Anno XVI - Numero 1 - 23 gennaio 2010
L’Intervista
Parlano il regista Franco Zeffirelli
ed il direttore Asher Fisch
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
Per Verdi un divertimento
di fine carriera
A Pag.
6
Il racconto di un testimone
Come componeva e
come provava Verdi
A Pag.
8
Analisi dell’opera
Falstaff, un capolavoro
nuovo ed antico
A Pag.
11
Un inganno per Verdi
La curiosa storia
di fotografie famose
A Pag.
15
FALSTAFF
d i G i u s e p p e Ve r d i
Falstaff
2
F
Il
Stagione 2010 al Teatro Costanzi
Parlano il regista Franco Zeffirelli ed il direttore Asher Fisch
«Un Falstaff che ricalca quello mitico del Met»
ranco Zeffirelli bissa
se stesso. Dopo aver
chiuso la stagione 2009
con la fastosa Traviata, apre
questa nuova con un altro
titolo verdiano, il Falstaff ,
con il quale dalla prima
esperienza del 1956 si è cimentato già 9 volte. «E’ questa un’opera che mi ha detto
tutto e subito», dice il Maestro fiorentino. «Ogni volta
ho cercato di approfondire
aspetti particolari per sottolineare tutti i dettagli, ma poi
tutte le mie esperienze di ricerca finivano fatalmente per riportarmi all’idea originale,
quasi non ci fosse altro da dire». Questo allestimento è,
dunque, improntato su
quello del 1956 rimodellando gli stessi bozzetti ed utilizzando addirittura qualche costume di allora. «In
questo allestimento, però, c’è
molto del mio Falstaff che nel
1964 chiuse il vecchio Teatro
Metropolitan di New York,
prima dell’apertura del nuovo
al Lincon Center. Al Met mi
chiamarono dopo aver visto la
fragranza, i sapori shakespeariani del mio film Romeo e
Giulietta. Quell’occasione fu
anche il debutto del grande
Leonard Berstein nell’opera lirica. L’ultima produzione del
vecchio Met doveva essere indimenticabile erealmente lo fu.
Di quella esperienza ricordo lo
screzio che ci fu con Lenny,
quando a fronte dei 10 minuti
necessari per il cambio scena
finale, dove avevo ricreato un
magnifico bosco sulle sugge-
stioni di quello che avevo visto
al tramonto a Windsor, Bernstein mi disse che tutto quel
tempo avrebbe interrotto la
continuità della narrazione. Io
insistetti ed inserii quella sce-
Franco Zeffirelli
na magnifica e poderosa, ma
alla fine, lo ammetto, ebbe ragione lui». «Dal Falstaff trarrei una morale – conclude il
Maestro – Che il mondo è una
burla ed è meglio prenderlo
con i contorni di uno scherzo.
C’è poi un altro punto di lettura: Falstaff è un vecchio pazzo
che, con la complicità del vino,
rinnova dentro di se questo
continuo germogliare di desideri della carne giovane. Anche Verdi era così nella vita e
da anziano continuava a dare i
pizzicotti sul fondoschiena
delle donne di casa».
A Roma dopo 20 anni
All’opera di Roma il Falstaff
di Verdi torna dopo
vent’anni di assenza. L’ultima volta era andato in scena, per sette rappresenta-
~ ~ La Copertina ~ ~
Adolf Hohenstein - Bozzetto per un manifesto
di Falstaff, realizzato in occasione prima rappresentazione - Milano 1893.
Il G iornale dei G randi Eventi
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zioni, dal 2 dicembre 1989
con Juan Pons protagonista
allora come oggi. In precedenza sul palcoscenico del
Costanzi era stato 23 volte,
da quel 15 aprile 1893 quando andò in scena (appena
due mesi e sei giorni dopo
la prima assoluta di Milano) per 6 recite con lo stesso
“teem”, direttore, scene ed
interpreti, del debutto al
Teatro alla Scala. Ed infatti,
proprio per affrontare la
tournée che toccò diversi
teatri italiani, lo scenografo
Adolf Hohenstein per il debutto scaligero realizzò delle scene più piccole rispetto
alla larghezza effettiva del
palcoscenico, contornandole in quella occasione con
una cornice, ma rendendole
in questo modo adattabili a
tutti i teatri.
Questa volta sarà una rara
occasione per assistere, in
una breve parentesi temporale, alla interpretazione di
quattro grandissimi baritoni come il 74enne Renato
Bruson (che proprio qui al
Costanzi nel 2007 durante
una recita di Traviata festeggiò i 50 anni di teatro),
il 64enne Juan Pons, il 69enne Ruggero Raimondi ed il
più giovane Alberto Mastromarino, ciascuno molto
diverso nel ruolo del protagonista. Come Alice nel primo cast tornerà, dopo essere stata protagonista dell’ultima Traviata, Myrtò Papatanasiu al posto di Daniela Dessì, la quale decise di
rinunciare anche a questo
appuntamento dopo non
essere stata voluta da Zeffirelli - lei troppo florida - per
incarnare Violetta consunta
dalla tisi sempre nella Traviata dello scorso dicembre.
A dirigere sarà il maestro
Asher Fisch. «Mi affascina
quest’opera meravigliosa, tanto perfetta ma così diversa dalle precedenti. Verdi fu molto
preciso negli appunti scritti a
margine della partitura e pertanto cercherò di essere estremamente fedele alle sue idee.
Questo titolo poi si conclude,
come si sa, con la famosa frase
“Tutto il mondo è burla” ed
è in fondo quello che noi facciamo come artisti: visto che
fuori è tutto un grande palcoscenico, noi non facciamo altro
che mostrare la realtà per quello che è realmente».
Andrea Marini
Giornale dei Grandi Eventi
16 - 23 Marzo
Direttore
Interpreti
MEFISTOFELE
di Arrigo Boito
Renato Palumbo
Orlin Anastassov, Francesco Palmieri, Stuart Neill, Amarilli Nizza,
Teresa Romano, Anda-Louise Bogza, Letizia Del Magro, Amedeo Moretti
1 - 11 Aprile
Direttore
Interpreti
TOSCA
di Giacomo Puccini
Fabrizio Maria Carminati
Svetla Vassileva, Anda-Louise Bogza, Nadia Vezzù, Francesco Grollo,
Carlo Guelfi, Alberto Mastromarino, Franco Giovine
18 - 28 Maggio
Direttore
Interpreti
MADAMA BUTTERFLY
di Giacomo Puccini
Daniel Oren
Xiu Wei Sun, Raffaella Angeletti, Marco Berti, Pier Luigi Dilengite
Mario Bolognesi, Francesca Franci, Armando Gabba, Carlo Striuli,
Angelo Nardinocchi
17 - 24 giugno
MANON
di Jules Massenet
Alain Guingal
Direttore
Interpreti
Annick Massis, Sylwia Krzysiek, Massimo Giordano,
Paolo Battaglia, Alfredo Zanazzo
Stagione Estiva alle Terme di Caracalla
15 luglio - 5 agosto
AIDA
di Giuseppe Verdi
Daniel Oren
Direttore
Interpreti
Daniela Dessì, Giovanna Casolla, Fabio Armiliato
Direttore
di Giuseppe Verdi
Steven Mercurio
28 luglio - 8 agosto
RIGOLETTO
1 - 6 ottobre
Direttore
Interpreti
ROBERTO DEVEREUX
di Gaetano Donizetti
Bruno Bartoletti
Gian Luca Terranova, Carmela Remigio, Alberto Gazale, Sonia Ganassi
4 - 11 novembre
Direttore
Interpreti
ADRIANA LECOUVREUR
di Francesco Cilea
Maurizio Arena
Martina Serafin /Giovanna Casolla, Marcello Giordani,
Katia Lytting /Agnes Zwierko, Alessandro Guerzoni
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 23 - 31 gennaio 2010
FALSTAFF
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito dalla commedia Le allegre comari di Windsor
e dai drammi Enrico IV ed Enrico V di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Asher Fisch /
Andriy Yurkevich (27, 30)
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala - 9 febbraio 1893
Maestro concertatore e Direttore
Maestro del Coro
Regia e scene
Costumi
Coreografia
Disegno Luci
Andrea Giorgi
Franco Zeffirelli
Maurizio Millenotti
Carla Fracci
Agostino Angelini
Personaggi / Interpreti
Sir John Falstaff (Bar)
Ford (Bar)
Fenton (T)
Dott. Cajus (T)
Bardolfo (T)
Pistola (B)
Mrs. Alice Ford (S)
Nannetta (S)
Mrs. Quickly (Ms)
Mrs. Meg Page (Ms)
Renato Bruson (23, 26, 29) / Juan Pons (24) /
Alberto Mastromarino (27, 30) / Ruggero Raimondi (28, 31)
Carlos Álvarez (23, 26) / Luca Salsi (24, 28, 30, 31) /
Pierluigi Dilengite (27, 29)
Taylor Stayton / Leonardo Caimi (31)
Mario Bolognesi
Patrizio Saudelli
Carlo Di Cristoforo
Myrtò Papatanasiu (23, 26, 30) /
Serena Farnocchia (24, 28, 31 /
Mina Yamazaki (27, 29)
Laura Giordano (23, 26, 28, 30) /
Gladys Rossi (27, 29, 31) / Serena Gamberoni (24)
Elisabetta Fiorillo (23, 26, 28, 30, 31) /
Rossana Rinaldi (24, 27, 29)
Francesca Franci
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Ballo diretta da Paola Jorio
Nuovo Allestimento
S
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
i apre con un’opera completamente diversa dal tipico
repertorio verdiano la Stagione 2010 del Teatro dell’Opera di Roma, l’ultima a ricalcare, come da un decennio
a questa parte, un andamento legato all’anno solare. E’, infatti, questa l’unica opera “buffa” del compositore di Busseto, una libertà, quasi un capriccio, che egli si volle concedere alla veneranda età di 80 anni, contando su un mirabile libretto di Arrigo Boito. Libretto mutuato per il personaggio
dalle Le allegre comari di Windsor e per le ambientazioni dall’Enrico IV e dall’Enrico V, tutte di William Shakespeare, aggiungendoci però un qualcosa di italiano, di medioevale,
dettato dall’ amore del librettista per il Dolce Stil Novo.
Questo nuovo allestimento porta la firma di Franco Zeffirelli (di nuovo a lavoro dopo la sua Traviata del mese scor-
so), alla sua nona regia del Falstaff - la prima fu nel 1954 che per i costumi si è avvalso di un suo storico collaboratore Maurizio Millenotti, già candidato all’Oscar per due film
del Maestro (Otello ed Amleto). Sarà una rara occasione
per assistere, a pochi giorni di distanza, alla interpretazione - per ciascuno molto diversa - di quattro grandissimi baritoni come Bruson, Pons, Mastromarino e Raimondi nel
ruolo del protagonista. In Italia, infatti, non è usuale alternare in un solo titolo ed in una parentesi temporale così
breve tante stelle di prim’ordine. Come Alice nel primo cast tornerà Myrtò Papatanasiu al posto della Dessì la quale
decise di rinunciare dopo non essere stata voluta da Zeffirelli - lei troppo florida - per incarnare Violetta consunta
dalla tisi nella Traviata dello scorso dicembre.
3
Le Repliche
Domenica 24 gennaio, h. 16.30
Martedì 26 gennaio, h. 20.30
Mercoledì 27 gennaio, h. 17.00
Giovedì, 28 gennaio, h. 20.30
Venerdì, 29 gennaio, h. 20.30
Sabato, 30 gennaio, h. 18.00
Domenica 31 Gennaio, h. 16.30
Quattro Falstaff d’eccezione per l’apertura della Stagione
La vicenda si svolge a Windsor, in Inghilterra, all’inizio del XV secolo, durante il regno di Enrico IV.
ATTO I - Nell’Osteria della Giarrettiera - Il dot-
sentatosi all’appuntamento galante, dà inizio al
corteggiamento. Ma nell’abitazione irrompe
Ford, con Fenton, Cajus, Bardolfo e Pistola che
cominciano a perquisire tutte le stanze. Nessun
nascondiglio viene tralasciato, neppure la cesta del bucato. L’impudente cavaliere riesce prima a nascondersi dietro un paravento, e
quindi con l’aiuto delle donne, ad entrare a fatica nella cesta di panni sporchi già perquisita. Intanto dietro il paravento vanno Nannetta e Fenton. Così, mentre Ford scopre la figlia Nannetta, già promessa in sposa a Cajus, intenta ad amoreggiare con Fenton, le donne fanno rovesciare nel fossato la cesta con dentro Falstaff. In questo modo,
tra l’ilarità generale, è facile per loro spiegare agli uomini la burla.
La Trama
tor Cajus si scaglia adirato contro il vecchio e corpulento Sir Jhon Falstaff ed i suoi domestici, Pistola e Bardolfo, accusandoli di averlo fatto ubriacare per derubarlo. Ma Falstaff, imperturbabile, lo manda
via. Poi, rivolgendosi a due servi, illustra un piano per sottrarre denari a due ricchi gentiluomini di Windsor, corteggiando le loro mogli. Per questo gli ordina di recapitare due identiche lettere d’amore
ad Alice Ford e Meg Page. Ma i domestici si rifiutano in nome dell’onore e Falstaff li licenzia, affidando il compito al paggio Robin.
Nel giardino di casa Ford s’incontrano la padrona di casa Alice, la figlia Nannetta, Meg, moglie di Page e l’attempata ma spiritosa
Quickly. Conversando, Alice e Meg leggono le lettere ricevute e si accorgono dello stesso testo. Così, mentre le donne si allontanano indignate meditando vendetta, giungono Cajus e Fenton (il primo pretendente ufficiale di Nannetta ed il secondo amante corrisposto della ragazza) insieme a Bardolfo e Pistola che intendono vendicarsi del
licenziamento svelando a Ford le intenzioni di Falstaff: sedurgli le
mogli per spillargli denaro. I due gruppi, ciascuno per proprio conto, organizzano una burla vendicativa per punire Falstaff. Le donne,
intanto, mentre si danno appuntamento per l’indomani, ripetono in
maniera caricaturale una frase ampollosa della lettera di Falstaff.
ATTO II - Bardolfo e Pistola tornano all’osteria fingendosi pentiti,
al fine di appoggiare lo scherzo di Ford. Sopraggiunge Quickly, portando il messaggio di Alice: la gentildonna lo potrà incontrare fra le
due e le tre del pomeriggio. Ma mentre Quickly si allontana e Falstaff, rimasto solo, inneggia alle proprie doti di seduttore, si presenta un certo Signor Fontana, che è in realtà Ford travestito. L’uomo,
offrendo un sacchetto di monete, lo prega di conquistare Alice, cosicché una volta persa la sua incorruttibilità, la donna si conceda anche a lui. Falstaff, accetta e, pavoneggiandosi, confida che Alice lo ha
già invitato a casa per quello stesso giorno. Ford sconcertato ed in
preda alla gelosia, decide di sorprendere gli adulteri. Falstaff, pre-
ATTO III - Ma un’altra trappola attende Falstaff, ordita insieme
dalle allegre comari e dagli uomini. Mentre il cavaliere all’osteria si
sta riprendendo dal tuffo nel Tamigi con un buon bicchiere di vino
caldo, giunge Quickly con un secondo invito da parte di Alice, che
allo scoccare della mezzanotte lo attenderà, vestito da cacciatore nero, nel parco di Windsor, sotto la quercia di Herne dove si narra s’incontrino creature fantastiche. Tutti gli abitanti di Windsor, informati della burla, si travestono da folletti e spiriti. Ford intende approfittare della confusione per far sposare la figlia Nannetta e la indica
al pedante Cajus come mascherata da regina delle fate. Ma il progetto viene udito da Quickly che subito riferisce il piano del padre
alla giovane. Falstaff, giunto all’appuntamento travestito da cacciatore con delle enormi corna sulla testa, comincia a dichiararsi ad
Alice. Ma i giochi di seduzione sono interrotti da diavoli, elfi e folletti, che si scagliano sull’ardente seduttore, bastonandolo ed invitandolo a pentirsi. Nella confusione le donne mettono il velo da sposa a Bardolfo che viene raggiunto da Cajus. Due matrimoni vengono celebrati, con Ford che benedice le coppie. Ma quando cadono i
veli il padre scopre con amarezza di aver unito Nannetta con Fenton, mentre Cajus ha preso in moglie Bardolfo, travestito da regina
delle fate. «Tutto nel mondo è burla. L’uom é nato burlone», canta il coro, dettando la morale della storia.
a cura Lucia Cuffaro
ama in cifre
Popolazione equivalente servita:
3.169.000
Area servita dalla raccolta:
kmq 1.285
Km lineari di strade servite:
3.370
Totale rifiuti raccolti:
Raccolta differenziata:
t/anno 1.760.732
t/anno 343.493
Automezzi:
2.342
Sedi:
77
Isole Ecologiche e Centri di Raccolta:
13
Stabilimenti e impianti:
10
L’ambiente
in buone mani.
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Il
Giornale dei Grandi Eventi
I
Falstaff
Carlos Alvarez, Luca Salsi e Pier Luigi Dilengite
Ford, marito geloso
l personaggio di Ford verrà
interpretato dai baritoni
Carlos Avarez (23726), Luca
Salsi (24/28/30/31) e Pier Luigi Dilengite (27/29). Carlos Alvarez di origine spagnola, ha
debuttato al Teatro de la Zarzuela nel 1990 ne La del Manojo
de Rosas. Canta nei più famosi
teatri del mondo come la Staatsoper di Vienna, al Liceu di
Barcellona dove è in cartellone
da undici stagioni consecutive,
al Met di New York, al Festival
di Salisburgo, al Covent Garden di Londra e al Metropolitan di New York. Vincitore di
numerosi premi, è stato onorato anche del titolo di “Kommersänger” alla Staatsoper di
Vienna.
Luca Salsi nato a San Secondo
Parmense, ha debuttato giova- Carlos Alvarez
nissimo nel 1997 presso il Teatro Comunale di Bologna, nella Scala di seta di Rossini. Vincitore del
primo premio al concorso “Gian Battista Viotti” di Vercelli, calca i
maggiori palcoscenici del mondo. Ha inaugurato la stagione
2008/09 interpretando Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La bohème al Carlo Felice di Genova, Pagliacci al Maggio Musicale Fiorentino e al Lirico di Cagliari ed Ernani a Piacenza.
Pier Luigi Dilengite è stato ospite nei maggiori teatri italiani e stranieri, come il San Carlo di Napoli, il Comunale di Bologna, il Bellini di Catania, l’Argentina di Roma, il Verdi di Pisa, l’Opera di Francoforte, l’Opera di Lipsia, l’Opera di Stoccarda, l’Opera di Budapest, l’Opera di Sofia e l’opera di Den Aag. Scelto personalmente dal
M° Pavarotti ha partecipato alla Bohème da lui diretta e messa in
scena al Teatro della Fortuna di Fano. All’Opera di Roma ha cantato in Pagliacci con la regia di Zeffirelli nel 2009.
Myrtò Papatanasiu,
Serena Farnocchia e Mina Yamamzaki
M
L’avvenente Alice Ford
yrtò Papatanasiu (23/26/30), Serena Farnocchia (24/28/31)
e Mina Yamazaki (27/29) sono i soprano che daranno voce
ad Alice Ford.
Myrtò Papatanasiu, di nazionalità greca, si è diplomata in canto al
Conservatorio di Salonicco. Ha debuttato giovanissima all’Opera di
Salonicco con Il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi.
Ha interpretato molte volte il
ruolo di Carolina ne Il matrimonio segreto di Cimarosa all’Opéra di Montecarlo, al Regio di
Torino e all’Opéra Comique di
Parigi. Torna all’Opera di Roma dopo aver interpretato Violetta ne La Traviata lo scorso dicembre.
Serena Farnocchia nata a Pietrasanta, nel corso della sua
carriera ha vinto numerosi concorsi in tutt’Europa, come il
prestigioso “Luciano Pavarotti” di Philadelphia. Ha debuttato alla Scala interpretando il
ruolo di Donna Anna nel Don
Giovanni diretta da Muti. Torna
all’Opera di Roma nel ruolo di
Myrtò Papatanasiu
5
Renato Bruson, Juan Pons,
Alberto Mastromarino e Ruggero Raimondi
I
Il corpulento Falstaff
l protagonista dell’opera avrà la voce dei baritoni Renato Bruson (23/26/29), Juan Pons (24), Alberto Mastromarino (27/30) e
Ruggero Raimondi (28/31).
Renato Bruson nato a Granze in provincia di Padova nel 1936, dopo gli studi al Conservatorio di Padova nel 1957 debutta al Teatro
dell’Opera di Roma con I Puritani (Bellini). Inizia così una prestigiosa carriera che lo porta ad esibirsi nei maggiori teatri del mondo.
Nel 1969 fa il suo debutto internazionale al Metropolitan di New
York in una produzione di Lucia di lammermoor). Nel 1978 debutta
alla Staatsoper di Vienna in
Macbeth (Shakespeare). Nel
ha cantato a Roma in Traviata festeggiando il proprio
mezzo secolo di palcoscenico. Nel 2008 è tornato all’Opera di Roma con Tosca.
Considerato uno dei più importanti baritoni dei nostri
tempi, ha ricevuto il titolo di
“Kammersänger”
della
Staatsoper di Vienna.
Juan Pons nato a Menorca
(Spagna) nel 1946, con il
trionfale debutto internazionale nel 1980 al Teatro alla
Scala proprio in Falstaff per
la regia di Giorgio Strehler,
si è rivelato uno dei più importanti baritoni della scena
mondiale. Vanta collabora- Renato Bruson
zioni con i più importanti
direttori d’orchestra (Lorin Maazel, James Levine, Giuseppe Sinopoli, Riccardo Muti, Zubin Mehta). Più volte protagonista nelle
inaugurazioni delle stagioni al Metropolitan di New York, è presente nel cartellone di quel Teatro da 15 anni.. Torna all’Opera di
Roma dopo aver interpretato Falstaff nell’ultima rappresentazione
di vent’anni fa. Da ricordare il suo Scarpia nella serata-evento della
Tosca del centenario il 14 gennaio 2000 con Luciano Pavarotti, la rivelazione Ines Salazar diretti da Placido Domingo e la regia della
forma semiscenica firmata da Zeffirelli.
Alberto Mastromarino baritono, ha debuttato nel ruolo di Amonasro in Aida presso il Teatro Eliseo di Roma nel 1987. Torna al Teatro
dell’Opera di Roma con Falstaff, dopo aver interpretato con successo Tosca, Pagliacci e il ruolo di Gianciotto nella Francesca da Rimini di
Zandonai. La sua voce è apprezzata a livello internazionale. Calca,
infatti, palcoscenici come quelli del Los Angeles Opera, Staatsoper
di Vienna, Deustche Oper di Berlino, Teatro Liceu di Barcellona. Tra
gli impegni recenti si registra il debutto nell’ Amica di Mascagni al
Teatro dell’Opera di Roma.
Ruggero Raimondi, basso-baritono, è nato a Bologna nel 1941.Iniziò i suoi studi presso il Conservatorio Verdi di Milano per poi completare il percorso a Roma. La prima grande occasione gli venne data dall’Opera di Roma che lo chiamò per la produzione de I Vespri
Siciliani. Nel 1968 debuttò alla Scala come Timur in Turandot a cui
seguirono Metropolitan (Ernani, 1970), Covent Garden (Simon Boccanegra, 1972). Ha inciso diversi film-opera.
Alice, dopo aver interpretato già Mimì nella Bohème.
Mina Yamazaki, soprano giapponese naturalizzata in Italia. E’ considerata tra le migliori interpreti del momento nel ruolo di Cio cio
San in Butterfly, sia per caratteristiche vocali che per intensità e sensibilità interpretative. Ha interpretato: La Bohème e Die Zauberflöte al
Teatro dell’Opera di Roma, Turandot al Teatro Lirico di Cagliari e al
Festival Pucciniano di Torre del Lago, Madama Butterly al Festival
Pucciniano di Torre del Lago, alle Terme di Caracalla, all’Opera di
Roma ed a Salisburgo.
Pagina a cura di Marina Proietti – Foto Corrado M. Falsini
6
«D
Falstaff
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Per Verdi un divertimento di fine carriera
desidero scrivere un’opera
opo
avere,
comica, e sono cincompositore
quant’anni che conosco Le
inesorabile,
allegre comari di Windammazzato tanti eroi e tansor» (a Gino Monaldi,
te eroine, ho il diritto, giun3.12.1890). Ma solo Arrito all’estremo della mia cargo Boito riuscì a scioglieriera, di ridere un
re tutti i suoi dubbi, afpochino!». Ridere. Falstaff
frontando il testo shakeha appunto questa inaspeariano come «non si
spettata peculiarità: dipoteva far meglio» e prevertire, con un umorisentandogli «una commesmo arguto, spennellato
dia lirica che non somiglia
sulla partitura dalla pria nessun’altra». Ma siamo
ma all’ultima nota. Si
precisi: il Sir John Falstaff
tratta, dunque, di comoperistico è un personagmedia: fulmine a ciel segio prototipo, da chronireno per chi pensava con
cle play, che vive indipenOtello di avere assistito
dentemente dalla comal traguardo operistico
media d’origine (anzi
di Verdi, mai più immacommedia e tragedie, viginandone le straboccansto che compare anche in
ti doti umoristiche. E
Enrico IV ed Enrico V), in
questo valga sia per chi
cui risulta in verità assai
mal accolse la novità sesbiadito. Fu il genio di
nile, sia per chi invece la
Boito a dargli lo spessore
esaltò, comprendendo
necessario, rifacendosi
che l’ultima fatica del
proprio al suo valore
Maestro di Busseto avesimbolico e creando così
va una veste diversa, geun “tipo” con precise caniale, non solo nuova
ratteristiche.
ma innovativa, per tema
Le prime notizie sulla efe per linguaggio compofettiva
composizione
sitivo.
dell’opera ci vengono
La Prima della Scala, il 9
dal carteggio fittissimo
febbraio 1893, fu un avtra librettista e composivenimento nazionale:
tore, da cui emergono
un trionfo – nonostante
anche gli sbalzi d’umore
alcune perplessità - con
dell’anziano musicista,
venti minuti di applauora rapito dall’entusiasi, due bis, sette chiamate finali a Verdi. Una parte
del pubblico,
entusiasta, seguì la carrozza del musicista fino all’Hotel Milan
dove alloggiava.
Ma facciamo
un passo indietro. Come
arriva Verdi,
padre del tragico in musica,
all’idea
di
un’opera che
definiremmo a
tutti gli effetti
“buffa”?
Di
grande aiuto è
certo la corrispondenza
che Verdi intrattenne con
amici e conoscenti. «Che cosa posso dire?
Sono
quarant’anni che Verdi ed il baritono Victor Maurel
smo, ora preda del più
nero sconforto («Il pancione? [Falstaff] Vi sono
dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo
umore; altre volte grida,
corre salta, fa il diavolo a
quattro…»). Il 6 luglio del
1889 – a due anni dalla
rappresentazione
di
Otello - abbiamo il primo
ufficiale assenso del
maestro: «Amen; e così
sia! Facciamo adunque Falstaff!». La stesura del libretto fu più lunga e
complessa del previsto,
ma proseguì quasi senza
sosta, tra missive e incontri dei due artisti, tra
S. Agata, Genova e Milano. Tante le frustrazioni,
prima fra tutte la consapevolezza di alcuni difetti insiti nel genere proprio della commedia
«Quando il nodo sta per
sciogliersi l’interesse diminuisce sempre più perché il
suo fine è lieto», o la difficoltà per Boito di confrontarsi con il monumento shakespeariano
«Nei primi giorni ero disperato. Schizzare i tipi con
pochi segni, mover l’intrigo, estrarre tutto il sugo di
quella melarancia shakespeariana senza che nel piccolo bicchiere guizzino i semi inutili […]
è difficile, difficile, difficile ma
bisogna
che
sembri facile,
facile, facile».
Boito terminò
la fase preparatoria nell’agosto 1889 e
passa subito
alla stesura
del libretto. Il
primo
atto
venne consegnato all’inizio di settembre, il II all’inizio di novembre, il III,
di più faticosa
gestazione, all’inizio
di
marzo 1980.
Verdi cominciò la composizione a metà
agosto 1889,
con lo schizzo
della fuga finale e, lavo-
rando intensamente, già
il 17 marzo
1890 terminò
il I atto. Poi si
concesse una
lunga vacanza scrivendo
a Boito «Il
Pancione
è
sulla strada
che conduce
alla pazzia…».
Ad ottobre il
compositore
si rimise a lavoro con progressi minimi
fino al marzo
1892, poi il
lavoro ripre- Scena Falstaff e comare (stampa)
se e l’opera fu
to. Meg sarebbe stata
terminata nell’estate del
Virginia Guerrini, «e mi
1892.
dispiace che la parte non sia
Già molto prima che l’opiù importante»; Ford, Anpera venisse ultimata, era
tonio Pini-Corsi, «un vigocominciata la “caccia”
roso baritono con un’incliagli interpreti adatti. Per
nazione per la commedia»;
il ruolo da protagonista
Giovanni Paroli nella parnon ci furono dubbi: Victe del dottor Cajus; Paolo
tor Maurel sarebbe stato
Pelagalli Rossetti e VittoFalstaff, nonostante le
rio Arimondi rispettivaesagerate sue pretese
mente in quella di Bareconomiche iniziali, riendolfo e di Pistola. Sul potrate per altro dopo un
dio - a colmare la grave
paio di “fulmini” da Busperdita di Franco Faccio,
seto. Per la parte disopraggiunta nel 1890 Quickly «ci vuole canto e
Edoardo Mascheroni,
azione e molta disinvoltura
«un gran lavoratore, un
scenica» e l’interprete
uomo coscienzioso senza
ideale fu trovata in Giusimpatie e, meglio ancora,
seppina Pasqua, artista
senza antipatie».
dotata ed intelligente.
Dopo la “prima”, Falstaff
Stesse qualità servivano
andò in scena ad aprile al
per Alice, che in più «deCarlo Felice di Genova,
ve avere il diavolo addosso.
con i complessi artistici
E’ lei che mena la polenta»
ed orchestrali della Scala
e che fu faticosamente
e presente l’autore. Semindividuata in Emma
pre ad aprile, dal 15, per
Zilli; per Nannetta era
6 rappresentazioni, fu al
necessaria una donna
Costanzi di Roma con
«giovanissima e che canti
Edoardo Mascheroni e le
benissimo, brillantissima
scene ed i costumi semin scena», caratteristiche
pre di Adolf Hohentein,
trovate in Adelina Stehil quale nello stesso teatro
le: scelta particolarmente
7 anni dopo firmerà quelfelice, essendo anche la
li della prima rappresenfidanzata di Edoardo
tazione della Tosca di
Garbin, che avrebbe imPuccini, quindi a Venezia
personato Fenton. A dire
e Trieste, poi a Vienna e
la verità, Garbin non
Berlino. L’anno dopo fu
convinceva Verdi per la
allestito all’Opera-Comisua poca esperienza, la
que di Parigi, nella tradusua indolenza e per «quel
zione francese preparata
maledetto difetto di aprire
da Boito in collaboraziole ultime vocali della parone con Paul Solanges.
la», ma la fortunata coinSempre tra le entusiasticidenza di avere due
che ovazioni e le critiche
amanti veri sul palco
più efferate.
avrebbe senza dubbio
Barbara Catellani
sortito un positivo effet-
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
F
7
Analisi musicale
Modernità del Falstaff
alstaff rappresenta un unicum nel contesto teatrale
verdiano. Non solo perché
è una commedia, ma perché è
una commedia nuova, originale, nella quale la tradizione nostrana dell’opera comica influisce solo marginalmente. Ci sono
elementi tratti dal passato: si veda l’apertura, chiaramente mozartiana, con un litigio che si sta
già svolgendo al levarsi del sipario; ma si pensi, anche, al gioco della gelosia, ai travestimenti
e ai finti matrimoni. Un vero e
proprio apparato tratto dal settecentesco teatro comico. Ciò
che conferisce totale novità all’estremo capolavoro verdiano è
lo spirito che lo anima, l’atteggiamento del musicista che
sembra guardare il tutto da una
postazione defilata. Un gioco intellettuale, si direbbe, in cui il
compositore ottantenne trovò il
rinnovato gusto di confrontarsi
con il pubblico, con il sorriso disincantato di chi, abituato per
oltre cinquant’anni a scrivere
per gli altri, oramai desiderava
essenzialmente comporre per se
stesso: «Io - confessò a Ricordi il
1° gennaio 1891 - mi sono messo a
scrivere Falstaff semplicemente per
passare il tempo, senza idee preconcette, senza progetti [...]».
chances di sfogo. Scrisse, ad
esempio, divertenti madrigalismi. Si pensi al monologo sull’onore recitato da Falstaff nel primo atto («L’onore. Ladri!»): la
leggerezza dell’orchestra sulla
frase «Che c’è in questa parola?
C’è dell’aria che vola», uno scorrere via, leggero («l’auretta gentile»
ognuno con due scene separate.
Numerosi i concertati, elaborati
secondo lo spirito antico della
molteplicità di piani di conversazione, ma con esiti originalissimi per l’interna struttura. Ad
esempio nel primo atto (scena
II) si crea una situazione di
estremo interesse musicale per
Le novità del Falstaff
Il più rilevante tratto di originalità del Falstaff sta nella scrittura
vocale che, almeno apparentemente, rinuncia ad ogni melodismo. Scompaiono, quasi del tutto, le cosiddette forme chiuse su
cui si era fondata, fino ad allora,
l’opera italiana. Verdi concepì
un declamato continuo, rispettoso della parola, estremamente
duttile nel piegarsi ad ogni esigenza drammaturgica. Minuscole cellule si fanno “arie” di
incredibile brevità («Quando ero
paggio» o «Va’ vecchio John»), il
duetto amoroso fra Fenton e
Nannetta è continuamente accennato, ma sempre rimandato
(«Bocca baciata non perde
ventura»), quasi a voler ritardare
o addirittura evitare quella nota
“patetica” che un vero momento amoroso comporterebbe. Incisi melodici sparsi qua e là nelle voci trovano piena rispondenza in un’orchestra mai prima di allora così leggera eppure
così ricca di soluzioni timbriche.
Verdi inventò a getto continuo,
quasi nella consapevolezza di
non aver più, dopo Falstaff, altre
comicità con il povero Falstaff
chiuso nella cesta e gettato nel
canale.
Falstaff è personaggio di indubbia simpatia. Si crede un Don
Giovanni, ma, in realtà, è un povero diavolo, un ladro di polli
che vive di espedienti. Per metterlo al proprio posto è sufficiente qualche bastonata e un
bel po’ di paura. E così avviene
nell’ultimo atto. Le finte fate che
circondano Falstaff attirato da
un falso convegno amoroso,
creano l’atmosfera fantastica
nella quale si può riscontrare
una parodia del Macbeth, il primo incontro di Verdi con Shakespeare. In un crescendo di interventi, di formule e di punizioni
si arriva all’epilogo dello scherzo, quando ingannatori e ingannati finiscono per confondersi e
se il buon Falstaff è costretto ad
ammettere le proprie colpe,
Ford deve benedire suo malgrado le inaspettate ma inevitabili
nozze della figlia. Finale scontato, insomma. Ma non musicalmente, perché Verdi si “permette” una fuga buffa (che è poi il
primo pezzo composto di quest’opera), vivace, irresistibile
per l’immancabile morale che,
tuttavia, non esalta virtù, né
condanna vizi ma realisticamente fotografa il comportamento umano. «Tutto nel mondo
è burla», attacca Falstaff, “risorto” dal suo inferno, subito seguito da Fenton, Quickly, Alice
e poi da tutti gli altri.
Il congedo
Manifesto Falstaff di Adolf Hohentein
della calunnia rossiniana). E, oltre alla straordinaria descrizione del potere benefico del vino
(si veda a parte, n.d.r.) si pensi
alla maestosità sonora cui il musicista affida, nel primo atto, l’eroica frase di Falstaff «Quest’è il
mio regno. Lo ingrandirò». Dove il
regno altro non è che il suo pancione!
La ricchezza
di concertati
Ironia, dunque, ravvisabile anche in varie citazioni: il «Povera
donna» di Quickly (atto II scena
I)rimanda all’autocommiserazione di Violetta (Traviata, atto I).
Falstaff si articola in tre atti,
la contrapposizione fra due
gruppi “parlanti”, il concertato
femminile e quello maschile:
ognuno canta a canone, anche
se il tema subisce qualche variazione nelle diverse intonazioni.
Nella parte conclusiva, infine,
quando rientrano in scena le
donne si può trovare un riferimento ai Maestri Cantori wagneriani: in entrambi i casi ci sono
due gruppi contrapposti che
cantano su due tempi differenti
(in Verdi le donne in 6/8, gli uomini in 4/4) e in entrambi i casi
una voce si leva sulla massa,
quasi isolata (là Walther, qui
Fenton). Altra scena di confusione, poi nel finale del secondo
atto, momento culminante di
Il 9 febbraio 1893, con la rappresentazione scaligera del Falstaff
calò il sipario sull’avventura
teatrale di Verdi che dava l’addio alle scene confermando la
propria devozione per la tradizione (nel Falstaff si ritrovano
Cimarosa, Mozart, Rossini), ma
anche con la consapevolezza di
essersi magnificamente proiettato in avanti. Dopo il suo “Pancione” il teatro comico non sarebbe più stato lo stesso.
E sono significative le parole annotate sulla partitura che nel
settembre 1892 Verdi inviò a Ricordi, parafrasando Boito: «Tutto è finito/ Va, va vecchio John./
Cammina per la tua vita/ Finché tu
puoi./ Divertente tipo di briccone/
Eternamente vero sotto/ Maschera
diversa in ogni/ tempo, in ogni luogo./ Va, va/ Cammina, cammina./
Addio».
Roberto Iovino
8
Falstaff
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il racconto di un testimone diretto
Come scriveva e come provava Gi
L’editore Giulio Ricordi (1840 – 1912), figlio di Tito e nipote del fondatore della Casa Giovanni, diplomatico “gestore” dei rapporti con Verdi,
proprio in occasione della composizione del Falstaff (1893) mise su carta le sue osservazioni, la propria testimonianza diretta su come il maggiore compositore della Casa editrice, ormai ai livelli massimi della fama, aveva sempre operato nella stesura e nella preparazione delle 28 opere teatrali composte. In considerazione del grande valore testimoniale, proponiamo questo testo, con qualche taglio nelle parti meno significative al fine
di renderlo più agile ed adeguarlo allo spazio del giornale.
E
saminando e confrontando una delle prime partiture
autografe, per esempio
del Lombardi, del Macbeth, con altre più recenti, come Aida, Otello e finalmente colla partitura
autografa del Falstaff,
non si scorge alterazione
alcuna nella scrittura: la
stessa sicurezza di mano, la medesima chiarezza di note!
Le partiture autografe di
Giuseppe Verdi sono
ammirabili per esattezza: la foga dello scrivere
non produce nel maestro
né confusioni, né incertezze. Si vede palesemente che l’opera sgorga
spontanea tutta in un
blocco e che in pari tempo sgorga bell’e plasmata in ogni linea, in ogni
parte, in ogni dettaglio.
Quindi l’orchestra non è
un sussidio alle voci,
non è cornice, non è quadro: non si scorge nell’istrumentatore, che ha di
fronte il pezzo composto, l’affannosa o la sottile ricerca degli effetti orchestrali, ma questi nascono spontanei unitamente alla melodia, al
pezzo: dal che la perfetta
fusione del canto cogli
strumenti, della scena
coll’orchestra: dal che
l’omogeneità completa
dei vari coefficienti che
concorrono a fondersi
nel prodotto finale.
Pochissimi sono gli abbozzi che Verdi traccia
nel periodo della composizione: sono semplici
memorie, indicazioni di
spunti musicali e nulla
più. E’ con la lettura del
libretto, che Verdi concepisce l’opera: con la declamazione dei versi che
il compositore idea le
prime linee generali del
proprio lavoro. Declamando, studia le inflessioni della voce, i vari
colori che assumono le
parole nei sentimenti d’ira, di pietà, d’amore. Ve-
dasi la scena del sonnambulismo di lady
Macbeth: perfetta è la fusione della voce coi timbri orchestrali. Quando
Verdi declamava tale
trovare gli interpreti migliori o più adatti.
La facilità colla quale
Verdi concepisce e scrive
un’opera è addirittura
fenomenale: il periodo di
Verdi assiste alle prove Falstaff in un acquerello Adolf Hohenstein
scena, vedeva certamente innanzi a sé la pallida
figura della donna fatale,
strisciante come fantasma, cogli occhi sbarrati,
immoti. E poi il recitativo di Rigoletto:
Pari siamo! .. io la lingua,
egli ha il pugnale
e la precedente scena con
Sparafucile, non sono
forse due veri capolavori
di declamazione musicale? Il pezzo, nella forma
sua più complessa, esiste, l’ascoltatore ne afferra facilmente la linea generale ed il dettaglio,
perché perfetta è la fusione tra il valore drammatico della parola e l’espressione musicale della nota.
Con questo modo di
creazione, Verdi procede
sicuro, va dritto al suo
scopo e quando l’opera è
composta ed interamente istrumentata, l’autore
ne intuisce di già l’effetto. Pochissimi i pentimenti, le modificazioni
di forma o di fattura. Il
Maestro, poi, sa già dove
creazione più intenso si
trova fra l’anno 1849 ed
il 1855, poiché in questo
frattempo compose: Luisa Miller, Stiffelio, Rigoletto, Trovatore, Traviata, I
Vespri Siciliani.
Il Falstaff
Pel suo Falstaff ha preso
pochissimi appunti che
occupano solo due pagine: poi scrisse addirittura tutte le parti vocali
sulla carta da partitura
con una sicurezza che eccita la più alta meraviglia e che prova la facilità del concepire intero
il lavoro vocale ed istrumentale.
portata dalla campagna
di Sant’Agata a Cremona
e consegnata all’editore
Giovanni Ricordi per cavarne le parti necessarie
all’esecuzione.
Che più? … ecco alcuni
dati esatti e forse conosciuti per la prima volta.
Nel 1853 (in realtà 1852,
n.d.r.) Verdi aveva preso
l’impegno di scrivere
due opere: una per il
Teatro Apollo di Roma,
l’altra per la Fenice di
Venezia. La composizione dei libretti aveva richiesto molto tempo: si
era in autunno avanzato
ed il Maestro non aveva
ancora scritto una nota:
lo tormentava inoltre un
rauma al braccio
destro, che sperava dovesse andarsene da un
giorno all’altro;
ma il rauma persisteva e … niente musica! Precisamente il 1° novembre
1852
Verdi comincia
ad ideare e comporre Il Trovatore
– il 29 dello stesso mese l’opera
non solo è composta, ma è anche interamente
istrumentata: il
30 la partitura è
Le partiture verdiane sono esattissime e nitide: la
chiarezza di concepimento che il Maestro ha
nel comporre, la si ritrova anche nel periodo
delle prove, le quali sono
già da lui prestabilite, si
svolgono perfettamente
secondo il programma
ideato e l’opera è pronta
per l’andata in scena all’epoca designata lungo
tempo innanzi. Non è
vero che Verdi sia burbero e di severità eccessiva,
come comunemente si
crede: anzi è precisamente il contrario. Di
una esattezza militare, si
reca al teatro per l’ora
fissata; pretende però, e
con molta ragione, che
tutti gli artisti siano esatti come è lui, e quindi
non vuole alcuna perdita
di tempo. Appena entrato nella sala delle prove e
salutati i presenti, subito
comincia lo studio: Verdi
è paziente assai, sa fino a
quale punto giungono i
mezzi vocali e l’intelligenza d’ogni singolo artista e sa trarne il maggior frutto possibile.
Chiede innanzi tutto una
chiara, esatta pronuncia,
perché dice, è necessario
che il pubblico capisca e
si interessi a ciò che vogliono esprimere i personaggi: in un verso segna
quella data parola che
deve richiamare l’attenzione degli ascoltatori,
non solo, ma persino talvolta la sillaba che deve
pronunciarsi più marcatamente. Non vuole che
si alteri la frase od il ritmo con inutili corone e
rallentandi: cura ogni battuta, ogni nota: per ottenere una dizione elegan-
Le prove
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
S
9
Il nome dell’osteria dove è ambientata la vicenda
iuseppe Verdi
te fa ripetere una battuta
10, 20, 30 volte e lo stesso
fa per l’esatta pronuncia
di una vocale, non poche
volte alterata dai così
detti famosi metodi di
canto!
Quando la parte musicale è perfettamente saputa, Verdi comincia a dar
colore ai vari personaggi:
indica a ciascuno qual è
il tipo che vuole si rappresenti e quindi quale
dev’essere l’espressione
vocale e della fisionomia.
Tutti gli artisti stanno attorno al pianoforte, seguono attentamente le
indicazioni del maestro e
cercano di interpretarle,
mentr’esso accenna a
mezza voce le inflessioni
del canto. E’ questo il vero punto di partenza della così detta messa in scena: le parti che servono
allo studio sono poco a
poco, quasi iscientemente, abbandonate sul pianoforte: l’artista se ne allontana, «comincia a vestire», come dice il Maestro,
l’abito del personaggio e
declamando o cantando
indica con vigoria come
deve interpretarsi.
Dalla sala delle prove si
passa poi sul palcoscenico: alle voci si uniscono
gli istrumenti e nulla
sfugge a Verdi. La cura
minuziosa che egli ha
posto nell’istruzione dei
cantanti, già fu da lui
usata per le scene e pei
costumi, che esamina,
studia in ogni dettaglio:
egli è il vero creatore dell’opera sua, egli vi imprime la sua possente vitalità e così in un tempo relativamente brevissimo
in confronto al minuzioso studi di tutti i dettagli,
il nuovo lavoro è pronto
per affrontare la battaglia artistica della prima
rappresentazione.
Verdi ha compiuto nell’ottobre scorso 79 anni;
epperò è ormai entrato
nell’80° anno, conservando intatta una fantasia
giovanile, una memoria
ferrea, un vigore addirittura miracoloso.
Vuolsi una prova dell’attività di Verdi?… Basterà
dire quale fu il suo lavoro durante le prove del
Falstaff: dalle 9 alle 10? di
mattina revisione della
partitura, delle parti, delle riduzioni; dalle 12? alle 4 ? pom. prova in teatro; molte volte dalle 5 alle 6 prova parziale con
qualche artista nel salotto dell’Hotel Milan; dalle
8 ? alle 11? pom. altra
prova in teatro!
E dopo questo programma di attività personale,
che più resta a dire? Non
è naturale conseguenza il
concludere con questo saluto: A rivederci presto, o
giovane Maestro ?
Giulio Ricordi
Quella giarrettiera simbolo d’Inghilterra
furono tramandati oralmente, finché Enriir John Falstaff beve e conta i propri
co VIII li modificò, riformandoli nel 1522.
pochi soldi nell’Osteria della GiarretL’insegna dell’Ordine, di cui è Gran Maetiera. Un nome, quello del locale, che
stro il Re, fu la Giarretda secoli accompagna
tiera, alla quale vencome simbolo la monero successivamente
narchia inglese e la
aggiunti il collare
stessa Gran Bretagna.
(composto di 26 piccoGiarrettiera è, infatti,
le giarrettiere azzurre
il nome del prestigiocon il motto in oro, disissimo Ordine suprevise alternativamente
mo di quella Casa
da rose rosse e bianReale, che viene conche), il medaglione di
cesso solo a personagS. Giorgio sospeso ad
gi d’altissimo prestiuna fascia azzurro
gio e – per non inflascuro (che, al contrario
zionarlo - solo a Re
degli altri ordini, viene
d’altri Stati, ma non a
portata dalla spalla siPresidenti della Renistra al fianco destro)
pubblica, destinati
e la placca. La Giarretquesti a rimanere in
tiera è di velluto azcarica per un mandato
zurro e viene portata
a tempo. Esso è il più
alla gamba sinistra daantico di quelli tuttora
gli uomini ed al bracesistenti, precedendo
cio dalle dame.
nella data di fondaI Cavalieri si riuniscozione di 12 anni il sa- Umberto I, re d'Italia, in abito dell’ordine
no in Capitolo nel cabaudo Ordine della
stello di Windsor una volta l’anno il 23
Santissima Annunziata (1362) e di 79 quelaprile, festa di S. Giorgio, patrono di Inlo del Toson d’Oro (1429) della Casa Impeghilterra e dell’Ordine.
riale d’Austria e di quella Reale spagnola.
Non mancò, durante la prima guerra mondiale, un episodio destinato ad attrarre la
Galeotta fu la giarrettiera
pubblica attenzione su vari illustri Cavalieri della Giarrettiera. Fin dagli inizi delle
Molto si è fantasticato sull’origine dell’Orostilità era stata notata l’inopportunità che,
dine della Giarrettiera. Una tradizione vuosecondo la legge dell’Ordine, gli Imperatole che la sera del 9 gennaio 1350 durante un
ri Francesco Giuseppe e Guglielmo II, il
ballo a Corte, l’avvenente Contessa di SaliKronprinz, il Re del Württemberg ed altri
sbury, amante del Re, perse una giarrettieprincipi tedeschi, insigniti di tale alta dira che Edoardo III si affrettò a raccogliere
gnità equestre, continuassero a tenere i lorestituendola alla Contessa, chiedendo l’oro stendardi araldici nella Cappella di
nore di cingergliela alla gamba. I cortigiani
Windsor, ove quotidianamente i sacerdoti
non risparmiarono un malizioso sorriso ed
invocavano la divina protezione per tutti i
il Re pronunciò ad alta voce la frase rimasta
membri dell’Ordine, unendo così nella prefamosa: «Honny soit qui mal y pense!», che
ghiera anche i condottieri degli eserciti avdivenne il motto dell’Ordine. Una differenversi. Il Re d’Inghilterra, dopo
te versione afferma invece che la
la vibrata protesta di un noto
protagonista fosse la Regina Filipgiornalista che minacciò di repa d’ Hainault, consorte di Edoarcarsi con altri cittadini nella
do III, la quale, offesa dal sorriso
Cappella di Windsor per toglieirriguardoso dei cortigiani, rivolre con la forza i gonfaloni e dose loro la famosa frase.
po il gesto del Kaiser GuglielAltri, sostengono che l’Ordine
mo che ripudiò pubblicamente
prese il nome di Giarrettiera pertutte le onorificenze inglesi
ché Edoardo III nella battaglia di
tranne la più alta, intervenne
Crécy, il 25 agosto 1346, iniziò
come Capo Supremo dell’Ordil’assalto sventolando un legaccio
ne, ordinando di radiare dalfermato sulla punta di una lancia,
l’albo dei Cavalieri della Giardando come parola d’ordine la
da fascia dell'Or- rettiera gli Imperatori di Gerparola “garter”, che significa giar- Pendente
dine della Giarrettiera
mania e d’Austria, il Re del
rettiera. Non manca, infine, chi
Württemberg, il Lamgravio d’Assia, il
sostiene che Edoardo, istituendo l’Ordine,
Principe Enrico di Prussia, i Duchi di Sasvolle dimostrare che non aspirava a domisonia, Coburgo-Gotha e Cumberland. L’enare la Francia e perciò aveva deciso, apnergica deliberazione del Re placò i malupunto, di dare all’insegna il colore azzurro,
mori ma accrebbe di colpo, nel libro che a
simile a quello del campo dello scudo dei
Windsor è affidato al Decano dell’Ordine,
Borbone, stabilendo il motto in francese
l’elenco dei Cavalieri radiati, che fino ad alperché fosse comprensibile agli avversari.
lora comprendeva un solo nome, quello
Qualunque sia la versione veritiera, l’Ordidel Duca di Buckingham, privato della dine venne istituito da Re Edoardo III in onostinzione nell’età tudoriana per aver infanre di Dio, di Maria e dei Santi Edoardo e
gato il proprio nome.
Giorgio e poi riconosciuto ed approvato da
Papa Clemente VI. Gli statuti inizialmente
Andrea Marini
10
Falstaff
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’impronta del Falstaff sul teatro del compositore tedesco
N
Verdi e Richard Strauss:
la maschera e la fuga dal tempo
vina arte – la musica, per
asce come una
trovare in questo l’invitacreazione solitamento per nuova ispirazioria e magnifica il
ne e creazione - …» In
Falstaff di Verdi, tanto
queste parole c’è qualpiù sorprendente quancosa di più della palese
to più lontana da ogni
captatio benevolentiae del
riferimento alla tradigiovane compositore, ai
zione comica italiana,
suoi primi passi in camstaccata da qualsiasi anpo teatrale, nei confrontecedente storico, opera
ti del più anziano ed
senile e nello stesso temesperto maestro. Poco
po incredibilmente mointeressa se Verdi abbia
derna, capace di rivelareffettivamente letto e
si esemplare nei futuri
valutato la partitura di
sviluppi del teatro muGuntram, cosa peraltro
sicale europeo. Quando
improbabile, consideil
giovane
Richard
rando che egli non conoStrauss ha l’opportunità
sceva il tedesco, e quindi ascoltarla a Weimar,
di non avrebbe potuto
l’8 aprile del 1894, non
esprimere un giudizio
può trattenersi dall’esulla musica prescinsprimere tutta la prodendo dalla comprenpria incondizionata amsione della vicenda narmirazione nei confronti
rata. La sua lettera di ridel suo autore, superansposta è infatti abbado in un istante i pregiustanza vaga in proposidizi fino ad allora nutrito, ma l’apprezzamento
ti nei confronti della
di un astro nascente rimusica operistica italiaguardo alla sua ultima
na. La lettera indirizzata
fatica deve averlo coa Verdi, vergata in un
munque lusingato.
italiano faticoso ed apLa ricerca di vie nuove
prossimativo, è esemMa cosa spinge realplare dell’improvviso
mente Strauss a scrivere
mutamento di prospettiva. «Illustrissimo
signore! Assaissimo
conoscente da propria esperienza sicome molestono dedicazioni, oso pertanto
la preghiera, V.S. il
vero maëstro del
dramma lirico italiano voglia benignamente accettare in
segno d’omaggio ed
ammirazione
un
esemplare di Guntram come mia prima prova di questo
genere. Non trovando parole per esprimere la grande impressione, che mi fece la straordinaria
bellezza di Falstaff e
non potendo altrimenti significarle la Giuseppe Verdi
mia gratitudine per
questo irrefrenabile atquesta ricreazione dell’intestato di stima, quale è
teletto, pregho la V.S. di
la peculiarità che tanto
voler almeno accettare lo
lo attrae nella musica di
spartito. Sarei felice se mi
Falstaff? In primo luogo
si presentasse una volta
non dobbiamo dimentil’occasione di aver un colcare che egli, all’epoca
loquio con V.S. sopra la di-
della scena. Di questi indi Guntram, è ancora alla ricerca di una propria
segnamenti Strauss farà
individualità in campo
tesoro (si pensi ad Intermezzo, o a Capriccio) e,
operistico, considerantenendo costantemente
do il peso immenso e
presente l’ideale mozardifficilmente eludibile
dell’eredità wagneriana. L’intera carriera di
Strauss è caratterizzata dal tentativo di sfuggire
l’influsso prepotente del suo geniale predecessore, la cui ombra
lo segue minacciandolo costantemente. Nel Falverdiano
staff
egli intuisce allora una nuova
via, la possibilità
di intraprendere
un cammino autonomo in ambito teatrale. Forse
solo nella sua ultima opera il
compositore di
Busseto raggiunge veramente l’i- Richard Strauss
deale shakespeatiano, li tradurrà in una
riano, quell’ineguagliata
poetica estremamente
capacità di far convivere
ermetica, sempre in biliil comico ed il
co fra significati contratragico, renstanti. E’ proprio in quedendo la vita
sta dicotomia fra realtà
umana in tutta
ed apparenza che Falla sua pienezza
staff segna in maniera
(in realtà la
indelebile
il
teatro
contaminaziostraussiano. I personagne fra gioco e
gi che agiscono nell’odramma inizia
pera sembrano infatti
con il Ballo in
Maschera, per
specchio dell’animo del
proseguire nelprotagonista, quasi vila Forza del Desioni scaturite dai suoi
stino, le cui scedesideri e dalle sue paune
“buffe”
re. Il bosco incantato nel
sembrano, coquale si svolge la mamunque, ancoscherata conclusiva è la
ra
tentativi
metafora più approprianon perfettata per descrivere una
mente compiurealtà nebbiosa, difficilti). Ne consemente decifrabile, e non
gue che anche
è un caso che le poetiche
lo stile non è
della finzione e della
più univoco,
metamorfosi costituima risulta coranno la cifra più autenstantemente solcato da
tica
dell’ispirazione
una punta di sarcasmo e
straussiana. E’ dunque
di ironia. Le idee musinell’ambiguità che risiecali nascono dalla parode la modernità di Falstaff, la sua importanza
la, ed il “canto di conin un’epoca che in breve
versazione” si impadroavrebbe assistito ai più
nisce quasi interamente
rapidi e radicali stravolgimenti. Le frequenti incursioni nel campo della
commedia da parte di
Strauss rappresentano
esse stesse l’adozione di
un
travestimento, la necessità di mettere in gioco un
meccanismo
per sopravvivere al dramma
che sconvolge
l’Europa
nei
primi decenni
del Novecento,
eludendo l’irrazionalità della
storia e la condanna
della
temporalità. E’
proprio il senso
dell’inevitabile
trascorrere del
tempo che accomuna il lamento
della
Marescialla allo
specchio
nel
Rosenkavalier
alla rievocazione della giovinezza (“Quand’ero paggio”) in Falstaff, anche se
all’inconsolabile tristezza della prima fa riscontro l’arguzia apparentemente spensierata del
secondo.
Se Strauss, almeno nella
seconda parte della sua
carriera, cerca una utopica negazione della
temporalità, l’anziano
Verdi, ormai consapevole che Falstaff sarà la
sua ultima fatica, può
guardare al mondo con
sguardo distaccato e
partecipe al tempo stesso. Egli, da una prospettiva totalmente laica,
non ha alcuna speranza
trascendente, scrive solamente per sé stesso, e
dunque prova gusto nel
nascondersi in una vicenda dai significati
sfuggenti,
operando
una riflessione amara
ma serena sui destini
dell’uomo, scrivendo
una parola definitiva
sulla sua straordinaria
esperienza artistica.
Riccardo Cenci
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
11
Un opera equilibrata, frutto della saggezza e dell’esperienza dell’autore
Falstaff, capolavoro nuovo ed antico
F
Il finale della prima scena del primo atto in un disegno di G. Amato
alstaff giunge alla
conclusione della
parabola creativa
verdiana. Ma non è semplice comprendere il
rapporto di questa composizione - e di questo
spettacolo - con tutta la
produzione precedente
del Maestro di Busseto;
come mai un’opera comica («e non un’opera buffa», come tenne a precisare Giuseppina Strapponi in una sua lettera)
dopo tante vicende quasi
tute a conclusione tragica? E in realtà il linguaggio musicale di questa
partitura è profondamente diverso da quello
di tutte le opere precedenti; esso procede per
brevi incisi, volutamente
indipendenti l’uno dall’altro; è quello che Massimo Mila ha icasticamente definito come lo
stile dell’ “aforisma musicale” – uno stile che caratterizza tutta la produzione dell’ultimo Verdi –
lo si ritrova nei Pezzi sacri, estrema fatica compositiva del Maestro. E
tuttavia vi sono connessioni altrettanto importanti, non solo con tutta
la precedente produzione verdiana, ma anche
con la tradizione musicale europea. In quest’opera quello che era tradizione italiana – le belle
“arie”, i cori, i pezzi
d’assieme – viene per così dire riassorbito in una
concezione creativa più
ampia, che si rifà non
più a modelli vocali,
bensì ad esempi strumentali. I personaggi
femminili - le quattro allegre comari di Windsor
-, come quelli maschili
quando cantano insieme,
si atteggiano come un
quartetto per archi: Alice
e Nannetta - come Fenton e Bardolfo - sono i
due violini; Meg - come
Ford - è la viola, e
Quickly - come Pistola è il violoncello. In questa
prospettiva stilistica si
muovono le voci - e si atteggiano i personaggi durante tutta la seconda
scena del primo atto, nel
giardino della casa di
Ford; e così si comportano anche nel momento
più complesso dell’azione, la scena del secondo
atto che si conclude con
il rovesciamento del protagonista dal balcone nel
Tamigi. E ancora: l’opera
che si conclude con una
monumentale fuga cui
partecipano tutti i personaggi si era aperta con
una scena la cui articolazione si rifà ad un’altra
struttura
tipicamente
strumentale, quella della
forma-sonata. In questo
senso Falstaff diventa
una sintesi stilistica del
linguaggio musicale a livello europeo – cosa del
tutto incompresa dai critici e dagli osservatori
contemporanei al vecchio Maestro.
Come dobbiamo inter-
pretare sul piano della
drammaturgia questo
mutamento stilistico?
Come dobbiamo ‘leggere’ e capire, all’inizio del
XXI secolo, questa vicenda e quest’ opera? In tutto il suo precedente teatro Verdi aveva interpretato con implacabile attenzione la fisionomia e
gli atteggiamenti degli
esseri umani; ne dà ora
una lettura altrettanto
implacabile, ma in chiave decisamente ironica; a
partire dalla tronfia vanagloria del panciuto
protagonista, attraverso
la violenta e immotivata
gelosia di Ford fino allo
scanzonato prendere in
giro di tutti gli altri personaggi da parte delle
quattro comari; né manca l’attenzione benevola
alla leggerezza giovanile
nei brevi – ma importanti – episodi ‘amorosi’ tra
Nannetta e Fenton: L’opera si muove quindi in
un continuo variegare di
situazioni sceniche, ed è
da qui che nasce l’esigenza dello stile dell’
”aforisma musicale”. Ma
la conclusione, sublimata attraverso la forma
della fuga, è ben la stessa
con la quale si concludevano le opere precedenti: «Tutto nel mondo è burla» ne è l’amara, pessimistica constatazione; ma è
la stessa pessimistica
conclusione cui erano
giunti Rigoletto («Ah, la
maledizione!») e Simon
Boccanegra («Tutto finisce, o figlia») e tutte le altre storie che Verdi ci
aveva nel tempo raccontato. Solo che qui il pessimismo è attenuato dall’olimpico distacco che è
consentito a chi ha raggiunto nell’estrema maturità l’equilibrio della
perfetta saggezza.
Pierluigi Petrobelli
Professore emerito di
Storia della Musica
Università La Sapienza, Roma
Falstaff
12
N
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il musicista ed il librettista delle ultime due opere
Verdi e Boito: storia di una travagliata amicizia
el 1861 l’allora
diciannovenne
Arrigo
Boito
(1842 – 1818), scrittore e
compositore, e l’amico
musicista Franco Faccio
(1840 – 1891) che fu poi
il primo concertatore
dell’Otello di Verdi, ottennero dal Ministero
della Pubblica Istruzione una borsa di studio
di 2000 lire a testa per
andare a Parigi. Nella
capitale francese i due
giovani musicisti frequentarono
assiduamente i teatri e l’ambiente intellettuale. E lì,
Boito incontrò per la
prima volta Giuseppe
Verdi, il quale, di ritorno da San Pietroburgo,
aveva ricevuto l’incarico
di comporre una marcia
per l’Esposizione Universale di Londra dell’anno successivo. Verdi, restio a composizioni
di circostanza, dopo
aver saputo che anche
Auber stava scrivendo
una Marcia, optò per un
Inno del cui testo incaricò proprio il giovane
Boito. Nacque così l’Inno delle Nazioni e fu
quella la prima occasione di collaborazione fra
i due artisti. Un incontro
felice, tanto che Verdi
scrisse poi al giovane
letterato: «Mentre vi ringrazio del bel lavoro fattomi, mi permetto di offrirvi,
come attestato di stima,
questo modesto orologio.
Aggraditelo di cuore, come
io di cuore ve l’offro».
vissuti nel capoluogo
lombardo. Fra questi,
appunto, Boito che ne fu
tra i principali esponenti. Gli Scapigliati animarono un vivace dibattito
che coinvolse il mondo
letterario e quello musicale, in un’accesa critica
all’arretramento della
nostra cultura rispetto a
quella europea. Una critica che non risparmiò
alcuno, neppure Verdi.
E fu proprio Boito a usare parole forti. Nell’ode
All’Arte Italiana, improvvisata per festeggiare Faccio, Boito affermava: «Forse già nacque/
chi sovra l’altare/Rizzerà
l’arte, verecondo e puro,/
Su quell’altar bruttato come un muro/Di lupanare».
Versi che non fecero certo piacere a Verdi. E altrove, nel denunciare la
totale dipendenza della
musica italiana dall’opera, Boito dettava la ricetta per la reazione:
«L’opera in musica del
presente per aver vita e
gloria e per toccare gli alti
destini che le sono segnati
deve giungere a parer nostro: la completa obliterazione della formula; la
creazione della forma; l’attuazione del più vasto sviluppo tonale e ritmico possibile oggi; la suprema incarnazione del dramma».
In realtà Boito parlava
in generale, non faceva
riferimenti precisi a Verdi, per il quale provava
Lo scontro a distanza
L’amicizia fra Verdi e
Boito ricevette però una
brusca
interruzione.
Proprio nel 1862, infatti,
con la pubblicazione del
romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio di Cletto
Arrighi prendeva avvio
il movimento della Scapigliatura che si sarebbe
protratto più o meno fino al 1890. Movimento
culturale anche piemontese e genovese, la “Scapigliatura” fu un fenomeno essenzialmente
milanese, alimentato da
un gruppo di intellettuali nati o comunque
Arrigo Boito e Giuseppe Verdi
Arrigo Boito
profonda stima. Ma
Verdi si sentiva sotto tiro e, non a caso, pochi
anni dopo, terminate le
fatiche per Aida si mise a
riposo, alternando soggiorni a Genova a periodi più faticosi nei suoi
poderi di Sant’Agata.
Intanto Boito aveva vissuto l’esperienza tragica
dei fischi che nel 1868
avevano accolto alla
Scala la prima edizione
del suo Mefistofele. Poi,
nel 1875 la rivincita a
Bologna con la nuova e
definitiva revisione ap-
plaudita e celebrata. Ma
lo stesso Boito era ben
consapevole che il teatro
italiano non aveva ancora trovato l’erede di
Verdi e che il Bussetano
era comunque l’unico in
grado di rilanciare l’opera nostrana in concorrenza con l’esperienza
wagneriana e con quella
francese.
Un’amicizia ritrovata
Ricordi e Boito, dunque
si allearono e convinsero Verdi a rivedere am-
piamente il contestato
Simon Boccanegra di
Piave. Fu una sorta di
prova per la coppia Verdi-Boito: e il successo
spianò la strada ai due
estremi gioielli verdiani,
Otello (1887) e Falstaff
(1893).
Boito divenne, dagli anni Ottanta, grande amico di Verdi. Il carteggio
fra i due fu fittissimo,
frequenti le visite a Genova e a Sant’Agata. E il
più giovane artista ha
anche lasciato una serie
di appunti e ricordi sul
collega più anziano. Vi
si legge, tra l’altro una
curiosa analisi dei suoi
gusti culinari: «Ama i
pranzi prolissi e le opere
concise. Cucina poderosa
dei vecchi tempi. Gli piace
anche la moderna, ma
quando è all’hotel è finissimo assaporitore. Ma a casa
sua vuole le grandi fette di
bue condite colla mostarda
di Cremona, i funghi in
aceto, la salsa verde. Quasi
tutta la sua vita mangia a
desinare un mezzo uovo
sodo dopo l’arrosto. Il suo
desinare in casa è composto di antipasti, d’una minestra per solito sostanziosa (risotto, pasta asciutta,
ravioli in brodo), d’un
piatto di carne lessa, d’una
di frittura abbondante,
d’un arrosto, d’un dolce,
formaggio, dessert vari.
Un’ora dopo il desinar,
fabbrica lui stesso il caffè>.
Alla morte di Verdi, il
27 gennaio 1901, Boito
rimase sconvolto. Scrisse all’amico Bellaigue:
«Mio caro amico, ho perduto nella vita persone
idolatrate, il dolore è sopravvissuto alla rassegnazione, ma non mi sono mai
sorpreso in un sentimento
di odio contro la morte e di
disprezzo contro questa
potenza misteriosa, cieca,
stupida, trionfante e vile.
Era necessaria la morte di
questo nonagenario per risvegliare in me questa impressione. La odiava anche
lui, perché egli era la più
potente espressione di vita
che si potesse immaginare;
la odiava come la pigrizia,
l’enigma e il dubbio».
Roberto Iovino
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
13
S
I ricordi della vita allegra e disordinata a Stratford on Avon
I
I teatri di Londra all’epoca di Shakespeare
Falstaff quasi un autobiografia del giovane Shakespeare
ir John Falstaff, il più burlesco dei personaggi creati
dall’immaginazione
di
Shakespeare, è il carattere che
maggiormente
raccoglie nell’intimo le impressioni giovanili del drammaturgo, legati
alla allegra e disordinata esistenza dei suoi
primi anni trascorsi nella natia Stratford on
Avon.
«Tutto il mondo
è teatro», si legge sullo stendardo collocato
all’entrata del
Globe Theatre, il teatro di
Shakespeare; il mondo Stratford
e quello della vicina Bedford,
con le sue malfamate locande
frequentate da ladrucoli, truffatori e ubriaconi, rappresentano
lo scenario ideale per ambientare la vita del corpulento Falstaff, emblema di un approccio
alla vita dissoluto ed epicureo,
come quello del
giovane Shakespeare, che amava li cimentarsi
in gare a tazze di
birra con i bevitori locali..
La cittadina di
Stratford upon
Avon, nella contea del Warwickshire, gode della
fama lasciategli
in eredità dal
poeta. Da secoli
è invasa in ogni
periodo dell’anno da una moltitudine di turisti e curiosi.
Nel “Libro degli schizzi”, pubblicato tra il 1819 e il 1820, Washington Irving racconta della
sua visita Stratford, a cominciare dalla casa in Henley Stree do-
ve nacque Shakespeare, descrivendola così: «E’ una casetta di legno sbiancata e di meschina apparenza, dalle stanze
squallide, le cui parete
sono tutte coperte di
nomi e di iscrizioni in
ogni lingua, lasciatevi
dai viaggiatori d’ogni
nazione, d’ogni classe, d’ogni grado, La casa natale di Shakespeare a Stratford on Avon
incominciando dal
va cacciando di frodo un cervo
principe e scendendo fino al contanel parco di sir Thomas Lucy,
dino…».
sceriffo della contea di Warwick.
Altre allusioni alla vita burraArrestato da questi, fu condanscosa del giovane Shakespeare a
nato a pubblico biasimo. ShakeStatford on Avon si ritrovano
speare si vendicò dell’offesa con
anche nelle Allegre comari di
l’arma della penna: nelle Allegre
Windsor.
comari di Windsor, lo scudiere e
Nel testo Shakespeare. Sulle tracce
giudice di pace Roberto Shallow,
di una leggenda di Samuel
canzonato per l’inutile cura che
Schoenbaum, si racconta di coegli si dava nel custodire la sua
me il drammaturgo dovette abselvaggina e la moglie, è proprio
bandonare la propria casa e tralo sceriffo Lucy.
sferirsi a Londra, perché fu colto
L. C.
in fragranza di reato, mentre sta-
Quel Globe Theatre, capostipite nato sul fango del Tamigi
l fiorire della drammaturgia inglese inizia ancor prima della costruzione di sedi espressamente adibite alle rappresentazioni teatrali. Nel 1558, anno che segna l’inizio del
prolifico regno di Elisabetta I, non esisteva alcun teatro stabile a Londra. Compagnie di girovaghi commedianti – gli strolling
players - si esibivano all’interno di malfamate locande, dove era possibile assistere alle messe in scena
dalle finestre o dalle balconate interne, che fungevano da loggioni. L’edificazione del primo teatro si
deve a James Burbage, attore della compagnia protetta
dal conte di Leicester, che
intravide nella costruzione
di una struttura stabile per
le rappresentazioni teatrali
una possibile fonte di denaro. Preso in affitto un terreno a Shoreditch, nella periferia londinese, vi costruì
nel 1577 il primo teatro inglese, che fu chiamato semplicemente: The Theatre. Ne
seguirono presto molti altri, tutti di legno ed edificati sul modello delle corti di
locanda. Nel 1599, dopo
l’annullamento del contratto di affitto del terreno, The
Theatre venne ricostruito
nel Bankside, su un terreno
melmoso sulle rive del Tamigi; nasceva così il celebre
Globe Theatre, dove lo stesso
torno ad una platea aperta
al centro, che conservava il
nome di corte. In questo
spazio scoperto, soggetto
quindi al sole e alle intemperie, gli spettatori potevano assistere alla messa in
scena stipati in piedi. Le
pagare uno scellino, normalmente eleganti gentiluomini. Essi così si trovavano al riparo dalla pioggia
e se pagavano un altro scellino potevano avere anche
uno sgabello. Il palcoscenico era protetto da un tetto
Il castello di Windsor dove fu rappresentata la commedia Le allegre comari di Windsor
Shakespeare calcò più volte
la scena come attore. In
quei tempi a Londra esistevano sette teatri, che oggi
assomiglierebbero più a luride stamberghe che a luoghi di intrattenimento.
In genere questi teatri venivano edificati secondo una
pianta poligonale, per ottenere un effetto circolare at-
rappresentazioni teatrali
affascinavano tutte le classi. Vi partecipavano nobili
e principi, popolani e contadini, donne e bambini,
grazie ad un biglietto che
era alla portata di tutti. Il
pubblico della platea scoperta era esposto alle intemperie. Sulla scena stavano gli spettatori capaci di
ed era rialzato di circa un
metro e mezzo dal terreno.
Ai tempi del teatro elisabettiano ancora non veniva
utilizzato il sipario, ne’altri
effetti scenici. La mancanza di allestimenti scenografici era ovviata dalla bravura degli attori, che con le
sole capacità mimiche e
verbali riuscivano a creare
con maestria mondi invisibili e luoghi fantastici. Il
pubblico in platea partecipava attivamente e rumorosamente alla rappresentazione. Non era inusuale,
infatti, che si scatenassero
risse tra gli spettatori divisi
a favore o contro un personaggio, o che fossero lanciati sul palco oggetti di
ogni specie e generi alimentari che il pubblico
usava consumare durante
le rappresentazioni.
Shakespeare, già molto popolare al pubblico dell’epoca, ebbe anche l’onore di
veder rappresentate le sue
opere davanti al nobile
pubblico del castello di
Windsor. Secondo la tradizione, la regina Elisabetta
in persona ordinò al drammaturgo la composizione,
entro quattordici giorni, di
una commedia, dove fosse
protagonista il farsesco sir
John Falstaff, che tanto l’aveva divertita nell’Enrico
IV. Shakespeare scrisse così le Allegre comari di Windsor, in cui i vizi di Falstaff
venivano messi in burla ed
infine smascherati.
L. C.
Falstaff
14
«T
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il nettare degli dei nell’opera
L’apoteosi del buon vino
averniere, un bicchier
di vin caldo». Falstaff,
inizio atto III, esterno
dell’Osteria della Giarrettiera.
Falstaff è seduto su una panca.
Stremato e infradiciato, fa la
sua ordinazione al taverniere
con un filo di voce. Di vin caldo
ha indubbiamente bisogno. Alla fine dell’atto precedente, attirato con un tranello ad un finto
appuntamento galante, l’impenitente rubacuori, a dispetto
della non più verde età (ha 80
anni come il suo autore, Verdi)
era finito in una cesta dei panni
e con quella gettato nel Tamigi:
«che se non galleggiava certo
affogavo». E, aggiunge: «Brutta
morte, l’acqua mi gonfia», su un
crescendo orchestrale che richiama alla tecnica dei madrigalismi cinquecenteschi.
La disavventura, al di là dello
scampato pericolo, sembra lasciare il segno in Falstaff che
improvvisamente si sente vecchio, solo in un mondo che declina. «Non c’è più virtù» constata sconsolato e canta autocommiserandosi con lo slancio di
un autentico eroe romantico:
«Va, vecchio John, va, va, per la
tua via, cammina finché tu muoia.
Allor scomparirà la vera virilità
Dulcamara ed il suo Elisir
dal mondo».
Finalmente gli viene servito il
bicchiere di vino, annunciato da
un’orchestra nuovamente vivace e frizzante. Falstaff cambia
umore: «Versiamo un po’ di vino
nell’acqua del Tamigi», dice allegramente. E poi, sorseggiando
con calma, dopo essersi sbottonato il panciotto, fermo al sole,
si lascia andare ad una delle più
belle esaltazioni delle virtù terapeutiche del vino: «Il buon vino sperde le tetre fole dello sconforto, accende l’occhio e il pensier, dal
labbro sale al cervel e qui risveglia
il picciol fabbro dei trilli (e l’orchestra si anima trillando nei
fiati). Un negro grillo che vibra
entro l’uom brillo. Trilla ogni fibra
in cor, l’allegro etere al trillo guizza e il giocondo globo squilibra una
demenza trillante! E il trillo invade il mondo!».
Non sempre
simbolo di riconciliazione
La riconciliazione con l’umanità è siglata da Falstaff con un
semplice boccale di vino, sicuro
espediente per guardare intorno a sé con occhi più benevoli
ed animo sereno.
Il termine “brindisi” ha origini
probabilmente tedesche. I lanzichenecchi alzando il bicchiere esclamavano
“bring dir’s”, “lo offro a te”. Un’offerta
amichevole, dunque,
non sempre, tuttavia,
accettata con altrettanta bonomia.
È il caso della celebre
scena di Cavalleria
rusticana (1890). Alfio ha saputo da Santuzza che sua moglie
Lola se la intende
con Turiddu, il vinaio. Dopo la funzione pasquale, i paesani sono riuniti nella piazza su cui si af- Falstaff in un quadro di Eduard von Grützner (1896)
faccia l’osteria di
nebri a voluttà». La risposta di
mamma Lucia e Turiddu offre
Violetta, sulla stessa melodia, è
da bere a tutti. Il canto è appaun’esortazione a godere l’atrentemente gioioso: «Viva il vitimo fuggente: «Tra voi, saprò dino spumeggiante/ nel bicchiere
videre il tempo mio giocondo;/ tutscintillante /come il riso dell’ato è follia nel mondo/ ciò che non è
mante/ mite infonde il giubilo/ Vipiacer».
va il vino che è sincero/ che ci alAnche nel 2° atto di Carmen,
lieta ogni pensiero/ e che affoga l’ul’entrata di Escamillo è salutata
mor nero/ nell’ebbrezza tenera».
con una richiesta di brindisi.
La sincerità del vino contrasta
Sarà poi Carmen a mettere il
con l’inganno dei due amanti e
bicchiere nelle mani del torero.
la festa è bruscamente interrotta
Tutti bevono, scambiano strette
dal gesto di Alfio che rifiuta il
di mano con il toreador che subicchiere: «Grazie, ma il vostro
bito dopo approccerà la bella e
vino io non l’accetto: diverrebbe
caliente sigaraia.
veleno entro il mio petto».
Nel primo atto dell’ Elisir d’AÈ il segnale della tragedia. Mamore Donizetti fa una splendida
scagni cambia toni, l’orchestra
apoteosi del vino spacciato per
si incupisce. Turiddu comprenelisir. E raccomanda:« La bottide di essere stato smascherato:
glia un po’ si scuote, poi si stappoche parole, l’appuntamento
pa ma, bada ben che il vapor
dietro l’orto. C’è solo il tempo
non se ne vada, poi al labbro
per un saluto alla madre e di lì
l’avvicini, e lo bevi a centellini,
a poco si sentirà l’urlo: «Hanno
e l’effetto sorprendente non è
ammazzato compare Turiddu».
tardi a conseguir!». Poi alla doBrindisi, dunque, foriero di
manda di Nemorino «E il saposventure. In un altro caso, invere?», Dulcamara risponde «Ecce, è portatore di amore e di
cellente! (sottovoce) E’ Borpassioni tenere, anche se destideaux, non (ridendo) Elisir!».
nate a sfociare ancora in dramIn una pur rapida carrellata su
ma.
libagioni non poteva mancare il
Se è vero che la musica di Verpersonaggio più sfrenato, indi è colma di lambrusco fino alcontenibile e amorale della stol’orlo, è anche vero che la pasria del teatro, Don Giovanni.
sione amorosa fra Violetta e AlNel primo atto dell’opera mofredo scoppia in Traviata grazie
zartiana (1787), il leggendario
ad un morbido e frizzante
rubacuori, irrompe in scena per
champagne. Nel famoso brindiaggredire lo spettatore con un
si del primo atto, Alfredo alzancanto di violenta e baldanzosa
do la coppa (i calici si dicono
vitalità: «Fin ch’han dal vin/ calispirati alle rotonde forme del
da la testa/ una gran festa/ fa
seno della Pompadour, forma
preparar».
assai più allettante di quella
Vino, danza, amore. La trinità
usata per il “flûte”) canta su
perfetta per Don Giovanni e per
una melodia aperta, fluente, soil suo sfortunato, ma simpatico
stenuta da un ritmo di valzer:
emulo, Falstaff.
«Libiam ne’ lieti calici/ che la belRoberto Iovino
lezza infiora/ e la fuggevol ora/ s’i-
Il
Falstaff
Giornale dei Grandi Eventi
15
La curiosa storia delle foto scattate al termine della composizione del Falstaff
V
Verdi fotografato con l’inganno
erdi non amava le
pose di alcun genere, nemmeno
quelle brevi del fotografo ed i suoi ritratti,
Arrigo Boito e Giuseppe Verdi
fatti direttamente dal vero, tenuto conto della
sua lunga e gloriosa carriera artistica, non sono
molti.
Arrigo Boito, Giulio Ricordi e altri suoi intimi,
gli manifestarono nell’estate 1892, durante un
breve soggiorno a Milano, il desiderio di avere
una sua nuova fotografia, tanto più che essa sarebbe stata quasi indispensabile ad un ottimo
artista piemontese, il
Chessa, che s’era proposto di prender parte al
concorso bandito dal Ministero dell’Istruzione,
per un ritratto ad acquaforte del grande
Maestro.
«Io non ho alcuna contrarietà a farmi fotografare –
disse Verdi, con la
sua naturale bonarietà – ma che volete
cari miei? non so star
fermo... non so posare
.... Sul serio, sarebbe
un supplizio per me
..». «E noi, maestro,
le faremo il ritratto
senza sottoporlo a
questo supplizio ... disse Ricordi – Ella
sarà fotografato di sorpresa ... senza
accorgersi ... Mi
faccia l’onore,
intanto, di fare
colazione domani con me ...».
Verdi fece colazione il giorno dopo con Giulio
Ricordi,
Arrigo
Boito, e con l’ing.
Tito, figlio del commendator Giulio.
La casa di Giulio
Ricordi era in via
Borgonuovo ed affacciava sopra il
giardino Perego,
un giardino antico,
estesissimo, uno
dei più bei giardini
di Milano. Dietro ai
verdi cespugli, dietro alle pile dei vasi, Ricordi fece disporre
alcune macchine fotografiche istantanee, mascherate, nascoste «come
Giulio Ricordi presenta il pittore Chessa
le bocche di fuoco dietro le
trincee …». Ogni pezzo
aveva il suo uomo, il suo
fotografo, con ordini
precisi.
La colazione passò allegramente. Verdi era di
buon umore, di tutta la
gaiezza che aveva infuso nella sua ultima creatura artistica. Si parlò
molto di Falstaff, non si
parlò ovviamente di fotografia.
«Il caffè lo si potrebbe prendere in giardino, non le pare maestro?», disse Giulio
Ricordi con la maggiore
serietà. «Sicuro, in giardino« soggiunse Verdi, con
un leggero sorriso che
voleva significare «Ci
siamo!».
Discesero, così, in giardino. Giulio Ricordi era
andato avanti e con un
rapido giro dello sguardo aveva dato l’attenti...
Il Maestro che scendeva,
come sua abitudine, con
le mani dietro la schiena
ed il cappello a falde larghe, si fermò un momento sul cancello d’uscita:
«Bricconi!» stava dicendo
al giovane Tito.. quando
il primo “colpo” partì...
anche se egli non se ne
accorse.
Giunse allora dal giardino il pittore Chessa. Giulio Ricordi chiese al Maestro il permesso di presentarglielo. Verdi s’intrattenne qualche minu-
Verdi davanti al telo predisposto per il ritratto
to con il giovane artista,
mostrandosi molto lieto
di conoscerlo e,
col suo fare paterno e cordiale,
gli espresse parole di incoraggiamento.
Un
sorriso spuntò
ad un tratto sulle
labbra di Giulio
Ricordi. Egli s’era accorto del secondo “colpo”...,
mentre il Maestro, attento alle
parole di Chessa, non aveva
notato alcunché.
Intanto in giardino era sceso
anche Boito, il librettista delle ultime due fatiche
e del riadattamento del Simon
Boccanegra. Verdi si unì
così al suo fido collaboratore e proseguì il cammino.
«Bricconi! - esclamò Verdi ad un tratto – ecco il
tranello!» ed a Boito indicò col capo una macchina fotografica notata
dietro una siepe. La terza fotografia fu fatta an-
cor di soppiatto e riunì
in un’unica immagine
musicista e poeta di Falstaff.
«Via, via - disse ironicamente Verdi, sempre del
suo migliore umore –
poiché si vuole il mio supplizio, montiamo pure il
palco... Lo capisco, è qui ...»
e si sedette su una seggiola, in fianco alla quale
era un bianco drappo,
perchè la faccia del Maestro si staccasse nettamente dallo sfondo.
«Via, non fatemi soffrir
troppo...». «Ma s’è già fatto tutto!», disse soddisfatto Giulio Ricordi. Infatti,
due obbiettivi fotografici
erano stati spianati verso
quel punto e mentre uno
prendeva tutta la brigata,
l’altro s’era impadronito
del profilo sereno ed
energico della testa del
Maestro.
Questa la storia delle fotografie di questa pagina, tra le quali quella del
profilo da cui fu tratta
l’acquaforte di Verdi che
procurò a Chessa la vittoria nel concorso governativo.
Fr. Pi.
Il primo scatto: Verdi giunge in giardino
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Teleriscaldamento
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dal lunedi al venerdì dalle ore 8,00 alle 17,00
Acea Distribuzione
Energia Elettrica
800-130336
tutti i giorni 24 ore su 24
Acea Ato 2
Acqua
800-130335
tutti i giorni 24 ore su 24
Segnalazione guasti
Acea SpA
Piazzale Ostiense,2
00154 Roma
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