www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
CARDIOLOGIA
Introduzione
Il cuore ha sempre rivestito un significato importante fin dall’epoca paleolitica, dove era
rappresentato già nelle raffigurazioni degli animali; nei riti Incas mangiare il cuore battente
del nemico induceva forza; per i cristiani, il cuore è segno d’amore pietà e fratellanza; Plinio
il vecchio (I° secolo a.C.) disse “il cuore è il solo organo interno che la malattia non può
toccare”. Fino alla descrizione della circolazione del sangue da parte di Harvey nel 1629, si
ignorava la funzione di pompa del cuore e la distribuzione del sangue ai tessuti. Ci sono
voluti infatti 3000 anni di civiltà per acquisire concetti che oggi hanno valenza piuttosto
banale.
A Fabrizio D’Acquapendente si deve invece la prima pubblicazione di un’ opera sulle valvole
delle vene mentre Fabrizio Colombo ha il merito di aver descritto la circolazione polmonare.
Entrambi a un passo dal descrivere la circolazione non riuscirono a fare il passo decisivo
probabilmente perché condizionati fortemente dalla cultura del tempo (teorie galeniche).
Nel 1500 viene accetta l’idea che anche il cuore si può ammalare; vengono introdotte la
dissezione
anatomica
e
le
correlazioni
anatomo-cliniche
ed
è
indubbio
il
ruolo
fondamentale svolto dalla scuola anatomica padovana che si distinse per tutto il periodo
che va dal 1400 al 1700.
La nascita della cardiologia può ricondursi invece all’introduzione del cateterismo cardiaco
grazie ad un certo Forsmann.
Lo sviluppo economico, l’avanzamento tecnologico e la conoscenze scientifiche hanno fatto
pagare però un prezzo alto in termini simbolici; oggi infatti le malattie cardiovascolari
(aterosclerosi coronarica, cardiopatia ischemica… ) rappresentano il 70% della morbilità e il
50% delle morti nel mondo occidentale e ci si concentra soprattutto sulla prevenzione dato
che poco si può fare per guarire completamente queste malattie. Un organo che fino ad
allora era visto come intoccabile diventa quindi oggi il maggior responsabile di morte nei
paesi sviluppati.
Bisogna tenere presente che fino agli anni ’70 nei reparti di cardiologia venivano ricoverati
prevalentemente pz di sesso femminile, giovani con una valvulopatia mitralica su base
reumatica. In particolare il 50% dei pz era affetto da valvulopatie reumatiche (che avevano
un carattere epidemico), il 20% da coronaropatie, il 30% da miocardiopatie e cardiopatie
congenite.
Dopo gli anni ’70 le percentuali si sono invertite: 70% coronaropatie, 25% miocardiopatie e
cardiopatie congenite, 5% valvulopatie.
Riassumendo:
1
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Fino agli anni ’70:
-
50% valvulopatia reumatica conseguenza della malattia reumatica che imperversava
a causa delle precarie condizioni socio-economiche. Nonostante la diminuzione di
questa patologia nei successivi anni di sviluppo economico, recentemente c’è stata una
ricomparsa
all’interno
delle
popolazioni
che
vivono
in
condizioni
di
povertà
(extracomunitari).
-
20% coronaropatie
-
30% cardiomiopatie congenite o miocardiopatie.
Dopo gli anni ’80:
-
70% coronaropatie
-
25% cardiomiopatie congenite
-
crollo della valvulopatie.
L’ introduzione della penicillina e degli antibiotici e lo sviluppo socio-economico hanno
chiaramente portato alla progressiva scomparsa della malattia reumatica (avente agente
eziologico lo Streptococco B emolitico di gruppo A). Tuttavia negli ultimi anni si è osservata
una ripresa dei casi di reumatismo articolare acuto negli immigrati che versano in
condizioni igienico-sanitarie scadenti.
Per quanto concerne l’incidenza delle cardiopatie congenite, questa non è cambiata
significativamente nel tempo e si assesta su 7-10/1000 nati vivi: se però in passato i
piccoli pz morivano poco dopo la nascita oggi sopravvivono grazie all’intervento chirurgico il
quale tuttavia non porta a guarigione completa dalla malattia. Una nuova branca della
cardiologia si occupa pertanto di seguire gli adulti operati in passato per cardiopatia
congenita.
Le valvulopatie che si osservano sono quelle secondarie ad endocarditi favorite spesso da
un difetto congenito come l’aorta bicuspide o dovute ad un processo degenerativo
progressivo con deposizione calcica (stenosi aortica, peculiare di soggetti anziani).
La frequenza relativa delle patologie cardiache è influenzata fortemente dall’età:
-
malattie congenite: presenti fin dalla nascita (diagnosi mediante ecocardiografia fetale);
-
malattie valvolari:si presentano a partire dall’adolescenza
-
malattie coronariche: colpiscono prevalentemente soggetti tra i 45 e i 55 anni.
Tutti questi cambiamenti hanno avuto delle notevoli implicazioni sul nucleo familiare, in
termini di mondo del lavoro, istituzioni sanitarie e sociali e costi del sistema sanitario.
2
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Anche la figura del cardiologo si è modificata: oltre al cardiologo clinico vi è l’emodinamista,
l’interventista, l’intensivista, l’elettrofisiologo. Inoltre si è passati da un rapporto che era
esclusivo tra pz e cardiologo alla necessità di figure complementari: lo psicologo, l’operatore
sociale, esperti di alimentazione ed esperti di marketing.
Richiami anatomici del cuore
Il cuore, localizzato nella cavità toracica, più precisamente nel mediastino medio, è un
organo cavo costituito pressoché esclusivamente da tessuto muscolare striato, supportato
da una struttura fibrosa detta pericardio.
Si descrivono nel miocardio 4 camere cardiache, diverse sia dal punto di vista anatomico
che funzionale:
-
atrio destro: il criterio che lo definisce in modo univoco è la presenza della cresta
terminale che si trova internamente vicino al seno delle vene cave. Un criterio clinico
invece è la presenza dell’auricola destra che ha forma conica-trapezoidale.
-
ventricoli: si caratterizzano per il fatto di avere una regione di entrata, un corpo, una
regione di uscita. Il V.dx si caratterizza per la presenza della trabecola settomarginale.
Inoltre non c’è contiguità tra valvola tricuspide e arteria polmonare ma a separarle c’è
l’infundibulo. Nel V.sin sono caratteristiche l’assenza di corde sul setto e una trabecola
tura.
Per quanto concerne l’aorta, essa è situata posteriormente alla arteria polmonare: questi
rapporti spaziali sono importanti in quanto permettono di operare determinate diagnosi (es.
se l’aorta si trova a destra si parla di trasposizione dei grandi vasi).
L’efficienza del cuore come pompa deriva dalla sincronizzazione di tutti i suoi elementi
cellulari e questo è possibile grazie al tessuto di conduzione. A livello dell’atrio dx (nodo del
seno) parte un impulso che va al nodo atrioventricolare, al fascio di His, al tronco comune
che si divide in branca destra e branca sinistra (quest’ultima si divide a sua volta in
fascicolo anteriore e posteriore) fino a che il tutto si risolve distalmente nelle fibre di
Purkinje. Le anomalie del sistema di conduzione possono essere evidenziate attraverso l’
ECG.
Il circolo coronarico deriva dall’aorta ascendente i cui unici due rami collaterali sono le
coronarie dx e sin.
L’ arteria coronaria destra ha origine dall’aorta ascendente. Essa si divide in:
-
un ramo che va verso l’alto irrorando il nodo del seno;
-
un ramo che si dirige lungo il solco atrio-ventricolare fino alla “cruz” posteriore del
cuore (incontro tra solco interventricolare posteriore e solco atrio-ventricolare) fornendo
tra l’altro irrorazione al nodo AV. Lì si divide in
3
www.haikzarian.com
o
Copyright © Haik Zarian
un ramo
che scende lungo il solco interventricolare posteriore (arteria
discendente posteriore);
o
un piccolo ramo che prosegue lungo il solco atrio-ventricolare fino ad
anastomizzarsi con l’arteria circonflessa.
L’ arteria coronaria sinistra possiede tre
rami:
-
un primo ramo, settale;
-
un ramo circonflesso che scorre sul
solco
atrio-ventricolare
fino
ad
anastomizzarsi con un ramo terminale
della coronaria dx;
-
un ramo discendente anteriore che
scorre
nel
solco
interventricolare
anteriore irrorando l’apice del cuore, la
faccia anteriore dei due ventricoli e i
2/3 anteriori del setto interventricolare mediante i rami settali e diagonali.
Si parla di circolo coronario a dominanza dx o sin (o bilanciato) a seconda della arteria
coronaria che fornisce il maggior apporto di sangue alla parete posteriore del cuore (cioè se
la discendente posteriore è una ramo della coronaria destra o della circonflessa; se sono
presenti entrambi si parla di circolo bilanciato).
PATOLOGIA VALVOLARE
Generalità
Le valvole cardiache, soprattutto le valvole atrioventricolari (AV), sono dei veri e propri
apparati la cui funzione, se alterata, è in grado di compromettere la funzione del cuore
intero.
Le valvole cardiache si suddividono in due tipologie:
-
atrioventricolari: comprendono la mitrale e tricuspide e si chiudono durante la sistole
cardiaca dando origine al I tono cardiaco
-
semilunari: aortica e polmonare: si chiudono durante la diastole cardiaca dando
origine al II tono cardiaco.
4
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
La valvola mitrale è costituita da:
-
un lembo antero-mediale che si ancora alla superficie inferiore delle cuspidi aortiche
(continuità mitro-aortica) e che contribuisce assieme alle sue corde tendinee a
delimitare il tratto di afflusso da quello di efflusso del ventricolo sinistro;
-
un lembo postero-laterale.
Le corde tendinee si attaccano ai rispettivi muscoli papillari, ma non al setto, cosa che
invece avviene per la tricuspide.
Nelle semilunari non si riconosce un vero e proprio anulus.
Le
valvulopaite,
conseguenti
a
varie
processi
morbosi,
possono
causare stenosi,
insufficienza o entrambi:
-
la stenosi implica una ostruzione del flusso ematico attraverso l’orifizio valvolare in
senso anterogrado, riduzione dell’area valvolare e quindi comparsa di un gradiente
pressorio trans valvolare;
-
l’insufficienza comporta invece l’incompleta chiusura della valvola, con flusso ematico
retrogrado (mancata coaptazione dei lembi valvolari con rigurgito di sangue).
A causa dei regimi pressori maggiori, sono quasi esclusivamente colpite le valvole del cuore
sinistro, la mitrale e l’aortica. L’eventuale coinvolgimento delle valvole del cuore destro, la
tricuspide e la polmonare è raro e nella maggior parte dei casi, secondario al
coinvolgimento di quelle del cuore sinistro.
Se la patologia insorge in un lasso di tempo sufficientemente lungo, il cuore mette in moto
dei meccanismi di protezione, ovvero degli adattamenti:
-
stenosi: modificazioni a monte dell’apparato valvolare (aumento di pressione, ipertrofia,
dilatazione)
-
insufficienza: modificazioni sia a monte sia a valle (a carico delle camere cardiache di
volta in volta interessate).
Nel momento in cui la capacità adattativa del sistema di pompa viene sopraffatta dalla
gravità della patologia valvolare, si instaura un quadro di scompenso cardiaco.
Da tenere presente che le stenosi di solito hanno insorgenza progressiva e le insufficienze si
distinguono in acute e croniche.
STENOSI MITRALICA
Generalità
La SVM viene definita come una patologia caratterizzata dall’ispessimento e dalla fusione
dei lembi valvolari mitralici. Spesso la malattia si estende alle corde tendinee, ai muscoli
papillari e alla fusione delle commessure in un blocco unico e rigido. Tutto questo porta a
5
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
una ridotta apertura della valvola che da una superficie di apertura di 4-5 cm2 passa a
1cm2. Quando l’area valvolare è di 1,5 cm2 i sintomi sono di media gravità, quando invece
l’area risulta <1 cm2 si hanno solitamente sintomi gravi, solitamente in quanto esiste
un’enorme variabilità individuale. Sono presenti spesso calcificazioni importanti. La valvola
malata assume la caratteristica configurazione ad imbuto, in seguito alla
retrazione cicatriziale delle cuspidi.
Epidemiologia
La prevalenza della patologia è molto bassa, circa il 0,2%, l’incidenza 1/300.000-500.000,
maggiore nei paesi in via di sviluppo. Sebbene sia la causa pressoché unica di stenosi
mitralica, la malattia reumatica è rilevata dai dati anamnestici solo nel 50% dei casi.
Eziologia
La causa principale di SVM nei paesi sviluppati è data dalla malattia reumatica.
Fisiopatogenesi
La stenosi causa ostacolo al passaggio di sangue da atrio a ventricolo e questo crea una
resistenza che instaurata crea un “gradiente transmitralico” (AP) dipendente da:
-
area mitralica cioè quanto grande è la valvola
-
quantità di sangue che ci deve passare in diastole (in sistole le valvole sono chiuse e
non c’è passaggio). Il flusso diastolico a sua volta è dato dalla portata cardiaca x area
valvola. ∆P= 4V2 cioè il gradiente transmitralico (tra due punti) dipende dal quadrato
della velocità per 4 volte (vedi principio del Bernoulli). Se si varia la frequenza cardiaca
in realtà a variare è solo la diastole. Da tenere presente che in atrio la velocità è nulla e
in ventricolo viene accelerato per cui la ∆P dipende da V che è maggiore più stretta è la
valvola. Il flusso diastolico come detto dipende anche dalla della diastole che a sua
volta dipende da Fc. Infatti la sistole rimane stabile e se varia Fc a variare sarà allora la
diastole (sistole 30s diastole 70s).
Il solo aumento della Fc aumenta il flusso diastolico e la ∆P varia a parità di area della
valvola. Il ∆P (gradiente transmembrana) causa aumento della pressione dell’atrio sin e
quindi ipertensione atriale sin che diventa ipertensione venosa polmonare con comparsa
dei sintomi respiratori come la dispnea da sforzo che ne è il cardine. Segue però anche
l’aumento della pressione arteriosa polmonare (ipertensione arteriosa polmonare) che
all’inizio è passiva poi causa reazione ipertrofica cioè causa ipertrofia delle arteriole per cui
segue un aumento delle resistenze polmonari che regredisce solamente in parte anche una
volta corretta la stenosi mitrale (non si ha guarigione completa).
6
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
L’ipertnensione atriale sin alla lunga induce un aumento delle dimensioni dell’atrio cioè
una atriomegalia sin, fatto che comporta conseguenze importanti dal punto di vista
emodinamico e sistemico:
-
per prima cosa vi è perdita del contenuto atriale con diminuzione della GS anche del
20% e quindi calo della portata cardiaca che peggiora la sintomatologia
-
fibrillazione atriale
-
maggior rischio di stasi ematica con possibile embolizzazione sistemica e/o polmonare
-
il ventricolo dx di fronte a ipertensione polmonare si dilata in quanto non riesce a
spingere e questo porta a insufficienza tricuspidale e quindi scompenso cardiaco
-
insufficienza tricuspidale.
La conseguenza più importante tuttavia dell’aumento delle dimensioni dell’atrio sin è la
comparsa di fibrillazione atriale (FA) che consiste nella perdita dell’attività elettrica
sincrona dell’atrio, con conseguente attività elettrica scoordinata che nell’ECG si riflette
con assenza dell’onda P, ma soprattutto con perdita dell’attività meccanica.
L’atrio in condizioni normali si contrae in telediastole contribuendo al riempimento
ventricolare in questa fase, tal contributo è del 20-40% della gittata sistolica complessiva,
che viene appunto perso in caso di FA. La conseguenza più importante di tale aritmia è che
all’interno dell’atrio ingrandito senza attività meccanica è la stasi sanguigna, uno degli
elementi della triade di Virchov. E’ possibile in questa situazione la formazione di trombi
parietali che possono embolizzare e passare in circolo. Questa è una conseguenza tragica
che può portare a morte il pz o ad un’invalidità permanente a seguito di coinvolgimento
cerebrale. Tale evento va combattuto con farmaci anticoagulanti orali (cumarinici).
Classificazione della gravità della stenosi
-
lieve: area <2cm² e > 1,5cm²
-
media <1,5 e >1cm²
-
serrata <1 cm²
Se l’area è maggiore di 2cm² non si considera neanche la stenosi. La gravità della stenosi è
commisurata a quanto è stretta l’area.
Sintomatologia
Vi è una lunga latenza tra l’episodio reumatico e la comparsa dei sintomi (per i processi di
fibrosi servono diversi anni affinché si sviluppi stenosi). Il primo sintomo che compare è
l’ipertensione capillare polmonare con conseguente più sangue nel circolo polmonare
capillare che comporta dispnea da sforzo (sintomo obbligatorio e precoce che compare
7
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
appena c’è stenosi mitralica). La persistenza di un aumento pressorio venoso polmonare
determina la possibilità che questa pressione aumenti rubando spazio alla capacità
ventilatoria
determinando
dispnea
parossistica
ed
edema
polmonare
acuto.
La
sintomatologia della stenosi mitralica è legata quindi alla presenza di ipertensione venosa
polmonare.
Le cause di dispnea parossistica e di edema polmonare acuto vanno ricercate in quei fattori
che bruscamente aumentano la pressione nell’atrio sin, come una tachiaritmia in assenza
di aumento di portata cardiaca di cui la FA è solo l’esempio più classico. Anche la presenza
di palpitazioni spontanee è legata alle aritmie. Tra le conseguenze più gravi come già detto
vi sono gli emboli, in caso di FA, che possono essere sia sistemici che polmonari, questi
ultimi a causa di disfunzione del ventricolo destro.
Sintomi più rari sono comprendono l’emottisi, legata all’ipertensione polmonare e la
disfagia da atriomegalia sinistra.
Esaminando il pz si possono rilevare le seguenti peculiarità:
-
facies mitralica: presente solamente nelle forme serrate ed è caratterizzata da zigomi
purpurei e cianosi delle labbra con capillari ben evidenti e dilatati. La causa va
ricercata nella bassa portata cardiaca e alla maggiore desaturazione del sangue venoso
(da tenere presente che a parità di consumo di ossigeno da parte dei tessuti, vi è una
maggiore estrazione a causa del minor flusso).
-
possibile turgore giugulare (onda a se è presente ipertensione polmonare)
-
polso indifferente, talora piccolo.
L’auscultazione permette spesso lo staging della malattia:
-
1 tono: è forte in quanto i lembi sono rigidi (vedi fibrosi)
-
2 tono: è sdoppiato, rinforzato sulla componente valvolare
-
schiocco di apertura della mitralica (eclà): si tratta di un rumore secco dopo il 2° tono
soprattutto sul focolaio mitralico. È un tono aggiunto. La sua distanza dal 2 tono è
inversamente proporzionale alla pressione atriale.
-
rullio diastolico con rinforzo presistolico (solo con ritmo sinusale)
-
soffio diastolico di Graham-Stell o diastolico polmonare: piuttosto raro e presente
solamente in caso di ipertensione polmonare.
Diagnosi
a) Esami strumentali
-
Ecocardiogramma: è l’esame top che permette di valutare le dimensioni dell’atrio sin,
visualizzare la valvola mitrale in diverse proiezioni misurandone tra l’altro l’area della
valvola mitrale;
8
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
Ecodoppler: utile a ricavare informazioni sulla velocità del flusso trans mitralico in
diastole, dal quale si calcola il gradiente transmitralico presente tra atrio e ventricolo.
All’ecodoppler il gradiente si ricava attraverso la seguente formula: (mmHg) Δp = 4v2
(m/sec) con gradiente normale = 0. Si calcola cosi l’area dinamica. Tale velocità tende
a diminuire lentamente a causa dello svuotamento lento per la presenza di stenosi, per
cui la velocità con cui diminuisce il flusso atrioventricolare in diastole è indice di
gravità della malattia. Dalla velocità con cui scende la velocità di flusso dipende da
quanta fatica fa il sangue a passare e da questo si riesce a calcolar l’area dinamica
della mitrale che non è anatomica ma derivante da diverse considerazioni.
-
rx torace
-
Elettrocardiogramma: l’ingrandimento atriale si vede in quanto l’onda P è negativa si
presenta cioè con 2 cuspidi negativoi in V1 e un QRS alto in V1 (ipertrofia atrio sin).
-
Cateterismo cardiaco: fornisce informazioni dirette sui gradienti a partire da tracciati
pressori (gradiente massimo in protodiastole e minimo in telediastole). Dalla durata
della diastole rispetto alla durata della sistole, dal gradiente e dalla portata cardiaca si
può ricavare l’area valvolare.
Storia naturale della malattia
Il tempo che intercorre tra infezione reumatica e comparsa dei sintomi è lento e variabile. I
sintomi sono correlati ad entità della ostruzione e da non sottovalutare il rischio di
embolia.
La SVM quindi presenta un periodo di latenza variabile, in parte correlato probabilmente
ad episodi di infezione streptococcica. La progressione della malattia è molto lenta,
maggiore di 10 anni. Può tuttavia comparire in ogni momento una FA parossistica con
sintomi legati all’alta frequenza atriale con rischi di embolia.
Trattamento
Da tenere presente che il trattamento medico non è mai risolutivo in quanto non modifica
la situazione valvolare e si prefigge come unico scopo quello di attenuare i disturbi dovuti
all’aumento della pressione atriale sin, cioè ridurre il gradiente o la pressione atriale stessa.
Il trattamento medico si basa su
-
rallentamento della frequenza cardiaca per ridurre il flusso diastolico mediante uso di
beta-bloccanti, varapamile, digitale (solo in caso di FA)
-
diuretici
-
anticoagulanti x os (dicumarolici), obbligatori in caso di FA
9
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Il trattamento chirurgico è l’unico risolutivo. L’intervento è volto a riportare l’area valvolare
a condizioni più favorevoli e quindi ad una migliore funzionalità. Esistono due possibilità:
-
se l’area è ≤ 1,5 cm2 ma >1 cm2 si ricorre alla valvuloplastica percutanea in corso di
cateterismo cardiaco, dilatando la valvola con un apposito palloncino. Tale intervento è
possibile solo se l’anatomia della valvola e delle strutture adiacenti è favorevole, se sono
assenti
o
scarse
le
calcificazioni,
lembi
mobili,
assenza
di
insufficienza
e
interessamento importante;
-
se l’area è <1 cm2 (stenosi serrata) si ricorre all’intervento chirurgico propriamente
detto. L’intervento può essere o un rimodellamento della valvola nativa, o in caso ciò
non fosse possibile si attua la sostituzione della valvola con protesi meccanica o
biologica. Questi procedimenti richiedono un uso di anticoagulanti a vita.
INSUFFICIENZA MITRALICA
Generalità
L’insufficienza valvolare comporta una incompleta chiusura della valvola, con flusso
ematico retrogrado per mancata coaptazione dei lembi valvolari che causa quindi un
rigurgito di sangue).
Nella insufficienza mitralica si distingue una insufficienza da malattia della valvola o
malattia del ventricolo.
1. Insufficienza da malattia della valvola
- reumatica
- degenerativa (rottura corde tendninee, prolasso mitrale, rottura lembi, floppy valv)
- endocardite infettiva
2. Insufficienza da malattia del ventricolo
- cardiopatia ischemica (rottura o disfunzione dei muscoli papillari)
- cardiopatia dilatativa
Fisiopatologia
Nella insufficienza valvolare durante una sistole una parte del sangue viene eiettata verso
l’A.sn e rientra in ventricolo nella diastole successiva (rigurgito). Quindi nell’insufficienza
mitralica una parte di sangue ritorna all’A.sin. La quantità di questo “volume di rigurgito”
(caput mortuum) dipende da:
-
area dell’orifizio di rigurgito
-
gradiente pressorio ventricolo-atriale
10
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Se il rigurgito è importante, inizia già nella fase isometrica. Si possono distinguere forme
acute e forme croniche. Le forme acute sono caratterizzate da una risposta compensatoria
mediante aumento della frazione di eiezione e la frequenza cardiaca mediante:
-
ridotta impedenza all’efflusso
-
aumento della stimolazione simpatica (tachicardia)
In A.sin la pressione aumenta in funzione del volume di rigurgito e della compliance atriale
(atrio piccolo = compliance ridotta)
Si osserva quindi frequentemente:
-
ipertensione polmonare
-
edema polmonare / dispnea grave
-
ridotta portata cardiaca e ipotensione (= shock cardiogeno)
Pertanto nelle forme acute l’atrio è piccolo e l’aumento della pressione si riflette sul circolo
polmonare.
Nelle forme croniche il compenso è ottenuto mediante ipertrofia eccentrica con:
-
aumento del volume della cavità ventricolare per moltiplicazione di sarcomeri che
vengono apposti in serie; lo stiramento della fibra (aumento di precarico) è insufficiente
per spiegare l’aumento di volume
-
scarso aumento della massa (ridotto rapporto massa/volume).
Oltre all’ipertrofia eccentrica il compenso si attua anche mediante un aumento delle
dimensioni dell’A.sin e scarso aumento delle pressioni polmonari.
Dal punto di vista ventricolare si descrive:
-
adattamento cronico mediante ipertrofia eccentrica
-
ridotto rapporto massa/volume: predisposizione all’eccesso di postcarico
-
allungamento del sarcomero in telediastole (reclutamento massimale del precarico)
-
frazione di eiezione conservata
-
contrattilità precocemente ridotta
-
nell’anziano: scarsa dilatazione per ridotta compliance ventricolare.
Dal punto di vista cellulare invece si ha una diminuzione del numero/densità delle
miofibrille, diminuzione (downregulation) beta-recettoriale e diminuzione della velocità di
accorciamento; si osservano quindi tutte le sequele tipiche del cuore che tende a
scompensarsi, con diminuzione dei beta recettori cioè la down regulation dei recettori
superficiali i quali diventano meno inclini nei confronti degli ormoni beta adrenergici.
Il rimodellamento ventricolare fornisce informazioni essenziali per la fisiopatologia:
-
il volume telediastolico è grossolanamente proporzionale all’entità del rigurgito
11
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
-
il volume telesistolico è normale
-
il rapporto massa/volume è inversamente proporzionale all’entità del rigurgito
-
vi è una estrema sensibilità al postcarico.
Lo scompenso
si verifica quando il V.sin diventa insufficiente. Clinicamente questo si
verifica con i sintomi classici. Dal punto di vista strumentale non si rivela insufficienza se
non per riduzione della frazione di eiezione inferiori al 50% (impedenza all’afflusso ridotta),
ma con l’aumento del volume telesistolico, indice di riduzione della riserva contrattile (il
volume telediastolico riflette soprattutto l’entità del rigurgito).
Punto importante è che lo scompenso è sempre dovuto ad insufficienza ventricolare sin
che non si manifesta con calo della capacità al di sotto del 50%. Nel’insufficienza mitralica
basta solamente il 60%: siccome l’impedenza è ridotta il cuore si svuota con facilità e il
50% non è più un limite ma una avanzata riduzione funzione sistolica. Allora
probabilmente è più sensibile un aumento del volume telesistolico che non la frazione di
eiezione che comunque è indice di riduzione della riserva. Nell’insufficienza mitralica
quindi il volume telediastolico è in relazione all’entità del rigurgito e la frazione di eiezione
è
quasi
sempre
buona
in
quanto
la
impedenza al flusso è ridotta cioè è sotto il
60% e il volume telesistolico riflette come
sempre la riserva contrattile e se aumenta
la riserva è ridotta. Quando si superano i
50mm di diametro telesistolico del V.sin la
probabilità aumenta (vedi grafico)
Da
tenere
presente
che
l’intervento
chirurgico deve essere fatto prima che il
cuore diventi grande in termini soprattutto
di volume telesistolico.
Clinica
La sintomatologia dipende essenzialmente dalla pressione atriale sin: se normale non si
descrivono sintomi; perché possa esserci dispnea deve esserci un aumento pressorio.
I sintomi quindi dipendono essenzialmente dalla pressione atriale sin:
-
compliance atriale
-
forma acuta / forma cronica
-
funzione ventricolare sinistra.
12
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Nelle forme croniche il pz può essere a lungo asintomatico (talvolta astenia da sforzo).
Tranne che nelle forme acute, la comparsa di dispnea da sforzo riflette l’insufficienza
(almeno iniziale) del V.sin.
Anche la fibrillazione atriale favorisce la comparsa di astenia/dispnea. Sintomi poco
importanti possono coesistere con una grave compromissione della funzione ventricolare
sinistra, anche in apparente. È importante il monitoraggio ecocardiografico e la valutazione
di parametri quantitativi
Con il tempo quindi compare dispnea da sforzo che riflette un aumento delle pressioni in
A.sin ma in questo caso un aumento delle pressioni vuol dire che c’è iniziale disfunzione
ventricolare sin che non è necessario che si manifesti con frazione di eiezione molto ridotta
ma è sufficiente un valore al di sotto del 60%. Se l’A.sin si ingrandisce può comparire una
fibrillazione atriale nell’insufficienza mitralica che richiede trattamento anticoagulante. Il
rischio di trombogenicità è minore rispetto alla stenosi mitralica, ma bisogna tenerne
sempre conto. Nell’insufficienza mitralica non c’è normalmente proporzione tra gravità della
malattia e sintomi e perciò il soggetto è asintomatico pur essendo malato. Per cui è da
tenere conto e al pz si dirà che si deve operare anche se dice di stare bene.
All’EO nell’insufficienza mitralica avremo:
-
1° tono: debole per l’assenza della coartazione del lembi
-
2° tono: solitamente significativamente sdoppiato a meno che non vi sia ipertensione
polmonare grave;
-
è presente un 3° tono che è segno di insufficienza importante (3° tono protodiastolico
quindi un tono aggiunto in quanto il ventricolo si distende). Il 3° tono coincide con la
fine della fase di riempimento rapido diastolico ventricolare;
-
soffio olosistolico alla punta che si propaga all’ascella a getto di vapore che aumenta
con la manovra di Valsalva che aumentando pressione intra-addominale riduce il
ritorno venoso e aumenta le resistenze periferiche. Aumentando le resistenze
periferiche aumenta rigurgito e quindi il soffio.
Diagnosi
Indagini strumentali
-
ECG: le cuspidi anormali determinano una bi modalità: in V1 si ha una fase negativa
lenta. Si osserva anche ipertrofia ventricolare sin da sovraccarico diastolico (non molto
frequente). Si vede in quanto il complesso QRS nelle derivazioni sin è aumentato e
l’onda Q è ben sviluppata e soprattutto l’onda T che segue è alta e aguzza. È un segno
tipico di cuore grande e pressioni di riempimento aumentate.
-
Ecocardiogramma: in proiezione a 4 camere è visibile la mitrale e un lembo che sporge
indietro cioè flebo che sbandiera liberamente. Con il color si evidenzia il flusso mitralico
13
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
dal V.sin all’atrio. È tipico un reperto di ventricolo ipertrofico (con atrio sin non
grande):
-
Cateterismo cardiaco: nella forma acuta la pressione in A.sin può raggiungere
pressioni enormi come 70mmHg con il pz chiaramente in edema polmonare.
Trattamento
Esiste un trattamento medico e uno chirurgico. Nel trattamento medico si distinguono le
forme acute dalle croniche.
Nelle forme acute l’unico trattamento medico possibile si basa su vasodilatatori o diuretici
in caso di edema polmonare. Il vasodilatatore è importante per spostare gittata dall’A.sin
verso circolo periferico.
Nelle forme croniche si distinguono soggetti sintomatici e asintomatici. Negli asintomatici
non c’è nessuna terapia da seguire, gli stessi vasodilatatori delle forme acute non è
dimostrato che funzionino nelle forme croniche. Quindi in caso di insufficienza mitralica
cronica asintomatica non si imposta alcuna terapia a meno che non coesista un condizione
di ipertensione arteriosa.
Per quanto concerne la terapia chirurgica, questa può essere riparativa o sostitutiva. La
chirurgia ripartiva è da preferirsi in quanto non richiede trattamento anticoagulante.
Indicazioni trattamento chirurgico:
-
insufficienza mitralica rilevante: area rigurgitante maggiore di 40mm2 oppure in caso di
aumento del volume del V.sin;
-
presenza di sintomi o in assenza di sintomi iniziale disfunzione con VTS superiore a
45-50ml/m2 o DTS superiore a 45mm
Un punto importante nell’insufficienza mitralica è che se la disfunzione ventricolare sin è
molto elevata il rischio operatorio diventa proibitivo. Si rischia che i ventricoli non riescano
a fare carico al nuovo carico sostituendo la valvola perché abituata a lavorare poco; questo
vale quando la FE minore 30%. Nelle forme ischemiche bisogna considerare la
rivascolarizzazione, meglio se associata con by pass aorto polmonare.
Quando si dovesse sostituire la valvola normalmente si tolgono i lembi valvolari ma non i
muscoli papillari che servono per la costituzione della fase isometrica cioè della tensione,
quindi almeno un muscolo viene lasciato in sede di solito quello posteriore, utile per la
contrazione del cuore.
14
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
PROLASSO DELLA MITRALE
Generalità
Si definisce “prolasso della mitrale” la situazione in cui la valvola prolassa ampiamente in
A.sin durante la sistole. Normalmente la valvola sporge un po’ (“billows”) in A.sin: questo
non è il prolasso. In altre parole la PVM consiste nella protrusione sistolica in A.sin di uno
o entrambi i lembi valvolari mitralici, ciò indipendentemente dalla mancata coaptazione
sistolica dei lembi. Secondo questa definizione quindi la eventuale coaptazione sistolica dei
lembi è una condizione possibile, ma non necessaria al fine di porre diagnosi di prolasso
valvolare mitralico.
Il PVM costituisce uno tra i più frequenti vizi valvolari. Diversi autori lo hanno definito
come la patologia cardiaca del decennio; ne è colpito circa il 5-10% della popolazione totale
(dato probabilmente sovrastimato dalla facilità di diagnosi degli ecocardiografisti).
Il PVM è una patologia degenerativa della mitrale che consiste in una proliferazione mixoide
della
spongiosa
dei
lembi
valvolari
a
causa
dell’aumento
nel
contenuto
di
mucopolisaccaridi e della diminuzione del numero di fibre collagene III e AB. Questa
degenerazione comporta un’alterazione della funzionalità della valvole e a volte si associa
ad alterazioni aritmogene del V.dx.
Epidemiologia
La prevalenza stimata con criteri restrittivi è del 2,4%, F/M = 2. Esiste una familiarità
importante, talvolta anche ereditarietà autosomica dominante con penetranza incompleta.
Fisiopatogenesi
Nel PVM si descrive un abnorme aumento del materiale valvolare mitralico, che è di
consistenza mixomatosa o spongiosa (degenerazione mixoide), spesso associata ad altre
malattie del connettivo (Marfan o Ehlers-Danlos). Il movimento eccessivo dei lembi valvolari
può portare a rottura cordale (“flail leaflet”).
Il prolasso inizia quando il V.sin si rimpicciolisce durante la sistole così da non poter più
contenere la mitrale sovrabbondante. Può accompagnarsi o meno ad insufficienza
valvolare, che inizia col prolasso per mancata coaptazione dei lembi. Lo stiramento dei
muscoli papillari o delle altre strutture valvolari può dare dolore o suscitare aritmie
Le alterazioni sono dinamiche.
Clinica
Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è assente, in quanto il PVM è quasi sempre
asintomatico. L'assenza dei sintomi è però sopravalutata in quanto in genere sono pz
sintomatici. La sintomatologia, quando presente, è costituita da palpitazioni precordiali,
15
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
dolori toracici, astenia, vertigini, lipotimie, ansia. Tali disturbi fanno parte di quella che è
stata definita sindrome del PVM, e sono attribuibili più ad una disfunzione del sistema
nervoso autonomo, che all'anomalia valvolare. Le donne hanno, in genere, sintomi più
evidenti. Per quanto i pz possano divenire sintomatici a qualsiasi età, la maggior parte lo
diviene nella seconda o terza decade. È di rilievo notare che nello studio di Framingham,
eseguito su una popolazione non selezionata di soggetti, è stato osservato che sintomi come
il dolore toracico e la sincope, non sono più frequenti nei pz con PVM rispetto a soggetti
senza PVM.
È frequente un habitus astenico con pz alte, magre, spesso sottopeso. Sono possiibli
ansietà, palpitazioni, crisi di panico, astenia e dispnea intensa, angina. Non giustificabili
con le alterazioni emodinamiche. Sono possibili eventi ischemici cerebrali, anche senza
fibrillazione atriale.
Dal punto di vista obiettivo:
-
1° tono forte
-
2° tono normale
-
Sindrome del click-soffio: click mesosistolico (non eiettivo) seguito incostantemente da
soffio mesotelesistolico.
Da tenere presente che le caratteristiche auscultatorie sono dinamiche: l’aumento
dell’impedenza all’efflusso ritarda il click e accorcia il soffio, mentre la diminuzione
dell’impedenza all’efflusso anticipa il click e allunga il soffio (si comporta come un soffio
eiettivo e non da rigurgito).
Prognosi e trattamento
Generalmente eccellente e la mortalità cardiaca dipende da
-
età
-
sesso
-
ispessimento e sovrabbondanza dei lembi
-
“Flail leaflet” (fattore di rischio secondario)
-
gravità dell’insufficienza mitralica
-
dimensioni dell’atrio e del ventricolo sinistri.
Per quanto concerne il trattamento in assenza di insufficienza mitralica e aritmie è
importante rassicurare il pz che la prognosi è molto buona, incoraggiando a svolgere un
vita normalmente attiva. In presenza di insufficienza mitralica si ricorre al trattamento,
anche chirurgico, dell’insufficienza mitralica (è importante la profilassi dell’endocardite
batterica!).
16
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
STENOSI AORTICA
Generalità
La stenosi valvolare aortica (SVA) è una malattia cronica e progressiva delle cuspidi
aortiche, con ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro, con seguente sviluppo di
gradiente pressorio transvalvolare ed ipertrofia concentrica del ventricolo sin.
La SVA consiste quindi nel restringimento della valvola aortica, la quale presenta in
condizioni normali un’apertura minore rispetto alla valvola mitrale, circa 3-4 cm2. Si parla
di stenosi aortica quando l’apertura valvolare è minore di 1,5 cm2 (si parla di stenosi critica
quando l’apertura è ≤ 0,8 cm2).
Eziologia
Diversamente dalla valvola mitralica, la maggior parte dei casi di stenosi della valvola
aortica non vede in causa la malattia reumatica, che incide per circa il 10% dei casi, ma
piuttosto alterazioni congenite, come la stenosi propriamente detta o la valvola aortica
bicuspide inizialmente senza stenosi che con il tempo evolve in una situazione patologica a
causa della fibrosi dei lembi in una situazione di restringimento dell’ostio o ad alterazioni
acquisite, di cui quelle di gran lunga più frequenti sono le alterazioni degenerative, come il
logoramento da lavoro dei lembi specialmente in caso di ipertensione di lunga durata. Il
logoramento dei lembi è una caratteristica propria della valvola aortica, diversamente dalla
mitrale, che lavora a regimi pressori molto più bassi.
Aterosclerosi e calcificazione aortica sono altre cause importanti di stenosi.
Le cause più frequenti quindi sono:
a) Degenerazione calcifica della valvola (tipica stenosi aortica senile)
- ispessimento e irrigidimento dei lembi senza fusione delle commessure
- lesione tipo “wear and tear”.
b) Malattia reumatica (circa 10%)
- fusione delle commissure
c) Altre forme sono più rare
- artrite reumatoide
- ocronosi.
Il discriminante tra le due tipologie di stenosi è la fusione dei lembi, presente nelle forme
congenite e assente in quelle acquisite, dove invece le commissure sono libere; in
quest’ultimo caso infatti la stenosi è dovuta alla rigidità e la difficoltà di movimento dei
17
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
lembi valvolari conseguente alla calcificazione. Questa non è una mera classificazione
eziologica ma si rispecchia anche nel trattamento della malattia, infatti nelle forme di
stenosi acquisite la divulsione della valvola è inutile e inefficace.
Fisiopatologia
Come nel caso della SVM, anche nella SVA l’elemento fisiopatologico determinante è la
presenza di un gradiente, in questo caso gradiente transaortico, tra il V.sin e l’aorta
ascendente durante la sistole. Tale gradiente risulta critico quando superiore a 50 mmHg.
Ugualmente al gradiente transmitralico, il gradiente transaortico dipende dal flusso, flusso
sistolico in questo caso, e dall’apertura della valvola.
Il flusso sistolico dipende dalla portata cardiaca e dalla frequenza o meglio da quale
porzione del ciclo cardiaco è occupata dalla sistole.
La risposta adattativa e compensatoria in situazione di stenosi aortica è una ipertrofia
concentrica, che è caratterizzata dall’aumento del rapporto massa/volume del ventricolo
per aumento del numero di sarcomeri in parallelo. In questo modo cresce lo spessore della
parete ma non viene intaccato il volume della cavità, che in taluni casi può risultare
addirittura
ridotto.
Il
significato
finalistico
di
tale
risposta
compensatoria
è
la
normalizzazione del post-carico cioè lo stress parietale, che è la forza sviluppata dalla fibra
miocardica in contrazione.
La misurazione di tale forza non è possibile in maniera diretta ma la si può misurare
attraverso la pressione sviluppata, che è direttamente proporzionale, e grazie alla Legge di
Laplace:
T = P*R / 2h
R = raggio cavità
P = pressione esercitata
T = stress parietale
Se quindi si ha aumento di pressione a causa della stenosi aortica per fa sì che lo stress,
quindi la forza, rimanga invariata, è necessario che diminuisca il rapporto R / h.
Per far sì che tale rapporto diminuisca esistono due possibilità:
-
una via diretta, cioè l’ipertrofia cardiaca concentrica, dove varia lo spessore ma non le
dimensioni della cavità
-
una via indiretta, più rara, dove avviene la diminuzione delle dimensioni senza variare
lo spessore cioè il rimodellamento cardiaco, cioè l’aumento del rapporto massa/volume
senza aumento della massa.
18
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Tale risposta adattativa, in definitiva, normalizza il post-carico in una situazione di
aumentata pressione sistolica. Le conseguenza di tale risposta prevedono una sistole del
tutto normale, a meno che non sia intervenuto nel frattempo lo scompenso cardiaco,
eventualità possibile nella maggioranza dei casi solo nelle forme avanzate di malattia, o nei
casi in cui vi si sia instaurata un’ipertrofia inadeguata. Vi sono invece delle alterazioni
diastoliche, poiché l’ipertrofia determina un rallentamento del tempo di rilasciamento e una
ridotta distensibilità della camera ventricolare sinistra in quanto l’ipertrofia ha determinato
non solo aumento della componente muscolare, ma anche aumento della componente
fibrosa e conseguente aumento della rigidità. A parità di volume telediastolico la pressione
all’interno del ventricolo è aumentata. Tale situazione prende il nome di disfunzione
diastolica.
Vi è inoltre una alterazione del flusso coronarico che risulta normale a riposo, ma per la
presenza di un’aumentata massa muscolare si determina una precoce riduzione della
riserva funzionale coronarica. Aggiungendo poi il fatto che la pressione diastolica del
ventricolo è aumentata, conseguentemente anche il gradiente di perfusione coronarico cha
va dall’aorta alla pressione diastolica del ventricolo è ridotto e si ha una riduzione di flusso,
o comunque una riduzione della riserva funzionale. Questa latente insufficienza coronarica
può determinare delle ischemie sintomatiche o funzionali che a lungo andare possono
determinare disfunzione del ventricolo sinistro.
Clinica
Se la componente sistolica è normale i pz possono essere del tutto asintomatici, e questo
spiega le molte scoperte casuali della malattia a seguito di una normale visita cardiologia,
grazie al rilevamento di un soffio sistolica. Nei casi in cui c’è un aumento della pressione di
riempimento legata alla disfunzione sistolica, si ha tutta una sequela di sintomi:
-
dispnea che può essere da sforzo o parossistica
-
angina da sforzo per insufficienza coronarica
-
sincope al termine dello sforzo è proprio della stenosi aortica grave, che è legata a
diversi fattori:
a) incapacità del mantenimento del flusso coronarico attraverso la valvola stenotica
b) riflesso di Bezold-Jarisch ad origine parietale ventricolare. Si può creare una
situazione particolare per cui accanto al riflesso di Bezold-Jarisch vi è il riflesso
del seno carotideo, quest’ultimo regolato dalla pressione aortica. Si determinano
quindi impulsi contrastanti con disregolazione neurovegetativa del tono vasale e
quindi la sincope.
È possibile la morte improvvisa, molto rara nell’asintomatico (rischio medio 0,4% anno),
circa il 10% delle morti per stenosi aortica.
19
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
All’EO si rilevano:
-
itto protratto dovuto all’aumento della durata della sistole
-
fremito sistolico sul focolaio aortico come espressione del soffio
-
1° tono normale
-
2° tono ridotto o abolito con possibile sdoppiamento paradosso. In situazioni normali
nel 2° tono, legato alla chiusura delle valvola aortica e di quella polmonare, il V.sin si
contrae prima mentre il V.dx si contrae più a lungo. Di conseguenza si ha prima la
componente aortica e poi quella polmonare. Nella stenosi aortica scompensata la
contrazione del V.sin può essere tanto più lunga da terminare dopo la contrazione del
V.dx. Nello sdoppiamento paradosso si ha quindi prima la componente polmonare e poi
quella aortica. Tuttavia durante l’inspirio si ha aumento della sistole del V.dx tale per
cui vi è la sovrapposizione delle due componenti;
-
presenza del 4° tono, dovuto allo spostamento di sangue dall’atrio al ventricolo durante
la contrazione atriale. Difatti in condizioni di stenosi aortica e quindi di diminuito
rilasciamento, il riempimento diastolica viene spostato dalla protodiastole alla
telediastole, cioè durante la contrazione atriale che risulta quindi non più silente e che
può arrivare al 40% e anche più della gittata sistolica, da cui la presenza del 4° tono,
che può essere presente in altre situazioni come l’ipertensione arteriosa.
-
soffio diastolico rude aberrante irradiato ai vasi del collo
-
polso piccolo e tardo.
Indagini strumentali
Analogamente alla stenosi mitralica, anche in caso di stenosi aortica il gold standard è dato
dall’ecocardiogramma, integrato dall’indagine ecodoppler.
Trattamento
La storia naturale della SVA vede una evolutività della stenosi aortica:
-
circa -0,1 cm2/anno o +5-10 mm Hg di gradiente
-
dipende dai fattori di rischio dell’aterosclerosi
La mortalità è piuttosto elevata e rapida quando compaiono i sintomi.
Per quanto concerne la terapia, esattamente come per la SVM, anche nel caso della stenosi
aortica il trattamento medico non è risolutivo, non esistono infatti farmaci capaci di
risolvere la patologia, ma solo di trattare le complicanze, come ad esempio l’edema
polmonare. Il concetto fondamentale della terapia è che la stenosi aortica asintomatica non
va trattata. L’unico trattamento efficace per la stenosi aortica sintomatica o nei casi
peggiori serrata e quello chirurgico, cioè la sostituzione con protesi meccanica o biologica a
20
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
seconda dei casi. Il trattamento chirurgico è l’unico in grado di migliorare la qualità della
vita dei pz affetti da tale patologia, riportando la sopravvivenza ad un livello paragonabile
alla popolazione sana.
INSUFFICIENZA AORTICA
Generalità
Si tratta di una incontinenza della valvola aortica in diastole come conseguenza di una
-
malattia dei lembi
-
malattia della radice aortica.
Per le modalità di insorgenza può essere distinta in
-
acuta
-
cronica.
Eziologia
a) Malattie dei lembi valvolari
-
reumatica, rara se isolata
-
degenerativa (frequente nell’anziano, spesso associata a stenosi)
-
post-endocardite
-
aorta bicuspide (spesso associata a malattia dell’aorta ascendente)
-
malattie del collageno (A. reumatoide, spondilite anchilosante, Takayasu, sclerodermia)
b) Malattia della radice aortica (frequente causa di insufficienza aortica)
-
ectasia anulo-valvolare (Marfan,
medionecrosi cistica, dissezione aortica. aorta
bicuspide, ipertensione arteriosa, farmaci anoressizzanti)
Fisiopatologia
Si riconoscono diversi eventi fisiopatogenetici:
-
aumento della gettata sistolica, comprensiva della quota anterograda e retrograda
-
ipertrofia eccentrica (o rimodellamento eccentrico) con aumento del numero di
sarcomeri con apposizione in serie e aumento del volume del ventricolo senza
stiramento della fibra.
-
proporzionale mantenimento dello spessore parietale (normale rapporto massa/volume)
-
si possono anche raggiungere volumi enormi (cor bovinum)
-
aumento della pressione differenziale (aumento della sistolica, diminuzione della
diastolica) con aumento del postcarico e riduzione del gradiente di pressione trans
coronarico.
21
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Clinica
I pz possono rimanere asintomatici per lungo tempo. La sintomatologia comprende:
-
palpitazioni, sensazione di cardiopalmo, tendenza alla sudorazione (segni di attivazione
simpatica)
-
astenia/dispnea da sforzo
-
angina non da sforzo
-
edema polmonare (difficile da trattare)
-
possibile, ma rara, la morte improvvisa.
All’EO si descrivono:
a) Polso ampio e celere (di Corrigan) e segni correlati
- De Musset (movimento del capo col polso)
- Traube (doppio tono sulla femorale)
- Durosiez (soffio femorale)
- Quincke (polso capillare)
Normalmente
sono
meno
frequenti
nell’insufficienza
aortica
acuta:
è
presente
vasocostrizione, non vasodilatazione periferica.
All’ascultazione:
-
1° tono normale o indebolito
-
2° tono normale o indebolito
-
3° tono (protodiastolico), più frequente nelle forme acute
-
soffio sistolico aortico (“stenosi relativa”, da accompagnamento)
-
soffio diastolico lungo, in calando, sul focolaio di Erb (soprattutto dopo manovre di
attivazione)
-
frequente il soffio di Austin-Flint (rullio mitralico presistolico e segno di aumentata
pressione telediastolica ventricolare sinistra).
Storia naturale e prognosi
La storia naturale si caratterizza per una evoluzione lenta con una lunga fase asintomatica.
La comparsa di sintomi segna una svolta poco favorevole.
Trattamento
Il trattamento medico è possibile anche nell’asintomatico, se l’insufficienza è rilevante. Se
la funzione V.sin è normale si fa ricorso a vasodilatatori, preferibilmente diidropiridinici a
lunga durata e ACE-inibitori.
22
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Per le indicazioni chirurgiche si considerano soltanto le insufficienza aortiche rilevanti con
rigurgito importante, aumento delle dimensioni telediastoliche ventricolari sinistre.
L’approccio chirurgico è indicato sempre nel pz sintomatico, anche se poco sintomatico,
nell’asintomatico, quando comincia a ridursi la funzione sistolica ventricolare e quando il
volume telesistolico aumentato, FE < 50%, rapporto massa/volume ridotto. Non è chiaro se
esistano controindicazioni per funzioni ventricolari molto ridotte.
VIZI MITRO -AORTICI
Si distinguono:
-
Stenosi mitralica e stenosi aortica: eziologia invariabilmente reumatica, frequenza
circa il 2% delle valvulopatie. La sintomatologia legata al vizio prevalente, generalmente
comunque poco importante: importante l’ECG, che “fa vedere” il ventricolo sinistro in
una stenosi mitralica. Si caratterizza per un fenomeno del “mascheramento” dei
sintomi e dell’emodinamica da portata ridotta. Il trattamento è generalmente
chirurgico,
possibile
valvuloplastica
mitralica
se
vizio
aortico
veramente
poco
importante
-
Stenosi mitralica e insufficienza aortica: presente in circa il 20% dei casi di stenosi
mitralica.
L’eziologia
è
quasi
sempre
reumatica.
Esiste
un
mascheramento
unidirezionale dove la stenosi mitralica maschera l’insufficienza aortica (scarsa
dilatazione ventricolare e assenza di polso di Corrigan). Per quanto concerne il
trattamento, è difficile la valutazione dell’insufficienza aortica (entità del rigurgito
spesso modesta e scarsa dilatazione ventricolare sinistra). Oggi che la strategia per la
stenosi mitralica è la valvuloplastica percutanea, conviene “wait and see”. Dopo la
valvuloplastica migliora la portata cardiaca e peggiora l’insufficienza aortica
-
Insufficienza mitralica e stenosi aortica: combinazione fortunatamente rara: 0,8%
delle stenosi aortiche. Generalmente dovuta ad una malattia degenerativa della valvola
mitrale in presenza di una stenosi aortica. È possibile anche una malattia degenerativa
della valvola aortica in presenze di una insufficienza mitralica degenerativa. La
sintomatologia è devastante e la mortalità è molto alta in assenza di trattamento
chirurgico. Esiste anche l’insufficienza mitralica conseguente ad una stenosi aortica e
scompenso cardiaco con dilatazione ventricolare sinistra. In questo caso l’insufficienza
mitralica è indicatore di progressione di malattia aortica. Il trattamento è generalmente
diretto verso la valvola aortica
-
Insufficienza mitralica e insufficienza aortica: l’eziologia è varia (malattia della
radice aortica e del tessuto connettivo, raramente reumatica). Si caratterizza per una
grave
dilatazione
ventricolare
con
rapida
23
progressività,
ipertrofia
fortemente
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
“inadeguata”, grave congestione polmonare e sistemica. Il trattamento è esclusivamente
chirurgico e senza indugi. La funzione ventricolare sinistra è compromessa molto
precocemente. Il recupero funzionale spesso non buono.
TROMBOEMBOLIA POLMONARE
Generalità
La TEP costituisce una delle malattie più frequenti dell’apparato cardiovascolare e ciò
nonostante, è molto sottostimata da un punto di vista clinico al punto che nell’ 85- 90 %
dei casi riscontrati all’esame autoptico non erano stati diagnosticati.
La diagnosi clinica è resa a volte difficile da una presentazione clinica subdola o dalla
coesistenza di altre patologie. E’ una delle cause più frequente di morte.
In USA, Europa ed in Italia si registrano circa 600.000, 190.000 e 65.000 nuovi casi per
anno, rispettivamente.
L’embolia polmonare è la migrazione di una massa solida, liquida o gassosa di dimensioni
varie (embolo) da una sede periferica, attraverso una vena sistemica o dal cuore destro, in
un vaso del circolo arterioso polmonare con interruzione improvvisa totale o parziale del
flusso di sangue.
Esistono due tipi di embolia polmonare:
-
embolia trombotica: è un trombo che si stacca dalla parete di un vaso e va in
circolazione;
-
embolia non trombotica: sono altri elementi che intervengono a chiudere il ramo
dell’arteria polmonare.
L’embolia polmonare trombotica o tromboembolia polmonare è la più frequente che si vede
in emergenza. L'embolo polmonare è costituito da un coagulo ematico che in oltre il 95%
dei casi si stacca da un trombo rosso a superficie liscia di una trombosi venosa profonda
(TVP) delle vene al di sopra del ginocchio (poplitee, femorali, iliache) o da un trombo più
distale non trattato che si è esteso prossimalmente.
In percentuali molto basse l'embolo proviene dal cuore dx o dai distretti venosi della cava
superiore.
L’embolia polmonare non trombotica è caratterizzata da 5 tipi di embolie:
-
embolia adiposa: è del grasso che viene liberato nella circolazione sistemica dalle ossa
fratturate (fratture composte)
-
embolia da liquido amniotico: parti complicati
-
embolia gassosa: si può verificare quando ci sono grossi interventi neurochirurgici;
immissione di aria nella circolazione sistemica
24
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
-
embolia settica: in presenza di un focolaio infettivo
-
embolia tumorale: in cui l’embolo è costituito da tessuto neoplastico che entra nel
circolo sistemico previo distacco dalla massa tumorale primitiva o metastatica.
Eziologia
1) Tromboembolia polmonare trombotica (95%)
a) Coagulo ematico che si stacca dalle vene periferiche degli arti (TVP)
Fattori di rischio:
-
sesso F/M = 3/1
-
età > 40 anni
-
obesità
-
fumo
-
traumi-fratture
-
chirurgia
-
parto, gravidanza, postpartum
-
neoplasie
-
contraccettivi orali
-
LAC-LES e altre collagenopatie
-
allettamenti
b) Coagulo ematico che parte dal cuore dx
-
mixoma
-
IMA
-
FA
-
pace maker
-
CVC
-
endocardite
2) Embolia polmonare non trombotica
-
embolia adiposa: si verifica in seguito a fratture di ossa lunghe (mortalità 10%)
-
embolia di liquido amniotico: durante il parto (mortalità >70-80%)
-
embolia gassosa: rapida risalita dopo immersioni profonde (elevata mortalità)
-
embolia tumorale.
Clinica
È importante il sospetto diagnostico che si pone in presenza dei seguenti sintomi:
-
dolore toracico di tipo pleurico
25
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
-
dispnea
-
tachipnea
-
tachicardia
-
sincope/sudorazione/ipotensione arteriosa
-
cianosi/ipossiemia
-
turgore delle vene del collo
-
segni di trombosi venosa profonda agli arti inferiori
Nessuno di questi sintomi però è specifico.
I segni della trombosi venosa profonda sono da riconoscere subito in quanto se non
riconosciuta i trombi in circolo danno ipertensione polmonare, la quale provoca astenia
importante, scompenso incorreggibile. È una malattia che colpisce i giovani, spesso donne,
spesso la causa può essere nel passato per neoplasie con trattamenti radianti e sono
situazione frequenti e invalidanti. La trombosi venosa profonda quindi non ha sintomi e
segni specifici e possono esser assenti(se presenti si manifestano mediante dolore, tensione
ed edema del polpaccio). La DD va fatta con crampi, rottura cisti, gotta ecc. I segni che non
sono specifici dipendono da quanto importante è l’ostruzione albero polmonare e da quanto
rapidamente si instaura ostruzione e dalla broncocostrizione associata e dallo stato
caridopolmonare preesistente.
La TEP viene classificata in tre stadi principali:
-
TEP massiva: sono interessati almeno due rami lobari dell’arteria polmonare (possibili
shock cardiogeno e arresto cardiaco)
-
TEP sub massiva: è interessato un ramo segmentario dell’arteria polmonare
-
Micro TEP: da origine ad un quadro di ipertensione polmonare (può essere
asintomatica).
Il caso più importante si verifica quando l’ostruzione non è completa ma interessa il tronco
polmonare e si instaura rapidamente estrinsecandosi con una sintomatologia ben evidente
con sincope, shock e ipotensione prolungata e importante dispnea; in presenza di
importante embolia polmonare i segni più importanti sono quelli della ostruzione
cardiocicroclatoria.
È importante la DD e l’ECG indica subito
l’eventuale infarto miocardio e un
ecocardiogramma ci dice se tamponamento cariaco e se emorragia massiva la appuriamo e
aneurisma dissecante può essere DD importante. Questo è il quadro di ostruzione totale. In
caso di ostruzione parziale il quadro emodinamico è meno compromesso e prevale un
quadro respiratorio che è essenzialmente dato da dispnea importante con tachipnea (>
26
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
20/min). ci può essere dolore toracico, sono rari i rantoli. È frequente la tosse e la
tachicardia è costante. In caso di trombosi venosa profonda è costante il dolore agli arti
inferiori (ipertensione polmonare).
Diagnosi
La potenziale gravità della TVP impone una diagnosi precoce e precisa. Lo strumento piu
adeguato e maneggevole a disposizione del MMG è lo score di Wells
Variabile
Punteggio
Neoplasia in fase attiva (trattamento in corso o nei 6 mesi precedenti o
1
palliativo)
Paralisi, paresi o recente immobilizzazione degli arti inferiori
1
Chirurgia maggiore nelle 4 sett precedenti o pz allettato e da poco rimesso
1
in piedi/degenza a letto > 3 giorni
Gonfiore di tutta la gamba
1
Gonfiore del polpaccio > 3 cm rispetto all’arto asintomatico (misurati 10cm
1
sotto la tuberosità tibiale
Edema con fovea maggiore nell’arto interessato
1
Polpaccio > 3 cm rispetto al controlaterale
1
Vene collaterali superficiali (non varicose)
1
Diagnosi alternativa altrettanto o più probabile della TVP
-2
A seconda del punteggio ottenuto si calcolano le varie probabilità di rischio.
-
punteggio = 0 bassa probabilità (5%)
-
punteggio = 1-2 media probabilità (17%)
-
punteggio ≥3 alta probabilità (75%)
Da tenere presente che la sola diagnosi clinica non è affidabile: un esame strumentale
appropriato smentisce la diagnosi in circa il 70% dei pz con segni e sintomi clinici
suggestivi di TVP. E’essenziale poter sottoporre, in breve tempo, ogni pz con sospetto
clinico di TVP ad un esame strumentale di conferma (ecocolordoppler). Nell’ambito
dell’embolia l’esame più importante resta però l’ECG. L’ECG è importante prima di tutto
come DD con l’IMA. I segni suggestivi di una EP (emodinamicamente significativa) sono:
-
sottoslivellamento ST nelle derivazioni dx
-
inversione onda T
27
www.haikzarian.com
-
comparsa nuovo blocco branca di dx
-
comparsa S1Q3T3 non preesistente
Copyright © Haik Zarian
Sono segni altamente significativi. La radiografia del torace è importante, ma non
evidenzia l’embolia polmonare e spesso può essere negativa. L’rx è utile per escludere
condizioni come il pnx, aneurisma dell’aorta, edemi polmonari, polmoniti ecc. È quindi un
esame importante più in negativo che in positivo (è utile in quanto esclude molte cause
facili di dispnea).
Altro esame importante è la emogas-analisi che nell’embolia polmonare evidenza
costantemente una ridotta pO2, non facile da capire. Nel 10-15% dei pz l’emogas è
normale. Nell’embolia polmonare si verifica una ostruzione del circolo con alveoli ventilati e
non perfusi e non ci sarebbe motivo per avere effetto shunt, perchè tutti alveoli perfusi
sono ventilati e non si capisce l’esistenza della desaturazione. La desaturazione si potrebbe
spiegare mediante due fenomeni:
-
effetto spazio morto cioè con alveoli ventilati ma non perfusi che costituiscono uno
spazio morto respiratorio che determina desaturazione
-
effetto di ridistribuzione della ventilazione che è un effetto indiretto legato al fatto che ci
sono stimoli che determinano broncocostrizione negli alveoli ventilati e non perfusi da
sottrarre in parte la ventilazione inutile e ridurre effetto spazio morto. Si ha quindi un
calo della pO2 (è leggermente ridotta nell’embolia polmonare).
È importante tenere conto anche delle circostanze in cui si è verificata l’embolia, le
situazioni cliniche in cui spesso si può manifestare una TVP e quindi l’embolia sono quelle
post-operatorie ortopediche, traumi degli
arti inferiori ma anche superiori, allettamento
prolungato, gravidanza oppure neoplasie che possono dare grave squilibrio del sistema
coagulativo determinando dei trombi. Altra circostanza particolare sono i viaggi in aereo
prolungato con immobilità prolungata. Dai dati anamnestici importanti sono le pregresse
tromboembolie, stati trombofilici, familiarità e trattamento con estroprogestinici soprattutto
se associati a fumo (molto rischiosa come associazione, anche per IMA).
Segni che ci devono mettere in allerta in caso di EP sono (in ordine crescente)
-
agitazione
-
tachicardia
-
dispnea non spiegabile
-
storia tromboembolismo
-
tromboembolia familiare
-
estroprogestinici
-
recente trauma
28
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
allettamento prolungato
In presenza di EP le misure da prendere sono anticipate rispetto alla diagnosi vera: in caso
soltanto di sospetto diagnostico è importante partire subito con UFH Bolo (5.000 IU or 80
IU/kg IV), questo ancora prima di giungere ad una diagnosi.
Diagnosi
-
D-dimero: il D-dimero è un prodotto di degradazione della fibrina. Se dosato con
metodo Elisa un D-dimero normale consente di escludere la diagnosi di TEP in oltre il
90% dei casi.
Se dosato con metodo Elisa un D-Dimero > 500 mcg/L ha una
sensibilità del 99% ma una del specificità 10-40% perché riscontrabile in molte altre
affezioni (necrosi, infiammazioni, cancro). E’ un test sensibile ma non specifico per una
sospetta TEP (esclude, sia pure in modo non assoluto la diagnosi clinica se negativo,
conferma la diagnosi clinica se positivo,
ma la sola positività del D-Dimero non
consente una diagnosi certa).
-
Ecocardiografia: in letteratura, solo nel 47-74% dei casi di TEP sono disponibili i dati
ecocardiografici. E’ poco sensibile (40%), ma quasi sempre positivo nei casi gravi (TEP
massiva). L’ecocardiografia può inoltre escludere altre patologie (per s. infarto,
versamento pleuro/pericardico). Nella TEP massiva evidenzia:
a) un sovraccarico emodinamico del ventricolo destro che appare dilatato e
ipocinetico.
b) una pressione arteriosa polmonare aumentata ( 50-60 mmHg)
c) una arteria polmonare dilatata, una vena cava inferiore dilatata (non collassa in
inspirazione).
-
Ecocolordoppler degli arti inferiori: è positivo nel 10-20% di tutti i pz con sintomi o
segni di sospetta trombosi venosa profonda (TVP) agli arti inferiori e nel 50% di quelli
con diagnosi certa di TEP. Un’ecodoppler venoso negativo non può pertanto escludere
la diagnosi di TEP. Anche un’ecodoppler venoso positivo deve essere giudicato con
attenzione potendo a volte evidenziare esiti di una TVP pregressa. Va quindi
considerato con attenzione ai fini della diagnosi di TEP e, soprattutto, dell’avvio di una
terapia anticoagulante un ecodoppler venoso positivo solo in pz senza storia di
pregressa TVP e con una diagnosi clinica di TEP ad alta probabilità.
-
TC: è più semplice, più facilmente accessibile (specie in urgenza) e meno costosa della
scintigrafia perfusoria. Consente di visualizzare direttamente gli emboli e altre lesioni
che possono supportare o meno la diagnosi di TEP. La sue sensibilità e specificità per
la diagnosi di TEP variano dal 57-100%, e dal 78-100%, rispettivamente. Evidenzia TEP
sia centrale, che lobare o segmentaria ma non quelle subsegmentarie (6-30% dei pz con
29
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
TEP). Ne consegue che è meno sicuro escludere una TEP sulla base di una TC spirale
negativa che sulla base di una scintigrafia perfusoria negativa e che è più sicuro basare
una diagnosi di TEP su una TC spirale positiva che su una scintigrafia perfusoria
positiva.
-
Angiografia polmonare: rappresenta il gold standard per la diagnosi di TEP ma è
un’indagine invasiva e rischiosa. La morbidità (complicanze maggiori) è risultata pari
allo 0.8 % e la mortalità è risultata pari allo 0.5%. E’ pertanto impiegata come test
diagnostico di conferma se i tests non invasivi (TC spirale e scintigrafia polmonare
perfusoria) non sono risultati diagnostici in presenza di una diagnosi clinica di TEP ad
alta probabilità. E’ impiegato come tests diagnostico di primo livello nei pz
emodinamicamente instabili. E’ infine impiegata nei pz in cui è indicata la terapia
trombolitica loco-regionale.
-
Scintigrafia ventilo per fusoria: ha avuto un ruolo importante per la diagnosi di TEP
negli ultimi 30 anni. Una scintigrafia perfusoria normale esclude la diagnosi di TEP
(l’abbinamento con la scintigrafia ventilatoria è necessario solo in presenza di lesioni
polmonari). Una scintigrafia perfusoria giudicata ad alta probabilità per TEP è
fortemente diagnostica. Nella pratica quotidiana in oltre il 50% dei pz con TEP non c’è
alla scintigrafia perfusoria un quadro giudicato ad alta probabilità per TEP e inoltre il
50% dei pz senza TEP non c’è un quadro giudicato normale.
-
Rx torace: può essere normale o indicare una atelettasia o infiltrato, versamento
pleurico, opacità a base pleurica, elevazione del diaframma, ridotta vascolarizzazione,
amputazione dell’arteria ilare.
Trattamento
La TEP rappresenta spesso un evento fatale e la mortalità è pari a circa il 30% nei casi non
trattati. La maggior parte dei decessi è legata ad un episodio di TEP che ricorre entro poche
ore dall’evento iniziale. La terapia anticoagulante riduce la mortalità al 2-8%.
Ne consegue che la terapia anticoagulante deve essere iniziata il più presto possibile
La terapia anticoagulante quindi va iniziata il più precocemente possibile, anche su base
empirica se il sospetto di TEP è alto ed il rischio emorragico non eccessivo. Il suo inizio va
invece valutato caso per caso se il sospetto di TEP è moderato o se c’è un elevato rischio di
sanguinamento. La terapia anticoagulante previene la formazione di coaguli ma non lisa né
riduce le dimensioni del trombo/embolo già esistente. Il suo obiettivo è quello di prevenire
eventi ricorrenti di TEP per cui il suo scopo è quello di portare il più rapidamente possibile
l’aPTT in range terapeutico (1.5-2.5 volte l’aPTT iniziale).
30
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
È importante distinguere:
-
embolia con compromissione del quadro emodinamico, con shock per esempio e EP
massiva: si pratica la trombolisi. Non si fa sempre per il rischio di complicanze
-
embolia senza compromissione: senza shock il trattamento si basa solamente sull’
eparina, riposo a letto e sostegno generale con ossigeno ecc. Si utilizza eparina non
frazionata al dosaggio 5000 bolo + 1000 ora, se basso PM allora vari dosaggi a seconda
del tipo di eparina.
Solo se il sospetto diagnostico di TEP è confermato c’è l’indicazione alla
terapia
trombolitica la quale richiede la temporanea sospensione della terapia anticoagulante.
L’embolectomia va considerata nei pz che per gravità di presentazione richiederebbero la
terapia fibrinolitica ma nei quali la fibrinolisi è controindicata.
Da tenere presente che nei pz con un episodio di embolia è necessario proseguire con la
terapia anticoagulante per minimo 6 mesi e fino ad un anno di distanza. L’anticoagulante
orale ha duplice funzione:
-
riduce complicanze, cioè recidive e nuovi episodi
-
favorisce la fibrinolisi endogena e riduce le dimensioni degli emboli polmonari rimasti.
Se gli emboli diventano tessuto fibroso si verificano alterazioni resistenze del circolo
polmonare e quindi ipertensione non trattabile.
Il posizionamento del filtro in vena cava inferiore trova indicazione in pz con diagnosi di
TEP confermata quando è controindicata la terapia anticoagulante, quando la stessa ha
prodotto una complicanza emorragica,
quando vi siano recidive oppure quando c’è una
compromissione emodinamica o respiratoria severa (con conseguente elevato rischio di
mortalità in caso di un eventuale altro episodio di TEP).
Le indicazioni alla terapia fibrinolitica sono diverse
-
ipotensione arteriosa persistente legata da una TEP
-
severa ipossia
-
importanti difetti di perfusione polmonare
-
disfunzione ventricolare dx
-
emboli flottanti in atrio/ventricolo destro in presenza di una pervietà del forame ovale
L’embolectomia è indicata invece in caso di ipotensione arteriosa persistente legata da una
TEP in un pz con controindicazione alla terapia fibrinolitica o in presenza di emboli
flottanti in atrio destro o ventricolo destro in presenza di una pervietà del forame ovale
31
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Complicanze
Una complicanza è l’ipertensione polmonare da cronica tromboembolia con pz in grave
dispnea e incapace di eseguire anche i movimenti più semplici. La diagnosi si fa valutando
l’ipertensione polmonare dimostrando la presenza di difetti di perfezione con tecniche di
imaging. Come terapia si possono usare vasodilatatori particolari come bosentan (anti
endotelina) e cadalfi (sidenafil). Un’altra via è la tromboarterectomia polmonare che però
possiede alta mortalità, ma lo fanno pochi centri. Un’alternativa è l’angioplastica, ma
solamente in presenza di trombosi distali con stenosi e non prossimali.
CARDIOPATIA ISCHEMICA
Generalità
La C.I. costituisce attualmente la patologia più frequente nel mondo occidentale, oltre che
ad essere una tra le più pericolose per la sopravvivenza e le complicanze alle quali può dare
luogo. Spesso la C.I. viene identificata con la coronaropatia, ma bisogna tenere presente
che sono aspetti diversi di un unico modo.
Si parla di ischemia cardiaca quando si instaura una condizione di squilibrio tra l’offerta e
la richiesta di ossigeno.
Affinché il miocardio possa funzionare in modo ottimale è necessario che vi sia un
equilibrio dinamico tra il consumo e l’apporto di ossigeno al miocardio. In caso di aumento
del consumo
senza che aumenti consensualmente anche l’apporto di O2, oppure se il
consumo rimane invariato ma l’apporto risulta inadeguato, si crea una situazione di
ischemia del miocardio.
Epidemiologia
La C.I. è di gran lunga più significativa nel mondo occidentale in quanto la sua incidenza e
la sua prevalenza sono strettamente legate al benessere della popolazione. Il benessere e le
abitudini alimentari infatti sono fattori predisponesti per lo sviluppo della C.I., soprattutto
un’alimentazione ricca di grassi che favorisce lo sviluppo dell’aterosclerosi.
Le coronarie infatti si ammalano di più, quanto più alti sono i livelli nel sangue di tutti quei
fattori che sono predisponenti allo sviluppo dell’aterosclerosi come ad esempio il colesterolo.
Il colesterolo è fortemente legato a fattori genetici ed alimentari.
Eziopatogenesi
Ci sono diversi fattori predisponenti alla aterosclerosi coronarica, punto di partenza della
coronaropatia, che a sua volta è il punto di partenza della C.I.
I fattori di rischio di aterosclerosi coronarica possono essere distinti in 2 tipi:
32
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
fattori non modificabili: appartengono al patrimonio genetico, età, sesso (le donne
infatti fino alla menopausa sono protette dai livelli ormonali), storia familiare positiva;
-
fattori modificabili: possono rientrare a far parte della prevenzione primaria:
colesterolo, ipertensione, fumo, scarsa attività fisica, obesità, dieta e fattori di carattere
emotivo.
Le alterazioni aterosclerotiche determinano con l’avanzare delle modificazioni della parete,
fino alla sua protrusione e quindi diminuzione del lume vasale. La placca può essere
oggetto di ulcerazioni, fissurazioni, erosioni, primum movens di un evento drammatico
quale la trombosi intraluminale. Il processo aterosclerotico coronarico è porta a diverse
importanti conseguenze: le coronarie non portando più sangue al cuore, lo possono
compromettere a tal punto da interromperne il funzionamento.
Importante è il duplice effetto che una placca aterosclerotica può produrre in un vaso
coronario:
-
rischio di fissurazione, rottura e quindi di trombosi acuta con occlusione del vaso
-
restringimento del lume del vaso in quanto la placca protrude all’interno riducendo la
sezione del vaso.
Il muscolo cardiaco per contrarsi ha bisogno di O2 ; in caso di esercizio fisico aumenta la
richiesta di O2 da parte del muscolo cardiaco che a riposo per soddisfare alle richieste deve
di conseguenza aumentare la portata del circolo coronarico. Per far fluire più sangue al
miocardio sottoposto a sforzo fisico si ha una risposta compensatoria che non consiste
nella vasodilatazione delle coronarie di grosso calibro (non rappresentano più del 4-5%
delle resistenze globali), ma delle arteriole (rappresentano il restante 95% delle resistenze).
La dilatazione delle arteriole determina un aumento del flusso coronarico fino a 3, 4, 5
volte rispetto alle condizioni basali. Questa capacità di incremento di flusso si prende il
nome di riserva coronarica. A seconda della contrattilità e dell’esercizio fisico la riserva
coronarica può aumentare fino a 4-5 volte il flusso in condizioni basali, risposta assente
invece in caso di stress emozionali. Quindi man mano che la domanda di O2 da parte del
miocardio aumenta, si ha una progressiva vasodilatazione delle arteriole (rubinetti del
sistema vascolare) con conseguente incremento del flusso di sangue.
La richiesta di ossigeno è quindi determinata dal cuore e dal lavoro che il cuore è chiamato
a svolgere in determinate situazioni. L’offerta è determinata da una serie di fattori che sono
il flusso coronarico e la capacità ossiforica che ha il sangue, capacità che è relativamente
stabile in un certo lasso di tempo. Normalmente la variazione dell’offerta di O2 è
determinata dalle variazioni del flusso coronario. Ma un anemia brusca può essere causa
di ischemia (emorragie digestive con calo dell’Hb).
È importante quindi conoscere le caratteristiche del flusso coronarico, il quale è
prevalentemente diastolico. I determinanti del flusso sono essenzialmente:
33
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
-
gradiente pressorio (pressione aortica – pressione telediastolica del V.sin)
-
resistenze coronariche che dipendono dal controllo metabolico, controllo nervoso, forze
compressive extravascolari e dall’autoregolazione
Convenzionalmente si ritiene che il consumo di ossigeno sia determinato dal doppio
prodotto, cioè il prodotto della pressione per la frequenza cardiaca, salvo in casi particolari
come nelle miocardiopatie dove il consumo di O2 è proporzionale al doppio prodotto; quindi
se abbiamo 120 di pressione e frequenza 70 il consumo di ossigeno è 120x70. In caso di
sforzo fisico aumenta ovviamente. La riserva coronarica è di circa 4-5 volte più del riposo. I
determinanti del consumo di ossigeno sono diversi ma il doppio prodotto è un ottima
approssimazione.
Un’altra peculiarità del circolo coronarico è il fenomeno dell’autoregolazione. I sistemi
dotati di autoregolazione sono cervello, rene e cuore. La regolazione metabolica regola il
flusso a seconda del bisogno, ma questa autoregolazione fa in modo che il flusso resti
costante anche in caso di ipotensione. Anche il cervello è dotato di autoregolazione, se cade
la pressione il cervello mantiene il flusso (quando aumenta la pressione non aumenta il
flusso cerebrale).
L’autoregolazione è quindi il procedimento per cui, entro certi limiti, il flusso è
indipendente dalla pressione di perfusione. Questo succede nei territori di autoregolazione.
Nei limiti pressori tra 60-150mmHg il flusso è costante, per pressioni al di sotto di tale
valore le pressioni diminuiscono.
I meccanismi alla base dell’autoregolazione non sono ancora completamente chiariti. Si sa
che sono imputati anche i riflessi assonici cioè una neuromediazione senza intervento del
snc oppure altri mediatori non noti. L’autoregolazione è indipendente dalla regolazione
metabolica del flusso.
Tra le varie ipotesi sull’autoregolazione si citano:
-
NO: aumenta il flusso sanguigno in seguito a stimoli metabolici, o in caso di ipossia.
L’NO è un potente vasodilatatore.
-
Controllo miogeno: la muscolatura liscia intravasale reagisce all’aumento pressorio
mediante una vasocostrizione, fatto che comporta un aumento delle resistenza.
Dal punto di vista del metabolismo la vasodilatazione passa attraverso l’azione
dell’endotelio che ha fattori in grado di promuover fenomeni di vasodilatazione e
vasocostrizione. L’endotelio malato perde la parte vasodilatatrice e trombogena. Il flusso
coronarico si distribuisce al tessuto miocardico che fa parte della parete miocardica che
non è sottile (10-12mm di spessore); le arterie intramurali con le diramazioni ulteriori
danno luogo ad arteriole che terminano nel plesso sottocardico. Esiste molta differenza tra
34
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
le arterie epicardiche e sottoendocardiche che risentono della variazione pressoria. Il lavoro
non è ugualmente distribuito, lavorano di più le arterie sottoendocardiche che non le
sottoepicardiche in quanto possiedono un accorciamento maggiore di 6 decimi di micron
contro 2 decimi; in più i vasi sottoendocardici hanno una resistenza aggiuntiva perché
risentono maggiormente della pressione intracavitaria, con il risultato che consumano
maggiore
quantità
di
O2
e
devono
ricevere
più
sangue
attraverso
arteriole
sottoendocardiche che sono in parte schiacciate cioè con resistenze maggiori attingendo
alla riserva dell’autoregolazione: si ha in tal modo una riduzione della riserva coronarica, e
questo vuol dire che la riserva coronarica è leggermente minore che in quello
sottoepicardico in condizioni normali. Il flusso subendocardico è quindi leggermente
maggiore del flusso subepicardico a riposo (rapporto =1,16), tuttavia il gradiente di
perfusione è minore, e le forze compressive sono maggiori. Ne deriva che questo flusso
maggiore è ottenuto per vasodilatazione arteriolare, cioè con riduzione della riserva
coronarica
Stenosi coronariche
In caso di stenosi il flusso resta uguale. Man mano che cala il diametro del vaso, a parità di
flusso si crea un gradiente e se aumenta la pressione che spinge a monte, non aumenta la
pressione a
monte,
ma cala la pressione a
valle della stenosi! Qui interviene
l’autoregolazione cioè si ha una vasodilatazione arteriolare che mantiene il flusso. In
presenza di una stenosi molto serrata con una pressione a 20mmHg, si potrebbe avere un
arresto del flusso, si raggiunge cioè la pressione critica di chiusura. L’effetto delle stenosi
dunque è dato da fatto che entro certi limiti la stenosi è compensata dalla autoregolazione
e vasodilatazione senza alterazione del flusso finchè la gravità della stenosi è compensata
da una vasodilatazione arteriolare.
Nella formula entra il flusso al quadrato e diametro alla quarta potenza. Il gradiente
attraverso la stenosi dipende quindi dal flusso e gravità della stenosi. Per stenosi del 30%
praticamente c’è poca differenza rispetto alla situazione normale, mentre per stenosi pari al
70% abbiamo situazione intermedia.
Si intende significativa una stenosi che per piccole variazioni di entità determina
importanti variazioni di resistenza, situata tra 50-70%, dall’80% in su le stenosi sono da
considerarsi significative.
In queste condizioni bisogna tenere presente la riserva coronarica, cioè il rapporto tra il
flusso massimale (ottenibile con la vasodilatazione massimale) e il flusso a riposo.
35
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Normalmente questo rapporto è circa uguale a 4. La riserva coronarica comincia a
diminuire significativamente per stenosi di circa 60-70%. Soggetti con coronaropatia
possono non avere alcun sintomo. Per stenosi superiori al 90% si giunge ad una situazione
dove la stenosi non è più compensata e si osserva una diminuzione del flusso già a riposo
con sintomatologia spontanea (angina spontanea).
È molto importante quindi la suddivisione logica della cardiopatia ischemica.
Circoli collaterali
I C.C. costituiscono un secondo meccanismo che modifica la soglia ischemica. La caduta
pressoria a valle di una stenosi determina infatti, l'ingrandimento di canali pre-esistenti
che collegano i vari rami epicardici con miglioramento dell'apporto ematico al miocardio
irrorato da un ramo epicardico stenotico. Ciò spiega perché, anche in presenza di una
stenosi maggiore del 90% un pz può non presentare ischemia miocardica in condizioni di
riposo e perché anche pz con grave aterosclerosi coronarica ostruttiva possono avere una
soglia ischemica molto alta. Lo stimolo per la formazione di questi circoli è dato dalla
ipotensione a valle di una stenosi o di una occlusione (oppure la gravità della stenosi,
l’ipossia, altri fattori di rischio, attività fisica). I C.C. consistono di vasi che accolgono
sangue proveniente da altre direzioni compensando la riduzione del flusso dovuto alla
stenosi. Ma la compensazione non è mai sufficiente e quindi il risultato è che il circolo
collaterale protegge dall’occlusione coronarica, ma non dall’ischemia inducibile (la capacità
del C.C. non supera il 50% di quella del circolo nativo: corrisponde quindi ad una stenosi
del 70-80%).
Clinica
L’ischemia miocardica è situazione che si verifica quando flusso coronarico diviene
insufficiente per i fabbisogni metabolici in quel momento con uno squilibrio tra la richiesta
di O2 e l’apporto con il metabolismo anaerobico, deplezione di ATP e perdita di potassio.
In altre parole l'ischemia miocardica definisce un'alterazione del normale stato metabolico
del miocardio provocato da una discrepanza fra la domanda di O2 per le necessità
metaboliche del momento e la quantità di ossigeno disponibile in quel momento al
miocardio dal flusso sanguigno coronarico. In condizioni normali esiste una relazione
lineare fra la domanda e l'offerta di O2, nel senso che a ogni aumento della domanda
corrisponde un adeguato aumento dell'offerta, che si realizza attraverso un opportuno adeguamento del circolo coronarico come già spiegato. Quando questa corrispondenza lineare
viene interrotta, il metabolismo miocardico, essenzialmente aerobico, viene perturbato,
devia verso l'anaerobiosi, si producono lattati e il pH tessutale tende verso l'acidosi. Lo
stato di ischemia altera ovviamente le proprietà fondamentali della fibro-cellula miocardica,
36
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
come la capacità di contrarsi e di rilasciarsi nonché di produrre e diffondere lo stimolo
elettrico necessario al normale accoppiamento eccitazione-contrazione che presiede al
normale funzionamento della pompa cardiaca.
L'ischemia miocardica è un fenomeno obbligatoriamente acuto e transitorio: un prolungarsi
dello stato di discrepanza oltre alcuni limiti temporali che studi sperimentali definiscono, in
genere, intorno a 20-30 minuti, comincia a produrre alterazioni mitocondriali irreversibili
che portano alla morte cellulare e cioè alla necrosi miocardica. Le cellule distrutte
verranno poi sostituite da tessuto connettivo cicatriziale.
Le alterazioni dell’ischemia sono quindi reversibili se l’ischemia non dura più 30 min,
altrimenti sopraggiunge una condizione di necrosi ischemica. Se la condizione ischemica
ha una durata minore ai 30min si verificano delle alterazioni reversibili che prendono il
nome di cascata ischemica caratterizzata da:
-
disfunzione
diastolica
con
rallentamento del rilasciamento
(riconducibile
alla
disponibilità di ATP);
-
disfunzione sistolica dopo pochi secondi cioè riduzione della contrazione che si
manifesta come ipocinesia nella zona colpita
-
alterazioni dell’ECG1: si può avere un sopraslivellamento (in caso d'ischemia
transmurale) o sottoslivellamento (in caso d'ischemia sottoendocardica) del tratto ST.
Solo tardivamente, e non necessariamente, il pz lamenta dolore anginoso
1
I segni ECG dell’infarto possono essere essenzialmente compresi in tre grandi categorie:
a) alterazioni dell’onda T:
- fase acuta: il primo segno di ischemia miocardica è la comparsa delle cosiddette “T iperacute”, cioè di un
aumento dell’altezza delle onde T che assumono morfologia “a tenda”. Il reperto si associa frequentemente
a dolore toracico;
- fase tardiva: in fase tardiva le onde T si presentano classicamente invertite. L’inversione delle onde T è però
un segno del tutto aspecifico, manifestandosi in moltissime malattie del cuore;
b) slivellamento del tratto ST: compare subito dopo le alterazioni delle onde T. Si tratta ancora di una
situazione reversibile:
- sottoslivellamento: riflette che è in corso un’ischemia a carico della porzione subendocardica della parete
del cuore;
- sopraslivellamento: è in corso un’ischemia a tutto spessore;
- onde Q o complessi QS: sono un segno tardivo che riflette la necrosi (danno irreversibile) transmurale (in
effetti è sufficiente un’estensione superiore al 50%) della parete del miocardio, caratterizzano cioè la
presenza di un’area elettricamente inerte. Per complesso QS si intende una unica onda negativa. Le onde
Q ed i complessi QS sono considerati segni di infarto se: sono presenti in almeno due derivazioni vicine
oppur limitatamente alle onde Q se durano almeno 0,04 secondi e hanno un voltaggio > ¼ dell’onda R
successiva.
Segni ECG classici associati ai parametri laboratoristici delle varie forme di ischemia cardiaca:
- angina stabile: sottoslivellamento ST conseguente a sforzo che si risolve col riposo o con la
somministrazione di nitrati, non rialzo degli indici di miocardiocitolisi;
- angina instabile:
o spontaneamente, non rialzo degli indici di miocardiocitolisi;
o angina variante: sopraslivellamento ST (lo spasmo di un grosso vaso lascia l’intera parete senza
spessore) che si risolve spontaneamente, non rialzo degli indici di miocardiocitolisi;
o infarto non Q: sottoslivellamento del tratto ST con rialzo degli indici di miocardiocitolisi (c’è stata
una necrosi ma limitata agli strati più profondi);
37
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
dolore anginoso: c’è sempre nella comparsa di ischemia. Il dolore (angor coronarico) è
causato dalla stimolazione di recettori cardiaci da parte dell'adenosina prodotta in
eccesso dalle fibre miocardiche ischemiche.
Il dolore toracico può presentarsi con le seguenti caratteristiche, in ordine di frequenza:
-
compressione, come da schiacciamento (44%)
-
costrittivo, oppressivo (29%)
-
soffocante (18%)
-
acuto, penetrante, a colpi di coltello (11%)
-
atroce, angoscioso (11%);
-
torturante (7%);
-
urente (5%).
Le caratteristiche del dolore toracico riferite non sono però specifiche di ischemia poiché
vengono condivise anche da altre sindromi o patologie dalle quali bisogna fare la diagnosi
differenziale: dissezione aortica, dolore esofageo, patologia gastrica, pericardite, etc...
Alcuni pz poco prima dell’infarto presentano segni di attivazione simpatica come la intensa
sudorazione fredda.
In generale un episodio di angina recede con la somministrazione di nitroglicerina, ma
anche questo non è specifico dal momento che anche lo spasmo del cardias risponde alla
nitroglicerina.
Caratteristiche del dolore anginoso sono il fatto che frequentemente si irradia alla porzione
ulnare del braccio sin, mandibola, al collo, risalendo dal muscolo sternocleidomastoideo
fino ai muscoli occipitali.
Esistono anche condizioni di riduzione cronica del flusso coronarico in cui il miocardio è in
grado di adattarsi, sopravvivendo grazie alla sua capacità di ridurre il suo consumo di O2
riducendo la contrattilità. Questo stato non corrisponde quindi a uno stato di ischemia
cronica, che è impossibile sulla base di quanto detto prima, ma proprio riallineando le sue
richieste di O2 a livelli più bassi, seppure a spese di una ridotta capacità contrattile, il
muscolo cardiaco riesce a sopportare un flusso ridotto cronicamente. Questa condizione
che viene definita di "miocardio ibernato" è reversibile e il miocardio riprende il suo
normale stato contrattile una volta che si siano nuovamente modificate le condizioni di
flusso e riportate alla norma (ad esempio con unintervento di rivascolarizzazione
miocardica o negli animali in letargo). Se lo stimolo ischemico cessa si ha un recupero in
-
infarto classico: sopraslivellamento del tratto ST con rialzo degli indici di miocardiocitolisi. Successivo
ritorno del tratto ST alla normalità ma comparsa contestuale di onda Q/complesso QS.
38
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
tempi inversamente proporzionali alla ischemia e le conseguenze del non recupero in questi
tempi:
Un'altra condizione importante è quella di "miocardio stordito", condizione che il
miocardio attraversa dopo essere stato sottoposto a un certo periodo di ischemia; anche in
questo stato il miocardio mostra una riduzione della sua capacità contrattile, che viene
man mano recuperata allontanandosi nel tempo il periodo di ischemia. In altri termini un
giudizio sulla funzione contrattile di un cuore, al momento della risoluzione clinica ed
elettrocardiografica di un episodio ischemico, può non fornire dati esatti, poiché il cuore è
ancora nello stato di stordimento e può essere in grado di ritornare progressivamente in
condizioni di completa normalità.
Infine un'ultima condizione importante per i suoi riflessi nell'interpretazione clinica dei vari
momenti dinamici delle varie sindromi ischemiche è quella di precondizionamento.
Questo termine indica che quando un cuore è stato sottoposto a brevi periodi di ischemia è
poi in grado di sopportare periodi di ischemia più lunga senza andare incontro a necrosi,
oppure perdendo una minore quantità di cellule rispetto a quella che sarebbe andata
distrutta nel caso che il muscolo non fosse stato preparato a sopportare il periodo ischemico prolungato.
Differenze tra miocardio stordito, ibernato e normale
parametro
stunning
ibernazione
ischemia vera
Funzione meccanica del miocardio
↓↓
↓↓
↓↓
Flusso coronario
=
↓
↓↓
=/ ↑
=/↓
↓ (tanto più
Metabolismo
energetico
del
miocardio
procede
ischemia)
Durata
ore o giorni
ore fino a mesi
min o ore non di
più se assenza
necrosi
Esito
recupero
recupero se
necrosi se
spontaneo
rivascorrizzato
severa ischemia
persiste
Forme cliniche della C.I.
a) angina da sforzo
b) Sindromi ischemiche acute:
39
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
sindromi ischemiche acute con sovraslivellamento del tratto ST (infarto miocardico
acuto);
-
senza sovraslivellamento del tratto ST (angina instabile o infarto non Q)
-
caridiomiopatia ischemica acuta.
ANGINA DA SFORZO
Generalità
Forma di angina secondaria pura in cui la sintomatologia è evocata sempre dallo stesso
livello di attività fisica. Nell’angina da sforzo abbiamo ischemia solo da sforzo, con stenosi
mai superiori al 90%, mentre nelle sindromi ischemiche acute si osservano occlusioni
superiori al 90% con stenosi molto gravi oppure occlusioni.
Il sintomo tipico è un dolore oppressivo o costrittivo retrosternale, profondo, con inizio e
termine in modo graduale, non è influenzato dagli atti respiratori o dalla posizione del
corpo e può essere accompagnato da un senso di bruciore e di affanno, il pz spesso lo
indica ponendo la mano aperta sulla regione sternale.
Abitualmente il dolore retrosternale è irradiato alla mandibola, al collo, alle spalle, alla
superficie ulnare del braccio sinistro (anche al destro), ha una durata compresa tra 1-2
minuti a 20 minuti; naturalmente quanto più prolungato è il dolore tanto più grave è la
situazione.
Importante è sapere se ci sono stati fattori scatenanti quali esercizio fisico, temperatura
rigida, dopo un pasto, una emozione e se il pz ha già avuto episodi simili e pertanto se
assume già trinitrina.
Il soggetto anginoso può essere classificato in 4 stadi o classi:
-
prima classe: l'angina è provocata solo da sforzi fisici; tutte le attività ordinarie possono
essere svolte senza problemi
-
seconda classe: è presente una modesta limitazione dell'attività fisica, il soggetto ha
angina se deve fare due rampe di scale soprattutto dopo un pasto o in una giornata
fredda.
-
terza classe: il pz è decisamente limitato nella sua attività fisica e presenta sintomi per
sforzi lievi
-
quarta classe: qualunque tipo di sforzo provoca angina che può essere presente anche
a riposo.
Da ricordare che il dolore anginoso non è un dolore precordiale! È un dolore centrale, al
centro dello sterno, viene descritto come oppressione e non come dolore, ma come
schiacciamento, oppressione ecc. I pz spesso dicono che hanno mal di denti.
40
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Il dolore dura finchè dura lo sforzo e cessa con il riposo e la causa è indipendente da quello
che lo ha prodotto. Recede con il riposo in caso di assunzione di trinitroglicerina
sublinguale o derivati nitrati analoghi.
Fisiopatologia
Dal punto di vista fisiopatologico una ischemia è determinata abitualmente da una placca
aterosclerotica stabile che crea stenosi critica. Normalmente la fisiopatologia di una angina
riconosce un eccesso di domanda rispetto all’offerta.
Da tenere presente che non c’è
correlazione tra gravità del sintomo e gravità della malattia e l’ischemia può essere silente.
L’ECG nell’angina da sforzo in condizioni di riposo e in assenza di sintomi può essere
normale, ma è importante NON mandare a casa il pz! In quanto altre alterazioni possono
dipendere dalla malattia di base. In presenza di sintomi (angina) il segno fondamentale è la
lesione sub endocardica (sottoslivellamento del tratto ST). Questo perché attraverso la
stenosi si crea un gradiente pressorio per caduta della pressione a valle. Quando cade la
pressione a valle andando al di fuori della zona dove possiamo aumentare il flusso questo
non aumenta ma finirà per primo nella zona subendocardica caratterizzato già da una
riserva
ridotta.
Per
tale
ragione
l’ischemia
è
soltanto
sub
endocardica
(segno
importantissimo). Il vaso quindi non è chiuso/occluso, ma aperto. In caso di ischemia da
aumentato consumo di O2 si avrà una stenosi del 70-80% (non da occlusione).
Diagnosi
Per porre diagnosi di angina bisogna documentare l’ECG durante lo sforzo. A tale scopo si
fa eseguire al pz la prova da sforzo (test ergometrico) che consiste in uno sforzo regolato
alla ciclette o al tapis roulant in cui al soggetto sotto sforzo si registrano pressione, ECG e
frequenza cardiaca. Lo sforzo viene continuato fino livello prefissato con raggiungimento
della frequenza cardiaca massimale e sub massimale. La frequenza massimale si ricava
dalla formula 220-età del pz, oppure finchè il soggetto riesce o fintantoché non riferisce
dolore. Si interrompe il test in presenza di sintomi o alterazioni all’ECG, come il
sottoslivellamento del tratto ST (il sottoslivellamento può comparire anche in assenza di
angina).
Un'altra opzione diagnostica è la miocardio scintigrafia da sforzo, cioè la visualizzazione
mediante tecnezio della distribuzione del flusso coronarico valutando la distribuzione del
tracciante a riposo e sotto sforzo: se diversa è possibile che lo sforzo abbia determinato
ischemia in alcune zone. La scintigrafia da sforzo è molto precisa in quanto da anche una
localizzazione spaziale della sede di ischemia inducibile.
Altri sistemi per valutare ischemia inducibile comprendono:
-
ecografia e doppler: valuta l’andamento del flusso
41
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
cateterismo: si somministra un vasodilatatore e dalla variazione del gradiente si valuta
il flusso; la pressione di perfusione non aumenta, cala quella a valle. Si considera
critica la stenosi che dopo adenosina aumenta. La caduta di pressione di perfusione a
valle è critica per occlusioni del 75-85%, cioè con una pressione a valle del 75-85%
della pressione in aorta. La caduta si verifica in quanto è aumentato il flusso.
Terapia e prognosi
La terapia si articola:
-
norme igieniche: abolizione del fumo, controllo dell'ipertensione arteriosa, controllo del
peso corporeo, moderazione nell'attività fisica;
-
profilassi farmacologica: i farmaci attualmente usati sono nitroderivati, Ca-antagonisti
e betabloccanti in base alla tipologia della malattia.
-
terapia chirurgica: la rivascolarizzazione miocardia si basa sull'innesto di by-pass
aorto-coronarici con vena safena autologa e sull'impianto a livello coronario delle
arterie mammarie interne destra e sinistra. Da tempo viene utilizzata anche
l'angioplastica coronarica; la procedura consiste nella coronaria appositi cateteri
muniti nella parte terminale di un palloncino dilatabile. Una volta posizionato il
palloncino nella sede della stenosi, si procede alla dilatazione del tratto stenotico;
questa tecnica può essere affiancata all'intervento classico di by-pass.
I nitrati funzionano essenzialmente come dilatatori anche se l’azione anginosa solo in
piccola parte è dovuta ad una dilatazione delle coronarie. La dilatazione delle coronarie ha
senso
in
presenza di una componente
trinitroglicerina
con
una
diminuzione
spastica
delle
coronarica
pressioni
venose
e per
e
l’azione della
quindi
pressioni
intraventricolari con aumenta il gradiente di perfusione. La nitroglicerina è quindi
essenziale per risolvere un attacco anginoso. La regola generale è che le nitroglicerina cioè
trinitroglicerina o isosorbide assunti per via perlinguale sono molto utili per risolvere gli
attacchi acuti e in linea generale non trovano indicazione nel trattamento cronico. È una
regola da seguire. Quando si somministrano i nitrati bisogna tenere presente dell’effetto
vasodilatatore e quindi del calo della pressione sistemica e della conseguente ipotensione
ortostatica; i pz devono assumere il nitrato sublinguale non in piedi continuando a
camminare ma seduti per 15 min affinchè si completi l’effetto del farmaco. Dopo un attacco
anginoso si osserva frequentemente la sincope dovuta alla assunzione della nitroglicerina
stando in piedi. La trinitrina genera NO prodotto dall’endotelio che stimola la guanilato
ciclasi
(vasodilatazione).
Un
eccesso
di
nitrati
provoca
tolleranza,
pertanto
la
raccomandazione è che il nitrato non deve essere dato di continuo ed è necessaria una
finestra terapeutica se si utilizzano nitrati per lungo tempo.
42
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Riassumendo quindi i nitrati provocano:
-
dilatazione sistemiche e riduzione volumi ventricoli dx e sin
-
dilatazione arteriosa: non riducono tanto le resistenze ma aumentano la compliance del
circolo arteriole e quindi diminuiscono la impedenza aortica e la pressione sistolica
-
dilatazione arteriolare: riduzione resistenze sistemiche.
I nitrati agiscono sui vasi di capacitanza come le vene e le grosse arterie riducendo in
questo modo il pre e post carico; i nitrati provocano anche dilatazione arteriolare e quindi
delle resistenze sistemiche. Da tenere presente che i nitrati possiedono una importante
interazione con il sidenafil (quindi con altri nitrati). In caso di pz con cardiopatia ischemica
stabile non si devono somministrare nitrati a lunga durata: l’indicazione dei nitrati
comprende l’attacco di angina oppure la persistenza di angina nonostante la terapia
medica ottimale; senza queste condizioni non si somministrano nitrati a lunga durata.
I beta bloccanti sono farmaci che dovrebbero far parte del trattamento della cardiopatia
ischemica cronica e anche della angina da sforzo come anche i Ca antagonisti. Il beta
bloccante diminuisce la frequenza cardiaca in modo efficace e quindi la contrattilità e
anche il consumo di O2. I beta bloccanti aumentano la durata della diastole e quindi la
perfusione coronarica e la durante lo sforzo l’aumento consumo di O2 è minore rispetto al
soggetto trattato con un beta bloccante. Pur lasciando invariato l’apporto di sangue i beta
bloccanti diminuiscono di molto il consumo di O2, fatto molto utile nell’angina da sforzo.
I soggetti che beneficiano maggiormente dell’utilizzo dei beta bloccanti sono:
-
soggetti con angina da sforzo
-
ipertesi
-
aritmie sopraventricolari
-
precedente infarto miocardico
-
disfunzione sistolica ventricolare sin (uno degli elementi che richiedono il beta
bloccante)
-
stati ansiosi.
I beta bloccanti sono controindicati in caso di:
-
asma
-
BPCO con componente bronco spastica (beta bloccante facilita spasmo bronchiale)
-
stato clinico da IV classe funzionale in atto come edema ecc
-
depressione, purtroppo molti soggetti in post infarto hanno certo grado di depressione
-
malattia di Reynauld (il beta bloccante è un vasocostrittore se lo diamo soggetti
lamentano freddo agli arti, claudicatio)
43
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
bradicardia o blocco cardiaco (mai al di sotto dei 60, max 55 se sotto 50 bisogna
sospendere il farmaco)
-
diabete (oggi non più considerato).
Per quanto concerne i Ca-antagonisti nella terapia dell’angina, solamente il verapamile e
dilitiazem sono utili dal punto di vista terapeutico (non quelli diidropiridinici). Questi due
Ca antagonisti hanno un potente azione inotropo negativa, diminuiscono il consumo di O2
e hanno effetto vasodilatante. Il Ca-antagonista va somministrato solamente nei casi in cui
il pz abbia una buona funzione ventricolare sin. I beta bloccanti nello scompenso
aumentano e favoriscono la up regulation dei recettori antagonisti mentre Ca antagonisti
riducono solo la contrattilità.
La prognosi è tutto sommato buona, finche soggetto resta stabile possiamo essere
ragionevolmente sicuri che non succede niente e c’è una bassa mortalità (mortalità
annuale di circa 1,7% nei soggetti con angina da sforzo). Bisogna tenere conto che esiste
un certo grado di guarigione spontanea dovuti al fatto che si formano circoli collaterali
efficienti e la soglia di angina si alza di molto. Nella formulazione della è necessario tenere
conto di due fattori importanti:
-
funzione ventricolare sin buona
-
estensione ischemia inducibile ridotta
Con queste due condizioni si può stare relativamente tranquilli, altrimenti se non basta più
la terapia medica si ricorre alla rivascolarizzazione. Si ricorre alla rivascolarizzazione
nell’angina stabile (punto ancora controverso)
preferibilmente
senza
coinvolgimento
della
in presenza di una o più stenosi critiche
discendente
anteriore.
Si
distingue
rivascolarizzazione qua vitam e dalla quad valitudinem cioè per far star meglio il pz. Nel
quod vitam: malattie del tronco comune, dimostrato che se c’è stenosi del tronco comune la
terapia medica porta risultati peggiori rispetto rivascolarizzazione e la rivascolarizzazione
del tronco comune si fa abitualmente con la chirurgia prevalentemente anche se oggi si fa
sempre più ricorso alla angioplastica. Altre indicazioni comprendono la malattie dei tre vasi
oppure la malattia dei due vasi soprattutto se coinvolta la discendente ant. prossimale. Qui
la sopravvivenza è migliore nei non rivascolarizzati e si fa tramite by pass aorto-coronarico
con angioplastica e stent. Esistono sono anche degli stent medicati coperti da sostanze
antiproliferative come la rapamicina che viene dall’isola di Pasqua (film di 15 anni fa),
oppure la pianta tasso; sono tutti antiproliferativi e fanno che si che il tasso di re-stenosi
sia molto basso. La chirurgia oggi assicura un buon risultato solo che il rischio procedurale
è più alto della angioplastica. In caso di stenosi critiche in assenza coinvolgiemento
discendente ant trattare o meno è la stessa cosa ma non lo è a breve termine per il sintomo
44
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
angina in quanto il soggetto appena trattato ha più autonomia anche se nel tempo l’angina
instabile tende a ridursi.
ANGINA INSTABILE
Generalità
L’angina instabile, conosciuta anche come angina preinfartuale o ingravescente,
insufficienza coronarica acuta o sindrome coronarica intermedia, è quella sindrome clinica
caratterizzata dall’assenza di segni elettrocardiografici ed enzimatici di IMA e da almeno
una delle seguenti notizie anamnestiche:
-
episodi anginosi più intensi, più prolungati o più frequenti, nell’ambito di una storia di
angina stabile da sforzo
-
angina insorta da meno di un mese, esacerbata da minimi sforzi;
-
angina a riposo.
Come sottolineato anche dalle nuove linee-guida, l’IMA non-Q differisce dall’angina
instabile solo per il rilievo, nella circolazione periferica, dei markers sierici patognomonici
di necrosi miocardica.
L’angina instabile si caratterizza pertanto da:
-
insorgenza a riposo o al minimo sforzo
-
gravità/severità dell’episodio descritto come dolore importante di recente insorgenza
-
avviene con pattern increscendo.
L’angina instabile in realtà fa parte di un quadro clinico complesso comprendendo
sindromi ischemiche acute o sindromi coronariche acute:
-
sindromi ischemiche acute con sopraslivellamento ST: identificano una particolare
sindrome ischemica cioè la presenza di un evento occlusivo a carico di vaso miocardico.
Nella maggioranza dei casi si tratta di un trombo.
-
senza sopraslivellamento ST: la causa è data dal poco flusso causato dalla stenosi
almeno del 90%, cioè con riduzione del flusso a riposo. A causare la sindrome
ischemica quindi acuta è la sub occlusione coronarica (infarto miocardico NQMI).
Questa classificazione con il tratto ST è abbastanza recente ed è utile da ricordare. Si
distinguono tre classi di gravità modulate da tre classi di circostante cliniche di insorgenza:
-
I classe: angina da sforzo di recente insorgenza o accelerata non con dolore a riposo.
Questo ci fa pensare che ci sia una grave stenosi ma nessun elemento che la complica.
-
II classe: angina a riposo del mese precedente ma non delle ultime 48h;
-
III classe: angina a riposo nelle ultime 48h e sono soggetti che si presentano al PS.
45
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Quando si parla di sindrome ischemica acuta senza sovraslivellamento ST si può parlare
anche di:
-
angina secondaria cioè che si sviluppa in situazioni extracardiache che intensificano la
ischemia miocardiaca. Un esempio è la gastrointestinale che da anemizzazione
repentina che può peggiorare la situazione del pz. Sono situazioni che si caratterizzano
da mortalità elevata, tipicamente una cosa del genere si ha in soggetti con trattamento
antineoplastico che scatena una serie di fattori come TNF, citochine, fattori che
determinano aumento della portata cardiaca e si può determinare ischemia anche non
da sforzo.
-
angina primaria: si sviluppa in assenza di condizioni extracardiache
-
angina postinfartuale: angina pericolosa che si sviluppa in 2 settimane successive
all’infarto miocardico. Una volta la sopravvivenza dopo infarto era a 5 anni!.
Eziopatogenesi
I diversi meccanismi eziopatogenetici possono agire isolatamente oppure congiuntamente:
-
complicanza di placca: aggrava la stenosi e si tratta di una trombosi non occlusiva (se
non avremo ST sopraslivelalto) su placca significativa ma non critica (es stenosi 60%).
Nella maggioranza dei casi come determinante possiamo avere un trombo piastrinico.
Costituisce il meccanismo di gran lunga più freqeunte.
-
spasmo su stenosi lieve o in assenza di stenosi (Prinzmetal): è più raro ma spesso
presenta anche dopo trombo piastrinico (trombossano)
-
ostruzione meccanica progressiva (crescita di placca): meccanismo tipico della restenosi
dopo angioplastica o intrastent
-
infiammazione o infezione
-
aumento della richiesta di flusso da causa extracardiaca (tireotossicosi e anemia).
Dal punto di vista fisiopatogentico è molto importante l'endotelio, che è un sistema
metabolicamente attivo che gioca un ruolo importante nel mantenere l'omeostasi vascolare
e regola le risposte al danno locale. Una funzione endoteliale alterata può promuovere:
infiammazione, ossidazione di lipoproteine, proliferazione di cellule muscolari lisce,
deposito o lisi di matrice extracellulare, accumulo lipidico, attivazione piastrinica e
formazione di trombi. La disfunzione endoteliale è stata riconosciuta essere la promotrice
della malattia ischemica. Le lesioni aterosclerotiche precoci denominate fatty streak,
rappresentano una condizione di equilibrio dinamico (ingresso ed uscita) delle lipoproteine
dalla parete vasale e condizionano lo sviluppo della matrice extracellulare. Un aumentato
ingresso delle lipoproteine porta a placche ricche di lipidi facili a rottura, placche che
46
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
vengono definite placche vulnerabili quando sono composte da un'abbondante e crescente
massa lipidica, separata dal lume vascolare unicamente da un sottile cappuccio di una
matrice extracellulare (da 65 a 150 micron) facile alla rottura. Così, lesioni coronariche che
appaiono piccole alla coronarografia possono trasformarsi acutamente in stenosi severe ed
occlusioni totali. Queste lesioni sono responsabili di angina instabile ed infarto miocardio
acuto in circa due terzi dei pz. Tale imprevedibile progressione è la conseguenza della
rottura di una "piccola" placca lipidica con conseguente formazione di trombi, rottura che
sembra essere dovuta a fenomeni attivi e passivi. I fenomeni passivi occorrono soprattutto
dove è presente un sottile cappuccio fibroso ed un infiltrato di cellule grasse: la rottura può
essere la conseguenza di forze fisiche, quale lo stress di parete indotto dal flusso
sanguigno. L'infiammazione sembra avere un ruolo decisivo, confermato dalla presenza di
aree ricche di macrofagi nell’endotelio danneggiato, capaci di produrre enzimi con alta
attività proteolitica (metalloproteasi, collagenasi, ecc). Tali enzimi possono indebolire il
cappuccio fibroso e predisporre a rottura.
Non è quindi ancora ben noto quali sono i fattori di “vulnerabilità” di una placca, ma si
individuano alcuni fattori precipitanti:
-
placche con alto contenuto lipidico
-
infiammazione locale che causa rottura della pellicola sottile che copre la placca
-
costrizione delle arterie nel sito della placca
-
shear stress e lo stato pro trombotico e attivazione della coagulazione.
Il tutto culmina con la formazione di trombi piastrinici con la risultante sindrome
ischemica acuta. Circa l’85% dei pz hanno già precedenti di cardiopatia ischemica e i
soggetti che si presentano con un quadro di angina spontanea hanno nella loro storia
qualche cardiopatia ischemica (bypass per esempio). L’infarto invece è il primo segno di
cardiopatia ischemica nella maggior parte dei casi. La sintomatologia è molto importante e
il soggetto ha sintomi allarmanti con insorgenza a riposo o in seguito a sforzi molto lievi. I
pz presentano importanti sintomi neurovegetativi (sudorazione fredda, nausea, vomito
ecc.), sonomolto importanti in quanto nell’angina da sforzo sono molto rari mentre nelle
sindromi trombotiche sono frequenti.
Possiamo avere sottoslivellamento del tratto ST all’ECG (e onda T) Ci può aiutare oltre
all’ECG i segni di necrosi come la c-troponina I e T. questi ci danno indice di rischio e
livello di necrosi. sudorazione fredda, nausea, vomito ecc.
Diagnosi
Si basa sull’integrazione dei dati clinici con l’obiettività, l’esame elettrocardiografico e i
markers sierici di necrosi miocardica. Per quanto concerne la presentazione clinica,
47
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
quest’ultima è molto variabile, in quanto, accanto ai sintomi classici quali dolore a riposo
di durata superiore a 20 min, angina severa di nuova insorgenza e aggravamento dei
sintomi di una precedente angina stabile, bisogna tener presente che esistono molte
presentazioni atipiche, tra queste il dolore epigastrico, la recente indigestione, il dolore
simil-pleurico o la dispnea ingravescente.
L’EOè spesso normale, tranne che nei casi con instabilità emodinamica e serve soprattutto
ad escludere cause non cardiache di dolore toracico. Rilevante importanza è invece rivestita
dall’elettrocardiogramma che, innanzitutto, potrebbe fornire l’evidenza della presenza di
una pericardite, di embolia polmonare o di cardiomiopatia. Inoltre, la presenza di segni di
pregresso infarto miocardico sono altamente suggestive di presenza di aterosclerosi
coronarica.
Alterazioni elettrocardiografiche indicative di ischemia non transmurale sono:
-
sottoslivellamento del tratto ST superiore a 1 mm in almeno due derivazioni contigue;
-
onde T invertite nelle derivazioni con alte onde R.
In genere la profonda inversione di onde T simmetriche nelle derivazioni precordiali
anteriori indica la presenza di una stenosi critica sull’arteria discendente anteriore al tratto
prossimale. Anche la presenza di transitori blocchi di branca, precedentemente inesistenti,
possono essere indicativi di ischemia. Il sopraslivellamento del tratto ST è patognomonico
di ischemia transmurale provocata dall’occlusione di un vaso epicardico; se ha un carattere
transitorio, probabilmente è dovuto ad un vasospasmo e pertanto è inquadrabile come
angina di Prinzmetal, se invece è persistente ci troviamo di fronte ad un infarto miocardico
acuto.
Fondamentali per la diagnosi sono i marker sierici di necrosi miocardica: novità assoluta
delle nuove linee-guida è l’introduzione della troponina e della mioglobina, accanto al
tradizionale CK, per fare diagnosi di necrosi miocardica.
Trattamento della sindrome ischemica acuta senza ss tratto ST
Gli obiettivi del trattamento sono il trombo piastrinico e l’ischemia. Si fa pertanto ricorso a
farmaci antipiastrinici come l’aspirina e clopidogrel e anche l’eparina (a basso PM) per
prevenire l’evoluzione del trombo piastrinico in trombo rosso che può dare infarto. Quindi
come primo provvedimento si somministra un farmaco antiaggregante. Oggi si suggerisce
di dare l’aspirina insieme all’eparina. Si possono dare anche inibitori dei recettori per le
piastrine per esempio come il tirofibam e il cipriximam. Una colta instaurato trattamento
verso la placca dobbiamo correggere l’ischemia e in primo luogo si somministrano nitrati
via venosa e poi anche i beta bloccanti o i Ca antagonsiti
(non si associano i due che
hanno effetti moltiplicativi e si rischia di mandare in blocco il pz). Quasi sempre questi pz
48
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
vanno incontro a rivascolarizzazione mediante angioplastica e si dimettono con il
trattamento preventivo della cardiopatia ischemica.
Se si utilizzano gli inibitori dei recettori delle piastrine cioè della GB IIbe IIIa, utili a
risolvere i trombi nelle forme gravi con sottoslivellamento del tratto ST, bisogna tenere
presente che non si devono somministrate contemporaneamente i trombolitici.
INFARTO MIOCARDICO ACUTO (IMA)
Generalità
La più importante manifestazione della C.I. è data l’infarto acuto del miocardio che
costituisce una delle patologie con maggiore mortalità nei paesi occidentali. Di IMA si
muore ancora oggi nonostante i numerosi progressi dal punto di vista organizzativo. Una
delle battaglie più importanti nel trattamento dell’IMA è quella contro il tempo, prima si
riesce a intervenire più vite si riescono a salvare.
Fino a circa 25 anni fa solamente il 40-60% dei pz che arrivavano all’ospedale si salvavano.
Oggi l’IMA è ancora una patologia sociale allarmante che richiede interventi immediati in
quanto, oggi muore circa il 6-7% dei pz entro un anno dall’episodio di IMA, tra quelli che
riescono ad arrivare vivi in ospedale che sono circa il 50% (molti quindi ancora oggi
muoiono prima di arrivare in ospedale).
Il soccorso tempestivo pertanto è di fondamentale importanza: se interviene nei tempi
giusti e con la adeguata terapia, il pz guarito può ritornare alla vita normale.
La mortalità ospedaliera è calata negli ultimi anni. Fino agli anni ’70, quando non
esistevano le unità coronariche la mortalità era del 25%. Oggi grazie alla presenza delle
unità coronariche, la mortalità è scesa al 15% soltanto per il trattamento delle aritmie
maligne. Con l’avvento della trombolisi alla fine degli anni 80 e inizio anni 90 la mortalità
si è ulteriormente abbassata.
La mortalità oggi per infarto quindi è molto diversa dal passato: la
mortalità pre-
ospedaliera è del 20%. Oggi i tempi si sono accorciati in quanto esiste un sistema di
trasmissione di ECG a distanza: soggetto con dolore toracico chiama 118 e il 118 chiama
l’unità coronarica e manda una autoambulanza per dolore toracico; si da in questo modo
un pre-allarme. Arrivati sul posto i paramedici eseguono una ECG che viene inviato al
medico di turno: in caso di ST sotto-slivellato si porta subito il pz in emodinamica; se si
tratta di un tracciato tipico per cardiopatica ischemica acuta si porta in unità coronarica,
se tracciato dubbio si manda in PS e poi si valuta. Un grosso ostacolo a favorire il pronto
intervento in caso di infarto è il fatto che i pz si rivolgono al loro medico curante.
49
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Eziopatogenesi
Il ruolo principale è svolto dalla aterosclerosi con numerosi fattori di rischio.
1) Fattori predisponenti non influenzabili sono
-
predisposizione familiare
-
età
-
sesso maschile
2) Fattori di rischio di primo ordine
-
dislipidemia, in particolar modo un aumento del colesterolo totale e LDL, un aumento
dei trigliceridi e una diminuzione nei livelli di HDLemia.
-
ipertensione arteriosa sistemica
-
diabete mellito
-
sindrome
metabolica:
bulimia,
resistenza
all'insulina,
iperinsulinemia,
malattie
associate
-
tabagismo
3) Fattori di rischio di secondo ordine
-
aumento della lipoproteina Lp(a)
-
iperfibrinogenemia > 300 mg/dl
-
iperomocisteinemia > 12 micromol/l
-
anticorpi antifosfolipina
-
sedentarietà
-
fattori psicosociali: stress negativo, stato sociale inferiore, e altro.
Se sono presenti due fattori di primo ordine, il rischio di sviluppare una coronaropatia si
quadruplica. Se sono presenti tre fattori di primo ordine, il rischio aumenta di 10 volte.
Nell'infarto al di sotto dei 30 anni si rilevano:
-
problemi dislipidemici familiari
-
sindrome anti fosfolipidi
-
ipotiroidismo con ipercolesterinemia
-
vasculariti
-
abuso di sostanze (cocaina) con effetto dose-indipendente
Fattori scatenanti:
-
sforzi violenti, stress con grandi variazioni della pressione arteriosa
-
angor instabile (rischio di infarto del 20%)
50
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
40% di tutti gli infarti avvengono al mattino, tra le 6 e le 12, probabilmente in seguito
al picco cortisolico.
Nonostante la malattia ateromatosa sia alla base della maggior parte degli infarti, esistono
determinate
condizioni
patologiche
che
portano
all'IMA
in
assenza
di
placche
aterosclerotiche od ostruzioni evidenti dei vasi coronarici. Tra queste due in particolare:
-
l'angina variante (dovuta a spasmi delle arterie coronarie subepicardiche che, se
protratti nel tempo, possono portare a IMA)
-
malattia microvascolare, detta anche sindrome X dovuta a degli squilibri metabolici a
livello
del
microcircolo
cardiaco
che
portano
all'alterazione
e
conseguente
degenerazione delle strutture capillari. Attualmente è in corso di studio una possibile
concausa all'aterosclerosi di natura infettiva (infezione persistente di Chlamydia
pneumoniae).
Clinica
Come già ripetuto diverse volte, la tempestività dell’intervento terapeutico volto a ristabilire
la ricanalizzazione coronarica costituisce elemento rilevante per la prognosi del soggetto
colpito da IMA. La stessa dipende però da due fattori principali:
-
il riconoscimento della malattia da parte del pz anzitutto o dei parenti o dei testimoni
dell’evento o del medico che ha il primo contatto;
-
le modalità di invio al reparto di UTIC.
Il dolore toracico perdurante oltre 20 minuti, non sensibile alla somministrazione
della Trinitrina (TNT), rappresenta il sintomo principale e più frequente dell’esordio
della malattia. Il suo valore diagnostico viene fortemente accresciuto dalla presenza
di fattori di rischio coronarico maggiori (famigliarità, fumo, dislipidemia, ipertensione
arteriosa), da storia di cardiopatia ischemica, da irregolarità del ritmo cardiaco
(arresto cardiaco, tachicardia o bradicardia importanti, battiti prematuri) ed infine da
fenomeni neurovegetativi di accompagnamento (sudorazione fredda). Poiché la
quota maggiore di ritardo tra l’esordio dei sintomi e il primo intervento terapeutico è
dovuta alla lentezza con cui il pz o i testimoni dell’evento (familiari, compagni
di lavoro o estranei) decidono di cercare soccorso, dovrebbero essere promosse
periodiche campagne di informazioni che diffondano pochi e semplici messaggi
basati sul corredo sintomatico e anamnestico sopra riportato.
Purtroppo in un elevata percentuale di casi, la sintomatologia di esordio della malattia
non è per nulla tipica, perché caratterizzata, soprattutto negli anziani, da sintomi generici,
se non addirittura fuorvianti, come: dispnea, astenia, sincope o deficit neurologici. Inoltre
51
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
in un quinto dei casi anche la registrazione di un ECG può non fornire informazioni
sufficienti per definire la diagnosi soprattutto nelle fasi più precoci della malattia. Di fronte
ad una sintomatologia sospetta il pz dovrà essere tenuto in osservazione stretta con
controlli ravvicinati dell’ECG.
Da tenere presente che l’angina instabile nel 10% circa dei casi evolve verso IMA entro un
mese. Dei pz con precedenti anginosi:
-
1/3 ha avuto sintomi per 4-6 settimane prima dell’ospedalizzazione
-
2/3 hanno avuto sintomi precedenti di una settimana o meno
-
20-60% degli infarti non hanno dolore come sintomo di accompagnamento
Il dolore, come già detto, di solito è prolungato (oltre30 min), costrittivo, oppressivo o
gravativo, talora trafittivo, talora “come una noia”, talora sensazione di bruciore
generalmente retrosternale, con irradiazioni bilaterali, preferenzialmente a sinistra, spesso
con sensazione di formicolio al braccio
Dal punto di vista obiettivo il pz è sofferente, ansioso, spesso sudato e pallido. La pressione
arteriosa è indifferente: spesso ipotensione, naturalmente è sempre presente nei pz in
shock. All’ascoltazione sono possibili 3° e 4° tono con possibili sfregamenti pericardici a
partire dalla terza giornata. All’ascoltazione toracica sono possibili rantoli in presenza di
scompenso cardiaco. In caso di scompenso acuto e stimolazione simpatica sono presenti
sudorazione fredda, pallore, adinamìa, dispnea, tosse produttiva anche striata.
Nell’evoluzione dell’IMA è possibile distinguere tre fasi principali:
-
fase acuta: si può osservare come sia preponderante l’ischemia e l’emorragia del
muscolo:
-
fase precoce: inizia il processo di cicatrizzazione
-
fase tardiva: la cicatrizzazione è sempre più preponderante e si accompagna ad un
assottigliamento della parete.
Un fenomeno molto importante è la cicatrizzazione in quanto è fondamento di una delle
complicanze più temibili dell’IMA, cioè la rottura di cuore. Infatti, nella parte del cuore dove
è presente la cicatrizzazione il muscolo cardiaco è molto edematoso, diventerà emorragico.
Nonostante tutto ciò cuore continua a pompare e tutto il miocardio si contrae tranne la
zona infartuata che ha perso l’attività contrattile e che costituisce terreno fertile per la
rottura del miocardio.
Queste fasi sono valide per l’IMA anteriore e inferiore: nell’infarto inferiore si possono
vedere alterazioni altrettanto importanti, ma l’evoluzione dal punto di vista meccanico è
meno grave rispetto all’infarto anteriore.
In seguito all’occlusione di una coronaria si possono distinguere 4 tipologie di lesione:
-
Ischemia del miocardio
52
www.haikzarian.com
-
Lesione del miocardio
-
Infarto del miocardio
-
Fibrosi cicatriziale
Copyright © Haik Zarian
La progressione delle prime tre fasi sono rapide, mentre il processo di cicatrizzazione
richiede molto più tempo.
È stato osservato che i pz che siano stati molto malati in passato, con una lunga storia di
angina o anziani con episodi di infarto riescano a reagire in modo migliore dopo un
ennesimo episodio di infarto rispetto a giovani che improvvisamente hanno un infarto. Ciò
succede perché nel cuore di quei soggetti che hanno avuto infarti o angina precedenti si è
sviluppato un circolo collaterale, dove il flusso sanguigno si sposta da zone ad alta
pressione, cioè dove le arterie sono pervie, a zone a bassa pressione dove ci sono stenosi.
Nei giovani l’infarto avviene nella maggior parte dei casi per occlusione delle coronarie da
sforzo muscolare e in genere risulta fatale.
Il concetto del tempo è vitale in caso di IMA perché il muscolo è coinvolto in questo
processo di necrosi dall’endocardio all’epicardio quindi prima si interviene e più miocellule
si riescono a risparmiare. La presenza di cicatrizzazione infatti comporta un’espansione
della cavità cardiaca e ciò comporta:
-
perdita capacità contrattile, è una zona che non si contrae
-
ad ogni contrazione si espande e quindi questo muscolo contiene meno quantità di
elementi contrattile (e si può avere rottura della sacca)
-
possibilità di formazioni trombotiche nella zona cicatriziale
La zona cicatriziale che non essendo elettricamente protetta come quella muscolare
funzionante, può essere sorgente di aritmie severe.
Classificazione IMA
-
con elevazione di ST (STEMI)
-
senza elevazione di ST
-
infarto con onde Q
-
infarto senza onde Q
-
transmurale
-
sottoendocardico
Anteriore
-
anterosettale(V1, V2)
53
www.haikzarian.com
-
antero-laterale(V4-V6)
-
inferiore(II, III, aVF)
-
laterale(I, aVL)
Copyright © Haik Zarian
Diagnosi
Tra tutti i pz con dolore toracico verosimilmente legato ad una ischemia miocardiaca ci
sono tre presentazioni maggiori che suggeriscono una ACS:
-
nuova comparsa di angina
-
incremento della frequenza o della durata degli attacchi di angina o loro insorgenza per
sforzi fisici sempre meno intensi (angina in crescendo),
-
angina insorgente a riposo con dolore che si protrae di solito per più di 20 minuti.
Tra tutti i pz con dolore toracico verosimilmente legato ad una ischemia miocardiaca ci
sono diversi possibili esiti dei 2 tests diagnostici più importanti: ECG e markers di necrosi
miocardica .
a) Markers di necrosi miocardica
- markers di necrosi alterati: infarto miocardico
- markers di necrosi non alterati: angina pectoris.
Una elevazione della troponina o della CPK o della mioglobina si osserva in tutti i pz con
infarto miocardico acuto:
-
la CPK è distribuita in molti tessuti mentre la frazione MB è confinata al tessuto
cardiaco, tuttavia, radioimmunoassay sensibili sono in grado di misurare piccole
quantità di CPK-MB derivate dal muscolo scheletrico;
-
la troponina (I) è invece localizzata unicamente nel tessuto cardiaco. La troponina T è
localizzata anche nel muscolo scheletrico ma questa piccola quota non viene misurata
dagli attuali assay.
Tra questi markers si preferisce pertanto la troponina (dosata su siero e non su plasma)
perché è più specifica. La sua sensibilità è però bassa nelle prime sei ore dopo l’evento
(quella del CPK-MB e della mioglobina è più alta in questo lasso di tempo). Ne consegue
che della troponina vanno fatte misure ripetute (la seconda a 6 ore dopo la prima, la terza a
12 dopo la prima) specie se l’ECG non è diagnostico e il sospetto clinico di infarto
miocardico alto. Va sempre ricordato che gli incrementi di troponina, CPK-MB e mioglobina
riflettono una necrosi miocardica non necessariamente legata ad un infarto. Quindi
possono essere elevati anche nelle miocarditi.
54
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Test
Comparsa
Picco
Durata
CPK e CPK-
3-12 ore
18-24 ore
36-48 ore
3-12 ore
18-24 ore
Fino
MB
Troponina
a
10
giorni
Mioglobina
1-4 ore
6-7 ore
24 ore
LDH
6-12 ore
24-48 ore
6-8 giorni
La troponina va misurata alla prima presentazione e se non è elevata va ripetuta a 6 e 12
ore.Se la prima troponina è elevata si dosa anche il CPK-MB per datare l’evento. La CPKMB si dosa anche nel sospetto di reinfarto entro le due settimane dal primo infarto perché
la troponina ha una lunga emivita. La CPK-MB può essere aumentata nell’infarto
miocardico acuto anche in presenza di valori di CPK ancora normali.
L’uso di una frazione CPK-MB/CPK totale > 5-7.5% per escludere aumenti di CPK-MB
legati a cause muscolari non cardiache è confondente. Falsi aumenti del CPK-MB (cardiaci
ma senza ischemia o muscolari) ed anche della frazione CPK-MB/CPK si possono avere
per:
-
massaggio cardiaco
-
cardioversione elettrica
-
defibrillazione
-
interventi chirurgici cardiaci e non cardiaci
-
traumi toracici con interessamento cardiaco
-
abuso di cocaina
-
traumi muscolari
-
convulsioni
-
dermatomiosite o polimiosite
-
insufficienza renale
-
ipotiroidismo.
b) Alterazioni dell’ECG nell’IMA
Il segno più comune è il sopra- o sotto-slivellamento persistente del tratto ST che si va
accentuando con il passaggio delle ore. Nel tempo il tratto ST ritorna sulla linea
isoelettrica, l’ampiezza dello onda R si riduce ulteriormente e compaiono l’onda Q e
l’inversione dell’onda T. Queste alterazioni EGC-grafiche in genere si sviluppano nell’arco di
2 settimane dall’evento ma in alcuni casi si possono stabilire anche nell’arco di poche ore.
55
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
L’onda Q si sviluppa in un periodo dell’ordine di ore o di giorni e si associa ad una
riduzione di ampiezza dell’onda R. Pz con ACS ed in particolare con infarto miocardico
possono non sviluppare mai l’onda Q (hanno in genere una prognosi migliore).
Ci sono quattro tipi maggiori di manifestazioni ECGrafiche espressione di ischemia
miocardica:
-
ischemia non infartuale (angina) si manifesta con depressione transitorie del tratto ST;
-
ischemia non infartuale transmurale (angina di Prinzmetal) si manifesta con transitori
sopraslivellamenti del tratto ST e normalizzazione paradossa dell’onda T
-
infarto miocardico con sopra-slivellamento del tratto ST e onde T iperacute che
precedono lo sviluppo dell’onda Q e l’inversione dell’onda T
-
infarto miocardico senza sopra-slivellamento dell’ ST e non Q che si manifesta con
depressione dell’ST e/o inversione della T e senza onda Q.
-
l’ECG iniziale può essere normale o non diagnostico nel 20% e nel 45% dei pz con
infarto miocardico acuto, rispettivamente.
Se il sopra- o sotto-slivellamento del tratto ST viene visto in:
-
una o più derivazioni precordiali (V1-V6) e in D1 e aVL, l’infarto è anteriore
-
V1-V3, l’infarto è settale
-
V4-V5, l’infarto è apicale o laterale
-
in D2, D3, aVF, l’infarto è inferiore.
Da tenere presente che un blocco di branca sinistro (BBS), che è presente nel 7% dei pz
con infarto miocardico acuto, o la presenza di un pace-maker ostacolano la diagnosi
ECGrafica di infarto miocardico acuto. Nei pz con infarto miocardico acuto e BBS manca
56
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
spesso anche il dolore cardiaco. Ne deriva che il dosaggio degli enzimi cardiaci e di
importanza critica in questi pz.
Il pz con infarto miocardico acuto può presentare:
-
una tachiaritmia ventricolare (con rischio di evolvere in fibrillazione ventricolare)
-
una tachiaritmia sopraventricolare
-
una bradiaritmia (associata ad infarto miocardico acuto sia della parete inferiore che di
quella anteriore).
Terapia
Nel pz che si presenta con dolore toracico sospetto il “target time”per la valutazione iniziale
è di 10-12 minuti. In questo periodo di tempo si possono raccogliere i dati anamnestici
(caratteristiche del dolore ed eventuali pregressi episodi), i dati obiettivi e completare le
seguenti procedure procedure:
-
posizionamento di un accesso venoso
-
prelievo
per
enzimi
cardiaci,
emocromo,
PT,
PTT,
INR,
glicemia,
azotemia,
creatininemia, magnesemia e profilo lipidico.
-
registrazione continua dell’ECG
-
ossigenoterapia (2l/min per occhialini nasali)
-
somministrazione orale di aspirina (162-325 mg),
-
somministrazione sublinguale di nitroglicerina (0.4 mg) ogni 5 minuti per un massimo
di tre dosi,
-
somministrazione e.v. di morfina solfato (2-4 mg come prima dose con incrementi di 28 mg ogni 5-15 minuti) per controllare dolore e ansia.
Il trattamento quindi si prefigge diversi obiettivi:
-
rapido riconoscimento dei sintomi, ECG a distanza
-
limitare l’area infartuale
-
riperfondere al più presto
-
trombolisi preospedaliera
-
farmaci antiischemici
-
proteggere dalle aritmie potenzialmente letali (ricovero in UCIC)
-
prevenire il rimodellamento
-
prevenire la progressione della malattia.
57
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
L'ECG è importante in quanto si posiziona al centro della rete decisionale nel trattamento
del pz con dolore toracico ischemico. La presenza di infarto miocardico acuto (IMA) deve far
considerare la possibilità di una terapia riperfusionale da iniziare, se indicata, entro 30
minuti dall'arrivo del pz in P.S. L'angioplastica primaria è valida solo se vi è la possibilità di
eseguirla immediatamente e vi è la disponibilità di una equipe di cardiologi interventisti
qualificata (secondo linee guida).
I pz che giungono ad un P:S. con dolore toracico ischemico e che presentano le alterazioni
ECG tipiche della lesione miocardica (sopraslivellamento del tratto ST o blocco di branca
sinistro di nuova insorgenza) devono essere rapidamente trasferiti in UTIC e sottoposti ad
un iniziale trattamento generale immediato consistente in: O2-terapia, somministrazione di
acido acetil-salicilico, somministra-zione di nitrati ed analgesia:
58
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
O2 terapia: la somministrazione di O2 è in grado di ridurre l'area ischemica
miocardica così come riduce l'entità del sopraslivellamento del tratto ST. Il razionale
dell'uso dell' O2 deriva dall'osservazione che anche i pz con IMA non complicato, nella
fase iniziale sono lievemente ipossiemici sia a causa dell'alterato rapporto ventilazioneperfusione, che della stasi polmonare. I pz con insufficienza cardiaca severa, con
edema polmonare o con complicanze meccaniche dell'IMA presentano una severa
ipossiemia che non può essere corretta con la sola somministrazione di O2.
-
Acido acetil-salicilico: è stato definitivamente dimostrato l'efficacia del solo acido
acetilsalicilico nel ridurre la mortalità a 35 giorni dei pz affetti da IMA. Inoltre, una
metaanalisi ha dimostrato che tale farmaco è in grado di ridurre la riocclusione
coronarica e la ricorrenza di eventi ischemici dopo terapia trombolitica. La dose di 160
mg di acido acetilsalicilico è in grado di indurre un rapido effetto antitrombotico
attraverso la quasi totale inibizione della produzione di trombossano A2 ottenuta
mediante inibizione rapida e irreversibile della ciclo-ossigenasi piastrinica.Nei pz che
presentano controindicazioni alla sua assunzione (intolleranza o allergia, ulcera
peptica,
sanguinamento
attivo)
può
essere
sostituito
con
un
antiaggregante
tienopiridinico tipo clopidogrel o ticlopidina.
-
Nitroglicerina: farmaco largamente utilizzato nel trattamento di tutte le sindromi
coronariche acute, è un vasodilatatore che agisce sui vasi coronarici e sistemici. A
livello delle coronarie determina una dilatazione dei vasi normali e di quelli ateromasici,
aumentando il flusso ematico attraverso i vasi collaterali che provvedono ad irrorare il
miocardio ischemico. Il rilasciamento del sistema venoso comporta una riduzione del
ritorno venoso al cuore, quindi del pre-carico e del diametro tele diastolico ventricolare
sinistro, con conseguente riduzione dello stress parietale e del consumo di ossigeno.
Perciò il farmaco è in grado di ridurre anche la sintomatologia dolorosa. All'esordio
della sintomatologia la nitroglicerina deve essere somministrata come compressa
sublinguale di 0,3-0,4 mg da ripetere ad intervalli di 5 min al fine di ridurre l'ischemia
ed alleviare il dolore. L'infusione e.v. di nitroglicerina dovrebbe essere iniziata alla dose
minima di 5-10g/min e aumentata ogni 5 min di 10g/min, fino alla scomparsa dei
sintomi o alla comparsa di effetti collaterali, quali ipotensione o cefalea.
-
Analgesia: l’osservazione clinica della rapida risoluzione della sintomatologia dopo
ricanalizzazione del vaso e riperfusione avvalora l'idea secondo la quale il dolore
durante IMA è dovuto alla continua ischemia di un miocardio vitale piuttosto che alla
necrosi dello stesso. Pertanto, importanza primaria hanno i farmaci antiischemici,
anche se, nei pz in cui i sintomi non migliorano dopo somministrazione di nitrati, è
presente agitazione o segni di congestione polmonare, sembra opportuno iniziare una
terapia analgesica già al momento della diagnosi, senza prolungarla al punto da non
59
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
consentire una corretta valutazione dell'efficacia della terapia antiischemica. In questi
casi, il farmaco di prima scelta è la morfina solfato alla dose di 1-5 mg e.v ripetibili
dopo 5-30 min.
Dopo aver effettuato il trattamento generale immediato si procede, quindi, con i trattamenti
specifici comprendenti:
-
terapia di riperfusione (trombolitici o PTCA primaria)
-
terapia aggiuntiva, ossia agenti somministrati al posto dei trombolitici o in aggiunta ad
essi (b-bloccanti, ACE-inibitori)
-
terapia congiuntiva, ossia agenti somministrati per incrementare gli effetti benefici dei
trombolitici (aspirina, eparina).
L'obiettivo primario della terapia riperfusiva nel trattamento dell'IMA è ottenere una rapida
ricanalizzazione del vaso responsabile con lo scopo di ridurre la mortalità, preservare la
funzione ventricolare sinistra e limitare la ricorrenza di ischemia miocardica e di re-infarto.
Essa può essere ottenuta mediante fibrinolisi sistemica o mediante angioplastica
coronarica (PTCA).
a) Terapia Trombolitica
Consiste nella somministrazione di agenti in grado di attivare il plasminogeno a plasmina,
che frammenta la fibrina con conseguente lisi del trombo coronarico fresco e ripristino del
flusso attraverso l'arteria coronarica occlusa. Tra i fattori che influenzano la decisione di
somministrare gli agenti trombolitici: il tempo intercorso dall'inizio dei sintomi, l'età del pz,
le condizioni emodinamiche e la coesistenza di altre condizioni morbose. Tra i pz con
sopraslivellamento ST, i benefici della terapia trombolitica sono maggiori in quelli con IMA
anteriore e soprattutto dipendono dalla durata dei sintomi. Infatti, la quantità di miocardio
che può essere risparmiata dalla necrosi sarà tanto maggiore quanto più precocemente il
vaso viene ricanalizzato. L'effetto della trombolisi sulla mortalità è massimo nei pz
ricoverati entro la prima ora e, comunque, entro le prime tre ore dall'inizio dei sintomi e
decresce progressivamente con il passare del tempo. Alcuni studi hanno dimostrato che si
possono avere significativi benefici fino a 12 ore dopo l'esordio clinico. Dubbia è l'utilità
della trombolisi dopo 12 ore dall'insorgenza dei sintomi; da prendere in considerazione solo
in caso di dolore ischemico persistente e marcato sopraslivellamento del tratto ST. Per
quanto concerne l'età del pz, i maggiori benefici della terapia trombolitica, in termini di
mortalità, sono evidenti nei pz più giovani e vanno riducendosi con l'aumentare dell'età,
subendo un rapido decremento dopo i 75 anni. Tali pz, pur giovandosi della terapia
60
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
trombolitica, a causa dell'elevata mortalità totale e dell'aumentato rischio di stroke,
presentano una riduzione del beneficio relativo.
Le controindicazioni alla terapia trombolitica sono
1) assolute: precedente ictus emorragico o recente accidente cerebrovascolare non
emorragico, sanguinamento interno attivo, neoplasia intracranica o recente trauma
cranico, sospetta dissecazione aortica, intervento chirurgico recente (nelle ultime due
settimane), gravidanza, PA > 200/120 mmHg, allergia a streptochinasi o APSAC (utilizzare
tPA)
2) relative: ipertensione arteriosa severa >180/100 mmHg, diatesi emorragica o uso in
corso di anticoagulanti, storia di pregresso accidente cerebrovascolare non emorragico con
completo recupero, trauma o intervento chirurgico da oltre due settimane, malattia
ulcerosa peptica attiva, retinopatia emorragica, pregresso trattamento con SK o APSAC.
I trombo litici maggiormente utilizzati sono la SK, APSAC, rTPA, Reteplase, Tenecteplase.
b) PTCA
La riperfusione miocardica mediante PTCA può essere presa in considerazione:
-
in alternativa alla terapia trombolitica in pz con IMA e sopraslivellamento del tratto ST
o nuovo (o presunto tale) blocco di branca sinistra, che possono essere sottoposti ad
angioplastica dell'arteria correlata all'infarto entro 12h dall'inizio dei sintomi o dopo
12h se si ha persistenza dei sintomi ischemici e se l'angioplastica può essere eseguita
rapidamente (entro 90 min dall'ospedalizzazione del pz);
-
in pz che nelle 36h dall'IMA con sopraslivellamento ST o blocco di branca sinistro,
vanno incontro a shock cardiogeno, che hanno meno di 75 anni di età e che possono
essere sottoposti alla rivascolarizzazione entro 18h dall'esordio dei sintomi da operatori
esperti e in centri idonei. In tali pz trattati con PTCA, anche se non si ha una
significativa riduzione della mortalità a 30gg rispetto a quelli trattati con terapia
medica, è stato notato un significativo aumento della sopravvivenza a sei mesi;
-
effettuare nei pz con IMA che hanno ricevuto terapia trombolitica nelle 12h e non
presentano sintomi di ischemia miocardica, sono eleggibili per il trattamento
trombolitico e verrebbero sottoposti alla PTCA da operatori non esperti o dopo 12h
dall'inizio dei sintomi non presentano segni di ischemia miocardica. Rispetto alla
terapia trombolitica la PTCA primaria presenta due vantaggi principali: si associa, se
eseguita da operatori esperti, ad un maggior successo di rivascolarizzazione efficace
ripristinando un flusso TIMI III nell'88-95% dei pz e comporta un minor rischio di
emorragie cerebrali; d'altra parte, però, richiede un'organizzazione efficiente da non
ritardare la riperfusione, i suoi risultati dipendono dall'esperienza e dall'abilità
dell'operatore ed è sicuramente un trattamento più dispendioso
61
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
Dopo trombolisi.
E' prevedibile un ulteriore miglioramento dei risultati mediante la somministrazione di
inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa (quali abiciximab, eptifibatide,tirofiban) in associazione
alla PTCA. Tali molecole riducono l'incidenza di morte e di infarto miocardico correlato alla
procedura.
Inoltre
con
la
loro
utilizzazione
in
associazione
all'intervento
di
rivascolarizzazione miocardica percutanea con impianto di stent, si è ridotta la necessità di
re-PTCA nel vaso trattato per ricorrenza di ischemia miocardica ad 1 mese e a 6 mesi. In
contrapposizione alla riduzione di eventi al follow-up, si verifica un aumento delle
complicanze emorragiche minori per lo più in sede di puntura arteriosa
Terapia congiuntiva
-
Acido acetil-salicilico ed eparina: farmaci quali l'acido acetil-salicilico e l'eparina che,
agendo come agenti antitrombotici, hanno lo scopo di impedire la riocclusione
dell'arteria correlata all'infarto dopo terapia trombolitica. Possono essere somministrati
anche in assenza di terapia trombolitica. E' ormai noto che tutti i pz con IMA, a meno
di controindicazioni, e indipendentemente dalla somministrazione o meno di terapia
trombolitica, devono assumere acido acetil-salicilico alla dose iniziale di 160-325 mg,
con successiva dose di mantenimento tra 100-300mg/die. Più
controversa è
l'indicazione all'uso di eparina nei soggetti con IMA;
-
Beta-bloccanti: gli agenti b-bloccanti attenuano gli effetti delle catecolamine circolanti,
bloccando la loro capacità di legarsi ai recettori b-adrenergici. Bloccando il sistema
nervoso adrenergico, la cui attività aumentata ha effetti deleteri sul miocardio
ischemico, tali farmaci hanno diversi effetti favorevoli nell'IMA: diminuiscono il
consumo miocardico di ossigeno, riducendo contemporaneamente la
frequenza
cardiaca, la pressione arteriosa e la contrattilità miocardica, migliorano il flusso
coronarico subendocardico, prolungando il tempo di diastole, riducono le aritmie
ventricolari favorite dalla stimolazione simpatica, hanno effetti favorevoli sul dolore
ischemico, possono ridurre l'estensione dell'area necrotica e prevenire il reinfarto
quando somministrati con i trombo litici, riducono la mortalità sia a breve che a lungo
termine. I ben documentati benefici nella prevenzione della morte improvvisa dopo IMA
sono probabilmente correlati ai loro effetti antiadrenergici sul carico ischemico e sulla
soglia per le aritmie maligne (FV) Tali farmaci devono essere somministrati a: tutti i pz
che non presentano controindicazioni e che possono essere trattati entro 12h dall'inizio
indipendentemente dalla somministrazione di trombolitici o dalla riperfusione mediante
PTCA, tutti i pz con continuo e ricorrente dolore ischemico, tutti i pz con tachiaritmie
(es.
fibrillazione
atriale
con
elevata risposta
62
ventricolare, pz
con
IMA
senza
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
sopraslivellamento del tratto ST Non possono, invece, essere somministrati a pz con
severa insufficienza ventricolare sinistra. La terapia con b-bloccanti è controindicata
nei pz infartuati con scompenso cardiaco grave (edema polmonare), ipotensione o shock
cardiogeno, blocco A-V di secondo o terzo grado, marcata bradicardia sinusale (FC<50
bpm) e in quelli con storia di asma bronchiale e di broncopneumopatia cronica
ostruttiva;
-
ACEi: diversi trials hanno confermato il ruolo degli ACE-inibitori nel ridurre la
mortalità nei pz con IMA, la dilatazione e la disfunzione del ventricolo sin e nel
rallentare l'evoluzione verso lo scompenso cardiaco congestizio nei pz con disfunzione
ventricolare dopo IMA. Ciò si verifica indipendentemente dalla terapia trombolitica, in
particolare quando tali farmaci sono utilizzati precocemente (nelle prime 12-24 ore).
Essi si sono dimostrati particolarmente utili nei pz con IMA anteriore esteso e con
scompenso cardiaco congestizio senza ipotensione e senza controindicazioni (stenosi
bilaterale dell'arteria renale, insufficienza renale, tosse insistente, angioedema con un
precedente trattamento). Pertanto il loro uso è raccomandato: nei pz con sopraslivellamento del tratto ST in due o più derivazioni precordiali, nei pz che durante IMA sviluppano una frazione di eiezione del ventricolo sinistro inferiore al 40%, nei pz che
durante IMA sviluppano i segni clinici di insufficienza cardiaca dovuta a disfunzione
sistolica di pompa;
-
Ca-Antagonisti (Diltiazem, Verapamil): agiscono determinando vasodilatazione e
anche rallentando la conduzione atrio-ventricolare e deprimendo la contrattilità delle
cellule miocardiche. Le linee guida dell'ACC/AHA considerano i calcio-antagonisti come
un trattamento aggiuntivo, ma soltanto per un limitato numero di indicazioni. Il
verapamil o il diltiazem possono essere somministrati in pz in cui i b-bloccanti sono
inefficaci o non tollerati o controindicati (malattia broncospastica) per risolvere
l'ischemia o controllare una fibrillazione atriale con rapida risposta ventricolare dopo
IMA in assenza di scompenso cardiaco congestizio, disfunzione ventricolare sinistra o
blocco A-V.
Complicanze dell’IMA:
a) rottura di cuore: costituisce la complicanza più grave ed invalidante, può interessare:
-
muscoli papillari e le corde tendinee. Si genera un soffio sistolico mitrale importante.
La gittata sistolica diminuisce e va in parte nell’atrio sin
-
parete libera del ventricolo sin (verso l’esterno) la morte è certa e in pochi secondo.
Ad ogni ciclo cardiaco infatti 70 cc di sangue escono dal cuore e vanno nel pericardio
per cui si ha morte per:
-
sottrazione di sangue dal circolo
63
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
-
tamponamento esterno da parte del pericardio pieno di sangue
-
setto interventricolare, per cui si crea una comunicazione tra i ventricoli. La morte
sopraggiunge dopo giorni in quantoil sangue rimane nel circuito interno fluendo dal
ventricolo sin al dx.
b) aneurisma ventricolare: si tratta di un’estroflessione della parete, che non si contrae
ma sottrae sangue alla gittata, può avere flussi turbolenti favorendo la trombizzazione.
Altre complicanze comprendono:
-
complicanze aritmiche:extrasistoli ventricolari presenti nel 100% dei casi, se hanno
elevata
frequenza
possono
portare
alla
fibrillazione
ventricolare
ed
arresto
cardiocircolatorio.
-
tachicardia ventricolare con riduzione della gettata cardiaca e rischio di fibrillazione.
-
fibrillazione ventricolare in questo caso i ventricoli si contraggono con una frequenza
di
400-600/minuto,
il
cuore
è
praticamente
fermo
e
s’instaura
l’arresto
cardiocircolatorio.
-
blocco atrioventricolare manca il passaggio di impulso tra atri e ventricoli per cui è
compromessa la funzione di pompa
-
complicanze emodinamiche: compromissione della funzione pompa, rotture del
setto, del muscolo papillare o della parete libera,infarto del ventricolo destro e
aneurisma ventricolare: in questo ultimo caso la parete del ventricole si estroflette
durante la contrazione
-
complicanze ischemiche: estensione dell’infarto ed angina postinfartuale da grave
stenosi residua.
Condizione estrema dell’infarto è lo shock cardiogeno che può essere il quadro di esordio
oppure la fase terminale di uno scompenso cardiaco in rapido peggioramento. Consegue ad
una perdita di tessuto muscolare cardiaco di almeno il 40 % del totale. Il cuore pompa una
quantità di sangue che è insufficiente a mantenere la funzione degli organo vitali. Il pz è in
stato confusionale, la cute è fredda e sudata e presenta delle zone cutanee cianotiche (di
colorito bluastro per la stasi venosa). La pressione arteriosa è bassa o addirittura non
misurabile, i polsi arteriosi sono difficilmente prendibili. Si ha contrazione della diuresi.
Infine, sopraggiunge l’arresto cardiaco. Lo shock cardiogeno può anche essere conseguente
ed una ipovolemia (riduzione del volume di sangue), cioè il pz può perdere liquidi a causa
di
episodi
di
vomito,
sudorazione
profusa,
e
meccanismi
di
compenso
attuati
dall’organismo quali la vasodilatazione. In questo caso il quadro è risolvibile mediante
l’infusione di liquidi.
64
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Le cause di morte per IMA sono quindi date dallo shock cardiogeno, rottura di cuoree
aritmie (raro perché i pz sono ricoverati in UCIC); dopo rivascolarizzazione efficace non si
verifica rottura di cuore.
La dimissione avviene in genere in decima giornata preceduta da:
-
valutazione del rischio complessivo
-
valutazione di: funzione ventricolare, aritmie, ischemia residua
(angina precoce
postinfartuale).
ARITMIE CARDIACHE
Generalità
Si definisce aritmia una condizione nella quale il cuore perde la normale regolarità di
sequenza o diminuisce o accelera la sua frequenza.
Per bradicaricardia s’intende una condizione nella quale la frequenza cardiaca è inferiore ai
50 bpm; nella tachicardia la frequenza è superiore ai 100 bpm. Le aritmie rappresentano
un grande capitolo delle patologie mediche per le quali i pz si rivolgono al pronto soccorso.
Per la maggior parte dei casi si tratta, in genere, di tachiaritmie. Il 2%, infatti, dei pz che
annualmente effettuano un accesso in PS in Italia è affetto da tachiaritmia. Nel 90% dei
casi si tratta di una tachiaritmia a QRS stretto: nel 45% Fibrillazione Atriale, nel 35%
Tachicardia Parossistica Sopra-Ventricolare, nel 8% Flutter Atriale. Solo circa un 10% delle
tachicardie è a QRS largo, ed è rappresentato in gran parte dalla Tachicardia Ventricolare.
Circa il 50% di queste aritmie si risolvono e/o vengono trattate in PS o dopo qualche ora di
osservazione intensiva. Il primo passo è rappresentato dall’ECG a 12 derivazioni e dalla
valutazione della stabilità emodinamica. L’aritmia può essere la causa o l’effetto di una
malattia quindi l’inquadramento clinico globale del pz prelude sempre ogni tipo di
trattamento. Non sempre, infatti, è opportuno o utile interrompere un aritmia prima
possibile (es FA in corso di IMA). Il tempo in PS è fondamentale. E’ sicuramente utile il
tempo speso per diagnosi differenziali che portano a terapia completamente diverse. E’
sempre da preferire un farmaco meno efficace ma dotato di un migliore rapporto
rischio/efficacia. Particolare risalto merita il trattamento elettrico delle tachiaritmie
mediante DC-shock; sia sopraventricolari che ventricolari. Infatti in letteratura tale tecnica
presenta ben poche controindicazioni e scarsissimi effetti avversi. Per quello che riguarda le
bradicardie sintomatiche, l’atropina può essere utilizzata solo per breve tempo (ore – giorni)
e per bradicardie transitorie. Per le bradicardie non transitorie e/o organiche la via
terapeutica preferenziale è rappresentata dall’elettrostimolazione.
Eziologia
Le aritmie possono essere causate da:
65
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
una origine anomala del segnapassi cardiaco per la presenza di un “focus” che
scarica ad una frequenza tale da imporsi come segnapassi al posto del nodo seno
atriale
-
una modificazione dell’intervallo R-R per cui i battiti sono caratterizzati da intervalli
variabili
-
un’anomalia di conduzione (che solitamente provoca i blocchi AV).
Classificazione
Le aritmie si dividono in ipocinetiche ed ipercinetiche a seconda che si abbia
rispettivamente una diminuzione o un aumento della frequenza.
Ritmo sinusale
Si definisce ritmo sinusale la successione di impulsi originati dal Nodo del Seno a
frequenza compresa fra 60 e 100 bp:
-
FC>100: Tachicardia Sinusale
-
FC<50: Bradicardia Sinusale
La genesi e il mantenimento del ritmo sinusale sono possibili grazie alla presenza di due
tipi di cellule:
66
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
miocellule: sono cellule muscolari lisce unite alla loro estremità dai dischi intercalari
che hanno una bassissima impedenza; hanno cioè la capacità di trasmettere
l’impulso elettrico in maniera assai veloce (si parla difatti di sincizio elettrico)
-
fibre di conduzione: hanno solo la proprietà di trasmettere l’impulso elettrico ma non
la capacità contrattile.
Da un punto di vista elettrico, il cuore va considerato un sistema bicamerale costituito da
una camera superiore, gli atri, e da una camera inferiore, i ventricoli. Le due camere sono
separate dagli anelli atrioventricolari (AV), costituiti da tessuto fibroso che non trasmette
l’impulso elettrico, per cui esse possono essere considerate indipendenti. L’unica struttura
che le mette in comunicazione, il fascio di His, passa a livello del trigono fibroso dove
l’anello fibroso dx si fonde con quello sin. In situazioni patologiche possono esistere delle
vie accessorie che mettono in comunicazione le due camere al di fuori del trigono fibroso
(ad es. nella sindrome di Wolff-Parkinson-White).
In condizioni di normalità l’attivazione elettrica del cuore avviene con questa sequenza:
-
eccitazione del nodo del seno;
-
trasmissione dell’impulso agli altri: negli atri non esistono fasci di conduzione
definiti anche se generalmente l’impulso si propaga attraverso tre vie principali;
-
eccitazione del nodo atrio-ventricolare e del fascio di His: nel passare questa fase la
velocità di conduzione diminuisce. Ciò fa sì che gli atri vengano eccitati e si
contraggano un po’ prima dei ventricoli;
-
propagazione ai ventricoli dell’impulso mediante le due branche destra e sinistra
(che si divide nell’emibranca superiore e nell’emibranca posteriore) al tessuto di
lavoro subendocardio;
-
propagazione
dell’impulso
dal
subendocardio
all’epicardio
con
conseguente
contrazione del ventricolo.
Nozioni elettrocardiografia
Il tracciato è costituito da un’onda P che esprime l’attivazione dei due atri. L’onda P è
seguita da un piccolo trattino isoelettrico, che rappresenta un periodo in cui non vengono
registrate deflessioni di potenziale (l’impulso sta passando attraverso il fascio di HIS che
però non genera un potenziale misurabile). Subito dopo compare l’onda QRS
che
corrisponde all’attivazione ventricolare. Infine compare un’onda che ha una lunga durata,
l’onda T, che esprime la ripolarizzazione ventricolare. L’onda T è seguita da un altro
momento isoelettrico: il cuore si trova in uno stato silente, in cui non avviene alcun
processo di attivazione.
67
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
La durata dell’intervallo tra l’inizio dell’onda P e l’inizio del QRS è compreso tra 120 e 200
msec e corrisponde per la maggior parte al tempo impiegato dall’impulso per percorrere il
fascio di HIS.
Distinguiamo due tipi di fibre all’interno del tessuto cardiaco:
-
le fibre lente sono fibre calcio-dipendenti non presentando i canali del sodio: quando
sono eccitate presentano una lenta ascesa del potenziale d’azione, conducono
lentamente ed hanno la proprietà di conduzione decrementale (per conduzione
decrementale s’intende una conduzione la cui efficienza diminuisce man mano che
la frequenza cardiaca aumenta).Sono fibre lente quelle presenti nel nodo del seno,
nel nodo AV e in altre situazioni patologiche;
-
le fibre veloci sono fibre sodio-dipendenti e conducono ad alta velocità fino al
raggiungimento del periodo refrattario (risposta tutto o nulla), come le fibre nervose.
Sono fibre veloci i miociti, le cellule del fascio di His, delle branche e le fibre del Purkinje.
Il ventricolo impiega 80 msec ad a attivarsi e a contrarsi. Si tratta di una contrazione
velocissima e coordinata: se ciò non dovesse accadere, come nel blocco di branca, la
contrazione avverrebbe in modo disordinato e l’efficienza della pompa diminuirebbe.
Il processo di attivazione atriale dura in genere 80 msec (l’onda P non deve superare i 120
msec). Il tempo di conduzione tra i due nodi è chiamato tempo di conduzione atrio-nodale
(PA) e dura circa 30 msec.
A livello del trigono fibroso il processo di attivazione comincia con la depolarizzazione del
nodo AV e in questa struttura l’impulso trascorre dagli 80 ai 120 msec. Questo tempo di
conduzione è definito AH (A è l’attivazione del pavimento atriale, H l’inizio dell’attivazione
del fascio di His).
Superato il nodo AV, il processo di attivazione entra nel fascio di His e velocemente si
propaga alle branche. Il tempo di conduzione intra-hissiano viene chiamato “intervallo HV”
e dura 35-40 msec.
Le branche costituiscono il sistema di conduzione intra-ventricolare e sono fibre di
conduzione altamente specializzate. Le branche dx e sin si dirigono ai rispettivi ventricoli.
Nella parte iniziale sono rivestite da tessuto fibroso, perciò sono separate dal restante
miocardio ventricolare. Nella loro parte periferica si frammentano nelle fibre del Purkinje, le
quali penetrano nel miocardio ventricolare e sono in grado di depolarizzare i miociti.
A livello del setto interventricolare di sin, dove inizia l’attivazione dei ventricoli, ci sono le
prime fibre di Purkinje.
Velocemente tutta la massa ventricolare è depolarizzata nel giro di 80 msec.
La ripolarizzazione ha lunga durata (300 msec) perché non segue il sistema di conduzione.
68
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Nel tratto tra P e Q l’elettrocardiografo registra un’isoelettrica: in realtà in questo periodo il
cuore è attivo elettricamente, ma la massa degli atri è piccola e i potenziali prodotti dal
nodo AV e dal fascio di His non sono rilevabili dagli elettrodi in superficie: si parla di
conduzione occulta, a indicare che dopo l’onda T c’è il vero “silenzio elettrico” del cuore.
Clinica
La aritmie possono presentarsi in vari modi:
-
asintomatche
-
cardiopalmo (le sensazioni di battito irregolare sono diverse da soggetto a soggetto e
così la descrizione del cardiopalmo fornita dal pz può essere varia);
-
lipotimia o altresì detta pre-sincope (perdita non completa della coscienza, il tono
muscolare persiste)
-
sincope (perdita di coscienza e del tono muscolare completa) conseguente alla bassa
gittata;
-
morte improvvisa (è la fase successiva alla sincope quando l’aritmia porta ad una
alterazione estremamente grave della portata cardiaca).
Le aritmie possono essere, dal punto di vista clinico, benigne o pericolose per la vita. Le
forme benigne possono essere asintomatiche, e per queste non serve prendere alcun
provvedimento; possono però essere fastidiose, in questo caso vengono trattate. Le aritmie
pericolose per la vita ovviamente vanno sempre trattate perché possono provocare o una
drastica diminuzione della frequenza ventricolare o a un drastico aumento della stessa ed
in entrambi i casi ad una drammatica riduzione della portata.
Le aritmie atriali di per sé non sono pericolose, però lo diventano quando il sistema di
protezione tra atrio e ventricolo viene bypassato da fasci anomali (come nella sindrome di
Wolff-Parkinson-White).
Diagnosi
E’ importante:
-
stabilire il tipo di aritmia presente usando sistemi di monitoraggio (ECG, Holter);
-
individuare un’eventuale patologia associata: tecniche di imaging
-
studio elettrofisiologico per analizzare il meccanismo scatenante l’aritmia e quindi
l’eventuale pericolosità.
Nella patologia coronarica, per esempio, l’aritmia può sopravvenire
nella fase acuta in
corso di ischemia miocardica; lo stesso dicasi nelle miocardiopatie tra le quali
69
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
particolarmente pericolose sono la variante ipertrofica e aritmogena oltre alla dilatativa
nella fase avanzata (alcune sono chiamate cardiopatie aritmiche perché si manifestano con
l’aritmia).
Non sempre l’ Holter ci permette di individuare le aritmie, soprattutto nel caso delle aritmie
parossistiche; nei casi dubbi perciò bisogna eseguire lo studio elettrofisiologico perché
scatenando l’aritmia artificialmente questa può essere analizzata e definita come pericolosa
o meno. Lo studio si effettua introducendo dei cateteri nelle cavità cardiache per studiare
l’attività ed eventualmente stimolarla.
Infine lo studio elettrofisiologico permette di operare tecniche interventistiche come
l’ablazione transcatetere: le aritmie possono essere bloccate bruciando il focolaio
aritmogeno.
Blocchi cardiaci
Appartengono alla classe delle aritmie ipocinetiche.
Si possono verificare a livello di:
-
nodo seno atriale: causa un blocco seno atriale;
-
nodo AV: conseguente blocco AV
-
branche: conseguente blocco di branca.
Blocco AV
-
Blocco AV di I grado: all’ECG prolungamento dell’intervallo PR > 0.20 sec (stà a
significare un rallentamento della conduzione, tuttavia ad ogni onda P segue
comunque un complesso QRS);
-
Blocco AV di II grado tipo Mobitz II (Luciani): l’intervallo PQ si allunga
progressivamente lungo il tracciato fino a che un’onda P non è seguita dal QRS;
-
Blocco AV di II grado tipo Mobitz I: alcune onde P sono seguite da un complesso
QRS, altre invece non sono condotte. Il rapporto tra P condotte e non condotte è
costante (es. 2:1, 3:1) e l’intervallo P condotta – Q è costante;
-
Blocco AV di III grado o blocco completo: nessuno degli impulsi atriali riesce a
stimolare il nodo AV; i ventricoli assumono una propria frequenza indipendente
(ritmo di scappamento); la P è dissociata completamente dal QRS che è comunque
presente perché esiste un focolaio a più bassa frequenza che supplisce al nodo del
seno (di solito la struttura che supplisce al blocco è il nodo AV).
N.B.: nel blocco parossistico quando la conduzione AV si blocca ci vuole un po’ di tempo
affinché il meccanismo di scappamento entri in funzione: se questo meccanismo impiega
70
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
più di 10 secondi si verifica una pericolosa asistolia prolungata. Il blocco parossisitco
perciò è più pericoloso del blocco completo, anche perché non è diagnosticabile.
Fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale (FA) è l'aritmia di più frequente riscontro nella pratica clinica
quotidiana e, nonostante sia anche quella conosciuta da più lungo tempo, rappresenta
ancora oggi una delle più impegnative sfide per il mondo medico. la popolazione interessata
da tale aritmia è in costante e continuo aumento; la prevalenza della FA tende, infatti, a
raddoppiare tra una decade e l'altra, passando dall' 1% nella fascia di età compresa fra 50
e 59 anni al 9-12% nei soggetti oltre i 75 anni.
Appartiene al gruppo delle aritmie ipercinetiche ed è dovuta all’attivazione rapida e
continua di focolai multipli a livello atriale; solo qualche impulso riesce ogni tanto a
passare e a depolarizzare i ventricoli perciò il ritmo ventricolare è irregolare; all’ ECG si
apprezza la scomparsa dell’onda P, sostituita da onde irregolari F e complessi QRS con
intervallo RR assolutamente irregolare.
In generale un’ aritmia è tanto più pericolosa quanto più la frequenza ventricolare è bassa;
quest’ultima nella FA non è ridotta in modo così critico (anzi a volte si danno farmaci per
abbassare la “risposta ventricolare”, cioè la quantità di impulsi che riescono ad eccitare i
ventricoli), pertanto questo tipo di aritmia non è considerata pericolosa; il rischio più grave
che comporta la presenza di FA è la trombosi atriale che può dare embolie periferiche in
particolare quando dopo una FA che durava per un certo periodo di tempo ricompare la
contrazione atriale che mobilizza il trombo. Per questo motivo, a meno che la FA duri meno
di 48 ore, prima di effettuare il trattamento della FA (cardioversione) è opportuno
instaurare un trattamento anti trombotico.
Tachicardie sopraventricolari
Come in tutte le tachicardie, queste aritmie possono essere determinate dalla origine
ripetitiva di un impulso da una fonte anomala (automatismo) oppure dalla rotazione
continua dell’impulso all’interno di un circuito (rientro). Le TSV sono delle tachicardie
parossistiche atriali o giunzionali, caratterizzati dalla presenza di una improvvisa scarica
di un pacemaker ectopico nel contesto dell’atrio, del nodo AV o del fascio di His.
Caratteristica più importante di questo tipo di aritmia è la presenza di un QRS stretto (di
normale durata e morfologia) a testimonianza del fatto che la attivazione ventricolare
avviene seguendo le normali vie di conduzione.
Il QRS può essere preceduto da una P anomala a testimonianza di un’origine atriale
ectopica oppure essere preceduto o seguito da una P invertita a testimonianza di una
71
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
tachicardia che origina dal nodo AV con depolarizzazione degli atri che procede in maniera
anamola dal basso all’alto.
Le tachicardie degli anelli sono delle tachicardie da rientro tipiche del giovane che si
manifestano con cardiopalmo e si interrompono con la manovra di Valsala o con il
massaggio carotideo.
Extrasistole ventricolare
Rappresenta la più semplice aritmia ventricolare e consiste di battito che origina
improvvisamente a livello di un focolaio ectopico ventricolare. Le EV sono dei battiti
prematuri che possono essere indotte da varie cause quali l’emozione, gli stress ambientali,
l’eccessivo uso di tabacco, caffè ed alcool, ma essere anche dovute ad una cardiopatia.
In altre parole l’extrasistole è un battito prematuro, che presenta un accoppiamento fisso
con la attivazione cardiaca che lo ha preceduto.
All’ECG si osserva un battito accessorio, cioè un QRS non preceduto da un’onda P e
anticipato (cioè con un intervallo RR inferiore alla norma) con morfologia molto diversa
dagli altri QRS, in particolare è di maggiore durata in quanto l’impulso non segue le
normali vie di conduzione bensì vie ectopiche).
Un extrasistole ventricolare può originare in qualsiasi parte del ventricolo (sia Vdx che sin).
Le extrasistoli del V.sin hanno morfologia simile ad un battito condotto con blocco di
branca dx e viceversa. Le extrasistoli possono essere distinte in:
-
monomorfe, rappresentando cioè la presenza di un solo focolaio ectopico
-
polimorfe, rappresentando la presenza di più focolai ectopici e quindi di una
patologia più diffusa.
L’extrasistole può essere inoltre singola, in coppia, in tripletta; se sono presenti più di tre
extrasistoli in successione si parla di tachicardia ventricolare. Queste tachicardie possono
interrompersi spontaneamente e vengono dette non sostenute, se questo non avviene
72
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
(durata > 30 sec) si parla di tachicardie sostenute: all’ECG il QRS è allargato, non
preceduto regolarmente da onde P. Questa tachiaritmia deve essere interrotta con manovre
farmacologiche in quanto la frequenza ventricolare è elevata ma riempimento e portata
risultano drasticamente ridotti.
Le tachicardie sostenute in un cuore sano hanno un certo grado di pericolosità, in ogni
caso legata alla frequenza ventricolare; in un cuore meno sano invece, ad esempio con
malattia coronarica, anche se la frequenza ventricolare è bassa l’evento ischemico può
causare una FV.
Fibrillazione ventricolare
Pericolosa fibrillazione dovuta a stimoli provenienti da più focolai ectopici, fatto che
determina la contrazione caotica ed irregolare dei ventricoli con conseguente insufficienza
della gittata cardiaca. Se non si interviene entro 3 minuti la FV costituisce una condizione
potenzialmente letale.
CARDIOMIOPATIE PRIMITIVE
Le cardiomiopatie primitive comprendono alterazioni primitive del muscolo cardiaco che
determinano un anomalo funzionamento del miocardio senza che alla base via sia una
malattia o disfunzione a carico di strutture miocardiche.
Si distinguono 4 forme principali:
1-CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
Generalità
Caratterizzata da una riduzione della capacità contrattile del ventricolo sin che porta a
lungo andare ad una dilatazione delle camere ventricolari.
La malattia si caratterizza quindi da una disfunzione del miocita. Nelle prime fasi della
patologia dal punto di vista istologico sono evidenti solamente miociti danneggiati, mentre
in una fase successiva si osserva una condizione di fibrosi progressiva responsabile delle
aritmie presenti nelle fasi avanzate della malattia.
Epidemiologia
La cardiomiopatia dilatativa costituisce la causa più comune di insufficienza cardiaca
primitiva.
La prevalenza si aggira probabilmente intorno allo 0,2% nonostante una alta percentuale
dei soggetti colpiti presenti una forma subclinica. L’incidenza delle forme sintomatiche
aumenta con l’età essendo una malattia progressiva e colpisce i maschi in misura
maggiore.
73
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
La trasmissione ereditaria della malattia è molto frequente e si osserva nel 20-50 % dei
casi.
Patogenesi
Dal punto di vista patogenetico si distinguono diverse forme:
-
idiopatica: rappresenta una importante percentuale;
-
familiare/genetica: in meno del 10% dei casi vi è una dimostrazione di un gene
alterato però molto probabilmente una larga fetta delle forme idiopatiche sono di
origine genetica benchè il gene responsabile non sia ancora stato identificato;
-
forma virale e/o immune;
-
forma alcolica o tossica.
Dal punto di vista anatomico la forma virale si presenta come una miocardite cronica
essendo caratterizzata da un assottigliamento della parete muscolare; nelle forme
idiopatiche invece le dimensioni sono aumentate.
La malattia su base virale è caratterizzata da una evoluzione in tre fasi successive:
-
danno miocardico diretto favorito dalla presenza di recettori sui miocardiociti con
particolare affinità per gli enterovirus;
-
si sviluppa una risposta autoimmune con accelerazione del processo dannoso;
-
la persistenza di un danno miocardico causa un processo di rimodellamento con
dilatazione e scompenso.
I pz con cardiomiopatia dilatativa muoiono prevalentemente per l’instaurarsi di uno
scompenso o per le aritmie conseguenti al processo fibrotico.
Clinica
Il primo sintomo è classicamente la dispnea da sforzo associata ad una modica disfunzione
del ventricolo sin.
All’EO si descrivono aia ingrandita, toni aggiunti, non soffi. All’ECG si osserva tipicamente
un blocco di branca sin. Nel soggetto giovane il riscontro di un BBSin deve sempre far
pensare alla cardiomiopatia dilatativa (segno che i miociti sono danneggiati nel versante
della conduzione piuttosto che in quello contrattile). L’ECG può a volte presentarsi del tutto
normale.
L’ecografia evidenzia una frazione di eiezione ridotta (v.n. > 55%), VTD aumentato,
eventuale insufficienza mitralica associata.
74
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
Terapia
È necessario seguire nel tempo l’andamento della patologia malattia mediante trattamento
con ACEi, β bloccanti e diuretici, terapia che permette di allungare notevolemente la vita
dei pz.
Quando la frazione di eiezione è inferiore al 30% è indicato l’impianto di un defibrillatore (si
registrano all’Holter tachicardie non sostenute ed extrasistoli, specie se polimorfe).
Alternativamente sé possibile ricorrere a farmaci come l’amiodarone (uno dei pochi anti
aritmici che non deprimono la funzione ventricolare).
La diagnosi differenziale, mediante coronarografia, va posta con la malattia coronarica,
specie trivasale, che può comportare la comparsa di una cardiopatia dilatativa sulla base di
una insufficienza vascolare cronica.
2-CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Generalità
La forma ipertrofica consiste in un disordine ereditario del muscolo cardiaco che interessa
le proteine del sarcomero: sono state descritte più di 150 diverse mutazioni a carico
dell’apparato contrattile. Il fenotipo non necessariamente si correla al genotipo (penetranza
incompleta, espressione variabile…).
Anatomicamente la malattia si presenta in maniera diametralmente opposta rispetto alla
forma dilatativa in quanto si verifica un’ipertofia che può essere distinta in eccentrica o
diffusa.
Epidemiologia
La prevalenza è di 1/500. L’esordio clinico può presentarsi nell’adolescenza, ma molte
persone restano clinicamente asintomatiche.
Fisiopatologia
La cardiomiopatia ipertrofica si caratterizza per:
-
ipertrofia del ventricolo sinistro;
-
diminuzione del volume della cavità del ventricolo sinistro;
-
frazione di eiezione ridotta a causa della riduzione del volume telediastolico.
Dal punto di vista microscopico si osservano:
-
ipertrofia e disorganizzazione spaziale dei miociti;
-
aumento del collagene interstiziale;
-
aumento dello spessore della media delle coronarie intramurali: la complicanza
maggiore della cardiomiopatia ipertrofia è l’ischemia coronarica.
75
www.haikzarian.com
Copyright © Haik Zarian
L’ipertrofia si caratterizza per il fatto di avere un riscontro precoce, mentre gli altri due
elementi si osservano solamente in un secondo momento.
Nel 10-20% dei casi l’aumento della componente fibrotica comporta secondariamente una
dilatazione.
Clinica
All’ECG
(gold standard per la diagnosi) si osservano onde T molto grandi e negative
associate a segni di ipertrofia ventricolare sin, onde Q abnormi nelle precordiali sin sono
segni di ipertrofia del setto (forma eccentrica in cui il setto è sproporzionatamente spesso
rispetto alla parete libera).
Obiettivamente si osserva uno sdoppiamento paradosso del 2° tono per ostruzione severa
all’efflusso o BBsin. Si reperta anche un 4° tono per la ridotta distensibilità del ventricolo.
In alcuni casi particolari, quando l’ipertrofia riinteressa il cono di efflusso del V.sin, è
possibile riscontrare la presenza di un soffio simile a quello della stenosi aortica con la
differenza che facendo eseguire la manovra di Valsalva, che causa una diminuzione del
ritorno venoso, il setto e la parete si avvicinano accentuando la stenosi e quindi il soffio,
mentre nella stenosi aortica il soffio tende a diminuire di intensità.
La mortalità annua di questa forma di cardiopatia si aggira intorno all’1%; Un’ostruzione
all’efflusso è presente nel 40% dei pz con malattia di vecchia data, la fibrillazione atriale nel
20-25% dei casi (nella FA il ventricolo si contrae in maniera disordinata comportando una
forte riduzione della portata).
Per la morte improvvisa si distinguono diversi fattori di rischio:
-
spessore delle pareti;
-
ischemia: mediante l’holter è possibile valutare se compaiono alterazioni del tratto
ST;
-
familiarità per morte improvvisa;
-
dimostrazione alla risonanza magnetica della presenza di fibrosi che è il segno di
pregressi micro infarti. Maggiore è la presenza di fibrosi più alto il rischio di aritmie;
-
grado di ostruzione all’efflusso che causa un calo pressorio specie in risposta
all’esercizio fisico.
Per quanto concerne la sintomatologia si descrivono
-
scompenso cardiaco solo nelle fasi in cui la malattia si trasforma in una forma
dilatativa;
-
sincope o lipotimie per ostacolo al deflusso o per aritmie gravi (causa più
importante);
76
www.haikzarian.com
-
Copyright © Haik Zarian
dolore toracico suggestivo di ischemia.
3-FORMA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO
Generalità
Cardiomiopatia caratterizzata dalla necrosi miocitaria geneticamente determinata delle
cellule del V.dx seguita da sostituzione fibro-adiposa. Viene denominata aritmogena per la
propensione a causare aritmie che possono portare alla morte improvvisa, specie giovanile.
La cardiomiopatia presenta un carattere evolutivo e l’evoluzione maggiore si riscontra
nell’adolescenza e nelle prime decadi di vita.
La necrosi procede dall’epicardio all’endocardio e non sempre è a tutto spessore. In
sostanza a differenza della forma ipertrofica e dilatativa questa è una cardiomiopatia
atrofica. La sostituzione fibro-adiposa comporta una alterazione strutturale e dinamica del
ventricolo destro oltre ad una instabilità elettrica che può causare la comparsa di aritmie
da rientro.
Macroscopicamente si osserva dilatazione del ventricolo destro. Nelle forme importanti la
malattia può riguardare anche il ventricolo destro.
La frequenza della malattia è molto maggiore di quello che si pensava un tempo: è di circa
1/1000. L’esatta incidenza non è ancora ben conosciuta per la presenza di forme lievi di
difficile diagnosi.
Clinica
La displasia aritmogena comprende uno spettro ampio di malattie con forme che vanno
dalla lieve alla grave in funzione del grado di dilatazione del V.dx. Il picco di aritmie
ventricolari e di morte improvvisa si registra tra i 16 ed i 35 anni.
Diagnosi
È importante una anamnesi personale e familiare volta ad indagare la presenza di
cardiopalmo o sincopi
L’ECG è utile per la ricerca di potenziali tardivi:
-
T negative con voltaggi bassi nelle precordiali perché c’è diminuzione della massa
muscolare;
-
frequenti extrasistoli con morfologia di tipo BBsin;
Altre indagini importanti sono l’ecocardiogramma, RM (molto importante), cateterismo con
biopsia e possibile studio genetico.
Le indagini per stabilire il grado di instabilità elettrica del miocardio comprendono invece:
-
Holter;
77
www.haikzarian.com
-
test da sforzo;
-
studio elettrofisiologico.
Copyright © Haik Zarian
La diagnosi quindi si fonda sulla base di vari parametri:
-
alterazioni ECG con presenza di aritmie con morfologia di BBsin;
-
presenza di potenziali tardivi;
-
alterazioni del ventricolo destro;
-
eventuale conferma attraverso l’esame istologico;
-
progresso delle malattie nel tempo.
Dal punto di vista genetico si riscontrano alterazioni a carico di importanti gruppi di geni
che codificano per le proteine delle giunzioni intercellulari (altri sono fattori di crescita o
recettori). Si pensa quindi che la rottura delle giunzioni potrebbe essere la causa della
morte cellulare. Sono molto frequenti i portatori sani.
È presumibile che il minor spessore del V.dx rispetto al V.sin e il fatto che la malattia
proceda dall’epicardio all’endocardio, siano dei fattori protettivi nei confronti del V.sin dove
non si notano alterazioni, se non in caso di patologia avanzata. Altro fatto impoerante è che
lo stretching delle miocellule del V.dx è maggiore rispetto a quelle del V.sin.
4-CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA
Condizione caratterizzata dal fatto che le pareti del ventricolo perdono la capacità di
espansione determinando un aumento della pressione telediastolica con conseguente
aumento delle pressioni atriali con stasi a monte.
Ecograficamente la malattia si presenta con atri molto dilatati e ventricoli piccoli in assenza
di una malattia valvolare (stenosi mitralica) che possa giustificare tale quadro.
Tale condizione può insorgere su base familiare ma la causa più frequente è l’amiloidosi.
L’evoluzione è verso lo scompenso cardiaco congestizio e non ci sono terapie al di fuori di
quella diuretica e del trapianto.
78