IL MISTERO DELL'«UNA CARO» don Giorgio Mazzanti PARTE PRIMA Quando parliamo di matrimonio non dobbiamo dimenticare il suo significato etimologico. Esso significa matris munus, compito della madre, che si contrappone al patri-monio. In quanto tale esso non è rintracciabile nella Bibbia; il testo biblico non conosce quel termine. Il termine matrimonio ha una connotazione giuridica, entrata nella Chiesa occidentale a partire dal IV secolo. Un punto nevralgico è quello di precisare l'istituzione del sacramento nuziale da parte di Cristo. Ancora oggi ci si chiede quando Cristo abbia istituito tale sacramento. Alcuni hanno voluto vedere nella presenza di Cristo a Cana il momento fondativo del sacramento nuziale. Tuttavia, tenendo conto della dinamica del segno del Cristo alle nozze di Cana, questo non è sostenibile. Neppure il concilio di Trento, che pure aveva l'urgenza di dire che Cristo aveva istituito il sacramento delle nozze, ha preso in considerazione il fatto delle nozze di Cana, perché esse non posero alcuna istituzione sacramentale. Gesù e le nozze Risulta difficile trovare un momento puntuale, un luogo preciso in cui Cristo si sia pronunciato in tema di nozze. Alcuni studiosi prendono in considerazione il passo in cui Cristo, richiesto se sia possibile ripudiare la moglie per qualsiasi moti- vo (e secondo la legislazione ebraica anche una frittata bruciata o una donna più bella erano validi motivi per tale ripudio), rispose: «Non avete letto che il Creatore dal principio li creò maschio e femmina?», dando prova di conoscere il primo racconto della Genesi. Cristo cita Genesi 1,17 e la unisce a Genesi 2,24 fornendone una chiave esegetica di interpretazione. Proviamo ad analizzare. «Li creò maschio e femmina»: maschio, «aguzzo e appuntito: il pene»; e femmina, «forata: la vagina». Non vi è scritto uomo e donna ma maschio e femmina, termini ebraici che fanno riferimento alla dimensione fisiologica. Tale rilievo non fa riferimento al mito dell’androgino. Mircea Eliade, lo studioso di religioni primitive, è molto onesto nel riconoscere che nel testo della Genesi non si può registrare la presenza del mito dell'androgino, come se ci fosse stato in origine un tutt'uno e poi fosse subentrato il «sesso» (sectus, da secare, tagliare), la divisione divaricante dell'androgino, determinando così una concezione della sessualità come realtà divisa, come realtà ferita dall'inizio. Isidoro di Siviglia riprende e diffonde questo tipo di etimologia, secondo la quale sesso viene da «tagliare»; Dio avrebbe tagliato (androgino originario per dividerlo in due esseri e «farli maschio e femmina». Ma questo nella Genesi non c'è, e anche Eliade lo riconosce. Non si deve temere di lasciare cadere una interpretazione addotta da alcuni Padri della Chiesa. Occorre riconoscere, con altri Padri della Chiesa, che la distinzione sessuale non è conseguenza del peccato, ma è originaria, costitutiva, precede il peccato. Affermare che la sessualità sia una mancanza, una nostalgia, una ricerca di recuperare l'unità perduta può avere anche un carattere romantico. Male cose non stanno così. Quando Dio ha creato il maschio e la femmina, li ha creati embricati. Non si può dire «maschio» senza rapportarsi alla «femmina»; maschio e femmina costituiscono un rimando specifi1 co, inevitabile. Maschio non dice riferimento ad un «altro» indifferenziato; ma ad un altro caratterizzato al femminile. Questo vale anche quando si parla del femminile. L'alterità in quanto tale non esprime il mistero e la realtà della sessualità umana. L'alterità è una cosa diversa dalla distinzione maschile femminile. Anche l'albero è altro da me; ma quando dico «albero» non dico necessariamente «uomo». Mentre, se dico «maschio», richiamo necessariamente il femminile e viceversa. Questo fatto è così inevitabile che persino in una coppia di omosessuali c'è un partner che riveste un ruolo maschile ed uno quello femminile. Anche tale rilievo sta a dire che «maschile» e «femminile» sono categorie assolute, dalle quali non si può prescindere; sono realtà costitutive ed embricate, relazionate: non è possibile essere l'uno senza rapportarsi all’altro. Tale è la realtà e la condizione dell'umana persona, che essa non può prescindere da tale distinzione e può prendere coscienza di sé proprio dentro e grazie a tale distinzione. Sostenere che una persona è tale in quanto «individuo sussistente» è inesatto. Alcuni ritengono che la persona prenda coscienza di sé «riflettendo» su se stessa, come se la riflessione fosse sufficiente per divenire persona: ma ciò non è reale poiché già nel momento della nascita siamo inseriti in una rete di relazioni, e lo siamo persino durante la permanenza nel grembo materno. Si potrebbe dire che la prima coscienza di noi stessi deriva dalle nostre prime relazioni (con la madre, il padre, i familiari). Persona dice relazione e relazione con altre persone distinte da sé. «Persona» in latino deriva da per sonans, «suona attraverso»; era il nome della maschera che veniva anche utilizzata come amplificatore, come una sorta di megafono. Quindi «persona» non era un termine tecnico-specialistico di una qualche filosofia. Quando i primi concili della Chiesa se ne sono serviti non si sono ispirati ad al- cuna scuola filosofica del tempo. In greco «persona» si dice prosopon: guardo verso, rivolto a; persona come prospiciente, prospettico. Tale etimologia sta a dire che non esiste una persona che non sia «prospiciente» ad un'altra. La persona è volto; e il volto è tale solo se è ri-volto ad un altro: io sono un volto in quanto ri-volto ad un altro volto; altrimenti non sarei me stesso. Il simbolo Un'altra importante osservazione di carattere preliminare è quella di riconoscere che il simbolo non nasce in seguito ad una frattura, dopo una separazione. Anche questa è un'interpretazione condizionata dalla cultura occidentale. Ciò è strettamente collegato alla concezione della simbolica sessuale. Abbiamo già detto che essa non sorge da una ferita, da un taglio originario, ma che dall'origine maschio e femmina sono posti da sempre come tra loro relazionati. La distinzione sessuale, e anche la realtà del simbolo che essa veicola e regge, non vengono dopo una ferita, ma sono dati/fatti costitutivi. Simbolo e distinzione sessuale sono realtà originaria e positiva. Simbolo viene da sym-ballo, metto insieme. Il simbolo originario (non derivato, come quello della chimica), il simbolo forte è costitutivo del reale: esso non è successivo, non viene per riparare. L'origine del simbolo viene fatta risalire al coccio su cui nella Grecia antica veniva scritto un patto, spezzato poi in due parti che erano segni dello stesso patto e rimanevano in possesso ai due contraenti. Ma questo è comunque un fatto culturale. Si può trovare un altro esempio di simbolo forte, origina2 rio. Il sangue, ad esempio, è simbolo della vita e lo è presso tutte le culture e presso tutti i popoli. Tale simbolo è costitutivo del reale. Quindi, in quanto tale, il simbolo è positivo. Il contrario di «simbolo» è «diavolo». Nel Vangelo di Giovanni si dice che il diavolo quando «dice il falso/la menzogna parla/prende del suo», poiché il diavolo è menzognero e omicida fin da principio. E nella parabola della zizzania si dice che Dio ha seminato un seme buono, e la zizzania c'è perché è giunto il diavolo a spargerla: il positivo precede il negativo. Il maschile e il femminile ci caratterizzano: nessun prete, nessuna suora, neanche il Cristo può prescindere da questo. C'è un commento al Vangelo di Giovanni sul brano della Samaritana, che riporta in nota: «In fondo era indifferente che fosse una donna a incontrare il Cristo; è sufficiente dire che si tratta di una persona». Ciò dimostra un fraintendimento che rischia di non comprendere nulla di Gesù Cristo, né della logica del Vangelo di Giovanni. In realtà, il testo giovanneo dice che Cristo aveva voluto realmente incontrare la Samaritana perché era una donna ed era una donna fatta così, non una persona generica. La distinzione Parlando della sessualità umana maschile e femminile, è meglio usare il termine «distinzione», anziché «differenza» o «alterità». Esso ha il vantaggio di poter riconoscere che un uomo e una donna, anche nei loro rapporti sessuali, pur unendosi restano distinti: il massimo dell'unione celebra il massimo della distinzione. Il giorno in cui l'unione sopprimesse la distinzione non ci sarebbe più l’incontro delle due persone. Questo è chiaro a livello fisiologico, psichico e spirituale: il giorno in cui tu diventi uguale all'altro, non esiste più la coppia. Mi ha convinto ad usare la parola «distinzione» il libro Sesso e carattere (1903) di Otto Weininger. Questi, impostando il rapporto uomo donna sulla loro differenza, giunse a disprezzare il femminile «differente» dal maschile. È sintomatico che un discorso che vuole vertere sulla sessualità finisca in un discorso che disprezza il femminile. Questo libro piaceva molto a Hitler, che lo fece suo. Di quel libro Hitler amava la logica: quanto è giudicato/ritenuto differente viene declassato, disprezzato e alla fin fine va eliminato, perché la differenza è difficile da accettare. La parola «distinzione», invece, implica il fatto che io, senza di te, non possa essere me stesso, ma non per carità cristiana o per compassione. Non ci si sposa per fare un'opera di misericordia! La distinzione permette di dire che il nuziale, lo sponsale sono costitutivi. Non si tratta perciò di una distinzione qualsiasi, ma di una distinzione inevitabile, ontologica ed essenziale, dalla quale non posso prescindere se non a costo di rovinare me stesso e l'altra persona. Dunque anche un sacerdote, un vescovo, un prete devono avere un'autentica relazione con il maschile e il femminile, altrimenti finiscono per diventare esseri «neutri», cessano di essere se stessi, smarriscono se stessi, poiché rinnegare la propria realtà profonda crea danni gravi, anche a livello psichico. La relazione autentica del maschile e del femminile non necessariamente implica l’esercizio genitale. Ci sono persone coniugate che non sono diventate uomo e donna; e ci sono genitori che non sono diventati padre e madre. Cristo invece era un uomo autentico nelle sua relazioni umane e femminili. Tutta la filosofia e la teologia precedente a Cristo è monistica: tutto è Uno e tutto deve ritornare ad Uno. Un'impostazione che continua anche dopo Cristo e anche in ambito cristiano. In Hegel, in fondo, la Trinità costituisce e rappresenta solo un processo dialettico, perché alla fine deve prevalere l'Uno. Col 3 Cristo, che è il mono-genito, si opera il passaggio dall'Uno (monoteistico) all’Unico. Dio non è un solo/solitario; Egli è Unico ma dentro una comunione di Persone, una comunione tosi profonda da rendere Unico Dio. Questa prospettiva di comunione di persone è aperta da Dio stesso a tutti gli uomini. Alla fine di tutto c'è l’Apocalisse, che si chiude con la presenza dello Sposo e della Sposa, con la celebrazione delle nozze tra l'umanità e Dio. Nozze che manterranno intatta la distinzione per tutta l'eternità tra Dio e l'uomo. Nelle nozze eterne, Dio si unisce all'umana persona ma non la distrugge. Dio non fagocita l'uomo, lo vuole unito a sé pur nell'assoluta distinzione tra Creatore e creatura. È bellissimo che la storia della salvezza termini con l'immagine nuziale: si può, diventare un tutt'uno con Dio rimanendo eternamente distinti da Lui. Proprio la distinzione da Dio diventa l'occasione dell'unione con Lui. Non è un caso che alla fine dell'Apocalisse ci sia questa immagine nuziale come chiave di volta di tutta la storia della salvezza. Tale elemento diverrà un punto molto forte in rapporto alle altre mistiche, quasi tutte «fusive». La fusione, presa alla lettera, alla fine elimina la distinzione; mentre Dio ci vuole sposare per sempre con Lui mantenendoci nella distinzione da Lui, unendoci a Lui senza diluirci, o dissolverci in una vaga deità. Anche da questa angolazione si può cogliere e sottolineare un fatto che qualcuno può disapprovare ed evitare: ci si accorge che la fisiologia è la base della spiritualità. Anche san Francesco, alla fine, si accorse di aver esagerato con la durezza verso il corpo e impedì ai suoi di fare penitenza. Cristo stesso non si pronunciò mai negativamente nei confronti del corpo. Per questo è necessario amare la totalità di se stessi: chi si censura o ha dei blocchi non può essere libero. L'ascesi non è distruttiva; l'ascesi è per la gioia della resurrezione. Occorre raggiungere la vera libertà interiore. Jean-Marie Déchanet narra di una donna che vuole tentare san Tommaso d'Aquino, il quale cerca di scacciarla con dei tizzoni ardenti, e di un'altra che vuole tentare san Bernardo che riposa, il quale non fa che girarsi dall'altra parte e riprendere a dormire. Non si può restare sempre sulla difensiva senza avere risolto i problemi interiori. Rileggendo attentamente il Vangelo ci si accorge che Gesù Cristo ci fa capire che maschile e femminile sono da intendersi come un dato donato, come dote: Dio riconosce il nostro dato fisiologico. Questo è solo un punto di partenza. Ma se noi restiamo al livello maschile o femminile fisiologico siamo ancora a livello animale: occorre diventare uomo o donna. Il maschile e femminile iniziali sono solo una dote che ci è donata affinché sia plasmata e modificata da noi. Occorre passare dall'essere maschio e femmina all'essere uomo e donna. Può accadere che all'interno della vita di coppia si abbiano rapporti sessuali, si generino figli, ma non si diventi mai veri uomini e vere donne, perché non si scavalca mai il piano puramente fisiologico. L'indicazione di Cristo è perciò quella di attuare il passaggio da una dimensione di datità iniziale alla plasmazione di una vera maturità di uomo e donna: per usare il linguaggio della psicologa Jole Baldaro Verde, si tratta di passare dalla ginnastica sessuale alla tenerezza, ove la tenerezza non è languore, ma la profondità di una persona completamente realizzata. Si dà nella vita umana come un passaggio interno cruciale inevitabile e decisivo. Questo è possibile nello «spirito» grazie allo Spirito. Nell’amore nuziale e nei suoi gesti c'è una profondità ontologica: nella relazione sponsale crei l'altro, lo plasmi e continui l'atto iniziale con cui Dio ha posto l'altra presenza, l'atto con cui Dio l'ha creata e plasmata. 4