I MAGI VENUTI DA LONTANO
Omelia nella Epifania 2008 e Festa dei Popoli
Vivo questa festa dell’Epifania con la stessa gioia e stupore con cui immagino
la vivano in S. Pietro a Roma tanti pellegrini di ogni colore, nazione e cultura,
provenienti dai diversi Paesi del mondo.
Anche qui a Reggio Emilia incontriamo ogni giorno diverse famiglie e persone
venute da lontano per ragioni di lavoro e di servizio: alcune famiglie albanesi,
altre persone provenienti dall’Ucraina, dalla Polonia, dal Ghana e dalla Nigeria,
dallo Sri Lanka, dalle Filippine e sorelle religiose venute dal Kerala, nel sud
dell’India. Reggio Emilia assomiglia alla Betlemme del Vangelo, dove un giorno
arrivarono i Magi.
Quale il significato di questa rinnovata Epifania? Che cosa dice il Vangelo (Mt
2,1-12)?
Giunsero
“Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, alcuni Magi giunsero
da Oriente a Gerusalemme…”. “Giunsero”: ecco un primo verbo che mi piace
sottolineare nel Vangelo. Si tratta di un verbo di movimento. Per giungere a
Betlemme i magi dovettero mettersi in cammino, fare un lungo viaggio,
sobbarcarsi alle spese e alle fatiche di uno spostamento non certo confortevole
come quelli dei turisti dei nostri giorni.
La tradizione vuole che, a mettersi in cammino, fossero personaggi di diverso
colore e di diversa cultura: c’è Gaspare, di colore bianco e cultura mediorientale;
c’è Baldassarre di colore giallo di cultura orientale, cinese e Melchiorre di colore
nero di cultura africana. È come dire che in ogni popolo e in ogni cultura c’è
gente in movimento, in viaggio, alla ricerca di qualcosa di diverso: di un lavoro, di
una casa, di una vita migliore per sé e la sua famiglia, di una speranza.
A sollecitare il loro mettersi in cammino è una stella. Perché una stella? La
stella è come un messaggio dal cielo. Con il suo essere, là, in alto, nello spazio
immenso del cielo, e con il suo offrirsi allo sguardo di tutti, sembra voler
suggerire l’intenzione di Dio di chiamare tutti. C’è un segno per tutti, vuol dire la
stella dell’Epifania. E tutti sono chiamati da Dio.
Domandarono
“Domandavano: dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua
stella e siamo venuti per adorarlo”. Quella dei Magi è una domanda di fondo. Non
è solo una domanda di lavoro, di casa, di aiuto. È anche una domanda di
speranza nel futuro, di ragione per cui lavorare vivere e sperare, di attesa e di
gioia di incontrare. Alla fine, a mettere in cammino la gente è una domanda di
fede in Dio, Signore della vita.
Arrivati a Gerusalemme cosa trovano i Magi? Trovano per così dire una città
“moderna”, ricca di case e palazzi, fiera dei suoi progressi nei vari campi della
scienza, dell’economia, del benessere. Dove c’è spazio anche per la religione, anzi
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per più religioni, ma a patto che la religione non disturbi troppo il sistema di
potere istituito.
Non è un caso che nel Vangelo si lasci intuire che, arrivati i Magi in città a
Gerusalemme, la stella sembra come scomparire di scena. È come dire che la
città può rimanere senza stella, senza una luce sul cammino, come se sopra le
teste della gente che la abita fosse calata pesantemente una notte, come se la
città fosse abitata da gente non disposta a mettersi in cammino o almeno a
condividere la ricerca dei Magi.
Trovarono
Lasciata la città, il viaggio dei Magi continua fino a Betlemme: “Entrati nella
casa, videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratosi lo adorarono”. Colpisce
quel termine “entrati nella casa”. Per gente venuta da lontano è importante
trovare una casa che li aspetta e li accoglie. E qual è questa casa? Da chi è
abitata la casa? Il Vangelo va all’essenziale e nomina Gesù bambino e Maria, sua
Madre. È la scena che in questi giorni viene raffigurata nel presepio che troviamo
in tutte le chiese.
Ma il presepio nelle chiese parrocchiali, oggi completato con l’arrivo dei Magi,
ha come un messaggio per noi, per la nostra città, come per ogni parrocchia della
nostra Chiesa locale. E il messaggio è nell’invito ad essere una Chiesa accogliente.
C’è bisogno di essere Chiesa accogliente per tutti, anche per quelli che vengono
da lontano, da altri Paesi e da diverse culture. Certamente non è compito della
Chiesa ordinare il flusso dei nuovi migranti e, tanto meno, vigilare sulla loro
posizione giuridica. Per noi sono persone da accogliere con i loro problemi e
drammi di lavoro, di inserimento sociale, di ricongiungimenti familiari.
Il Papa Benedetto XVI, nel suo bel messaggio per questa 94ª Giornata
mondiale del Migrante e del Rifugiato, chiede di essere particolarmente Chiesa
accogliente verso i giovani migranti (è il titolo del messaggio). Sono numerosi i
giovani a emigrare e a vivere lontano dalle loro famiglie e dai loro Paesi, con le
conseguenze che ben conosciamo: le difficoltà di integrazione, la problematica
della doppia appartenenza, la deriva di adolescenti, ragazzi e ragazze di strada
preda di sfruttatori senza scrupoli.
Il Papa, coerentemente con il messaggio di Capodanno su Famiglia umana,
comunità di pace, invita a puntare in primo luogo sul supporto della famiglia: non
solo favorendo i ricongiungimenti familiari, ma l’accompagnamento all’interno
delle famiglie, dove si assiste spesso ad uno scontro tra genitori rimasti ancorati
alla propria cultura e figli velocemente acculturati nei nuovi contesti sociali. E
puntare sulla scuola: non solo l’impegno a creare nelle aule un clima di reciproco
rispetto e dialogo tra tutti gli allievi, ma a prevedere specifici itinerari formativi
d’integrazione.
Il Papa invita in particolare le nostre comunità cristiane ad accogliere i
migranti che hanno ricevuto nei loro Paesi di origine una formazione cristiana. Ed
è quello che vediamo sotto i nostri occhi oggi in questa nostra Festa cristiana dei
popoli. Può essere in altre parole, l’occasione da parte delle comunità cristiane —
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presenti qui da tanto tempo o da poco arrivate — di dare insieme e a tutti, la
testimonianza di un patrimonio di fede, di spiritualità e di cultura ispirate ai
valori evangelici. Il mondo cattolico non ha dubbi sulla validità perenne e sulla
attualità del Vangelo di Gesù di Nazareth. Nel rispetto delle coscienze, come in
ogni tempo della Chiesa, continueremo ad offrire il Vangelo a tutti: ai fedeli
cristiani, agli indifferenti e anche ai nuovi arrivati di altre religioni.
C’è bisogno però di essere una Chiesa accogliente, serena, libera, meno
indaffarata e appiattita su sé stessa, appesantita nelle sue strutture e nei suoi
programmi, al punto da non riuscire più a dire a tutti la ragione del suo esserci, il
senso della sua missione nel mondo: quello di annunciare Gesù Cristo. E il
mondo a cui annunciare a tutti Gesù Cristo è certo il mondo intero, dove non
mancano anche i nostri missionari: in Madagascar, India, Brasile, Rwanda,
Albania e Kossovo.
Ma il mondo dei lontani, dei popoli di diversa origine e cultura è ormai qui nei
nostri paesi, nelle nostre parrocchie, a Reggio, a Rubiera, a Novellara, a
Correggio, a Montecchio, a Sassuolo... C’è una bella pagina del poeta indiano
Rabindranath Tagore che dice: “Il lontano hai reso vicino, lo straniero fratello”.
L’Eucaristia che celebriamo in questa festa della chiamata dei popoli al Vangelo
dia a questa comunità del Duomo e di S. Prospero e a tutta la nostra Chiesa di
Reggio Emilia-Guastalla essere, come Maria, la Chiesa madre, dalla porta aperta
a tutti coloro che sono in ricerca, come i Magi. Sia questa la forza della nostra
speranza e la ragione della nostra preghiera.
+ Adriano vescovo
Reggio Emilia – Basilica di San Prospero, domenica 6 gennaio 2008
Solennità dell’Epifania del Signore e 2ª Festa dei Popoli
con le comunità degli immigrati cattolici presenti a Reggio,
anticipando così la 94ª Giornata mondiale del migrante (13 gennaio 2008)