Società Italiana di Otorinolaringoiatria LINEE GUIDA PER LA VALUTAZIONE DEI DANNI UDITIVI DA RUMORE IN AMBIENTE DI LAVORO “ DRAFT “ INDICE 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) INTRODUZIONE E RAZIONALE IL CONCETTO DI NORMALITA’ UDITIVA - LA SOCIOPRESBIACUSIA LE PATOLOGIE DELL’APPARATO UDITIVO E LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE IL TRAUMA ACUSTICO LA VALUTAZIONE DEL DEFICIT UDITIVO CON METODICHE SOGGETTIVE LA VALUTAZIONE DEL DEFICIT UDITIVO CON METODICHE OGGETTIVE CRITERI VALUTATIVI SULL’OBBLIGO DI REDIGERE IL REFERTO CRITERI VALUTATIVI IN AMBITO INAIL IL DANNO BIOLOGICO IN AMBITO ASSICURATIVO LE MISURE AMBIENTALI: GLI INTERVENTI DI BONIFICA ED I MEZZI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE 11) L’IPOACUSIA PROFESSIONALE E LE PROTESI ACUSTICHE 12) L’IDONEITA’ DAL PUNTO DI VISTA DELLO SPECIALISTA ORL ED AUDIOLOGO 13) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE CON PROPOSTA DI PROTOCOLLO LINEE GUIDA. Coordinatore : Carlo Giordano Autori: R. Albera, F. Beatrice, M. Bisceglia, A.Camaioni, G. Caruso, E. Cassandro, G. Chiarella, M. Di Benedetto, G. Gandolfi, M. Ghirlanda, C.Giordano, D.Passali, A.Sacchi, A.Serra, D. Tassone, C. Viti, Data di approvazione: 20-09-2002 Data di trasmissione: 24-10-2003 Data presentazione: 28-05-2004 1 INTRODUZIONE E RAZIONALE Questo elaborato è frutto comune di un gruppo di lavoro scientifico e clinico, patrocinato dalla SIO e coordinato dal sottoscritto, svolto dai maggiori Esperti Italiani del settore. Lo studio costituisce un "preliminary report" sullo stato attuale delle ricerche in letteratura sul tema del danno uditivo professionale e sulle esperienze pratico-cliniche dei singoli Esperti, al fine di razionalizzare le attuali conoscenze e di proporre una linea guida di riferimento per tutto quello che riguarda la valutazione dei danni uditivi da rumore nell’ ambiente di lavoro in relazione al D.L. 277/91. Le Linee Guida proposte sono destinate ai Medici Competenti, agli Specialisti in Medicina del Lavoro, agli Specialisti in Audiologia-ORL e Medicina Legale, ai responsabili dei Servizi di Prevenzione e Protezione previsti dal D.L. 626/94 e a tutti quelli che si occupano di danni uditivi da rumore negli ambienti di lavoro (Magistrati, Avvocati, RSPP etc.). Nello specifico, le presenti Linee Guida si prefiggono lo scopo di razionalizzare e semplificare le problematiche della valutazione clinico-strumentale e dei risvolti medicolegali del danno uditivo da rumore professionale, potenziando la qualità dell'intervento sanitario nell'ambito del D.L. 277/91 e del 626/94. Il lavoro prende in considerazione particolarmente i temi riguardanti la diagnosi, l'eziologia e la valutazione strumentale dell'ipoacusia professionale ed anche gli aspetti burocratico-amministrativi conseguenti a questa malattia professionale; vengono altresì presi in considerazione gli aspetti e la valutazione medico-legale in ambito civilistico e penalistico e le misure ambientali e preventive particolarmente importanti per poter supportare il medico competente nella formulazione del giudizio di idoneità lavorativa. Tali aspetti sono affrontati in modo esaustivo nella parte descrittiva, mentre nelle conclusioni si è cercato di riassumere gli aspetti comportamentali pratici delle problematiche . Infine desidero esprimere un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno condiviso con il sottoscritto la fatica e l’impegno per redigere questo primo “ draft ” delle Linee Guida per la valutazione dei danni uditivi da rumore in ambiente di lavoro, con la speranza che questo elaborato possa facilitare l’ attività dei professionisti che operano in questo specifico settore . Il Coordinatore Carlo GIORDANO 2 IL CONCETTO DI NORMALITA’ UDITIVA La normalità uditiva può essere definita in rapporto: a) ad un valore assoluto di soglia audiometrica; b) all'età del soggetto; c) all’assenza di sintomatologia correlabile ad un deficit uditivo. NORMALITA' RISPETTO AD UN VALORE ASSOLUTO DI SOGLIA AUDIOMETRICA Il giudizio viene posto definendo un valore di soglia massimo superato il quale un tracciato audiometrico non può più essere considerato normale. Il livello di soglia cui fare riferimento deve essere uguale per tutto il campo tonale ed è sufficiente che la soglia superi tale valore, anche su una sola frequenza, per considerare patologico il reperto audiometrico. Il valore limite è pari a 20-25 dB HL. La valutazione riferita ad un valore assoluto di soglia audiometrica deve essere applicata in ambito clinico nella descrizione della la morfologia della curva audiometrica. Il reperto audiometrico, anche se compreso entro i 20-25 dB, potrà non essere considerato normale se: 1. vi è una differenza di soglia tra le varie frequenze superiore a 10 dB; 2. la soglia per via aerea si pone su valori più elevati rispetto a quella per via aerea (deficit trasmissivo). NORMALITA' RISPETTO ALL'ETA' E' noto che la soglia audiometrica tende progressivamente, con il passare degli anni, a peggiorare. Ne consegue che un tracciato patologico per un soggetto giovane può rientrare nella normalità per un soggetto anziano. La normalità uditiva rispetto all’età deve pertanto essere intesa come giudizio di assenza di patologie diverse dalla presbiacusia, e non alla funzione uditiva in assoluto, che ne può risultare compromessa. Tra tutte le norme proposte la più attuale è la ISO 7029-2002. Secondo questa norma la soglia audiometrica mediana (ΔH md,Y)per soggetti di età compresa tra 20 e 70 anni, rispetto a quella attesa all’età di 18 anni, può essere calcolata sulla base della seguante formula ΔH md,Y = α (Y-18 anni)2 Il parametro Y rappresenta l’età mentre i valori di α sono riportati nella tabella 8.I (norma ISO pag 2 tab I). Nella tabella 8-II (norma ISO appendice C pag. 6 e 7) sono riportati i valori differenziali di soglia per tutte le età comprese tra 20 e 70 anni, con i valori attesi ai vari percentili. Il confronto tra il singolo esame da valutare e l'entità della presbiacusia attesa fornisce un'indicazione circa la probabilità che un certo deficit possa essere esclusivamente secondario alla presbiacusia; in quest'ottica tanto più è basso il percentile in cui si colloca il valore di soglia tanto più è verosimile che il deficit sia esclusivamente secondario alla presbiacusia, mentre valori che superano il 90° o il 95° percentile rendono poco probabile l'ipotesi che non sia intercorsa alcuna patologia nel determinismo di un certo deficit uditivo. Anche in questo caso, comunque, la presenza di un deficit asimmetrico testimonia la compresenza di altre patologie, oltre alla presbiacusia, all'orecchio con maggiore grado di ipoacusia. Il confronto dei valori audiometria con quelli attesi per la presbiacusia ha utilità in ambito clinico, al fine di definire se vi siano patologie diverse dall’età nella genesi del 3 deficit uditivo, e in ambito medico-legale, per definire se un certo deficit uditivo sia compatibile o meno con l'età. NORMALITA' RISPETTO ALLA FUNZIONE UDITIVA La presenza di un deficit uditivo non corrisponde necessariamente ad una sintomatologia soggettiva. Infatti, grazie ai fenomeni di ridondanza estrinseca ed intrinseca, vi è la possibilità che un deficit audiometrico non determini alcuna sensazione soggettiva di ipoacusia. Osservazioni su tale aspetto hanno consentito di definire che fino ad una soglia media di circa 25 dB i soggetti affetti da trauma acustico cronico raramente riferiscono una sintomatologia riconducibile ad un deficit uditivo. Applicando questa metodologia valutativa vengono ad essere considerate come normali tutte le condizioni di deficit uditivo di modesta entità, o limitate a frequenze estreme, che non giungono a determinare una sintomatologia soggettiva. Il criterio non prende in considerazione l'aspetto clinico ma solo quello funzionale; è pertanto possibile che una condizione patologica possa essere erroneamente considerata come normale. La principale applicazione del criterio è in ambito medico-legale nella determinazione della presenza di un indebolimento del senso dell'udito. In conclusione il concetto di normalità uditiva deve essere considerato non in termini assoluti ma deve essere relativo e riferito alla condizione di valutazione. Da un punto di vista clinico, se si desidera definire la presenza o meno di una patologia in atto ci si deve riferire al valore assoluto di soglia, che deve essere inferiore a 20-25 dB per tutte le frequenze, con una certa omogeneità dei valori su tutto il campo tonale, senza differenze significative tra le due orecchie (solitamente sono ammesse differenze non superiori ai 10 dB) e con sovrapposizione di soglia per via aerea ed ossea. Se, al contrario, si desidera definire la compatibilità di un deficit uditivo di tipo neurosensoriale, bilaterale e più accentuato alle alte frequenze con l'età, escludendo quindi la presenza di altri eventi patologici, ci si deve riferire alla condizione di normalità in rapporto ai valori normativi in riferimento agli anni del soggetto in esame. In ambito medico-legale tale approccio consente di definire se un evento patologico, rumore o trauma, possa aver influito nella genesi dell'ipoacusia o se, viceversa, questa sia compatibile con l'età del soggetto. La valutazione di normalità riferita alla funzione uditiva appare, infine, la più consona in ambito medico legale in quanto consente di definire il limite di soglia audiometrica al di sotto del quale è verosimile che il soggetto non presenti alcun sintomo correlabile ad una patologia uditiva. 4 Tab. 8.I. Valori del coefficiente α (norma ISO 7029-2002). 5 Tab. 8.II. Deviazione della soglia audiometrica tonale liminare che si prevede essere superata da una data frazione di una popolazione otologicamente normale (norma ISO 7029-2002). 6 7 LA SOCIOPRESBIACUSIA Con il termine sociopresbiacusia si indica quella diminuzione della capacità uditiva dovuta sia all’invecchiamento degli apparati deputati alla traduzione, conduzione ed elaborazione del segnale acustico sia alla normale esposizione al rumore ambientale tipico di una società industrializzata. Attualmente, con sempre maggiore frequenza, socioacusia e presbiacusia vengono impiegati come sinonimi. Il danno da presbiacusia si caratterizza tipicamente per una perdita uditiva di tipo neurosensoriale, sostanzialmente simmetrica, che interessa inizialmente i toni acuti e successivamente i toni medi, con le basse frequenze normalmente non compromesse. L’analisi delle curve audiometriche dimostra che la perdita di udito legata all’età inizia intorno ai 40 anni con un innalzamento della soglia uditiva per le frequenze vicine ai 6000 Hz. In realtà, una caduta progressiva della soglia per le più alte frequenze udibili è un fenomeno assai più precoce. Nei soggetti di età superiore ai 60 anni si assiste a un progressivo deterioramento anche delle frequenze attorno ai 1000 Hz. La perdita di udito legata all’età appare più rapida nell’uomo rispetto alla donna con un gap superiore ai 20 dB per i 4000 Hz a 70-75 anni. All’età di 90 anni le differenze di soglia uditiva da presbiacusia nei due sessi risultano praticamente sovrapponibili. Dal punto di vista patogenetico, il deficit uditivo dovuto all’età appare associato soprattutto a un danno dell’orecchio interno. Schuknecht a questo proposito, distingue una patologia dell’organo del Corti (presbiacusia sensoriale), delle cellule del ganglio spirale e dei loro prolungamenti (presbiacusia neurale), della stria vascolare (presbiacusia striale) e della membrana basilare, legamento spirale e di altre strutture correlate alla meccanica cocleare (presbiacusia meccanica o conduttiva cocleare). La perdita di cellule sensoriali cocleari nell’anziano costituisce ormai un dato acquisito: il danno maggiore si verifica generalmente a livello del giro basale e interessa soprattutto le cellule ciliate esterne rispetto a quelle interne. E’ stato dimostrato che una perdita superiore al 20% di cellule ciliate soprattutto esterne, estesa per 10 mm o più dalla base della coclea, può determinare presbiacusia per le alte frequenze. Alterazioni morfologiche a carico delle cellule ciliate quali presenza di stereociglia giganti sulle cellule ciliate esterne o localizzazione di depositi di lipofucsina nel citoplasma rivestirebbero un’importanza solo secondaria nell’ambito della presbiacusia. In alcuni casi è stata documentata una vacuolizzazione a carico della membrana di Reissner che potrebbe determinare una imperfetta separazione tra endolinfa e perilinfa alterando così il funzionamento dell’organo del Corti. Accanto a una riduzione del numero delle cellule ciliate spesso si associa, nell’anziano, un’atrofia dei neuroni del ganglio spirale particolarmente evidente nel giro basale: è stato calcolato che per ogni 10 anni di età si verificherebbe una perdita di 2000 neuroni cocleari. E’ stato inoltre dimostrato che con l’età si determina una riduzione soprattutto delle fibre afferenti rispetto a quelle efferenti con un conseguente ridotto afflusso di informazioni uditive alle vie centrali. In queste forme appare compromessa soprattutto la capacità di discriminazione verbale. La classificazione di Schuknecht, basata sui diversi quadri istopatologici, risulta difficilmente applicabile alla pratica clinica in quanto spesso nell’anziano sono presenti più danni associati mentre il riscontro di alterazioni di singole strutture è relativamente raro. Comunemente si distinguono 3 stadi clinici della presbiacusia: 1° stadio senza evidenza clinica (con leggerissime alterazioni della percezione nelle tonalità acute) 2° stadio dell’incidenza sociale (si osserva quando a partire dalla frequenza di 2000Hz si verifica una perdita uditiva superiore ai 30 dB(A) e, infine, un 8 3° stadio quando l’ipoacusia interferisce in maniera importante sulla capacità di comunicazione. Dal punto di vista diagnostico strumentale, l’audiometria tonale permette a volte di osservare, accanto alla tipica configurazione in caduta, pattern audiologici diversi caratterizzati da deficit della soglia tonale con curva piatta o gradatamente discendente: in questi casi la discriminazione del linguaggio è ancora buona e il danno potrebbe essere legato ad un’atrofia della stria vascolare. L’audiometria vocale rappresenta sicuramente il mezzo più affidabile per valutare la capacità di percezione verbale dell’anziano. Un fenomeno tipico della presbiacusia è costituito dalla “regressione fonemica” che consiste nella variazione della soglia di percezione in corrispondenza di valori di intensità più elevati rispetto a quelli prevedibili per la soglia per toni puri. Altre informazioni possono essere ottenute con i test di ascolto dicotico: nell’anziano si sono osservate una netta riduzione della performance totale e una alterazione del lag-effect da correlare ad una peggior processazione centrale dell’informazione uditiva. Tra i vari accertamenti diagnostici, l’ABR ha scarsa capacità di evidenziare le disfunzioni uditive del tronco che si ritiene siano presenti nella presbiacusia. E’ in assoluto ipotizzabile che alterazioni vascolari tipiche del processo di invecchiamento (perdita di capillari, ispessimento dell’avventizia, riduzione delle fibre elastiche) contribuiscano a danneggiare le strutture dell’organo del Corti, dell’VIII nervo cranico e dei nuclei cocleari interferendo così con la funzione uditiva. Un danno su base ipossica può essere favorito anche da diverse condizioni dismetaboliche comuni nell’anziano quali il diabete mellito, l’iperlipoproteinemia. Attualmente esistono curve di soglia uditiva rapportate all’età secondo le norme dell’International Standards Organization (ISO - cfr. capitolo precedente). I risultati di questo studio, eseguito su un gruppo di persone anglofobe, sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti su un gruppo di popolazione italiana. Spesso la perdita uditiva legata all’età non è facilmente distinguibile dal danno dovuto all’esposizione al rumore. Per rumore intendiamo ogni suono non richiesto o non desiderato che per le sue caratteristiche fisiche sia potenzialmente atto a provocare nel nostro organismo un danno fisico o psichico, temporaneo o permanente. Il rumore dal punto di vista fisico si caratterizza per essere un suono a periodicità bassa o nulla. Si stima che circa il 20% della popolazione dell’Europa occidentale (circa 80 milioni di persone) subisca livelli di inquinamento acustico considerati non accettabili. Attualmente, l’inquinamento acustico ambientale costituisce un argomento di ricerca ben consolidato: le prime indagini sulle città italiane risalgono infatti al 1972 quando nei confronti del rumore non vi era ancora la sensibilità riscontrabile oggi. Con il termine di inquinamento acustico si intende l’introduzione nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno di rumore tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, danni alla salute, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti in grado di interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi. Il rumore ambientale viene considerato disturbante quando (DPCM 14/11/’97) supera la soglia di accettabilità di 50 dB(A) e contemporaneamente la differenza tra il rumore ambientale e il rumore residuo è superiore al limite differenziale di 5 dB(A). I valori limite di emissione e di immissione, i valori di attenzione e di qualità validi per l’ambiente esterno dipendono dalla classificazione acustica del territorio che è di competenza dei Comuni e che prevede l’istituzione di 6 aree, da quelle particolarmente protette (parchi, scuole, aree di interesse urbanistico), fino a quelle esclusivamente industriali con livelli di rumore ammessi via via crescenti (Tab. I). In attesa che i Comuni provvedano alla zonizzazione acustica, si applicano i limiti provvisori (art.6, comma 1 del DPCM 1/3/’91) illustrati nella Tab. II. Fonti di rumorosità ambientale sono rappresentate soprattutto dal traffico automobilistico, ritenuto responsabile del 50% del rumore ambientale, dall’industria cui si deve il 20% della rumorosità, dal traffico aereo e da quello ferroviario cui si attribuisce rispettivamente il 14 e 9 il 16%. Nell’ambito del traffico urbano, l’intensità del rumore prodotto da motocicli è considerato pari a 80-90 dB(A), quello delle automobili è di circa 75-80 dB(A) mentre per gli autoarticolati si arriva ai 90-95 dB(A). Sono stati confrontati due gruppi di soggetti residenti in una zona limitrofa all’aeroporto (gruppo A) e in una zona più lontana (gruppo B). Dalla valutazione di vari parametri (sesso, età, esposizione al rumore professionale, tempo di esposizione al rumore nell’ambiente domestico) è emerso che nel 68% dei soggetti del primo gruppo era presente una perdita uditiva neurosensoriale (con frequente dip a 4000 Hz) contro una percentuale di appena il 6.5% per i soggetti più distanti dalla fonte di rumore. Schuknecht, sulla base di preparati istopatologici, sostiene che la lesione da trauma acustico sia attribuibile a una perdita di cellule ciliate localizzate nella regione di 8-12 mm dalla base Le cellule ciliate interne ed esterne presentano un rigonfiamento del nucleo che precede la rottura della membrana cellulare e la loro scomparsa con sostituzione da parte di prolungamenti delle cellule di Deiters. Anche le fibre nervose corrispondenti degenerano, così come le cellule del ganglio spirale. La lesione iniziale corrisponde, dal punto di vista tonotopico, alla frequenza di 4000 Hz. Se l’esposizione al rumore continua nel tempo, si passa progressivamente dallo stadio di danno anatomico iniziale (aumento di soglia limitato ai soli 4000 Hz) allo stadio di danno anatomico conclamato (aumento di soglia anche per i 3000 e 6000 Hz), quindi a quello del danno funzionale iniziale (aumento di soglia per le frequenze medie) ed infine allo stadio del danno funzionale conclamato (ulteriore innalzamento di soglia con conseguente aggravamento del deficit comunicazionale). Numerose sono le teorie formulate per cercare di comprendere la patogenesi del danno da rumore. L’ipotesi di Glorig suggerisce che il rumore crei delle turbe metaboliche all’interno dei liquidi labirintici. Secondo Larsen, invece, il danno iniziale della frequenza 4000 Hz è legata al fatto che quella porzione di coclea si trova in corrispondenza della ramificazione dell’arteria cocleo-vestibolare per cui è nutrita da una vascolarizzazione terminale influenzabile in modo elettivo dal traumatismo sonoro. Rüedi e Furrer, invece, partendo dalla teoria di von Bekesy sulla dinamica dei liquidi labirintici, sostengono che suoni intensi o prolungati determinano la formazione di vortici in senso opposto al movimento dell’onda viaggiante di una stimolazione acustica. Queste onde nel punto in cui si scontrano, corrispondente appunto alla zona per la frequenza di 4000 Hz, determinano lesioni della membrana basilare e dell’organo del Corti. Uno studio longitudinale condotto da Rosenhall e coll confronta la soglia uditiva di un gruppo di soggetti con una storia di prolungata esposizione al rumore con quella di una popolazione non esposta al rumore. Il risultato dell’analisi conferma che l’acuità uditiva decresce in funzione con l’età ed è significativamente peggiore nel gruppo esposto a rumore. Tale differenza, tuttavia, non appare più importante all’età di 79 anni e non è significativa per le donne a tutte le età esaminate. L’identificazione del danno uditivo sociale e di quello legato all’invecchiamento devono essere ai fini medico-legali discriminati dal danno legato all’attività lavorativa del soggetto. Due sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni riunite (sentenza 06846/92 e 7193/92) affermano anzitutto che la sordità totale o quella parziale è una tipica infermità a genesi plurifattoriale e che, nella valutazione del grado di invalidità secondario a un trauma acustico cronico di origine professionale si debba “operare lo scorporo del danno riconducibile a cause extra-lavorative…… non dovendosi tenere conto della quota di inabilità da cause extra-lavorative…..” in quanto “ … la tutela assicurativa in oggetto è connotata dal rischio professionale e non si estende al danno extra-lavorativo”. In questo modo, la “presbiacusia, espressione di un fisiologico invecchiamento dell’apparato acustico e la socioacusia dovuta all’inquinamento acustico ambientale devono essere detratte dal danno uditivo globale accertato”. L’accordo INAIL-Parti Sociali espresso nelle tabelle concordate nel 1992 e nel 1994 non tiene conto, nel calcolo del danno, del fattore 10 età. Tuttavia in sede di giudizio, la sottrazione del danno dovuto alla sociopresbiacusia per le citate sentenze della Cassazione non può essere omessa. Attualmente è accettata l’opportunità di scorporare gli effetti della sociopresbiacusia dal danno uditivo globale. La norma ISO 1999/90 stabilisce un criterio di correlazione statistica tra esposizione a rumore e il danno riscontrabile. In essa viene indicato un calcolo di previsione statistica dello spostamento permanente della soglia uditiva legato all’età per una popolazione altamente schermata e per una popolazione industrializzata, indicando inoltre il calcolo di previsione dello spostamento permanente della soglia uditiva per la componente indotta dal rumore. La Tabella III indica l’innalzamento di soglia acustica attribuibile alla socioacusia secondo Rossi. Il metodo Rossi prevede la sottrazione dalla perdita uditiva globale di percentuali diverse (mai superiori però all’11%) in relazione all’età del soggetto in esame. Tuttavia altri Autori hanno posizioni diverse. Giaccai,ad esempio, suggerisce di detrarre, in relazione alla senescenza, quote diverse valutate in 3 differenti fasce d’età: il 6% nei soggetti di età compresa tra i 61 e i 70 anni, il 14% tra i 71 e gli 80 anni ed infine il 30% per soggetti di età superiore agli 80 anni. Motta e coll e Marello e Romano escludono però che si debba procedere a una detrazione di questo tipo in quanto ritengono che il calcolare la quota di invalidità lavorativa generica legata alla sociopresbiacusia sulla base di tabelle prefissate sia scorretto da un punto di vista concettuale e ponga importanti problemi anche dal punto di vista legale. Infatti il deficit uditivo legato all’invecchiamento può presentare una notevole variabilità individuale così come diversa è la sensibilità all’esposizione al rumore. Secondo questi Autori, se si sostiene che la sociopresbiacusia è da ritenersi una concausa di invalidità in quanto aggrava un danno uditivo professionale, essa -una volta individuata con certezza e calcolata accuratamente- va detratta dall’invalidità globale adottando la formula di Gabrielli (DPR 30/6/61 n°1124 art 79). Al contrario,qualora la presbiacusia venga considerata concausa di malattia, ai fini della determinazione dell’invalidità essa non dovrà essere considerata. Negli altri casi, la sociopresbiacusia verrebbe già esclusa da ogni indennizzo assicurativo in quanto rientrerebbe in quella perdita uditiva media di 25 dB che costituisce il limite a partire dal quale va calcolato il danno risarcibile. Secondo altri Autori, tuttavia, nel caso in cui venga richiesta una valutazione del grado di invalidità che tenga conto della presbiacusia, la miglior metodica da utilizzare non consisterebbe nel detrarre dal valore di soglia audiometrica l’entità della presbiacusia bensì quella di valutare il grado percentuale di inabilità che differenzia il soggetto in esame da una popolazione di soggetti di pari età esenti da traumatismo acustico cronico e da patologie otologiche, al 50° percentile. In questo modo dal valore percentuale del deficit, valutato sulla soglia audiometria, viene semplicemente detratto il valore percentuale del grado di ipoacusia del campione di riferimento di pari età. Le curve di isodanno elaborate in termini di probabilità consentirebbero di tener conto sia dell’energia sonora globale media, sia degli anni totali che hanno caratterizzato quella esposizione che della sensibilità individuale dei soggetti. Vengono così individuate delle aree che indicano una probabilità decrescente del danno da rumore. Le fasce di probabilità sono indicate con i termini: elevata, significativa, moderata, modesta,trascurabile, inesistente. Solo in corrispondenza delle fasce di probabilità elevata e significativa si realizzerebbero, dal punto di vista tecnico-assicurativo, le condizioni per la sussistenza del “nesso causale”. 11 Tab. I Tab. II 12 Tab. III 13 LE PATOLOGIE DELL’APPARATO UDITIVO E LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE L’aumentata capacità diagnostica in campo audiologico, acquisita nel corso degli ultimi anni, ha favorito nella pratica clinica otorinolaringoiatrica lo sviluppo di una maggiore sensibilità nei confronti dello studio semeiologico di tutti i componenti dell’organo dell’udito. Quelle che costituivano le nozioni basilari sia anatomiche che fisiopatologiche sono state spesso messe in discussione oppure rivalutate e confermate alla luce di procedure diagnostiche (vedi ad es. l’otomicroscopia, le emissioni otoacustiche o i potenziali evocati del tronco-encefalo) tecnologicamente più avanzate, più specifiche e meno invasive che in passato. Ciò ha portato ad una migliore integrazione di tutte le informazioni relative a quello che filogeneticamente rappresenta uno degli apparati più primitivi e più utili per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie: l’organo dell’udito. Per riconoscere anche piccoli difetti anatomici o modeste lesioni di qualche componente del sistema uditivo, occorre ricorrere ad una suddivisione che ci guidi nel corso dell’esplorazione obiettiva: la particolare natura di organo “trasduttore” quale è l’orecchio fa si che si individuino tre distretti principali:1) orecchio esterno; 2) orecchio medio; 3) orecchio interno. ORECCHIO ESTERNO Le patologie dell’orecchio esterno possono essere di natura malformativa, traumatica, flogistico-infettiva o neoplastica. Malformazioni L’orecchio inizia il suo sviluppo durante la terza settimana di gestazione. L’orecchio esterno origina da un’invaginazione tra il primo e il secondo arco branchiale che si approfonda a formare il meato acustico esterno a partire dall’ottava settimana. La mancata differenziazione del primo e secondo arco branchiale può dar origine, tra le altre cose, ad un anomalo sviluppo del padiglione che può talvolta inserirsi all’interno di quadri malformativi genetici (disostosi cranio-facciali o mandibolo-facciali).Tradizionalmente l’orecchio esterno è considerato un semplice imbuto atto a raccogliere i suoni e ad aumentare la sensibilità uditiva se è vero che soltanto il padiglione auricolare migliora l’accuratezza uditiva per alcune frequenze anche di 20dB. In sostanza il padiglione auricolare svolge una funzione di captazione e concentrazione degli stimoli vibratori incrementando la pressione acustica in un’area più ristretta costituita dal Condotto Uditivo Esterno (CUE) e dalla Membrana Timpanica (MT). Il padiglione auricolare è formato da tre parti: - - la conca, che è l’incavo imbutiforme pressochè centrale che si continua con il CUE; la scafa, che circonda i due terzi supero-posteriori della conca e che anatomicamente è data dall’elice, dalla doccia dell’elice e soprattutto dall’antelice; il lobo, privo di impalcatura e costituito da tessuto adiposo. 14 Le malformazioni del padiglione possono essere di varia entità ma le principali prendono il nome di anotia quando il padiglione è completamente assente e microtia quando esso è di dimensioni molto esigue. Il lobulo può figurare sdoppiato congenitamente o in forma acquisita (per l’uso di orecchini etc.) e prende il nome di coloboma. Altri quadri malformativi, coinvolgono il CUE : fra tutti la forma più grave è l’atresia auris, che consiste nell’assenza del meato acustico e del condotto uditivo esterno tali da comportare un deficit uditivo molto significativo al punto da richiedere uno studio radiologico “sensibilizzato” oltre che un intervento chirurgico ricostruttivo qualora l’orecchio interno risulti indenne. Un’altra affezione malformativa di riscontro assai più comune e di minore gravità, è rappresentata dalla fistola auris congenita, che risulta dalla incompleta chiusura del primo arco branchiale e si situa generalmente al davanti del trago o tra il trago e la radice dell’elice. Spesso rimane silente per molto tempo ed il paziente viene a conoscenza del problema solo in seguito a flogosi che comportano la fuoriuscita di pus o siero male odorante. La terapia è essenzialmente chirurgica e consiste nella rimozione quanto più profonda possibile del tramite fistoloso. Traumi I traumatismi dell’orecchio sono un’evenienza frequente e possono provocare contusioni, lacerazioni e distacco dell’intero padiglione. Molto comune è anche l’ematoma del padiglione o otoematoma. Esso si verifica generalmente in seguito ad un trauma contusivo e consiste in una raccolta ematica che si forma al di sotto del pericondrio determinandone lo scollamento dalla sottostante cartilagine. All’esame obiettivo si apprezza in genere una ampia tumefazione di colorito bluastro che va evacuato in condizioni di massima sterilità al fine di evitare sia la necrosi cartilaginea da schiacciamento o da esiti cicatriziali, sia la ancor più temibile pericondrite. Quest’ultima, rappresenta una complicanza molto pericolosa poichè indotta dalla presenza dello Pseudomonas aeruginosa detto anche bacillo piocianeo. In tali casi l’orecchio appare molto tumefatto, dolente, morbido con comparsa di linfoadenopatie loco regionali e leucocitosi ematica. Il trattamento elettivo è sia chirurgico di evacuazione con successivi impacchi caldi e compressivi, che farmacologico a base di antibiotici specifici. La pericondrite esita molto spesso in necrosi cartilaginee con conseguenze estetiche non trascurabili. Flogosi L’infiammazione più comune è rappresentata dalla otite esterna, che si verifica ogniqualvolta l’epitelio cutaneo di rivestimento presenta piccole macerazioni, abrasioni, etc., tali da favorire l’azione di germi ivi presenti che altrimenti risulterebbero innocui. Vari sono i fattori favorenti e si riconoscono principalmente in disordini metabolici, disvitaminosi, desquamazione cutanea da eczema o psoriasi, irritanti locali quali shampoo o sostanze chimiche per il trattamento cosmetico dei capelli, tappi di cerume, pulizia del CUE, prolungato contatto con acqua delle piscine. L’otite esterna può essere localizzata, come nel caso della foruncolosi del CUE, in cui lo stafilococco si impianta a livello di un follicolo pilifero, inducendo la formazione di una tumefazione talvolta molto dolorosa con raccolta purulenta più o meno ampia. In altri casi l’otite esterna può risultare diffusa, come si verifica generalmente nei mesi estivi in cui caldo, umidità e ristagno di acqua favoriscono la macerazione della cute del CUE e l’insorgenza di un diffusa flogosi. Si tenga conto che tale forma è sempre accompagnata da intenso prurito che il paziente tende spontaneamente a limitare attraverso una continua detersione del CUE che non fa altro che favorire il processo di impetiginizzazione. I batteri maggiormente implicati sono lo Staphilococcus aureus e lo Pseudomonas aeruginosa, ma talvolta sul diffuso letto sieroso o francamente purulento 15 non è infrequente reperire delle ife fungine, come ad esempio quelle dell’Aspergillus niger. Categorie più a rischio, sia per frequenza che per modalità di insorgenza, sono i diabetici e gli immunodepressi in cui il processo infettivo non si limita ad interessare gli strati più superficiali, ma attraverso processi erosivi osteomielitici può diffondersi verso parenchimi profondi con conseguenze gravi per via dei sequestri ossei che comporta. Tale forma si definisce per le sue caratteristiche otite esterna maligna. Un’altra forma diffusa è rappresentata dall’eczema, che costituisce un processo disreattivo dell’epidermide e del derma in soggetti atopici come conseguenza di un contatto con sostanze irritative. Generalmente all’iperemia, la tumefazione e l’edema segue una fase desquamativa, crostosa, talvolta sierosa talaltra purulenta. L’allontanamento di tutti i fattori scatenanti e la terapia topica con acidificanti consente una completa e rapida guarigione. Tumori I tumori benigni sono perlopiù espressione di displasie cutanee ghiandolari e connettivali. Angiomi e cisti sebacee colpiscono prevalentemente il padiglione auricolare, mentre i papillomi possono colpire più o meno qualsiasi distretto. Di un certo rilievo sono anche le esostosi e gli osteomi, che prediligono il CUE e non danno segno di sé sino a quando il loro accrescimento non è tale da occludere il meato esterno. I tumori maligni dell’orecchio esterno sono rappresentati da carcinomi e melanomi e poiché essi prediligono le zone più esposte, come il padiglione auricolare, è sempre opportuna una esplorazione accurata di questa regione. (Tab 1) ISPEZIONE DELL’ORECCHIO ESTERNO Cosa - ricercare: Modifiche del colorito Tumefazioni Vescicole, eczemi, desquamazioni, etc. Malformazioni Fistole Forma e pervietà del CUE Edemi, lacerazioni, foruncolosi Otorrea Micosi e polipi Esostosi, iperostosi, osteomi, tragitti fistolosi Tumori (Tab.1) Procedendo verso l’interno nell’esplorazione si giunge alla membrana timpanica. La membrana timpanica (MT) chiude il CUE alla sua estremità distale, separando di fatto l’orecchio esterno dalla cassa timpanica. Si tratta di una membrana sottile ma resistente, ellittica, con asse maggiore in senso verticale ed orientata verso il basso, verso l’interno 16 ed in avanti. Le dimensioni variano da 9 a 10 mm di diametro verticale per 8-9 mm di diametro trasversale. Si riconoscono due zone: 1) la pars tensa 2) la pars flaccida La pars tensa è la parte circoscritta al solco timpanico, al quale si fissa per mezzo dell’anello fibroso di Gerlach. Ha una natura fibro-elastica, mobile e sulla superficie si possono individuare alcuni rilievi ed alcune depressioni: questi sono l’umbus in corrispondenza dell’estremità del manico del martello; l’eminenza malleolare in corrispondenza dell’apofisi laterale del martello, i legamenti malleolari anteriori e posteriori che definiscono i limite anteriori e posteriori dell’anulus timpanico.Sono presenti tre strati: cutaneo, fibroso e mucoso, procedendo rispettivamente dall’esterno verso l’interno. La pars flaccida è situata al di sopra dei legamenti malleolari anteriori e posteriori e si caratterizza per l’assenza dell’anello fibroso nonché degli strati fibrosi di supporto e questo incide notevolmente, come vedremo, nella patogenesi di patologie ad andamento cronico dell’orecchio medio. L’osservazione della MT consente di apprezzare le condizioni complessive dell’orecchio medio fornendo moltissime informazioni diagnostiche. Si parla per questo motivo di “linguaggio” della MT, per le tracce che essa generalmente conserva di eventi patologici precedenti. Le modalità di studio sono molteplici, ma nella pratica clinica quotidiana l’otoscopio a pile elettriche rimane ancora oggi un presidio utilissimo, da sempre preferito per comodità di impiego e completezza di informazioni. I parametri principali di riferimento nello studio della MT sono: aspetto, forma, posizione e colorito. In condizioni normali, la MT appare semitrasparente, di forma vagamente ellittica, in posizione mediana e di colorito diffusamente bianco-grigiastro. Principalmente si riconoscono, nella regione della pars tensa, il manico del martello, l’apofisi breve del martello, l’umbus ed il triangolo luminoso di Politzer. Per convenzione lungo il prolungamento del manico del martello si fanno passare due linee ortogonali l’una all’altra, in modo da suddividere la MT in quattro quadranti: 1) antero-inferiore; 2) antero-superiore; 3) postero superiore; 4) posteroinferiore. La prima valutazione riguarda l’integrità della MT. Oggi sappiamo che le forme suppurative croniche dell’orecchio medio dipendono clinicamente ed evolutivamente dal punto in cui si verifica la perforazione, precisando che quelle il cui contenute fuoriesce da perforazioni centrali sono generalmente più benigne di quelle la cui perforazione è marginale. Questo concetto, così semplice a prima vista, deve aiutare a definire le differenti forme cliniche esistenti. (TAB 2.) 17 ALTERAZIONI CAUSE Del colorito Ambra Otite media sierosa Blu; “Blu drum” Otite media sierosa avanzata Marrone, cioccolata Pregressa emorragia Rosso-blu Emotimpano, emorragia recente Bianco latte Otite media acuta a contenuto purulento Rosso o rosato Miringite Della superficie Macchie o placche biancastre cicatrici timpaniche Timpanosclerosi; Dello spessore Aree atrofiche Neoepitelizzazione senza fibrosi di pregressa perforazione già curata Assottigliamento con aumento della Otite media cronica trasparenza e borsa di retrazione Ingrossamento Alterazione degenerativa; Fibrosi Della rigidità (Tab.2) Principali quadri otoscopici in relazione alle patologie causali Bombatura Otite media acuta Retrazione:protrusione della apofisi corta Processo adesivo cronico ORECCHIO MEDIO del manico del martello, orizzontalizzazione del manico del martello, scomparsa triangolo La cassa timpanica si presenta comedeluna cavità parallelepipeda irregolare con sei facce, luminoso delle quali cinque sono ossee ed una membranosa (il timpano).Le sue dimensioni medie sono: Immagini per trasparenza 15mm di lunghezza altezza variabile da 15 mm (posteriormente) a 7 mm (anteriormente) Livelli di variabile liquido, bolle aria (al centro) a 6 mm (alla periferia)Otite media sierosa spessore da 3dimm Soluzioni di continuo 18 volume di circa 2 cc Si possono distinguere almeno tre livelli principali: attico o epitimpano: al di sopra del timpano ed occupato dalla testa del martello e testa corpo e branca orizzontale dell’incudine mesotimpano: in cui si installa la MT con il manico del martello, l’apofsi lunga dell’incudine e la staffa ipotimpano o recesso epitimpanico: al di sotto della MT La cassa timpanica, in pratica, costituisce uno spazio irregolare pieno di aria che proviene dal rinofaringe attraverso la tuba di Eustachio ed è attraversata dalla catena ossiculare che mette in contatto la parete laterale con quella mediale. Le pareti che la compongono in funzione della prossimità con altre strutture sono: 1) il tetto o tegmen tympani, che separa l’orecchio medio dalla fossa cranica media; 2) il pavimento o parete giugulare; 3) la parete posteriore o mastoidea; 4) la parete anteriore o carotidea; 5) la parete mediale o labirintica (promontorio); 6) la parete laterale o membranosa (il timpano). Come ricordato, la cassa timpanica comunica con il rinofaringe mediante la tuba di Eustachio, la quale essendo un lume virtuale si apre esercitando una pressione dall’interno volontariamente come nell’esecuzione della manovra di Valsalva oppure spontaneamente come durante la deglutizione o durante uno sbadiglio. La mucosa che la riveste, che è di tipo respiratorio, svolge funzioni di ventilazione, drenaggio e difesa. Evidentemente, i batteri che interessano la mucosa respiratoria sono gli stessi di maggior riscontro nella patologia infiammatoria dell’orecchio medio: essi sono l’Haemophilus influenzae, lo streptococco beta-emolitico, lo pneumococco ed i virus influenzali, lo Staphilococcus aureus. Clinica delle otiti medie. La prima differenziazione fra otite media acuta e cronica spetta a Von Tröltsch che nel 1856 utilizzò come parametri la durata e la presenza di otorrea. Nel 1987, si è stabilito che la definizione di Otite Media cronica, riguarda un’infiammazione della mucosa dell’orecchio medio – cioè cavità timpanica, cavità annesse e tuba di Eustachio – con una durata superiore a tre mesi, e accompagnata o da un’effusione a timpano integro o da una otorrea che si manifesti attraverso una perforazione timpanica.Tra le Otiti medie acute i principali quadri clinici comprendono attualmente: Otite media acuta virale Otite media acuta secretiva Otite media acuta purulenta Otite media acuta necrotizzante Otite media acuta virale Si accompagna generalmente al raffreddore comune e si può considerare la manifestazione otologica di di un processo infiammatorio delle prime vie aeree che si propaga all’orecchio attraverso la tuba di Eustachio per via ascendente. Generalmente a livello ultramicroscopico si verificano caratteristiche modificazioni a carico delle cellule colonnari ciliari che degenerano in favore di uno strato di cellule cuboidali non ciliate e cellule basali. La normale struttura istologica si ripristina nel corso di almeno due settimane. Le conseguenze sul piano clinico sono la formazione di edema, l’iperemia, l’accumulo di secrezioni e la negativizzazione della pressione endotimpanica che inducono 19 la formazione di un versamento da trasudato endotimpanico. La sintomatologia è rappresentata da otalgia, tensione auricolare, lieve ipoacusia (intorno ai 10-20 dB), autofonia. Una forma a parte è la cosidetta miringite bollosa o Otite bolloso-emorragica in cui il virus influenzale colpisce direttamente la MT, determinando la formazione di vescicole simil-erpetiche a contenuto siero-ematico che procurano al paziente intenso dolore e sensazione di ovattamento auricolare più o meno marcato. Questa forma clinica richiede la prevenzione di sovrainfezioni batteriche con antibioticoterapia per via generale e locale ma generalmente esita in completa restitutio ad integrum. Otite media acuta secretiva Si definisce anche otite catarrale acuta o otite tubo-timpanica ed è una manifestazione clinica quasi esclusiva della prima infanzia. Essa consegue ad una disfunzione tubarica di tipo ostruttivo come per esempio l’ipertofia delle vegetazioni adenoidee che tendono ad occupare il cavo rinofaringeo esercitando una pressione meccanica sull’orifizio tubarico. Ne consegue la formazione di un trasudato mucoso la cui disidratazione, conseguente alla stasi prolungata, ne conferisce aspetto vischioso simil- colla, e per tale ragione definito dagli AA anglosassoni “glue ear”. In tali casi il riscontro impedenzometrico e l’obiettività clinica suggeriscono una bonifica del cavo rinofaringeo per consentire il totale ripristino delle funzioni fisiologiche del complesso tubarico. Otite media acuta purulenta L’otite media acuta batterica purulenta è una patologia infiammatoria dell’orecchio medio molto frequente in età pre-scolare e scolare. Generalmente l’incidenza subisce un calo dopo i 7 anni. L’uso spesso scriteriato di antibiotici, ha modificato il quadro dei microrganismi responsabili in cui lo streptococco beta emolitico è ancora responsabile in circa il 50% dei casi, ma si avverte una preoccupante ascesa, soprattutto in età pediatrica, di haemophilus influenzae, bacteroides, e pseudomonas aeruginosa, la cui eradicazione diviene comprensibilmente molto più difficile. Clinicamente l’evoluzione passa attraverso una fase iniziale di congestione ed iperemia in cui la pressione esercitata dal pus sulla membrana timpanica provoca otalgia intensa e febbre che cessa rapidamente con la rottura della MT e la fuoriuscita del materiale purulento. Se non si verifica la perforazione timpanica, il dolore permane intenso finchè il timpano si mantiene sottile, di colore rosso vivo con protrusione della pars tensa. La terapia antibiotica per via generale e la decongestione tubarica per via endonasale possono scongiurare, se instaurati precocemente, l’evoluzione verso la perforazione timpanica che si potrebbe limitare ad una semplice incisione miringotomica effettuata in ambiente sterile dallo specialista otorinolaringoiatra, dando così rapido sollievo al paziente e limitando al minimo le conseguenze sul timpano. Occorre segnalare, che spesso l’ispessimento mucoso della cassa favorisce la stenosi dell’aditus ad antrum isolando la regione mastoidea dal resto della cassa timpanica. La persistenza della febbre, la dolorabilità e la fluttuazione della regione mastoidea alla palpazione sono sempre dei sintomi da non sottovalutare nonostante la consistente riduzione dell’otorrea, perché ciò può significare che l’orecchio sta drenando verso l’interno con preoccupanti e gravi evoluzioni verso quadri di sequestro osseo sino a gravissime complicanze vascolari o endocraniche. Otite media acuta necrotizzante Questa rappresenta una forma di otite batterica caratterizzata da ampie aree di necrosi per effetto della distruzione tissutale a livello di orecchio medio, timpano e ossicini. L’agente eziologico è quasi sempre lo streptococco beta – emolitico, anche se molto più spesso essa costituisce la complicanza di malattie esantematiche come morbillo e scarlattina. Gli esiti possono essere molteplici variando dalla perforazione timpanica totale 20 sino ad ampie erosioni del promontorio e della catena ossiculare. La cicatrizzazione che segue determina la formazione di un sovvertimento anatomico meglio definito con il nome di timpanosclerosi. Guarigione Otite adesiva Otite residua Otite secretiva Timpanosclerosi infantile Otite OMC Suppurativa benigna atelectasica OMC Colesteatomatosa (Schema 1) : modificato da Tran Ba Huy P. e Herman P. Come detto, il passaggio da una forma acuta di otite media ad una cronica oggi è ben definito dal punto di vista clinico. Esistono molti fattori che possono partecipare alla genesi di una otite media cronica (schema 1): disfunzione tubarica, di cui abbiamo già detto in precedenza fattori embriologici, per cui uno spostamento dell’anulus timpanico durante il suo naturale sviluppo, potrebbe favorire la futura formazione di tasche di retrazioni fattori istologici, per cui il sovvertimento metaplasico della mucosa della cassa indotto dallo stato infiammatorio cronico, tende a ridurre il trasporto mucociliare ed in particolare della componente SOL del muco ossia quella più profonda e più densa. Ciò favorirebbe nel tempo l’instaurarsi di processi di riarrangiamento osseo a livello ultramicroscopico e il mantenimento della flogosi fattori batteriologici, che generalmente determinano una sovrainfezione locale e l’inizio dell’otite vera e propria fattori immunologici, come la presenza di IgG ed IgA in quantità sufficienti per opporre una adeguata resistenza all’instaurarsi di un processo cronico Non esiste ad oggi una classificazione univoca delle otiti medie croniche, ma sostanzialmente esse si possono suddividere in tre principali gruppi: 21 Otite media cronica suppurativa Otite atelettasica Colesteatoma Di queste le prime due vengono comunemente definite benigne al solo scopo di differenziarle dalla forma più temibile che è l’otite colesteatomatosa. Otite media cronica suppurativa Tutti i fattori elencati in precedenza sono gli elementi responsabili di una cronicizzazione di una otite media. Questa forma ha quasi sempre una evoluzione favorevole, esitando il più delle volte in una perforazione timpanica paramediana più o meno ampia. Le fasi di recrudescenza sono strettamente associate ad analoghi processi infettivo-infiammatori del naso e delle prime vie aeree con l’espulsione di essudato a volte francamente purulento. Se l’infezione è persistente la mucosa dell’orecchio può ulcerarsi, granuleggiare e originare formazioni polipoidi o favorire l’accumulo di granulomi colesterinici e la conseguente metaplasia mucosa può rappresentare l’esordio di una lenta evoluzione verso il colesteatoma. Nei casi in cui l’infezione si propaga all’osso sottostante o interessi le cellule mastoidee, si può assistere a fenomeni di osteite con riassorbimenti ossei spesso molto allarmanti.In alcuni casi dopo aver bonificato il naso (deviazioni settali, ipertrofia dei turbinati, etc.) e verificato che la cassa si mantiene secca per un periodo significativo, si può programmare l’intervento di ricostruzione timpanica. In tutti gli altri casi la terapia è sia medica ma soprattutto chirurgica. Otite media atelettasica Definita anche “otite adesiva” o “colesteatoma dell’orecchio medio”, rappresenta una forma ad andamento clinico molto incerto. Essa consiste nella depressione di una porzione più o meno estesa del timpano tale da determinare una evidente riduzione dello spazio aereo della cassa timpanica. Il reperto può anche essere occasionale poiché il paziente ignora la propria condizione non soffrendo ormai da molto tempo di otalgia suppurazione o ipoacusia. L’assottigliamento può dar luogo anche a perforazioni timpaniche con MT molto secca e sclerotica. L’evoluzione più frequente di tali forme è il colesteatoma, poiché comprensibilmente l’esiguo spazio residuo e l’alterazione di tutti i meccanismi di autodetersione della cassa timpanica sono condizioni ideali per lo sviluppo di quei granulomi colesterinici che ne sono alla base. Queste due forme appena descritte spingono il paziente a rivolgersi allo specialista ORL per il dolore, la sensazione di orecchio umido se non di otorrea vera e propria, ipoacusia e sensazione di tensione auricolare, acufeni persistenti che si accompagnano al deficit uditivo. La persistenza di otorrea purulenta e fetida estremamente tenace è già indice di osteite e di probabile evoluzione verso il colesteatoma. Il colesteatoma Il termine colesteatoma origina etimologicamente da “chole” (bile), “streator” (grasso), e “oma” (tumore). Esso designa un accumulo di cheratina in forma di sacco all’interno dell’orecchio medio, nello spazio peritimpanico, nelle cavità mastoidee o nella porzione petrosa dell’osso temporale. Generalmente si accompagna a secrezioni purulente maleodoranti con perdita dell’udito ed evidenze radiologiche di distruzione ossea. Macroscopicamente il colesteatoma appare come una formazione cistica, ripiena di materiale granulare di aspetto sieroso e colorito bianco – perlaceo. Si può evidenziare in genere un rivestimento definito “camicia” del colesteatoma. Dal punto di vista istologico si può osservare una matrice cistica e tutt’intorno una perimatrice formata da strati 22 concentrici di cheratina, di cellule dell’infiammazione e di cristalli di colesterolo. Il colesteatoma si suddivide in due tipi: colesteatoma congenito colesteatoma acquisito Colesteatoma congenito Rappresenta un tumore epiteliale congenito di origine ectodermica, a partire da resti embrionali epiteliali. La prima descrizione classica di un colesteatoma al di dietro di una membrana timpanica integra fu descritto da House nel 1953. Altri AA. hanno riscontrato la presenza di una formazione epidermoide in ossa temporali di feti tra 10 e 33 settimane di gestazione. Sembrerebbe, infatti, che tale formazione si incontra come un gruppo di cellule squamose polistratificate che normalmente regrediscono intorno a 33 settimane di gestazione. La mancata involuzione determinerebbe la formazione di un colesteatoma congenito. Per tali caratteristiche esso può permanere all’interno della cassa timpanica completamente asintomatico anche per molto tempo. La sua scoperta è spesso occasionale o conseguenza di complicazioni (paralisi del facciale, vertigini) ad insorgenza improvvisa. Colesteatoma acquisito Esistono attualmente numerose teorie patogenetiche per spiegare la formazione di un colesteatoma: teoria della metaplasia epiteliale Tale teoria propone che, in risposta all’otite media cronica e agli episodi di infiammazione, si verifichi la metaplasia di cellule indifferenziate della mucosa dell’orecchio medio in epitelio squamoso cheratinizzante. Come detto in precedenza, anche l’epitelio respiratorio della tuba va incontro frequentemente a fenomeni di metaplasia squamosa. Tale epitelio risulta essere pavimentoso, stratificato, con differenziazione a favore di cellule produttrici di squame cornee. teoria della migrazione epiteliale Tale teoria postulata per la prima volta da Haberman nel 1888, continua ad essere la più accreditata e sostiene che il colesteatoma origini da un’invaginazione della pelle del condotto. Tale diverticolo può verificarsi o attraverso la pars flaccida procedendo verso l’attico, o attraverso una perforazione timpanica preesistente, oppure per un processo di migrazione epiteliale che si inverte procedendo verso l’interno. In entrambi i casi il colesteatoma procede con i processi di rimaneggiamento della propria matrice ed aumentando di volume tende ad occupare progressivamente tutti gli anfratti della cassa timpanica, prediligendo, per motivi anatomici e per motivi di pressione endotimpanica, l’epitimpano e la mastoide. In tutti i casi, è bene dirlo, la disfunzione tubarica e l’infiammazione costituiscono condizioni non sufficienti ma necessarie per indurre la trasformazione di un otite media cronica in colesteatoma. I fenomeni erosivi dell’osso si verificano per l’insieme di fattori meccanici e di pressione legati alla funzione tubarica, fattori enzimatici per l’azione di citochine e collagenasi e fattori infiammatori per l’azione di mediatori quali IL1, TNF, Citocheratina 16. La sintomatologia del colesteatoma acquisito è simile a quella delle otiti medie croniche e si caratterizza per la presenza di una perforazione timpanica o retrazione della pars 23 flaccida, otorrea purulenta cronica, saniosa, fetida, con formazione di polipi più o meno voluminosi che protrudono nel meato acustico esterno e intorno a cui si distribuisce il pus. L’erosione ossea può coinvolgere la catena ossiculare che qualche volta si presenta interrotta oppure completamente inglobata nella massa cheratinica. In tutti i casi in cui si sospetta la presenza di un colesteatoma, è indispensabile una TC delle rocche petrose per definirne l’estensione o eventuali sconfinamenti oltre la cassa timpanica. (Tab. 3) FORME CLINICHE DI OTITE MEDIA CRONICA COLESTEATOMATOSA ACQUISITA Tasca di retrazione sub-ligamentosa Atticite colesteatomatosa secca Perforazione marginale sub-totale con osteite Polipo infiammatorio Colesteatoma a timpano integro (non congenito) Colesteatoma dell’apice della rocca petrosa (Tab.3) COMPLICANZE DEL COLESTEATOMA L’evoluzione del colesteatoma è irreversibile se non si programma un accurato intervento di toilette chirurgica. Il concetto di irreversibilità si riferisce alla tendenza a progredire verso una serie di complicazioni di varia entità e gravità. Le complicanze si suddividono in due grandi gruppi: complicanze intratemporali complicanze intracraniche Complicanze intratemporali Recentemente è stato dimostrato che l’erosione ossea è legata alla secrezione di enzimi osteolitici o di collagenasi, da parte del tessuto connettivo subepiteliale. In genere l’osteolisi si associa ad un fenomeno di sclerosi cui si sovrappone un processo infettivo favorente la sclerosi. L’infezione, tuttavia, stimola anche i processi osteolitici, creando il pericolo di una propagazione attraverso il canale semicircolare laterale, il canale del facciale, l’attico, il tegmen, il seno laterale. E’ bene sottolineare che talvolta il colesteatoma raggiunge una condizione di equilibrio che mantiene uno stato di quiescenza anche duratura. In altri casi l’opzione chirurgica si rende necessaria per scongiurare l’insorgenza delle complicanze sopracitate. Nel primo gruppo di complicanze ricordiamo la mastoidite che rappresenta un infezione della struttura trabecolare della mastoide. Talvolta la flogosi purulenta può esteriorizzarsi nel solco retroauricolare, più raramente verso l’arco zigomatico, oppure, per la rottura della 24 punta della mastoide, il pus tende a raccogliersi tra le guaine di rivestimento dei muscoli del collo originando varie forme di mastoidite (Bezold, pseudo – Bezold, Mouret). Un’altra complicanza è rappresentata dalla petrosite in cui l’empiema che si forma coinvolge la rocca petrosa del temporale potendo coinvolgere anche strutture nervose e vascolari (sindrome di Gradenigo, sindrome di Vail). Il colesteatoma nella sua naturale progressione può coinvolgere anche strutture normalmente protette da uno strato osseo molto consistente come l’osso del promontorio. Nel 1860, Toynbee descrisse per la prima volta un quadro di vertigine mobilizzando un polipo del CUE indicando di fatto lo sconfinamento del colesteatoma verso il labirinto attraverso una fistola del canale semicircolare laterale (labirintite). La labirintite può portare anche al sequestro dell’intero labirinto osseo, complicanza molto temibile poiché se non diagnosticato e drenato tempestivamente evolve verso l’endocranio o verso la carotide. Caratteristico a tale proposito è il segno della fistola, in cui la pressione del trago scatena delle vertigini intense accompagnate da nistagmo. Nell’1% dei casi il colesteatoma può interessare anche il VII nervo cranico per erosione del canale di Falloppio, che lo accoglie nello spessore del promontorio, favorendo l’insorgenza della classica paralisi facciale periferica otogena. Complicanze intracraniche Le complicanze intracraniche delle otiti criniche colesteatomatose sono diminuite sensibilmente nel corso delle ultime decadi. Ai fattori già citati si aggiunge il fatto che le otiti medie croniche con colesteatoma sono entità cliniche che si trovano in franca regressione. Occorre precisare che la mortalità legata alle complicanze intracraniche si mantiene relativamente elevata in tutti quei pazienti che rifiutano il trattamento chirurgico o che non si sottopongono a controllo periodico della propria malattia. Dal punto di vista batteriologico, i batteri più frequentemente isolati sono nell’ordine: proteus, streptococco, anaerobi, pseudomonas e stafilococco aureo. Seguendo un criterio classificativo topografico la prima complicanza intracranica che si può verificare è l’ascesso extradurale. L’Ascesso extradurale si sviluppa per continuità per l’accumulo di pus tra la parete ossea del cranio e la dura madre. Generalmente sono più frequenti nella fossa cranica posteriore, mentre quelli della fossa cranica media sono confinati alla superficie anteriore del tegmen timpani. Quando il pus sta a contatto prolungato con la dura madre, si produce una reazione infiammatoria denominata pachimeningite esterna. La clinica dipende dalle dimensioni dell’ascesso, poiché può variare da un quadro di febbricola e alterazione dello stato generale, sino ad arrivare a quadri di ipertensione endocranica con papilledema, vomito ed alterazioni della coscienza. Un’altra complicanza, che tra le altre cose costituisce la più frequente complicanza venosa, è la tromboflebite del seno laterale. In un primo momento si produce una periflebite che evolve nella formazione di un trombo settico endovascolare. Tale trombo può sviluppare una sepsi diffusa oppure organizzarsi per via retrograda sino al seno cavernoso o addirittura sino alla vena giugulare interna. La RMN cerebrale è indispensabile in questi casi segnalando un’immagine iperintensa sia in T1 che in T2. Il trattamento elettivo è antibiotico ed ha sostituito la legatura della vena giugulare interna che si realizzava in epoche precedenti. Come detto il colesteatoma si fa strada mediante osteolisi attraverso le strutture dell’orecchio medio ed interno procedendo verso l’endocranio. Il primo contatto produce una pachimeningite che si segnala per la comparsa di cefalea violenta, generalizzata, che si acutizza con i movimenti della testa e non risponde ai farmaci analgesici. Successivamente può comparire vomito a proiettile, rigidità nucale e comparsa dei segni classici di infiammazione meningea (Kernig e Brudzinski), cui segue l’assunzione di una 25 posizione antalgica, e segni di interessamento neuro-vegetativo. Nella evoluzione incontra aracnoide e pia madre cioè la leptomeninge in cui i germi piogeni responsabili si diffondono nel liquido cefalo-rachidiano e determinano il quadro della meningite otogena. La coltura del liquor permette di isolare principalmente Pneumococco, Haemophilus influenzae, Sthapylococco, Pseudomonas e proteus. La mastoidectomia radicale è il trattamento chirurgico elettivo in questi casi. Se il pus non incontra alcun ostacolo nella sua progressione procede verso il parenchima cerebrale. Generalmente, la raccolta purulenta, capsulata, delimitata, si organizza nel parenchima del lobo temporale se l’infezione origina nella cassa timpanica, oppure nel cervelletto se l’infezione parte dalla mastoide. Il trattamento chirurgico con adeguato trattamento antibiotico è in questo caso più che mai imprescindibile. Per completare il quadro clinico delle patologie dell’orecchio medio occorre fare una breve descrizione della cosiddetta otosclerosi. L’otosclerosi è una malattia distrofica della capsula labirintica, primitiva e a focolai che interessa circa l’1% della popolazione, con un’incidenza doppia nel sesso femminile. Il meccanismo etiopatogenetico è rappresentato dall’otospongiosi, ossia un processo di riassorbimento osseo cui segue una neoformazione di osso patologico la cui struttura interna risulta completamente sovvertita per un processo di sclerosi. Il focolaio inizia generalmente in corrispondenza della fissula ante fenestram, cioè la porzione più anteriore del bordo della finestra ovale per poi estendersi a tutta l’articolazione stapedo-ovalare. Esistono, in funzione delle differenti forme cliniche, varie forme di deficit uditivo, variando da ipoacusie trasmissive nelle forme stapediali, ad ipoacusie miste nelle forme stapedococleari e cocleo-stapediali, per passare ad ipoacusie neurosensoriali nelle forme cocleari. Generalmente esiste una storia familiare di otosclerosi e la conferma passa attraverso il riscontro strumentale ed obiettivo. La terapia è quasi sempre chirurgica e consiste nella stapedotomia con applicazione di endoprotesi mentre nelle forme cocleari alcuni AA. suggeriscono l’impiego di fluoruro di sodio e carbonato di calcio. ORECCHIO INTERNO L’orecchio interno è costituito da un complesso sistema di cavità alloggiate nella rocca petrosa dell’osso temporale a formare il labirinto osseo al cui interno viene accolto il labirinto membranoso. La porzione anteriore è rappresentata dalla coclea, mentre la porzione posteriore è costituito dal vestibolo. La coclea presenta all’interno delle lamine connettivali che la suddividono in tre canali interni o scale: una superiore o vestibolare, una media o dotto cocleare ed una inferiore o scala timpanica. La scala vestibolare e quella timpanica comunicano tra di loro all’apice della coclea detto elicotrema e sono ripiene di un liquido detto perilinfa. La scala media è isolata dalle altre due per mezzo di due membrane: la membrana del Reissner e la membrana basilare che delimitano uno spazio ripieno di un liquido detto endolinfa. La conversione del suono in impulsi nervosi avviene in corrispondenza dell’organo di Corti che è formato da due ordini di cellule sensoriali che sono le cellule ciliate (interne ed esterne) e le cellule di sostegno. Gli impulsi nervosi vengono così trasmessi tramite le vie acustiche centrali alla corteccia del lobo temporale. Le patologie dell’orecchio interno si caratterizzano per la comparsa di sintomi che esprimono alterazioni funzionali ed organiche delle strutture cocleari e retrococleari del sistema uditivo. La rassegna delle patologie dell’orecchio interno è molto vasta considerando inoltre che molte neurolabirintopatie rappresentano un epifenomeno di processi degenerativi che hanno origine presso altri distretti dell’organismo e che pertanto vanno indagati sempre 26 con molta accuratezza. Ovviamente in questa sede ci limiteremo alla trattazione delle forme più comuni. La sintomatologia più frequente e più comune è rappresentata dall’ipoacusia neurosensoriale. Una delle cause principali di ipoacusia neurosensoriale è la presbiacusia (cfr capitolo precdente). Un’altra forma di ipoacusia neurosensoriale è quella da farmaci ototossici che si può osservare in seguito ad esposizione più o meno prolungata ad una serie di farmaci divenuta via via sempre più numerosa. Il sintomo ipoacusia - bilaterale e simmetrica - si manifesta in genere alcuni giorni dopo la somministrazione di un farmaco potenzialmente ototossico e spesso si accompagna anche ad acufeni, sensazione di orecchio pieno e vertigine. La tossicità di alcuni di questi farmaci è stata sfruttata per determinare una degenerazione “mirata” del labirinto in soggetti affetti da acufeni o alterazioni dell’equilibrio. Il trattamento si basa sulla prevenzione e qualora l’utilizzo di alcuni di tali farmaci si renda indispensabile, una soglia audiometrica periodica è sempre consigliabile. Riassumiamo i farmaci ototossici principali: Antibiotici: streptomicina, diidrostreptomicina, neomicina, kanamicina, gentamicina, vancomicina, polimixina b, viomicina, ristocetina, tutti gli aminoglicosidici. Diuretici. furosemide ed acido etacrinico Agenti chimici: salicilati, chinino, mostarda azotata, monossido di carbonio, mercurio, arsenico, tabacco, oro ed alcool. Tutte le forme cliniche di ipoacusia neurosensoriale, sono tipicamente bilaterali. Esiste una forma, importante per incidenza statistica, che al contrario delle altre è tipicamente monolaterale ed è l’ipoacusia improvvisa. Nella maggior parte dei casi l’ipoacusia improvvisa è idiopatica ma si potrebbe stabilire una stretta correlazione con varie cause sistemiche che si possono associare alla sua insorgenza. Attualmente esistono quattro teorie etiopatogenetiche: virale, vascolare, mista e per rottura delle membrane dell’orecchio interno. In moltissimi casi tale forma di labirintopatia si associa ad acufeni, praticamente intrattabili. Per completare questa trattazione vorremmo schematizzare le caratteristiche principali di una patologia molto nota e molto frequente definita sindrome di Menière. Nel 1848 Prosper Menière descrisse il complesso di sintomi che porta il suo nome citando il caso di un paziente in cui ipotizzava l’insorgenza di una emorragia del labirinto. Da allora molto si è chiarito circa il quadro patologico ma ancora nulla si conosce delle cause. I sintomi lamentati dal paziente con sindrome di Menière sono tipici e pressochè diagnostici. Generalmente vi è una sensazione di pienezza auricolare che precede di settimane, giorni o ore l’attacco vertiginoso vero e proprio con nausea e vomito. Dopo l’episodio vertiginoso inizia un periodo di regressione parziale o totale della sintomatologia cocleare. Coesiste spesso un acufene a tonalità variabile che persiste talvolta definitivamente in seguito all’episodio acuto. L’episodio di esordio dura poche ore ma la comparsa e la durata della futura recidiva sono variabili individualmente. Tali sintomi sono dovuti all’instaurarsi di un’idrope endolinfatica che determina l’accumulo dell’endolinfa determinando dilatazione del sistema endolinfatico con erniazione o schiacciamento delle strutture del labirinto membranoso. I sintomi già citati variano in funzione del volume dell’endolinfa e dell’azione esercitata sulle strutture neurosensoriali. L’idrope è quasi sempre unilaterale. I sintomi cocleari della malattia di Menière sono specifici: 27 Ipoacusia fluttuante, in cui la capacità uditiva varia in funzione della pressione esercitata dall’endolinfa sulle cellule ciliate della scala media Displacusia, che consiste nella percezione di un’altezza di percezione del suono diversa nell’orecchio coinvolto rispetto all’orecchio normale. Intolleranza ai suoni intensi, che rappresenta un segno di recruitment cioè di distorsione dei suoni da parte dell’orecchio coinvolto. L’audiometria tonale mostra una ipoacusia neurosensoriale che inizialmente coinvolge i toni bassi con curva in salita. Ad ogni nuovo episodio può corrispondere un danno delle strutture neurosensoriali con un progressivo decadimento della funzione uditiva cui corrisponde un graduale livellamento verso il basso della soglia uditiva. I tests di recruitment sono tutti indicativi di un grave coinvolgimento della coclea dell’orecchio coinvolto. Un test specifico per verificare l’esistenza di un’idrope endolinfatica è il test al glicerolo; esso consiste nel somministrare per os al paziente 1,2 – 1,5 cm3 di glicerolo per Kg verificando un miglioramento della soglia uditiva di almeno 10 dB per più frequenze dopo circa 1-3 ore dalla somministrazione. La terapia medica è basata sull’uso di farmaci diuretici, antivertiginosi e cortisonici. La terapia chirurgica prevede anche la neurectomia vestibolare o l’ablazione chimica del vestibolo con farmaci ototossici. In tutti i casi, considerando la multifattorialità della malattia di Menière, è opportuno consigliare al paziente il rispetto di un regime dietetico iposodico, una condotta di vita tendente ad evitare stress psico-fisici e la valutazione dei prodromi (sensazione di orecchio pieno, etc.) che spesso consentono di prevenire l’insorgenza della crisi acuta e l’involuzione progressiva delle prestazioni dell’orecchio coinvolto. 28 IL TRAUMA ACUSTICO INTRODUZIONE L’ipoacusia da rumore occupazionale (Occupational noise-induced hearing loss, ONIHL) rappresenta una delle problematiche principali legate all’ambiente lavorativo. Quando l’esposizione a rumore che determina una perdita uditiva è associata ad attività di tipo ricreativo, o, comunque, non lavorative, il deficit uditivo viene denominato “socioacusia”. L’esposizione a rumore in ambito lavorativo viene considerato un problema più grave rispetto alla socioacusia per due ordini di ragioni: in primo luogo, il rischio di perdere il lavoro può spingere il lavoratore a rimanere in ambienti con livelli di rumore che altrimenti non accetterebbe ed, inoltre, l’esposizione a tali livelli di rumore si protrae generalmente per molte ore al giorno, per molti anni. Occorre, innanzitutto, fare una distinzione di base che servirà alla definizione del problema. L’ipoacusia da esposizione cronica al rumore deve essere distinta dal trauma acustico acuto. Nel primo caso ci si riferirà ad una perdita uditiva che si sviluppa lentamente e progressivamente in un periodo di tempo piuttosto lungo (alcuni anni), come effetto dell’esposizione a rumore intenso di tipo continuo o intermittente, mentre il trauma acustico comporta un improvviso deterioramento della capacità uditiva in conseguenza ad una singola esposizione, anche breve, ad un rumore molto intenso. EPIDEMIOLOGIA Sia in ambito industriale che agricolo, la quasi totalità delle lavorazioni comporta una esposizione a livelli rischiosi di rumore. Ammonta a circa 30 milioni il numero di lavoratori esposti, in ambito lavorativo, a livelli di intensità sonora uguali o superiori agli 80 dBA Leq. secondo le valutazioni della Comunità Europea; di questi, circa 9 milioni, sono sottoposti, mediamente, ad un rumore eccedente il 90 dBA Leq. I dati ufficiali sulla diffusione dell’ipoacusia da rumore nei lavoratori dell’industria sono forniti dall’INAIL che denuncia come l’otopatia professionale costituisca oltre il 50% delle rendite per malattia professionale. Negli Stati Uniti d’America, secondo l’Occupational Health and Safety Administration (OSHA), tra 5 e 10 milioni di americani sono a rischio di ipoacusia da rumore per l’esposizione a suoni più intensi di 85 dBA in ambito lavorativo. 48 milioni di americani partecipano a sports che prevedono l’utilizzo di armi da fuoco che rappresentano la causa più comune di ipoacusia da rumore non lavorativa. Dobie (1992) riferisce che una percentuale del 1,8% dei maschi americani hanno una ipoacusia da rumore invalidante.Sono i maschi ad essere più colpiti dalla ipoacusia da rumore; rimane poco chiaro se ciò sia dovuto ad una maggiore esposizione sul luogo di lavoro o se invece non sia dovuta ad una maggiore esposizione in attività non lavorative. Non sembrano esservi evidenti differenze di suscettibilità al rumore riguardo all’età. IL RUMORE Il rumore può essere definito, dal punto di vista fisico, come un fenomeno aperiodico, di compressione e rarefazione di un mezzo elastico, le cui ampiezze fluttuano casualmente nel tempo. Dal punto di vista biologico si deve invece considerare rumore qualsiasi fenomeno oscillatorio, nel campo delle frequenze udibili, che “per le caratteristiche fisiche sia potenzialmente atto a provocare, nel nostro organismo, un danno, fisico o psichico, temporaneo o permanente” (Giaccai, 1995). 29 Il rumore può essere definito in base alle sue caratteristiche temporali: continuo o stabile, nel quale i livelli di pressione sonora nel tempo subiscono variazioni minori di 3 dB; fluttuante o transitorio, nel quale i livelli di pressione sonora nel tempo presentano variazioni superiori a 3 dB. A loro volta i rumori transitori si distinguono in: - - variabile, costituito da una serie di rumori stabili ma a livelli di intensità differenti; intermittente, quando il livello sonoro (di durata > 1 sec) cade bruscamente a livello del rumore di fondo in più riprese durante il periodo di osservazione; impulsivo, ad alta intensità ma di breve durata (< 1 sec.); di questo si distingue: un tipo A, non riverberante, di breve durata, con rapido fronte di salita, di alta pressione, seguito da un’unica fase rapida di smorzamento (abitualmente è il risultato di un’esplosione); un tipo B, riverberante o da impatto, costituito da una singola onda positiva, come la precedente, ma seguita da una serie di oscillazioni smorzate con progressiva riduzione di pressione sonora (di solito risultato di una collisione tra solidi, ad esempio tra metalli). - FISIOPATOLOGIA Il danno uditivo da rumore è influenzato dai seguenti parametri: intensità del suono pattern temporale pattern spettrale durata dell’esposizione suscettibilità individuale La distinzione dei differenti tipi di rumore è necessaria per i diversi effetti a carico delle strutture cocleari: rumori continui a livelli di intensità bassi e medi ledono la coclea attraverso processi di fatica metabolica, mentre il rumore di tipo transitorio, di alta intensità, esercita un’azione meccanica diretta legata solo in parte ad alterazioni del metabolismo cellulare. Il contenuto spettrale del rumore è importante poiché esso viene percepito dall’orecchio al pari di qualsiasi altro suono, distribuendosi tonotopicamente e provocando quindi conseguenze dannose a diverse porzioni della coclea. La lesione iniziale è a carico della partizione cocleare deputata alla percezione dei 3-6 kHz e in particolar modo dei 4 kHz. Le interpretazioni che spiegano questo interessamento del giro basale della coclea sono varie. Secondo Ruedi (1957) la rumorosità impulsiva provocherebbe dei vortici endolinfatici che, agendo in senso contrario nella scala timpanica ed in quella vestibolare, si scontrerebbero a livello della zona basale corrispondente alla frequenza di 4 kHz creando forti oscillazioni e conseguente danno alle cellule ciliate. Altri Autori sostengono una diversa teoria fisica basata sulla risonanza del condotto uditivo esterno che aumenta di circa 20 dB il livello pressorio delle frequenze tra 2 e 3,5 kHz. Un’altra teoria si basa sullo spettro sonoro vibratorio del rumore industriale, frequentemente impulsivo, centrato prevalentemente sui 4-8 kHz e quindi elettivamente dannoso per il giro basale cocleare. Inoltre, poiché il meccanismo protettivo del riflesso stapediale è massimo per le frequenze gravi e minimo per quelle acute, appare evidente che il giro basale cocleare sia maggiormente esposto all’azione lesiva sonora. Altre teorie vengono riportate da Larsen che si riferisce al fatto che la porzione di coclea relativa ai 4 kHz è situata di fronte alla 30 divisione dell’arteria cocleovestibolare, per cui è nutrita da una vascolarizzazione di tipo termino-terminale, influenzabile in maniera elettiva dal traumatismo sonoro. La suscettibilità individuale viene messa in relazione a diversi fattori; alcuni, definibili come fissi, sono le dimensioni e le capacità di risonanza del condotto uditivo esterno; la quantità di melanina presente nella pelle; la efficacia del riflesso stapediale. Essa può, inoltre, venire influenzata significativamente dalla precedente esposizione al rumore ed, ancora, dai sistemi di difesa intrinseci dell’orecchio interno. La cosiddetta resistenza acquisita al rumore (RAR) è in relazione alla presenza di sostanze antiossidanti (scavengers) capaci di contrastare l’azione dei radicali liberi citotossici che sono alla base del danno tossico seguente all’esposizione a rumore ed al cosiddetto effetto condizionamento o “toughening” che consiste in una progressiva riduzione della deriva di soglia conseguente all’esposizione ripetuta a basse quantità di rumore. Sperimentalmente è stata individuata anche una durata della RAR che si attesta almeno sui 60 giorni. In pratica, la non lesività di un esposizione al rumore sembra dipendere dal fatto che gli enzimi scavengers nei confronti dei radicali liberi siano prodotti in quantità adeguata a neutralizzare l’effetto di questi ultimi. I livelli degli scavengers sarebbero modulabili attraverso i processi di condizionamento. L’efficacia del sistema antiossidante potrebbe essere dunque potenziata da preventive esposizioni al rumore a basse dosi a scopo profilattico e da interventi di tipo farmacologico. Il tempo di esposizione, infine, è un parametro da correlare strettamente all’intensità dello stimolo come già accennato a proposito del tasso di scambio. Prenderemo in considerazione più avanti il concetto di livello critico. ASPETTI MORFOSTRUTTURALI E METABOLICI DEL DANNO COCLEARE Il rumore agisce nei confronti della coclea con un’azione lesiva di tipo meccanico-vibratorio ed un’azione di tipo metabolico. Sono state formulate varie ipotesi sui meccanismi di danneggiamento delle cellule ciliate (CC) fin dagli anni 70. Queste erano basate su osservazioni empiriche seguenti ad esposizioni a rumori intensi per un periodo di tempo relativamente breve. In ogni caso è presente una grande variabilità nella scelta della banda di rumore e della frequenza utilizzata. E’ un dato acquisito che le alterazioni strutturali della coclea, in risposta ad un forte rumore impulsivo, di intensità superiore al cosiddetto livello critico, siano legate essenzialmente al danno meccanico causato dal superamento del limite di elasticità legato all’eccessivo movimento della partizione cocleare. Ciò comporta una rottura delle strutture cellulari interne, con conseguente perdita della omeostasi e successiva lisi, oltre alle lesioni che possono aversi nella membrana basilare, nel legamento spirale, nella membrana di Reissner e nell’organo del Corti. Queste lesioni potrebbero causare la miscelazione dell’endolinfa e della perilinfa, con conseguente danno tossico delle CC. Un’altra frequente osservazione è la separazione dell’organo del Corti dalla membrana basilare o dalla membrana tectoria. In conseguenza di ciò, può venire danneggiata la giunzione tra stereociglia e membrana tectoria e quella sinaptica tra le CC e la connessione neurale con successiva degenerazione delle cellule gangliari e delle fibre nervose corrispondenti alla zona in cui le CC sono completamente distrutte. La definizione di livello critico di esposizione non è legata alla sola intensità, ma dipende anche dal tempo globale di esposizione e dai parametri di frequenza, rate e durata dello 31 stimolo. Per stimoli di durata di 200 msec il livello critico è verosimilmente di 125 dB. Quando la durata e l’ampiezza di un rumore impulsivo o d’impatto diminuisce, il livello critico aumenta. Impulsi di molti millisecondi hanno rivelato un livello critico compreso tra 135 e 155 dB. In ogni caso, la perdita uditiva da iperstimolazione meccanica, come nel trauma acustico, o per interferenza con i processi metabolici per eventi meno traumatici ma altrettanto stressanti, origina da un danno primitivamente localizzato alle CC. Una delle osservazioni più precoci riguardo gli effetti del trauma acustico è stata quella della maggiore vulnerabilità delle CCE rispetto alle CCI. Una possibile spiegazione a tale fenomeno è di tipo anatomico, essendo le CCE localizzate lungo l’organo del Corti a maggiore distanza dal fulcro della membrana basilare e quindi sottoposte ad uno spostamento più ampio e rapido rispetto alle CCI e quindi maggiormente a rischio di lesione meccanica diretta. Con la microscopia elettronica a scansione si sono documentati vari gradi di alterazioni delle cellule ciliate esterne (CCE) in rapporto al tipo di stimolo ed alla intensità, che spaziano dalla semplice disgregazione delle stereociglia alla loro completa sostituzione da parte di processi digitiformi delle cellule di Deiters, di Hensen e delle cellule pilastro, a loro volta ricoperte da microvilli e detriti cellulari. Presumibilmente, la regione delle cellule di Hensen/Claudius tende ad espandersi ed a coprire la partizione cocleare con cellule epiteliali semplici. E’ stato osservato che in questo processo di espansione, le cellule di sostegno proliferanti possono circondare il piatto cuticolare delle CCE, tendendo ad espellerlo. Alla distruzione diffusa delle CCE, a volte, segue una riparazione cicatriziale ad X formata dalla espansione della superficie apicale delle cellule di Deiters e la formazione di stereociglia giganti. Le cellule ciliate interne (CCI) hanno una maggiore resistenza allo stress acustico, evidenziando lesioni alle intensità maggiori. Le alterazioni che si riscontrano, anche in questo caso, sono molteplici; si sono osservati vari gradi di scompaginazione, dalla flessione ed orientamento in più direzioni delle stereociglia fino alla perdita completa. Quest’ultima è legata in alcuni casi alla estrusione per proliferazione delle cellule epiteliali. A livello ultrastrutturale le modificazioni precoci che colpiscono le CC sono state osservate nelle stereociglia e legate alla rottura di particolari legamenti, definiti come cross-links e tip-links. I primi legano insieme i fusti delle stereociglia; i secondi, più sottili, legano la punta dello stereociglio più corto con il fusto di quello vicino più alto. Questi ultimi sembrano giocare un ruolo chiave nell’apertura dei canali di trasduzione, localizzati nei loro punti di attacco. La deflessione delle stereociglia, determinando un incremento di tensione dei tip-links, provoca un’apertura dei canali di trasduzione regolando in tal modo la depolarizzazione delle CC. Quando i cross-links o i tip-links sono danneggiati da un trauma acustico il risultato è una ridotta risposta delle CC allo stimolo e quindi una ipoacusia. Ulteriori danni vengono riportati a carico dei filamenti di actina che sono posizionati al centro delle stereociglia e la cui funzione è di rendere la stereociglia estremamente rigide. Essi sono orientati verticalmente, compattati in forma esagonale e collegati tra di loro da ponti proteici. La stimolazione intensa che danneggia la matrice dell’actina riduce di conseguenza la rigidità del fascio stereociliare avviando, quindi, il processo di scompaginamento delle stereociglia. Inoltre, durante la stimolazione, il fascio rigido stereociliare vibra vicino all’attaccatura, che ha proprietà elastiche. Con stimolazioni intense si determina un disaccoppiamento delle stereociglia dalla base cuticolare con alterazione dell’elasticità. In ogni caso, quanti di questi danni delle CC siano dovuti direttamente al trauma meccanico sulle stereociglia e non ad una progressiva degenerazione cellulare non è completamente chiaro. La letteratura è ricca di segnalazioni sugli effetti intracellulari del rumore. Un’eccessiva stimolazione sonora può alterare anche il metabolismo delle CC. I 32 cambiamenti morfologici nel sistema del reticolo endoplasmatico, che può mostrare vacuolizzazione o vescicolazione, e nei mitocondri delle CC, che possono apparire rigonfi, suggeriscono un deficit di utilizzazione energetica, di sintesi proteica e di produzione di energia. Queste modificazioni e le alterazioni della concentrazione ionica nello spazio mitocondriale ed intracellulare possono, inoltre, alterare i sistemi enzimatici intracellulari. Questi sistemi, che sono presenti a livello della membrana plasmatica, del reticolo endoplasmatico e dei mitocondri, sono fondamentali per la produzione energetica, la sintesi proteica ed il trasporto ionico. E’ stato riscontrato anche un aumento dei lisosomi sotto il corpo basale e, nel caso di esposizioni a rumori molto forti, un aumento dei grani di lipofucsina, picnosi del nucleo, rottura dei vacuoli e della membrana plasmatica lungo il corpo cellulare o le stereociglia, fino al rigonfiamento marcato dell’intera cellula. E’ chiaro, a questo punto, che per stimoli acustici oltre i 120 dB e di durata adeguata, si abbiano danni meccanici che, come abbiamo visto, spaziano dalla perdita delle giunzioni cellulari alla separazione dell’organo del Corti dalla membrana basilare. Ciò che è da chiarire è perché le lesioni a carico della coclea siano sempre maggiori dopo le 24 ore dalla cessazione dello stimolo acustico, limitandosi alla fine della stimolazione a lesioni ristrette od a piccole fissurazioni a livello delle giunzioni delle cellule di Hensen e Deiters. Tutto ciò, in special modo, in rapporto al danno funzionale transitorio che, invece, è massimo alla fine della stimolazione e che si esaurisce progressivamente con modalità di recupero lineare, o meno, in rapporto allo stimolo continuo o impulsivo. Un’ipotesi potrebbe essere che la TTS sia legata alla interazione tra processi metabolici e processi meccanici che esiterebbero in una curva di recupero non lineare. Alla fine della stimolazione con rumore impulsivo, le alterazioni metaboliche tendono a riportarsi in equilibrio e quindi la soglia uditiva migliora, mentre la reazione simil-edematosa della cellula, dovuta al trauma meccanico, si slatentizza più tardi, comportando le alterazioni di cui abbiamo parlato e che sono evidenti almeno dopo 24 ore dalla fine della stimolazione. Il fenomeno della TTS rimane uno dei più interessanti nell’ambito del danno uditivo da rumore e come tale esso è stato studiato a lungo con il risultato di molte ipotesi riguardo al meccanismo che lo determina. In letteratura sono riportati numerose ipotesi patogenetiche che vanno dalla fatica sinaptica, alla fatica metabolica delle cellule ciliate e della stria vascolare, alle alterazioni del flusso sanguigno cocleare, a modificazioni morfologiche reversibili nelle cellule ciliate, ad alterazioni dei canali meccano elettrici non ben rilevate. Un aspetto che è stato approfondito più recentemente è quello riguardante le modificazioni dell’attività enzimatica associate al danno metabolico cocleare. Il bilancio degli ioni sodio, potassio e calcio è alla base della funzione cocleare normale. Nel trasporto di questi ioni giocano un ruolo fondamentale l’adenosina trifosfatasi del sodio e del potassio (Na +, K+ATPasi) e l’adenosina trifosfatasi del calcio (Ca 2+-ATPasi). Studi citochimici hanno individuato alte concentrazioni di questi enzimi nella parete laterale della coclea che quindi sembra avere un ruolo determinante nel mantenimento della concentrazione ionica endolinfatica ed intracellulare. E’ stato suggerito che almeno uno dei meccanismi alla base della TTS sia legato ad una disattivazione reversibile di tipo molecolare dei canali di trasduzione meccanoelettrica siti all’apice delle CCE in cui sono implicati gli enzimi succitati. In sintesi, ipotizzando che i livelli di tali proteine vengano ridotti in risposta al trauma acustico, il ripristino delle attività Na+, K+-ATPasi e Ca2+-ATPasi ha come conseguenza il riaggiustamento del bilancio ionico endolinfatico ed il ripristino dei normali processi di trasduzione delle cellule ciliate. Una ulteriore considerazione da fare è che i riscontri patologici a carico della coclea sono effettivamente rapportati al “livello critico”. Henderson et al descrivono alterazioni maggiori 33 per esposizioni di 131 e 137 dB, in raffronto a quella di 119 dB, nonostante che la stimolazione avesse la stessa energia totale (equal energy hypothesis). Meccanismi di protezione In alcune specie inferiori il sistema uditivo è meglio dotato rispetto a quella umana dal punto di vista della protezione nei confronti di fattori lesivi esogeni. Ad esempio, nei pesci e negli anfibi l’orecchio interno produce cellule sensoriali (cellule ciliate) per tutta la vita e, di conseguenza, cellule danneggiate possono essere continuamente riparate. Negli uccelli tale capacità viene perduta durante lo sviluppo embrionale ma esiste la capacità di riparare le cellule danneggiate rigenerandole e quindi mantengono la funzione uditiva. Al contrario, nei mammiferi la perdita o il danno delle cellule ciliate è sempre stato considerato irreversibile. Tuttavia studi recenti hanno fornito nuove e stimolanti informazioni a proposito dei processi coinvolti nel danno dell’orecchio interno. In particolare, è stato evidenziato che il danno cocleare determinato da fattori esogeni, quali l’esposizione al rumore o a sostanze ototossiche, può essere prevenuto attraverso alcune sostanze chimiche. I meccanismi, cellulari e molecolari, alla base della perdita uditiva cocleare non sono completamente conosciuti ma esiste una sostanziale evidenza che la formazione di reactive oxigen species (ROS) e/o il coinvolgimento dell’ossido nitrico (NO) o i recettori del glutammato hanno un ruolo nella genesi del danno uditivo da cause esogene. In particolare è stato dimostrato che un aumento della produzione dei ROS è implicata nel trauma acustico. L’evidenza diretta dell’ototossicità dei ROS è stata dimostrata in seguito da Clerici et al. e da Clerici e Yang in CCE isolate e dopo l’infusione nello spazio perilinfatico nella coclea. Ohmiller et al. hanno inoltre dimostrato come il topo knockout per la superossido dismutasi (sod1) ha una maggiore suscettibilità al trauma acustico e quindi ipoacusia da rumore più grave. Al contrario l’omologo transgenico con superespressione della dismutasi (SOD) ha dimostrato di essere protetto nei confronti di fattori ototossici. Il ruolo fisiologico del Glutammato è stato identificato quale neurotrasmettitore a livello delle sinapsi efferenti delle cellule ciliate interne. E’ stato ipotizzato che il danno da rumore possa essere in parte dovuto ad un eccessivo rilascio di aminoacidi come il glutammato che porta ad un afflusso di ioni calcio ed all’ingresso passivo di ioni cloro e di liquidi nelle cellule e, conseguentemente, al rigonfiamento delle terminazioni post-sinaptiche. Anche Duan ha ipotizzato che una simile stimolazione eccessiva dei recettori del glutammato possa essere alla base del trauma acustico. Il ruolo dell’ossido nitrico (NO) è stato identificato, nel sistema nervoso centrale, quale mediatore degli effetti degli aminoacidi eccitatori. Esso potrebbe giocare lo stesso ruolo nel sistema uditivo periferico. E’ nota l’esistenza di una sintetasi del NO (NOS) nella coclea. Gli studi di Ruan et al. hanno riscontrato che un donatore di NO, il nitroprussiato di sodio, determina danno delle CCE e CCI se viene applicato in vicinanza della finestra rotonda. Inoltre è stato evidenziato il ruolo attivo della NOS nella degenerazione delle cellule del ganglio spirale nella coclea dei ratti. Sul versante opposto, in letteratura sono riportati numerosi studi sul ruolo di sostanze, normalmente secrete a livello cocleare, che svolgono un effetto protettivo cellulare. Neurotropine, agenti antiossidanti, inibitori della produzione di NO e di NOS, antagonisti dei recettori di glutammato, sono stati identificati sperimentalmente quali agenti capaci di esercitare un'azione protettiva nei confronti del danno da rumore e da agenti ototossici. Tra le neurotropine il BDNF (brain-derived nerve growth factor) e il GDNF (glial cell linederived neurotrophic-factor) sono state identificate quali fattori protettivi nei confronti del danno da rumore 55. E’ stato inoltre identificato il ruolo protettivo nei confronti del trauma 34 acustico di alcuni antagonisti dei recettori del glutammato. La protezione nei confronti del rigonfiamento dei dendriti sottostanti le CCI causato dall’esposizione al rumore è stata dimostrata da Duan e Puel. Un ulteriore esempio è rappresentato dalle “heat shock proteins” (HSPs), la cui sintesi avviene in seguito a stress termico o di altra natura. Nella coclea le HSPs sono state ritrovate nelle CCE, nelle cellule del ganglio spirale e nella stria vascolare di diverse specie animali. Lim et Al. hanno riscontrato che l’esposizione a rumore provoca un aumento della produzione di HSP 72 nelle CCE e CCI del ratto. Ma ancora più interessante è il risultato dello studio di Yoshida et Al. che documentarono come lo stress termico 15 minuti prima dell’esposizione a rumore esplica un effetto protettivo significativo nei confronti della coclea con il contemporaneo riscontro di un significativo aumento della produzione di HSP 70 di cui può essere dunque suggerito un ruolo protettivo dal danno o nella riparazione cellulare. E’ stato ipotizzato, pertanto, che alti livelli di queste proteine possano proteggere la coclea dal trauma acustic, ipotesi che potrebbe validamente supportare l’effetto toughening che riduce il danno funzionale e strutturale delle CC da rumore intenso, in seguito a preventiva stimolazione acustica a basse intensità di stimolazione. QUADRO CLINICO L’approccio al danno uditivo da esposizione cronica a rumore molto spesso non consente una diagnosi certa bensì di forte probabilità, ciò a causa dell’assenza di segni audiologici specifici ed esclusivi, fornendo piuttosto elementi che possono essere considerati soltanto fortemente suggestivi. Il percorso diagnostico necessita dunque della documentazione precisa del deficit uditivo e contestualmente del rischio espositivo. La natura soggettiva dell’esame audiometrico impone di considerare il rischio di simulazioni. Il rapporto di causalità necessita invece della ricostruzione della storia lavorativa del paziente con particolare riguardo all’esposizione al rumore. Un ulteriore necessità nell’inquadramento del danno uditivo da rumore è quella dell’esclusione di eventuali altri fattori o patologie del sistema uditivo che possono avere avuto un ruolo sulla capacità uditiva (esposizione a rumore extra occupazionale, patologie dell’orecchio medio ed interno, traumi, patologie su base ereditaria). La relazione tra decadimento uditivo legato all’età e perdita uditiva da esposizione a rumore rappresenta un ulteriore capitolo importante del problema essendo i due tipi più comuni di ipoacusia neurosensoriale. In particolare è da prendere in considerazione l’influenza della presbiacusia sulla suscettibilità al danno uditivo da rumore. In letteratura, studi effettuati sull’animale, non hanno dimostrato differente suscettibilità al rumore in relazione all’età. La differenza di sesso non sembra avere influenza sul grado di innalzamento della soglia per l’esposizione a rumore, pur se nel sesso maschile è stata rilevata una maggiore tendenza alla perdita uditiva sulle alte frequenze in relazione all’età. Dal punto di vista audiologico la ipoacusia da rumore è caratterizzata da un deficit uditivo ad evoluzione lenta risultante da esposizione costante a rumore nocivo. La deriva di soglia è l’effetto dell’esposizione acuta o cronica a uno stimolo sonoro di intensità elevata. L’innalzamento di soglia verrà considerato temporaneo quando si ottiene un recupero in condizioni di riposo uditivo (Temporary threshold shift, TTS). Dovrà invece essere considerato permanente (Permanent threshold shift, PTS) se non si ottiene un recupero a distanza di 20-30 giorni. La quantità di tempo necessaria al recupero rimane un argomento non completamente chiarito ed ancora controverso. Viene abitualmente riferito a 16 ore ma alcuni individui necessitano di periodi più lunghi per il completo recupero. Alcuni autori fanno riferimento a 24 ore.2 La quantità della deriva di soglia è prevedibile in base alle 35 caratteristiche (intensità, frequenza, pattern temporale di esposizione) del rumore che la determina. I valori massimi di TTS possono manifestarsi anche diverse ore dopo la cessazione del rumore, quando vengano usati stimoli impulsivi o ad impatto. In particolare le frequenze interessate dipendono dallo spettro dello stimolo. Per i motivi descritti in precedenza, nelle situazioni di rumore lavorativo, con rumori a larga banda, con energia acustica pressoché uguale per tutte le frequenze, la TTS è quasi sempre maggiore nel range tra 3 e 6 kHz e spesso centrata sui 4 kHz. Va precisato che la presenza di componenti ad impatto o impulsive aumenta gli effetti traumatizzanti cronici dei rumori di tipo continuo. Ripetere l’esposizione al rumore prima del recupero completo della TTS o il ripetersi troppo frequente dell’esposizione a rumore, può determinare un danno, questa volta permanente ed irreversibile (PTS), che è praticamente la vera e propria ipoacusia da rumore. Questa situazione permanente è più frequentemente il frutto della ripetizione di esposizioni al rumore quotidiane per periodi di anni con intensità e durata tali da determinare il danno e la sua entità non è prevedibile sul piano individuale. La PTS compare inizialmente nel range di frequenze tra 3 e 6 kHz interessando particolarmente i 4 kHz ed aumenta progressivamente fino a circa 30 anni di esposizione. Oltre questo limite temporale peggiora solo per piccoli incrementi alle frequenze maggiori di 3 kHz e in maniera maggiore a 2 kHz. L’effetto del trauma acustico non può essere valutato in termini puramente quantitativi. L’ipoacusia da rumore si associa ad alterazioni qualitative della funzione uditiva: il fenomeno del recruitment, gli acufeni, la riduzione della selettività in frequenza e della percezione verbale, alterazioni delle funzioni psicoacustiche. In primo luogo è stata dimostrato un incremento della capacità discriminativa d’intensità in relazione all’entità del deficit uditivo: essa è tanto più alterata quanto più elevata è la soglia della frequenza presa in esame. L’ipoacusia si associa inoltre ad un deterioramento della selettività frequenziale più evidente per le frequenze interessate dalla perdita uditiva. Le curve di sintonia appaiono in realtà alterate anche per le frequenze non colpite dal danno da rumore. Un'altra alterazione della funzione cocleare è la capacità di integrare l’energia acustica a livelli liminari. Mediante l’utilizzo della audiometria a toni brevi (BTA) è stata individuata una correlazione negativa tra valore della BTA e perdita uditiva della frequenza in esame. Lo studio mediante il Remote Masking, i test di funzione retrococleare e l’analisi dei rapporti interaurali di fase del segnale non hanno fornito alterazioni significative. La discriminazione vocale risulta poi correlata significativamente con la soglia media delle basse frequenze, dei 2 kHz e dei 4 kHz. E’ inoltre correlata con le funzioni di integrazione temporale dell’energia acustica e di selettività di frequenza a 4 kHz. E’ interessante inoltre notare che, indipendentemente dall’entità del deficit uditivo, esiste un’alterazione della discriminazione vocale in presenza di rumore di fondo ed ancora, a parità di perdita uditiva per le frequenze uguali o inferiori a 2 kHz, la presentazione di un rumore causa un peggioramento della discriminazione vocale significativamente maggiore nei soggetti esposti cronicamente a rumore rispetto ai soggetti non esposti. La suscettibilità all’agente lesivo varia piuttosto ampiamente tra diversi individui, ma, in genere, necessitano almeno 10 anni di esposizione per avere perdite uditive significative. A titolo di esempio riportiamo la perdita uditiva di una esposizione continua a 100 dBA: 5 anni 5 dB 20 anni 14 dB 40 anni 19 dB 36 I criteri clinici e strumentali più importanti che, insieme al rapporto di causalità desunto dall’anamnesi lavorativa, possono indirizzare alla diagnosi di ipoacusia da rumore sono i seguenti: la natura neurosensoriale della perdita uditiva a sede cocleare e di pari passo l’assenza di patologia dell’orecchio medio; la quasi costante bilateralità del deficit uditivo con simile andamento dell’audiogramma tra i due lati. Solo occasionalmente alcuni ambiti lavorativi possono determinare perdite asimmetriche: la causa più comune di asimmetria è l’esposizione ad armi da fuoco, specialmente fucili o comunque armi a canna lunga. In questo caso il danno maggiore è all’orecchio controlaterale all’impugnatura. la quantità del danno è in genere contenuta entro i 60 dB, per le alte frequenze, i 40 dB, per le frequenze gravi, essendo dovuto ad una lesione delle CCE. Perdite eccedenti questo limite sono in genere dovute all’interazione di altri fattori causali, di cui l’età rappresenta il più importante. Le frequenze danneggiate precocemente e maggiormente sono quelle da 3 a 6 kHz, quelle più alte o più basse hanno necessità di esposizioni maggiori per essere colpite rispetto al range suddetto. La frequenza più colpita è comunque quella dei 4 kHz ed il notch a questo livello si conserva anche negli stadi più avanzati; pur non essendo patognomonico è questo il pattern audiometrico caratteristico della fase iniziale della ipoacusia da rumore. In condizioni di esposizione costante la perdita a 3, 4 e 6 kHz raggiunge il livello massimo in circa 10-15anni (90% nei primi 5 anni). Dopo questo periodo la crescita dell’ipoacusia è praticamente trascurabile, raggiungendo i 60 dB e confermando il meccanismo che la genera, ovvero la distruzione delle CCE; Un’esposizione continua al rumore è più dannosa di una esposizione interrotta che consente una sorta di recupero all’orecchio esposto. Inoltre una precedente esposizione non rende l’orecchio più suscettibile ad un eventuale danno acustico successivo; Molti pazienti riferiscono la presenza di acufeni associati con TTS e PTS, il riscontro di questi sintomi possono rappresentare segnali d’allarme dell’insorgenza di un’ipoacusia da rumore. Tali criteri non rappresentano sintomi specifici e sono riscontrabili in ogni perdita neurosensoriale sulle alte frequenze e non indirizzano riguardo alla possibile eziologia. Per cui la presentazione clinica non è realmente dirimente al fine di distinguere tra ipoacusia da rumore ed altre patologie quali perdite uditive progressive su base genetica, traumi cranici, patologie vascolari, ototossicità, infezioni virali, dismetabolismi, insufficienza renale, barotraumi che coinvolgano l’orecchio interno, azione tossica dell’ossido di carbonio. La presenza di uno di questi fattori non è assoluta esclusione di patologia da rumore ma impone maggiore attenzione per la possibilità di una eventuale diagnosi multipla. L’esame clinico del paziente non è importante nella valutazione dell’ipoacusia da rumore eccetto che per l’esclusione di altre possibili cause di ipoacusia. Sarà, dunque, necessaria una valutazione della membrana timpanica e dell’orecchio esterno. Inoltre una valutazione neurologica sarà necessaria per l’esclusione di patologie neurologiche. Allo stesso modo gli esami di laboratorio e la diagnostica per immagini hanno importanza solo per la diagnosi differenziale. La valutazione audiometrica tonale e vocale rappresentano il presidio diagnostico più importante per la diagnosi di ipoacusia da rumore. In particolare necessitano approfondimento l’influenza dell’età e di eventuali patologie concomitanti dell’orecchio medio. 37 La presbiacusia e l’ipoacusia da rumore sono fenomeni simili dal punto di vista audiometrico. Il loro andamento è opposto dal punto di vista della progressione: la presbiacusia aumenta con l’età mentre l’influenza del rumore tende a ridursi con il passare del tempo. Non potendo distinguere con certezza l’influenza dell’uno e dell’altro fattore è necessario l’impiego di dati statistici previsti dalla normativa. Per quanto riguarda la valutazione di una ipoacusia da rumore in contemporanea presenza di una ipoacusia trasmissiva è utile rifarsi al lavoro di King et al. (1992) per l’ambito medico legale. E’ necessario inoltre tenere presente la significativa variabilità individuale della suscettibilità al rumore. Le normative, considerando la protezione nei confronti del gruppo, potrebbero non essere sufficientemente adeguate agli individui più sensibili. Per questo motivo bisognerà tenere in attenta considerazione i sintomi lamentati da soggetti con acufeni e ipoacusia dopo esposizione a rumore. La prevenzione rappresenta ad oggi l’unico strumento efficace nei confronti del danno uditivo da rumore. La TTS è una condizione reversibile ma la PTS non consente alcun recupero o trattamento. Non esiste un presidio protettivo dell’udito migliore di quello che il lavoratore realmente è disposto ad indossare. Per le disposizioni di legge si rimanda al largo corpo di pubblicazioni relative. Allo stesso modo per le naturali ricadute in ambito medico legale e assicurativo si rimanda alle numerose pubblicazioni esistenti. 38 LA VALUTAZIONE DEL DEFICIT UDITIVO CON METODICHE SOGGETTIVE La rilevazione della soglia audiometrica con metodiche soggettive in è principalmente eseguita mediante audiometria tonale liminare. Le altre metodiche, audiometria vocale, sopraliminare, ecc.., trovano impieghi più limitati e rivolti ad approfondimenti diagnostici conseguenti alla rilevazione di un deficit audiometrico. Lo strumento base per l’esecuzione dell’audiometria tonale liminare è l’audiometro. L’audiometro è lo strumento utilizzato per valutare la capacità uditiva di un soggetto mediante la determinazione della soglia di toni puri presentati a diverse frequenze per via aerea e per via ossea. Lo strumento genera toni puri la cui intensità può essere modificata con variazioni minime di 5 dB; in certi audiometri è possibili modulare i suoni per scatti di 1 dB senza peraltro aumentare il potere di risoluzione del test in quanto aumenta molto la variabilità intertest. I toni usati corrispondono alle frequenze 125, 250, 500, 1000, 2000, 4000, 8000 Hz. Nella maggioranza degli audiometri in uso vengono generati anche suoni di frequenze intermedie e più acute: 750, 1500, 3000, 6000, 12000 Hz.. Generalmente all’audiometro è anche associato un dispositivo per l’esecuzione del mascheramento e gli strumenti più sofisticati presentano ulteriori dispositivi per l’esecuzione dell’audiometria vocale e per la ricerca del recruitment e dell’adattamento. I suoni generati dall’audiometro sono trasmessi all’esaminando mediante appositi ricevitori auricolari a cuffia, i quali consentono di esplorare la soglia per via aerea. La cuffia è di norma bicolore, il rosso per l’orecchio destro ed il blu per il sinistro, e deve consentire di esaminare separatamente le due orecchie. L’apparecchio è anche corredato da un vibratore per lo studio della soglia per via ossea. Lo strumento deve essere sempre in perfetta efficienza al fine di garantire risultati affidabili e confrontabili con altre misurazioni. Sono quindi necessarie verifiche e controlli periodici unitamente ad operazioni di taratura e manutenzione. Gli audiometri sono classificati in classi e la norma CEI EN 60645-1 stabilisce i requisiti di un audiometro per poter essere classificato. Tale norma specifica anche le caratteristiche dei filtri, le frequenze di taglio e l’intensità del segnale mascherante. La norma ISO 6189 (espressamente richiamata dal DL 277) prevede una procedura di verifica regolarmente eseguita, completata dalla taratura, come requisito minimo per assicurare che l’audiometro, quando in servizio, sia in accordo con la norma ISO 389 e rispetti i requisiti di taratura della norma CEI EN 60645. Il sistema di controlli previsto dalla norma è conseguente al fatto che l’audiometro non mantiene facilmente nel tempo le sue caratteristiche di produzione di segnali acustici all’interno delle tolleranze consentite. Nella sostanza i controlli si articolano in una serie di fasi, la prima delle quali comprende la verifica di ascolto quotidiana prima dell’uso. Questa verifica deve essere effettuata da parte di personale esperto normoudente, il quale deve ricercare la presenza di eventuali distorsioni, attenuazioni e transienti del tono interruttore e di ogni altro suono indesiderabile dell’audiometro, per un minimo di tre regolazioni dell’attenuatore, a tutte le frequenze di prova. In presenza di un qualsiasi suono indesiderato l’audiometro deve essere ritirato dal servizio per la necessaria verifica e riparazione. Prima di ogni utilizzo occorre, inoltre, eseguire le seguenti operazioni: - attendere dopo l’accensione per il tempo specificato dal costruttore prima di utilizzarlo; 39 - regolarlo secondo le istruzioni del costruttore; per le apparecchiature che ne sono munite, verificare le condizioni della batteria di alimentazione; - verificare che il segnale fornito dall’audiometro sia corretto, almeno a giudizio dell’utilizzatore, per la trasmissione, sia per via aerea, sia per via ossea, per livelli di 10 o 15 dB sopra la soglia in ambedue le cuffie ed i vibratori ossei e per tutte le frequenze; - si deve anche controllare che la cuffia in uso e l’audiometro siano correttamente accoppiati (in molti apparecchi li contraddistingue lo stesso numero di matricola); è anche opportuno controllare che il funzionamento sia corretto anche per livelli più elevati (ad esempio 60 dB in cuffia e 40 dB al vibratore) di ogni tipo di segnale, che spinotti e cavi siano regolari, che le spie luminose si accendano regolarmente per i segnali ad intermittenza e che le manopole di regolazione abbiano posizioni e scatti ben definiti. Una volta alla settimana (ma preferibilmente ogni giorno) è necessaria una verifica soggettiva della taratura, effettuando un audiogramma di una persona avente un udito stabile conosciuto, e confrontando i risultati della prova con un audiogramma noto. Se i risultati indicano differenze di livelli di soglia uditiva superiori a 10 dB per qualsiasi frequenza, l’audiometro dovrà essere ritirato dall’utilizzo e soggetto ad una taratura. Ogni tre mesi deve essere eseguita una verifica oggettiva della taratura Questa consiste nel misurare, mediante fonometro, la frequenza e la pressione sonora di tutti i toni di prova. Infine deve essere effettuata la taratura da un laboratorio competente ogni due anni oppure ogni volta che si ritenga necessario a seguito dei controlli periodici. La taratura, eseguita in accordo con la norma UNI EN ISO 389, comporta la verifica che l’audiometro rispetti i requisiti stabiliti dalla norma CEI EN 60645. Quando lo strumento ritorna dalla taratura devono essere effettuati la verifica di ascolto e la verifica soggettiva della taratura. La norma UNI EN ISO 8253 prevede una metodologia di taratura (applicabile a tutti i tipi di audiometri) non dissimile (anche se non totalmente sovrapponibile) a quella contenuta nella norma ISO 6189 alla quale si è già fatto riferimento. Una garanzia della competenza dei laboratori di taratura è rappresentata dal loro accreditamento da parte di uno degli organismi riconosciuti all’interno dell’EA (European co-operation for Accreditation). In Italia è riconosciuto il SIT, Sistema Italiano di Taratura, che è costituito da due istituti primari (Galileo Ferraris e Colonnetti) e da centri di taratura SIT disseminati sul territorio. Il laboratorio di taratura deve garantire la riferibilità metrologica ai campioni primari nazionali. La norma CEI EN 60645 stabilisce, per il costruttore e per chi effettua le tarature degli audiometri, le tolleranze di frequenza e di ampiezza del segnale di misura. Un requisito essenziale per l’esecuzione dell’esame audiometrico è l’isolamento acustico dell’esaminato. La norma UNI EN ISO 8253-1 specifica i livelli di pressione sonora massimi ammissibili, per bande di un terzo di ottava, dell’ambiente in cui si esegue l’esame. Ovviamente le caratteristiche fonoisolanti di una cabina dovranno essere tanto più elevate quanto maggiore è il livello di rumore presente nell’area in cui la cabina è installata. Volendo conseguire risultati affidabili, anche quando si eseguono esami audiometrici a soggetti aventi soglie uditive prossime a 0 dB, non è possibile sistemare la cabina di prova in ambienti influenzati da sorgenti di rumore (es. strade, officine, ecc…), a meno che non si scelga una cabina avente un isolamento particolarmente elevato o si accetti un’incertezza più ampia (5 dB invece che 2 dB) nelle prove ai bassi livelli. Se la cabina è posta in un locale di per sé molto silenzioso, le caratteristiche fonoisolanti possono anche essere meno severe (tab. 4.III, cfr. allegati). 40 Nel caso si abbiano dubbi sul rispetto dei valori limite ammissibili, e non si abbia la possibilità di effettuare rilievi fonometrici, la norma citata suggerisce di eseguire un rilievo audiometrico su almeno due soggetti normoacusici: se si riscontra una variazione di 5 dB nel livello di soglia, è necessario provvedere a ridurre ulteriormente il livello del rumore di fondo nella cabina. I moderni audiometri, a differenza di quelli del passato, tarati in dB SPL (Sound Pressure Level) sono tarati in dB HTL (Hearing Thresold Level), anche definiti HL (Hearing Level). Il livello di pressione sonora viene variato automaticamente su ogni frequenza del campo tonale affinché il valore 0 dB dell’audiometro corrisponda al livello di soglia dell’orecchio normale. I livelli di soglia sono stati fissati da Commissioni internazionali (ASA 1951, ISO 1964, ANSI 1972). La procedura di esecuzione dell’audiometria si articola in tre fasi: il controllo dell’audiometro, la rilevazione per via aerea, la rilevazione per via ossea. Il controllo dell’audiometro è già stato trattato in precedenza. In questa sede si vuole ricordare che le cuffie ed i vibratori non devono subire urti o cadute in terra perché ciò potrebbe influire sulla intensità di uscita. Nel caso in cui si verifichi una variazione nell’intensità del tono di uscita è necessario ricalibrare l’audiometro con cuffia e/o vibratore. La rilevazione della soglia per via aerea deve essere preceduta da una otoscopia (peraltro prevista dal DL 277/1991) finalizzata alla verifica di eventuali patologie a carico del condotto uditivo esterno, della membrana timpanica e dell’orecchio medio. Prima di eseguire il prelievo audiometrico è necessario preparare l’esaminando ed istruirlo all’esame. Ciò può essere fatto assicurandosi della sua comoda sistemazione e della sua tranquillità. Discutendo con il paziente è possibile farsi un’idea soggettiva della sua capacità uditiva per la voce di conversazione. In caso di osservazioni è preferibile prenderne nota sull’audiogramma. La spiegazione al paziente deve essere chiara e richiede tempo: si deve far comprendere che l’esame consiste nella determinazione del minimo suono percepibile. Ciò deve essere fatto utilizzando una terminologia di facile accessibilità. Può essere utile far percepire al soggetto un suono di tonalità media (1000 Hz) ad un livello di comoda udibilità per dare un’idea del tipo di suono. Si deve anche spiegare che il pulsante deve essere premuto appena il suono viene udito, anche se appena percepibile. Talora al posto del pulsante può essere utilizzata l’alzata di mano. Occhiali, orecchini ed apparecchi acustici devono essere tolti. Si deve anche verificare che i capelli non si interpongano tra il padiglione auricolare e le cuffie. E’ anche importante controllare che la pressione della cuffia non determini un collasso delle pareti del condotto uditivo esterno e che l’auricolare sia posizionato proprio in corrispondenza dell’apertura dell’orificio del condotto uditivo esterno. Rilevazione della soglia per via aerea Innanzitutto si esegue la ricerca della soglia per via aerea iniziando dall’orecchio migliore. Normalmente si sconsiglia l’utilizzo di un tono ad implusi (cioè interrotto con cadenza di 250 msec on e 250 msec off). Questo tipo di stimolo consente di evitare errori di rilevazione di soglia conseguenti all’eventuale presenza del fenomeno dell’adattamento (tipico delle forme di ipoacusia neurosensoriale retrococleare) e aumenta l’attenzione nei confronti dello stimolo. Viene presentato un tono di 1000 Hz a 40-50 dB sopra la soglia presunta per 1-3 secondi, se non si ottiene risposta si riprova, se ancora non si ottiene risposta si aumenta 41 l’intensità, Quando non è noto l’orecchio migliore si adotta la procedura appena esposta per individuarlo. Dal tono sopraliminare si scende a scatti di 10 dB con intervalli irregolari in modo da ovviare all’adattamento di un ritmo. Raggiunto il livello di intensità non percepito, si aumenta a scatti di 5 dB fino ad ottenere risposta per poi diminuire di 10 dB ed ancora aumentare a scatti di 5 dB. Questa rappresenta la migliore metodologia di ricerca della soglia. Spesso vengono utilizzate anche le cosiddette tecniche “in discesa” e “in salita”, certamente più rapide ma meni precise. La ricerca in discesa viene condotta inviando un tono ad un livello di comoda udibilità e riducendo progressivamente l’intensità per scatti di 5 dB fino a quando il soggetto non percepisce più lo stimolo; la soglia è data dal minimo valore di intensità percepito. Viceversa, la ricerca in salita è eseguita inviando un tono ad un livello infraliminare seguito da un progressivo incremento dello stimolo acustico fino a quando il soggetto lo percepisce; il valore di soglia è dato dal primo tono percepito. La tecnica solitamente in discesa individua valori di soglia migliori di 5-10 dB rispetto alla tecnica in salita, che, comunque, viene ritenuta la più attendibile tra le due in quanto meno soggetta a fenomeni di abitudine alla risposta ed alla memoria del suono percepito. La soglia uditiva è definita come il minimo livello di intensità acustica, espressa in dB, al quale il paziente risponde almeno due volte dopo una presentazione di quattro stimoli. Si procede quindi alla determinazione della soglia alle altre frequenze secondo il seguente ordine: 2000-3000-4000- 6000-8000-1000-500-250. La ricerca della soglia alla frequenza 1000 Hz deve sempre essere ripetuta prima di passare all’orecchio controlaterale. I valori di soglia vengono trascritti sul grafico audiometrico utilizzando i segni convenzionali riportati nella figura 4.5 (da Albera fig. 1.33 copiare la didascalia). Si raccomanda di evitare di inviare i segnali a cadenza regolare e, nel passaggio da una frequenza all’altra, è bene prolungare l’intervallo soprattutto sulle frequenze medie. Il mancato rispetto di questo accorgimento può indurre l’esaminando a segnalare automaticamente una risposta senza avere la certezza della reale percezione del suono. In caso di asimmetria tra la soglia audiometrica delle due orecchie esiste la possibilità che il suono inviato all’orecchio peggiore sia udito dall’orecchio migliore. Quando la differenza di soglia tra la via aerea dell’orecchio peggiore e la via ossea dell’orecchio migliore è superiore a 40 dB si deve inviare mascheramento all’orecchio migliore per bloccarne la possibilità di percezione trans-cranica. Infati l’attenuazione interaurale, cioè la riduzione della sensazione acustica che giunge all’orecchio controlaterale (per via ossea in quanto il trasferimento all’altro orecchio avviene per questa via) è pari a 40 dB, per cui in presenza di un’asimmetria di soglia superiore a questo valore è possibile che il suono venga percepito da parte dell’orecchio migliore. Ovviamente il mascheramento viene limitato alle sole frequenze in cui è verificata la differenza di soglia superiore ai 40 dB. La mancata esecuzione del mascheramento comporta la rilevazione di una cosiddetta curva fantasma in cui valori di soglia sono migliori di quelli realmente presenti (fig. 4.6 – cfr allegato copiare la didascalia). Il mascheramento viene eseguito inviando all’orecchio migliore un rumore mascherante, solitamente a banda stretta centrata sul tono utilizzato all’orecchio in esame. L’intensità del rumore mascherante è espressa in dB UME (Unità di Mascheramento Effettivo) Tra le numerose metodiche di mascheramento proposto quella che riteniamo più affidabile è stata proposta da Hood. Secondo questa tecnica, dopo aver determinato la soglia senza mascheramento viene inviato il segnale mascherante all’orecchio da mascherare (cioè il migliore) ad un’intensità di 10 dB superiore a quella della soglia audiometrica. L’intensità del rumore mascheramente viene quindi progressivamente aumentata di scatti di 10 dB. 42 Se l’incremento di 3 scatti di 10 dB (30 dB totali) non modifica la soglia dell’orecchio in esame, questa viene ritenuta attendibile. Viceversa, se la soglia dell’orecchio in esame viene spostata dal mascheramento, si prosegue nella ricerca fino a quando si ottiene un valore che non si modifica per ulteriori 3 incrementi di intensità di mascheramento. E’ bene non superare un livello mascherante superiore ai 70-80 dB sopra la soglia dell’orecchio migliore al fine di evitare il fenomeno del supermascheramento, caratterizzato dal disturbo prodotto dal suono mascherante all’orecchio in esame. Questo procedimento deve essere ripetuto per ciascuna frequenza, segnando sul grafico il valore del “plateau” e, possibilmente, l’entità del mascheramento usato. Accanto a questa metodica ne esistono altre tra la quali la più semplice è quella di inviare all’orecchio da mascherare un suono di intensità pari a: 40 dB + valore di soglia dell’orecchio da mascherare (eventualmente + 10 dB per correggere l’effetto occlusione) Rilevazione della soglia per via ossea La procedura di determinazione della soglia per via ossea segue le stesse istruzioni e modalità di presentazione della via aerea. In particolare il vibratore osseo deve essere tenuto aderente all’osso mastoideo senza toccare il padiglione auricolare. Il test viene quindi eseguito seguendo le stesse modalità viste per la via aerea. Le frequenze esaminate per via ossea sono: 250,500,1000,2000,3000,4000 Hz. Gli audiometri più moderni consentono anche la determinazione della soglia a 6000 Hz. Poiché per la via ossea il valore di attenuazione transcranica è pari a 10 dB e, per questa ragione, è essenziale fare uso del mascheramento in presenza di asimmetria della soglia superiore a 10 dB. La metodica di mascheramento è la stessa descritta per la via aerea e si esegue facendo indossare all’orecchio mascherato una cuffia o un inserto auricolare. La definizione di una procedura del prelievo audiometrico presenta numerosi vantaggi tra i quali: l’esecuzione di un esame clinicamente affidabile ed, allo stesso tempo, la garanzia di ottenere una confrontabilità delle soglie nel tempo. Infatti è comune esperienza rilevare notevoli diversità tra esami audiometrici ripetuti sullo stesso soggetto da diversi esaminatori, eventualmente in differenti sedute e solo la rigorosa osservanza delle tecniche di esecuzione dell’esame audiometrico può consentire una riduzione della variabilità intrinseca della soglia audiometrica. Accanto alla variabilità conseguente alla metodica di esecuzione dell’esame ed alla componente umana, sia dell’esaminato che dell’esaminatore, non deve essere sottovalutata la variabilità conseguente alla parte strumentale. Ne consegue che l’apparecchiatura deve essere tarata, mantenuta efficiente e l’esame deve essere condotto in ambiente adeguatamente insonorizzato. 43 LA VALUTAZIONE DEL DEFICIT UDITIVO CON METODICHE OGGETTIVE L’energia meccanica vibrante (E.M.V.), prodotta dallo spostamento periodico dei mezzi elastici ambientali, raggiunge, se dotata di frequenza acustica, l’apparato uditivo dove un insieme di fenomeni bio-meccanici ed elettrofisiologici consentono la trasformazione della E.M.V. in fenomeno sensoriale, cioè in suono. Il suono, espressione biologica dell’ecosistema ambientale, nel contesto delle applicazioni tecniche quotidiane trova spesso una forzatura delle caratteristiche originarie ed assume l’aspetto degenerativo del “rumore”, fenomeno che può esercitare azione lesiva sia nei confronti dell’apparato uditivo che di diverse strutture extrauditive. La evoluzione tecnologica e la crescente industrializzazione hanno contribuito ad incrementare sempre più il livello di inquinamento acustico ambientale, la cui potenzialità lesiva è strettamente correlata a diversi fattori, quali la difforme molteplicità delle sorgenti rumorose, la miscellanea frequenziale e la discontinuità degli stimoli sonori. I principali elementi che regolano la patogenicità da rumore sono rappresentati da: intensità del suono distribuzione spettrale del suono durata di esposizione al rumore durante la giornata esposizione cumulativa in giorni, settimane od anni. Particolare importanza assume in tale contesto assume anche la tipologia ambientale del rumore che può presentarsi come continuo, fluttuante, intermittente ed impulsivo. Il rumore si definisce continuo quando per tutta la durata dell’esposizione i suoi livelli di intensità non variano oltre i 5 dB; se tale valore escursivo viene superato si configurano, invece, i caratteri della fluttuazione. Il rumore intermittente è determinato dall’alternanza di livelli molto bassi di energia sonora e di valori molto elevati di intensità. Il rumore impulsivo è costituito da uno o più eventi acustici brevi o transitori che durano meno di 5 secondi. Il singolo impulso è in genere percepito come un evento sonoro particolarmente intenso che si verifica in condizioni di quiete o con un sottofondo di rumore continuo. In ambito urbano, eccetto casi specifici come stazioni aeroportuali od industrie in prossimità di centri abitati, il rumore è in gran parte prodotto dal traffico veicolare le cui caratteristiche influenzano variamente l’entità dell’inquinamento acustico in relazione alla entità del flusso veicolare, alla composizione del traffico, al tipo, trama e stato di usura dei pneumatici, alla presenza di semafori, al tipo e stato della pavimentazione stradale, al grado di pendenza longitudinale della superficie stradale. Stimolazioni sonore intense e prolungate possono essere causa di effetti specifici (uditivi) ed aspecifici (extrauditivi), fattori che variamente possono incidere sullo stato di salute e quindi sulla qualità della vita. Gli effetti uditivi del rumore sono essenzialmente riconducibili a cause meccaniche e metaboliche che determinano un sovvertimento morfo-strutturale e funzionale delle cellule sensoriali uditive - cellule ciliate acustiche. In tale contesto è possibile rilevare un maggiore interessamento delle cellule ciliate esterne (OHC) rispetto alle interne (IHC), fenomeno probabilmente riconducibile ad una maggiore distanza delle OHC dal fulcro della membrana basilare che implicherebbe uno spostamento più ampio e più rapido delle OHC rispetto alle IHC. L’interessamento delle cellule ciliate interne si osserva in genere dopo esposizioni a rumore particolarmente intenso e prolungato e la massiva scomparsa delle cellule ciliate provoca collassamento dell’organo del Corti ed atteggiamento ipertrofico delle cellule di sostegno per attività compensatoria. 44 Se la perdita delle cellule ciliate è sporadica, le teste falangee delle cellule di Deiters cicatrizzano gli spazi lasciati vuoti dalle cellule ciliate mediante attività ipertrofica, ma se il danno è esteso, la riparazione è effettuata da cellule di forma cuboidale simili a quelle di Claudius. Le cause meccaniche di danno delle cellule ciliate sono fondate su diverse ipotesi patogenetiche legate al movimento violento del liquido cocleare, mentre gli eventi metabolici sembrano riconducibili a riduzione della tensione di ossigeno endolinfatica, dei livelli di succinico-deidrogenasi e di glicogeno probabilmente per iperattività metabolica degli elementi sensoriali uditivi. Un ulteriore ruolo patogenetico sembra essere esercitato anche dalla presenza di uno squilibrio ionico interno ed esterno e di alterazioni a carico della stria vascolare e quindi del flusso sanguigno dell’orecchio interno. L’insieme delle alterazioni cocleari soprariferite esprimono la loro patogenicità nel danno uditivo da rumore la cui fenomenologia audiologica è caratterizzata dalla presenza di: - innalzamento della soglia uditiva - acufeni - riduzione della intelligibilità verbale. La valutazione obiettiva dell’ impairment funzionale uditivo richiede nelle tecnopatie professionali una analisi dettagliata dei dati derivanti dalle diverse metodiche strumentali effettuabili. La integrazione combinata dei diversi risultati è infatti indispensabile al fine di individuare il reale nesso di causalità della ipoacusia ed evitare eventuali controversie successive di ordine medico-legale ed assicurativo. E’ importante, però, sottolineare come la corretta analisi valutativa presupponga il pieno rispetto di alcune norme procedurali generali, quali quelle di seguito elencate: a) la valutazione audiologica deve essere sempre effettuata prima della assunzione lavorativa o prima di un trasferimento interno in una sede al alto rischio da rumore b) il monitoraggio audiologico deve rispettare cadenze temporali ben definite e comunque è più che mai opportuno, in condizioni di esposizione al rumore superiori a 90dB (A), che la valutazione audiometrica venisse effettuata ogni 6 mesi per i primi 2-3 anni di attività allo scopo di individuare la suscettibilità personale al rischio da rumore c) la cessazione del rapporto di lavoro dovrebbe implicare un controllo audiologico al fine di valutare la eventuale insorgenza intralavorativa di una tecnopatia professionale uditiva e di quantizzarne la entità d) la esecuzione degli esami otofunzionali deve essere subordinata ad una continua e periodica taratura degli strumenti e) la valutazione strumentale deve essere sempre effettuata in ambiente silente ed in accordo con le più recenti norme ANSI ed ISO f) la scheda tecnica del lavoratore deve essere corredata oltre che dai referti strumentali anche da notizie concernenti: - il tipo di strumento utilizzato - data dell’ultima taratura - data ed ora dell’esame - giudizio sulla ripetibilità dell’esame - osservazioni conclusive. L’ampia batteria diagnostica contempla nella patologia da rumore sia prove audiometriche soggettive che oggettive, le ultime, oggetto della nostra trattazione, così definite in quanto non prevedono la partecipazione attiva del paziente. Lo studio audiologico con metodiche obiettive, sulla base delle considerazioni sopra riportate, costituisce un elemento indispensabile, e non un reperto occasionale, della 45 diagnostica strumentale delle tecnopatie uditive professionali, consentendo la corroborazione e la conclamazione clinica della valutazione di base, condotta mediante tecniche soggettive. Le tecniche audiometriche obiettive adottabili nella analisi otofunzionale delle tecnopatie da rumore sono: - impedenzometria - registrazione dei potenziali evocati uditivi - otoemissioni acustiche L’impedenzometria è una tecnica audiometrica obiettiva che consente di valutare sia le caratteristiche dinamiche del sistema timpano-ossiculare, mediante timpanometria, sia l’attività funzionale dell’orecchio interno, mediante reflessometria stapediale. La timpanometria è una metodica che permette di misurare gli effetti espletati sul complesso timpano-ossiculare dalle variazioni pressorie indotte nel condotto uditivo esterno, trasformato in cavità chiusa, consentendo di valutare sia la motilità timpanoossiculare che la funzionalità della tuba uditiva. Le variazioni della quantità di energia riflessa dal timpano in risposta alle modificazioni pressorie vengono appositamente riportate su un sistema di assi cartesiani dove lungo l’asse delle ascisse si misurano i valori pressori e lungo quelle delle ordinate il grado di cedevolezza – “compliance” – timpano-ossiculare. Si viene così a configurare un tracciato, timpanogramma, che in base all’andamento può essere suddiviso, secondo la classificazione di Jerger, in tre tipi diversi: tipo A: il tracciato timpanometrico assume una configurazione a “tetto di pagoda” il cui picco, corrispondente alla massima cedevolezza del sistema, viene raggiunto per valori di pressione nel condotto uditivo esterno pari a 0 mm H2O - tipo B: il timpanogramma assume un andamento “piatto” in quanto non manifesta alcun picco lungo tutta l’escursione pressoria a causa della presenza di un’ elevata impedenza dell’orecchio medio - tipo C: il picco timpanometrico si rileva per valori negativi di pressione, espressione di depressione endotimpanica, quale si registra nei casi di disfunzione tubarica. Questa classificazione, utilizzando un tono sonda di 660 Hz invece che quello usuale di 220 Hz, viene ulteriormente implentata da altri due tipi, D ed E, il primo con configurazione a W ed il secondo “a gobba di cammello”, indicativi entrambi di lesioni cicatriziali e/o calcaree della membrana timpanica o di discontinuità della catena ossiculare. La reflessologia stapediale si basa sulla valutazione del riflesso stapediale, di contrazione involontaria del muscolo stapedio in seguito a stimoli acustici. La misurazione del riflesso stapediale presuppone l’integrità delle vie motrici, delle vie troncoencefaliche, del nervo facciale, oltre che dell’orecchio medio. Gli stimoli acustici che vengono, in genere, utilizzati nella pratica clinica sono costituiti da toni puri, da 500 a 4.000 Hz, rumori a banda stretta, rumore bianco. Il riflesso stapediale viene registrato sul grafico dell’impedenzometro sotto forma di riduzione della compliance che inizia pochi istanti dopo l’invio dello stimolo e che persiste per tutta la durata della stimolazione. I parametri clinici che vengono valutati nella reflessometria stapediale sono la soglia, la latenza, l’ampiezza e la morfologia. Nei soggetti normoacusici la soglia del riflesso stapediale controlaterale è normalmente di 75-95 dB più alta rispetto alla soglia audiometrica, la latenza e di circa 200 msec per i valori di soglia, mentre l’ampiezza è proporzionale all’intensità dello stimolo. Le caratteristiche morfologiche consentono di rilevare lungo il tracciato un tempo di risalita – rise time -, un tempo di assestamento – settling time – ed un tempo di discesa – decay time. - 46 Nell’ambito della reflessologia stapediale, inoltre, si possono eseguire test specifici che, sulla base delle relative risposte, consentono di effettuare una vera e propria topodiagnosi, di individuare, cioè, la sede della lesione: - test di Metz: prova indicativa della presenza di recruitment, di un fenomeno di distorsione sonora in rapporto all’intensità, riconducibile a segni di sofferenza cocleare. Il test è ritenuto positivo allorquando si evidenzia una differenza tra soglia reflessometrica stapediale e soglia audiometrica tonale, a 500, 1000, 2000, 4000 Hz, inferiore a 50 dB - test di Anderson (Reflex Decay Test): consente di individuare la presenza di adattamento patologico, di distorsione sonora in rapporto al tempo, proprio delle patologie retrococleari. L’esame viene condotto per le frequenze medio-gravi, 500 e 1000 Hz, e viene ritenuto positivo quando si assiste al decadimento del riflesso stapediale di almeno il 50% dell’ampiezza iniziale. E’ da sottolineare, inoltre, che nelle cocleopatie, come la ipoacusia da rumore, l’ampiezza del riflesso è, in genere, superiore alla norma. Nella patologia uditiva da rumore, lo studio impedenzometrico rileva le caratteristiche presenti in genere in tutti gli stati di sofferenza cocleare, in cui il timpanogramma è normale, di tipo A, i riflessi stapediali sono in genere normalmente presenti, anche se innalzati, mentre il test di Metz è positivo per la presenza del fenomeno distorsivo del recruitment. La valutazione obiettiva della tecnopatia da rumore assume carattere fortemente indicativo e probativo mediante la registrazione dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico (ABR), della variazione, cioè, dei potenziali elettrici di riposo in potenziali di attività nervosa ogni volta che l’orecchio umano viene raggiunto da stimoli acustici. L’esame ABR consente in definitiva di valutare gli eventi bioelettrici che si realizzano nel nervo acustico e nel tronco encefalico in seguito a stimolazione sonora. Lo stimolo sonoro maggiormente utilizzato nella pratica clinica per l’esecuzione dell’esame ABR è il click caratterizzato da aspecificità frequenziale e dalla capacità di stimolare contemporaneamente tutto il compartimento cocleare. I potenziali evocati uditivi del tronco encefalico sono espressi essenzialmente da 5 onde (I, II, III, IV, V), anche se talora è possibile rilevare altre 2 onde (VI, VII), che riflettono l’attività generatrice di diverse stazioni neurali. Nello specifico l’onda I e II sono generate a livello del nervo acustico, l’onda III dai nuclei cocleari, l’onda IV e V dal complesso olivare superiore e dai nuclei del lemnisco laterale, l’onda VI e VIII dal collicolo inferiore e dal corpo genicolato mediale. I parametri valutativi dei potenziali evocati uditivi sono costituiti dalla latenza, dall’ampiezza e dalla morfologia, dove la latenza indica l’intervallo di tempo, espresso in msec., compreso tra l’invio dello stimolo e la comparsa del potenziale, l’ampiezza, invece, rappresenta il voltaggio del segnale. La analisi clinica si fonda prevalentemente sulla misurazione dei potenziali I, III, V, definiti come componenti “maggiori”, dei quali si valuta non solo la latenza relativa, ma anche quella degli intervalli interpicco tra l’onda I e la V, indicativo del tempo di conduzione troncoencefalico, tra l’onda I e la III, indicativo del tempo di conduzione bulbo-pontino, tra l’onda III e la V, indicativo del tempo di conduzione ponto-mesencefalico. La determinazione della soglia clinica è invece basata sulla definizione dell’onda V, la quale tra tutte le onde è quella più stabile e che meno risente della riduzione di intensità dello stimolo sonoro. L’impiego di click e la risposta impulsiva della coclea implica che la massima sensibilità della risposta ABR sia localizzata nello spettro di frequenze compreso tra 2.000 e 4.000 Hz. 47 Tale fenomeno determina una discrepanza tra soglia audiometrica tonale e soglia elettrofisiologica soprattutto per le frequenze distali al campo frequenziale 2.000-4.000 Hz, motivo per cui l’esame ABR non è in grado di definire in maniera puntuale e calibrata li valori di soglia delle frequenze di interesse medico-legale – 500, 1000 e 2000 Hz. L’esame ABR si dimostra particolarmente utile ai fini topodiagnostici, in quanto consente di valutare in maniera alquanto obiettiva le ipoacusie neurosensoriali cocleari tipicamente caratterizzate da un innalzamento della soglia dell’onda V, direttamente proporzionale all’entità della ipoacusia, con valori di latenza e morfologia normali. I limiti di valutazione frequenziale dei potenziali evocati uditivi a breve latenza (ABR) possono essere in parte superati mediante l’impiego combinato dei potenziali evocati uditivi lenti (SVR) e soprattutto di quelli a media latenza (MLR). Una strategia diagnostica in tal senso potrebbe essere costituita dalla effettuazione in rapida successione dell’esame ABR e dell’MLR, in maniera da ottenere informazioni rispettivamente circa il campo funzionale delle frequenze acute e di quelle medio-gravi. Le otoemissioni acustiche sono suoni a bassa intensità generati all’interno della coclea. La maggior parte degli Autori ipotizza che i movimenti delle cellule ciliate esterne siano espressione della energia meccanica vibratoria con senso di propagazione opposto a quella delle normali onde sonore. Le otoemissioni acustiche vengono suddivise in: Otoemissioni acustiche spontanee Otoemissioni acustiche evocate Le otoemissioni acustiche spontanee (OAS) sono segnali acustici, prodotti dalla coclea in assenza di stimoli esterni, a banda molto stretta, simili a segnali periodici sinusoidali, cioè a toni puri. Le OAS si riscontrano nel 60% dei pazienti normoudenti, mentre non sono registrabili per ipoacusie superiori a 60 dB SPL. Il campo frequenziale in cui sono disposte le otoemissioni acustiche spontanee è compreso per il 96% tra 1 e 2KHz e per il 4% tra i 2 e i 4KHz, motivo per cui la loro sede di origine sembra localizzabile nella porzione intermedio-apicale della coclea. Il range di intensità delle OAS è compreso nell’intervallo tra – 20 dB SPL e + 20 dB SPL, anche se talora possono raggiungere i 40 dB SPL; il livello di intensità, al contrario della frequenza, non è stabile nel tempo in quanto può presentare variazioni interaurali e basso indice di ripetibilità. Queste variazioni dipendono dalle condizioni d'esame, quali l'adattamento del probe nel CUE, la temperatura ambientale, il grado di umidità, fattori che agiscono sul sistema di registrazione. La difficoltà nella registrazione è dovuta al fatto che le OAS sono dotate di livelli di pressione molto bassi, in genere al di sotto della soglia media di udibilità, oltre che dall’inferiorità del segnale rispetto al rumore ambientale. I motivi soprariferiti inducono l’utilizzo di analizzatori a banda stretta, capaci di ridurre il rumore di fondo (FFT). Le Otoemissioni Acustiche Evocate (OAE) sono espressione dell'energia acustica registrabile nel CUE dopo stimolazione sonora. Le OAE vengono rilevate mediante una sonda con uno o più ricevitori ed un microfono ad elevata sensibilità. L’esatto adeguamento della sonda nel CUE riveste particolare importanza per una corretta registrazione delle OAE, evitando la produzione di numerosi artefatti. Le OAE si distinguono in: 48 Otoemissioni Acustiche Evocate Simultanee (OAES) Otoemissioni Acustiche Evocate Ritardate (OAER) Otoemissioni Acustiche Prodotte da Fenomeni di Distorsione (DPOAES) Le otoemissioni acustiche evocate simultanee (OAES) si ottengono con segnali sonori continui, ma presentano limitate indicazioni cliniche per la loro ridotta ripetibilità. Le otoemissioni acustiche evocate ritardate (OAER) si possono ottenere mediante clicks (TEOAES) o tone bursts per via aerea e per via ossea . Le OAES possono essere evocate con stimoli di intensità uguale od inferiore a quella della soglia soggettiva dello stimolo utilizzato; talora si rilevano inoltre delle differenze tra le risposte evocate dai clicks e quelle dai tone bursts . Nella gamma delle risposte evocate si possono distinguere due gruppi di picchi: il primo compreso tra 0.5 Hz e 2.5 KHz, il secondo determinato invece da picchi a banda stretta sovrapposti gli uni agli altri. Le OAER sono caratterizzate da latenza decrescente dello stimolo rispetto alla frequenza, fenomeno che ipotizza che l'origine di tale tipo di otoemissioni segua l’organizzazione tonotopica della coclea. Le caratteristiche principali delle OAER sono la ripetibilità e la stabilità morfologica, anche se si possono talora riscontrare differenze intra- ed interaurali. Nella pratica clinica in genere vengono utilizzati stimoli di frequenza compresa tra 0.5 KHz e 4 KHz; il rumore di fondo, infatti, non consente la registrazione per stimoli inferiori a 0.5 KHz, mentre per stimoli superiori a 4 KHz non si determina la loro trasmissione all'orecchio esterno per fattori legati all'impedenza dell'orecchio medio. Le OAER, secondo alcuni Autori, non sono evocate utilizzando clicks in presenza di ipoacusia neurosensoriale superiore a 60 dB HL, mentre secondo altri sono evocabili con tone bursts per livelli di soglia inferiore a 50 dB HL. Fino a 70 anni di età le OAER sono presenti quasi nel 100% dei casi delle orecchie esaminate, mentre oltre tale età, la percentuale si riduce al 35% . La latenza delle OAE segue un andamento proporzionale all'intensità dello stimolo e diminuisce con l'aumentare della frequenza dello stimolo. L'ampiezza, i cui valori si riducono dopo somministrazione di furosemide, di acido acetilsalicilico ed in condizioni ipossiche, presenta alcune analogie con il fenomeno della fatica uditiva. Il luogo di produzione delle OAER, secondo quando osservato da diversi Autori, sarebbe localizzabile in piccole aree di cellule ciliate esterne (CAE) danneggiate, la cui attività sembra interagire con il sistema di feed-back cocleare. Le Otoemissioni Acustiche Evocate Prodotte da Fenomeni di Distorsione (PD) sono collegate alla capacità dell'orecchio umano di produrre elementi ad elevata non linearità, soprattutto a livello cocleare, fenomeno che determinerebbe la comparsa di fenomeni di distorsione armonica e di intermodulazione in presenza di due toni esterni differenti in frequenza, detti toni primari. I PD maggiormente studiati sono i cosiddetti "toni di differenza cubica" (TDC), derivanti dalla combinazione 2f1-f2, dove per f1 si intende un tono esterno con un valore inferiore al secondo tono esterno f2. Altri tipi di PD sono quelli di differenza o sommazione semplice (f2-f1, f2+f1) e tra i livelli primari (L1, L2). La registrazione dei PD viene eseguita mediante due sistemi elettroacustici separati, ognuno dei quali è composto da un generatore di segnali sinusoidali e da un ricevitore. L'intensità minima che i toni primari devono avere per evocare PD è di circa 40 dB SPL tra f1 ed f2, compresi tra 1 e 3 KHz, ma in alcuni casi può essere anche inferiore, a seconda del tipo di sistema impiegato (Cianfrone G.C.; 1995). 49 I principali parametri delle otoemissioni evocate da transienti sono: la presenza/assenza della risposta, la riproducibilità, la soglia, l’ampiezza e lo spettro della risposta in intensità e frequenza Nella tecnopatia da rumore le otoemissioni evocate da transienti, quando presenti, hanno una soglia di comparsa aumentata e la risposta va rapidamente incontro a saturazione ed esaurimento. Tali reperti sembrano essere riconducibili alle alterazioni morfofunzionali delle stereociglia delle cellule ciliate esterne sottoposte a trauma acustico. L’impiego dei prodotti di distorsione può risultare particolarmente utile ai fini del monitoraggio della funzione cocleare in quanto dotati di rapidità di esecuzione, non invasività, oggettività e replicabilità della metodica. E’ opportuno, però, sottolineare come sia le otoemissioni acustiche da transienti che i prodotti di distorsione non sono evocabili nelle ipoacusie superiori a 40 –50 dBHL, fenomeno che ne limita l’impiego nelle ipoacusie di media entità e nel monitoraggio di ipoacusie ingravescenti. Alla luce di quanto sopra riferito è ampiamente comprensibile quanto ampio sia il panorama diagnostico della tecnopatia da rumore, fattore che sicuramente agevola la obbiettivazione clinica di una patologia spesso simulata od accentuata per problematiche di ordine assicurativo e/o medico-legale. La mancanza di codificazioni metodologiche standardizzate non giustifica, però, un uso “randomizzato” delle diverse metodiche, in quanto qualsiasi atto diagnostico deve essere subordinato ad un grading procedurale che soddisfi criteri non solo clinici, ma anche economici, in ordine alla ottimizzazione del rapporto costi/benefici. In tale ottica sembra quindi più che mai opportuno limitare le metodiche diagnostiche oggettive, ad eccezione dello studio impedenzometrico, proprio della routinarietà audiologica, ai casi in cui è indispensabile definire il rapporto causa-effetto tra iperstimolazione sonora e deficit uditivo e quantizzarne il relativo danno, a fronte di una scarsa od impropria collaborazione del paziente. 50 CRITERI VALUTATIVI SULL’OBBLIGO DI REDIGERE IL REFERTO L’aver determinato per colpa l’indebolimento permanente del senso dell’udito comporta una lesione grave (articolo 583 del c.p.), che diviene perseguibile d’ufficio nel caso in cui si configuri come una malattia professionale (articolo 590 del c.p.). La perseguibilità d’ufficio obbliga l’esercente di una professione sanitaria a redigere il referto all’Autorità Giudiziaria (articolo 365 del c.p). Inoltre, poiché l’aver determinare un aggravamento di un preesistente stato patologico equivale ad averlo causato, vi è anche l’obbligo di redigere il referto nel caso in cui il medico identifichi l’evoluzione di una preesistente ipoacusia (non necessariamente professionale) ma per la quale sia ipotizzabile un’origine professionale. Poiché nell’articolo 365 del c.p. viene ribadito il principio di presunzione del reato (“…casi che possono presentare…”) il referto deve essere redatto anche nel caso in cui vi sia il sospetto che un certo deficit uditivo possa essere di origine professionale. Il sospetto ovviamente deve essere correlato al grado di conoscenza specifica del medico. Se è infatti ipotizzabile che un medico non specialista in branche attinenti questa problematica sia indotto a redigere il referto anche in assenza di approfondimenti diagnostici, da parte di un medico che abbia esperienza in patologia da rumore (otorinolaringoiatra, audiologo, medico competente e/o del lavoro, medico legale) ci si attende che il referto venga redatto dopo aver valutato con attenzione il quadro clinico, eventualmente avvalendosi di approfondimenti diagnostici. INSORGENZA DELL’INDEBOLIMENTO DEL SENSO DELL’UDITO DI ORIGINE PROFESSIONALE Innanzi tutto deve essere ricordato che il referto medico è un atto volto a informare l’Autorità Giudiziaria della possibile esistenza di un reato penalmente rilevante e perseguibile d’ufficio. Ne deriva che le metodiche da utilizzare non devono porsi in un’ottica di prevenzione della malattia, fine certamente encomiabile ma da perseguire con altri strumenti all’interno dei controlli periodici svolti dal Medico Competente, bensì devono essere rispettose dei diritti dell’eventuale imputato, secondo la logica “in dubio pro reo”, quindi portare a segnalazioni situazioni che concretamente rivestano il dubbio di esser penalmente rilevanti Fino ad oggi sono state numerose le metodiche; alcune mediate dall’ambito civilistico-assicurativo (non accettabili), altre proposte espressamente nell’ottica dell’obbligo di redigere il referto (le più note e diffuse quelle proposte da Rossi 1979, Merluzzi 1979, Merluzzi-Pira-Bosio 2002). Inoltre l’applicazione di queste metodiche è spesso diversificata nei vari ambiti locali. A riguardo deve essere ricordato che, a differenza di quanto avviene in ambito civilistico ove è il contratto che vincola la scelta di una certa metodica, in ambito penalistico il giudizio viene lasciato alla coscienza del medico ed è difficilmente sottoponibile a norme valide su scala nazionale. Infatti il redigere il referto è un atto cui tutti i medici, anche non specialisti, sono tenuti a far fronte in caso di sospetto per cui a nessuno può essere vietato di redigere il referto anche in presenza di un remoto sospetto. Le metodiche proposte sono solitamente utilizzate da personale medico specialistico (ORL, Audiologi, Medici del Lavoro e Competenti, Medici Legali) che giunge alla redazione del referto dopo aver 51 approfondito il quadro clinico. Esse hanno principalmente lo scopo di fornire un limite oltre il quale è comunque necessario redigere il referto e, in seconda battuta, evitare un eccesso di segnalazioni inutili. Appare comunque utile tentare di unificare il più possibile i criteri diagnostici, anche a livello nazionale, al fine di evitare eccessive diversità di giudizio nei vari ambiti regionali, fattore che penalizzerebbe in modo ingiusto le sedi ove vengono seguiti criteri più restrittivi. E’ necessario ancora premettere che la presenza di un indebolimento permanente del senso dell’udito di origine professionale può essere accertata con buona approssimazione, in ogni caso mai con assoluta certezza, solamente se si dimostra l’esistenza un deficit uditivo compatibile con un trauma acustico, escludendo altre cause, e se si verifica il nesso di causalità, cioè l’esposizione al rumore per motivi professionali. Ne deriva che un corretto approccio al problema deve prevedere l’accertamento: 1. dell'origine professionale del deficit uditivo; 2. della presenza di un danno di entità tale da causare l’indebolimento permanente del senso dell'udito. Tale distinzione deve corrispondere a due diversi momenti valutativi; pertanto nei paragrafi successivi cercheremo di identificare una strategia che consenta di dare una risposta ai questi due quesiti. 1- Determinazione dell’origine professionale di un deficit uditivo La diagnosi di trauma acustico cronico di origine professionale, accanto alla dimostrazione della permanenza in ambiente lavorativo caratterizzato da rumorosità potenzialmente otolesiva (nesso di causalità), si fonda sulla valutazione clinica e sull’esito dell’esame audiometrico. Nesso di causalità. Per quanto attiene l’esposizione al rumore, al fine di dimostrare il nesso di causalità, ci si deve riferire ai valori di esposizione al rumore del lavoratore, espresso in Leq. Questo dato è oggi facilmente accessibile per via dell’obbligo di documentare l’esposizione al rumore previsto dal DL 277 del 1991. In linea di principio più è elevata l’esposizione al rumore (al di sopra degli 85 dBA) maggiore è il rischio di essere affetti da un deficit uditivo e maggiore è l’entità del deficit uditivo derivante. Tuttavia è difficile stabilire un limite minimo. In rapporto ai dati forniti dalla norma ISO 1999-1990 un’esposizione ad un Leq di 75 dBA non causa alcuna modificazione, neppure transitoria, della funzionalità uditiva. Esposizioni comprese tra 75 e 80 dBA, sempre in accordo con la suddetta norma, sono causa di modestissimi deficit, limitati alle alte frequenze e spesso inferiori al potere di risoluzione dell’audiometro (5 dB). D’altra parte soggetti particolarmente suscettibili possono maturare un danno, anche significativo, in seguito ad esposizioni lievemente inferiori agli 85 dBA. Esclusione di altre cause. Eventuali fattori causali extraprofessionali, e il loro significato nella genesi dell’ipoacusia, debbono essere valutati caso per caso in relazione a: sede del danno e tipologia del deficit uditivo (trasmisivo, neurosensoriale, misto); epoca di insorgenza della patologia extraprofessionale, in rapporto all’epoca di inizio di esposizione al rumore professionale. 52 In caso di patologia acuta dell’orecchio medio è utile rimandare ogni decisione a guarigione avvenuta. Al proposito si ricorda che la concausalità non esclude la responsabilità e pertanto è sufficiente dimostrare che almeno una parte del deficit uditivo sia di origine professionale affinché esista l’obbligo di redigere il referto Tipologia della curva audiometrica. E’ quella che meglio consente di porre diagnosi di trauma acustico cronico in quanto l’audiogramma deve dimostrare la presenza di un deficit puramente recettivo, simmetrico e limitato, o più accentuato, alle alte frequenze. La curva audiometrica riferita come tipica viene descritta a cucchiaio in quanto caratterizzata da valori di soglia migliori a 8 kHz rispetto alle frequenze immediatamente precedenti, tuttavia non è possibile escludere che curve caratterizzate da una progressiva discesa sulle frequenze acute siano espressione di una patologia extraprofessionale (soprattutto, ma non esclusivamente) nei soggetti meno giovani). Per quanto attiene la simmetricità della soglia audiometrica un deficit uditivo monolaterale, con normoacusia controlaterale, non può essere considerato come professionale, anche se l’orecchio leso presenta un tracciato con caratteristiche compatibili con un trauma acustico cronico. L’unica eccezione è l’accertata esposizione ad una sorgente di rumore di bassa potenza posta molto più vicina ad un orecchio. In caso di asimmetria della soglia audiometrica, intesa come differenza di soglia tra le due orecchie superiore a 10 dB, con deficit uditivo tipico per un trauma acustico cronico all’orecchio migliore, si potrà concludere per una sicura origine professionale del solo deficit presente all’orecchio migliore. Confronto con i valori previsti per l’età. La verifica delle suddette condizioni non è ancora sufficiente in quanto, per poter affermare che il rumore sia intervenuto nel determinare un danno alla funzione uditiva è necessario definire se la soglia audiometrica sia superiore a quella attesa in soggetti di pari età, non professionalmente esposti a rumore; in caso contrario il deficit uditivo può essere considerato compatibile con l’età. Al fine di poter definire con sufficiente sicurezza se il deficit uditivo sia superiore a quello atteso nella maggior parte della popolazione (sempre nell’ottica del principio “in dubio pro reo”) è necessario far riferimento ai valori medi più due deviazioni standard (tab. I). Il riferimento è eseguito sulla base dei valori di presbiacusia proposti contenuti nella norma ISO 7029-2002. Inoltre, nella valutazione dell'incidenza del fattore età, il confronto con i valori di riferimento dovrebbe essere eseguito sulle frequenze più interessate dal trauma acustico cronico (3-4-6 KHz); può essere ritenuto significativo un deficit uditivo superiore a quello atteso anche per una sola di queste frequenze, purché bilaterale. 53 Età 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 MASCHI 3000 Hz 4000 Hz 30 30 30 30 35 30 35 30 35 30 40 30 40 35 40 35 45 35 45 35 50 40 50 40 50 40 55 45 55 45 60 45 60 50 65 50 65 50 65 55 70 55 70 55 75 6000 Hz 30 30 30 30 35 35 35 40 40 40 45 45 45 50 50 55 55 60 60 65 65 70 70 75 75 80 80 85 FEMMINE 3000 Hz 4000 Hz 30 30 30 30 30 30 30 35 30 35 30 35 30 35 35 40 35 40 35 40 35 40 35 45 40 45 40 45 40 45 6000 Hz 30 30 30 30 30 35 35 35 35 40 40 45 45 45 45 50 50 50 50 55 55 60 60 Tab. I. Valori di soglia medi più due deviazioni standard in soggetti non esposti al rumore per motivi professionali ed esenti da patologie otologiche a 3, 4 e 6 KHz secondo la norma ISO 1999-1990. Tali valori sono stati definiti ammettendo che la soglia di riferimento di soggetti di 18 anni alle suddette frequenze sia pari a 0 dB. Vengono riportati solo i valori di soglia riferiti all’età nelle situazioni in cui la soglia attesa sia superiore a 25 dB. Per comodità di confronto con la soglia audiometrica i valori sono arrotondati al multiplo di 5 più vicino. 2 - Determinazione dell'indebolimento permanente della funzione uditiva L’accertamento dell’indebolimento permanente del senso dell'udito deve esclusivamente consentire di definire se un certo deficit uditivo sia o meno "apprezzabile". La risposta deve essere, pertanto, un "sì" o un "no" mentre la gradazione del danno non ha, in questo ambito, rilevanza. Si ritiene che l’apprezzabiltà del deficit uditivo debba essere riferita non ad un deficit audiometrico, espressione di un danno cocleare, bensì alla presenza di 54 una sintomatologia soggettiva correlata ad un certo deficit uditivo (apprezzabilità da parte del soggetto). Attualmente l’indebolimento del senso dell’udito si intende apprezzabile quando la soglia media a 0.5-1-2-3-4 kHz sia superiore a 25 dB. Questi valori sono stati proposti ammettendo che è possibile essere affetti da un modesto deficit audiometrico senza peraltro manifestare una sintomatologia correlabile ad ipoacusia (grazie ai fenomeni di ridondanza intrinseca ed estrinseca). Studi epidemiologici hanno infatti dimostrato che la massima correlazione con la presenza di disturbi uditivi uditiva si ha valutando la soglia media a 0.5-1-2-3-4 kHz e che il valore di 25 dB medi su tali frequenze rappresenti un limite oltre il quale, sempre nell’ottica della tutela dei diritti dell’eventuale imputato, quasi nessuno dei soggetti sia affetto da una sintomatologia correlata ad ipoacusia. Un'ultima considerazione deve riguardare il concetto di irreversibilità del danno riscontrato, requisito richiesto dal c.p. (indebolimento permanente di un senso). Per quanto attiene l'indebolimento dell'udito è insita nella natura stessa del danno uditivo indotto da rumore la non reversibilità del deficit. Si deve rilevare solamente che l'esame audiometrico sulla base del quale redigere il referto deve essere eseguito in condizione di riposo acustico al fine di escludere la possibilità che il deficit sia, anche solo in parte, secondario a fenomeni transitori di modificazione della soglia uditiva. Seguendo questo approccio si possono configurare quattro diverse situazioni: 1) assenza di trauma acustico di origine professionale - assenza di indebolimento del senso dell’udito; 2) assenza di trauma acustico di origine professionale presenza di indebolimento del senso dell’udito; 3) presenza di trauma acustico di origine professionale assenza di indebolimento del senso dell’udito; 4) presenza di trauma acustico di origine professionale presenza di indebolimento del senso dell’udito. E’ evidente che solo nella condizione 4 vi saranno gli estremi per considerare insorto l’indebolimento permanente del senso dell’udito di origine professionale e vi sarà l’obbligo di inoltrare il referto all’Autorità Giudiziaria. Nella situazione 3 è possibile ipotizzare la presenza di un trauma acustico cronico di origine professionale la cui entità non è ancora tale da causare un indebolimento del senso dell’udito, per cui non vi è ancora obbligo di redigere il referto. Infine nelle condizioni 1 e 2 ci si pone in situazioni di normalità o di apprezzabile deficit uditivo riferibile ad un’origine extraprofessionale. AGGRAVAMENTO DELL’INDEBOLIMENTO PERMANENTE DEL SENSO DELL’UDITO DI ORIGINE PROFESSIONALE Il giudizio di aggravamento di un pregresso indebolimento del senso dell'udito di origine professionale è sempre stato oggetto di discussione a causa delle difficoltà presenti nel giudicare l'attendibilità e l'apprezzabilità dell'evoluzione dell'ipoacusia in relazione sia al particolare andamento 55 temporale del trauma acustico cronico che alla relativa variabilità della soglia audiometrica. La valutazione, in accordo anche con quanto previsto dal DL 277 del 1991, deve basarsi sul confronto della soglia audiometrica tra più esami eseguiti in momenti differenti. Diviene quindi necessario definire un limite di differenza di soglia al di sopra del quale un ulteriore indebolimento del senso dell'udito possa essere considerato sicuramente espressione di un apprezzabile aggravamento di un trauma acustico cronico. La principale difficoltà nella valutazione dell'aggravamento consiste nella variabilità test-retest della soglia audiometrica. A questo proposito in una normativa pubblicata dall'OSHA nel 1983 viene affermato il principio secondo il quale la differenza tra due soglie audiometriche, per essere certamente espressione di un reale aggravamento, deve essere superiore alla variabilità test-retest della soglia audiometrica; tale valore è stato determinato, in 10 dB medi a 2-3-4 KHz. Tuttavia è stato dimostrato che, nell’attività routinaria le differenze tra esami eseguiti anche a breve intervallo temporale possono essere superiori a tale valore. D’altra parte è necessario ricordare che l’evoluzione del trauma acustico cronico, soprattutto dopo i primi 10 anni di esposizione, è significativamente inferiore rispetto ai valori di variabilità della soglia audiometrica, ed addirittura al potere di risoluzione dell’audiometro stesso (solitamente 5 dB). Da ciò deriva la difficoltà valutativa dell'aggravamento del trauma acustico cronico. Nonostante questa apparente contraddizione si sottolinea come, al momento, non esistano metodiche più precise di valutazione della funzionalità uditiva e che l'esame audiometrico è richiesto espressamente nel follow-up di soggetti esposti al rumore (DL 277 del 1991). Una soluzione al problema può essere ottenuta mediante un confronto dei valori di soglia tra più esami audiometrici non disgiunto da una valutazione clinica, che consenta di suffragare o di negare l'attendibilità dell'andamento temporale della soglia così come descritto dalle audiometrie. A questo proposito ci sembra opportuno seguire la stessa metodologia utilizzata nella determinazione di insorgenza dell'indebolimento permanente del senso dell'udito, secondo la quale tale condizione risulta essere verificata solo se è superata una certa soglia audiometrica e se il deficit è riferibile, con ragionevole certezza, alla permanenza in ambiente lavorativo. 1 - Determinazione dell’origine professionale dell’aggravamento di un deficit uditivo Affinché l'evoluzione del deficit uditivo possa essere riferita ad un'etiologia professionale l'aggravamento, in accordo con quanto già definito per l'insorgenza dell'indebolimento del senso dell'udito, deve essere: - di tipo neurosensoriale; - bilaterale, in quanto ogni evoluzione dell'ipoacusia di natura professionale deve interessare entrambe le orecchie; - non riferibile ad altre patologie extraprofessionali o a esposizioni a rumore extraprofessionale, eventualmente intercorse; - superiore alla possibile evoluzione della soglia audiometrica riferibile alla sola presbiacusia. Per quanto attiene quest’ultimo punto, a differenza di quanto eseguito nella valutazione dell’indebolimento, si ritiene che il confronto debba essere 56 eseguito con i valori di evoluzione temporale della soglia audiometrica attesi in soggetti affetti da trauma acustico cronico, in quanto in questa popolazione l’evoluzione del deficit uditivo negli anni è inferiore rispetto all’andamento della presbiacusia nei soggetti normali (tab. II). Età (anni) 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 2 KHz 3 KHz 4 KHz 1 1 2 2 2 3 3 4 4 4 5 5 6 6 6 7 7 8 8 8 9 9 10 10 10 11 11 12 12 12 13 13 14 14 1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 5 5 5 6 6 6 7 7 8 8 8 9 9 9 10 10 10 11 11 12 12 12 13 13 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 4 4 4 5 5 5 6 6 6 7 7 7 7 8 8 8 9 9 9 10 10 10 11 11 Tab. II. Valori medi di evoluzione di soglia audiometrica differenziale rispetto all'età di 30 anni, alle frequenze 2, 3 e 4 KHz, in soggetti affetti da trauma acustico cronico. Poiché tali valori si presentano di modesta entità, per comodità di confronto e di lettura non sono stati arrotondarti al multiplo di 5 più vicino. 57 Nel caso della determinazione dell'aggravamento di un pregresso trauma acustico cronico assume, infine, particolare importanza il determinare se un eventuale aggravamento sia compatibile con la durata dell'esposizione al rumore e con le modificazioni della rumorosità ambientale che si sono eventualmente verificate nel tempo. A questo proposito si sottolinea come: 1. l'evoluzione del trauma acustico sia massima nei primi 10 anni di esposizione a rumore costante; 2. una riduzione della rumorosità corrisponde ad un rallentamento o ad un arresto dell'evoluzione del trauma acustico cronico; 3. un aumento della rumorosità può determinare un'ulteriore evoluzione del trauma acustico cronico anche in caso di pregressa esposizione al rumore di lunga durata. 2 - Determinazione dell’apprezzabilità dell’aggravamento di un deficit uditivo Per quanto attiene la verifica dell'apprezzabilità dell'aggravamento del trauma acustico cronico diviene necessario definire un minimo valore di differenza di soglia tra due esami audiometrici che possa essere considerato come apprezzabile e il range frequenziale su cui eseguire tale valutazione. Quest'ultimo punto appare il meno controverso in quanto vi è unanime consenso nel considerare la variazione di soglia media a 2, 3 e 4 KHz. La valutazione dell'aggravamento limitata a tre frequenze, a differenza della determinazione di insorgenza di tecnopatia da rumore estesa a cinque frequenze è giustificata dal fatto che le tre frequenze considerate sono le più sensibili nello svelare eventuali peggioramenti di origine professionale; inoltre si ritiene che in un soggetto già indebolito nella funzione uditiva sia sufficiente un'ulteriore modificazione di soglia alle frequenze suddette per determinare un apprezzabile peggioramento della funzione uditiva. La minima differenza di soglia media da considerare come apprezzabile deve essere necessariamente superiore a 1.7 dB, variazione che testimonia un aggravamento di 5 dB su una delle tre frequenze considerate. Tale valore può essere giudicato come molto restrittivo ma deve essere ricordato che variazioni di 10 dB medi o più possono essere troppo ampie rispetto all'evoluzione attesa per un trauma acustico cronico. Nel dirimere tale problema viene nuovamente in aiuto la valutazione clinica della situazione in esame per cui, se un certo aggravamento è compatibile con la storia clinica e se le audiometrie morfologicamente non danno adito a dubbi sulla loro corretta esecuzione, è possibile ammettere che un'evoluzione bilaterale del trauma acustico cronico anche inferiore a 10 dB (comunque ragionevolmente non inferiore a 5 dB, valore che esprime un peggioramento di 5 dB sulle 3 frequenze), sia apprezzabile e pertanto costituisca un aggravamento di un preesistente indebolimento dell'organo dell'udito di origine professionale. Al contrario è possibile che evoluzioni anche molto importanti dell'ipoacusia, ma incompatibili con la storia naturale del deficit uditivo da rumore, non possano essere imputati ad una causa professionale. Si ribadisce, in accordo con quanto definito nel capitolo precedente, che l’evoluzione deve essere intesa come bilaterale. Infine, ben più difficile appare il giudizio sull’origine professionale di un’evoluzione di un preesistente deficit uditivo extraprofessionale. A questo proposito non si ritiene possibile definire criteri generali e le situazioni debbono essere valutate caso per caso in quanto esistono patologie uditive che 58 proteggono dai danni da rumore ed altre che, viceversa, ne favoriscono l’evoluzione. In conclusione, al fine di determinare se sussista una condizione di indebolimento del senso dell'udito di origine professionale da cui derivi l’obbligo di redigere il referto all’Autorità Giudiziaria, è necessario verificare se: a) tale deficit sia di origine professionale. b) sia presente un deficit audiometrico tale da determinare un rilevabile indebolimento del senso dell'udito; La condizione di indebolimento del senso dell'udito di origine professionale, e di conseguenza l’obbligo di inoltrare il referto, ricorre solo nel caso in cui entrambe le condizioni siano verificate. Per quanto attiene il punto a), l'origine professionale di un deficit audiometrico è accertata se: 1) il deficit uditivo è puramente neurosensoriale; 2) il deficit uditivo è più accentuato o limitato alle alte frequenze; 3) il deficit uditivo è bilaterale e simmetrico (in presenza di un deficit asimmetrico, ad eccezione di casi particolari, la valutazione deve essere eseguita sull’orecchio migliore); 4) non sussistono altre cause che possano aver determinato tale deficit uditivo (in alcuni casi sarà possibile sospettare una concausalità); 5) la soglia audiometrica è superiore rispetto a quella attesa in soggetti di pari età, non esposti al rumore professionale ed esenti da patologie otologiche (tab I); le frequenze utilizzate come riferimento sono 3-4-6 KHz; si ritiene sufficiente che il valore di soglia audiometrica sia superiore al valore di riferimento anche per una sola delle tre suddette frequenze, ma per entrambe le orecchie, per considerare come professionale un deficit uditivo (ovviamente se sono confermati i precedenti punti); viceversa se la soglia di almeno una delle due orecchie si pone per tutte le tre frequenze su valori inferiori a quelli di riferimento non si riterrà verificata tale condizione in quanto il deficit audiometrico può essere giudicato compatibile, con ragionevole certezza, con l'età del soggetto; 6) è verificato il nesso di causalità con l'esposizione al rumore per motivi professionali. Per quanto riguarda il punto b) è possibile ritenere presente l’indebolimento del senso dell'udito in presenza di una soglia media superiore a 25 dB per le frequenze 0.5, 1, 2, 3 e 4 KHz. La valutazione viene eseguita sull'orecchio migliore e se la soglia media dell'orecchio migliore è inferiore a 25 dB sulle 5 frequenze prima ricordate non si ritiene verificata la condizione di indebolimento del senso dell'udito. Al fine di determinare se sussista una condizione di aggravamento di origine professionale di un preesistente indebolimento del senso dell'udito è necessario verificare se: b) sia presente un’evoluzione di un deficit uditivo di origine professionale; c) se tale evoluzione sia apprezzabile. La condizione di aggravamento di origine professionale di un preesistente indebolimento di origine professionale del senso dell'udito ricorre solo nel caso in cui entrambe le condizioni siano verificate. 59 Per quanto attiene il punto a), l'origine professionale di un ulteriore aggravamento è accertata se il peggioramento della soglia è: 1) di tipo neurosensoriale; 2) bilaterale (ad eccezione di casi particolari); 3) non sussistono altre cause che possano aver determinato da sole l’aggravamento; 4) l'evoluzione della soglia audiometrica a 2, 3 e 4 KHz è superiore rispetto a quella attesa nello stesso intervallo temporale in soggetti di pari età riferita ad una popolazione di soggetti affetti da trauma acustico cronico (tab II); si riterrà di origine professionale un peggioramento superiore a quello atteso per la sola età anche se si è manifestato su una sola frequenza ma su entrambe le orecchie; 5) è verificato il nesso di causalità con l'esposizione al rumore per motivi professionali; 6) l'evoluzione del deficit uditivo determinato attraverso la soglia audiometrica presenta una coerenza clinica con i dati concernenti la durata dell'esposizione al rumore e le modificazioni della rumorosità ambientale che si sono verificate nel tempo. Per quanto riguarda il punto b) la valutazione viene eseguita confrontando la soglia audiometrica media a 2-3-4 KHz tra i diversi esami audiometrici eseguiti dal soggetto. Poiché è impossibile definire limiti che consentano di identificare valori certamente riferibili ad un’evoluzione del trauma acustico cronico piuttosto che alla variabilità dell’esame audiometrico ogni variazione peggiorativa della soglia audiometrica deve essere considerata in rapporto agli altri parametri clinici al fine di definirne l’attendibilità; in ogni caso si ritiene che variazioni inferiori a 5 dB medi, salvo casi ben documentati, non siano apprezzabili e di conseguenza, non significativi penalmente rilevanti. 60 CRITERI VALUTATIVI IN AMBITO INAIL INTRODUZIONE La valutazione dell’entità della perdita uditiva nel personale addetto a lavorazioni rumorose impegna da tempo i tecnici dell’INAIL che, nell’ambito previdenziale, devono occuparsi dell’accertamento e del risarcimento delle lesioni conseguenti al soggiorno in tali ambienti Per quanto riguarda la valutazione della perdita uditiva (ipoacusia da rumore), esistono vari sistemi di calcolo che hanno tutti come base di riferimento la percezione della voce che in fondo esprime la menomazione più o meno evidente nei rapporti umani. I primi esami della capacità uditiva nacquero così, con l’uso della voce e con parametri vari (distanza fra esaminatore ed esaminato) ma l’esame era fondato sullo evidente empirismo della metodica. Un miglioramento fu apportato con l’uso dei diapason (paragonando la durata della percezione del diapason in vibrazione sul soggetto in esame rispetto alla durata della percezione dell’esaminatore) soprattutto per la possibilità di effettuare un esame, sia pure empirico ma per frequenze ben individuate (128-256-512-1024-2048 Hz ecc.); questo tipo di esame è stato praticato per diversi anni fino ad essere sostituito dall’audiometria vocale (voce umana registrata ad amplificazione regolabile) e tonale (emissione di toni puri ad amplificazione regolabile). L’audiometria vocale presenta il vantaggio di poter misurare la perdita uditiva in rapporto con la voce umana, parametro questo che esprime il danno uditivo in condizioni sociali. A proposito di tale metodica c’è da rilevare che esiste nell’uso corrente il riferimento con la voce maschile ma non con la femminile, cosa che porta a non valutare lo spostamento verso l’alto di mezza ottava nelle frequenze elevate tipico delle donne. Va però tenuto ben presente che nel nostro paese è prassi costante limitare l’accertamento audiologico alla sola audiometria tonale nelle consulenze medico legali e le norme di legge per la valutazione delle idoneità e dei danni uditivi non fanno riferimento alla capacità uditiva rilevabile con l’audiometria vocale. IL CALCOLO DEL DANNO UDITIVO IN AMBITO INAIL L’inclusione dell’ipoacusia da rumore nelle malattie professionali indennizzabili (Legge n°1967 del 15.11.1952) portò al successivo fiorire di una moltitudine di tabelle di valutazione del danno uditivo inteso come diminuzione della capacità lavorativa generica. Tali tabelle differivano tra loro per motivi di carattere dottrinario quali la scelta delle frequenze acustiche da considerare, il valore ponderale attribuito a ciascuna frequenza, il diverso valore di soglia uditiva scelto come corrispondente al danno iniziale, il rapporto con le linee di isofonia. Le tabelle più usate in ambito INAIL furono, in ordine cronologico, la tabella AMA del 1947 (American Medical Association), Bocca-Pellegrini del 1950, ArslanRubaltelli del 1958, Ghirlanda del 1958, Giaccai-Gardenghi del 1962, Finulli del 1966, Maggiorotti del 1966, Motta-Chiarini del 1974, Motta del 1974, Rossi del 1978, MarelloMonechi del 1981, Mauceri-Pappalardo del 1984, Caretto-Amico del 1991, Introna-Solito del 1991, Marello del 1991. Tutte le tabelle sopracitate, validissime, ma impostate come detto seguendo criteri dottrinari diversi, portavano a valutare la stessa malattia professionale da rumore in modo variabile circa la quantizzazione del danno uditivo. Come esempio si riportano due casi: 61 AUDIOGRAMMA -10 0 SOGLIA UDITIVA (dB) 10 20 30 AU DX 40 AU SN 50 60 70 80 90 250 500 1000 2000 3000 4000 8000 FREQUENZE (Hz) Via Aerea = Via Ossea Valutazione del danno: Tab. A.M.A : 6.6 % Tab. Giaccai-Gardenghi: 3 % Tab. Arslan-Rubaltelli: 12 % Tab. Motta-Chiarini: 3 % Tab. Ghirlanda: 7,5 % Tab. Bocca-Pellegrini: 1,2 % Tab. Rossi: 12 % Tab. Marello-Monechi: 0 % Tab. Finulli: 1,1 % Tab. Maggiorotti: 13,8 % Tab. Mauceri-Pappalardo: 4,8 % Tab. Caretto-Amico: 3,3 % Tab. Introna-Solito: 2,8 % 62 AUDIOGRAMMA -10 0 SOGLIA UDITIVA (dB) 10 20 30 40 AU DX 50 AU SN 60 70 80 90 250 500 1000 2000 3000 4000 8000 FREQUENZE (Hz) Perdita in Db 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 500 Hz 1000 Hz 2000 Hz 3000 Hz 4000 Hz 0 1.25 6.25 11.25 16.25 18.75 21.25 22.50 23.75 25.00 0 1.25 6.25 11.25 16.25 18.75 21.25 22.50 23.75 25.00 0 1.75 8.75 15.75 22.75 26.25 29.75 31.50 33.25 35.00 0 0.50 1.50 3.00 5.50 7.50 8.50 9.00 9.50 10.00 0 0.25 0.75 1.50 2.75 3.75 4.25 4.50 4.75 5.00 63 Industria (3 x orecchio migliore) + ___________________________________ 4 (orecchio (2 x orecchio migliore) + ___________________________________ 3 (orecchio x peggiore) 0,60 x peggiore) 0,60 Agricoltura A partire dal Luglio 2000 nel nuovo sistema INAIL il danno biologico è stato definito come “la lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale”. (Decreto Legislativo 38/2000). “Per danno biologico si intende la lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato”. (legge 05.03.2001 n°57). L’INAIL ha assunto, per quanto attiene la valutazione del danno uditivo, la tabella elaborata da Marello, valida ovviamente su tutto il territorio nazionale. La tabella di Marello considera nel calcolo del danno le frequenze 500, 1000, 2000, 3000, 4000 Hz. Nelle sordità complete bilaterali il danno è valutato pari al 50% ed al 12 % nelle sordità totali monolaterali. Perdita in dB 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 Danno = Percentuali deficit per frequenze 500 1000 2000 3000 4000 0 0 0 0 0 1.25 1.5 1.75 0.4 0.1 2.5 3 3.5 0.8 0.2 5 6 7 1.6 0.4 7.5 9 10.5 2.4 0.6 11.25 13.5 15.75 3.6 0.9 15 18 21 4.8 1.2 17.5 21 24.5 5.6 1.4 18.75 22.5 26.25 6 1.5 20 24 28 6.4 1.6 21.25 25.5 29.75 6.8 1.7 22.5 27 31.5 7.2 1.8 23.75 28.5 33.25 7.6 1.9 25 30 35 8 2 (4 x orecchio migliore) + orecchio peggiore --------------------------------------------------------- x 0.5 5 64 IL DANNO BIOLOGICO IN AMBITO ASSICURATIVO Un evento lesivo che provoca un danno organico alla persona, con conseguenze di natura patrimoniale, determina anche una menomazione della qualità di vita. Questo danno, non collegato alla capacità del soggetto di prodotte un reddito, determina un’alterazione dell’integrità psicofisica, interferendo notevolmente sulle possibilità biologiche, sociali, estetiche, incidendo negativamente sella qualità della vita. Nel 1986, la Corte Costituzionale affrontò per la prima volta, nella sentenza 184, gli aspetti non patrimoniali di un danno, definendo le caratteristiche della menomazione dell’integrità psicofisica, e introdusse il termine “Danno Biologico”, casualmente riconoscibile all’evento lesivo. Il danno biologico, o danno alla salute, fa riferimento ad un bene costituzionalmente tutelato dall’art. 32; è un concetto, quindi, che si sarebbe potuto evocare anche prima del 1986, visto che la Costituzione è stata varata da oltre 50 anni, ma nella realtà trova affermazione nello stesso periodo in cui l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definì la salute come “perfetto benessere psichico, fisico e sociale dell’individuo” e non già come assenza di malattia. Successivamente, sulla base di una giurisprudenza sempre più corposa e del diffondersi nella società civile della consapevolezza dell’esistenza di un danno non organico, che però incide negativamente nella sfera psichica dell’individuo, si è sentita da parte dello Stato la necessità di promulgare una serie di leggi e decreti aventi come scopo principale la definizione ed il risarcimento del danno biologico. L’art. 13 del Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, pubblicato sulla G.U. del 0103-2000, definisce in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato. Sempre l’art. 13, al punto 2 commi a e b, specifica che le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psico-fisica sono valutate in base a specifica “Tabella delle menomazioni”. Si precisa, inoltre, che per le menomazioni comprese tra il 6% ed il 16% l’indennizzo è erogato in capitale, mentre dal 16% in su si ha diritto all’erogazione di un’uteriore quota di rendita, commisurata al grado della menomazione e alla retribuzione dell’assicurato. La prova dell’instaurasi del danno biologico scaturisce dall’aver documentato la lesione e provato il nesso di causalità con l’intervento scatenante e la sua quantizzazione viene valutata sulla base della compromissione delle attività e abitudini della vita quotidiana di tipo extralavorativo del soggetto. L’accertamento dell’instaurarsi del danno biologico comporta un attento esame delle condizioni del soggetto precedenti all’inizio del fatto lesivo. E’ di fondamentale importanza poter valutare le condizioni cliniche presenti, la presenza o meno di alterazioni congenite o patologiche (6), le caratteristiche dell’attività lavorativa in termini di durata e di esposizione al rumore, la concomitante pratica di sport verosimilmente dannosi, l’età del soggetto. Il già citato art. 13 del DL 38 del 2000, al punto 6, specifica che il grado di menomazione dell’integrità psico-fisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro, deve essere rapportato nin già all’integrità psico-fisica ma a quell ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni. Nel caso ella ipoacusia, è importante valutare il ruolo della causa che ha determinato il fatto e correlarla ad una condotta illecita nonché la presenza di eventuali concause, in 65 quanto concorrenti con altre a produrre il danno, ma non sufficienti e indispensabili come la causa. Il nesso di causalità tra evento lesivo e presenza di menomazione deve sempre far riferimento ad un inquadramento clinico e strumentale. Negli ultimi dieci anni c’è stato un significativo incremento di richieste di risarcimento per danno biologico conseguente all’instaurarsi di una ipoacusia neuro-sensoriale da esposizione cronica a rumore. Ciò ha determinato tutta una serie di problemi circa la modalità di valutazione del danno, specie in rapporto alla presenza di concause importanti, quali la presbiacusia e la socioacusia, a loro volta correlate, a fasce particolari di popolazione, all’età, a vari fattori ambientali. 66 LE MISURE AMBIENTALI: GLI INTERVENTI DI BONIFICA ED I MEZZI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE Introduzione Il D.Lgs. n. 277 del 1/8/91 stabilisce le procedure e gli interventi legati al rumore negli ambienti di lavoro. Si vogliono qui sottolineare alcuni aspetti collaterali a tale provvedimento normativo sia sulla procedura dei rilievi, sia sugli interventi tecnici e procedurali che conseguono alle operazioni di verifica acustica. Alcuni aspetti delle misure La grandezza che viene rilevata è l’Esposizione misurata in dB(A). Essa deriva dalla misura diretta del livello equivalente attraverso un dosimetro che segue l’operaio in tutti gli spostamenti e le attività durante il periodo lavorativo; da esso si calcola l’esposizione attraverso la correzione di 10 Log(T/8), essendo T il tempo di rilievo espresso in ore. In alternativa si misura il livello equivalente nelle varie postazioni di lavoro e, in base ai tempi di permanenza dell’operaio nelle varie posizioni, si deriva l’esposizione. Il decreto poggia su studi molto datati sulla correlazione fra esposizione in dB(A) e rischio di ipoacusia i cui risultati sono indicati nella norma ISO 1999 (del 1977 revisionata senza sostanziali modifiche nel 1990). Contrariamente a quanto richiesto nella misura del disturbo (D.P.C.M 1/3/91 riguardante i “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” e D.P.C.M. 14/11/97 “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”), non vengono prese in considerazioni ne le componenti tonali ne quelle impulsive per una correzione del livello equivalente, nonostante sia accertata la maggiore pericolosità di queste tipologie di rumore. Infatti l’orecchio presenta un componente di adattamento costituito dallo stapedio; esso interviene al crescere del livello sonoro complessivo, irrigidendo la catena degli ossicini, con il risultato di ridurre il carico dello stimolo, in ultima analisi, sulle celle cigliate. La velocità di intervento con costante di tempo dell’ordine del centinaio di millisecondi (simile alla costante di tempo FAST del fonometro) e l’azione legata al valore globale del segnale rilevato, fornisce una ridotta protezione delle celle cigliate nel caso di rumori impulsivi e di rumori con spiccate componenti tonali. Nei luoghi di lavoro che possono comportare, per chi vi svolga la propria mansione per l’intera giornata lavorativa, un’esposizione quotidiana personale superiore a 90 dB(A) oppure un valore della pressione acustica istantanea non ponderata superiore a 140 dB (livello di picco), sono previsti interventi specifici chiaramente indicati nel decreto; non viene stabilito il numero di impulsi ma solo il valore del picco massimo in quanto, data la conformazione dello strumento, viene indicato un unico valore per l’intero intervallo di misura. Interventi generali Il D.Lgs. 277/91 all’art. 41/1 prevede che, il “datore di lavoro”, indipendentemente dai livelli misurati, “in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, deve procedere alla riduzione al minimo dei rischi derivanti dall’esposizione al rumore mediante misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili”. E’ quindi evidente che l’ambiente di lavoro debba essere considerato come una struttura che segua, anche sotto l’aspetto del rumore, un continuo progresso volto al suo miglioramento; gli organismi di controllo devono assicurarsi che ciò avvenga attraverso successivi interventi “di bonifica”. Sono indicate le linee direttive di tali interventi; dall’esame degli oneri economici, come appaiono ai datori di lavoro, ci sembra che si debba variare l’ordine che, partendo dai 67 meno onerosi può essere così riscritto: Interventi organizzativi, Interventi procedurali ed Interventi tecnici: Interventi organizzativi Il rumore va immaginato come una energia negativa che ci deriva dal carico acustico sul timpano moltiplicato per il tempo di permanenza. Questa energia negativa è sopportabile fino ad un certo livello stabilito dalla legge anche se in prossimità al valore massimo una piccola percentuale di rischio viene riconosciuta statisticamente prossima a quella dovuta all’età. Lo scopo dell’intervento organizzativo è quello di distribuire con maggiore equità la dose di rumore fra il vario personale dell’azienda facendolo ruotare con oculatezza nei posti di lavoro più rumorosi. Questo tipo di intervento deve comunque tenere in conto le maggiori sensibilità personali che derivano dalle indicazioni dei medici audiologi che seguono nel tempo eventuali progressioni delle ipoacusie ascrivibili all’ambiente di lavoro. Interventi procedurali Chi abbia effettuato con un minimo di attenzione durante i rilievi acustici negli ambienti di lavoro, avrà notato come molte volte il rumore sia prodotto non per esigenze strettamente legate alla produzione, ma per motivi collaterali, ad esempio legati alla movimentazione dei materiali, Si assiste quasi alla sensazione che da parte degli operatori il rumore nocivo sia esclusivamente quello delle macchine di produzione e non quello collaterale anche se di maggiore entità. A volte neppure la dimostrazione strumentale di questo aspetto viene considerata valida. Anche la collocazione delle macchine può influire, se non proprio sulla dose di rumore nei confronti dell’operaio che si trovi nelle immediate vicinanze, certamente sul rumore delle rimanenti attività dello stabilimento. In particolare le macchine rumorose al centro del locale portano un contributo superiore che se fossero relegate in un angolo o in una cavità debitamente confinata. Da ultimo interventi sul ciclo lavorativo possono portare ad una migliore distribuzione temporale dei livelli. E’ chiaro che, essendo il livello equivalente una grandezza energetica, l’esposizione giornaliera non subirebbe miglioramenti; tuttavia l’ambiente guadagnerebbe di gradevolezza. Interventi tecnici – bonifica degli ambienti di lavoro I macchinari sono i principali responsabili del rumore negli stabilimenti; essi sono nati in una certa data e con certe caratteristiche e, durante le loro vita attiva, subiscono usura, deterioramento, modifiche e manutenzioni. Gli interventi su di essi, generalmente dettati da ricupero di produttività, possono essere mirati anche al miglioramento delle emissioni acustiche. I due scopi, a volte, non sono contrastanti in quanto la regolarità di funzionamento è generalmente associata ad una emissione inferiore ed a volte più gradevole. Non sempre però la strada sopra indicata porta alla riduzione dei livelli al di sotto di quanto prescrive il D.Lgs. n. 277/91. In questa situazione gli interventi sono esclusivamente mirati ad una bonifica acustica dell’ambiente industriale. La progettazione di un Tecnico qualificato ed esperto diventa indispensabile per la definizione del prospetto di interventi con i relativi costi ed i previsti benefici. In questo caso risulta indispensabile una misura della distribuzione del rumore con l’imputazione alle varie macchine della quota individuale di responsabilità, alla disamina dei possibili interventi, ciascuno caratterizzato da un costo e da una riduzione di livello in 68 corrispondenza a ciascuna delle postazione di lavoro. Stabilito quindi un criterio di valutazione del beneficio complessivo ottenuto (ad esempio valutato come somma delle riduzioni di esposizione di ciascun operaio) è possibile calcolare il rapporto costo/beneficio e quindi classificare gli interventi in ordine di priorità. Le tipologie di interventi che vengono considerate sono: Sulla disposizione delle macchine; Sull’assorbimento delle pareti dell’ambiente; Sulla introduzione di schermature; Sulla compartimentazione delle macchine più rumorose. Il piano di interventi che consegue, oltre ad essere correttamente progettato dal citato Tecnico, va seguito con cura e responsabilità dalla stessa persona che alla fine può mostrare di aver conseguito i risultati che erano indicati in fase progettuale. Un collaudo indipendente assicurerà e certificherà, anche nei confronti della amministrazione di sorveglianza, i risultati ottenuti. Protezioni individuali Rappresenta l’ultima possibilità che sussiste per l’adempimento dei disposti di legge. Esistono molti tipi di apparecchi di protezione individuale che vanno dai semplici tappi alle orecchie, alle cuffie passive ed attive. Risulta però necessario sottolineare che anche con le migliori apparecchiature non si riescono ad eliminare i seguenti inconvenienti: il fastidio che esse generano, rendendole sgradite agli operai soprattutto nei posti dove esistono elevate temperature; la riduzione di percezione delle segnalazioni nei confronti dei pericoli che vengono percepiti attraverso segnalazioni acustiche. Le orecchie vanno in realtà considerate come occhi che vedono anche dietro la persona ed oltre gli ostacoli rappresentati da oggetti, macchinari, pareti, ecc. Esse permettono di percepire i malfunzionamenti di macchinari senza entrare entro gli stessi per esaminarne le cause e conseguentemente di prendere i debiti provvedimenti, almeno di carattere cautelativo. Conclusioni Da quanto si evince da all’art. 41/1 del D.Lgs. n. 277/91 la scheda tecnica che indica l’esposizione del lavoratore al rumore, non costituisce il punto di arrivo di una valutazione dell’adeguatezza di un posto di lavoro, ma il punto di partenza per un continuo miglioramento dell’ambiente all’interno dell’industria. 69 L’IPOACUSIA PROFESSIONALE E LE PROTESI ACUSTICHE La protesi acustica è un presidio sanitario il cui scopo è quello di amplificare in modo controllato il suono inviato all’orecchio al fine di migliorare la percezione acustica in senso generale dell’audioleso, ma soprattutto di migliorare la discriminazione vocale sia in ambiente silenzioso che in ambiente rumoroso. La protesi acustica si compone di: - microfono: che trasforma il segnale acustico presente nell’ambiente in segnale elettrico; - amplificatore: che amplifica l’intensità del segnale modificandone anche la componente frequenziale; - ricevitore: che ritrasforma il segnale amplificato da elettrico in acustico. L’amplificazione può essere di tipo analogico o digitale. In entrambi i casi la regolazione può essere eseguita mediante computer. Le protesi digitali sono dotati di filtri più precisi e di algoritmi che consentono di identificare, e di amplificare selettivamente, il segnale vocale dal rumore di fondo. I parametri che possono essere regolati sono: - il guadagno: definito dalla differenza di intensità tra il segnale in entrata e quello in uscita; - l’uscita massima: cioè il massimo suono che la protesi deve emettere (al fine di evitare il fenomeno di fastidio provocato dai rumori forti; - i sistemi di compressione: che consentono di eseguire un controllo del guadagno in funzione dell’intensità sonora. Le protesi acustiche possono essere distinte in: - protesi per via aerea: le più usate in quanto utilizzabili in tutte le patologie ad eccezione delle forme flogistiche dell’orecchio e dell’atresia auris; tali protesi possono essere a loro volta suddivisibili in: protesi retroauricolari protesi endoauricolari protesi intrameatali. - protesi per via ossea: in cui il segnale amplificato viene trasmesso per via ossea direttamente alla mastoide attraverso un vibratore; trovano indicazione in alcune forme di ipoacusia trasmissiva e mista con buona riserva coclearie e nell’atresia auris. Esistono inoltre protesi impiantabili, nell’orecchio medio e nella mastoide rispettivamente per casi di ipoacusia moderata o trasmissiva (tali protesi hanno ancora poca diffusione), e nell’orecchio interno (impianti cocleari o impianti al tronco), utilizzabili nelle forme più gravi di sordità, quando la protesi convenzionale non offre risultati soddisfacenti. La fornitura di una protesi acustica deve prevedere un protocollo diagnostico specifico cui fa seguito la personalizzazione dell’apparecchio. Per tale scopo è necessario eseguire una batteria di test costituita almeno da: - audiometria tonale liminare - impedenzometria con ricerca della soglia del riflesso stapediale - audiometria vocale. Mediante tali test è possibile definire l’entità dell’ipoacusia, la distribuzione frequenziale del deficit, la soglia di fastidio e il deficit di discriminazione del segnale vocale. L’adattamento della protesi per via aerea prevede inoltre la costruzione della chiocciola sulla base di un’impronta eseguita nel condotto uditivo esterno. Attualmente, grazie soprattutto all’introduzione delle protesi digitali, è possibile protesizzare con successo tutti i tipi di ipoacusia, dalle forme più lievi a quelle più gravi. Ne deriva che non è possibile stabilire limiti minimi di ipoacusia oltre i quali sia possibili o utile 70 indicare l’utilizzo alla protesi acustica; in caso di deficit lieve o medio l’indicazione viene posta in relazione alle necessità comunicative del soggetto, non sottovalutando anche il costo dell’apparecchio stesso. La protesizzazione nel caso di trauma acustico cronico presenta alcuni aspetti particolari. Innanzi tutto le forme meno accentuate di trauma acustico, in cui il deficit è limitato alle alte frequenze, non causano alcuna sensazione soggettiva di ipoacusia. Si ritiene che i problemi uditivi insorgano per deficit uditivi medi a 0.5-4 kHz superiori a 25-30 dB. Inoltre è ipotizzabile che la capacità comunicativa di un soggetto affetto da trauma acustico cronico sia adeguata, anche in presenza di un deficit uditivo, in relazione alle esigenze medie della popolazione affetta da tale patologia. Ne deriva che la protesizzazione acustica in caso di trauma acustico cronico dovrebbe essere limtata ai casi di medio-grave entità, in cui vi sia anche una compromissione della soglia alle medie frequenze (almeno 30-40 dB). In relazione alla morfologia della curva audiometrica, tipicamente in discesa sugli acuti, ed all’entità di solito non grave del deficit uditivo, è necessario utilizzare una protesi che presenti una buona selettività frequenziale, senza caratteristiche di elevata potenza, si ritiene più opportuno l’utilizzo delle protesi digitali. Non vi è sostanziale differenza tra il tipo di protesi, retroauricolare verso endoaurale o intrameatale, potendo scegliere tra questi modelli in relazione alle esigenze estetiche specifiche del soggetto. E’ ovvio che l’uso della protesi deve essere limitato agli ambienti non lavorativi in quanto l’utilizzo anche solo occasionale del sussidio in ambiente rumoroso può essere causa di un significativo aggravamento del deficit uditivo. 71 L’IDONEITA’ DAL PUNTO DI VISTA DELLO SPECIALISTA Il giudizio di idoneità è affidato dalla legge italiana al Medico Competente (DL 277 del 1991); il ruolo dello specialista ORL-Audiologo è quello di fornire al Medico Competente gli strumenti per giungere ad un adeguato indirizzo decisionale. Due sono gli aspetti che lo specialista deve valutare in questo ambito: l’effettiva diminuzione della capacità lavorativa; il rischio che il soggetto possa contrarre un danno all’udito o un suo ulteriore aggravamento. GIUDIZIO DI IDONEITA’ IN RAPPORTO ALLA DIMINUZIONE DELLA CAPACITA’ LAVORATIVA Una riduzione della capacità lavorativa in un soggetto ipoacusico può essere causata sia dalle difficoltà nel comprendere la voce che dalla mancata percezione di segnali acustici di avviso-allarme, con un aumento del rischio di infortunio. La valutazione della ridotta capacità nel comprendere messaggi vocali, da parte di un soggetto ipoacusico, è particolarmente importante in caso di attività che si fondano sulla comunicazione verbale. In questi casi la riduzione della capacità lavorativa diviene più significativa se il deficit uditivo è bilaterale e se interessa la frequenze medio-basse. In tali situazioni il deficit può manifestarsi anche in presenza di ipoacusia di grado lieve. Al fine di formulare un adeguato giudizio di idoneità, oltre all’audiometria tonale liminare, può essere necessario eseguire un’audiometria vocale, eventualmente associata a prove di sensibilizzazione. Per quanto attiene la relazione tra rischio di infortunio ed ipoacusia non è ancora stata dimostrata con certezza un relazione tra i due parametri. Tuttavia il pericolo connesso con la mancata percezione di segnali di avviso/allarme appare alquanto contenuto infatti è teoricamente possibile solo in caso di grave ipoacusia. GIUDIZIO DI IDONEITA’ IN RAPPORTO AL RISCHIO DI INSORGENZA DI IPOACUSIA O DI AGGRAVAMENTO DI UNA PREESISTENTE IPOACUSIA In caso di normoacusia il problema dell’idoneità in pratica non si pone in quanto il soggetto è certamente idoneo a svolgere qualunque mansione e non esistono al momento prove affidabili che consentano di identificare preventivamente i soggetti suscettibili al danno uditivo da rumore. Tuttavia, al fine di formulare un oculato giudizio di idoneità nel caso in cui il soggetto normoacusico debba essere impiegato in attività a rischio per rumore, oltre ad una scrupolosa attenzione delle leggi in materia, è utile valutare la storia lavorativa personale. Infatti se il soggetto ha già prestato la propria opera per un periodo sufficientemente lungo (almeno 2-5 anni) in ambienti con rumorosità simile, o superiore, a quella cui è destinato senza maturare alcun deficit uditivo è verosimile che anche nel nuovo ambiente non andrà incontro ad alcun danno. Viceversa più a rischio appaiono i giovani alla prima assunzione; in questi casi è utile, nei primi anni, un frequente controllo audiometrico, anche superiore a quello previsto dalla legge, al fine di evidenziare precocemente piccole modificazioni di soglia, indicative di una situazione di suscettibilità. In presenza di ipoacusia il giudizio di idoneità deve essere formulato in rapporto alla tipologia ed all’etiologia del deficit uditivo. In caso di ipoacusia trasmissiva, se si escludono le forme acute (nel qual caso il giudizio deve essere conferito dopo la risoluzione del processo flogistico in atto), le malattie che più comunemente sono causa di un deficit permanente sono l’otite media cronica e l’otosclerosi. In realtà queste malattie determinano per lo più un’ipoacusia di tipo misto. 72 Nel definire il rischio che un soggetto affetto da ipoacusia trasmissiva o mista possa andare incontro ad un ulteriore aggravamento del deficit uditivo a causa della permanenza in ambiente lavorativo rumoroso debbono essere tenuti in considerazione alcuni aspetti. Innanzi tutto la presenza di una sofferenza a carico dell’apparato di trasmissione dell’orecchio medio tende ad attenuare l’intensità dell’onda sonora che giunge all’orecchio interno; ne deriva che in questa condizione la coclea, sede del danno da rumore, è più protetta del normale dagli effetti lesivi del rumore. Tuttavia, secondo alcuni Autori l’orecchio interno in presenza di una patologia cronica a carico dell’orecchio medio sarebbe più suscettibile alle noxae patogene, tra cui il rumore. Inoltre il deficit trasmissivo è spesso limitato o più accentuato alle frequenze medio-basse, quindi l’effetto protettivo viene ad essere meno efficiente proprio alle alte frequenze, che sono le più interessate dal danno da rumore. Non si deve, poi, sottovalutare il fatto che in presenza di flogosi croniche dell’orecchio medio vi può essere una controindicazione all’uso delle protezioni acustiche individuali, che potrebbe favorire l’aggravarsi del processo flogistico. Infine, nei soggetti sottoposti a stapedectomia, intervento che consente di ridurre significativamente l’entità della componente trasmissiva dell’ipoacusia nella maggior parte dei casi, il rischio di maturare un deficit neurosensoriale da rumore appare più elevato del normale a causa della sezione del tendine dello stapedio, quasi sempre eseguita nel corso dell’exeresi della staffa, che svolge un ruolo protettivo nei confronti dei rumori di elevata intensità. Alla luce di quanto sopra discusso la presenza di un deficit trasmissivo o misto non necessariamente controindica la permanenza in ambiente lavorativo rumoroso. E’, tuttavia, necessario valutare caso per caso, in rapporto all’entità del deficit trasmissivo, alla sua distribuzione frequenziale, all’entità della componente neurosensoriale eventualmente presente, alla pregressa durata dell’attività in ambiente rumoroso ed all’esecuzione di interventi chirurgici sull’orecchio stesso, il reale rischio di evoluzione del deficit uditivo. In particolare, risultano essere più a rischio le seguenti condizioni: - deficit uditivo trasmissivo limitato alle inferiori a 3 kHz; - deficit trasmissivo inferiore a 20 dB. Nelle forme di ipoacusia neurosensoriale si deve distinguere tra la presenza di un pregresso trauma acustico cronico e la presenza di una patologia dell’orecchio interno di altra natura. In caso di preesistenza di un trauma acustico cronico vi è spesso la tendenza di non considerare idonei i soggetti affetti da tale patologia all’attività lavorativa in ambienti potenzialmente otolesivi, ciò a causa del rischio di un possibile aggravamento della tecnopatia da rumore, evento che equivale ad aver cagionato la lesione stessa. Questo atteggiamento comporta due problemi: la difficoltà nel trovare un’occupazione da parte di soggetti affetti da un pregresso trauma acustico cronico; la mancata assunzione di persone utili all’azienda in quanto in possesso di particolari competenze, o la necessità di adibirli ad altre mansioni. Nel formulare il giudizio di idoneità è necessario ricordare che l'andamento temporale del trauma acustico cronico è caratterizzato da un'evoluzione molto rapida nei primi anni di permanenza nell'ambiente lavorativo, cui fa seguito un notevole rallentamento dell’evoluzione del danno negli anni successivi. Ne deriva che la preesistenza di un trauma acustico cronico non è necessariamente correlata ad un aumentato rischio di ulteriore evoluzione di tale patologia in seguito all’ulteriore permanenza in ambienti rumorosi. Il rischio di aggravamento sussiste se il soggetto: 73 lavora da meno di 10-15 anni in ambiente rumoroso viene trasferito in un ambiente più rumoroso rispetto ai precedenti ha maturato un trauma acustico cronico per un’occasionale esposizione al rumore e il deficit è di entità relativamente modesta. Viceversa, il rischio di aggravamento di un pregresso trauma acustico cronico appare contenuto se il soggetto: lavora nel rumore da più di 10-15 anni viene trasferito in un ambiente meno rumoroso rispetto ai precedenti inizia ad utilizzare correttamente le protezioni acustiche individuali Per quanto attiene le altre forme di ipoacusia neurosensoriale, in linea di principio, è possibile affermare che tanto più è grave il deficit uditivo tanto minori sono i rischi di ulteriore aggravamento, a condizione che il danno interessi le frequenze acute del campo tonale. In questo caso la presenza di una diffusa degenerazione delle cellule ciliate della coclea fa sì che non vi sia più il terreno su cui il rumore possa sviluppare il suo effetto lesivo. Ovviamente si tratta di situazioni limite che possono rendere il soggetto non idoneo a causa della ridotta capacità di svolgere la mansione o per l’elevato rischio di non percepire segnali di avviso-allarme di cui si è parlato in precedenza. Nella pratica è possibile ritenere che tutte le forme di ipoacusia neurosensoriale di lieve-media entità possono essere causa di una maggiore suscettibilità dell’orecchio interno al danno da rumore e quindi possono elevare il rischio di aggravamento. In particolare le seguenti condizioni possono essere considerate particolarmente a rischio: presbiacusia; idrope endolinfatica: in quanto il deficit interessa principalmente, almeno nelle fasi iniziali, le basse e medie frequenze, lasciando lo spazio per l’instaurarsi di un deficit uditivo alle alte frequenze secondario al trauma acustico cronico; ototossicosi. E’ doverosa un’ultima considerazione sulle forme di ipoacusia unilaterale. In tale situazione, qualunque sia la causa che ha determinato l’ipoacusia (trasmissiva o neurosensoriale), si ritiene che il giudizio di idoneità debba essere conferito con estrema attenzione e cautela in quanto l’instaurarsi di un trauma acustico cronico all’orecchio migliore è causa di una significativa riduzione della funzionalità uditiva globale. 74 LINEE GUIDA ORL NELLA PATOLOGIA UDITIVA DA RUMORE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E INDIRIZZI ATTUATIVI Finalità delle linee guida: le linee guida indicano quale deve essere il livello minimo comune di esami e/o procedure rivolte alla definizione diagnostica di una o più patologie. L’esecuzione degli accertamenti audiometrici in medicina legale e medicina del lavoro è rivolta alla definizione qualitativa (diagnosi etiologica) e quantitativa (determinazione dell’entità) di un deficit uditivo tale da consentire provvedimenti clinici o professionali e/o quantificazioni a fini medicolegali. A tale scopo si indicano una serie di step diagnostici che devono costituire il livello minimo di operatività comune a tutti gli addetti. Ai fini delle corretta e ripetibile esecuzione delle procedure diagnostiche ORL/Audiologiche occorre che siano rispettati requisiti tecnici specifici per quanto attiene alle attrezzature, in particolare per audiometro e ambiente in cui deve essere eseguito l’esame (le normative sono riportate nel capitolo specifico, e cfr DLL 277 del 1991). Procedure audiologiche per la diagnosi di ipoacusia in relazione all’attività professionale: si identificano tre livelli diagnostici, dal più semplice al più complesso, attuabili in sedi differenti e da specialisti diversi. 1° livello: diagnosi differenziale tra situazione normale e potenziale presenza di un deficit uditivo a. Esame otoscopico. b. Anamnesi fisiologica, patologica prossima e remota, lavorativa remota e prossima (per le mansioni a rischio rumore indicare il Lepd.). c. Audiometria tonale liminare con rilevazione in via aerea almeno alle frequenze 250-5001000-2000-3000-4000-6000-8000 Hz e per via ossea almeno alle frequenze 250-500-10002000-3000-4000 Hz. secondo il protocollo riportato nello specifico capitolo. In assenza dei requisiti tecnici lo screening audiometrico in ambiente silente ed in campo libero ha solo valore indicativo ma non ha finalità cliniche e medico-legali in quanto è da considerarsi propedeutico in attesa di un successivo livello diagnostico. 2° livello: in caso di deficit uditivo rilevato al 1° livello per la prima volta (primo esame o insorgenza di un deficit precedentemente assente) al fine di definire con un maggior grado di accuratezza la presenza di un deficit uditivo a. Visita ORL costituita almeno da otoscopia, rinoscopia e orofaringoscopia. b. Anamnesi fisiologica, patologica prossima e remota e anamnesi lavorativa prossima e remota (per le mansioni a rischio rumore indicare Lepd.). c. Ripetizione audiometria secondo protocollo di rilevazione allegato da parte dello specialista ORL/Audiologo. d. Impedenzometria (secondo schema di protocollo allegato). 75 3° livello: al fine di definire la reale esistenza del deficit uditivo, nel caso in cui tale accertamento sia necessario (sospetto di non collaborazione, curva audiometria atipica, ec.., e di sua compatibilità con l’origine professionale a. Visita ORL costituita almeno da otoscopia, rinoscopia e orofaringoscopia. b. Anamnesi fisiologica, patologica prossima e remota e anamnesi lavorativa prossima e remota (per le mansioni a rischio rumore indicare Lepd.). c. Ripetizione audiometria secondo protocollo di rilevazione allegato da parte dello specialista ORL/Audiologo. d. SVR o MLR alle frequenze 500-1000-2000-3000-4000 o limitato a quelle in cui la soglia audiometria sia superiore a 25 dB; per la rilevazione oggettiva della soglia alle alte frequenze (4000 Hz) può essere utilizzato l’ABR Altri accertamenti diagnostici possono essere utili nell’approfondimento diagnostico e possono essere eseguiti nel corso del 3° livello a. Impedenzometria con studio della soglia del riflesso stapediale ipsi e contralaterale secondo protocollo di rilevazione allegato. b. Audiometria vocale c. ABR d. Studio delle otoemissioni In caso di identificazione di patologie extraprofessionali gli accertamenti non possono più essere a carico del datore di lavoro e il soggetto dovrà essere inviato al medico di famiglia affinché richieda le consulenze e gli esami necessari tramite il SSN. IDONEITA’ LAVORATIVA L’Idoneità lavorativa generica e specifica sono responsabilità giuridica del Medico Competente. Ciò nonostante l’ Otorinolaringoiatra e/o l’Audiologo devono contribuire nel merito a due livelli: 1. Accertamento dell’effettiva diminuzione della capacità lavorativa. 2. Valutazione del rischio che il soggetto possa contrarre un danno uditivo e/o un suo aggravamento. Per quanto attiene il secondo punto si deve distinguere tra: - Normoacusia: in cui il problema dell’idoneità in pratica non si pone in quanto il soggetto è certamente idoneo a svolgere qualunque mansione e non esistono al momento prove affidabili che consentano di identificare preventivamente i soggetti suscettibili al danno uditivo da rumore. Tuttavia, al fine di formulare un oculato giudizio di idoneità nel caso in cui il soggetto normoacusico debba essere impiegato in attività a rischio per rumore, è utile valutare la storia lavorativa personale per cui soggetti che abbiano avuto una più breve (o nulla) esposizione al rumore può esser potenzialmente a rischio per cui può esser utile un frequente controllo audiometrico. - Ipoacusia trasmissiva o mista: se si escludono le forme acute (nel qual caso il giudizio deve essere conferito dopo la risoluzione del processo flogistico in atto) una valutazione del rischio di aggravamento deve essere posta in relazione all’entità ed alla distribuzione frequenziale della componente trasmissiva (che svolge un effetto protettivo sull’orecchio interno per gli effetti del rumore). - Ipoacusia neurosensoriale: si deve distinguere tra la presenza di un pregresso trauma acustico cronico e la presenza di una patologia dell’orecchio interno di altra natura. In 76 caso di preesistenza di un trauma acustico cronico il rischio di aggravamento sussiste se il soggetto: lavora da meno di 10-15 anni in ambiente rumoroso viene trasferito in un ambiente più rumoroso rispetto ai precedenti ha maturato un trauma acustico cronico per un’occasionale esposizione al rumore e il deficit è di entità relativamente modesta. Viceversa, il rischio di aggravamento di un pregresso trauma acustico cronico appare contenuto se il soggetto: lavora nel rumore da più di 10-15 anni viene trasferito in un ambiente meno rumoroso rispetto ai precedenti inizia ad utilizzare correttamente le protezioni acustiche individuali Per quanto attiene le altre forme di ipoacusia neurosensoriale è possibile ritenere che tutte le forme di ipoacusia neurosensoriale di lieve-media entità possono essere causa di una maggiore suscettibilità dell’orecchio interno al danno da rumore e quindi possono elevare il rischio di aggravamento. In particolare le seguenti condizioni possono essere considerate particolarmente a rischio: presbiacusia; idrope endolinfatica: in quanto il deficit interessa principalmente, almeno nelle fasi iniziali, le basse e medie frequenze, lasciando lo spazio per l’instaurarsi di un deficit uditivo alle alte frequenze secondario al trauma acustico cronico; ototossicosi. In caso di ipoacusia unilaterale, qualunque ne sia la causa si ritiene che il giudizio di idoneità debba essere conferito con estrema attenzione e cautela in quanto l’instaurarsi di un trauma acustico cronico all’orecchio migliore è causa di una significativa riduzione della funzionalità uditiva globale. OBBLIGO DEL REFERTO Si caratterizza per la determinazione dei seguenti punti: a. Determinazione di insorgenza dell’indebolimento permanente del senso dell’udito di origine professionale b. Determinazione di apprezzabilità dell’aggravamento di origine professionale di un pregresso deficit uditivo. L’insorgenza dell’indebolimento permanente del senso dell’udito di origine professionale risulta verificata se il deficit uditivo è: - di origine professionale - di entità tale da causare indebolimento permanente del senso dell’udito. La diagnosi di origine professionale dei un deficit uditivo viene effettuata sulla base dei seguenti punti: - dimostrazione del nesso di causalità - esclusione di altre cause e valutazione delle eventuali concause - coerenza della curva audiometrica con un deficit da trauma acustico cronico (deficit bilaterale, neurosensoriale, limitato o più accentuato alle alte frequenze) - confronto dei valori di soglia con quelli attesi per l’età al fine di escludere che l’ipoacusia possa essere esclusivamente la conseguenza della presbiacusia 77 L’indebolimento permanente del senso dell’udito viene considerato presente se la soglia audiometria media a 0.5-1-2-3-4 kHz è superiore a 25 dB. S possono quindi configurare quattro diverse situazioni: 5) assenza di trauma acustico di origine professionale - assenza di indebolimento del senso dell’udito; 6) assenza di trauma acustico di origine professionale presenza di indebolimento del senso dell’udito; 7) presenza di trauma acustico di origine professionale assenza di indebolimento del senso dell’udito; 8) presenza di trauma acustico di origine professionale presenza di indebolimento del senso dell’udito. Solo nella condizione 4 vi saranno gli estremi per considerare insorto l’indebolimento permanente del senso dell’udito di origine professionale e vi sarà l’obbligo di inoltrare il referto all’Autorità Giudiziaria. L’aggravamento di origine professionale di un preesistente deficit uditivo risulta verificato se è: - di origine professionale - apprezzabile. La diagnosi di origine professionale di aggravamento di un deficit uditivo viene effettuata sulla base della dimostrazione di una variazione di soglia che sia: - bilaterale - neurosensoriale - non riferibile ad altre patologie extraprofessionali o a esposizioni a rumore extraprofessionale, eventualmente intercorse - superiore alla possibile evoluzione della soglia audiometrica riferibile alla sola presbiacusia. - compatibilità dell’evoluzione del deficit uditivo con durata ed esposizione al rumore La valutazione di apprezzabilità dell’aggravamento viene fatta sul valore medio di soglia a 2-3-4 kHz. Al contrario non appare possibile definire un limite minimo di peggioramento oltre il quale questo possa essere considerato come apprezzabile.La minima differenza di soglia media da considerare come apprezzabile deve essere necessariamente superiore a 1.7 dB, variazione che testimonia un aggravamento di 5 dB su una delle tre frequenze considerate. Tale valore può essere giudicato come molto restrittivo ma deve essere ricordato che variazioni di 10 dB medi o più possono essere troppo ampie rispetto all'evoluzione attesa per un trauma acustico cronico. Nel dirimere tale problema viene nuovamente in aiuto la valutazione clinica della situazione in esame per cui, se un certo aggravamento è compatibile con la storia clinica e se le audiometrie morfologicamente non danno adito a dubbi sulla loro corretta esecuzione, è possibile ammettere che un'evoluzione bilaterale del trauma acustico cronico anche inferiore a 10 dB (comunque ragionevolmente non inferiore a 5 dB, valore che esprime un peggioramento di 5 dB sulle 3 frequenze), sia apprezzabile e pertanto costituisca un aggravamento di un preesistente indebolimento dell'organo dell'udito di origine professionale. Al contrario è possibile che evoluzioni anche molto importanti dell'ipoacusia, ma incompatibili con la storia naturale del deficit uditivo da rumore, non possano essere imputati ad una causa professionale. Si ribadisce, in accordo con quanto definito nel capitolo precedente, che l’evoluzione deve essere intesa come bilaterale. 78