. Giovanni Curcio 19 POESIE* Il tempo che avanza inesorabile scava sui nostri volti rughe simili alle linee di un pentagramma musicale, sul quale sono scritte le note della colonna sonora del nostro vissuto; in esso trova spazio e legittimità anche la poesia. 20 * Le poesie contenute in questo volume appartengono alla raccolta in versi Ssa vita, pubblicata nel 1981 dalla casa editrice MIT di Cosenza. Alla presente edizione sono state aggiunte le seguenti poesie inedite: U’ paise, Rughella antica, ‘A chiazza, Natale, Pensieri, Munnu ‘mbrogliatu, Scippatore, U’ pane, Za’ Vicenza, U’ campanaru, U’ fuocu ‘e Natale, Amure, Passione, Capricciusella. 21 ‘SSA VITA Oh sule chi guardi e corìi 1 ‘ssa terra, ‘ssa gente ‘ncerata2, ‘sse case, ‘ssi tanti penìji3, ‘ssa vita patut’e strigliata, nun pruovi pietat’e turmientu ppe’ ‘sse manu calluse, ‘ntostate4 chi cchìù p’u rulure ‘un sa sientu ppe’ ‘sse catreje5 chicate6? ‘Ssa gente norra nun biri penzusa, rolent’e sciancata7 chi tire avanti a suspiri e r’éni a trent’anni ‘mbecchiata? Ccu’ ‘nu rulure chi sbissa8 ‘mpetratu9 ‘ntr’u cielu cocente, ha vistu morire a Melissa cercannu fatiga10 la gente. Nun parri! Tu manni calure ‘ssi raggi vruscenti stenniennu cacciannu a jumi ‘u surure a chine fatiche suffriennu. 1 Riscaldi Arrabbiata, imbronciata 3 Travagli, stenti 4 Indurite 5 Schiene 6 Piegate 7 Lussata, zoppa 8 Sconquassa, dirompe 9 Fisso 10 Lavoro 2 22 Nun baste ‘ssa forza tua ranni ppe’ cangiare ‘ssa vita rolente pp’attagnare11 ‘u sangu chi spanni re povera gente ‘nnozente12. Nun cacci ‘ssa race chi ‘mpiettu macina e sbulle13 lu core e crisce ogne jurnu a dispiettu e tutta ‘ssa terra chi more! ‘Nu jurnu se spreje14 a vampata15 ‘ntra nuvule scure, gravuse16, speranza re vita stutata17 supra ‘sse facce penzuse, e ccu’ china18 chi ‘mbie19 ogne cosa 11 Coagulare Innocente 13 Apre, spezza 14 Scompare 15 Fiammata 16 Dense, pesanti 17 Spenta 18 Piena 19 Trascina 12 23 tropìa20 possente pue vene, ‘ssa vita frunuta se ‘mpesa21 ppe’ sempre, e ccu’ illa le pene. Luglio 1978 20 21 Temporale Porta via 24 VERNATA AMARA Ccu’ nive e gelate è benutu lu viernu, ccu’ guale jurnate chi paru ‘n’etiernu; ‘ntra ‘ss’errama1 casa nun se trove ripuosu ccu’ lu vientu chi trasa2 r’e ‘ngaglie3 furiosu. Allu fuocu arrollata guardu ‘a famiglia, pensusa e ‘ncamata4 e ‘na freve me piglia. E’ cchiù e ‘nu mise c’un truovu fatiga e crirenza ppe’ spise nun fau le putighe. E’ bacante5 ‘a cannizza6, frunutu è lu pane, nemmenu ‘na stizza7 re uogliu rimane. Squazatu è Nicola, le scarpe rrurìu8, 1 Raminga Entra 3 Fessure 4 Affamata 5 Vuota 6 Stuoia, canniccio che conteneva il pane 7 Goccia 8 Consumò 2 25 ma marru Cuzzola pur’a sola finìù. Linuzza vo ‘a vesta, ‘u cappottu Teresa: v’apprache ‘ssa pesta, ‘ssa china chi ‘mpesa9. Cchi bita Maronna! Cchi malu patìre ‘ntra chissa cupogna chi luce nun bire; mo’ vene Natale, ‘a festa cuntata, ppe’ mie nun bale ‘ssa Santa jurnata. Bumbinu chi vieni ‘ntr’a nott’e Natale, tu nente nun tieni e ccu’ mie t’agguale. Tu chi ha provatu lu malu patìre, re mie sbenturatu canusci ‘u suffrìre; fa chi ‘ntra nente ‘ssu viernu se vule, a ‘ssa casa pezzente fa escere ‘u sule. Dicembre 1980 9 Travolge, porta via 26 ‘A PENZIONE Roppu quarant’anni e tosta1 fatiga s’è penzionatu marru Mattia! - Finarmente cce signu arrivatu, mo’ me ricriju2, me tiegnu guardatu! Progettiava lu buonu ‘zianu faciennu ‘i cunti ccu’ le rue manu e aspettava friscu e squitatu3 quann’u librettu mannava lu statu. Passau ‘n’annu ccu’ ‘nsistimienti, ma surdi ha trovatu chilli fetienti. Marru Mattia è carutu malatu, ‘na ‘nfruenzella ll’ha ammuzzellatu4, roppu tri jurni s’ha cuotu i filati mannannu a fa futtere penzion’e arretrati. Mentr’era stisu ‘u librettu è benuto, cci l’hau mmisu ‘ntra lu tavutu. Marru Mattia, vatinne squitato, tieni ‘u librettu c’ha suspiratu, ‘mmatriculatu, bullatu e grisu5 mo’ te va paghi allu paravisu. Si nun te quatre, mintecce sale, c’u tiempu ce pierdi a te ‘ncazzare; chissu è l’usu ‘ntra chissu statu, ca roppu muortu si accuntentatu. Marzo 1972 1 Dura Me la godo 3 Tranquillo 4 Ridotto a mal partito 5 Intatto 2 27 ‘U TRAINIERI Tipico personaggio di un amaro passato, lavoratore coraggioso ed inesauribile che, col suo caratteristico carretto, sfidando le intemperie, partiva dal suo paese per recarsi in Sila a guadagnarsi il necessario per tirare avanti alla giornata. ‘Ncutta1 la neglia2 cale pisciulara3 ‘u jurnu a pocu a pocu sta ‘mbrunannu, zu Battista a parte’ se prepara, mmienz’a via ‘u traìnu4 sta ‘mpajannu5; ’nfila conzata6 supra lu vignanu7 ‘a famigliella cce fa lu baciamanu. ‘Na staffilat’a Stella8 e ‘n’atr’a Baju9, lient’u traìnu part’e cigulìe, appriess’u cane le vani ccu’ ‘n’abbaju, sone l’orologiu e sunnu ‘e sie; allarghe pu’e vriglie chianu ppe’ Carru Mangu va e r’è luntanu. ‘Ncapu10 ‘a ‘taliana11 ppe’ cappiellu, ‘nu mantu a rota tuttu lu cumbeglia12, 1 Fitta Nebbia 3 Piovigginosa 4 Carro a due ruote 5 Aggiogando i muli 6 Sistemata 7 Pianerottolo 8 Nome della bestia 9 Nome della bestia 10 In testa 11 Berretto tipico, con la sola tesa anteriore. 12 Copre 2 28 assettatu13 ccu’ le gambe a cavarchiellu14 avanze ccu’ curaggiu ‘ntra la neglia; sutt’u traìnu voculiannu luccichìe ‘na lanternicchia ppe’ le storte vie. Sempre cchiù scuru, ‘ntra la notte avanza lientu e macina caminu, anima viva una nun se sconte rorme lu munnu tuttu a suonnu chinu; vigliante ‘mbece zu Battista stani re friddu azzerpulatu cum’i cani. A Montescuru ‘ncima gia arvìe15, l’iertu16 è finitu, cumince lu penninu17; ccu’ llu staffile i muli zillichìe18, è allu mmienzu ancor’e ru caminu; trove ‘nu vivieri19 lung’a strata, ferme lli muli ppe’ l’abbiverata. Via ripiglie e tutt’a ‘na tirata a Carru Mangu arrive la matina; senza ‘n’abbientu21 cumince lla jurnata, s’aza lla neglia, ‘a tramontana mina; cante ‘nu gallu ch’era llani ‘ntuornu, ppe’ llu trainieri è llu bongiornu. Arrase22 lli muli e piglie ‘nu zappune, ‘nu campu e ‘patate sta aspettannu, cumu ‘nu rannatu si cce rune, 13 Seduto A cavalcioni 15 Albeggia 16 Salita 17 Discesa 18 Solletica, pungola 19 Abbeveratoio 21 Riposo 22 Mette da parte 14 29 sur’e fumìe23 mentre sta scavannu ; cavuru don Mimì ‘m’poltrona leja, a zu Battista le role24 lla catrèa25. A ccapu vascia ppe’ tri jurni zappe, supra ‘nu fullune26 ‘a notte ‘ntru pagliaru ‘e ra vucca ‘na jestigna nun le scappe ppe’ ‘ssu pane sue tuostu e amaru; a runa a runa ‘e patatelle coglie dintra li sacchi e carrich’e ‘sse ricoglie27. Settembre 1975 23 Emana vapore Duole 25 Schiena 26 Pagliericcio 27 Ritorna a casa 24 30 CUNTADINELLE Amuru te cercamu e tu nun bieni ppe’ cunzulare ‘u core nuorru affrittu, ricenne cuntr’e nuve tu cchi tieni chi ‘n’facce nu’ ‘ne guardi e ba rerittu? Si facc’e manu sulu tinte avimu, ‘u cor’è chiaru e parpite d’amuri, ccu’ nuve ‘ngratu è statu lu restinu chi ‘a vita ‘n’ha stipatu1 re sururi. Re piccirille alla campagna jire, re munnu e cristiani rraniate2, ‘e tannu3 ‘a vucca norra cchiù nun rire ca la fatiga ‘n’hani scoscinate4. Fare ‘u majise5, lu granu annettare, tagliare l’erva ccu’ lu favuciune, ‘e ra matina ‘nfin’a se scurare e ppe’ sfogu cantare ‘ssa canzone: cuntadinelle ‘ntra ‘ssu munnu simu e sule sule n’amu e cunzulare, ppe’ lu friddu r’amure chi avimu a lu focularu n’amu de scarfare6. 1 Conservato Allontanate 3 Da allora 4 Aggobbate 5 Maggese: lavorare un terreno incolto 6 Riscaldare 2 31 Nun r’amu avutu mai ‘n’ura d’abbientu7, ‘nu jurnu chiaru, ‘na parola ruce, ‘mpesate8 ‘ncuollu ‘e l’erramusu9 vientu de l’anni vierdi stutannune la luce. ‘Ssa vita norra si ne va penannu, lassannu supr’a terra lu surure, ‘u ‘nfiernu lu scuntamu nue campannu ‘nnozentemente, senza cce curpare. Marzo 1976 7 Riposo Portate via 9 Errante, disgraziato 8 32 ‘A SARCINARA Emblematica figura di lavoratrice instancabile la quale, spinta dai pressanti bisogni della famiglia, di primo mattino, con l’ansia nel cuore, usciva di casa lasciando i figlioletti addormentati per recarsi nei boschi, alla ricerca di fascine di ramaglie. Chine ‘ntra ‘ssi tiempi e scialamientu canusce ‘na regina ‘e ru passatu, chi nun ha canusciutu mai abbientu1 e tutta a vita sua ha fatigato2? ‘A curuna sua era de pezza, arrangiata ccu’ zinzuli3 ‘e cucina e ogne bota, quannu all’accurrenza, ‘n’capu si la mintìa re la matina. Era chiamata ‘e nume sarcinara, china re petitu4 e ‘mberverata5, e tirannu avanti ‘a vita amara cercava ‘ntra li stienti a campata6. ‘Mprimu matinu, quannu ancor’è scuru, ‘a sarcinara s’aza e se ‘ncamina, ‘a cummari sua re casa a muru ‘na vuce l’ha jettatu e chilla fina. Maniete, sbrighete, fa ‘mpressa, ca sunnu già ‘e quattru ru matinu, ‘e ‘nu muorsu za Maria fila e tessa e llu cantinieri è jutu a binu - . 1 Riposo, sosta Lavorato 3 Cenci, stracci 4 Fame 5 Ansiosa, pensosa 6 Il necessario per vivere 2 33 Arranche7 a lampu ‘e ‘na finerrella: - Cummà’ ca viegnu, ‘nzigne8 a caminare - . ‘nu muorsu9 e pane ‘ntra ‘na mappinella10 e ba versu a porta a se ‘mbiare11. ‘N’occhiata rune alli figlicielli ‘ntr’u liettu bielli e cumbegliati12, ‘na lacrima le spunte re li cigli lassannuli suli e addurmentati. ‘Mpunta re pieri lasse a casicella, appena fore aze lu passu e tacchìa13, ppe’ jire a r’arrivare ‘a cummarella chi l’aspetta caminannu ppe’ la via. Ppe’ chill’ertata14 longa ‘e ra Carrera, appriessu a tutte l’atre sarcinare, tene alla manu ‘e lume ‘na jacchera15 ‘ntr’u scuru funnu ppe’ se quartiere16. Pass’u Faghitu, Tripuori, Prat’e chianu, Acqu’e mielu, Gariellu, Castagnella: dduve va bani lu postu è luntanu ppe’ ragare17 alla casa ‘a sarcinella. 7 Si affaccia Incomincia 9 Pezzo 10 Tovagliolo 11 Avviare 12 Coperti 13 Cammina in fretta 14 Salita 15 Pezzo di legno resinoso 16 Scansare gli ostacoli 17 Portare faticosamente 8 34 Roppu c’ha ‘ntorchinatu18 ‘u rituornu, ccu’ la sarma19 ppe’ carruoli20 e cigli, suspir’e fuje21 ch’èni fattu jurnu e sunnu risbigliati già li figli. A ‘na tirata22, senza s’abbentare, alla casa se ricoglie arragata23; quattr’ure tunne ‘e tuostu fatigare e ancora è de cominciare a jurnata. Sarcinara ‘mbecchiata, china r’amure, regina ‘ntra ‘ssu munnu sini stata; sempre fatigannu ccu’ àvutu l’onure ppe’ sfamare li figli te si sc-coscinata24. Moni arriddutta chjna re ruluri, sula a ‘na rasella ammuzzellata25, ccu’ lu cunfuortu sulu e quattru muri re tutti chiamata vecchia e arretrata. Ppe’ ricuordu re ‘na vita passata, ‘ss’amara litanìa mo’ haju cuntatu, sperannu dintra ‘ss’era smemurata ca ‘ssi figli canuscissin’u casatu. Nobile certamente, figli re regina, ‘mprillinchinati e ccu’ li franchi26 chini 18 Legato la fascina con polloni di castagno Carico 20 Viottoli, sentieri 21 Scappa 22 Di continuo 23 Stanca, senza fiato 24 Aggobbata, incurvata 25 Gettata in un angolo 26 Fianchi 19 35 e conzannuse a gagà e a gagherina ‘un sannu ca su principess’e principini… Aprile 1976 36 1 ‘U GAVIU ‘NSUONNU Va alla scola Giuvanniellu ‘nu guagliune prumettente, tene apiertu lu ciarviellu e r’apprenne cumu nente. Scanze tutt’e malevie, nun se fani ‘nfruenzare, mai nun dice fissarìe penze sulu a se ‘mparare. ‘A famiglia ci l’ha dittu, ca ‘ssu munnu è tantu tuostu e si unu marcia rerittu ppò trovare ‘ncunu postu. - Sulu ‘a scola figliu caru te sbalanche tutt’e strate, lu futuru te fa ‘mparu ccu’ li sordi a palate. Certu truovi li scaluni2 e stanchizza all’iertu3 ‘mpiernu4: nun t’arrennere ca pue fruni e te cuonzi5 ppé l’etiernu -. Ccu’ lla vucca sbalancata ‘ssu guagliune se collava6 tutta quanta ‘ssa parrata e ‘ntra capu la ‘nzaccava7. 1 Gaudio, allegrezza. 2 Gradini, in senso figurato asperità 3 Salita 4 Scoscesa 5 Sistemi 6 Ingoiava 7 Introduceva 37 Alla lettera ha pigliatu ‘ssi cunzigli a modiellu e ‘ntr’i libri è ‘mbolicatu8 cumu ‘a rina allu grassiellu. Tutti l’anni le passava ccu’ li voti cchiù de rece, ppe’ lli marri9 se chiamava lu campiune re la spece. Va lu nume alli giornali quannu lasse lu liceu, ca ‘ssu spiertu re l’annali vani a Roma all’ateneu. Lla cce fani ‘nu vulune, la spertizza sbolicannu e addutturatu ‘ssu guagliune se ricoglie pue cantannu. Bravi, agurìi e basuni ne ricoglie senza fine, archi a tutti li purtuni, le finerre ‘e gente chine. Re ‘ssa festa chi le fannu si ne gore Giuvanniellu, mentre rire sta penzannu a ‘nu biellu posticiellu. - Certu, caru, ranne spiertu10 ca t’aspette, tu ha suratu! Ha fatigato sempre all’iertu, vo’ ca ‘un bieni premiatu? 8 Avviluppato, impastato Professori, maestri 10 Intelligente 9 38 Tu po’ scegliere duve vuve: alla banca, ‘ntra la scola, ‘e cassieri e diretture, baste chi t’esce la parola! Ma ccu’ la capu ‘ntra le manu moni penze e pace un tene, nun se speghe ‘ssu baccanu re lu postu chi nun bene. E camine ‘ntra ‘ssu munnu ccu’ ‘ntr’a capu’a filosofia, ‘ncunu ‘u chiame bacabbunnu e ppe’ lle vie stolachìa11. Ottobre 1980 11 Sragione, dà i numeri 39 ‘A FURNARA1 Dintra ‘nu vasciu2 scuru affumicatu, ‘e notte a notte senza nullu turnu, ‘na fimminella rune tutt’u jatu3 sula e penzusa a ‘na vucca ‘e furnu. Cruru restinu ti l’ha cunnanata ccu’ ‘na famiglia ‘ntra la pezzentìa e ccu’ sururi s’abbusche4 la jurnata ppe’ lli figlicielli alla rranìa5. Ligatu ‘ncapu tene ‘u maccaturu6 e la facciuzza janca re Maronna, ‘ntieri vestuta tutta quanta ‘e scuru ppe’ r’onurare a chine cchiù nun torna. Nun tene abbientu7 dintra chillu ‘nfiernu e ppe’ lu fumu ‘e l’uocchi a lacrimare, ‘nchiovata tene rulerusu piernu dintra lu core chi la fa penare. Alla majilla8 conzata9 ‘mboccusutta10 prepara senza aiutu la ‘nfurnata, ammass’e sc-cane11 cumu ‘ntra ‘na lutta: quannu se aze èni scatrejata12. 1 Panettiera Locale a pianterreno 3 Fiato 4 Si guadagna 5 Sbaraglio, disperazione 6 Fazzoletto 7 Riposo, sosta 8 Madìa, recipiente di legno 9 Disposta, situata 10 Piegata con la testa in giù 11 Impasta 12 Con la schiena rotta 2 40 Staglie li pani ccu’ la rasulilla13 supra le tavole ‘e minte a levitare, arde lu furnu, piglie la palilla e ccu’ gran galapu14 ‘nzigne15 a le ‘nfurnare. Mentre li panicielli su’ a cottura, pulizze ‘n’atra vota a majilluzza, tutta ‘mpressata ch’èni quasi ura ru turnu chi spette a Mariuzza. Ccu’ la pacienza re ‘na ranne santa, ‘nzigne de capu, oje cumu jieri, rannu16 le forze la famiglia ammanta17 faciennu ppe’ destinu ‘ssu mistieri! Gennaio 1981 13 Paletta Destrezza, maestrìa 15 Incomincia 16 Dando 17 Sfama, governa 14 41 NICOLA E LLU CIUCCIU ‘Nziemi allu ciucciu marru Nicola guali le forze ‘nu jurnu finiru, jettaru1 tuttu, ‘u ‘mbastu e la viola2, tirannu forte ‘nu gran suspiru. - Simu arrivati – disse Nicola, l’iertu3 è finitu, mo’ n’abbentamu4, ti lu prummintu, signu e parola, tutt’i malanni mo’ ne curamu. Tu alla vota5 mangi squitatu6 ca china te tiegnu la mangiatura, io alla casa staju assettatu7 e mi la spassu cumu me chiura8. - Marru Nicò, ma tu rici raveru, ccu’ la famiglia tu ci ha parratu? – - Penze a mangiare senza penzieru ca ‘ntra la casa signu stimatu. Tiegnu li figli chi valu oru, tutti amurusi li neputielli, mo’ ti n’adduni9 re lu ristoru chi ricevimu nue vecchiarielli. 1 Buttarono Zappa 3 Salita 4 Riposiamo 5 Locale a piano terra 6 Tranquillo 7 Seduto 8 Pare, conviene 9 Accorgi 2 42 - Ddio ‘u vulissi patrune mie, io accussientu senza jatare10, ‘ssa vita mia è ligata a ttie allu tue core lu mie campare -. Lu ciucciariellu ccussi diciennu tutt’e prumisse nun s’ha collatu11, dintra re illu penzau allu viernu, alli prugietti e ‘nu penzionatu. Lisciu è filatu ‘nu buonu mise, saglìa e scinnìa marru Nicola, sempre abbunnante furu le spise, mantinne fire12 alla parola. Ma dintra l’ariu già se virìa, ‘nu tropiune13 stava arrivannu; ‘nu battibeccu supra sentìa, marru Nicola stava luttannu! Se fice bacante la mangiatura, tuttu a ‘na vota rivinne scuru, li povarielli finiru la cura e de la fine sentiru l’adduru. ‘Nfatti ‘nu jurnu friddu e amaru, a marru Nicola e allu ciucciariellu supra ‘dui camii li carricaru, targati SPIZIU e ‘n’atru MACIELLU! Gennaio 1981 10 Fiatare Ingoiato 12 Fede 13 Temporale 11 43 ‘A CASCIA1 Ranne ‘na cascia ‘e zimbilli2 chjna misa a ‘na rasa3 e tutti scordata, a nente cchiù serve, fani ‘mboina èni ‘na cosa re ‘n’era passata. Tuttu se perde, tuttu scumpare ‘ntra ‘ssu munnu chi ‘mpressa vani, ccu’ li paruocchi se tire a campare, c’è sulu oje, ne ieri e domani. Povera cascia, vecchia e finita, ‘ssu munnu modernu t’hani jettatu4, ma dintra re tie c’èni ‘na vita lu testamientu re tutt’u passatu. C’è la cunocchia, ‘u fusu e la lana, ‘u matassaru5 ccu’ filu attaccatu, ‘a baschinella6, ‘u sciallu, ‘a suttana, ‘nu maccaturu7 ra capu juratu8. ‘Na casciottella10 chjna ‘e buttuni, ‘nu gliombaru11 ‘e spacu, ‘na saccurale fatta alli fierri, ruvi cuzettuni ccu’ le taccaglie12 re marca norrale13. 1 Cassapanca Indumenti e utensili fuori uso 3 Angolo 4 Buttato 5 Aspo 6 Giaccone da donna 7 Fazzoletto 8 Fiorato 10 Scatolina 2 11 12 13 Gomitolo Legacci Dei nostri luoghi, rudimentale 44 ‘U ‘ndrigaturu14 ‘nziemi alla gliara15, ‘na cassarola16, ‘nu spitu17 arruciatu, ‘na vecchia fressura18, ‘na rusellara19, ‘nu quararuottu20 senz’asa21 arramatu. ‘Na vuce re vecchia chi si n’è juta22, chi va diciennu c’hani campatu, piccule cose ‘e ‘na vita frunuta, ‘nu signu pussente c’ha fatigatu. ‘Na vuce arretrata chi rice e chi ‘mpare, chi murre onuratu lu nuorru pitignu23, ‘nu puntu ‘e partenza ppe’ cominciare ‘nu nuovu riscursu ‘e prugriessu e de ‘mpignu. Aperimu ‘ssa cascia, guardamu li stigli24, è bita passata, nun è brigogna e ccu’ spertizza ricimu a ‘ssi figli ca ‘ntr’a pezzentìa ricchizza se coglia. Gennaio 1981 14 Fuso di ferro che serve per riempire i cannelli Cesto col fondo crivellato 16 Casseruola 17 Spiedo 18 Padella 19 Padella per cuocere le castagne 20 Paiuolo 21 Manico 22 Andata, morta 23 Origine, razza 24 Arnesi, utensili 15 45 SERENATA Nottata ‘e atri tiempi paisana china re vita, amure e poesia, sutta ‘u chiaru lurru re la luna ‘na musica se sente ppe’ la via. Franca si ne va ‘ntra la nottata e nun se cure de friddu e de nive, sempre ‘ntra li tiempi tantu amata, litterella r’amure chi t’arrive. ‘Ntr’i simpuorti1 e supra li scaluni2 i sonaturi tenanu ‘u cunciertu, minanu3 lu jatu4 ‘ntra l’ottuni5 ppe’ cantare a Rosa ‘ntra lu liettu. E ru suonnu chinu te risbiglie, ruce te sone ppe’ t’accarizzare, chianu te parre e te cunsiglie re stare vigliante a ‘ntregulare6. Ccu’ sarsofanu, chitarra e crarinu, cantaturi re ‘na musica r’amure, senza lassare, ‘nzin’allu matinu lu core re gioia te ‘ncalure. ‘Ssa musica toccante a ttie te parre e ‘nu sberagliu7 ranne fa benire, e campiannu8 r’arrieti9 chille larre 1 Portici adiacenti le case Gradini 3 Gettano 4 Fiato 5 Ottoni 6 Ascoltare 7 Frenesia 8 Spiando, affacciandosi 2 9 Da dietro 46 ccu’ ‘nu signu mutu fa capire. E tannu10 puru l’aria è contenta, ‘e vie, i muri tenanu ‘u secrietu re ‘ssa serenatella chi se sente ppe’ cocere ‘ss’amure a fuocu quietu. Maggio 1971 10 Allora, in quel momento 47 ‘A CUCCÌA Tradizionale piatto costituito da grano bollito e condito con cotenne e carne di capra e/o di maiale. Si usa prepararlo a Pedace la quarta domenica di settembre, in occasione della festa patronale dedicata alla Madonna Addolorata detta la “Pecorella”. D’anticu tiempu ancor’è dd’usu allu paise mie ‘na pitanza, piattu ricercatu e guliusu chi arricette1 e sazie la panza2. Cuccìa sini tu ‘mbarsamu fatatu, granne bannera re la “Pecurella3”, tu spacchi4 e ‘nzapuri ‘u palatu ricrìi5 alla gente a trippicella. Peraci tuttu l’annu tene ‘n mente s’usanza chi li patri hau lassatu e a settembre pur’u cchiù pezzente certu la cuccìa hani preparatu. Chine ‘un te canusce ‘un ce crire quantu sapure tu tieni ammucciatu6, mai chin’è abbuttu7 pò sapire quantu vucche amare ha ‘nzuccaratu. 1 Soddisfa, appaga Pancia 3 Festa della Madonna Addolorata detta la “Pecorella” 4 Rinfreschi 5 Ristori 6 Nascosto 7 Sazio 2 48 Granu ‘ndoratu, vita ppe’ lu munnu, chi a tutti ne stuti lu petitu8, sini tu chi addurare fa lu furnu, patrune regnante r’ogni gran cumbitu. Ccu’ li chicci tue chini e allitti9 nuve sempre la cuccìa preparamu; ccu’ carn’e chianca10, cuori e prisutti e ‘ntra li tinelluzzi te ‘nfurnamu. Cc’adduru chi se spanne la matina, ‘nziemi allu cuonzu11 quannu si cotta, ppe’ tutti si la prima ‘e re gulìe re li suttani, alle pezze, alla jotta. La rominica matina ‘ntra li furni ‘nu jire e benire re le fimminelle, ‘ncapu portannu li tinelli12 tunni e ‘ntra li cuofini13 puru ‘e pignatelle14. ‘U primu assaggiu è dd’usu la matina versu le rece, l’ura re mursiellu15, dintra lu piattiellu fumantina ‘ngrazìi cumu null’u stomachiellu. Chillu chi pigli ccu’ lu cucchiariellu ‘nzacchi dintra la vucca afantina16, tuttu sa buonu, granu e coriciellu e cumu scinne ‘u sciruppu17 e cantina. 8 Fame Scelti 10 Macelleria 11 Condimento 12 Vasi di terracotta 13 Ceste di vimini 14 Piccole pignatte 15 Colazione frugale in uso nelle famiglie contadine di primo mattino 16 Affamata 17 Vino 9 49 Pazzu ne va ppe’ ttie ‘u forestieri chi tutti l’anni vene a te cercare, chinu curmu ne volissi ‘nu vivieri18 ppe’ si ne potire ‘nu pocu saziare. ‘Ncunu pue rice ca si pisantella, quasi t’agguale allu ciment’armatu, ma mai china è rimast’a pignatella o ‘u tiniellu ha fattu lu lamatu. Nun te trarimu mai cuccìa bella, firata amica re ‘ssu jurniciellu, ‘u miegliu piattu si’ da “Pecurella” festa re core ppe’ ‘ssu paisiellu. Settembre 1974 18 Abbeveratoio 50 JAZZA1 ‘Nu negliulizzu2 ‘ncuttu e granzillusu3, ‘u cielu è fattu jancu a furmichìu; jazza, ‘u focularu arde sc-cattarusu4 e cchiù de lluocu i cuntuorni ‘un biju; le pullule5 guale e chianu chianu, mentre sciannanu se tenanu ppe’ manu. ‘Nu rruscitiellu6 nun sienti, ‘na mutìa, ‘u munnu pare fermatu, è ‘nu ‘ncantu; ‘a nive sta cumbegliannu7 case e bia, tuttu sta sutta a ‘nu jancu mantu; sutta re ‘n’alivu pigulìa ‘n’aggiellu8, nun po’ trovare lu civu povariellu! E mentre scinne la nive ondeggiannu9, tuttu lu core te sienti aperire; i quatrarielli ‘e gioia stau girannu mentr’e petitu10 ‘nu poveru suspire; re la piertica scippi ruvi ‘mpuosti11, sozizza frisca ‘e st’annu e l’arrusti. 1 Nevica Nebbia fitta 3 Rorido 4 Scoppiettante, crepitante 5 Fiocchi di neve 6 Rumorino 7 Coprendo 8 Uccello 9 Ondeggiando 10 Fame 11 Rocchi di salsiccia 2 51 ‘U Generale Biancu12 oje a cummanne, quannu vo’ illu fa jancu lu munnu; certu alla fatiga nullu se ranne13, è tiempu ‘e ‘nu bullitu a menzijurnu; vicinu allu fuocu tuttu ‘ncarcaratu14 gualu lu cuorpu te sienti ricriatu15. Vinu tuostu ‘e annu pastusu e russu guardi e biri tuttu jancu fore; ‘a cannata t’appuzzi16 allu mussu17, clu clu clu, gioia allegracore; fore fa friddu, intra è mollure18, viatu chine si lle po’ fa ‘sse cure. S’aza la neglia, ‘u cielu se sbapure, esce llu sule e tuttu luccichìe; ha finitu ‘e fatigare lu pitture, chianu ‘a vita ripiglie e cigulie; ‘nfila i pisc-cantanni19 su conzati20, capicchi21 friddi ppe’ li risperati. Gennaio 1975 12 Colui che fa cadere la neve Si arrabbia 14 Infiammato 15 Ristorato 16 Avvicini 17 Muso, bocca 18 Caldo 19 Ghiaccioli 20 Disposti 21 Capezzoli 13 52 RICUORDI Luntanu si nn’è jutu1 lu cerviellu stasera chi lu friddu m’ha aggattatu2 a ‘nu spicune3, duve ‘u focariellu ‘ntra la cucina èni appiccicatu4; ‘nu lignu ‘e cerza5 sc-cattarusu6 arde e io ccu’ rillu fazzu l’ure tarde. Azziccanu7 ‘e stizze8 lungu lu caminu e quete quete se stutanu9 ppe’ via, ‘ncuna allu mmienzu10, atre allu curinu11, se stute l’urtima chi de cchiù lucìa; ccu’ lla molla12 ‘u cippu stuzzichìu e ‘n’atru attaccarizzu13 ‘e stizze ‘mbiu14. Torna ‘ntra lu core la speranza, cchiù lurrusu15 se fani lu caminu, cerche la mente ‘ntra la luntananza tutt’i ricordi ‘e ru tiempu primu; acqua re fonte vivu assitatu e cumu tannu me sientu ricriatu16. 1 Andato Raccolto, accovacciato 3 Angolo 4 Acceso 5 Quercia 6 Crepitante, scoppiettante 7 Salgono 8 Scintille 9 Spengono, smorzano 10 Metà 11 Cima del comignolo 12 Attizzatoio 13 Lungo crepitio 14 Avvio 15 Luminoso 16 Dilettato e sazio 2 53 Sientu a Peppinu chi me stà fisc-cannu17 ‘nziemi all’amici tutti ‘ntr’a rughella18, rispunnu a lampu fore fuju19 zumpannu20, lassu grirannu intra a mammarella; e a ‘na tirata21, senza n’abbentare22, alla jimara23 i bagni jamu a fare. A muollu24 cce stamu ‘ntra lu vullu25, faciennu crapiole26, zumpi e griri, cchiù cuntientu e nuve nun c’è nullu ‘ntra chilli tiempi chini re suspiri, sc-carannu27 ‘ntre macchie a pimbirori28 ‘ntra frasc’è surchi cumu sproratori. Tannu29 ‘a trippa30 vacante ne rugliava, pane nun c’era ‘ntra le norre case e ppe’ llu petitu31 sulu s’arrupava, scavuzi jiennu ppe’ lle case rase; lu bisuognu avia bintu lu spagnu32 ppe’ lu caru benerittu muzzicuognu33. 17 Fischiando Vicolo 19 Scappo 20 Saltando 21 Di continuo 22 Riposare, sostare 23 Fiumara 24 A bagno 25 Ricettacolo di acqua 26 Giravolte 27 Ricercando 28 Pomodori 29 Allora 30 Pancia 31 Fame 32 Paura 33 Boccone di pane 18 54 Mis-cannu uva e nuce ‘ntra lu piettu fujiennu34, ca n’ha bistu lu patrune; ’a sira un mancava mai l’appriettu35 e de li patri ‘nu paliatune; ‘ntra nente ne scotuliavamu36 a paliata, cumu ‘a gallina ccu’ ‘na scillichiata37. Mienzu ‘a via liberi cumu aggielli, ‘ntinieri tutta quanta la jurnata re mille tanti bielli jocarielli la pezzentìa norra era arrassata38; chine te scorde vicinanzu biellu, munnu ‘ncantatu re tannu quatrariellu ! Serii li juochi ccu’ la cumpagnia, ammucciatelle39, rrumbuli40 e palluni, ‘a vuce re mammarella nun sentia mancu si ‘ngola l’escian’i purmuni; e l’attroppicuni41 nun ti nne curavi, pisciuliann42’u sangu, la jocavi. Passe ‘nu biellu43 carricu e cravuni e ccu’ ‘nu zumpu44 t’appicchi45 alla culazza46, 34 Scappando Accusa, bega 36 Scrollavamo 37 Dibattuta delle ali 38 Allontanata 35 39 Nascondino Trottole 41 Inciampi 42 Gocciolando 43 Camion 18 B.L. 44 Salto 45 Aggrappi 46 Estremità posteriore 40 55 ‘mpingi47 a ‘nu cruoccu48 e tte ‘mpiruni49, ppe’ scinne ‘a cammina ti se strazza; rire de tannu ancore Peppiniellu, chill’atru erv’e roglia Mungibiellu50. Tutti principali simu stati atturi e chillu teatru ranne all’apiertu, ccu’ ‘nu scenariu riccu re culuri hamu tenutu gratis lu cunciertu; surannu, senza abbientu, ricriati51, spartiennune ‘a passulilla52 cumu frati. ‘Na sacchettata53 ‘e castagn’e ficu tene Franchinu mentre stà beniennu, ‘mpressa l’arrollamu, nun te ricu, e ni lle sparte a tutti surridiennu; ‘u rittu ricìa tannu ca a visazza54 nun s’avìa d’aperire mienzu ‘a chiazza. Cumu ‘ntra nente passati vuve siti jurni cuntienti re la quatraranza55, pecchì ‘ntr’a capu mie mo’ veniti vuve chi siti ‘ntra la luntananza? Ppe’ mie buonu venuti sempre siti, restati sempre cca’, nun ve sprejiti56! 47 Rimani attaccato Gancio 49 Rimanere penzoloni 50 Etna, in senso figurato discolo, turbolento 51 Dilettati 52 Chicco d’uva passa 53 Tasca piena 54 Bisaccia 55 Adolescenza 56 Dileguati 48 56 Gioia me rati e sustentamientu, ‘ntra chissu munnu fattu a zanchera57, ma puru nostargia e arraciamientu ppe’ chilla vita pover’e sincera; amur’e gioia ‘ntr’u petitu primu, ‘ntra la ricchizza mo’ pace ‘u’ r’avimu. ‘Ntr’u focularu ‘a vrasca58 sta moriennu e ligna cchiù un c’è ppe’ l’attizzare; fa friddu, simu ‘ntru funnu re lu viernu, m’azu tremannu e baiu a mme curcare, sperannu ch’escia llu sule lu matinu ppe’ coriare ‘ssu munnu ‘e friddu chinu. Gennaio 1976 57 58 Fanghiglia Brace 57 ‘A ZITA - Cumu si bella oje ccussì vestuta, giojuzza chi me parti re la casa, ‘ntuornu te guardi rimaniennu muta a mamma tua abbrazza ca te vasa. Gioia re mamma, pari ‘na regina, fatte guardare ccu’ ‘ssa janca vesta, ccu’ ‘sse rosicelle cote stamattina crisciute apposta ppe’ la tua festa. E bbìa1, signorinella mia, nun chiangìre, ‘ssu jurnu te vuogliu virere cuntenta; va’, varca ‘ssa soglicella e rire, ‘e mammarella ‘ssu consigliu senta. Papai tue è lla chi già t’aspette, ppe’ te portare grisa2 ccu’ l’onure ‘nziemi a ‘ssu corteu e bona gente all’artaru maggiore ‘e ru Signore -. - Si tu cchiù bella, mammarella mia, chi m’ha fattu, m’allevatu ccu’ amure e mo’ te lassu, pigliu ‘n’atra via, rulure e gioia ppe’ lu mio core. Duve ‘a forza truovu ppe’ lassare ‘ssa casa, ccu’ lu mie letticiellu, chine m’aiute mo’ chi me scordare chille sirate allu focariellu? Duve cuntannume tante passatelle3 tu, mammarella mia, m’hai ricriatu4; 1 Lascia perdere Intatta, senza macchia 3 Favolette 4 Dilettato 2 58 cumu a tutt’e quatrarelle5 ‘a befana i regali m’ha portatu. Ricordi chi ‘ntra mente mo’ veniti, cosicelle chi tantu v’haiu amatu, nun be sciollati6, restati cumu siti ca ‘ntra la vita serve llu passatu. Perdunatime si mo’ ve lassu a tutte, ‘n’atru amure m’ha cuottu lu core; scusa ve ciercu ccu’ lle mani junte, sempre ‘ntra l’anni ve pienzu re fore. ‘Ncunu alla cchiesa stà aspettannu, ‘a gente è ‘mpaziente ppe’ lla via, ca risu e archi preparatu m’hannu ppe’ fare l’aguriu alla festa mia -. Luongu e ccu’ posa passe lu corteu, ‘a gente fa l’agurìi e rè cuntenta; ‘ntra ‘ss’allegria c’è ‘nu sulu neu, chiange l’amica ch’è restata sc-chetta7. Settembre 1976 5 Bambine Guastatevi, distruggete 7 Nubile 6 59 ALLA ‘MBRUNATA Guardu ‘n’uomin’e luntanu chi serpìe1 ppe’ lla via: cunzumatu marru Ghetanu se ricoglie2 da fatiga! Allu cuollu ‘u maccaturu3, supr’a spalla ‘nu zappune, surchìatu4, ‘n’facce scuru, ‘mbucca tene ‘nu muzzune. Arrozzulannu5 ‘ntr’u serciatu rruscitìe6 ‘nu chiccariellu7, ccu’ lli cavaci ‘mbuttatu8 e se ferme a ‘nu muzziellu9. Premurusa ‘na mammarella, campiannu10 e ‘nu purtiellu11, grire forte ‘ntr’a rughella12 ppe’ chiamare ‘u figliciellu. 1 Procede a zig zag Ritorna 3 Fazzoletto 4 Rugato 5 Rotolando 6 Rumoreggia 7 Barattolino 8 Spinto 9 Mucchio, ammasso 10 Spiando, affacciandosi 11 Sportello 12 Vicolo 2 60 Cupa sona ‘a vemmarìa mentr’u sule sta tumbannu13; - curi14, curi -, za Maria va ‘e galline ammasunannu15. ‘Ntru silenziu acquetacore trase tuttu lu paise, ‘n’atru jurnu pass’e more fatigannu16 ppe’ le spise. Settembre 1978 13 Calando, tramontando Verso di richiamo per le galline 15 Conducendo al pollaio 16 Lavorando 14 61 ‘A PISCA ‘Ntra ‘ssu statu scumbenatu nun se sa cumu te sciorte1, o si spiertu2 o si toccatu riesti ‘n baliu re la sorte. Se va avanti all’attrappuni3 allu scuru ‘ntra la pilla4, po’ scontare5 li valluni e te rumpi la curilla6. ‘A via ‘mpara7 po’ trovare senza curve e cilindrata e ‘ntra nente po’ arrivare alla fine re la strata. Po’ scontare ‘u crucevia senza frecce chi te ‘mpare, ‘n buocchi chilla chi finìa e stancatu te votare. ‘Nu sorteggiu tuttu pare ‘nu gran juocu re lu fatu e a ‘ssa pisca tu ‘e stare misu ‘nfila e numeratu. 1 Capita Intelligente 3 A tentoni, brancolando 4 Fango, melma 5 Incontrare 6 Parte finale della schiena (vertebre coccigee) 7 Pianeggiante, comoda 2 62 O si spiertu o si gallante8, rifferenza nun c’è nulla, si ‘nu semprice aspirante cumu l’atri ‘ntra la fulla. Te po’ jescere ‘a cartella e te cuonzi9 mentre campi, po’ restare a mammarella10 mienzu ‘a via sutt’i lampi. Sa jocare bon’a pinna? E te tocche de zappare! Nun sa fare mancu ‘a firma? E po’ jire a cummanare! ‘Ssu misteru chi tu speghe e te sbroglie ‘ssa matassa, ‘ssa timpesta chi t’anneghe e a ‘n’angulu t’arrassa? Nullu sa ‘ssa magherìa chi aperire fa le porte a taluni chi e ciotìa ne po’ inchìe cientu sporte. O chine pare la tagliola alli fini re cerviellu ppe’ tant’anni ‘ntra la scola e jettati a ‘nu muzziellu11? All’ammassu, senza scartu, senza nume, senza razza, cumu nati re n’abbuortu re ‘na mamma esciuta pazza. 8 Deficente Sistemi 10 A mani vuote 11 Mucchio 9 63 Nun arrescianu li cunti, ‘nfunnu vannu li progietti, stannu a galla li prisutti supr’u ‘mbastu12 ri potienti! Ottobre 1980 12 Basto 64 FRATI RE SORDI Sonânnu ‘na chitarra a battente, ‘nu viecchiu chi a vita canuscìa cantava ‘na canzuna ‘ntra la gente, caminânnu chîanu e toscu1 ppe’ la via. Eranu parole chiare e ammartinâte2, chi ‘ntr’a capu trasanu re pizzu3, all’uomini e ‘ssu munnu ‘ndirizzate mâlandrinu, buonu o scugnizzu. ‘Nu riccune dde terre e dde palazzi, alla ‘ntrasata4 Ddio si l’ha chîamâtu stenniennu e pistole5, capu e brazzi, ‘mbanca li sordi e l’oru ha lassatu. I figli ripinnâti6 ru rulure ppe’ lla partuta ‘e ru patre caru, stimâtu ‘nvita sempre ccu’ amure, roppu orvicatu7 vannu allu notaru. Ruvi fratiscielli, ruvi corazzuni, ‘na pappa8 e ‘na ‘nzunza9 eranu stati, ma appena hannu adduratu li miliuni ‘ntra facc’e tânnu cchîu ‘un se su guardati. Se liticanu ppe’ lla villa ra muntâgna, ppe’ lli sordi e lle terre da marina, 1 Serio Piene di significato 3 Punta 4 Improvvisamente 5 Arti inferiori 6 Strappatisi i capelli e graffiatisi il viso 7 Seppellito 8 Pane 9 Sugna 2 65 unu ‘mpunte lli pieri e l’atru appâgna10, cc’accuordu, cchi putiferio, cchi ‘mboina. Allu trinunâle pue hannu ratu parte pp’avìre giustizia e d’esere spartuti; cce su arresciuti, ma su nimici a mmorte: frati re sordi eranu i scunchîuti11! A novantânni mârru Ricu è muortu, ‘nu vecchîariellu buonu e onoratu nun ha lassatu vigna, casa o uortu, era poveru e sordi, ma stimâtu. ‘Nna murra12 e figli haû chîangiutu, ccu’ lacrime re core veramente, ‘ssu patre chi ‘ntru munnu ha combattutu lassânnu ‘nu buonu nume ‘ntra la gente. ‘Nu testamientu hannu trovatu chînu re sienzu e de significatu : - Figli ‘nu grânne tisoru v’haiu lassatu, a pace e ll’amure e ‘nu risperatu -. Marzo 1971 10 Si irrita, s’adombra Filibustieri 12 Moltitudine 11 66 ‘A ‘MBIRIA Chîanu chîanu Giuvanniellu, chi ‘ntr’i guai ha navigatu, cuntr’a sorte cumbattiennu roppu anni s’èni azatu. S’ha accattatu1 ‘na vittura e ‘na casa ammobigliata, all’accurtu2 mo’ se ‘nzura3 s’ha trovatu ‘a fidanzata. Camine francu e animusu, ti n’adduni4 si lu scuonti5 ca mo’ file a ‘n’atru fusu, tene tutti li cunfuorti. Mo’ se spagne re lu picciu6, fa lli corn’a due manu, ha sentitu fietu ‘e micciu ca è chiamatu “americanu”. L’atru jurnu m’ha fermatu e m’ha fattu ‘ssa parrata : ca se sente piccìatu e lla vita affascinata7. - Si è chissa ‘a malatia, Giuvannì’ nun peniare, vate dduve za’ Maria ca te sani sfascinare -. 1 Comprato Presto, tra poco tempo 3 Sposa 4 Te ne accorgi 5 Incontri 6 Malocchio 7 Colpita dall’invidia 2 67 Rittu fattu, lla è jutu8 e lu fattu l’ha cuntatu, za’ Maria a ‘nu minutu tutt’i mali l’ha cacciatu. - Za’ Marì, ‘u vi ‘ssi gienti, mamma mia cchi munnu ‘ngratu, quannu comberu te sienti a lampu t’hannu piccìatu -. - Giuvannì’, statti squitatu9, a fa ‘sse cose ‘un su li gienti e ‘mparatillu ‘ssu filatu ca su sulu li parienti! Aprile 1971 8 9 Andato Tranquillo 68 ‘U FRINGILLU1 - A ‘na trappula2 haiu pigliatu ‘nu fringillu canterinu, sanu e sarvu è restatu cumu primu, vulantinu. ‘A cchiù bella mia caciula3 l’haiu ratu cumu casa, ma sta fermu e cchiù ‘un bula, s’è arrunchîatu4 ‘ntra ‘na rasa5. L’haiu accattatu6 ppe’ mangiare civu buonu e prelibatu; ‘nu llu vo’ mancu provare e se vote all’atru latu. È benutu a me trovare l’atru jurnu zu’ Runatu, senza ‘n’attimu tricare7 ‘e l’aggiellu l’haiu parratu. - Tene civu, acqua e amure, tuttu chillu chi l’aggrare8 e cce fazzu mille cure ppe’ lu sentere cantare. 1 Fringuello Tagliola 3 Gabbia 4 Raggrinzato, rattrappito 5 Angolo 6 Comprato 7 Tardare 8 Piace 2 69 Cumu va, cchi l’è pigliatu, ca sta sempre culerusu, propriu a mie m’è capitatu ‘ss’aggelluzzu mottettusu9? – - Ti n’abbutti10 ‘e l’allisciare11, abbuttannulu12 ‘e mangiare, voglia ‘un tene cchiù ‘e cantà’ ppecchì ha piersu ‘a libertà. Aprile 1972 9 Schizzinoso Hai voglia 11 Accarezzare 12 Saziandolo 10 70 L’ANIM’UMANU L’anim’umanu cumu èni secrietu, scuru, sulagnu1,chînu re fietu, ma certe vote buonu e amurusu, affezionatu e spanticusu2. Mai lu lieji, mancu a ‘n’amicu, chi se confire, sacciu si ricu; sempre rimane ‘na cosa ‘gnota, chîna ‘e misteru chi ‘un se sbota. E nun te sonnare mai de rire ca pue ‘ntra nente tuni capire chillu chi tene ‘ncapu ‘u vicinu puru si illu pigliatu è a binu. Cumu lu rittu rice de fare, tu ccu’ la gente ti ce mangiare ‘na ruva ‘e sale ‘ntra la minerra ppe’ lla pisare supra ‘ssa terra! Ottobre 1972 1 2 Solitario Amorevole 71 ‘U POVERU E LA GALLINA Quannu ‘u barune ‘nterra galliava1, spapanziannu2 ‘ntra oru e abbunnanza, ‘a gente povarella a spachìava3, ‘nu rugliu4 gualu avìa ‘ntra la panza5. Senza ‘nu spacchîu6 travagliava amminazzata7 cumu li cani, ‘na vota ‘u jurnu appena mangiava, jia sbattiennu ppe’ munti e ppe’ chîani. ‘E ra carne canuscìa sulu lu nume, cibbu re lussu e prelibatu; bullitu ‘e cicoria e de cardune era llu pranzu ppe’ llu sue palatu. Ppe’ chissu ‘nu jurnu è capitatu ca don Mimì ‘ntramente passiava re scattu l’uocchi ha sbertulatu8 ca un cridìa a ciò ca merava9. Pecchi virìa ‘ntra ‘nu natriellu10 ca cummari Mariuzza ‘e Cicalina avìa ‘ntra le manu ‘nu curtiellu e stava pp’ammazzare ‘na gallina. 1 Spadroneggiava Navigando 3 Soffriva la fame 4 Gorgoglìo 5 Pancia 6 Rinfresco 7 Minacciata 8 Spalancato 9 Guardava 10 Pollaio 2 72 E chissu l’avìa tuttu ‘nciotalitu11, s’intenne, no ppe’ llu sc-cantu12, ma pecchì ‘u’ ravìa ancora capitu lu festeggiamientu ‘e qualu santu. Quannu pensannu le vinne a lla mente lu rittu viecchîu ‘nzapientatu, sempre re mora, passatu e presente chi grulliannu13 va llu risperatu: quannu ‘nu povarieullu sbenturatu ammazze ‘na gallina a lla ‘ntrasata14, o è ‘ntr’u liettu stisu malatu o la gallina èni ‘mpagliarata15. Dicembre 1972 11 Stordito Spavento 13 Scuotendo 14 All’improvviso 15 Accasciata, accovacciata sotto le penne e, quindi, ammalata 12 73 ‘U CARU LIBRU ‘E Ruminicu ‘a mugliere vo’ dittu, premurosa e chîna re malanni, duve ha misu ‘u libru chi c’è scrittu ‘u secrietu ppe’ campà’ cent’anni. - Ohi mugliè’, me sa’ tantu fessa? Ccu’ mammata chi gira ‘ntra ‘ssa casa e cummanne cumu ‘na contessa l’haiu ammucciatu1 ‘ntra ‘na bona rasa2 -. Ottobre 1974 1 2 Nascosto Angolo poco visibile e,quindi, posto segreto 74 UOMINI E ANIMALI A ‘nu spicune1 ‘nu poveru assettatu2 ‘na manu stenne cercannu aiutu: passe ‘nu riccu e cc’è attroppicatu3, stuortu l’ha guardatu e ‘ssi nn’è jutu4. ‘Nu gattariellu ‘ncamatu5 e azzerpulatu6 se lamentava dintra ‘na rasella7: passe ‘na gatta rraina8 e ll’ha allattatu faciennu illa ppe’ la mammarella. Ottobre 1974 1 Angolo Seduto 3 Inciampato 4 Andato 5 Affamato 6 Raggrinzato, infreddolito 7 Cantuccio 8 Estranea 2 75 FORTUNA Malaru, buonu, giustu e posatu, ‘ntra ‘nu lavinaru1 è carutu; povariellu! ‘Ntra nente s’è affucatu senza chi lle jissi ‘ncun’aiutu. Girolamu ‘mbece, c’era r’ammazzatu2, ‘ntr’u mare ‘ntimpesta scivulatu, no solamente s’è sarvatu, ma ‘ntre sacchette3 i pisci ha portatu. Ottobre 1974 1 Ruscello Mattacchione, spericolato 3 Tasche 2 76 ‘U POVERU CRISTIANU ‘Ntra lu munnu risperatu tu si jutu penijannu1 ccu’ lu sguardu allampanatu e llu petitu2 ppe’ cumpagnu, murmuriannu ‘ntra re tie ppe’ ‘ssa sorte tanta tinta, mai trovannu ppe’ lle vie null’aiutu o ‘ncuna spinta. Si ricuotu a pennulune rrisciannu ‘a rasa rasa, ppe’ te minte a ‘nu spicune3 e penare ‘ntra la casa. Sulu piensi e tte cunsuoli ca nun frune cca’ ‘ssu munnu e ‘sse pene e ‘ssi ruluri si ne vannu ‘ncunu jurnu. C’a furtuna cecagliune4 chi re tie s’è scordata, te livisse5 ‘nu vasune e tte fa cangià parata. 1 Penando Fame 3 Angolo 4 Cieca 5 Lancia 2 77 Spieri, prieghi cum’è d’usu chissa santa spaturnata6, mentre fili ‘u stessu fusu tutta quanta la jurnata. E lli jurni, i misi, l’anni senza lurru7 si nne vannu, - ‘a speranza -, t’addimmanni, - è chilla chi ricìa nannu? Chine campa de speranza certu more risperatu, mai menza fa la panza8 ppe’ ‘na legge ru creatu. Si r’a stella si signâtu ccu’ lla marca grigio scura, frate mio si spacciatu, truovi guai a r’ogne ura! Va luttannu senz’abbientu9 ccu’ li ranni risperati e ‘nu jurnu, lu cchiù tintu10, pue te cuogli li filati. Aprile 1977 6 Maledetta Luce 8 Pancia 9 Riposo, sosta 10 Nero, amaro 7 78 ‘A VURPICELLA Ha de razza ‘u gallinâru1 intra l’uortu zu’ Pasquale, cumu a chi lu tene caru vale chîù e ‘nu capitale. ‘Na matina capizziava2 assettatu3 supra ‘u siettu, ‘nu rrusciu4 lu bisbigliava, sgranâu l’uocchi e stette attientu. Te smiccie ‘na vurpicella chi’ntre frasche5 caminâva, serpiânnu a ‘na rasella6 le galline già puntava. Ccu’ perizia e marranza7 Zu’ Pasquale l’ha appostata, ccu’ ‘nu zumpu li se lânza e intre mânu l’ha acchiappata. Ma l’ha vista spâgnitusa8, nun s’ha ‘ntisa e l’ammazzare, ‘ntra ‘na caggia l’hani chiusa ccu’ lu ‘ntentu e l’allevare. 1 Pollaio Faceva un pisolino 3 Seduto 4 Rumore 5 Ramaglie 6 Cantuccio 7 Maestrìa 8 Spaventata 2 79 Mo’ la cive e si l’allisce, generusu è de core, mentre ‘a vurpa mâng’e crisce e la cacce puru fore. Mânza mânza e joculara9 ‘ntra chill’uortu si la spasse, nun r’ha nente cchiù da razza sula e libera la lasse. - U gallinâru po’ aperire, dammi fide muglierella, ca la curpa, tu ‘e sapire, mo’ s’è fatt’a pecurella -. Ma ‘a mugliere re Pasquale, chi è furba e suspettusa, sta bigliânt’e lla se ‘mpale e la talìe10 mentre cusa. - Ohi Pasquà, tu nun me ‘ncânti ca ancora un signu pazza, chissa vurpa chi m’avanti nun se po’ scordare ‘a razza. Illa fa ppe’ t’assonnâre ccu’ lle sue mâgagnelle e ccussì ce liberare tutte quânt’e gallinelle. Pue tu mi sai a dire quânnu tutte l’ha scannâte! Ohi Pasquà’, tu ‘e capire ca le vurpe vaû ligate -. 9 Giocherellona Scruta 10 80 Ma Pasquale ccu’ franchizza, uominicchiu buonu e caru, ppe’ murrrare la certizza sbâlancaû lu gallinâru. Tutte quânt’e gallinelle, a ‘na vota liberate, pizzuliavanu11 llà belle ‘ntra chill’uortu sparpagliate. Mentr’a vurpa ntântaviglia12 si ne stava ‘ntra ‘na rasa, zu’ Pasquale ‘a via piglia e trasìu dintra la casa. Cumu quânnu ‘u ventulizzu13 a ‘na vota fisch’e mine14, chilla vurpa ppe’ r’ogne pizzu15 rava ‘ncuollu16 a lle galline. E ‘ntra nente, cumu lâmpu, le muzzau la cânnarozza, senza avire nulla scâmpu fatte tutte a cientu stozza. E tu, populu ‘ngannâtu chi nun biri re quattr’anni ‘u viecchiu deputatu chi appracava chiânti e affânni e mo’ ccu’ ‘n’atru ritorniellu se prisente torn’a ttie 11 Beccavano Era in dormiveglia 13 Forte vento 14 Percuote 15 Parte 16 Addosso 12 81 ppe’ cercare ‘u voticiellu ca ppe’ ttie spântichìe17. ‘Nfacce a chissu juru ‘e linu chi te fa ‘ssa parratella, tu chi fai? ‘N’atru ‘nchinu? Tieni ‘n mente ‘a vurpicella! Settembre 1979 17 Ne muore 82 TIRE C’ARRENNE ‘Na minna1 chîna e ‘ntrugliatella2 ppe’ ‘ssi guagliuni affamatizzi, pronta la tene la mammarella ‘ntr’u statu spasi3 a tutt’i pizzi4; mai ‘ssa mamma, mai s’arrenne, viviti figli! Tire c’arrenne5… Sucanu6 tutti cumu rannati, ‘e notte, ‘e jurnu, senza sperâgnu7, abbacatizzi8 o su stancati sempre ‘u mussu a ‘ssu rugagnu9; è tuttu gratis, nente se spenne, viviti tutti! Tire c’arrenne… Puru si ‘a freve10 chîche11 la mamma, ‘ntra lu liettu janca re faccia, a tutti sempre tire la canna12 e ddu capicchiu13 a vucca nun caccia14; sempre cchiù duce ‘ssa minna penne15, ruce de zuccheru! Tire c’arrenne… 1 Mammella Rotonda 3 Sparsi 4 Parti, luoghi 5 Cede, rende, frutta 6 Succhiano 7 Succhiano 8 Oziosi 9 Recipiente 10 Febbre 11 Piega, debilita 12 Gola 13 Capezzolo 14 Toglie 15 Pende 2 83 Chine sperâgne16 ‘ssa mammarella chi sc-coscinata17 va ppe’ lu munnu? Pensanu tutti alla minnella, allu scinnente18 chi tenanu funnu19; nun c’è riparu, ‘a vucca se ‘mperne20, gioia cchi ‘mèrica! Tire c’arrennne… Paranu jienchi21, tutti ‘ngrassati, tuttu fa broru, nente le frene, su ‘ntra lu munnu li spenzerati ccu’ sângu talianu intra le vene: ‘nfinga chi tiri e illa se stenne chin’è lu fissa? Tire c’arrenne… Tutti ricuoti ‘ntuornu le biri, figli re core sempre sucannu22 e tu ririennu arrieti ‘un te tiri, ‘ncuollu le tieni ppe’ tuttu l’annu; senza surare, viviennu le renne, chine te lassa? Tire c’arrenne… Ottobre 1975 16 Risparmia Aggobbata, incurvata 18 Apparato digerente 19 Profondo 20 Fissa, ferma 21 Giovenchi 22 Succhiando 17 84 L’ASTA ‘E GEPPINU Marru Geppinu s’ha ruttu ‘na gamba, tiratu ru picciu1 ballannu ‘na samba; allu spitale ci l’hau conzata2, senza ‘a ‘ngessare, ccu’ ‘n’Asta ‘ndorata. Roppu ‘nu mise sa vente3 e camine, ‘ntra ierti4, scise5 e dintra le spine. Piglie fatiga6 ccu’ l’ANAS a ‘na strata, ‘a gamba va storta e torna è spezzata: era ‘n’Asta truccata! Marzo 1971 1 Malocchio Aggiustata 3 Si sente in forza 4 Salite 5 Discese 6 Lavoro 2 85 ‘E CURVE Tumasi Cirmiellu1, ‘nu simpriciune, addimmanne a Pasquale ‘nu citu2 jume: - Ccu’ ‘ssa spertizza, vuogliu de tie pecchì ‘e curve cce su alle vie? – - E’ cosa difficile, re gran giometria; ‘nu fattu ‘e avutizza3 fa storta ‘a via -. - Ma puru ‘mpianura ‘e curve cce stannu, speghemme allura ‘e cose cu’ vannu? – - Ihi vrocculuni!rispunne zu’ ‘Ndria, chi a sentere stava ‘ssa litania. - Sentite a mmie piezzi e cazzuni, fau storte le vie marchisi e baruni ; putenti e riccuni re terr’e palazzi, gran marpiuni, no teste re cazzi. ‘A via la tiranu duve cchiù le cumbene, pocu se fricanu si storta vene. È fatta ‘ncurva l’Italia tutta, chi po’ cchiù tira e ‘un si nne futta! Marzo 1971 1 Letteralmente significa piccolo sacco Silenzioso 3 Altezza 2 86 ‘U RICURSU ‘Gnazullu tuttu pipe, senza postu ppe’ lle vie, cumbatte e ‘sse quartìe1 ogne jurnu concorsìe; alla cassa ‘e menzijurnu e a chilla e vemmaria, cchi tte fa è ‘na scarogna, sempre è fore chi spassia. Mo’ le mancu due punti, mo’ lu scartanu ppe’ nente, si proteste e fa lla sc-cuma fisc-cu e pica, nullu ‘u sente. L’atra vota, ‘nziemi a tanti ‘nu concorsu è jutu2 a fare, esce fore ‘u risurtatu e ‘Gnalluzzu torna care. Cc’ha de fare povariellu? ‘Nferocitu cumu ‘n’ursu, senza ‘n’attimu tricare ce va spicche ‘nu ricursu. ‘Natru l’hani preparatu Tumasina e Tapparella, ca ccu’ ‘mbroglie l’hau gapatu3 ‘u postu re bidella; 1 Si da da fare Andato 3 Imbrogliato 2 87 e Luvige re cannata tutt’i jurni ricursie ca duve illu se prisente trove cchiuse porte e vie. All’ufficiu’e re tasse va Nicola ‘u cacagliu, paghe tunne trentamila fa lu cuntu e trove sbagliu; mo’ aspette ‘ncazzatizzu ‘e ra summa ‘u rimborsu; è passato cchiù de ‘n’annu, se ‘ncapricce e fa ricursu. Chine oje ‘un ricursie ‘ntra ‘ssu cavulu de statu? Chine ha rugne ppe’ lle vie mai vene appracatu. Cumu l’acqua re li jumi chi cantannu scinne a mmare, mmienzu a frasche e cantamuni1 ppe’ pue jire a ‘sse fermare; ‘u ricursu gualu a illa, passannu e manu a manu, se ferme ‘ntra la pilla2 re lu statu ‘talianu. Febbraio 1972 1 2 Pietre Fango 88 ‘U CARU PETROLIU ‘Nu carricu ‘e petroliu ‘n’mienzu lu mare a ‘na simana nun po’ sbarcare. È clandestinu, ‘un tene fattura, priestu lu ‘mbruogliu finisce ‘n pretura. Puru ‘u guvernu ne fannu ‘ntrarire ppe’ miegliu potìre ‘ssi ‘nfami corpire. A lampu ‘e pressa arrivanu ‘e Ruma tri deputati propriu ‘n persuna. Roppu ‘nu jurnu ‘e ’ndaggine funne, ‘nu deputatu ccussì rispunne: - Tuttu è chiaritu, se po’ sbarcare ca ‘n mienzu mare si se triche ‘ncare; c’è statu ‘n’equivucu re prucedura, nun c’è bisuognu re la fattura-. 89 Ma cumu po’ essà’ si pè la verdura chi cumpri all’uortu ce vo’ puru a fattura? Su fatti tutti a ‘na fiscella, si arriva a lampu ‘a BUSTARELLA! Ottobre 1974 90 ONOREVOLI ‘E RAZZA Sempre accumpagnati ‘e ru Patreternu a novant’anni vau allu guvernu, sunnu i senaturi e li deputati chi tenanu i seggi testamentati. L’arteriosclerosi mai l’acchìappe, friche sulamente a chine zappe; tenimuli buoni ca sunnu ‘e razza, si le perdimu l’amu fatta ccu’ i cazzi! E cose vecchie mo’ vau de moda perciò ‘u Parlamentu nun se rinnova, ca puru ‘u vinu eni apprezzatu quannu ‘ntra vutta eni ‘mbecchiatu: senza ‘nu ververu, bielli squitati, e jiennu ‘ntra l’anni a moda tirati, ‘ss’onorevoli nuorri riddutti a mortoriu su tutti ‘mbecchiati ‘ntra Montecitoriu! Dicembre 1974 91 I PRIVESSURI Armete Peppe, ‘nzigne1 la scola! Minte a San Giuseppe ‘ntr’a mariola2; ‘n’aiutu te rune dintra ‘ss’arrembagiu e t’accumpagne durante lu viaciu. Chine te rice duve tu chist’annu va sbatti i corna ppe’ jire ‘nzegnannu? A Papanici, a Salianu, a Grisolia, a Campana, a Canna o a Cerenzia? Duve va vai longa è la via mentre la capu a tie te sbarìa3. si titolare o si supplente, statti squitatu4: nun cange nnente; sempre girannu te tocche de jire no duve annu, silenziu se gire! Prima giravanu i jurnatieri, l’ammalafuorfici e puru l’uscieri. Intra ‘ssi tiempi ‘e prugressi avanzati giranu a murre5 li laureati. nun te scurare, aspette squitatu ca oje o romani te conze6 lu statu! Fa la riforma ‘u’ l’ha saputu? Te ‘nquatre a norma e tuttu è frunutu. Tu ci lu scrive duve vo’ jire7 1 Incomincia Tasca interna della giacca 3 Delira 4 Tranquillo 5 Flotte, moltitudini 6 Aggiusta, sistema 7 Andare 2 92 e illu certu te sta a sentire. Oji cazzè8, chisà ca ce criri?! Tu te fa viecchiu e ancora giri, cchiù chianu certu re scola a scola cumu ‘u pallune alla moviola. Settembre 1975 8 Stupido 93 PAGLIETTE E BALICE1 S’affacce da finestra ‘na matina ‘nu giovanottu ‘e Oppido Mamertina, vide ‘nu fumu chi ‘ncielu si ne va s’addimanna pecchì ma nun lu sa. Scinne ‘mpiazza vestiennuse ‘mpressa e bire ‘na fulla chi se cunfessa2: -Ch’eni succiessu! Dicitime gente… -‘A ‘ndustria e pagliette vruscia ‘ntra nente! -E li pagliettari se sunnu vrusciati? -A puzza hanu ‘ntisu e sunnu scappati! -E mo’ cumu facimu? Simu fricati, ca simu rimasti disocuppati! -No! Ppe’ mintè fatica moni se rice ca fannu ‘n’ndustria granne e balice. Mille ogni juornu pue si ne fannu, cussì p’u munnu jamu giriannu! Dicembre 1975 1 2 Valige Mormora 94 U’ CANE ITALIANU ‘Nu casinu tene don Sanzune, ccu’ intra ‘na ricchizza senza fine, ‘nu cane ci ha misu allu purtune chi a cchine prumminte1 e a chine mine2. ‘E luntanu è passatu ‘nu strazzatu chi cercava ‘a limuosina ppe’ bia; ‘u cane ha ruttu ‘a catina e l’ha frugatu3 conzannulu4 chi ‘un se canuscìa. Ciccu Peppe, re cerviellu finu, ‘nu marpiune ‘e rinari agliuttu5, senza timure è trasutu6 ‘ntru casinu e ‘ntra ‘na notte si l’ha scuotu7 tuttu. E llu cane, tu pienzi, cchi facìa? Ppecchì tuttu sanu8 ‘u l’ha sbranatu? Cc’era llu cane, attientu e un dormìa ‘e ‘na pagnotta s’eni accuntentatu! Aprile 1976 1 Promette Dà 3 Azzannato 4 Riducendolo 5 Avido, bramoso 6 Entrato 7 Saccheggiato 8 Intero 2 95 U’ CANE DELUSU ‘Nu can’e caccia delusu r’amure, è scuru re faccia ppe’ ‘ssu disonure; pigliatu ‘e scunfortu ‘un po’ cchiù campare, va piglie ‘u ribottu1 ppe’ se sparare. ‘U patrune capisce e appriessu le va, ‘u parr’e e l’allisce2, sparare ‘u llu fa. Ma ‘un s’arrenne, furbu se fa e speranzusu a Sevesu va. Appena arrivatu, senza tricare3, ha respiratu e ‘nterra llà care. Ottobre 1976 1 Fucile a due colpi Accarezza 3 Tardare 2 96 ‘A RANA E LLU CRAC ‘E sira ‘ntr’u stagnu, ‘na rana ‘nfocata chiame llu zitu ppe’ fa ‘na parrata. Appena cumince e fa crac, crac, te passa Sindona vestutu ‘nfrac. -Vile carogna, te fazzu arrestare, te armu1 ‘na rugna ppe’ te ‘mparare; chisse parole e ba rice a Berzottu, ca illu nun jate2 ppecchì ha rottu-. -Ma caru Eccellenza, cchi ne sapìa ch’era ‘ndecenza ‘u crac ppe’ ttia! Chissa è lla parra chi mamma m’ha datu e de piccirilla haju sempre cracchìatu3; mo’a cumu viju ca ve ‘nzerrati4 1 Impianto, creo Fiata 3 Gracidato 4 Arrabiate 2 97 forse puru vuve ‘ssa lingua parrati? Ottobre 1979 98 GENTE R’ONURE Quannu ‘ntra l’anni ‘u petitu1 regnava dintra ‘sse trempe2 chìne e paisi, ccu’ gran cuntiegnu ‘a gente campava teniennu all’onure re calavrisi. Mo’ chi lu tuempu tantu cangiau a chissu munnu facce e culure, ‘na razza e gienti pere pigliau chi vene chiamata gente r’onure. Ddiu l’ha fatti senza speragnu3, ccu’ tutt’i sienzi si c’è appricatu; l’ha baccinati cuntra lu spagnu4 e l’ha livissati5 ‘ntra chissu statu. Su fatti e ’nu ‘mpastu re canigliata6, ccu’ cromosomi re marca frichigna, tenanu ‘a capu a r’uovu munnata7 e ppe’ testamientu campanu a bigna. Jocanu e bincianu ccu’ le parole, chi ccu’ decenza ‘a chiamu fatiga, mentre se inchìanu le mariole8 ri barbettuni chi mancanu a ttia. 1 Fame Luoghi scoscesi 3 Risparmio 4 Paura 5 Lanciati 6 Crusca 7 Pelata 8 Tasche interne delle giacche 2 99 Paranu ‘e tutti li rifenzuri, l’appracaturi re tutti li mali, si ‘u le canusci guarde li muri, nente ce manche, su tal’e quali. Sunnu re tie, populu stancu, l’amici cari ‘mpari9 conzati10, chi vau corianu11 a Ruma ‘nu vancu e sulu ri sordi su risbigliati. Mentre tu aspietti e illi ‘nu signu, ca chissa vita cchìuni se scure, sulu t’arrive ‘nu cantu frichignu ‘nu viecchìu motivu e sempre chi rure. Ma chill’amicu, lu deputatu? Lu parolaru re tutte le ure? A ‘nu nuovu scandau éni ‘mpricatu! Ma reste sempre gente r’onure. Dicembre 1980 9 Comodi Sistemati 11 Riscaldano 10 100 SCIROCCU1 ANTICU ‘U stessu scuru vientu è chi jujjìe2 i cuosti3 re ‘ssa gente accerata4, mai se stanche, jujje e cumbìe5 i figli r’antica razza risperata; senza pietate tutti le rranìe6 chini re race7 ppe’ l’amare vie. E ancora mine, furiusu d’etiernu, gustannese ververi8 e lutte, cumu ‘nu pattu, ‘na legge re ‘nfiernu ancor’arsusu e ‘ssu sangu s’abbutte9: cesse sciroccu, cchìu nun minare10, lasse ‘ssa gente lluocu campare. Guarde ‘sse vie, ‘sse case mute, ‘ssi viecchi ‘n fila spasi11 allu sule, le meglie forze si ne su jute12 tutte le cose hau piersu culure: penze sciroccu, abbasce ‘ssa grigna13, fa chi ‘na vita diversa cca ‘nzigna14.1 1 Vento caldo, caligine Soffia, percuote 3 Dorsi, schiene 4 Col viso indignato 5 Manda via 6 Disperde 7 Rabbia 8 Pensieri, ansie 9 Si sazia 10 Soffiare 11 Distesi 12 Andate 13 Ira, superbia 14 Incomincia 2 101 102 Lasse ‘ssa terra, abbentete1, è ura, mini re sempre nun si stancatu? Cchiù nun ‘nzenare2 ‘ssa gente, ‘ssi mura chi cumbattiennu hau persu lu jatu; fa chi ‘ncumincie ‘nu jurnu chiaru ca ‘u priezzu pagatu è statu caru. È tiempu re fare chiari li cunti, mintiennu re parte sort’e speranza, ‘un sienti ca tremanu i mari e li munti e lla misura è curma e n’avanza? ‘ssi giuvinotti nun chiangianu cchiù e nullu lle ferme, nemmeno tu. Tu nun t’arrienni, i prighi ‘un sienti, ‘mbutti3 ogne cosa, le speranze stuti? Ma ‘e nuovu curaggiu se armu ‘ssi gienti e lutta te fannu ‘nfina c’ammuti; lutta ppe’ sempre senza cchiù abbientu, tutti jungiuti e te stutanu4 vientu! Febbraio 1979 1 Riposati Inquietare 3 Spingi 4 Spengono 2 103 ‘U P A I S E ‘ Nu muzzelluzzu ‘e case ‘ncutte mise all’umbra re ‘nu viecchiu campanaru, ‘e vie sunnu fatte a ierti1 e scise2 ‘a chiazza solamente è allu ‘mparu: ‘na chiesa, tante funtane e simpuorti e tuttu ‘ntuornu cervicali e uorti. Pare ‘nu quatru a sangu disegnatu ‘ntra ‘na cornice vierde re natura, duve ogne cosa parre du passatu, duve li stienti lieji supr’i mura; tuttu è ammantatu re ricordi amati ppe chine ‘ntra ‘ssu luogu sunnu nati. Lu guardi, lu giri tuttu ‘ntuornu e parica nun tene nente povariellu, ‘u sule chi lu coce quannu è jurnu, ‘a notte ‘u cante ‘ncunu grilliciellu; ‘na sula ranne ‘ndustria c’è criata: chilla r’i figli chi nascianu a cucchiata3. Tanti fumari spannanu la vuce re le famiglie ‘ntra le case a celle’ ‘ntra l’ariu le parole amar’e duce re patri, figli e sante mammarelle; ppe dire ca lu core chjange e cante ‘ntra ‘ssu paise rispettusu e amante. Passannu te cunte ‘na canzuna antica, pussente ‘ntra le vie e le rughelle, cuntannu i fatti va ‘ssa vuce amica 1 Salite Discese 3 Coppia 2 104 re ‘nu passatu ‘e cose brutt’e belle chi apere ‘nu ranne libru ‘ntra la mente, scrittu ccu’ lu surure ‘e tanta gente. Li jurrni sunnu fatti ‘e cosicelle, re canti ‘e galli e ragli ‘e ciucciarielli; li vicinanzi tuttu chjni ‘e cummarelle e a murrate4 re vispi quatrarielli; mentre a ‘nu tric-trac ‘e ‘nu tilaru rispunne lu martiellu ‘e ru forgiari Supra ‘nu siettu re ‘nu viecchiu muru, ‘nfila assettati ce sunnu l’anziani, portanu ‘nfaccia i signi ‘e ru lavuru, chjni re calli e contre5 su’ le manu; scarpari, sarti, marri r’ascia tanti, massari e zappaturi ‘ntra li manti. ‘A matina l’ortulanu ccu’ ‘nu griru risbiglie ‘e ru suonnu tutt’a gente, mentre l’aggielli lassanu lu niru e lu paise se inchje ‘ntra ‘nu nente, e ppe’ via, ‘ziemi a piecure e a cani caminanu senza sc-cantu i cristiani. ‘A sira quannu ‘u sule sta tumbannu6, se sente lu suonu cupu ‘e vemmaria, e mamme i figlicielli vau chiamannu e le galline ammasune7 za’ Maria; ‘ntra le case è appicciatu ‘u focularu e la famiglia se junge8 a ‘ss’artaru. 4 Moltitudini Cicatrici 6 Tramontando 7 Fa rientrare nel pollaio 8 Riunisce 5 105 Chissu è lu paise, tuttu e nente: ‘n’anticu core apiertu e ‘nnamuratu, ‘na vuce chi ronzie ‘ntra la mente, ‘nu fuocu re ricordi appiccicatu; ‘mprunte ccu signi spasi ppe’ le strate, adduri e suoni re l’età passate. E’ chillu piezzu ‘e terra assulicchiata, chi ti la puorti appriessu duve vai, ccu’ li chianti sempre aracquata, suspirannu chillu jurnu chi tornerai; ca stare luntanu ‘e illa è veru scuornu pecchì ogne notte ‘a viri ‘ntra lu suonnu. 106 ‘A CHIAZZA Cum’è bella e gentile ‘ssa sirata sutta le stelle ‘ntra la vecchia chiazza, ‘nu tiempu tantu viva e apprezzata ‘e ra gente peracise d’ogne razza. E oje simu venuti alla trovare, ppe’ ce rire ca bene le volimu, ppe’ ne potire ‘nziemi ricordare tutti li fatti re lu tiempu primu. Amu fattu buonu? Vue cchi diciti? Cchi vi ne pare de ‘ssa gran pensata? ‘U sacciu ca ve piace e accussentiti ca siti gent’e core affezionata. Nun sentiti dintra ‘ss’aria fatata la ranne gioia re na vuce amica? ‘A vita re li patri ch’è passata fatta re stienti cumu la furmica. ‘E ru paise chissà era lu core, ‘e lluocu gioia e affanni su’ passati; ohi quanta gente si n’è juta fore ‘ntra chilli tiempi amari e disperati! ‘Ssi muri, ‘ssi simpuorti ccu’ ‘sse case, quantu pensieri tenanu ammucciati1 re gente ch’è passata ‘e ‘ntra ‘sse rase2 ccu’ suspiri e canti re l’innamorati. 1 2 Nascosti Angoli 107 Quantu parole ‘e supra ‘ssu barcone ritte a ‘na fulla chjna1 re speranze: bandiere russe ‘nsiemi alle cansune sonnannu re ne inchjere le panze. Tantu tiempu re tannu mo’ è passatu e li ricordi su’ rimasti sulamente, chilli chi ‘ntatti oje amu trovatu tuttu jungiuti2 ‘ntra la norra mente. Stasira simu lluocu piccirilli e ranni3 ppe’ ne guardare ‘ntra l’uocchi e ne parrare, ppe’ sentere ‘na vuce chi ‘e tant’anni, ne mbite ccu’ gran forza cca a tornare. ‘A romanica festeggiamu ‘a “Pecorella”, la norra Patrona, Maronna Addolorata, prummintimulu a ‘ssa norra mamma bella, ca ‘a chiazza ‘e Peraci torne affollata. 1 Piena Uniti 3 Grandi 2 108 RUGHELLA ANTICA ‘N mienzu allu paise, bella riparata ce stai tuni,rughelluzza amica, ‘u sule chi t’allurre1 a jurnata ‘nfina chi ‘e r’i munti si ne chjca2; i patri ccu’ tantu amure t’hau criata e fatiga ccu’ sururi si’ custata. ‘E case conzate3 belle a filarata, su’ fatte tutt’e petre fravicate, una supr’a l’atra è appoggiata ccu’ granne arte, tutte ‘ncatinate; vicinu ‘u simpuortu, all’angulu ra via, c’è sistemata puru ‘a casa mia. Supra ‘na porta ‘ntra ‘na nicchiarella c’era lu quatru re l’Addolorata tuttu alluciatu re ‘na lampicella ppe’ butu a ‘ssa Maronna tant’amata, chi a settembre vene pregata tutt’e sire e ognunu li sue bisogni le confire. Quantu vuce ‘ntonavanu a ‘ssi mura, quantu suoni se spannianu ccu’ adduri, vicina se sentia tutta la natura ccu ‘na ranne mercanzia re culuri; r’e graste alle finerre ccu’ l’adduri, scinnianu li jurilli lungh’i muri. 1 Illumina Tramonta 3 Sistemate 2 109 ‘E tutte l’ure, r’a gente chi passava ‘u rrusciu1 e r’e perate se sentìa, mentre ‘a sielica2 ccu’ ritmu accordava i murmuri3 e za’ Filumena chi facìa; chi mentre assettata4 si ne stava nu’ muzziellu5 re panni arripezzava6 Parianu uocchi tutt’e finerrelle, vucche spalancate eranu ‘e porte, duve affacciate tante fimminelle parravanu re la vita e de la morte; e mentre ‘u filu allu fusu ‘ncuna coglìa ‘a jurnata chjanu chjanu si ne jia. L’atru jurnu a te trovare signu venutu c’avìa tanta voglia e te parrare, ma re la pena signu restatu mutu appena chi t’haiu vistu lacrimare. Haiu ‘ntisu ca ‘u jatu te mancava e la vita a pocu a pocu se stutava7. Nun se sente cchiù ntinnare ‘u martiellu dintra la forgia re marru Jennaru, ‘ntra ranne mutìa è puru lu natriellu8 duve a jurnate faticava lu scarparu; escianu sulu surici, secutati9 ‘e ‘na gatta ‘e chilla porta duve faticava la sarta. 1 Rumore Selciato 3 Lamenti 4 Seduta 5 Cumulo 6 Rattoppava 7 Spegneva 8 Sottoscala 9 Inseguiti 2 110 Mo’ i fumari su’ niri ppe’ l’aggielli e guardanu lu cielu ppe’ pregare, ppe’ fa’ tornare chilli tiempi bielli ppe’ potìre ‘n‘atra vota fumiare; ma a ‘ssa preghiera re chiantu abbragata10 l’ecu le rispunne ca è sprecata. Quannu ‘u sule ‘e ra Tenna campiava11 ‘sse finerrelle ‘na manuzza l’aperìa, ‘ncuna mammarella pue s’affacciava e lu core tantu forte ne vattìa: mo’ sbattiti sule ‘ntra ‘ssa muta via ca’u vientu cumu voni ve tessia12. I muri su’ tutti quanti stonacati, l’erva ha cumbegliatu13 via e scaluni14, i canti ‘e r’i tilari se su’ ammutati ‘nziemi alle grirate ‘e ri guagliuni, passe ‘nu cane e pisce a ‘na porta: ‘u le fa’ nente, ‘a rughella è morta. . 10 Rauca Spiava 12 Dimena 13 Coperto 14 Gradini 11 111 NATALE Dicembre ccu’ lu friddu è arrivatu, i munti cumbegliati su’ de nive; ‘ssu mise chi èni tantu ricordatu se canusce ‘e l’adduri quannu arrive; ppecchì se spanne dintra tutt’e vie’ ‘na gioia chi lu core ‘ngrannizzie1. ‘Na festa dintra l’ariu se sente, ‘na cosa chi nun se sa spegare, cuntenta tu viri tutt’a gente ccu’ ‘na voglia tantu ranne re amare; ‘ntra ‘na cornice ‘e stelle e lucitelle e ccu’ ‘nu ruce suonu ‘e ciaramelle. Se vire ca Natale sta beniennu, lu granne jurnu chi lu munnu aspette, la mente li ricuordi va jungiennu e le cose chi lu core arricette2; chille chi hau sempre intra cuvatu, tenner’e duce ‘ntra lu passatu. Ppe’ chissu jurnu ranne e gloriusu, ognunu se ricoglie d’ogne rasa, pecchì Natale è biellu e calurusu si se passa ‘nfamiglia ‘ntra la casa; ‘ntra chillu luogu caru affezzionatu ‘ntra chillu postu duve sini natu, ppe’ godere l’usanze tantu care vere lumere re lu tiempu anticu, ppe’ sentere tanta voglia r’amare, lu munnu sanu viecchiu caru amicu; ppe’ sentere ‘u core vattere assai forte guardannu ‘a stella chi alla grutta porte. 1 2 Soddisfa Sazia 112 Natale sempre ‘u stessu è restatu, cumu alli bielli tiempi re quatraru1, jurnu re vera pace aspettatu ‘ntuornu allu cippu re lu focularu, duve era jungiuta tutt’a famigliella ppe’ se gorere la santa siratella. Ancora la viju la mia cara mamma tutta mpacciata dintra la cucina, chi allu fuocu re ‘na viva fiamma re cullurielli facìa ‘na frijitina: turdilli, crustuli, scalille e pizze, signi ‘e r’a festa vere bellizze. Tuttu era suonu, granne allegria alla vijielia ‘e ‘ssa festicella, nun c’era figliu chi nun mintia sutt’u piattu la litterella, ccu’ le prumisse re ranne bontà versu le mamme e li cari papà. Juochi ppe’ tutti ‘ntra ‘ssa sirata: nucill’e tombula ‘nu veru spassu, tutt’a famiglia virìa appricata2 tra risa e griri, granne fragassu; mentre ‘nu suonu anticu ‘e campana tutta la gente alla chiesa chiama. Lassanu ‘e case piccirilli e ranni, tutti rispunnanu a ‘ssa chiamata, a chiss’usanza chi sempre ‘ntra l’anni ccu’ granne fede vene rispettata, e puru si lu friddu fa azzerpulare3 tutt’u paise è fore a vigliare. 1 Ragazzo Intenta 3 Rannicchiare 2 113 ‘N mienzu la chiazza ‘u fuocu vampìe re gente ‘ntuornu c’è ‘na gran murra1: chine spare botte e chine se corìe2, chine re pace e d’amure discurra; nasce ‘ntra ‘ssa notte lu Redentore e ‘na nova speranza trase ‘ntr’u core. Speranza re vita, re pace e d’amure ppe’ chissu munnu chi sta gelannu, vene lu Messia chi cacce le paure ‘e violenze, ‘u ‘ntrigu e lu ‘ngannu; preganu tutti lu granne Divinu chi la Maronna culle ‘ntr’u sinu3. Tu Bumbiniellu chi ha male patutu, chi ‘e r’u munnu canusci i peccati, sai quantu serve lu tue aiutu ‘ntra chissi tiempi re granni spietati; ‘ssu sangu chi scurre fallu attagnare4 ca cchiù la gente nun fani campare. Fa’ chi pigliassi pere ‘a ragiune, simine torna ‘u bene a ‘ssa terra e ca la gioiusa vita ‘e guagliune nun canuscissi cchiuni ‘na guerra. Tu sai quantu è spasu lu granne male, rune speranza, oh Santu Natale! Cumu ‘na vota quann’era quatraru, 1 Moltitudine Riscalda 3 Grembo 4 Fermare 2 114 senza mai ‘n’umbra ‘ntra ‘ssa jurnata, vicinu ‘u presepiu r’a chiesa all’artaru quannu passava vigliante ‘a nottata; guardannu la grutta allucinata ‘e ‘na stella e ricriatu ‘e ‘nu ruce suonu ‘e ciaramella. 115 ‘U FUOCU ‘E NATALE Re tiempu luntanu ‘ss’usanza nu’ more, rimane appicciatu ‘ntr’a mente lu fuocu, lu cuorpu corìe1, ristore lu core ‘ssu caru amicu, cumpagnu re juocu. ‘Ntiempu ‘e guagliuni a tutti applicava e gioia ranne ognunu sentia, nun c’era nullu chi se scanzava, tutte le forze a ‘ss’impresa mintia. E quannu lu mise ‘e dicembre trasìa, ‘nu ververu gualu, possente portava, a murra i guagliuni ‘n mienzu la via ccu’ carri e gacce ognunu sbrittava2. Versu ‘a jimara e ‘ntra le castagne tutti jungiuti cumu ‘na pigna, sc-carannu3 ‘ntr’e rrope nullu se spagna, sulu se pense a trovare li ligna. Sarcine, cippi e gran raricuni s’abbirettavanu4 ‘ntra trempe5 e vallate, nu’ ne fermavano sepale e patruni, se jia avanti tra gioia e grirate. Nun s’appuntava mai ‘e girare, ‘nfinu a quannu nun era mbrunatu ppe’ potire ‘u carru curmu carricare chi ccu’ le corde venìa tiratu. 1 Riscalda Fuggire rapidamente 3 Ricercare 4 Avvistavano 5 Luogo scosceso 2 116 ‘Nu buonu mise rurava ‘ssu juocu, chi lu sapure ‘e Natale ne rava, pensannu sulu a fare ‘nu fuocu chi ‘ntr’i cuntuorni nullu ‘u passava. ‘N mienzu le “Pezze” virìa ‘na fera, ‘mprimu matinu cuntentizza regnava, ‘na ranne fulla ‘ntuornu la c’era ccu’ ‘na ranne voglia re aiutare. Pue la sira alle nove ‘a vampata, ccu’ ntuornu festusa tutta la gente, bell’e spassusa scurrìa la sirata ccu’ lu Bumbinu dintra la mente. ‘Ntantu sone la missa ‘a campana mentre lu tiempu pruminte nive; ‘na vecchia zampugna sone luntana e chissu suonu ‘ntra l’aria arrive. Le stizze azziccanu6 ‘nziemi alle fiamme e duci pensieri ‘ntra ille sunnu, chi vannu a scontare l’amure ranne chi oje scinne supra lu munnu. 6 Salgono 117 U’ CAMPANARU ‘N mienzu ‘e “Pezze” èni ‘u stennicchiune1, stemma pussente ppe’Peraci ‘ntieru e d’anticu tiempu è granne amicune, c’ammucce2 li segreti ‘ntr’u pensieru. Ccu’ lu sguardu azzicchi chianu chianu e parica ‘u r’arrivi mai alla curina:3 Peraci lu fa canuscere ‘e luntanu ‘ssu viecchiu chi r’amure ne ‘ncatina. Lurrusu uocchiu è ogne finerrale, ricchizza le ‘ntonate sue campane; ‘ntra li cuntuorni nun ne truovi guale chi all’avutizza4 sua ranne acchiane5. Parre de la supra allu paise: lu viglie, lu cuverne e l’accarizze, e le rughelle, ‘e case spare6 mise, sutta re illu paranu ricchizze. Ha ‘ntisu ‘ntramare squatre re briganti 1 Gigante Nasconde 3 Cima 4 Altezza 5 Sale 6 Accidentate 2 118 e partere ha vistu li garibaldini, ha benerittu nozze ‘e tanti amanti e chiantu ppe’ chine jia alli pini. Tante risate e lamienti ha sentutu e d’e ciotie e d’i sbagli hani risu ma illu, firatu amicu sempre mutu, ha fattu finta ca ‘u’ r’avìa ntisu1. ‘Ntr’u core si lu porte l’emigratu chi lu lasse ccu’ dulure amaru, e pue luntanu, quantu vote scunsulatu rice: volissi d’esere sutt’u campanaru, all’umbra e illu ‘mparu assettatu2, ‘nziemi all’amici cari peracisi e parrare ‘e r’i fatti ‘e ru passatu chi ‘ncore e’n mente su’ rimasti grisi3. Gorutu si l’hannu i nuorri nanni, e ccu’ gioia li patri l’hannu amatu e de nue perciò, picculi e ranni, ‘ssu viecchiu parente vani rispettatu; ca ancora cchiù forte fa battere lu core quannu se sente chilla campanella, chi sone ppe’ la gent’e intra e fore ppe’ ogni occasione brutta o bella. Passe lu tiempu e tuttu sinne porte, ma illu sanizzu4 rice a tutti i paisani, ca mai paura tene de la morte, pecchì aspette li figli chi nascianu romani. 1 Udito Seduto comodamente 3 Intatti 4 Pieno di salute 2 119 ‘A PECURELLA Ohi neputiellu mie fujantinu1 fermete ‘nu pitazzu2 ccu’ nannuzzu, ‘nu saccu re ricchezze tiegnu chjnu e lu vuogliu rare a tie, mio giojuzzu. Assettate3 ccu’ mie ca te cuntu, lu cielu è chiaru, bella è la sirata ; ‘ssa ricchezza ch’io haiu juntu4, l’antichi re Peraci mi l’hau lassata. E’ fatta ‘e tante vuce sapuruse, ‘e vecchie usanze e de fattarielli, re cose tennerelle e guliuse chi vannu ricordannu i jurni bielli. I mumenti chi su’ stati ‘ntr’u passatu lurrusi e aspettati re la gente, le ure chi hannu a tutti ricriatu dintra lu tiempu nivuru e pezzente. E oje chi la festa sta trasiennu ‘ntra ‘ssu settembre re adduri chjnu, me sientu ‘n’atra vota quatrariellu ‘n mienzu ‘e Pezze appriessu ‘u tumbarinu, chi va sonannu ppe’ tuttu lu paise ppe’ annunciare ‘a festicella bella, chilla chi fa cuntientu ‘u peracise: la spanticusa5 e Divina “Pecurella”. 1 Frettoloso Momento 3 Siediti 4 Riunito 5 Meravigliosa 2 120 Chi ogne annu è sempre aspettata pecchì è arraricata6 ‘ntra lu core, la granne e cara santa affezionata chi supra ‘e nue viglie a tutte l’ure. La chiesa tutta intieri è addobbata, ‘nu sparu ‘e corpiscuri a tutti avvise, ch’è lu jurnu ‘e ra Madonna Addolorata la quarta romanica re ‘ssu mise. Ognunu re ‘ssa festa ne fa vantu ca re ricuordi è chjna e de sapuri, pecchì ‘ssa santa re l’azzurru mantu patrona è de ‘sse case e de ‘ssi muri. Nun sienti gioia mia ‘ntr’a rughella, giojusu, ‘ntonare ‘nu gran cantu: “Vergine Addolorata, Divina Pecorella” scritta ‘e ‘nu figliu re ‘ssu luogu vantu? ‘Nu cantu chi ‘ntra l’aria se spanne inchjennu7 re melodia la sirata, ‘n’usanza chi r’anticu se tramanne e ‘ntra la mente ‘ntatta è conservata. L’adduru tu nun sienti ‘e ra cuccìa la pietanza re ‘ssa festa guliusa? Li furni stau cociennu a ogne via pignate e tinelli chjni re carusa. Cchi suonu, quantu bene ammucciatu8 se spanne d’i Suttani allu Catusu, lu cursu chjnu ‘e archi illuminatu chi tuttu fa parire purtentusu. 6 Radicata Riempiendo 8 Nascosto 7 121 Arrivano puru i figli re luntanu, ‘ss’affezionati spasi ‘ntra lu munnu: re Roma, re Torinu, re Milanu, e de l’America vene puru Riamunnu; ‘ccu ‘ntra lu core ‘na ranne nostalgia e lli ricordi a murra re quatraru, ririennu pue le biri ppe’ la via, cuntienti sutt’u viecchiu campanaru. Rice lu muntanaru allu cumpare: <allegru ca ppe’ la Maronna ni ne jamu> ca a chissa festa nullu po’ mancare e ppe’ signu ‘na pecurella ne portamu. Su’ preparate ‘e bancarelle ccu’ pizzille9, ricchezze funne ppe’ li quatrarielli10: palluni, machinicchie, turruni e pupille, ‘nsiemi a tanti atri articulicchj bielli. E pue quantu juochi chi se fannu: ‘a ‘ntinna11 ‘a pastasciutta e le pignate, pue ‘a sira ppe’ le vie lu cavallu ccu’ tante frugulere appiccicate. Peraci cange tuttu re culure, re cuntentizza e giubilu se vesta e murrannu12 vani tuttu ‘u sue amure, chi tene ‘ncore ppe’ ‘ssa ranne festa. Se porte a spalla ‘a Maronna ppe’ le vie, ppe’ ogne porta, ppe’ spicuni e rase13, ccu’ ‘nu cantu re preghiere e litanie 9 Mercanzie Ragazzini 11 Albero della Cuccagna 12 Mostrando 13 Angoli 10 122 e la gente ‘nginocchiuni chi la vase; ppe’ dire: oh Protettrice, Maronnella, chi re bontà si chjna ‘ntra lu piettu, te priegu, oh mia Divina Pecorella, fa’ chi ‘n atr’annu io cca t’aspiettu! 123 SCIPPACORE Alla chiesa ce stani la Maronna e ‘ntra la casicella c’è la mamma, ruve facciuzze re ‘na sula forma chi vive su’ ntr’u core cumu fiamma. Tu si’ sicuru quannu tieni a ille pecchì lu bene loru mai nun frune1 e puru si sbagli tu ne fai mille una t’assolve e l’atra te perdune. Le truovi sempre pronte a ogne ura si le tue pene vai a ce cuntare; ‘nu bene ranne tenanu ‘e natura chi tutt’i mali fannu acquetare. E quantu vote ppe’ ‘nu ranne sc-cantu2 ha rittu senza tricare3 <Maronna mia> e illa pronta t’ha asciuttatu ‘u chjantu e pue animusu ha’ ripigliatu ‘a via. Oppure ‘e notte, spagnatu4 re lu scuru, re lu suonnu te sini risbigliatu; ‘a mamma ha chiamatu ppe’ esere sicuru e illa ccu’ gran cura t’hani cunsulatu. 1 Finisce Paura 3 Tardare 4 Impaurito 2 124 Forte forte t’ha rrintu allu piettu e la facciuzza assai t’ha vasatu, pue chjanu t’ha cumbegliatu1 ‘ntr’u liettu e lu suonnu ‘ntra nente t’è pigliatu. Cchi forza ranne, cchi sapire fare chi tene la mamma, ranne santa, tuttu lu jurnu senza s’abbentare ‘a famigliella sua ‘e tuttu ammante. Cum’è fatatu chillu pizz’a risu, chi sulamente illa s’hani fare, re lurru inchje gualu tutt’u visu chi tuttu lu caminu fa allurrare. Avìre vicinu ‘na mamma è ‘na fortuna, ca sempre aperta tene la sua porta, e chilla vuce chi te chiame mentre ‘mbruna, ti l’arricuordi puru roppu ch’è morta. Mo’ tu, Maronnella bella Addolorata, si nun t’offienni e mi lu permettessi, ppe’ la vita sua tanta sacrificata, santa alla mamma la facissi, ccussì pregare potissimu ruve maronne, chi n’hau datu ‘a vita e tantu amure, ppe’ onurare ‘sse ruve sante donne chi chiamamu mamme, ma su’ scippacore. 1 Coperto 125 U’ P A N E Va speghe cchir’è lu pane; è ‘na parola! Pecchì significati funni n’hani tanti; nemmenu i marruni fini re la scola lu sannu spegare buonu tutti quanti. Certi ricianu ca stute1 lu petitu2, atri ‘u chiamanu ricchezza re la casa, perciò simu scritti tutti a ‘ssu partitu ‘ntra tutt’u munnu, dintra a ogne rasa3. Sa buonu e tutte quante le manere: ccu’ zuccaru, ccu’ uogliu oppure asciuttu, sia ca fa cavuru o ccu’ le nivere, ppe’ la vita re l’uomu èni tuttu. Cosa cchiù cara nun c’è ‘ntra la natura, ricìa ‘ntiempu primu l’uomu anticu, chi nun te fa’ ventare la paura quannu vicinu tieni chissu amicu. Senza pane, se rice, nun se cante e la casa è ‘ntra le vampe ‘e ru ‘nfiernu, e se preganu ccu’ fede cielu e sante ppe’ fa’ passare priestu ‘u malu viernu. Quannu tieni ‘u pane tieni tuttu, se sente dire allu paise mio: s’è pocu lu bagni e si’ abbuttu, ringraziannu sempre lu buon Dio. 1 Spegne Fame 3 Angolo 2 126 Alla pasta se fa la cruce ‘ntr’a majilla4, ca u’ pane è cosa sacra e beneritta, pue la si staglie ccu’ la rasulilla5, ppe’ fare pani, frese, muccelati e pitta. Quannu esce fumante re lu furnu re ‘n mienzu ‘a via l’adduru se sente, ‘na festa ranne fa’ dintra ‘ssu jurnu ppe’ chissu gran tisoru tutt’a gente. Ppe’ ‘nu piezzu ‘e pane tanti vau luntanu, lassanu ‘a famiglia e lu paisiellu, ccu’ ‘na valicia rrinta ‘ntra ‘na manu e ‘ntra lu core ‘nu rulure etiernu. Su ‘ chjni ‘e sienzu tutti ‘ssi motivi, ma ppe’ lu pane unu è lu cchiù ranne, chi ti lu tieni ‘n mente mentre vivi: ‘u pane fa gioire figli, patri e mamme. 4 5 Madia Radimadia 127 ZA’ VICENZA Ancora ‘a viju lla a za’ Vicenza, davanti allu scalune6 re la porta; assettata7, ‘ssa marra re pacienza, sfidannu senza spagnu8 ‘a mala sorte. Faticava a capu vascia senz’abbientu, ccu’ ‘nu rulure dintr’u piettu chiusu e ogne tantu affidava allu vientu ‘nu messaggiu re speranza piatusu9. “Ohi vuce chi me jiesci re lu piettu, gire ‘nziemi allu vientu ‘ntra ‘ssa terra, pue tornati cca, ca io v’aspiettu, e portatime nova10 re lu mio figliu ‘nguerra! Mi l’hannu arrupatu ‘ntra la casa, lu figliciellu mie ‘ntra ‘nu minutu, nun sacciu moni cchiù a quale rasa senza nulla curpa mi l’hau partutu”. Finiscìa ‘sse parole ccu’ ‘na grirata, guardannu ‘na nicchiarella ‘ntra ‘nu muru, pue vasava la figurella ‘e l’Addolorata e s’asciuttava li chianti ccu’ lu maccaturu11. Cunocchia e fusu ‘n’atra vota ripigliava ppe’ filare la lana ‘e ‘ntra ‘nu saccune e lu pizz’a risu quannu tu passava sempre te facìa ‘ssa vecchia corazzune12. 6 Gradino Seduta 8 Paura 9 Pietoso 10 Notizia 11 Fazzoletto 12 Affettuosa 7 128 Ccussì passava tutta la jurnata, ‘ssa vecchierella chiamata ‘e tutti zia, chi ‘e chillu scalune nun s’è mai azata si prima nun sonava l’avemaria. Quannu s’azava ‘a cruce se facìa, ccu’ granne amure e ‘na gran speranza e mentre pensusa alla casa si ne jia movìa la capu cumu ‘n vilanza. Pensava a domani ppe’ tornare fore, ppe’ aspettare ‘u figliu avanti ‘a via, ppe’ arrequiare13 lu sue chjagatu14 core chi ‘ntra lu piettu forte le vattìa. Pue ‘nu jurnu alla cara ziarella, ‘u vientu ci l’ha portata ‘a risposta; ma lejiennu chilla sospirata litterella care lla ‘nterra: l’ha chjagata ‘a sorta. Nun l’haiu vista cchiù e chillu jurnu, ‘e r’a casa ha sbarratu la sua porta: s’è alluntanata alla ‘mbivienza re lu munnu e fore è esciuta sulu roppu morta. 13 14 Acquietare Afflitto 129 PENSIERI Quannu guagliune li suonni a migliara a r’uocchi aperti lu jurnu facìa, cumpagna firiele m’era ‘a jimara e lu murmuru ‘e l’acqua mentre scinnìa. Sentìa le frunne movute ‘e ru vientu, ‘n’anticu motivu frusciannu sonare, u’ core trovava ‘na pace, ‘n’abbientu, ‘na voglia vera pussente r’amare. Lu cielu serenu prejatu1 ‘ncantava sutta li raggi ‘e ru sule cocente, speranza, curaggiu jocannu trovava e campare cuntenta virìa la gente. ‘A sira ‘mbrunannu ‘u paise virìa ricuotu ‘ntr’a pace ‘e ru focularu, duve ‘a famiglia jungiuta2 sentìa sincera ‘na vuce ‘e ‘n’affettu caru. Tuttu parìa cchiù veru, cchiù sanu, ‘ntr’e piccule cose pezzente trovava ‘nu siensu veru, stisa ‘na manu, chi senza paura ‘u futuru ‘mparava. Puru si fatta re nente ‘a jurnata, re ‘nu granne amure chjna parìa, ‘nu pizz’a risu, cosa fatata, dintra lu core gran luce facìa. 1 2 Contento Unita 130 Puru si la pezzentìa tannu regnava dintra le case, ‘n mienzu la via, lu filu ‘e speranza nun se stutava1 e dintra li stienti avanti se jia. Mo’ lu progressu tuttu ha cangiatu e ccu’ l’abbunnanza chiusi ne simu dintra ‘nu munnu chi pare gelatu, arridduciennu cchiù poveri ‘e primu. Nun c’è cchiù pace, malatu è l’amure, ververi2 e guai ronzianu ‘n mente, nun trove l’uomine cchiù lu calure, se sente sulu ‘n mienzu la gente. E mentre lu sule a punente se spune3, inchjennu ‘ssa valle tutta re scuru, ‘n’atra jurnata pezzente se frune senza murrare ‘nu signu ‘e futuru. Passe la notte e vene lu matinu, tornanu ‘nvulu l’aggielli a jocare e l’uomine torna se minte ‘ncaminu ppe’ ‘nu spiragliu ‘e speranza trovare. Pensusu passe vicinu a ‘nu muru, vire a ‘na ‘ngaglia4 ‘na rosa jurita e mentre spanne ‘ntuornu ‘n’adduru a tutti rice: bella è la vita. 1 Spegneva Pensieri 3 Tramonta 4 Fessura 2 131 MUNNU ‘MBROGLIATU ‘N facce a ‘ssu figliu oje ch’è natu, dintra ‘ssa casa jurillu biellu, tuni cchi dici munnu ‘mbrogliatu, cchi ce pruminti a ‘ssu quatrariellu? Moni chi ‘nzigne1 ‘ssu vulu ‘e aggielli dintra ‘ssa terra chjna ‘e paure, mentre te stenne li vrazzicielli ppe’ te cercare lu risu e l’amure; quale accoglienze ci ha preparatu? Quali prugietti ppe’ lu futuru? E’ piccirillu, è senza peccatu, brame de luce, vene d’u scuru. Ci l’ha cacciate ‘e spine ppe’ via mo’ chi cumince a caminare? Tenalu buonu ch’è figliu a ttia e quannu è ranne te po’ onurare. Nun fare ‘u cruru, runecce ‘a manu, ‘sse sc-cuppettate falle ammutare, illu nun sa nente re ‘ssu frastuonu e mentre joche se po’ spagnare2. Chjche3 ‘ssa capu, cange ‘ss’agire, fatte ‘nu patre largu re core e a ‘ssu criaturu fallu ‘ntrarire ca re ‘ssu munnu nun èni fore. 1 Inizia Spaventare 3 Piega 2 132 Ma tu nun rispunni, guardi ammutatu, ccu’ lu tue core siccatu ‘n ‘mpiettu, nente a ‘ssu figliu ci ha’ preparatu, lu fai ‘mbuttare1 re ogne vientu. E mentre annuvule e scure lu jurnu e dintra lu gelu ‘u viri culinuru2 nun tinne role, nun sienti scuornu; cruru re core, tu lu lassi sulu! 1 2 Spingere Nudo 133 AMURE L’haiu vista a ‘nu ballu ‘na sira conzata1 ccu’ gustu a pinniellu e ancora ‘e tannu2 ‘a capu me gira chi me fani sbariare3 ‘u cerviellu. Girava ririennu ‘ntr’a sala, e ‘ntuornu spannìa ‘n’adduru, ‘nu tangu ‘nu discu sonava e io addurava ‘ssu juru. ‘U core ‘ntr’u piettu sbattìa e l’uocchi supra illa ‘ncollati; ‘ntuornu cchiù nente virìa ma sulu ruvi fari appicciati. Se scontanu4 l’uocchi a ‘na vota e ‘nu sgrizzu attraverse la vita, spanticusa5 parrava ‘na nota chi accarezzava ‘ssa calamita. Duce l’haiu fattu ‘nu risu e illa rispunne a ‘ssu ‘mbitu, ‘e fuocu se fani lu visu 1 Adorna Allora 3 Impazzire 4 Incontrano 5 Fantastica 2 134 ppe’ allurrare1 ‘ss’amure juritu. Tantu tiempu è passatu re tannu e chillu fuocu è sempre appicciatu, e ogne tantu ‘u core addimmannu ppe’ capire ‘ssu fattu fatatu. E illu rispunne cuntientu ccu’ ‘nu sulu filillu re jatu: ‘ss’amure l’ha portatu lu vientu ed era forte già quannu è natu. 1 Illuminare 135 PASSIONE Finerra chi te suonnu tutt’e notte e spanni re le graste1 mille adduri’, lu mie core vattere fa’ forte ca l’ha ‘mparatu ‘a via re l’amuri. Apere le tue ‘mposte tutte quante e fa’ affacciare la palumba mia, ppe’ fa’ cuntientu lu mio core amante sutta lu simpuortu re ‘ssa via. Ruce è l’aria re chissa sirata, u’ cielu re le stelle è ricamatu, tuttu è a cunciertu ppe’ ‘ssa serenata ch’io te vuogliu fare a perdaiatu2. Cumu c’è biellu, gioia, re ‘sse parte pecchì ce stai tu bellizza mia, tuttu pare fattu ccu’ gran arte ‘ntuornu alla casa tua chi lurrìa3. Si mentre cantu fazzu ‘ncunu sbagliu perduname ca nun lu fazzu apposta, ca ‘ncuollu io tiegnu ‘nu sberagliu4 ch’è tantu forte chi nun se cumporta. L’occhiuzzi tue u’ piettu m’hau grupatu5 e si’ trasuta ‘ntra la vita mia, te priegu a ‘ssu scalune ‘nginocchiatu curame gioia tu ‘ssa malatia. 1 Vasi di fiori Senza risparmio di fiato 3 Splende 4 Smania 5 Bucato 2 136 Patruna si’ diventata re ‘ssu core chi senza abbientu6 fa lu prepotente, m’ha misu ‘ncuollu forte ‘nu calore ca tu cchiù ‘e ru sule si’ cocente. Amure io te priegu nun tardare, runame tu ‘nu signu tenneriellu, ‘nu biellu pizz’a risu chi sa’ fare me vaste ppe’ acquetare lu cerviellu. Grazie e buonanotte, mia regina, ca lu mio core tuttu ha’ saziatu, vigliante riestu ‘nfinu alla matina ppe’ me gorere ‘ssu sini suspiratu. Cumu li cchiù ranni ‘nnamurati, cocente amure sarà ppe’ tutt’a vita, re forte passione stamu ligati: io signu u’ fierru e tu la calamita. 6 Riposo 137 CAPRICCIUSELLA Stasira ‘ncielu c’è la luna chjna1 ppe’ allurrare chissa ruga antica, l’ura è tarda e nullu cchiù camina, sente ‘ssa serenata vecchia amica. Tu chi canusci bona ‘a vuce mia e lu tiempu r’amure ‘nzuccaratu, te ricu ca m’è passata ‘a malatia e de catine me signu liberatu. Tu te crirìa ca me ‘ntossicava, ca me chiurìa dintra ‘nu cummientu, ma nun sapìa quantu te sbagliava, ca io ‘nnamurate oje n’haiu cientu. Me sientu ‘n’aggelluzzu vulantinu chi pizzulìe2 a tutt’i siminati, ricievu ‘mbiti e fazzu ‘u libertinu e li gusti mie su’ tutti saziati. Fazzu la vita re lu spenseratu, ‘a notte ‘a cangiu spessu ccu’ lu jurnu, ‘e quannu me signu re tie liberatu cuntientu vaju girannu ppe’ lu munnu. Chiusa riesti tu dintra la casa a chjangere ‘a bella vita ch’è passata, nullu t’addure cchiù dintra ‘ssa rasa, ‘a vuce re lu core s’è stutata. 1 2 Piena Becca 138 Statti ppe’ tie mo’, core sulagnu1, l’amure sinn’è jutu a ‘sse spassare, lu gaudiu2 tiegnu moni ppe’ cumpagnu e tiempu ‘u’ r’haiu cchiù ppe’ riposare. Ricriate3 allu tilaru bella mia, fa jire a derra e a manca la navetta, mentr’io cuntientu vaju ppe’ la via duve lu nuovu amure chi m’aspetta. Te ‘nfurmu ca è finita ‘a serenata e la vuce ppe’ dispiettu haiu sprecatu; ma nun fa nente, ch’è l’ultima cantata fatta ppe’ ‘n’amure tramuntatu. 1 Solitario Giubilo 3 Divertiti 2 139 TEATRO* Tutti noi, con ruoli diversi, facciamo parte della grande compagnia teatrale che, nell’arco della vita calca il palcoscenico del mondo. Tra applausi, risa, sospiri e pianti, senza soste nel tempo, si alza e si chiude il sipario per rappresentare le commedie e le tragedie umane, sotto la direzione di un ignoto regista. 140 * Tutti i testi teatrali proposti in questa edizione sono inediti, ad eccezione della prima commedia, ‘A vijielia ‘e Natale, che è già stata pubblicata nel 1996 dal Centro Arte Ricerche Meridionali (CARM). 141 ‘A VIJIELIA ‘E NATALE Commedia in due atti V Premio al “Concorso del Centro Arte Ricerche Meridionali” (1996) 142 PREMESSA Innanzitutto, voglio ringraziare tutti coloro che leggeranno, spero con piacere, questo mio lavoro teatrale al quale sono particolarmente legato, sia perché ha rappresentato il mio esordio in un nuovo genere letterario - il teatro -, sia per il tema trattato, a me particolarmente caro e sentito. Del tutto occasionale è stato il motivo che mi ha spinto alla sua composizione. Durante una piovigginosa sera d'autunno, nel corso di una delle solite passeggiate insieme ad alcuni amici, ricevetti l'invito da parte del mio caro amico Raimondo Martire, neo-presidente del comitato per i festeggiamenti del Natale 1986, a scrivere una piccola sceneggiatura da portare in scena per la suggestiva festività. La cosa mi allettò subito enormemente e accettai con entusiasmo e senza indugio, benché mancassero solo due mesi al Natale. E tale fu il mio coinvolgimento e il mio impegno che riuscii a completare il lavoro in appena una settimana. Il tema di questa commedia, tanto forte e pregno di significato, ha aperto la mia mente ai ricordi illuminando un percorso antico vissuto intensamente dove ho potuto attingere elementi palpitanti di vita, gli usi, i costumi, la tradizione e le parole da mettere in bocca ai personaggi per far rivivere sulla scena un mondo che nella sua semplicità, e pur se segnato da sacrifici e stenti, possedeva una forza immensa di calore umano e un cuore aperto alla speranza e al perdono. Pertanto, considero questo mio lavoro teatrale, non solo un atto d’amore e un omaggio verso il mio paese, ma soprattutto un inno al rito del Sacro evento che, ogni anno, nella frenesia dell'attesa, perpetua nel mondo e nel cuore degli uomini forti richiami di valore eterno. Nella speranza che la vigilia di Natale possa ancora oggi riuscire ad emozionare e costituire una valida ed insostituibile occasione per affermare il valore della famiglia e riunirla attorno ad una tavola imbandita, ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla messa in scena dell'opera e al suo successo. ANTONIO MARTIRE 143 PERSONAGGI TUMASI GIUVANNI TIRESINA PEPPE ROSICELA GEGE MARUZZIELLU pensionato di anni 81 il figlio di anni 47 la moglie di Giuvanni di anni 45 il fratello di Tiresina di anni 48 (scapolone) la figlia di Giuvanni di anni 23 il fidanzato di Rosicella di anni 24 il figlio di Giuvanni di anni 16 LA SCENA Un'ampia cucina con il tradizionale focolare, un fornello, un tavolo al centro e una credenza. Alle pareti sono appesi alcuni oggetti antichi e molti arredi natalizi. In un angolo è situato l'albero di Natale. All'alzarsi del sipario si odono le note delle cornamuse e, contemporaneamente entra in scena Tumasi. Indossa un mantello, la sciarpa e il cappello; stringe tra i denti la sua inseparabile pipa e, strofinandosi le mani per il freddo, si aggira per la cucina. Si ferma davanti al focolare, si scuote, (manifestando sintomi di freddo) e, dopo un po' si porta al centro della stanza. 144 ATTO P R I M O Tumasi 'U sentiti puru vue ‘ssu friddiciellu chi dintra l'ossa trase cumu nente? 0 sulu io ca signu vecchiariellu: cchi ne riciti vue bona gente? Nun rispunniti, 'u sacciu cchi pensati! Nun c'è bisuognu ‘e ru 'nduvinataru: vue siti giuvini, sanizzi e spenserati, ma io signu viecchiu e appicciu 'u focularu. E pue stasira è propriu indicatu, mi lu ricìa primu zu Pasquale: nun c'è famiglia chi nun ha appicciatu quannu è la vijielia 'e Natale. Vue accussentiti? Ve pare ca cunchiuru? E pue l'usanza s'ha de rispettare! Guardatilu cum'è biellu 'ntra lu muru ‘ssu gran cumpagnu chi se fa amare. Vue ce scherzati quannu è 'ncarcaratu ‘ccu 'ntuornu tutta quanta 'a famigliella? Cchi calure chi rune l'ammazzatu: lassa chi fore fani 'na nivera. Sienti li truoni fore? E tu attizzi, Mine lu vientu e fische? E t'abbicini, ‘nu spicchiu 'e sozizza pue 'mpizzi l'arrusti alla vrascia e ti lu mini. Ve pare nente a bue chissa cura ordinata re ‘ssu granne dottorone? Ma c'è 'ncunu spiertu chi rice ch'eni ura re lu mannare priestu 'mpensione. Già, 'a moda cange propriu tuttu, 'e cose antiche le boni pezziare; ma re ‘ssa pazza nun ne tiegnu cuntu: 'nfina chi campu vuogliu 'u foculare. Lu viecchiu amicu mie nun lu cangiu, ca m'arricorde fatti e bielli jurni, ca signu fattu viecchiu, chissu chjangiu; cchi ce vo' fa, 'a vita è fatt'a turni. (Va verso la finestra, guarda fuori e poi rientra manifestando brividi di freddo). È propriu 'a vijielia 'e Natale, cchi friddu siccu chi dintra l'ossa trase, 'a meglia cosa ch'è è d'appicciare ‘ssu cavalieri ch'è 'ntra tutt'e case. (Si siede accanto al focolare, accende la pipa e, a voce alta, chiama il nipote che è nella stanza accanto). Maruzzì’, Maruzziellu (pausa). Fisch'e pica, l'erv'e roglia un sente. (Si alza e va verso la porta) Maruzzì’, si' muortu o si' 'nzurdatu? Maruzziellu (Entra munito di cuffie, dondolandosi a suon di musica) Nulla ‘e re ruve nannù’, statti squitatu. Tiegnu 'nu suonu 'ntra ‘sse 145 Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu ricchicelle, chi tu nun sai quantu me ricrìe. Avoglia 'e fare 'u cagnu ‘ccu ss'armaciu. Guarde 'na picca cchi te vannu a fare, cchi 'nvenzione bella, cchi scuperta. (Pausa). Chine l'adderizze cchiù ‘ssu male andazzu; puru allu cessu 'a musica è de moda. (Afferra per un braccio il nipote che continua a dondolarsi) Appunte, me fa' girare 'u munnu; appunte ‘nu pitazzu. Senteme ppe’ 'na vota, jette ‘ssu 'mpacciu. Ca 'ncunu jurnu te furmini 'u ciarviellu. (Si ferma, si toglie le cuffie e sbuffoneggiando porge l'orecchio al nonno) Sentimu 'a musica tua ch'è cchiù bella. Ca, mo’ ce vo’, è fatta re taluorni. Vi’, propriu ppe’ te fa' pigliare 'u suonnu. Benerittu te via! Cchi capu tunna, cchi crozza chjna; tu nun canusci nente: nun sai Mascagni e Verdi chine sunnu. ‘U sacciu nannù’, 'u sacciu: su' gente chi su' jute all'atru munnu. Bravu, 'u sa' ca ci ha 'nduvinatu però nun sai chillu c'hannu lassatu: opere ranne, cose ‘ccu li siensi, e no ‘ssu tu tu a tremulizzu chi stone li murtora e chi sutterra. Va buonu nannù’, lassamu jire: chi t'haiu 'e rire a ttie ca nun sai cchi r'e lu pop e lu ballu e r'u mattune? Tu nun sai cchi me fannu venire. Te fannu venire 'a ciotìa: chissi su' rrusci chi te fannu fare cazzune. (Fa con la mano gesti di lasciar perdere) Simu alle solite, nun ne capiscimu. Votamu sonata ca è miegliu. Antura m'ha chiamatu, cchi m'avìa ‘e rire? (Conciliante e amorevolmente accarezza il nipote) Ma tu si buonu 'e core, io lu sacciu. Tu si' lu neputiellu mie amurusu; sulu ca ‘ss'errame mode ogne tantu te fannu fare cazzillusu. Sente giojuzza mia: stasira è la vijielia 'e Natale, 'a festicella cara 'e r'a famiglia, chilla chi lu munnu fa acquetare. È festa re l'amure e de la pace, ognunu minte de parte lu rancore e pense a cose ruce e allu bene. E ppe’ me rire chissu m'ha chiamatu? T'avìa chiamatu ppe’ te cummannare, ppe’ m'aiutare a fare ‘nu servizu; 'na cosicella 'e nente un te spagnare, (Maruzziellu di nascosto fa gesti di insofferenza) ca pue te fazzu ‘nu bellu regalicchiu propriu chillu chi te piace a ttie Maruzzì’: i soldini. (Si scuote all'improvviso e mostra piena disponibilità) Nannù’ 146 t'ha pagatu 'a pensione? Tumasi E puru 'a tredicesima Maruzzì’! Maruzziellu (Si sfrega le mani) Ricemme cchi bo' fattu, ca vulu ‘ntra ‘nu nente. Tumasi Bravu a Maruzziellu: cumu si' fattu ruce a ‘na vota. Io lu sacciu ca tu me vue bene, ca me stai a sentere; specialmente quannu me pagu, tannu pue lu bene se fa cchiù funnu, cchiù sbrisceratu. Maruzziellu Ma cchi dici nannù’! È sempre bene 'u mie, statti squitatu, è sempre 'u stessu. Tumasi E io te criju. Però i sordi vonnu rire puru, ammazzatù’, rice 'a verità! Maruzziellu ‘Nu pocu è veru nannù’, tieni ragiune; ‘ccu li rinari 'u core se fa cchiù ranne, cchiù spaziusu. Tumasi Lassamu jire 'u bene e li rinari, chi caminanu sempre 'ncumpagnia; pensamu a ‘na cosicella 'e nente, chi stasira ppe’ mie è ranne assai. (Pausa) 'U fuocu Maruzzì’, propriu 'u fuocu. Maruzziellu E cchi bue re mie, cchi c'intre mo' lu fuocu. Tumasi C'intre c'intre. Stasira è vijielia, 'u focularu ha de vampiare. E pue porte buonu signu, allegria e calure. Va, vate alla vota e piglie 'u cippu cchiù ranne, ca io 'ntramente preparu ‘a reglia 'e lume. Maruzziellu Sacciu si c’ha fazzu? Forse ce vo' 'n’ajutu. ‘Ccu tuttu chissu, vaiu fazzu 'a prova. (Si avvia verso la porta ed esce di scena). Tumasi Aiutu, cerche aiutu; allu mangiare nun ne va cercannu, ca benerica nun ce lasse nente, pare 'na favuce, mete a tutte l'ure. È 'mpattatu mangiuniscu 'u guaglione, re forchetta lavore propriu finu. Ca tu,'a giuventù 'a tene, 'a spenseratizza puru e chisse su' due cose chi aperanu 'u petitu. (Si ode un rumore che proviene dalla legnaia, seguito da un grido di dolore di Maruzziellu) Maronna mia, è sguallaratu. Te paria c'a cunchiurìa lu scunchiutu. Famme jire a birere. (Esce di scena con premura). Maruzziellu (Fuori scena) Ahi, ahi 'u pere, ahi cchi dulure, ‘ssu malerittu cippu. (Entra in scena, zoppica vistosamente sostenuto dal nonno. Esprime smorfie di dolore) Si cuntientu mo'? 'U vi’ cchi m'ha cumbenatu? Me fa' tenere a mente Natale... Tumasi Cchi te cumbenatu io? Ti ce curpi sulu, ca si' sgalapatu gioia mia. E pue, quannu'e cose se fannu cuntravoglia, chissu 147 Maruzziellu Tumasi Mlaruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Maruzziellu Tumasi Tiresina Maruzziellu Tiresina Maruzziellu Tiresina succere; assettete, assettete a ‘ssa secia ca virimu cchi t'ha fattu. (Il nonno gli prende il piede) Chianu, chianu, ahi, ahi ca mi l'haiu ruttu. (Furibondo si rivolge al nonno) Appicce 'u fuocu mo', volìa puru 'u cippu ranne... Stenne ‘ssu pere, famme virere. Joculialu ‘nu pocu; minalu versu liertu e allu penninu. Mo' ce mintu puru 'a marcindietru... 'U vi' ca 'u r'è nente. Guardalu cumu 'u juochi biellu biellu. Mo' cchi bolissi, ancora 'a botta è frisca, ‘u’ lu sa' ca role. Mo' ce ligamu 'na bella fassulla rritta rritta e biri ca te carme. M'avìa fattu morire ‘e ra paura ‘ccu chille grirate squillenti. (Tranquillizzato). Ca parica 'u pere è du tue? 'U rulure io l'haiu sentutu. Supra 'a pelle 'e l'atri, ognunu fa lu curaggiusu. È juta bona neputì’, è juta bona. ‘Ccu lu galapu chi tieni statti squitatu ca fatighe pisanti un ti ne uordinu cchiù? Tu si' ‘nu tipu delicatu, abituatu a fatigare ‘ccu la capu, a frangere buttuni alli jocarielli: cchi ne po' sapire tu re cippi e ligna. Votala nannù’, cange parrata. Puru mo' me fa' ‘ssu paragiricu? È juta ‘e ccussì ca ci avia de jire, e pue 'a vota era scura, signu attroppicatu e r'haiu sbattutu 'u pere allu cippu. (Da un cassetto prende una benda) Illu èni cchiù tuostu e tie e t'ha aromatu! 'U ne parramu cchiù, tieni ragiune. (Inizia a fasciare). T'arricummannu, chianu e delicatu. Chissa vo' rritta, si no un fa effettu. Allura ‘nu pocu rringi e 'n atru pocu allarghi. Facimu cumu 'u tilaru e za Rosina. Mo' ne mintimu a jocare ‘ccu lu pere tuttu stasira. (Entra in scena indossando un grembiule e portando in mano un cesto pieno di cibi. Vedendo il figlio in quelle condizioni si allarma) Sciuollu mie! Cchi t'è successu gioia 'e mamma? Famme virere. Chin'è statu? 'U cippu ma'. Quale cippu? Chillu ranne chi volìa nannuzzu. 'U sapìa io, ca 'ncunu ‘un s'avìa fattu i fatti sue. Mme bire, mme bire, propriu stasira mi l'hannu mercatu. Cumu t'u sienti gioia? 148 Tumasi Tiresina Maruzziellu Tumasi Tiresina Maruzziellu Tumasi Tiresina Maruzziellu Tiresina Maruzziellu Tiresina Maruzziellu Tiresina Nun te spanticare para para, carmete; t'avissi de pigliare 'ncuna cosa... È sanu e sarvu Maruzziellu, 'u vi' duv'è. Tene sulu 'na botticella alla nucilla. 'A curpa è tutta ‘e ra mia e mi la pigliu. Virimu si mo' s'ha de fare ‘nu pruciessu! Ma cchi pruciessi e pruciessi, io signu 'a mamma e buogliu puru sapìre cumu su' jute 'e cose, chine ha 'nzoppatu a figliuma. (Rassicurante verso la madre) ‘U r'è nente ma', è sulu 'ndolenzitu. Nannuzzu curpa ‘u’ ne tene mancu. Mi cce curpu sulu, ppe’ la maleritta pressa. (Accenna a camminare) Parica va buonu, 'u rulure è quasi sprejutu. Eccu ch'è risuscitatu: camine miegliu 'e prima. Mo' vire c'avìa de rimanire zuoppu! Te ringraziu, Maronna mia, triste è juta e bona è benuta. E si no stasira cumu facìa a jescere! Io me signu scoscinatu a carriare i ligna e lu fuocu 'e Natale s'u gorìanu l'atri? Sempre bona ha de jire mammarè’, sempre bona. Cumu ha bolutu Dio, 'a timpesta è pracata. Ma 'u fuocu l'haiu e appicciare 'u stessu. (Accarezza il nipote) Bravu, te sta' faciennu uomine veru, si crisciutu 'e ciarviellu. (Pausa). Tiresì’, chiurimu l'incidente, ca l'avìmu fatta abbastanza longa. T'aspette lu regnu tue, 'u vi' duv'è. (Gli indica i fornelli) E stasira, runete 'e fare, mintecce tutt'i siensi t'arricummannu, ca 'e pitanze sunnu tante. 'Ncumince a fare, ca io mo' viegnu e te rugnu 'na manu. (Esce di scena). Si è cumu chilla c'ha ratu a figliuma puozzu sperare ppe’ daveru, mi l'abbientu bona 'a catrea! Però 'u buonu core 'u tene, 'u pensieru l'ha avùtu. (Va verso i fornelli). Certu figlicì’. Però ‘ccu ‘sse cose fatiga ‘un si ne fa, 'a casa ‘un va avanti. Nun se mange Maruzzì’. Ma, sai cum'è, vo dire puru quannu unu canusce la fatiga 'e l'atri, quannu sai ca si' apprezzata e avantata. L'avantu e l'apprezzamientu cuntanu sulu alla fera, 'ntr'a casa su lavafacce, serr'e giru. Nun servanu a nente. Ma io cce passu 'e supra, 'ncassu e citu. A via è sulu chissa ppe’ mantenere 'a pace 'ntra la casa. Tu si chjna 'e filosofia mammarè’, si' sapientusa. Chissu l'haiu sempre capitu. 'Na parolicchia ‘e re tue ruce ruce fa stutare li fuochi appiccicati. Cumu chilli chi appicciati tu e nannuta... Ppe’ chilli nun ci 149 abbastanu mancu i pompieri: su' fuochi speciali i vuorri. Maruzziellu E 'mbece se stutanu suli: su' de paglia, fannu sulu fumu. Tiresina Chi va 'ntra l'uocchi mie ammazzatù! Tumasi (Entra col ceppo sulla spalla). Largu, faciti largu, pista... Eccu cumu se fa. Pagliaru viecchiu arde. Maruzziellu È arrivatu Moser. Tiresina (Intenta ai fornelli, si volta di scatto) Me biralu 'u caputuostu, me biralu... Attientu, attientu ca mi ci alluordi paru paru. Quannu se minte 'na cosa alla capu, chine ci la cacce cchiù, chine lu ferme, l'ha de portare a termine. Tumasi (Fa le corna contro il malocchio) Chissu è signu buonu Tiresì’, vo' dire c'ancora mi la sientu e ‘un staiu speranza a nullu. Maruzziellu Sente se', cumu sa jettare 'e botte. Te parìa ca si la tenìa. Subitu s'ha de scarricare 'e chillu chi tene 'ntr'u core. Tumasi Mancu ‘ssa vota ci ha 'nduvinatu Maruzzì’; me vuogliu scarricare sulamente 'e chillu chi tiegnu supr’a spalla ca benerica pare chiumbu. Tiresina (Al figlio). Arrassete, fatte cchiù la, ca l'aiutu a spunere, si no te fa 'ncun atru ranneggiu. Tumasi (Tira un lungo sospiro) E’ cunchiusa l'operazione 'e guerra. Feriti unu sulu, 'n’atra è scantata, ma muorti cumu ha bolutu Dio nun ci ne su' stati. Vo' dire ca 'u cummannante è statu all'altezza. Tiresina Sempre 'a stessa capu... Attacciante e scattarusu. Appicce si ‘e appicciare. Tumasi E pue ve coriati tutti, vi ce spaparati ravanti e v'arrustiti. (Pausa) Duve l'avìti misi i fospari. Tiresina Maruzzì’: pigliaccelli ca su' ntr'u tiraturu. Tumasi Chissu è ‘nu lavorettu delicatu, lieciu lieciu, senza rischiu e lu po' fare... Riminiete gioia. Maruzziellu (Ha rimesso le cuffie e non riesce a sentire; canticchia il motivo che sta ascoltando) “Non farmi aspettare stasera, il tempo è prezioso per noi...” Tumasi (Lo osserva con stupore). Se se, staiu aspettannu io no tu. Simu alle solite, è jutu torna 'ncoma. Interrogatu 'u muortu nun rispunne. (Gridando) Maruzzì’, i fospari. Tiresina Cchi su' ‘sse grirate; ca 'nfin'a mo' sentimu tutti 'ntra ‘ssa casa... Tumasi Ma figliuta no, l'ha 'nzurdatu 'u progressu. Girete, guardalu e ti 150 n'adduni. I grupi le tene tutti fucati... (Dopo avere osservato il figlio, unisce le mani in segno di preghiera e va verso di lui) Maronna mia, mo' vire tu s'è cosa... Nun si lu cacce mai tutt'u jurnu... C'è 'ncazzunitu paru paru ‘ccu ‘ssu cancaru 'e tranganiellu. (Lo tocca ad un braccio). Maruzziellu (Si desta di schianto) Cchi c'è, cch'è successu! Tumasi Denneliberi cum'è sensibile! Tiresina Risbigliete 'e ‘ssu suonnu scunchiurente, 'u munnu è fattu 'e tante atre cose, no sulamente 'e ‘sse fricularie 'mpacchiate alle ricchie. (Pausa). Pigliecce i fospari a nannuta 'ntr'u tiraturu. (Ritorna ai fornelli). Maruzziellu (Esegue il comando) Nun se po' stare ‘nu minutu 'mpace, nun te fannu pigliare gustu a nente ssi 'nzenaturi 'e mistieri. (Porta i fiammiferi al nonno) Virimu si te potimu accuntentare 'na picca... Tumasi Finarmente simu pronti, mo' nun ce manche propriu nente. Però quantu parole e fatiga ci ha bolutu! Ppu ppu ppu... Maruzziellu Ricriete mo' ‘ccu ‘ssu mobile, ca io mi ne vaiu a stare 'mpace all'atra stanza. Ma', quannu è prontu me chiami. (Esce di scena). Tiresina Finalmente su' arrequiati... 'U fochiste e lu musicante hannu trovatu riciettu. A mie 'mbece me tocche de cumbattere. Io nun finisciu mai, tutt'i jurni guali e mai 'n ajutu ‘e nullu. E chine t'apprezze, chine canusce ‘ssa fatighella, ‘ssu sturdimientu 'e capu 'ntra ssi quattru mura! Tutt'i pensieri 'e ra casa 'ncuollu a mie e, ppe’ paga, sulu arraciamientu. 'U vintisette l'aspette chine un fa nente, chine lindrunìe tutt'u jurnu 'ntra ss'uffici vicinu a 'na stufa. Cchi ba fa; cumbatte Tiresì’, chissa è la vita, chissa è l'ugna si ce vo' ferrare. Tumasi E io 'mbece me ricriu no? ‘Ccu chillu 'nzenarugne 'e fratetta chi 'u mi ne fa passare una, chi passa lu tiempu a me sfriculiare. Tiresina Ca tuni vo' tiratu 'u vrazzu, parica ‘un rispunni sempre ppe’ le rime? 0 te mancanu 'e parole ppe’ lu gnurare? Stamune citu... Stamune citu ch'è miegliu. Peppe (Entra in scena, allegro e spavaldo. Ha in mano un giornale e guarda intorno curiosando) Bonasira, bonasira a tutti, a Tiresinella mia e a zu’ Tumasi. Tumasi È finita 'a pace: ricica c’appunte fore... Peppe Chi armunìa, c'adduru 'e cose bone chi se spanne! Tiresina 151 Tiresina Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Tumasi Tiresina Tumasi Tiresina Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tiresina Cumu parìti bielli appricati a ‘sse fatighelle toghe e antiche. Cumu fazzu a ‘un be volìre bene! Citu prericatù’. 'U fa' ca te cumbene, chissu è lu mistieri tue; avanti e allisci a tutti ppe’ campare. E ppe’ ne stonare tutt'i jurni! (Insensibile alle parole udite, si toglie sciarpa e cappotto e, strofinandosi le mani, si avvicina al focolare) Si' ‘nu tisoru zu’ Tumà, tu manni calure 'e tutt'i pizzi. Cumi l'ha appicciatu biellu 'u focularicchiu, parica te manche l'arte? Propriu ppe’ ttie, ppe’ t'asciuttare i sururi 'e r'a fatiga. Tu nun sai cchi ci ha bolutu ppe’ l'appicciare! I fospari, 'u lume e li ligna, cchi ci ha bolutu cchiù? 0 è cangiata 'a tecchinica. Bravu allu scienziatu: cum'ha fattu a ce 'nduvinare? Intuitu zu’ Tumà, granne esperienza. Eh, s'avìa ‘sse ruve cose, ‘un stava 'ntra ‘ssa casa. Avìti 'nzignatu torna a be scagliuniare? 'U r'avìti nente a cchi pensare? Cercati a b'arrustere e finiscitila ‘ccu ‘ssu stonamientu, c'a mie 'a capu me va cumu ‘nu varrìele mienzu... Chine ha 'nzignatu Tiresì? Tu l'ha vistu, io mi ne stava a ‘ssa rasella quietu quietu, cchi bue re mie. Vuogliu ‘nu pocu 'e abbientu, ‘nu pocu 'e pace... E a mie lu rici? Ricialu a ‘ssu 'nzenature chi parre a suonu 'e acqua. 'U ricu a chine tene ricchie ppe’ sentere e capu ppe’ capire. (Indicando Peppe) Ricchie ci ne sunnu, ma 'e capu duve le truovi! 'U vi' ca un capisciti nente, ca siti propriu 'e natura lotanusi e un sapìti pigliare mai 'a chiacchiera. Io te volìa dare propriu chillu chi cercava tu Tiresì’: 'a pace e l'abbientu. E cumu, ‘ccu le fantasticherie e ‘ccu le barzellette? Va’ biellu, va’. Vue nun lu sapìti, ma servanu puru chisse allu munnu, distraianu ‘u pensieru, aiutanu a campare, allucianu la casa e nun fannu pisare la fatiga. (Conciliante) Te via benerittu Peppì’. Cchi trovate belle, originali chi tieni, quantu si' curiusu! Però ‘ccu ‘sse cose tue 'a catreia mia è fraganiata 'u stessu, 'a capu me zonzìe 152 Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Peppe Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Peppe Tumasi Peppe Tiresina Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Peppe sempre guala, cumu va Peppì’? E a mie m'hannu fattu 'mbecchiare primu e r'u tiempu! 'U vi' cumu vi ne venìti suli suli; chissu vene a dire ca nun me siti stati mai a sentere, ca 'e re parole mie n'avìti fattu pocu cuntu. (Pausa). E mo' ve tenìti i guai, cchi ce puozzu fare. Tiresì’: cchi ciuoti chi simu stati, cchi pastinache! Avìamu ‘ssu miericu 'ntr'a casa e un ni ne simu mai addunati. Chi peccatu! A chist'ura, tu avìa 'a catreia sana e io ‘un n'era 'mbecchiatu! Pacienza, ni ne servimu e oje avanti. Vo' dire ca ne sbullamu 'e ricchie e ne curamu ‘ccu le parole miraculuse 'e Peppe. (Mostra soddisfazione) Ccussì avìti 'e fare e 'ntra mancu ‘nu mise... Jamu allu manicomiu! E 'ntra mancu ‘nu mise, puru primu forse, vi lu giuru, sani e frischi cumu ‘nu pisciu diventati e zumpati 'a casa casa 'e cuntentizza. Supra 'u tavulinu, supr'u liettu, ‘e ra finerra; ne mancanu sulu 'e scille ppe’ bulare! Cumu sta bulannu 'u tiempu stasira a chiacchiarelle. Famme arrimiscare 'na picca a ‘ssa cucina, ca si no va a finire ca mangiamu a menzonotte. Brava, brava a Tiresina, ha avùtu 'n'idea ranne, chjna 'e significatu: apprichete cumu sa' fare tu, ‘ccu galapu e marrìa, e si te serve aiutu, runamme 'na vuce: signu tuttu ppe’ tie. (Rivolto al pubblico) L'adduru ‘e r'u mangiare ha fattu effettu, ci ha 'nchiaratu 'u ciarviellu. Chissu è lu sport sue preferitu: 'a trippa. (Si mette a leggere il giornale) Paratuffiti, tiritanghiti, cozzitrumbuli cumu sempre. (Osserva Peppe) Viatu a r'illu, è misu torna 'njuocu. Cchi te chiavatu? Sta sbariannu? T'è benuta 'a cecalìa alla capu? Cchi su' ssi scami? Su' signali 'e tropìa, ritornelli antichi (indica il giornale). Sbarìanu illi zu’ Tumà, no io. È carutu 'u governu. L'hannu 'ncavunatu Tiresì’. Me cumu c'è scrittu bellu chiaru. 'E duve è carutu, cchi s'ha fattu? A nuce ‘e r'u cuollu si l'ha rutta? Nun ve sacciu rire, cca parre sulu 'e 'mprovisa caruta ppe’ 153 Tiresina Peppe Tumasi Tiresina Tumasi Tiresina Tumasi Peppe Tiresina Tumasi Tiresina Peppe Tumasi Tiresina Tumasi Peppe siluri minati re franchi tiratori. 'E ruttura 'e ossa nun dice nente, forse ancora l'hannu 'e visitare... E chine sunnu ssi franchi tiratori, 'u portu d'arma ‘u tenanu? E pue, Peppì’, ‘u’ r'e chiusa ‘e ‘ssi tiempi 'a caccia? Ppe’ chissi è sempre aperta. Ppe’ senatori e deputati nun c'è chiusura. Chissi su' spenserati, abbacatizzi e jocanu ‘ntr'u scuru; paranu trappule e sparanu siluri. E chine ci l'ha mannati a chissi lluocu, a ssi malanova chi armanu tranielli? 'U populu Tiresì’, 'a gente, io, tu, (indica Peppe) ‘ssa capu 'e glianna, tutti nue, ppe’ esere difesi e 'mbece jocanu; assettati bielli 'mpari, se caccianu i chiurìti e li cuntra, 'mbece 'e pensare a mintere fatiga. Ne fricanu 'u voticiellu e addio populicchiu. E mo' cchi se fa, rimane 'nterra? Chine 'u aze? Nun c'è paura, Tiresì’, se aze sulu, ca c'è 'mparatu a ssi cozzitrumbuli. Chianu chianu se scotulìe le botte, se licche le contre e 'nzigne a caminare. Sempre si un ce su' rutture e ossa, zu’ Tumà’, ca si no ce vo’ tutt'u populu ppe’ l'azare. U sa' ch'è ‘nu jocariellu curiusu? E lu populu, 'u populu cchi fa, sta quietu? Guarde e citu? 'U populu vote, vote sempre, Tiresì’, fa cruce ‘ntesta, rune preferenze, se litiche, grire e se 'ncatture sulu. Nun sa cangiare, se fa 'ngannare sempre, nun sa scegliere l'uomini veri e conchiusi, i cristiani onesti. E bravi a illi, n'hau preparatu 'u cumprimentu propriu ppe’ Natale: 'mbece ‘e ru panettone e d'u spumante ne regalanu 'a crisi! Se se, jamu propriu buoni. L'hannu trovata ‘ssa minna chjna, Tiresì’, vue ca nun sucanu? Tire c'arrenne. Lassamu stare, nun ne parramu cchiù, re ssi campiuni senza valure, pensamu a nue, a ‘ssa sirata bella. A propositu, a cchi puntu simu, Tiresì’, cumu procere la cucina. A fuocu lientu. T'avissi scordatu 'ncuna cosa? Pense buonu, ca 'e pitanze hannu ‘e resere nove stasira. Bella tradizione chissa, è ‘n’usanza chi s'ha de rispettare. 154 Tiresina Peppe Tiresina Peppe Tumasi Tiresina Peppe Tumasi Tiresina Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Giuvanni Tiresina Stative squitati, ce su' tutte, ce su' tutte. Manche sulu a parte ruce: 'u panettone. Ma 'n'atra picca se ricoglie Giuvanni e lu porte. Ne si' propriu sicura o s'avissi de scordare? Sente a r'illu cumu è fattu penserusu; nun te preoccupare, Giuvanni tene la capu supr'e spalle, è precisu, 'u canusciu buonu. E de cchi marca è lu panettone? Chilla chi te piace a ttie: marca a bigna. Fa' puru 'u scardusu? Pecchi si 'u r'e 'na marca bona 'u ne vue? No, propriu, ma si è Alemagna 'u gustu 'e cchiù, ce su' cchiù passule 'e intra. L'atri l'ammarianu, le rascanu 'u cannaruozzu. Vo' l'Alemagna 'u sa' pecchì? Sentimu pecchi! Pecchì fa rima ‘ccu cuccagna e magna magna; e quannu sente ‘ssu nume 'u palatu le zillichìe e lu stomacu se prepare. E a ttie forse te 'mpinge e t'affuche? 0 te fa alligare i rienti? Macari avissi li rienti, e mo chi l'haiu piersi! Ppe’ chissu parri sempre fore i rienti! E tu parri senza capu, pecchì 'u n'ha mai avutu. Pecchì, ppe’ rispunnere alle parole tue ce vo puru capu? (Arrabiatissimo, accenna a scagliarsi contro Peppe, ma riesce a trattenersi) Ih malanova tua, cchi serpa velenusa! Teneme, Segnure, si no ‘un se sa cumu va a finire. E mo' basta, ‘ccu ‘ssu scagliunamientu, finiscitila. E cannaruozzu, e rienti; 'a trippa l'avìmu tutti. (Si odono dei passi). Ci ci, ammutati, ca sta' arrivannu 'ncunu. (Entra in scena. Ha in mano un panettone e un pacco di noccioline) Me signu scacchiatu a malappena, Tiresì’. Su' ricuoti tanti amici ppe’ le feste e, sai cum'è, tra saluti e rrinte 'e manu 'u tiempu è bulatu. E lluocu cchi se fa, i preparativi cumu proceranu? Procere tuttu buonu, Giuvà’. È quasi prontu ppe’ mangiare. Allura fore se sente ch'è Natale? 155 (Intanto Peppe osserva il panettone che ha portato Giuvanni e fa una strizzatina d'occhio) Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina Giuvanni Tumasi Giuvanni Ti lu po' immagginare, Tiresì’, c'è aria propriu'e festa, 'a gente parica è diventata cchiù bona, 'e case su' tutte illuminate e mille adduri se spannanu ppe’ le vie. Pue 'st'annu è particolare, c'è puru Riamunnu ‘ccu la mugliere: su’ benuti apposta ‘e l'America ppe’ passare Natale 'nziemi alli peracisi e t'ha organizzatu‘nu comitatu ppe’ li festeggiamenti, ppe’ dare cchiù siensu e significatu a ‘ssa festa. E bravu 'a Riamunnu, se vire ca tene lu core ranne, ca tene tantu amure ppe’ lu paise. Pue hannu preparatu puru 'na catascia ‘e ligna ranne, cchiù de latr'anni, ppe’ fare 'u fuocu 'e Natale 'n mienzu 'e Pezze, e dicica l'appiccianu vers'e nove. 'Nzomma se sente propriu ch'è ‘nu jurnu diversu e 'mportante. Puru io me sientu diversa: sacciu, cchi te puozzu rire; 'na cosa 'ntr'a vita, chi me fa sentare cchiù sicura, cchiù disposta a tuttu, ‘ccu 'na firucia ranne versu 'e cose 'e r'u munnu. Ccussì cumu te sienti tu stasira avissi de resere tuttu l'annu, sempre; ma 'mbece nun'è cussì; passata 'a festa, ognunu fa cumu sempre, cumince torna a s'arraciare, a odiare, a r'armare 'ntrillazzi. Purtroppu simu fatti ‘e ccussì: l'uomine nun cange mai, l'amure e l'odiu rormanu 'ntr'u core sue e, a secondu 'a circostanza, se risbiglianu 'na vota unu e 'na vota l'atru. Pruvirecce tu, Segnure, a ne cacciare l'odiu! Brava a Tiresina mia, ha fattu 'n'analisi propriu funna 'e filosofia; nun mi l'aspettava propriu re tie ‘ssa parrata sapiente; tu chi si' senza scola e chi sta sempre chiusa a cumbattere 'ntra ‘ssa casa. Ppe’ capire ssi fatti, nun ce vo' né scola né atru, ce vo' sulu esperienza e ciarviellu, e criju ‘e re pussedere tutt'e ruve ‘sse cose. (Rivolto a Tumasi e a Peppe) E bue cchi ne ricìti, ‘sse cose ‘un be 'nteressanu? Ricu sulu ca si benutu a ‘nu muorsu e 'u’ n'ha mancu guardatu; 'ntr'u ragionamentu nun ni ci ha fattu trasere, cchi bue ca te ricu! 'Ntra ‘ssa casa, 'nfin'a prova cuntraria, nun ce vo' lu permessu 156 Peppe Giuvanni Tumasi Peppe Tiresina Tumasi Peppe Tumasi Peppe Tiresina Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina ppe’ parrare, ognunu po' dire chillu chi vo'; perciò, chilli chi su' presenti ponnu parrare tutti; 'a curpa 'u r'è da mia si tu si statu citu e Peppe ammutatu. Cca c'è libertà ppe’ tutti, chissa è 'na casa democratica, aperta a tutt'e corrente. Ppe’ chissu i raffreddori e le bronchite su' a portata 'e manu! Cumu sempre spiritusu. Tu campi cent'anni, tieni 'a vena 'e r'u comicu e minti 'u sale a tutt'e minerre. Bravu, me piaci raveru: 'a malinconia 'nsiemi a ttie nun se sente propriu. Ppe’ r'illu cumu va ba, un c'è paura ca se piglie de coriatura; 'u tene scrittu supra 'u testamientu chi ci l'ha lassatu 'a furtuna cecata. E chine a canusce a ‘ssa signora, zu’ Tumà; quannu signu natu io ‘un c'era mancu luce, signu natu àllu scuru, c'eranu sulu truoni e malutiempu: riciaccellu tu, Tiresì’. E sini, nun dicìmu ciotìe! Furtuna Peppe... ca s'era de ccussì a chist'ura 'u r'era 'ntra ‘ssa casa, c'avìa trovatu fatiga e r'era spusatu! Allura ce vo' male, Tiresì’? Illu sta buonu ‘e ccussì, liberu 'e tuttu, cumu 'n’aggelluzzu chi vul'e cante. E cchi pizzulìe 'ntr'u piattu tue ppe’ lu sbacantare, ca sulu nun ci la fai! Eviva 'a sincerità! Chissu tieni 'e buonu, ca te sa' cunfessare senza paura. E senza prievite puru. 'U cinamu continue: can'e gatta 'ntr'a stessa vota, viriti si ponnu jire r'accuordu? Però nun se fannu male, se bottìanu 'e luntanu, ca male core ‘u’ ne tenanu nullu ‘e ri ruvi. (Si avvicina ai fornelli, controlla la situazione e guarda l'orologio) ‘Na meraviglia, Tiresì’, si' 'na cuoca 'e prima classe; l'adduri parranu suli, 'a gola cumince a zillichiare. (È contenta per il complimento ricevuto dal marito) E mo' 'n'atra picca, quantu arrivanu i figli. E a duve su' juti? Maruzziellu è 'ntra l'altra cambara chi cum'u solitu cumbatte ‘ccu la musica; Rosicella è esciuta e se ricoglie ‘ccu lu fidanzatu ca mange ‘ccu nue, (indica Tumasi e Peppe) illi ruvi su cca, sempre presenti; ‘e atru parica ‘u’ manche nullu. Io l'haiu rittu ch'era tuttu prontu ppe’ le ottu e pienzu ca su' 157 Giuvanni Peppe Tumasi Giuvanni Tumasi Giuvanni Tiresina Giuvanni puntuali. Quasi ce simu, Tiresì’: (Rivolto a Tumasi e a Peppe) E bue siti pronti? Ve manche 'ncuna cosa? A mie propriu nente: 'u petitu c'èni e chissu baste. Chissu senza ca 'u rici, 'u sapiamu già, è ‘nu donu 'e natura benerica. (Peppe fa le corna contro il malocchio). A mie 'mbece me manche 'na cosa chi nun mi la po' rare né tu, Giuvà’, né nullu. 'Mpossibile papà, rice ca virimu, ca ti la truovu io ‘ssa cosa difficile. Eh, figlicì’, e duve la va' pigli: alla fera ‘e r'a Runza? 'A gioventù me manche, Giuvà’, 'a salute ‘e ri vint'anni; e stasira servìa ppe’ daveru ‘ccu tutte ‘sse pitanze guliuse. E noni c'ancora ti la vienti; duve va' pensannu, ce fossimu tutti cumu tie, arzilli e sani! (Si odono delle voci e dei passi) 'Ngrazia 'e Dio, Rosicella e Gegè stannu arrivannu, menumale figli, menumale. (Va all'incontro) Bonuvenuti, bonuvenuti, aspettavamu sulu a bue ppe’ cuminciare a mangiare. (Rosicella e Gegè entrano con in mano dei regali) Gegè Giuvanni Tiresina Rosicella Tiresina Rosicella Tiresina Gegè Tumasi Gegè Rosicella Giuvanni Bonasira a tutti e scusati 'u ritardu. Quale ritardu, siti stati puntuali, avìti spaccatu i secondi. Ti l'avìa dittu ca eranu precisi. Ma', volissi ajutu? Ricemme c'haiu 'e fare. 'A tavula, Rosicè’, sulu 'a tavula c'è d'apparecchiare. Fazzu a lampu ma'. 'A tuvaglia nova ricamata a duv'è. Vire ch'è 'ntra cridenza. (Da un'occhiata in giro per la stanza) E’ propriu 'n'atra cosa intra te sienti propriu ristoratu. Avìti fattu 'e cose in grande: l'arberu, 'a viscogna, 'u fuocu; nun ce manche propriu nente. (Inorgoglito per aver sentito apprezzare il fuoco) E pue ricica ‘un serve lu fuocu, ca fa cinnera, ca tinge! Bravu a Gegè ca sa apprezzare e cose belle! E’ la verità, nannù’, ‘sse cose c'avìti fattu s'avantanu sule: c'è lu signu ‘e ra manu 'ngalapata e de l'arte antica. Sentalu stasira cchi favella chi l'è benuta. 'U sa' ca ‘u’ mi n'era addunata ancora c'avìa ssi gusti fini. Ancora ‘un siti fidanzati mancu a ‘nu mise, cchi bolìa 158 Tiresina Tumasi Gegè Rosicella Gegè Tumasi Peppe Tumasi Peppe Giuvanni Gegè Giuvanni Gegè Giuvanni Gegè Giuvanni Tiresina Rosicella Giuvanni Gegè scoprire, Rosicè’. E noni, Giuvà’, ca io mi ne signu addunata ‘e ru primu mumentu ca Gegè era de gusti fini. Rifetti e pregi ognunu le tene ammucciati; escianu chianu chianu, a unu a’ vota, ppe’ tutt'a vita; ogne jurnu se scopre 'ncuna cosa. Rosicè’, allura nue ancora n'amu 'e fare scoperte! (Accarezz a Gegè) Io 'a cchiù ranne e 'mportante c'avia de fare l'haiu già fatta e l'atre 'e oje avanti, cumu su' sunnu, l'acciettu tutte. E ppe’ mie è lu stessu, lu sientu 'ntra ‘ssu core chi s'è ligatu a ttie. L'amure: quantu ne fa l'amure quannu è daveru illu. È ‘nu miericu chi sane guerre e malatìe, ‘nu fuocu chi 'ntr'u piettu vampulìe. Cum'u fuocu 'e zu’ Tumasi. Sentitilu a pistillu: cumu sempre, 'u r'ha chiavatu mancu a 'na turra, gioia mia. ‘Ccu ‘ssu sentimentu nun se fissìe. Già, ca tu cchi ne po' sapìre 'e chisse cose, si lu tue core è siccatu 'mpiettu! Ppe’ chissu arde de cchiù, zu’ Tumà: ch'è siccatu. Gegè: te piace ss'accuordu? ‘Ssu battibeccu e ‘ssu bottiamientu chi se fannu? Mi l'avìa dittu Rosicella ca eranu spiritusi ma buoni 'e core. Me piacianu ‘e cussì tutt'i ruvi. È propriu 'e cussì: ‘ccu illi 'ntra ‘ssa casa, nun manche mai l'allegrìa: se pizzulianu, se toccanu 'e contre, ma su' sempre 'mpace, pronti a cuminciare 'e nuovu. Su' marri 'e filosofia, se vire c'hannu capitu 'a vita. (Ironico) E io ne signu cuntientu, Gegè; chine ‘u tene ‘nu patre e ‘nu canatu cumu e tiegnu io! Cumu l'accucchi ruvi ‘e ‘ssa manera chi te fannu passare 'a malinconia! Vo' dire ca siti statu furtunatu! Chissu cchiù ca rici: furtuna ruppia Gegè. E chine 'a po' ammucciare ‘ssa ricchizza, è tanta chiara! Gegè, papà, 'u vinu quale pigliamu, chillu 'e Cirò o chillu 'e Petrafitta? Gegè, sceglie tu, vire chillu chi preferisci 'e cchiù. Viriti vue, io a ‘ssa materia ‘un tantu vaiu buonu, signu 159 Giuvanni Tumasi Peppe Rosicela Giuvanni Tumasi Giuvanni Tumasi Gegè 'ncompetente. Allura facimu scegliere 'u cchiù ranne: papà, cchi ne rici tu. (Facendo segno a Peppe) Si ‘u’ murmurìe ‘ssu biellu mobile e ssi ‘u’ lle 'mpinge, io ricissi ca ppe’ stasira è miegliu chillu 'e Petrafitta; 'u canusciu, mo ce vo', re tant'anni. E’ cchiù sanizzu, cchiù pastusu, cchiù... Cchiù tuttu insomma: lu rice illu! Va buonu, Giuvà’, ppe’ ‘ssa vota ci la fazzu passare, sia ppe’ Petrafitta. Papà, quantu fiaschi n'amu 'e pigliare. (Conta i presenti). Cca simu sie, Maruzziellu sette: facimu ‘nu pocu 'u cuntu: (riflette un po') picculi e ranni, cuntamu menzulitru a testa, (pausa) venanu tri litri e mienzu; piglienne ruvi fiaschi. (Indica Peppe e mima col dito pollice il suo modo di bere). L'ha fatti buoni i cunti, Giuvà’? L'ha tenutu presente a illu? (Abbozza un sorriso). Allura piglienne tri fiaschi, Rosicè’; è miegliu ca ce reste e no a mancare. Ma cchi reste e reste, pue ti n'adduni! Aspette, Rosicè’, ca viegnu puru io ca te rugnu 'na manu. (Rosicella e Gegè escono di scena) Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina Giuvanni Tiresina Tumasi Giuvanni (Si avvicina alla moglie e l'accarezza sulla spalla). Ma 'a protagonista principale si' tu, Tiresì’, tu chi ossiervi, sienti e citu, vicinu a ssi fornelli ppe’ accuntentare a nue, ppe’ fare ranne ‘ssa sirata! È lu mistieri mie chissu,'u compitu ‘e r'a mamma 'e casa e io, Giuvà’, lu fazzu ‘ccu gioia. E puru ‘ccu spertizza e marrìa. (Sorride al marito). Però 'ntra tuttu l'annu ‘u’ mi l'ha ritte mai ‘sse cose, c'è boluta 'a vijielia 'e Natale ppe’ m'apprezzare! Eh, biatu a ttie, cchi sforzu ranne c'ha fattu! Nun ti l'haiu mai rittu, tieni ragiune; ma 'ntra re mie l'haiu sempre pensatu. Vo' dire ca me cuntientu 'e 'na vota all'annu, si no appizzi troppu jatu. 'Mbece fratemma Peppe, chi povariellu lu faciti passare ppe’ ‘nu sbandatu, sta tuttu l'annu a m'avantare! 'U sa illu 'u motivu, Tiresì’, parica è fissa? È partuta 'n'atra botta! 160 Peppe 'U fazzu ca m'è suoru e no ppe’ chillu chi piensi tu; ca la viju cumbattere tuttu lu jurnu e mi ne rispiace pecchì le vuogliu bene. Tumasi 'U sacciu 'u sacciu, ma sempre bene 'nteressatu è. Giuvanni Papà, è bene e basta; cumu fai tu a lu misurare, ‘ccu lu metru o ‘ccu la vilanza? Tumasi ‘Ccu lu ciarviellu, Giuvà’, ‘ccu li siensi, ‘ccu l'esperienza 'e tutt'i jurni. Peppe E ‘ccu la 'mbirìa chi tieni ppe’ mie. Giuvanni Ma nun faciti i quatrarielli, ‘ccu se sentenze facili. (Si porta la mano al cuore), 'u bene è 'ntra cca, ammucciatu 'ntra lu core, è lu canusce sulu chine 'u sente. Tu cchi ne rici, Tiresì’? Tiresina Ca a pasta è quasi cotta e ssi problemi ‘e risorve illa: chissa ferme puru 'e guerre!(Tutti sorridono). Giuvanni Sulu tu s'ha fucare 'e vucche, Tiresì’, tu sulamente s'ha stutare i fuochi appiccicati. Peppe Se vire ca simu 'e razza sperta e sapientusa! Tumasi ‘Ccu 'na sula differenza: ca Tiresina i fuochi le stute e tu l'appicci. Peppe Ppe’ fare corìare a ttie, zu’ Tumà, ppe’ te ténere compagnia. Tumasi Va' biellu va': ca si' propìu 'mpattatu! Juru 'e linu. Tiresina Giuvà’, affaccete 'e ‘ssa porta e chiame i figli ca simu pronti ppe’ mangiare. Giuvanni (Va verso la porta e chiama a voce alta). Rosicè’, Maruzzì’, jamu gioia, faciti 'na cosa 'e jurnu ca stamu aspettannu a bue. Rosicella (Fuori scena). Stamu veniennu papà, arrivamu subitu. Giuvanni Tiresì’, Maruzziellu ‘u’ n'ha rispusu, forse ‘u’ r'ha 'ntisu? Tiresina E chillu mo’ sente, ‘ccu chilli 'ntippagli alle ricchie 'un sente mancu 'e cannunate, figurate 'a vuce tua! Giuvanni (Riprova a chiamare più forte). Maruzzì’, Maruzziellu... Ma guarde 'na picca ‘ssu guagliune cumu c'è 'ncazzunitu ‘ccu ‘ssa musica! Maruzzì’, rispunni? Maruzziellu (Fuori scena). E cchi su ‘sse grirate, parica signu surdu? Cchi bue papà. Giuvanni Vuogliu ca t'e riminiassi a rispunnere. Manìate, ca stamu aspettannu sulu a ttie ppe’ jungere 'a famiglia tutta quanta stasira. Maruzziellu Fazzu a lampu, arrivu vulannu. (Entra tenendo in mano le cuffie). Eccume ccà, 'u vi' cumu signu 'e parola papà! 161 Giuvanni Mo' te ricìmu puru bravu, te ramu 'u premiu ‘e ra svertizza. E cchi cos'è, puru stasira vo' 'u chiamu figlicì’! Maruzziellu E si sapissi papà, avìa 'na musicicchia 'ntra ‘sse ricchie propriu 'e chille toghe. (Rivolto al nonno). Nannù’, 'u r'è daveru? Riciaccellu tu. Tumasi Ammazzatù’, torna 'nzigni a me sfriculìare? Ti l'haiu già rittu ca è sulu rrusciu ‘ssu tu tu tu chi tu chiami musica. Giuvanni Haiu capìtu 'a sonata: è chilla solita, l'antica e la moderna, cumu 'a nora e la socra, 'ntonate a tutte l’ure. Tiresina Jamu ja, abbicinative alla tavula. (Per primo prende posto Peppe, gli altri si attardano un po') Tumasi (Rivolto al pubblico). Illu è sempre 'u primu, ricica vo' pregatu 'ncuna vota! (Entrano Gegè e Rosicella con in mano due fischi di vino, Peppe lo ammira e si strofina le mani) Rosicella Tumasi Scusame mammarè’ si amu tardatu 'na picca, avìamu 'e finire ‘nu parragiune ‘ccu Gegè. (Scherzando). Ssi parragiuni 'e canusciu buoni, su' luonghi Rosicè’ 'u sacciu, vo' ca mammata ‘un te scuse! (Tutti trattengono un sorriso imbarazzato) Giuvanni Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Papà, evitamu complicazioni stasira. (Indicando Peppe). Illu è già assettatu, ha già scertu 'u postu; perciò a ttie te tocche de te mintere ccà. (Indica un posto lontano da Peppe). Rosicella e Gegè fannu 'e isolante 'e ‘ssu pizzu, io, Tiresina e Maruzziellu e l'atru e speriamu ca la corrente ‘un passe. Cumu vo' tu, Giuvà’, tu me canusci buonu, io vuogliu 'a pace e ppe’ chissa cosa fazzu chillu chi vue. (Indicando Peppe). Speriamu ca illu 'a capisce e accussente! Statti squitatu, zu’ Tumà: stasira c'è l'armistiziu, ti l'assicuru, po' rire chillu chi vue, ca mi ne prieju. 'U volìssi Gesucristu! E sini, e sini ca Peppe è buonu e si 'ncuna vota ha dittu 'ncuna parolicchia 'e cchiù l'ha fattu ppe’ chiacchiara, ppe’ se 162 Tumasi Tiresina Tumasi sfogare. E io ppe’ scherzu l'haiu avùtu 'e cuntrastare Tiresì’... Certu papà tieni ragiune, pue cchi bolìssi, 'ntra ‘nu gallinaru rrittu, 'u pizzulìamientu c'è sempre 'ntr'e galline. Esempiu azziccatissimu, propriu lurrusu! (Tutti prendono posto a tavola tranne Tiresina e Rosicela che servono le portate) Tiresina Gegè Rosicella Tiresina Gegè Ce sunnu gusti speciali e priferenze ppe’ la pasta? Rosicè’, cumu già sai, a mie senza formaciu. Già fattu Gegè. Mancu 'na picca? Chissu è pecurinu, è d'a Siela! Grazie ma' 'u ne mangiu 'e nulla razza ca me fa ‘nu pocu 'e aciru allu stomacu. Giuvanni Alla mia ce minti 'u solitu piperiellu ardente. Tiresina Ce fuossi 'ncun'atra priferenza? Tumasi Ppe’ mie regulare, cumu sempre, Tiresì’. Peppe Puru ppe’ mie. Tumasi B U ...U... 'A prima vota chi ‘un dici 'u contrariu 'e mie! Maruzziellu A mie portammilla cumu vo' tu, mammarè’. Tiresina 'U quatru è cumpretatu, nun ne potìmu sbagliare Rosicè! (Dopo aver servito, prende posto a tavola insieme alla figlia mentre in sottofondo si odono le note di Bianco Natale o Tu scendi dalle stelle. Dopo un po’, con le mani giunte, invita alla preghiera e tutti assumono un atteggiamento di meditazione). Grazie, Segnure, re ‘ssa sirata bella, re ‘ssu bene 'e Dio chi 'n'ha ratu supra ‘ssa tavula luminusa. Sempre 'e ccussì, 'e miegliu a miegliu, Segnure, ppe’ la casa mia e ppe’ tutti; ppe’ lu munnu sanu chi stasira trova la pace, ‘nu ristoru, ‘nu pocu 'e abbientu, scurdannuse le lutte e le guerre ruleruse. (Fa una breve pausa). Bonappetitu a tutti. 163 ATTO SECONDO (Maruzziellu, Tumasi e Peppe hanno in mano un “frugolo” acceso e Maruzziellu gira intorno al tavolo, saltellando e cantando) Giuvanni Gegè Tumasi Peppe Tiresina Rosicella Evviva... Evviva... Allegria... Allegria... Bravu a Maruzziellu, divertete gioia! Bonu signu, bonu signu. Attientu all'uocchi figlicì’! È ‘nu 'mpisune ma', statti squitata. Gire Mariuzziellu. (Dopo un po Maruzziellu ritorna a sedersi a tavola) Giuvanni Cchi bellizza, cchi pace Tiresì’. Nun lu sentiti puru vue ‘ss'adduru anticu, ‘ssa cosa 'ntra lu core chi nun se sa' spegare: cumu ‘nu suonu chi 'e carne fa' sgrizzare! Tiresina Sini Giuvà’, me sientu cum'e ttie, 'n'allegria chi passe tutt'a vita e chi me fa' pensare allu bene. Gegè Certu, chissa è la festa cchiù bella 'e l'annu, 'a cchiù sentuta, chilla chi fa' jungere 'a famiglia. Rosicella E cchi ne fa' stare 'nziemi a tutt'i ruvi. Peppe (Riempie i bicchieri). Brindamu a ‘ssa gioia, a ‘ssa sirata 'e pace, a tutti nue, ppe’ ‘nu futuru sempre cumu oje. Tumasi E senza odiu e fissiamientu. Maruzziellu E a chine ha fattu ‘ssu vinu 'ntr'u parmientu... (Tutti alzano i bicchieri) Giuvanni Maruzziellu Tumasi Peppe Giuvanni Tiresina Giuvanni Papà, cchi mericina, cchi purvera ‘ssu vinu! Propriu cumu chilla ‘e ri fruguli! È propriu pastusu, se fa' apprezzare: cchi t'avìa dittu io. ‘Ccu chissu 'un se po' tantu fissiare, si no la capu ni la conze bona! Ma quannu è buonu, male 'u ne fa' mai. Però è sempre buonu a ‘u’ r'esagerare. Gegè, e dai, stasira fa' 'n'eccezione, vive ca 'un te fa 'nente. 164 Gegè L'haiu già rittu, ‘ccu chissu vaiu malucciu, nun tantu ce fazzu pace. Sulu ogne tantu ‘nu beccheriellu 'ncumpagnia. Rosicella Però miscatu ‘ccu gassosa. Tumasi 'A giuventù 'e oje su' cchiù delicati Giuvà’; ‘ssu viecchiu amicu nun l'hannu canusciutu buonu, preferiscianu l'acqua tinta: cocacola, arangiate e cianfrusaglie varie: è propriu ‘nu peccatu! Tiresina 'U munnu è jutu avanti, parica è cumu 'na vota chi 'e cantine eranu sempre chjne e le pirucche parravanu ‘ccu l'angiuli? Tumasi C'era lu motivu Tiresì’, c'era e cumu. Mo' è cangiatu tuttu, i pensieri su' alleciati, c'è cchiù fatiga, cchiù benessere ma prima era 'n'agunìa, ‘nu patimientu gualu ppe’ tutti; e ‘nu povaru cristianu trovava sulu ‘nu pocu 'e sfogu ‘ccu lu vinu, jiennu alla cantina. Peppe Analisi perfetta zu’ Tumà, lucida e funna. Cchi ne sannu chissi ‘e mo' ‘e r'u petitu e d'i rugliamienti 'e trippa. Mo' ce su' le cure dimagranti, ce su' le vilanzelle ppe’ misurare 'e calorie: se po' jire avanti zu’ Tumà’? Primu alli cristiani ce potìa cuntare l'ossa e mo', si le tuocchi, affunni 'ntr'u grassu! Tiresina È curpa ‘e r'u prugressu, re ‘ssu casciottune e televisore chi tutt'i jurni bumbarde ‘ccu la propaganna tutt'a gente, inchjennucce la capu 'e porcherie. Rosicella Ma puru 'e cose bone, ricimu 'a verità! Tiresina Ogne tantu, cumu 'e musche janche. Tumasi E bia, c'ha guastatu 'a capu a tutti, c'ha 'mberveratu a ranni e piccirilli. ‘Ccu r'illa su' finite tante usanze belle; ‘nu parragiune 'ntr'a casa 'un se po' fare cchiù: mo' 'na cosa, mo' 'n'atra, citu tu e citu io, 'a famiglia s'è ammutata, ci hannu tuotu 'a parola! ‘U virìti cumu parìmu bielli stasira ch'è stutata e un se 'ntromette 'ntr'i fatti ‘e r'a famiglia? 'U virìti quantu cose chi ne ricìmu senza 'e illa? Peppe È lu veru, io l'haiu sempre rittu: chissu è ‘nu mezzu periculusu. È propriu cumu 'e mericine: si ti le pigli a dose giuste forse t'aiutanu, ma si ti ne fa' 'n'abbuffata t'ammazzanu ‘e ru tuttu. Maruzziellu Si l'arrizzietti tu 'e mericine stamu frischi: ne 'mbalieni a tutti! Giuvanni Nun c'è bisuognu 'e aggiungere atru, 'a diagnosi è perfetta. Peppe e papai hannu parratu cumu ruvi mierici 'e fama mondiale. Maruzziellu Chi sannu ordinare sulu purghe! Cumu'a facìti longa mo', 'a 165 paragonati allu riavulu ma pue 'a jati cercannu tutti, chine frange ‘nu buttune e chine 'n'atru. Gegè A dire 'u veru, ni ce calamu tutti. Rosicela E sini, ormai cumu si ne po' fare cchiù a menu! Giuvanni Certu, 'u telegiornale è 'mportante, puru io mi lu viju! Tumasi Io chisà cumu ha de resere! Sulu quannu c'è 'ncunu filmu 'e guerra. Maruzziellu E pue 'a pace 'a vonnu 'e l'atri! Peppe 'U stessu io: 'ncunu filmu e 'ncunu spettaculu 'e varietà, però ogne tantu. Tiresina Io 'a guardu caminannu, faciennu 'e fatighe ‘e ra casa; ma mai mi ce 'mpalu ravanti ppe’ ure e ure cumu fannu certi gienti. Maruzziellu Gir'e bote, fannu i stufati, 'a cunnannanu a morte, ma pue si la viranu tutti: se vire ca è gustusa. Peppe Ma mai cumu 'a pasta c'ha cucinatu Tiresina: bella addurusa. Tiresina Grazie Peppì’, troppu buonu si' ‘ccu mie! Tumasi C'era propriu 'a marrìa 'e ra fimmina cunchiusa e 'ngalapata. Giuvanni Tiresì’, io senza ca t'avantu, 'u sai già ca me piace tuttu 'e tie. Tiresina Mo' me cunfonditi ‘ccu tutti ssi comprimenti: haiu fattu chillu ch'haiu potutu! Rosicella U r'avìti provatu l'atre pitanze? Gegè Se canuscianu re l'adduru, parranu sule. Peppe Ppe’ chissu me signu cuntrollatu alla pasta, si no adduve 'a 'nzaccava l'atra rropa! Tumasi E tu 'e ssi prubremi 'u ne tieni, si' già collaudatu: cchi paura tieni ca'un digerisci? Divertete stasira ‘ccu tutte ‘sse razze 'e pisci. Peppe Fazzu chillu chi puozzu, ppe’ onurare 'a tavula e ppe’ dare soddisfazione a Tiresina. Tumasi E alla trippa puru. Giuvanni Certu papà, rropa ci n'è tanta e r'è peccatu a la lassare: vruocculi, baccalà, finuocchi, lupini; c'è tutt'u bene 'e Diu: ‘nu pocu n'amu 'e sforzare tutti. Rosicella (Confabula con Gegè). Ci ci, sentiti tutti, Gegè vo' fare ‘nu brindisi. Gegè Ce pruovu, nun sacciu si cunchiuru. Tiresina Ne signu propriu sicura ca si sensatu. Giuvanni Certu nun pue fallire! Tumasi Maruzzì apere 'e ricchie! 166 Maruzziellu (Mette le mani sulle orecchie) Puru 'a vucca nannù’? Tumasi Silensiu, silensiu! Gegè ‘Ssu vinu tuostu fattu a Petrafitta, chi scinne sulu sulu cumu mele, ‘nu puzzu ti ne vivi e ‘un ti ne pienti: brindisi fazzu a tutti li presienti. Primu pensava ma nun cunchiurìa, ma ‘ccu l'aiutu 'e illu m'è jesciuta chissa frasa: auguru furtuna e bene a chissa casa. (Tutti battono le mani manifestando allegri mentre Rosicella dà un bacio a Gegè) Rosicella Tiresina Tumasi Maruzziellu Tumasi Peppe Giuvanni Gegè Rosicella Cunchiusu, propriu cunchiusu Gegè! Cchi parole belle: bravu e bravu! Ma tu si' ‘nu poeta neputì! Propriu cumu chilli e supr'i libri e r'a scola! (A Peppe). E tu 'un dici nente? L'ha capita ‘ssa sonata? Sempre prima 'e tie: 'na vera cannunata! Gegè: a nume ‘e r'a famiglia ‘nu grazie re core, ma ppe’ te murrare 'a stima nun truovu le parole. Nun c'è bisuognu, lu sacciu ca m'amati e quannu haiu canusciutu ‘ssa Rosicella 'e maju addurusa, chi spanne bene dintra 'a vita mia. (Sprizzante di gioia e imbarazzata nello stesso tempo) ‘Ccu tie vicinu lu munnu pare 'mparu, c'haiu trovatu cchiù de ‘nu tisoru. (Tiresina e Rosicella servono altre pietanze) Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Quannu c'è l'amure c'è tuttu, è cumu ‘nu faru c'alluce tutt'e cose e puru si su' pover'e pezzente le fa' parire belle, graziuse. Viatu chine 'u tene ‘ssu cumpagnu c'aiute a campare 'ntra ‘ssu munnu. Io lu tiegnu 'e quannu signu natu, (porta la mano al cuore) 'ntra cca chiusu. E mo' te esce lu jatu? Era gelusu allu murrare, haiu capitu. Nuve l'avìmu tutti 'ntra ‘ssa casa, ca simu gente semprice alla bona: ppe’ chissu c'è l'accuordu, l'armunìa, 'a pace chi ognunu va' cercannu. 167 Giuvanni E pensare ca certe famiglie ricche nun su' mai cuntente, forse mancu stasira. Tumasi Avoglia quantu ci ne sunnu. Giuvanni Ma ricu io: cchi le manche, cchi bannu cercannu! Tumasi Le manche la sempricità e vannu cercannu i stilli fritti. Tiresina A nue 'u Segnure n'ha bolutu bene, n'ha misu 'ntr'u piettu ‘nu tisoru chi nun l'appatte nente 'ntra lu munnu. Giuvanni E puru 'un ce vo' nente ppe’ n'amare, ppe’ dire 'na parolicchia ruce. Tumasi Pare a ttie, Giuvà’, ma chine è egoiste e 'nteressusu jestime puru ppe’ 'na ficazzana, si lu'mpese lu riavulu. Tiresina Jesu, Jesu, (fa il segno della croce) a chine ha numinatu! Ca spreje tuttu! Tumasi Scusame Tiresì’, m'è jesciuta. Peppe E un t'avìa de escere, se vire ca 'u vinu ha fattu effettu. Tumasi Ha fattu 'a ciotìa chi tieni 'ntra ‘ssa cicculatera. Maruzziellu Quantu ne jati trovannu ‘ccu ‘sse crirenze antiche: ranni e gruossi criranu a ‘sse cose. Rosicella E sini ma', su' tutte venzunìe ppe’ fare spagnare 'a gente. Gegè È 'n'atra epuca mo': 'a giuventù 'e oje crire sulu a chillu chi vire e tocche ‘ccu le manu. Peppe Crire alle more ciote: alli giubbochissi, alli bigliardini, alle carte! Tumasi Ve manche l'esperienza. I dubbi arrivanu chianu chianu, criscianu ‘ccu l'anni e io lu sacciu, ca signu stagiunatu. Peppe Cumu 'a lignama 'e castagna tagliata a primavera! Tumasi Ohi Tiresì’, trovecce 'na mugliera ca 'ncunu jurnu sinnò vaiu 'ngalera. Tiresina Mo' basta ‘ccu ss'argomenti scunchiusi, parramu r'atru. Giuvanni Brava a Tiresina, tieni ragiune, stasira s'ha de parrare 'e cose belle, chi su' 'ntonate ‘ccu la festa: 'e l'arberu, ‘e ru presepiu, ‘e ru fuocu 'e Natale, 'e cose cunchiuse chi tenanu 'e rariche funne. Rosicela ‘Ppe’ ‘sse cose ce vo' nannuzzu, ca tene cchi cuntare. Maruzziellu Ca zu Peppe nun fissie mancu, forse stasira è 'mpacciatu ‘ccu lu mangiare e ‘u’ le cumbene, ma si no è ‘nu storicu quasi cumu nannuzzu. Allura, nannù’, ppe’ stasira cunte tuni ca nue pigliamu appunti. Gegè Dai nun te fa' pregare, fanne cuntienti. Rosicella Aspettamu sulu ca 'nzigni, nannù’. 168 Tiresina E 'nfurmali ssi guagliuni, facce sentere 'a vuce 'e ra tradizione, chillu motivu chi vene de luntano e chi nun more mai. Tumasi Se vire ch'è ‘nu motivu buonu, sanizzu, Tiresì’. Nun ve sprecati tantu, io parru sulu, senza ssi pregamienti. Parru pecchì 'u sientu 'ntra re mie ‘ssu bene chi me cuverne e m'accarizze. Natale 'e primu: me sgrizzanu le carne quannu 'u pienzu. 'E ciaramelle 'e sientu 'ntra le ricchie, quannu passavanu r'avanti a porta norra e giravanu tuttu lu paise. ‘Nu mise primu 'nzignavanu i guagliuni a carriare ligna ppe’ lu fuocu, ppe’ lu fare cchiù ranne ‘e l'atri paisi. Nun c'era famiglia chi un facìa lu presepiu 'ntra 'n’angulu re casa. E pue li juochi, quantu juochi 'a sira ‘e ra vijelia: a nucille, a tombula, alle carte, ognunu s'appricava ‘ccu r'amure. Pue lu suonu biellu 'e "Tu scendi dalle stelle" chi ppe’ tutte le vie se spannìa e te portava davanti a chilla grutta ppe’ pregare ‘ccu gioia 'nginocchiuni lu Bumbiniellu dintra la pagliuzza. Giuvanni Bravu a papai mie: lucidu e sapientusu, 'un t'ha scordatu nente. Tiresina M'ha fattu sgrizzare 'e carne Giuvà’! Giuvanni Gioventù, cchi ne riciti? V'è piaciuta 'a lezione? Rosicela Bella nannù’, bella assai, chjna re sentimientu. Maruzziellu E chine le sapìa ‘sse cose belle! Tiresina Apposta ce sunnu l'anziani, ppe’ cuntare 'e cose antiche, 'a storia passata, chilla chi nun è scritta, ma chi è tutta 'ntr'a memoria. Gegè Certu, sunnu ricchizze chi nun vannu perse, pecchì n'appartenanu, ni l'hau lassate i patri nuorri. Rosicella E cchi l'hannu tante amate Gegè. Tiresina A tradizione va rispettata, si no trariscimu l'antenati e a nue stessi. Peppe Nun ce chiove Tiresì’, signu r'accuordu. Maruzziellu Tu si d'accuordu sempre a tuttu: si' biellu furbu tu zu Peppì’, 'a sa' longa. Peppe O longa o curta io signu r'accuordu ‘ccu le cose 'e primu, (scherzoso) e ‘ccu la diagnosi 'e zu’ Tumasu. (Tumasi manda il capo su e giù, sentendo le parole di Peppe) Maruzziellu Però chille 'e mo' ‘un t'ammarìanu mancu, rice 'a verità. Peppe Su' cchiù amare ca ruce. 169 Maruzziellu Vo' dire ca è miegliu ppe’ li rienti e ppe’ lu diabete. Tiresina Parica potimu passare alla frutta. Rosicè’, pigliala gioia 'e mamma, ‘un me fare azare a mie. Rosicella (Scherzosa). Cumu cummanne la patrune. (Porta sul tavolo un cesto di frutta varia). Gegè, ce su' puru i tortigliuni chi piacianu a ttie. Gegè Ahi cchi bellizza! 'N'avìa de mangiare a tantu tiempu. Giuvanni Chissi piacianu a tutti, pue ‘ccu lu vinu, vannu propriu r'accuordu. Peppe Ca i lupini, 'e nuce e li finuocchi ammarianu? Tumasi Su' tutti spizzicarielli guliusi, rropa sanizza. (Gegè, Rosicella e Maruzziellu confabulano sottovoce) Rosicella ‘Nu pocu 'e attenzione, c'è 'na sorpresa e ni la fa Maruzziellu, 'u chiù picculu ‘e r'a casa. Gegè Dai Maruzziellu, biellu francu, ‘un t'emozionare. Rosicela Cumu si' ciuotu, nun te vrigognare, forza, simu tutti tra nue. Maruzziellu (Imbarazzato). Papà, è sutta 'u piattu tue. Giuvanni Cchiri? Tiresina A sorpresa Giuvà’... Giuvanni (Solleva il piatto e trova la letterina di Natale, mette gli occhiali e prova a leggere). E’ 'na parola! (È visibilmente emozionato). Te gioia, lejala tu a buce avuta, ca cussì sentanu tutti. Tumasi Nun potìa mancare, 'u guagliune è affezzionatu! Peppe E sensibile puru! Maruzziellu Caro papà, cara mamma, anche quest'anno ho preparato la letterina di Natale per non venire meno a questa bella tradizione e per esprimere tutto il mio bene che sento per voi, per il nonno, per zio Peppe, per Rosicella e Gegè. (Tutti manifestano tanta emozione, il nonno si asciuga le lacrime). Queste semplici paroline, che escono dal mio cuore, sono piene d'amore e di buone intenzioni per il futuro. Prometto di non fare più i capricci, di essere buono e ubbidiente, di non fare arrabbiare più a nessuno di voi. Pregherò a Gesù Bambino, affinché vi faccia stare bene di salute e per non fare litigare più a zio Peppe col nonno, e che 170 la nostra casa sia sempre piena di felicità come stasera. Vi bacio la mano vostro figlio. (Tutti battono le mani) Tiresina Giuvanni Tumasi Peppe Rosicella Gegè Peppe Tisoru 'e mamma: fatte abbrazzare! Bravu a Maruzziellu, nun t'ha scordatu a nullu! Gioia 'e nannuzzu, cchi parole cunchiuse, cchi talientu, grazie gioia. È nepute a mie, nun potìa mancare! Avìa ‘ssa bella littera e te spagnava ‘e parrare? Nun mi la crirìa propriu; ‘nu guagliune ‘ccu tantu sentimientu: è 'na cosa rara! Certi parranu ppe’ ure cumu i deputati e nun chiavanu mancu a 'na turra; Maruzziellu 'mbece, ‘ccu quattro parolicchie, 'n'ha 'nzaccatu 'ntr'a capu e lu core ‘nu munnu 'e amure e bene. (Tumasi e Giuvanni si apprestanu a regalare dei soldi a Maruzziellu). Tumasi Giuvanni Peppe Te gioia ca ti lu mieriti ppe’ daveru. E chissi su' ppe’ mie e mammata. E io te pagu ‘ccu basuni, (strofina l'indice con il pollice) ca signu fagliu a ‘ssu palu. Maruzziellu È lu stessu zu’ Peppì’, pense alla salute. Gegè (Va a prendere i pacchetti con i regali). Io e Rosicela ne simu permessi 'e fare ‘nu pensierinu a tutti vue, sulu ‘nu signu 'e affettu, nente cchiù. (Peppe manifesta tutta la sua curiosità per il regalo) Tiresina Gegè Peppe Rosicella Peppe Beneritti ve via, nun ce volìa propriu nente, ve siti disturbati troppu. Nullu disturbu, ppe’ mie è statu ‘nu piacire rispettare ss'usanza bella. Giustu, quannu unu 'e sente certe cose l'ha de fare. Gegè ce tene a ‘sse cose, è propriu sensibile, tene gusti fini. Vo' dire ca ce gorimu tutti. (Si strofina le mani). 171 Tumasi Gegè Maruzziellu Tiresina Giuvanni Tumasi Gegè Tumasi Maruzziellu Peppe Maruzziellu Peppe Maruzziellu Peppe Tumasi Peppe Tiresina Tumasi Tiresina Tumasi Tiresina Rosicella Tiresina Ha fattu 'na scelta bona Rosicè’, si' stata sperta, Gegè 'ntra ‘ssa casa ce mere propriu. (Consegna i pacchetti e ognuno si appresta ad aprirli). Parica ‘u’ n'amu scordatu a nullu Rosicè’! Ci avìti propriu 'nduvinatu; 'u regalu chi volìa io! A cassetta ‘e ri Pooh.. Giuvà’, me bire me bire: me cchi bella cravatta puliciata ppe’ ttie. A mie 'mbece 'u sciallu 'e lana. Grazie figli: penserusi assai. Nun sacciu propriu cumu me rissobrigare. A mie 'a pippa Tiresì’, 'u strumentu ‘e ra vecchiaia. Grazie re core. Chissa è de rarica 'e ulici, originale. Se vire gioia se vire. Propriu cumu chille chi use l'amicu mie Pertini. (Soppesa la pipa). Me cum'è pisante. E cumu è lavurata 'e fore? Zu Peppì’, e a ttie? Cchi ci ha trovatu tu? 'Na cosa bella 'e fore e brutta e intra. Cchi bene a dire? ‘Nu portafogliu, Maruzzì’! Chjnu o vacante? ‘E pella ‘e elefante! Maruzzì’, chissi se vinnanu vacanti, biellu mie, e ppe’ le inchiere s'ha de fatigare, s'ha de sudare. Grazie alli neputi ppe’ ‘ssu pensieru biellu e luongu. È bon'aguriu ppe’ lu futuru Peppì’, ppe’ lu inchjere biellu curmu quannu truovi fatiga. Campe cavallu ca l'erva crisce e a maju t'abbutti! ‘Ccu ssi chiari 'e luna e ‘ssa tramuntana chi mine ha voglia 'e sperare. Vene lu tiempu vene. 'E virere si accussente Peppe! Ha trovatu ‘ssa ‘merica lluocu, chine lu sposte! Mme bia ca è sulu sfurtunatu. Ma', cchi dici, t'aiutu a sparecchiare? Si no ‘un facìmu a tiempu ppe’ la missa 'e menzannotte. Noni figlia, ‘un c'è bisuognu: stasira nun se sparecchie, 'a tavula ha de rimanire 'ntatta, ‘ccu tutt'e pitanze restate e ‘ccu li Natali 'n mienzu: chissu è l'usu gioia. Chissu è ‘nu 172 signu r'amure e de ospitalità ppe’ lu Bumbiniellu chi nasce stanotte. Giuvanni Tiresì’, ‘un te scuordi propriu nente tu, l'usanze e le tradizioni le tieni sempre vive 'ntra re tie! Tiresina Su' le meglie cose Giuvà’, senza re ille nue nun simu nente: arberi senza rariche! Maruzziellu Io 'ncuminciu a jescere ma', vaiu alle Pezze, ca a chist'ura 'u fuocu 'e Natale l'hannu già appicciatu. Ciau a tutti. Tiresina Attientu a 'ncuna stizza e a ‘sse bumbicelle chi se sparanu. E pue t'arricummannu: vieni alla missa. Maruzziellu Statti squitata ma'. (Esce). Tumasi E nu’ l'affriggere ‘ssu guagliune, è tiempu ‘e ru sue, ha de jocare 'nziemi alli cumpagnielli sue, Tiresì’; è chissu lu tiempu ‘e r'a spenzeratizza chi 'na vota passata nun ritorne cchiù. Tiresina Ma 'n'avertenza è sempre bona a ci la fare! Rosicella Ma', io me vaiu cangiu, e cussì me truovu pronta. Tiresina E io quantu me cacciu ‘ssu sinale, me ‘nzaccu 'u cappottu e signu appostu. Rosicella Gegè: vieni puru tu? Gegè Si Rosicè’, quantu me lavu sulu 'e manu. (Rosicella e Gegè escono di scena). Tiresina Giuvanni Tumasi Peppe Tiresina Peppe 'Ngrazia a Dio Segnure! È jutu tuttu buonu, parica amu cumparisciutu ‘ccu Gegè. Certu Tiresì’: è stata 'na meraviglia ‘ssa sirata, una 'e chille chi nun se scorde mai. ‘Nu cunciertu all'antica Tiresì’, ‘nu gorimientu gualu, puru ‘ccu le sparate 'e ‘ssu scapulune. (Indica Peppe). Sulu ppe’ meritu tue, ppe’ ‘sse manuzze tue fatate e ppe’ lu sale chi tene 'ntr'a crozza zu’ Tumasi. Forse nun ce cririti, ma stasira me signu 'ntisa 'ntra re mie 'na forza ranne, 'na vuluntà chi nun haiu mai avùtu, 'n'allegria chi nun m'ha fattu ventare la stanchizza, parica m'ha aiutatu 'u Segnure. Si fimmina re fede, timorata 'e Dio: ppe’ chissu Tiresì’. (Si odono i rintocchi delle campane che annunciano la santa messa). 173 Tiresina Giuvanni Peppe Tumasi Peppe Tumasi Tiresina Rosicella Giuvanni Peppe Gegè Peppe Tiresina Tumasi Peppe Tiresina Tumasi Rosicella Tumasi (S'inginocchia, fa il segno della croce e rimane con le mani giunte, Peppe fa altrettanto). Grazie campana santa, chi suoni tu ppe’ nue dintra ‘ssu jurnu 'e amure. (Si alza). Vue veniti puru alla missa no? Sicuru Tiresì’: jamu tutti ‘n'ziemi. Io nun c'haiu mancatu mai 'a notte 'e Natale, 'u bumbiniellu l'haiu sempre vasatu 'ntr'u cistelluzzu. Però ‘un ci ha mai rittu re te fare cangiare capu! E chine mi lu rava lu tiempu, si haiu pregatu sempre ppe’ ttie: ppe’ ‘un te fare cchiù murmurare! A ttie t'hannu sempre cuvernatu ssi murmuri! (Va verso la porta e chiama Rosicella). Rosicè’: c'a missa è già sonata, fa priestu figlia ca si no ‘un trovamu postu. Haiu già finitu ma', signu pronta! (Rientra in scena insieme a Gegè). Eccoci ccà. (Rivolgendosi agli altri). Vue veniti puru no? Jamu tutti 'nsiemi! Si potìmu avìre ss'onure 'e jescere ‘ccu bue! Certu, l'onure è d'u nuorru zu’ Peppì’. Sai cum'è: certe vote se pò dare fastidiu... Tu cchi fai papà, vieni puru? Certu c'a sirata è friddicella: sapìmu si te fa male? (Ironicamente) È miegliu ‘un currere rischi Tiresì’, jati vue 'nsarvamientu ca siti giuvini. (Indica Peppe). Abbasta ca ve portati puru a illu ca tene tantu bisuognu 'e pregare! Sapimu zu’ Tumà’: chine ne tene cchiù bisuògnu? N'avìmu bisuognu tutti, chine cchiù, chine menu supra ‘ssa terra simu tutti peccaturi e stasira, chi nasce lu Bumbiniellu, tutti amu 'e pregare: ppe’ nue, ppe’ l'atri, ppe’ ‘ssu munnu 'mbrogliatu e periculusu, chi minte 'ntra la gente la paura. Pregare ppe’ la pace, ppe’ ‘ssu bene ranne senza fine, chi quannu c'è te sienti ‘nu regnante, ‘nu core chjnu 'e gioia chi parpite d'amure. (A Tumasi). Papà, nun sai quantu ne role a te lassare sulu sulu. Jati gioia mia, nun vi ne 'ncarricati; sbrigative ca si no trovati già 'nzignata 'a missa. Pregamu puru ppe’ ttie nannù ppe’ stare sempre buonu. (Rivolto al pubblico strofina il pollice e l'indice) Ricìti 'a verità: vò dire 'a pensione! Grazie Rosicè’, fa cumu vo' tu. 174 (Tutti salutano Tumasi ed escono, tranne Tiresina che si attarda per un attimo sull'uscio). Tiresina Tumasi Statti attientu papà: venimu priestu priestu, appena finisce la missa. A priestu! (Esce). (Gira per la stanza scuotendo il capo). Eh, quantu raccomandazioni quannu si' biecchiù! Quantu premure! Propriu cumu se fa ‘ccu li quatrarielli: statti attientu, mo' riesti sulu! Quantu parole vacante chi se ricianu! Te 'ncazzi? E cchi cunchiuri! Io ce passu 'e supra e mi ne grattu. Io riestu sulu? Eh gioia mia! Nun sapìti chillu chi riciti. Rimane sulu chine ‘un tene amure e fantasia, chine 'un s'attacche a nente e lindrunìe. (Indica il focolare). E pue c'è illu, guardatilu cchi cumpagnu: te parre, t'arricorde lu passatu, te minte 'ntra lu piettu l'allegria. ‘Ccu illu te passe la malincunia. 'Na fumata alla pippa, 'na bella corìata: cchi bue cchiù Tumà’, cchi ba cercannu! Ca Maruzziellu zumpe e joche? È tiempu r'u sue. Ca Peppe mange a bigna? Passecce 'e supra. 'Un ce cunchiuri nente a t'arraciare. Dintra ‘ssa vita, si vo' buonu campare, tutti li jurni e filosofare. Natale 'e primu e mo' cchi vaiu 'e rire re ‘ssa festa chi lu male fa appracare, ve ricu sulamente re gioire e lu simile vuorru sempre amare. Chissa è la festa 'e piccirilli e ranni: ‘ssu bene 'u bumbiniellu n'ha cuncessu; a dece, a trenta oppuru a r'ottant'anni, 'ntr'u core Natale rimane sempre 'u stessu. (Mentre si avvicina al focolare cala il sipario). FINE 175 LE CAMPAGNE DELL’ONOREVOLE COMMEDIA IN DUE ATTI 176 PERSONAGGI DON NICOLA PASTETTA Onorevole anni 60 DONNA CARMELA Moglie di don Nicola anni 55 ‘NTONETTA Domestica anni 45 LINARDU Segretario anni 35 SANTUZZU Galoppino anni 20 MICHELE Fattore anni 65 DON FOFO’ Cavaliere anni 57 BRUNILLU Laureato disoccupato anni 30 DON CICCIU Medico anni 40 LA SCENA Lo studio di Don Nicola, arredato in stile antico: due scrivanie, un divano e delle sedie. Ad una parete è attaccato un crocifisso e alle altre dei quadri. Compaiono due porte: una d’ingresso ed un’altra che dà l’accesso alla cucina. Si è in piena campagna elettorale, Don Nicola, candidato al Parlamento (Camera dei Deputati), si appresta a preparare il comizio d’apertura. 177 ATTO PRIMO (‘Ntonetta è intenta a fare le pulizie nello studio di don Nicola) ‘NTONETTA E’ ‘nzignata ‘n’atra jurnata....Sbatte ‘ Ntonetta supra e sutta cumu ‘na trotta, ‘ntra ‘ssa casa chi pare ‘na fera. Chissu è lu compitu tue, chillu ‘e r’a serva: sgobbare senza abbientu tutt’u jurnu ppe’ quattro sordi fetusi. Chine te cummanne de ‘na parte e chine ‘e ‘n’atra. Attenta a nun sgarrare, ca si no chine te perdune? Donna Carmela ccu’ chillu core ‘e petra o ‘a capu nervusa ‘e don Nicola? Speciarmente moni chi è aperta ‘a campagna ‘lettorale ccu’ tutti chilli pensieri chi le giranu ‘ntr’a capu. Ma pue tene ragiune, ‘a lutta è difficile, ‘u risurtatu è troppu ranne, certu ca è preoccupatu e scantatizzu. (Nella stanza da letto di donna Carmela suona la sveglia, ‘Ntonetta ne ode il suono e scruta il suo orologio da polso). E’ arrivata l’ura, ‘u signale ‘e guerra è scoccatu, mo’ cumince la battaglia. (Guarda intorno) Parica haiu misu tuttu a postu cumu voni ‘a signora patruna, ccussì ‘u’ la sientu grirare. D. CARMELA (Fuori scena). ‘Ntonè’, ‘Ntonetta. ‘NTONETTA (Manifesta insofferenza) Signu già all’opera donna Carmè’, haiu finitu propriu mo’ ‘u studiu. Cchi desiderati? D. CARMELA (Adirata). Chilllu chi te scuordi sempre ‘e fare: ‘u cafè, ‘Ntonè’, ‘a sbeglia ‘u l’ha ‘ntisa? ‘NTONETTA Puru si l’haiu ‘ntisa: n’haiu ‘ntisu già ruve, ‘a mia e la vorra si è ppe’ cchissu! D. CARMELA Fa’ poco spiritu e maniete. ‘NTONETTA (Ironica) Ve siervu subitu, fazzu a lampu. (Da un’occhiata intorno ed esce di scena). D. NICOLA (Entra in scena don Nicola. Indossa una giacca da camera e le pantofole. Ha in bocca un sigaro e in mano una voluminosa cartella che posa sulla scrivania. Si aggira per lo studio manifestando nervosismo). ‘A vita è ‘na lotta. Nun ne puozzu cchiù, nun se po’ stare tranquilli ‘e nulla manera. Mo’ era statu elettu ‘ngrazie ‘e Dio, parica avìa trovatu ‘nu pocu ‘e pace roppu ‘a tremenda campagna elettorale e la storia ‘nzigne ‘n’atra vota ‘e capu. Mancu ruvi anni eranu passati, ancora m’avìa d’assettare, m’avìa d’asciuttare i 178 sururi e, patapuffiti, ‘u governu è carutu. Frichete don Nicola! I ‘mbiriusi e li jettaturi hannu avutu ragiune, hannu vintu. A malappena ci l’avìa fatta, ‘u sacciu io quantu n’haiu avútu ‘e fare. Chine ti lu rice mo’ cumu va a finire, chine ti l’assicure ccu’ tutti ‘ssi colleghi affamatizzi e frichigni chi cercanu voti puru ‘ntra li muorti? Cchi figura ce fai ccu’ la gente si nun vieni elettu? Chine te rimborse li sordi chi spienni ‘ntra ‘ssa lutta? (Si avvia verso la scrivania e siede rivolgendosi al crocifisso appeso ad una parete). Gesucristu mie pensace tuni, aiutame ca si no signu ruvinatu. Salve l’onure mie ! Tu lu sai ca signu buonu, onestu e luottu ppe’ lu populu, ppe’ li poveri, ppe’……. (il crocifisso si stacca dalla parete e cade per terra, don Nicola sobbalza dalla sedia spaventato e, stringendosi la testa tra le mani e disperandosi, va a rimetterlo al suo posto). (Si accerta della solidità del chiodo) Eppure ‘u chiuovu è fermu, ‘u lazzu è sanu, cumu si’ potutu carìre. (Pensa per un po’) Cchi haiu rittu ‘e male, Gesù mie? Quale parola t’ha offesu? Io t’haiu sempre pregatu, nun po’ esere ‘ndignatu ccu’ mie. (Torna a sedersi, sfogando la sua rabbia) Tutte a mie capitanu, a mie chi luottu sulu, chi nun tiegnu aiutu ‘e r’u partitu, ‘e nullu, chi cumbattu supra ruvi fronti: ‘ntr’a politica e ‘ntr’a casa. (Batte i pugni sul tavolo) Ma io nun m’arriennu, nun lassu largo a nullu ‘nfina chi mi la vientu. D. CARMELA (Avendo udito l’eccitato monologo del marito, entra preoccupata) Cch’è statu Nicò’ , cchi t’è chiavatu a ‘na vota? (Guarda intorno e non vede nessunu.) Tu parri sulu. Maronna mia, Nicola parre sulu! D. NICOLA (Gridando) Io parru sulu? Parru ccu’ tutti, ccu’ chine m’ha tuotu ‘a pace, ‘a tranquillità’. D. CARMELA ‘A politica Nicò’, illa t’ha tuotu ‘a pace, ni l’ha tota a tutti ‘ntra ‘ssa casa. Malerizione cchi potenza chi tene, cchi fuocu ranne. Nun se ripose né notte né jurnu. D. NICOLA E ‘mbece c’è chine ripose e chine sbatte. D. CARMELA Cchi bo’ rire Nicò’, e chi su’ ‘sse botte... 179 D. NICOLA E’ la verità: ‘a campagna elettorale ‘nfurie e bue m’avìti lassatu sulu cumu ‘nu cane. (Guarda l’orologio) Guarde ‘nu pocu, su’ già, ‘e nove e non se vire nullu, mancu chillu beccamuortu ‘e r’u segretariu. L’atri fatiganu, nun dormanu. D. CARMELA Cchi dici Nicò’, e carmete ‘nu pitazzu, ritorne ‘ntr’e tie; rifrette, si no è pieju. Ccu’ la carma se vincianu ‘e battaglie, ccu’ le trovate sapientuse se sconfiggianu l’avversari, e no ccu’ li niervi. D. NICOLA Ha parratu gagumilla, ‘u carmante ‘e r’a vita mia! Mo’ si ca i pensieri spreianu tutti. Mo’ me mintu a rirere, zumpu ‘e r’a gioia. D. CARMELA Parre sulu allura, batte ‘a capu ‘e ri mura mura ca è miegliu, i voti ‘e fa’ escere ‘e r’i mura. D. NICOLA (Rabbonito guarda il Crocifisso) Citu Carmè’, citu ‘u’ m’arricordare i mura. D. CARMELA (Preoccupata) Nicò’, ma cchi dici? I mura? Triemi? Cchi bene a dire? D. NICOLA Tuttu Carmè’, vene a dire tuttu. Haiu avutu ‘nu signu bruttu. D. CARMELA Cchi signu? D. NICOLA U’ crucifissu Carmè’. ‘U vi’ ‘u crucifissu? D. CARMELA E cumu ‘u’ lu viju, signu cecata? D. NICOLA E’ carutu. Tutt’a ‘na vota paratuffiti e r’è chiumbatu ‘nterra. D. CARMELA Nicò’, tu tieni bisuognu ‘e riposu, io chiamu ‘u miericu. D. NICOLA Ma quale miericu e miericu, crireme Carmè’, è carutu raveru. D. CARMELA Quannu? D. NICOLA Antura, quannu parrava d’u progressu, ‘e l’operai, ‘e r’u programma e ce cercava aiutu ppe’ ‘ssa lutta ranne. D. CARMELA Benerittu te via Nicò’! Duve va’ pensannu! Nun te sapìa tantu superstiziusu! Me bire, me bire, ‘n’onorevole superstiziusu! ‘Ntra ‘na casa quantu cose caranu ‘nterra: ‘nu becchieri, ‘nu piattu, cchi c’è de male? D. NICOLA Tu po’ rire chillu chi vue, ma ‘e cose nun cangianu, illu è carutu, ‘u signu mi l’ha datu. D. CARMELA E bia Nicò’, ragiune, nun te mintere tanti pensieri ‘ntr’a capu. E’ potuta esere ‘na scossicella ‘e terrimutu allu fare carire’. D. NICOLA Va bona Carmè’, facimulu passare ppe’ terrimutu, tantu ‘a verità ‘a sapimu priestu, esce de ‘ntra l’ urne! 180 D CARMELA Mintete l’anima ‘mpace, sente a mie, e cerche sulamente a birere cumu ‘mpostare ‘nu biellu programma lettorale, luongu e sustanziusu, duve parri ‘e tuttu: ‘e fatiga, ‘e uguaglianza, ‘e benessere ppe’ tutti. Prumesse Nicò’, prumesse nove chi sunnu crirute ‘e r’a gente. Chissu te rune li voti e no le fantasticherie e la superstizione. Mintete all’opera, ca ‘e trovate e le risorse nun te mancanu! D. NICOLA Certu, ma chisse nun bastanu, ce vonnu gruossi aiuti ‘ssa vota, parentati ranni, amici ‘e tutt’e razze. E pue sordi (stropiccia l’indice e il pollice), assai sordi. Chissi su’ li cchiù fidati amici, i cchiù convincenti! D. CARMELA ‘E facimu escere Nicò’. E pue tuni, baste ca aperi vucca e le banche se sbalancanu, te cumbeglianu ‘e sordi. Tantu l’investimentu è sicuru, frutte buonu! D. NICOLA Tu ‘a fa’ troppu facile, sapimu duve ne ‘mbarcamu! E si va storta?Duve le jamu sbattimu i corna ppe’ pagare i rebita? D. CARMELA Và deritta; statti tranquillu:’u populu è sempre ‘u stesso! E pue, faciennu i corna avissi de jire male, cchi paura tieni! Vinnimu ‘a proprietà ‘e r’u vallu, anche si ce signu affezionata: ccu’ chilla pagamu i rebita e ne restanu puru sordi. Eccussì ne cacciamu ravanti puru chillu pestusu ‘e fatture. D. NICOLA E 1’onure, l’onure duve ‘u minti, cchi dice la gente: Don Nicola ha avùtu ‘e vinnere ppe’ disperazione, ppe’ sordi! No Carmè’, chissu mai! Don Nicola ‘nfina chi campe nun vinne, accatte! D. CARMELA Votamu parraggiune, pensamu alli voti, alle preferenze, al numero diciassette della lista scudo crociato, Don Nicola Pastetta: una garanzia per il lavoro e il benessere! D. NICOLA Pensamu a tuttu ‘mbece. A ‘ssu numeru malerittu chi m’è toccatu, difficile allu scrivere e ccu’ ‘nu significatu chi prumminte male. Sapimu cumu ‘a pense la gente? Ccà simu allu Sud e ‘sse cose cuntanu! ‘Nu numeru cum’u mie fa paura, l’ignoranza è ranne! Unu pensa: chine mi la fa fare... e si porte daveru risgrazia? E nel dubbio scrive ‘n’atru numeru! E statti buonu Don Nicola! D. CARMELA (Seccata) Prima ‘u Crucifissu, pue i sordi, mo’ ‘u diciassette... ma ‘nzomma Nicò’, tu ‘e bo’ vincere ‘e lezioni o no? 181 D NICOLA Certu ca ‘e buogliu vincere! D. CARMELA Allura risbigliete, nun te fare tanti scrupuli, vate avanti cumu ‘na ruspa e minte sutta tuttu chillu chi truovi ravanti. Chissa è la via si vo’ arrivare torna a Roma! I dubbi, ‘e paure, ‘ssu tir’e molla, nun fannu parte ‘e r’a politica, ccu’ ‘ssa mula vizarra ce vo’ curaggiu e sangue freddo. Tu ne tieni? D NICOLA E cumu nun ne tiegnu! D. CARMELA Allura avanti Nicò’, jettete ‘ntr’a mischia e pezzìe, chiure 1’uocchi e cumbatte all’antica, ca i risurtati arrivanu! D. NICOLA (Spronato, teneramente batte la mano sulla spalla della moglie). Grande lezione, azzeccata rizetta, m’ha ‘nchiaratu ‘u ciarviellu Carmè’ Me sientu ‘n’atru. Fa’ preparare a ‘Ntonetta ‘nu biellu cafè, ca ‘ntramente ciercu ‘e fare partere ‘a machina elettorale. D. CARMELA (Mentre esce). A razzu Nicò’, t’arricummannu! Partenza veloce e senza soste! D. NICOLA Speriamu ca nun se fondissi lu motore ! (Va a sedersi e sfoglia delle carte selezionandole). Provveditorato agli Studi, Ospedale, Cassa di Risparmio, Parrocchie, Imprenditori. (Trilla il campanello della porta). Chin’è! LINARDU (Dall’esterno) Signu io Don Nicò’! D. NICOLA Io Chine! LINARDU Linardu, ‘u segretariu vuorru; c’è puru Santuzzu. D. NICOLA (Mentre va ad aprire). E’ arrivata l’armata Brancaleone, signu sarvatu! Nun ce su’ cchiù preoccupazioni! LINARDU (Ha in mano la borsa e sotto l’ascella dei rotoli di manifesti, Santuzzu altrettanto). Bongiornu Don Nicò’, scusate ‘u ritardu. (E’ affetto da Tic nervoso) SANTUZZU Bongiornu, Don Nicò’. D. NICOLA (Li osserva da capo a piedi). Meh bire, meh bire cchi scartamiennule! E be pare ura chissa! Su’ le dieci passate! Duve siti pruveriati? LINARDU ‘E ‘mmasciate Don Nicò’… guarda cchi lista! (Mostra un foglio). Haiu avùtu ‘e girare Cusenze ‘e capu a cura! SANTUZZU Io altrettantu. Haiu sbattutu supr’e sutta ‘nfin’a moni. ‘E gambe nun mi le sientu chiù ‘e r’a stanchizza. D. NICOLA (Con ironia). Povarielli, guarde cumu siti sciupati. Volissiti ‘na cosa frisca? ‘N’arangiata, ‘na cocacola, ‘na 182 LINARDU SANTUZZU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D. NICOLA SANTUZZU D. NICOLA LINARDU pestachivevegna? (Si adira) Ccà nun s’ha de fissiare brutti tricatizzil S’ha de volare! Avimu ravanti ‘u nemicu! Simu allu fronte, Linà’, e chine ‘un se sa guardare i corpi more’. Sparisce. Sparimu tutti, perdimu ‘u pane io e bue; ‘ssu studiu se chiure e restati cumu ruvi fessa ccu’ la trippa allu sule. ‘E ‘mmasciate armenu l’avìti cunchiuse tutte? Quasi tutte. Io cchiù d’e menze. (Nervoso) Quasi tutte... ‘e menze... Cumu? Ve prisentati alle dieci e ‘nu’ r’avìti mancu cunchiusu? Pastinache, siti ruve pastinache.... povero io duve signu ‘ncappatu! ‘E cose ‘mportante l’haiu fatte tutte, Don Nicò’; (mostra i manifesti) ‘u vi’ i manifesti, ‘e buste, l’indirizzi; potimu già partere. Ppe’ lu manicomiu, là avìssi ‘e jire! E li volantini duve sunnu? Ce vo’ domani; stava finisciennu ‘e r’e stampare, l’haiu visti ccu’ l’uocchi mie girare ‘ntrì ‘ngranaggi ‘e r’u machinune... sapissiti cumu parianu bielli! Don Nicò’, io ‘e march’e bullu l’haiu portate tutte, però i sordi ‘un m’hannu abbastatu, ma appena c’haiu rittu ch’eranu ‘e re vorre m’ha fattu creritu, anzi mi ne volìa dare puru ‘e cchiù. (Disperato) Puru ‘e cchiù? Ma cchi cunciertu, cc’armonìa.....io me rascassi! Me bire cchi capu vulata, cchi ‘ntuitu! Francubuli t’avìa dittu, franchubulli ppe’ littere e no marche. ‘U n’avìa franchibulli, Don Nicò’; cc’avìa de fare, mi ne venia ccu’ lle manu vacante? Ccu’ le manu musce, ciotagliune mie! Ha fattu ‘na pensata originale. E chine si la crirìa ch’era ccussì chjnu ‘e fantasia! Ciambrellune mie, fuie ‘e pressa e ba ci le bote, sinnò ti le ‘mpacchiu alla frunta. (Impaurito) Subito Don Nicò’ ...vulu... cunchiuru subitu ‘ssa vota. (Esce di corsa). CChi fera, cchi sbattimientu. Linà’, piglie postu, assettete, spremete ‘nu pocu ‘ssa cicculatera ‘e capu, runame ‘n’aiutu, ca oje partimu. Duve jamu, Don Nicò’? 183 D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. CARMELA D. NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA ‘NTONETTA LINARDU D. CARMELA LINARDU D. CARMELA ‘NTONETTA D.NICOLA A villeggiatura, ne jamu facimu i bagni. (Adirato) Partimu ccu’ lu programma, impostamu ‘a campagna elettorale, ha capìtu mo’? Chissu l’avìa già capìtu, ‘e ‘nu muorsu era già prontu ppe’ ‘nzignare. Tu capisci sempre tuttu allu vulu, si’ ‘nu mostru ‘e spertizza. Signu statu propriu furtunatu a ‘ncappare a ttie! Lassamu perdere... famme virere ‘ssi manifesti cumu su’ benuti. (Svolge un manifesto) ‘Na meraviglia Don Nicò’, propriu cumu ‘nu quatru. (Fuori scena) ‘U cafè Nicò’, è prontu ‘u cafè’. T’a puortu mò ‘na tazzulla? Fa’ priestu Carmè’. T’arricummannu, stretto e senza zuccaru. (Domanda a Linardu) Tu cum’u vue. Cumu volìti vue. Cumu vuogliu io? Tu ti le vivere. Cumu t’u pigli alla casa tua? Allu bar m’u pigliu luongu e ccu’ assai zuccaru... però ‘u pomeriggiu. (Stufato) E’ matina, mo’, Linà’: ‘u vue ‘ssu cafè o no? Allura va bene, m’u pigliu ppe’ be fare cumpagnìa. (A voce alta) Carmè’, portane ‘n’atru ppe’ Linardu... ‘a gagumilla. (Prende in mano il manifesto scrutandolo con soddisfazione) La forza del mio futuro, il mio compagno di lotta. (Entra ‘Ntonetta col vassoio in mano seguita da donna Carmela). E’ cavuru cavuru, è esciutu propriu mo’. Machinetta napulitana espressa! (Mentre segue con lo sguardo ‘Ntonetta della quale è invaghito). Bongiornu Donna Carmè’. Bongiornu allu signorinu. ‘A sbeglia nun l’ha ‘ntisa stamatina? (Un pò seccato) L’haiu mannata a conzare. Spiritusu, fa puru ‘u spiritusu! Cerche a mintere i siensi giuvinò’! (Stufata dalle insistenti occhiate di Linardu) Duve ‘u spugnu Don Nicò’. A nulla parte, n’u pigliamu all’allierta cumu i cavalli, ca 184 sinnò m’avissi ‘e ‘nquacchiare ‘sse carte. ‘NTONETTA Grazie ‘e r’i comprimenti, Don Nicò’. Mo’ signu tanta sgalapata? D.NICOLA Linà’, ha capitu? All’allierta. LINARDU Cchi bene a dire? D.NICOLA Vienite piglie ‘ssu cafè e maniete. (Linardu, nell’apprestarsi a prendere il caffè, sfiora un braccio di ‘Ntonetta che si gira di scatto facendo traballare il vassoio) Attenta, sgalapata... cchi t’ha sonnatu a ‘na vota. ‘NTONETTA (Con allusione) ‘U riavulu, Don Nicò’, propriu ‘u riavulu. (Linardu, preoccupato, con gesti la esorta a non accusarlo). D. CARMELA Serve e cittu, nun fare tante storie. D.NICOLA (Mentre gusta il caffè) E cchi t’ha fattu, t’ha puntu? ‘NTONETTA Propriu ccu’ la cura. D. CARMELA T’ha fattu passare ‘a muscìa cronica ca tieni! LINARDU ‘U scunchiutu se sceglie sempre ‘e cchiù belle Don Nicò’, ‘a capisce la rropa bona! ‘NTONETTA (Guarda torvo Linardu) Capisce la ciotìa chi tieni; ammute si un bo’ lettu ‘a pampina. LINARDU (Impaurito) Come non detto ‘Ntonè... me ritiru ‘e parole. D.NICOLA (Posa la tazza sul vassoio) Ritirete puru tu; va t’assette Linà’. (Linardu porta con se la tazzina e, nell’ atto di posarla sulla sua scrivania, la fa cadere per terra). ‘NTONETTA (Soddisfatta) I peccata se chiangianu. D. CARMELA (Adirata) Bravu a tie, ha propriu cunchiusu. Duve l’ha trovatu a chissu Nicò’, allu spiziu? D.NICOLA (Sconfortato) Ma cchi ne sacciu. Chissu è ‘nu prodottu ‘e r’a politica. LINARDU (Mortificato) Scusate Donna Carmè’. ‘U bruttabestia, è statu ‘u bruttabestia, oje se vire ca gire de ‘sse parte. (Si china per raccogliere i cocci). D. CARMELA Ma nun te ‘mpese mai. Esce ‘e lluocu, arrassete c’ha cunchiusu. ‘Ntonè’, va piglie ‘a scupa. (‘Ntonetta mentre esce fa una smorfia di soddisfazione a Linardu). D.NICOLA Basta, chiurimu l’incidente. Tornamu a nuve.. Tu si’ prontu Linà’? LINARDU Sempre pronto e lucidu. D.NICOLA Cumu ‘a cromatina brill! D. CARMELA Speriamu ca ‘u cafè t’avissi risbigliatu. 185 ‘NTONETTA Certu Donna Carmè’, m’ha zillichiatu tutt’a nervatura. D.NICOLA Speriamu puru ‘u ciarviellu. ‘NTONETTA (Porta l’occorrente e si accinge a pulire) Ppe’ lu sgalapu ‘e l’atri facimu sempre ruppia fatiga. D. CARMELA Senza murmuri e bottiamienti: chissu è lu compitu tue; te pagamu ppe’ chissu. ‘NTONETTA Aviti ragiune, però ‘u contrattu nun dice c’haiu ‘e stare puru citu! D. CARMELA ‘Ntonè, tu cierchi rugne? Me vo’ fare partere ‘e capu? Ammute ppe’ piacire, pulizze e fuie ‘e pressa. D.NICOLA Ppe’ carità, vi ne priegu, nun ‘nzignamu ‘ncun’atra rugna. D. CARMELA Certe cose ci le puru arricordare a certe persone, ppe’ ce fare capire chine cummanne cca. ‘NTONETTA (Fa gesti d’insofferenza col capo mentre esce) ‘A patruna è cuntenta? E’ fattu buonu ‘u serviziu? D. CARMELA (Nervosamente) Vate ‘Ntonè’, spreje, ca ‘a misura se stà inchiennu! D.NICOLA Carmè’, basta, ccà ce vo’ sulu aiutu. ‘E mo’ avanti se parre sulu ‘e politica e programmi. D. CARMELA E’ chillu chi staiu riciennu io a ‘nu muorsu. D.NICOLA Allura partimu. Linà’, i manifesti, duve l’ha misi i manifesti? D. CARMELA Su’ arrivati? Cumu su’ benuti. D.NICOLA Ccu’ tutti ‘ssi ‘ntuoppi chine l’ha avùtu ‘u tiempu ‘e le birere! LINARDU Eccoli ccà, ‘e boliti tutti, Don Nicò’? D.NICOLA Erva ‘e rò’, cchi ci haiu ‘e fare ‘na ‘nzalata? Unu, unu sulu quantu ‘u virìmu. (Linardu in modo stentato e disordinatamente porge il manifesto). D. CARMELA Cchi culure biellu, me cumu è benutu chiaro, cchi scrittura precisa! D.NICOLA Me piace puru a mie, parica te parre. LINARDU (Allunga il collo per scrutare il manifesto) E’ ‘na bumba, chissu fa corpu puru ‘ntr’i spierti, le pinotizze. D.NICOLA (Guardando il Crocifisso) Grazie Segnure, certu c’è statu l’aiutu vuorru ppe’ ‘ssa bona riuscita. D. CARMELA (Prende in mano il manifesto e legge ad alta voce). Democrazia Cristiana. Un nome ch’è tutto un programma, Nicola Pastetta, candidato alla camera dei deputati col 186 SANTUZZU D.NICOLA D. CARMELA SANTUZZU D.NICOLA D. CARMELA D.NICOLA LINARDU SANTUZZU D. CARMELA SANTUZZU D.NICOLA D. CARMELA LINARDU D.NICOLA LINARDU SANTUZZU D.NICOLA numero diciassette. (Don Nicola si esalta) La speranza del vostro domani, il difensore dei poveri, una garanzia per tutti. (Entra Santuzzu di corsa e Donna Carmela interrompe la lettura). I franchibulli, Don Nicò’, ‘ssa vota su’ propriu illi. Ce volìa puru. Ma cchi spiritatu, cumu sa’ scegliere i momenti giusti ppe’ arrivare! Non potìa tricare, Don Nicola m’ha dittu ‘e fare priestu. (Consegna i francobolli a Linardu che provvede ad affrancare le lettere) Linà’, tutti da cento.... divertete! Ss.. Silenzio, silenzio, damme ccà e arrassete. (Riprende a leggere il manifesto) Ammute, guagliù’! L’uomo giusto al posto giusto, votatelo e fatelo votare. (Soddisfatta, abbraccia il marito) E’ fatta Nicò’, nun ce manche propriu nente. Chissu trase ‘ntr’e capu vulannu. Fà presa, è convincente. Speriamo, speriamo. ‘A colla, duv’è la colla? Santù, l’ha preparata ‘a colla? Ce manche sulu l’acqua, ‘u pinniellu e lu catu, sinnò ‘e atru c’è tuttu. E c’ha fattu ‘nfinu a mo’, ha rormutu? ‘A pila, Donna Carmè’, senza sordi nun si ne cantanu misse. (Mette mano al portafoglio) Te tricatizzu mie, (consegna a Santuzzu diecimilalire) te, accatte tuttu l’accurrente e riminiete. Joch’e gambe e rapere l’uocchi. (Accenna ad uscire) ‘Nu mumentu, Santù’, quantu finisciu ‘e ‘mpacchiare n’atri ruvi franchibulli e ccussì imbuchi puru ‘e littere. T’avissi scordatu ‘ncun’amicu? A nullu, Don Nicò’, i numi chi m’avìti ratu su stati scritti tutti. Anzi, n’haiu mannatu puru una allu prievite ‘e Cervicati, ch’è ‘na canoscenza vecchia ‘e r’a famiglia mia. Ecco fatto. (Lega le buste con un elastico). Te Santù’, mo’ tocche a tie. (Prende il voluminoso plico e lo soppesa) . Don Nicò’ e cumu fazzu a le ‘mbucare? Pecchì, nun tieni tiempu o si sguallaratu? A posta è a duvi passi repulù’. 187 D. CARMELA Va camine ‘e lluocu e sbrighete, ccu’ tutti ‘ssi mottetti! SANTUZZU (Con la mano misura lo spessore del fascio di lettere) ‘A buca, Don Nicò’. D.NICOLA Cchi bene a dire, un ce jungi? D. CARMELA Se spagne ca ce trove de intra ‘ncunu serpente e ce tire la manu. SANTUZZU (Mostra le lettere) Me cumu su’ grosse, cumu ci le puozzu fare trasere ‘ntra chillu grupu picculu? D.NICOLA Ccu’ la capu, ci le ‘mbutti ccu’ ‘ssa capu ‘a vrascera. D. CARMELA Cchi spertizza funna... mammata n’avìa de fare ‘na recina cum’e tie e si ch’eramu sarvati! LINARDU (Concentratissimo per trovare la soluzione. Ci riesce dopo un po’) ‘A lastica, Santù’, cacci ‘a lastica e ci le ‘nzacchi a una a una belle belle. D.NICOLA (Meravigliato) Colpo di genio. E chine si la crirìa! D. CARMELA L’ha ‘ntisu allu collega scenziatu? SANTUZZU Tuttu chiaru, haiu capitu a lampu. D.NICOLA E tra vue ve capisciti, parrati ‘a stessa lingua. SANTUZZU Allura puozzu partere? LINARDU Aspette, te i manifesti. D.NICOLA Tene a mente, spazio dodici, fa’ ccu’ galapu e ‘mpacchiali reritti. D. CARMELA Santù’, sente a mie, attaccali duve vue, a tutt‘i mura, spazio dodici e dintorni. Fanne ‘na spasìna. SANTUZZU E la legge, Donna Carmè’! D. CARMELA Cchi legge e legge, va’, fa’ priestu: cca s’ha de battere l’avversariu, Nicola ha d’arrivare a Roma. SANTUZZU E io ‘ngalera. D. CARMELA ‘Mpacchie e nun ce pensare, va’ sbrighete. SANTUZZU (Mentre esce) Don Nicò’, aviti ‘ntisu? Fore responsabilità, mi l’ha dittu illa. D.NICOLA N’a mannassi bona Gesucristu! LINARDU Puozzu cuminciare a battere ‘u comiziu d’apertura? D.NICOLA Ca cchi ‘ncanti, ‘nzigne, m’addimmanni puru? (Linardu inizia a battere lentamente) ‘Na cosa ‘e jurnu, Linà’, ‘un ti ci avìssi de pigliare ‘u suonnu. D. CARMELA E’ luongu assai Nicò’? D.NICOLA E’ luongu e chjnu: rure due ure bone. D. CARMELA L’ha trattati tutti i punti? Ha ‘nsistitu supr’i giovani e la 188 fatiga? D.NICOLA E cumu no, ‘n’ura sana sulu ppe’ ‘ssi ruvi punti. D. CARMELA Bravu, bravu, i giovani vannu trattati bene, tenanu ragiune. Almenu ccu’ le parole l’accuntentamu. E ppe’ llu meridione, cumu l’ha trattatu ‘u meridione? D.NICOLA A dovere, ccu’ li guanti, cumu se merite. Grandi progetti ppe’ la sua rinascita. Il problema del mezzogiorno ……(‘Ntonetta dalla porta della cucina). ‘NTONETTA Donna Carmè’, l’acqua vulle, quantu pasta ce jettamu? (Linardu, mentre batte a macchina, incolla gli occhi su ‘Ntonetta e và a finire fuori spazio. (‘Ntonetta gode dell’errore). D.NICOLA Dicevo: il problema del mezzogiorno è il più importante, è quello che riesce di più ad appagare il popolo e va risolto subito. D. CARMELA Allura jettaccenne ‘nu chilu. Cchi dici, vaste Nicò’? D.NICOLA Dipende d’u petitu e d’e vucche, cuntale e te rieguli. D. CARMELA (Pensa un po’). E’ ‘na parola, cumu fazzu? Comunque ‘Ntonè’, rigatoni: ‘nu chilu abbondante. ‘NTONETTA Don Nicò’, ‘u broru cumu sempre piccante no? D.NICOLA Nun me provocare, ‘Ntonè’. ‘E murroide, duve ‘e minti ‘e murroide! Vruscianu, l’ha capita ca vruscianu? D. CARMELA Allura menzu chilu bianca ccu’ olio e l’atra russa? ‘NTONETTA Aglio e oglio o sulu oglio? LINARDU E io haiu fattu sbagliu. D.NICOLA Attientu Linà’, chissa è ‘na cosa seria! LINARDU Ccu’ ‘tutti ‘ssi sc-cami, ‘a curpa ‘u’ r’è d’a mia. Aglio, oglio; e io, ‘mbece ‘e scrivere il caso è al vaglio, haiu scrittu il caso del quaglio! (‘Ntonetta ride’) D.NICOLA Ccu’ li viermi chi te mangianu ‘a capu. Ih malanova! D. CARMELA Corregge Linà’, concentrete e cerche ‘e quagliare. (Rivolta a ‘Ntonetta) E tu sparisce e fa’ chillu chi t’è statu ordinatu. (‘Ntonetta esce facendo una smorfia di disapprovazione). D.NICOLA Allura duve eramu rimasti. LINARDU Al problema del mezzogiorno, Don Nicò’. D. CARMELA Cchi memoria fina chi tieni! Chillu è già risoltu! LINARDU (Rivolto al pubblico con ironia). Ccu’ la pasta rigatoni! D.NICOLA Certo, certo, iamu avanti mo’. Parica di atru c’è tuttu: ‘a scola, l’anziani, ‘a pace, l’economia ecc.. ecc... Dovrebbe 189 jire bene. Ho accontentato tutti i ceti e tutte le categorie. Nun se pò lamentare nullu, ho spartuto le cose ccu’ la vilanza. D. CARMELA Sarà ‘nu successu, ‘nu truonu. ‘A gente se spelle le manu quannu ‘u sente’. T’arricummannu l’espressione, Nicò’, chilla cunte assai. Tu ‘e recitare, ‘e parrare puru ccu’ le manu. D.NICOLA Cercherò di sforzarmi. Ci la mintu tutta. D. CARMELA Bravu a Nicola, ccussì ‘e fare, francu e decisu. D.NICOLA Mo’ te ciercu ‘nu piacire, ho bisogno di concentrarmi.... lassame sulu ccu’ ‘ssu scenziatu (si riferisce a Linardu), ccussì concertiamo le mosse e le tattiche da usare. D. CARMELA Cuncerte buonu, servete ‘e r’a capu tue, (indica a Linardu) t’avissi ‘e fare cunsigliare ‘e illu! Bon lavoru Nicò’. (Esce) D.NICOLA (Evidenzia segni di stanchezza e, stringendo il capo tra le mani va a sedersi). Buon lavoro Nicò’! Cchi parolicchia lecia, ‘nzuccarata. Ma ‘a fulla ‘e r’i pensieri, ‘u ronziamientu ‘ntra capu rimanano a mie. Linà’, a cchi puntu sì. LINARDU Stò per chjcare pagina. D. NICOLA ‘A capu un te chjche mai, ciotagliune! (Alterato) Quantu pacine n’ha scrittu? LINARDU Facimu ‘nu pocu i conti. Tuttu ‘u discorsu su’ trenta pacine, scritta compreta una. (Fà il conto con le dita, mentre Don Nicola lo osserva seccato) Facciamo un po’ il conto... ce vo’ ‘na menu no, Don Nicò’? D.NICOLA Ce vo’ lu palu, chillu sulu te po conzare ‘ssa cicculatera ‘e capu. LINARDU Si nun fazzu sbagliu mi ne rimananu ancore vintinove. D.NICOLA (Rassegnato) Riestu ‘un ti ne rune no? LINARDU Senza riestu, ‘u cuntu quatre tunnu. D.NICOLA Sente giuvinò’, tu ce vo’ stare a ‘ssa secia? LINARDU Certu ca ce vuogliu stare! D.NICOLA Allura minte capu a frasche, arrimischete sinnò vuli fore ‘e r’a finerra. (Adirato) Tu lu sai ca ccu’ ‘ssa sveltezza chi tieni ‘u discorsu ‘u finisci roppu ‘e lezioni? LINARDU V’assicuru ca ‘e mo’ avanti vulu, ‘ngrano ‘n’altra marcia e sgrano pure l’occhi. NICOLA Basta; attacche e citu. (Linardu riprende a battere ed è 190 LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA infastidito da una mosca, Don Nicola lo osserva per un po’). ‘N’atru ‘ntuoppu? Cchi t’è chiavatu mo’? Si diventatu puru piletticu? A musca Don Nicò’. ‘A risgraziata nun me lasse de pere, me zillichìe ‘ntr’e ricchie. Se vire ca si’ duce: si’ ‘na cicculata, ppe’ chissu un te lassa, tieni ‘u sangu ruce. (La mosca ora infastidisce Don Nicola). (Ha notato la cosa) ‘A musca mi ha lassatu Don Nicò’, se vire c’ha trovatu ‘ncun’atra cicculata. Scrive, menzamerulla! (Dopo un pò, con un pugno riesce a schiacciare la mosca sulla scrivania e, il rumore, fa sobbalzare Linardu dalla sedia). ‘U terrimutu, Don Nicò’... fujimu! (Accenna a scappare). Va t’assette, a dduve va’. Va’ finisce, erv’e rò. Gesucristu ‘a sensibilità ti l’ha data sulu alli rrusci! (Prende un foglio di carta in mano e legge. Dopo un po’ cerca qualcosa sulla scrivania) Avissi vistu ‘a gomma? A tiegnu io, m’è servuta ca haiu avùtu ‘e scassare ‘na ti ca c’era de cchiú. Cumu cumu, famme sentere! Puru e ‘sse cose capisci tu? Me puru corrieggi? Famme sentere, famme sentere ‘nu pocu ‘a frase. (Prende il foglio in mano si appresta a leggere) E duve cuminciu... (Seccato) ‘E r’u puntu Linà’, ‘e r’u puntu! ‘A lieju cumu era primu o cum’è mo’. Sbrighete ca sinnò te viegnu fazzu ‘na visita. Allura cumu è mo’. “Elettori ed elettrici, il mio moto è sempre lo stesso”; continuo o me fiermu? Il “moto” l’ho passato! Chi te vo’ pigliare raveru ‘nu motu, menza capu. (Rassegnato alla stupidità di Linardu) Mintecce torna ‘a ti e non te fare venire cchiù ‘ssi lampi ‘e geniu. Mottu, Linà’, ha capitu? Motto. ‘E mo’ avanti, cuopiu e basta. (Squilla il telefono). Pronto.... chi t’è successu?... te volianu arrestare?....e duve l’ha ‘mpacchiati i manifesti?.... puru alla porta ‘e r’u Partitu Comunista?.... risgraziatu.... ricogliete, ricogliete c’ha cunchiusu.... Quale avucatu e avucatu, ricogliete ca mi la 191 LINARDU D. NICOLA viju io. (Posa la cornetta) Ha fattu cumu ci ha dittu Carmela, ‘u scunchiutu. Numero dodici e dintorni, Don Nicò’? E la pesta chi ve vegna a tutti, compresa mia moglie. (Trilla il campanello della porta) Se ...Se…., jamu propriu buoni. Linà’ va apere. Virimu ss’atru aiutu chi n’arrive ! (Linardu, alzandosi, urta dei fogli che cadono per terra e si china per raccoglierli) Va’ apere mo’ ca roppu ‘e cuogli. (Entrano in scena Don Fofò e Brunillu) DON FOFO’ D. NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ Permesso? Oh caro candidato! Il mio caro amico Fofò, da quanto tempo. (Si alza e va ad abbracciarlo) Cumu t’a passi Fofò. (Con timidezza). Bongiorno onorè’. Eh, caro Nicola, ‘u tiempu nun baste mai. Si vive di fretta. A chine ‘u rici, sapissi ‘e cose mie. Quantu grattacapu! Mancu ‘a notte tiegnu ripuosu. E, diceme, chine t’ha ‘mbuttatu oje ccà. ‘U vientu, Nicò’. Il vento del bisogno m’ha portato da te. (Scherzando) Allura è stata ‘a tramuntana, chilla sicca. Indovinato, propriu chilla. Parreme francu, cchi te serve? A mie nente. E allura qual è lu bisuognu? C’è lu bisuognu e sulu tu ce po’ pruvirere! Rice alla libera, parra. Ecco il bisogno (indicando Brunillu). ‘U vi’ ‘ssu giuvinottu? E cumu ‘u’ lu viju. Tene trent’anni, ‘a laurea e la spertizza, e cilindre tutt’u jurnu ppe’ le vie. E’ disoccupatu Nicò’, cerche fatiga! Oh perbacco! Trent’anni senza lavoro! E’ un caso raro, com’è possibile? Sacciu io, chissa è la realtà, ‘a fatiga nun l’ha canusciuta mai. Ma il giovane si è dato da fare, ha cercato, ha fatto delle domande, dei concorsi? A muzzielli, Nicò’. Brunì’, ragguaglia l’onorevole, 192 BRUNILLU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU D.NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU raccontaci le tue peripezie, esprimi i tuoi desideri. ‘E peripezie su’ tante, ma ‘u desideriu è unu sulu onorè’: un posto di lavoro dopo tanti anni di sacrifici. Hai pienamente ragione, ti spetta di diritto, è scritto sulla costituzione. (Con meraviglia) Veramente Nicò’? E pure questo nun lu sapìa. Dal quarantasei, è ‘na cosa vecchia. E, diceme, cchi titulu di studio ci hai. ‘A laurea in filosofia, onorè’, con voti centodieci e lode. E’ spiertu, il giovane è capace. Non lo metto in dubbio. (Pensa un po’, storce il muso) Peccato, se avesse avùto la laurea in legge ‘a cosa era fatta. Proprio ‘ntra questi giorni ci sono delle assunzioni alla banca e io potia fare molto. Posso dire c’a cosa era fatta. Ma guarda cchi scarogna! E de atro nun se po’ fare nente? La sua è una laurea inflazionata, troppi filosofi ce su’ oggi in giro. Fofò, duve ‘u va minti ‘nu filosofo. (Riflette). Vediamo un po’. (Rivolto a Brunillu) Tu ci hai delle preferenze, qualche idea? Onorè’, roppu tant’anni ‘e cilindramientu vo’ ca fazzu pur’u scardusu? Ogne bucu è buonu: uscieri, scribbacchinu, chillu chi ‘ncappe. Pisu supr’e spalle ‘e r’a famiglia! Il giovane non fa storie, Nicò’, è marchiaru, vo’ fatigare onestamente. E’ sano, resiste a tutte le tentazioni malefiche dei nostri giorni, di questa società insidiosa e malata. Sapissiti cum’è difficile a resistere, a scanzare ‘e male occasioni! Certo, ti capisco, comunque.mo’ è ‘nu pocu difficile, speciarmente ccu’ ‘ssa campagna lettorale ‘n cuollu chi nun me lasse tiempu e respiru. Però ti prometto che prenderò la cosa a cuore e quantu prima ti troverò una sistemazione. Non devi avere fretta nè ti devi stancare. Farò il miracolo! Brunì’, ha sentutu? Non devi avere fretta. Tu ne tieni pressa? Ce signu ‘mparatu a r’aspettare, ci haiu fattu il callu. Bravo, bravo, ‘n’atru poco ‘e pacienza, ca don Nicola ti risolverà il caso’. Te sisteme ppe’ sempre! M’ affido a bue, signu ‘ntr’e manu vorre. 193 D.NICOLA LINARDU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ LINARDU BRUNILLU LINARDU BRUNILLU LINARDU BRUNILLU LINARDU Linà’, piglie l’appunti del caso. (Sorpreso) Quale casu. Pecurinu! Di questo giovane, ciambrì’! Eh, caru Fofò! Vedi duve signu ‘ncappatu? Tra ‘u cippu e la mannara! (Indicando Linardu)Chissu e ‘na parte e la campagna lettorale ‘e ‘n’atra e te ricu io ch’è propriu ‘nu rifriscu! A propositu, tu te sta’ moviennu ppe’ ‘ncunu votu? (Brunillu si avvicina alla scrivania di Linardu) E lu volìa dittu puru? Ho messo in moto tutte le mie conoscenze. E parte mia statti squitatu, me fazzu a piezzi. E il giovane, il giovane ha un parentato grande? Me pare de sì, è di origine contadina e come ben sai lla i figli nascianu a cucchiate. Brunì’, il tuo parentato è tanto numeroso? Pecchì don Fofò? Si deve regolare l’onorevole, Brunì’, per le votazioni. ‘N’esercitu, don Fofò, e tutti elettori! (Don Nicola si stropiccia le mani per la buona notizia). Bene, bene. Apposto Nicò’... come supposto. (Rivolto a Brunillu) Ha finitu ‘e ce dettare i dati allu segretariu? Ancore ‘e cuminciare don Fofò, ‘u r’è prontu. E quanto ce minti, ‘e scrivere ‘nu libro? Fofò, questo è il mio aiutante. Abbastanza sveltino! Cumu ‘nu lampu! ‘U’ mi ne parrare! Ce su’ li manifesti, (gliene porge uno), cchi ti ne pare, esprime ‘nu giudiziu! Fammi vedere, fammi vedere un po’. (Mentre lo guarda dà segni di consenso) Allura duve eramu rimasti? Al punto di partenza, ancora ‘u’ r’avìmu mancu cuminciatu! Dunque parrati. Tuttu in ordine v’arricummannu. Una appriessu l’atra tutte chille cose la. Volete dire le generalità? Il curriculum? Si ce voliti mintere puru ‘sse cose fuori responsabilità, io scrivo chillu chi me riciti. (Ha notato la stupidità di Linardu) Va bene, ho capito. Allora: Bruno Lavoratore nato a... Allora “Buono Lavoratore”. 194 D.NICOLA BRUNILLU LINARDU DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ SANTUZZU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU DON FOFO’ D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ Proprio cum’e ttie. Ripetete per favore. « Brunu » segretà’, « Brunu » ccu’ la erre. E mannaia la pressa santa! (Corregge) Pue, iamu avanti. (Brunillu continua a dettare i dati parlando sottovoce e a gesti, correggendo spesso gli errori del segretario). (Osservando il manifesto) Nicò’, è ‘nu quatru; riuscitissimo e chjnu ‘e psicologìa. Cunchjusu ‘e tutt’e manere. (Orgoglioso) L’haiu studiatu a luongu, mi ce signu appricatu raveru. Farà successu, colpirà a tutti! (Entra di corsa ansimando e spaventato, attirando l’attenzione di tutti). A ma..., a ma.... (Gli manca il fiato per finire la parola). N’ha cumbenatu ‘ncun’atra ‘e r’e sue. Ratice ‘na secia, facitilu assettare; Linà’, ‘na secia. (Linardu esegue l’ordine e ritorna subito al suo posto, seguendo per un po’ le vicende di Santuzzu per poi riprendere il suo compito). Cchi t’è chiavatu speghete. Il ragazzo è in debito di ossigeno. Ha fattu ‘a maratona. Maniete, rice. A maleppena me signu sca..a..atturatu, don Nicola mie (affanna); eranu quattru, me su’ fijuti appriessu, m’hannu ratu ‘ncuollu. Chine, pecchi? Quattru omìnazzi ‘e ‘n’atru partitu. Ci haiu cumbegliatu i manifesti. Allora c’è la ragione! Quantu rugne Fofò, quantu guai. Me bire, me bire, ne cumbenassi una bona. Io haiu seguitu sulu l’ordini, don Nicò’! No li mie però! Chilli ‘e Donna Carmela. E allura vate duve illa ca te fà passare ‘u sc-cantu. Al ragazzo piace il rischio, è un po’ imprudente! Nu pocu? Assai Fofò. Sinne friche delle regole, se po’ apparigliare ccu’ chill’atru uomu ‘e mente (indica Linardu). E guarda casu l’haiu junti ‘ntra ccà, su’ capitati propriu a mie. Sono i tempi, non ci sono cchiu regole, si sono persi i 195 D.NICOLA valori: oje regna lu disordine! Lassamu perdere, lassamu perdere ch’è miegliu. (Rivolto a Santuzzu) Bella rro’, si’ ripigliatu? T’è passata ‘a paura? (Don Fofò si mette a leggere il giornale). SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA SANTUZZU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA DON FOFO’ LINARDU D.NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU ‘Nu pocu, don Nicò’. E fatt’a passare tutta, ca te va’ fa ‘nu giru ccu’ le trumbe a r’annunciare ‘u comiziu. Sulu? E mo’ vire ca jamu tutti, magari ce portamu puru a ‘Ntonetta. (Con fermezza). Risbigliete giuvinò’, joche i pieri e bule. Te l’appuntu. T’arricummannu, parre chiaro e ‘ntinnente. (Mentre sta per uscire) Sulu ‘e vie principali, no? E dintorni. ‘U vi’, pue ricica signu io ‘u stuortu! ‘Ssa vota “e dintorni” è nella legge, ohi gramalune. Va’ fa priestu, sbrigne ‘e lluoco e segue tuttu alla lettera. Stative squitatu, ‘ssa vota sarò precisu cumu ‘n’orologiu sguizzeru. (Esce, ma dopo un po’ rientra per chiedere delucidazioni sull’annuncio) Scusate don Nicò’; allura piazza Fiera ore venti, giusto? (Arrabbiatissimo) ‘A fiera si tu! Piazza Fera! Ha capitu? Fera. (Lo spinge vero la porta) Vule. Perfettamente, chiarissimu. Dio mio quantu ‘ntuoppi! Beh, segretà’, a cchi puntu si’, quantu ce vo’ a pigliare ‘n’indirizzu! Signu quasi alla fine. S’è trattatu ‘e ‘nu ‘nderizzu ‘nu pocu compricatu. Povariellu, te si’ scervellatu, no? Fofò, allura restamu d’accordo, ti darò notizie appena avrò ‘mbiato la cosa. D’accordo. Io comunque di tanto in tanto ti dò un colpetto. (Mima il telefono). E’ tuttu fattu, compreto di tutto. Sia lodatu Gesucristu! Bruno, allura noi possiamo andare. Il nostro onorevole ci darà presto buone notizie. (Don Nicola fa cenni di consenso) Chissa è la mia ultima speranza onorè’... aiutatime. 196 D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA BRUNILLU D.NICOLA BRUNILLU D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ D.NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU D.NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D.NICOLA LINARDU D.NICOLA Vai tranquillo, sarai continuamente nei miei pensieri. (Batte la mano sulla spalla di Brunillu) E’ fatta, stanne certo, ‘ssa vota siamo sulla strada giusta. Ah, dimenticavo, siete a conoscenza del mio numero di lista vero? Certu onorè’, da un pezzo. Numero diciassette Scudo Crociato. (Don Fofò annuisce soddisfatto). Bravo, bravo! Ti raccomando: amici parenti e conoscenze varie. Non mi fermerò mai, impegnerò tutte le mie forze. Non piglierò sonno ppe’ bue onorè’. Fofò, allura restamu ‘e ccussì. D’accordo. Scusame si nun te ricu rimane a pranzo ccu’ mie, come vedi ccu’ ‘ssa timpesta in corso non è il momento, sarà per un’altra volta. Nun te preoccupare, capisco i tuoi impegni. Grazie, Nicò’, e tanti aguriì anticipati ppe’ la tua vittoria. Fofò, siamo nelle mani di Dio, ‘a concorrenza è spietata! Sarà ‘nu successu, ‘n’apoteosi! Ah, dimenticavo, portate i miei saluti a Donna Carmela. Grazie, ve siervu. Allura, Brunì’, potìmu jire, ‘a missione è compiuta. Onorè’, v’arricummannu: cacciatime ‘ssu pensieru ‘e r’a capu, aiutatime! (Mette la mano sulla spalla di Brunillu) Vai, vai tranquillo, cercherò di fare quagliare il tuo caso. Grazie onorè’, grazie e buona giornata. (Abbraccia Don Nicola) Cchi te vaiu ricu Nicò’... mantenete tuostu e vurpignu, e stammi bene. Mi farò sentire presto. Ciao Fofò, ciao. (Don Fofò e Brunillu escono. Guarda 1’orologio da polso) Malerizione! ‘Na ura, ‘na ura m’hannu arrupatu. Finalmente sinne su’ juti! Quantu rugne, quantu ‘ntuoppi! Vi, tutti ‘nfilarata! ‘U postu: ih belli mie!. Duve ci lu jamu pigliamu ‘u postu, Linà’? Alla banca ‘e r’i lamienti! Viriti vue, don Nicò’, scegliticcenne unu cchiù togu, ccu’ ‘na paga bella àvuta. Se...se! Allu ministeru ‘e r’u tesoru! ‘A cosa è rrinta, nun dunanu retta mancu a mie cchiù. E pue su’ a migliara i 197 LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA giuvini chi cercanu fatiga. Ci ne su’ Brunilli ‘ntra l’Italia! E’ ‘nu nume assai diffusu, cumu và don Nicò’? Bravu a pastinaca! Cumu sempre ha capìtu a vulu, ha centratu ‘u bersagliu. Vatte supra ‘ssi tasti e nun pensare assai, sinnò fa ‘ncuna ‘nvenzione. A cchi puntu si’? Si nun m’avissi fattu perdere tiempu ‘u cercante fatiga a chist’ura avìa finitu. Comunque signu alla cura. Propriu chilla ch’è cchiù difficile alla scurciare. Sveltu Linà’, riminiete, mintete sutta ca l’ura è arrivata e, nun dicu cchiù, ruve o tri bote mi l’haiu ‘e lejere prima di jire sul palco; cussì ce puozzu rare cchiù espressione, cchiù mimica. Allura pue parrati a memoria don Nicò’? Senza lejere, cumu fannu tutti l’onorevoli? E ‘ssa fatigata allu scrivere, laprista mia, a cchi è servuta allura? Io lieju Linà’, nun ‘mbientu, nun fantasticu, io signu ‘na persona seria e ‘un dicu fissarie alla gente. ‘E biri ‘ssi fogli chi sta scriviennu? Puru si le biju, m’hannu fattu jettare ‘u sangu alle scrivere! Su’ atti ‘e notaru Linà’, documenti ‘e valore, duve ogne parole è pisata ccu’ la vilanza e rimane supr’a carta ppe’ sempre. Scusati ‘a ‘gnoranza, ma vue allura alla gente cchi ce ricìti si cumu aviti rittu ‘e parole rimananu supr’a carta? Parrati sulu a signi ccu’ le manu? E chine ti la conze ‘ssa capu! Io ‘a volissi birere ‘e intra cchi c’èni, cchi ti ci ha misu Gesucristu allu postu ‘e r’a merulla! Eppuru, quann’ero bambinu, tutti m’accarezzavanu ‘a capu, si ne prejavanu ch’era bella cumprìta e dicianu: chisà quanta merulla ce tene de intra! Chissu divente ‘nu scenziatu, scopre sicuru ‘ncuna cosa! ‘Mbece ha scopertu ‘a fravica ‘e r’a ciotìa! T’è juta male, se vire ca allu sviluppu ‘a merulla è diventata caniglia! Si statu propriu sfurtunatu! Ma io mi contento ‘u stessu: il lavoro di macchina mi piace, quanno tasto di pressa me siento che mi scarico, me rilasso cumu nente. E ‘mbece i niervi ‘e fa venire a mie no? Me fa’ jettare ‘u 198 LINARDU D. NICOLA SANTUZZU D. NICOLA SANTUZZU D. NICOLA SANTUZZU D. NICOLA SANTUZZU D.CARMELA D. NICOLA D.CARMELA D. NICOLA D.CARMELA D. NICOLA LINARDU D. NICOLA SANTUZZU D.CARMELA D. NICOLA LINARDU sangu! Io nun tiegnu curpa, don Nicò’, nun lu fazzu apposta, sono proprio di natura carmo e preciso, ecco pecchi ‘e cose le conchiuro tutte! E’ inutile, e chine te move! Chine nasce tunnu nun po’ morire quatru! Cerche ‘e cunchiurere ‘ssu comiziu mo’, ca t’haiu capìtu buonu cchi marca sini! (Trilla il campanello della porta) Chin’è! (Fuori campo) Aperiti onorè’, signu Santuzzu! E’ aperta pastinà’! ‘Mbutte ch’è aperta! (Entra) Nun te capitatu nente ‘ssa vota? Propriu nente, è jutu tuttu lisciu! ‘Nu successu, onorè’, è statu ‘nu successu! Cchi cosa, speghete buonu. Mentre io passava ccu’ le trumbe a tuttu volume e annunciava lu comiziu, ‘a gente se fermava, ‘ncantava, sbarrava l’uocchi e facianu signi ccu’ le manu. ‘Ncunu fujia puru appriessu! Forse se volìa congratulare. Ma io vulava cumu ‘na freccia. ‘Nzomma, haiu lassatu ‘u signu. Pecchi nun te si’ fermato, cussì te rendia cuntu ‘e cchi signu se trattava! E ca io parica signu fesso, don Nicò’. (Entrando) Beh, cumu va la parata! Camine Carmè’, però ccu’ incidenti varii di percorso. (Santuzzu va a dare fastidio a Linardu) Abbasta ca camine! Però sapìmu versu duve? ‘U pranzu è quasi prontu, si po’ lassare ‘nu pocu. (Indica a Linardu) Quantu finisce ‘ssa capu ‘e vumbula. (Infastidito da Santuzzu) Chiamatillu don Nicò’, ca sinnò pierdu ‘a pacienza e lu stennicchiu. Esce ‘e lluocu guastafè’, lassalu ‘mpace! ‘Un ci haiu fattu nente... ‘un puozzu mancu guardare mo’! ‘Me bire cchi duvi campioni? Sempre ‘a stessa capu! Lasse finire ‘ssa timpesta, Carmè’, ca pue ‘u sacciu io duve ‘e pruveriu! (Si alza tirando un lungo respiro, alza le braccia al cielo e si asciuga la fronte col fazzoletto) E’ fatta, compretatu don Nicò’, da cima a fondu. 199 D. NICOLA Povariellu, cchi fatigata! ‘Un pigliare corrente, asciuttete buoni i sururi ca t’avìssi de venire ‘ncuna purmunita! (Con severità) Camin’e lluocu, sbrigative tutt’i ruvi e v’arricummannu alle quattru precise cca. E’ arrivata l’ora del comizio d’apertura. D.CARMELA Aviti ‘ntisu? Alle quattru. LINARDU Ce potiti cuntare ccu’ mie ‘e illu nun ve puozzu garantire (si riferisce a Santuzzu). SANTUZZU Stative tranquilli, viegnu puru primu ‘e illu; ‘e garanzie e ‘sse sparate ‘e galla ti le tieni ppe’ tie! D. NICOLA Dai, sbrignati ‘e lluocu, jati v’accordati fore! LINARDU (Inciampa su Santuzzu) Arrassete ‘e lluocu, sempre ‘n mienzu i pieri m’u truovu. Arrivederci e bon’appetitu. SANTUZZU Mintete ‘e lente si ‘un ce viri. Arrivederci alle quattru. (Linardu e Santuzzu escono). D. NICOLA E’ tornata ‘a pace! Ppu… ppu…ppu, cchi pesta chi sunnu! ‘NTONETTA (Dalla porta della cucina) ‘A pasta fumìe supr’a tavula, faciti subitu. (Rientra). D. NICOLA E a mie me fumìe lu ciarviellu. D.CARMELA (Si avvicina affettuosa al marito, lo prende sotto braccio e si avviano versa la cucina) Jamu Nicò’, nun te risperare. ‘N’atru pocu, ‘n’atru pocu ca pue t’abbienti, n’abbentamu tutti. (Don Nicola tentenna col capo). (Escono). FINE PRIMO ATTO 200 ATTO SECONDO (All’alzarsi del sipario la scena è vuota. Lo studio è tutto in disordine. Squilla il telefono per una quindicina di secondi) D.CARMELA Virimu a chine le role la trippa a stura. (Si siede sbuffando e prende la telefonata) Pronto.... oh, quel simpatico don Fofò! (Tentenna il capo e dimena la mano) In che cosa te potìmu servere. Il caso del giovane? Quale giovane? Se è risorto? Io signu allu scuru Fofò, Nicola non mi ha ‘ntrarita....come…. ti l’avìa data sicura. E allura cchi paura tieni, rormece ‘e supra, si ti l’ha assicuratu illu. Nicola? E’ uscito da un po’, è juto al seggio, sai com’è, cumu se rice: l’uocchiu ‘e r’u patrune ingrassa il cavallu. Simu all’urtimi minuti e tu capisci bene qual’è il travaglio! Quannu vue Fofò, ‘a casa è aperta……d’accordo... ricambio, a presto. (Poggia il microfono e si alza, evidenziando nervosismo e disprezzo) ‘A pesta chi te vegna, spilione chi un si’ atru. Fa puru l’aristocraticu e lu nobile. ‘U cavalieri senza cavallu. Va esce ‘e lluocu ‘ssu ragapieri! T’u facìssi io ‘u piacire alla capu! Va fatighe cumu fannu l’atri, chiacchiarune! (Ad alta voce) ‘Ntonè’, ‘Ntonetta. ‘NTONETTA M’ha chiamatu donna Carmè’? D.CARMELA No, me signu sonnata. ‘E cose ‘e bo’ ritte sempre cientu vote: guarde cumu c’è arridduttu ‘ntra ‘ssu studiu, cchi disordine! ‘NTONETTA (Mentre riordina le cose) A curpa è d’a mia forse? Pigliatilla ccu’ tutti chilli signori chi ce praticanu tutt’u jurnu! D.CARMELA Poche parole e sbrighete. Tu si’ la serva, a tie tocche ‘ssu lavoru. ‘NTONETTA (Molto dispiaciuta) Ca l’atre cose chine ‘e fa, sempre ‘Ntonetta, malevoluta puru. Eh, mannaia la furtuna! (Sospira intensamente). D.CARMELA Senza chi me cunti tutte ‘sse paranghelle, si vo’ stare cca chissa è la legge! ‘NTONETTA Bella legge è chissa, assai democratica, chjna ‘e umanità. Chine sgobbe sempre e chine mai! D.CARMELA Sente, ‘a pacienza tene ‘nu limite, tu me canusci bene ‘Ntonè’. E nun me provocare, altrimenti.... 201 ‘NTONETTA (Ha uno scatto d’ira, gettando sul pavimento dei fogli di carta che ha in mano) Altrimenti nente, te chiantu e mi ne vaiu. Ca ne signu abbutta ‘e tutti ‘ssi bielli trattamenti. D.CARMELA (Sorpresa) Tu te ribielli? ‘NTONETTA (Continua con lo stesso tono) E tu si la serva, e fa chissu e fa chillu, ‘Ntonetta statti attientu... Basta! Mi ne vaiu! ‘U tiegnu puru io ‘nu core, ‘na dignità, cchi be crirìti. Facitiville sula ‘e cose, ccussì pue m’apprezzati. Stative bona. (Si avvia verso la porta). D.CARMELA (Cerca di trattenerla con maniere garbate e buone parole). Cumu si’ sensibile certe vote, fermete. Duve vai? Rifrette ‘nu pitazzu, ragiunamu! ‘NTONETTA (Scoppia a piangere e desiste dalla sua decisione) S’ha de ragiunare sempre donna Carmè’, io signu ‘na persona, ‘un signu ‘na cosa! D.CARMELA (Con tenerezza) Certu, certu, tieni ragiune, scusame. Certe vote ‘e parole escianu sule. ‘NTONETTA E fannu male, taglianu cchiù d’i curtielli! D.CARMELA Mo’ basta, siediti e riposete ca ne facìmu ‘na bella parrata. (‘Ntonetta si rasserena). (Si odono dei passi e delle voci). Arrivanu ospiti ‘Ntonè’. Guarde ‘na picca, propriu mo’ chi potìamu stare ‘nsiemi ‘nu pitazzu! (Ritornano da fuori Don Nicola e Linardu e, con passo svelto, anno diritti a sedersi dietro le loro scrivanie) D.CARMELA (Sbalordita) E cchir’è ‘ssa furia! D. NICOLA (Mentre sfoglia delle carte) E’ arrivato il momento, l’ura della verità. Se coglianu i frutti, Carmè’! Fra un’ora comincia lo spoglio! LINARDU (Mimando con la mano) ‘A pisca donna Carmè’. D.CARMELA ‘U sacciu, ‘u momentu è delicatu, ma cchi cos’è Nicò’, si’ trasùtu e ‘un n’ha guardatu mancu ‘n facce. Una se sente puro male. Io e ‘Ntonetta stavamu parrannu belle belle, stavamu parrannu tra amiche. LINARDU (Rivolto al pubblico e facendo gesti di meraviglia) E’ muortu ‘ncunu lupu! D. NICOLA Scusame Carmè’, ho sbagliato. E, diceme ‘na picca, ‘ss’amicizia tra vue ruve quannu è nata? 202 D.CARMELA C’è stata sempre, tu nun ti ne si’ mai addunatu, ma c’è stata. Tra noi donne ne capiscimu. Diciaccellu ‘Ntonè’! ‘NTONETTA (Con timidezza) E’ lu veru don Nicò’. D. NICOLA (Con meraviglia) Sta cangiannu ‘u munnu, ‘a scala sociale se sta accurtannu. Linà’, po’ sperare puru tu! LINARDU (Si desta di scatto) A cchine don Nicò’? D. NICOLA Al nemico... ma cc’ha capìtu! LINARDU Ca puru io puozzu sparare. D. NICOLA (Scandendo la parola)...”sperare” Linà’! Vene a dire che puoi avere fiducia nel futuro. LINARDU Chissu ‘u sapìa don Nicò’, io sono speranzoso di natura. Appartiegnu a ‘na razza ‘e speranzusi! D.CARMELA Nicò’, ‘Ntonè’, chissu campe cent’anni. ‘Ntr’e vene sue scurre gagumilla! Jamuninne ‘Ntonè’, jamu ppe’ li fatti nuorri ca continuamu ‘u parraggiune. T’arricummannu Nicò’, appena cumincianu a r’arrivare i primi risurtati runeme ‘na vuce. D. NICOLA (Con posa) Vai, vate tranquilla, ti farò avvisare. (Donna Carmela e ‘Ntonetta escono. Linardu segue con sguardo penetrante ‘Ntonetta) Me bire cum’è ‘mpetratu! Cchi t’è chiavatu! LINARDU Nente don Nicò’, propriu nente, haiu fattu ‘na pausa di lavoro. D. NICOLA E ‘ssu ‘mpetramientu ti l’ha ordinatu ‘u sindacatu? LINARDU No, ppe’ carità! D. NICOLA Allura ti s’è bloccatu ‘u motore? LINARDU E’ solo ‘nu difettuccio che haio di natura; e ‘mpetro! Quannu ruve e quannu tri bote al giorno, da quando ero bambino. D. NICOLA (Sarcastico) E chine sinn’era addunatu! E, diceme, quann’era bambino, a chine ‘mpetrava? ‘E bambole? (Diventa furibondo) Finisciala, Linà’, fatt’u passare ‘ssu difettu, sinnò te fazzu abballare ‘u sbrignu! (Mima con la mano che lo caccia via). LINARDU Ce pruovu don Nicò’. ‘U risurtatu però nun vi lu puozzu garantire. D. NICOLA A forza, Linà’, nun vuogliu scandali ‘ntr’a casa mia! Capito? E chiurimu l’argomentu: da mo’ in avanti tieniti pronto a segnare sull’elenco, per ogni comune, i dati che 203 LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA LINARDU D. NICOLA MICHELE arrivano. Chissa è ‘na cosa seria. Ti raccomando, vispo e preciso. Nun ce chiove... signu prontu ppe’ l’operazione! (Guarda l’orologio) Fra pocu Santuzzu ci dovrebbe telefonare i primi risultati. L’ura ics stà ppe’ scattare. Speriamu ca scatte bene. (Trilla il campanello della porta) Ce simu don Nicò’. (Si alza le maniche della giacca). Ma cchi fai! ‘A porta, Linà’, ‘a porta! Cchiri? Va apere. (Linardu esegue l’ordine e subito dopo torna a sedersi). (Entra in scena. E’ affetto da tic nervoso. Ha in mano un paniere di ortaggi e un sigaro in bocca. Indossa il cappello, giacca e pantaloni di velluto e calza un paio di scarpe grosse e gambali) Bongiornu a tutti! ‘A bellezza ‘e don Nicola! (Posa il paniere in un angolo e tende la mano a Don Nicola). (Sorpreso e preoccupato) Michele mie, e chine t’aspettava propriu mo’! Cari propriu a pinniellu! Ha sapùtu scegliere ‘u momentu giustu! Io signu telematico, ho sentuto come una voce chi me chiamava e ho pensatu: certamente è don Nicola chi me cerche ppe’ me parrare. E cumu vedi signu venutu! (Sconsolato) Ha fattu propriu buonu, n’avìa ‘nu spinnu ranne ‘e te virere! ‘U’ me pigliava suonnu! Lo vedi ca nun me signu sbagliatu! E pensare ca ‘n’atra picca nun potìa benire, stava rimandannu, era tantu ‘mpacciatu. Ma guarde ‘nu pocu! Avìa fattu propriu ‘na fissarìa! Ma pue, cumu ha bolùtu Dio, ‘a ciuccia è figliata, cussì me signu liberatu puru io. Ho capito, ve siti liberati ‘nsiemi. (Con allusione) Linà’ ha capìtu? Se su’ liberati. La famiglia è aumentata! Vol dire ca ne runanu ‘na manu puru illi, mo’ n’avìamu propriu ‘e bisuognu! Si, certu, ni la runanu ruppia. Eh, don Nicola mie !Sapissi quantu cose v’haiu ‘e dire. I tiempi su’ tristi, ‘a proprietà nun frutte cchiù cumu ‘na vota. Sta siccannu tuttu! Ppu ppu ppu, cchi carestia! E, dicitime ‘na pocu, vue l’avìti ‘nu pocu ‘e tiempu? Nun dicu cchiù, 204 D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA LINARDU MICHELE LINARDU MICHELE LINARDU MICHELE LINARDU MICHELE LINARDU ruve o tri ure, cussì ve ‘nfurmu ‘e tuttu puntu. (Sbrigativo) Sente Michè’, tu ci ne vuve bene a don Nicola? E cumu no! Ppe’ buve, ne jiesciu pazzu! Allura, ppe’ l’anima ‘e r’i muorti, tutte ‘sse risgrazie va le cunte a Donna Carmela, ‘a proprietà è la sua e te capisce miegliu. Ma, sa’ cum’è don Nicò’, ccu’ bue ce tiegnu cchiù cunfirenza, me comprenniti ‘e cchiù. Michè’, fa’ cumu t’haiu rittu. Non ho tempo. Signu acchjaccatu ppe’ lu cuollu. Sto aspettando i frutti della campagna! (Indicando il paniere) Me duve sunnu don Nicò’, ‘ntr’u panaru. Su’ pocu, ma vi l’haiu portati: pimbirori, milingiane, quattru reste rape, ‘nzomma ‘na cosa ‘e tuttu. (Seccato) Ma c’ha capitu. Sto aspettando i risultati elettorali, no l’ortaggi! I voti, Michè’, chilli ppe’ jire a Roma! ‘Nzomma, ‘na specie ‘e bigliettu? ‘Nu bigliettu buonu, sapissi! E quannu arrivanu! Priestu, da momento a momento. Perciò mo’ vaiu avvisu a Carmela ca si arrivatu e te cunfiessi ccu’ illa. Intesi? Si ve fa comberu a bue ‘e ccussì, vo’ dire ca me cuntientu ‘e Donna Carmela. (Mentre esce) Linà’, alla prima telefonata, t’arricummannu, chiamame ‘e pressa. Nun ve preoccupati, sto ccu’ le ricchie tise! (Osserva per un pò l’atteggiamento di Linardu che, con la penna in mano, attende i risultati) Giuvinò’, ricitime ‘na cosa: vue ‘e quannu ce siti lluocu, ‘un vi ce sapìa! ‘E quannu su’ benute ‘e roglie a don Nicola. Allura vue siti miericu? E ci l’aviti fatte passare ‘sse roglie? Le su’ forzate cchiù assai, è diventatu puru nervusu. Allura cchi miericu siti, faciti aumentare ‘e malatìe? Signu miericu ‘e r’e carte: io scrivo e batto, sono lesto di mano ccu’ la pinna. ‘U vi’ ss’aggeggiu? (Indica la macchina da scrivere). Sutt’e mie treme, lu fazzu vulare! (Con meraviglia) Tene le scille? Senza scille, ma vule lu stessu. 205 MICHELE ‘Nzomma, siti ‘n’uomine ccu la capu chjna, capisciti ‘e tuttu? LINARDU ‘E tuttu; m’intenno di tutto, puro di campagna! MICHELE Quale campagna, chilla ‘e don Nicola o ‘a mia? LINARDU ‘E tutt’e ruve; io tratto politica, voti, tritruli, pimbirori, tutto. MICHELE ‘Nzomma miscati tuttu, faciti ‘na ‘nzalata! LINARDU Chillu chi ce vene! Tu ‘mbece canusci sulu ‘a zappa o sa fare atro? ( Mima i movimenti dello zappatore). MICHELE (Che ha notato da un pezzo il tic nervoso di Linardu, pensa di essere preso in giro, altrettanto pensa Linardu di Michele). ‘N’atra picca tinn’adduni cchi sacciu fare cchiù! LINARDU Ci aviti ‘e pensare buonu? MICHELE (Adirato) Sente, giuvinò’, mintimu ‘e cose ‘nchiaru: tu piensi ‘e me sfuttere? Te fuossi cunchiutu ‘ncunu piru? LINARDU Ma quale sfuttere e sfuttere, vue, cchiu priestu, me stati pigliannu ‘n giro. E p’amure ‘e don Nicola ce staiu passannu ‘e supra. MICHELE Io? Pellizzune chi ‘un si’ atru! Vire c’ancora mi la vientu: te fazzu vulare ‘e r’a finerra. (Accenna a scagliarsi contro) LINARDU (Si alza per difendersi) A chine, a mie? Ma va’ camìne! Carmete ziarì’, te perdugnu ppe’ l’età, sinnò cca virìssi ‘na chjanca! MICHELE (Saltandogli addosso) E birimu allura chin’è lu chjanchieri e chine ‘a piecura! LINARDU (Impaurito, invoca aiuto) Don Nicò’, donna Carmè’, fujiti, veniti pristu! (Cade a terra una sedia e qualche foglio di carta). D. NICOLA (Fuori campo) I voti, i voti, Carmè’, stannu arrivannu i voti! Ce simu! (Entrano di corsa Don Nicola e Donna Carmela). MICHELE Te scrapiettu…mi ne mangiu ‘u ficatu! LINARDU Ahi! Ahi ‘u vrazzu! D. NICOLA (Disperato) Fermatevi, fermatevi! D.CARMELA Dio mio, cchi diavuli scatinati! MICHELE Te fazzu virere io ‘u sfuttimientu! D. NICOLA (Riuscendo finalmente a separarli insieme alla moglie) Cchi b’è chiavatu, c’avìti avùtu? LINARDU M’è zumpatu ‘ncuollu, don Nicò’. MICHELE (Cercando di liberarsi della stretta di don Nicola) Te fazzu mangiare terra! 206 D.CARMELA Mo’ basta, finiscitila! D. NICOLA (Disperato) Ma cchi boti, propriu confortanti! Spegatimme ‘nu pocu, cch’è successu? MICHELE M’ha fissìatu, don Nicò’, me sfuttìa ccu’ lu difettu chi tiegnu, ‘u tic nervusu. LINARDU Bugiardu, tu me sfuttìa! D. NICOLA Carmè’, me bire me bire cchi grande equivoco! D.CARMELA Nun n’avìti nullu ‘e r’i ruvi curpa, siti stati sulu sfurtunati a be trovare ‘nziemi. (Linardu, sofferente, si tiene il braccio). MICHELE Cchi sunnu ‘ssu quivucu e ‘ssa sfurtuna don Nicò’? D. NICOLA (Rientrato in se e con pazienza) Sente Michè’, la colpa è della sorte che vi ha punito con lo stesso difetto. Il tic, una sciocchezza si può dire; ‘u guai è statu ‘n’atro, che né tu canuscìa ‘u difettu ‘e Linardu né Linardu canuscìa lu tue. Ha capitu? Siti compagni di sventura, vi dovete volere bene. MICHELE Sicuru, don Nicò’! D. NICOLA Stanne certo, io ve canusciu a tutti ruvi, conosco il vostro insignificante difettuccio! D.CARMELA Ma si, oggi chine ‘u’ lu tene ‘nu tic, ‘nu saurimentu nervusu ccu’ ‘ssa vita chjna ‘e rrusci? MICHELE Allura, s’e de ccussì, ciercu perdunu. (S’inginocchia ai piedi di don Nicola) Me ritiru tuttu chillu ch’haiu fattu. Scusatime don Nicò’! D. NICOLA Su’ Michele, alzati, non fare il bambino! LINARDU ‘E scuse va bene, però a mie ‘u vrazzu me role lu stessu! D.CARMELA Zitto Linà’, non è niente, ti passerà presto.Ora datevi la mano, fate la pace, su’ sbrigative, dimenticate tutto. (I due si riconciliano). MICHELE Caro giovane scusame, ma ‘un ce simu capiti! (Linardu annuisce). D. NICOLA Bravo, bravo a Michele, si vede che hai il cuore buono.Adesso vai con Carmela in cucina che ti offre ‘na cosa frisca e potete parlare a lungo della proprietà. D.CARMELA Jamu Michè’, vieni, ‘ntrarisceme di tutto. (Escono). D.NICOLA Linà’, cumu te sienti? Il braccio po’ funzionare? LINARDU ‘Nu pocu miegliu. (Si siede) Parica ‘u puozzu movere ‘e cchiù. Ma cchiù d’u vrazzu, ‘a paura don Nicola mie. Tutt’a ‘na vota mi 1’haiu vistu ‘ncuollu, chillu bestiune, ccu’ chille manu chi parìano mazze. 207 D.NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA Mani di agricoltore Linà’, toste, piene di calli, certo che fanno male. Ma tu, benerittu te via, nun potìe fujere ‘ntr’a cucina! E cumu facìa! Nun m’ha datu tiempu, m’ha tagliatu ‘a via. Mo’ cerche di ripigliarti, come vedi è finitu tuttu.(Va a sedersi) E’ finita! Ma si viriati cchi furia! ‘Mprima m’ha livissatu ‘nu pune cca (indica la fronte) e ppe’ dire ‘a verità me signu ‘ntisu ‘nu pocu cchiù lucidu ‘e prima. Ti avrà messo a posto qualche ‘ngranaggio che prima era guasto. E, dimmi, ancora ti senti lucido, ‘nzomma cchiù sveglio di prima? Pare de si, don Nicò’. E’ un miracolo Linà’, puoi ritenerti fortunato, si’ sanatu senza operazione! ‘Ssu miraculu m’è custatu assai!(Squilla il telefono). Pronto.. si…si... ce simu... ancora a metà sfoglio? Linà’, penna e fogliu,scrive.Papanici,preferenze:quarantotto... Parenti…sessantasei... Carpanzano…settanta. Simu in salita, ‘a cosa va crisciennu! (Preoccupato) Silenzio, sta scriviennu? Con precisione! Va bene... si… va bene....Santù’, allura fra circa un’ora? Certu, i definitivi... Va bene. (Abbassa il microfono) Cuminciamu buonu, cuminciamu! Eppure da questi paesi mi aspettavo qualcosa in più! Don Nicò’, stamu jiennu buoni? Stamu trabballandu Linà’! I primi signi nun su’ tantu buoni. (Squilla di nuovo il telefono) Si….oh caro Giovanni... certo ti stavo aspettando, detta pure. Scrive Linà’. Rogliano, centocinquanta; Mangone, settantacinque; Cellara, trenta; Figline, quaranta. D’accordo... D’accordo. (Sconsolato abbassa il microfono). ‘A cosa pare ca aze e basce, no don Nicò’? Cumu ‘a freve ‘e r’a gola! Sapìmu cchi ne esce? Duve ne ‘mbarcamu? Qualsiasi puortu è buonu, purchè se naviche! (A Linardu che ha ripreso ad esprimersi in maniera sciocca). E’ guastatu torna ‘u ‘ngranaggiu! ‘E rotelle su jute torna 208 LINARDU D.NICOLA LINARDU D.NICOLA D.CARMELA MICHELE D.NICOLA D.CARMELA D.NICOLA D.CARMELA D.NICOLA D.CARMELA D.NICOLA LINARDU D. CARMELA D. NICOLA D. CARMELA MICHELE fore postu! Me sa ca ce vo’ ‘n’atru punu ‘e Michele. (Si concentra, poi ad un tratto chiama ad alta voce) Michè’, Carmè’! (Linardu sobbalza dalla sedia spaventato). Cchi faciti don Nicò’, ca io fuju! Cca male capìtu, assettate, duve fuji! E bue pecchì aviti chiamatu a Michele! ‘U sacciu io, statti carmu ca ‘un te succede nente. (Entrano Donna Carmela e Michele. Linardu scruta con timore Michele che va a mettersi vicino a lui). (Con premura) Nicò’ ha chiamatu, cchi bue? Comandi don Nicò’! Ma cchi comandi e comandi, su’ arrivati i parziali. Metà sfogliu. E cumu su’, cumu sunnu? Sconfortanti Carmè’, chjni ‘e dubbi! Dobbiamo prepararci al peggio! (Disperata) Non è possibile, nun ce vuogliu crirere! Riceme ca nun è veru Nicò’, ca m’ha volùtu fare ‘nu scherzu! (Don Nicola rimane muto e pensoso) Tu nun rispunni Nicò’, allura è veru? (Implorante) Maronna mia, è veru! Fammilla tu ‘ssa grazia, caccene ‘e ‘ssu disonore, ‘e ‘ssa chjna! ‘Ncunu ha traditu, m’ha fatto ‘u pere ‘e gallu, m’hannu sabotatu! Carogne, sciacalli, votafaccia. Disgraziati, sutta ‘sse granche ‘e bolissi ‘ssi favuzuni! E’ finita Carmè’, è finita ppe’ tutti! (A Linardu) Mo’ te va’ abbuschi pane a ‘ncun’atra parte, pistilicoiu mie, cca se slogge! Ha finìtu ‘e me fare jettare ‘u sangu. Don Nicò’ e cc’haiu fattu io ‘e male! Nun me jettati ‘n mienzu ‘na via. Io staiu pregannu a Santu Bartolomeu. Ancora ‘u r’è ditta l’urtima parola. (Michele assiste sbalordito). (Accovacciata su una sedia) Cchi sciuollu, cchi rovina! Michè’, cumince puru tu a te cogliere ‘e baghettelle, trovate ‘n’atra rropa, la campagna ni l’amu jocata! Si vende Michè’! (Michele è frastornato e incredulo). Nooo, ‘a campagna no! E’ ‘nu ricordu ‘e famiglia! Miegliu ‘a morte! Ma cchi diciti, nun ce staiu capisciennu propriu nente, facitime ‘ntrarire ‘nu pocu. 209 D. NICOLA E a cchi serve! Capirai, capirai dopo. (Squilla il telefono, tutti sono ansiosi) Pronto... si, ce su’ novità? (Donna Carmela prega) Quanto? (Sconsolato) Aspetterò! Si, aspetterò (posa il microfono). D. CARMELA Allura Nicò’? Parre, cchi t’hannu rittu? D. NICOLA Continue a jire male. I jettaturi e li ‘mbiriusi hannu vintu, m’hannu potutu! D.CARMELA (Viene colta da una crisi isterica) E’ ruvinata ‘a casa mia! E’ finita. Sciuollu mie ranne! (Strappandosi i capelli, cade a terra svenuta). D.NICOLA Dio mio! Carmè’, Carmè’ rispunne! ‘Nu miericu, chiamati ‘nu miericu. Linà’ fúje, va chiame a don Cicciu. (Michele e don Nicola cercano di dare aiuto a donna Carmela). MICHELE Maronna mia! Donna Carmè’, parrati! LINARDU Duve sta don Nicò’. D.NICOLA Al portone di fronte, nu’ perdere tiempu, fa priestu! ‘Nu pocu ‘e acitu, Michè’, ‘ntr’a cucina, sbrighete. E’ la fine i signi eranu giusti! Sono rovinato! (Dopo un po’ entrano di corsa Michele e ‘Ntonetta che ha un bicchiere in mano e lo dà subito a don Nicola). ‘NTONETTA Cch’è successu! Cch’è statu? (Allarmata) Maronna mia, è morta donna Carmela! D. NICOLA Allargative, allargative, un po’ di aria. (Donna Carmela dà segni di ripresa). Carmè’, Carmè’, cumu te sienti? (Esprime a gesti che va meglio) Aiutatemi, portiamola sul divano. (Entra Linardu). LINARDU Ho conchiuso, don Nicò’. D. NICOLA E duv’è don Cicciu? LINARDU E’ addietro, l’ho staccato, haiu fijutu cumu ‘nu direttu. D. CICCIO (Entrando) Com’è successo, Nicò’? D. NICOLA Pue te cuntu, pue te cuntu, Ci’. LINARDU Mentre parrava, tutt’a ‘na vota è chiumbata ‘nterra. MICHELE (Porta il dito indice al muso per far zittire Linardu) Ss...Ss... D. CICCIO Vediamo un po’, vediamo di che si tratta. (Effettua un’accurata visita) State tranquilla, donna Carmè’, non è niente. Ma come mai, voi così battagliera! LINARDU (Di nascosto) ‘Un ne parramu propriu! D. NICOLA (Preoccupato) Ci’, com’è la situazione? D. CICCIO Stai calmo Nicò’, state tutti calmi, che si risolverà tutto 210 D.CARMELA D. CICCIO D.CARMELA D. NICOLA DON CICCIO D. NICOLA DON CICCIO D. NICOLA DON CICCIO D.NICOLA D.CARMELA DON CICCIO D.CARMELA D.NICOLA DON CICCIA LINARDU ‘NTONETTA D. CARMELA bene. La pressione va bene, i battiti del cuore un po’ accelerati ma tonici. Niente di preoccupante, nun ce vonnu nemmenu mericine. Donna Carmela ha bisogno solo di un po’ di riposo e di tranquillità. (Con voce fioca) E chine t’a rune, don Ci’, chissa è ‘na cosa chi nun s’accatte! Capisco, avete ragione. Comunque si è trattato di una piccola crisi nervosa. C’è stato-qualche motivo serio? (Linardu esprime con gesti il movente dell’accaduto). Gruossu, don Ci, ‘na timpesta! (Scuotendo la testa) ‘A politica, Ci’, le preferenze! Oh perbacco! Eppure non sapevo che donna Carmela s’interessava tanto di politica, che la emozionasse tanto. Ci’, ‘u fattu è ‘n’atru, abbiamo avuto delle notizie allarmanti sull’esito delle votazioni. ‘Nzomma ‘a cosa è ‘mbilicu. Ci’, sto rischiando il seggio! E Carmela non ha resistito, è crollata povera donna! Ma guarda cche donna premurosa, sensibile! Nicò’, e come mai, con tutte le tue amicizie! No, non ci voglio credere! Eh, caro Ciccio, le cose cambiano, siamo ai tempi dei tradimenti, ‘e r’i votafaccia! Ti promettono sicuro e pue te fricanu certu! Dio, quanta perfidia c’è negli uomini! Quanto inganni! Quindi tu dici che non ci sono più speranze? Su’ piccule, ma ancora ce sunnu, Cì’! (Ripresa abbastanza). Ci hannu ‘e resere, ppe’ forza Nicò’, nun po’ finire tuttu a ‘na vota. Nun ce vuogliu crirere! Calma, donna Carmè’, calmatevi. Pensate alla vostra salute ch’è cchiù importante ‘e r’a politica! ‘E cose su’ ligate, caminanu ‘nziemi: si va male una, va male puru l’atra! Cchi t’avìa dittu, Cì’, Carmela ‘a sente cchiù de mie, è ‘na fimmina all’antica, affezionata! Lo vedo, lo vedo. Infatti è svenuta ppe’ tie. Cche sensibilità! (Squilla il telefono e tutti sobbalzano. Don Nicola si appresta a rispondere). (Rivolto al pubblico) L’urtima sentenza! Speriamu bene, donna Carmè’! Maronna mia ‘a grazia, fammilla ‘ssa grazia!, 211 D.NICOLA D. CARMELA D. NICOLA LINARDU DON CICCIU D.CARMELA D. NICOLA D.CARMELA ‘NTONETTA D. NICOLA D.CARMELA D. NICOLA MICHELE D. NICOLA D.CARMELA D. NICOLA D.CARMELA LINARDU MICHELE ‘NTONETTA (Emozionatissimo) Calma, calma e silenzio. Pronto... rice subitu. (Cala un silenzio di tomba) Si... Si...(Riceve buone notizie ed è visibilmente euforico) Veramente? Sia benedetto il Signore! (Donna Carmela è frenetica). Rice Nicò’, ‘nfurmeme! (Fa segno con la mano di pazientire) Ss...Ss... Un attimo, un attimo, Linà’ scrive…. A lampu, fazzu a lampu. (Cerca di calmare donna Carmela) Ti prego, conserva la calma, non vi agitate. E cumu fazzu? (Fa segno di zittire) Ss... Ss... Dici....quattrocentocinquanta... settecento.... milleduecento. (Euforica) Se saglie, ‘Ntonè’, stamu sagliennu! (Stupita) Adduve donna Carmè’? (Fa segni di giubilo con la mano) Millecinquecento...tremila…… (Incontenibile dalla gioia) Cchi zumpu, Nicò’! Si...Si... Va bene, dammi solo il totale....venticinquemila. (Euforico). Ho capito bene? Ripeti...venticinquemila. (Fa un salto di gioia) Lo vedo, lo vedo, c’è stato un terremoto. I miei voti erano tutti sotto. Stavanu cuvannu don Nicò’! Appena ti è possibile vieni, ti aspetto...ciao. (Eleva le braccia al cielo e si alza) Cchi sorpresa, cchi sorpresa! E’ fatta, è fatta Nicò’! Un minuto, un momento di calma. Linà’, manìete, porte l’elencu. (Linardu esegue l’ordine) Facciamo ‘nu pocu i conti. (Tutti attendono ansiosi) Allura, quorum: trentamila. Zero, zero, cinque e tri uottu, cinque e quattru nove e duvi unnici... unu che riporta e duvi tri... Totale: trentunumilaottocento. (Salta dalla sedia esultando. Tutti sprizzano di gioia) Vittoria, Carmè’, vittoria: è fatta! Simu salvi, signu sanata don Ci’, ‘a timpesta è finita! (Corre ad abbracciarlo). ‘U postu è sarvu, ‘u pane è assicuratu! ‘A campagna ha fruttatu Don Nicò’. Simu salvi, simu sarvati tutti! (Tutti fanno gli auguri a don Nicola e a donna Carmela). 212 DON CICCIU Calma, calmatevi! A volta le gioie sono più pericolose dei dispiaceri! D.CARMELA Ma armenu se more cuntienti, don Ci’! D. NICOLA (Mentre abbraccia la moglie) Carmè’, amu vintu! ‘Nu successu! ‘N’apoteosi! E chine ce crirìa cchiù! DON CICCIU Vedi Nicò’, cchi t’avìa dittu io: la speranza è sempre l’ultima a morire. D. NICOLA Ci’, te ringraziu, me si’ statu ‘e granne aiutu! DON CICCIU Di niente Nicò’: dovere e amicizia. L’ho fattu con piacire. D.CARMELA ‘U spumante, duv’è lu spumante. Fuie, ‘Ntonè’, ‘ntr’a cucina, va lu piglie. ‘U francese, ‘Ntonè’! ‘NTONETTA Chillu chi sbruffe assai? D.CARMELA Chillu chi fa botte ranne e sc-cattaruse, alla facce ‘e r’i ‘mbiriusi! (Linardu si stropiccia le mani e, rivolto a Michele, strizza l’occhio). LINARDU Allegria, se brinde: amu vintu! MICHELE Don Nicola ha bintu, nue amu ‘e fatigare ‘u stessu! D.CARMELA Amu vintu tutti, chine ‘e cchiù e chine ‘e menu, s’intende! MICHELE Brava a donna Carmela! Chine assai e chine pocu. Ne cuntentamu ‘e chissa. DON CICCIU Beh! Io haiu ‘e scappare, ho lasciato ‘u studio con tanti pazienti. D. NICOLA ‘N’atru pocu Ci’, cchi pressa tieni, mo’ arrive lu spumante. I pazienti aspettanu, su’ pazienti ppe’ nente? DON CICCIU Eh, sapissi Nicò’, come sono fatti esigenti! I tempi su’ cangiati. Te venanu disturbanu puru ppe’ ‘na semplice cacarella. D. NICOLA Magari roppu ‘n’abbuffata ‘e cerasa! Come ti capisco Ci’, come ti considero. (‘Ntonetta porta lo spumante ed alcuni bicchieri). D.CARMELA Nicò’ ‘a botta falla tu, tocche a ttie! ‘Ntonè’, runece ‘a buttiglia. (Distribuisce i bicchieri). D. NICOLA Damme ‘ssa francese, ‘Ntonè’, ca ce fazzu cantare l’inno di Mameli. (Si appresta a sturare la bottiglia mentre Linardu, Michele e ‘Ntonetta, impauriti dal botto, cercano riparo) Bu..um! Alla vittoria, crepassinu i jettaturi! (Si appresta a riempire i bicchieri). D.CARMELA Forza Nicola, inchje, brindamu, ca ‘u sc-cantu è statu ranne. DON CICCIU Ppe’ ‘nu futuru brillante, pieno di successi! MICHELE Alla salute e bona furtuna! 213 LINARDU Allegria e cin cin. D.CARMELA Giojimu, giojimu assai, vivìti ca ci n’è cchiù. ‘Mbriacamune, abbiamo conquistato Roma! D. NICOLA E chine s’a crìria, chine ce sperava cchiù roppu tutti chilli lampi e truoni! D.CARMELA E’ ‘nchiaratu a ‘na vota Nicò’, ‘a timpesta ha pigliatu ‘ncun’atra parte, ha annegatu a ‘ncun’atru. Cumu se rice, don Ci’: chine periculu scampe, campe cent’anni! DON CICCIU E’ vero, aviti ragiune, è propriu ‘e ccussì. Ora però vi devo lasciare. Vi ringrazio di tutto. Ci vediamo con calma. D. NICOLA Si propriu ‘e jire nun te trattiegnu, fa’ cumu vue. Ah, dimenticavo, quant’è lu fastidiu, Ci’? (Prende il portafoglio) DON CICCIU Ma va’ Nicò’, non mi fare ridere! Da te aspetto solo comandi. L’amicizia non ha prezzo! Stammi bene Nicò’. Donna Carmè’, i miei rispetti! D.CARMELA Ci rissobrigheremo, grazie e salutame assai a donna Lena. DON CICCIU Vi servirò. E vi raccomando, cercate di contenere l’emozione. D.CARMELA Chissa è ‘n’emozione bona: ‘un fa nente! D. NICOLA Arrivederci, Ci’, sempre a tua disposizione. DON CICCIU Servo tuo! Ciao. (Esce). D.CARMELA E fatte guardare Nicò’! ‘Ntonè’, Michè’, Linà’ guardati, ammirati l’onorevule nuorru, ‘a speranza ‘e tutti! D. CARMELA ‘A festa Nicò’, amu ‘e preparare ‘a festa.. D. NICOLA Calma Carmè’, mo’ ce vo’ sulu ‘nu pocu ‘e abbientu, ‘nu pocu ‘e pace. Non c’è fretta. Mo’ vuogliu restare ‘nu pocu sulu, me vuogliu rilassare. MICHELE Roppu ‘ssa fatigata tu ricu io, sacciu si ce vo’ ‘n’abbentata! D.CARMELA Cumu vue, fa’ chillu chi te piace, ne tieni ragiune. Abbentete! Scarriche tutt’u tuossicu, nue jamu ‘ncucina. Gioventù’, dai, jamuninne. (Don Nicola rimane solo). D. NICOLA (Sprofonda sul divano rimanendovi per un po’. In seguito si alza e volge lo sguardo al Crocifisso) M’ha volutu fare spagnare, m’ha volutu fare sentere ‘u sapure ‘e r’a sconfitta! Nun fa nente, io te ringraziu ‘u stesso, te amu cchiù de primu. L’haiu sempre ‘ntisu dintra re mie ca nun me potìa lassare sulu, ca me sarvava re la chjna. Grazie, grazie re tuttu ‘u’ mi ne scuordu mai. ‘E oje avanti don Nicola Pastetta sarà il servo vostro e del popolo, lotterò per le cause 214 DON FOFO’ BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA giuste e ppe’ tutt ‘i bisognosi. Penso ch’è chillu chi vo’ tu, no? Non mi farò corrompere da tangenti e sfruttatori, mi farò bastare i miseri sette milioni al mese che mi passa lo Stato! Aiuterò i giovani e non ingannerò mai nessuno. (Trilla il campanello della porta) ‘Nzignanu i rumpimienti! Jamu propriu buoni! M’era abbentatu assai! (Va ad aprire) Onorevole mie caru! Fatti abbracciare. Mi ha informato Giovanni. Bongiorno e aguri Onorè’! (Ha in mano un fagotto che contiene un regalo per don Nicola). Auguroni ce l’abbiamo fatta, eh! Ppe’ miraculu Fofò, ppe’ ‘nu pielu! L’interessante è ca è fatta, che sei rimasto al tuo posto tanto meritato. ‘U riestu ‘un tene ‘mportanza. Sapissi, Nicola mie, quantu me signu ratu da fare, non ho chiuso occhio. Così pure questo bravo giovane. Ha sbattutu cumu ‘na trotta, Nicò’. Ha mobilitatu tutt’u parentatu. Grazie, grazie a tutti. Simu stati tutti al fronte! E’ statu ‘nu piacire lottare ppe’ ‘na causa giusta, per un uomo onesto e comprensivo. Certo, certo, il nostro Nicola merita, si fa amare da tutti. No propriu tutti, Fofò. Pensa ‘nu pocu ai colleghi candidati chi nun su’ stati eletti! Tu piensi ca chilli me amanu? Ti l’ammagini a chist’ura quantu jestigne e maleparole ammuzzellanu! E’ veru, tieni ragione. Ma cchi tinne ‘mporta, tu fai le corna e si’ appostu! Lassa ca priericanu! Brunì’, la gente è maligna, invidiosa. Tu si’ ancora giovane e tante cose nun le sai! Eh, sapessi figlio mio! S’ha de caminare ccu’ ‘nu ciceru ‘e sale ‘ncuollu! L’haiu notatu don Fofò, l’haiu notatu ‘ntra ‘ssa campagna elettorale. Sapissi ccu’ quanta gente me signu avutu ‘e liticare quannu ce rava lu numeru ‘e don Nicola! Sarai ricompensato, avrai quello che aspetti e ti meriti! Ce su’ novità? Ha già fattu tuttu Nicò’! (Brunillu è visibilmente lieto). Tuttu! E’ ‘na parola, a ‘na vota! Diciamo ca m’hanno promesso. ‘Nzomma me signu ratu da fare, anche si signu statu acchiaccatu ppe’ lu cuollu. 215 BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU D. NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU D. NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU D. NICOLA BRUNILLU D.NICOLA DON FOFO’ Grazie, grazie Onorè’. ‘Un c’eranu dubbi. Ti l’avìa dittu Brunì’. Don Nicola te cacce d’i guai, è di parola. Nun fissìe, ‘un prumminte si nun è sicuru. Chissu l’ho capitu dal primo giorno ca ‘un n’era cumu l’atri. Nun fujimu però. Ricimu ca la cosa è ‘mbiata, mo’ va seguita. Cchiù de vue, onorè’, chin’è ca a po’ seguire! Certu, va tenuta ‘e uocchiu, potrebbe ‘ncepparsi e quindi va spinta. ‘A concorrenza è grossa, Brunì’, ognunu spinge le cose sue. Ma cchiù o menu ‘e cchi se tratte, Nicò’? Del campo dei trasporti. Nicò’, nun te scordare ca illu è filosofu! Eh, sapissi di quantu filosofia c’è bisuognu in questo campo, ccu’ tutt’i scioperi e li ritardi ‘e r’i treni! Si ‘u rici tu! Brunì’, tu cchi ne rici, si’ cuntientu? E cchi be puozzu rire, magari fuossi! Haiu rrurutu ‘e scarpe a girare a pere! Forse è benutu ‘u momentu ca camignu a cavallu. Ce vaiu vulannu, puru romani matinu. Intendimune buoni, nun vuogliu equivochi io, né illudere a nullu. Io ho datu parte a ‘n’atru onorevole amico, chi è cchiù vicinu alli trasporti, che mi ha detto di sperare, pecchì ha scopertu ca ce unu che deve jire in pensione o st’annu o stannichivene, e si ‘u postu ‘un va a concorsu, capìtu? Si ‘un va a concorsu la cosa si potrebbe cunchiudere, chiaru? Ppe’ dire ‘a verità non tantu Nicò’, però si ‘u rici tuni! (A Brunillu) A ttie cchi tinne pare? (Ha intuito la paradossale situazione e manifesta una certa rassegnazione). ‘A cosa ppe’ dire ‘a verità è ‘nu biellu pocu ‘ntrugulata! Cchi te puozzu rire don Fofò?! Continuo a campare di speranza! Ecco, bravo, il giovane ha capito. E’ fiducioso. Nun se scoraggia. E’ signu ‘e forza e saldezza di nervi. Continua così, nella vita c’è tanto bisogno di queste tue doti! Ppe’ dire ‘a verità, onorè’, tra quannu studiava e doppu l’esaurimenti su’ stati cinque, l’urtimu mancu ruvi misi addietro. Oh perbacco! Eppure non si nota. Il giovane è sensibile, all’apparenza nun se note il dramma, 216 D. NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA DON FOFO’ BRUNILLU DON FOFO’ BRUNILLU D. NICOLA DON FOFO’ D. NICOLA BRUNILLU D. NICOLA DON FOFO’ ma macine dintra, ‘u ficatu si lu pezzie d’a race! E ha più che ragione poverino. Quantu me rispiace nun potire fare nente .subito! Ppe’ mettere sulla bocca di questo giovane il sorriso, ppe’ dargli la gioia di vivere. Ma stati sicuri che mi farò a piezzi ppe’ risolvere il caso. Bisogna sapere attendere. Onorè’, haiu aspettatu trenta e aspiettu trentunu, tantu nue giuvini ce simu abituati a r’aspettare, a cunsumare l’energìe passiannu. Situazione pericolosa questa Nicò’! Eccu pecchì tanti giuvini sbalerranu, diventano facile preda della droga e della mafia. ‘U motivo c’è e granne puru! E pue, ‘ssi ranni scienziati fannu ‘e tavole rotonde ppe’ scoprire ‘e cause. Ma, ricu io, fannu i fissa o ce su’ daveru? ‘A cosa è compricata, i motivi su’ tanti e curpe ci ne su’ de tutt’e parte. Comunque, lassamu stare, l’indagine sarebbe lunga. La sua situazione, però, vi prometto che sarà risolta. Non bisogna avere fretta. Ha sentutu Brunì’, non devi avere fretta. Tu ne tieni pressa? (Ironicamente) E a duv’è ‘ssa pressa! Cchiù chianu ‘e cumu staiu jiennu! Allura, avute tutte sse garanzie nun ce rimane che andarcene, toglimu ‘u disturbu a Nicola ca tene tantu bisuognu ‘e riposu roppu ‘ssa ranne lutta. (Si alza). Cumu voliti vue don Fofò, io signu prontu. (Si alza ed è indeciso, vista la situazione poco rassicurante, se dare il regalo a don Nicola). Aviti propriu decisu? Vo’ dire ca me fazzu sentere in seguito ppe’ avìre notizie cchiù frische! D’accordo, intesi, restamu ‘e ccussì. (Si decide di consegnare il regalo) Onorè’, v’haiu portatu ‘ssu picculu signu ‘e riconoscenza, ‘nu prodottu fattu alla casa, ‘nu capeccuollu. Vi lu mangiati pp’amure mie! (Visibilmente interessato alla cosa) Oh, benerittu giovane! Te si’ bolutu disturbare! Nun ce volìa propriu nente, io i piaciri li faccio sbrisceratamente! Accettalu Nicò’, è ‘nu prodottu squisitu, ti l’assicuro! Brunillu mi n’ha regalatu ‘n’atru a mie e nun te ricu ‘u 217 D. NICOLA BRUNILLU DON FOFO’ D. NICOLA BRUNILLU D. NICOLA sapure! Allura l’accettu, vuogliu virere se i nostri gusti sono simili. (Brunillu porge il regalo). Grazie; oh, cumu è luongu! (A Brunillu) Nun te preoccupare, sarai sempre nei miei pensieri! Ce spieru, onorè’, ce spieru! A priestu Nicò’. Ciao Fofò, sempre in gamba! Bongiornu onorè’. V’arricummannu! (Escono). (Molto scocciato) Jati, andate al diavolo! A priestu, ti raccomando, ma jati a morire ammazzati, ‘ssi scocciaturi! (Va a sedersi) ‘U sacciu io ch’haiu passatu, ‘a paura c’haiu avútu! Mo’ vene illu, don Cazzera, bellu friscu e ordine! Ma va’ pasce piecure! (Entrano donna Carmela, Michele e Linardu. Linardu ha bevuto qualche bicchiere in più e, sbandando vistosamente, si appoggia a Michele che cerca di evitarlo). D.CARMELA Nicò’ te si’ riposatu ‘nu pitazzu? D. NICOLA (Ironizzando) Propriu buonu, a suonnu chjnu! Eh, si sapissi! C’è statu torna chillu perdatiempu. Mo’ sin’è jutu, ‘nu minutu addietru. D CARMELA Chine? D. NICOLA Fofò, Carmè’, ‘nsiemi al giovane, ppe’ lu postu. D. CARMELA Ma cumu sa scegliere ‘u mumentu giustu, ‘u scunchiutu! E’ statu furtunatu ca ‘un ce signu trovata, sinnò ci la cantava io ‘a pampina! Io ‘n’atra picca era morta e l’atri vonnu i posti. Ih, sbrigognati! D.NICOLA (Si è accorto dello stato in cui si trova Linardu) Me bire, me bire ‘u mobile! Cumu l’avìti cumbenatu a chissu? D. CARMELA S’è conzatu sulu, Nicò’, ppe’ la ranne gioia. D.NICOLA Illu già era finu! Linà’, ma cumu si’ conzatu? LINARDU In piedi Don Nicò’, in piedi e col vino qua dentro (indica lo stomaco). Però lo porto bene (alza un piede), vedi, non chiumbo a terra. (Sbanda e va addosso a Michele). MICHELE Ma ‘nzomma a vo’ finire o te rugnu ‘n’atra dose? NICOLA Lassalu perdere Michè’, assettalu a ‘na rasa. Puru ‘u ‘mbriacu ce mancava ppe’ la fare compreta! 218 LINARDU D. NICOLA D. CARMELA D. NICOLA LINARDU D. CARMELA D. NICOLA MICHELE D. CARMELA D. NICOLA D. CARMELA MICHELE D. NICOLA D. CARMELA MICHELE D. NICOLA D. CARMELA MICHELE D. NICOLA MICHELE ‘Mbriaco si, ma di gioia, ppe’ tua vittoria, ppe’ norra vittoria, doppo fatigato e sc-cantato tanto. (Tutti ridono). Va bona va, c’amu capitu! Cerche a dormere e ‘un dare fastidiu. Carmè’, e ‘u’ lu potiati guardare? E chine ‘u tenia! Vi’, unu appriessu l’atru! (Mima il trangugiare) N’avìa ragiune, povariellu! (A Linardu) Riposete mo’, roppu ‘ssa fatigata! Come volete, eseguo subito. Bonanotte (si addormenta sulla sedia). Lassalu jire, cchi ‘mpacciu te rune! Cchi ba’ fa Nicò’! S’è bolutu sfogare puru illu! Michè’, e tu nun te si’ sfogatu? Nun ne tieni bisuognu? Io me sfuogu in campagna, ccu’ la zappa, Don Nicò’! Ccu’ illa haiu voglia ‘e me sfogare! ‘U vi’ a Michele cumu sa pigliare ‘a chiacchiera, cum’è spiritusu! Simu rimasti nue suli ‘e ne sfogare Carmè’`? Ce vo’ ‘nu bellu viaggettu. (Ironica) Facimu ‘a secunna luna di miele. Io me signu già sfogata, ‘ssa ranne vittoria me vaste. Me vasti tu Nicò’, cumpagnu ‘e r’a vita mia. Tu onorevole mie, chi me runi onure e grolia. E’ lu veru, è lu veru, donna Carmela è china ‘e sentimientu. Me cunfuondi Carmè’, me fa’ emozionare. Io nun mieritu tuttu chissu. Mieriti ‘e cchiù, si’ ‘nu tisoru! Mo’ sbrighete Nicò’, t’haiu preparatu ‘na sorpresa. T’aspiettu ‘ncucina. ‘N’adduru Don Nicò’, ‘na cosa fina! Cumu vue Carmè’, viegnu subitu. (Ogni tanto si sente il singhiozzo di Linardu). T’arricummannu, nun tardare. Statti buonu Michè’, saluteme ‘a campagna. (Esce). Ve siervu donna Carmè’, ve servirò. Eccome sulu ccu’ Michele! Ccu’ ‘n’uomine ‘e guaglia! Sapissi quantu l’haiu aspettatu ‘ssu mumentu, Michè’! Assettete, sdraiete comberu ca parramu. Ca mi ce abbientu ccu’ tie. E cchi dicimu, don Nicò’? Io haiu già parratu ccu’ donna 219 D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA Carmela. Haiu chiaritu tuttu. Pare a tie Michè’! Parramu ‘e atru, ‘e tuttu, tu sulu me po’ capire, tu chi stai ccu’ l’animali, ‘n mienzu ‘a terra, ‘ntra la natura viergine, duve te risbiglie lu cantu re lu gallu! Faciennu jurnu, don Nicò’, alle qrattru! (Si ode un forte singhiozzo di Linardu). Puorcu! Sente ‘u puorcu cchi musica! Chine ce sta miegliu ‘e tie, tu campi senza rrusci e sturdimienti: aria pulita e acqua frisca. Cumu te ‘mbiriu, Michè’! Vi ne manche la gulìa! Si voliti cangiare signu prontu! Furtunatu tu chi nun canusci ‘a politica, chi nun sai quantu se fatighe ‘ntra la mia campagna. Cumu ‘u lu sacciu! Quaranta jurni ogne quattr’anni e pue basta! ‘Ntr’a campagna mia ‘mbece se fatighe tuttu l’annu, tutt’a vita. E pue duve buve se usanu ‘e parole, chi è ‘n’arte lecia, duve mie ‘mbece se use la zappa! E sapissiti cumu pise! Eh, Michele, Michele! Tu parri da profano, nun canusci bene il mio campo, nun sai quanto è minato! Tu nun sai l’ingranaggi, i ‘nganni, l’ambizioni chi rotanu ‘ntuornu alla politica. Quantu ‘ntrillazzi, Michele mie! Simu arrivati alli curtielli! Denneliberi! Alli curtielli? E chine t’a fa fare, don Nicò’, ccu’ tutti ‘ssi pericoli. Esciatinne ‘e ‘ssu ‘nfiernu! E’ ‘na parola! E cumu fazzu Michè’! Quannu ce si’ de intra cum’e mie, ‘nzaccatu ‘nfin’allu cuollu, marcia indietru ‘un se po’ fare cchiù, se perde l’onure, ‘a faccia, se perde tuttu. Puru i rinari? Puru chilli, certu, ma sunnu secondari. Ce sunnu atre cose cchiù importante, cchiù care! E chine si l’ammaginava! Comunque si ‘u ricìti vue... (Si accorge che Linardu si sta svegliando) Don Nicò’, l’aiutante sta ritornannu ‘mbita, guardalu cumu se torcinìe. Tene lu risbigliu difficile, Michè’; è ‘na machina Diesel: tene bisuognu ‘e se riscaldare! (Osserva per un po’ Linardu) Me bire cchi fatiga chi sta faciennu. Puru quannu rorme chissu se stanche. Forse se sonne la fatiga? E chine t’u rice cchi le passe ppe’ la capo. Chissu é tutto 220 MICHELE D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU D. NICOLA LINARDU MICHELE D. NICOLA LINARDU MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA speciale, è chjnu ‘e sorprese! (Linardu si sveglia sbadigliando). Me cchi bucca chi tene benerica! Pare la porta ‘e r’u furnu mie. Sulu chissa tene de buonu, sinnò ‘e atru….Linà’ t’è ricrinata ‘a pirucca? Quasi don Nicò’, tiegnu ‘nu pocu ‘e giramientu ‘e munnu. Ancora ‘a capu ‘u’ r’è completamente a postu. E quannu e mai c’è stata! Cchi te preuoccupi a fare. Chissa è la tua condizione forma! Caro don Nicola, ricordatevi però che il compagno vino aiuta sempre, speciarmente in politica! Va’ biellu, va’, ca si’ propriu ‘nu tutumagliu! Va’ piglie ‘nu pocu ‘e aria fore ca t’aggiove. (Ancora un po’ traballante) Certo, certo ubbidisco. Come si dice: l’aria frisca ricrina, ti ‘nchiara il cerviello! I miei rispetti e salute a tutti. (A Michele) Puro a te, contadino dalle manu toste. (Con compatimento) Bona furtuna gioia, va’ ccu’ la Maronna! (Accompagna Linardu sull’uscio) ‘A via ‘e r’a casa, Linà’, t’arricummannu! Attientu alle machine! Nun ve preoccupati, scanzo tutto: ci fazzo ‘na singa ‘nfino a casa! (Esce) Cchi tipu difficile, don Nicò’: tocche li niervi a tutti! E a chi lo dici, Michè’! Mah, finarmente ni l’amu cacciatu ‘e ‘ncuollu. Ci ha male ‘mpestatu ‘ntra lluocu! (Si ode un rumore fragoroso) Ha pigliatu ‘u primu camaciu…te parìa? ‘U vaiu aiutu don Nicò’? Lassalu perdere, se aze sulu, cussì se ‘mpare a non fare il porco! Eh, caru Michele, cumu è compricata ‘ssa vita, quantu n’ha de cumportare ‘nu cristiano ppe’ stare a galla. Ha de combattere ccu’ la ciotìa ‘e Linardu, ccu’ la capu vulata ‘e Santuzzu, ccu’ ‘Ntonetta, ccu’ chillu spilìone ‘e Fofò chi cerche aiutu ppe’ l’atri. Spere amicu caro, ti n’abbutti ‘e aspettare! Michele mie, cchi fera! E pue ‘ssi sccanti ogne quattr’anni, chi te mintanu ‘u fuocu ‘ncuollu e nun si’ mai sicuru si ci la fai, si vieni pugnalatu alle spalle. E pue ‘u populu: chillu pue! ‘U’ ne parramu propriu, chine 221 MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA MICHELE D. NICOLA tu cuntente! Chine vo’ spinte, chine vo’ posti, nun te ricu, Michele mie e cumu fa ‘nu poveru cristianu, cumu fa Michè’? Sacciu io, don Nicò’? Cumu fa? Se difende Michè’, divente cruru, se chiure a rizzu e pense alle cose sue. Se cure la proprietà sua e bonanotte! Chissa è ‘na bona regula, se. Ve chiuriti ‘n’ difesa e chine s’è bistu s’è bistu! Ma periculi ci ne su’ sempre veru don Nicò’? Eh caru Michele! ‘E campagne su’ sempre difficili, c’è sempre ‘u rischiu ‘ncuollu. E a chine ‘u ricìti don Nicò’, ‘u sacciu buono: tutt’a ‘na vota ‘na granninata e frichete raccoltu! Bravu, bravo! Oppuru ‘na silurata, ‘nu complottu ‘e partito e statti buonu onorevole. Però, cumu se rice: “si voi fricare lu tue vicinu, azete priestu lu matinu!” E nue n’azamu priestu Michè’, nun dormimu propriu! Tu viglie ‘ntra la terra, ca io vigliu ‘ntr’a politica e ‘nsiemi restamu sempre a galla. Chine tene le rugne si le gratta, nue cantamu vittoria: ppe’ ss’atra vota è fatta! CALA IL SIPARIO 222 ‘U SCALUNE ‘E RE CUMMARI Commedia in due atti 223 PERSONAGGI MICUZZU di anni 50, muratore; TIRESINA di anni 45, ricamatrice, moglie di Micuzzu; MENUZZA di anni 22, figlia di Tiresina e Micuzzu; ‘NTONETTA di anni 52, filatrice; MATALENA di anni 70, casalinga; PEPPINELLA di anni 40, casalinga, figlia di Matalena; MARIA di anni 50, bottegaia, vedova; TURUZZU di anni 25, figlio di Maria; MARRU ‘NDRIA di anni 80, il saggio del paese; MARRU CICCIU di anni 53, barbiere, scapolone; ROSINA di anni 60, casalinga, nubile; SANTULLU di anni 30, giovane campagnolo; PIPIRINU di anni 45, banditore municipale. La scena, unica per i due atti, si svolge in un vicinato di paese, in un caldo pomeriggio estivo. Sullo sfondo compaiono la bottega di Maria e la sala da barba di Marru Cicciu; sul lato destro la casa di Tiresina, accanto alla cui porta si trova un sedile di pietra, e sul lato sinistro la casa di ‘Ntonetta, con la porta socchiusa. Di tanto in tanto, per tutta la durata della commedia, si odono voci, suoni e rumori: il tintinnio del martello del fabbro, il cinguettio degli uccelli, canzoni melodiche e le grida festose di bambini che giocano. 224 ATTO PRIMO PEPPINELLA (Rivolta al pubblico). ‘A sentiti ‘ssa canzuna? Chissa è illa, musica cunchiusa, chjna ‘e sentimientu, poesia e amure, e no chilla ‘e mo’: corpiscuri e mitragliate, chi denneliberi te mintane ‘ncuollu ‘a corrente lettrica e te fa’ ‘ngrignare i capilli. ‘Mbece ‘na vota ‘u tangu, (mima il ballo) biellu, appassionatu, chi te facìa escere l’anima ‘ntra chille feste ‘e ballu. Stretti stretti, core a core, e te facìa trovare puru ‘u zitu. (Viene osservata da Tiresina che esce di casa con gli arnesi da ricamo in mano). Gioia mia biellu duve si’ jutu, chine t’ha ammazzatu; cumu haiu ‘e fare senza ‘e tie! TIRESINA Peppinè’, cchi t’è successu? A chine hannu ammazzatu? PEPPINELLA (Sorpresa si volta di scatto). ‘U tangu, Tiresì’. TIRESINA A chine? PEPPINELLA (Con passione mima il ballo). Il tangu: due passi avanti e unu arrieti, due passi avanti e unu arrieti, chi se ballava guancia a guancia e chi ti lu sonnava puru ‘a notte. TIRESINA (Abbozzando un sorriso ironico, va a sedersi sul gradino). Chi te via beneritta, cchi capu vulata! Me bire, me bire! M’avìa fattu morire ‘e ra paura, me crirìa ch’era successa ‘ncuna cosa; ‘mbece era lu tangu! PEPPINELLA (Si fa una sonora risata). E’ sc-cantata ppe’ lu tangu! ‘Nu quivucu Tiresì’, è statu ‘nu quivocu. Però cchi cos’è, tu pienzi sempre a cose male. TIRESINA Peppine, cumu ‘u solitu a tie te rice de chiecchiariare, se vire ca ‘un ne tieni pensieri ppe’ la capu. PEPPINELLA E cumu ‘u’ ne tiegnu; hai voglia quantu ne tiegnu, però su’ pensieri allegri e fantasiosi. Tiresì’, tutt’u paise ‘u tiegnu ‘ntra cca (indica il capo) e tutt’u jurnu mi lu ripassu. Certe vote puru ‘a notte ce rugnu ‘na passata. Me risbigliu e ccu’ lu penzieru me fazzu ‘na girata ppe’ lu paise. Me ‘nfurmu ‘e tutt’e cose: si ‘ncuna è figliata, si ‘ncunu è ricuotu ‘e l’America, si ‘ncun’atru si n’è jutu alli pini (mima cun due dita la morte). TIRESINA ‘Nzomma tieni tuttu sotto controllu, nun te fuie propriu nente. Va a finire ca tieni puru ‘a contabilità ‘e ri cani e di ciucci. 225 PEPPINELLA Propriu cussì: tiegnu ‘nu quatru generale ‘e r’a situazione e ogne tantu l’aggiuornu, a secondu si ‘ncunu nasce o si ‘ncunu more. Ppe’ r’esempiu, sacciu puru ca Ninetta ‘e Gemma s’ha fattu ‘a eco e la criatura è risultata di razza mascolina. TIRESINA Cumu, cumu, famme sentere? PEPPINELLA ‘A eco, quella della pancia grossa. TIRESINA (Con meraviglia) Brava a Peppinella, sai puru ‘sse cose! Hai fattu passi ‘e gigante nel campo della cortura! PEPPINELLA Cortura niente Tiresì’, ca ‘a rropa mamma l’ha vinnuta e accattamu tutto dal fruttivendolo. TIRESINA Ma quale rropa e vruocculi ‘e rapa, io dicevo ‘a cortura della mente che hai ‘ngrandito e te po’ parare puro ‘n’agenzia d’informazione, così ‘a gente ppe’ ogne bisognu vene duve ttie e tu, pronta, ce ‘nchiarisci ‘u dubbio del cerviellu. PEPPINELLA Chissu è lu mistieri mie Tiresì’! La natura m’ha volutu bene, mi ha datu questo biellu donu, vo’ ca nun lu sfruttu? Ho pigliatu tutto ‘e chilla buonanima ‘e zia Rusaricchia chi, mo’ ce vo’, era fantasiosa e ‘mpaccera. Tu ti l’arricuordi? TIRESINA E cumu no, jia ppe’ numinata ‘ntr’u paise. PEPPINELLA Nun avìa né sordi né studiu ‘a povarella, ma avìa però ‘nu ‘ntellettu finu e funnu, chi te facìa ‘mpressione. E chissu mi l’ha lassatu a mie ppe’ eredità. ‘U’ r’è veru Tiresì’? TIRESINA E cumu no, se vire propriu subitu. Appena unu te guarde e te sente parrare rice: chissa è ‘na fimmina ‘e scienza e de cultura, ‘a capu ‘a tene tantu chjna chi ne vo’ cacciatu! PEPPINELLA E io ringraziannu a zia ne goru e porto puro avanti ‘u nume della razza. Puru l’atri ce goranu Tiresì’: u’ vicinanzu e lu paise. TIRESINA E cumu no, si’ ‘nu comberu e ‘na ricchizza ppe’ tutti. PEPPINELLA Mo’ ti ne rugnu subitu ‘na prova. Ppe’ r’esempiu, pigliamu ‘u fattu ‘e Menuzza tua chi s’è lassata ccu’ lu zitu… TIRESINA Citu Peppinè’, ‘ss’argomentu è chiusu, nun ne vuogliu sentere cchiù parrare, ca a ferita ancora è aperta. PEPPINELLA E io ti la curu Tiresì’, ti la fazzu sanare. Signu puru medichessa delle ferite aperte. TIRESINA Ppe’ piacere, nun mintere atru sale supr’a piaga! 226 PEPPINELLA Ma quale sale Tiresì’! Io ce mintu zuccaru. Ti la ‘ndorcificu. Te ricu cose chi nun le sa nullu: rropa ‘e prima scelta, originale. TIRESINA (Molto incuriosita e nervosa). Cumu, quale cose? PEPPINELLA Eh, si sapissi Tiresina mia quantu vipere velenose ce sunnu ‘ngiru, quantu male fa la gente ccu’ la lingua ppe’ ‘mbirìa e gustu.. TIRESINA Cchi su’ ‘sse menze parole, ‘sse allergogie; parre chiaru Peppinè’! Avanti, sbuombiche, fore i fatti. PEPPINALLA (Con le mani giunte e lo sguardo rivolto al cielo). Gesucristu mie perduname, ma a Tiresina ci l’haiu ‘e rire ‘a verità, è ‘na fimmina ‘e fede, bona e si l’ammierite. TIRESINA (Eccitatissima). Priestu, parre, ‘ntrariscime! PEPPINELLA Pruminteme però ca nun me cacci parole, ca ti la tieni sulu ppe’ tie. TIRESINA Ti lu prummintu… PEPPINALLA E giurete. TIRESINA Ti lu giuru supra ‘ssa santa jurnata. PEPPINELLA Nun baste Tiresì’; t’e giurare supra ‘na cosa cchiù cara. TIRESINA Ti lu giuru supr’a famiglia, suprì i figli? PEPPINELLA S’è de cussì allura parru, cacchiu! TIRESINA Parre, sbrighete. PEPPINELLA Tiresì’, è stata Rosina! L’haiu ‘ntisa mentre cunfessava a Turuzzu ‘ntr’a putiga. TIRESINA I fatti Peppinè’: c’ha dittu, c’ha fattu? PEPPINELLA Tuttu Tiresì’, tuttu. Ha ‘nfamatu a Menuzza tua. E’ juta a cuntare a Turuzzu, ‘u fidanzatu ‘e Menuzza, ca figliata nun si facìa l’affari sue e ca, citu citu (mima le corna), gli ‘ncorniciava la capo. Perciò, mintete ‘ntr’i panni ‘e Turuzzu povariellu! Certu ca ‘a lassava a Menuzza. TIRESINA (Furibonda, butta gli arnesi da lavoro). Farabutta, scrufune, ‘mbiriusa; mi ne sucu ‘u sangu! A figliama ‘sse cose? Figliama è chiara cumu l’acqua ‘e sorgente, tutt’a razza norra simu chiare e oneste! PEPPINELLA (E’ impaurita per quello che può accadere). Carmete Tiresì’, nun grirare ca te sentanu. Servatinne e citu. TIRESINA Cchiri? Me carmu? Ce fazzu virere io chin’è Tiresina ‘e Vrasciola a chilla cupellune chi nun l’ha voluta mai nullu uomine ppe’ li malecustumi e la bruttiezza chi tene. Nun ti 227 nne ‘ncarricare ca allu momentu giustu te siervu alla coscia (si percuote con la mano una natica). ‘U’ re passare ‘e cca ppe’ jire alla putiga? Te fazzu virere io chine signu! PEPPINELLA (Preoccupatissima) Madonna mia, aiuteme tuni! Cchi ti l’avìa de rire a fare; chisà cumu va a finire! TIRESINA Cchi su’ ‘sse mosse Peppinè’, ha fattu buonu a mu rire. E tu, statti squitata ca ‘un te succere nente. E pue, chine rice la verità nun sa de spagnare ‘e nullu. PEPPINELLA Ma chilla è ciotigna e nun vo’ sapire ragione! ‘Ncunu jurnu m’apposte e me cacce du munnu. (Molto turbata) Povarella io, duve me signu juta a mintere! TIRESINA Illa c’è ciota e io fazzu ‘a pazza, e pue virimu chine ‘a vince. (In piena crisi di nervi, urla come un’ossessa) Tutti l’avìti ‘e sapire a ‘ssu vicinanzu: Menuzza mia è ‘nu juru ‘e figlia, è ‘na perla! PEPPINELLA (Cerca di rabbonire Tiresina) Sini, sini, certu ca ‘u sapimu ch’è ‘na figlia ‘e oru, ma mo’ carmete, ppe’ l’amure ‘e Dio! Ti ne priegu! TIRESINA (Spinge Peppinella) Me carmu? Fazzu succedere ‘u terribiliu! Nun ce lassu stare finu a quannu nun jesce a galla ‘a verità supra ‘a facenna ‘e figliama. MENUZZA (Ha udito la madre urlare ed esce spaventata. Esce anche ‘Ntonetta) Ma’, ch’è successu, cchi t’hannu fattu? ‘NTONETTA Cummari Tiresì’, ch’è statu ‘ssu ribellu? TIRESINA (Scoppia a piangere) ‘U sacciu io ‘u rulure chi tiegnu, ‘u tuortu c’hannu fattu alla famiglia mia! MENUZZA C’hannu fattu mammarè’, riciammillu! Chine t’ha offesu ? ‘NTONETTA Parre cummà’, quale sgarru ha ricevutu? TIRESINA (Piangendo abbraccia la figlia) Figlia mia sfortunata, gioia ‘e mamma tua, cchi trappola chi t’hannu paratu. (‘Ntonetta, a cenni, chiede lumi a Peppinella, la quale, con imbarazzo, scuote la testa e stringe le spalle per dire: io non ne so nulla). MENUZZA Chine, mammarè’? Cchi m’hannu fattu? TIRESINA (Togliendo le braccia dal collo della figlia) Tuttu figlicè’, tuttu. T’hannu ‘nfamatu, hannu ‘nfangatu ‘u numiciellu tue! Su’ juti a dire a Turuzzu ca ‘un te facìa i fatti tue! Ppe’ chissu… 228 ‘NTONETTA Gesù, Gesù cchi maleritta gente, cchi ‘nfame ce su’ allu munnu! PEPPINELLA (Con imbarazzo) Raveru ‘Ntonè’! Io però nun ne sacciu nente! MENUZZA (Pensosa) Eccu ‘a spiegazione! Mi l’avìa ‘mmaginatu ca ‘ncunu s’era jocatu ‘e cura…. E lu fissa c’e carutu! TIRESINA Sini figlia, propriu ‘na pugnalata alla ‘ntrasata. Cummari ‘ Ntonè’, chissa nun mi la tiegnu! ‘NTONETTA Cummari mia, cchi te vaiu ricu: ‘a cosa è grossa, grossa assai; nun ti l’ammeritava ‘ssa carognata! TIRESINA Peppinè’, priestu ne virimu. PEPPINELLA (Impaurita) Cumu rici tu Tiresì’. Però i patti s’hannu ‘e rispettare. TIRESINA ‘E rispiettu ‘e rispiettu, statti squitata! MENUZZA Quale patti, mammarè’? TIRESINA Chilli ‘e ra fera ‘e l’infamità. PEPPINELLA Io mi ne vaiu Tiresì’, sinnò alla farmacia ce truovu chiusu e torna oje i pinnuli ppe’ la culite ‘e mamma e ppe’ li ruluri romantici mie nun ni le pigliamu. (Mentre esce fa’ segno a Tiresina di mantenere il segreto) Allura rimanimu ‘e cussì! TIRESINA Me bate duve e jire Peppinè’, va te piglie ssi pinnuli e nun sc-cantare cchiù. MENUZZA (Con molto fervore) Mammarè’, io nun mi lu puozzu tenere ‘ssu spregiu, è troppu gruossu! Riceme chin’è statu chi m’ha fattu perdere a Turuzzu e la pace. TIRESINA ‘N’atra pocu, quannu è tiempu giustu ti lu ricu. ‘NTONETTA Carmete moni, figlicè’, sinnò è pieiu. Riflette e biri ca ccu’ lu tiempu tuttu s’appare. MENUZZA (Indemoniata) Tiegnu pressa, cummari ‘Ntonè’, ‘u vuogliu sapire moni. (Rivolta alla mamma) E tu mi lu rici, sinnò un sacciu cumu ‘a pienzu. Fazzu ‘na pazzia! ‘NTONETTA Noni figlia, nun le mancu pensare certe cose. Cummari Tiresì’, cchi te vaiu ricu io, vire tuni si ti la sienti ‘e ci lu rire. E resere, pue, ‘a guagliuna, tene puru dirittu a canuscere i nimici sue, chine ha guastatu ‘a capu allu zitu. TIRESINA Certu cumma’, ma ccu’ chilla cupellune, mi ci la vuogliu virere io ‘e piettu a piettu: ‘a vuogliu conzare cumu l’acciomu. ‘NTONETTA Allura è ‘na fimmina poca? 229 TIRESINA MENUZZA TIRESINA MENUZZA ‘NTONETTA MENUZZA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA TURUZZU Tene sulu ‘u nume ‘e fimmina, ma ‘a disgraziata è ‘nzertata a r’uomine. ‘Nzomma , basta, riceme chin’èni. (Tiresina batte la mano sulla spalla di Ntonetta) Cummari ‘Ntonè, è stata Rosina! Mi l’avìa penzata ch’era una ‘e ssu vicinanzu! Sulu illa potìa fare chissu! Ih brutta acida ‘mbiriusa zitellone! Oh la disgraziata, duve s’è juta a mintere; ca illa n’avìa picca rugna ‘e se grattare! Cumu si l’ha potuta ‘mbentare ‘ssa cosa? Si n’ha de pentere amaramente ‘e chillu c’ha fattu, ppe’ quantu è veru Cristu ca la ripinnu. Mi l’ha de venire a dire ravanti a Turuzzu duve m’ha vistu ‘a disgraziata e ccu’’ chine. Aspette figlia, lassece jire ppe’ moni, ca cchiù tardu passamu all’attaccu. Aspettamu quantu apere la putiga e cussi chiarimu tuttu ‘e capu a pieri. Allu buonu ‘e Dio, cummari mia! Ccu’ la ragione e lu tiempu ‘e cose se chiariscianu, tuttu vene a galla. (Nervosissima) Signu carma cummà’, puru si signu carma, però decisa a trovare ‘a verita puru s’è ‘ntra lu ‘nfiernu. (Prende sotto braccio la figlia). Jamu figlia, trasimu ca cuncertamu ‘e cose. Cummari ‘Ntonè’, permettitime. (Mentre Tiresina e Menuzza si avviano verso casa) Mo’ ce vo’, jati ‘nsarvamientu. V’arricummannu, facitive ‘na tazza ‘e gagumilla ca ve carme la nervatura. (Pensosa si siede al gradino e, mentre inizia a filare, entra in scena Maria, seguita dal figlio Turuzzu che porta sulla spalla una scatola piena di merce). ‘Ntonè’, cumu sempre già al lavoru; cca t’haiu lassatu e cca t’haiu trovatu. Si juta a mangiare armenu? E cumu no! Sacchi all’allierta ci ne ponnu stare? Nue ‘mbece oje amu fattu ‘nu pocu ‘e ritardu. Aviti fattu buonu, miegliu ‘e cussì. (Stupita) Cumu miegliu, allu commerciu s’ha de resere puntuali, i clienti nun ponnu aspettare. Io ‘mbece puozzu aspettare, no? Maniete, apere ‘ssa putiga, ca ‘ssa casciotta pise cumu ‘u chiumbu. 230 MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA E nu minutu figlici’ cchi cos’è! Quannu era ‘ntr’a trippa mia, t’haiu aspettatu nove misi, e benerica pisava chi mancu, e mo’ tu nun po’ aspettare ‘nu minutu? ‘Ntonè’, fuossi venutu ‘ncunu? Alla putiga noni. (Apre la porta della bottega ed entra Turuzzu) E io alla putiga ricìa, sinnò adduve poca. Pensava c’avìa saputu. Cchiri, c’avìa de sapire? Allura ‘u’ r’ha saputu nente? (Fa cenno col capo verso la casa di Tiresina). C’è statu ‘nu cinamu pocu primu assu vicinanzu chi nun te ricu; sapimu duve sbocche la cosa? Pecchì, ch’è successu, s’è liticatu ‘ncunu? Cchiuni Maria mia, cchiuni! (Fuori campo) Ma guarde cchi casinu: casciottelle, bottiglie, sacchietti: ce pare ‘na fera. Oi ma’, sbrighete ca sinnò m’assiettu e ‘un mi ne friche nente! ‘Nu minutu ‘e pacienza, cchi cos’è. Cum’è ‘mpattatu ppe’ la fatiga! E mo’ su’ tutti e n’errama manera: a ssi giuvini ‘e mo’ le piacianu sulu i soldini, i motorini e li giochi americani. Pue si n’accorgianu, ‘Ntonè’. Allura, riceme, cch’è successu? Via Maria mia, ‘na cosa grossa. (Allarmata) ’Ncuna risgrazia? Cummari Tiresina ccu’ la figlia se su’ ‘mbalenate ‘e mala race; parìanu riavute e volianu erva ppe’ cientu cavalli. E lu motivu, qual’era lu motivu? Gruossu Marì’, ‘mportante assai: chillu chi ‘nteresse puru a ttie. A mie, e cchi c’intru io, staiu veniennu mo’ ‘e ra casa. Chissu è veru, tu ‘u’ r’ha fattu nente, però tu si’ la mamma ‘e Turuzzu. E cchi c’intre figliuma a ‘ssa storia? C’intre e come, illu è propriu allu mienzu ‘e r’u vesparu. Cumu sai, Turuzzu ha lassatu a Menuzza. E mo’ si ‘n‘addunanu ‘e fare ‘a scenata, su lassati già ‘e tri misi, mo’ l’è benutu ‘u rulure? L’effettu è statu a scoppiu ritardatu? 231 ‘NTONETTA MARIA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA MARIA Noni Marì’, moni hannu saputu ‘u veru motivu: friscu friscu. (Va verso la porta della bottega) Turu’, fa’ chianu chianu, chillu chi po’ fare ca io tiegnu ‘na cosa ‘mportante ‘e sbrigare ccu’ ‘Ntonetta. (S’affaccia dalla porta della bottega) Io m’assiettu propriu e mi ne fricu; cca è tuttu lavuru pisante e ccu’ ‘ssu cavuru nun m’aggiove propriu ‘e nente. (Rientra borbottando). (Si tira un pizzicotto alla guancia per dire: che grande lavoratore che sei) Cumu ce curre alla fatiga, tene sempre ‘nu cujizzu gualu. Allura, riceme ‘Ntonè’. Marì’, parramune chiaru, ‘ncunu è jutu a parrare male ‘e Menuzza a figliuta e ci ha guastatu ‘a capu. Cose ‘e curtellate Marì! Sciuollu mie, possibile? A mie me risurte ca su’ lassati ppe’ lu carattere; ca illa era articulusa e ‘mpaccera. Noni Marì’, ‘mbece è statu ppe’ lli corna. Sempre secondu ‘ssa gran ruffiana però. Madonna mia beneritta, ‘a cosa paria finita ‘n ‘mpace, ‘mbece ‘n’atra vota cumince. Mamma e figlia su’ malintenzionate, anzi su’ ‘ndiavulate, e priestu vonnu fare ‘nu chiarimentu completu: ‘nu facc’e prova ‘nzomma. Ma tu vire cchi storia, una vene ppe’ ss’abbusc-care ‘nu piezzu ‘e pane e ‘mbece trove ‘na fera aperta. E’ lu veru Marì, tieni propriu ragione! (Sconsolata si avvia verso la bottega) Mah, nue simu cca, nun avimu nente cchi ammucciare e d’avìre paura; male ‘u’ n’amu fattu, perciò…’Ntonè’, quannu venanu, nue simu pronti. (Mentre Maria entra in bottega e ‘Ntonetta riprende a lavorare, entra a passo svelto Marru Cicciu. Ha in mano un giornale e sotto il braccio il borsellino. Zoppica vistosamente. Mentre apre la porta del suo salone, si rivolge scherzosamente a ‘Ntonetta) M. CICCIU Buon pomeriggio alla signora ‘Ntonetta, maestra fina di fuso e cunocchia. 232 ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA M. ‘NDRIA M. CICCIU ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA Puru a tie, grande tecnico dei peli e affini. Sa cchi te ricu, aperete ‘ssa putiga e pocu scherzi, ca oje ‘u vicinanzu è ‘n guerra. Perciò, tenete prontu e cussì nun sc-canti. Ntonè’, tu chiecchiarìi o rici raveru? ‘N’atru pocu ti n’adduni, nu’ l’ha ‘ntisi i truoni? (Stupefatto e incuriosito) Nun me po’ rare mica ‘n’anticipu? E’ troppu luongu ‘u fattu, troppu esplosivu, abbi pazienza, se tratte de minuti. Tieni pressa, duv’e jire? A nulla parte, questo è il mio regno (indica la bottega). Su’ trent’anni c’aspiettu sempre a ‘ncunu, figurate si me ‘ncrisce propriu mo’ ppe’ pochi minuti. Ma cchiù o menu ‘e cchi se tratte? (Gli fa segno di zittire) Cose chi te fannu ‘ngrignare i capilli, Marru Ci’. Trase, statti citu e aspette. (Con movenze lente si avvia ad entrare in bottega) Mi fido di te Ntonè’, io mi ritiro, però quannu ce su’ novità me chiami. Si ancora tieni bona ‘a ntisa, nun c’è bisuognu ‘e te chiamare, ca ti n’adduni sulu quannu cumince l’incontru. (Entra in scena; è un po’ gobbo e veste indumenti pesanti malgrado faccia caldo. Porta il cappello e in mano un bastone). Finalmente ca ci l’haiu trovatu chillu spasulatu ‘e varvieri! (Ad alta voce) Marru Ci’, ne tieni capu ‘e carusare? (Affacciandosi alla porta) Ma quale capu Marru ‘Ndri’, ca mo’ si le fannu criscere ‘nfinu alla catrea i capilli e nue guardamu ‘e ciavule chi passanu. Su’ tri jurni chi nun puozzu fare ‘na capu, trase ca te sbrigu a lampu (accenna ad entrare). Tu nun te fa criscere i capilli, marru ’Ndri’? (Non si era accorto della presenza di Ntonetta) Ntonè’, tu si’ cca? Neca t’avìa bistu. E duve vue ca vaiu, chissu è lu postu mie ‘e villeggiatura: ‘u scalune. E pue ce signu affezionata, cumu fazzu a lu lassare? Quindi si’ contenta e cussì? Questo è il tuo mondo? ‘U vi’, me diviertu ccu’ lu fusu, juocu ccu’ illu. 233 M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA M. CICCIU E tu si ca si’ fimmina ‘e casa, premurosa e lavoratrice, l’atre fimmine a chist’ura su’ stennicchiate supr’a rina e ‘ssi mari mari a ss’arrustere. Viate a ille ca ‘u ponnu fare, ca se ponnu cacciare tutt’i chiuriti. E a tie chine te ‘mpedisce; ogne tantu, nun ti lu po’ pigliare puru tu ‘nu jurnu ‘e sbagu: cchi te ricu, ‘na gita allu mare ppe’ r’esempiu. Mo’ l’ha ritta propriu bona, vaiu rugnu spettaculu menza culinura ccu’ chilli ruvi cinguli, unu supra e ‘natru sutta, chi sacciu cumu pesta se chiame (mima le parti del corpo interessate). Forse vo’ rire il due pezzi? Vire tu cumu ‘u vo’ chiamare, certu ca su’ cose ‘e pazzi. Nun ce su’ problemi Ntonè’, si tu ce vo’ jire te tieni ‘a suttana e cussì risorvi il problema e frechi a tutti. E a Duminicu duve ‘u minti, ti l’ha scordatu a illu? E cchi c’intre Duminicu mo’, illu è all’America, forse propriu allu mare ccu’ ‘ncuna signorina. Cchi c’intre? E biellu mie si sapissi quantu è suspettusu. Ho capitu, ma tu neca po’ aspettare a illu ppe’ te fare ‘nu bagnu. E pue ccu’ ‘ssu lemperu ‘e cavuru rice propriu. E torna Marru ‘Ndria, to’! ‘Na vota, roppu ch’è partutu, signu juta sula a Cusenze a m’accattare ‘na cappottina, l’erramu l’ha saputu e vi’, ppe’ miraculu nun m’ha chiantatu. ‘U’ m’ha scrittu ppe’ sie misi, atrica gite allu mare e cosce ‘e fore al sole. Troppu gelosu l’amicu. E puru me parìa ‘n’omu normale, mancipatu. E chine si la crirìa! Duminicu gelosu, mah! Marru ‘Ndri’ ‘a lontananza fa’ ‘sse cose: ‘a fantasia joche e fa birere sempre tri ppe’ quattro. E’ tuostu, Marru ‘Ndri, sinnò all’età mia chine vo’ ca te guarde cchiù? E’ lu veru; comunque ‘u telecomandu ‘u tene Duminicu all’America e te fa jire in onda supra ‘u canale chi vo’ illu. Ottimo progressista! (Affacciandosi sull’uscio della bottega) Marru ‘Ndri’, si’ pentutu? I fierri su’ già pronti e pue si viene qualche atro cliente io nun ne vuogliu fare nente: ti freca il posto e passi secondo. 234 M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. N’DRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA E de ‘sse paure ‘un ci ne sunnu: ‘a fulla se friche. Allura Ntonè’, causa Duminicu e a scanzo di equivoci, ppe’ mantenere ‘a pace, ccu’ ‘ssi lemperi ‘e cavuru ti ne sta’ ‘nchiovata a ‘ssu scalune. Quantu pacienza tieni ‘Ntonetta mia! Mancu assettata a ‘na poltrona, ma a ‘nu scalune ‘e petra ‘e jimara tosta! Cchi ce va’ fa’, ormai ce signu ‘mparata, ci ho fatto il callo a stare assettata. Bisogna avere pazienza. Vo’ dire ca quannu vene Duminicu pue te runi alla pazza gioia, te minti ‘ncaminu e ricuperi tuttu a ‘na vota. E cumu no, fra cinque o sie anni, si vo’ Dio, facimu ‘a secunna luna di miele; propriu quannu simu ‘mbecchiati e ragamu i pieri. Pue tannu se ricoglie cazzera e facimu ‘u giru d’Italia ‘nziemi alli ciclisti. A propositu ‘e giru, chillu di nozze duve l’ha fattu? Alli “Pantaniti”, a chiantare patate ‘nziemi a chilla riavula ‘e socrama. ‘Nzomma, t’è juta sempre bona la vita, ha cuminciatu a te divertere propriu priestu. ‘E quannu signu nata s’è ppe’ chissu: tannu, allu scuru, m’ha fattu carire ‘nterra puru ‘a levatrice. Chissa pue è lu massimu! E cumu ha fattu ‘ssa specialista? Eh, caru Marru ‘Ndria! Ca propriu a chillu momentu nun ti la va muzziche ‘na vespa a ‘nu vrazzu e ppe’ si la cacciare ha lassatu a mie. Signu salva ca signu caruta ‘e pieri cumu ‘e gatte, sinnò cumu era affacciata allu munnu mi n’era juta. E forse era statu miegliu, ca nun avissi fattu ‘ssa vita ‘e peniamientu, sula cumu ‘nu cane. Ti capisco ‘Ntonè’, come ti capisco cchi bene a dire stare suli a r’aspettare a chine ‘un vene mai. Supra ‘ssu campu tiegnu ‘na lunga esperienza. Su’ già passati cinque anni ‘e quannu si n’è juta chilla buonanima della mia compagna (si commuove e si asciuga le lacrime col fazzoletto). Coraggiu, Marru ‘Ndri’, ce vo’ coraggiu! E ci ne vo’ puru assai cara ‘Ntonetta. Mah, ccu’ tuttu chissu, vaiu sutt’i fierri da Marru Cicciu; ‘ssu discursu ‘u continuamu ‘n’atra vota, ‘u facimu a puntate cumu ‘a televisione. Con permessu. (Mentre entra dal barbiere) 235 ROSINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA Ecco maestro, sono tutto ppe’ ttie. E t’arricummannu, sulu piettine e forbice, pecchì ‘a macchinetta pizziche e zillichìe. (A passo svelto entra in scena. Ha in mano la borsa per la spesa e si dirige verso la bottega di Maria) Allu friscu ‘Ntonè’? (Vedendola ha un sussulto) Raveru Rosì’, cumu sempre ne rifennimu. Ca tu ‘u’ lu viri cchi cavuru chi s’è botatu! (Curiosa e preoccupata) Parica quannu m’ha vistu si sccantata, cumu va’ ‘Ntonè’? E noni Rosì, pecchì avìa de sc-cantare; forse haiu avutu cumu ‘nu sgrizzune ‘e friddu. Ccu’ ‘ssu cavuru? A vote nun vo’ dire nente, ‘a vita norra è curiusa e certe vote sgrizze. Cumu rici tu ‘Ntonè’, cumu se rice: ognunu è miericu ‘e se stessu. Mah, ccu’ tuttu chissu, vaiu a ‘ssa putiga, fazzu ‘nu pocu ‘e spisa ppe’ stasera. E cumu se fa’, ricica ni la ‘mpicamu ‘a trippa? Allura vaiu, permettittime! (Mentre Rosina entra nella bottega, ‘Ntonetta, preoccupata di quello che sta’ per accadere, mette le mani giunte e guarda verso il cielo implorando Dio) Mo’ cumince la tropìa! Allu buonu, Maronna mia, allu buonu ’e Dio! (Riprende a filare). (Accortasi che Rosina è entrata in bottega, esce di casa con grande furia e agitazione) Finalmente è giunta l’ura ichissi! ‘A ‘nfame è passata, no ‘Ntonè’? (Con imbarazzo e tremore) Sini, è passata; ma carmete, use ‘a ragiune cummari Tiresì’. Vire chillu chi fai ca po’ jire ‘ngalera. Ma quale ragiune e galera, mo’ ci lu fazzu virere io chin’è Tiresina, ci le fazzu mangiare io ‘e parole bugiarde c’ha dittu ‘a granne ‘nfamune. Carmete cumma’, riflette, vire chillu chi fai! L’ura è benuta, a noi. Se passe all’attaccu! (Entra urlando in bottega). (Preoccupata, va avanti e indietro, poi sta per entrare in casa ma si pente) E’ cuminciata ‘a guerra! 236 TIRESINA ROSINA TIRESINA MARIA TURUZZU TIRESINA (Fuori campo si sente la voce di Tiresina) ‘Nfame, farabutta, venzunara! Mi ne sucu ‘u sangu! Te chissa. (Si sente il rumore di bottiglie che cadono) Te mintu ‘a cecafuca, ‘u nume ‘e figliama alla vucca tua fetusa. Ih, malanova tua! Te mannu all’atru munnu. (Fuori campo) Aiutu, aiutu, Marì’! Ohi cchi demoniu! Nun sacciu nente io, nun haiu rittu nente. Ti la nieghi puru? Ih maleritta purpettara, te penzava c’a passava liscia? Corna alla casa mia nun n’hannu mai giratu. (Fuori campo) Mo’ basta, fermete, parramu, chiarimu ‘a cosa. (Fuori campo) Carmete Tiresì’, c’è ‘nu ‘quivocu; Rosina è innocente, nun c’intra nente povarella. (Fuori campo) Cchiri, ‘a finisciu? Siti tutti r’accuordu, nun me convinciti. Vieni cca ca te rugnu ‘u riestu, ohi sbrigognata! (Sconvolta, esce di corsa dalla bottega Rosina, che è rincorsa da Tiresina, seguita da Maria e da Turuzzu. Rosina si protegge dietro ‘Ntonetta che, spintonata, finisce a terra. Nel frangente, Rosina si infila in casa di ‘Ntonetta e chiude la porta) ROSINA TIRESINA (Fuori campo) Te puortu alla curta, bruttu demoniu! T’ammucci? Esce fore si tieni curaggiu, ohi cupellu’! Ma nun tinne ‘ncarricare, c’è tiempu ppe’ te ripinnare bona! Chillu chi t’haiu ratu è sulu ‘n’anticipu, i cunti precisi ‘e facimu quannu te truovu sula a ‘ncuna rasa. (Alle urla, accorrono Marru Cicciu e Marru ‘Ndria che ha la tovaglia al collo e la faccia insaponata) M. CICCIU M. ‘NDRIA TIRESINA M. ‘NDRIA M. CICCIU Cch’è successu? Ccu’ chine ‘a tieni Tiresì’? Ccu’ chine nun s’ha fattu i fatti sue. (Gridando vicino la porta di casa di Ntonetta) T’è benuta mo’ ‘a tremarella, ohi faccia gialla! Apere ca te rugnu ‘nu vasune alla facce ccu’ lli rienti. A chine Tiresì’? Cchi cosa t’ha fattu? 237 TIRESINA M.CICCIU ‘NTONETTA M.CICCIU ‘NTONETTA M.CICCIU ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA TIRESINA TURUZZU TIRESINA MARIA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA TIRESINA MENUZZA TIRESINA (Fuori di se) L’onure, Marru ‘Ndri’, m’hannu ammacchiatu l’onure ‘e figliama (scoppia a piangere, consolata da ‘Ntonetta). (Interessato e serio) Oh perbacco, è ‘na cosa seria dunque? Ma statti citu ppe’ piacere, arrassete ‘e lluocu, ssu spilione! ‘Mbece ‘e ru stutare ‘u fuocu, l’appicci? No, nun sia mai, io signu sempre ppe’ la pace. Allura statti citu ca è miegliu. Marru ‘Ndri’, chiamatillu e ritirative, ca ‘u sapune ‘e r’a facce se sta siccannu. Chisse su’ sulu cose ‘e fimmine. Io volìa dare sulu ‘na manu, ma si tu rici di no, nun ce su’ problemi; mi ritiro. Sini Marru Ci’, ha capitu buonu, vavatinne! Maestro, ha capitu? Ni n’amu ‘e jire. (Accennano a rientrare in bottega, ma si attardano a curiosare). (Prende per un braccio Tiresina e la scuote) Mo’ basta cummà’, ragiune, nun dare gustu alla gente. Ccu’ carma chiarimu ‘e cose. Be, virimu, io signu pronta. Però l’amu ‘e chiarare mo’ c’a cosa è cavura. Avanti, chiamamu ‘e parti interessate alla vicenda. Signò’, ti lu staiu riciennu a ‘n’ura ca c’è ‘n’equivocu in partenza ‘e r’u fattu. (Altezzosa) E tu nun me chiamare ‘e ccussì! Cchi bene a dire ‘ssa signò’: signu casalinga io, ‘e razza onurata e fatigature. Turù’ modere ‘e parole ‘n’atra vota. Scusame, vo’ dire ca nun ti ce chiamu cchiù ‘e ccussì; t’avissi ‘e offendere ppe’ chissu! Turù’, abbicinete, vieni vicinu a mie. (A Tiresina) Tu statti queta, t’arricummannu. Va bene, io staiu carma, purchè parramu e chiarimu tuttu. (Ad alta voce chiama la figlia ch’è in casa). Menù’, Menuzza. (Fuori campo) Cchi bue ma’. Vieni fore ca è arrivata l’ura ‘e r’a verità: facimu ‘u facc’e prova. 238 MENUZZA TIRESINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA ROSINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA ROSINA TIRESINA MENUZZA ROSINA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ROSINA TIRESINA (Imbarazzata, gira lo sguardo per tutta la scena. Si accorge della presenza di Turuzzu, col quale scambia occhiate di fuoco ) Me pare ca ce manche propriu ‘a ruffiana. Mo’ vene puru figlice’, ‘a facimu escere ‘e forza. (Si avvicina alla porta di ‘Ntonetta) Esce, vieni fore, vieni nu rice ravanti c’ha vistu e c’ha ‘ntisu. (Un po’ seccata) T’haiu rittu ‘e stare queta; e mo’ basta! (Chiama Rosina) Vieni fore, Rosì’. (Fuori campo) Noni ‘Ntonè’, nun puozzu venire. Esce, nun te spagnare ca ce signu io. Chiarimu tuttu e cussì se finisce ‘ssa storia. Dai, apere. (Fuori campo) Allura mi l’assicuri? Ma sini, esce squitata. (Rosina esce con timore e va a ripararsi dietro a ‘Ntonetta, la quale però la prende per un braccio e la mette al suo fianco) E bieni avanti, quantu mosse. Be, cuminciamu! Cummari Tiresì’, tu statti queta, t’arricummannu! (Minacciosa guarda Rosina) Guardatila ‘a mobile cum’è bella! Quannu ‘nfangavi a figliama nu’ n’avìa paura no, mo’ ti la cachi? Basta, ‘e mo’ avanti vuogliu sentere sulu fatti e no minacce e fantasticherie. Rosì’, avanti, parre, rice cumu su’ jute ‘e cose. Nun sacciu nente io, signu ‘nnocente, signu accusata senza curpa. Cumu, t’hannu ‘ntisu parrare e come. C’è chine t’ha vistu tramare ccu’ ‘na persona, riciennu cose ‘nventate e porcherie. (Più risoluta e decisa a fare chiarezza) Allura riciti chin’è ‘ssa persona e ccu’ chine m’ha ‘ntisu parrare ‘e tie. Portatimilla ravanti, ca pue virimu chine mente. E’ ‘na persona chi nun puozzu ‘nduvinare. Tiresì’, e de cussì nun cunchiurimu nente: ppe’ benire bona ‘a causa e fare trionfare ‘a giustizia ce vonnu i testimoni. Me signu giurata ca nun la ‘nduvinava ‘ssa persona. Allura nun è veru nente, m’aviti ‘ncurpatu senza motivu. Tu e ccussì dici? E mo’ virimu allura. (Da un’occhiata intorno e poi chiama marru Cicciu) Marru Ci’, vamme chiame a Peppinella ‘a romantica ppe’ piacere. 239 M. CICCIU TIRESINA ‘NTONETTA MARIA M. CICCIU TIRESINA ROSINA TIRESINA MENUZZA ‘NTONETTA MARIA TIRESINA M. CICCIU ROSINA TIRESINA ‘NTONETTA MARIA M. ‘NDRIA M. CICCIU (Un po’ titubante si avvicina a Tiresina) Veramente tiegnu a marru ‘Ndria ‘nzapunatu, già pronto ppe’ l’operazione pilifera. E cchi cazzu è, te trovassi ‘na vota disponibile! S’è ppe’ chissu, su’ già ruve ure ch’è ‘nzapunatu. Quantu storie, me bate si ‘e jire, arrieti lluocu sta Peppinella, parica ‘e jire a Londra? Allura vado subito, vado subito. Marru ‘Ndri’, abbi pacienza, torno a lampu. Mo’ vuogliu virere si ti la nieghi ravanti a Peppinella. E mo’ virimu! ‘Ssa ciotagliune faluotica nun la viju a cchiù ‘e ‘nu mise, duve m’ha ‘ntisu parrare, alla pestachilevegna? Aspette, mo’ vene e ti lu rice illa quannu e ccu’ chine. E le falsità chi ricìa a chillu signore chi si le collava. Calme, v’arricummannu, e faceti parrare ‘a teste Peppinella mo’ c’arrive, sinnò nun arrivamu mai alla verità. Ma guarde ‘nu pocu cumu se complicanu ‘e cose, parìa ‘na cosa ‘e nente, ‘mbece…. Ppe’ ttie Marì, no ppe’ la famiglia mia, ppe’ ‘ssa giuvinella ‘e figlia, umiliata e offesa. (Si sentono dei passi) Sta arrivannu finalmente! (Compare solo marru Cicciu) E Peppinella? E si sapissi, cara Tiresina! Appena ci haiu rittu ‘u fattu, è fatta gialla tutt’a ‘na vota e d’a paura l’è benuta ‘a cacarella. Quindi, ora, se trove a ‘nu statu chi nun po’ viaggiare. Parica ha de jire all’America, ‘u vi’ ca se spagne, ca tene la cura ‘e paglia. Cchiri, tene la cacarella e ‘un bene? Ci la fazzu passare io, ce fazzu ‘na cura ‘e cavuci a chillu postu e ci la ‘ntippu. (Di corsa va lei a chiamare Peppinella). Povera Peppinella, mo’ si ca le passanu ‘e coliche e li ruluri romantici! ‘Ntonè, illa si c’è misa a ‘ssu ballu e mo’ abballe! Marru Ci’ quannu finiscimu, su’ due ure ccu’ ‘ssu sapune alla faccia. Miegliu, cussì ‘ss’anziti s’ammorbidiscono bene e nun m’ammarri ‘u rasulu. E pue cchi pretendi, nun lu sai ca 240 quannu se lavore al pubblico ci sunno sempre gli inprevisti; e cussì l’operazione si allonghe un pochino. M. ‘NDRIA Menumale ca tiempu n’avimu a sufficienza qui da noi al sud, ma s’eramu a Milanu, marru Ci’, ccu’ ‘ssa sveltezza chi tieni, potìa chiudere, ricica ce venìa ‘ncunu pulentune duve ttie. M. CICCIU E’ lu nuorru naturale chissu, ni l’ha datu Gesù quannu ci ha criati. E ha fattu bene, pecchì ha pensatu: chissi tenanu bisuognu ‘e penzare assai e di fare ‘e cose ccu’ calma, sinnò ccu’ ssu cavuru povari figli se squaglianu. M. ‘NDRIA Quindi n’ha bolutu bene? Ah, ppe’ chissu c’è poca fatiga e chiacchiere assai! ‘NTONETTA Mo’ su’ dati alla politica e alla storia e ti lu ricu io chillu chi ne po’ escere. Me fucative ‘u mussu ca ce su’ cose cchiù ‘mportante ‘e chisse mo’. (Compare Tiresina trascinando per un braccio Peppinella la quale trattiene la pancia con la mano). TIRESINA Eccu a’ testimone culare! Avanti, sbrighete, parre; rice chillu c’ha vistu e ‘ntisu. PEPPINELLA Tiresì’, i patti però nun eranu chissi, ‘e r’u giuramentu tinne sei fricata. TIRESINA Ma quale giuramentu e giuramentu, io tiegnu ‘na figlia ‘e salvare, l’onure ‘e difendere! Avanti, rice chillu ch’è esciutu ‘e r’a vucca ‘e ‘ssa buggiardune (rivolta a Rosina). ROSINA (Con risolutezza) Si, parre, virimu cchi m’ha ‘ntisu rire e duve m’ha vistu. ‘NTONETTA (Scuotendola) Dai, riciaccellu. PEPPINELLA (A testa bassa) Haiu vistu a Rosina chi cunfessava a Turuzzu. M. CICCIU ‘Ntr’a chiesa Peppinè’? M. ‘NDRIA (Scandalizzato) Gesù, Gesù, è peccatu mortale! TIRESINA Citu vue, arrassative ‘e lluocu e jativinne. Cunte Peppinè’, rice duve l’ha ‘ntisa e l’ha vista. PEPPINELLA ‘Ntr’a putiga ‘e Maria: Turuzzu projia la ricchia e Rosina cuntava. TIRESINA Ha ‘ntisu? Negatilla mo’ si tieni curaggiu. ROSINA E va bene, si, amu parratu, però no de figliata Tiresì’. Turù’, riciaccellu tu. 241 TURUZZU Certu ca è statu…. (Gli viene impedito di continuare a parlare da parte di Tiresina). TIRESINA Citu tu, ancora nun te tocche de parrere. TURUZZU (Un po’ alterato) ‘Nzomma signu ‘mputatu o no, ‘ssa verità a voliti sapire? TIRESINA A tiempu giustu parri. TURUZZU (Con enfasi) Allura aspettamu quannu il signor giudice me rune la parola. MARIA Silenzio, fa’ parrare alla pubblica accusa mo’ e pue parri tu e Rosina. M. CICCIU Giustu, propriu cumu alli processi: prima l’accusa e pue ‘a difesa. TIRESINA (Guarda marru Cicciu di traverso) Basta ccu’ ‘sse paranghelle, Peppinè’, rice ‘u tema. PEPPINELLA ‘N’atra cosa mo’ è esciuta fore, cchi ne sacciu io ‘e ssu tema: signu alfabeta. TIRESINA (Adirata) ‘U fattu ‘e r’a causa Peppinè’, chillu c’ha ‘nfamatu a figliama. PEPPINELLA Si va bene, ‘u fattu era de corna e de ‘ncorniciamento. TIRESINA Ha’ vistu? ROSINA E quale articulu ‘e legge rice ca ‘ntr’i negozi pubblici nun se po’ parrare ‘e ‘sse cose? TURUZZU ‘U codice ‘e Peppinella, chillu chi s’ha ‘mparatu all’università ‘e r’u Spitalettu. M. CICCIU E già, là i processi le fannu precisi, è ‘na sede molto affermata e seria. M. ‘NDRIA Certu, ce su’ prufessuri ‘e prima classe, avucatuni. TIRESINA V’haiu rittu ‘e ve fucare ‘u mussu a bue ruvi. Cunte Peppinè’. PEPPINELLA ‘Nzomma, Rosì, tu ha rittu ca puru Menuzza…. ecc, ecc… ROSINA Ih ciotagliuna! Cumu sempre ha pigliatu fischi ppe’ fiaschi. Va’ te passe ‘na visita alle ricchie ca ne tieni bisuognu. Eccu duv’è lu ‘quivocu: ‘a bestia ha capitu “puru Menuzza” ‘mbece ‘e “però Menuzza”. M. CICCIU ‘Nzomma c’è ‘nu piru ‘e mienzu, no Rosì’? ROSINA Nu “però” marru Ci’ e no ‘nu piru. M. CICCIU E ppe’ ssu “però” è successu tuttu ‘ssu putiferiu? 242 TURUZZU Propriu ‘e cussì, chissa è la sula e unica verità. Rosina povarella anzi ha dittu: però Menuzza nun ha nente a cchi fare ccu’ ‘sse porcherie, è ‘na guagliune onesta e pulita. (Tutti rimangono sbalorditi di questa nuova verità) ROSINA ‘NTONETTA ROSINA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU TIRESINA M. ‘NDRIA (Quasi in lacrime) Sente Tiresì’, sentiti tutti gente ‘e r’u vicinanzu, Rosina è sincera, è chiara ‘e facce e de core. Chissu è vangelu. ‘E r’a vucca mia su’ esciute sempre parole ‘e pace e d’amure e no ‘sse lordìe mise ‘ngiru. Sini, sini Rosi’, e mo’ ricica ‘un ne canuscimu? Certe vote se piglianu male ‘sse cacchie ‘e parole; cchi ce va’ fa’, ccu’ Peppinella norra ce vo’ ‘nu pocu ‘e pacienza. Ppe’ chillu chi m’ha fattu ci ne vo’ propriu assai ppe’ nun la cacciare ‘e r’u munnu. (Inveisce contro Peppinella) Cchi m’ha cumbenatu, malanova tua! Me guardala, me guardala cchi fimmina! ‘N’atra vota sbullete ‘e ricchie maleritta romantica! (Peppinella, in grande imbarazzo, continua a trattenersi la pancia con una mano) ‘A purga t’ha fattu effettu no? Avissi ‘e sc-cattare propriu. Mo’ vo’ dire ca ppe’ ‘ssa vota ‘a perdunati. E pue, cummari Tiresì’, quantu vote è successu a ‘ssu paise ca ‘e parole ‘e trasformanu mentre caminanu, mentre passanu ‘e vucca a vucca: alli suttani una rice “c”, alla chiazza ce mintanu “o”, allu travu ‘a erre, alle pezze ‘u “na” e alle baracche diventanu corna. E’ propriu ‘na caratteristica paisana chissa, ‘nu giornalismu norrale terra terra, dicimu. E’ lu veru, cummari ‘Ntonè’, tieni ragione; Però, ‘ssa parolicchia chi s’è formata ‘a via via caminannu cumu ‘a cacci cchiù ‘e r’a capu ‘e r’a gente, cumu fa’ ppe’ la fare tornare torna arrieti ‘e duve è partuta? In questo caso ce volissi la marcia indietro. No, marru ‘Ndri’? Ce volissi la pestachitevegna! U’ palu ce volissi, chissu fuossi lu rimediu giustu. (Riferendosi a Peppinella) Chissu tuttu ppe’ ttie, gazzettà’! Povera donna, se vogliamo poi tanta curpa nun ne tene; ‘nu pocu semplice c’è ed è veru, ma la curpa maggiore è della 243 televisione italiana chi l’ha ‘nfruenzata. Vue ce scherzati ccu’ tutti ‘ssi “butifulli” e “quando si ama”, quantu corna circulanu ogne jurnu ‘e sse case case e illa, poverina, l’ha visti puru ‘ntr’a putiga ‘e Maria. ‘U’ r’è veru Peppinè’? (Peppinella timidamente annuisce) TIRESINA M. CICCIU ‘NTONETTA TURUZZU M. CICCIU TURUZZU M. CICCIU TURUZZU M. ‘NDRIA M. CICCIU M. ‘NDRIA TIRESINA TURUZZU Illa, chi è affermata giornalista gazzettara, ha fattu il suo dovere: l’ha propagandati senza sapire ‘u rannu chi facìa. Cchi trama oh, parìa ‘na fissaria, ‘mbece ‘n’atra pocu ce volìa l’ispettore Cattani ppe’ ne escere. Pue tuni varvì’, nun cunchiuri mai quannu parri; statti citu ch’è miegliu. Peppinè’, chissu ti lu ricu ppe’ ‘mparamientu: ‘n’atra vota, ‘u ragionamentu ppe’ lu giudicare, le sentere tuttu, sinnò, ccu’ ‘ssu metudu tue, po’ fare scoppiare puru ‘na guerra atomica e ne fa’ morire a tutti. (Spaventato fa gli scongiuri) Maronna mia, nun sia mai! A dire u’ veru, ccu’ Rosina l’argomento corna in questione l’amu trattatu veramente, però ‘ngenerale e la povera Peppinella, di passaggio, ha afferrato solo ‘u significatu peggiore del tema. ‘Nzomma, ‘na cosa ad alto livellu: antropologica? Si diceva che questo ramo, cioè le corna, ci sono sempre state a ‘nzignare dall’antichità, ma che ai giorni norri, sono molto più sviluppate, ramificate e diffuse. ‘U’ ne parramu, ‘u’ ne parramu! Cumu ciervi, marru Ci’, cumu ciervi. Forse oggi le prevede la costituzione italiana? E’ molto prubabile, vistu ca l’onorevoli nuorri le tenanu ‘ntorciniati e a colori. Mo’ basta, chiurimu ‘u spettaculu ch’e statu luongu e divertente abbastanza; e ‘n’atra vota, prima ‘e aperire ‘a vucca, penzati buonu a chillu chi riciti. (Invita Menuzza a rientrare in casa) Ormai ‘a cosa è chiarita: jamuninne figlia. (Visibilmente commosso) Menù’, fermete! Signora Tiresì’ aspettati ca vuogliu chiarire tuttu ‘e capu a pieri. (Tutti ascoltano con interesse e stupore). ‘A curpa ‘a tiegnu io s’è scoppiatu tuttu ‘ssu putiferiu. Tra mie e Menuzza c’eranu 244 ‘NTONETTA M. ‘NDRIA M. CICCIU TURUZZU M. ‘NDRIA TURUZZU M. ‘NDRIA TURUZZU state sulu parole ‘e nente, senza ‘mportanza, chi nun c’intranu propriu nente ccu’ l’argomentu diffusu ‘e Peppinella. ‘U sapimu, ‘u sapimu ca erati ruvi gigli. Ha capitu marru Cì’? (Lo scuote per un braccio). (Colto di sorpresa sobbalza) Eh, certo, certo: ‘nzomma, niente attrezzi pericolosi ‘ntesta, vero? Cumu se rice: n’eramu concessi solo una pausa di riflessione, cosa normale tra fidanzati. Non è veru marru ‘Ndrì’? E cumu no, certu, ‘e ‘ncazzatine e li rispettucci ppe’ l’amure su’ cumu ‘u zuccaru, ce vonnu e come; ‘u fannu crescere e le prevede puru ‘u patronu: S Valentinu. Sulu ca nue ‘u’ r’avìamu previstu a santa Peppinella e le sue geniali ‘ntuizioni. Turù’, chisse cumu ‘e po’ fermare, tenanu ‘na licenza speciale. Ci ne su’ state e ci ne sunnu Peppinelle ‘ntra ‘ssi vicinanzi chi fannu liticare ‘a gente ppe’ nente, ppe’ le sentenze facili chi sfurnanu tutti i jurni senza sapire ‘u male chi ponnu fare. (Si avvicina a Menuzza e le cinge il collo con un braccio) Menù’ io signu ‘u stessu ‘e prima, nun è cangiatu nente, l’amure ppe’ ttie è sempre ranne e cocente! (Tutti assistono commossi. Marru Cicciu si stropiccia le mani per la gioia) MENUZZA TURUZZU M. CICCIU TIRESINA Però ‘e oje avanti, senza pause cchiù! Ti l’assicuru! E mancu Peppinelle, statti tranquilla. ‘E ‘ncazzatine passanu, però l’amure veru trionfe sempre. (Imbarazzata) Rosì’, perduname ppe’ lu ranne ‘quivocu; ne simu fatte portare ‘e r’u riavulu! PEPPINELLA Allura, mo’ chi ce siti, perdunatimme puru a mie ppe’ r’avìre ‘mbiatu ‘ssa ranne timpesta. ‘N’atra vota vo’ dire ca me sbullu ‘e ricchie ppe’ sentere bene. ROSINA (Allarga le braccia in segno di accondiscendenza alle suppliche) Su’ cose chi succeranu, cchi ce jamu facimu; ‘u ‘mportante è c’amu chiaritu ‘a cosa. Io ve perdugnu a tutti e cumu sempre rimanimu ccu’ ranne amicizia. M. CICCIU (Batte le mani e saltella) E’ scoppiata ‘a pace! 245 MARIA Sia lodato Dio! Ohi quantu haiu pregatu ppe’ ‘ssu momentu ‘e pace. (Maria abbraccia il figlio e Menuzza; lo stesso fa Tiresina. Si abbracciano anche Maria e Tiresina., mentre gli altri gioiscono e battono le mani. In quest’atmosfera di festa entra in scena Micuzzu di ritorno dal lavoro. Ha in mano un mazzo di fiori da regalare alla moglie per il suo compleanno) MICUZZU TIRESINA MICUZZU M. CICCIU M. ‘NDRIA MICUZZU TIRESINA M. ‘NDRIA ROSINA MICUZZU TIRESINA Me guarde me guarde, e cchi v’è pigliatu oie, cchi su’ ‘ssi festeggiamenti? (Imbarazzata ma felice) Micu’, si’ benutu propriu allu momentu giustu. Se vire c’haiu ‘ntuitu l’aria ‘e festa. ‘Nzomma, ‘e cchi se tratte? Eh si sapissi ch’è successu Micù’! ‘Nzomma, ‘na cosa, ‘na cosa chi nun ci haiu capitu nente. ‘U’ r’e veru marru ‚Ndri’? E cumu no‚ na cosa partuta male e finita bene. ‘Nzomma, cchir’è ‘ssa cosa misteriosa e difficile? (Inventa una bugia) E’ arrivata ‘a penzione a Rosina. Mo’ jamuninne ca pue alla casa te cuntu tutt’a storia. Nun è veru Rosì’? Se se, propriu quannu u’ statu le sta cacciannu a l’atri E’ lu veru Tiresì’. È veru! Puru l’arretrati Micù’. Allura tanti auguri a Rosina. Certu ca c’è bisuognu ‘e festeggiare. Rosì’, ‘ssu mazzu ‘e juri ti lu rassi ccu’ tutt’u core ma l’haiu portatu a Tiresina mia ca oje compie l’anni. Te Tiresì’ (Tiresina prende il mazzo di fiori con tanta emozione). Grazie Micù’ ‘e ‘ssu biellu pensieru addurusu e gentile. (Tutti danno gli auguri alla festeggiata) MARIA ‘NTONETTA ROSINA PEPPINELLA E ‘u’ n’avìa rittu nente! Ppe’ cent’anni cuntenta cummari mia. Agurìi e tanti jurni ‘e chissi sempre cuntienti. (Timidamente porge la mano a Tiresina) Agurìi ppe’ l’anni. 246 TIRESINA M. ‘NDRIA MICUZZU M. ‘NDRIA M. CICCIU MICUZZU M. CICCIU TIRESINA (Abbraccia Peppinella) Vieni cca, abbrazzeme Peppinè’ nun te spagnare ca nun te muzzicu, runeme ‘nu vasu. (Peppinella esegue l’invito ricevuto). E chine si la crirìa oje ‘ssa sorpresa: eramu partuti ccu’ ‘na guerra totale e simu arrivati ccu’ due feste! Cchi fantasia ranne c’avìmu! Quale guerra marru ‘Ndrì? Nulla guerra Micù’, sulu parole ‘e vicinanzu, senza fare male, cumu allu teatru ‘nzomma. Rropa ‘e fimmine Micù’: a ‘nu mumentu grirate, jestigne, improperi e doppu ‘nu pocu, risate, abbrazzi e abballi. Ppe’ chissu, marru Ci’, alle fimmine norre ‘u’ le passa nullu, tenanu ppe’ natura l’animu ‘e r’e commedianti: fantasia ranne e cannaruozzu forte. Perfettu Micù’, ha ritrattatu perfettamente ‘a cosa. (Prende sotto braccio suo marito) Micù’, trasimuninne ca sinnò ‘a torta c’haiu preparatu si la mangianu ‘e musche. Anzi, trasiti tutti, ca roppu ‘ssa faticata, ‘u dolce vi lu meritati ppe’ daveru. (Tutti si avviano verso casa di Tiresina). FINE DEL PRIMO ATTO 247 ATTO SECONDO (All’apertura del sipario ‘Ntonetta è seduta al solito posto ed è intenta a lavorare, canticchiando sottovoce una canzone melodica. Dopo un po’, entra in scena Tiresina; porta con se una sedia e gli arnesi da lavoro e va a sedersi accanto a ‘Ntonetta). TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA Cummari ‘Ntonè’, ricica ‘ncuna vota te puozzu gapare ‘u postu, cumu sempre si’ la prima a escere e a pigliare fatiga. Tieni ragiune cummà’, ‘ntramente cchi fazzu ‘ntra ‘ssa casa, ricica tiegnu a ‘ncunu ppe’ parrare? Roppu chi te mangi ‘ssu pitazzu ‘e minerra, lavi ‘ssu piattu, ‘na scupata alla reggia e r’haiu finitu ‘e te cuntare ‘u fattu. Propriu ‘e cussì, finiti i servizi cchi fa’ intra. Armenu fore se sburìe, ‘u tiempu passe de cchiù, respiri ‘n’atra aria. ‘U paise almenu ppe’ ‘ssa cosa è buonu, ca jiesci fore ‘ntr’u vicinanzu e truovi a ‘ncunu ppe’ dire ‘na parola; e puru ca una è sula, se sente cchiù animusa, cchiù protetta e tranquilla. Denneliberi, atrica alle città! Piglie ppe’ r’esempiu ‘na persona anziana, chi sta de casa allu quintu pianu e macari puru menza sciancata, se po’ considerare ‘ngalera, agli arresti domiciliari. Via, via, via! Specialmente si allu palazzu nun c’è chillu bidone chiusu chi va supra e sutta, chi mo’ me fuje d’a mente cumu se chiame. Ah, l’ascenzione, cummà’, e cussì se chiame; chillu chi te fa’ risparmiare ‘e scale. Sempre si nun si ne va lu ‘lettricu e se ferme a menza via, ccu’ lu periculu puru ‘e ce morire affucata e intra. Nun sia mai! E mo’ me freche a mie! ‘Nzomma, cumma’, a ‘na cristiana chi l’azziccanu lla supra esce sulu quannu ce fannu fare l’urtimu viaciu, in posizione orizzontale. Però armenu tannu esce a cavallu, accompagnata ‘e ‘na fulla ‘e gente tutta commossa e sc-cantatizza, chi se 248 TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA arricordata e ‘ssa povarella sulu quannu ha lettu ‘u manifestu. Cchi ce va’ fa’, cummari mia, chissu è lu munnu, te fannu viaggiare ccu’ la machina ‘e lussu propriu quannu nun te serve cchiù. E’ lu veru! Mah, ‘mbecchiarìa, nun se sa mai cumu va a finire e chillu chi ne tocche! Specialmente ‘ntra ‘ssi tiempi moderni e progressisti, duve tenanu valore sulu i sordi! Ppe’ r’esempiu, ‘ssi figli ‘e mo’ tantu chi su’ affezionati chi allu primu corpu ‘e tussa te ponnu fare cangiare aria cumu nente e ccu’ ‘na scusa qualunque te mannanu in villeggiatura nelle prigioni di lusso, chi loru ‘e chiamanu case di riposo. Propriu ‘e cussì! Te ricianu ca ‘u fannu ppe’ lu tuo bene, ca lla po’ stare ‘nziemi all’amici guali tue, ca ve potiti ripassare ‘a storia antica, ca te venanu a trovare tutt’i jurni, ecc... ecc…. ‘Ntantu, ccu’ ‘ssa scusa, ti ne mannanu ‘e r’u paise tue, se piglianu ‘a casa, ‘ncuna rropicella e chine s’è vistu s’è vistu. Addio siettu ‘e r’u vicinanzu! Pue, ‘sse belle jurnate e le cummari parrettere ti le suonni. Cumu è successu a Caterina ‘e Carretta, ca l’hannu portata allu spiziu e allu paise sue nun ci l’hannu portata cchiù mancu roppu morta. (Implorante con lo sguardo al cielo) Te priegu, Gesù mie, famme finire i jurni a ‘ssu vicinanzu, ‘ntr’a casicella mia. Cumu n’è destinata nun po’ mancare! Nue nun cuntamu propriu nente, potimu sulu sperare r’avire furtuna. Propriu chilla chi m’è mancata a mie. Rimasta cca, sula ccu’ ‘na figlia e chillu biellu ‘e marituma chi si la spassìe ‘ntra l’America. Trariture! A propositu, cchi bita mine cumpà’ Ruminicu? Chilla ‘e r’u pascià! Ormai, cummari mia, mancu scrive cchiu. S’è scordatu ‘e tutti, puru ‘e r’a figlia. ‘U sacciu io cumu staiu tirannu avanti. Ce vo’ curaggiu, forza e curaggiu. ‘U facìmu escere a forza, sinnò ‘e atru cchi ba fai ccu’ ‘ssu biellu galantomu. E Sarina, cumu va la cummarella ccu’ lu studiu? 249 ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA ‘Ngrazia ‘e Dio parica sta finiennu, l’è rimasta sulu ‘n’atra materia ‘e rare; pare ca se tratte da pepsicologia e pue le rimane la tesa. Menumale, ‘e cussì se cacce ‘ssu collatu e lu ververu. ‘U pensieru e li sordi, ca quannu unu è fore nun ci abbaste nente, è sempre ‘na funniaria guala. Cchi ura po’ esere mo’? (Guarda in alto verso il sole) E saranno vers’e quattu! Ppe’ cchi, t’e pigliare ‘ncunu pinnulu? Noni cummà’! Chillu ppe’ lu polisterolu àvutu mi l’haiu già pigliatu prima ‘e mangiare, mentre chillu ppe’ lu cervicale roppu ‘mbece. E allura, pecchì te serve l’ura? Ppe’ Sarina mia, ca a chist’ura se sta preparannu ppe’ partere. Si ne vene? E nun m’avìa rittu nente. Ha fattu ‘na decisione a ‘na vota. Ma sulu ppe’ pochi jurni però, ca me vo’ fare canuscere ‘u fidanzatu nuovu: Piero Brachetto. ‘U vì’ cchi bella notizia! Tanti agurìi poca. Te ringraziu, cummà’. E brava a Sarina, e cussì se piglie due cose a ‘na vota: ‘a lavurìa e lu zitu. E’ ‘nu milanese pulentone. Mo’ sapimu cum’è ‘mpersona? Illa m’ha dittu ca è ‘nu biellu cazzale altu; e s’ha de laureare puru illu ‘e na cosa chi mo nun me vene a mente. (Pensa un po’) Aspette…me pare ancheologìa. ‘Ncunu ramu chi riguarde le natiche e lu bacinu? Noni chissu, me pare ch’è ‘nu ramu chi tratte de caverne ‘e r’a terra. Se vire ch’è curaggiusu allura? Bravu, bravu. ‘U patre ‘e r’u fidanzatu porte ‘nu drammu supr’i binariì ‘ntra Milanu; ‘a mamma ‘mbece fatiche a ‘na ranne fabbrica ‘e tirallampi. ‘Nzomma, è ‘na famiglia bona, agiata? Me fa’ piacere, bravi! E cussì, cummà’, ‘ncuna vota va’ viri l’artitalia. Nun ci ne sunnu ‘e ‘sse paure, stassi duv’èni, ca io ‘e ‘ssu scalune nun me muovu, a cambiamientu ‘e aria nun ce vaiu. (Entra in scena Maria). 250 MARIA TIRESINA ‘NTONETTA MARIA TURUZZU TIRESINA ‘NTONETTA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA TIRESINA MARIA TIRESINA MARIA ‘U vi’ ‘e cummari cumu si la sannu parrare quete quete! Raveru Marì’, ne stavamo ripassannu ‘nu pocu ‘e giografia e storia antica. E puru chilla moderna. ‘U fattu è, cara Maria, ca la trovamu sempre cchiù difficile e complicata. ‘E chine ‘u vo’ rittu: cchiù passanu l’anni e cchiù ‘u libru divente gruossu e ‘ngarbugliatu. Cumpermessu quantu aperu. (Mentre va ad aprire la bottega entra Turuzzu). Salutamu ‘e signore, grandi lavoratrici. E a tie bonu venutu e bona digestione. Salute e pace Turù’! Cumu va la vita? ‘A solita ‘Ntonè’, se tire avanti, se combatte ccu’ la fatiga. (Indica la madre che sta aprendo la bottega) ‘A vi’ ‘a patrune mie, è puntuale puru ccu’ ‘ssu cavuru. M’era pigliatu a malapena ‘nu pocu ‘e suonnu e illa, cumu ‘na matrigna, senza chi le rispiacissi, m’ha disbigliatu a ‘na vota. Povariellu, è sc-cantatu ‘e r’a paura. Stamattina è azatu alle undici e lu pomeriggiu tene puru bisuognu ‘e fare ‘u ricuperu. Camine ‘ntra ‘ssa putiga e sbrighete, ca mo’ è tiempu ‘e t’arrimisc-care ca si’ giuvine, ca pue ne tieni tiempu ‘e t’abbentare. Cca mammata tene ragione Turù’. E chine ‘u sa’ si tene ragione, ccu’ ‘ssi tiempi vizarri duve c’è chine nun fa mai nente e campe miegliu ‘e l’atri: machinuni, villeggiatura e festini. Se vire ca a chissi le fa’ l’uovu ‘u gallu! Oppuramente, fatiganu allu turnu ‘e notte (mima con una mano l’atto della ruberia). Miegliu a esere furmiche cum’e nue e fatigare sempre e no cumu fannu tanti scialacquni. E’ lu veru Tiresì’, è lu veru! Allu munnu ‘a prima cosa è lu risparmiu e l’onestà. (Con fare affettuoso e cordiale) E Menuzza è supra? Cchi sta faciennu? Sini, è intra. L’haiu lassata chi stava ricamannu ‘nu lenzulu. Povera figlia, ce sta ‘ncecannu! Ma armenu ‘u fa perfettu, ricica ‘u’ r’è ‘ngalapata? 251 TURUZZU ‘NTONETTA MARIA ‘NTONETTA ‘MARIA TURUZZU MARIA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA (Si rivolge alla mamma ironicamente) Signara patruna, me potiti concedere ‘nu pocu ‘e permessu, quantu vaiu ‘nu minutu a salutare a Menuzza? Marì, chissu ravero ca nun ci lu po’ negare: ‘e visite alle fidanzate nun le po’ vietare nemmeno ‘a dittatura cchiù forte. T’arricummannu, però, fa’ priestu ca avimu ‘e aggiustare ‘u bancu. Pue tuni Mari’, pretienni troppu, cchi cos’è! Te pare bella ca campìe d’a porta, ‘a vire e se vote? E Menuzza cumu po’ dire: l’haiu fattu spagnare. ‘Mbece trase, ‘a visite si sta bona, l’addimmanne si le manche ‘ncuna cosa e pue si ca po’ venire cuntientu e tranquillu alla putiga. Ntonè’, ‘a legge ‘e l’amure è chilla ca rittu tu, però, s’ha de conciliare puru ccu’ la legge ‘e r’a fatiga. Va bona ma’, nun fare sempre ‘sse prieriche lagnose; cumince a fare ca io ti promettu di venire priestu. (Entra in casa di Menuzza). Cchi ba fa’, ce vo’ pacienza. Permettitime. (Entra nella bottega). Cummari Tiresì’, te ricu ‘a verità: Turuzzu a mie m’è sempre piaciutu, ‘e r’u primu momentu haiu rittu: Menuzza ha fattu ‘na scelta bona, chissa è ‘na coppia ‘mpattata. Grazie cummà’, grazie! Sempre però si nun esce fore ‘ncun’atra Peppinella chi ‘nzacche fuocu e compliche le cose; tu ‘u’ l’ha vistu ppe’ nente cchi t’ha scatinatu ‘a gramalune. Speriamo ‘e noni e pue nue simu lluoco, cchi guardamu, chillu chi ce reste? Facimu jire ‘nfumu ‘nu matrimmuoniu sulu ppe’ le chiacchiere ‘e ‘ncuna menza merulla? ‘Ntantu ha’ vistu alla figlia ‘e Carminella ‘a cagnusa cchi l’è capitatu. Noni cummà’, è la prima parola chi sientu: cchi l’è successu? ‘U zitu, roppu cinqu’anni ‘e lungo tirociniu, l’ha chiantata propriu ppe’ le parole ‘nfamanti chi hannu rittu ‘e ‘ssa giuvinella. E mo’, cumu l’ha pigliata ‘ssa povarella ? 252 TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA Ricica ppe’ lu forte rispiacire s’ha tagliatu ‘a ven’arteria e, d’u tantu sangu c’ha piersu, ppe’ pocu ‘u’ r’è juta ‘ncomu. E cchi ce avìa de jire a fare a ‘ssu Comu? (Con ironia) Cumma’, no Comu Comu, chillu vicinu a Milanu, ma chill’atru comu vicinu ‘u campusantu (mima con due dita la morte). Povera figlia ‘e mamma, nun sia mai! Ma vire ‘nu pocu cchi persune maligne chi ce su’ allu munnu, pare ca su’ nate apposta ppe’ fare male. E mo’ ‘ssa guagliuna cc’ha de fare povarella? E’ rimasta ‘n mienzu ‘na via? C’è la ‘mbirìa allu munnu, cummari Ntonè’, ce su’ ‘mbiriusi e jettaturi: due categorie abbastanza affermate e potente. Sini, sini! Cumbene a caminare ccu’ ‘nu ciceru ‘e sale ‘ntr’a sacchetta e ‘nu fierru e cavallu ligatu allu cuollu. Chissi certe vote nun abbastanu nemmenu, ca ce vo’ propriu ‘u palu ppe’ chine nun sa tenere ‘a lingua a postu. Ppe’ r’esempiu, ppe’ una cumu Peppinella. (Entra in scena Peppinella. Ha in mano una radio) ‘NTONETTA TIRESINA PEPPINELLA TIRESINA PEPPINELLA TIRESINA PEPPINELLA TIRESINA ‘NTONETTA PEPPINELLA (Rivolta al pubblico) Parri ‘e r’u riavulu e spuntanu ‘i corna! Peppinè’, cchi va’ girannu ccu’ ‘ss’attrezzu? (Con aria trasognante) ‘A mosica, Tiresì’: io signu appassionata. E chilla vecchia però: tanghi varzeri e marzuche. Sulu ‘e chissi, Peppinè’? E lu turiste nun te piace? Quello ‘un tanto, perché mi fa’ sguazzariare il cerviellu e mi spagno che mi guasta il ragionamento! ‘E ‘sse paure ‘u’ n’avìre gioia, ca tu ‘u ‘ngranaggiu ‘u tieni guastatu ‘e natura: c’è statu ‘nu difettu ‘e fabbrica! ‘Nzomma, signora Tiresì’, io signu melodica nella vita! E chine rice lu contrariu! Cuntenta tu! Mo’ duve e jire ccu’ ‘ssu cavuru? Assettate lluocu ‘nu pocu ca ne tieni cumpagnia. Noni, io viaggio! Me fazzu ‘u giru ppe’ il paese e, ogne tanto, me fermo a ‘ncunu vicinanzu. ‘Nzomma, fazzu sosta ppe’ m’abbentare e ppe’ me ‘ntrarire di tuttu chillu chi 253 succere.’E natura tiegno questo vizio ‘e me ‘nfurmare e io me ‘nfurmu! ‘NTONETTA Allura assettate a ‘ssu vicinanzu ca te ramu ‘e prime notizie e ne fa sentere puru ‘ncunu motivu ‘e r’i tue, appassionatu. TIRESINA E no de chilli chi fannu liticare ‘a gente, t’arricummannu! PEPPINELLA Tranquilla, Tiresì’! ‘E chilli mai cchiù! (Va a sedersi vicino a ‘Ntonetta). Signora ‘Ntonè’, te siervu subito! (Fa’ ascoltare una canzone appassionata). (Ascoltando la melodia, Maria esce dalla bottega, Turuzzu e Menuzza escono di casa) ‘NTONETTA TIRESINA MARIA TIRESINA MARIA TIRESINA ‘NTONETTA (Emette un lungo sospiro) Eh! Quantu ricordi, quantu cose chi tornanu ‘n mente ccu’ ‘ssa canzuna! Cumu su’ passati vulannu chili bielli tiempi! E brava a Peppinella, ca ne tene allegre e ne fa’ faticare ccu’ la musica! Marì’, tutt’a buonanima ‘e r’a zia. Ti l’arricuordi? E cumu ‘u’ mi l’arricuordu a Tarazzuna! Sulu ca chilla sonava ccu’ la pettinissa e illa ‘mbece ccu’ la radiu. Però ‘a passione ppe’ la musica è la stessa! Se vire ca è tutt’a razza ‘ntonata! (Maria esce) TURUZZU MENUZZA Gente cumu Peppinella su’ necessarie cum’u pane ‘ntra ‘nu paise; si nun ce fuossinu l’averamu ‘e ‘mportare ‘e fore! Portanu movimentu, allegrìa….. Litiche, ‘nimicizie!… Citu, ci’, ca ‘n’atra pocu n’avìa fattu pezziare! (Intanto, stringendo la radio al petto, Peppinella si è addormentata) TURUZZU E va’ camine! Pue tuni! Cchi curpa ne tene illa si ha questo piccolo difettuccio di natura? Povarella, ogni tantu equivoche e arme qualche rugna. Te, guardatila benerica cum’è quagliata a ‘na vota! A chine rune fastidiu? Pare ‘n’angiolettu! 254 ‘NTONETTA TIRESINA MARIA TURUZZU ‘NTONETTA TURUZZU MARIA TURUZZU Me birala cum’è tranquilla l’erramusa! Parrannu e sonannu l’è pigliatu ‘u suonnu! E dire c’avìa de girare tutt’i vicinanzi! ‘Mbece s’è fermata alla prima stazione. Allu munnu ‘e oje chisse goranu ‘e cchiù: nun s’arracianu ppe’ nente e campanu cent’anni tranquille. (Dalla porta della bottega) Turù’, cchi cos’è, ancora staiu aspettannu a ttie! Già, m’era scordatu! Comunque obbediscu alla mia mamma patrune! Menù’ vieni puru tuni, ca ‘nziemi ‘a fatiga vene meglia! Ah, chissu cchiù ca rici, figlicì’! Ccu’ l’amore vicinu, ‘a fatiga pise de menu e renne de cchiù! Viate a bue ‘mbece, ca ve potiti ricreare assettate vicinu a Peppinella e alla sua mosica! Camine e sbrighete, e vieni alla putiga senza fare tante storie! Bon divertimentu allura! Jamuninne Menù’! (Maria, Turuzzu e Menuzza entrano nella bottega. Ad un tratto si sente un cane abbaiare e una persona che urla spaventata) ROSINA (Fuori campo) Pristullà’! Chiamative ‘ssu cane! Ohi Madonna mia, za'! ‘E chin’è ‘ssu risgraziatu ‘e cane? (Entra in scena stravolta dallo spavento). Aiutu, aiutu! Cchi bestione, denneliberi! M’ha muzzicatu! (Viene soccorsa da Tiresina e da Ntonetta) PEPPINELLA (Peppinella si sveglia e, spaventata, si mette a correre all’impazzata, pensando che Rosina la voglia bastonare). Aiutu! Nun te ‘mpucciu cchiù, ti li giuru! ‘NTONETTA (Afferra Peppinella per un braccio) Mme fermete! Statti male queta, ca nun la tene ccu’ ttie! TIRESINA Cchi t’è successu, chin’è statu? ROSINA (Quasi senza fiato) ‘U cane Tiresì’! ‘Nu bestione ranne! PEPPINELLA ‘U virati ca nun va’ d’accuordu mancu ccu’ li cani? TIRESINA Zitta Peppinè’! ‘A cosa è ‘mportante. ‘NTONETTA Carmete mo’, carmete! Tutti a ttie capitanu ssi pest’e guai? Cchi cos’è! 255 ROSINA M’ha frugatu e arrieti alla ‘ntrasata, ‘Ntonè’! Avìa ‘nu pocu ‘e pane alla manu ccu’ ‘nu spicchiu ‘e sozizza e mi l’ha scippatu. PEPPINELLA Propriu ‘a merendina Rosì’? ROSINA Propriu ‘a pestachitevegna, ciotagliune! T’avìa de capitare a ttie ppe’ birere! PEPPINELLA A mie i cani me vonno bene ca signu ‘e naturale bona e il pane mi ci lo sparto prima. TIRESINA Chissu è veru, ccu’ le bestie parranu ‘a stessa lingua. ‘NTONETTA Assettate, assettate a ‘ssu scalune ca te vaiu fazzu ‘nu bicchieri ‘e acqua e zuccaru. (Mentre Ntonetta va a casa, Rosina, assistita da Tiresina, si siede al gradino) PEPPINELLA (A Rosina) Cara amica Rosina, tu nun sai quantu mi ne pise ‘e chisso incidente chi t’è capitatu! Allura, ‘u cane era di razza ranne? TIRESINA Va t’assette Peppinè’, v’a t’assette e dorme ‘n’atra pocu! PEPPINELLA Noni, nun me frechi Tiresì’! E ‘ssi vene lu cane? TIRESINA Te tire la trippa! (Entra ‘Ntonetta e porge a Rosina il bicchiere d’acqua zuccherata) ‘NTONETTA Vive Rosì’, vive ca chissa te carme! (Rosina ne beve due sorsi e depone il bicchieri sopra il gradino. Ne approfitta Peppinella per finire di svuotarlo) ROSINA ‘NTONETTA Parica mi ce sientu ‘nu pocu meglia! E’ miegliu si ti lu vivi ‘n’atra picca ca t’aggiove! (Prende il bicchiere e lo trova vuoto. Intuisce subito che a compiere tale operazione è stata Peppinella). Peppinè’, ‘sse cose nun se fannu, ha capitu? PEPPINELLA Scusa ‘Ntonè’, ma puro io ho avuto lo sc-canto! Stava dormendo io, capito? E tu ‘e sapere ca lu sc-canto del suonno è cchiù pericolosu ‘e chillu c’ha avuto Rosina ppe’ il cane! Lo sai chisso? TIRESINA Certo, ha subitu cumu ‘nu infortunio sul lavoro, po’ fare puru ‘a causa ‘e serviziu e la vinci di sicuro. 256 ROSINA (Ristabilita, si rivolge a Rosina con compatimento) Eh, malanova tua! Sempre ‘a stessa si’, nun cangi mai! TIRESINA Cchi ce va’ fa’ Rosì’, l’amu ‘e accettare cum’è! ‘NTONETTA ‘U mportante ca ‘u cane nun t’ha muzzicatu ‘a gamba, ca pue ‘a paura passe! ROSINA (Osservandosi e ispezionando attentamente) Pare de noni, c’è sulu ‘na scigatina alla vesta! TIRESINA ‘Ssi disgraziati ‘e cani, su’ sempre ‘ngiru a flotte ‘ntr’u paise. Te spagni puru ‘e caminare. ‘NTONETTA Nun c’è nullu rigore cummà’! Volissi ca ce muzzicassinu ‘e mugliere a ‘ssi cummannanti, ppe’ birere pue cumu se sentano! Sc-cantassinu o no! TIRESINA Mah, cchi ce va’ fa’, ce vo’ pazienza! Parramu sempre ma nun cunchiurimu mai nente! ’A meglia cosa ch’è: ripigliamu a faticare, ca ni ne vene cchiù utile. ‘NTONETTA Raveru, tieni ragione, chissa è la santa verità. ROSINA L’haiu portata puru io ‘na matassa ‘e fielu ppe’ la cogliere; sulu ca ce volissi ‘n’aiutu. ‘NTONETTA Me, ricialu a Peppinella! ROSINA Sapimu s’è de genu? Peppinè’, sempre si nun si’ mpegnata ccu’ la mosica e si te rice, volissi data ‘na mano a cogliere ‘na picca ‘e fielu. Si’ disponibile? PEPPINELLA E comu no! Alla mia amica Rosina con tutto il core! Ti l’ammieriti propriu roppu ‘ssu ranne sc-canto c’hai avutu. ‘NTONETTA (Rivolta al pubblico) Roppu chillu chi ci ha fattu passare ce volissi puru! PEPPINELLA (Offre le braccia a Rosina per reggerle la matassa) Ecco, pronta ppe’ Rosina! (Per l’imperizia di Peppinella, l’operazione si svolge con molta difficoltà). ROSINA Brava a Peppinella, grazie! Pue ‘ncuna vota me rissuobbricu! (Regna un po’ di pace. Mentre tutte le donne sono intente al lavoro, di corsa entra marru Cicciu. Ha in mano un giornale e si dirige verso la sua bottega) M. CICCIU ‘NTONETTA Salutiamo, salutiamu le nostre donne lavoratrici! Puru a tie, maestro! Oje simu in ritardu? Cumu va’, marru Ci’? 257 M. CICCIU Raveru ‘Ntonè; c’è statu ‘nu piccolu ‘ntuoppo! Ho dovutu sbrigare ‘na faccenna ‘nu pocu delicata. PEPPINELLA Sapimu, marru Ci’! Io rico ca t’è pigliatu il suonno. M. CICCIU Cumu rici tu, Peppinè’! Tu si’ telematica, sa’ tuttu! (Entra in bottega e ne esce dopo un po’ col camice addosso e un scopa in mano. Borbottando, scopa l’uscio della bottega. Dal negozio di Maria, tenendosi per mano, escono Turuzzu e Menuzza) MENUZZA TIRESINA TURUZZU ‘NTONETTA Oji ma’, nue ne jamu facimu ‘na passeggiata! Adduve jati , ca ancora fa’ cavuru! Ppe’ chissu nun te preoccupare, pecchì duve jamu nue c’è ‘nu friscu meravigliosu. Cummari Tiresì’, mo’ cchi bue, ca i fidanzati nun canuscianu i posti frischi? (Peppinella si dondola e canticchia) ROSINA ‘U viale dell’amore: dove sotto le fresche frasche si sta freschi! TIRESINA Ma pue, chissu è tiempu ‘e ru loru, mo’ se ponnu sburiare ‘nu pocu. Comunque, v’arricummannu, nun faciti troppu tardu! MENUZZA Nun te preoccupare, prima ‘e ‘mbrunare simu già cca. TURUZZU Ciao a tutte e buon lavoru. Puru a ttie, signorina Peppinè’! (Escono). PEPPINELLA Ciavo alli ziti! MARIA (Mentre esce dalla bottega) Su’ già juti? TIRESINA Propriu moni Mari’! MARIA A dire ‘a verità, hannu fatigatu raveru, però avianu ‘na pressa guala ‘e finire. PEPPINELLA Chiamali ciuoti! ‘U sannu illi il motivu. (Tutti abbozzano un sorrisetto). TIRESINA ‘Ssu pesta ‘e tombulu nun va buonu ‘e nente, me sta faciennu jettare l’anima! Peppinè’, mi ce va’ ‘nu momentu duve Rosa ‘e Grancu e ce rici si me ‘mpreste lu sue? PEPPINELLA E la matassa, chine ci la tene alla mia amica Rosina? MARIA Peppinè, si ce vo’ jire, ci la tiegnu io ppe’ ‘nu pocu, tantu a ‘ssu mumentu nun haiu nente cchi fare. 258 PEPPINELLA Cumu voliti vue, ppe’ me è lu stessu, anzi è meglio, ‘e cussì durante ‘u viaggiu approfittu ppe’ jire a fare ‘na visita allu cerasu ‘e Timpesta, ppe’ birere s’è cunchiutu. TIRESINA Fore responsabilità Peppinè’! Si ce vo’ jire! Io te ricu ‘e filare reritta ca si ti ce trove chillu te gaccìe. PEPPINELLA Stai squitata e nun sc-cantare, ca io signo furba e nun me fazzu virere: Maria ‘a putiga’, te la matassa. E te raccomando, tenila bene! (Indica la radio) V’arricummannu, guardatime bene lo strumentu. MARIA Ah, chi te via santa! Damme cca e vieni priestu. PEPPINELLA Stai squitata Marì’! ‘Ngrano subito la quinta. (Esce di corsa). TIRESINA E cunchiure, t’arricummannu! M. CICCIU (Mentre sta scopando davanti la porta della bottega) Eh quantu vote mamma me ricìa: vate alla scola figliu! ‘Mparete bellu struitu, ca ‘nu diploma chisà quantu vale: te fa conzare ‘mparu e te fa guadagnare tanti sordini. ‘NTONETTA Però, nun la si’ stata a sentere a cummari Filumena! M. CICCIU Noni ‘Ntonè’! ‘E parole sue ‘e na ricchia me trasianu e de ‘n’atra me escìanu. Io ‘mbece tirava filuni, jia allu cinamu ccu’ chill’atru tartaruca ‘e Tumasinu o appriessu alle signorine. MARIA Si’ statu viziusu no? M. CICCIU E puntualmente a giugnu abbusc-cava la silurata: bullatu senza nulla pietà! TIRESINA Sa’ cumu s’arraciava ‘a povera Filumena! M. CICCIU Eh, si sapissi! Ancora ‘e tiegnu ‘ntr’e ricchie ‘e grirate ‘e mamma e le jestigne ‘e patrima. TIRESINA Avìanu ragione e come povarielli! Ca tu ce pienzi cchi bene a dire ‘n’annu piersu? MARIA Supra e sutta tutt’i jurni a viaciare! E ti la ricu io! ‘NTONETTA Quante matinate sprecate! M. CICCIU L’haiu fatti morire ‘mbalenati! (Si commuove). TIRESINA Certu ca ‘nu patre e ‘na mamma te volissinu virere cumu ‘nu re! M. CICCIU Ma ccu’ ‘ssa capu mia ‘e glianna nun ci hannu potutu fare nente, se su’ dovuti ‘e arrendere. ‘NTONETTA Mah, certe vote su’ destini ‘e r’a gente! 259 (Tutte annuiscono) M. CICCIU MARIA ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA MARIA E mo’ te frichi, marru Ci’! Ricriete ccu’ ‘ssa scupa alle manu e ccu’ li fuorfici ‘ntra ‘ssa reggia, aspettannu ‘ncunu spasulatu chi vo’carusatu ‘a lana ‘e r’a capu. (Scorge vicino la porta una busta. Si accinge a raccoglierla e ad aprirla con ansia). Virimu ‘nu pocu chine s’è arricordatu ‘e mie! Speriamu cose bone, marru Ci’. Magari ‘ncunu rimborsu ‘e sordi, ‘n’eredità ‘e l’America! (Mentre legge camminando si ferma di scatto manifestando una rabbia incontenibile) Ahi a quantu corna aviti! Vigliacchi! Latri ‘e mistieri ‘nfina alli catananni! Torna a mie cercati sordi, a ‘ssu poveru cristianu ‘ntra ‘ssu bucu? E nun v’abbuttati mai? Cchi t’è successu, marru Ci’? Nun c’è cchiù scampu, ogne jurnu c’è ‘na nova tassa ‘e pagare! Hannu decisu ‘e me fare chiudere ‘a putiga! Nun ci la fazzu cchiù! (Entra furioso nella bottega). E mo’ duve fuji, marru Ci’? Tene ragione povariellu, ne sacciu ‘ncuna cosa io supra ‘ssu campu: ppu, ppu, ppu, quantu tasse! Nun si ce fa cchiù! (Entra in scena Peppinella insieme a marru ‘Ndria. Peppinella ha in mano una tombola) M. ‘NDRIA Simu trovati ppe’ strada e haiu viaggiatu ‘nziemi a Peppinella. PEPPINELLA Missione compretata Tiresì’: eccu ‘a tombula! (Tutti ridono). MARIA Ha fattu venire ccu’ anticipu Natale. TIRESINA Te parìa c’a cunchiurìa la scunchiuta? Me bire, me bire! ‘U tombulu t’avìa dittu, no la tombula. Cchi n’haiu ‘e fare ‘e chissa ? ‘NTONETTA Vo’ dire ca lassamu ‘e fatigare e ne mintimi a jocare! PEPPINELLA Io signu già pronta! TIRESINA N’avimu propriu ‘na gulìa! Peppinè’, allazzate torna ‘e scarpe e va ci la porte. T’arricummannu, cunchiure ‘ssa 260 vota! ‘U tombulu ce rire: genere maschile, chillu ppe’ ricamere. Ha capitu? PEPPINELLA E ce volìa tantu allu rire? TIRESINA Vate Peppinè’, vate e maniete. (Peppinella esce manifestando insofferenza) M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ROSINA TIRESINA ROSINA M. ‘NDRIA ROSINA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ROSINA M. CICCIU M. ‘NDRIA M. CICCIU M. ‘NDRIA M. CICCIU Il maestro varvieri non lo vedo, cchi fine ha fattu? E’ dintra! Ma è nervusu marru ‘Ndri’. Sapimu cchi l’è successu? (Spia nella bottega di marru Cicciu) Mah, il maestro nun si vede! Chisà se ha avutu ‘ncuna chiamata urgente dal cesso? Tuttu po’ esere ccu’ tutte ‘sse paure chi ce sunnu ‘ngiru. Rosì’, e tu nun dici nente, ti ne sta muta? E’ miegliu, cussì nun tiegnu paura ‘e sbagliare! Ha vistu cumu se piglianu storte ‘e parole certe vote? E bia Rosì’, sbersala! Mo’ è tuttu passatu e pue, ricica ‘a gente te capisce sempre malamente? Tiresì’, cchi ne sai cchi gire ‘ntra ‘sse capu. E pue mo’ ne po’ approfittare, tantu Peppinella nun c’è. No ppe’ chissu, ma haiu decisu ca me vuogliu disintossicare ppe’ ‘nu periedu ‘e tiempu: me fazzu i fatti mie e basta! Rosì, penzacce, fatte venire ‘a parola, ca ‘u vicinanzu senza ‘a vuce tua è muortu. Certo, certo, ‘a sua è ‘na vuce ‘mportante: chiara, ‘ntonata. Rosì’, ritorna tra di noi cumu prima: allegra e parrettera. Ce pruovu marru ‘Ndri’, però ‘a lezione è stata troppu ranne! (Esce di corsa dalla bottega, straccia la lettera e si appresta a togliersi il camice) Disgraziati! Ce siti arresciuti. Latri, boiazzi! (Preoccupato) Cchi t’hannu fattu, marru Ci’? Mi ne vaiu all’esteru! Ccu’ ‘ssu statu chi premie sulu ‘e cecale e ammazze le formiche nun se po’ combattere cchiù! Cchi t’è chiavatu, maestro? Carmati un pochinu, ragione. ‘U sacciu io, ‘u sacciu io! Chiuru ppe’ sempre. E a ttie ti prego, fatte i fatti tue. 261 M. ‘NDRIA Come non dettu, mi ritiro tutto; anzi, mi ne vaiu propriu. Marì’, vieni alla putiga ppe’ piacere, ccussì toglimu ‘u disturbu e me fazzu puru ‘a spisa ppe’ stasera. (Maria e marru ‘Ndria entranu nella bottega. Marru Cicciu, agitatissimo e borbottando, va avanti e indietro, entra ed esce dal salone) ‘NTONETTA TIRESINA ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU Cumu ce curre marru ‘Ndria a ‘ssa putiga, me sa ca c’è ‘ncunu mme! Ce fa’ tri biaci ‘u jurnu, cummari ‘Ntonè’! E’possibile c’accatte sempre rropa? Ah, ppe’ nue alla fin fine si cunchiuranu fannu buonu, nun c’è nente ‘e male. Cchiù ca rici, cumma’! E pue tenanu ‘e carte in regula: illa è libera, illu è sulu e se ponnu jungere. (Emette un tremendo urlo da fare sobbalzare dallo spavento ‘Ntonetta e Tiresina) E’ finita! Nun vuogliu virere a nullu! (Entra in scena: deve tagliarsi i capelli da marru Cicciu). Mancu a mie vo’ virere marru Cì’? (E’ di spalle e si volta di scatto) Haiu rittu a nullu! ‘A pacienza è finita e ve salutu a tutti! (Marru Cicciu continua ad andare su e giù mentre Santullu lo guarda stupito) SANTULLU ‘NTONETTA SANTULLU TIRESINA M. CICCIU SANTULLU Quale pacienza, io te puortu fatiga e me maltratti puru? Ma guarde cchi sfortuna chi tiegnu! A malapena m’era decisu roppu ‘n’annu a me fare ‘na pulizia completa e te vaiu truovu ‘u specialista chi vo’ chiudere ‘a putiga. Raveru giuvinò’, si’ sfurtunatu raveru! Vo’ dire ca rimandu l’operazione ‘a ‘n’atr’annu. E noni, ca mo’ ce ripense lu maestru e t’accuntente! (Rasserenato, batte la mano sulla spalla di Santullo, raccoglie la lettera da terra e si rimette il camice) Scusame, nun la tiegnu ccu ttie; sulu ca si’ capitatu allu momentu sbagliatu. Vo’ dire ca ‘n’atra vota, prima ‘e venire, consurtu l’oroscupu e pue s’è favorevole me ‘mbiu. Comunque mo’ ‘ssa capu mi la fai o no? 262 M. CICCIU (Si ferma guardando fisso nel vuoto) Famme pensare un pocu. (Dopo un po’) Maestro, ha’ finitu ‘e pensare? ‘N’atru pocu, signu quasi alla fine. Ma aspetti a ‘ncunu? Disgraziati e ‘nfami! M’aviti tuotu ‘a pace. Chine su’ chissi, marru Ci’? Su’ sempre illi, i cummannanti nuorri, i piscicani faccituosti. Me stanno scatreiannu ccu’ le tasse. ‘Mbece ‘e ra creare ‘a fatiga, ‘a fannu perdere a chine già ‘a tene. Ma mo’ hannu ‘e passare ‘e cca chissi chi t’hannu fattu ‘ncazzare? Parica su’ fissa! Magari passassinu ‘e cca, mi ne ricriassi de maleparole. Allura è tiempu piersu. Cacceme ‘ssa lana ‘e r’a capu ch’è miegliu. M’ha convintu! Aspette ca pigliu ‘na secia e te carusu fore, ca intra se more du cavuru. Purchè mi le fai, fa’ cumu vo’ tu. SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU (Marru Cicciu va a prendere gli arnesi da lavoro) ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU Ricica jia all’esteru ‘mbece ‘u’ r’è jutu mancu a Turzanu. Ma dduve va’ chissu, ca fore ‘e ‘ssu vicinanzu se perde! (Ritorna in scena con l’attrezzatura e, implorante, volge lo sguardo al cielo) Gesucrì’, penzecce tu! Cangecce ‘a capu a ‘ss’onorevoli nuorri sucasangu! A noi Santù’! Assettate ca partimu Duve jamu marru Ci’? (Tutti ridono). Ne ‘mbarcamu, jamu all’America a trovare ‘u maritu ‘e ‘Ntonetta e a cogliere dollari. Ce vo’ venire ‘Ntonè’? Macari! E ccussì, ce facissi finire ‘e fare ‘a bella vita a chillu farabuttu ‘e omu! T’e rassegnare ormai cummà’. Cchi ce va’ fai! Mah, cuminciamu, prima ca me pientu. Ccu’ calma maestru, apprichete a ‘ssa capu e t’arricummannu: tagliu estivo e modernu. Me serve ppe’ ‘n’occasione ‘mportante. Va a finire ca t’ha trovatu ‘a zita. 263 SANTULLU M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA TIRESINA ROSINA ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU Quasi, marru Ci’. Cumu quasi: ti l’ha trovata o no? Stasera, stasera fazzu tuttu. M’hannu preparatu ‘nu ‘ncontro ccu’ ‘na ragazza bitter di buoni costumi. E io spieru ca le piacio! Cummari Tiresì’, ccu’ chissu me pare ca ‘a fabbrica ha sbagliatu puru; me pare puru ‘nu pocu difettusu ‘e capu. ‘Nu pocu? Me sa ca chissu passe puru a Peppinella. Rosì’, tu cchi ne rici? Mah, sacciu! ‘A marca me pare la stessa, ma forse ‘ssu signorinu è ‘nu pocu cchiù furiusu. ‘A cosa curiosa però è c’a ‘ssi campioni ‘e spertizza si la fannu tutti ‘e ‘sse parti. Se vire ca l’aggiove l’aria lluocu. Allora cunchiuri, vero? Bravu a Santullu, me fa tantu piacere! Arrimischete, vai avanti, ca ppe’ mie nun manche. Te fazzu ‘nu tagliu modernissimo, all’urtimu griru: propriu da primo incontru. Nun badare a spese, mintecce tuttu chillu chi ce vuole: aromi de tante specie, ‘nzomma. Sai com’è, il profumo è molto ‘mportante! Certu, certu! Te cuonzu a pinniellu. Te fazzu ‘na ‘nzalata mista. Bravo! Sai com’è, la ragazza è cittadina! Oh perbacco! Allura tieni cchiù ragione ancora: quelle tenanu cchiù grilli ppe’ la testa, sono più schizzinose! (Tutti abbozzano un sorriso ironico) ‘NTONETTA SANTULLU ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU E allura, me sa ca me sa! E io ci provo, gioco ‘ssa carta ‘mportante, pecchì è ‘nu sognu chi haiu sempre avutu da picculo Eh chi t’avissi ‘mpittatu mammata quannu si’ natu! E’ propriu ‘mpattatu ‘u spaturnatu! Eppuru nun parìa a prima vista. Ma guarde ‘nu pocu, a Santullu le piacianu ‘e cittadine! Cuntientu tu! Allura fazzo bene a r’avìre chissa gulìa difficile? Certu ca fa’ buonu, ognunu è liberu ‘e avìre ‘e gulìe chi vo’, sulu ca cchiù ‘e gulìe su’ ranne e cchiù aumentanu i 264 ‘NTONETTA ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA M. CICCIU ‘NTONETTA SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA SANTULLU ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA TIRESINA rischi e le complicazioni. (Rivolto al pubblico, mima il segno delle corna). ‘Ssa vota ce intranu raveru ‘e ramificazioni, Rosì’! ‘Ntonè’, io nun haiu vistu e nu’ ne sacciu nente, puru si le biu fare r’avanti! ‘U rischiu c’è daveru; anzi, ne signu quasi certa. Allura si’ propriu convinto di fare il passo ‘mportante? Io signo uno deciso quanno voglio una cosa e quanno parto ppe’ la pigliare nun me ferma cchiù nullo, perché nun me spagno del futuro. ‘U vi’ cumu è curaggiusu ‘u giuvinottu! Chissu è omu! Bravu, me fa piacere; chisse su’ doti chi garantiscianu ‘u risurtatu. Te po’ considerare già zitu. La ragazza, appena te vire, te zumpe ‘ncuollu. E lu ripinne, marru Cì’. E io appoggiu i pieri e l’aspiettu, signu fissa ca me muovu? Te fazzu l’agurì’ anticipati, anzi, agurìi e figli masculi. (Si commuove e si asciuga le lacrime) Grazie, grazie assai. E mo’ cchi fai, chiangi? Avìa rittu ch’eri curaggiusu! Si, ma quannu tu ha ‘nduvinatu i figli me signu ‘ntisu toccare cca dintra (si tocca il petto). Si l’avissi saputu c’avìa ‘ssu puntu debole nun l’avìa ‘nduvinati propriu i figli. Ti lu giuru! Mah, ormai m’è passata, nun ce penzo cchiù. L’amicu tene lu telecomandu, passe d’u chiantu allu risu cumu fa’ Michele Cocuzza alla televisione. Marru Ci’, puozzu rare ‘n’occhiata a ‘ssu giornale? ‘U vi’, sa puru lejere. Allura propriu fissa fissa nun ci ha de resere. (Gli porge il giornale) Ecco il giornale! Sulu ca pare ‘nu bollettinu ‘e guerra, ricica ‘ncuna vota ce trovi ‘ncuna notizia confortante? Sempre guerre, sdangate e sc-canti! A me però nun me fa’ nente: io signo furbo e il giornale lo sfogliu solamente ppe’ passare il tempu e sulu qualche bota, leio sulu le ‘nzignanti dei scritti grossi. Signore ‘e r’u vicinà’, l’amicu certu s’ha fattu ‘ncuna vaccinazione! Chilla cuntra ‘e paure ‘e r’a stampa! 265 M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU Tieni un buon metodo ‘e difesa allura? Bravu a Santullu! Allura, tu sai ca c’è lu periculu e fa’ finta ‘e nente? ‘Nzomma lo snobbi. Bella filosofia! Cumu se rice, marru Ci’: uocchiu chi ‘un bire, core chi ‘un dole! Allura ‘e ra politica sporca italiana nun ne sa’ nente? Nun sai i ‘ntrallazzi e lu mangia mangia chi ce sunnu, no? ‘Ncuna cosa la canosciu ca mi n’accorgiu da un mio vicino di casa, chi tutt’i jurni grire e jestime lu governu. E io furbo, quanno lo sento, rico ‘ntr’e mie: chisà ‘ssa vota cchi ci hannu fattu; cchi guaio hannu cumbenatu? Ha’capitu tu l’amicu cchi metudu c’ha trovatu? Chiamalu fissa! Si n’ha de ‘ncarricare r‘u giornale si c’è radio amica chi ce fa’ lu notiziariu? E chine si la criria! Allura sa’ puru ca l’Italia è chjna ‘e rebita e disastrata? E cumu ‘u’ lu sacciu! Bravu! Mo’ ppe’ r’esempiu, pigliamu ‘u casu tue. (Guarda marru Cicciu stupito) Quale casu marru Ci? Io, nun ne tiegnu cchiù, l’haiu finitu ‘e ‘nu piezzu. Ppe’ dire ‘u veru, però, c’è rimasta sulu ‘na ricotta. Ma cc’ha capìtu! Io, nun me riferisco al caso formaggio, ma al caso della vita. Allura, ammessu ca mo’ cunchiuri ccu’ ‘ssa ragazza cittadina….. Cumu ammessu, è garantitu, signu sicuru. Va bene, ricimu ca te fa’ zitu, va bene? Pue te spusi e dopu ‘n’annu te nasce ‘nu figliu….a propositu cumu lu chiamassi ‘ssu quatrariellu? (Molto commosso) Cumu ‘u nannu, Giuvanni. Bene, tu lu sai ca ‘ssu quatrariellu chi nasce, propriu Giuvannuzzu tue, nasce già ccu’ trenta milioni ‘e rebita? (Risentito, sobbalza dalla sedia) Cumu, cumu, trenta milioni? E cc’ha fattu ‘e male povariellu? Nente Santù’, propriu nente. E de quannu c’è ‘ssa legge ca ‘nu cristianu ppe’ venire allu munnu ha de pagare ‘u bigliettu d’ingressu? E’ entrata in vigore ‘e pocu tiempu, ppe’ curpa ‘e ra politica frica frica. 266 SANTULLU ‘NTONETTA TIRESINA SANTULLU ‘NTONETTA M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA M. CICCIU SANTULLU TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA M. CICCIU (Pensoso) Poveru figliu mie cchi malutiempu chi trove! Duve ci le ba piglie tutti ‘ssi sordi. Cummari Tiresì’, l’amicu è già rifriddatu. Me sa propriu ca se pente. Maestro, spegheme; ammessu ca unu nun se vo’ ‘ncollare ‘ssu rebitu, si ne va torna ‘e dduve è benutu? ‘A levatrice ce minte la marcia indietro e lu spedisce allu mittente. Eh, caru Santullu! E’ propriu ‘e ccussì : si l’ha de ritirare ‘a fabbrica. E de ccussì chin’è lu fissa chi fa figli, si portanu ‘ssa spisa? E’ pentutu! Perciò, nue italiani ‘e ‘ssu passu stamu battiennu tutt’i record. Simu i primi nel mondo in questo campo, attestati a crescita zero. (Sconfortato) Sacciu cchi fazzu allura! Marru Ci’, cumu rici tu, me ‘mbiu? Allu curaggiusu mo’ l’è benuta ‘a paura! Certu ca ‘a tropìa è in corsu. Cchi te puozzu rire….tu ti la sienti ‘e l’affrontare? L’ombrellu ‘u tieni? ‘U tiegnu alla casa. Ma cc’ha capitu! ‘Nzomma, tu ne tieni curaggiu, Santù’? E cumu no: abbastanza. Allura parte, ‘mbiate Santù’. E pue i capilli ti le sta faciennu, c’è puru ‘ssa ragazza chi t’aspette, ne vale cchiù la pena ‘e te votare? Chissu volìa dire puru io: ‘a menza via è fatta. Appuntu, nun ne vale cchiù la pena. Però, tene sempre presente, chisà alle vote avissi ‘ncapu ‘e fare assai figli, ca custanu trenta miliunu l’unu. Allura me ‘mbio, sperannu ca ‘nfuturo, farannu ‘ncunu scontu puru supr’ì figli, cumu fannu alli negoziì ‘e re scarpe. Nun ce sperare Santù’: ‘u statu ‘talianu fa’ prezzi fissi! Te ricu ‘a verità, marru Ci’: a mie i figli me piacianu misti; cchi te ricu….ruvi masculi e due fimmine. (Rivolta al pubblico) Cumu ‘a frittura ‘e r’i pisci! Perfetto! Si’ de gusti fini, ammazzatù’! (Rivolto alle comari)’ Atrica vue, ca ve siti fermate a unu. 267 TIRESINA ‘NTONETTA ROSINA TIRESINA ROSINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU ‘NTONETTA ROSINA SANTULLU ‘NTONETTA TIRESINA ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA SANTULLU ‘NTONETTA SANTULLU N’è mancatu ‘u tiempu ppe’ le fare. Me chine parre, tu mancu unu. Tanta curpa pue nun ne tene, cumu facìa povariellu si è celebre cum’e mie? Nu’ n’avìti avutu gulìa, ca sinno, quann’era tiempu, ve jungiati: ‘nu celebre e ‘na nobile e a chist’ura aviati i figli ranni. Quannu nascimu ‘n’atra vota pue, Tiresì’! Comunque, io sula staiu bona. Ricimu ‘a verità, n’è mancatu ‘nu pocu ‘e curaggiu, simu stati spagnusi e timidi. Unu l’ha de sentere ‘e cose ppe’ le fare, deve avire la vocazione. Nue ‘mbece, Santù’, amu preferitu ‘a vacazione, derivazione del verbo vacare. Il giovane tene ragione, cumu se rice mo’: va’ dove te porta il cuore. A duve c’è gustu ‘un c’è perdenza. Grazie signò’! Io signu ‘nu tipu speransosu, perciò nun mi spagno di ‘mbiare ‘na famiglia. Fa’ bene, si nun fuossi ppe’ li tipi cum’e ttie a chist’ura ‘u munnu era finitu, ccu’ tutte ‘sse paure chi ce sunnu ‘ngiru. E ccu’ ‘sse coppie moderne chi se vonnu sulu divertere e fannu i figli programmati. Giuvinò’, tu ccu’ ssu curaggiu chi tieni t’ammieriti ‘na medaglia cumu grande, irriducibile continuatore della razza italiana. Sempre però si accussente la zita? Vi l’avìti scordata a illa? E già, c’è puru illa; ricica Santullu ‘e po’ fare sulu i figli? Santù’, tu rici c’accussente? U’ core me rice de sì, illa sientu ca me ama. Stasera conchiuru e ‘nzignu ‘n’atra vita. E nue t’aguramu fortuna e bene, pecchi si’ ‘nu tipu speransosu e ti l’ammieriti. Nue ce simu tutti de razza, mi lu dicìa mamma da picculu, ca noi amu campatu sempre di speranza. Quindi siti specialisti in materia? Certamente signò’: tuttu u’ parentatu! 268 M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU ‘NTONETTA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU TIRESINA M. CICCIU Vue suli? Ca si tutti nue allu sud nun avissimu avutu pacienza e speranza a chist’ura ‘e mo’ ch’eramu muorti, ppe’ curpa e tanti tangentisti. A propositu ‘e ‘ssa parola c’ha rittu, marru Ci’. Quale parola? (Mostra il giornale) Me, tangentista, c’è scritta puru cca, bella ranne. Cchi bene a dire? Cchi bene a dire? Eh, frate mmie! Vene a dire tuttu: è cumu ‘na fera, e ‘ntra ‘ssa fera ce simu tutti: io, tu, ‘sse signore assettate cca, i rebita, ‘a politica, i latri; ‘nzomma, c’è l’Italia ‘ntera. Ahi a chillestrasonanu ‘e campane! E paria ‘na parola bella ‘a disgraziata! Propriu ‘e ccussì: bella e maligna. ‘Nzomma, marru Ci’, chir’è ‘ssa tangente? Eh caru Santullu! Allura vo’ sapire chir’è la tangente di oggi? Pecchì, c’è puru chilla ‘e ieri? Certu ca c’era, però chilla era sulu ‘na linea retta, ‘mbece mo’ è storta, serpie Santù’; ne suche lu sangu ‘e cruru, senza anestesia. Moni tangente vo’ dire tocch’e piglie, porte alla casa tua la purpetta, dintra ‘ssu statu fattu a parapiglia, chine cchiù po’ se inchie la sacchetta. E de cchi si la inchje? (Stropicciando l’indice col pollice) ‘E nicheli Santù’, ‘e soldini; chilli chi mancanu a mie. E cumu fannu a si la inchjere ‘a sacchetta? (Con la mano mima l’arte di arrangiarsi rubando) Ccu’ lu metudu anticu e ccu’ lu vizu modernu. Nun sacciu se haiu capito bene: grattannu, veru marru Ci’? Cchi ‘ntuitu sviluppatu chi tene l’ammazzatu! Ha capitu propriu buonu. Illi ci hanno il potere! Puru io ‘u tiegnu marru Ci’. Cchi tieni tu…. famme sentere? ‘U podere. (Tutti ridono). Ci l’ha datu l’Opera Sila. Eh caru Santullu! ‘U podere tue è ‘n’atra cosa: chillu è terra ppe’ zappare, ppe’ jettare ‘u sangu, ppe’ surare e no ppe’ grattare. 269 TIRESINA M. CICCIU ROSINA M. CICCIU ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU ‘NTONETTA SANTULLU M. CICCIU Certu ca unu a ‘ssu munnu s’ha de trovare onestu ‘e natura, sinnò ‘e chillu chi po’ s’arrange. No tutti ‘u ponnu fare Tiresì’. Piglie io, cumu fazzu a me tagliare ‘nu piezzu ‘e torta. Pecchì, nun tieni ‘u curtiellu? Ppe’ chissu ‘un manche, me (mostra il rasoio), tiegnu ‘u rasulu chi benerica taglie ch’è ‘na bellezza. E allura qual è lu problema? Le manche lu curaggiu. ‘Mbece, nullu ‘e ri ruvi; è la materia prima pregiata chi me manche. Signore belle, io trattu capu, signu ‘mpastatu ccu’ le manu ‘ntra capilli e varve, cchi puozzu fare? Ricica alli clienti ce puozzu tagliare ‘na fettina ‘e ra facce? Chissu noni, ch’è peccatu mortale. E te jocassi puru ‘a libertà. Perciò, dicevo! Ppe’ r’esempio, mo’ tiegnu sutt’i fierri, a mia disposizione, ‘ssu povar’omu; tutt’a ‘na vota, a mie me gire la capu e zacchiti, ce fazzu partere ‘na ricchia (Santullo spaventato cerca di scappare). Maronna mia bella sarveme! E’ esciutu pazzu marru Cicciu! (Si tocca le orecchie). Ohi Gesù mie! Parica ce sunnu. Fermete, vieni cca. Ma cchi l’è chiavatu a ‘na vota. ‘U curaggiusu s’è ‘mpressionatu. (Lo prende per un braccio e lo fa sedere) Calmate, assettate lluocu! Ma cc’ha penzatu? Lassime jire, mi ne vaiu! Assettate e statti quietu, pastinaca! Cchi n’haiu ‘e fare ‘e r’e ricchie tue? (Si porta la mano al petto) Ohi ‘u core, cumu vatte forte! Maronna mia cchi paura! Calmo, statti squitato ca completamu l’opera, te si’ scordatu ca tieni l’incontru ccu’ la zita? ‘N’atra pocu l’avìa fattu morire, atrica incontru ccu’ la zita. Però, fa’ sparire ‘u rasulu marru Ci’ e fa’ ‘na cosa ‘e jurnu. Certo, te sbrigo a lampo! 270 (Marru Cicciu, fischiettando, riprende a lavorare, mentre Santullo guarda spesso l’orologio. Intanto esce dal negozio di Maria marru ‘Ndria e va a parlare con marru Cicciu) M. ‘NDRIA ROSINA M. CICCIU ‘NTONETTA TIRESINA M. ‘NDRIA M. CICCIU M. ‘NDRIA ‘NTONETTA TIRESINA M. ‘NDRIA M. CICCIU M. ‘NDRIA M. CICCIU M. ‘NDRIA SANTULLU M. ‘NDRIA M. CICCIU SANTULLU Maestro, oggi se fatiche all’aperto? ‘Nu marru ‘e valore cum’è illu po’ fatigare a tutt’e parte. (Con ironia) E’ duve jiesci marru ‘Ndri’? ‘E quannu ce si’ ‘ntra ‘ssa putiga? Chisà c’è ‘ncunu mme ppe’ lu mmienzu? E sai com’è, certe vote i ragionamenti se fannu luonghi; se ponnu puru complicare no? (Allusiva) Oppure ‘na vilanza chi nun va bona, ‘na telefonata longa e lu tiempu passe… (Imbarazzato) Ma quale vilanza e telefonata, stava cuntannu a Maria, a proposito del cibo, ca io digerisco cchiù ‘na saraca ca ‘na mozzarella. Ce cririti puru vue? All’anima ‘e r’u bicarbonatu ‘e sodiu! Adduve marru Ci’: senza bicarbonato. Se vire ca ‘u motore ancora è funzionante. Ppe’ chissu ancora ‘u passu ‘u po’ fare. Cchi c’è de male? Tiresì’, me sa ca chissu è ‘nu suonnu: Maria ‘e ‘ss’argomentu nun ne vo’ sentere mancu parrare, l’ha chiusu vint’anni fa. Ih, furbacchione! Ppe’ lu sapire allura ci avìa provatu? A dire ‘a verità, tantu tempo fa, c’è stata ‘na menza parola, ma dalla trama ho subito capitu che l’argomentu ‘nquestione jia chiusu definitivamente. Tutte le cose vannu fatte a tiempu giustu. Ppe’ r’esempiu all’età ‘e ‘ssu giovane chi tieni sutt’i fierri. Ci ha propriu ‘nduvinatu, ca illu propriu stasera tene l’incontru ccu’ l’amore. Raveru giuvinò’? Apposta te sta faciennu i capilli! Sempre se il marro se manìe e me libere priestu, sinnò addio: me fa perdere l’occasione. Marru Ci’, avissi de mancare ppe’ ttie! Amico bellu, ppe’ ‘na capu cum’a tua ce vo’ lu tiempu chi ce vo’: parìa ‘nu spinaru gioia! Poi, abbiamo pure sconfinato nel sociale, ‘u’ lu sa’ ca passe lu tiempu. Chisso è veru, amo sconfinatu nelle rrope degli altri. Certu ca lluocu è cumu ‘na scola, se parre de tuttu. 271 M. ‘NDRIA SANTULLU M. CICCIU M. ‘NDRIA ‘NTONETTA ROSINA TIRESINA M. CICCIU SANTULLU M. CICCIU SANTULLU TIRESINA ‘NTONETTA ROSINA M. CICCIU TIRESINA ‘NTONETTA M. CICCIU Proprio così! Caru giuvinottu, tu ‘e sapire ca ‘e tutti i fatti ‘e ru paise e de chilli ‘e ru statu si ne parre duve i varvieri. (Indica marru Cicciu). ‘U vi’ chissu, è cumu ‘n’operatore sociale, anzi cchiuni. Allura inchie la capu e intra e la pulizze de fore? Bravu, ha ratu ‘na risposta filosofica, e chine si la crirìa! (Spazzola i capelli a Santullo e gli toglie la tovaglia dal collo) Santù’, l’opera è finita, ‘e ricchie ‘e tieni tutt’e ruve, puoi andare all’incontro. Anzi, aspette ‘nu pocu, m’era scordatu ‘e te mprofumare (gli fa un’abbondante spruzzata di profumo). ‘N’atra pocu avìa fattu ‘na fissarìa grossa, marru Ci’. Vaiu puru io a casa ‘nu pochettinu, quantu stipu ‘a spisa e tornu subitu.(Esce). Rosì’, me cum’è venutu biellu! Chissu stasira cunchiure sicuru. Nun sacciu pecchì, ma io ‘ncunu dubbiu ‘u tiegnu. Mo’ te po’ azare, amu finitu ppe’ daveru (Santullo si alza e mette mano al portafoglio). Vaste una pampina da decimila? Ppe’ regalo del fidanzamentu te rugnu puru ‘u riestu Santù’; anche se il taglio è stato difficile e lungo. (Gli porge la mano) Stammi bene e, t’arricummannu, cunchiure ccu’ la zita. Grazie assai, pue te ‘nfurmu cum’è juta. Alle signore e a tutti arrivederci.Pue ve fazzu sapire. (Visibilmente contento saluta il pubblico ed esce). Aguriì e bona fortuna. Va’ ccu’ la Maronna, gioia, va’! Cchi cliente difficile, marru Ci’, forse cumu chissu nun ti ne su’ capitati mai, è veru? Unico, un caso unico e speciale. Ti devo dire che in trent’anni di onorata carriera mai mi n’eranu capitati cumu chissu. E’ statu ‘nu tagliu difficile dunque? E ‘u’ l’ha vistu, cummà, ci l’ha tenutu ruve ure sutt’i fierri. Infatti il giovane ci ha la capo tutta complicata e particolare, sia di fore ca ‘e intra. I capilli denneliberi parìanu anziti ‘e puorcu: m’hannu ammarratu ruve fuorfice. 272 ROSINA M. CICCIU ‘NTONETTA TIRESINA M. CICCIU ROSINA ‘NTONETTA M. CICCIU ROSINA ‘NTONETTA TIRESINA ROSINA ‘NTONETTA ROSINA M. ‘NDRIA ROSINA M. ‘NDRIA TIRESINA M. ‘NDRIA Ma chin’è chissu, a quale razza appartene? E’ uno campagnolo, è figliu a Tumasina ‘a ricottara. Teh, teh… E chine l’avìa canusciutu! Tene propriu ‘a ‘mpruntatura e la fantasia ‘e r’a mamma. Mo’ ce porte ‘ssa cittadina a Tumasina e si ca sinne ricrìe, sa’ cumu vannu r’accuordu. Secondo me, ppe’ come è il caso, ‘e sse paure nun ci ne sunnu; Tumasina po’ stare tranquilla. Appena ‘u vire la cittadina ce fa lu fogliu ‘e via: ‘u licenzie ‘ntroncu senza tricare. Opporu, prima ce friche ‘ncunu sordu, ‘u spinne biellu biellu, e pue ce fa ballare ‘u sbrignu e lu manne duve ‘a mamma, intatto ‘e natura. Comunque sia, a mie m’ha fattu jettare l’anima. Mo’ ce vo’ propriu ‘nu pocu ‘e riposu ristoratore. Si ppe’ casu avissi de venire ‘ncun’atru cliente ce riciti ca ‘u maestru sta recuperannu ‘e forze e benissi fra tre giorni. (Sprofonda sulla sedia e, coprendosi la faccia col giornale, si mette a dormire). Siccome i clienti se fricanu; si nun passe ‘na settimana, chine vue c’arrive. Po’ rormere a sette cuscini, varvì’. Si lu lassanu ‘mpace ‘e musche, me cumu l’hannu arremuratu. Se vire ca tene lu sangu ruce l’amicu. U’ bellu è ca nun le sente propriu. ‘A pelle l’ha d’avìre cumu ‘a corchia ‘e ra rana l’ammazzatu! Va pensannu propriu alle musche, nun lu viri cum’è quagliatu biellu: parica ci hannu fattu l’anestesia. (Entra in scena mentre marru Cicciu russa) Benerica cchi lavoratore. Sta faciennu l’intervallu pomeridianu. Sentalu cumu sbruffe: pare lu trenu a vapore quannu esce da galleria ‘e ru Catusu. E tu ha fattu a lampu marru ‘Ndri’, nun te potìa stendere ‘nu pocu supra ‘na secia! Ce pigli i pulici alla casa? Ppe’ mie ‘a casa è cumu ‘n’albergu, me serve sulu ppe’ ce rormere ‘a notte. 273 ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ROSINA M. ‘NDRIA M. CICCIU (Fa allusione indicando con il capo la bottega di Maria) Cummari Tiresì’, si unu c’è affezionatu ‘e ‘sse parte, cchi ne vo’ fare tu. (Ha capito l’antifona) ‘Ntonè’, ti prego, ccu’ li scherzi basta, perche io all’amicizia ‘e Maria ce tengo; e cumu fa’ tu me sa ca ‘a fa’ guastare. Ha vistu ppe’ ‘na parola pigliata male, ppe’ quantu riguarde la figlia ‘e Tiresina, cumu su’ complicate ‘e cose? E sini marru ‘Ndri’, nun lu viri ca chiacchiarìu. Si nun potimu fare mancu chissu a ‘ssu vicinanzu mi lu sai rire cchi ne reste de fare cchiù? Quale atru divertimentu avimu? Ho capito ‘Ntonè’, però, sempre ccu’ moderazione, senza passare i limiti pericolosi. (Osserva marru Cicciu) E guardati ‘u maestro cum’è beatu, cche orchestra sinfonica che ha organizzato. Certe vote ce fa puru ‘u risucchiu e lu cuntracantu. Ha ragione poveretto, quel giovine innamorato l’ha fattu sforzare troppu, ci ha esaurito le energie. (Entra in scena Pipirinu, si fa un giro veloce intorno alla piazzetta e, fermandosi al centro con le gambe divaricate, emette diversi squilli di tromba che fanno sobbalzare marru Cicciu). (Spaventato) Cch’è successu? Cch’è statu? (Tutti ridono) ‘NTONETTA M. CICCIU PIPIRINU M. CICCIU PIPIRINU M. CICCIU ‘Na scossicela ‘e terrimutu, marru Ci’. (Accortosi della presenza di Pipirinu) Bruttu risgraziatu, propriu mo’ avìa ‘e venire: te pare ura ‘e jettare ‘u bannu chissa? ‘A gente a st’ura rorme! Io viegnu quannu me mannanu, caru marru Cicciu: ‘u signor Sindacu m’ha mannatu mo’ e io signu venutu. Io eseguiscio ordini e volo a lampo, capito? Comunque, ‘n’atra vota, prima ‘e sonare ‘ssa riavula ‘e trumba, almenu avvise primu. Nun lu prevede lu regulamentu bandisticu comunale. E pue cumu fazzu, prima ricu ca jiettu ‘u bannu e pue suognu? E de ccussì ‘u’ sc-canti ‘u stessu. Ma no cumu moni, chi m’ha fattu quagliare ‘u sangu. 274 PIPIRINU ‘NTONETTA Noni, nun me frechi, tu me vo’ fare licenziare forse? Pipirì, ‘n’atra vota ‘u sa’ cumu ‘e fare: va’ vicinu ‘a ricchia e citi citu ce rici: maestro, io haiu ‘e jettare ‘u bannu, ti pregu di nun sc-cantare. PIPIRINU ‘Ntonè’, nun lo pozzo fare ti ho detto, io signo ‘n’omu precisu e sconti nun ne fazzo a nullo. Io mi devo guardare il pane perché tiegnu famiglia. M. CICCIU Va bona, guardate chillu chi vue, ma nun azare troppu ‘a vuce mo’ ca cominci a jettare, ca denneliberi è cchiù forte ‘e r’u suonu ‘e ra trumba. (Riprende a dormire). PIPIRINU ‘Nzomma, basta! Cca me stati faciennu perdere tiempu, ancora haiu ‘e girare tutt’u paise. TIRESINA Allura pecchì ha cuminciatu ‘e cca? Tu prima jia all’atre parte e cca ce arrivava stasira; cussì, marru Cicciu se svegliava dolce dolce e nun lu facìa sc-cantare. PIPIRINU E torna Tiresina! Io pozzo cominciare ‘e dove vuogliu e nullu me po’ dire nente, ‘u ‘mportante è ca giru il paese e ‘nfurmo bene tutt’a popolazione. Silenzio! (Divarica di nuovo le gambe e suona). ROSINA Veramente chissa l’avìamu già ‘ntisa Pipirì’. PIPIRINU Attenzione, attenzione! Su arrivati ricrami allu comune ppe’ la puzza e la lordìa chi c’è ‘ntr’u paise.Chissa è ‘na cosa grava, ha dittu l’amministrazione. Perciò, ‘e oje avanti, ‘e persone chi tenanu crape, galline, puarci e ciucci o mantenanu ‘a massima pulizia o puramente si le binnanu. Ppe’ chine nun la vo’ sentere, ce su’ cuntravenzioni salate e pipate. Pue ancora: ppe’ causa polizia della vasca dell’acquedottu, romani manche l’acqua tutta la jurnata, perciò prucurative ‘ntiempu, sinnò v’arrangiati. ‘U bannu è finitu, arrivederci. (Emette altri squilli di tromba). TIRESINA Chi ‘na vota mannassinu a dire ‘na cosa bona; sempre guai e minacce. ‘NTONETTA E nue cumu sempre facimu campana ‘e buon suonu. Duve ‘e jamu mintimu ‘ss’animali, ‘e portamu alla fera? (Entra a passo lesto Peppinella). TIRESINA E me, e me ca se ricoglie! Ha fattu propriu priestu, ha cunchiusu almenu? PEPPINELLA Filumena m’ha dittu ca ‘u tombulu l’è ruttu. TIRESINA E duve si’ stata tuttu ‘ssu tiempu? 275 PEPPINELLA Mentre me ricoglia m’ha vistu mamma e m’ha chiamatu, anzi m’ha griratu. Mo’ ‘a tene ccu’ tutte vue, fimmine pettegole, parrettere e senza cuscienza, pecchì ha saputu tutt’i fatti chi su’ successi e ca me cummannati e me fissiati. Mo’, ha ditto, ca priestu se fa sentere. ‘NTONETTA Marru ‘Ndri’, l’aviti ‘ntisa? Cuminciati a tremare. M. ‘NDRIA Io nun c’intru propriu a ‘ssa faccenna, ‘u saputi tutti. ‘NTONETTA E tu cchi ci ha rittu a mammata, Peppinè’? PEPPINELLA Ca nun era veru nente. Sempre ppe’ ve scurpare. Ma illa nun ci ha crirutu. Anzi, m’ha datu puru ‘n’anticipu ‘e palate e m’ha dittu ca i cunti precisi le fa’ ‘n’atra vota. ROSINA Nue simu cca, ‘e male ‘u r’amu fattu nente, perciò…. ‘NTONETTA Ma si c’è stata ‘na parola è statu ppe’ scherzu. TIRESINA Marru ‘Ndri’, sapimu si a tene puru ccu’ ttie? M. ‘NDRIA Cumu regula no, io ho miso sempre la pace a tutt’e cose. ROSINA E mo’ priestu ni n’addunamu. M. ‘NDRIA Io veramente avissi de jire a fare ‘na mmasciatella cca vicinu. ‘NTONETTA Ti la fifi, marru ‘Ndrì’? M. ‘NDRIA Quale fifa, haiu fattu la guerra io! Adesso vaio, pue ne parramu. MATALENA (Mentre marru ‘ndria si avvia, si affaccia infuriata dal balcone di casa e coglie tutti di sorpresa. Urlando, inizia la sua lunga arringa contro le comari del vicinato) Ce siti tutti? Guardatile ‘e vacabunne, ‘e forficiare ‘e ru paise. (A marru ‘Ndria che sta per andare via) Fermete coscinù’, duve fuji. M. ‘NDRIA Io veramente… MATALENA Veramente nente, sentete puru tu ‘a prierica. Haiu aspettatu ‘ssu jurnu ‘e tantu tiempu ppe’ be lejere i pannizzi, ppe’ be fare ‘na lavata ‘e capu a tutti. Ve cririati ca ‘a passavati liscia? Mi n’haiu ‘e ricreare! Guardatile ‘e mobile! A figliama l’avìti e lassare jire, nun è fatta ‘a serva vorra e lu passatiempu preferitu. PEPPINELLA (In forte imbarazzo, va su e giù sulla scena tappandosi le orecchie e invitando la madre a placarsi). Citu, va’ trase e statti citu, sinnò nun me ricuogliu cchiù alla casa. ‘NTONETTA Brava alla signora Matalena, ha’ fattu ‘nu bellu comiziu; propriu all’usu tue: delicatu. 276 MATALENA ‘NTONETTA MATALENA Chissu è pocu, ancora v’haiu ‘e scumberdare e sbrigognare a tutte, ca ci ne su’tante cose ‘e rire… Cerche a te fucare ‘a vucca, ca cca simu tutte persone perbene. Se, propriu ‘e marca! Siti cristiane maligne ‘mbece. Chine ‘ncappe alla vucca vorra ne esce ruvinatu. (Da dietro, qualcuno cerca di trattenere Matalena per farle finire l’arringa) TIRESINA ROSINA MATALENA ROSINA MATALENA ROSINA MATALENA M. ‘NDRIA MATALENA Mo’ basta Matalè’, ca ‘a pacienza tene nu limite. ‘Ssi ‘mproperiì chi te ‘mbienti ti le dice ppe’ ttie, ppe’ la facce tua. Virete ppe’ ttie Matalè’, ca ne tieni cose r’ammucciare! Tu parri a rota libera? Nun lu sai ca figliata m’ha fattu trovare ‘ntra ‘na rugna… (Ancora più infuriata) Me chine parre! Te canuscianu tutti a ‘ssu paise, ne parranu i cani e li puorci ‘e tie. Ih buggiarduna ‘nfamante! A mie ‘sse cose? Ca sigmu chiara cumu l’acqua ‘e Cardune; va vire chine t’ha d’ammazzare ca ccu’ ttie nun mi ce appricu ca è tiempu piersu e m’alluordu (gli mette il sedere in faccia). Te, parre ccu’ chissu! Ih, sbrigognata! ‘U canusciu buonu chissu, ca ti ci n’haiu fattu gnezione gratis quannu avìa ‘e roglie, te si’ scordata? T’haiu pagatu profumatamente ‘mbece, buggiardù’! E pue dottorè’, te si scordata ca mi ci ha fattu spezzare l’acu e intra e m’è cunchiuta? T’ha castigatu Dio, tantu ca si’ bella! (A gesti, cerca di convincere Rosina a sedersi e a zittire) Mo’ basta Matalè’, cerche di moderare ‘e parole, lu sai ca hai offesu abbastanza? Teh, me chine parre! Coscinù’, puru a ttie te lavu i pannizzi, ca puru tu t’ha pigliatu ‘u pizzulune; tu, e chill’atru tardumotu ‘e r’u varvieri. Guardatilu cumu ‘nchijriche e si ne freca lu carognune. (Si accorge che Maria spia dalla porta della bottega) Putigà’, senza chi campiì, te spagni? Esce fore si tieni curaggiu ca ci n’è puru ppe’ ttie. 277 MARIA TIRESINA M. ‘NDRIA MATALENA TIRESINA MATALENA TIRESINA MATALENA TIRESINA MICUZZU TIRESINA MICUZZU TIRESINA MATALENA A mie lassime jire, ca nun tieni nente cchi me rire; io m’ammazzu ‘e fatiga tutt’u jurnu, cchi bue ‘e mie Matalè’? Ma nun ti ce appricare Marì, lassala vataliare ‘ssa ciarlatana: ‘n’atra pocu si la piglie puru ccu’ le petre e mmienzu ‘a via. (Indicando marru Cicciu) Illu rorme e si ne friche; se, bella soluzione! Nue simu a ‘ssu ‘nfiernu ‘mbece lu varvieri forse se sta sonnannu ‘u paravisu. Matalè’, ritirete ca t’ha capitu puru marru Cicciu chi rorme a suonnu chjnu. Ne tene bisuognu ‘e rormere ‘u vacabunnu, parica tene a cchi pensare? Aviti fattu ‘na bella società a ‘ssu vicinanzu. Jati ppe’ numinata: tutt’i jurni taglio e cucito supr’e spalle ‘e ra gente. Ih, malelingue maleritte! Vi la fazzu pagare. Fuchete ‘u mussu e statti citu, ca a ‘ssu paise ne canuscimu tutti chine simu, ha capitu? Mo’ ce vò’, ne canuscimu e come! Tiresì’, ‘u passatu nun se scorde facilmente. (Entra in scena Micuzzu, che torna dal lavoro e rimane stupito del fuoco incrociato in corso). ‘U tue raveru, chjnu ‘e attroppicuni porcariusi. (Si accorge della presenza di Micuzzu e rincara la dose) Va vire si ‘e jire a cucinare a marituta, sbrigognata! (Infuriata, cerca di andare verso casa di Matalena, ma viene trattenuta da Micuzzu) Trase e statti citu, ca sinnò ti ce viegnu jiettu ‘e ‘ssu barcone, ohi vatalara! Ma duve va’, fermete si’ esciuta pazza? ‘Nzomma, cch’è successu? (Infuriata) Arrassete, famme passare. A marituma ‘u sacciu io cumu l’haiu ‘e trattare. Ohi cupellu’, priestu ne virimu! Ma c’aviti avutu, se po’ sapire? Nente ‘e positivu, Micù’. (Indica Peppinella) Me, ppe’ ‘ssa ciotagliuna, t’ha arremuratu ‘u munnu! Guardatila cum’è biellu ‘u mobile! Si’ bella tuni cecagliù’! E sia l’urtima vota chissa chi ve pigliati ‘u pizzulune supr’e figliama, sinnò vaiu alla caserma e dugnu cuntu alla legge. Peppinè’, venitinne alla casa e nun ti ce fare virere cchiù ‘nziemi a ‘sse pettegole ciarlatane. Ha capitu? Venitinne! ’E bi’ ‘e cummari ‘e ru vicinanzu, ‘e femminelle ‘e casa. Ih, brutte streghe maleritte! Stativicce morte ammazzate a ‘ssu scalune. Te, 278 ‘NTONETTA MICUZZU M. ‘NDRIA TIRESINA MICUZZU M. ‘NDRIA MICUZZU TIRESINA discutiti ccu’ chissu! (Volta il sedere ed entra sbattendo le imposte del balcone. Peppinella, a testa bassa, stringendosi la radio al petto, esce di scena singhiozzando). Alla faccia tua sporca. Mah. Io continuo a nun ce capire nente. ‘Sse fimmine tenanu sempre l’abilità ‘e nun te fare capire, parica su laureate in misteriologia. Chissu è ‘nu donu ‘e natura ‘mbece, Micù’, sinnò ne virìa guerre ‘ntra ‘sse case. Micù’, jamu trasimu ca a nervatura ancora m’abballe. Ma quantu è ‘mprevedibile e curiusu ‘u vicinanzu: ieri sira, a chist‘ura vi‘ho trovatu ccu’ li festeggiamenti,stasira mbece ccu la guerra totale. Marru ‘Ndrì’, va ce capisce. Micù’, chissu è ‘nu tema melodrammatico chi se svolge a puntate, ppe’ tutta la settimana, sulu ‘a romanica ‘ncuna volta si riposa. Speriamo, almenu ‘e signore ricuperanu ‘e forze. Trasimu Tiresì’, ca ‘u petitu è propriu cunchiutu. Sini Micù’, jamuninne! Bonasira a tutti. Ne virimu romani. (Tiresina e Micuzzu escono di scena) ‘NTONETTA M. ‘NDRIA ROSINA MARIA ROSINA M. ‘NDRIA ROSINA MARIA ROSINA Ca ninne jamu puru nue, cc’amu ‘e fare cchiù! Bonasira a chine reste. (Esce di scena). Bonasira puru a ttie. Statti bona ‘Ntonè’. Tantu ‘a jurnata è finita, ‘u spettaculu c’è statu puru, cchi jamu trovannu cchiù? Marì’, t’aspiettu? ‘Nu mumentu quantu chiuru ‘ssa putiga e ni ne jamu. Vo’ dire ca rimananu sulu i masculi, pecchì tenanu ‘a licenza ‘e stare fore ‘a sira. Riestu ppe’ fare ‘n’atra pocu ‘e compagnia al maestro varvieri ‘nfina ca nun se risbiglie, ca l’avissi de frugare ‘ncunu cane chi passe. E pue, sulu, alla casa cchi baiu fazzu ccussì priestu? Tieni ragione Marru ‘Ndri’, suli se more de malinconia!’A sira e la notte su’ le nemiche ‘e chine sta sulu. ‘A jurnata è completata; Rosì’, ni ne potimu jire. Bonasira marru ‘Ndri’. T’arricummannu, guardalu buonu allu maestru. (Indica con un cenno del capo marru Cicciu). 279 MARIA M. ‘NDRIA Bonasira e a domani. Buonanotte puru a bue, care signore. E v’arricummannu, nun ve sonnati a Matalena stanotte, sinnò cariti ‘e ru liettu. (Rosina e Maria escono di scena, mentre si sentono fuori campo delle voci di mamme che chiamano i loro figli. Marru ‘Ndria, molto pensieroso, va avanti e indietro sulla scena) I° VOCE FUORI CAMPO Peppinì’, Peppiniellu! Ricogliete ch’è ‘mbrunatu! Quannu ti n’abbutti ‘e stare fore! II° VOCE FUORI CAMPO Giuvannù’, Giuvannuzzu! Maniete, ricogliete c’amu ‘e mangiare ch’è ricuotu patritta. (Ammantato dalle ombre della sera, finalmente il vicinato è immerso nel più completo silenzio) M. ‘NDRIA Buonanotte, cchi parola lecia lecia e tranquilla! Buonanotte, e si ne vannu tutti. Ognunu s’arricette ‘ntra la casa e se fannu i cunti ‘e ra jurnata. Bonanotte: se rice de ccussì. Buonanotte a tutti, puru a bue amici cari chi aviti avutu ‘a pacienza e ne sentere. (Con largo gesto della mano indica il pubblico) S’appiccianu ‘e luce e ss’ammute lu vicinanzu e fore rimane sulu chine alla casa nun l’aspette nullu: io e lu signore varvieri. (Lo indica) Guardatilu ‘ssu prototipu ‘e ra specie cum’è tranquillu, cumu sa dormire, ti ne fa’ venire ‘a gulìa. Cchi diciti, ‘u risbigliu? E ssi pue sccante povariellu? Ma si, ‘u lassu e ccussì, ‘u fazzu scialare, tantu, cchi pressa avìmu? Amu parratu ieri, oje; è ‘na vita chi parramu, chi progettamu senza cunchiurere nente. (Marru Cicciu emette una russata prolungata, uno sbadiglio e gesticola con le braccia). Ci’, ci’, ca forse sta ritornanno in vita. (Marru Cicciu invece riprende a dormire pacificamente) Simu sbagliati, era sulu ‘a fine ‘e ru primu tiempu. Ma si, rorme amico bello, scialate; tantu rorme puru ‘u Governu, ‘a Regione, ‘u vicinanzu, tutti n’arricettamu sutta ‘ssu cielu chiaru e stellatu peracise. E’ tornata ‘a calma roppu ‘a tropìa. ‘N’atra jurnata è passata tra suspiri, risa, grirate e guerre, senza cangiare nente! 280 Rimananu sulu ‘ntr’i pensieri i corna ‘e Peppinella, ‘a vuce tonante ‘e Tiresina, ‘a faccia ‘e Santullu e le jestigne ‘e Matalena. (Indica marru Cicciu) Rimane puru ‘ssu quatru ‘e natura morta chi concilie lu suonnu, sperannu ca romani ce sia cchiù fatiga, amure e pace ‘ntra ‘ssu munnu. CALA IL 281 SIPARIO L’AMURE NUN S’ACCATTE Commedia in tre atti 282 PERSONAGGI Michele Giovannina Mariuzza Santinu Giginiellu Santu Marafrancisca Custanza Cosima Don Peppe Donna Lena Gregoriu Pasquale Crimentina Robertu Riamunnu Dora Compa’ ‘Toninu Ventirupulu Picariellu Furmicune Cummari Ciavula Bianchina Ninetta Gianninu calzolaio moglie di Michele sartina studente universitario scolaro pensionato di guerra moglie di Santu, casalinga sarta sarta ufficiale postale in pensione nobildonna benestante muratore moglie di Pasquale, casalinga disoccupato pedacese emigrato in America pedacese emigrata in America fontaniere apprendista fontaniere apprendista calzolaio portalettere casalinga casalinga scolara scolaro La scena, unica per i tre atti, è costituita da un’ampia stanza arredata con mobili e oggetti antichi; vi spiccano un focolare, una finestra e due porte, una comunicante con l’esterno e l’altra con l’interno della casa. Ad una parete è attaccato il crocifisso e, su di un’altra, un quadro. Questa stessa stanza non solo ospita la famiglia di Michele Purgatorio, ma funge anche da laboratorio per l’attività sartoriale esercitata dalle sorelle di Michele, Custanza e Cosima. 283 ATTO PRIMO SANTU (Si crede sempre in guerra e si comporta di conseguenza: ha il cappello da bersagliere in testa e il bastone in mano; cammina speditamente, controllando con sospetto tutti gli angoli della stanza. Emette due fischi, si strofina le mani e si porta al centro della scena). Tutti arresi, ‘u nemicu ha azatu le mani davanti al bersagliere Santu Grillettu fu Cesare. (Fuori campo si sente un rumore e Santo entra in azione di guerra). C’è rimastu quarche feritu. Fore, esce fore ccu’ le mani in arto; avanti, nun fare ‘u fesso, pecchè a Santu non lu frechi. Te rugnu l’urtimatumu: o jiesci fore ccu’ le mani azate o te viegnu a pigliare. (Attende un po’) Tu tieni ‘a capu tosta, pieju ppe’ te, pecche mo’ sei morto! MARAFRANCISCA (Fuori campo) Finisciala ca signu io, ca signu juta allu cessu, ha capitu? E cchi cos’è, mo’ puru i rrusci ‘e ru cessu pigli ppe’ cannunate. SANTU (Si fa riflessivo e poi sbotta in una risata) Chissa è mia moglie Marafrancisca e ogne tantu puru illa spara quannu va’ di corpo; ‘nzomma, m’aiute a combattere povera donna. Marafrancì’, Marafrancisca. MARAFRANCISCA (Fuori campo) Cchi male vue torna. SANTU Si viva ppe’ miraculo, vi’, ppe’ pocu non ti ho scarricato il fucile ‘ncuollo. N’atra vota avvise ca vai al cesso. MARAFRANCISCA (Fuori campo) Se, jiettu ‘u bannu ccu’ ‘na trumba. SANTU (Rasserenato e felice) Torna la pace è conquistata! (Apre lo stipo e beve il caffè che è dentro una bottiglietta) Io giocu d’anticipu, pecchè chissu piace a tutti. Nullo po’ frecare un sordato come me; chissa è tattica militare. Operazione compiuta, mo’ ‘u guerriero ha de ricuperare le forze e si va stenne in branda. (Emette due fischi ed esce) 284 (Entrano a passo svelto Custanza e Cosima e subito, impugnando una scopa, iniziano a fare le pulizie. Dopo quindici secondi di silenzioso lavoro, Cosima si ferma di colpo) COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA Custanza (Spaventata) Si Cosima, cchi t’è chiavato? Nente di grave, nun sc-cantare. E allura pecchì sei appagnata a ‘na vota? Te volìa dire che stamu diventannu vecchie. Pecchì Cosima, come ti ne sei addonata? Pecchì ne ‘ncominciamu a scordare le cose. Ppe’ r’esempiu stamatina nun ci simu fatte il signo di croce prima di cuminciare la jurnata. (Con meraviglia) Gesù, Gesù, cche sbagliu gruossu! Cumu è potutu succedere! ‘Ntantu è successu, miegliu riparare a lampo. Certu sorella, senza cchiù tricare. (Si mettono in ginocchio, si fanno il segno di croce e pregano). Gesù buonu, runaci la forza di fatigare tutta la jurnata, mannaci crienti buoni e benestanti, che nun ci facessero jettare il sango pecchè vonno cacciati tutti li chiuriti, che a nue ci fannu tantu unchiare. Maronna mia bella Addolorata, fa rormere almenu ‘nfinu a menzijurnu a papai e a Giginu, cussì nun ne mintanu ‘ncruce e potimu sbrigare la fatiga. Grazie. (Si fanno il segno di croce e iniziano a lavorare). Cosima Si, Custanza Lo hai ‘ntiso ‘u gallu stamatina? E come nun l’ho ntiso, ‘u risgraziatu ‘e cantare si n’è fattu ‘na passa. Ha vistu, s’è ricriatu propriu. Forse era cuntientu, nun la finiscìa mai. Cche si pense il cretinu, che ‘a gente è surda o che le fa’ piacere allu sentere. Nun lu sa c’avimu ruve sbeglie di marca chi ne risbiglianu la matina. Sa’ cche ti dicu Custanza, lu sai? Ca ‘ssu gallu prima o pue ci fa’ liticare ccu’ cummari Maria. 285 CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA Lu penzu puru io. Ca tu il disgraziatu nun se scorde nemmenu un giorno, è sempre puntuale: cante alle quattru ‘mpunta. Illo s’abbutte di sonno e si ne freche de l’atri, pecchì ‘a sira se va curche priestu. Scostumatu, nun lu sa ca risbiglie la gente. Mo’ noi sa’ cchi facimu, prima l’avertimo con il buono…. A chine, allu gallu? Alla patrune, no? Ce ricimu che la bestia ci rompe il sonno, che il giorno pue non potimo cunchiurere bene la fatiga e che ci fa scordare puro di fare le cose. E già, come il signo della croce per esempio. Giusto, eccu pecchì ci simo scordate, perché nun avevamo conchiuso il sonno ed eramo ‘ncialenate. ‘Nzomma, nue facimo il riclamu regulare e pue s’ha de decidere. Due su’ le cose: o il cantante si lu vinne o si lu fa al forno. Perfetto, Cosima, nue la facimu scegliere, pecchì volimu la pace, ‘ncaso nun la vo’ sentere vo’ dire che dichiaramo la guerra. E la vincimu, pecchì avimu la ragiune dalla parte norra. La portamu alla curta, dal pretore, e pue virimu. ‘A legge parre chiaru: le bestie, sia ppe’ li rumori che ppe’ la puzza, nun ponnu stare ‘ntr’u paise vicinu alli cristiani. E cumu no. Illa nun se la crire, pue se ne addona: ce lo facimo il cumprimento. Te l’arricuordi per esempiu ‘u casu ‘e ru ciucciu ‘e Scarpiellu? E cumu no, n’hannu parratu puru i giornali. ‘U chiamavanu ‘u tenore ‘e ri suttani. Ha vistu? ‘A bestia ragliava a jurnate, parìa ‘nu cantante chi s’allenava ppe’ lu festivallo ‘e San Remo e nun la volìa sentere de nulla fatta manera. Cussì, raglie oje, raglie romani, ‘a gente s’è scocciata e lu poveru Scarpiellu è stato costrettu a portare ‘u cantante alla fera della runza e si l’ha vinnutu. 286 COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA Cumu se rice: o ccu’ lu buonu o ccu’ lu triste ‘a pace se cunquiste. Ccu’ li straini è cumu rici tu, cara Cosima, ma ‘n’tr’a casa, ccu’ li parienti, cumu fai, ricica po’ jire alla legge? Al massimo te po’ fare ‘na bella liticata. Armenu te sfoghi ccu’ la vuce, cumu facimu nella casa norra, duve se vive tra longhe guerre e curti periodi ‘e pace. N’avìmu ‘e cuntentare ‘e chissu, pecchì io ricu ca la pace vera allu munnu nun è mai esistita; s’è campatu sempre ccu’ la speranza ‘e ra conquistare. Perciò conzamune di sienzi e supportamu ‘e fantasie ‘e papai, ‘e malandrinerie ‘e ri neputi e tuttu ‘u riestu, si nun volimu cadère malate. Mah, parica amu misu tuttu a postu. Certu Custanza, ‘u campo di battaglia è tuttu in ordine, potimu cuminciare la battaglia del lavoro. (Le due donne iniziano il lavoro di sartoria) (Apre lo stipo) Si nun ricuordu male, parica jieri sira ‘nu pocu di caffè c’è rimastu, tu ‘u vue puru ‘nu pocu? ‘Na guccia mi la pigliu. Assai no, pecchì n’amu ‘e mantenere calme. Armenu ogni tantu ne spacchiamu. ‘A matina ‘nu pocu ‘e caffè è buonu ppe’ cuminciare bene ‘a jurnata: te ‘ndorcifiche la bocca e ti zillichìe la nervatura. (Si accorge che la bottiglia del caffè è vuota) Te fa diventare propriu ‘na riavula. Farabbutti, chi ve vo’ bivere n’ursu! Cchi c’è Custanza? Nun ci appunte nente; torna stamatina n’amu ‘e cuntentare ‘e l’acqua frisca: Cosima, se su’ spacchiati torna i soliti, ci hanno anticipato. Si l’hannu sucatu tuttu? ‘N’atra pocu mancu ‘a buttiglia ce trovamu cchiù. Ma ricu io, se azanu ‘a notte ppe’ si lu vivere Ma cchi ne sacciu cchi fannu chilli, certu è ca simu assai ‘ntra ‘ssa casa perciò, cara sorella, ‘e oje avanti si volimu trovare le cose amu ‘e mintere tuttu sutta chiave Speciarmente le cose cchiù guliuse… 287 CUSTANZA COSIMA CUSTANZA MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA CUSTANZA MICHELE COSIMA CUSTANZA (Riempie due bicchieri d’acqua, li zucchera e li bevono) Te, vive Cosima: acqua clorata e zuccherata, antica affermata mericina. Chilla chi fa passare ‘e paure e li ruluri ‘e trippa. (Conserva i bicchieri e riprende a lavorare) Armeno ne simu fatte ‘a bocca. A noi! A fatiga ci aspette: ramune ‘e fare prima chi se risbiglie tuttu l’esercitu. (Lavora nel locale sotto la sartoria, ora entra con furia ed imprecando) Carogne, farabbutte! Nun c’è cchiù cuscienza al mondo; cchi tiempi risgraziati! Ch’è statu, fratellu Michele, chine t’ha ‘nsurtatu? Mo’ virimu ‘nu pocu si ‘nu cristianu nun po’ mancu cchiù fatigare ca rune fastidiu, ca disturbe li vacabunni chi se azanu a mezzogiornu. Cumu, cumu, famme sentere. C’e ‘ncuna ‘a ‘ssu vicinanzu ch’è delicata ‘e ricchie e nun vo’ sentere rrusci di martelli, perciò è juta a ricramare allu comune; è passata ‘a guardia e m’ha avisato con il buono. E cchi t’ha dittu ‘e precisu ‘ssa guardia? Sentimu… Ca ppe’ ragioni ‘ntrinseche e de quieto vivere haiu ‘e cangiare abitudine di lavoro. Nun ha bolutu rire ‘u nume ‘e ru ricramante però… Nun c’è bisuognu, ‘u sapimu già chine è potuta esere, ne lo ‘maginiamo. Custanza, tu che ne rici, approvi? Certu Cosima, sicuramente è stata illa. ‘Nzomma, chine è statu? N’amu ‘e rare ‘na controllata, care sorelle, sinnò potimu passare ‘ncunu guai. Perciò, ‘e oje avanti, nun potimu cchiù cuminciare a fatigare tantu priestu ‘a matina e nun potimu cchiù fare tantu rrusciu ccu’ la machina singer di cucito. Cchiri! Ce facimu virere nue alla cupellune ‘mbiriusa, manu muscia: statti squitata ca t’accuntentamu priestu. Se, se, vo’ dire ca mintimu ‘u silenziatore alla machina, arogliamu i ‘ngranaggi e pedalamu cchiù chianu. 288 MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA MICHELE CUSTANZA COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA MICHELE CUSTANZA COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE C’amu ‘e fare, ricica potimu jire alla pretura ppe’ chissu? Chi vo’ jire guai chiamannu; ma nun sinne ‘ncarricassi… Vo’ dire ca puru io vattu ‘a sola cchiù chianu e delicatu. Chi ‘a vonnu vattere cumu i pistilli, risgraziata! ‘u’ re venire torna ca vo’ scurtatu i cavuzi a marituta: te scurtu ‘a vita. Ce vo’ carma Cosima, nun te ‘ncazzare. E brava a Maria ‘a franca e sisita, ‘a patrune ‘e ru gallu! Nue amu fattu ‘e parole e illa ‘mbece ha fattu i fatti. N’ha pigliatu ‘ncontropiede. Nue simu di razza tennera e bona, perciò ne approfittanu. Si? Ti pienzi ca la vince illa? Adessu, mo’ virimu cumu fa’ a fare stare citu ‘u cantante ‘e re quattru ‘e ra matina, ce minte lu mussale? Chissu nun lo so, stamu a vedere. Illa ha bolutu ‘a guerra e guerra sia; illa è juta a ricramare allu comune e nue jamu ricramamu ppe’ llu gallu alla caserma. (Con tono moderato) Ma quale comune e caserma, cca amu ‘e virere cumu potimu risorvere ‘a cosa pacificamente, sinnò chilli chi ce perdimu simu nue, ‘u sapiti chissu? Nun è veru, fratellu Michele, la famiglia Grillettu nun si arrenne, cumbatte ‘nfinu all’urtimu. Nun l’ha de vincere illa, la ‘mbiriusa e maligna. Sentiti ‘nu pocu, ragiunamu. Ammessu ca jamu alla legge cumu riciti vue, ‘u sapiti cchi succere? Avanti, sentimu cchi succere. Ca spennimu tanti sordini e alla fine a nue ne vietanu ‘e cuminciare a fatigare priestu e alla signora vicina di casa, al massimu, ce fannu ammazzare il gallo. ‘A risgraziata si lu fa al forno e si lu ‘mbucche. Viriti chine ne tene lu dannu e la peggio. 289 COSIMA CUSTANZA (Annuisce col capo) Tieni propriu ragiune; la disgraziata tene il coltello ‘e ra parte del manico! Custanza, me sa’ ca n’amu ‘e arrennere. (Impreca rivolta al cielo) Gesù, Gesù, quantu chiuovi n’avimu ‘e collare, ccu’ tutta la ragione c’avìmu. Ma nun sinne ‘ncarricassi, prima o pue l’ha de pagare. (Più di una volta si sente in lontananza il canto del gallo) MICHELE COSIMA CUSTANZA MICHELE CUSTANZA COSIMA CUSTANZA MICHELE CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA CUSTANZA Ancora ‘u cantante nun è saziato, fa lu straordinario. E’ d’accuordu ccu’ la patruna, lu fa apposta il cretino. (Si alza di scatto, prende la scopa e si avvia verso la porta imprecando) Mo’ ci lu fazzu finire io il canto. (Cerca di fermarla) Ma duve vai, fermete, nun cumplicamu ‘e cose. Oh, ppe’ la miseria, capisciala ‘na bona vota! E si, noi buttiamo il sangu e illa ne sfotte! Carmete Custanza, nun damu gustu alla gente. Ne signu propriu abbutta ‘e ‘ssa storia. Dimostramu ‘mbece ca nue simu superiori e nun n’appricamu a certe cose; tornati al lavoro, care sorelle, ch’è meglio; il tempo pue ne darà ragiune, farà giustizia. Se, fra vint’anni! Michè’, ‘a giustizia o se fa subitu sinnò nun serve a nente, perde tutt’a forza e lu significatu. Lassamu perdere, Custanza, ripigliamu ‘u lavuru ch’è cchiù ‘mportante: le criente tenanu pressa! ‘Nzomma l’ha de vincere illa no? No, cara sorella, vince lu buon sensu… E pue sa’ cchi ho pensatu? Avanti, sentimu. Mo’ vene la festa e po’ darsi puru ca ‘ssu cazzu ‘e gallu finisce in tajella, cussì, senza ne liticare, ‘u problema se risolve sulu. Si, tieni ragiune, bravu a Michele, il penzamento è propriu giustu. ‘U volissi Dio ca si lu ‘mbuccassinu e chi le jissi de stuortu puru. 290 PICARIELLU MICHELE CUSTANZA COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE COSIMA MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE COSIMA MICHELE CUSTANZA MICHELE PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU COSIMA (Fuori campo) Marru Michè’, marru Michè’, ca signu venutu. (Con ironia) Chissu è il mio ajutante Picariellu. Sempre puntuale: ccu’ li cazzi. (Cerca nello stipo la bottiglia del caffè che trova vuota) Mancu ‘na guccia, oh! Mah, torna ppe’ oje signu arrivatu in ritardu. Puru noi, Michè’. Si, puru come te, l’amu trovata vacante. E’ ‘nu misteru, nullu sinne vive, ‘a buttiglia nun funne, duve cacchio va a finire ‘ssu cafeiu? Mah, e chine lu sa. Pare un giocu ‘e prestigiu. Però c’è ‘ncunu chi ‘u giocu lu sa bene. Su’ ‘ncognite, caro fratello, cose chi capitanu. Sempre alli stessi fissa però. Mah, ccu’ tuttu chissu vaiu scinnu alla putiga. (Si avvia). (Entra di corsa) Marru Michè’, scinne subitu ca c’è su clienti ‘mportanti. Chine sunnu. E’ ‘nu fresalone chi pise ‘ncunu quintale e mienzu. Cchiù du puorcu tue, ‘nzomma? Ija, avissi voglia! Parre mienzu ‘mericanu, né lu canusciu, né l’haiu capitu. Mi la ‘mmaginu: tu nun capisci mancu ‘u ‘talianu! A razza mia è tutta alfabeta, marru Michè’. Si, avantatillu puru! Mah, jamu virimu ‘ssu giargianese. Puru stranieri, Michè’, ‘u nume s’è spasu. Se, propriu allu sule. Michele nuorru è finu, è n’artista. Picarì, jamu scinnimu. Buon lavuru puru a buve, care sorelle. (Esce di scena) (Sfottente) Signorì’, cumu pariti belle mentre fatigati: pariti ruvi angioletti. Ma raveru siti gemelle? (Con compatimento) Va’ scinne Picarì’, ca ‘u marru t’aspette. Signorì’, mi lu cacciati ‘nu desideriu? Va’ scinne Picariellu, ca sinnò te cacciu ‘n’uocchiu. Pecchì nun ve siti spusate, ‘u’ r’aviti avùtu tiempu? Su’ affari nuorri chissi; vavatinne ripellù’. 291 PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU COSIMA PICARIELLU CUSTANZA COSIMA PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA Ma armenu prima ‘ncunu zitu l’avìti avutu o siti propriu ‘nconpetenti in materia? (Infuriata) Oji figliu ‘e bona mamma, ti ne vai o ti ne fazzu jire ccu’ ‘ssu tappinu alla frunta. (Si toglie la scarpa e minaccia di tirargliela addosso) Carma, signorì’, cumu siti sensibile. Avìti i niervi troppu scoperti. Ma guarde ‘na pocu cchi guagliune ‘mpertinente, scustumatiellu patentatu. Mo’ lu ricimu allu marru. ‘U sacciu pecchì siti rimaste zitelle: ca un v’ha volutu nullu, no signorì’? Mascalzone, linguacciutu; su’ fatti nuorri chissi (gli corre dietro minacciandolo). Scustumatazzu, via ‘e ra casa norra. Ciao zitelle, volimune bene, fatigati assai e scusati ‘u scherzu. (Correndo, mette lo scompiglio nella stanza. Poi esce) Via, via! Ma guarda ‘nu pocu quantu n’amu ‘e cumportare. (Ritorna e spia dalla porta) Pigliative assai gagumilla, signorì’, sinnò nun rendete al lavoro. (Esce definitivamente) Torna, risgraziato! Che mondo, che mondo, sorella mia! Nun c’è cchiù rispettu ppe’ nessunu, nemmenu ppe’ noi che simu, mo’ ce vo’, fimmine di fede e botate al bene. (Tira un sospiro di sollievo liberatorio, subito imitata dalla sorella; entrambe riprendono a lavorare) E’ figliu propriu alla mamma, ‘u risgraziatiellu, vi’: tale e quale. E’ veru, Custanza, ccu’ ‘na piccula differenza però: ca la mamma ha fissiatu all’uomini ‘e mille paisi e lu figliu sfotte le femmine. Però il ramo è lo stesso. Cchi ce potimu fare, cara sorella, amu ‘e cumportare e subire i prodotti della premiata ditta “Riscignola e figli”. Quella chi rune lurru al norro paise. (Bussano ripetutamente alla porta) 292 CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA NINETTA GIANNINU COSIMA CUSTANZA NINETTA CUSTANZA NINETTA GIANNINU COSIMA NINETTA CUSTANZA GIANNINU COSIMA GIANNINU NINETTA COSIMA NINETTA COSIMA (Scocciata) Chin’è ss’atru erva ‘e roglia mo’. Cosima, va vire a chine le role la trippa. E si, mo’ jocamu allu lasse e piglie e addio fatiga. Maniete, fa’ priestu ca sinnò jettanu ‘nterra ‘a porta. (Mentre va ad aprire) E cchi cos’è, ce vo’ puru ‘nu pocu ‘e terminazione. Forse tenanu ‘ncuna siecuta. (Apre la porta ed entrano affannando e spaventati Gianninu e Ninetta. Gianninu ha la testa fasciata) Ma cchi v’è chiavatu, cchir’è ‘ssa pressa. (Preoccupata) Via, via, me cumu su sc-cantatizzi, povarielli! Cchi v’è successu, gioia, parrati. (Affannando) Ri…riciaccellu tuni. ‘U vi’…., ‘u vi’. ‘U viscuvu? Cchi dice, cchi ce intre ‘ssu viscuvu. Bum, ‘na petrata sanizza e r’è fattu a cientu morsa. Ma chine? ‘U vitru ‘e ra finerra ‘e Carcarazzu. Carcarazzu se stava assulicchiannu assettatu allu scalune e r’è sc-cantatu. E pue? N’ha datu ‘nsiecuta, illu ccu’ lu palu azatu e Carminella, ‘a patruna ‘e ru vitru, ccu’ jestigne nivure ‘nfinu alla settima generazione. Cchi gente brutta. E cchi cos’è! Mo’ n’aspettanu fore. (Riempie un bicchiere d’acqua) Te, viviti, vivitive ‘nu pocu ‘e acqua, ca ve passe la paura. (Beve l’acqua e domanda a Ninetta) Mo’ me sientu miegliu. E tu? T’è passata puru a tie ‘a paura? L’acqua ti l’ha vippita tutta tuni, cumu me passava. (Riempie un altro bicchiere d’acqua) Te, gioia, vive puru tuni, ca chissu è n’atru chi pense sulu ppe’ illu. (Beve) Siccome è sc-cantatu ‘e cchiù. (A Gianninu) E ‘ssa capu ‘nfassata? 293 GIANNINU CUSTANZA GIANNINU NINETTA COSIMA GIANNINU CUSTANZA GIANNINU COSIMA NINETTA CUSTANZA GIANNINU NINETTA GIANNINU CUSTANZA NINETTA COSIMA CUSTANZA GIANNINU COSIMA Nente, ‘nu vitruognu. Jieri sira me signu scontatu ccu’ la capu ‘e ‘nu cumpagnu: Spicoschi, ‘u risgraziatu, ‘a tene tosta cumu ‘na petra e io l’haiu avùta ‘a peggio. ‘U vì cchi succede quannu se fa la race e nun se tenanu ‘e manu a postu. Ti lu giuru, nun l’haiu fattu apposta. Però io ti l’avìa dittu ch’era pericolosu. ‘U vi’, t’avìa avvisatu. Giudicati vue, signorì’, ppe’ birere si tiegnu curpa. Io volìa minare ‘a petra a ‘nu niru ‘e passeru supr’a cagia. Cchi ne potìa sapire ca ‘e arrieri ‘u risgraziatu ‘e Parrupacristu me ‘mbuttava. Allura t’hannu ‘mbuttatu? Certu, signorì’, m’hannu ‘mbuttatu. E cussì ‘a petra ha cangiatu direzione e r’è juta a battere allu vitru ‘e Carcarazzu. Sinnò, a dire ‘a verità, tiegnu ‘na mira precisa. Quatrarì’, ‘u fattu è ca ‘e petre nun se minanu nemmenu alli niri ‘e aggielli. Hannu ‘e stare ‘nterra, l’ha capita? E chissu mo’ se ‘mpare! E ‘na ricchia le trase e de n’atra le jesce. Però, ancora nun haiu capitu pecchì ccu’ tante case c’avìti passatu, ‘e re Barracche allu Spicuniellu, siti venuti a ‘mbussare propriu alla norra. Raveru, ce criri ca nun lu sacciu? ‘A ‘mmasciata Giannì’. ‘N’atra picca ‘a paura m’avìa fattu scordare ‘e ra ‘mmasciata. Quale ‘mmasciata. Mamma vo’ sapire si è pronta ‘a vesta, ca ‘a rominica si l’ha de mintere c’ha de jire alla zita ‘e Filumenella ‘e Grullulera. E cumu ‘u r’è pronta! Vero, Custanza? Se, simu alle solite! E r’ha mannatu a tie? Veramente ha mannatu a tutt’i ruvi. Ah si? Vecchia tattica, Custanza (stropiccia l’indice sul pollice). 294 CUSTANZA NINETTA GIANNINU NINETTA CUSTANZA GIANNINU NINETTA COSIMA CUSTANZA GIANNINU NINETTA CUSTANZA NINETTA GIANNINU COSIMA NINETTA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA NINETTA COSIMA NINETTA GIANNINU COSIMA NINETTA GIANNINU Cari ragazzi, ‘a vesta è finita a tri jurni e r’è puru stirata. Menu male. Ti l’avìa dittu ch’era finita. Allura ha dittu mamma ppe’ ci la mannare. Allura ricecce a mammata ca venissi illa a si la pigliare. (Rivolto al pubblico) Chisse nun su’ cocivule, me sa ca ci amu appizzatu ‘u viaciu. Forse mamma nun tene tiempu. Si vo’ la vesta ricecce ca ‘u trovassi lu tiempu. E trovassi puru i sordi: prima chilli ‘e ra cappottina ‘e l’annu scorsu e pue chilli ‘e ra vesta ppe’ jire alla zita. Ninè’, me sa ca ni n’amu ‘e jire a manu vacante; ‘e signorine tenanu ‘na bona memoria. E su’ puru attaccate alli sordi. Bravi alli giovani, avìti capitu propriu bene. Allura ni ne potimu propriu jire? E torna, ‘u’ l’ha capita ca chisse su’ gente serie. E capire simu capiti; ‘a paura v’è passata, vi ne potiti jire, c’avìti ‘e fare cchiù? E a mamma, allura, ‘e precisu cchi ce ricimu? (Stropicciando l’indice col pollice) Ca venissi illa, proprio di persona, e cussì ne puru salutamu. Sempre si vo’ jire alla zita. Illa ce vo’ jire, no? Certu ca ci ha de jire, simu cummari ccu’ la mamma ‘e ra zita! Custanza, allura è la vota bona: forse vene. (Delusa) Jamuninne, Giannì’. Speriamu armenu ca Carcarazzu e Carminella nun n’aspettanu fore, sinnò ne tocche de fare ‘ncun’atra cazza ‘e cursa. ‘E gambe parica ‘u’ l’avìti belle longhe ppe’ fujere! Allura, bona giornata. Puru! E camine ‘e lluocu, nun l’ha capita ca ci amu appizzatu ‘u viaciu (Tocca il crocifisso attaccato al 295 CUSTANZA GIANNINU COSIMA GIANNINU COSIMA GIANNINU CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA SANTU CUSTANZA SANTU COSIMA CUSTANZA muro e lo fa cadere) Perduno, ve ciercu scusa, nun l’haiu fattu apposta, signorì’; io ‘u volìa sulu vasare. Se vire ca nun vo’ vasatu ‘e tie chissu e r’è carutu. E già, chissu è particolare, è du vuorru. Chillu ‘e ra casa mia nun care però, pecchì? Va’ biellu, va’, vavatinne ccu’ la Maronna. E Ninetta rimane cca? Va’ vire duve ‘e jire e camine ‘e lluocu. Jamuninne Ninè’, ca ‘sse signorine su’ tutte nervuse. Ciao, ciao (Esce con Ninetta). (Mentre mette a posto il crocifisso) Le frijanu ‘e manu a ‘ssi figli ‘e bona mamma: l’ha fattu carire ppe’ la quarta vota: perdunalu Gesù mio! S’ha fattu ‘ncuna cosa? Me pare de no. Se vire ca sa’ carire, tantu c’è ‘mparatu! (Riprendendo a lavorare) Quanto tiempu se perde ppe’ curpa ‘e l’atri senza utile. Mo’ Picariellu, mo’ i figli ‘e ra signora ‘e ra vesta e lu tiempu vule. Speriamu bene ‘e mo’ avanti. (Si sente tossire con insistenza e dopo un po’ si odono degli squilli di tromba). Via via Maronna mia, simu torna puntu e d’accapu: è disbigliatu papai. Nun c’è ripuosu! Mo’ l’amu fatta propriu bona: si entra di nuovu in guerra. (Disperata). Cosima mia dove simu chiavate! (Entra a passo lesto, porta il cappello da bersagliere e numerose decorazioni sul petto. Compie un paio di giri intorno alla stanza cantando) Vai fuori d’Italia. Vai fuori straniero. Vinceremo! Papà, papai, ma frunala ppe’ piacire. (Controlla tutti gli angoli della casa). Ss…ss.. Silenzio, ‘u nemicu ci ascolta. Ma sentala ‘na bona vota, è finita a quarantanni ‘ssa riavula ‘e guerra, ‘a vo’ capire o no? (Urlando) C’è statu l’armistiziu. 296 SANTU COSIMA CUSTANZA SANTU COSIMA (Impugna la scopa a mo’ di mitra e spara dalla finestra) Abbasciatevi, panza a terra, arrivanu ‘e mitragliate. (Lo va a tirare per la giacca) Mo’ basta, finisciala ppe’ piacire; ‘u vì ca nun spare cchiù nullu? (Scherzosa) ‘U nemicu s’è arresu, papà. (Orgoglioso) L’haiu stisi, su’ muorti tutti. N’haiu fattu ’na spasina. Ti l’ha pulizzati tutti? Menu male. Mo’ statti quietu ‘nu pitazzu; tutti se riposanu roppu ‘a battaglia. Assettate. (Santu si siede) CUSTANZA Duve simu chiavate, Gesù mio. Atrica dolce casa: chissa è ‘nu campu ‘e battaglia. (Santu cerca di alzarsi, ma è fermato da Cosima) COSIMA Nun ce sta mancu si ci lu lighi! Ma statti assettatu ‘nu pitazzu; duve ‘e jire torna si i nemici su’ tutti muorti? SANTU Devo jire alla posta a me pagare la pensione di guerra. (Si alza e cerca nello stipo il libretto) CUSTANZA Patreternu miu, runenne pacienza! Atrica pensione ‘e guerra, guardati cumu è ridduttu ‘n’uomine c’avìa ‘nu ‘ntellettu sanu cumu pochi allu munnu! MARAFRANCISCA (Entra a passo lento e va a sedersi accanto al focolare) Ancora è cca ‘u guerrieru? COSIMA Ppe’ n’atra pocu, ‘u’ lu vi’: se sta armannu ppe’ partere. MARAFRANCISCA Maronna mia, c’ha fattu tuttu stanotte! Ha tenutu una: era ‘mpegnatu su’ tutti i fronti. CUSTANZA Oji ma’, cchi potimu fare, l’ha pigliata ‘e cussì. MARAFRANCISCA Figlicelle mie, cchi attaccarizzu… nun m’ha fattu chiurere uocchiu: ‘e palle fisc-cavanu e le cannunate parravanu ccu’ l’angiuli. COSIMA Quantu vote t’haiu rittu ‘e te fucare ‘e ricchie ccu’ vambace ‘a sira e cussì nun lu sienti? 297 MARAFRANCISCA Via via; ma quale vambace e ‘ntippagli: nun ce fannu CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA COSIMA SANTU CUSTANZA SANTU COSIMA CUSTANZA SANTU nente. Nun ce cririti cchi fani: grire cumu n’arcissimu, fische e fa botte. Sini ma’, ca te cririmu, te cririmu e cumu. Oji figlie! S’è datu ‘na carmata stamatina, ca mentre se girava ppe’ scanzare ‘na palla del nemico è carutu ‘e ru liettu: paratuffiti, ‘nterra cumu ‘nu salame e r’è ammutatu. Signu morta ‘e ra paura! Me azu straguisata, pensannu ca era muortu, quantu guardu buonu e viju ca ‘u mobile riria a crepapelle ‘e ra cuntentizza. Teh! E pecchì rirìa? Ca ricica ca roppu tantu tiempu chi le cercava, finarmente, avìa acchiappatu a Hitler e Musolino e le stava vattiennu capu e capu. Però cumu idea non è che fessa: ha fattu propriu buonu a vattere ruve capu ‘e vumbula ‘e ‘ssa manera. Ppe’ fantasia fricatinne: chine ‘ u passe? Nun me scappi, vigliaccu. Eccolo, finarmente t’ho trovatu. (Sbandiera il libretto) Eccu il bottino di guerra. Io allura partu; vue state attente al nemico, ve raccumannu. Aspette, aspette ‘nu pitazzu, ca mo’ se aze Giginiellu e t’accumpagne. Raveru papà, portate a Giginiellu ppe’ cumpagnia. Sai cum’è: è sempre buonu, ccu’ ‘ssi latri chi ce sunnu ‘ngiru. (Spavaldo) Cchiri! A mie accumpagnare? Nun vuogliu a nullo appriessu: Santu il bersagliere nun se spagna de nullo. Armenu caccete ‘ssi stemmi ‘e ru piettu e cangete ‘ssu cappiellu: cumu te prisienti e cussì alla posta ca le fa’ spagnare? Me prisento come sordato che ha fattu la guerra al fronte ‘ntra le cannunate; che ppe’ la patria s’è feritu e mo’ vo’ pagatu i danni. Cca ricica nun tieni ragiune ppe’ daveru, papà? I danni ce su’ e cumu. Brave: e allura vaiu a ‘ncassare la moneta. 298 MARAFRANCISCA Ti le ‘ncarrichi ‘ssi quattru sordi fetusi, si nun si’ cchiù Santu ‘e na vota. (Entra Giginiellu sbadigliando e piangendo) CUSTANZA SANTU COSIMA CUSTANZA SANTU COSIMA SANTU MARAFRANCISCA GIGINIELLU MARAFRANCISCA GIGINIELLU COSIMA CUSTANZA GIGINIELLU COSIMA SANTU MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA SANTU CUSTANZA GIGINIELLU COSIMA Me me ch’è azatu Giginiellu. Pecchì chiangi, chine t’ha corpito? Ma cchi t’è chiavatu? Parre, cchi t’è successu? Giginì’, ciao. Nonnu va fa rifornimentu. (Lucida il cappello) Papà, e aspettalo ca jati ‘nsiemi. Si finisce il pianto ce lo porto, però a lampo oh! Ha’ ‘ntisu? Riceme cchi bue biellu ‘e nanna. (Piangendo) ‘A suppa, vuogliu ‘a suppa. Tuttu chissu era; nun chiangere ca mo’ nannà ti la fazzu ‘na bella suppa. (Prepara la zuppa) Io ‘a volìa portata allu liettu. E mo’ cumu facimu, si’ azatu biellu e zia. Vo’ dire ca ti la vivi all’allierta. (Scherzosamente) E cussì ‘u latti le va alli pieri. Vuogliu puru a mamma: duv’è juta? Nun buve nente cchiù? E cchi cos’è, ogne matina se aze ccu’ ‘ssa serenata! (Si guarda allo specchio a lungo) Tutto in ordine: ora, mo’ potimu partire. Marafrancì’! (Stizzita) Cchi bue torna. Oie è festivu, pecchì è jurnu di paga; allura te raccumannu ‘e me fare trovare pasta e ciceri a mezzogiorno. E cumu no; ‘u comandante tene sempre ragione. Statti sicuru. (Inizia ad imboccare la zuppa a Giginiellu) Te biellu ‘e nonna, mange gioia. Fai a lampo Giginì’, ca sinnò alla posta finiscianu i sordi e rimanimu frecati. Papà, e cchi cos’è, ma s’ha d’affucare ‘ssu guaglione! ‘Ssu callu e latti, torna ‘e ra crapa ‘e Gemma è; vi l’haiu rittu ca me tampe. Povariellu: statti squitatu ca romani cangiamu crapa. 299 GIGINIELLU Vuogliu chillu chi fa’ lu muntune ‘e Tartaruca, ca si lu piglie puru Affronzinu e le sa’ buonu. CUSTANZA E chi te via benerittu, cumu si ‘mpattatu vuccapiertu! SANTU A cchi puntu simu? MARAFRANCISCA Ecco cca, l’urtima cucchiarata: opla. Finito. (Giginiellu ricomincia a piangere e a battere i piedi per terra) COSIMA CUSTANZA GIGINIELLU SANTU MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA Cchi te male chiavatu torna. Ne volìa cchiù? Vuogliu a mamma, duv’è juta? (Spazientito) Allu fronte è juta, a combattere ccu’ le frasche ai monti. Giginì’, o vieni o te lassu e te frechi. (Gli asciuga gli occhi) No ca vene. Va’ biellu mie, va’ ccu’ nannuzzu ca t’accatte la cioccolata. Finalmente simu pronti, potimu partere. Sverto Giginì’, damme ‘a manu ca ne ‘mbiamu. (Prende la mano del nipote ed escono) Dio mio cchi ‘nfiernu, potimu jire avanti ‘e cussì? Cosima, me sbagliu o stamattina deve venire don Peppe e la moglie. (Fanno subito le corna e toccano il ferro di cavallo) (Consulta il quaderno degli appuntamenti) Nun te sbagli propriu. Oje è venneri: ecco cca, segnato don Peppe e l’ufficiale postale e moglie. Speriamo bene. Certu ca cumu jettature è potente. T’arricuordi quannu c’è statu l’atra vota quantu guai ne su’ capitati. Sapimu duve ne ‘mbarcamu ccu’ ‘ssi signori jettaturi? Facimu ‘u cuntu: ‘u portafiori fattu a cientu morsa, ‘u quatru della buonanima di Za’ Caterina chiumbatu ‘nterra…. Ti sei scordata de la purmunita di papai, chi n’atra pocu si n’era jutu. E forse era statu miegliu. Però sa’ cche ti ricu; tannu nun eramu preparate, ci ha pigliatu alla ‘ntrasata; ma mo’ cchi ne po’ fare cchiù, avìmu miso ‘ncampo tutti i rimedi! Dipende dalla potenza, cara sorella. 300 CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA CUSTANZA Vo’ dire ca lu sparamentamo di nuovu e poi ci regulamu si avìmu ‘e aumentare ‘e difese. N’è benutu buonu ‘u spuostu, chissu ne mancava ‘ntra ‘ssa casa ppe’ la fare completa: ‘u jettature. ‘Ntantu ‘u partitu è buonu, nun potimu tantu fare le scarduse. Vi lu ripietu ancora: alli fatti ‘e core facitive i fatti vuorri, pecchì nun ve riguardanu. Ma’, nue volimu il bene di Mariuzza. E allura lassati a fricare ‘mpace ca ‘sse cose si le bire sula. Oi ma’, tu ce pienzi? Duve ‘a trovi cchiù ‘na famiglia nobile e dinarosa cumu chilla di don Peppe? È ‘n’occasione unica ppe’ Mariuzza norra di fare ‘nu bello matrimonio. La quale se troverà bene in futuro pecchè se piglie cumu sposo a Gregoriu, figliu di un nobile: don Peppe il granne cavaliere. Senza cavallu. E noi ne gorimu puro, pecchè ni ce ‘mparentamu. E la gente del paise ci ‘mbirianu tutte. Vulati cchiù basciu ca potiti carire. Nun sai quantu signo contenta ppe’ chissa cosa se riuscimu alla cunchiurere. Gesù mio, te priegu: speriamo ‘e noni. Nue lottamu, cara sorella, lottamu ccu’ tutte le norre forze contra tutti chilli chi nun vonnu chissu matrimoniu, e signu sicura ca vinceremo la battaglia. E perditi ‘a guerra. Mariuzza l’ha de capire ca si troverà bene si se piglie a Gregoriu, pecchè è ‘nu ragazzu seriu, di bona famiglia e che nun le farà mancare nente ppe’ tutta la vita. Li c’è sbotatu ‘u ciarviellu ccu’ ‘ssi mobili: ma nun ce cunchiuranu nente. Cosima, io pensu che quel difettuccio del tic che ha lu giovane Gregoriu è stata la ruvina, sinnò a chist’ura la norra nipote s’era già convinta e lu matrimonio era conchiuso. 301 COSIMA ‘Ntantu chillu riavulu di zinna zinna e quella grulluliata del brazzu chi fa’ ogni tantu lu fannu ‘nu pocu scomparire. MARAFRANCISCA ‘Nu pocu? A mie me fa ‘mpressione! CUSTANZA Oji ma’, e finiscialu ‘ssu rucculu chi sta’ faciennu. Cchi bo’ ca sia allu munnu e oje ‘na zinnata e ‘nu tremulizzu ‘mprovvisu; si ce fa’ casu ‘u facimu tutti con lu stresso c’avìmu tutti i jurni. MARAFRANCISCA (Mentre esce) Chisse tenanu ‘a capu tosta. Mariuzza mia sfortunata, cumu te chiangiu! (Bussano alla porta e le sorelle scattano in piedi credendo che sia don Peppe) COSIMA FURMICUNE CUSTANZA FURMICUNE COSIMA FURMICUNE (Va ad aprire) Tuttu tu era, Furmicù’. (Scherzosamente) Buongiorno alle sorelle marre. Buongiorno puru a tie. Mah, ci simo sbagliate. (Mentre spulcia la posta) Pecchì, aspettavati a ‘ncun’atru? Clienti Furmicù’, te si scordatu ca chissa è ‘na casasartoria? Mo’ ce vo’, sartoria di granne nume. Purtroppu oje v’avìti ‘e cuntentare solamente ‘e mie, ‘nu miseru portalettere. Ecco cca, chissa è ‘na litterella ppe’ la signorina Mariuzza, vorra nipote. (Cosima e Costanza con fretta prendono la lettera) FURMICUNE COSIMA FURMICUNE CUSTANZA COSIMA FURMICUNE COSIMA CUSTANZA Chianu, chianu ca la scigati ‘e ru tuttu. Ma la signorina è ‘ntr’a casa? (Con imbarazzo) Si, veramente ancora rorme. Allura, veramente, io la dovevo consegnare propriu a illa. Nun fa nente, nue simu le zie e tra nue nun c’è ammucciamu nente, nun avimu secreti. La norra è ‘na famiglia affiatata. E chine ‘u minte ‘ndubbiu! Però alla lettera c’è scrittu: consegnare alle proprie mani; ‘u viriti? Furmicù’, nun ne ru’ fiducia. Cchi te pienzi, ca simu favuze? 302 FURMICUNE CUSTANZA FURMICUNE COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA Ppe’ carità, chissu mai; ma il regolamento tecnicu, amministrativu postale dello Stato dice questo e io nun vuogliu jire cuntro legge, sinnò puozzo perdere anche il pane, lu sapiti? Ma quale pane e murtatella! Furmicù’, va’ rune l’atra posta e statti squitatu ca ‘a lettera sarà consegnata alla norra nipote Mariuzza sana e sarva. Signorì’, io allura me fidu di voi. Stamoci bene. Bona giornata. Puru a tie Furmicù’. Bona passeggiata. (Osserva bene la lettera insieme alla sorella) E’ senza mittente. ‘U bullu postale però è de Verona. Madonna mia! ‘A città dell’amore. Via, via, certamente è torna chillu risgraziatiellu del militare chi busse al cuore di nostra nipote. Si, Cosima, certamente è illu. (Riflette) Ma nue nun ce facimu ‘mbussare. Nun la vo’ sentere ‘e nulla manera ca la deve lassare jire, ca nun la deve cchiù ‘nzenare. Gesù, Gesù, ni l’ha ‘nfiammata ‘ssa figlia, ni l’ha cotta. Però te ricu ‘na cosa Cosima, ca ‘ssu Robertu, ‘u figliu ‘e chilla bona mamma ‘e Crimentina ‘e Sbrasciune, o ccu’ lu buonu o ccu’ lu triste a norra nipote si l’ha de scordare, nun ci l’arrennimu mai, ‘nfina chi nue campamu. (Entra Marafrancisca) COSIMA Mo’ vire ca cangiumu Gregoriu, ‘u figliu unicu di ‘na famiglia nobile, con uno scartamiennule di razza umile. MARAFRANCISCA Tantu ppe’ cangiare ‘u tema è sempre ‘u stessu. CUSTANZA (Si fa molto riflessiva) Ohi, cumu volissi ca ‘ssa storia fussi già finita cumu volimu nue! COSIMA Puru io, Costanza, nun criju l’ura. 303 CUSTANZA Però c’è l’amure ppe’ lu mmienzu; c’è ‘ssu pesta ‘e core chi nun se fa cummannare ‘e nullu, fa cumu vo’ illu e nun se ‘ncarriche né de sordi né de filosofia. MARAFRANCISCA L’ha capita finarmente? Perciò lassece fottere. COSIMA (Implorante al cielo) Aiutane tu Segnure a vincere ‘ssa battaglia difficile! CUSTANZA (Mostra la lettera) ‘A vi’ chissa, è lecia lecia, pare ‘na piuma, si ‘a jujji po’ puru vulare, ma tene la forza ‘e ‘nu truonu: cancelle la ragiune. MARAFRANCISCA (Cerca nello stipo) Avissiti vistu a pasta a cannaruozzu? CUSTANZA Va vire ca è la dintra ‘ntr’u casciune. MARAFRANCISCA (Mentre esce) A chine è benuta ‘a gulìa ‘e ra trasferire. COSIMA Custanza, nun ci la potimu rare ‘ssa bumba alla norra Mariuzza. Ruve su’ le cose: o a scigamu oppure a vrusciamu. CUSTANZA I metodi su’ tutt’i ruvi buoni: portanu allu stesso risurtatu. Però, prima ‘e passare all’operazione, io ‘a volissi lejere. Cchi ne rici? COSIMA E’ ‘na bella idea, cumu no; tantu ppe’ ne ‘ntrarire bene. Sempre ppe’ il bene di norra nipote però, no ppe’ atru. (Si odono dei passi e Custanza si appretta a nascondere la lettera dietro un quadro) MARIUZZA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA MARIUZZA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA Bongiorno zi’. Bongiorno e salute. Cara Mariuzza, cumu si’ bella stamatina. Custà’, e guarde. Raveru, si’ propriu lurrusa. (Cerca nello stipo) ‘U meritu è du sule chi c’è stamatinu. Si cierchi ‘u cafè è tiempu piersu. Mancu ‘na guccia gioia. Nun è ‘na sorpresa, ppe’ quantu me ricuordu io ‘ssa buttiglia nun l’haiu vista mai china. Comunque stava cercannu ‘n’atra cosa. 304 CUSTANZA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA Mariù’. Cchi bue zi’. L’ha finitu ‘e minare ‘u supramanu alla camicetta ‘e donna Lena, ‘a mamma di Gregorio? C’è rimasta sulu ‘na manica ‘e finire. Allura si’ a bon puntu. Maniete gioia, compretala ca ‘n’atra pocu si la vene misure. Ppe’ mie, quannu vo’ benire venissi. Nun sa’ nente, vene ‘nziemi a don Peppe, il marito e dicica forse portanu puru a Gregoriu, il loro amato figlio. (Prende il lavoro e accompagna con gesti d’insofferenza le parole delle zie) Si, puru allu signorinu portanu? E allura! Ricica lu ponnu lassare sulu alla casa? (Con ironia) Nun sia mai, s’avissi de spagnare. Comunque, venanu in tre: patre, matre e figliu. Praticamente vene tutt’a sacra famiglia? Se vire ch’è ‘na famiglia unita e de buoni custumi. Ch’è ‘mbiriata da tutto il paese e chi tutti si ce volessero ‘mparentare. Viatu chine po’ avìre ‘ssa furtuna. Fortunatu chine trove ‘ssu tisoru. Chis’à cchi facissi io ppe’ lu trovare. Mariù’, tu nun dici nente, nun rispunni al ragiunamento delle tue zie? Ma cchi boliti chi ve ricu, si ‘ssa nobile prierica l’haiu ‘ntisa mille vote. Volimu ca te convincissi bella ‘e zia, cussì ci fai tantu felici e cuntente. Puntu e d’accapu: ‘a sonata è sempre ‘a stessa. Mariuzza cara, fatte persuasa: nun pue fare i capricci ‘e rifiutare ‘nu giovane cumu Gregoriu, figliu di un nobile e de ‘na nobile signora, chi tutti lu volissinu. (Scocciata, butta il lavoro, si alza e mette tutta la stanza in disordine) E donna là e Gregoriu cca: nun ne vuogliu sentere parrare cchiù ‘e ‘ssu spaventapasseri. Si lu pigliassi chine ‘u vo’. Ricitice alla mamma ca ‘u mintissi all’asta o ‘u portassi duve Albertu Castagna, 305 ca certamente chillu pennulune ce trove l’amore. Io nun lu vuogliu né mo’ né mai a chillu pisc-cariellu, nemmenu carricatu ‘e oru. (Si sente bussare alla porta) CUSTANZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA CUSTANZA Via, ca su’ illi! Te raccumannu Mariuzza carmete, nun ce fare scomparire. (Con fretta e imbarazzo) Maronna mia, su’ arrivati; mintimu tuttu in ordine, priestu, faciti priestu. Ma jativinne ‘e lluocu, parica chine ha d’arrivare: siccome su’ bielli i mobili! (Mentre Cosima va ad aprire, si rivolge alla nipote) Assettete gioia ‘e zia, fatte trovare col lavoro in mano. Me fazzu trovare ccu’ lu palu, ca chillu l’aggiove de cchiù. Citu, citu ca mo’ trasanu. (Mariuzza stufata riprende il lavoro) COSIMA CUSTANZA DON PEPPE (Apre la porta) Benvenuto al nostro don Peppe e famiglia. Favorite, favorite. Bongiorno alle signorine e alla bella nipote. Me sento onurato di entrare in questa casa. (Si stacca il quadro dalla parete e cade la lettera. Custanza, con fretta ed imbarazzo, va a raccoglierla e la mette nel petto, dove di solito tiene il fazzoletto) MARIUZZA COSIMA DONNA LENA MARIUZZA COSIMA (Fa le corna di nascosto al jettatore) Cchi potenza, e ancora ha de trasere! Prego, veniti avanti, nun faciti comprimenti. Bongiorno e bentrovati. (E’ seguita passo passo dal figlio Gregorio) (Alza appena il capo) Bongiornu. Accomodative, prego, accomberative. 306 DONNA LENA GREGORIU CUSTANZA DON PEPPE COSIMA CUSTANZA DONNA LENA Grazie, grazie, troppu gentili. (Rivolta a Gregorio che segue la mamma e per l’imbarazzo inciampa ai suoi piedi) Ma Gregorio, fatti cchiù là, no? (Ha un vistoso tic nervoso all’occhio sinistro e al braccio destro. In mano porta un mazzo di fiori) Scusa mammà, sono un po’ ‘ntroppicato. E’ ‘na cosa di nente: tutti ‘ntroppicanu durante il giornu. Certu, cchi cosa vuoi ca sia ‘na ntroppicatina, alli pieri di una mamma pue: niente. Certu, a vote puru ppe’ il troppu affettu alla mamma si ci va allu pere allu pere. E pue si ‘ntroppica, come lu caso di Gregoriu. Ma lassamu perdere chissu. Ve ricu ca ne sentimu tantu onurate stamatina ‘e avìre ‘ncasa norra tutta la famiglia del nobile don Peppe. A dire ‘u veru simo venuti ccu’ tantu piacire pecchè ci sentimu di casa, e puru quarche cosa in più. (Mariuzza continuamente fa’ smorfie di insofferenza, non solo per quello che sente dire ma anche per le occhiate insistenti che riceve da parte di Gregoriu) DON PEPPE GREGORIU DON PEPPE GREGORIO CUSTANZA MARIUZZA DONNA LENA Forse nun ci credete, ma a chissa visita ci simo preparati da tanti giorni, speciarmente il norro figlio Gregoriu qui presente, chi nun crirìa l’ura di venire. Nun è veru, Gregò’? (Vedendo Gregoriu distratto, lo scuote) (Frastornato) Cchi bue papà, mi devi parrare? Stava dicennu ca tu ti sei preparatu ppe’ benire cca, è veru o no? (Sorridente e accentuando i tic) Certu, certu, cumu no, haiu cuntatu i giorni ccu’ li jirita della manu manca. Sente se’, ha cuntatu i jurni. Mariù’, ha capitu? Gregorio ha cuntati i jurni! (Con ironia) Si….e quant’eranu? Mio figlio è tantu sensibile e se prepare sempre alle cose ‘mportanti, speciarmente a una cumu chissa pue. 307 COSIMA CUSTANZA Nue chissu lu sapimu già! Nun c’è bisognu ‘e ru rire, sulu a lu guardare e ti n’adduni che lu ragazzu è tenneru ‘e core. (Gregorio si poggia ad un manichino e, se non fosse soccorso dal padre, finirebbe a terra) MARIUZZA COSIMA GREGORIO DON PEPPE COSIMA DONNA LENA (Sorridendo e rivolgendosi al pubblico) ‘U coppulune se crirìa ca s’appoggiava alla mamma. Nun è nente, Gregorio, nun è nente, pensa alla salute. Io veramente pensava ca illu ci la facìa a me tenere. Ma no Gregorio, chissa mantene sulu i vestiti, perché è debole di pieri. Lassamu perdere, sorvolamu a certe fricularie chi capitanu, donna Lena; tornamu alle cose cchiù serie. Appuntu, volìa dire. Per esempiu, ppe’ dire quantu è buonu il mio figliu, ca ieri sera è uscito e non si ricoglia mai. Io e il patre a dire ‘u veru ci simo preoccupati, simu stati ‘mpensieru pecchì di solitu illu se ricoglie sempre prima delle galline del vicinanzo; ma quannu è arrivatu, però, viriennulu ccu’ ‘nu mazzu di juri in manu, io e Peppe mio ci simu guardati e ci simu abbrazzati dalla gioia, per avere ‘mpattato ‘nu figliu tantu sensibile. (Custanza e Cosima annuiscono con gioia) DON PEPPE CUSTANZA COSIMA DONNA LENA COSIMA CUSTANZA DON PEPPE GREGORIO Perché illu sapìa bene che questo gesto dei fiori è signo d’amore e quindi… Certu, certu. Cchi giovane gentile! E siccome oggi avìamu di venire cca ‘ntra la mente di Gregorio è nato questo bellu pensieru dei fiori. E cumu adduranu, se sente de cca. Cchi gioia, cchi pensieru biellu! Gregoriu, offri i fiori a questa famiglia, sinnò s’ammuscianu. A chine papà? 308 DONNA LENA Ma cumu a chine, Gregorio, ma alla cchiù bella, alla cchiù giovane. (Tutti vivono il momento con trepidazione) GREGORIO DONNA LENA GREGORIO MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA GREGORIO CUSTANZA MARIUZZA DON PEPPE DONNA LENA GREGORIU DONNA LENA GREGORIU CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA (Dopo aver guardato in giro per un po’) Ma’, a illa no? Cuma sì spiertu, biellu di mamma; certu, a Mariuzza. (Timidamente si avvicina a Mariuzza) Chissi su’ a nume della mia famiglia. (Con freddezza accetta i fiori) Si? Ma cchi bielli juri ‘e linu! (Quasi a volerla richiamare) Mariuzza! (Scocciata) Cchi bue, zì’. Ringrazia per il bell’omaggio, su’. Dai bella, fa’ ‘nu sorrisu cumu lu sa’ fare tu: biellu lurrusu. (Risoluta e beffarda) Care zie, forse nun ce crirìti ma propriu oje tiegnu ‘nu rulure ‘e capu, ma ‘nu rulure, chi me va’ dda frunta a lu cuzziettu; e nun tiegnu nulla gulia ‘e chiecchiariare. Simu capite no? Apposta stava colerosa. E nun n’avìa rittu nente? M’è benutu a ‘na vota. Po’ capitare, mica ti lu manne a dire ‘u dolore ca sta arrivannu; vene e basta. Povera figlia, io però me n’ero addonata ca ‘ncuna cosa nu’ jija: l’haiu vista troppu muscia e r’apatica. Quindi, perciò ho fatto il pensamento e mi ho mangiato la foglia. E pecchì ti l’ha mangiata mammà? Ppe’ il dolore di capo di Mariuzza. Ah, già, m’era scordatu. Ma mo’ le passe, ‘u’ r’è veru Mariù’? Nun me passe propriu. E sini, nun desere pessimista; mo’ viri ca ‘n’atra pocu te rune ‘na carmata. Me sa ca ‘ssa vota rure parecchiu, care zie, pecchì è cchiù forte e ‘mportante ‘e l’atre vote. 309 DONNA LENA GREGORIU CUSTANZA COSIMA GREGORIU CUSTANZA MARIUZZA DONNA LENA COSIMA DONNA LENA COSIMA DON PEPPE CUSTANZA DON PEPPE GREGORIU COSIMA DON PEPPE GREGORIU CUSTANZA MARIUZZA COSIMA Ci volesse qualche pinnolo armeno. Io ppe’ casu me truovu ‘na scatola di cachet ‘ntr’a sacchetta. (Toglie la scatola dalla tasca). Chissi su’ buoni ppe’ sturdimienti di capu, giramenti di mondo e micranie generali. Me guarde, me guarde cchi furtuna: eccu subitu ‘u rimediu. Certamente fa’ subitu effettu, no? E cumu no, a lampo. Appena ti le bivi ccu’ acqua frisca nun senti cchiù nente, ti spreia tuttu. Ha ‘ntisu Mariù’: ti spreia. E cumu no, ‘n’atra pocu però sprieju io. Noi ce lo pigliamu tutti a casa, quanno sentimo i primi sintomi. Cchi bene a dire donna Lè’? Che appena sentimu un ronziu o qualche spingolata dentro la capo nun tricamu un minutu: subitu pigliamu il cachet e il dulure forte nun lu facimu arrivare. Apposta caminati attrezzati di pinnoli? Nue, care signorine, simu aggiurnati; tenimu il passu ccu’ la scienza medica, facimu prevenzione e ammazzamo il malo primo che ci se facesse grande Certu, mo’ ce vo’, vue avìti ‘u sturiu nel cervello! Allura nun perdimu tiempu. (Prende un bicchiere con acqua) Su Gregoriu, rune il rimedio alla signorina. Quantu ne volìti: tri, quattru, tutt’a scatula? Ohi, cumu è generusu! Ma Gregorio, unu solo baste, nun se deve abusare. (Porge la scatola alla signorina Custanza) Te, tenitivilla, tantu io alla casa tiegnu l’atri ‘e riserva. (Scioglie la pillola nell’acqua ed invita Mariuzza a berla) To, gioia di zia, vivatilla ca te passe. (Con un gesto della mano rifiuta il bicchiere) Nun me serve cchiù, ‘u rulure ‘e capu m’è passatu; chissu si lu vivissi chine tene ‘ncuna fissazione alla capu ca ci la fa’ passare. (Verso il pubblico) Tosta cumu ‘a rana, nun s’arrenne mancu roppu morta! 310 CUSTANZA DON PEPPE DONNA LENA GREGORIU MARIUZZA DONNA LENA COSIMA DON PEPPE DONNA LENA DON PEPPE DONNA LENA DON PEPPE GREGORIU COSIMA CUSTANZA GREGORIU MARIUZZA Però, è ‘nu misteru: se capu a bote cumu su’ curiuse, nun si ce capisce nente. (Posa il bicchiere sul tavolo) E’ ‘nu meccanisimo difficile, chjno di rotelle ‘ntra ‘na scatula chiusa, quarche bota ‘ncuna va fore postu e la capu role, pue baste ‘na tringuliata oppure ‘nu sccantu e tuttu s’aggiusta; le rotelle ritornanu a girare bene e la capu nun dole cchiù. Il cervello è misteriosu, ‘e quannu è natu l’uomu: nullo lu sa lejere bene. Facitive un conto ca è cumu ‘nu libru scrittu in lingua araba chi lu leje ‘n’alfabeta completu. Comunque ‘u ‘mportante mo’ è ca alla signorina Mariuzza ‘a capu l’è passata. Forse l’ha tringoliata bene. Menu male, io ne signu morto contentu. (Al pubblico) Oji galla, ‘u sacciu io pecchì m’è passata! Tutti simu felici, così potimu parrare bene ccu’ Mariuzza e fare ‘nu bellu e lungu ragionamentu. (Implorante verso il pubblico) Facce cangiare capu, Maronna mia bella della catina. (Prende la scatola delle pillole e l’osserva a lungo) Ma vire, guarda un po’ certe vote cumu se fannu li sbagli. Pecchì, Peppì’? Guarde ‘ssa scatula, leggi, leggi cumu c’è scrittu. (Prende la scatola e legge) Contro la stitichezza, purganti efficentissimi. Gregoriu, ma cumu hai fattu a nun ti ‘n’addunare? Haiu sbagliatu scatula. (Tira dalla tasca un’altra scatola) A vi’ la risgraziata: eccu chilla dei pinnoli de la capo c’era puru, sulu ca era a l’atra sacchetta. Mo’ nun fa’ nente: n’errore se po’ puru fare no? Certu, ppe’ la pressa e ppe’ l’amore ogne tantu se po’ sbagliare. ‘U ‘mportante però è ca la signorina nun si l’ha pigliati i pinnuli: eccu duv’è ancora ‘u bicchieri ccu’ illi dentro. (Molto scocciata) Si era ppe’ buve però a chist’ura era assettata supra ‘na secia ‘e cessu. Mah, quasi quasi era statu miegliu e cussì me liberava de ruve cose. 311 COSIMA DONNA LENA CUSTANZA DONNA LENA GREGORIU E bia, ca arruri si ne fannu sempre! Cumu mio zio Bartolomeo ppe’ r’esempiu, chi puru ppe’ sbagliu ‘nu giornu s’ha pigliatu ppe’ via orale le supposte ppe’ la sciatica. E la sciatica l’è passata armenu? Magari! Illo ‘mbece poveruomo quannu se n’è addonato l’è benutu a lampo il rovescio e dall’annusiamientu nun ha volutu mangiare ppe’ ‘na settimana. Povero zio, n’atra pocu si l’avìa quazata. (Bussano alla porta) PICARIELLU COSIMA (Fuori campo) Signorì’, aperiti, signu Picariellu. E’ il riscipule di norro fratello Michele. (Picariellu continua a bussare con insistenza) CUSTANZA PICARIELLU DON PEPPE PICARIELLU CUSTANZA DON PEPPE PICARIELLU COSIMA PICARIELLU (Mentre va ad aprire) Nun tene terminazione. Appunte ‘nu pitazzu. (Apre) Le jettare ‘nterra ‘ssa porta, cchi cos’è! (Appena entra è attratto dai tic di Gregorio e lo osserva con insistenza e meraviglia) Marru Michele tene pressa e bo’ mannatu ‘u pere ‘e puorcu e ‘na buttiglia ‘e acqua frisca. Signorina Custà’, chir’è ‘ssu pere ‘e puorcu chi vo’ il maestro. Pecchì, nun lu canusciti; siti stranieru? Statti zitto tu, Picarì’. Caro don Peppe, il pere di porco è ‘n’attrezzu dello scarparo chi serve ppe’ arrutunnare e ppe’ allisciare i cigli delle scarpe. Eppure nun lu sapevu. (Indicando Gregoriu) E chissu chin’è, signorì’; nun l’haiu vistu mai. E’ lu figliu dei signori qui presenti: il signorino Gregorio. (Incrocia lo sguardo con Mariuzza e ridono entrambi) Quali signori? 312 COSIMA PICARIELLU MARIUZZA DON PEPPE PICARIELLU DON PEPPE CUSTANZA PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU CUSTANZA COSIMA PICARIELLU COSIMA PICARIELLU COSIMA CUSTANZA PICARIELLU MARIUZZA PICARIELLU Ecculi cca (li indica con ampio gesto della mano), nun le biri, si’ cecatu? (Dopo averli squadrati a lungo) Ah, vue siti signori? Eppuru ‘nfinu a mo’ nun v’avìa vistu mai, oh! (Con ironia) Picarì’, tu sta’ sempre chiusu ‘ntr’a putiga a r’addirizzare simice e bullette, cchi bo’ canuscere! Ancora è giovane, pue impara. E dicitime ‘na cosa, cumu faciti a d’esere signori. (Mostra imbarazzo e Mariuzza lancia un’occhiata di compiacimento a Picariellu) ‘E già, lu sai ca nun ci avìa pensatu. (Riflette) Simu signori pecchì lo siamu. (Mentre poggia l’arnese e la bottiglia sul tavolo accanto al bicchiere con i purganti) Pecchì stanno bene… Pecchì nun su’ malati no? Haiu capitu. Ma no, perché stannu bene di soldi, parrano bene, se vestano bene, eccetera eccetera. (Rimane perplesso) Ma guarde ‘nu pocu, oh! U sapiti ca io ‘u’ lu sapìa? Cumu su’ toghi però i signori! (Riferendosi a Gregorio) Chissu allura è ‘nu signorinu? Propriu ‘e cussì, Picarì’. Pecchì è figliu ‘e ri signori. (Don Peppe e donna Lena si pavoneggiano, mentre Mariuzza li guarda di traverso). (Riflessivo) Allura io, vue, marru Michele nun simu signori: simu poveri; cchi simu allura? (Con imbarazzo) Vo’ dire ca simu cristiani, figli di Dio. Puru illi su’ figli ‘e Dio? Io sapìa ca l’eranu figli sulu i poveri. E cumu no, puru i signori su’ figli ‘e Dio. Tutti simu figli del Signore. (Stralunato) Cchi cazza ‘e mbroglia, oh! ‘A voliti sapire ‘na cosa, signorì’: io nun ci haiu capitu nente. Te aggiornare, Picarì’. Raveru, Mariù’; mo’ ne parru a Marru Michele. (Osserva Gregorio) Però, cumu è togu ‘u signorinu. 313 DONNA LENA DON PEPPE COSIMA PICARIELLU MARIUZZA CUSTANZA PICARIELLU CUSTANZA PICARIELLU MARIUZZA DONNA LENA PICARIELLU COSIMA PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE Peppì’, l’è trasutu ‘nsimpatìa. I giovani se ‘ntendanu prestu, fannu subitu amicizia. Te piace, Picarì’? Parica mi l’haiu ‘e spusare? Mariù’, tu cchi ne rici? Haiu rittu già tuttu io Picarì’, statti squitatu. (Al pubblico) Via vi’: come prima, più di prima! Però, pecchì ‘u signorinu fa ‘ssu cacchiu ‘e zinna e ‘ssa grulluliata ‘e vrazzu. E’ ‘na cosa ‘e nente, ‘nu difettucciu ‘e pocu cuntu. Ccu’ li cazzi, chiamala cosa ‘e nente, a mie me fa spagnare propriu. Mariù’, e a tie? ‘U’ ne parramu Picarì’, ‘u’ ne parramu ch’è miegliu. Nun è curpa di Gregorio, così c’è natu. Allura è natu zinnannu? Picarì’, quantu ne va trovannu. È sulu ‘nu picculu difettu di toccu. Allura s’è sulu chissu fallu scinnere duve marru Michele ca ci l’aggiuste ‘ssu toccu. (Fuori campo, urlando) Picarì’, Picariellu. Cchi bue, somma? (Fuori campo) Ca te pigliassi lu riavulu, chissu vuogliu. Bruttu miserabile, quannu te decidi a scinnere, ce s’ì muortu supra? (Gli ospiti manifestano repulsione) CUSTANZA PICARIELLU COSIMA MARIUZZA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA E’ il norro fratello Michele, chi fatighe sutta. Fazzu a lampu. Avìti vistu, ppe’ parrare ccu’ bue e ppe’ guardare ‘ssu signorinu mo’ abbusc-cu ‘a cazziata ‘e ru marru. (Di fretta prende la bottiglia e l’arnese, beve l’acqua del bicchiere contenente il purgante e va via). O lu risgraziatu, s’ha bivutu l’acqua ccu’ lu purgante! (Al pubblico) Gire, gire ‘ncunu s’avìa de purgare oje! Povaru Picariellu: è toccatu a illu. Se ‘ncarriche, su’ fatti ‘e ri sue mo’. Se, se su’ fatti nuorri puru, ca mo’ ‘n’atra pocu quantu fa’ effettu ti n’adduni. Cchi significhe? 314 COSIMA GREGORIU DON PEPPE MARAFRANCISCA COSIMA DONNA LENA DON PEPPE CUSTANZA GREGORIU CUSTANZA DON PEPPE COSIMA MARAFRANCISCA DON PEPPE MARAFRANCISCA DON PEPPE MARAFRANCISCA DONNA LENA MARAFRANCISCA COSIMA DON PEPPE MARAFRANCISCA DON PEPPE MARAFRANCISCA Ca cumince a viaciare supra e sutta ccu’ li cavuzi alle mani. Pecchì, se deve allenare a ‘ncuna corsa? (Sconfortato) A quella del cesso! (Entra sbadigliando. Ha un fazzoletto in mano che le è stato mandato da una persona perché possa toglierle il malocchio. Mostra una certa sorpresa per la presenza degli ospiti) Bongiorno. ‘U vi’ cchi bella comitiva. Chissa è mamma; ‘a canusciti no? E come no, ne parrano tutti bene nel paise: ‘a chiamanu ‘a dottoressa del popolo. E’ conosciutissimna, pecchì fa’ il bene. Ca tu su’ sessant’anni chi opere. Allura è della chirurgia? No, signorino Gregoriu, mamma ‘mbece appare muscule, pieri, vrazzi e fa puru affascini. Quindi pratiche medicina generale? Si, puro; però illa veramente è specializzata ppe’ affascini e carmi di terzo grado. No, ma’? E cumu no! Però ci ha bolutu sturiu e tanta sperienza. Me, guardati (mostra le mani), haiu rrurutu i jirita ‘e re manu a furia ‘e apparare. Ma guarde un po’! E’ ‘na professione difficile, usurante. Armeno pigliate ‘na bona pensione? Adduve! Niente, signore mie bellu: campamu sulu ccu’ chilla ‘e mio maritu Santu. Io figuru casalinga! E’ ‘n’ingiustizia però. Viriti vue cchir’è, certu ca chissa è la verità. Povera donna, quantu fatiga ha fattu! Me rispiace! Figurete a mie, signò’! Chine nun c’è passatu sutta ‘e illa: tuttu ‘u paise ha avutu bisuognu. Ma armenu ‘a gente paga l’onorariu, la parcella? Ma quale purcella, macari. Nue ‘u puorcu a jennaru ni l’accattamu sule alla rina. Ma no, signora; io volìa dire se vi paganu l’opera chi prestati, no la purcella-porco. Ah, chilla? A parole, me paganu a parole: chiacchiere assai, ma nichili niente. 315 COSIMA DONNA LENA Certe vote ci amu appizzatu puru l’uogliu e la fassa. Nun è giustu però: ‘u lavoro ha de esere pagatu! MARAFRANCISCA S’avissi de pagare, si, riciti propiu buonu; ma ‘u populicchiu,’a povera gente, duve ‘e ba piglie li rinari si le ruglie la trippa ‘e ru petitu: alla banca ‘e ri lamienti? CUSTANZA Mamma tene lu core ranne, don Pe’! DON PEPPE Veramente. E, cara signora, vue siti troppu buona! Vedi Gregorio, questa donna, la nanna di Mariuzza appunto, possiede tanta umanità, nella sua vita ha fatto sempre bene e continuamente cerca amore. GREGORIU (Guarda insistentemente Marafrancisca) Cumu, puru illa cerca amure? MARAFRANCISCA (Molto allusiva) Chissu v’è figliu? DON PEPPE Si: è Gregorio, figliu unicu ppe’ giunta! MARAFRANCISCA (Al pubblico) Peccatu, l’avissinu fatti quattru o cinque vistu ca venianu buoni! (Mentre esce sbadigliando) Allura io ve salutu, ca tiegnu morto cchi fare lla dintra. DON PEPPE Bon lavoru. DONNA LENA Arrivederci. Però, se mantene propriu bene ‘a signora! COSIMA Ca tu sta sempre attiva! DONNA LENA (Rivolta al figlio) Hai visto come sa fatigare Mariuzza? GREGORIU Sulu ‘e luntano. DONNA LENA Allura abbicinate, cussì ti rendi miegliu conto. GREGORIU (Si avvicina a Mariuzza) Cchi sta faciennu? MARIUZZA (A testa bassa risponde con aria di sufficienza) Fatigu alla manica ‘e mammata, te piace? GREGORIU (Mentre tutti osservano con interesse ed ansia) Morto bella. Ma chisso è ricamu? MARIUZZA No, è supramanu. GREGORIU E tu lu fai ccu’ l’acu e lu filu? MARIUZZA No, ccu’ la suglia e lu spacu, cumu i scarpari. ‘U’ lu viri, si’ cecatu? GREGORIU Allura mentre fatighi te po’ puru pungere no? MARIUZZA E cumu no! S’è ppe’ chissu tutti i jurni ce su’ pungitine (con allusione) e rutture varie! Me, guarde ‘ssi jirita, su’ fatti a rusellara. 316 GREGORIU COSIMA DONNA LENA GREGORIU MARIUZZA GREGORIU MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA DON PEPPE DONNA LENA DON PEPPE MARIUZZA COSIMA GREGORIU DON PEPPE MARIUZZA COSIMA CUSTANZA COSIMA GREGORIU DONNA LENA E’ ‘nu lavuru periculusu? Se sta ‘nfurmannu! Gioia di mamma, cumu se sa ‘nfurmare! Allura te po’ puru cunchiere ‘ncunu jiritu? Vo’ dire ca si cunchje ni lu mangiamu! Ma armeno siti assicurata? Cuntra ‘e pungitine si, ma cuntra i scocciaturi ancora no. (Si alza di scatto, tanto da fare spaventare Gregorio) Te, zi’, haiu compretatu l’opera; ‘a camicetta ‘e ra signora è pronta ppe’ ci la provare. L’ha già finita! Cumu si’ sberta, gioia. Io vaiu cuonzu ‘u liettu, ca n’atra pocu se ricoglie mamma e lu trove ancora ‘e conzare. (Prende la camicetta e l’osserva) Guardati cumu l’ha fatta bella precisa! Pare accattata. E’ ‘n’amore, mi andrà certu bene. E’ fatta a pinniellu: troppu precisa. (Al pubblico) Carricati e fricartivinne: vi lu fazzu io ‘u cumprimentu! Ccu’ tuttu ca è difficile fatigare ccu’ la sita. Ca illa nun potìa bivere, chine ci lu proibiva. Ma Gregorio la signorina si riferiva alla seta stoffa e no alla sita sete, chilla chi se stute ccu’ l’acqua. (Decisa) Comunque, cari signori e signorine, ‘u compitu mie è finitu, mo’ tocche a bue care zie. (Ironica) Bai, bai e stamuce bene. (Mentre si avvia verso la porta è ostacolata da Gregorio) Arrassete ‘e lluocu, famme passare: ‘ssu ‘mpacciu! (Rivolta alla nipote, mentre questa esce di scena) Ma duve vai Mariuzza, aspetta. (Cerca di scusar la nipote) E’ juta a r’aggiustare ‘u liettu della mamma: cchiù tardu pue viene. Ccu’ li cavuli: vene cumu è benuta nanna ‘e l’atru munnu! Nue pressa nun ‘n’avìmu, vo’ dire c’aspettamu. (Che ha capito l’antifona) A chine nun vene mai. Caro maritu, ‘a missione è fallita: ‘a purvera era bagnata. 317 DON PEPPE GREGORIU DON PEPPE GREGORIU DONNA LENA DON PEPPE Come se rice: quannu ‘u ciucciu acqua nun ne vo’ ha voglia ca fischi. (Cosima e Custanza si sentono mortificate) Pecchì ‘u ciucciu nun ne vo’ acqua, papà? Ca ‘a sita ci la stute ‘ncun’atru vivieri! Nun capisciu, c’ha rittu papà? Ca ni n’amu ‘e jire figlicì’. Bene nun n’ha bolutu. Amu ‘e cercare altri partiti, battere nuove piste. (Gregorio va a spiare dalla porta se arriva Mariuzza) DONNA LENA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA DON PEPPE DONNA LENA DONNA PEPPE DONNA LENA COSIMA Guardatilo: povero figliu, c’è ‘ncazzonito! Nun potiti pensare quantu ni sentimu mortificate, nun è veru Cosima? Via, via, via: nun te ricu, nun te ricu! Mariuzza norra è ‘na ragazza tosta di capo, cumu ‘na petra ‘e jimara. Però nun avimu piersu tutte le speranze: nue, cumu ‘nu guttaru, tanti chi vattimu chi l’ammollamu. Megliu nun ‘nsistere cchiù; la ragazza nun fa’ ppe’ il mio Gregorio. Mio figlio se po’ dire ca è tantu dorce e tennero cumu ‘na ricotta. Perciò, cara moglie, nun potimu pretendere ‘e fare incontarre ‘na ricotta ccu’ ‘na petra, pecchì è la ricotta a se fare male, a ‘sse fare ‘na paparotta. Nun sia mai: Gregoriu se merite ‘n’amure dolce. Cumu ‘a Nutella! Eh, cara donna Lena: duve le ba truovi cchiù ss’amuri tenneri e duci cumu riciti vue; i tiempi su’ cangiati, i cuori su’ fatti cchiù tuosti e li giovani ‘e ri consigli, speciarmente ‘e chilli ‘e r’e zie, si ne grattanu. (Entra di corsa Picariellu, tenendosi con le mani il ventre) PICARIELLU CUSTANZA ‘U cessu, ppe’ carità, duv’è lu cessu. Ce si ‘ncappatu? Bene mie! Vire ca è la dintra, si nun è occupatu. 318 PICARIELLU DONNA LENA DON PEPPE GREGORIU DON PEPPE GREGORIU DON PEPPE CUSTANZA COSIMA DONNA LENA CUSTANZA GIUVANNINA CUSTANZA DONNA LENA CUSTANZA DONNA LENA CUSTANZA COSIMA GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA COSIMA GIUVANNINA COSIMA (Mentre esce) Nun voglia la Maronna, speriamu ‘e noni. Ha fattu effettu. Allura potimu veramente andare. Dobbiamo tagliare la corda. Ccu’ cchi papà? Ccu’ la forbice delle signorine. (Cerca le forbici e le porge al padre) Eccu servitu. (Demoralizzato, alza gli occhi al cielo e poi si rivolge al pubblico) Gregorio, Gregorio: cche malasorte! Figlio unico e lu vaiu a ‘mpattare puru galla. Cche sfortuna nivura! Lena, azete e jamuninne. E la misura della camicetta? E già, neca l’avìmu fatta la prova. Mi la pigliu lu stessu, ca me sa’ che queste calle di prove nun cumbene alle fare: falliscianu. Ppe’ nue nun ha mancatu. (Fuori campo) Mariù’, Mariuzza, portame ‘a chiave ‘e ra vota c’aiu ‘e stipare ‘a sarcina. Maniete! E’ la norra cognata che s’è ricota. Ah si! E duve era juta? A sarcine alli monti. Tene ‘na bella voce sanizza. ‘U’ ne parramu: s’allene tutti i jurni ccu’ li figli quannu ‘a fannu arraciare. E quarche bota puru ccu’ nue. (Entra con furia, sbattendo la porta). Siti muorti tutti ‘ntra ‘ssa riavula ‘e casa? E cchi cos’è, staiu faciennu ‘u cagnu e nullu chi rispunne. Veramente amu ‘ntisu. E allura pecchì nun avìti rispusu? Avìti piersu ‘a parola? Stavamu finiennu ‘nu ragionamentu ccu’ li signori cca presenti. Si, e brave! (Urlando) Io signu azata alle quattru stamatina, avìti capitu? ‘A catrea mi la sientu fraganiata, atrica raggiunamenti all’assettata e chiuriti vari. Sini, ‘u sapimu, ma mo’ carmete. 319 GIUVANNINA GREGORIU GIUVANNINA GREGORIU GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA DON PEPPE DONNA LENA GIUVANNINA DON PEPPE GIUVANNINA DON PEPPE PICARIELLU GIUVANNINA PICARIELLU GIUVANNINA PICARIELLU GIUVANNINA PICARIELLU DON PEPPE GREGORIU GIUVANNINA PICARIELLU GIUVANNINA Nun me carmu ‘e nente ‘mbece. E Mariuzza duv’è, ancora rorme? E’ juta la dintra e mo’ vene. E tu cchi ne sai? Ah, già, tu avissi ‘e r’esere Gregoriu? (Sorridente) Me canusciti? E cumu no, te canusciu e r’haiu capitu. Mo’ virimu duve va a finire ‘a faccenna… Giuvannì’, mo’ la devi frunere, puru ppe’ rispettu ‘e l’ospiti. (Mentre beve con foga alla ciarriglia) Io finu a prova cuntraria nun haiu offesu a nessunu. Si pue ‘ncunu tene la cura ‘e paglia mi lu ricissi. (Agli ospiti) V’haiu rittu ‘ncuna cosa ‘e male a bue? Ppe’ carità, niente di male. Siti stata gentile ‘mbece! Aviti vistu? (Si fa un’altra lunga bevuta alla ciarriglia). Ma signora nun bevete assai, siti surata e ve po’ fare male. Ih…, duve jati pensannu! Su’ quarant’anni ‘e battaglia e ‘sse vippite ‘e acqua frisca m’hannu sempre curatu, atrica fannu male. Si siti collaudata allura faciti come volete. (Entra di corsa, trattenendosi il ventre) Maronna mia, Maronna mia, cchi timpesta! E duve jiesci Picarì’, duve si’ jutu? E cuorpu, signu jutu ‘e cuorpu. Cumu, cumu, famme sentere. E ‘ssi sapissi, zia marra mia, cchi fuocu! E pue ‘a risgraziata ‘e diarrea nun dune tiempu ‘e nente. E cumu va, t’avissi fattu male ‘ncuna cosa? Forse su’ statu i cerasa ‘e ‘Nciru Ghetanu, ca ieri ccu’ li cumpagni ci l’avìmu scuotu ‘u cerasu. Poveru figliu; puru i cerasa: allura ‘a miscela è propriu esplosiva. A bote però ponnu esere stati i pinnoli del bicchiere. Quale pinnuli Picarì’, t’ha pigliatu pinnuli? Mai ‘mbita mia. Ti lu giuru, zia ma’. E allura, cchi cunte ‘ssu Gregoriu lluocu? 320 DON PEPPE Niente, niente, c’è statu ‘n’equivocu. Quindi nente pinnuli, nun è veru Gregorio? (Donna Lena fa segno al figlio di zittire, portando il dito al naso, ma Gregorio fraintende) GREGORIU GIUVANNINA PICARIELLU GIUVANNINA PICARIELLU GIUVANNINA DONNA LENA CUSTANZA GIUVANNINA DON PEPPE GREGORIU DONNA LENA GIUVANNINA GREGORIU GIUVANNINA DON PEPPE CUSTANZA DONNA LENA DON PEPPE COSIMA DONNA LENA GREGORIU CUSTANZA No ppe’ lu nasu mammà, io ricìa ppe’ il corpo. (Interviene nell’imbarazzo generale che si è creato) E chine te capisce, tu parri raveru ‘n’atra lingua! Allura, zia ma’, io scinnu sperannu bene. Figlicì’, cchi te puozzu rire: si te vene ‘n’atra scarrica saglie torna e attientu a nun m’allordare ‘e scale. (Mentre esce) Grazie, grazie. V’arricummannu, teniti libero ‘e vie e puru ‘u cessu. Statti squitatu, ce mintimu ‘a segnaletica. (Si rivolge a donna Lena) Allura, cumu va ‘ssa visita? Niente, amo già conchiuso ccu’ le signorine. Su’ state ‘mmasciate ‘e sartoria. (Sospettosa) Sulamente? Va bene, ‘a verità parica pue nun vene a galla? (Agli ospiti) Vue cchi ne riciti? Ca mo’ ni ne potimu veramente andare. Dai su’! E a Mariuzza nun l’avìmu ‘e salutare? Jamuninne bellu di mamma, jamuninne ca ni la salutanu le zie. (Con strafottenza) S’è ppe’ chissu vi la salutu puru io! Già, vue siti la mamma. Se, propriu chilla chi l’ha fatta. Simu capiti ccu’ tutti, no? (Giuvannina esce) E’ molto delicata la signora. Propriu come il porco. Don Pè’, scusatine tantu ppe’ illa. Pè’, jamuninne prima chi vene torna a ne dare il resto. Care signorine, su finite le trattative, però restamu ‘mpace. Nue amu fattu di tutto, se vire ca nun eranu destinati. (Tira per un braccio Gregoriu) Vieni Gregorio, andiamu. Nun ve scordati ‘e me salutare a Mariuzza. Vatinne squitatu, ca ppe’ li saluti nun manche. 321 DON PEPPE C’è ‘ncazzunitu ‘u pistilicoi, guardatilu: la speranza del mio futuro, me rasc-cassi! Jamu, jamuninne. (Si sente una scossa di terremoto) CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA COSIMA GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA Maronna mia, ‘u terrimutu (Spaventata, fa le corna insieme alla sorella). E’ statu don Peppe: cum’è potente, Gesù mio! ‘U jettature subitu s’è vendicatu. Cchi figura, però, c’amu fattu; chine si la pensava. Scunfitta ruppia: amu perdutu l’amure e li clienti. Però l’amu ‘e affrontare a norra cognata e ci n’amu ‘e rire ‘e tutti i colori: ca sta ruvinannu ‘a figlia e pure la razza. Nun si ne ‘ncarricassi ca ci lu preparamu noi il piattinu. (Entra con furia, seguita da Mariuzza piangente). ‘A misura è curma, è arrivatu ‘u momentu ‘e vi le dire quattru; sentiti bene, l’avìti ‘e lassare jire, nun l’avìti ‘e affriggere. ‘E ri fatti sue, speciarmente chilli ‘e ru core, nun n’aviti ‘e volire fare nente, ca si la vire sula. Simu capite? Ma tu te vo’ liticare? Carmete e cerche ‘e ragiunare. Nun me carmu propriu ‘mbece; figliama è libera ‘e se pigliare a chine vo’ illa. Mo’ virimu si ‘ssa guagliune mi la fannu chiangere tutti i jurni ppe’ ‘ssu sturdimientu chi le fannu. Sente, nue, si amu rittu ‘ncuna parola, l’amu fattu ppe’ suo bene. Se, se, propriu ccu’ li cuntracazzi, siccome su bielli i mobili. Se vire ca tu li signori nun li canosci bene. Ma quale bene e nobiltà, io mi ne grattu; e pue virimu duve su ‘ssi pregi ‘e ‘ssi signori: ‘u patre è ‘nu jettature ‘e prima classe, rinomatu ‘ntra tuttu ‘u paise, ‘a mamma, donna Lena dei miei stivali, letticusa e articulusa ‘e ra nascita; pue propriu illu, l’oggettu preziosu, juru ‘e linu, Gregoriu, chjnu ‘e mille rifetti, 322 MARIUZZA PICARIELLU GIUVANNINA COSIMA GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA COSIMA GIUVANNINA MARIUZZA CUSTANZA GIUVANNINA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA SANTU ricitime vue duve su’ ‘ssi vantaggi ppe’ Mariuzza mia! Mo’ finisciala ma’, si scarricata? Mo’ basta. (Passa di corsa tenendosi il ventre) ‘N’atra scaricata zia ma’, tiegno ‘nu fuocu ‘ncuollu: è lu terzu viacio. (Va al bagno) Vate gioia, liberete buonu. Ccu’ bue allura simu capite! Statti squitata, ca nun ne volimu fare cchiù nente: ammutamu! E faciti buonu pecchì, supra ‘ssu campu, me sa ca l’ideje chiare nun l’avìti, sinnò nun erati restate zitelle. (Cosima e Custanza scattano dalla sedia) Nun toccare chissu tastu, scustumata, ca chissi su affari nuorri. E puru ‘e ri mie, ca ve staiu sopportannu a ‘na vita. (Urlando) Ah si? Nue ne stamu scoscinannu ppe’ tie e ppe’ portare avanti a famiglia tua. Sentitele, cumu escianu fore ‘e cose, cumu sannu bottiare. (Trattiene la mamma) Te priegu, mammarè’, finisciala, mo’ basta. Nue simu state sempre sincere, tu ‘mbece ha fattu a scustumata! Cchiri, io scustumata? Ih faccitosta, io rispettu puru ‘e petre ‘e mienzu ‘a via; signu ‘na mamma fatigatura io, haiu crisciutu ‘na famiglia. Guardati ‘e vrigogne ‘e ru passatu vuorru! (Scoppia a piangere insieme alla sorella) ‘U demoniu, ‘u demoniu. (Mentre prende il fazzoletto dentro il petto cade la lettera che viene prontamente raccolta da Mariuzza). Nun ci la vince nullu ccu’ ‘ssa bestia. (Scruta la lettera di nascosto ed intuisce il tranello) Dio mio, eccu ‘u motivu! Hai voglia ‘e aspettare; mamma mia bella cchi munnu! (Fa sparire la lettera) (Entra insieme a Giginiellu) Ecco il bottinu, mi hannu pagatu i danni di guerra, allegria, allegria. (Si accorge che le figlie piangono) Siti pazze? Haiu portatu i sordi ‘e chiangiti? 323 GIUVANNINA COSIMA GIGINIELLU E’ cunchiusa l’opera: è arrivatu l’atru passatiempu! I sordi sue però te piacianu, no? (Piangendo) Ma’, stamatina ‘a suppa nun mi l’hannu portata allu liettu e pue ‘u’ r’era bona. GIUVANNINA Daveru? Povariellu. (Spingendo il figlio) Arrassete ‘e lluocu puru tuni, ca me stati faciennu escere pazza ‘ntra ‘ssa casa. MARAFRANCISCA Cchi b’è male chiavatu, cchi v’avìti ‘e spartere! GIUVANNINA Vire si te jire a r’assettare, sinnò ci n’è puru ppe’ tie… MARAFRANCISCA Ce volissi puru. Te perdugnu ca nun sai chillu chi rici. SANTU Eccu i sordi, Marafrancì’; ppe’ li sordati c’è statu l’aumentu. GIUVANNINA Signu ‘ncappata ‘ntr’i pazzi, mi ne fujissi, nun ne puossu cchiù. (Scoppia a piangere; si siede ed è confortata dai figli). MARAFRANCISCA (Mentre esce) ‘A titolare è illa, se merite lu confortu! MARIUZZA Carmete, mammarè’, finisciala, nun dare gustu a l’atri. GIGINIELLU (Piangendo) Nun te fazzu arraciare cchiù, ti lu prumintu. MICHELE (Entra di corsa, spaventato) C’avìti cumbenatu, ch’è statu? SANTU (Conta ripetutamente i soldi) Signu pagatu, Michè’! Allegria. MICHELE Basta papà! Sempre la te va la capu. Allura, ch’è successu? MARIUZZA Nente papà, nente, è finitu tuttu mo’. MICHELE Cumu nente, haiu ‘ntisu ‘e grirate ‘e sutta. E pue guarde ‘nu pocu, pare ‘na strage. Allura, Giuvannì’, cchi b’è chiavatu? GIUVANNINA ‘U sacciu io cchi tiegnu ‘ntr’u core. (Santu prende Giginiellu per la mano ed escono) MICHELE GIUVANNINA MICHELE Avanti, parre, rice cchi ce tieni. ‘Nu chiuovu, Michè’, ‘nu rulure chi nun se supporte. Ma pecchì, rice ‘u motivu, sbrighete. 324 GIUVANNINA CUSTANZA COSIMA MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE MARIUZZA Ppe’ chillu chi t’haiu sempre rittu, Michè’: ‘ntra ‘ssa casa cummannanu troppe persune e pue stamu troppu ritti. Statti squitata ca priestu n’allargamu, cara cognata. Però avimu ‘e stabilire puru chine s’ha de trovare casa. (Molto pensieroso) Va l’accorde ‘ssa chitarra, va’ trove ‘a pace ‘ntra ‘ssa fulla. Quantu è difficile ‘a convivenza misc-catizza. Patreternu miu, quanta pacienza ce vo’! (Entra trascinandosi dietro i pantaloni un rotolo di carta igienica) Marru Michè’, siti cca? Finarmente mo’ haiu finitu. Me biralu, me biralu! Disgraziatu, nun ti n’abbutti cchiù? Io nun tiegnu curpa somma’, rispunnu sulu alle chiamate. E quantu cazzu su’ ‘sse chiamate! ‘U sa’ ca sta viaciannu tuttu oje? Cchi cos’è! Comunque me pare ca ‘ssa vota avissi d’avutu ‘e frunere. Allura, marru Michè’, io ho compretatu; mi ne vaiu? (Alludendo alla carta igienica) E chissa ti la puorti ppe’ ricuordu? Caccete ‘ssa cura, bruttu tricatizzu! (Si accorge della coda e provvede a toglierla) ‘A pressa, marru Michè’: quannu ce su’ urgenze chissu succere. Picarì’, t’arricummannu, alle ruve puntuale alla putiga. E cumu no, statti squitatu; ce po’ cuntare (esce). Te canusciu buonu: ‘u risgraziatu è de marca svizzera. Allura, tornamu a noi, virimu ‘nu pocu si potimu accordare ‘sse capu. Avanti, dai, a unu a vota parrati tutti. Ognunu ricissi le ragiune sue: io fazzu ‘e giudice. Sente a mie papà, chiurimu ‘a cosa cca ch’è miegliu. Ne parramu ‘n’atra vota. Ppe’ fare ‘u prociessu ce vonnu i testimuoni e cca, caru papai, nun ci ne sunnu pecchì simu ‘na famiglia. 325 MARAFRANCISCA (Si affaccia alla porta) Avvisu a tutti chilli chi le fa’ petitu ca ‘a pasta è supr’a tavula chi fumìe: chine è ‘nteressatu se facissi avanti. (Tutti rispondono all’invito e svelti si apprestano ad uscire. Cala il sipario) FINE PRIMO ATTO 326 ATTO SECONDO (C’è Mariuzza seduta accanto al camino che legge una rivista. Dopo un po’ entra la madre che, intuendo il particolare momento di intensa vita affettiva che sta vivendo la figlia, la osserva da lontano in silenzio) GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA Mariù’, ma nun t’abbienti mai, gioia mia? Pecchì figlicè’? (Come colta di sorpresa si volta di scatto) Propriu ma’, ‘u fazzu pecchì me piace. Mah! ‘E l’acu passi allu giornale, ‘e ru giornale all’acu; a mie nun me pare cosa giusta, te fa male, l’uocchi se stancanu figlicè’. E noni ma’, ce passu ‘u tiempu, sinnò cchi fazzu? Sacciu cumu te viju però; chis’à tieni ‘ncuna cosa chi te gire ‘ncapu? S’è ppe’ chissu pensieri ci ne su’ sempre chi ronzianu. Cunfirete allura, gioia mia: io signu mammata! (Con imbarazzo) Ma’, mo’ ci n’è unu particulare, chi suverchie tutti l’atri. E’ ranne assai? Sini ma’, è quantu ‘na casa. Aperete a mammarella tua, parre gioia. Nun sacciu cumu ti lu rire. È ‘na cosa troppu bella e cara, ‘na cosa chi forse ‘e parole nun’arrescianu a la spegare bona. Fallu ‘nu sforzu, parre, cchi paura tieni? Ma’, Robertu vo’ benire alla casa, ce vo’ portare i genitori. (Si fa pensierosa) Avìa ragiune ca ‘u pensieru era ranne. Vo’ approfittare moni pecchì ce sunnu i zii, Riamunnu e Dora, ca su’ benuti ‘e l’America e ce tene a ci le portare. 327 GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE Figlia mia, cchi te vaiu ricu mo’, alla ‘mprovisa: famme pensare ‘nu pocu. (Dopo un po’) ma illu quannu è ricuotu ‘e r’u militare? E mo’ è quasi ‘na settimana. Sacciu, cchi te vaiu ricu. ‘A cosa è troppu seria, è ‘nu passu ‘mportante: amu ‘e parrare ccu’ patretta. E puru ccu’ zia Cosima e zia Custanza; magari ccu’ ille cce parru io. Me lassele perdere, duve va’ pensannu; tantu chi si l’ammieritanu. Si era ppe’ ille t’avìanu ‘mpintu chillu biellu mobile. Noni ma’, puru si hannu fattu chilli ‘ntrillazzi e m’hannu ammucciatu ‘e littere ‘e Robertu alla fine ‘e ri cunti su’ sempre zie; su’ ‘ntra ‘ssa casa e ppe’ lu quietu vivere ci l’haiu ‘e rire. Ti la viri sula, io però ccu’ chille ruve petre ‘e tiniellu nun ce parru. ‘E chissu statti squitata, ca nun ti ce fazzu misc-care. (Vedendo la mamma farsi di colpo pensierosa e seria) Cchi tieni, ma’? (In lacrime, abbraccia la figlia) Si fatta ranne, tisoru mie: me vo’ lassare! Te vuogliu sempre bene, mammarè’; ‘u miegliu postu ‘ntr’u core mie è sempre ppe’ tie. E io te criju, gioia, però nun te sbilanciare assai. (Entra senza essere visto e coglie di sorpresa la moglie e la figlia) Puru ppe’ mie c’è postu, Mariù’? Tu si’ cca, Michè’? Ma chi be pigliatu, chi ssù s’abbracci? Nente Michè’, propriu, e cussì… Allura va a finire ca ve stavati faciennu ‘nu giru ‘e ballu. Magari! Pue te ricu Michè’, a tiempu giustu te ‘nfurmu. Vire tu, mugliè’, mo’ ce vo’, tu si’ alla regìa. Armenu sulu ‘u titulu ‘e ru tema mi lu po’ rire? Sacciu, è ‘nu tema chi tene ‘na traccia ‘nu pocu longa e funna. Allura è ‘nu tema-problema? 328 GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA MICHELE GIUVANNINA GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE Quasi ci ha ‘nduvinatu. Cchi dici Mariù’, ci lu ricimu? (Con imbarazzo) Vire tu ma’, cumu vo’ fare. Ma, è miegliu a tu rire subitu. Sente Michè’… Aspette ma’. Io tiegnu ‘e sbrigare ‘na cosa lla dintra (esce). Me sa ca ‘ssu tema a Mariuzza nun le ‘nteresse propriu. Te pare a tie. E caru maritu, ‘u tema è propriu illa: Mariuzza. (Mentre prepara il caffè) Amu fattu ‘na figlia ranne, Michè’. Mariuzza è crisciuta, è diventata ‘na fimmina vera. E mo’ c’avìmu ‘e fare, ‘u’ lu sapìa ca diventava ranne: chissa è ‘na novità? Ma tu si’ ‘nturdunitu? Vo’ fare ‘u ciuotu ppe’ un jire alla guerra? Parre chiaru, Giuvannì’, ccu’ se zippe chi jietti nun te capisciu. Senteme buonu, Michè’: Mariuzza tene problemi ‘e core e soffre assai, povera figlia. (Molto allarmato) Maronna mia bella, cchi ruvina. E nun m’avìti fattu sapire mai nente? Cchi te jia dicia, pensava ca ‘a cosa nun era tantu compricata. Tu sta’ fissiannu? ‘Na cosa ‘e core cussì grave; passe sula? ‘U sacciu, però è diventata seria a ‘na vota. Mariuzza m’ha cunfessatu tuttu a pocu tiempu. M’ha dittu ca soffre assai e de cussì nun po’ stare cchiù. Dio mio, povera figlia! Certu, ca cumu ce sta de cussì; a cosa è seria. E affannu, ne tene affannu? E cumu no, nun te ricu: affanni, suspiri, assai suspiri. Puru suspiri? Allura ‘a cosa è grave. Nun perdimu tiempu, Giuvannì’, subitu l’amu ‘e fare visitare ‘e ‘nu cardiologicu. (Vede che la moglie lo guarda e ride) Giuvannì’, cchi fa’, riri? Ma tu si’ esciuta pazza? Tieni ‘na figlia a ‘sse condizioni e tieni gulìa ‘e rirere? 329 GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE Oji Michele mie, cumu si’ jutu luntanu ccu’ ‘ssa cazza ‘e capu, quantu caminu ha fattu ‘a fantasia. Giuvannì’, ma tu sta’ fissiannu o rici raveru? Nun fissiu propriu, cchi bue ‘e mie si nun capisci a mitafora. Torna, Giuvannì’; cchi ne sacciu io chir’è ‘ssa cosa chi rici, a mie me parrare chiaru. E Michele, Michele, ‘a scola a tie nun t’ha aggiovatu propriu. Si’ senza vocabolariu, gioia. Prejete tuni, professoressa, ccu’ ‘ssa terza elementare c’ha fattu! Lassamu perdere, Michè’! Sente, ‘a malatia ‘e Mariuzza ‘a sai qual è: è l’amure, tene lu core ‘nfiammatu e lu miericu chi ‘a po’ sarvare è sulu unu, ‘u figliu ‘e Crimentina ‘e Sbrasciune. E brava a mia moglie, cumu sa dire ‘e cose a tiempu giustu, roppu chi ‘a malatia ha pigliatu forza. Chissa jia curata all’iniziu, Giuvannì’; sanala tu mo’ a Mariuzza si ti la vienti. Michè’, pari ‘nu quatrariellu. Nun lu sai ca ‘sse cose su’ jute sempre ‘e cussì, se sannu a picca a picca e la verità se sa tutta sulu quannu ‘a malatia ha pigliatu pussessu e nun ce po’ fare cchiù nente. E chine ve capisce a bue fimmine, ppu ppu ppu, cchi soggetti misteriosi chi siti. E’ misteriosu l’amuri ‘mbece, Michè’, pecchì fa perdere ‘a pace, ‘u suonnu, te ‘ncatine li pensieri, t’appicce la vita e nun lu stuti cchiù. E allura, si nun ce potimu fare cchiù nente, cchi mi l’ha rittu a fare? Pecchì si’ lu patre e nun ti la po’ scollare. E già, io signu ‘u patre: chillu chi ‘e cose le sa’ quannu su’ già fatte. (Sospirando) Però, cumu passe lu tiempu! Allura, Michè’, tu cchi ne rici? C’è pocu ‘e rire, Giuvannì’: quannu ‘a frittata è fatta ‘na cosa sula ce reste de fare, ti le sulu mangiare e basta. 330 GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA Comunque ‘u giuvine è Robertu ‘e Crimentina, parica male un c’è, ‘a famiglia è puru proletaria cumu ‘a norra e nun ne potimu lamentare; cchi ce resta cchiù ‘e pisare. A fatiga, Giuvannì’. ‘U giovane ‘u tene armenu ‘nu ‘mpiegu? Pue tuni, pretienni troppu; ancore a pocu tiempu è ricuotu ‘e ri sordati. Ppe’ la fatiga se spera da trovare. Anticu ritornellu! E già, m’era scordatu ch’eramu al sud. Chillu chi te volìa dire però è ‘n’atra cosa. (Spaventato) Cumu, ancora nun ha finitu? Cchi c’è cchiù? Carmu, nun sc-cantare. Te volìa dire ca ‘u giovane, chi se chiame Robertu, vo’ portare ‘u patre e la mamma alla casa norra, ppe’ se ‘mpegnare seriamente. Giuvannina mia, oje me sta fraganiannu ‘a capu, me sta minannu ‘na mazzata ‘a vota. ‘Nzomma, vo rire ca venanu fannu a ‘mmasciata, no? E parre chiaru! Propriu ‘e cussì: se vonnu fidanzare. (Dopo una lunga riflessione) Però, cchi cazza ‘e pressa chi tenanu, oh! ‘Ntantu, cchi te vaiu ricu: si illi se vonnu, io nun mintu ostaculi. Vo’ dire ca aumentamu ‘a famiglia. E pue miegliu ‘e ru figliu ‘e ru jettature c’è sempre. (Soddisfatta) ‘U sapìa c’accussentìa, ca capiscìa ‘e ragioni del core, pecchì tu si’ statu sempre ‘n’uomine veru. Sbersala, Giuvannì’, ccu’ ‘sse sviolinate. Me vo’pigliare puru ppe’ fissa, mo’? Nun sia mai, mo’ ce vo’, a tie ‘sse cose? Via, via, quannu e mai me signu permessa? Comunque sia, cara moglie, vire tuni chillu chi c’è de fare, ricica te mancanu i mezzi? Io te fazzu ‘a delega. Bravu a Michele! ‘U vi’ cumu si’ buonu: me ru’ a firucia, te scarrichi ‘e tuttu e tinne frechi. Se, mi lu fa’ buonu ‘u piacire, propriu ccu’ li fiocchi. 331 MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA Nun fesseggiare, tu lo sai ca ppe’ guaragnare ‘ncuna lira nun tiegnu abbientu, speciarmente moni c’avìti armatu ss’atru rotiellu dell’amore. Perciò, io mi la viju ccu’ lu ministeru del lavoro e delle finanze e tu tieni i rapporti diplomatici e le pubbliche relazioni. (Sorridendo) M’ha convintu, i pisi e cussì paranu spartuti. Te Michè’, te meriti ‘nu bellu cafè ‘ndorcificatu. Roppu ‘ssu bellu collatu chi n’amu ‘mpesatu ce vo’ daveru, ppe’ ne mantenere vurpigni. E pue ‘e novità bone vannu festeggiate. Sulu ccu’ ‘nu cafè, Giuvannì’? Ma nun me fare rirere. I gienti si ne cugnanu rece ‘u jurnu senza festeggiare nente! Pare a tie, sinnò i mali vizi e la vacabbunnaria nun venanu festeggiati? Allura tuttu a postu e nente in ordine, ricìa lu diretture ‘e ra fera. Sperannu ca a Picariellu l’è passata ‘a timpesta e r’è benutu, io scinnu alla putiga. Cumu vo’ fare. Michè’, vire si po’ ricogliere ‘ncuna lira. Preghe ‘ncunu santu buonu. Comunque te priegu ‘e ‘na cosa: tu lu sai ca simu ‘na murrata e ca ‘ssa casa sta’ diventannu ‘na polveriera. T’arricummannu ‘e te mantenere carma: ppe’ ogne cosa chi succede fuchete ‘e ricchie, fa’ ‘a mossa ca nun sienti, sinnò escimu pazzi, mi lu pruminti? Sempre si l’atri nun appiccianu ‘a miccia però. (Scuote il capo) E allura ni la mannessi bona Gesù Cristu (esce). (Mentre fa i lavori di casa) Cum’è tosta ‘ssa vita, cum’è difficile fare ‘a mugliere, ‘a mamma, ‘a casalinga. Via, via c’arraciamientu, quantu rugne Dio mio! Certe vote te sienti sfinita, te volissi stennere e nun pensare a nente ppe’ r’acquetare ‘nu mumentu ‘ssa capu chi frije. E chine ti ce fa’ arrescere: mo’ se aze lu guerrieru, mo’ te venanu ‘ntr’i pieri la cara suocera e le amatissime cognate restatizze; e lu core ti s’annumbre. Cchi sfurtuna haiu avùtu a ‘ncappare 332 MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA MARIUZZA ‘ntra ‘ssa regia: guardatila, vinti metri quadrati polifunzionali, cucina, sartoria, soggiornu, tuttu ‘ntra ‘ssu niru. Cumu fai a tenere i niervi a postu e a nun te liticare! (Rivolge lo sguardo al cielo) Chisà quannu puozzu avìre puru io ‘na cambera ranne, sulu ppe’ mie e Michele; cchi sognu ranne chi fuossi. Gesucrì’, te chiedu troppu? (Sorprende la madre con le mani giunte) Ohi ma’, cchi fai, sta pregannu? (Con imbarazzo) Noni, gioia, m’è broccatu ‘nu pocu ‘u cervicale. Me, tutta ‘ssa catina ‘e cuollu. Ma te juta storta? Famme virere ‘na picca. Sini, a mie me va stuortu tuttu, ‘e quannu signu nata. Assettate ca chiamamu a nanna, ca ti l’appare. Aspette, duve vai, lassala jire ‘a dottoressa ca me passe sula. (Muove il capo) ‘U vi’, m’è già passata. Menu male, miegliu ‘e cussì. Allura, ma’, cum’è juta? Cchiri? Cchi t’ha dittu papai ‘e chilla cosa. Eh, si sapissi! Virimu a tie cchi te rice lu core. Sacciu….Speru cose bone però. Ci ha ‘nduvinatu, patretta è tenneru ‘e core, è ‘nu bonazzune. Allura? Allura è fatta, ha accussentutu; ansi, l’è jesciuta puru ‘ncuna lacrima. (Abbraccia la madre) Grazie, mammarè’, te vuogliu bene assai. E a patretta, ci ne vue? Puru, ve vuogliu bene a tutt’i ruvi. Signu cuntenta ma’, me vene voglia ‘e grirare, ‘e ru rire a tutti. Noni, ancora statti citu, nun jettare ‘u bannu ca te ponnu ‘mbiriare e te armanu ‘ncunu traniellu. Mancu a nannà’ ‘u puozzu rire? E torna! Mancu a illa, ca nun si l’ammierite. Ti le tenere ppe’ tie, gelusamente chiusu ‘ntra lu core, pecchì ‘u munnu è bruttu e li maligni ccu’ li jettaturi su’ sempre appostati, pronti a sciollare ‘e cose belle. Cumu rici tu, mo’ ce vo’, tu tieni sperienza. 333 MARAFRANCISCA (Fuori campo) ‘A pesta-chi-te-vegna, duve ‘e male jire mo’! (Fuori campo) Arrassete, ‘u momentu della partenza è arrivatu. GIUVANNINA Cchi l’è male chiavatu torna. Cchi male pesta chi èni! SANTU (Entra, trattenuto da Marafrancisca) Lasseme, nun ne volire sapire MARAFRANCISCA Fermete, nun dare gustu alla gente. Demoniu! GIUVANNINA E l’amu fatta propriu bona, tutt’i jurni puntu e d’accapu. MARIUZZA C’è la pace nannù’, sente a mie. ‘U nemicu s’è arresu. SANTU Cchiri…. Nun le sentiti ‘sse cannunate fisc-care; arrassative tutti, ‘u fronte m’aspette (nel trambusto fa cadere il manichino).( finisce a terra anche lui ) GIUVANNINA Patretè, pruvirece tuni. MARIUZZA Via, via, me: ha fattu rumpere ‘u manichinu. MARAFRANCISCA O lu risgraziatu, mo’ chi venanu ‘e figlie ti la viri ccu’ ille. SANTU (Rivolto ai presenti che cercano di alzarlo da terra) Nun è cosa vorra, nun ci la faciti a me fare prigionieru. GIUVANNINA I pinnuli, Mariù’, piglie i pinnuli ppe’ la carmezza. MARIUZZA Quantu ci ne mintimu ‘ntr’u bicchieri, ma’. GIUVANNINA Tutti, figlicè’, mintacelli tutti. MARAFRANCISCA Vire c’avìssiti ‘e fare e cussì mi l’ammazzati. MICHELE (Entra spaventato insieme a Picariellu) Ch’è successu, cchi bè male chiavatu torna? PICARIELLU Me zu’ Santu: marru Michè’, è muortu! MICHELE Arrassete, fuje ‘e lluocu. GIUVANNINA Michè’, cca ‘a cosa è seria, amu ‘e virere cchi s’ha de fare ccu’ chissu; mo’, ha de jire allu frunte, vire tuni. MICHELE Papà, ti lu ciercu ppe’ carità: finisciala ccu’ ‘ssa calla ‘e guerra. MARIUZZA (Porge al padre il bicchiere) Papà, te i pinnuli. MICHELE Quale pinnuli. GIUVANNINA Ppe’ lu carmare, Michè’. MARIUZZA Ma’, io vaiu la dintra, haiu ‘e fare ‘na cosa urgente (esce). MICHELE Te, papà, vivatilli. SANTU 334 SANTU Niente, nun me frecate: mme voliti ‘mbalenare forse? MARAFRANCISCA Nun c’è versu: ‘a bestia è tuostu! MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE PICARIELLU MICHELE (Poggia il bicchiere sul tavolo) Picarì’, t’avissi de venire ‘ncun’atra gulia e ti le bivi, ca ‘ssa vota nun è cchiù cacarella, ma rimani stisu cumu ‘nu fessa. Allura tannu nun su’ stati i cerasa! T’hannu purgatu, oji pappagà! Allura nun sia mai, acqua ‘e ri bicchieri nun mi ne vivu cchiù. (Cerca di alzare Santu) Giuvannì’, aiutame, piglie ‘e lla. Amu ‘e raccogliere puru i caduti ‘e ra guerra mo’. Te raccumandu, collabore papà. Dai su, forza. Chissu ne fa’ jescere ‘a guallara oje! A papai l’è jesciuta puru ‘nu mise addietru, ppe’ ‘nu colpu ‘e tussa chitarrale. Vavatinne Picarì’, va’ scinne ch’è miegliu. Io te volìa dare ‘na manu. E ‘mbece io te rugnu ‘na perata: fuje ‘e lluocu. Cumu riciti vussuria. Però siti tutti nervusi ‘ntra ‘ssa casa, ppu ppu ppu. (Indica il manichino) Me, hannu fattu carire puru ‘u zitu ‘e re signorine; chine ‘e sente mo’ (esce). Su, azete papà. Ma guarde ‘nu pocu, ci ha pigliatu gustu a stare ‘nterra? (Entrano Custanza e Cosima. Hanno in mano dei pacchi con finimenti) CUSTANZA COSIMA MICHELE GIUVANNINA CUSTANZA GIUVANNINA COSIMA CUSTANZA Sciuollu mie, ch’è successu? Papai, è carutu papai. Me sta faciennu jettare ‘u sangu: signu sfinitu. (Ha una crisi di nervi e percuote le guance con le mani) Via, via, ‘u manicomiu mo’ è propriu al completu. A si, allura tu si’ la direttrice. Oji patreternu mie, quantu chiuvi m’haiu ‘e collare! ‘U manichinu, Custà’, hannu ruttu ‘u manichinu. (Disperata) Maleritti demòni! E cumu fatigamu mo’ senza ‘e illu. 335 GIUVANNINA SANTU Pigliatilla ccu’ lu guerrieru ca l’ha fattu carire. Ccu’ ‘nu corpu sulu, zacchiti, e il nemicu è vulatu a terra. MARAFRANCISCA Prejete, pastinaca; tutt’i ruvi siti atterrati cumu ruvi fessa. MICHELE (Infuriato) Mo’ basta, nun ne puozzu cchiù. Avìti capitu ca me stati cunsumannu ‘a salute? Porco Giuda: io haiu ‘e fatigare, simu capiti? Sinnò, ne mangiamu rariche. MARAFRANCISCA (Al marito) Me biralu; mo’ li ce piglie lu suonnu ‘nterra. PICARIELLU (Fuori campo) Marru Michè, scinne, fa’ priestu. MICHELE Ih, chi vo’ ammutare! Te viegnu ammazzu, oi figlio ‘e bonamamma. PICARIELLU (Fuori campo) M’ammazzi? C’è lu maresciallu ccu’ li stivali. MICHELE Allura scusame: scinnu subitu. Dai, provamu torna all’azare. CUSTANZA E lu manichinu, ‘u’ l’amu ‘e azare puru? MICHELE E cumu no, roppu azamu puru a illu. Primu a uno e doppu a l’atru. (Tutti danno una mano) Uno, due e tre: via (alzano prima Santu e poi il manichino). GIUVANNINA Finalmente i caduti su’ azati. MICHELE E mo’, ppe’ piacire, tutti v’assettati. SANTU M’avìti preso, va bene, però vi haiu fattu surare a tutti. COSIMA Mo’ ce vo’ riposu in branda, papà, vieni. Custà’, piglie ‘e lla. (Santu, mentre viene accompagnato fuori da Cosima e Custanza, canta “O bella ciao”) MICHELE GIUVANNINA MICHELE GIUVANNINA (Si asciuga il sudore dalla fronte) Vistu ca c’è carma su’ tutt’i fronti io vaiu scinnu, ca n’atra picca ‘mbrune. Michè’, t’arricummannu: prima ‘e sagliere va chiame a Giginu. Brava a mia moglie! Puru a mie tocche ss’atru ‘mpegnu? E a chine allura, tu si lu patre! 336 MICHELE Ah si! Me sa’ ca signu ‘u fissa. Mannaia lu riavulu: ‘u marasciallu m’è fujutu ‘e ra capu: chi figura (esce). GIUVANNINA (Mette ordine alle cose) Cchi fera, Maronna mia. Spusete e biri cchi ti ne vene; cumu te recriji. E chine si lu cririjia tuttu ‘ssu divertimentu: cinema, teatru, ballu, villeggiatura, cchi ba girannu cchiù, Giuvannì’. Si’ stata propriu furtunata a ‘ncappare ‘ntra ‘ssa casa, combera ‘e tutt’e manere: vita movimentata, sempre ‘ncumpagnia e cchi cumpagnia! MARAFRANCISCA (Con tracotanza) Vo’ dire ca chine sta’ ritta s’allarhe! Chissa è la casa mia e io c’è staiu bona. GIUVANNINA Pecchì te piace lu teatru, ppe’ chissu….Ringrazie ‘a risgraziata ‘e ra furtuna chi s’è scordata ‘e mie, ca sinnò ‘e mo’ chi mi n’era juta. Mah, prima o pue vene lu jurnu. MARAFRANCISCA E chine te ferme, vire tuni quannu vo’ fare ‘ssu passu ca, mo’ ce vo’, a mie nun me fa’ spagnare propriu. GIUVANNINA Chissu ‘u sapìa già! Allura, ‘u sa’ cchi bo’ fare? Preghe ‘a Maronna chi te facissi ‘ssa grazia. MARAFRANCISCA Io ‘a Maronna ‘a priegu sulu ppe’ me fare stare bona e ppe’ nun r’avire bisuognu ‘e nullu. GIUVANNINA Brava, e chissa è ‘na preghiera propriu bona! (Mentre esce, incrocia Custanza e Cosima che stanno entrando. Le donne si guardano in cagnesco) COSIMA CUSTANZA Custanza, l’ha vista come ci ha guardato di storto? Ca io forse l’haiu guardata diritta? Sa’ cche ti ricu, Cosima, passamuce di supra, sinnò ne po’ azare la pressione del sangu. La timpesta parica è passata, perciò gorimune questo mumento ‘e pace. COSIMA Ah, cumu è bella ‘a vuce ‘e r’u silenziu! Tu ‘a sienti, ma’? MARAFRANCISCA Cchiri, c’haiu ‘e sentere. COSIMA ‘A vuce ‘e chine nun parre. MARAFRANCISCA Ma stati stolachiannu o me fissiati? 337 CUSTANZA Eh, mamma, mamma! Nun te piace la carma? ‘U vi’, te sienti cchiù cristianu: ‘n’atra persona, ‘nzomma. COSIMA E’ veru: parica respiri miegliu, ‘a capu ti la sienti cchiù libera e lecia. MARAFRANCISCA Stative attientu ‘u’ r’avissiti ‘e vulare. Mah, chine ve capisce! (Bussano alla porta) Chine siti? C. CIAVULA (Fuori campo) Signu cummari Ciavula. COSIMA Se, se, propriu ‘a cummari ‘e ra vesta. Speriamu c’avissi portatu i sordi armenu (va ad aprire). C. CIAVULA C’è permessu? (Entra insieme alla figlia Bianchina che sbadiglia). COSIMA Avanti, trasiti. C. CIAVULA Ben trovate alle cummari; ‘e quannu n’amu ‘e virere! CUSTANZA A dire ‘a verità è ‘nu bellu pocu, cummà’. COSIMA Cummà’, però nun ha mancatu ppe’ nue: lu sai ca t’aspettavamu. C. CIAVULA ‘U sacciu, ‘u sacciu, ma certe vote i ‘mpegni sunnu tanti… CUSTANZA Chissu raveru, ‘nfatti ni l’avìa dittu ‘a guagliune, quannu è benuta a se pigliare ‘a vesta, ca era mpacciata. COSIMA Apposta, tannu ci amu rittu ppe’ benire tuni: puru ppe’ ne virere, ppe’ parrare. C. CIAVULA Allura ppe’ chissu? No ppe’ li sordi. CUSTANZA Quale sordi? Via, via, via, nun sia mai cummari mia: nue faciamu ‘na cosa ‘e chissa? COSIMA Se vire c’ha male capitu ‘a guagliune. C. CIAVULA Po’ desere; ‘ssi figli, certe vote, capiscianu alla storta. Ma mo’ armenu è pronta? CUSTANZA E cumu no, è pronta ‘e tannu veramente. C. CIAVULA Cumu se rice: vo’ dire c’haiu fattu ‘na via e dui servizi, me ritiru a vesta e fazzu fare l’affascinu a Bianchina ‘e cummari Marafrancisca. Me povera figlia cumu soffre. COSIMA (Bianchina sbadiglia) Me guarde, povarella, cumu ti l’hannu ‘mbiriata. C. CIAVULA Su’ duvi jurni chi se sta sgallannu ‘a vucca a r’alare. CUSTANZA E nun potìa benire prima. (Rivolta a Bianchina) Cumu te sienti Bianchì’? 338 BIANCHINA COSIMA C. CIAVULA CUSTANZA C. CIAVULA COSIMA CUSTANZA C.CIAVULA COSIMA MARAFRANCISCA COSIMA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA COSIMA CUSTANZA ‘Na muscìa, me sientu morire. Me povera figlia! Nun avìa ‘e tricare a benire cummà’: quannu i rimedi ce sunnu, cchi m’aspetti? ‘U sacciu, però i sordi ppe’ pagare ‘a vesta l’haiu arrangiati propriu oje. Ha volutu fare troppu ‘a precisa e ha fattu buonu, cchi te vaiu ricu mo’? Ma, ccu’ tuttu chissu me rivuorgiu alla dottoressa. (Osserva Marafrancisca) Illa parica capizzie. Illa mo’ era bigliante. A s’età, cchi bolissi: se rorme a lasse e piglie cumu ‘e gatte. Cchi fimmina però, cummari Marafrancisca, quantu bene ha fattu a tuttu ‘u paise; ‘u’ lu sa’ ca puru illa ogne tantu tene bisuognu ‘e se riposare ‘nu pitazzu. Mo’ ‘a chiamu però. Ma’, oji ma (le tocca un braccio). (Spaventata) Cchi c’è, cch’è successu? Nente, nun sc-cantare: ‘u vi’ chine t’è benuta a trovare: cummari Ciavula. Cummari Marafrancì’, e cchi cos’è: ‘e quannu n’amu ‘e virere. Cumu stai? E me, e me chine se vire. E, cummari mia, cumu vue ca staiu? Cumu vo’ Dio. E ‘ssa bella quatrara, chin’è? E’ Bianchina; m’è figlia, cummà’. E brava. E ‘ssa visita, cumu va ‘ssa visita? Sapissi, cummari mie; cumu se rice: quannu tieni bisuognu mintete ‘ncaminu e ‘mbusse alle porte sante. E de cussì haiu fattu io. Cummà’, ha vi’ ‘ssa giuvinella ‘e figlia? E cumu no, è tanta ranne, cumu ‘u’ la viju? Mi l’hannu affascinata, cummari Marafrancì’; mi l’hannu ammusciata. Ppe’ carità, sanatimilla! (Inizia l’operazione) Fazzu ‘e tuttu, cummà’. Vieni vicina, gioia, nun te spagnare. Famme virere, famme virere. Statti squitata, ca mo’ ce pense illa, u vi cum’è cuncentrata. ‘N’atru pocu e biri ca la risuscite. 339 C. CIAVULA ‘U volissi Dio. Ca io perciò signu venuta lluocu. Haiu rittu: sulu cummari Marafrancisca mi la po’ fare ‘ssa grazia. CUSTANZA Statti squitata, ha risortu casi cchiù difficili ‘e chissi. COSIMA Via, via, certe vote ‘a gente su’ arrivate propriu musce, parica spiravanu, e ‘ntra nente, roppu ‘a terapia ‘e mamma, su’ tornate in vita, surridente. C. CIAVULA ‘U sapimu, ‘u sapimu: tene le manu sante ‘a cummari. MARAFRANCISCA (Sbadiglia di continuo). Silenzio, silenzio, ammutati tutti, ca signu alla parte cchiù difficile, sinnò nun fa effettu. C. CIAVULA Ss.. Ss.. Ci, ci, ca sinnò nun vene buonu. (Entra Mariuzza) MARIUZZA Zi’, ‘a fatiga l’haiu finita tutta. CUSTANZA Silenzio, Mariù’; Bianchina è sutta operazione! MARIUZZA (Con sorpresa) Nun mi n’era accorta: c’è d’assai? COSIMA (Sottovoce) Ancora mo’ ha cuminciatu. C. CIAVULA E me ‘a cummarella: cumu stai? MARIUZZA Nun me puozzu lamentare. C. CIAVULA E brava. Haiu saputu certe cose, su’ vere? MARIUZZA Cchiri, cchi su’ ‘sse cose. C. CIAVULA (Custanza e Cosima entrano in agitazione). Cose bone: cose ‘e core, cussì rice la gente, è veru? MARIUZZA (Con imbarazzo). Dipende, ancora nun puozzu rire nente. C. CIAVULA Cumu, chisse su cose belle, le ‘e grirare chiaru e forte, ‘e chine te spagni? MARIUZZA (Mentre lavora dà un’occhiata alle zie) E nullu, ‘e chine m’haiu ‘e spagnare? C. CIAVULA (Alle zie) E bue, cchi ne riciti, immaginu cumu siti cuntente ‘e ‘ssa cosa bella. CUSTANZA (Contegnosa) Nun sapimu nente, nue ‘e ‘sse cose nun ne capiscimu, cummari Cià’. C.CIAVULA Cumu, vue siti ‘e zie preferite, l’avìti crisciuta ‘ssa guagliune e nun sapiti ca s’ha de fidanzare? COSIMA Cara cummari Ciavula, nue le notizie le sapimu sempre roppu, ‘a posta e le telefonate n’arrivanu sempre in ritardu. C. CIAVULA Se vire ca ‘e linee nun funzionanu bene. 340 CUSTANZA COSIMA MARIUZZA C. CIAVULA CUSTANZA C. CIAVULA CUSTANZA COSIMA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA BIANCHINA C. CIAVULA BIANCHINA C. CIAVULA BIANCHINA COSIMA CUSTANZA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA COSIMA C. CIAVULA MARAFRANCISCA A dire ‘u veru ‘ntra ‘ssa casa a ‘nu pocu ‘e tiempu nun funzione cchiù nente: ‘u bene nun se capisce! Però ppe’ nue nun ha mancatu, nue avìmu la cuscienza apposto, Custanza; amu fattu di tutto ppe’ la sistemare bene. (Scocciata) Io me sientu tutta gonfia: vaiu allu bagnu (esce). Io, a dire ‘u veru, nun ci haiu capitu nente. Nente, parravamu del bene di norra nipote Mariuzza. Allura vue siti cuntente e d’accuordu, no? (Con rassegnazione) Cussì ha bolutu ‘u destinu. Eh si, ha vintu illu, lu spaturnatu! ‘E chine ‘u voliti rittu: illu vince sempre. Via, via, figlia, cumu è male potente e carricu: chissa è propriu ‘na magaria, gioia. Mi l’avìa ‘mmaginata: su state certu chille brutte restatizze ‘mbiriuse ‘e ru vicinanzu. E’ d’amuri, ‘a ‘mbiria è d’amuri. Me sta jesciennu l’anima e nun vo’ sprejere. Vire tuni, cummari mia; lutte, fa’ chillu chi po’ fare, pecchì tu sula me po’ sarvare ‘ssa figlia. (Da’ segni di ripresa) Ohi, mamma mia! Ci’, ci’, parica se sta’ ripigliannu. Parica staiu esciennu e ‘nu suonnu funnu. Bianchinè’, Bianchinè’, cumu te sienti? Miegliu, ma’, me stannu veniennu ‘e forze. Ha fattu effettu, cummà’, ‘a cura è juta bona. Mamma è difficile ca sbaglie, tene troppu ‘ntuitu e ‘sperienza. (Si inginocchia) Grazie, cummari mia, famme vasare ‘sse manuzze tue sante (bacia le mani a Marafrancisca). Ma via, ma via, figlia, cchi fai; nun c’è bisuognu ‘e chissu. Ppe’ lu bene chi fai tu avìssi ‘e campare sempre. Puru pecchì supra ‘ssu campu specialiste ci ne su’ pocu. E jettaturi assai. ’Mbiriusi, picciusi, fattucchieri: ‘e categorie su tante. 341 C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA CUSTANZA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA C. CIAVULA MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA C.CIAVULA BIANCHINA MARAFRANCISCA C.CIAVULA MARAFRANCISCA Menu male ca ce siti puru vue, cummà, ‘a mamma ‘e ri bisuogni. Cumu se rice: c’è lu male e ce su puru i rimedi. Nun sacciu propriu cumu me rissobrigare. Pense a stare bona. Però ‘ssa cosa mi le permettere: appena se fannu ‘e fave alli pantaniti ‘na minerrella frisca, frisca ti l’haiu ‘e portare, ca su’ belle tennere e profumate. Ah, vire tuni, si t’è benutu ‘ssu desideriu cchi te puozzu rire: cacciatillu. Sini, cummà’, mi l’haiu ‘e cacciare; quantu primu ‘a prumissa sarà mantenuta. (Al pubblico) Se, aspette e spera! Si nun passe lu fruttivendulu mo’ ne mangi. Mo’, ‘n’atra pocu me scordava. Eh, la vecchiaia… Cchiri, cummà’? ‘Na curicella ppe’ la guagliune. Raveru, ‘u’ lu sa’ ca ce vo’, speciarmente ppe’ li primi tiempi, ppe’ nun fare ‘a ricaruta. Allura facimu ‘e cussì: piglie ‘nu bellu ciceru ‘e sale, ‘nu corniciellu ‘e metallu, ‘nu ferruzzu ‘e cavallu, ‘e minti ‘ntra ‘nu cusciniellu e ci l’attacchi allu cuollu. Allura chissi vastanu, cummà’? Chisà ce mintumu puru ‘na fegurella? Nun sia mai: sarebbe de cuntrastu, chilla è ppe’ lu spagnu. ‘U vi’ quannu nun sai! Scuseme, cummà’, haiu rittu ‘na ciotìa. Statti squitata, chillu chi ci haiu ordinatu è lu massimu. Chissa è ‘na cura forte, ppe’ li casi ‘mportanti. ‘A ordine sulu alli cchiù intimi però. Ve ringraziu, mo’ ce vo’. (A Bianchina) ‘U vi’ cumu t’ha trattatu bene ‘a dottoressa norra. Ringrazie, gioia. Grazie ppe’ tuttu ‘u bene chi m’ha fattu. Ma quale grazie, pense a criscere cuntenta. Ppe’ quantu tiempu l’ha de seguere ‘a cura, cummà’. (Pensa un po’) ‘Nu bonu mise po’ bastare. Mah, parica amu finitu. Io vaiu ‘e lla, vaiu viju cchi fa’ lu guerrieru. Permettiti. 342 C.CIAVULA Statti bona, cummà’; speriamu ‘e ne virere ppe’ cose bone. MARAFRANCISCA Io signu sempre cca a disposizione. C.CIAVULA Bianchinè’, ‘a visita è finita, ‘a cura ti l’ha ‘mparata puru, ni ne potimu jire. E la vesta? Cchi capu, mo’ ‘n’atra pocu mi la scordava. MARAFRANCISCA Cchi paura tieni, t’arricordavamu nue, cummà’.( esce) C.CIAVULA (Prende il pacco con la veste) Allura, Bianchinè’, jamuninne. BIANCHINA Arrivederci e bon lavoru. C.CIAVULA ‘N’atra vota grazie ‘e tuttu e stative bone. CUSTANZA Cummà’, ppe’ l’affascinu grazie va bene, ma ppe’ la vesta nun baste, un te pare? C. CIAVULA Sini, sini, cchi errama capu, m’era scordata ‘n’atra vota. Bianchinè’, e tu nun potìa arricordare. BIANCHINA Ppe’ la troppu cuntentizza nun ci haiu pensatu. COSIMA ‘E guagliune nun ce pensanu a ‘sse cose! ‘U ‘mportante ca ci amu pensatu nue. C. CIAVULA Ah, chissu è veru. Allura quant’era tutt’u cuntu generale? CUSTANZA Prezzo di favore: ventimila, cummà’, cum’eramu restate. (Cummari Ciavula cerca i soldi nel portamonete) CUSTANZA C. CIAVULA COSIMA C. CIAVULA CUSTANZA COSIMA C. CIAVULA COSIMA CUSTANZA (Al pubblico) Chissa me sa’ ca l’ha piersi. (Prende i soldi) Sulu quindicimila. Mah, è ‘nu misteru, chisà duve su’ jute a finire l’atre cinquemila! Ma tu si’ sicura ca alla casa ci l’ha misi giusti? Cumu ‘a morte, cummà’; ‘u sa’ cumu volimu fare? Vi le puortu tutti ‘a prossima vota, quannu viegnu torna. Cchiri, ‘n’atra vota? Noni, runenne chissi chi tieni ca n’accuntentamu ‘u stessu, un è veru Cosima? Certu; sinnò ci devi fare ‘n’atru viaciu, te cumbene? (Consegna i soldi a Cosima) Te, moneta liquida, surata, cummà’. Eccu, rimanimu ‘mpace e amici. Statime bene e a priestu. (Abbraccia la comare) Tanti saluti a tutti. Bona furtuna, va’ ccu’ la Maronna. 343 BIANCHINA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA CUSTANZA COSIMA Bon lavoru e scusati ‘u disturbu (esce insieme alla madre). Ppo, ppo, ppo, cchi fatiga chi ci ha bolutu ppe’ ce tirare ‘ssi quattru sordi fetusi. (Riprende il lavoro insieme alla sorella) Cosima? Si, Custanza? Però la cummari amica ci avia provatu torna a ci frecare. E si, ha fattu finta ca soffre de scordamento. ‘Mbece pate sulu di fricamento. Menu male ca nue ancora ‘a memoria l’avìmu frisca. (Entra decisa) Zi’, v’haiu ‘e rire ‘na cosa. (Con contegno) Avanti, virimu, rice. M’avìti ‘e capire, ‘e scusare puru. Prima nun c’è stata l’occasione giusta ppe’ vi la rire. Su, fa priestu, ‘e cchi se tratte. Nun v’avìti ‘e sentere propriu offese vue, anzi… Parre, Mariù’, i fatti: chir’è ‘ssa cosa. ‘U fidanzamentu, zi’: Robertu vo’ benire alla casa. No, no, no. Nun ne vuogliu sentere parrare. Nue nun ce mintimu lingua: su’ fatti vuorri chissi. (Commossa) Su’ fatti ‘e tutti ‘mbece, puru ‘e ri vuorri, pecchì io ve vuogliu bene e vuogliu ca trovamu l’accuordu ‘e tutti. Nue nun simu state bone, simu state sconfitte. Perciò… Perciò nente; riflettimu tutti ‘nu pocu ‘e cchiù ch’è miegliu. (Si fa’ più dolce) Eh, Mariuzza, gioia ‘e zia, nun te si’ boluta fare cunsigliare! Io nun v’haiu volutu fare nullu tuortu: nun haiu potutu, zi’, è stata ‘na cosa cchiù ranne ‘e mie, ‘na forza cocente chi m’ha ligatu ppe’ sempre. Perdunatime! (Abbraccia le zie). (Commossa) Gioia ‘e zia, cumu si’ fatta ranne. Te perdugnu, zia, certu ca te perdugnu. Tieni ragiune, gioia : l’amure nè se vinne e nè s’accatte, pecchì nun tene priezzu. 344 CUSTANZA E’ propriu ‘e cussì, ‘u core nun tene patrune: è liberu, fa cumu vo’ illu. GIUVANNINA (Entra e trova Mariuzza abbracciata alle zie) Se, se, baci e abbracci, cumu Giuda a Gesù Cristu. CUSTANZA Eccu, è arrivata guastafeste!Te parìa ca nun arrivava allu momentu giustu? MARIUZZA Ma’, ss’abbrazzi sunnu veri, su’ chjni ‘e affettu. GIUVANNINA Figlicè’, ma tu te sienti bona? Chisà tieni ‘a freve e sbarìi. MARIUZZA Ma’, amu chiaritu tuttu ccu’ le mie zie: ‘u’ r’è veru, zi’? COSIMA Certu, chillu ch’è statu è statu, ‘u passatu nun cunte cchiù. MARIUZZA Ha’ ‘ntisu, ma’? CUSTANZA Supra ‘e cose vecchie ci amu misu ‘na petra ‘e supra. GIUVANNINA Ma è ‘na bella petra armenu, sinnò simu torna puntu e d’acapu. COSIMA Statti tranquilla, ‘ssa vota è ‘nu cantamune. GIUVANNINA Sia lodato Gesù Cristu! Ve vuogliu crirere. Allura, fatigamu tutti uniti ppe’ li preparativi ‘e ra festa ‘e Mariuzza mia. CUSTANZA No sulamente tua, Giuvannì’, ‘e Mariuzza norra. GIUVANNINA Già, vue siti ‘e zie. Allura scusatime. COSIMA Certu, e simu sempre pronte ccu’ lu core ‘n manu. MARIUZZA (Abbraccia tutte) Grazie, grazie assai. Signu cuntenta! MARAFRANCISCA (Ferma sull’uscio osserva le scene di festa) Te! Sicuru è muortu ‘ncunu lupu alla muntagna. ‘U vi’ cumu s’abbrazzanu ‘e signore e le signorine: brave! GIUVANNINA Cara suocera, nun sacciu quantu rure, però amu accordatu ‘e chitarre e li mandolini. MARIUZZA Na’, vieni, abbicinate puru tu (Mariuzza abbraccia la nonna). MARAFRANCISCA Ma cchi b’è chiavatu a ‘na vota. Chianu, chianu ca me fa’ carire. E chine ce capisce ‘ntra ‘ssa casa: ‘a temperatura saglie e scinne cumu ‘a freve ‘e ra gola. MARIUZZA Na’, è successa ‘na cosa bella, bella assai ppe’ tutt’a famiglia norra. MARAFRANCISCA Nun grirare, gioia, ca sinnò se risbiglie nannuta e pue sì ca l’amu fatta bona. ‘Nzomma, ch’è successu? 345 CUSTANZA Ma’, a Mariuzza ‘n’atra pocu ‘a perdimu. MARAFRANCISCA Sciuollu mie! ‘A perdimu e bue festeggiati? Siti COSIMA CUSTANZA MARIUZZA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA CUSTANZA COSIMA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA esciuti pazzi? Ohi ma’, s’ha trovatu ‘u zitu. E ‘ntra ‘ssi jurni facimu ‘u fidanzamentu ufficiale. Sini na’, è propriu ‘e cussì, è veru. Teh, e a ‘na vota è cunchiuta ‘a cosa? Tuttu è jutu rispettannu ‘a legge ‘e ra natura ‘mbece: prima è sbocciatu ‘u juru, pue ha fattu ‘u fruttu e doppu, chianu chianu, è crisciutu, curatu ‘e l’acqua e du sule. E io nun ne sapìa nente. Mah, ‘u ‘mportante è ca tuttu è jutu lisciu cumu l’uogliu. A dire ‘u veru tuttu lisciu no, ca ostaculi, tropìe e granninate ci ne su’ state; però, ‘u fruttu ha resistitu, è riuscitu a cunchiere ‘u stessu: ‘u’ r’è veru, cogna’? E’ acqua passata, nun ne parramu cchiù. Si, è veru; ‘ncun’attroppicune ppe’ la via c’è statu. Propriu cumu ‘a storia ‘e l’amure: i passaggi ce su’ stati tutti. Allura simu in linea. Cchi bolissi: ‘e quannu è fattu ‘u munnu l’amure è statu sempre cuntrastatu, criticatu, ‘mbiriatu, ma alla fine s’era daveru illu ha sempre vintu e spissu è cunchiutu miegliu. Sini, nannarè’, ‘u mie è daveru illu, è amure veru ppe’ Robertu. Sini, gioia, ce criju. Mariù’, ‘e chine arrazze? E’ lu figliu ‘e Crimentina, ma’. Ce criri ca nun me vene ‘n mente chin’è ‘ssa Crimentina? Chilla ‘e Sbrasciune, ma’. Te, te, te e chine si la crirìa ca n’avìamu ‘e ‘mparentare ccu’ li Sbrasciuni. Mah, ‘a razza parica male nun c’éni. Su’ proletari, gente fatigaturi e oneste cumu nue. E chissu serve de cchiù allu munnu, ‘nsiemi alla salute. (Si sente da lontano il pianto di Giginiellu e tutti sono in apprensione) 346 GIUVANNINA MICHELE (Spaventata) Sciuollu miu, è Giginiellu! (Fuori campo) Camine, ‘ssu pappamolla. MARAFRANCISCA Gioia ‘e nanna! Chisà cchi l’è successu? CUSTANZA Sicuru è liticatu ccu’ ‘ncunu cumpagnu. MICHELE (Entra con Giginiellu) Eccu, guardatilu ‘u pappaficu. GIUVANNINA Ch’è successu, famme virere. MARAFRANCISCA Cchi tieni, Giginì’? MICHELE Ma lassatilu jire, ca nun tene nente. GIUVANNINA E allura ‘ssu chiantu? MARIUZZA E’ cumu ‘u solitu: chiange ppe’ nente. COSIMA Rice biellu ‘e zia. GIGINIELLU (Piangendo) ‘A squatra. GIUVANNINA Cchiri, quale squatra? MICHELE ‘A Roma, Giuvannì’. I cumpagni l’hannu fissiatu ca ricica nun vince mai ‘u campionatu, ca stannu forse scinne in serie B; e lu fissa si c’è pigliatu. MARIUZZA Cumu v’avìa dittu io: ca chiange ppe’ ‘na ciotia. Io vaiu lla dintra ca nun mi lu viju sentere (esce). GIUVANNINA Te via benerittu, figliu: sulu ppe’ chissu chiangi? GIGINIELLU E si, vue vi ne ‘ncarricati ca nun tifati ppe’ nullu. MICHELE Ca tu fessa pecchì t’ha sceltu ‘ssa squatra ‘mbalusa; te sceglìa l’Inter o a Juventus e birica ‘ssi problemi nun l’avìa: ‘a sira te ricoglìa sempre ririennu. GIGINIELLU Mo’ nun puozzu cangiare cchiù ch’è brigogna. MICHELE E chiange e frichete allura MARAFRANCISCA Nun chiangere cchiù, gioia, ca mo’ vince puru ‘a squatra tua. MICHELE Macari ‘u mannamu a dire allu papa ppe’ la fare vincere. GIGINIELLU Raveru, papà? E cchi cce rici? MICHELE Chi pregassi ppe’ te fare cangiare capu e cussì finisci ‘ssu chiantu rissapitu. GIUVANNINA E dire ca quannu è natu, a differenza ‘e tutti l’atri figli, nun ha chiantu propriu, ‘nfatti ‘a levatrice ha dittu: chissu vene sicuru curaggiusu, ha vistu ‘ssu munnu complicatu e nun s’è spagnatu! MICHELE ‘Mbece s’è sbagliata: ‘u scunchiutu ha attaccatu ccu’ ritardu a chiangere, ma pue nun l’ha spicciata cchiù, fa’ il recupero. 347 MARAFRANCISCA Quantu ne jati girannu moni, ccu’ tutte ‘sse storie. Jamuninne, Giginì’, jamuninne ca nannà t’haiu stipatu ‘na cosa bella. GIGINIELLU Ricemme prima cchir’è, sinnò un biegnu. MARAFRANCISCA ‘Na bella cicculata sguizzera. GIGINIELLU (Smette subitu di singhiozzare) Allura jamu subitu (esce con la nonna). MICHELE Ma cumu è ‘mpattatu ‘u carogna, va a finire ca chiange puru quannu se spuse chissu. GIUVANNINA Pue tuni, Michè’: si’ troppu pessimista. CUSTANZA Cchi bolissi, ancora è ‘‘nu guagliune, ‘u’ lu sa’ ch’è volubulu. COSIMA Chianu, chianu comprete lu sviluppu, ‘u pensieru divente cchiù ‘ngranditu e pue viri ca… MICHELE Chiange e rire cumu ‘nu ciambriellu. COSIMA Pue viri ca sa’ pisare bene ‘e cose e ne rune tantu onure. MICHELE ‘U volissi la Maronna. Giuvannì’, tu cchi dici? GIUVANNINA Ca è ura ‘e mangiare, ritiramune tutti, ca roppu ‘na jurnata ‘e cumbattimentu ‘a cena ni l’ammeritamu ppe’ daveru. MICHELE Armenu ce su’ cose bone stasira? GIUVANNINA E cumu no: tantu ppe’ cambiare, bollitu di verdura mista. MICHELE Miegliu, cussì nun ni se aze lu polisterolu e la pressione. Sorelle, nue ‘nzignamu a jire. (Giuvannina e Michele escono. Custanza e Cosima smettono di lavorare) CUSTANZA COSIMA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA COSIMA MARIUZZA Cosima, ‘a jurnata è finita puru ppe’ nue. Si, Custanza, ma come al solitu torna oje granne battaglia. Oh, cumu simu state fortunate! Nun ne parramu, nun ne parramu. (Entra mangiando un pezzo di pane) Zi’, sbrigative ca ‘a cena è pronta. E tu nun vieni? Io haiu mangiatu prima, ca haiu ‘e fare certe cose ‘mportanti. 348 CUSTANZA COSIMA CUSTANZA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA Allura cose bone. Eh, l’amuri, l’amuri; quantu ne fa’ l’amuri. Se; fa’ sprejere puru ‘u petitu. Ciau bella (esce con la sorella). (Mostra una grande gioia) Grazie, Maronna mia, ca m’ha cacciatu re li guai. Grazie, grazie assai ppe’ r’avìre stutatu ‘u fuocu ‘e ra casa mia, faciennu vincere ‘a ragiune e l’amure. L’amure: parìa la cosa cchiù facile ‘e ru munnu, ‘na cosa chi nasce sula, tennera e semplice, chi tu l’accarizzi, la curi e illa crisce ‘ntra lu core e se fa ranne, pussente e te fa prigioniera ppe’ sempre. Nun sienti ccchiù ‘e parole ‘e ra mamma, ‘e ru patre, ‘e re zie: ‘e nullu. Cunte sulu illu: l’amure, ‘ssa vampa ‘ntra lu core chi te sazie e chi… (Entra e conclude il monologo di Mariuzza) …. t’allurre li jurni e lu caminu. (Va a cercare qualcosa nello stipo) Duve l’hannu fatta jire? Nun se trove mai nente ‘ntra ‘ssa casa. Mariù’, l’avissi vista? Cchiri, na’? ‘A vambace. Cca l’avìa lassata. Cchi ne fare ‘ssa vambace, mo’ te jire a curcare. Apposta ca m’haiu ‘e jire a curcare me serve. E pecchì te serve, na’? Ppe’ me ‘ntippare ‘e ricchie, figlicè’; ppe’ nun sentere ‘u guerrieru ‘e nannuta. Ti l’ha scordatu ca rorme vicinu a mie? Sulu e cussì puozzu rormere ‘nu pitazzu. Già, m’era scordata. Tieni ragiune, na’, cchi ba fa’, ce vo’ ‘nu pocu ‘e pacienza. ‘Na pocu, figlicè’? Me, me ca l’haiu trovata; menu male. A domani e bona notte, na’. Speriamu: cumu vo’ Dio. Eh, quantu è brutta ‘a vecchiaia (esce) (Tira un forte respiro) E’ propriu veru; cum’è bella ‘a sira quannu ‘u core parpite d’amure. Tieni voglia ‘e restare sula, ‘ntra ‘ssu silenziu re pace. Tuttu te parre, te rire; l’aria te sazie lu piettu e li pensieri tenneri e 349 duci vulanu luntanu, liberi e bielli. (Prende nello stipo un album di fotografie, va a sedersi accanto al camino e lo sfoglia con grande passione.) (Dopo un po’ si sentono le dolci note di una serenata, che le è stata portata da Roberto. Mariuzza, sorpresa e particolarmente emozionata, gode intensamente di questa emozione. Entrano poi anche i familiari, esprimendo con sorrisi allusivi la gioia e il consenso per il suggestivo avvenimento). COSIMA CUSTANZA GIUVANNINA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA Custanza, ma chissa è ‘na serenata? Si, Cosima; te piace? Cchi musica bella, te scippe propriu ‘u core. Chissa sì ca cuverne l’amuri! E’ ‘nu tangu, no? (Ballando a braccia aperte) Sini, zi’, un tango appassionato nella notte, tuttu ppe’ me. (Cala il sipario) FINE DEL SECONDO ATTO 350 ATTO TERZO (Fervono i preparativi per il fidanzamento di Mariuzza. Santu è stato colpito da una paralisi e, oltre a non poter più camminare, parla con difficoltà. All’alzarsi del sipario, Santu è seduto sopra una sedia a straio: è addormentato e, ogni tanto, tossisce e ha il tic di strizzare l’occhio sinistro. Marafrancisca gli è seduta accanto e, di tanto in tanto, con il fazzoletto gli allontana le mosche di dosso. Santu indossa una vestaglia, mentre la moglie veste in maniera elegante. Dopo alcuni secondi, Marafrancisca termina di recitare il rosario e si fa il segno della croce) MARAFRANCISCA (Con molta tristezza) Ha’ finitu ‘e cumbattere, ‘u’ ne tieni cchiù nemici mo’! Ohi, cchi sfurtuna nivura! Cchi sciuollu! Ancora nun ce puozzu crirere. E ba capite propriu a mie, alla marra ‘e l’affascinu, a mie chi re sessant’anni haiu cacciutu ‘mbiria, fatture e maluocchiu a migliaia ‘e gente; e io, cumu ‘na ciota, nun m’accorgìa ca me picciavanu a marituma. Ca nun sta’ mai fermu, ca rune fastidiu a tutti, ca chissu, ca chillu, ‘nfinga chi mi l’hannu ammusciatu, ‘u guerrieru mio. (Si mette a piangere) Guardatilu, cumu mi l’hannu conzatu; chine mi l’avìa de rire ca ‘na cerza ‘e uomine ridducìa a ‘nu muzziellu supra ‘na secia. Ma io ‘nu sospettu ‘u tiegnu; certu è statu chillu jettature ‘e don Peppe, chillu è potente, ‘u risgraziatu. GIUVANNINA (Torna a casa da fuori. Ha in mano la borsa e un pacco) Ancora nun su’ ricuoti loru? MARAFRANCISCA ‘Nfinu a ‘ssu momentu ‘u’ r’è benutu nullu. GIUVANNINA (Mentre mette in ordine alcune cose) Stannu tricanno, su’ cchiù de tri ure chi su’ jute, quannu venanu? Maronna mia, ce su’ tante cose ‘e fare! MARAFRANCISCA Ca ille nun si le potìanu fare sule i capilli; avìanu ‘e jire duve ‘a parrucchiera ca, mo’ ce vo’, ‘e sa’ fare miegliu. GIUVANNINA Ma tu ha chiantu? Cchi t’è successu? MARAFRANCISCA E nente, me signu sfogata ‘nu pitazzu (indica Santu). Te, ‘un lu viri, cumu fa’ a mantenere i chianti? 351 GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA GIUVANNINA MARAFRANCISCA SANTINU MARAFRANCISCA GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA SANTINU MARAFRANCISCA GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA MARAFRANCISCA Sente, fammillu ppe’ piacire, ‘u vi’ ca t’u ricu? Oje nun vuogliu facce culeruse e né chianti; oje se fa’ zita figliama e vuogliu allegrìa. Ha capitu? Vo’ dire ca me sfuorzu ca, mo’ ce vo’, Mariuzza se merite chissu e atru. Tutt’i guai oje s’annu ‘e mintere ‘e parte, amu ‘e virere cumu miegliu potire cumparire ccu’ la famiglia Sbrasciune. (Indica Santu) Speriamu ca illu nun facissi ‘ncuna sparata. Po’ stare squitata: allu statu chi è arridduttu cchi po’ fare cchiù? Ha finitu ‘e munizioni, si l’ha sparate tutte. Avissi ‘ntisu si è azatu Santinu? Noni, parica ‘u’ r’haiu ‘ntisu a nullu. ‘Ntantu mo’ è ura ‘e s’azare, ca n’atra pocu venanu i Sbrasciuni e lu trovanu allu liettu. Povariellu, ha biaciatu tutt’a notte; ‘u’ lu sa’ ca le fa suonnu allu guagliune. E Giginiellu? E’ intra; sulu ca ogne tantu se lamente ca le fa’ male ‘u vrazziciellu. Ce volìa puru chissu moni, ‘u’ r’abbastava lu nannu, puru ‘u nepute. Eh, mannaia la fortuna! Amu fattu ‘a casa ‘e l’invalidi. (Fuori campo) Ma guarde ‘nu pocu cchi casinu; propriu mo’ avìa de capitare. E’ Santinu, sapimu cchi tene? Se vire ch’è azatu ccu’ lu quartu stuortu. (Entra di corsa) ‘U bagnu ma’: ‘na lavìna! Cchiri, cchir’è ‘ssu bagnu? E’ ruttu ‘u flessibile, ma’, e me sta allagannu tuttu. ‘A guerra continue: ancora ‘u jettature è all’opera, virimu quannu si n’abbutte. Te cririca ‘u’ r’è statu chillu riavulu e Picariellu? Chine, ‘u riscipulu ‘e papai? E cum’ha fattu? Ca l’atru jurnu ha avùtu ‘na cacarella a musica, ‘u risgraziatu, e ha viaciatu supra e sutta ‘na jurnata. Illu ca ccu’ le mani nun sa’ stare fermu e ha de toccare tuttu! 352 GIUVANNINA Famme jire a birere (esce e torna subito). MARAFRANCISCA Santinì’, ‘u vi’ quantu guai? SANTINU GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA Cchi ce va’ fa: succeranu. Cum’amu ‘e fare mo’? ‘Ntantu ‘e cussì nun ce po’ stare: ce vo’ lu funtanaru. Io mo’ tiegnu cchi fare, va lu chiame tu, figlicì’. Ce rici ca è ‘n’urgenza ppe’ daveru. MARAFRANCISCA Duve lu va trove mo’ a chillu specialiste. SANTINU Mannace a Giginiellu, ma’; ‘u’ lu vi’, ancora m’haiu ‘e vestere. GIUVANNINA Ma vire, Segnure, n’avìa cchiù jurni ppe’ se jire a rumpere: propriu oje. (Affacciandosi sulla porta) Giginì’, Giginiellu. MARAFRANCISCA Sapimu s’è cunfessatu? GIUVANNINA Giginì’, rispunne. GIGINIELLU (Fuori campo) Cchi v’abbisogne? SANTINU E’ bivu, è bivu. GIUVANNINA Vieni ca me va’ fa’ ‘na ‘mmasciata urgente a mamma. GIGINIELLU (Entra con un braccio ingessato) Sempre a mie ‘sse ‘mmasciate, no? GIUVANNINA Ricica ce mannamu a nannuta? Me, cum’è conzatu! GIGINIELLU Nun è c’haiu ‘e jire luntanu, no? Ca ancora ‘u vrazzu me role. SANTINU Me bire si ‘e jire, quantu mosse: parica ‘e caminare ccu’ lu vrazzu? GIGINIELLU Ti ne ‘ncarrichi tu; ‘u sai ca quannu camignu se tringulìe e me fa’ male? GIUVANNINA Sini, gioia, ca ‘u sapimu. Mo’ sente a mie: vire ca patretta è jutu duve ‘u varvieri; tu vai e ce rici ca urgentemente trovassi lu funtanaru, propriu ‘u capu, e lu portassi alla casa norra, ca ne stamu allagannu. Ha capitu? MARAFRANCISCA Va’, bell’e nanna, e cunchiure, t’arricumannu. GIGINIELLU (Esce piangendo) Sempre a mie ‘sse cazze ‘e ‘mmasciate luntane. GIUVANNINA Te parìa ca ‘u’ r’armava la musica? Santì’, jamu virimu, jamu virimu ca ce ramu n’asciuttata (esce insieme al figlio). 353 MARAFRANCISCA (Fruga in un cassetto e prende un piccolo corno e un CUSTANZA COSIMA MARIUZZA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA CUSTANZA MARAFRANCISCA COSIMA MARAFRANCISCA MARIUZZA MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA MARIUZZA MARAFRANCISCA CUSTANZA COSIMA MARAFRANCISCA ferro di cavallo. Li lega entrambi al collo) L’unica cosa è aumentare ‘e difese, ca sinnò a cumu è pigliata finisce propriu male. Eh, Santu mie, quantu ‘mprevisti ce su’ allu munnu, quantu attroppicuni ppe’ la via, ‘nfinu a quannu nun facimu ‘u traslocu definitivu all’atra casa. (Mentre mima la morte con due dita, si sentono dei passi e un vocìo) Sapimu chine n’arrive mo’? (Entra di fretta, insieme a Cosima e a Mariuzza) Maronna, cumu è bulatu ‘u tiempu! (Si appresta insieme alle altre donne a riassettare la casa). Subitu, Custanza, sbrigamoci che l’ura s’abbicina. Na’, tu si’ già pronta? Famme virere, fatte vedere. Ohi, cumu pari bella: pari ‘na signorina! Se, propriu ‘e primu sbrittu. (Si tocca la faccia) E tutte ‘sse belle pieghe duve le manni, mi l’appari ccu’ lu fierru ‘e stiru? Cu ‘na carezza, nannarè’ (le fa una carezza). Grazie, gioia! Te via sempre cuntenta cumu oje. Ma’, Santinu è azatu? E’ azatu, poveru figliu. Ma mo’ sta cumbattiennu ccu’ la mamma a cacciare acqua la dintra. Pecchì ss’acqua, ma’? Ricica è male ruttu ‘nu flessibile: sacciu io? Maronna mia! E mo’? Ce vo’ lu dragulu e, a maleppena, l’è jutu a chiamare Giginiellu. ‘A cosa care propriu a pinniellu. Si, Custanza: cumu ‘u casu supra i maccarruni. Speriamu armenu ca ‘u funtanaru arrivassi priestu. Sapimu, figlicè’! Chissu è ‘nu specialiste ‘e ri cchiù affermati, chine ti lu rice si tene tiempu? Si lu trovanu, volissi rire? ‘Nfatti, certe vote, opere puru all’esteru. Pue vue; siti jute troppu luntane. Volissiti rire a Casule o a Peritu? 354 CUSTANZA Ma, ‘ntramente, jamu a ne cangiare. Cosima, Mariuzza, priestu, ramune ‘e fare: veniti ccu’ mie (escono). (Si sente una voce che da un altoparlante annuncia un comizio elettorale. Santu si sveglia di soprassalto) MARAFRANCISCA Via, via, risgraziati, mi l’hannu risbigliatu, mi l’hannu SANTU MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA SANTU MARAFRANCISCA SANTU SANTINU SANTU SANTINU SANTU SANTINU SANTU fattu sc-cantare. Vacabunni, nun hannu a chi pensare, i vacabunni. (Sbadigliando) Marafrancì’, ch’è statu, ch’è successu? Nente, nente, pense a dormere. Nente, cumu nente? ‘E botte, bum…bum… Statti carmu, nun t’arterare. Risgraziati, veniti ‘u teniti vue moni. ‘U comiziu e ra pesta-chi-ve-vegna. Pane, lavoru e pace, e a mie m’hannu armatu ‘a guerra, Cchiri, ‘a guerra? E’ scoppiata ‘a guerra: fate largo, si parte per il fronte (si agita). Se, ccu’ le stampelle! Patreternu mie, pruvirece tuni. (Chiama il nipote) Santinì’, vieni ch’è disbigliatu nannuta e te vo’ birere. (Diventa allegro) E’ benutu Santinu? Quannu è benutu? Stamatina, faciennu jurnu. Bravu, bravu. (A voce alta) Santì’, Santinu, vieni duve nonnu. (Abbraccia il nonno) Eh, carissimo nonnu, cumu ti la passi? (Piangendo, gli fa notare il suo precario stato di salute) Cumu staiu? ‘U vi’: signu conzatu propriu bene. Signu fricatu! Ma no, nun te preoccupare. Mo’, chianu chianu, viri ca migliori. Eh, Santinu mio biellu! Allura miglioru? Tu me chiacchiarìi a nonnu. Ma statti tranquillu; chisse su’ cose chi ce vo’ tiempu ppe’ potire sanare. Bravo! Però io tiempu nun ne tiegnu abbastanza, Santinì’; mi ne rimane pocu a nonnu, ha capitu? 355 MARAFRANCISCA Nun c’è versu, sempre lla batte ccu’ la capu. Oji Sa’, e SANTU SANTINU MARAFRANCISCA SANTU SANTINU MARAFRANCISCA SANTU SANTINU MARAFRANCISCA SANTU SANTINU SANTU MARAFRANCISCA SANTU SANTINU SANTU SANTINU SANTU MARAFRANCISCA SANTINU bia, pense alla salute e lassece jire. Ca io a illa staiu pensannu, a chine allura: alle signorine e ra televisione? Tu ‘mbece puru ‘e signorine ‘e guardare, pecchì no? Tu ‘e svagare nannu’. ‘U vo’ dittu ‘e tie; si ne fa’ certe passe chi….Si primu nun si ne vannu tutte, neca se vo’ jire a curcare. E’ gelosu, le bo birere ca se ricoglianu alla casa. Bugiarda, nun è veru. Io viju sulu ‘a signorina Marini e la Carrà, ca le preferisco. Ha rittu nente: t’ha sceltu ‘e meglie, nannù! L’atre l’ammarianu. Ne tene ‘ncuna: è bellu furbu. Caru nipote,io m’accuntientu,un signu scardusu. E diceme ‘nu pocu a nonnu: ‘u sturiu, cumu va lu sturiu? Va beninu, nun me puozzu lamentare. E’ tuostu, ‘u risgraziatu! Ma tuttu procede bene. ‘U vì’, Sa’, ‘n’atru pocu avìmu ‘nu dottore ‘ntr’a casa norra. Bravo, bravo. Fa’ priestu però, sinnò nannuzzu si ne va, more e nun lu pue curare cchiù. Ma via, quantu ne va’ pensannu! Vaiu la dintra, aspette, te vaiu pigliu ‘nu fogliu ‘e cioccolata ‘e marca. L’haiu accattata allu miegliu bar ‘e Milanu (esce). Affezionatu assai. È bravu Santinu, Marafrancì’. E cumu no, se chiame cum’e tie, ‘u’ lu sa’ ch’è bravu. Chissu porte avanti ‘u nume ‘e ra razza. Poi minte la targa alla porta: Dottore Santino Papaleo. Bellu ‘e nonnu! Quantu onure, quantu onure. (Entrando) Ecco a nonnu ‘a cicculata ‘e Milanu. Grazie e ‘ssu pensieru ruce, gioia. Naturalmente vi la spartiti ccu’ la nonna. Forse le fa’ male, tene lu diabetu molto arto. Nun tiegnu propriu nente io, nun lu sentere, ca staiu bona. Allura parti uguali, nannù, me raccomando. 356 SANTU Haiu chiacchiaratu, Santì’, ‘u’ lu sa’ ca mi la spartìa ccu’ la mia signora: chissa sula tiegnu. (Si odono i passi di più persone) L’esercitu, sta arrivannu l’esercitu. MARAFRANCISCA Armenu arrivassi puru ‘u draulicu. (Entrano Michele, Giginiellu, Compà’ Toninu e Ventirupulu. Sono forniti di tre borse, contenenti i ferri del mestiere) COMPA’ TONINU C’è permessu? MARAFRANCISCA Avanti, trasiti, trasiti. MICHELE Ch’è successu, c’avìti ruttu? MARAFRANCISCA ‘U flessibulu ‘e ru bagnu. SANTU Ma quale bagnu, ‘e ru cessu, pregu. MICHELE (Agitato) O bagnu o cessu jamu virimu ch’è successu. SANTINU Calma, papà, ce vo’ calma (esce insieme al padre e al fratello). SANTU (Fa segno a compà Toninu con la mano) E me, e me chine se vire. E quantu tiempu n’amu ‘e virere, nepù’! COMPA’ TONINU Ohe, zu’ Sa’! Cumu stai? SANTU Te, ‘u’ lu vì’: assettatu. Simu fricati. COMPA’ TONINU E no ca sta’ buonu: me benerica ! SANTU Ccu’ li calli, ‘u’ lu vi’: ‘mpoltrona! COMPA’ TONINU Duve va’ pensannu, cchi te manche? SANTU Tuttu, tuttu, me manche tuttu. Nun ne parramu. COMPA’ TONINU Me, tieni a za’ Marafrancisca vicina, ricica ‘un t’assiste? SANTU Nun si la vente, è fatta vecchia. MARAFRANCISCA A tie t’è rimastu ‘u’ rente amaru! ‘u’ r’è cuntientu mai, nepù’. SANTU E ‘ssu guagliune, chin’è ‘ssu guagliune? COMPA’ TONINU E’ lu riscipulu mie, zu’ Sa’: Ventirupulu. SANTU E’ svertu ‘u ragazzu, se vire propriu. COMPA’ TONINU ‘U’ lu vi’: rorme all’allierta. VENTIRUPULU E torna sommà: ‘u’ lu vi’ cchi cavuru chi fa’? SANTU C’ha dittu? COMPA’ TONINU Ca le fa cavuru. SANTU Povariellu: fallu lavorare allu friscu allura COMPA’ TONINU Si, propriu ‘ngalera ‘u mannassi, ca la c’è bellu friscu. 357 GIUVANNINA (Dall’uscio) Compà’ Tonì’, e cchi cos’è, quannu vieni? COMPA’ TONINU Stava parrannu ccu’ zu’ Santu ‘nu pocu; e mo’ chi l’avìa de virere. Mo’ me signu fermatu ‘nu pocu, cchi cos’è! GIUVANNINA Vieni ferme l’acqua ‘mbece, ca ne sta ‘mbiannu, ca pue parri. COMPA’ TONINU E si, Giuvannì’, cchi paura tieni; mo’ viegnu. Ventiru’, ‘nzigne a jire a piazzare tutti i ferramenti, sberto, su. VENTIRUPULU Rivacu tutt’a borsa, sommà? COMPA’ TONINU Chi te vonnu rivacare ‘a capu! E fare ‘ncuna mostra? Dai, sbrigne ‘e lluocu. (Ventirupulu esce mormorando) GIUVANNINA E ‘nzani, ‘nza! E venire tuni, ha capitu? Cchi me manni ‘ssu riscipule. E maniete! (rientra) MICHELE (Dall’uscio) Compà’ Tonì’, e chi cazzu è, quannu vieni? T’haiu chiamatu ppe’ la funtana, no ppe’ parrare. COMPA’ TONINU Ajadò, cchi pressa oh! Nun se po’ scambiare mancu ‘na parola cchiù. E cchi cos’è, i rapporti sociali nun se ponnu cchiù curare. Ppu, ppu, ppu, cchi munnu pressarulu, oh! MICHELE Sbrighete, compà’ Tonì’, nun la fare longa, ca papai t’aspette allu ritornu. ‘U’ l’aspietti, papà? SANTU E cumu no? Si, allu nepute si ca l’aspiettu: è troppu simpaticu e spassusu. COMPA’ TONINU Allura zu Sa’, permessu, quantu vaiu fazzu ‘ssa diagnosi. MICHELE Se, se, le conzare, atrica diagnosi. COMPA’ TONINU E allura, certu ca ‘a cuonzu; ma primu u re virere e cchi se tratte. MICHELE (Lo prende per un braccio). Maniete e trase, nun fare tante storie. (Escono Michele e compà’ Toninu). SANTU Marafrancì’, è sempre ‘u stessu ‘u comparuccio; se mantene allegro e giovane. Me fa piacire, bravo. 358 MARAFRANCISCA Pecchì ha capitu ‘a vita l’ammazzatu, e le cose ‘e SANTU MARAFRANCISCA SANTU VENTIRUPULU MARAFRANCISCA VENTIRUPULU MARAFRANCISCA VENTIRUPULU MARAFRANCISCA SANTU piglie ccu’ filosufia; sinnò, povariellu, ccu’ tutt’e fimmine chi ‘u cercanu grirannu, a chist’ura avìa de esere esciutu pazzu. Chiamalu fissa! Nun s’arrace mai, niente, niente. Ha vistu, puru ‘u riscipule se sta mparannu ‘u stessu. Se vire ca ‘u maestru è buonu, e lu riscipule apprenne. Si, è n’artista, e ‘nu maestru del tubo. (Entra mormorando). Cchi callu ‘e guai ch’è ‘ssu marru: illu se scorde le cose pue io haiu ‘e jiere supr’e sutta. Ti ne sta jiennu giuvinì. Macari mi ne potissi jire. ‘mbece ci haiu ‘e jire a pigliare ‘na guarnizione allu marru. Allura fa’ priestu, t’arricummannu. (Mentre esce) Tutti ‘a stessa cazza ‘e capu avìti? Ccu’ ‘ssa pressa ce siti fissati? Oji, Sa’, ‘u guagliune promette bene. Raveru, chissu fra pocu supere allu marru. (Entrano Custanza, Cosima e Mariuzza. Indossano abiti eleganti e portano dei vassoi con dolci, confetti e liquori, che poggiano sul tavolo. Iniziano a sistemare tutte le cose) MARAFRANCISCA Fatte virere, Mariù’. Oji gioia ‘a nanna, cumu pari bella. Oji Sa’, guardala cchi principessa. Bella, bella assai: parica vule. Papà, puru tu te cangiare oje. Te minti ‘u custume e si ca ringiovanisci. SANTU Nun ce perditi tiempu, io staiu bene e cussì. COSIMA (Prende il vestito e insieme a Custanza e a Marafrancisca si apprestano a farglielo indossare) Papà, o vue o un buve oje te cangiare. Dai su, aiutati (iniziano l’operazione, malgrado la ferrea opposizione di Santo) SANTU Lassatime jire, maleritte. MARAFRANCISCA E quantu moti, mo’ virimu chine a vince. COSIMA ‘U pere, Custà’, tene ‘u pere. CUSTANZA Forza, ‘n’atra pocu su. È jutu, finalmente è jutu. SANTU CUSTANZA 359 SANTU MARIUZZA MARAFRANCISCA CUSTANZA SANTU COSIMA CUSTANZA SANTU MARAFRANCISCA COSIMA SANTU MARAFRANCISCA SANTU CUSTANZA COSIMA SANTU MARIUZZA SANTU MARAFRANCISCA CUSTANZA SANTU COSIMA SANTU COSIMA MARIUZZA MARAFRANCISCA SANTU CUSTANZA Gesù mie, aiuteme! Ma lassatilu stare, me cumu è suratu, facitilu riposare ‘nu pocu. E lu giaccu, quannu ci lu mintimu, romani? Dai, papà, ‘n’atra pocu e amu finitu, collabore. Arrassative ‘e lluocu, v’ammazzu a tutte. ‘U vrazzu, stennitice ‘u vrazzu. Eccu cca; finarmente. Azatilu ‘n’atru pocu quantu ce tiru ‘a giacca. Te tiru ‘a capu. Ahi, ahi miserabile ! Citu, citu, c’amu finitu. E cchi cos’è ? Custà’, ‘a scolla. Papà, ‘a vo’ puru ‘a scolla? Vuogliu lassatu jire, ca signi sfinitu. Mo’ basta, ca è appostu. Me cum’è suratu (prende un fazzoletto e gli asciuga il sudore) Arrassete, magara, ca m’affuchi. ‘U vi’ cumu pari biellu mo’? Ce fa’ ‘nu figurone ccu’ li Sbrasciune. Nun vi ne ‘ncarricati, quannu me ripigliu ve sturciu. Oji nannù’, carmete, mo’ è passatu tuttu, nun ce pensare cchiù. Armenu mo’ pari ‘nu giuvinottu. Mariuzza mia bella, però nun sai chillu c’haiu passatu! E ‘u’ la fare cchiù longa: cchi pigulusu! Piuttostu, papà, t’arricummannu: stasira controllete, cerche ‘e parrare pocu e cunchiusu. E chine ci la fa cchiù a parrare: roppu ‘ssa fatigata me sientu muortu! Comunque, si’ avisatu, pecchì amu ‘e cumparire ccu’ li suoceri ‘e Mariuzza e li zii, Riamunnu e Dora, ca su’ benuti apposta ‘e l’America ppe’ lu fidanzamentu. Ha capitu buonu? Tranquilla, io rispunnu sulu si signu ‘nterrogatu. Bravu a papai. Grazie, nannù’, ce tiegnu assai a cumparire. Quannu tuttu manche ‘u controllu io. Dottorè’, e a te ce penso io: ha capito? ‘Nzomma, simu capiti: nente schirole. (Entra Ventirupulu) 360 VENTIRUPULU Virimu si l’accuntentamu: a malapena ci l’haiu trovata. CUSTANZA Giuvinì’, cercati a be sbrigare, faciti ‘na cosa ‘e jurnu. VENTIRUPULU Chissu nun vi lu puozzu garantire, signorì’, pecchì ‘u marru è troppu precisu e tene tiempi luonghi ‘e lavorazione (esce). COSIMA E l’amu fatta bona ccu’ chissi. MARIUZZA (Agitata) Maronna mia, propriu stasira s’avìa de rumpere ‘ssa funtana, nun ci n’eranu cchiù jurni? MARAFRANCISCA Nun t’arraciare, figlia, ca tuttu s’aggiuste. Illi a cchi ura t’hannu rittu ca venanu? MARIUZZA Cchiù o menu tra ‘e sie e le sette. (Bussano alla porta e va ad aprire Costanza) CUSTANZA Sapimu chin’è? VOCE FUORI CAMPO Jamu girannu ‘u funtanaru, è ‘ lluocu. CUSTANZA Cca nun c’è nullu funtanaru. VOCE FUORI CAMPO ‘Mpossibile, ‘a machina sua è fore cca. CUSTANZA Jativinne, giuvinò’, nun perdimu tiempu. Arrivederci (rientra). Ss’atri ce mancavanu ppe’ la fare completa. Certe vote ‘e rire puru ‘e bugie. COSIMA Ha fattu buonu, ti sei saputa regulare. SANTU Parica me sentu miegliu, Marafrancì’; me sientu cchiù cuntentu. MARAFRANCISCA Menu male, parica cuminci a ragiunare. CUSTANZA Cosima COSIMA Custanza CUSTANZA Cchi dici, ‘u manichinu ‘u cumbegliamu? COSIMA Certu, po’ fare ‘na certa ‘mpressione. (Mentre coprono il manichino con un panno, entrano Santinu e Giginiellu. Quest’ultimo va a sedersi vicino al nonno) SANTINU MARIUZZA L’ura s’abbicine, Mariù’: cumu te sienti? ‘Na cosa, ‘na cosa, chi nun ti la sacciu spegare (si commuove). 361 SANTINU Te criju, ‘e cose chi riguardanu l’amure nun ce su’ parole adatte ppe’ le fare capire. COSIMA (A Mariuzza) Asciuttete ss’uocchi, statti calma. SANTINU (A Giginiellu) Mancu tu ‘e chiangere stasira, ha capitu? MARAFRANCISCA Fallu ‘ssu fiorettu, Giginì’. SANTU Nonnu te prumintu ca te compru ‘u motorinu si nun chiangi: brum, brum (mima il rumore dell’acceleratore). GIGINIELLU Raveru, nannù’? SANTU Sicuru, colore giallo-rosso, cumu ‘a squatra tua. GIGINIELLU Allura stasira riru sempre. MARAFRANCISCA Giginì’, ‘e cussi pue allu nonnu ce fa fare ‘nu giru, macari chillu ‘e ra Siela. GIUVANNINA (Entra con un cesto pieno di fresine) L’operazione è riuscita: ‘u maestru ha finitu. (Marafrancisca, Cosima e Custanza si fanno il segno della croce) CUSTANZA COSIMA MARIUZZA GIGINIELLU Sia lodatu Gesù Cristu. Ogni sempre sia lodatu. Zì’, allura jamu la dintra ca preparamu l’atre cose. Santì’, vieni puru tu ca ne runi ‘na manu. Aspettati ca viegnu puru io. (Escono Custanza, Cosima, Mariuzza, Santinu e Giginiellu) GIUVANNINA Però compà’ Toninu sa fatigare raveru, e rire un dire. MARAFRANCISCA Chissu è ‘nu marru chi nun va ‘mpressatu, duve minte le manu illu ne esce. Po’ desere tra ‘nu mise, tra ‘n’annu, ma ‘u ‘mpegnu ‘u mantene. GIUVANNINA Apposta chiamanu tutti a r’illu. MARAFRANCISCA E pue ‘u’ r’ha duve se spartere ‘u primu, perciò certe vote ritarde. COMPA’ TONINU (Entra asciugandosi il sudore con un fazzoletto) Amu cunchiusu, zu Sa’. Tuttu in ordine. GIUVANNINA Cumu si’ suratu, oh! COMPA’ TONINU Nun ne parramu, ‘u’ ne parramu. SANTU Bravu allu nepute, bravu! 362 MARAFRANCISCA Benerittu te via, figlicì’, tieni ‘e manuzze fatate. (Entrano Michele e Ventirupulu. Quest’ultimo ha una borsa a tracolla e altre due borse alle mani. Da’ segni di sofferenza e di impazienza) SANTU COMPA’ TONINU MICHELE COMPA’ TONINU GIUVANNINA VENTIRUPULU COMPA’ TONINU VENTIRUPULU COMPA’ TONINU VENTIRUPULU COMPA’ TONINU MICHELE COMPA’ TONINU GIUVANNINA COMPA’ TONINU SANTU COMPA’ TONINU GIUVANNINA VENTIRUPULU COMPA’ TONINU Allura, nepù’, mancu ‘na guccia ne care cchiù? Nente, zu Sa’, perfetto: tutto secco. Ce volìa puru: ‘a cosa siccome era difficile. Michè’, nun è veru nente chillu chi rici tu, pecchì devi sapere che quannu si opera i rischi ce su’ sempre; ppe’ r’esempiu ‘nu giru ‘e cchiù ccu’ la chiave e tacchiti, se po’ spezzare il dado. E sini, e sini ca Michele chiacchiarie, sinnò ‘u’ lu sapimu ca ‘u compitu è rischiusu. Sommà, quannu ni ne fricamu a jire, ‘u’ lu vi’ ch’è ‘mbrunatu? E aspè’, aspette ‘n’atru pocu, cchi pressa tieni, duv’è jire? ‘U vi’ ca signu carricatu cumu ‘nu ciucciu? Ca tu si’ fessa, poggiali ‘nterra no? E me vuogliu ricolgiere puru alla casa, ca ce mancu ‘e stamatina. E mo’, mo’, ‘n’atru pocu ni ne jamu. Ajadò, cchi taluornu, oh. (Prende il portafoglio) Allura, sommà’, quant’è lu disturbu? Nun è nente, statti squitatu. Cussì nun va bene, ‘ncuna cosa ti le pigliare. Ma quale cosa, propriu ‘e ra famiglia ‘e Santu me vaiu a pagare. Pensati alla salute. Aviti vistu, ‘u’ fa’ ppe’ mie. Grazie, nepù’. A ‘sse piccolezze nun ce badu, io ce tiegnu all’amicizia. E cumu no: fa’ buonu. E jamuninne, sommà’. (Al pubblico) Cchi sfurtuna oh, propriu io haiu avùtu ‘e ‘ncappare ‘ssu marru perditiempu. Mah, puru ppe’ nun sentere cchiù ‘ssu chiantu ‘e Ventirupulu ve salutu: mi ne vaiu. 363 GIUVANNINA Via, via, ‘n’atra pocu mancu ‘nu dolce ci avìmu offertu allu compari. (Prende il vassoio) Te, piglie. Ventirù’, piglie puru tu, gioia. (Ventirupulu si libera delle borse e si appresta a servirsi) COMPA’ TONINU Chissi l’acciettu raveru. Ventirù’, t’è passata ‘a pressa, no? Ih, figliu’e bona mamma! VENTIRUPULU Sommà’, io me truovu a tuttu: a fatigare e a mangiare. Sbagliu? COMPA’ TONINU Silenzio, scostumatu. Ma riciti ‘na cosa: me sbagliu o c’è aria ‘e festa ‘ntra ‘ssa casa? GIUVANNINA Nun te sbagli propriu: tieni ‘nu granne ‘ntuitu. MICHELE Eh, caru compari; i figli chianu chianu criscianu, se fannu ranni. GIUVANNINA Se mintanu ‘e scille e pue vulanu. (Intanto Santu si è addormentato) COMPA’ TONINU Veramente nun haiu capitu nente. GIUVANNINA Stasira se fa zita Mariuzza mia, compà’ Tonì’, venanu fannu ‘a ‘mmasciata. COMPA’ TONINU Apposta tutti ‘ssi preparativi? MICHELE Compà’, si vo’ restare si’ lu patrune, me fai tantu piacire. GIUVANNINA Raveru, pecchì nun rimani, ne fa’ cumpagnia. COMPA’ TONINU Ppe’ carità, grazie. Chisse su cose troppu intime e pue sono in abiti di lavoro. Comunque ve lassu i migliori aguriji e bona sirata. Ventirù’, jamuninne. VENTIRUPULU Oh, finarmente! (Tenta di prendere altri dolci). COMPA’ TONINU (Strattona Ventirupulu) Esce ‘e lluocu, camine; e cchi cos’è, nun ti n’abbutti cchiù? GIUVANNINA Lassalu jire, compà’: è ‘nu guagliune. COMPA’ TONINU Però viziatu. Zu Sa’, statti buonu. MARAFRANCISCA Nun t’ha ‘ntisu (scuote un po’ Santu). Oji Sa’, ‘u cumpari si ne sta jiennu. SANTU (Frastornato) Cumu, chine sta fujiennu? COMPA’ TONINU Te salutu, zu Sa’, arrivederci a tutti. Però, ‘u cchiù biellu pare zu Santu: guardatilu. 364 SANTU Eh, si sapissi, nepute mie, cchi lutta, quantu n’haiu passatu ppe’ ‘ssu custume! E ogne tantu vieni me trove, ammazzatù’. COMPA’ TONINU E cumu no, appena tiegnu ‘nu pocu ‘e tiempu. VENTIRUPULU (Al pubblico) Se, se, ca pue. COMPA’ TONINU Di nuovu, bona sirata e aguriji. MICHELE Grazie, grazie ‘e tuttu. SANTU Ciao, ciao, nepù’. (Compà’ Toninu e Ventirupulu escono) GIUVANNINA Ccu’ tutt’i ‘ntuoppi, cumu ha volutu Dio, ‘e cose su aggiustate. MARAFRANCISCA Sini, sini, speriamu bene ‘e mo’ avanti. MICHELE Però cchi uomine buonu ch’è ‘ssu cumpari marru, no papà? SANTU Ppe’ la miseria! È ‘nu generosu, ‘nu ‘mbarsamu, ‘n’uomine veru. GIUVANNINA Raveru, avissi de campare sempre ‘ssu gran signure del tubo. SANTU ‘Ntra ‘ssi paisi è necessariu cumu ‘u pane. MARAFRANCISCA Sini, accuntente sempre a tutti. MICHELE Sempre si trove lu tiempu, però. (Entrano Custanza, Cosima e Mariuzza. Hanno in mano delle scatole e dei regali) CUSTANZA COSIMA MICHELE Su, priestu, l’ura è arrivata. Preparamune, ognunu allu postu sue. E cchi cos’è, chianu chianu: parica ne stamu preparannu ppe’ affrontare ‘u nemicu. SANTU Ppe’ lu nemicu ce penso io: Santo il bersagliere. MARAFRANCISCA Se, pue quannu nasci ‘n’atra vota. GIUVANNINA Dunca, cumu facimu quannu arrivanu? MARAFRANCISCA Stabilimu primu chine rapere. COSIMA Io ricissi Mariuzza: mo’ ce vo’, è illa ‘a protagonista! MARIUZZA Noni, zi’, nun mi la sientu, me vriguognu. Macari ce va’ nanna, ch’è la cchiù ranne. CUSTANZA Noni, Mariù’, e cussì parica facimu n’offesa a papai. 365 MARIUZZA CUSTANZA COSIMA MICHELE CUSTANZA Veramente toccava a illu ch’è lu patrune ‘e ra casa. Ma mo’ te, cumu ci lu manni, ccu’ la secia a sdraia? (Riflessiva) E’ daveru ‘nu problema gruossu. ‘Ntantu ‘u protocollu va rispettatu. ‘N’atra pocu ‘mbussanu e ancora nun sapimu chine ha de jire a raperire. Io ricissi de tagliare ‘a testa al toru e ‘ssu compitu ‘u ramu alla cognata Giuvannina. Cchi ne riciti? COSIMA Sini, sini, cchi stupide, nun ci avìamu pensatu ‘e nente. MARAFRANCISCA Certu, illa è la mamma, mo’ ce vo’, le tocche de dirittu. Vo’ dire ca se minte ‘nu bellu maccaturu coloratu allu cuollu e le ba rapere. MICHELE Giuvannì’, ha vistu cumu si’ ‘mportante, tra tanti hannu sceltu a tie, si’ cuntenta? GIUVANNINA E cumu no, ‘u fazzu ccu’ piacire. Ve ringraziu a tutti. MARAFRANCISCA Oji Sa’, parica ‘e chitarre su accordate. SANTU Su’ già arrivate? MARAFRANCISCA Se, se ‘e ricchie su’ ‘nsurdate. MICHELE Chiame i figli Giuvannì’, ‘u’ r’hannu e venire puru illi? GIUVANNINA E allura, parica puru illi fannu parte ‘e ra famiglia (Mentre si appresta a chiamarli) CUSTANZA Giuvannì’, aspette, ca le chiamu io, sinnò, chilli ‘mbussanu e le facimu aspettare fore? COSIMA Custanza è precisa, pense propriu a tuttu. MARIUZZA Grazie zi’: si n’amore. (Custanza esce). MICHELE Speriamu ca Giginiellu ‘u’ r’attaccassi ‘ncuna pippa. ‘ A squatra sua ‘a rominica ha bintu, quindi avissi de resere cuntientu. GIUVANNINA Michè’, nue e avertere l’amu avertutu, pue si la vire sulu. MICHELE Si ne fa scumparire, te giuru ca ‘ssa vota nun lu perdugnu, ci affraccu ‘nu cavuce addietru chi ce lassu ‘mpinta ‘a scarpa. MARAFRANCISCA Vire c’avìssi ‘e fare, cussì pue scumparisci ‘e cchiù. 366 (Entrano Custanza, Santinu e Giginiellu. Quest’ultimo indossa la maglietta della Roma) CUSTANZA Eccu, ‘a famiglia è junta tutta. MARAFRANCISCA Grazie, Segnure: cumu pare bella ‘a famiglia unita SANTINU GIGINIELLU SANTINU GIUVANNINA c’aspette ‘ntra la pace ‘nu ‘mbitu ‘e amure. (Consola il nonno che si è commosso e piange) Su, su, allegria, tu si’ ‘nu surdatu, nannu’ te si’ scordatu? Pecchì chiange, cchi ci avìti fattu allu nonnu? Ci hannu toccatu ‘u core e chiange; tu chiangi senza motivu, cchi ba girannu? Su, pigliati postu, assettative e aspettamu assettati. (Tutti si siedono, mentre Giuvannina aspetta in piedi vicino alla porta) MARIUZZA GIUVANNINA (Dopo una decina di minuti di attesa) Nun ci la fazzu cchiù, me sientu ‘u lettricu ‘ncuollu. Cumporte, figlia, mo’ ‘a cosa è a mumenti. (Si sente bussare e tutti scattano in piedi) CUSTANZA COSIMA GIUVANNINA Su’ arrivati, su’ arrivati. Silenziu. Giginì’, t’arricummannu ‘u chiantu. (Apre) Chi te vonnu fare all’acitu: tuttu tu era! Trase, tra’! FURMICUNE Pecchì, aspettavati ‘a ‘ncun’atru? GIUVANNINA Cchi ba girannu a st’ura, Furmicù’? FURMICUNE (Si guarda stupito intorno) ‘U vi’ cchi bella comitiva! MICHELE Cumu si’ arrivatu allu momentu giustu, Furmicù’! FURMICUNE E’ capitatu, Michè’! Cumu se rice: quannu nun t’aiute la capu t’hannu ‘e aiutare i pieri. Me, c’è ‘ssu telegramma ppe’ tie. Ti l’avìa de portare prima veramente, ma nun me va care mentre rava la posta stamatina? GIUVANNINA Ah si, t’è carutu? SANTU Chine è carutu? MARAFRANCISCA Nente, nente, è carutu ‘u telegramma. 367 FURMICUNE MICHELE FURMICUNE MICHELE FURMICUNE GIUVANNINA FURMICUNE MICHELE CUSTANZA GIUVANNINA MICHELE SANTINU MICHELE SANTINU GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA SANTINU CUSTANZA Stava dicennu ca m’è carutu e, furtunatamente, l’ha trovatu ‘a signora Ciavula, la quale jija alla putiga a fare ‘a spisa. Taglie curtu, Furmicù’, ‘a storia ‘a rici ‘n’atra vota pue. Ho capitu, benerittu Michele, però volìa dire ca la signora Ciavula in questione ha capitu la ‘mportanza della cosa e mi l’ha portatu. Mo’, ve giuru, io nun ho tricato cchiù un secondo, appena mi l’ha datu signu venutu: eccu ‘u telegramma. (Glielo strappa di mano) Damme cca e camine, Furmicù’. Va bene, certu ca mi ne vaiu, ma armenu siti soddisfatti? Sini ca simu cuntienti. Statti buonu, Furmicù’, vate ccu’ Dio. E be raccumannu, nun lu riciti a nullo di chissa cosa, ca si lu sa’ l’amministrazione perdu ‘u postu e lu pane; ciau (Esce) E te frichi e cussì ‘n’atra vota sta cchiù attientu. Cosima, ma vire ‘nu pocu cumu se mintanu tutte di traversu le cose. Me sa ca è sempre chillu risgraziatu ‘e ru jettature. Santì’, te, vire chine ne scrive (consegna il telegramma). (Osserva il telegramma e tutti lo guardano con ansia) E’ za’ Liberata. E cchi ba girannu a stura, cchi manne a dire? Ne fa l’agurìi a tutti. Santì’, ‘nu scrittu luongu? E’ curtu, ma’, ‘na cosa breve. Allura leje. Allura: saputu fidanzamentu nipote Mariuzza con figlio di famiglia Sbrasciune, tutta mia famiglia manda alla vorra un mondo di aguri felici e sinceri perché siamo contenti di questa cosa. Ed io scrivente, zia Liberata Purgatorio, vi posso dire che dall’emozione mentre scrivo piango. ‘U vi’, nun sulu Giginiellu, puru illa chiange. 368 GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA Se vire ca siti ‘na bella razza ‘e chiangitari. Ha finitu, Santì’? Ce su’ li saluti. Regulete, si su’ assai ‘u’ le dire, sinnò facimu tardu. Ma’, veramente su’ parecchi: tanti, tanti e cari puru. E allura lassale jire, figlicì’. Mah, ognunu allu postu sue. (Tutti siedono nuovamente e Giuvannina va vicino alla porta. Dopo dieci secondi di silenzio, si sente di nuovo bussare. Tutti scattano in piedi. Santu, colto di sorpresa, si spaventa) SANTU GIUVANNINA DON PEPPE GIUVANNINA DON PEPPE Ma cchi be male chiavatu oje ccu’ ‘ssa ginnastica? Silenziu, ce simu; ‘ssa vota su’ illi. (Apre la porta e appaiono Don Peppe, la moglie e il figlio. Appena li vedono tutti fanno le corna e, delusi, si rimettono seduti). Bonasera e scusati. (Con indifferenza) Bonasira puru a bue e ‘ssa visita a st’ura? Veramente simu venuti ppe’ l’anello. (Tutti impietriscono) GIUVANNINA MARIUZZA Cumu, cumu, famme sentere: quale aniellu? (Scoppia a piangere e viene consolata dalle zie) Ma cchi bonnu chissi, chine l’ha chiamati? MICHELE (Deciso ed adirato) Sentiti ‘‘nu pocu: vue me voliti guastare ‘a festa? Cchir’è ‘ssa storia ‘e ‘ss’aniellu? DON PEPPE Nun ve ‘ncazzate, calmo, buonu. Mia moglie volìa cunchiurere. MARAFRANCISCA Cchiri, torna ‘ssu capu? GIUVANNINA (Nervosissima) Ma siti esciuti pazzi? Cchir’è ‘ssu cunchiurere: viriti si vi n’avìti ‘e jire ‘e lluocu, prima ca va a finire male. Jativinne, ca nue aspettamu ‘a r’atri ppe’ cunchiurere. CUSTANZA Dio mio, cchi ‘mbrogliatina! COSIMA (Con lo sguardo al cielo) Aiutane tu, Gesù mio! 369 DON PEPPE Carmative, me sa ca c’è ‘‘nu quivoco. Mia moglie cca presente ve stava dicenno ca quannu ‘ venuta a se misurare ‘a camicetta dalle signorine sarte ha perso l’anello del dito, che è un ricordo del fidanzamento. E mo’ simu venuti ‘a virere si l’avìti trovatu. GIUVANNINA E propriu mo’ avìati ‘e fricare a benire, ‘u’ n’avìati cchiù jurni? (Tutti sono agitati). DON PEPPE Pecchì ni ne simu addonati jieri. MICHELE Sentiti ‘nu pocu, ‘u voliti ‘nu bellu consigliu? Jativinne ca cca ‘u’ r’amu trovatu propriu nente. (Si rivolge ai familiari) Vue avìti trovatu ‘ncuna cosa? (Tutti rispondono di no) Avìti sentutu? E allura sbrignati ‘e lluocu. DONNA LENA Comunque signu sicura ca m’è carutu cca; puro mio figlio Gregoriu lu conferma: riciaccellu. GREGORIU (Mentre guarda Mariuzza) Si, è davero comu ha ditto mamma. GIUVANNINA Ma quale veru, ‘ssu ‘ncantu! ‘u’ lu vi’ ca rorme all’allierta. GREGORIU Però signu sicuro: tanno mamma lu tenia al dito. GIUVANNINA Signò’, sa’ cchi be ricu: chiamatillo ‘e jativinne, ca nue aspettamu atre visite assai, assai ‘mportanti. DON PEPPE Va bene, ni ne jamu, però l’aniello è carutu cca. MARAFRANCISCA (Molto adirata) Cca simu gente oneste: esciti ‘e ra casa mia, ‘ssi tricatizzi, muorti ‘e fame. ‘U sa’ cchi c’è carutu cca? ‘U picciu chi ci ha jettatu tu, bruttu jettature. DON PEPPE Badi cumu parri, nun offenditi. MARAFRANCISCA Parru cumu sacciu parrare ‘mbece; ca ‘e quannu si’ trasutu ‘ntra ‘ssa casa nun ne stamu viriennu cchiù bene. E r’ha fattu carire ‘u quatru, ha fattu fare ‘u terrimutu, e su’ due; è paralizzatu marituma, e su’ tri; Giginiellu s’ha ruttu ‘u vrazzu, e su’ quattru; è rrutta ‘a funtana, e su’ cinque; e cchi cos’è, nun ti n’abbutii cchiù! DON PEPPE Allura pensati chissu? Ah si; allura ni ne jamu subitu. GIUVANNINA Sini, ‘u pensamu e ‘na cosa ‘e cchiù. 370 MICHELE DON PEPPE GIUVANNINA DON PEPPE GIUVANNINA MICHELE SANTINU GIUVANNINA SANTINU GIUVANNINA MARIUZZA GIUVANNINA ‘A contabilità parre chiaru: cinque risgrazie in pochi jurni, ha battutu tutti i record. ‘E resere potente ccu’ li cazzi. Lena, Gregorio, jamuninne, ca a quantu pare nun simu grariti. Mo’ ti ne si’ addonato? Ancora siti cca: jativinne! Quanno nun se po’ragionare (esce con la moglie e il figlio che, mentre esce, saluta con la mano). Ancora ‘u galla salute E cchi cos’è, è possibile ca capitanu unu appriessu a l’atru ‘ssi guai? Me sa ca amu ‘e chiamare ‘u prievite ppe’ ne fare benerire ‘a casa. Oji ma’, mi la rici ‘na cosa: ‘ssi signori chine sunnu? Sunnu i rumpiscatule ‘e ru paise: ‘u patre è jettature, ‘a mugliere è faluotica e lu figliu è galla ‘e nascita. Però haiu vistu ca è ‘‘nu terzettu propriu affiatatu. E cumu no, operanu in equippe cumu i chirurghi. (Si sente di nuovo bussare e tutti scattano in piedi) E cchi bon’ura, chissa è la terza ‘mbussata, avissinu ‘e resere illi, cchi cos’è! Cchi be rice lu core a bue, ca su’ illi? (Fremente) Sini ma’, fa’ priestu, va’ rapere ca ‘ssa vota su’ veramente illi. (Apre la porta) Finarmente! Bonuvenuti, bonuvenuti alla casa mia, avanti, trasiti. (Entrano Pasquale, Crimentina, Robertu, Riamunnu e Dora. Hanno in mano dei regali. Segue uno scambio di saluti e di abbracci) CRIMENTINA PASQUALE MICHELE SANTU RIAMUNNU MICHELE DORA Bon trovati. Bonasira e salute a tutti. Bonuvenuti, trasiti, veniti avanti. Eviva, eviva: su’ illi. Salutiamu a tutti. Carissimi, cumu vi la passati? E me a Riamunnu: cchi bella sorpresa! Cumu stati, vi la passati bona? ‘U vi’ cumu ci avìti conzatu biellu. (Mariuzza e Robertu, uno accanto all’altra, seguono con imbarazzo la cerimonia) 371 MARAFRANCISCA Bonuvenuti a tutti alla casa mia. CUSTANZA SANTU COSIMA CRIMENTINA GIUVANNINA CRIMENTINA MARIUZZA GIUVANNINA ROBERTU CRIMENTINA MARAFRANCISCA RIAMUNNU DORA RIAMUNNU MARAFRANCISCA DORA MARAFRANCISCA DORA RIAMUNNU MARAFRANCISCA SANTU RIAMUNNU SANTU MARAFRANCISCA RIAMUNNU DORA MARAFRANCISCA GIUVANNINA Quantu onure stasira! Accomberative. E bravi, e bravi. V’amu aspettatu ccu’ tanta ansia. Grazie, grazie. Finarmente, cunchiurimu ‘ssa bella cosa. Mariù’, ma tu triemi tutta. Sacciu cumu me sientu, nun lu sacciu spegare. Crimentì’, me Robertu puru cumu treme. Eppuru pensava ‘e resere cchiù forte, comunque l’emozione c’è e cumu. Su’ cose normale chisse, ca tu ‘u’ lu sai? Senza complimenti, alla libera: faciti cumu si fuossiti alla casa vorra. Tenchiù, tenchiù: siti troppu buona e gentile Raveru Ramù’: cchi famiglia bona, accogliente. Cchi t’avìa dittu io. Oji Doricè’, ‘e quannu ‘n’amu ‘e virere, gioia: cumu stai? Staiu bona, cummari Marafrancì’, e tuni, cumu ti la passi? E cchi bolissi: ce su’ l’anni, figlicè’, anni e malanni. Duve va’ pensannu: me, cumu pari bella. Salutu a zu’ Santu ‘nu pocu. Ramù’, l’ha vistu a zu’ Santu? E me chillu zu’ Santu! L’ha canusciutu armenu? ‘Mprima, Marafrancì’, a Riamunnu chine ‘u’ lu canusce? Eh, chilla vita tua, nepù’! Zu’ Sa’, cumu t’a passi? Assettatu, nepù’, ‚u vi’, simu fricati. Ha avutu ‚a mala furtuna, povariellu. Me rispiace tantu. Però è lucidu. Sciur, è propriu vispu: n’ha canusciutu subitu. Za Marafrancì’, ‘u vi’, mo’ fa zita ‘ssa bella nepute: si’ cuntenta? Puru si signu cuntenta ‘u’ r’haiu crisu l’ura, Doricè’. Michè’, cumpà’ Pasquà’, e abbicinative ca virimu c’amu ‘e fare: puru ppe’ ‘nu cunsigliu. 372 PASQUALE MICHELE PASQUALE RIAMUNNU GIUVANNINA DORA CUSTANZA GIUVANNINA CRIMENTINA GIUVANNINA Nue supra ‘ssu campu simu ‘ncompetenti, viriti vue. Io fazzu a delega a mia moglie. Nue uomini cumu se svolgianu ‘sse cose nun ne capiscimu nente, ‘u’ r’è beru, Pasquà’? E’ propriu e cussì, chisse su’ cose ‘e fimmine. Bravu, ille su’ cchiù brave, tenanu cchiù esperienza. Sini, sini, grazie ‘e ri complimenti; nun v’affrigiti ca nue ‘sse cose ‘e facimu ccu’ piacire. E cumu no, cummari Giuvannì’; chisse su’ cose belle chi nun stancanu: ne ‘ncarricamu ‘e l’uomini. Brava a Dora, ca illi cchi se criranu? Allura io ricissi ‘na cosa: cummari Crimentì’, vire si te quatrizze e te va bona. Fa’ tu e fa’ tuttu, ca certamente fa’ buonu. Dunca, pigliati tutti postu, naturalmente Robertu e Mariuzza vicini, e cussì ‘nzignamu ‘a cerimonia ‘e l’oru e pue facimu tutte l’atre cose. Cchi diciti, va bona ‘e cussì? (Tutti rispondono in coro di si) RIAMUNNU DORA CRIMENTINA MARIUZZA Ah, cchi bella cosa, ‘na meraviglia, Giuvannì’. Sini, propriu all’usu anticu. S’è de cussì allura tocche a mie ppe’ prima. Mariù’, azete gioia. (Tutti sono interessati e guardano Crimentina che, con garbo, lega al collo di Mariuzza una catenina e le lega al polso un bracciale) Ti le gorissi ccu’ bona furtuna ppe’ cent’anni, gioia. Grazie, grazie assai. (Segue un forte battimani) CRIMENTINA ROBERTU MARIUZZA DORA MARIUZZA Robè’, mo’ tocche a tie e a Mariuzza. Si lu rici tu, ma’, io signu prontu: eccomi cca. Allura nun ne reste ca ‘nzignare (segue lo scambio degli anelli e dei doni). E parte mia e de Riamunnu chissu è ‘nu ricordu, gioia, sulu ‘nu signu ‘e affettu (consegna un pacchettino). L’accettamu ccu’ piacire: grazie. 373 RIAMUNNU Speriamu ca ve piace: è ‘na cosa mericana, l’amu accattata là. ROBERTU Ne piace de sicuru, zu Riamù’: l’avìti sceltu tu e zia Dora! DORA Certu ca siti ‘na bella coppia: bielli e bravi tutt’i ruvi. GIUVANNINA Chissu raveru, Do’. Cumu se rice: poveri ma belli. CRIMENTINA Ma si, cchi ne fa’ ‘sse ricchizze, ‘a cosa cchiù ‘mportante è la salute. GIUVANNINA Mo’ ce vonnu ‘e cose ruce. Dai Custà’, rative ‘e fare ca v’aiute puru Santinu e Giginiellu. CUSTANZA Su Cosima, ramune da fare. COSIMA Si Custanza, signu pronta. Santì’, tu passe i liquori e Giginiellu i cunfietti; io e Custanza ‘e pastette (offrono a tutti i liquori e i dolci). CUSTANZA Dai, su, pigliati, chisse su’ fatte alla casa. DORA Se vire, se vire: su’ belle profumate e frische. COSIMA Su’ all’antica, Do’, senza tutte ‘sse misture ‘e moni. DORA Sciur, tenanu ‘nu bellu sapure, ha vistu Ramù’? RIAMUNNU Su’ ‘nu ‘mbarsamu, ‘na cosa fina, Doricè’; chissi stasira ne fannu ‘ngrassare. SANTINU Pigliative puru ‘nu liquorinu, ca spinge le pastette. RIAMUNNU Chianu, chianu, Santinì’, ca ‘a sirata è longa, gioia. MICHELE Stasira però ‘n’eccezione se po’ fare, ‘u’ r’è veru, Pasquà’? PASQUALE Certu, ppe’ bon’aguriu ‘nu pocu n’amu ‘e sforzare tutti a bere. CRIMENTINA (Richiama il marito) Sempre ccu’ moderazione però. CUSTANZA Papà, tè, pigliete ‘nu pocu ‘e arangiata tuni. SANTU Ma tu si’ pazza? Me vo’ ‘mbalenare? Io vuogliu ‘u vinu. COSIMA Te fa male, papà, te si scordatu? MARAFRANCISCA Te raccumannu, nun cuminciare a fare a l’usu tue. SANTINU Nun abusare, nannù’: ti lu ricu io. SANTU Ma jativinne, arrassative ‘e lluocu ca si sientu a buve me faciti morire. Quannu e mai ‘u vinu ha fattu male? MARAFRANCISCA Tu tieni ‘a capu tosta? Ti la viri sulu roppu. SANTU Quannu me capite cchiù ‘n’occasione ppe’ ‘ntruzzare ccu’ lu nepute mie Riamunnu, quannu muoru? Abbicinative, gioia. 374 RIAMUNNU (Si avvicina insieme a Dora) Ccu’ piacire, zu’ Sa’. Alla salute ‘e tutti quanti nue ppe’ cento anni. SANTU (Mentre beve la sua mano trema in maniera evidente) Ah, cchi sapure, cchi soddisfazione, signu cuntientu. RIAMUNNU Zu’ Sa’, chissu è ‘nu ricordu chi mi lu puortu sempre ccu’ mie. DORA Zu’ Santu è ‘n’uomine veru, ne passe a tutti ancora. MARAFRANCISCA Però s’ha de guardare, ca è conzatu a pinnuli e ‘gnezione: ‘n’attaccarizzu prima e dopo i pasti. DORA Povariellu, me rispiace. MICHELE Pruovu a fare ‘nu brindisi, attenzione: ‘ssa sirata chjna ‘ amure è tantu bella e spanne ‘ntuornu l’allegrìa, bonuvenuti a bue signori alla casa mia. (Tutti battono le mani) CRIMENTINA PASQUALE COSIMA RIAMUNNU Grazie, grazie assai. Io ‘a volissi dire puru ‘ncuna cosa, ma ‘e parole se fermanu alla gola e nun escianu. Riamù’, pensece tu ppe’ mie. Silenziu, silenziu ca parre Riamunnu. Cchi bellizza, quantu armonia ‘ntuornu a ‘ssi giuvini chi se purmintanu amure,’ na cosa bella chi ni l’arricordamu ppe’ tutt’a vita, fazzu l’aguri ‘e core allu zitu e alla zita. (Nuovo battito di mani) SANTU GIGINIELLU SANTU RIAMUNNU GIGINIELLU RIAMUNNU ‘Mparate Giginì’. Ma chissu è ‘nu poeta ‘mericanu, nannù’ E’ Riamunnu, neputì’: ‘nu figliu ‘e ‘ssa terra peracise. Bravu a Giginiellu, ha fattu ‘na domanda propriu difficile. È propriu ‘e cussì, gioia: all’Italia me chiamanu ‘u mericanu e all’America ‘u ‘talianu; va’ speghe ‘ssa cosa! E pecchì? Pecchì quannu ti ne vai e ra terra tua ppe’ tantu tiempu pierdi tante cose belle ppe’ la via, ‘ntra re tie se scave ‘nu vuotu, ‘na mancanza chi ti la puorti 375 appriessu ppe’ tutt’a vita. Chissu ‘u po’ capire sulu chine ‘u prove. SANTU Te capisciu, gioia, e cumu te capisciu. MICHELE Riamù’, papà, e lassatice jire ccu’ ‘ssu ragionamentu seriu. PASQUALE Stasira nun c’è tiempu ppe’ ‘sse cose, n’amu sulu ‘e divertere. ROBERTU Zu Riamù’, allura pensece tuni a r’animare a cosa. MARIUZZA Raveru, tu si’ lu cchiù indicatu, ca tieni fantasia. RIAMUNNU Va bene. Allura ce vo’ la musica, ca è ‘na mericina potente. GIUVANNINA Bravu a Riamunnu: mo’ ce vo’ lu ballu. CRIMENTINA ‘Na bella sonata appassionata e si’ ca te sienti ricriare. DORA Zu Sa’, attientu, ca mo’ se aperanu ‘e danze. SANTU Cchi se aperanu? DORA Se balle, tu nun lu fa’ puru ‘nu giru? SANTU E cumu no; me, ccu’ mia moglie. No, Marafrancì’? MARAFRANCISCA Se, ccu’ le stampelle. Va esce ‘e lluocu, va’. SANTU Riamù’, chissa nun piglie mai ‘u scherzu: è ‘na donna all’antica e puru nervosa. GIUVANNINA Santì’, minte ‘nu bellu discu: ‘nu tangu ca i ziti aperanu ‘e danze. SANTINU Quale tangu, ma’: quello del mare o delle capinere? GIUVANNINA Quello dell’amore, ch’è lu cchiù biellu e vince sempre, pecchì tene ‘nu rittaggiu: l’amure nun s’accatte. RIAMUNNU Allura aspettati, ca lu canusciu io ‘ssu motivu e vi lu fazzu sentere (esce tra la sorpresa di tutti). GIUVANNINA Do’, ma duve è jutu? CRIMENTINA Sicuru ne fa ‘ncuna sorpresa Riamunnu. DORA Chissu cchiù ca rici: si ne ‘nvente una ‘u momentu. RIAMUNNU (Rientra insieme ai musicanti) E mo’ sì ca potimu ballare ppe’ daveru. (A Mariuzza e Robertu) A bue l’onore ‘e cuminciare ‘u ballu, ca siti i festeggiati ‘ntra ‘ssa sirata ‘e sapure anticu, chi inchje lu core ‘e tantu amure. GIUVANNINA Grazie, Riamù’, ppe’ ‘ssu toccu ‘e fantasia chi fa’ cchiù bella ‘a festa ‘e Robertu e de Mariuzza mia. 376 RIAMUNNU E allura musica ‘fina a domani. (I musicanti intonano la cumparsita e Mariuzza con Robertu aprono le danze e, dopo un po’, ballano anche gli altri. Alla fine del ballo c’è un intenso battimano e tutti i personaggi, infine, si prendono per mano, schierandosi sul palcoscenico a formare un semicerchio. Cala il sipario). FINE 377 ‘U POSTU E GIACOMINU ATTO UNICO 378 PERSONAGGI GIACOMINU LINUZZA FURTUNATU SARINA GUSTINO GASPARUZZU PASQUALINU GRABIELE La scena si svolge in una stanza soggiorno, arredata con mobili di stile moderno. Una porta comunica con l’esterno e un’altra è l’ingresso della cucina. 379 GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU (Si aggira per la stanza manifestando nervosismo ed euforia). E' fatta, ne signu sicuru cum'a morte. Si sarvatu Giacomì’, chilla c'arrive mo’ è chilla bona, a littera cchiù ‘mportante ‘e r'a vita tua, chilla chi te conze ‘mparu ppe’ sempre. Mi la sientu propriu. (Guarda l'orologio). E' quasi ura, mo’ avissi de passare a posta. Maronna mia, cumu me vatte lu core, parica parre, cumu me volissi dire ‘na cosa. (Si mette la mano al cuore) Gioia mia, cumporte puru tuni n'atra pocu, ca pue zumpamu, griramu ‘e r’a gioia. (Va verso la porta e origlia) Parica avìa ‘ntisu sagliere. Maniete Grabie’, fa priestu, porteme ‘ssu ‘nguientu chi me sane. Tuppitù. Chin'è? Signu Grabiele ‘u postinu. Vaiu raperu e mi lu truovu ravanti Te Giacomì’, c'è ‘ssa raccomandata ppe’ tie. L'abbrazzu forte forte e lu ringraziu, pue pigliu ‘a littera, ‘a raperu delicatamente, sgangheru l'uocchi e la lieju: Giacominu Speranza, finalmente il tuo caso è quagliato, presentati domani alle ottu precise, alla sede centrale della Cassa di Risparmio di Cosenza, per prendere servizio. Ti auguro una splendida carriera, firmatu ppe’ r'estesu, onorevole Mivasi. (Intanto sente bussare alla porta. Salta di gioia, portando una mano al petto). E' arrivatu, Maronna mia, è arrivatu! Grabiè’, ca viegnu. (Va ad aprire e si trova davanti la fidanzata. Rimane visibilmente deluso). Cumu, ‘un si Grabiele? Quale Grabiele, sta sbariannu? Scusame Linù’, aspettava la posta! Me bire, me bire cchi smerullatu! E r'è cchiù ‘mportante ‘e mie ‘ssa posta chi stava aspettannu? Tutt'e ruve, siti ‘mportanti tutt'e ruve Bravu a ttie, si ‘na bella rropa, ‘mbece ‘e zumpare ‘e r’a gioia quannu m'ha vistu, si rimastu cumu nu trunzu carrinu. Bellu amure è llu tue, propriu ‘e chilli vruscenti. ‘U postu Linù’, Grabiele m'avìa de portare ‘u postu, e lu stava aspettannu. Quale postu, ti l'ha sonnatu stanotte? (Visibilmente scosso) Noni, Linù’, senza sonnare, mi c'è jutu a ‘na vota ‘u pensieru. Appena signu azatu ‘e r’u 380 LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA liettu stamatina, m'haiu ‘ntisu ‘na cosa ‘ntr'a vita... cumu ‘na vuce chi me ricìa: Giacomì’, è arrivata l'ura, preparete alla ranne notizia E tu fissa fissa si preparatu, no? E c’avia de fare allura, me jia curcava torna? Miegliu avia fattu, ‘u’ lu vì cchi biellu risurtatu chi n'è jesciutu! Bi, mo’ carmete ‘nu pitazzu, cchir’é ‘ssu tremulizzu chi t'è chiavatu? E' ‘na parola, cumu fazzu a stare carmu; ce piensi ‘na pocu cchi chjna ranne ‘u postu, Linù’, ‘a secia ‘mpara, eramu sarvati tutt’i ruvi, finalmente ne potiamu spusare! Si, ccu’ la fantasia! Io signu diventata scridebbole Giacomì ‘un criju cchiù a nente, si ‘un tuoccu ccu’ le manu. Statti tranquilla, priestu te fazzu toccare. Ci haiu piersu ‘e speranze, ca tu ‘u’ l'ha vistu ‘nfin’a mo’ quantu littere te su arrivate, sempre vacante: prumise e mai fatti….”Mi sto interessando, non avere fretta, ci vuole pazienza”…, ti l'ha scordatu? E chissa c’arrive mo’ sarà la stessa, una ‘e r’e solite, chjna ‘e fumu e senza arrustu. Noni Linù’, te sbagli; criremme, ‘ssa vota ‘a littera c'arrive è chjna. Chjna ‘e aria fritta! Ma, va biellu, cerche ‘e atterrare, nun fare volare ‘ssu ciarviellu ‘e l’ariu ariu. Tu rici ‘e cussì? Pue mi lu sai a dire quannu te fazzu virere i fatti; cumu cangi parrata pue. Cange capu ‘mbece ch’è miegliu, sente a mie. Ma pue, si ne sini propriu convintu, ca te sienti ‘ssa cosa ‘ntr’a capu chi te parre... Sini Linù’, ‘na vuce. E allora, avissi de mancare ppe’ mie, si tu sienti ‘ssa vuce io ‘un te guasto u’ programma. E mo’ si c'ha parratu cunchiusa! Ohi Linù’, ti l’ammagini quantu ‘mbiria, cumu restanu ccu’ ‘nu parmu ‘e nasu tutti l'amici e li parienti quannu ‘u sannu? Sa cchi race chi le vene. Tutt’u paise se ‘mbervere, ‘na parrasia guala: Giacominu ha pigliatu u’ postu. Si è ppe’ chissu ‘un ce pensare, ca mi la viju io: t'accattu 381 GIACOMINU LINUZZA GIA COMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA ‘nu paru ‘e corna e ‘nu fierru ‘e cavallu e ti le lighi alla currìa, e pue si ca po’ stare tranquillo ‘e affascinu e de ‘mbiria! Brava a Linuzza, ha trovatu subitu u’ rimediu, si propriu ‘nu tisoru, ‘na fimmina cunchiusa! E ppe’ ‘sse cose lasse fare a mie, ca mamma mi l'ha ‘mparati tutti ‘ssi rimedi. E si, chissi fannu parte puru ‘e r’a rota. ‘Sse cose su' de cchiù, a rota è a parte. Simu ‘ntra ‘na vutta ‘e fierru, senza periculi. E ca tu a gente è maligna, ‘mbiriusa, specialmente l'amici, i vicini e casa e li parienti; chissi pue nun te ricu, crepanu tutti ‘e r’a ‘mbiria. Ma a mie cchi m'hannu ‘e fare: tantu tiegnu i corna! E lu fierru ‘e cavallu puru. Cchi dici, ‘un fuossi puru buonu ‘nu ciceru ‘e sale? Sai com’è, cchi ce perdimu, stamu cchiù sicuri. E cumu no, è sempre miegliu a r'abbondare. Ti lu cusu ‘ntra ‘nu sacchettiellu e ti l'attaccu alla maglia ‘e intra. Chissu ppe’ avere a massima sicurezza, si no vastavanu sulu i corna. E già, i corna su’ sempre i miegli, tenanu cchiù potenza, su’ cchiù canusciuti, appartenanu alla tradizione. Certu, chine ‘u’ le tene allu munnu ‘e oje ‘nu paru ‘e corna, vannu tantu e moda! (Si avvicina alla porta della cucina e origlia) Parica ‘un sientu a nullu intra, si sulu? E ‘un ti n'era addunata! Mamma e papai su juti a fare l'uogliu allu trappitu e piensu ca ce vo’ stasira ppe’ se ricogliere. E chilla ‘nzilletta ‘e suortata a duv'è juta? E chilla cumu ci appunte ‘ntr’a casa; appena se aze la matina se trove la sbiata, pruverie de ‘sse vie vie E' moderna, le piace la libertà. Tu rici ca è ppe’ la libertà o tene lu core ‘nfiammatu? Macari, ‘e cussì mi la cacciassi de ‘ncuollu ‘ssa pesta. Allura simu suli? (Con imbarazzo). Certu ca simu suli, ‘u’ lu viri! Ma tu cchi paura tieni? No, propriu, ‘a gente, ‘u’ lu sai cum'è, si ce minte a birere a certe cose e nun sta queta. 382 GIACOMINU LINUZZA A tie cchi ti nne ‘ncarriche, abbastica stamu quieti nue. Ah, chissu sini! Ricica me puozzu lamentare ‘e tie; sempre a postu ‘e tutt’e manere. GIACOMINU Io signu onestu, Linù’, osservu l'usu anticu. LINUZZ Chissu l'avia già capito, ca era ‘nu ranne osservatore! GIACOMINU Forse tiegnu tuortu? LINUZZA (Con enfasi) Mah, io ‘u’ lu sacciu! GIACOMINU (Va ad origliare alla porta) Me fannu ‘e ricchie o c'è ‘ncunu? LINUZZA Duve va? Torna ‘u ronziu t’è benutu? GIACOMINU Parica avìa ‘ntisu caminare. LINUZZA E bia, ca te fannu ‘e ricchie. GIACOMINU I passi s'abbicinanu, Linù’; (gioiendo) è Grabiele! Sta arrivannu ‘u postu! Vieni sente. LINUZZA (Si avvicina alla porta) E chissi su ‘na murrata ‘e gienti, sente quantu passi! ‘U’ r'avissinu mannatu tutt'u personale ‘e l'ufficiu postale a te portare ‘a littera raccomandata? GIACOMINU Nun lu sacciu, ma chissa è l'ura chi passe Grabiele. (Porta la mano al cuore) Maronna mia, cumu zumpe forte u’ core. LINUZZA Carmete, carmete, preparete a tuttu. (Si sente bussare con insistenza alla porta). GIACOMINU (Con affanno) E' arrivatu. (Gridando) Grabiè’, gioia mia, ca te raperu. (Apre la porta e si trova di fronte gli amici che, con la scusa di giocare a carte, si vogliono gustare fino in fondo lo scherzo preparato da loro a spese di Giacomino. Vedendo gli amici, Giacomino rimane di gelo. Linuzza scuote il capo, manifestando la sua delusione). FURTUNATU Chi cos'è, chir’è ‘ssu funerale; ‘e cussì accuogli l'amici, pari ‘a Maronna ‘e r’u juovi santu! PASQUALINU T'è successa ‘ncuna cosa? GIACOMINU Tutti vue erati? Eh mannaia la furtuna! Trasiti erv’e rò’ GUSTINU E chine pensava ca eranu, allura aspettavi a ‘ncun’atru? GIACOMINU (Deluso). Ma cchi ne sacciu! GUSTINU Bravi a illi; ‘u vi’ cumu si la spassanu suli suli i ziti frischi. GASPARUZZU Chissi ‘a sannu longa! 383 LINUZZA PASQUALINU LINUZZA SARINA E bue rumpiti l'ova sempre allu mumentu giustu. Se vire ca ne piace la frittata Linù’. Cchi r’è chi ‘un ve piace a vue: siti belli marchiari! M’e scusare Linù’, io nun volìa venire, ma ‘ssi riavuli mi ci hannu portatu ‘e ‘nforza. LINUZZA Nun te rare pensieru, Sarì’, anzi m'ha fattu piacire ca si’ benuta ‘e cussì ne facimu ‘na chiacchiarata. FURTUNATU Giacomì’, te viju fattu giallu, forse ‘un sta’ buonu? GIACOMINU (Con enfasi) Tiegnu ‘a freve gialla! E chine ti ce fa stare buonu, c’è sempre ‘ncunu ronziu ‘ntra la capu. FURTUNATU E ‘ssi tiempi speciarmente! Te capisciu, te capisciu. SARINA Linù’, ma vue siti raveru suli? LINUZZA E ‘u’ lu viri. Però stavamu sulu parrannu. GUSTINU Sapimu? GASPARUZZU Subitu ‘a mala lingua jette botte. E pue, ammissu ca fuossi chillu ca piensi tuni, cchi c’è de male? Forse ‘un tenanu ‘e carte in regula? LINUZZA Cumu siti simpatici tutti ruvi, ricica aviti atru a cchi pensare. Assettative si v’aviti ‘e assettare, ca me pariti canniele. (Linuzza fa gli onori di casa. Tutti gli altri si mettono a sedere, mentre Giacomino rimane in piedi vicino la porta d'ingresso origliando). SARINA Allura Linù’, cchi me rici ‘e belllu, n’amu ‘e virere ‘e tantu tiempu. LINUZZA (Si va a sedere vicina a Sarina) E cchi te ricu, se cumbatte Sarì’, ne difendimu. PASQUALINU Ah! Ma cumu su comode ‘sse sece, se sta propriu ‘e patreternu, su propriu riposanti. GUSTINU E ca parica a tie t’ha stancatu ‘a fatiga? Benerica sta lindruniannu ‘e quannu si natu! PASQUALINU Ca tuni si’ scoscinatu, povariellu! ‘U’ lu vi’ cumu si’ ‘nchiattatu. GASPARUZZU A dire ‘a verità, simu stancati tutti, ‘ssu governu ne vo’ bene, ne fa riposare! FURTUNATU E aspettamu a chine ‘u’ ‘mbene mai. SARINA E chin’è c’avissi de venire? FURTUNATU A manna ‘e r’u cielu! Mo’ fa puru ‘a stonata. ‘U’ lu sai chine ha de venire? SARINA Già, m’era scordata: Baffone! 384 GUSTINU Ma quale Baffone, ‘u postu Sarì’; si no quannu ve spusati, ‘u mise ‘e maiu? (Giacominu, sentendo nominare “u’ postu” ed ha un sussulto). GASPARUZZU Giacomì’, cchi t'è chiavatu, ha pigliatu ‘a corrente? GIACOMINU Nente, nente, signu sgrizzatu ‘e r’u friddu. GASPARUZZU E mintete ‘n’atra maglia, cchi aspietti. GUSTINU Macari puru i mutandoni ‘e lana. LINUZZA (Accortasi dell'imbarazzo del fidanzato, cerca di giustificarlo) Ma quale maglia, è de stanotte chi tene ‘nu pocu ‘e freve e le fa’ a sgrizzuni? Giacomì’, e pigliatillu ‘n’atru pinnulu. GIACOMINU (Giacominu non capisce l'antifona) Tu sbarìi, ca quale pinnulu m'haiu pigliatu cchiù? LINUZZA (Gli fa cenno di acconsentire) Fa’ puru ‘u scordatu mo’? Chilli ppe’ la ‘nfruenza, quali? GIACOMINU (Finalmente capisce) E su’ male finiti chilli. FURTUNATU S’è ppe’ chissu, nun te preoccupare, Giacomì’, ne tiegnu unu io a portate ‘e manu: risurtatu garantitu. SARINA Ha parratu ‘u farmacista "salute"! Te paria; buttiglielle e scatulicchie sempre appriessu. GUSTINU A ‘ssu priezzu, parica ci ha suratu? FURTUNATU Citu tuni, malannà’. (Prende dal taschino una scatolina) Eccu servitu il nostro Giacomino! GIACOMINU (Prende la scatola) Allura tu rici ca m’aggiove? LINUZZA (Famme virere ‘na picca a mie, ‘u’ l'avissi ‘e mannare all’atru munnu. (Prende la scatola e legge) Po...Posto...sicur. FURTUNATU Postosicur, Linù’, statti tranquilla. LINUZZA E ca tu ti n’e ‘ncarricare! La ‘mbentata tu ‘ssa mericina? FURTUNATU E’ nova, vene d’a Sguizzera: lla su precisi! Va bene cuntra tutti i ruluri, ‘e capu, ‘e trippa; pue ppe’ lu nervusu su’ ‘na cosa santa. LINUZZA (Dubbiosa) Te, tenatilli gioia, curaticce ‘e cose tue, ‘un m’avissi ‘e cumbenare ‘ncunu guai! FURTUNATU Giacomì’, tenete a freve! Io te volìa sanare. Pigliatilla ccu’ la cara fidanzata scantitusa: illa nun vo’, cchi ce puozzu fare io? GIACOMINU Grazie, ‘un fa nente; mo’ parica me sientu miegliu. 385 LINUZZA Sarì’, ha trovatu ‘ssu miericu ppe’ zitu, la salute ti la cure bona! SARINA Si, puozzu rormere a sette cuscini! Speriamu però ca ‘un carissi malata, ca sinnò... GUSTINU Beh, giuvinò’, simu venuti cca ppe’ fissiare? Ni l’amu ‘e fare ‘ssa partita o ni ne jamu? Gasparù’, ‘e carte duve su’? GASPARUZZU Eccole cca, nove ‘e zecca. PASQUALINU Allura cumu facimu, jocamu ‘ncinque no? GASPARUZZU Certu, cumu sempre. Giacomì’, tu si’ prontu? GIACOMINU Nun mi la sientu Ga’, nun signu ‘nforma; jocati vue ppe’ oje. GUSTINU E no Giacomì’, ‘u’ nill’e fare ‘sse cose: prima ne ‘mbiti e pue ‘un bo’ jocare? GIACOMINU E r’è curpa ‘e r’a mia forse? ‘A freve neca t’u manne a dire quannu te vene. PASQUALINU Ma guarde ‘nu pocu cchi scarogna, nè prima nè pue l'è pigliata propriu oje! LINUZZA Vue n’avìti gulia ‘e jocare? E jocati: ce siti quattru e chi jati girannu? FURTUNATU E sini va’, sai cum’è, ‘e carte portanu sempre agitazione e allu statu ch'è Giacominu po’ esere periculusu. ‘Nzignamu nue, pue si cchiù tardu se sente miegliu ‘u facimu trasere. Sarì’, ppe’ piacire, ‘un stare arrieti ‘e mie ca si’ gia sperimentata, me fa’ perdere sicuru. ‘A batosta un po’ mancare. SARINA Ih, cumu ‘a fa’ longa, mi ne vaju si, statti squitatu, ‘ssu superstiziusu! LINUZZA Sarì’, lassali perdere, vieni ca parramu ‘e r’e cose norre. SARINAì (Andandosene) Ricriete, jochete i jurni! FURTUNATU Ah, cchi pace ... (Sarina lo guarda di traverso). GUSTINU Giacomì’, armenu vieni guarde, cchi fai vicinu a ‘ssa porta ‘mpalatu? GIACOMINU Nente, aspiettu. GUSTINU A cchine aspietti? GIACOMINU A nullu, propriu a nullu, pensati a jocare e ‘un vi ne ‘ncarricati. (Fra di se) ‘U sacciu io cchi tiegnu ‘ncuollu! GUSTINU (Che ha sentito la frase di Giacomino) Riciannillu ca virimu si te potimu aiutare a te scarricare su collatu. Vue cchi ne riciti? 386 FURTUNATU Cchi bue ca te ricu: facimu i posti ch’è miegliu. ‘A carta cunnanne. (Linuzza e Sarina confabulano fra di loro. Giacominu passeggia nervosamente vicino la porta, mentre gli amici iniziano a giocare). GASPARUZZU (Dopo avere mischiato le carte, ne da una ciascuno per fare i posti) Allura sceglie Pasqualinu. PASQUALINU Io riestu duve signu. GUSTINU (Riferendosi a Furtunatu) Io viegnu duve ttie e tu allu postu ‘e Gasparuzzu. (Ognuno si sistema al proprio posto). GASPARUZZU Allura potimu cuminciare. PASQUALINU Quantu facimu ‘e messa? FURTUNATU Minimu mille a testa, menu ‘e chisse cchi ba fa. SARINA (Avendo udito) E si, minati ‘ngruossu, tantu siti tutti benestanti. FURTUNATU Ma cchi musica! Ppe’ piacire ‘un cuminciare, ca io tiegnu bisuognu ‘e concentrazione, sinnò me azu e mi ne vaiu. SARINA Ma ppe’ piacire! Ca tu ‘u granne chirurgu chi opere supr’u core. E cumu se po’ parrare! FURTUNATU Linù’, chiamatilla ppe’ piacire, fucacce ‘u mussu. (Sarina fa un gesto di stizza). GUSTINU E oje ‘u’ ni ne virimu bene! E lu cip quantu facimu? GASPARUZZU Minimu cinquecientu. LINUZZA Ha parratu l'atru ‘mericanu. GUSTINO Gasparù’, avissi ‘na sigaretta? GASPARUZZU (Prende il pacchetto) Ruve sule ci ne su rimaste, n’e fumamu ‘e cussì ne stujamu ‘u mussu. Te, Gustì’, strazza. GUSTINU (Strofinandosi le mani) Pasqualì’, te trovassi ‘nu fosparu? SARINA Ma a ttie te manche tuttu Gustì’! GUSTINO A carta vo’ fumu Sarì’. SARINA Ma si ‘un tieni l'arrustu cumu ‘u fa’ ‘u fumu? LINUZZA Amu scopertu tutt’e ricchezze! ‘U voliti ‘nu consigliu? GUSTINU S’è buonu ppechì no? LINIZZA Ccu’ ‘ssi quattru sordi c’aviti, jative accattati ‘e sigarette. SARINA E li fospari puru. (Gustinu fa un gesto di lasciar perdere). FURTUNATU Ma cchi taluornu! Ppu...ppu...ppu.. Ogne tantu ‘nu sfogu 387 e subitu te ‘ncanianu. Si sapìa ‘un ti ce portava propriu appriessu. SARINA Sente a r’illu! ‘Un te rispunnu ca si no n’amu ‘e liticare. FURTUNATU (Guarda Sarina con aria di sufficienza) Linù’, pruvirecce tu ppe’ piacire. LINUZZA Lassamule jire Sarì’, facce fare chillu chi vonnu, ca nue ni ne stamu ppe’ li fatti nuorri. FURTUNATU ‘U volissi Gesucristu! GASPARUZZU Allura, carte fa Gustinu. (Gustinu mischia e da carte). PASQUALINU (Guarda le carte e riflette a lungo) Aperu. FURTUNATU Juocu. GASPARUZZU Passu. GUSTINO Juocu puru io. Carte? PASQUALINU Tri carte. FURTUNATU A mie ruve. GUSTINU Io signu servitu PASQUALINU Parola al servito. GUSTINU Piattu. FURTUNATU (Dopo avere riflettuto un po’) Vedo. PASQUALINU Io mi ne vaiu. LINIZZA E pecchì ti ne vai, aviti ‘nzignatu moni! (Tutti ridono). PASQUALINU Vene a dire ca ppe’ ‘ssu giru nun juocu Linù’. LINUZZA E chin’e sa tutti ‘ssi scami! FURTUNATU Allura Gustì’, cchi tieni. GUSTINU Fullu ‘e assi. FURTUNATU Ma guarde ‘nu pocu….Ha vintu, signu rimastu ccu’ lu tris. SARINA E r’è la prima botta. FURTUNATU (La guarda di traverso) E ccu’ tie stasira ‘u’ r’è cosa, avoglia ‘e sbursare rinari. (Di tanto in tanto gli amici, osservano i movimenti nervosi di Giacomino e, facendosi dei cenni d'intesa, abbozzano dei sorrisi sarcastici). SARINA FURTUNATU Ca parica ‘un ne tieni? (Si continua a giocare) (Dopo avere guardato le carte) Me famme passare ppe’ ‘ssa vota, ca i niervi su’ già azziccati alla capu. GASPARUZZU Bussu (Batte forte due volte il pugno sul tavolo e Giacominu ha un sussulto, credendo che abbiano bussato alla porta). 388 GIACOMINU Linù’, a porta, hanno ‘mbussatu. (Tra se) E' arrivatu! (Va per aprire, mentre gli amici trattengono le risa). LINUZZA Aspette, aspette ca vaiu io. (Va ad aprire la porta e non trova nessuno) Ma te si’ sonnatu, ‘u vi ca ‘un c’è nullu? GIACOMINU Eppuru haiu ‘ntisu ruvi corpi, unu appriessu all’atru! LINUZZA (Chiude la porta e torna a sedersi) Ma runete ‘na carmata, ca mo’ ogne tri te paranu quattru. Assettete ‘nu pitazzu. GIACOMINU E le murroide adduve ‘e manni? Te si scordata? GUSTINU Puru a r’ille tieni! E te ricu io! LINUZZA E' conzatu propriu buonu, vi’, ppe’ le feste. ‘Un bastava la freve chi ti lu fa scantare ogni pitazzu! SARINA Raveru, ‘a freve è sole fare ‘ssi sgherzi. LINUZZA E la sua è ‘na freve forte, propriu speciale. FURTUNATU Diecimila. SARINA Sente cchi freve chi tene ‘ss’atro! Mine ll'uocu. GUSTINU Viste le diecimila. SARINA Fullu ‘e assi. FURTUNATU Full ‘e jecchi. GUSTINU Colore. FURTUNATU Ahi allu culutu ‘e r’a miseria, oh. Chiame tre carte e fa culure! SARINA E r’è lu secunnu corpu! Ma cchi Furtunatu si’: mammata t’avìa de chiamate scarognatu. GUSTINU Alle carte ce vo’ marria, vonnu sapute spizzicare, vonnu allisciate chianu chianu. FURTUNATU Certu, si no se sc-cantanu! Carta vene e jocature s'avante. Vo’ stare buonu ‘ssu prosiu chi tieni! LINUZZA Cchi, jocatù’, v’u pigliati ‘nu liquorinu? GUSTINU E cumu no, addimmnanni puru? LINUZZA Sai cum’è, se po’ esere puru a dieta! GASPARUZZU Quale dieta, cca simu tutti sanizzi. Porte a purvera ca ti n’adduni. GUSTINU Si c'è, a mie ‘nu cognacchinu! PASQUALINU Puru a mie, possibilmente francese. LINUZZA Furtunà’, tu cumu l'atri? FURTUNATU Si tieni n’amaru Averna è miegliu. LINUZZA Parica ci ha de resere. Giacomì’, c’è l’amaru Averna? GIACOMINU E chi ne sacciu, apere ‘ssu stipu e bire! 389 (Mentre Linuzza prende i liquori, si sente bussare alla porta e contemporaneamente chiamare: Giacomì’. Giacomino è incontenibile dalla gioia e corre verso la porta, lo stesso fa Linuzza che, dalla fretta e per l’emozione, fa cadere un bicchiere. Gli amici si gustano la scena). GUSTINU Quantu sc-canti ppe’ ‘na ‘mbussata alla porta, manco si fuossi lu terrimutu! GIACOMINU E’ arrivata! Finarmente è arrivata! (Gli amici smettono di giocare e abbozzano risate beffarde). GASPARUZZU Chine Giacomì’, chin’è ch’è arrivata? U’ presidente ‘e r’à repubblica? (Linuzza e Giacomino afferrano contemporaneamente la maniglia della porta e, aprendo, si trovano davanti Gabriele). GIACOMINU GRABIELE LINUZZA GRABIELE FURTUNATU PASQUALINU GIACOMINU GRABIELE GIACOMINU GRABIELE GIACOMINU GRABIELE (Non crede ai suoi occhi) Gioia mia, Grabiè’, cumu te sì fattu aspettare! (Entra) Pecchì, me stava aspettannu? Grabiè’, l'amici s’aspettanu sempre! (Accorgendosi degli altri) Siti ‘na bella cumpagnia: bravi a vue, vi la sapiti gorere ‘a vita! Io ‘mbece supra e sutta ccu’ ‘ssu biellu collatu. Però tu ‘u vintisette ‘ncassi ‘na bella mazzetta (Stropiccia l’indice e il pollice). Nuve ‘mbece aspettamu ‘u postu jocannu. (Fremente) Grabiè’, e allura? Ah già, m’era scordatu! (Cerca nella borsa) ‘N’atra raccomandata, Giacomì’. Me pare ca chissa è la terza ‘ntra ‘ssu mise o me sbagliu? Sini, Grabiè’, nun te sbagli propriu. (Impaziente) Duv’è? E cchi pressa, chianu, chianu. Eccola cca. (Giacominu gli toglie la lettera dalla mano e la osserva a lungo). Minteme ‘na bella firma cca e simu appostu. Subitu, subitu, Linù’ ‘na pinna. Te ‘a pinna. (Giacominu firma nervosamente). Tuttu appostu, speriamu ch’è ‘na cosa bona. Ve salutu a tutti e bon divertimentu. (Rispondono in coro: statti buonu Grabiè’) 390 LINUZZA E mo’ ti ne va ‘e cussì, aspette ca te uoffru ‘nu beccherinu. GRABIELE Grazie ‘u stessu, ccu’ la posta ‘un se fissie, chissu è ‘nu serviziu seriu LINUZZA Cumu vo’ fare tu, io ‘un te fuorzu. GRABIELE Arrivederci. LINUZZA Statti buonu, va’ ccu’ la Maronna. (Chiude la porta e si avvicina a Giacominu che, in un angolo della stanza, tiene la lettera stretta al petto). GUSTINU Ma cumu simu sfurtunati oh! A nue nun ne scrive nullu. GASPARUZZU E chine ne canusce a nue, sulu chillu farabbuttu ‘e r’u statu ppe’ la chiamata alle armi! GUSTINU Tannu fricatinne! Te venanu trovanu puru ‘ntr’u ‘nfiernu! FURTUNATU Giacomì’, ma è ‘na cosa ‘mportante? PASQUALINU E ‘u’ lu viri cumu pise, a tene ccu’ due manu! GUSTINU Me cumu è sanatu a ‘na vota, ci ha fattu passare puru ‘a freve! LINUZZA Ancora ‘un se sa cchi c’è de intra. SARINA Ma a cumu viju ci ha de resere ‘na cosa ‘mportante. LINUZZA ‘U volissi Gesucristu, chissu volimu nue. GIACOMINU (Raggiante e impaziente) Me benuta ‘na sita a ‘na vota, ma ‘na sita chi ‘un ce cririti. Permessu ‘nu pocu, quantu vaio vivu ‘ntr’a cucina (si avvia). LINUZZA Aspette ca viegnu puru io. FURTUNATU A sita è ‘na malatia contagiosa. LINUZZA Propriu ‘e nente, ce vaiu ppe’ ‘n’atru motivo. SARINA Ma ‘nzomma vue cchi ne voliti fare duve va una, mo’ mintiti cuntu puru alla gente? GUSTINU Sicuru ‘e l'Africa vene ‘ssa littera: l'ha fattu venire ‘ss’arsura. (Tutti ridono). GASPARUZZU Forse ci l’ha mannata Gheddafi. LINUZZA (Risoluta) ‘E duve arrive e chine a manne e manne su’ fatti nuorri. Giuvinò’, cum permessu ‘na picca. GIACOMINU Continuati a jocare ca nue venimu priestu priestu. (Esce insieme a Linuzza). FURTUNATU (Tra le risa generali) Ma cchi pianu oh, sta jiennu propriu alla perfezione. PASQUALINU Aviti vistu cumu si la rringìa forte allu piettu ‘u fissa! GUSTINU Cchi potenza oh, ‘na littera fasulla fa sanare ‘e malatie! 391 GASPARUZZU Però, cum’era convintu c’arrivava la posta! GUSTINU Ca illu tutti jurni fa de cussì, tutt’e matine tene ‘ssu sberagliu; appena se aze se minte e r'aspette a Grabiele ‘u postinu. FURTUNATU Ma ‘ssa vota ci la trove daveru ‘a sorpresa, ce trove ‘ssu biellu postu (tutti ridono). A ‘stura sa cumu zumpanu tutt’ì ruvi. SARINA Ohi c'avìti cumbenatu! Ci aviti fattu ‘nu scherzu troppu pisante. Ma adduve ci l’avìti ratu ‘ssu postu? FURTUNATU A Cusenze, alla Cassa ‘e Risparmiu, ricica ‘u mannavamu luntanu? Unu aspette tant'anni e pue puru fore le tocche de jire? (Indicando Gustinu) ‘U vi’ ‘u diretture, illu ha firmatu ‘e fattu l’assunzione. GUSTINU Però vue siti stati tutti ‘e commissione! ‘U parere favorevole è statu unanime. SARINA Sapimu cumu ‘a piglie; ce po’ restare ‘e r’u tuttu! Io me sientu ‘na vrigogna ccu’ Linuzza. GASPARUZZU Duve va' pensannu! Statti squitata ca ‘un succede nente, c’è don Gustinu chi tene li carmanti a portata ‘e manu: pinnuli santi ppe’ sc-canti ‘e ‘ncazzatine. PASQUALINU Cchi paura amu ‘e avire, Giacominu è collaudatu ppe’ ‘sse cose, parica è la prima vota c’abbusche ‘ssi rifrischi, l’onorevoli ‘u fissianu a decianni. Ppe’ Linuzza ancora ‘un canuscimu l'effettu chi le fa’; vo’ dire ca ne preparamu a tuttu e simu appostu. FURTUNATU Me staiu convinciennu ca ‘a cosa è seria; giuvinò’, faciti jocare ‘u ciarviellu ppe’ birere cumu n’amu ‘e jescere ‘e ‘ssa storia. Ce vo’ tattica e strategia! GASPARUZZU Cchiù da fantasia ‘e Gustinu, lassati fare a illu ca trove le parole giuste ppe’ stutare ‘u fuocu! GUSTINU Senza chi vi n’esciti ‘e fore, aviti ‘e aiutare tutti. Io vo’ dire ca fazzu ‘u gruossu e bue faciti ‘e rifiniture. GASPARUZZU Tuttu ochei! Chine accellere e chine frene. Vo’ dire ca ‘nzigne Sarina a jettare ‘ncuna botta e pue nue jamu ‘e appriessu. SARINA A mie lassatime jire, chine l’ha cumbenatu ‘u ‘nquacchiu si lu sbroglie! PASQUALINU Cumu ‘a faciti longa, ‘n’atra pocu jati chiamati all’ispettore Rok. Alla fine ‘e r’i cunti è sulu ‘nu scherzu; 392 GASPARUZZU GUSTINU SARINA PASQUALINU SARINA GASPARUZZU SARINA FURTUNATU GUSTINU SARINA GASPARUZZU FURTUNATU SARINA GUSTINU SARINA GASPARUZZU GUSTINU FURTUNATU SARINA FURTUNATU SARINA PASQUALINU SARINA GUSTINU ammettu pisante, ma sempre ‘nu scherzu fattu a ‘n’amicu! Ormai è fatta, amu ‘e virere cumu n’amu ‘e jescere, ‘ntramente continuamu a jocare e aspettamu l'effettu. Ottima idea. Furtunà’, fa carte, toccavanu a tie. (Assorta e pensosa, va su e giù per la stanza) Maronna mia, cchi brigogna! Passu. E li faccituosti si la jocanu. Aperu io. Volissiti chiusi tutti.. Io juocu. Puru io. E io me rannu l'anima. Chine mi l’ha fatta fare a benire ccu’ ‘ssi riavuli pinnuti! Damme tri carte. A mie ruve. Ma cchi biellu piattinu! Servitu. Vi lu rassi io ‘u servitu! Parola al servitu. Piattu. ‘A scarogna continue! Mi ne vaiu. E miegliu fai, mi ne viegnu puru io (tutti ridono). A duve vai, assettete ll'uocu e cumporte! Vene a dire ca ‘un biru a Gustinu! Ha capitu mo’? Mintete l'occhiali. (Si sentono dei passi) Preparamune, stannu arrivannu! (Si fa il segno della croce) Pruvirecce tu Gesucristu mie! Amici jocarini all’opera: cumince la grande scena! (Giacominu e Lunuzza entrano baldansosi ed euforici. Gli amici smettono di giocare) GIACOMINU GUSTINU PASQUALINU Signu sanatu! Furtunà’, Gasparù’, haiu vintu ‘a lutta, è fatta! Quale lutta, Giacomì’? Antura stava moriennu e mo’ pari ‘nu toru ‘nfuriatu! Se vire c’ha trovatu ‘a mericina giusta. 393 GIACOMINU GASPARUZZU GIACOMINU FURTUNATU GIACOMINU LINUZZA GUSTINU GASPARUZZU PASQUALINU GUSTINU FURTUNATU GASPARUZZU GIACOMINU GASPARUZZU GIACOMINU PASQUALINU GIACOMINU GASPARUZZU FURTUNATU PASQUALINU LINUZZA GIACOMINU GASPARUZZU FURTUNATU (Ad alta voce) ‘U postu, è arrivatu ‘u postu! Quannu, a duv'è? ‘Ntr’a littera, chilla chi m’ha portatu antura Grabiele. Apposta avìa chilla freve cavallina. Sini Furtunà’, era ppe’ chissu. Ma mo’ m’è sprejuta a ‘na vota. Me sientu ‘n’atru, ‘n’uomine veru! Avìa ragiune Giacominu, si la sentìa propriu ca oje arrivava. Già ‘e stamatinu, appena è azatu ‘e r’u liettu, ha avutu i primi sintumi. Nuve però ni n’eramu accorti ca c’era ‘ncuna cosa grossa in vista; l'agitazione ‘e Giacominu ‘un ne paria giusta. Io ce criju puru a li signi ‘e r’u destinu! Io puru, ‘nfatti ‘na matina me sentìa puru agitatu, cumu ‘na cosa c’avìa d'arrivare ‘na chiamata, aspette aspette ‘nfinu a menzijurnu e tutt’a ‘na vota m’è benuta ‘na colica alle parte vasce: signu finitu allu spitale, m’hannu avutu operare ‘e guallara! (Tutti ridono). Se vire ca i sintomi ‘u’ r’eranu i stessi ‘e chilli ‘e Giacominu! Chissu è lu munnu: a chine l’arrive lu postu e chine se opere ‘e guallara. Tantu ‘a differenza è pocu. Giacomì’, a ttie t’è juta bona! Certu, è finita l'agonia, l'aspettamientu, i sururi friddi: amici cari ve salutu, romani pigliu serviziu! A duve? Alla Casa ‘e Risparmiu ‘e Cusenze. Cchi furtuna, propriu ‘ntr’a casa! Lla ricica ‘un paganu buonu? ‘U sacciu, ‘u sacciu: ricessette misate all'annu! Propriu ‘a risgrazia, ‘un potìanu fare armenu riceuottu. Chiamala risgrazia! Riciti chillu ca voliti, ma Giacominu ha trovatu ‘a mericina giusta. Senza chi ‘ncuminciati a picciare, ca ‘u postu si l'ha suratu buonu. E cchi paura tieni Linù’: ce su’ illi! (Mostra i corni attaccati alla cintura dei pantaloni). Previdente l'amicu, puru colorati si l’ha trovati. Crepassi chine tene ‘mbiria, mo’ ce vo’, parica ‘u’ lu 394 GUSTINU GIACOMINU LINUZZA GUSTINU GIACOMINU sapimu quantu ha luttatu ppe’ ‘ssa secia? Allura si’ propriu sicuru Giacomì’? E me a r’illu! ‘A littera parre chiaru, è firmata dal direttore generale. Linù’, va la piglie ca le facimu specchiare. Lassele jire a ‘ssi ‘mbiriusi, si ce vonnu crirere ce criranu! No ca ‘un ce cririmu, ma sai cum’è, certe vote ‘nu sbagliu, ‘nu scherzu, cchi ce vo’; po’ puru succedere no? Gustì’, tu sta’ rannu i numeri? Ma quale sbagliu; è tanta chiara. (Deciso) Linù’, piglie ‘e buttiglie ca brindamu ‘e cussì le passe lu dubbiu a ‘ss'amici. (Linuzza si appresta a preparare da bere). SARINA (Con fare accomodante) Aspette Linù’, aspette ‘na picca, c’è tiempu ppe’ ‘sse cose. LINUZZA Via cchi dici! Moni è lu momento giustu ‘e brindare e de gioire! SARINA Sai cum’è, certe vote se po’ puru sbagliare. LINUZZA Nun te capisciu, cchi bene a dire? SARINA (Con imbarazzo) Nente, nente. (Sospirando) Eh mannaia lu riavulu! LINUZZA Cumu nente, parre! GUSTINU Linù’, Giacomì’, certe vote ppe’ fissiare ‘e cose se compricanu e r’è difficile a ne escere. A ‘ssa vita si ne fannu tanti sbagli! GIACOMINU (Sospettoso) Ma cchi c’intranu mo’ ‘sse cose? GUSTINU C’intranu, c’intranu e cumu c’intranu! A bote, quannu unu pense ca se fa’ ‘na passa ‘e mangiare ‘mbece more d’u petitu! LINUZZA Ma cchi sta’ ‘mpapocchiannu, speghete buonu. FURTUNATU Chissu è ‘nu filosufu, parre difficile. GUSTINU Linù’, sempre ppe’ curpa ‘e ‘ssu governu ‘nfame quannu tanti giuvini lindrunianu tutt’u jurnu e ‘un sannu cumu passare ‘u tiempu, pue finisce ca cumbenanu ‘ncunu guai. PASQUALINU E a bote puru gruossu! GASPARUZZU Chine se droghe, chine va arrupe.… nue, ‘ngrazia a Dio, ne simu limitati a cose cchiù piccule. 395 GIACOMINU GUSTINU GIACOMINU LINUZZA GUSTINU GIACOMINU LINUZZA GUSTINU GIACOMINU GUSTINU GIACOMINU GUSTINU LINUZZA GIACOMINU GUSTINU GIACOMINU LINUZZA SARINA ‘Nzomma, cca stati fissiannu? Cchi su’ ‘sse menze parole? Giacomì’, Linù’, l'amicizia è ‘na cosa ranne e sacra, ‘na cosa chi ‘un s’accatte alla fera, è ‘na cosa chi lighe ppe’ sempre, cumu simu ligati nue ppe’ r’esempiu. E ‘ssa ligatura troppu rritta a bote fa fare sbagli grossi: cumu amu sbagliatu nue versu vue ruvi. Quale sbagliu? Chi Gustì’, sta’ rannu i numeri? Magari, e cussì ne faciamu tutti ricchi! ‘Mbece staju cercannu ‘e sbrogliare ‘na matassa! A mie m’e toccatu ‘e parrare e parru. Speru ca a corda ‘un se rumpe e l'amicizia rimane. Parre, ppe’ mie ‘un manche, statti tranquillu. Cchi tieni ‘e rire, sentimu! ‘U postu, Giacomì’! Cchi c’intre mo’ ‘u postu? Ti l'amu ratu nue, io e ‘ss’atri tri spasulati, ‘e bì’, chi mo’ stannu muti ‘e r’a vrigogna. (Giacominu e Linizza cambiano colore in volto e rimangono interdetti). Chiamene miserabili, sbrigognati, faccituosti, cumu vue tuni, ma simu stati nue a te scrivere a littera ‘e assunzione! Cchi t'haiu ‘e rire ‘e cchiù! Te cercamu scuse, perdunu, ma chissa è la verità. (Con le mani tra i capelli) No! Ppe’ l'amure ‘e r’a Maronna! Riceme ca ‘u r’e veru, ca sta fissiannu. Magari, e cumu fazzu! Gesù, Gesù! Quanta ‘ngratitudine c’è allu munnu! V’ammeritassiti ‘na sputacchiata. Apposta si la ririanu i farabutti. Ma ‘u’ vi ne ‘ncarricati... (Disperato) Ohi cchi m’aviti fattu! Carognuni, ‘ngrati! (Rientra in se) Ma mi la pagati cara, ve fazzu virere io chin’è Giacominu. Chissi ‘un su scherzi ‘e fare. Ma carmete Giacomì’, sente ‘na pocu. E c’haiu ‘e sentere ‘e vue, ‘ncun’atra pastocchia? Ammutati ppe’ piacire, si no ‘un se sa cumu va a finire. Sarì’, e puru tuni te minti a fare ‘sse cose? Proprio ‘e tie ‘un mi l'aspettava! Ti lu giuru supra ‘ssa santa jurnata, nun ne sapìa nente, 396 era allu scuru ‘e tuttu, antura mi l’haru dittu. Linù’, crireme, ppe’ lu bene chi ne volimu! LINUZZA E bravi all’amici, i cumpagnuni fidati! Ppe’ chine l'aviti pigliatu a Giacominu, ppe’ ‘nu pupazzo? Scustumati! Tenanu puru ‘u curaggiu ‘e parrare. FURTUNATU Puozzu rire ‘na parola, no ppe’ atru, ma ppe’ chiarire ‘e cose. LINUZZA Ti la po’ risparmiare, ‘e cose su’ già chiare abbastanza, anzi su’ trugule propriu. FURTUNATU Nue nun volianu arrivare ‘nfinu a ‘ssu punto, ma vue, appena è arrivata a littera, siti fijuti ‘e pressa la dintra, si no ‘u’ r’era statu nente, vi l’avissimu rittu prima ca era ‘nu scherzu, ni ce facianu ‘na bella risata ‘e supra e tuttu era finito. Grazie ca pue su compricate ‘e cose. GASPARUZZU C’è statu ‘nu contrattiempu, n’errore ‘e copione, si no era ‘nu scherzu semplice, cumu tanti. LINUZZA Sente a pistillu, ancora ‘u chiame scherzu! Chisse su’ cose ‘e curtellate. GUSTINU E dai mo’, Linù’, cumu a faciti longa, ne simu permessi ppe’ la troppa amicizia. Giacomì’, e sbersala. (Giacomino rimane muto e pensoso). LINUZZA ‘Un vi ne ‘ncarricati, vo’ dire ca ne dissobrigamu priestu, chisse su’ pitte e pane chi se rennanu. SARINA Brava, e cussì me piaci! A tiempu opportuno ve renniti tutto, cussì se ‘mparanu ‘ssi spalamandri. GASPARUZZU E chine se murmure, nue accettamu tuttu, simu marchiari! PASQUALINU Certu, certu, ‘e Giacominu e de Linuzza accettamu chillu chi vonnu e ringraziamu puru. LINUZZA Giacomì’, nun ce rare gustu, lassele perdere, falle assincerare ca a tiempu opportunu ne rennimu ‘u scherzu. GUSTINU T’arricummannu, no cchiù pisante ‘e chissu; ricica ne potiti mannare i carabinieri alla casa ? LINUZZA Chissu v’ammeritassiti. FURTUNATU (Batte la mano sulla spalla di Giacominu) E dai Giacomì’, cumu ‘a fa’ tragica mo’, parica è la prima vota chi fissiamu tra nue? Tu ha partecipatu sempre a tuttu! Ririmuce ‘e supra. GIACOMINU (Con tono sostenuto) M’è già passata, statti squitatu! Ma 397 mo’, e romani avanti, amaru chine ce ‘ncappe. Bravu! ‘U vi’ cumu si togu quannu ‘un si’ ‘ncazzatu? Oje è toccatu a tie, romani a Gustinu, roppuromani a ‘ss’atri ruvi galerani, e cussì passamu ‘u tiempu! GIACOMINU A tie quannu te tocche, mai? FURTUNATU Quannu vue, anzi quannu voliti: io ccu’ li scherzi ‘e l'amici ce ‘ngrassu, me curanu. SARINA E si parica ‘e pensare a atru? O te manche lu tiempu, ppe’ chissu benerica ‘un te passe nullu. FURTUNATU E’ ‘nu donu ‘e natura, cchi ce puozzu fare: allu munnu c'è chine nasce mutu e chine fissiature, e io furtunatamente appartiegnu alla secunna categoria. LINUZZA Biellu donu chissu! ‘U lu viriti ca a furia ‘e chiacchiare e fissiamienti siti arrivati a trent'anni e ancora cilindrati e vie senza ‘nu ‘mpiegu! GUSTINU E ccu’ chine n’a pigliamu, ccu’ la sorte? E pue neca manche ppe’ nue, avimu tutt’e carte in regula: a forza, ‘u diploma, ‘a patente, tuttu ‘nzomma; riciaccellu tu a ‘ssi politicanti ‘taliani e nun fissiare e de ne trovare ‘a fatiga, ca nue simu pronti. GASPARUZZU E fricala Giorgio, fri'! Ce vonnu santi ‘mparavisu e nue ‘u’ n’avimu, i santi nuorri su’ stancati ‘e pregare! PASQUALINU Ma quale santi e santi, a ‘ssu munnu ce vo’ ‘nu culu tantu si vo’ jire avanti. (Mima con le mani quanto ha detto) FURTUNATU Nue simu sulamente numeri ‘e r’a pisca reale, chine pesche bene e chine pesche male. SARINA E ccu’ ‘ssa filosofia stamu frische, e mo’ ne spusamu! FURTUNATU Vire tuni si tieni ‘ncun’atra idea meglia, si te vo’ trovare a ‘ncunu chi tene lu postu! SARINA Signu troppu bona, si no ‘e cussì t’ammeritassi. FURTUNATU (Alterato) Allura è finitu tuttu tra nue, a parola t’è jesciuta, se vire ca ti l’ha dettata ‘u core. SARINA Mi l’ha dettata ‘a ciotìa chi tieni. FURTUNATU E ba te trove ‘nu spiertu allura. (Molto adirato, si avvia per uscire) Stative buoni, tuogliu ‘u disturbu, mi ne vaiu! FURTUNATU (Sarina scoppia in lacrime e viene consolata da Giacomino). LINUZZA (Cerca di fermarlo prendendolo per un braccio) A duve 398 va’, e bia, carmative, ‘na parola ‘e nente e l'aviti pigliata cussì furiusa! FURTUNATU (Desiste dalla decisione di andarsene) E cussì se ‘mpare ‘n’atra vota a mantenere ‘a lingua a postu. GUSTINU (Scherzoso) Linù’, facce ‘na gagumilla a tutti ruvi e cussì se carmanu. GASPARUZZU Ma quale gagumilla, ‘u canusciu buonu io a chissu, runecce ‘na pocu ‘e vinu ca le fa cchiù effettu. PASQUALINU Ma tu si’ ‘ncazzunitu raveru? Carmete giuvinò’, a cchi juocu jocamu: a Giacominu l’è passate a ‘ncazzatina e t’è benuta a tie? FURTUNATU (Scoppia a ridere) Vi l’haiu fatta, ci aviti crirutu tutti ch’era partutu ‘e capu. Ih, mammalucchi, cumu collati! Adduve si’. (Si avvicina a Sarina) E cumu ‘u lassu ‘ssu tisoru! Asciuttete ‘sse lacrime e finisciala (le cinge il collo con un braccio). SARINA (Abbozzando un timido sorriso) Si’ ‘nu demoniu, mi c’avìa fattu crirere! FURTUNATU Però ‘a paura l’ha avuta! GUSTINU Ma cc’attore, cumu sa recitare ‘u farabuttu. GASPARUZZU E ca pue alla fine ‘e r’i conti parica cchi perdia Sarina! PASQUALINU Hai voglia quantu uomini ce sunnu cumu illu a ‘ssu munnu! FURTUNATU Hannu parratu i ruvi pistola! Quannu e mai l’aviti vista ‘e vicino ‘na fimmina, pariti ruvi seminaristi spogliati! Giacomì’, guardali cchi luminieri. GIACOMINU E mo’ s’a trovano puru illi ‘na guagliune. FURTUNATU ‘U mise ‘e mai, alla fera ‘e r’i ciucci. GASPARUZZU ‘Un ce pensare tu, ancora ‘u’ r’è tiempu, ma pue viri. FURTUNATU Povariellu! T’ha de nascere ‘u primu scagliune. PASQUALINU Te fazzu rimanire cu ‘nu parmu ‘e nasu; n’haiu arocchiatu una propriu ‘e chille maggiorate (mima con le mani il fisico della ragazza) FURTUNATU Cumu ‘na Ferrari? GUSTINU Pasquà’, sempre ccu’ la fantasia no? FURTUNATU E ccu’ cchi allura, si ne sazie ccu’ l’uocchi. Ppe’ dire a verità, a vista ‘a tene bona!. PASQUALINU Comunque alle prove ne virimu. FURTUNATU E me spagnu ca ‘sse prove vannu male. 399 GUSTINU FURTUNATU PASQUALINU LINUZZA Tu cchi dici, ca fonde lu motore? Gustì’, dipende d’a cilindrata, chissi te parano currituri? ‘U tiempu fa chiarezza: chine ‘un more vire. Beh, chiurimu l'incidente va’. Giacomì’, va’ piglie lu vinu ca aggiustamu ‘sse capu. GIACOMINU E chissa è la meglia cosa! (Mentre si avvia verso la porta della cucina, si sente bussare alla porta). LINUZZA (Va per aprire la porta) Virimu a chine role mo’ ‘a trippa? GIACOMINU Aspette Linù’, ca vaiu aperu io. (Apre la porta e si trova davanti Grabiele; Giacomino ha un sussulto) Torna tu Grabiè’. GRABIELE E ‘un me viri? (Tutti, osservano con incredulità). GIACOMINU Te viju buonu e cumu. GRABIELE E allura ‘ssa facce scantatizza... GIACOMINU Nente, nente... GRABIELE Nente, ‘na piccula svista. Te Giacomì’, ‘e littere eranu ruve e io ti n’haiu ratu sulu una antura, chissa era juta a ‘n’atra via, era ‘nzaccata ‘ntr’i giornali e le stampe. Cchi ba fa’, certe vote succede! GIACOMINU Ppe’ carità, tutti ponnu sbagliare, ‘un te fare scrupulu, penze alla salute. (Tutti stanno in trepidante attesa). GRABIELE Scusame ‘e nuovu e statti buonu. Arrivederci a tutti. GIACOMINU Te salutu, ciau. (Giacominu rimane impassibile e guarda gli amici con sospetto. Gli amici fanno altrettanto uno con l'altro. Linuzza va vicino a Giacominu). GUSTINU Giacomì’, si’ ‘mpetratu? GASPARUZZU Giacomì’, io ‘un c’intru nente ‘ssa vota! PASQUALINU E chine ne sa ‘ncuna cosa! FURTUNATU Giacomì’, stava jiennu a pigliare ‘u vinu, si’ scordatu? LINUZZA Cchi te chiavatu, parre! SARINA (Disperata) Dio mio, cchi farabutti, nun se su’ accuntentati mancu ‘e una. FURTUNATU Ma cchi sta ‘nciarmannu ccu’ ‘ssa capu Sarì’, cca simu persone serie, ‘na vota se fa lu scherzu. LINUZZA Cchir’è Giacomì’, avanti, sbuombiche fore! GIACOMINU (Con severità) Sentiti, ‘ssa vota nun fissiju, si ‘nzia a mai aviti fattu ‘n’atru scherzu ‘ssa vota finisce male, vi lo giuru, fazzu ‘nu maciellu. GUSTINU (Alza le mani al cielo) Io signu innocente. 400 GASPARUZZU FURTUNATU PASQUALINU GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU SARINA FURTUNATU GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU GUSTINU FURTUNATU GIACOMINU LINUZZA Io mi ne lavu ‘e manu! Ppe’ carità, ‘na vota se fissie. Io signu allu scuru ‘e tuttu! ‘U volissi Dio, ppe’ lu bene vuorru; vi l’aviertu. Ma aspette primu ‘e fare tutti ‘ss’amminazzi, virimu ‘ssa littera ‘e cchi se tratte (toglie la lettera di mano a Giacomino). (Molto agitato) Aspette Linù’, ‘u’ l’aperire. E si pue è cumu l’atra? N’amu ‘e curtelliare pue? (Trepidante) Ma cchi storia, duve signu avuta ‘e trovare stamatina! Cchi paura tieni, nue avimu ‘a cuscienza appostu. (Indicando la lettera) ‘A viriti ‘ssa littera, chissa po’ fare finire l'amicizia. Sta a chillu chi c’è de intra. Si ancora v’avissi chiusu ‘u...... senza ca me spiegu, preparative: ‘ssa vota nun fissiju! Giacomì’, io ‘a r’aperu avanti ‘e tutti, ‘a fazzu pubbrica, nue ‘u’ r’avimu nente cchi ammucciare. (Apre la lettera in un silenzio di tomba). (Guarda in cielo e stringe le mani) Mannaia lu bruttabestia, cchi situazione! (Scruta a lungo la lettera e man mano il suo volto si colora di un sorriso. Tutti tirano un sospiro di sollievo, abbozzando un tiepido sorriso) ‘Na timpesta cchiù ranne ‘e r’a prima Giacomì’! Cchiri! ‘N’atra timpesta? Ma chissa è bona, ‘u r’affuche, è una ‘e chille chi sane li guai. (Salta di gioia) E’ fatta. (Sventola la lettera) ‘U postu Giacomì’, ‘u postu! (Abbraccia Giacomino). No, nun ce criju, nun po’ esere, famme virere, (Prende la lettera e, dopo averla osservata per un pò, esulta). E’ illu, ‘un ce su’ dubbi, è propriu illu. (Mostra la lettera agli amici) Te, fissiati mo’, specchiative l’uocchi! (Prende la lettera e tutti gli altri lo attorniano e meravigliati annuiscono) Agurìi, bonafurtuna! (Abbraccia Giacomino e Linuzza. Gli altri fanno lo stesso) Bravu a Giacominu, signu cuntientu. Grazie, grazie. Grazie a tutti, è finitu l’aspettamientu! 401 GASPARUZZU PASQUALINU GIACOMINU SARINA LINUZZA GIACOMINU GUSTINU Ccu’ salute! Te aguru ‘na bona carriera! Ve ringraziu a tutti. Sia lodatu Gesucristu! Simu cuntienti tutti. Quantu emozioni oje: ‘a quiete roppu ‘a timpesta! E chine si la crirìa cchiù. (Si riprende la lettera che è rimasta nelle mani di Gustinu) Damme, famminne ricriare. Me cumu c’è scrittu biellu chiaru: Giacomo Chiarenza, presentati domani alle ore otto precise alla sede centrale della Cassa di Risparmio per prendere servizio. Firmato, Direttore Scocciamigliu. (Bacia la lettera e va a metterla nella credenza) E mo’ si ca ce vo’ lu vinu. Giacomì’, vallu piglie. Fuju subitu. ‘E cchi annata ‘u voliti? E ccu’ ‘ssa copanata ch’è arrivata, piglie ‘u cchiù tuostu! (Giacomino va in cucina) GASPARUZZU Me vuogliu ‘mbriacare: ppe’ amure ‘e Giacominu chissu e atru. PASQUALINU Ne ‘mbriacamu tutti ppe’ l’agurìi e ppe’ lli sc-canti! LINUZZA I sc-canti su’ passati Pasqualì’, ma ‘u postu rimane! Mo’ c’è la cassa c’appare tuttu! (Giacomino porta il vino) PASQUALINU GIACOMINU PASQUALINU GIACOMINU GUSTINU LINUZZA GIACOMINU E bo’ dire ca ne gorimu tutti! Sai cum’è, certe vote ‘nu prestitu, ‘nu bisuognu... avimu a Giacominu chi ne sarve. Ricica ne lasse affucare? Grazie Pasqualì’, si nun sa’ natare, accattete ‘u sarvagente ch’è miegliu! Cchi core cruru oh! E l’amicizia ‘un cunte nente poca? Cunte sulu ppe’ certe occasioni ma no ppe’ l'uf-ficiu, chillu è ‘na cosa seria, ‘nu santuariu! E già, la s’ha de pregare ppe’ ottenere! Pasqualì’, l’amicizia cunte sulu alla cantina! E noni e noni ca pue virimu; quantu se fa ‘nu pocu ‘e largu Giacominu, ca pue ‘na manu vi la rune a tutti. (Accondiscendente) E... sai cum’è.... però c’è vo’ tiempu, 402 FURTUNATU SARINA FURTUNATU SARINA FURTUNATU LINUZZA SARINA GUSTINU LINUZZA SARINA LINUZZA GUSTINU GIACOMINU LINUZZA SARINA FURTUNATU SARINA LINUZZA SARINA io ve parru chiaru, senza chi v’aspettati romani! Nell'attesa, Sarì’, a pigliamu ‘na bella pella? Ti la viri sulu, chillu chi vo’ fare fai, tantu parica ‘un ce si ‘mparatu? Chissa è ‘n’occasione unica, l’amici vannu onorati. Ccu’ le bone azioni però, no ccu’ lu vinu! Ccu’ tutt’e ruve, nun dubitare. (Dopo aver preso i bicchieri nella credenza) Beh, pigliati postu, ca inchjmu ‘ssi calici.(Tutti si siedono). Ih ciambrelluni! Arurative ccu’ lle carte; Giacominu v’ha chiantatu, è sistematu! E nue ne simu cuntienti, vo’ dire c’ha ‘nzignatu a via. E sini, mo’ viriti ca chianu chianu ve sistemati puru vue. Allu manicomiu! ‘U’ le biri cchi malannate! E noni, s’ha d’avIre fede allu munnu, l’uomu nun s’ha de perdere ‘e animu. E chine sc-cante, tanto ci avìmu fattu ‘u callu e pue, ccu’ la filosofia c’avimu, cchi paura amu ‘e avìre: nun ne perdimu ‘e sicuru. Vivimucce ‘e supra e bonanotte! ‘U vino è de ruve qualità, chine ‘un bo’ unu se vive l'atro. Inchie Linù’. (Colma i bicchieri) Eccu fattu, alla curma, allegria! Sarì’, a tie ‘n’amaru? No grazie, nun ce signu abituata a ‘ssi liquori forti! Illa è abituata ccu’ le gamumille. Ha parratu ‘u spiritusu! Allura ti ne mintu ‘na picca, puru ppe’ aguriu. Ni lu vivimu ‘nziemi. Allura l'acciettu propriu ppe’ chissu. (Linuzza riempie due bicchierini) GUSTINU (Indicando Giacominu) Me cumu rire mo’ ‘u lupellune, ‘a ‘ncazzatina l’è passata! GASPARUZZU ‘U sangu l’è jutu alla capo, me cumu è fatto russo! ‘A cuntentizza fa sagliere ‘a pressione. PASQUALINU E li rispiaciri ‘a fannu abbasciare! GIACOMINU (Con sicurezza e ironia) Eh, frate mmie, ‘a mericina è miracolosa, m’ha sanatu a ‘na vota. 403 GASPARUZZU Peccatu ca si ne trovanu pocu e ‘sse medicine! GUSTINU Cchi te pienzi, ca ‘u statu è fissa ca ne fa assai? Ne fa ‘nu giustu, ppe’ sanare i malati cchiù gravi. GASPARUZZU Allura Giacominu era grave? GUSTINU E cchi ne sacciu io, adimnannalu. GASPARUZZU Giacomì’, tu era malatu grave? GIACOMINU Grave e periculusu puru, se stava sviluppannu ‘a pazzia! GASPARUZZU Gustì’, allura aggravete puru tuni e cussì te sistiemi. GUSTINU (Facendo le corna) Ma m’u fa’ ‘nu piacire, oh! Penze a sc-cattare tuni. FURTUNATU Be, ‘ntruzzamu va’; lassamu perdere ‘sse frascatule e le cose vecchie. (Alzano i bicchieri. per brindare). GUSTINU Alla salute e agurìi. GASPARUZZU Allu nuorru Giacominu, chi se ‘mpeghe domani matinu! GIACOMINU (Gioiendo insieme a Linuzza) Grazie, Grazie. GUSTINU (Vedendo Pasqualinu che vuole fare il suo brindisi) Ci...ci... tenitive ca parre Linardu dinamite. PASQUALINU Modestamente ‘e ‘sse cose mi n'intendo. GUSTINU Certo, si diplomatu ‘ntr’a cantina! PASQUALINU Modestamente e puru ccu’ trenta gradi e lode si ‘un te dispiace. Comunque, dicevo…. (Pensa un po') GASPARUZZU E’ jutu in tilt. FURTUNATU ‘U ‘ngranagiu è bloccatu! PASQUALINU (Si scuote) Ecco, dicevo: a Linuzza e allu fidanzatu brindo ccu’ ‘ssu bicchieri ‘e rosatu, ppe’ lu futuru chi s’hannu assicuratu. (Battono le mani) GUSTINU Cchi truonu, oh! Chissu va a finire alli giornali! FURTUNATU Guagliù’, ‘e mie ‘un v’aspettati truoni sanizzi, ma sulu rrusci e tumbarini. GUSTINU Vai facile, Furtunà’, ‘u sapimu ca si’ stonatu. FURTUNATU Allura partu: brindu a ‘ssa jurnata e a ‘ssu postu sccantatu chi Giacominu re sempre ha suspiratu. GUSTINU E ti ne frichi, ricica ‘un cunchiurìa! Se vire ca ‘ss’urtimi tiempi t’ha fattu ‘na mess’a puntu! (Risata generale). Sarì’, mo’ ce vo’ lu tue. SARINA Io ‘un ce signu ‘mparata, chisse su’ cose ‘e uomini. LINUZZA Dai, Sarì’, ‘un te fare pregare. SARINA Ce pruovu va’, cumu jesce e jesce. (Pensa) Agurìi a Giacominu ppe’ ‘ssu ranne passu e fazzu puru ‘nu 404 brindisi a chine è rimastu a spassu. Brava a Sarina, proprio ochei. Furtunà’, ‘ssa ‘ntonata l'ha capita? Pense ppe’ tie, ca io l'haiu digerita. Forza compagni, fino in fondu, via. (Tutti bevono il vino) GASPARUZZU Ah, cchi sapure roppu ‘ssa fatigata! PASQUALINU Sa’ propriu cumu minna, rifrische a ‘na vulata.. LINUZZA Giacomì’, inchjie torna i becchieri ca all’amici ‘u vinu le fa’ parrare ccu’ la rima. GIACOMINU (Colmando i bicchieri) Te, viviti, strazzati, ‘mpiruccative. SARINA Carmete, Giacomì’, vacce chianu, ca chissi già ‘un cunchiuranu seri, figurete ccu’ lu vinu! GIACOMINU E cchi le fa’, falle sfogare ‘ss’amicuni, ne tenanu ragiune, ‘u scherzu l’è jutu male: hannu fattu cum’u prievite ‘e Cervicati, su venuti ppe’ gapare e su’ rimasti gapati! GUSTINU Sente se’, cumu arrumbe mo’ chi è allu riparu! T’è benuta mo’ a favella no? I sgrizzuni ‘e r’a freve te su’ passati? GIACOMINU (Sfottente) ‘Nfatti, è passatu tuttu, me sientu cumu ‘nu toro: sanizzu e curaggiusu. GUSTINU Però ‘a cacarella l’ha avuta, ‘ssu jurnu ‘u tieni ‘n mente mentre campi. GIACOMINU E cchi le fa’, a paura passe ma ‘u posto rimane! FURTUNATU (Prende il bicchiere) Gustì’, ‘ntruzze ch’è miegliu, sente a mie; Giacomino è a cavallu! GASPARUZZU Cumu se rice: ‘a botta chjna paghe la vacante. GUSTINU Ni l'avìa ‘e rire tuni, capu ronzante. FURTUNATU Parre cumu ‘nu libru stampatu, oh! GUSTINU Ccu’ nue chissu si ce perde; ne potìa fare strada, peccatu ca l'è morta ‘a marra alla prima elementare. GASPARUZZU M'è morta ‘a ciotia c'aviti tutti rovi! SARINA Linù’, i mulinari se liticanu, guardete ‘a farina. LINUZZA E lassali bottiare, ne tenanu ragiune povarielli. SARINA (Guarda l'orologio) Ohi, è già menzijurnu, ni n'amu ‘e jire. Furtunà’, sbrigative ca l’ura è tarda. LINUZZA E mo' parica perditi ‘u trenu? SARINA Sai cum'è, alla casa aspettanu. FURTUNATU (Un po' brillo) A te as..pe..ttano, ma a me non mi a.spe...tte nessu..no. Vai pure Sa..ri..na se vuoi anda..re. LINUZZA GUSTINU FURTUNATU 405 SARINA FURTUNATU SARINA E l'amu fatta bona: l'arculu ha già fattu effettu! Furtunà’, te azare, senza ca fa ‘sse storie. (Lo prende per un braccio) Calma, calma che mi fai cadere. (Si alza). Me ne vengo, ma no ppe’ te, lo fazzo ppe’ Giacomino che ha de cucinare. Be, giuvinò’, sbrigative puru vue. (Si alzano tutti, visibilmente brilli) FURTUNATU Come è bulato il tempo, ppu...ppu...ppu... Ami…ci, co…glia...moci li mor..sa e jamo via. GUSTINU Ha parrato il coo.. mmannante! GASPARUZZU La ma...a.. tinata è fi..nita. PASQUALINU Sa' cche boi fa..a..re? Pa..a.. ssa dalla ca..a…ssa ca ti pagano. Tanto la fa..a..tiga è stata ranne. GASPARUZZU Ma non me fa...a..re ridere, tranganiello. Non lo viri ca nun ti reji di catrea! SARINA Me bire, me bire cumu su' cumbenati. LINUZZA Duve va penzannu, è miegliu ‘mbriachi ca malati! ‘U vinu tuostu fa brutti scherzi. GUSTINU Vo di..i..re che adesso simo pari co’ li scherzi; noi avimo sche..e..rzato col po..o..sto e tu co..ol vino. Iamo compagni, andiamo a ri..i..crinare la pella! GIACOMINU Tutt'a ‘na vota, propriu allu cchiù bellu vi ne jati? GUSTINU E cchi. bo..o..levi, ca te ma..a..nnavamo ‘n'atro avviso ppe’ Grabiele? GIACOMINU Ppe’ carità! Allura jati e attienti alle scale. GASPARUZZU Puoi sta..are squitato, ‘e gambe anco..o..ra ri..ispondo..o..no bene. GIACOMINU Speriamu bene. FURTUNATU Gia..a..comì’, ti ra..a..ccomanno, non ti avi...i...ssi de pigliare il sonno do..o..mani matino, ra..a..to ca ‘e tre..e..ntanni sei alzato se..e..mpre alle undici. GIACOMINU Nun ce pensare, haiu gia pensatu a tuttu; in previsione ‘e r’u posto m'haiu già accattatu ruve sbeglie, una ppe’ ricchia. GUSTINU Fu…u..rbo il giovanotto, non si lasce fricare! FURTUNATU Gia..a..comì’; ppe’ il regalo ci hamu de pensare be..e..ne, 406 te l'amme..e..riti grosso. Pue, pue si ne parre. Linù’, statti bona, pue ne virìmu. E parica ‘u’ n'avìmu tiempu! Io riestu ‘n'atra picca, quantu rugnu ‘na reggistrata ‘ssi becchieri. GUSTINU Ciao, ami..i..co ‘mpegato! GASPARUZZU Sta..a..moci bene e scu..u..sate le chia..a..cchiere. FURTUNATU A..a..do..o..mani. Te ra..a..ccomanno Gia..a..comì’, ca..a..rriche ‘e sbeglie. GIACOMINU Già fatto, Furtunà’, stative buoni. (Escono). Ah finarmente. (Abbracia Linuzza) Linù’, ‘u sognu è raggiunto, amu vintu! LINUZZA Me sentìa scoppiare, nun ci la facìa cchiù, volìa grirare ‘e r' a gioia ma me trattenìa. L'onorevole è statu ‘e parola, s'ammerite lu prisuttu. GIACOMINU (Raggiante) Ma ci lu rugnu tuttu ‘u puorcu! (Con le mani al cielo) Grazie Segnure, ca m'ha cacciatu e ‘ntr' e spine, era carutu e tu m’ha azatu. (Si sente un gran fracasso nelle scale) Se su’ arrozzulati! E dicica le reggìanu ‘e gambe? LINUZZA Vaiu viju? Chissà se su' fatti male! GIACOMINU Adduve va’, lassale jire, ca chissi su’ de gomma, quannu caranu rimbalzanu. LINUZZA Speriamu, si tu ‘e canusci! (Affettuosa) Ohi Giacominu mie, cumu si’ fattu ‘mportante a ‘na vota: ‘u posto alla cassa! Cchi soddisfazione! Ti la ‘mmaggini quannu passu ppe’ le vie cumu rice la gente me, chilla è la fidanzata ‘e r'u cassieri. GIACOMINU (Serio) E forse ‘u’ r'è lu veru? LINUZZA Però l'amu passata brutta, cumu l'hanno saputu cumbenare a r' arte ‘u scherzu, e cumu sapianu recitare l' ammazzati. Ma l’è juta male però, si ne su juti male cotulati, ci hannu trovatu ‘u patrune ‘ssa vota. ‘U fissiamientu l'è botatu cuntra. GIACOMINU ‘Na vota me cuntava nanna mia ca fissiati ‘mparavisu puru ci ne vannu, ma li fissiaturi scunzulati facile vita certu nun hannu. Gustinu e Gasparuzzu, povarielli, cumu ‘e cecale cantano a jurnata; Pasqualinu e Furtunatu, chiacchiaruni, ‘a trippa si la scarfanu allu sule. Sarina, GIACOMINU SARINA LINUZZA 407 LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU LINUZZA GIACOMINU tanta bona ppe’ daveru, è ‘ncappata ‘ntra ‘ssu fuocu apiccicatu, cchi ce va’ fa', vo’ bene a Furtunatu e aspette frutti ‘e ss'arberu scotulatu. (Meravigliata dal parlare forbito di Giacomino) Giacomì’, ma cchi pensieri luonghi e cunchiusi, me sta' propriu ‘ncantannu. Me sientu ‘mparavisu! Atterre Linù’, ca me siervi cca a mmie, supr'a terra. Certo Giacomì’, certu. Simu fatti unu ppe’ l'atra nue, cumu ‘na pigna, junti ppe’ sempre! Ccu’ tie vicinu a vita me pare ‘n'autostrada, larga e ‘mpara. Linù’, a via cchiu è larga e deritta e cchiù è pericolosa! Amu ‘e stare attienti. E nue stamu attienti, vo’ dire ca ‘nu pocu accelleramu e ‘n'atru pocu frenamu. Brava, mo’ ha rittu ‘na cosa giusta! Si se camine sempre ccu’ l'accelleratore a tavoletta prima o pue se fonde lu motore. E chine n'a fa fare. L'amici chissu volissinu, ca carissimu ‘mbascia furtuna ppe ‘sse ricriare. Ma ‘ssu jurnu ‘u’ lu viranu mai, ormai simu azati, ‘nfunnu nun ce jamu cchiù. Dio ‘u volissi Linù’; amu assapuratu tutte l'amarizze, ‘u sc-cantu l'amu avùtu e de cchi manera: l’errami amici n'hannu fattu purgare alla rijuna, ma pue ne simu abbutti ‘e gran pitanza. ‘Ssa vota l' è jutu male ‘u granne scherzu e cotulati s'hannu cuotu ‘a cura. Ma rancore nun ne tiegnu ‘ntra lu core, l'amici ppe’ mie su' cari cchiù de prima, puru si ‘a commedia l’hannu fatta a dramma, comunque ppe’ ‘ss'atra vota s'acchiappanu allu tramm! CALA IL SIPARIO 408 Ringraziamenti Ringrazio innanzitutto il Presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, per la sensibilità dimostrata e gli apprezzamenti fatti riguardo la mia produzione letteraria. Ringrazio ancora la prof.ssa Erminia Barca, il prof. Giovanni Curcio e il prof. Giulio Palange per la loro preziosa collaborazione e per i lusinghieri giudizi espressi nelle loro rispettive prefazioni. Un sentito grazie va anche agli ingegneri Vincenzo Martire e Francesca Leonetti, nonché a Sabrina e Salvatore Martire, per il paziente lavoro di trasformazione in formato digitale delle opere che giacevano solo sulla carta. Infine desidero ringraziare l’amico Saverio Barca, per avermi dato stimoli ed incoraggiamento alla pubblicazione delle mie opere. 409 INDICE • Presentazione di Mario Oliverio • - Commenti critici: E se fosse guerriglia? del Prof. Giulio Palange ‘A vijielia ‘e Natale della Prof.ssa Erminia Barca Arte e vita nel teatro di Tonino Martire del Prof. Giovanni Curcio - Poesie: ‘Ssa vita Vernata amara ‘A penzione ‘U trainieri Cuntadinelle ‘A sarcinara ‘U gaviu ‘nzuonnu ‘A furnara Nicola e llu ciucciu ‘A cascia Serenata ‘A cuccia Jazza Ricordi ‘A zita Alla ‘mbrunata ‘A pisca Frati re sordi ‘A ‘mbiria ‘U fringillu L’anim’umanu ‘U poveru e la gallina ‘U caru libru Uomini e animali Fortuna ‘U poveru cristianu ‘A vurpicella Tire c’arrenne • 410 • L’asta ‘e Geppinu ‘E curve ‘U ricursu ‘U caru petroliu Onorevoli ‘e razza I privessuri Pagliette e balice ‘U cane ‘talianu ‘U cane delusu ‘A rana e llu crac Gente r’onure Scirocco anticu ‘U paise ‘A chiazza Rughella antica ‘U fuocu ‘e Natale ‘U campanaru ‘A Pecorella scippatore ‘U pane Za’ Vicenza Pensieri Munnu ‘mbrogliatu Amure Passione Capricciusella Teatro: - ‘A vijielia ‘e Natale - Le campagne dell’onorevole - ‘U scalune ‘e re cummari - L’amure nun s’accatte - ‘U postu ‘e Giacominu • . . Ringraziamenti 411 PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA ALL’AUTORE 412