croce e gramsci: il papa laico e la religione del

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CROCE E GRAMSCI: IL PAPA LAICO E LA RELIGIONE DEL
COMUNISMO
Sommario: 1. La società di massa e la crisi dello Stato liberale - 2. Stato e società civile
- 3. Religione, religiosità, ideologia - 4. Coscienza morale e coscienza collettiva - 5. Il
nodo gordiano della politica - 6. Dialettica e storia.
1. LA SOCIETÀ DI MASSA E LA CRISI DELLO STATO LIBERALE
Il rapporto Croce-Gramsci, appare sempre in sottofondo nella storia della
storiografia, sottofondo che eventi politici o contingenti ed interessi diversi
impediscono di portare a piena luce. Il pensiero di Gramsci che nasce e si sviluppa
nell’Italia di Croce e di Gentile, nella maturità dei Quaderni è in buona sostanza
confronto sia con il neo-idealismo italiano sia con l’evento della rivoluzione d’ottobre
e con la figura di Lenin. La necessità politica immediata di formare la nuova Italia
sull’antifascismo ha fatto perdere di vista l’intimo legame che vi è tra il neoidealismo
italiano Croce e Gentile e la sinistra hegeliana intimo legame di cui Gramsci sembra
essere uno dei migliori testimoni. Vicino a Lenin è dunque Gramsci in quanto sempre
rivoluzionario e critico nei confronti della social-democrazia, non disposto quindi a
vivere senza religione come Croce, ovvero non disposto ad epurare il marxismo da
ogni aspetto ‘messianico’. Dove trovare sennò la forza per l’azione nel momento in
cui lo spirito critico ha corroso tutto e non rimane più nulla in cui credere? Vicino a
Croce, però, per la sua netta opposizione allo scientismo e a qualsiasi altra
interpretazione del marxismo che non riservi un posto centrale alla libertà creatrice del
soggetto. Un pensiero dunque cresciuto nel clima dell’neo-idealismo italiano si trova
ad interpretare il ruolo di polo di ricostruzione dell’Italia post-crociana e postgentiliana. Ragioni di politica contingente non potevano che far inclinare
l’interpretazione del pensiero di Gramsci verso il marx-leninismo. La linea togliattiana
di sostanziale continuità vedeva in De Sanctis, Labriola e Gramsci la via italiana al
socialismo. L’anima neoidealista finiva per cadere in secondo piano, in quanto
ricostruzione significava gioco-forza opposizione alla cultura di prima della guerra,
Croce e Gentile. Politicamente assai scomodo poteva essere un Gramsci ‘eterodosso’
che riaprisse la questione dei rapporti Hegel-Marx e sopratutto quella dell’eredità del
neo-idealismo italiano nella cultura di sinistra del novecento. Croce e Gentile erano i
nemici da combattere, come riconoscere dunque il loro fondamentale apporto
nell’emancipazione del marxismo dal positivismo ed il suo avvicinamento allo
storicismo di cui proprio la figura di Gramsci rappresenta uno dei poli fondamentali?.
Il confronto Croce-Gramsci si situa tra gli anni venti e gli anni trenta del
novecento. I pensieri di Gramsci e Croce si incrociano attorno a quelli che saranno
gli eventi fondamentali di quegli anni: Rivoluzione d’ottobre, crisi dello Stato liberale,
1
arrivo della società di massa. Scrive Calabrò: “La fine della guerra aveva portato in
piena luce la crisi di egemonia della classe dirigente prebellica, e aveva sottolineato la
sua incapacità a fronteggiare i nuovi problemi ed uno scenario politico che vedeva in
primo piano gruppi e classi sociali fino ad allora esclusi dalla politica”1.
Croce è allergico al processo di massificazione in quanto la sua filosofia quasi
per volontà intrinseca, sembra reticente alla volgarizzazione che è necessariamente
sinonimo di banalizzazione e di trasformazione del pensiero critico in ipostatizzanti
concezioni fideistiche od ideologiche. Questo il necessario prezzo da pagare per
divenire “popolari!”. Di riflesso la parte attiva di tal ragionamento è una difesa ante
litteram dell’irriducibilità dell’individuo che la società di massa, ora sembra più evidente
di allora, schiaccia. La parte negativa è invece il rifiuto di divenire popolare. Gramsci
d’altro canto si apre alla problematica della società di massa, riconoscendo che il
divenire popolare è condizione di fruttuosità della filosofia e non rifiuta, anzi
appoggia, la trasformazione di filosofia in ideologia, e la trasformazione del pensiero
critico in fede che è, al contempo, certezza che conduce all’azione. D’altro lato ciò che
la riflessione gramsciana sembra a tratti dimenticare, è proprio ciò che si perde nella
società di massa omogeneizzante, l’unicità dell’individuo e la sua dimensione interiore.
Tale unicità pregiudica l’unità di filosofia e politica e quella di filosofia ed ideologia.
La filosofia critica diviene certezza dell’azione e si massifica, questa la condizione
necessaria per poter essere significativa storicamente, ma che fine fa la dimensione
interiore del soggetto?
Da un punto di vista politico, dunque, la crisi dello Stato liberale e del
parlamentarismo che corrisponde all’avvento della società di massa e del fascismo è lo
scenario nel quale si combatte il duello Croce-Gramsci. Scrive Garin: “Un discorso tra
Gramsci e Croce può configurarsi innanzi tutto come un parallelo fra due destini in
cui leggere rispecchiato uno dei tratti più travagliati della storia d’Italia. Non difficile
innalzarli a simboli e addensare attorno alle loro immagini la tensione di qualche
decennio: da un lato la nobile difesa di una tradizione e di una eredità pur valida;
d’altro lato lo sforzo eroico verso un futuro più umano”2.
Gramsci fa inclinare il soggetto verso la polis con la sua unità di filosofia e
politica e con la coscienza collettiva, Croce, di contro con la coscienza morale e con la
storia come storia della libertà, sembra non voler dimenticare che lo stato moderno
non è la polis e che dalla scissione giudeo-cristiana non si torna indietro. Croce
rappresenta lo Stato liberale, Gramsci la società di massa, entrambi vincenti e perdenti,
nell’unità di filosofia e politica vi è per via di negazione la nuova religione della politica
che tra gli anni trenta e la seconda guerra mondiale sarà portata alle estreme
conseguenze, nella distinzione di filosofia e politica vi è il tentativo di mediazione
dello Stato liberale, che dovrà subire prima il suo annientamento e poi radicali
trasformazioni per accogliere ineluttabilmente la società di massa. Scrive Galasso:
”Non avrai altro Dio all’infuori di me dicevano le nuove forze politiche; e ciò mentre
ogni divinità sul orizzonte del pensiero e dello spirito europei svaniva in una nebbia
G. Calabrò, Qualche considerazione sul problema Macchiavelli, in AAVV, Gramsci e il partito politico nei Quaderni,
Firenze, 2001, p. 194.
2 E. Garin, La formazione di Gramsci e Croce, in Quaderni di critica marxista , n. 3, 1967, p. 199.
1
2
incerta e confusa. …Il totalitarismo del XX esprimeva le forze, gli equilibri e i
contrasti di tutta un’altra società, della società industriale- e della civiltà di massa
nell’epoca della sua ormai piena maturità”3. Entrambi rompono il circolo progressivo
hegeliano di religione politica e filosofia. Il pensiero di Hegel sembra ben identificare il
rapporto di unità e contraddizione che lega inscindibilmente queste tre dimensioni
dell’umano, sia tra di loro che all’individuo in quanto soggetto creatore, in ciò è anche
contenuto l’incipit di quella crisi del dualismo che permea il pensiero dal cristianesimo
fino a Kant. La messa in crisi di tale dualismo è ritorno alla polis. In Hegel però il
ritorno alla polis non è negazione della dimensione interiore del soggetto che il
cristianesimo aveva portato alla luce e il Rinascimento avviato verso la
secolarizzazione. Tale circolo progressivo è rotto in Gramsci con l’identificazione di
filosofia e politica e di filosofia e ideologia. Che fine fa, in questa identificazione la
dimensione interiore del soggetto? L’identificazione di filosofia e politica vede
l’individuo solo come membro della polis e non come partecipe dell’universale. Nel
mondo moderno in cui vi è lo Stato e non più la città-Stato il soggetto non è solo
cittadino e non vive in rapporto organico con il politico, ma ha anche una dimensione
sia di bourgeois sia di interiorità. D’altra parte il Croce di Etica e politica, nell’identificare
politica e passionalità ha ragione e torto, di fatto la politica è tagliata fuori dal circolo
di filosofia e religione non governata più dalla ragione. Con la volontà di opporsi al
socialismo scientista e quindi di levare ogni statuto epistemologico all’azione politica,
Croce finisce per scinderla dal principio di ragione e lasciarla al dominio delle passioni.
Cosa che per via di negazione porta alle accuse di Gramsci di ponziopilatismo. La
libertà come valore supremo, che accompagna la riforma filosofica ma non politica
della dialettica hegeliana, esprime in realtà una posizione sia filosofica che politica. Da
una parte vi è il tentativo di salvataggio della dimensione interiore del soggetto da un
punto di vista filosofico e dello Stato liberale da un punto di vista politico. Dall’altra
però vi è la mancata presa di coscienza dell’avvento della società di massa di cui uno
dei simboli e il partito che Croce finisce per rifiutare e Gramsci invece accetta. Il
Parlamento, per Gramsci, deve non solo essere la sede in cui oi aristoi governano ma
deve rappresentare l’ingresso della società di massa, la società civile, nel governo dello
Stato. Tornare ad Hegel significa per Croce opposizione ad una visione del soggetto
che perda ogni rapporto con la totalità, ed altresì opposizione ad una visione
economicista del liberalismo: “Quando al liberalismo economico è stato conferito il
valore di legge sociale…esso da legittimo principio economico, si è convertito in
illegittima teoria etica, in una morale edonistica ed utilitaria, la quale assume a criterio
di bene la massima soddisfazione dei desideri in quanto tali…Nell’indebito
innalzamento del principio economico liberistico a legge sociale è la ragione onde è
parso che quel principio stesso dovesse essere negato”4. Rifiuto inoltre di ogni tipo di
metafisica dualistica che veda l’uomo non vivere nella verità e nella storia, ma nella
perenne attesa di un supposto “paradiso” che sia nell’aldilà o da realizzarsi sulla terra.
Per Gramsci tornare a Hegel era volger l’occhio ad altri avversari ma dire in sostanza
3
4
G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, in Croce, Gramsci e altri storici, Milano 1969, p.94.
B. Croce, Liberismo e liberalismo, in G. Malagodi (a cura di), Liberismo e liberalismo, Napoli, 1953, p.12.
3
la stessa cosa. Opposizione da una parte ad una visione economicista e volgare del
materialismo (Bucharin) che nel dualismo struttura- superstruttura non teneva conto
della loro reciproca interazione, che voleva dire altresì reciproca interrelazione
dell’economico sociale con l’etico politico. Scrive Badaloni: ”Gramsci…considera
infantilismo la riduzione di ogni fluttuazione politica a immediata espressione della
struttura e vede invece una interconnessione tra sovrastrutture complesse e movimenti
organici della struttura (blocco storico)” 5. Opposizione dall’altra ad ogni forma di
volontarismo che non tenesse conto del fatto che il potere creatore del soggetto
diviene concreto solo nell’effettualità del divenire storico.
2. STATO E SOCIETÀ CIVILE
Il pensiero di Gramsci è tappa essenziale nel liberare il marxismo dal mito
della estinzione dello Stato. Stato e società civile la distinzione coniata da Hegel
delinea si la crisi del liberalismo puro ma appare essenziale alla modernità. Scrive
Bobbio: “L’estinzione dello Stato nella società senza classi è una tesi costante degli
scritti di Lenin durante la rivoluzione, è un ideale limite del marxismo ortodosso. Nei
quaderni scritti quando il nuovo Stato è ormai saldamente costituito, il tema è presente
ma in forma marginale. Nella maggior parte dei pochi passi che vi accennano, la fine
dello Stato è concepita come un riassorbimento della società politica nella società
civile. La società senza Stato che Gramsci chiama società regolata, risulta dunque
dall’allargamento della società civile, e quindi del momento dell’egemonia”6.
Sia Croce che Gramsci dunque rifiutano la diade classico liberale tra
individuo e Stato. Vedendo la questione nei termini hegeliani di Stato e società civile,
si oppongono alla visione per così dire smithiana o liberale classica, condivisa invece
da Einaudi, dello Stato come ‘guardiano notturno’. Scrive Bonetti: “Gramsci fa notare
come la distinzione che viene spesso posta dai teorici del liberalismo tra Stato ‘veilleur
de nuit’ …e Stato etico di hegeliana ascendenza, è assai più apparente che reale. Infatti
se lo Stato etico implica una precisa attività educativa e morale dello Stato laico in
contrapposizione a quella dell’organizzazione ecclesiasitica. Lo Stato ‘veilleur de nuit’
non è da meno, poiché implica un grande sviluppo ed una complessa articolazione di
quella società civile nella quale, attraverso un gran numero di organismi privati, la
borghesia giunta al culmine del suo dominio, esercita su tutte le classi sociali una
effettiva opera di direzione etico-culturale” 7.
L’assunto del marxismo classico dell’abolizione dello Stato nell’inveramento
della società comunista sfuma nel pensiero gramsciano in una continua tensione a far
prevalere il momento del consenso che nasce dalla società civile su quello dello Statoapparato. Scrive Montanari: “Gramsci opera un mutamento profondo del paradigma
N. Badaloni, Marxismo e teoria politica in Gramsci, in Gramsci e il marxismo contemporaneo, Roma, 1990. Atti
del convegno di Pontignano 27-30 aprile 1987, p. 21.
6 N. Bobbio, Gramsci e la concezione della società civile, Milano, 1976, pp. 40-41. (E’ il testo dell’intervento al
convegno gramsciano di Cagliari del 1967).
7 P. Bonetti, Gramsci e la società liberal democratica, Bari, 1980, p.165.
5
4
marxista. Nella sua prospettiva la forma giuridico-politica di una Nazione determina e
governa la struttura del mercato. Perciò, quando egli si porrà il problema del
riassorbimento dello Stato nella società civile, questo non vorrà significare la
proposizione leninista dell’estinzione dello Stato, ma la presa d’atto che il
potenziamento della società civile e la unificazione sopranazionale dei mercati
pongono il problema di un nuovo ordine politico…rispetto a ciò risulta obsoleta la
tradizione del marxismo popolaresco e superstizioso, ma appare obsoleta anche al
chiusura in un costituzionalismo liberale che non vede l’incrinarsi del magistero eticoeducativo dello stato-nazione e della sue capacità di governare gli interessi
particolari” 8.
Acquista, dunque, nuova attualità la partizione hegeliana tra Stato e società
civile in rapporto alla crisi dello Stato liberale. Il concetto di società civile diviene in
Croce rifiuto della mera contrapposizione individuo-Stato, in Gramsci diviene
esaltazione del momento dell’egemonia e quindi del consenso rispetto al leniniano
concetto d’avanguardia, che evidenzia maggiormente il momento della forza.
L’avvento della società di massa iniziato in Italia con il fascismo e portato a pieno
sviluppo nel secondo dopoguerra ha mutato profondamente la natura dello Stato
liberale che è divenuto stato delle masse e dei partiti. Da una parte, dunque, tendenza
all’universalizzazione ma dall’altra alla massificazione. L’abolizione della forma statale
sembra utopia, essa quindi sopravvive seppur mutata, la borghesia è divenuta ceto
medio assorbendo in sé gran parte della classe lavoratrice. Le istituzioni nate con il
liberalismo sembrano le uniche in grado, ad oggi, di passare dal movimento
all’incanalazione del consenso nel concreto.
La distinzione popolo-classe dirigente, tuttavia, è accettata sia da Croce che
da Gramsci, in Croce la filosofia è per pochi e la religione per il popolo. In Gramsci la
concezione meccanicista del materialismo è buona per le masse, avvezze a ragionare
nel dualismo. In entrambi i pensatori il realismo di tale distinzione è correlato ad una
perenne tensione ideale che auspica alla continua riduzione della forbice che divide gli
intellettuali dai semplici. Il liberale Croce vede la tensione verso l’universale come
necessaria affinché il liberalismo non si riduca ad oligarchia. Il comunista Gramsci
vede la distinzione di intellettuali e semplici come limite che deve essere superato nella
tensione verso il comunismo. La rottura del sistema hegeliano diviene la tensione
creatrice nel nec tecum nec sine te vivere possum di Croce e Gramsci, Croce il liberale,
Gramsci il comunista. Un liberalismo sempre reticente a trasformarsi in mero
aristocraticismo od elitismo poiché sempre riluttante a perdere il suo rapporto con
l’universale, si confronta ora con un ideale comunistico sempre reticente nel
mortificare la libertà soggettiva, sempre attento a far sì che l’ideale di libertà non
divenga, nell’effettualità della sua realizzazione, Terrore. L’ombra di Hegel simboleggia
dunque il sottile ruscello della libertà tra la crisi dello Stato liberale e l’avvento della
società di massa, ombra che con l’incalzare del bipolarismo andò sempre più
M. Montanari, Verso al democrazia. Osservazioni su etica e politica, in Gramsci:i Quaderni dal carcere una riflessione
politica incompiuta, a cura di S. Mastellone, Torino, 1997, p.132.
8
5
dissolvendosi, divenendo Terrore e culto della personalità da una parte, società dei
consumi e venerazione del Dio denaro dall’altra.
3. RELIGIONE , RELIGIOSITÀ, IDEOLOGIA
Trait d’union tra Croce e Gramsci è la religione, intesa rispettivamente come
‘religiosità’ e come fede in un ideologia politica, essa riesce a tener vivo il legame tra
intellettuali e masse. La Chiesa, tuttavia, secondo Gramsci instaura tra intellettuali e
semplici un legame paternalistico che inibisce il diffondersi della nuova fede nella
filosofia della prassi. Per Croce invece la Chiesa ha funzione positiva in quanto
pedagogia per le masse e salvataggio dall’anarchia, ma la religione è infanzia
dell’umanità ed infanzia del singolo, che divenendo adulto e consapevole, impara a
vivere senza religione. Il comune bersaglio polemico è un atteggiamento dogmatico e
confessionale, ma la reciproca accusa è di mantenere un atteggiamento dogmatico,
Materia ‘Dio ascoso’9 da una parte, religione come religione della libertà dall’altra. La
concezione del marxismo come religione sembra indirettamente confutare la tesi
dell’unica validità del marxismo come canone d’interpretazione storica. Scrive
Luporini: “Il marxismo non è per Gramsci soltanto un metodo ma è una filosofia in
quanto concezione della realtà (concezione del mondo) ed indirizzo dell’agire
(ideologia politica). Il momento metodico ed il momento concezione del mondo si
condizionano e provano reciprocamente, non sono separabili senza grave
deformazione”10.
La storia etico-politica che per Croce è l’unica storia possibile è per Gramsci
una visione del mondo valevole come canone d’interpretazione. Scrive
Tertullian:”L’atteggiamento di Gramsci nei confronti di Croce è profondamente
ambivalente e denso di sfumature. Abbiamo visto che egli respinge con vigore il
tentativo di Croce di ridurre la concezione marxista della storia ad un determinismo
monocausale ed unilineare: Gramsci protesta energicamente contro l’identificazione
operata da Croce tra l’economia come l’intendeva Marx e un Deus absconditus della
storia, identificazione che trasformava l’economia in un semplice rovesciamento
dell’Idea hegeliana” 11.
Croce è un laico con grande nostalgia della religione laddove per religione non
si deve intendere un atteggiamento dogmatico o confessionale ma semplicemente una
ragione per vivere. Nella sua distruzione della metafisica egli ha quindi nostalgia della
metafisica stessa. “L’uomo otterrà ancora una volta il suo Dio, il Dio che gli è
adeguato. Perché senza religiosità, cioè senza poesia senza eroismo, senza coscienza
“Il naturalismo si corona sempre di una filosofia della storia…o che l’universo venga da esso spiegato
con gli atomi che si accozzano…o che chiami il Dio ascoso, Materia o Incosciente o in altro modo; o
infine che lo concepisca come una intelligenza che si vale, per mettere in atto i suoi consigli, della catena
della cause”. B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Milano, 2001, p.75.
10 C. Luporini, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci, in Atti del convegno tenuto a
Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, Roma 1958, pp. 38-39.
11 N. Tertullian, Gramsci l’Anticroce e la filosofia di Lukàcs, in Gramsci e il marxismo contemporaneo, Roma, 1990.
Atti del convegno di Pontignano 27-30 aprile 1987, p.316.
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dell’universale, senza armonia senza sentire aristocratico, nessuna società vivrebbe; e
l’umana società vuol vivere, non foss’altro per questo, che essa non può morire”12.
Gramsci è invece un religioso che tende al laicismo, la sua religione ovvero la sua
metafisica non cede mai al misticismo ma è continuo confronto con la mutevolezza
del reale e con il sapere concettuale. “Non si può togliere la religione all’uomo del
popolo senza subito sostituirla con qualcosa che soddisfi le stesse esigenze…come si
potrebbe distruggere la religione nella coscienza dell’uomo del popolo senza nello
stesso tempo sostituirla? E’ possibile in questo caso solo distruggere senza creare?...la
concezione dualistica e dell’obiettività del mondo esterno quale è stata radicata nel
popolo dalle religioni e dalle filosofie tradizionali…non può essere sradicata e
sostituita che da una nuova concezione che si presenti intimamente fusa con un
programma politico ed una concezione della storia che il popolo riconosca come
espressione delle sue necessità vitali” 13. Croce dice dunque di vivere senza religione, si
scopre, però, attraverso Gramsci che la religione di Croce negli anni trenta è quella
della libertà. Se da un punto di vista teorico Croce assume una posizione
anticonfessionale, da un punto di vista pratico auspica il mantenimento delle
istituzioni ecclesiastiche in quanto, opponendosi all’anarchia, aiutano a garantire
l’ordine sociale. La contraddizione della società di massa è espressa, dunque, al livello
teorico nel dibattito Croce-Gramsci con il concetto di religione che non è, però, da
intendersi in senso tradizionale, come dottrina dogmatica apriori, ma come
espressione del polo contraddittorio specializzazione-massificazione. La società di
massa implica come strumento necessario di diffusione delle idee la divulgazione. Essa
però implica in qualche modo l’irrigidimento, il problema del “divenire popolare” è
quello del trasformarsi del fluire dialettico in atto di fede, donde la filosofia, divenendo
popolare, diviene religione si irrigidisce. La società di massa impone tuttavia tale
processo, comportando la risposta concorde di Croce e Gramsci al fatto che al popolo
bisogni dare una religione. In Croce, tuttavia, è la religione tradizionale che deve
rispondere a questa esigenza di mantenimento dell’ordine ovvero evitare disgregazione
ed anarchia, in Gramsci invece è la nuova religione quella della filosofia della prassi,
nuova coscienza per gli intellettuali, nuova religione per il popolo14.
La metafisica che Croce vuole trasformare in metodologia, e che anche
Gramsci ambisce in qualche modo tagliar fuori nell’assoluta immanenza, sembra
prendersi la sua rivincita da un punto di vista teorico e pratico. Da un punto di vista
pratico, nell’affermazione che il popolo ha bisogno di una religione, non intesa come
insieme di dogmi ma come qualcosa in cui credere, che per Croce è il mantenimento
delle vecchie Chiese, seppur educate alla religione della libertà. Per Gramsci è la nuova
religione della filosofia della prassi 15. Da un punto di vista teorico invece la sconfitta
B. Croce, Etica e politica, Bari, 1931, p.216.
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Torino 1975, pp. 1294-95.
14 Precisa, però, Bonetti: “Ora non c’è dubbio che quello di Gramsci sia uno spirito religioso, ma di una
religiosità laica che non ha nulla a che fare nella sua lucida intransigenza puritana con quella accomodante
e gesuitica della tradizione cattolica italiana”. P. Bonetti, Gramsci e la società liberal-democratica, Bari, 1980,
p.11.
15 Secondo G. Vacca: “La condivisione della tesi crociana riducente ogni religione a filosofia con un etica
conforme è all’origine dell’elemento forse più debole della riflessione gramsciana: la filosofia della prassi
12
13
7
sta nel fatto che il potere di creazione del soggetto è difficilmente esprimibile senza il
momento della trascendenza che non deve essere necessariamente un “Dio ascoso”,
ma può esprimere il potere di creazione dell’azione umana rispetto alla datità del reale.
Sembra dunque che la strada verso l’immanenza assoluta porti paradossalmente nel
suo fallimento ad una nuova trascendenza non più divina, ma umana, nuova
trascendenza che però sia in Croce che in Gramsci è quasi inconsapevole. Allo
storicismo assoluto di Croce corrisponde la religione della libertà a quello di Gramsci
la religione della rivoluzione. La assoluta immanenza è dunque novella trascendenza,
testimone della inesauribilità della vita e del pensiero, trascendenza che si coglie in
Croce, al di là del pensiero che dissolve, nella certezza dell’azione che è fede e
volizione che non si arresta alla comprensione ma crea il nuovo. In Gramsci, di
contro, nella certezza dell’azione rivoluzionaria, ancora il dubbio, il pensiero critico,
che scioglie il meccanicismo ed il positivismo, fa si che l’azione rivoluzionaria non si
trasformi in un ‘Dio ascoso’, paradiso sulla terra. La filosofia della prassi gramsciana
rimane dogmatica proiettando il momento della trascendenza, tagliato fuori
dall’immanentismo assoluto, nell’ al di là rivoluzionario, lo storicismo crociano dopo la
professione di assoluta immanenza tenta di ritrovare la trascendenza nella Filosofia della
pratica con il concetto di volizione che fertur in incognitum. Per Croce la contraddizione
nel rapporto di conoscenza e vita è insopprimibile. In Gramsci invece la medesima
contraddizione si dissolve nella società comunista, nella concezione gramsciana,
tuttavia, a sparire è l’antitesi tra borghesia e proletariato e non la contraddizione tout
court. Il realismo crociano abbisogna dell’utopia gramsciana per trasformare il dubbio
perenne della riflessione nella forza dell’azione, l’utopia gramsciana abbisogna del
realismo crociano per non divenire misticismo che uccide in sé medesimo la sua voglia
di cambiare il mondo.
Scrive Finocchiaro: ”Croce’s liquidationist critique consists of dismissal for its
“theological” character, a rejection of its ideological involvement, and a replacement by Croce’s own
philosophy of history and of politics. In this analysis, Gramsci argues that the theological character of
Marxism can be explained and justified by Croce’s own philosophy of religion, and its ideological
character by Croce own meta-philosophy, while his philosophy of history and politics is Marxist in its
sond and unsound otherwise.” 16. La tendenza comune è dunque quella di mettere in
secondo piano l’elemento religione nel rapporto che si veniva a creare nel pensiero
hegeliano circolare e progressivo tra filosofia politica e religione. L’elemento religioso,
però, cacciato dalla porta sembra rientrare dalla finestra. “Gramsci critique of Croce is it self
crocean: it accepts Croce’s theory of religion to vindicate the religious valididy of Marxism; it accepts
Croce’s metaphilosophy to defend the philosophical character of Marxism; and it accepts a crocean
come sostituto della religione e contenuto ideale della riforma intellettuale e morale”. “L’interpretazione
dei Quaderni dal carcere nel dopoguerra”, in S. Mastellone (a cura di), Gramsci i quaderni dal carcere una
riflessione politica incompiuta, Torino 1997, p.17. La rottura del rapporto circolare e progressivo che Hegel
aveva istaurato tra filosofa politica e religione, ed il contemporaneo avvento della società di massa
imponevano al pensiero gramsciano il problema di istaurare un legame proficuo tra intellettuali e masse.
16
M. Finocchiaro, Gramsci’s crocean marxism, in Telos n 41, 1979, p. 21.
8
style and method of criticism to separate what is alive from what is dead in Croce’s philosophy of
history and of politics.”17
Ciò è particolarmente visibile nella polemica tra i due autori, il neoidealismo
italiano, secondo Gramsci, nell’incapacità di andare al popolo, salva la religione come
trait d’union tra intellettuali e semplici, il marxismo, invece, è fede rivoluzionaria che
rinsalda il legame tra senso comune e filosofia, intellettuali e semplici, governanti e
governati.
Il tutto immanente all’individuo nel presente rischia di inibire la spinta al
cambiamento. L’estremo dispiegamento dello spirito critico che vi è nel pensiero
crociano sembra ricercare ancora una volta l’ottimismo della volontà, che è stimolo
all’azione significativa, religione ed ideologia, quel sottile confine tra critica e utopia.
Lo spirito critico crociano sembra ricercare all’ombra di Hegel l’ottimismo della
volontà gramsciano. La nuova religione in grado di sanare l’incredibile nostalgia della
fede e dell’azione che vi è nello spirito critico. Allo stesso tempo però la forza della
fede e dell’azione gramsciana è continua ricerca dello spirito critico crociano. L’azione
e la fede hanno bisogno della ragione per non divenire utopia e cieca volontà. La
spinta verso il futuro è ancora confronto con il presente. La nuova religione vive
dunque nella continua ricerca dello spirito critico e laico, unico antidoto contro la sua
trasformazione in sterile metafisica inaccessibile, unico mezzo per evitare la
trasformazione della rivoluzione in burocratizzazione. La religione viene da entrambi
apparentemente rifiutata o messa in secondo piano ma rientra dalla finestra in Croce
come religione della libertà e dell’opera, in Gramsci come atteggiamento messianico
che porta avanti l’ottimismo della volontà ed il mito della rivoluzione insieme allo
spirito critico. Il dilemma Croce-Gramsci resta ancora aperto. Il terreno di mezzo è
difficile e tortuoso. Il concetto di rivoluzione sembra portare necessariamete ad una
concezione della storia che se non a disegno è quantomeno escatologica di una
escatologia che mischia inscindibilemte elementi ebraici ad elementi cristologici.
Cristologici per l’assoluta immanenza e terrestrità del mito rivoluzionario, libertà dalla
necessità uomo totale che vive e lavora. Ebraici poiché il concetto di rivoluzione può
vivere solamente proiettandosi continuamente nel futuro, la sua realizzazione coincide
con la sua fine. D’altra parte la posizione super-partes crociana sembra rivelare ad ogni
momento la propria insostenibilità, in quanto in essa si coglie il tentativo di difendere
il liberalismo che non resiste all’avvento della società di massa. Per paradossale che
sembri Croce rivela per via di negazione l’impossibilità di vivere senza una religione o
un credo ideologico, che in Gramsci è la rivoluzione in Croce è la religione della
libertà, non si può insomma non prendere posizione. Ciò che si coglie tra le righe è
che la via dell’immanenza e del laicismo sembra mutarsi per via di negazione in quella
della religione e della trascendenza. In Gramsci la religione intesa come” fede
rivoluzionaria” è strumento di divulgazione, di unione di intellettuali e semplici, di
governanti e governati. In Croce la religione della libertà sorregge la sua concezione
dello storicismo che non è solo metodologia ma difesa dello Stato liberale. Vincitori
sembrano uscirne Hegel e la dialettica, l’approccio a-sistematico che i due autori
17
Ibidem, p. 31.
9
hanno sembra, o realizzare la sua asistematicità fino ad un certo punto, se per asistematicità si intende rifiuto di un sistema chiuso, esso sembra esser riuscito. Se per
asistematicità, però, intendiamo rifiuto di qualsiasi prospettiva olistica seppur aperta e
realmente comprendente, ci accorgiamo di come tale rifiuto porti immediatamente ad
un interpretazione unilaterale del macigno Hegel.
4. COSCIENZA MORALE E COSCIENZA COLLETTIVA
Il rapporto Croce Gramsci è altresì dialettica di coscienza morale e coscienza
collettiva. La coscienza collettiva gramsciana è ricerca per via di negazione dell’unicità
e storicità del soggetto come fuga dalla massificazione. La coscienza morale crociana è
l’unicità e storicità dell’individuo che cerca il suo rapporto con l’alterità per farsi
concreto. La libertà crociana ha il suo riflesso problematico nella distruzione dello
Stato liberale classico che l’avvento della società di massa ha provocato. Il pensiero di
Gramsci invece coglie ed esprime, nel bene e nel male, l’avvento della società di
massa. Nella necessità della società di massa, tuttavia, vi è ancora l’esigenza che il
potere creatore del singolo non sia assorbito da quel sottile dispotismo
dell’omologazione. In Croce il tutto della storia non si tramuta mai in coscienza
collettiva, la coscienza rimane sempre morale. In Gramsci la parte ha il potere di
modificare il tutto. In Croce la contraddizione è permanente ma il tutto vene prima
della parte. In Gramsci la contraddizione può estinguersi, ma la parte viene prima del
tutto che viene proiettato nell’al di là della rivoluzione. In Croce invece il tutto è
immanente alla individualità, ma al contempo sempre altro da questa, il singolo fa la
storia ma inconsapevolmente in quanto non è prevista una coscienza collettiva. In
Gramsci vi è coscienza collettiva, dunque sono le masse organizzate nel partito a fare
la storia. Scrive Badaloni: “Il punto essenziale del pensiero di Gramsci sta però nel
fatto che questo sarebbe impensabile ed insensato senza la volontà rivoluzionaria
collettiva. E’quest’ultima che ridà la possibilità a ciò che altrimenti resterebbe utopia.
Per Gramsci ciò che è utopia per l’individuo può divenire atteggiamento realistico
(cioè possibilità) per l’uomo collettivo”18.
La domanda è dunque duplice, da una parte l’individuo uti singulo si dimostra
impotente a fare la storia, come la stessa riflessione del Croce sembra mostrare,
dall’altra in una coscienza collettiva e di massa che fine fa l’individuo uti singulo, non
rischia di venire fagocitato dal sottile dispotismo della masse?. Uno dei punti essenziali
di discordia sembra la possibilità di prefigurazione del corso storico. Per Croce ogni
tipo di previsione nel campo della storia incorre nel rischio della ‘storia a disegno’, che
inficia il presupposto dello storicismo, la libertà e storicità del soggetto. D’altra parte
però l’azione pratica si basa concretamente su previsioni, progetti, scelte,
l’impossibilità di una coscienza collettiva determina l’imprevedibilità del corso storico.
In che modo però venire incontro alle esigenze della pratica che è prender coscienza
del comune operare?. Qualsiasi previsione storica inficia il presupposto della libertà ed
N. Badaloni, Gramsci storicista di fronte al marxismo contemporaneo, in Quaderni di critica marxista, n. 3, 1967,
pp. 97-98.
18
10
unicità del soggetto, la storia è un tutto in cui le varie volizioni individuali danno luogo
all’eterogenesi dei fini. In Croce rimane sempre una distinzione di teoria e prassi ed
una preesistenza della teoria sulla prassi. Da lì dunque l’assunto che la storiografia è
preparante ma non determinante per l’azione pratica. Soluzione questa, che salva sì la
libertà ed unicità del soggetto, ma che sembra davvero cibo poco appetitoso per il
soggetto concreto che si trova ad affrontare il problema della scelta, necessariamente
basato su una previsione. L’uomo in quanto singolo fa la storia ma
inconsapevolmente. Gramsci invece riconosce una certa legittimità alle scienze sociali
che elaborano leggi tendenziali. Certo anche per Gramsci il corso storico obbedisce
meno che mai al principio di casuazione, ma le leggi tendenziali con tutti i loro limiti,
dettati dall’imprevedibilità del corso storico, tentano di rispondere al problema pratico
della scelta ed influiscono nell’elaborazione di una coscienza collettiva che non subisca
il corso storico meramente come eterogenesi dei fini ma tenti di fare la storia, ovvero
di riuscire lì dove la coscienza individuale si è fermata. Scrive Cessi: “Libertà è, spiega
Gramsci, liberazione dalle contraddizioni nelle quali vive la società attuale. Ed ecco il
concetto di previsione che egli attribuisce anche alla storia ed è funzione della storia
stessa. Come si attuerà la nuova forma di libertà? Si attuerà precisamente nel
distruggere le cause, che determinano le contraddizioni delle classi. La distruzione
della classi porterà con se l’eliminazione delle cause, che hanno determinato e che
determinano le contraddizioni, in virtù delle quali manca la piena ed assoluta completa
libertà dell’individuo”19. L’ipotesi di coscienza collettiva porta con sé il rischio di
mortificare la libertà e la unicità del singolo. Nel fare, però, il singolo si unisce
necessariamente ad un progetto comune. L’inscindibilità dei due aspetti dunque, da
una parte, coscienza singola o morale, unicità e storicità del soggetto, dall’altra,
coscienza collettiva unione nel progetto comune tentativo di risposta ai problemi
della pratica, fa apparire nel solco tra Gramsci e Croce l’ombra di Hegel. Il tentativo
di portare Hegel fuori del sistema porta in qualche modo ad interpretazioni
unilaterali? La dialettica come necessità di compresenza di coscienza individuale e
coscienza collettiva non fa intravedere tra Croce e Gramsci il punto di vista di Hegel?.
La possibilità di una coscienza collettiva nel pensiero gramsciano è alla radice
dei concetti di egemonia e blocco storico. In questi due concetti sembra implicita o
presupposta la reductio ad unum delle molteplici soggettività individuali. L’egemonia è il
loro raccogliersi intorno ad un comune consenso che permette di risolvere il dualismo
ethos-cratos, asse attorno al quale ruota il rapporto governanti-governati. Il concetto di
blocco storico, invece, presuppone, da una parte, il concetto di progresso, in quanto le
forze progressive e proletarie fanno ‘blocco’ contro le forze borghesi e reazionarie,
una coscienza dunque non solo collettiva ma anche progressiva. Il concetto di
egemonia nel pensiero gramsciano va letto come alter ego dei concetti leninani di
avanguardia e dittatura del proletariato. Se essi esprimono il momento della forza,
egemonia è invece reintroduzione del momento della persuasione e del consenso. Il
concetto di blocco storico va invece visto come elemento di contrapposizione alla
R. Cessi, Lo Storicismo e i problemi della Storia d’Italia nell’opera di Gramsci, in Atti del convegno tenuto a Roma nei
giorni 11-13 gennaio 1958, Roma 1958, pp. 484-485.
19
11
speculazione crociana. Esso è innanzi tutto espressione di una coscienza collettiva,
dimensione che la coscienza morale crociana rifiuta. E’ d’altro lato rivendicazione del
momento della forza e della lotta rispetto al canone d’interpretazione etico-politico,
che concretizzatosi appunto nella Storia d’Italia e nella Storia d’Europa, sembra tagliar
fuori il momento della lotta. Scrive Garin: “Della zuffa continua con Croce, come
dell’essersi consapevolmente calato nella tradizione culturale italiana più viva non c’è
persona seria che possa dubitarne. A caratterizzare la sua distanza da posizioni a cui
pure in origine era vicino, nulla giova quanto la sua ripetuta osservazione sul carattere
delle due celebri storie d’Europa e d’Italia: Croce non è storico dei momenti
rivoluzionari; Croce è storico degli istituti e delle forme da conservare non delle libertà
reali da conquistare” 20. La coscienza individuale è quella del liberale, quella collettiva è
quella della società di massa, il problema ha quindi un duplice volto come salvare nella
coscienza collettiva l’autonomia del soggetto?,e d’altro lato come salvare la società di
massa dalla massificazione? La coscienza che da individuale non diviene collettiva non
è in grado di divenire protagonista del processo storico, ma può al limite interpretarlo.
La coscienza individuale riflette il processo storico ma è quella collettiva che lo
crea.”Sbagliano quindi i liberali a pensare che in una società di massa un progetto
politico all’altezza delle necessità oggettive, possa fermarsi allo stadio
dell’individualismo critico, della dispersione atomistica, della mera difesa della libertà
di coscienza contro un’eventuale sopraffazione statale. Oltretutto una simile difesa si
rileva sterile e velleitaria di fronte ai complessi strumenti, alle tecniche quanto mai
sottili che la società del tardo capitalismo possiede per condizionare quella coscienza
che si vorrebbe libera. La libertà liberale va sviluppata e potenziata nella libertà
socIalista, del nuovo uomo collettivo, una libertà di gruppo. …questa libertà collettiva
sorge sulla base di un nuovo clima etico politico e implica una disciplina che non
annulla la personalità in senso organico, ma solo limita l’arbitrio e l’impulsività
irresponsabile, per non parlare della fatua vanità di emergere” 21.
Il rischio della coscienza collettiva, tuttavia, è quello della ‘storia a disegno’,
ovvero quello di perdere di vista la libertà e l’unicità del soggetto in quanto attore del
divenire storico. Quello della coscienza individuale, invece, è di assumere una
posizione fatalista rispetto alla società di massa ed all’avvento del fascismo.
Nel pensiero crociano la coscienza è sempre coscienza del singolo, la
coscienza morale è espressione della libera soggettività e rifiuta qualsiasi
identificazione stabile con altro da sé, essa però subisce la storia in quanto unione
imprevedibile delle singole volizioni. “Qui si hanno innanzi non più spiriti
individuali…ma fatti accaduti;e questi sono opera non dell’individuo ma del tutto.
Sono l’opera di Dio e Dio non si giudica. O meglio si giudica ma non già dall’angolo
visuale dal quale si giudicano opere e azioni individuali…l’impeto delle azioni e delle
loro vicende di vittorie e di sconfitte, di saggezza e di stoltezza di vita e di morte, si
ricompone nella pace solenne dell’avvenimento storico”22. Non che la coscienza
crociana non sia consapevole delle opposte astrazioni di determinismo e libero
E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, ivi, p. 417.
P. Bonetti, Gramsci e la società liberal-democratica, Bari, 1980, p. 247.
22 B. Croce, Filosofia della pratica, Bari, 1950, p. 61.
20
21
12
arbitrio, questo infatti è uno degli insegnamenti di quell’unità di filosofia e storia e
dell’inscindibilità del binomio libertà necessità, che il pensiero di Hegel mette in luce.
Nell’impossibilità di divenire coscienza collettiva però la coscienza crociana subisce la
storia, la coscienza morale è espressione della libera soggettività, il divenire storico è
espressione dell’imprevedibile unione delle singole volizioni. Esso può essere giudicato
post-quam ma l’ipotesi di una coscienza collettiva alla testa del divenire storico
comporterebbe immediatamente l’errore di cadere in una “storia a disegno”, ovvero
di far rientrare il divenire storico in schemi prestabiliti.
In Gramsci invece la coscienza individuale diviene coscienza collettiva: “Una
coscienza collettiva è cioè un organismo vivente, non si forma se non dopo che la
molteplicità si è unificata attraverso l’attrito dei singoli…Un’orchestra fa le prove, ogni
strumento per conto suo, da l’impressione della più orribile cacofonia; eppure queste
prove sono la condizione perché l’orchestra viva come un solo strumento” 23 . Certo
l’ombra di Hegel fa sì che la coscienza morale crociana sia ben consapevole del suo
rapporto con la storia così come la coscienza collettiva gramsciana nasca proprio
dall’attrito dei singoli. In rapporto all’iter fenomenologico hegeliano dunque si
potrebbe dire che sia Croce che Gramsci superano il pensiero astratto, che nella
Fenomenologia dello Spirito è rappresentato simbolicamente dalla diade stoicismoscetticismo, per entrare in contatto con il problema del fare. Sia la coscienza
gramsciana che quella crociata sono in rapporto con il fare. Tale rapporto salva dal
vuoto valoriale che la distruzione della metafisica ha messo in gioco. La coscienza
crociana agisce in quanto coscienza singola. Anche quando Croce parla dell’opera
sembra si riferisca all’opera del singolo o quantomeno ad una percezione individuale
che il singolo ha, come sua propria soddisfazione, nell’opera comune. La coscienza
crociana è coscienza morale in ciò un Kant oltre Hegel?. Il potere creatore del
soggetto e la sua realizzazione nell’opera che in quanto collettività diviene corso
storico è ciò che salva dallo strapotere dello spirito critico, che distruggendo ogni
metafisica porta con sé inevitabilmente il problema di un ottimismo della volontà, che
si concretizzi in un ragione per vivere, offerta appunto nell’eterno farsi del soggetto
che vive e lavora.
5. IL NODO GORDIANO DELLA POLITICA
La continuità diviene però rottura ed il tenersi per mano uno sfidarsi a
singolar tenzone, lì dove il rapporto progressivo e circolare che Hegel instaura tra
filosofia politica e religione viene da Croce e Gramsci rotto in senso opposto. Il
punto di scontro è proprio la politica. Croce tende a negare ogni legittimazione
epistemologico-teoretica all’azione politica essa non è in rapporto di unità con la
filosofia come in Gramsci ma in rapporto di distinzione. Tale esclusione del momento
politico fa cadere la speculazione crociana sotto la duplice accusa di Gramsci, da una
parte, di storicismo monco poiché nell’unità di storia e filosofia non comprende pure
la politica, dall’altra di dialettica annacquata che riducendo la dialettica hegeliana a
23
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Torino, 1975, p. 1771.
13
mero problema logico di opposti e distinti, le fa perdere il suo potenziale
rivoluzionario. Scrive Livorsi: ”Gramsci recepisce l’istanza idealistica dell’uomo Dio a
se stesso, pensante-volente infinito, e sempre libero almeno in potenza, e tale nella sua
intima radice indipendentemente da qualsiasi abbrutimento od alienazione; ritiene
valida la connessa esigenza imprescindibile di liberare ogni persona dall’alienazione,
consentendo alla creatività di esprimersi pienamente. Ma a suo dire ogni aspirazione è
destinata a restare una generosa velleità o addirittura una mistificazione della realtà, se
non è fatta propria da un concreto movimento di emancipazione umana, filosofico
rivoluzionario per essenza: un movimento identificato per la nostra epoca con quello
del proletariato e con il connesso socialismo rivoluzionario marxista”24.
L’anima romantica di Hegel cacciata dalla lettera del Croce nel tentativo di
rendere immanente e laico il suo sistema rientra dalla finestra aperta dopo il 1925 dalla
religione della libertà, baluardo a cui il vecchio mondo liberale si aggrappava alla vigilia
del suo sfacelo. Romanticismo che allo stesso Hegel fu indispensabile per superare il
razionalismo astratto dell’illuminismo, e a Croce avrebbe forse potuto suggerire che la
sua grande scoperta dell’unità di storia e filosofia andava ben oltre una riforma
meramente logica della dialettica hegeliana e comprendeva in sé anche il politico, che a
giudizio di Gramsci, cacciato dalla porta rientrava dalla finestra come atteggiamento
riformista, da una parte, e super partes, dall’altra, lì dove per Gramsci la crisi dello Stato
liberale imponeva di prendere una posizione. In Croce è il particolare che diviene
universale in Gramsci il particolare diviene universale ma poi ancora particolare nel
concetto di blocco storico, Gramsci è il momento della rivoluzione, Croce della
riflessione, le due anime di Hegel la razionale e la romantica. Croce tende a tagliar
fuori sentimento e passione, Gramsci tende a conciliare il momento della conoscenza
con quello della passione politica. Il punto di rottura è dunque il concetto di
rivoluzione a cui sembra inevitabilemte connesso il concetto gramsciano di blocco
storico. Per Gramsci la rivoluzione è possibile ed in tal senso vi è uno spostamento
verso il futuro del concetto di Aufhebung hegeliano, per Croce il concetto di
rivoluzione è connesso irrimediabilmente con quello si storia a ‘disegno’. E’ la parte
teologico metafisica decadente del pensiero hegeliano che viene reiterata attraverso
questo concetto. L’Aufhebung è in Croce nella continua ricerca della verità storica, è
l’eterno presente della storia che è sempre storia contemporanea. Il cerchio qui non
sembra chiudersi, il tentativo crociano di isolamento del momento teoretico da quello
politico-passionale, sembra scontrarsi con la continua reintroduzione di tale momento
in ogni supposta obiettiva verità. Il ridurre crociano della politica a passione ed al
contempo difendere il carattere metapolitico della libertà è, per Gramsci difesa dello
Stato liberale dal fascismo. Il tentativo invece di Gramsci di combinare il momento
teoretico con quello politico passionale finisce per Croce inevitabilmente in una
concezione di ‘storia a disegno’ che reintroduce nel processo teoretico elementi
metafisico-teologici. “Si potrà cangiare il mondo (come l’autore dice col Marx e se i
bene o in male qui non importa), ma certo non si potrà e non si dovrà più disputare su
F. Livorsi, Gramsci e la cultra politica della sinistra, in S. Mast ellone (a cura di), Gramsci i quaderni dal carcere
una riflessione politica incompiuta, Torino 1997, p. 69.
24
14
ciò che è stato dichiarato per sé inesistente, cioè sul pensiero e sulla verità; cose alle
quali io da parte mia, avevo ed ho ancora,la malinconia di attribuire esistenza e, quel
che è più grave di amarle. Che cotesto ostacolo di origine politica e di partito, e non
un incapacità logica, sbarasse la via a Gramsci, è comprovato, se non erro, anche dal
notare che l’ostacolo non opera o egli non si cura di farlo operare, cioè in questione di
arte o di poesia, Il Gramsci accetta senza difficoltà principi della nuova estetica e da
giudizi che mostrano sensibilità di gusto e acume di mente”25. Scrive Bobbio: ”Il
concetto di Gramsci mi par questo che la separazione del capitolo sulla dialettica dalla
trattazione dei problemi storici ed economici impedisce al metodo dialettico di
mostrare tutta la sua potenza inventiva e costruttiva. Altrove infatti precisa che nella
scienza della dialettica o gnoseologia, come lui la intende, i concetti generali di storia di
politica di economia si annodano in una unità organica; e quindi essa non può essere
separata come teoria del metodo, dalla applicazione del metodo a problemi
dell’interpretazione storica economica e politica”26.
Ora se alla luce dell’unità del vero con il buono rivelataci da Platone e portata
nella modernità da Hegel sembra illegittima quella separazione tra il teoretico ed il
politico, altrettanto illegittima sembra la reductio ad unum nella politica di filosofia e
religione, che assume così una dimensione totalizzante che mortifica, per via indiretta,
la libertà interiore del soggetto, grande conquista della modernità. La distinzione di
filosofia e politica propria del pensiero crociano, salva la dimensione interiore del
soggetto ma non la polis (Croce verso Kant). L’unità di filosofia e politica propria del
pensiero gramsciano sembra salvare la polis ma non la dimensione interiore del
soggetto (Gramsci verso Platone). Scrive Galasso: “Il commento di Gramsci parte qui
dall’accettazione della formula crociana della contemporaneità della storia. Alla identità
di storia e filosofia affermata dal Croce egli oppone una più radicale identità di storia e
politica, con l’avvertenza che dovrà intendersi per politica quella che si realizza e non
solo i tentativi diversi e ripetuti di realizzazione, alcuni dei quali falliscono presi in sé,
e giungendo per questa via anche all’identificazione di filosofia e politica rifiuta di
distinguere le ideologie (uguali secondo Croce a strumenti d’azione politica) dalla
filosofia.” 27. L’identità di filosofia e ideologia rischia di far perdere l’universale o la
tensione verso di esso. La distinzione crociana di ideologia come pratica e filosofia
come scienza del concetto puro rischia di porre sul piano meramente logico un
problema che andrebbe posto anche sul piano storico. Se ogni verità è verità
particolare essa è filosofica in quanto tensione all’universale, ma ideologica nel suo
rapporto con la vita in quanto prodotto di un essere storico che è muori e divieni e
dunque rispondente a problemi particolari.
6. DIALETTICA E STORIA
B. Croce, A. Gramsci il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, in Quaderni della critica, marzo1948,
n. 10, p. 78.
26 N. Bobbio, Dialettica in Gramsci, in Gramsci e la concezione della società civile, Milano, 1976, p. 51 (è
l’intervento al convegno gramsciano del 1958).
27 G. Galasso, Gramsci e i problemi della storia italiana, in Croce, Gramsci e altri storici, Milano, 1969, p. 147.
25
15
La dialettica diviene espressione del rapporto della libera soggettività con il
divenire storico, al di là di ogni schematismo essa rappresenta il rapporto che si reitera
continuamente tra il soggetto intenzionale ed agente ed il muori e divieni della storia.
L’individuo uti singulo è facere et pati al contempo creatore della storia ma vittima della
sua violenza.
Dialettica è concordia discors tra umanesimo e storicismo. E’ l’incontrarsi ed il
fuggirsi di Croce e Gramsci due giovani amanti che nel loro amoreggiare esprimono
ciò che Hegel può ancora raccontare al secolo breve. L’umanesimo integrale rischia di
trasformarsi in atteggiamento dogmatico in quanto riduzione dell’unicità dell’individuo
nel generale concetto di uomo. Tendenza all’uguaglianza ma anche al suo intrinseco
dispotismo, lo storicismo assoluto viceversa rischia di divenire pensiero di sorvolo,
una fenomenologia senza coscienza infelice, il particolare, tuttavia, in quanto hic et hunc
ha bisogno di essere universalizzato per essere compreso. Scrive Garin: “Dalla guerra
mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso nella lotta prima, nella chiusa
meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva trovato nel distacco da Labriola
e nella regione dell’hegelismo, una direzione kantiana di forma non storicizzabile: un
sistema di filosofa dello spirito una natura umana assoluta. Gramsci al contrario non si
limiterà a rifiutare l’atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per
ritrovare il positivo ed il concreto processo storico vivo e reale nel lavoro delle società
umane. Anche l’ultimo ‘aroma speculativo’ svanirà. Nella critica alla doppia
mistificazione del marxismo- sia in direzione idealistica che materialistca - e nella
elaborazione di una originale concezione del mondo si consoliderà nitidissimo un
umanesimo integrale storico, uomini veri reali che vivono convivendo in reali rapporti:
mobili in un processo condizionato ed insieme libero.”28.
Gramsci cerca l’unità Croce la distinzione, Gramsci cerca l’azione, Croce il
pensiero. La dialettica di filosofia e ideologia è tra Croce e Gramsci. L’unità
gramsciana ha il suo contraltare nella distinzione crociana, la purezza della filosofia
crociana come ricerca della verità distaccata da motivi di ordine pratico, ha il suo alter
ego nell’atto impuro gramsciano che mette in rilievo come siano sempre carne e sangue
a cercare la verità. Il loro confronto è pertanto dialettica come pensiero e come azione,
come unità e distinzione che non sono ennesimo schema logico ma emancipazione
dalla logica. Nella loro reciproca interrelazione Croce e Gramsci sembrano svelare la
dialettica di conoscenza e vita, ovvero l’individuo nel suo rapporto con la storia. Da
una parte Croce poiché rende perennis il movimento che Gramsci tende ad arrestare,
dall’altra Gramsci poiché introduce il momento della lotta nella politica e nella storia,
che non è dunque solo storia concettuale ma storia del rapporto del pensiero
concettuale con la vita. Storia del pensiero e dell’essere nella loro unità dialettica.
L’inesauribilità della vita, l’inesauribilità della sete di conoscenza, quella follia raziona le
di vedere nella morte la fine ma anche l’inizio dell’alterità. Non la propria egoità
rivivere nell’aldilà, ma nuova vita e nuovo pensiero che vincono la morte nella
consapevole accettazione, che è ammissione della propria finitudine e storicità ma al
E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, in Atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958
, Roma 1958, p. 416.
28
16
contempo partecipazione all’universale. La dialettica vive in un rapporto di nec tecum nec
sine te vivere possum con la sua determinazione storica. La sua determinazione storica è,
appunto, il soggetto che vive e che muore ma che in quanto coscienza tende
all’universale. La dialettica dunque è altro dalla logica in quanto è espressione del ritmo
della vita e della morte. La libertà e l’unicità dell’individuo sanciscono la non
definitività di qualsiasi logica, la dialettica non è esprimibile in termini logici. L’unità di
vita e pensiero nella storia non è né triadica29 né ha quattro forme ma è libertà che crea
e distrugge, se riesce a trovare un qualche ottimismo della volontà nella distruzioni dei
valori, altrimenti nichilismo. La dialettica, nuovo modo di pensare, non può aver
limitazioni disciplinari, in quanto è inerente al problema gnoseologico riguarda tutte le
branche del sapere, in quanto inerente alla vita è connessa al problema dell’azione
intenzionale.
La brillante intuizione dello storicismo che ha Croce, sembra poi chiudersi
nell’atto pratico. Da una parte alle scienze particolari, cui non è riconosciuto valore
per la speculazione filosofica. Esse sono produttrici di pseudoconcetti generalizzanti
ma non universali. Dall’altra è chiusura logica nell’interpretazione della dialettica nella
diade opposti e distinti e per altro modo alla pratica ed alla politica. Alla pratica nella
formula preparante ma non determinate e nella logica distinzione tra volizione ed
intelletto che non sembra cogliere invece che proprio dalla fusione di essi, ottimismo
della volontà, pessimismo dell’intelligenza, nasce il momento creatore della dialettica.
Gramsci perciò, su certi punti sembra essere prosecuzione ed inveramento dello
storicismo come apertura alle scienze particolari che sono dominio dell’uomo sulla
natura umanamente oggettive e storicamente soggettive. Per certi altri apertura alla
politica che Croce aveva tagliato fuori conferendo un’effetto anestetizzante alla sua
speculazione. Da un altro punto di vista però Croce sembra correggere le unilateralità
di Gramsci, nell’unità di filosofia e politica che fine fa il soggetto moderno e il
movimento circolare e progressivo che Hegel sembrava aver istaurato tra religione
politica e filosofia? Il mito della rivoluzione inoltre è ancora vivere senza religione ed è
possibile vivere senza religione?
Lì dove in Croce la coscienza morale è punto d’arrivo del soggetto moderno
ed incarnazione della libertà liberale, in Gramsci è coscienza collettiva testimone
dell’arrivo della società di massa con la sua spinta all’uguaglianza ma anche
all’omogenizzazione. Laddove Croce vede il tutto nello Spirito, Gramsci vi vede il
particolare (ma concreto) del proletariato. Dal loro reciproco confronto si scopre
altresì il fallito tentativo di vivere senza religione. Croce è il papa laico teorico della
religione della libertà e della operosità. Gramsci è il profeta della nuova fede marxista.
Lo spirito critico è continua ricerca dell’ottimismo della volontà, nella assoluta
immanenza della secolarizzazione vi è ancora la trascendenza dell’azione umana. Dalla
Quando G. Prestipino scrive: “Gramsci abbandona la cosiddetta dialettica triadica, separandosi dallo
hegelismo. Già Lenin aveva accennato alla possibile superiorità di una dialettica per tetrodi. In Gramsci è
evidente la scelta di una dialettica tendente ad articolarsi in quattro momentiӏ forse corretto da un punto
di vista formale, ma andrebbe però ancor più messo in evidenza che il grande insegnamento di Gramsci è
l’irriducibilità della dialettica di conoscenza e vita ad uno schema logico. Dialettica, in Le parole di Gramsci,
Roma, 2004, p. 66.
29
17
distruzione della metafisica emerge ancora la necessità della ricerca di una ragione per
vivere, ragione per vivere in cui Croce sembra essere lo spirito critico, distruzione di
ogni dogma, Gramsci l’ottimismo della volontà; nel mito della rivoluzione che
paradossalmente trova la sua verità proprio nella sua utopia. Il pensiero di Croce
lascia, dunque, la nostalgia dell’azione, il pensiero di Gramsci lascia la nostalgia della
contemplazione, non quella contemplazione che guarda alla filosofia come strumento
d’azione politica, ma quella ricerca del vero priva di interessi immediati, certo
influenzata dalla vita, ma non da essa determinata univocamente. Il ripensare il loro
rapporto lascia invece nel pensiero un po’ di nostalgia di Hegel, di quei tempi in cui la
filosofia parlava a voce alta e non era ferro vecchio da buttar via come la si considera
oggi.
Luca Sinibaldi
Dottore di ricerca Storia della dottrine politiche e filosofia politica
Università “La Sapienza” di Roma
18
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