MEDICINA NEI SECOLI, Supplemento 2006
IL POLICLINICO UMBERTO I
Un secolo di storia
Edizione a cura di Carla Serarcangeli
© Copyright 2006
Casa Editrice Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
P.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma
www.editriceateneo.it
Iscrizione nel Registro Operatori Comunicazione al n° 11420
ISSN n° 0394/9001
ISBN 88-87242-86-0
ISBN 978-88-87242-86-7
2
SOMMARIO
PREFAZIONE: CENTO ANNI DI STORIA DEL POLICLINICO UMBERTO I
RENATO GUARINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 005
PARTE I: UN POLICLINICO “EUROPEO”
IL POLICLINICO UMBERTO I:
ESIGENZA DELLA COSTRUZIONE
ANTONIO BOCCIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 013
I CRITERI DI PROGETTAZIONE:
UN FUTURO CHE VIENE DAL PASSATO
ROBERTO PALUMBO – ANNA MARIA GIOVENALE
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 027
UN TESTIMONE PREZIOSO:
COSA RACCONTA DEL POLICLINICO “IL POLICLINICO”
VITO CAGLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 037
PARTE II: GLI ISTITUTI “BIOLOGICI” DI FONDAZIONE
IL DIPARTIMENTO DI ANATOMIA UMANA
TINDARO G. RENDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 051
LA SCUOLA BIOCHIMICA ROMANA
GINO AMICONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 071
L’ISTITUTO DI FISIOLOGIA UMANA
FABRIZIO EUSEBI – ROBERTO CAMINITI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 093
L’ISTITUTO DI PATOLOGIA GENERALE
PIER PAOLO GAZZANIGA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 103
L’ISTITUTO DI ANATOMIA E ISTOLOGIA PATOLOGICA
ERMANNO BONUCCI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 123
L’INSEGNAMENTO DELLA FARMACOLOGIA
PIETRO MELCHIORRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 139
LA SCUOLA ROMANA D’IGIENE
GIANFRANCO TARSITANI – ROSELLA DEL VECCHIO – CARMINE MELINO
. . . . . . . . . P. 153
PARTE III: LE CLINICHE
LE SCUOLE DI MEDICINA INTERNA
DOMENICO ANDREANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 173
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LA CLINICA CHIRURGICA: LA STORIA E LA SCUOLA
VINCENZO ZIPARO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 191
CENT’ANNI DI POLICLINICO: LA CHIRURGIA
GIORGIO DI MATTEO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 207
LA CLINICA OSTETRICA E GINECOLOGICA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 223
ANTONIO PACHÌ
LA CLINICA PEDIATRICA
MANUEL A. CASTELLO – GIORGIO MAGGIONI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 237
LA CLINICA OTORINOLARINGOIATRICA
ROBERTO FILIPO – ELIO DE SETA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 249
LA CLINICA OCULISTICA
PAOLA PIVETTI PEZZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 267
LA CLINICA DERMATOLOGICA
VITTORIA SERAFINI – STEFANO CALVIERI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 281
LA CLINICA DELLE MALATTIE TROPICALI E SUBTROPICALI
ANTONIO SEBASTIANI – CARLA SERARCANGELI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 295
LA CLINICA DI MALATTIE NERVOSE E MENTALI
ALBERTO GASTON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 313
LA CLINICA ORTOPEDICA E TRAUMATOLOGICA
LUIGI ROMANINI – EMILIO ROMANINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 325
PARTE IV: IL POLICLINICO OGGI – RICERCA ED ORGANIZZAZIONE
RICERCA DI ECCELLENZA AL POLICLINICO UMBERTO I
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 345
ALBERTO GULINO
L’AZIENDA POLICLINICO ED IL SUO INSERIMENTO NEL SSN
GIUSEPPE GRAZIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 359
POSTFAZIONE: POLICLINICO UMBERTO I: L’OSPEDALE DEI ROMANI,
VOLUTO DA BACCELLI, ENTRA NEL FUTURO
LUIGI FRATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. 373
PARTE V: ALCUNE IMMAGINI NELLA STORIA
DEL POLICLINICO UMBERTO I
4
PREFAZIONE
CENTO ANNI DI STORIA DEL POLICLINICO UMBERTO I
Quando poco oltre la metà del XIX secolo Guido Baccelli, che è
clinico medico nell’Università La Sapienza e Ministro della
Pubblica Istruzione, pensa ad una struttura di ricerca e di formazione per i futuri medici la medicina è attraversata da una di quelle
rivoluzioni di cui parla Thomas S. Kuhn nel suo The structure of
scientific revolutions. In quei tempi i rimedi terapeutici realmente
efficaci sono davvero pochi, la diagnosi si avvale quasi esclusivamente dell’esame fisico e del rilievo di polso ed urine, poco di più
di quanto accadeva ai tempi d’Ippocrate. Vi erano stati però segni di
crisi epistemologica anche in Italia: alla Prima riunione degli scienziati italiani, tenutasi a Pisa nell’ottobre del 1939, la sezione medica è inaugurata da Giacomoandrea Giacomini, professore di clinica
medica a Padova, con la lettura Della natura e della vita del sangue, nella quale – così recita il resoconto – sono illustrati i risultati
discordi delle esperienze de’ chimici moderni, concludendo che le
alterazioni del sangue non possono essere, generalmente parlando,
che secondarie; e che il pervertimento del fluido [il sangue] essendo la conseguenza del pervertimento anteriore del solido [organi e
tessuti], ne consegue il corollario terapeutico che, a riordinare il
turbamento de’ tessuti, e non a correggere le alterazioni del sangue,
deve essere quasiché sempre diretta ogni clinica operazione.
Giacomini era un vitalista legato alla tradizione e sospettoso verso
le novità (la sua terapia era largamente fondata sul salasso), cosicché inevitabile è lo scontro con il cesenate Maurizio Bufalini, clinico medico a Firenze, che aveva già diviso il mondo medico con il
saggio Sulla dottrina medica della vita, nel quale aveva sostenuto
che la materia della quale si compone il soggetto che vive… a
ragione dei nostri mezzi analitici non differisce di un minimo della
comune materia. Non sorprende perciò che nel Congresso pisano la
sua polemica finisse raccomandando caldamente la utilità de’ tentativi fisici e chimici nelle ricerche sulla natura del sangue; ché se
l’organismo umano è composto di solidi e di fluidi… eguale impor5
Renato Guarini
tanza debbono pure avere ove si facciano argomento delle nostre
esperimentali considerazioni relativamente allo stato sano o morboso del corpo umano. E sempre Bufalini, commentando le
“Statistiche degli Ospedali” presentate dal Ferrario, afferma che le
statistiche si possono riferire alle cagioni delle malattie o ai segni
di queste o ai metodi di cura… in ogni caso lo studio nostro intende a stabilire un rapporto tra la causa e l’effetto… L’eco della
riunione degli scienziati e dei dibattiti che impongono anche alla
medicina di far tesoro degli avanzamenti della fisica e della chimica percorre le Facoltà mediche, tanto che nascono nuove discipline
(biologia, patologia generale, igiene), rivolte a trarre elementi conoscitivi dalla sperimentazione, dall’epidemiologia, dallo studio dell’influenza delle condizioni ambientali o sociali sulle malattie.
Anche in Italia dunque matematica, fisica e chimica cominciano
a scuotere la medicina clinica e la crisi epistemologica diventa irreversibile quando in Europa la medicina sperimentale di Claude
Bernard, la batteriologia di Louis Pasteur e Robert Koch e la patologia cellulare di Rudolph Virchow spostano la centralità della
medicina verso l’esperimento dalla corsia, nella quale i malati stazionano anche per mesi in attesa di una evoluzione. Il laboratorio ed
il gabinetto di analisi divengono i luoghi dove si riproducono le
condizioni patologiche nell’animale da esperimento e si conducono
le prime analisi chimiche su liquidi organici (urine e sangue) ed
estratti di tessuti, mentre citochimica ed istochimica permettono di
differenziare per morfologia, ma anche per funzione, tessuti, cellule e batteri. Su queste fondamenta in Italia si affermano nuove interazioni tra scienze naturali e medicina clinica, a Pavia (e poi a
Torino) con Giulio Bizzozero, che scopre la funzione emopoietica
del midollo osseo e quella coagulativa delle piastrine, e Camillo
Golgi, con l’istochimica delle cellule nervose e gli studi sulla malaria, ai quali dà un contributo fondamentale la scuola medica romana, con Ettore Marchiafava, Angelo Celli, Amico Bignani e
Giovanni Battista Grassi.
Su questo scenario di medicina positivista interviene dunque
Guido Baccelli, clinico medico alla Sapienza, grande maestro che
non esita a portare all’Università il medico condotto di
Civitavecchia, quell’Augusto Murri che poi diviene cattedratico a
Bologna e che orienterà la clinica in senso fisiopatologico, alla
6
Prefazione
ricerca delle cause delle malattie, ben distinte dai sintomi. Baccelli
intende la medicina come strumento di avanzamento a servizio
della gente, attento ai suoi rapporti con le condizioni sociali (la
miseria è la madre delle malattie – egli dice): il suo credito è grande, è amato dalla gente e rispettato dalla politica, e decide così di
mettere a frutto il suo prestigio con l’ambizioso progetto di costruire un luogo dove gli avanzamenti scientifici divengano la base della
formazione medica e della migliore cura dei malati. Il Policlinico di
Roma, intitolato al re Umberto I, è la risposta all’epoca più avanzata in Europa alle esigenze della nuova medicina: un campus unico,
nel quale riunire tutte le competenze scientifiche e professionali che
facciano da supporto ad una buona formazione. Nel perimetro del
campus debbono trovare spazio edifici universitari con biblioteche
e laboratori di ricerca, con al centro padiglioni ospitalieri di ricovero per malati, dai quali trarre i casi più appropriati per la didattica o più interessanti per la ricerca.
La logica di Baccelli è anche quella della unitarietà nella specificità, cosicché nel progetto tutti gli edifici sono collegati da un doppio camminamento, ipogeo e perigeo. Baccelli precisa bene la finalità del suo progetto, rivolto a dare agli studenti gli elementi formativi per entrare nella medicina di domani, nella quale si stanno spalancando gli orizzonti della ricerca fondata sulle scienze naturali:
quelle che oggi sono chiamate scienze biologiche sono ospitate
negli edifici perimetrali, come ad es. zoologia e biologia con patologia generale ed anatomia patologica o giusto di fronte al
Policlinico (anatomia ed anatomia comparata).
Nasce così con un primo finanziamento statale del 1881 (legge
n. 209, Baccelli è appena stato nominato Ministro, succedendo a
Francesco De Sanctis) il più grande progetto organico di
Policlinico, al quale viene dedicata un’area demaniale specifica con
vincolo permanente di destinazione d’uso, nel quale si fondono tre
principi, posti a base della formazione del medico: l’apertura della
medicina alle scienze naturali, che della medicina sono fondamento scientifico; lo sviluppo della clinica, con edifici propri dedicati
agli ambiti generali (medicina, chirurgia), ma anche a specialità, nei
quali corsie, biblioteche e laboratori (gabinetti d’analisi) costituiscano la base per l’avanzamento delle conoscenze e quindi per una
buona formazione; l’utilità sociale, con i padiglioni ospedalieri e la
7
Renato Guarini
possibilità di ricovero nelle cliniche a carico dell’assistenza pubblica. Non solo ricerca e clinica avanzata, ma anche sviluppo di una
rete assistenziale-caritativa: Guido Baccelli riesce a far inserire,
infatti, il Policlinico nell’ambito della legge n. 6972/1890, che
disciplina in particolare le opere pie […Pio Istituto e Ospedali
Riuniti] e gli altri enti morali che avessero per fine « ... di prestare
assistenza ai poveri, tanto in istato di sanità quanto di malattia»
(articolo 1), disponendo anche che «in ogni Comune è istituita una
congregazione di carità ... » (articolo 2), mentre con la legge 20
luglio 1890 n. 6980 lo Stato ha finanziato ed avocato a sé la costruzione del Policlinico universitario, con i 10 padiglioni ospedalieri
assegnati nel 1898, quando Baccelli è di nuovo Ministro nel
Governo Pelloux, in uso al Pio Istituto S. Spirito a titolo di risarcimento di edifici ospedalieri siti nel Lungotevere S. Angelo ed espropriati (concessione revocata con la legge 26 ottobre 1964 n. 1149,
che ha dato autonomia gestionale al Policlinico Universitario).
In circa 10 anni il Policlinico è terminato, viene inaugurato nel
1904, e diviene così un prestigioso complesso di formazione, ricerca ed assistenza, nel quale hanno modo di svilupparsi grandi scuole. Quando negli anni ’30 viene costruita la Città universitaria ed il
complesso universitario diviene lo Studium Urbis lo sviluppo della
scienza biomedica ha nuovi ambiti, ormai maturi, come fisiologia e
biochimica o igiene e microbiologia, che trovano spazio in edifici
all’interno del progetto piacentiniano. Ma non si comprenderebbe lo
straordinario sviluppo dei vari settori disciplinari, di cui sono stati e
sono protagonisti il Policlinico e le Facoltà mediche della Sapienza,
se non si conoscesse il presupposto fondamentale sul quale Baccelli
ha costruito il suo progetto, nel quale l’architettura d’insieme è funzionale ad una idea di formazione e ricerca.
Questo fascicolo speciale della nostra rivista di storia della medicina [Medicina nei Secoli] è in modo opportuno dedicato alle scuole che hanno preso corpo nella Facoltà di Medicina e nel suo
Policlinico: i grandi nomi scorrono e ci ricordano pezzi di storia, in
chirurgia con Durante, Paolucci, Valdoni e Stefanini, in medicina
con Frugoni, Condorelli e Cassano e così in tutti gli altri settori, nei
quali spesso al Policlinico vi è stata la prima cattedra in Italia (sperimentale, come per microbiologia o biochimica, o clinica, come
per medicina tropicale o endocrinologia, tanto per fare alcuni esem8
Prefazione
pi). I diversi articoli illustrano appunto le scuole, fulcro essenziale
della memoria del divenire scientifico e di come la ricerca universitaria sia in grado di entrare nel futuro.
Il Policlinico è stato anche partecipe di intrecci con le vicende
politiche dei vari tempi, con episodi che dimostrano comunque il
prestigio dei suoi professori, come nel caso del chirurgo Raffaele
Paolucci, il comandante della spedizione che aveva affondato il 1
novembre 1918 a Pola la nave ammiraglia austro-ungarica Viribus
Unitis. Ebbene Paolucci, nel pieno delle discriminazioni razziali
che nel 1938 colpiscono anche l’Università, dà rifugio a casa sua ai
professori ebrei, tra cui Mario Camis, il fondatore della neurofisiologia e neurobiologia italiana. Facoltà e Policlinico sono dunque
densi di scienza, di vicende umane, di generazioni di medici che vi
si sono formati, di vita vissuta, con l’apporto di tanti docenti e del
personale socio-sanitario, che ne costituiscono l’ossatura fondamentale.
In questo fascicolo, che si deve all’attività della sezione di Storia
della Medicina diretta dalla Professoressa Luciana Rita Angeletti ed
al coordinamento editoriale della Professoressa Carla Serarcangeli,
la storia del Policlinico e della Facoltà medica scorre dunque con le
sue immagini vive, con le sue ricerche di prestigio, con i tanti personaggi che ne hanno fatto una parte viva della Sapienza. Tanto che
anche a questa Facoltà si deve se la nostra Università è giudicata,
nel ranking internazionale, la prima in Italia e tra le prime in
Europa.
Renato Guarini
Rettore dell’Università di Roma
La Sapienza
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PARTE I
Un Policlinico “Europeo”
Il Policlinico umberto I: esigenza della costruzione
IL POLICLINICO UMBERTO I:
ESIGENZA DELLA COSTRUZIONE
ANTONIO BOCCIA
13
14
Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
Prologo
Affermava Antonio Ruberti nella prefazione del testo storico,
scritto da Stroppiana, sul Policlinico1:
La presenza di universitari e di ospedalieri nella stessa struttura, le
responsabilità diverse e tuttavia interagenti nella formazione e
nell’assistenza, il modificarsi dei quadri amministrativi e legislativi di
riferimento sia nell’istruzione sia nell’assistenza percorrono la storia
dalla istituzione e la condizionano. Storia di Istituzioni e di uomini, ma
anche storia di una struttura fisica che, nata sulla base di un disegno
originario di grande respiro, si sviluppa in tempi lunghi.
La storia delle origini e delle esigenze di costruzione del
Policlinico ha, infatti, radici lontane che non possiamo non ricordare; essa sarà utile ed in qualche misura di supporto anche per meglio
comprendere la storia recente e le difficoltà che ancora oggi si incontrano nella gestione e nell’attività del Policlinico Universitario in cui
si incrociano e si sommano i problemi della formazione del medico
e di tanti professionisti di sanità, dell’assistenza, della ricerca.
Il Pio Istituto Santo Spirito in Sassia
Nel 1676 nell’Ospedale Santo Spirito era ammesso, come assistente medico dell’Ospedale, Giovanni Maria Lancisi. Nel 1711 tra
Lancisi ed il Commendatore del Santo Spirito, Mons. Giorgio
Spinola, venne deliberato e stipulato un documento nel quale, tra l’altro, l’illustre medico dopo avere accennato allo scopo principale cui
debbono rispondere gli ospedali, ossia una caritatevole assistenza
agli infermi, ricorda come, attraverso i secoli, gli Istituti Nosocomiali
siano divenuti anche vere scuole di medicina, di chirurgia e di farmacia pratica. Rileva come fra tutti gli stabilimenti consimili in Roma,
e forse in tutta l’Italia, vanti il primato l’Arcispedale Pontificio detto
di Santo Spirito in Sassia, il quale oltre la sua peculiare e multiforme
funzione di beneficenza devesi considerare come pubblico utilissimo
Seminario, in cui circa 100 giovani, tra medici e chirurghi e speziali, di continuo vi dimorano, oltre molti altri, che giornalmente vi vengono per far quivi la pratica.
Per quanto riguarda le adunanze scientifiche, istituite da Lancisi,
esse avevano per sede il vestibolo della biblioteca e si ha notizie che
tali riunioni avevano per oggetto la discussione dei casi clinici più
importanti occorsi nelle corsie dell’Ospedale Santo Spirito o verificati al tavolo anatomico. Il bibliotecario della Lancisiana curava la compilazione dei verbali e la loro pubblicazione al termine di ogni anno2.
15
Antonio Boccia
Assistenza sanitaria
Per lungo tempo, fino agli ampliamenti del secolo XVIII,
l’Ospedale ebbe quattro medici primari con relativi assistenti, tutti
scelti per concorso in conformità delle disposizioni emanate da
Mons. Spada. Fin da allora i concorsi erano notificati mediante avvisi pubblici a stampa affissi per la città. In sottordine esisteva un
ruolo speciale formato dai cosiddetti giovani cui erano attribuite
tutte le funzioni di assistenza e pulizia.
Nessun giovane, sotto qualunque titolo, poteva rimanere
nell’Ospedale più di sette anni. Mons. Spada ed il successore Febei
promossero ulteriormente l’aggiornamento e l’istruzione dei medici
e del personale, designando uno dei chirurghi primari ad impartire
lezione due volte la settimana. Il tempo di Quaresima era stabilito per
le dissezioni anatomiche, libere a quanti ne avessero fatto richiesta.
Esisteva è vero in Roma l’Università con propria Facoltà Medica,
ma i precettori del Santo Spirito furono sempre poco disposti ad
inviarvi i giovani, temendo che i frequenti allontanamenti potessero
intralciare le esigenze del servizio ospedaliero.
Leone XII (1823-29), con decreto del 30 settembre 1824, riunì
nuovamente il Santo Spirito insieme con gli altri ospedali, sotto
l’autorità di una Deputazione unica, di cui fece parte come presidente il Mons. Giuseppe Antonio Sala. Durante il suo governo, stabilì
utili regole per la contabilità e la registrazione dei malati; l’appalto
delle forniture concesso mediante pubblica asta; i prodotti farmaceutici acquistati direttamente nei grandi mercati d’Europa. Adottò
il metodo di registrare le ordinazioni mediche e chirurgiche fatte
fuori di visita, per evitare errori a danno degli infermi. Al Santo
Spirito aprì un quartiere speciale per cronici.
Ristrutturazioni e restauri
Dopo aver visitato i migliori stabilimenti ospedalieri d’Europa,
Francesco Azzurri, valoroso artista, si accinse all’ardua fatica di
sistemare l’asilo romano dei pazzi, ove tutto occorreva rivedere su
nuove basi. Ne derivò uno stabilimento modello, che per lunghi anni
rimase all’altezza della scienza moderna.
Dopo il manicomio, il medesimo architetto, per volontà di Pio
IX, procedette al restauro del S. Spirito.
Egli così riassumeva il lavoro che si proponeva di eseguire e che
venne parzialmente attuato:
riordinamento completo delle sale esistenti, rispettate gelosamente nelle
loro dimensioni; divisione della Corsia Sistina in due sale distinte,
16
Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
demolizione ragionata di quanto, non presentando nulla di pregevole, si
ricusa ad una ragionevole trasformazione, sia per il suo stato di
decrepitezza, sia per la sua pessima disposizione; restauro completo della
corsia di Alessandro VII sino al Tevere, sbarazzata delle fabbriche
adiacenti e tolta dall’immediato contatto della Corsia Sistina;
centralizzazione dei servizi generali, ed infine usufrutto di una area
rilevante per la erezione delle fondamenta di una Clinica medica, e di uno
stabilimento completo idroterapico.
Ai tisici l’Azzurri apprestò una nuova dimora, corredata di tutto
ciò che poteva contribuire al miglioramento della loro sorte.
Auspicava prossimo il giorno in cui sorgesse un ricovero speciale
per questi malati, dotato di quanto fosse necessario.
All’epoca dei restauri era commendatore del Santo Spirito Mons.
Achille Maria Ricci (1865-1870) che, accogliendo le istanze di
Guido Baccelli, già professore di clinica medica, oltre a concedere
nuovi locali ed arredamento idoneo, aveva decretato anche l’istituzione di una cattedra di Anatomia patologica.
Allo scadere dell’amministrazione ecclesiastica, la capacità complessiva del Santo Spirito era così distribuita:
- Corsia Sistina, comprese le carriole
330 letti
- Sala Benedettina
216
“
- Sala Alessandrina
64
“
- Sala S. Girolamo
22
“
- Sala S. Filippo
16
“
- Sala dei bambini
22
“
- Sala S. Giacinto per i tisici
14
“
- Tre piccole sale
28
“
Totale 712
“
Per il servizio di medicina, vi erano sei primari con obbligo di
visita due volte al giorno. Ciascun primario aveva assistente e sottoassistente.
Il servizio chirurgico era disimpegnato da un primario con due
chirurghi sostituti e quattro sotto-sostituti.
La farmacia aveva un capo-speziale e sei farmacisti: non esisteva farmacopea speciale ed i medici potevano ordinare ciò che ritenevano necessario.
Il Policlinico Umberto I e l’insegnamento universitario
A Roma, nel 1870 conclusosi il potere temporale dei Papi prese
avvio, non senza ostacoli e difficoltà, la Riforma dell’Università che
17
Antonio Boccia
da Pontificia divenne Regia. Nel novembre del 1870 ad opera del
Regolamento Brioschi furono accorpati i corsi di Medicina e
Chirurgia. Successivi regolamenti definirono via via la struttura
della Facoltà medica di Roma. Nell’insegnamento universitario una
delle spinose questioni da affrontare era quella di assicurare un’adeguata formazione clinica agli studenti. Occorreva superare le vecchie concezioni didattiche preunitarie. Negli ordinamenti precedenti, infatti, l’insegnamento si limitava alla “lettura”, alle sale incisorie degli ospedali, ai teatri anatomici. I1 27 dicembre 1870 fu così
stipulata la convenzione tra il Ministero della Pubblica Istruzione e
le Amministrazioni degli Ospedali Romani per la pratica della
Clinica.
La Convenzione, pur risolvendo la parte della prassi clinica,
aveva comportato una dispersione degli insegnamenti per tutta la
città sollevando il problema per una nuova soluzione logistica, senza
contare il fatto che i fatiscenti e monumentali ospedali tardo trecenteschi mal rispondevano ai recenti sviluppi della batteriologia e
fisiopatologia ed alle norme igienico-sanitarie. La classe medica non
vuole la ristrutturazione dei vecchi edifici, ma desidera adeguarsi
alle moderne strutture europee. Le riviste mediche ospitano articoli
di ingegneria ospedaliera. I consensi alla costruzione di nuovi ed
efficienti ospedali è unanime. Guido Baccelli, Direttore della Regia
Clinica Medica di Roma, che aveva lavorato senza tregua al progetto di un grande ospedale che accorpasse tutte le Cliniche già dal
1874, nel 1881 in carica come Ministro della Pubblica Istruzione
convocò una commissione con il compito di esaminare i problemi
inerenti la costruzione del Policlinico.
La Commissione stabilì, tra l’altro, che oltre le cliniche obbligatorie il Policlinico dovesse ospitare anche gli ospedali-cliniche ove
accogliere gli ammalati più “interessanti” evitando di prelevarli, per
lo studio, dagli Ospedali civili. L’impulso decisivo alla costruzione
del Policlinico fu dato 10 anni più tardi quando l’imponente progetto fu inserito nelle Opere Edilizie della Capitale. I1 progetto originario collocava il Policlinico Romano sul Colle Esquilino; successivamente fu scelta, per motivi di assetto urbanistico, l’area che
attualmente occupa.
All’Architetto Giulio Podesti coadiuvato da Cesare Salvatori ed
Edgardo Negri fu affidata la progettazione della monumentale
opera. Così, alla presenza del Re d’Italia Umberto I e della consorte Regina Margherita, il 19/1/1888 fu posta la prima pietra. I lavori
effettivi iniziarono solo l’anno successivo e nel 1902 il progetto era
quasi ultimato. I1 più grande monumento alla Carità ed alla Scienza
18
Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
fu inaugurato nello stesso anno con una solenne cerimonia al
Campidoglio alla presenza delle massime autorità statali. Il
Policlinico iniziò a funzionare a regime nel 1904.
Così all’epoca vengono descritti il progetto e le opere frutto dell’ingegno del Podesti e della Commissione3:
l’area destinata al Policlinico è in una delle zone più salubri di Roma, di
rimpetto alle mura di Belisario, che recingono il vasto piazzale del Macao,
antico Castro Pretorio, e trovasi a metri 52,45 sopra il livello del mare.
Detta area ha l’estensione di circa 160 mila mq. di cui 40.000 coperti dagli
edifici, è circondata da grandi viali della larghezza di metri 30 e verrà
recintata sulla fronte principale, … da una cancellata di ferro poggiata
sopra un piccolo zoccolo di muratura, … e dagli altri lati, … sarà
recintata da muri di sostegno, che nell’estremo angolo a sud-est, ove, … è
il riparto delle malattie infettive, si elevano fino a metri sei sul sottostante
livello stradale.
Partendo dal lato sul viale del Policlinico vi troviamo l’edificio
centrale, sede della Direzione, dell’Amministrazione, della
Biblioteca, della Farmacia, del Guardaroba e di diversi servizi; ai
due lati del Palazzo dell’Amministrazione, sul fronte, sono allineati
i bei fabbricati destinati alle diverse Cliniche universitarie (Clinica
Oculistica, Clinica Chirurgica, Clinica e Semeiotica Medica,
Dermo-sifilopatica, delle Malattie nervose e mentali, Odontoiatria e
Protesi dentaria, Ortopedica-traumatologica, Otorino-laringoiatrica,
Pediatrica).
Dietro al Palazzo dell’Amministrazione e in comunicazione con
questo sono le guardarobe, la dispensa, la cucina e dietro ancora il
fabbricato destinato alla Chiesa ed alla Scuola-convitto per infermiere Regina Elena: ai due lati di questo sono 5 Padiglioni di medicina e 3 Padiglioni di chirurgia: i padiglioni, di forma rettangolare,
si trovano tutti su una stessa linea e sono tutti collegati fra di loro da
passaggi coperti.
Al I, II, III e IV Padiglione fanno servizio le allieve e diplomate
della Scuola (le prime non sono pagate): agli altri Padiglioni fanno servizio infermiere e infermieri dell’Ospedale.
In una terza linea trovansi due Padiglioni (uno appartiene alla
Clinica delle malattie tropicali e l’altro in parte all’Istituto di semeiotica medica della R. Università) e 4 baracche provvisorie per sopperire ai bisogni eccezionali: 2 delle baracche sono aperte ai malati
di medicina. Dal lato opposto al viale del Policlinico, da una parte
si trova la Clinica ostetrico-ginecologica, e dall’altra il fabbricato
19
Antonio Boccia
destinato all’isolamento (infetti), la lavanderia, la morgue, l’Istituto
anatomo-patologico.
Dietro alla Scuola-Convitto Regina Elena (SCRE - oggi Centro
Didattico Polifunzionale), esiste la grande “centrale termica” dalla
quale si innalza nel cielo la grande “ciminiera” che si vede da ogni
parte di Roma.
Riassumendo dunque, oltre le Cliniche dipendenti dalla R.
Università, il Policlinico è dotato di l0 padiglioni, di 4 baracche e di
un riparto di “isolamento”.
Come abbiamo detto sopra, per rendere facili i servizi di tutti gli
edifici, che debbono fare capo al Palazzo di Amministrazione, esistono gallerie di collegamento nei sotterranei, e tratti coperti al
primo piano che è quello dove sono tutte le infermerie.
Il piano terreno di ciascun edificio è collegato dalla zona di galleria che si stabilisce sulla volta dei sottostanti tratti in muratura.
Sarà interessante l’esame di un “Padiglione”: diremo subito che
esso aveva le infermerie costruite sopra un porticato aperto in modo
che l’aria vi potesse circolare liberamente (ogni Padiglione ha due
infermerie: al piano terreno l’una, per uomini, al primo piano, la
seconda, per donne).
Ogni camerata era capace di 34 letti: vi sono inoltre 2 camerette:
per cui ogni piano può ospitare 36 ammalati (questi salgono spesso
anche a 45).
Ogni piano era dotato di tutto il necessario (bagni, lavabi, waterclosets, gabinetto di analisi, cucinetta per i piccoli bisogni, stanze
per biancheria sporca, ecc.); l’ascensore porta il vitto, le medicine e
gli ammalati dal piano terreno al primo piano.
I letti erano accoppiati e fra una coppia e l’altra si apre un’ampia
finestra: la distanza fra i letti di una coppia è di metri 1,10 sicchè la
lunghezza della sala è di metri 20. I letti erano discosti 60 centimetri
dalla parete e fra un letto e l’altro di fronte è una distanza di metri 3.
I “Padiglioni di chirurgia” sono uguali a quelli di “medicina”; la
sola differenza è data dalla presenza di un piano in più destinato alle
sale operatorie.
Anche per ciò che ha riguardo ai fabbricati, notevoli miglioramenti e trasformazioni, sono degne di essere qui ricordate.
Innanzi tutto nel 1931 vennero condotti a termine i lavori per la
sistemazione del servizio del pronto soccorso e dell’ ambulatorio
medico-chirurgico: gli ambulatori, che riunivano in certe ore della
giornata da 100 a 150 infermi, furono portati e adattati nei grandi
locali seminterrati siti nel Palazzo centrale: vennero muniti di tutti
gli occorrenti servizi (acqua, luce, riscaldamento, latrine, bagno
20
Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
ecc.) e dotati di un proprio ingresso separato e la sala di attesa era
capace di 120 persone a sedere. Le sale di medicazione e visita
erano ampie.
Furono trasformate e ridotte a migliore assetto per spazio, luce,
igiene, impianti di sterilizzazione, ecc. le camere operatorie.
Vennero costruiti nuovi locali per la materasseria e per i lavori di
rammendo, di taglio e di cucito: non minori furono i lavori al reparto Isolamento, alla casa delle Suore, ecc.
Non va dimenticata in queste opere di ristrutturazione ed ammodernamento, la convenzione fra il Pio Istituto e il Ministero della
Educazione Nazionale:
in base ad essa quello si è impegnato a costruire l’aula per l’insegnamento
della semeiotica medica in aderenza al IX Padiglione, mentre in compenso
il Ministero si è impegnato di costruire nel nuovo edificio di anatomiapatologica della R. Università una nuova, moderna camera mortuaria
corredata di cella frigorifera e di tutti gli impianti correlativi da servire
per i bisogni così delle RR. Cliniche come dell’ Ospedale del Policlinico.
L’attività di questo Ospedale verso il quale si orientano tante simpatie della cittadinanza è davvero notevole.
Viene così specificata da Alessandro Canezza e da Mario
Casalini nel volume Il Pio Istituto di Santo Spirito e Ospedali
Riuniti di Roma pubblicato nel 19334:
… l’attività del Policlinico, ricorderemo qui, che mentre il S. Spirito
“ritirava” temporaneamente gli ubriachi, il Policlinico “ritirava” gli
agitati per malattie mentali successivamente allocati nel nuovo edificio di
Neurologia e Psichiatria.
Noi sappiamo già che gli ammalati che si presentavano al pronto soccorso venivano visitati e medicati: se avevano bisogno di ricovero passavano alla sala di osservazione (il Policlinico ha due sale
di osservazione, una per uomini, l’altra per donne) in seguito viene
deciso per la loro ammissione e invio ai Padiglioni. Gli ammalati,
che si presentano, vengono in ogni caso “registrati” dall’Ufficio di
P.S.: da dati più puntuali risultano ricoverati, nel 1931, n.25587 persone, in P.S. n.12466, ambulatoriali n.38718 ed effettuati n.3109
interventi chirurgici.
La riforma sanitaria Crispi-Pagliani
La riforma sanitaria del 1888, inaugurata dalla legge Crispi21
Antonio Boccia
Pagliani approvata dal Parlamento il 22 dicembre e preceduta di un
anno dall’istituzione della Direzione generale di sanità pubblica
presso il Ministero dell’Interno, segna il più importante momento di
svolta nella storia della sanità in Italia quantomeno fino al secondo
dopoguerra.
Anche se non immune da pecche, la riforma giunge, dopo quasi
trent’anni dall’Unità, a cercar di rimontare dislivelli e diminuire
disagi in un paese ancora relegato in una avvilente posizione di inferiorità rispetto ai più evoluti paesi europei e dov’è radicato un diffuso malessere sanitario. Un paese malato soffocato nel suo sviluppo
dal dilagare delle malattie infettive e parassitarie5.
Il quadro va completato con l’elevatissimo contingente dei morti
nei primi cinque anni di vita – circa il 45% dei morti complessivi –
dovuto ad infezioni, specialmente gastroenteriche, e a ripercussioni
sulla maternità e l’infanzia di piaghe sociali di vario tipo, quali il
lavoro protratto fin nei mesi alti di gravidanza, il parto non assistito, l’esposizione dei neonati alla “ruota”, il baliatico mercenario.
In questo scenario la riforma sanitaria ebbe il grande merito di
creare gli strumenti necessari per una gestione tecnicamente corretta della sanità. Infatti, se nel sistema sanitario permangono vistose
falle, come quella – vivamente deplorata al Senato da Moleschott,
dell’esclusione dei medicinali dall’assistenza gratuita per i poveri,
nello stesso sistema è però predisposta quella corrispondenza diretta e gerarchica tra il medico provinciale e quello comunale che appare l’anticipazione, seppure ancora molto vaga, di un principio di
emancipazione della sanità da condizione di puro oggetto politico ad
oggetto di grande valenza sociale ed economica.
In tale programma, che si colloca oltre l’andamento cronologico
di questa storia, sono articolate tra loro, in un progetto di “statizzazione” facente capo a un istituendo ministero della Sanità, le riforme degli studi medici, dell’educazione igienica popolare, dell’igiene del lavoro, dell’organizzazione sanitaria. Quest’ultima è vista
con particolare riguardo al coordinamento tra servizi di medicina
pubblica e ospedali. La statizzazione degli enti ospedalieri dovrebbe concludere il processo iniziato nel 1890 dalla legge CrispiPagliani sulle opere pie, che diede un taglio netto rispetto al passato, ponendo una premessa indispensabile per far avanzare il paese
sulla strada della riorganizzazione amministrativa e strutturale della
Sanità Pubblica.
L’ospedale tardo-ottocentesco, in un periodo storico che registra
tutte insieme le scosse dell’industrializzazione e le scoperte della
batteriologia, che assiste contemporaneamente al rilancio della
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Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
scienza medica e alla nascita della medicina sociale, appare “invecchiato” e “stazionario”, quando tutto gli si muove intorno.
In quattro secoli il rapporto tra ospedali italiani e ospedali mitteleuropei si è addirittura ribaltato. Gli ultimi ospitalucci delle più piccole città austriache o germaniche sono molto meglio organizzati,
scriveva Cantani, aggiungendo da noi c’è molta architettura ma
poco riguardo ai bisogni dell’uomo ammalato.
La riforma tuttavia costituisce un passo avanti sulla strada della
riappropriazione degli enti ospedalieri da parte della comunità medica e un’agevolazione di percorso per l’avvento della tecnologia di
fine secolo e per la costruzione dell’ordine clinico.
Il passaggio degli ospedali da “pie opere” sostenute da volontarie elargizioni e donazioni benefiche a “servizi di pubblica assistenza” sostenuti da programmati stanziamenti e finanziamenti si ingrana con gli ulteriori sviluppi della scienza. Da un lato l’accresciuto
controllo igienico dello spazio ospedaliero, grazie alle conoscenze
dell’eziologia e del meccanismo delle infezioni, porta al superamento delle tradizionali regole d’isolamento con le più aggiornate norme
di antisepsi; d’altro lato l’accresciuto controllo medico del corpo
malato, grazie alle conoscenze di farmacoterapia del dolore, porta
alla definitiva uscita di minorità della chirurgia e all’acquisto da
parte sua di una dignità pari, se non superiore, a quella della medicina clinica.
La linea di adeguamento dei vecchi ospedali alle nuove esigenze,
attraverso ristrutturazioni e rifacimenti, è duramente contestata.
L’azienda ospedaliera, scrive De Giovanni, deve essere affidata a
menti meno causidiche ed a mani meno massaie di quelle degli
amministratori delle vecchie opere pie, ai quali Bottini, reduce da un
viaggio di aggiornamento in Germania e Scandinavia, trova “il
coraggio di dire che sono agli antipodi” e che conviene non correggere, ma abbattere ed abbandonare e rifare.
Una nuova linea vien fuori dal vivace dibattito di “igiene ospedaliera” e di “ingegneria ospedaliera” agitato su riviste e in convegni.
Un modello per costruire ospedali nuovi è indicato da Giuseppe
Soriani, titolare a Pavia della prima cattedra ufficiale d’igiene e
autore nel 1881 di una meritoria Geografia nosologica dell’Italia.
Questa linea razionale innovativa, sostenuta da grande impegno
finanziario spianò la strada al disegno da lungo tempo concepito da
Baccelli e che portò alla costruzione del Policlinico Umberto I di
Roma, ma anche alla costruzione, tra il 1885 e il 1914, di un centinaio di ospedali minori, ubicati per lo più dove il Paese consolida la
sua area di sviluppo industriale, un’area in cui, tra malattie della
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Antonio Boccia
miseria e malattie del progresso, cresce progressivamente la domanda di beni sanitari6.
Evoluzione dei modelli architettonici-funzionali
Passano appena 16 anni dall’effettiva operatività del Policlinico
Umberto I e già il modello a padiglioni viene messo in discussione
soprattutto per motivi economici. Costruire in altezza diviene possibile anche grazie all’uso degli ascensori: ne è un esempio il New
York Hospital (’30) che impila i suoi ventidue piani nel cuore dell’agglomerato urbano. Il monoblocco risulta molto più economico
dei precedenti, si risparmia sui materiali da costruzione e persino
sulle zone verdi, tuttavia il sistema che ruota attorno all’edificio
ospedaliero subirà una dequalifica progressiva che raggiungerà il
culmine tra gli anni ’50 e ’70.
Il monoblocco si impone in fatto di brevità e celerità di percorsi,
per l’ammissione dei degenti, per il personale d’assistenza, per il
trasporto delle salme ed in generale per persone e cose; per le gallerie di canalizzazione “veloci”.
L’ospedale monoblocco però apparirà nel tempo troppo rigido,
non potendo subire alcun ingrandimento o evoluzione se non a costi
estremamente elevati7. Da qui si ricorre a modelli più plastici, quali
il monoblocco con piastra, per rispondere alle mutate esigenze della
sanità, come l’attività ambulatoriale per esterni e interni (day hospital e day surgery), aumentando, di fatto, l’apertura dell’ospedale
verso l’esterno e quindi i flussi in entrata e in uscita. La piastra, sempre più grande negli ultimi modelli (Ospedale Mc. Master in
Canada, Ospedale Municipale in Danimarca), sarà sede d’attività
ambulatoriali, servizi di diagnosi e cura e servizi generali, mentre la
torre ospiterà le degenze. Ulteriore evoluzione della piastra torre si
ritrova in ospedali come il Sart Tilman di Liegi (piastra collegata ad
uno o più blocchi di degenze) o il Reickendor di Berlino (piastra collegata ad un nastro di degenze).
Secondo il pensiero dell’architetto francese Tierre Hoet nascono
per il futuro due esigenze:
- dimenticare l’ospedale-blocco, tutelando per quanto possibile i
vantaggi essenziali che esso offriva;
- ridurre a necessità reali i tempi di soggiorno degli ospedalizzati,
alla luce dei progressi della medicina e delle necessità economiche.
La tendenza attuale è unire malattie con patologie comuni per
ottimizzare l’uso delle risorse, il che implica il raggruppamento
delle unità di cura per poli, utilizzando i criteri che sono alla base dei
moderni dipartimenti ospedalieri (per esempio, durata della degen24
Il Policlinico Umberto I: esigenza della costruzione
za, qualità delle cure, tipologia di pazienti, etc.). A tali principi si
ispira il programma d’ammodernamento del Policlinico Umberto I.
Nel marzo 2001 l’idea d’ospedale degli architetti Renzo Piano e
Lamberto Rossi, esposto a Roma, facendo propri i principi enunciati da Tierre Hoet, segue il nuovo concetto di malato e di degenza con
un apparente ritorno all’Asclepieio ippocratico, immerso nel verde8.
L’Ospedale ha un bacino d’utenza di 250-300.000 abitanti, si
estende su una superficie di 12-15 ettari, con uno sviluppo verticale
di quattro piani al massimo, un’area verde di circa 20 mq per paziente e ampi parcheggi. Il modello si distingue, oltre che per i dettami
di Hoet (piano tecnico pesante, piano tecnico leggero e degenze),
anche per avere una degenza ordinaria divisa in blocchi separati:
- high care: degenza di breve durata (2-3 giorni), ad alto grado
d’assistenza;
- low care: degenza di durata maggiore a bassa assistenza, dove
completare il ciclo di cura seguiti dagli stessi medici ma con costi
assistenziali più bassi;
- intensive care;
- day hospital.
Le degenze sono raggruppate in aree dipartimentali e l’obiettivo
è garantire la continuità assistenziale fino alla dimissione, in
ambienti adatti e confortevoli, accelerando i cicli di cura e contenendo i costi. Di particolare rilievo è lo spazio riservato alla degenza per
il Pronto Soccorso che, dispone di ben 35 letti, suddivisi tra osservazione, degenza breve e cure intensive, a voler sottolineare il suo
ruolo di filtro, per riservare il ricovero solo a chi ne ha strettamente
bisogno.
In conclusione non appare difficile cogliere in queste recenti
visioni e rivisitazioni progettuali punti di convergenza con l’attuale
impianto del nostro Policlinico per il quale si impongono importanti e radicali opere di riordino e ristrutturazione in gran parte previsti
nel piano triennale 2004/2006 sugli “Interventi edilizi, di ristrutturazione e riqualificazione” recentemente approvato. La storia continua, storia di uomini e di istituzioni dove si incrociano e si sommano i problemi, ma non scoraggiano quanti confidano in una nuova
primavera.
BIBLIOGRAFIA
1. STROPPIANA L. (a cura di), Il Policlinico Umberto I di Roma. Roma,
Università degli Studi di Roma, 1980.
25
Antonio Boccia
2. DE ANGELIS P., L’Arciospedale di Santo Spirito in Saxia nel passato e nel
presente. Roma, Collana Studi Storici sull’Ospedale di Santo Spirito in Saxia
e sugli Ospedali romani, 1952.
3. AA. VV., Il Policlinico Umberto I. Progetto eseguito dall’Arch.tto Giulio
Podesti. In Occasione dell’XI Congresso Medico Internazionale in Roma.
Roma, C. Virano e C., 1894.
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Riuniti di Roma. Roma, Istituto editoriale di monografie illustrate di aziende
(Tipo Fratelli Stianti), 1933.
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europea alla guerra mondiale 1348-1918. Roma-Bari, Laterza, 1987.
6. CATANANTI C., La nascita dell’ospedale moderno tra i “lumi della ragione” ed i “fuochi della rivoluzione”. Med. Secoli 2002; 14(1):135-153. CATANANTI C., CAMBIERI A., Igiene e tecnica ospedaliera. Roma, Il Pensiero
Scientifico Editore, 1995.
7. CATANANTI C., L’Ospedale tra valori ed interessi: una prospettiva storica.
Med. Secoli 2002; 14(1): 1-19.
8. PIANO R., Nuovo Modello di Ospedale. Meta-progetto planimetrico e tridimensionale. Ministero della Sanità, Servizio Studi e Documentazione. Roma
21 marzo 2001.
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I CRITERI DI PROGETTAZIONE:
UN FUTURO CHE VIENE DAL PASSATO
ROBERTO PALUMBO – ANNA MARIA GIOVENALE
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Roberto Palumbo - Anna Maria Giovenale
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I criteri di progettazione: un futuro che viene dal passato
La solita domanda
Tre anni fa, in un articolo dal titolo L’ospedale: architettura e
tecnologia1, ci si è posti una domanda provocatoria, da rivolgere ad
un progettista: come mai in Italia gli ospedali sono anche “brutti”?
Dove quell’ “anche” stava a sottolineare che gli ospedali sono
poco funzionali, il loro costo in genere viene triplicato rispetto ai preventivi, quando vengono inaugurati sono già vecchi. In realtà, la
domanda voleva denunciare che un ospedale deve possedere una sua
“qualità morfologica” e, a distanza di tre anni, viene da pensare che
il quesito espresso sia sempre lì, attuale e “sospeso”, come in un
incantesimo. Infatti, in questi tre anni, la situazione, comunque e purtroppo non è cambiata e gli ospedali continuano ad essere “brutti”.
Ora, proprio coloro che non sono capaci di renderli “belli” aggirano la questione, chiedendo -in modo falsamente ingenuo-: Nel
progettare un ospedale, cosa va privilegiato? L’Organizzazione funzionale, la Tecnologia, o l’Architettura?
Proviamo oggi a fornire una risposta anche a questa domanda
poco sensata e siamo in attesa di conoscere quanti e quali altri quesiti di questo tenore ci perverranno nei prossimi mesi.
Raccogliendoli insieme si potrebbe confezionare uno “stupidario” che, però, tra le righe fa comprendere di chi sono le vere responsabilità quando si realizza un ospedale “brutto” e per giunta anche
“non funzionale”.
Un progettista qualificato non può non rispondere che non esiste
una gerarchia e che la buona riuscita dell’organizzazione funzionale interna, insieme a quella delle soluzioni tecnologiche, nel loro
complesso, determinano esse stesse la qualità architettonica di una
struttura complessa come quella ospedaliera.
Il “caso Policlinico Umberto I” non sfugge a questa regola.
Ci si trova di fronte ad un impianto originario, all’epoca considerato “innovativo”, a partire dall’idea di Guido Baccelli, nel 1874, di
accorpare in un’unica area tutti quegli Istituti ritenuti necessari alla
formazione medica, progettando di costruirli “secondo i dettami
della moderna ingegneria sanitaria”, attraverso le elaborazioni e
rielaborazioni di Giulio Podesti, che hanno portato, nel 1902,
all’inaugurazione della struttura2.
Un impianto che, nel periodo in cui è stato progettato e costruito,
ha colto le istanze igienico-sanitarie più aggiornate e che, nel tempo,
è stato però superato a causa delle rapide trasformazioni del quadro
esigenziale, delle modalità diverse di svolgere assistenza sanitaria,
didattica, ricerca, della crescente e diversificata richiesta di dotazio29
Roberto Palumbo - Anna Maria Giovenale
ni tecnologiche.
Questo impianto, nel corso degli anni, si è snaturato di pari passo
con il moltiplicarsi di difficoltà e a causa di un conseguente, progressivo degrado, generato da erogazioni frammentate di finanziamenti, da giustapposizioni e ampliamenti che si sono susseguiti,
senza la logica di un disegno complessivo, di una visione unitaria
della struttura.
La consapevolezza del “fare”, senza contrapposizioni
Uno degli obiettivi principali da perseguire consiste, pertanto,
nella capacità di conservare l’identità degli edifici e garantire, contemporaneamente, i requisiti di qualità edilizia ed urbanistica per le
attività sanitarie, di didattica e ricerca da insediare.
E’ chiaro che, all’atto di rifunzionalizzare e riqualificare il
Policlinico Umberto I, di fronte al complesso e articolato quadro esigenziale delle attività da allocare, i vincoli dell’esistente vengano
avvertiti come preponderanti. La necessità di definire schemi progettuali “flessibili” che consentano, nel tempo, le modificazioni dell’assetto funzionale, la rimodulazione degli spazi, potrebbe far sorgere una pericolosa ed ambigua tendenza verso il realizzare “altrove”: ipotizzare una struttura nuovissima sotto il profilo organizzativo e formale, capace di sopportare la variabilità continua delle parti
e dell’insieme.
Quest’ipotesi non si prende -doverosamente- nemmeno in esame:
per via di tutte le implicazioni storiche, urbanistiche, legate al contesto insediativo, al presidio sanitario stesso, alla tradizione e consuetudine, che ruotano intorno al Policlinico Umberto I.
Il solito progettista qualificato, infatti, consapevole che il progetto è solo una parte del processo, si pone l’obiettivo di creare le condizioni per far coesistere la tecnologia ad alta complessità e la struttura esistente che la deve ospitare, considerando interdipendenti la
qualità morfologica degli spazi, le tecnologie e le risorse umane.
Anzi, cerca di fare molto, molto di più: indirizza la sua attenzione
sulla “centralità dell’utente”, per definire nuovi criteri di qualità
architettonica, necessari a caratterizzare e “personalizzare” spazi
moderni, funzionali, a misura di paziente e personale, sostanzialmente “comodi e belli”. E poi, va oltre: si fa guidare “per mano”
dalla consapevolezza che una struttura ospedaliera, per quanto funzionale, ben attrezzata e arredata, non può prescindere dal tassello
urbano in cui si trova, dagli elementi “non ospedalieri” che su esso
insistono, dalle relazioni tra questi. Raggiunge infine il suo equilibrio solo quando è riuscito a coniugare, con soddisfazione, gli edifi30
I criteri di progettazione: un futuro che viene dal passato
ci con gli spazi aperti di relazione, con gli elementi di arredo urbano, con quelli vegetazionali; solo quando, in sintesi, ha ricostruito
un’identità della struttura nel luogo dove questa è ubicata.
Partecipando ai convegni sull’edilizia ospedaliera, occorre rilevare che ci si sente dire sempre le stesse cose (organizzazione funzionale, relazioni tra funzioni complesse, chiarezza dei percorsi differenziati, da qui il percorso sporco e quello pulito, etc. etc.). Negli
ultimi quindici anni, poi, molti conferenzieri si sono sentiti probabilmente “innovativi” quando hanno potuto parlare di standard e requisiti per l’accreditamento o di privacy del paziente.
Da un lato la “tradizionale” letteratura scientifica è giustificata,
in termini di permanente divulgazione, perché su questi principi si
sono formate diverse generazioni e occorre che le nuove siano tenute al corrente, dall’altro si prova la sensazione del “non voler rendersi conto” di quanto tutto sia profondamente cambiato, già con l’introduzione dei DRG, ma poi della telemedicina e dei numerosissimi
avanzamenti in campo scientifico e tecnologico. Pertanto, i criteri
progettuali di riferimento sono da ricercare altrove, con quella lungimiranza che, quasi mai (occorre riconoscerlo), ha caratterizzato la
produzione edilizia ospedaliera.
Risulta, quindi, necessario, anche se più impegnativo, provare a
ridefinire i criteri di “qualità architettonica” (comprendendo, all’interno di questa, gli aspetti funzionali, organizzativi e tecnologici).
Questi, soprattutto negli ultimi anni, sono stati un po’ troppo contrabbandati per “comfort alberghiero” o (anche un po’ “inquietante”), come “umanizzazione”, quando sarebbe stato più corretto, ad
esempio, comprendere altre esperienze culturali, come quelle maturate nel settore dell’ergonomia. Da qui derivano, infatti, altre scale
di valori da attribuire agli spazi ospedalieri, secondo la gamma delle
emozioni, secondo la logica del benessere psico-fisico e dell’integrazione individuale e, quindi, anche, della negazione di stimoli
negativi, dello “stress” che uno spazio ospedaliero può suscitare.
Viene spontaneo, a questo punto, chiedersi: “Quali sono le strategie, le logiche, le modalità per intervenire sulla rifunzionalizzazione delle aree e degli spazi del Policlinico Umberto I, considerandone la pluralità di funzioni, volendo porre al primo posto l’individuazione di “punti di riferimento”, la definizione di criteri di orientamento, di accoglienza, di aree di riservatezza, di aree di aggregazione, volendo garantire le comodities necessarie a tutte le diverse categorie di utenti?”
La visione strategica di riorganizzazione funzionale non può che
essere pluridisciplinare e, al tempo stesso, unitaria, identificando i
31
Roberto Palumbo - Anna Maria Giovenale
sottosistemi del sistema generale e ponendo al centro dell’obiettivo
la leggibilità di grandi aree, omogenee, in relazione privilegiata
secondo le esigenze di un ospedale universitario.
Un punto di partenza è costituito dal ripensamento di tutto il
sistema di accessibilità e di percorsi, per categorie di utenti, ipotizzando una maglia articolata, nel tentativo di superare la commistione e l’inadeguatezza degli attuali flussi.
Il Policlinico Umberto I come “sito” tra i siti della città
Per riqualificare il Policlinico Umberto I, occorre porsi tra i primi
obiettivi, quello di superare la logica di “isolamento” che è sottesa
alla sua attuale presenza nella città ed ai collegamenti con questa,
accresciuta dalla mancanza di chiarezza ed identificazione dei percorsi interni che collegano i vari padiglioni, dalla commistione tra
percorsi pedonali, carrabili, dalla promiscuità tra i flussi di diverse
categorie di utenti. A ciò va aggiunta una carenza tipica degli ospedali con tipologia a padiglioni: nonostante alcuni edifici siano di
pregio storico-architettonico, nell’impianto complessivo è rilevante
la mancanza di elementi di riconoscibilità, di sistemi di valori di
carattere urbano e architettonico.
Il Policlinico ha perso, progressivamente, nel tessuto urbano, i
suoi connotati di “sito” e, di conseguenza, la capacità di interazione
con gli altri siti della città. La qualità architettonica da ricercare va
innanzi tutto ricostruita considerando la funzione urbana e sociale
dell’area del Policlinico, ritenendo che la qualità ambientale e tecnologica degli spazi è riferita alla qualità dell’intera struttura, del complesso insediativo, che costituisce un importante segmento di città.
Progettare il Policlinico Umberto I, secondo un disegno complessivo, perseguendo gli obiettivi sopra esposti, definendo con puntualità i criteri enunciati, significa offrire un importante contributo alla
riqualificazione della città.
Una prima ipotesi di definizione di criteri progettuali operativi
Il Policlinico Umberto I, come accennato in precedenza, è un
sistema complesso, costituito da tanti subsistemi.
Risulta, pertanto, opportuno, prevedere di articolare la realizzazione degli interventi per tranches, scandite, cronologicamente,
all’interno di un disegno complessivo, che sia in grado di garantire
l’autonomia delle singole parti, con l’obiettivo primario di far coesistere parti funzionanti e parti impegnate nel cantiere.
Vuol dire elaborare un progetto unitario, pensando, fin dalla fase
di progettazione preliminare, ad una realizzazione per tranches.
32
I criteri di progettazione: un futuro che viene dal passato
Si tratta di rovesciare la solita logica: la modalità di realizzazione “per tranches” ha contraddistinto, tradizionalmente, in forma
negativa, la produzione ospedaliera, perché, a seguito di elaborazioni progettuali portate avanti con l’ottica di realizzare le strutture
nella loro interezza, si subivano “tagli” determinati dalla scarsa entità dei finanziamenti e dalla loro irrazionale modalità di erogazione.
Un contesto, quindi, privo del necessario, stretto legame tra logica
dei flussi finanziari, programmazione, progettazione e realizzazione.
La modalità di intervento che si prevede, nel legame tra progettazione e realizzazione, per il Policlinico Umberto I, è che il disegno
progettuale sia complessivo ma già elaborato pensando alla realizzazione dei singoli subsistemi e che questi siano, una volta realizzati, immediatamente fruibili, autonomamente pronti all’uso, con la
massima attenzione e prudenza a non creare traumatiche interferenze con i servizi circostanti, programmando con puntualità gli interventi, i cantieri, soprattutto i tempi, i “prevedibili” imprevisti.
Secondo quest’ottica e secondo le priorità immediate vanno subito privilegiati:
a) i collegamenti (ipogeo, al piano terra, in sopraelevazione);
b) i servizi generali: - parcheggio multipiano;
- edificio della cucina;
- edificio della lavanderia;
- albergo;
c) alcune priorità di riorganizzazione, inerenti:
- radiodiagnostica e medicina di laboratorio;
- sale operatorie;
- pronto soccorso.
Partendo da alcuni principi-base quali l’obiettivo di connotare l’intera area del Policlinico come parte integrante del contesto urbano e
di rendere compatibili vincoli strutturali con esigenze funzionali e
tecnologiche, una prima ipotesi potrebbe prendere in considerazione il ridisegno del sistema di circolazione carrabile e pedonale, strettamente interrelato con una nuova architettura del sistema.
In questo ambito, si dovrà prevedere l’ampliamento dei percorsi sotterranei, definendo un’area ipogea ramificata per i flussi interni relativi alle attività di trasporto del materiale e per l’esercizio delle funzioni di supporto logistico (pasti, farmaci, biancheria), da realizzare
anche attraverso l’organizzazione di un sistema meccanizzato, informatizzato, su rotaie.
Questo potrebbe configurarsi come una sorta di metropolitana e, ad
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Roberto Palumbo - Anna Maria Giovenale
esempio, qualora servisse anche come percorso per i visitatori, si
potrebbe ipotizzare la connessione con il sistema della metropolitana esistente.
Secondo quest’ottica, si potrebbe realizzare una sorta di duplicato
sotterraneo dell’aspetto superficiale dell’area del Policlinico: rispetto al “sopra”, che si caratterizza come una città, il “sotto” si espande ugualmente, in forma quasi simmetrica, con vie, collegamenti,
sistemi di trasporto, estensibili come ramificazione anche all’esterno dell’area circoscritta del Policlinico.
Al piano superiore va studiato un sistema di percorsi pedonali, in
diretto collegamento con il sistema di accessibilità dall’esterno,
garantendo la mobilità dei soli mezzi di soccorso. E’ l’ipotesi di realizzazione di un nuovo spazio urbano (di sosta, di aggregazione, a
scala “umana”) che si configura come “intimità” di un importante
brano cittadino.
In quest’ottica, si inserisce il recupero di identità del verde, attraverso la bonifica delle aree da valorizzare, la costruzione di manti erbosi, di aree da destinare a giardino. E poi, ancora, la definizione di
“elementi di riconoscibilità”, di arredo urbano, di nuovi spazi di
aggregazione, di eventuali spazi espositivi, nelle aree di relazione
tra gli edifici.
Il terzo, fondamentale livello di percorrenze da prevedere consiste in
un sistema sopraelevato di percorsi sanitari, chiaramente distinto da
quello dei percorsi pedonali, destinato alle altre categorie di utenza.
Si tratta di ricostituire la doppia rete: quella pedonale in superficie e
quella sopraelevata su pilotis. Il ripristino della galleria sopraelevata e, comunque, di percorsi distinti da quelli in superficie trova conferma nell’impianto originario, nei tratti coperti in ferro e cristallo
che garantiva, per il Podesti, un importante sistema di comunicazione affidato … alla comunicazione tra i clinici.
Relativamente a quest’ipotesi di razionalizzazione dei percorsi va
considerata la realizzazione di un nuovo sistema di parcheggi, da
configurarsi come volume fuori terra e, a completamento della
maglia di comunicazione, la realizzazione di un eliporto, in grado di
fornire un servizio efficiente, come fulcro di collegamenti con
l’Ospedale S. Andrea (Medicina II), il polo pontino di Latina e la
futura nuova sede di “Madonna delle Rose”, sulla Nomentana.
Oltre il parcheggio, si potrebbe considerare la realizzazione di altri
tre volumi fuori terra, collocati in posizione strategica, sulle testate
degli allineamenti che caratterizzano gli edifici esistenti, da destinare a servizi generali (cucina, lavanderia, albergo) e da configurare
come subsistemi autonomi.
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I criteri di progettazione: un futuro che viene dal passato
Per quanto attiene il disegno di una “nuova architettura del sistema”,
con riferimento alla razionalizzazione del sistema di percorsi, si
potrebbe ipotizzare, all’interno dell’impianto complessivo, una riorganizzazione funzionale “per fasce” omogenee di attività, prevedendo di destinare largamente alla Ricerca gli edifici sul fronte di Viale
del Policlinico, di destinare prevalentemente alle Degenze la fascia
centrale dei padiglioni e di utilizzare o rifunzionalizzare la fascia
degli edifici sul fronte di Viale Regina Elena per i Servizi ambulatoriali, la radiologia, la diagnostica, le attività “giornaliere” (day
hospital, day surgery, etc.)
Le tre fasce garantiscono il loro attraversamento ortogonale e, con
riferimento all’ipotesi di destinazione funzionale descritta, una chiara osmosi: secondo la lettura planimetrica della maglia, sulle ascisse
verrebbero collocate le macroattività e, sulle ordinate, le specialità.
Tale ipotesi di ridisegno complessivo delle funzioni assolverebbe ai
requisiti di necessaria, stretta integrazione tra Ricerca, Didattica e
Assistenza del Policlinico Umberto I, allineandosi a quegli standard
qualitativi che la struttura di eccellenza richiede.
Nello schema ipotizzato si coniuga il tentativo di soddisfare diverse
esigenze: ricostituire, per il Policlinico Umberto I, una struttura unitaria, integrata, pur nella sua complessità funzionale, superare le
condizioni di “alienazione” ed isolamento rispetto al contesto urbano, rendere compatibili i vincoli delle strutture esistenti con le esigenze delle attività che devono essere svolte, liberando gli edifici
dalle superfetazioni e dalle ormai improprie destinazioni sanitarie e,
soprattutto, conferire doverosamente, all’impianto complessivo, una
nuova identità.
Il “caso Policlinico” non è unico in Italia e nel mondo: è un fatto
emblematico.
Definire un corretto criterio per intervenire, una metodologia progettuale innovativa che parta dalla riconfigurazione dell’ospedale
come “sito” urbano, passi attraverso la rifunzionalizzazione per
macroattività (e, per specialità, intersecate), fino alla definizione
puntuale della qualità dei singoli spazi, può costituire un valido
esempio, come esperienza, da esportare e/o utilizzare in numerosi
altri casi, in altri contesti geografici.
A breve, visto l’impegno dell’Ateneo su questi temi, la never end
story potrebbe concludersi.
Nonostante questo, si è pronti, comunque, ad ulteriori altri quesiti,
da inserire nello “stupidario”.
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Roberto Palumbo - Anna Maria Giovenale
BIBLIOGRAFIA
1. PALUMBO R., L’ospedale: Architettura e tecnologia. Med. Secoli 2002; 14:
243-258.
2. AA. VV. Il Policlinico Umberto I. Progetto eseguito dall’Arch.tto Giulio
Podesti. In Occasione dell’XI Congresso Medico Internazionale in Roma.
Roma, C. Virano e C., 1894.
36
UN TESTIMONE PREZIOSO:
COSA RACCONTA DEL POLICLINICO
«IL POLICLINICO»
VITO CAGLI
37
Vito Cagli
38
Un testimone prezioso: cosa racconta del Policlinico “Il Policlinico”
La fondazione della Rivista
Non è possibile parlare del Policlinico Umberto I di Roma, senza
far riferimento a chi ne fu l’ideatore, il propugnatore e il fondamentale elemento catalizzatore, Guido Baccelli (1832-1916), Clinico
medico di Roma, più volte ministro dell’istruzione pubblica, figura
di spicco nel periodo di passaggio dal XIX al XX secolo. A lui, per
limitarsi all’ambito delle iniziative mediche, si deve, non solo l’edificazione del Policlinico Umberto I come sede della Facoltà di
Medicina dell’Università di Roma, ma anche la fondazione di un
nuovo giornale medico intitolato proprio «Il Policlinico».
Insieme a Baccelli, il cofondatore della nuova rivista fu
Francesco Durante (1844-1934), Clinico chirurgo nell’Università di
Roma. Così il 15 dicembre del 1893 usciva il primo numero del
nuovo «Periodico di Medicina, Chirurgia e Igiene», con una
«Sezione Medica» diretta da Baccelli e una «Sezione Chirurgica»
diretta da Durante. Soltanto nella prima delle due Sezioni troviamo
un breve editoriale di presentazione, intitolato Per intenderci, che
traccia il programma e indica le finalità della rivista. Scrive
Baccelli1:
… La diagnosi esatta è la sovrana potenza del Clinico, perché la diagnosi
esatta è la somma necessità della cura.
… Si viene utilmente alle storte e ai reagenti, ai microscopii e ai
termostati, quando si parta dal malato e dal cadavere. Questi i due punti
cardinali dai quali deve muovere e perfezionarsi il Clinico.
Dunque, primato della clinica e dell’anatomia patologica: quell’indirizzo che egli svilupperà con il termine di “anatomismo clinico”.
In quello stesso 1893 i lavori per la costruzione del nuovo policlinico ristagnavano: cinque anni erano trascorsi da quando era stata
posta la prima pietra dell’edificio e il completamento dell’opera
sembrava ancora lontano. Forse quel nome alla nuova rivista di
medicina voleva essere anche un augurio e uno stimolo: che così
come aveva preso il via quella impresa editoriale, affidata alla Casa
Editrice Luigi Pozzi, allo stesso modo potesse presto concretarsi
l’edificazione del nuovo grande nosocomio romano.
Due anni più tardi, il 9 novembre del 1895 esce il primo numero
del «Supplemento al Policlinico», una vera e propria nuova rivista
ad indirizzo più pratico e ricca di molte informazioni relative al
mondo medico. Sei anni dopo, nel 1901, il «Supplemento» si trasformerà in una terza sezione della rivista: «Il Policlinico Sezione
Pratica». Sarà questa Sezione a fornire il maggior numero di noti39
Vito Cagli
zie sugli eventi che hanno a che vedere con il Policlinico Umberto
I, con la sua edificazione e poi con la sua vita e con i personaggi che
ne caratterizzeranno l’attività. Ci riferiremo, pertanto, principalmente alle annate de «Il Policlinico Sezione Pratica».
Intanto la costruzione del nuovo ospedale è progredita e si
comincia a respirare l’aria di una prossima conclusione. E di questa
conclusione «Il Policlinico» ci fornisce una puntuale testimonianza,
quando pubblica un numero speciale in occasione delle onoranze a
Guido Baccelli2.
Tra i diversi interventi in onore del Maestro è strettamente pertinente al nostro argomento quello a firma di Agenore Zeri (18641939, allievo di Baccelli e allora professore ordinario di Semeiotica
medica) intitolato: Guido Baccelli e il Policlinico Umberto I. Scrive
Zeri3:
… E concepì egli allora il Policlinico: togliere le cliniche alla dipendenza
disadatta, scomoda e talvolta imbarazzante degli ospedali, e riunirle in
una grande unità didattica, fornirle dei mezzi più decorosi e moderni di
studio, di lavoro sperimentale, di cura, porvi accanto gli istituti medici per
gli insegnamenti teorici e sperimentali e formare così la scuola medica nel
senso più vero ed utile della parola, che riunisse professori e studenti
affratellandoli nello studio e nell’attuazione pratica della più importante
ed umanitaria delle scienze. Questo il disegno informatore dell’opera di
Guido Baccelli. …
… I lavori necessari a portare a compimento un’opera iniziatasi sotto
auspici così favorevoli occuparono 15 anni di indefessa operosità da parte
degli iniziatori e degli esecutori di essa. Occorsero nuove lotte alla
Camera ed al Senato per superare le difficoltà finanziarie e tecniche che
si opponevano al compimento ed al funzionamento di un organismo così
complesso e grandioso; ma finalmente lo scorso anno prima i padiglioni
ospitalieri e poscia le singole cliniche poterono occupare le sedi a loro
destinate: e l’opera era così in gran parte compiuta!
Si trattava, insomma, di sanare una condizione didattica e di
ricerca che, collocata com’era in diversi ospedali della città, dava
luogo ad inconvenienti molto notevoli per gli studenti e per i malati, e portava anche grave pregiudizio all’attività dei docenti. I tempi
nuovi, reclamavano nuove soluzioni! Ma non era un compito facile
e non mancarono gli ostacoli. Zeri riassume assai bene il lungo travaglio ed anche la soddisfazione per la conclusione del difficile itinerario.
Dopo il numero in onore di Baccelli, il fascicolo 15 del 15 aprile
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Un testimone prezioso: cosa racconta del Policlinico “Il Policlinico”
del 1906 de «Il Policlinico Sezione Pratica» riporta la cronaca delle
onoranze tributate a Guido Baccelli in Campidoglio, la domenica 8
aprile di quell’anno.
Molti furono i discorsi pronunciati in quella occasione; per il
nostro scopo basterà citare qualche stralcio di quello tenuto dallo
stesso Baccelli che così esordì4:
Nel 1881, Ministro per la prima volta della Pubblica Istruzione, ebbi
l’onore di convocare alla Minerva una numerosa Commissione di Clinici
perché elaborassero, viribus unitis, il disegno di massima per l’esecuzione
del quale si sarebbe aperto tra gli architetti un concorso. E qui giustizia
vuole che io ricordi quali e quanti dottissimi uomini vi collaborarono. Di
quelli che restano è breve il drappello; ma di quelli che vissero è più lunga
la serie. Agli illustri Proff. Palasciano, Porro, Pellizzati, Bottini, Cantani,
Mazzoni, Magni, in questo giorno solenne innalziamo dall’anima grata nel
mesto ricordo un pensiero amoroso. Sopravvivono di quella Commissione
i Professori De Renzi, Murri e Schroen che onorano i nostri atenei.
Compiuto il disegno di massima, aperto tra gli architetti un concorso,
questo fu vinto dal rinomato architetto romano Giulio Podesti, il quale
mirabilmente eseguì la costruzione di tutte le cliniche. Ma fu d’uopo
giungere al 1884, per avere una Commissione Reale esecutiva della
grande opera. Nominata questa dal Presidente del Consiglio di quel
tempo, Agostino Depretis, venne a me concesso l’onore di presiederla.
Poi, rivolgendosi direttamente al Re, disse:
… Era il 19 gennaio 1888, quando i Vostri Augusti Genitori, Umberto e
Margherita, posero la prima pietra del grande Istituto e Voi, o Sire,
eravate presente, a 19 anni della florida Vostra giovinezza.
Ebbi anche in quel giorno l’onore di parlare ai Sovrani: e ricordo la
grande commozione della Regina Margherita, cui un tenero senso
d’illuminata materna pietà, imperlando gli occhi, propiziava sul Vostro
capo giovinetto e unigenito la provvidenza di Dio!
I lavori intanto del Policlinico si succedevano non senza ostacoli di varia
natura, quando, a dare impulso più alacre all’opera santa, nel 1894 venne
il crisma solenne di un Congresso medico internazionale che si adunò nel
Policlinico. Da ogni parte del mondo, in mezzo ad un esercito di novemila
medici, fra stranieri e nazionali, giunsero qui i più grandi maestri, e sul
labbro loro, pieno di ammirazione sincera, fiorirono parole di alta
ammirazione all’Italia, e lieti essi annuirono all’invito nostro fraterno di
considerare il grandioso Istituto come un Salon de la Science, dove tutti,
volendo, potessero trovare amica accoglienza e pienezza di mezzi, per
41
Vito Cagli
dimostrare da Roma, al mondo, i novissimi metodi di ricerca e i novissimi
veri.
Due puntualizzazioni di Baccelli meritano di essere sottolineate.
Il protrarsi dei lavori tra molte difficoltà e l’effetto “catalitico” esercitato dal congresso internazionale che evidentemente fu tenuto, non
sappiamo se in parte o per intero, in alcuni locali del Policlinico
Umberto I ancora in fase di costruzione. Su questi aspetti «Il
Policlinico» sorvola, limitandosi a dar conto riassuntivamente delle
principali relazioni tenute in quel congresso.
Nello stesso numero de «Il Policlinico» del 15 aprile 1906 vengono riportate anche due brevi cronache che vale la pena di citare
per esteso qui di seguito:
L’inaugurazione della Clinica Medica
Lunedì 11 corr. alle ore 10, la Clinica Medica del Policlinico Umberto I
venne visitata da un numero rilevantissimo di invitati, fra i quali si
notavano molte signore.
Le infermiere presentarono a Guido Baccelli una splendida corbeille di
fiori.
Professori, aiuti e assistenti facevano squisitamente gli onori di casa,
guidando il pubblico nelle sale, nei gabinetti scientifici e nelle corsie.
La fine della cerimonia
Lunedì, a mezzogiorno, ebbe luogo una colazione offerta dal prof.
Baccelli, nell’Hôtel de Russie, alle rappresentanze estere, ai clinici italiani
e al Comitato organizzatore delle onoranze.
A questo punto una prima tappa fondamentale nella vita del
Policlinico Umberto I si è conclusa: il grande istituto è ormai in
grado di funzionare. Il suo “testimone”, la rivista «Il Policlinico», ha
minori occasioni per occuparsene. Resta tuttavia attento a quanto
accade entro le mura di quella cittadella della medicina e soprattutto a tutto quanto riguarda coloro che la animano da protagonisti e
che sono, del resto, tra gli autori più spesso presenti nelle diverse
sezioni della rivista con i loro contributi scientifici.
Così il fascicolo 19 del volume XXIII, in data 7 maggio 1916
riporta la seduta straordinaria della R. Accademia Medica, tenutasi
il 16 aprile in commemorazione di Guido Baccelli che era deceduto
il 10 gennaio di quello stesso anno, mentre nel fascicolo n. 7 de «Il
Policlinico Sezione Medica» in data 1 luglio 1916 trovano posto le
commemorazioni di Baccelli ad opera di Augusto Murri, Clinico
medico di Bologna e di Edoardo Maragliano, Clinico medico di
42
Un testimone prezioso: cosa racconta del Policlinico “Il Policlinico”
Genova.
Di notevole interesse è quanto riportato da «Il Policlinico Sezione
Pratica» in data 10 giugno 1917, che riguarda la decisione della
Facoltà su chi debba coprire la cattedra già di Baccelli. Nel periodo
di tempo intercorso dalla morte di Baccelli la supplenza della
Clinica Medica era stata tenuta da professor Eugenio Rossoni
(1848-1919), ordinario di Patologia medica, ma ora diveniva necessario dare alla cattedra una titolarità. Ecco la notizia riportata da «Il
Policlinico»5:
La Facoltà Medica di Roma adunatasi il 6 corr. ha deliberato di chiamare
il prof. Vittorio Ascoli, ordinario di Patologia medica dimostrativa presso
l’Università di Pavia, a coprire la cattedra di Clinica Medica
dell’Università di Roma, rimasta vacante per la morte del compianto prof.
Baccelli. Il risultato della votazione è stato il seguente: 12 voti al prof.
Ascoli, 3 al prof. Schupfer, 1 astenuto, 2 schede bianche.
Il Policlinico è orgoglioso di questa designazione e porge i suoi
rallegramenti al professor Ascoli.
Perché questo “orgoglio”? Perché Vittorio Ascoli (1863-1931),
che di Baccelli era stato allievo, aveva ricoperto il ruolo di redattore capo de «Il Policlinico» sin dalla sua fondazione.
In realtà «Il Policlinico» fu per moltissimi anni la “voce scientifica” della Clinica Medica e della Clinica Chirurgica della Facoltà
Medica di Roma, cioè della parte universitaria del Policlinico
Umberto I. Nel periodo compreso tra il 1917 e il 1927 dalla Clinica
Medica uscirono 326 tra lavori, relazioni e comunicazioni ad accademie. Ben 101 di questi lavori furono pubblicati su «Il
Policlinico», sia nella Sezione Medica, che nella Sezione Pratica.
Questo legame si rafforzò ulteriormente per il fatto che Arnaldo
Pozzi si laureò in medicina l’11 luglio del 1923 con una tesi Per la
conoscenza della sifilide gastrica preparata nella Clinica Medica,
dove successivamente rimase, alla Scuola di Vittorio Ascoli. Nel
1927 l’editore Luigi Pozzi (il padre di Arnaldo) pubblicò un volume di 126 pagine, dal titolo La clinica Medica di Roma nel primo
decennio di direzione del Prof. Vittorio Ascoli, che reca la scritta
«OMAGGIO DI LUIGI POZZI EDITORE DE “IL POLICLINICO”». Il libro,
oltre al testo della prolusione pronunciata dieci anni prima da
Ascoli e già pubblicata su «Il Policlinico»6 e al sommario dell’attività scientifica della Clinica, è corredato da 20 fotografie che ci
mostrano gli ambienti della Clinica Medica del Policlinico quali
erano in quel tempo.
43
Vito Cagli
Così il rapporto tra la Casa Editrice de «Il Policlinico» e la
Clinica Medica romana diveniva sempre più stretto, rafforzato dal
fatto che Vittorio Ascoli mantenne anche la sua funzione di redattore capo de «Il Policlinico».
Quando nel 1932 Cesare Frugoni (1881-1978), dopo la morte di
Ascoli, fu chiamato alla direzione della Clinica Medica, anche questa volta la sua prolusione fu pubblicata su «Il Policlinico»7. E de «Il
Policlinico» Frugoni assunse la direzione scientifica, divenendone
anche direttore responsabile, qualifica quest’ultima che conservò
fino alla sua morte. Negli anni in cui Frugoni mantenne la cattedra
di Clinica Medica, (1932-1951) pubblicare i propri lavori su «Il
Policlinico», se non un obbligo, era certamente una prassi consolidata, anche perché Arnaldo Pozzi era rimasto in Istituto dove ricopriva
le mansioni di “primo Aiuto”. L’interesse di Frugoni per «Il
Policlinico» non era una pura formalità: sul finire degli anni ’60, o ai
primi degli anni ’70, volle avere a cena nella sua casa di via Bruxelles
tutta la Redazione e fu una serata piacevolissima di conversazione, di
ricordi e anche di qualche domanda più confidenziale.
Alla morte di Frugoni, «Il Policlinico» pubblicò un breve ricordo del Maestro, a firma del più ascoltato tra i redattori, il professor
Costantino Iandolo, primario medico degli Ospedali Riuniti di
Roma e allievo del professor Frugoni. Scriveva tra l’altro Iandolo8:
Del «Policlinico» Frugoni fu per moltissimi anni direttore non soltanto di
nome ma di fatto. Leggeva sistematicamente il nostro Giornale e, anche
dopo il suo collocamento a riposo, non mancava di dare di tanto in tanto
alla redazione suggerimenti e consigli. Quando poi uno di noi pubblicava
un lavoro o un articolo di particolare interesse, riceveva immediatamente
una lettera di apprezzamento e di felicitazioni di Frugoni.
Dopo il pensionamento di Frugoni per limiti di età, nella testata
de «Il Policlinico», accanto al suo nome come direttore, comparve
anche quello di Giovanni Di Guglielmo (1886-1961) che gli era
subentrato nella cattedra e successivamente furono inseriti Luigi
Condorelli, (1899-1985) titolare della I cattedra di Clinica medica e
Cataldo Cassano (1902-1998), titolare della II cattedra di Clinica
medica. Insomma tutti i cattedratici, o ex cattedratici, di Clinica
medica erano cooptati nella direzione de «Il Policlinico». Dopo la
morte di Di Guglielmo, nel 1961, venne inserito anche il nome di
Michele Bufano (1901-1993), allora titolare della cattedra di
Semeiotica medica, che aveva sede in uno dei nuovi padiglioni
costruiti nella zona compresa tra la lavanderia e la Clinica di
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Un testimone prezioso: cosa racconta del Policlinico “Il Policlinico”
Malattie Infettive. Analogamente la direzione de «Il Policlinico
Sezione Chirurgica» fu tenuta fino al 1972 da Pietro Valdoni (19001976) e da Paride Stefanini (1904-1981), titolari rispettivamente
della I e II cattedra di Clinica chirurgica.
Il legame rimaneva dunque saldo e lo testimoniava anche la presenza dei riassunti delle sedute dell’Accademia Medica di Roma,
che si tenevano nell’aula di Clinica Medica e, per un certo tempo,
nella biblioteca del Policlinico Umberto I, e che erano una delle
espressioni dell’attività scientifica della Facoltà di Medicina e del
grande istituto in cui essa era largamente presente. Nel numero 16
de «Il Policlinico Sezione Pratica»9 del 1973 veniva riportata la
seguente comunicazione:
Il Prof. Pietro Valdoni, con votazione unanime, è stato chiamato a
succedere al Prof Pietro Di Mattei nella carica di Presidente
dell’Accademia Medica di Roma.
Il nuovo Consiglio di Presidenza risulta così composto: Presidente: Prof.
Pietro Valdoni; Vice Presidente: Prof. Giuseppe Giunchi; Segretario Prof.
Luigi Travia; Consiglieri Proff.i Giorgio Monticelli, Giambattista Bietti,
Antonio Ribuffo, Paride Stefanini, Mario Rastelli, Sergio Cerquiglini.
Nella stessa seduta è stata conferita al Prof. Giuseppe Caronia ed al Prof.
Dario Maestrini una medaglia d’oro per i 50 anni di appartenenza alla
Accademia Medica.
Questi resoconti furono presenti, sia pure via via in modo sempre
più saltuario, fino ai primi anni ’90.
Nel numero 1 de «Il Policlinico Sezione Pratica» del 1971, comparve un breve corsivo, a firma degli Editori, in cui si annunciava un
radicale cambiamento nel contenuto e nella veste tipografica. La
Sezione Pratica de «Il Policlinico» cessava di pubblicare “lavori
originali”, che avrebbero continuato a trovare posto nella Sezione
Medica e nella Sezione Chirurgica e riservava il proprio spazio a
rassegne sintetiche e a brevi articoli informativi.
Contemporaneamente scomparivano dalla testata i direttori, in
quanto direttori scientifici, mentre, come si è già detto, restava al
professor Frugoni la qualifica di direttore responsabile, che passerà
poi, dal 1979, al suo antico Aiuto, il professor Arnaldo Pozzi. «Il
Policlinico Sezione chirurgica» restava sotto la direzione di Valdoni
e di Stefanini; ad essi sarebbero succeduti G.F. Fegiz e S. Stipa e, in
seguito, due editors, in luogo dei direttori, scelti comunque sempre
nell’ambito dei docenti di chirurgia del Policlinico Umberto I.
Questi cambiamenti, determinati in larga misura dal crescente
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Vito Cagli
interesse degli studiosi per la pubblicazione dei propri lavori scientifici su riviste di lingua inglese a circolazione internazionale, rendevano più tenue il legame tra «Il Policlinico» e il Policlinico
Umberto I.
Nello stesso tempo il moltiplicarsi delle cattedre nel Policlinico
Umberto I rendeva meno agevole seguire i cambiamenti che si andavano verificando. Nel numero 20 della Sezione Pratica del 1972
nella rubrica Vita Professionale si può leggere10:
La facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma ha deliberato
che il Prof. A. Beretta Anguissola venga chiamato alla II Cattedra di
Clinica Medica Generale e Terapia Medica.
Ha deliberato altresì con voto unanime che il Prof. Giuseppe Giunchi
venga trasferito dalla I Cattedra di Malattie infettive alla III Cattedra di
Clinica Medica Generale e Terapia Medica.
Ad entrambi le più vive congratulazioni de «IL POLICLINICO».
Comunque il legame tra “i due Policlinici” permaneva. Alcuni
anelli di questo legame restavano e restano. Anzitutto l’antico rapporto della Casa Editrice Pozzi con la Clinica Medica del Policlinico
Umberto I. E poi le persone. Fino al 1981 Il professor Arnaldo Pozzi
fu, con i suoi ricordi e i suoi racconti, un testimone della storica
Clinica Medica di Ascoli e di Frugoni. Accanto a lui numerosi componenti della Redazione provenivano dalla Clinica Medica di
Frugoni, di Di Guglielmo e di Cassano.
Insomma, la Clinica Medica era, ed ancora in una certa misura
rimane, il luogo dell’imprinting originario della Rivista, il punto di
contatto che per tanti anni ha unito due storiche istituzioni del
mondo medico romano: il Policlinico Umberto I e la rivista «Il
Policlinico»
BIBLIOGRAFIA
1. BACCELLI G., Per intenderci. Il Policlinico. Sezione Medica 1893; I: 2
2. AA. VV., Numero speciale in occasione delle onoranze a Guido Baccelli. Il
Policlinico. Sezione Pratica, 1906; 13(14):417-480.
3. ZERI A., Guido Baccelli e il Policlinico Umberto I. Il Policlinico. Sezione
Pratica 1906; 13(14):466-470.
4. BACCELLI G., Cronaca delle onoranze a Guido Baccelli. Il Policlinico.
Sezione Pratica 1906; 13(15):505-506.
5. Notizie Diverse. Il Policlinico. Sezione Pratica 1917; 24(24):784.
46
Un testimone prezioso: cosa racconta del Policlinico “Il Policlinico”
6. ASCOLI V., I compiti attuali della clinica medica. Il Policlinico. Sezione
Pratica 1918; 24(1):3; 24(3):49; 24(4):81.
7. FRUGONI C., L’essenza e gli obiettivi dell’insegnamento clinico. Il Policlinico.
Sezione Pratica 1932; 39(4):125-133.
8. IANDOLO C., Ricordo del Maestro. Il Policlinico. Sezione Pratica 1978; 85:1-2.
9. Comunicazione, Il Policlinico. Sezione Pratica 1973; 80(16):714.
10. Vita Professionale, Il Policlinico. Sezione Pratica, 1972, 79(20):886.
Le fonti a cui ho attinto per la redazione del presente capitolo sono i volumi
de «Il Policlinico» e desidero ringraziare gli Editori Pozzi per avermi facilitato il lavoro mettendo a mia disposizione la collezione completa della Rivista.
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Vito Cagli
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PARTE II:
Gli Istituti “Biologici” di Fondazione
IL DIPARTIMENTO DI ANATOMIA UMANA
TINDARO G. RENDA
51
Il Dipartimento di Anatomia Umana
I primi anni dell’insegnamento
Si può convenire che nella storia di una grande istituzione come
il Policlinico Umberto I di Roma le cosiddette discipline di base, fra
cui viene annoverata anche l’Anatomia Umana, possano non aver
avuto un ruolo determinante. Ma è pur vero che il Policlinico è una
struttura universitaria, dedicata alla formazione dei futuri medici
nonché ad un’attività di ricerca scientifica di eccellenza. In ciascuno di questi due campi le discipline di base hanno da sempre rappresentato un valido alleato ed un efficiente interlocutore. E in questo
ruolo ritengo che l’Anatomia Umana romana abbia ben contribuito
a rendere grande questo importante complesso.
L’insegnamento dell’Anatomia Umana, anche se per parecchio
tempo impartito nell’ambito di altri corsi, soprattutto di chirurgia, ha
fatto parte del curriculum didattico degli studi di Medicina in Roma
sin dal XIII secolo. Le prime tracce risalgono al 1294 nella Scuola
Palatina Romana, per passare poi dal 1377 nello Studio Romano in
Trastevere, e dal 1431 nell’Archiginnasio romano. Un vero
Gabinetto di Anatomia Umana fu istituito da Pio IX nel 1870 presso la sede della “Sapienza” a S. Eustachio, seguito dal regio governo italiano che ha insediato nel 1881 l’Istituto di Anatomia Umana
e di Istologia generale e speciale nel Convento di S. Antonio in via
Agostino De Pretis, 92, al Viminale. Risale infine al 1930 il trasferimento dell’Istituto di Anatomia Umana Normale nell’edificio di
Viale Regina Elena, 289 (con accesso anche da via Alfonso Borelli,
50) che è anche la sede attuale del Dipartimento di Anatomia
Umana, istituito nel 2002.
I Maestri la didattica, la ricerca
La ricostruzione delle vicende dell’Anatomia romana e delle personalità accademiche che vi hanno operato è già stata oggetto di specifica trattazione negli anni passati e di tali opere mi sono in parte
avvalso per il presente contributo e ad esse rimando il lettore che
volesse conoscerne i dettagli1.
In questa sede riporto brevi cenni biografici soltanto di alcuni personaggi che con la loro attività hanno dato particolare lustro
all’Anatomia romana prima del 1870, e, dopo questa data, di tutti
coloro che si sono avvicendati nella direzione dell’Istituto o vi
hanno comunque operato meritevolmente.
Realdo Colombo
Nato a Cremona tra il 1516 e il 1520, va a studiare a Padova. È
53
Tindaro G. Renda
discepolo del celebre Vesalio, di cui diviene assistente prima e successore poi, nel 1544, come lettore di chirurgia ed anatomia.
Fig. 1 –
Realdo Colombo
(Cremona 1516Roma 1559)
Fig. 2 – Frontespizio del
De Re Anatomica, Libri XV
di Realdo Colombo
Nel 1545 Cosimo de’ Medici lo chiama nella appena riorganizzata Università di Pisa ove diviene il primo professore di Anatomia.
Vi rimane sino al 1548, anno in cui il pontefice Paolo III (al secolo
Alessandro Farnese) lo chiama a Roma a insegnare
all’Archiginnasio che lo stesso papa aveva provveduto a riformare
nel 1539. Qui Realdo Colombo è accolto alla pari da personaggi
illustri e diviene amico di Michelangelo Buonarroti che utilizza i
suoi insegnamenti per perfezionare le sue opere. Diventa il medico
della curia pontificia, a lui vengono affidati incarichi particolari e
delicati, come l’autopsia sul cadavere di Ignazio di Loyola e quella
sul cadavere del cardinale Federico Ridolfi, morto per apparenti
cause naturali durante il conclave per la nomina del successore di
Paolo III (1550), morte che egli diagnosticò avvenuta per avvelenamento. Muore a Roma nel 1559.
Colombo fu un ottimo anatomico ed eseguì molteplici osservazioni sul cadavere che raccolse nell’opera De Re Anatomica, Libri XV
stampata a Venezia nel 1559. Fra le tante descrizioni originali sicuramente la più importante è quella, accurata e completa, della circolazione polmonare, scoperta citata anche dallo stesso Harvey, ma che
in genere è stata disconosciuta dagli storiografi successivi. Eseguì
numerose dissezioni in pubblico alla presenza anche di alti prelati e
accademici. E’ stato fra i primi ad utilizzare animali viventi per alcu54
Il Dipartimento di Anatomia Umana
ne dimostrazioni di anatomia e fisiologia cardio-polmonare.
A Realdo Colombo è oggi intitolata l’Aula A del nostro
Dipartimento
Bartolomeo Eustachio (o Eustachi)
Nato presumibilmente nel 1513 a San Severino nelle Marche (ma
c’è chi sostiene fosse nato in San Severino di Calabria; anche la data
di nascita viene variamente riferita tra il 1500 ed il 1524). Compì
dapprima approfonditi studi umanistici in varie università italiane,
incluso l’Istituto di Filosofia della Sapienza, nel corso dei quali
acquisì ottime conoscenze di greco, ebraico ed arabo.
Dal 1540 Eustachio si dedicò agli studi
di medicina e, divenuto presto famoso per
la sua bravura, fu scelto come medico personale dal Duca di Urbino. Nel 1547 si spostò a Roma, al seguito del fratello del Duca,
il Cardinale Giulio della Rovere, e qui
divenne protomedico e fu ingaggiato come
professore di Anatomia presso il Collegio
della Sapienza all’Archiginnasio fra il 1555
ed il 1567, quando gravi motivi di salute,
soffriva molto di gotta, lo costrinsero a rassegnare le dimissioni. Continuò a servire il
Cardinale della Rovere e morì nel 1574
Fig. 3 – Bartolomeo
sulla via per Fossombrone.
Eustachi (San Severino
Bartolomeo Eustachio fu un grande ana1513-Fossombrone 1574)
tomico ed insieme a Vesalio e Falloppio è
considerato il fondatore della moderna Anatomia. Scrisse molti trattati fra cui fondamentali sono quelli sul rene, sulla morfologia e
sulla architettura dei denti, ove si ha la prima descrizione delle due
dentizioni, sul sistema delle vene azygos, sul dotto toracico, sulla
valvola cardiaca che porta il suo nome e sugli organi dell’udito con
particolare riguardo all’orecchio medio e alla tuba che porta ancor
oggi il suo nome. Eseguì molte ricerche comparative su animali talmente importanti da essere considerato come il fondatore
dell’Anatomia Comparata.
Avvalendosi dell’opera di Pier Matteo Pini, artista in Urbino, elaborò, per un’opera mai pubblicata, 47 tavole anatomiche che furono
incise su lastre di rame dal romano Giulio de’ Musi e di cui le prime
8 furono usate a complemento dei suoi Opuscola anatomica del
1564. Delle rimanenti tavole si persero le tracce sin quando non
55
Tindaro G. Renda
furono rinvenute 162 anni dopo in casa di un discendente del Pini ed
acquistate dal papa Clemente XI per 600 scudi. Il papa le mostrò al
proprio medico personale, Giovanni Maria Lancisi, che fra l’altro
aveva l’insegnamento dell’Anatomia nella stessa cattedra che era
stata dell’Eustachio. Il Lancisi le pubblicò completandole con il suo
personale commento nel 1714 col titolo Tabulae anatomicae
Bartholomei Eustachi quas a tenebris tandem vindicatas. Anche se
non raggiungono la bellezza estetica delle tavole di Vesalio, le tavole di Eustachio risultano molto più accurate per i dettagli anatomici.
A Bartolomeo Eustachio è intitolata l’Aula C del nostro
Dipartimento.
Un personaggio che merita in questa sede di essere citato, anche
se non ha mai avuto l’incarico ufficiale di insegnare Anatomia in
Roma, è Marcello Malpighi, il fondatore dell’Anatomia
Microscopica. Egli fu a Roma negli ultimi anni della sua vita (dal
1661 al 1664) come Archiatra del papa Innocenzo XII. Nel nostro
Dipartimento ha sede l’Academia Malpighiana Studiorum
Anatomiae Microscopicae, una Associazione non-profit per la valorizzazione degli studi di anatomia microscopica, a lui intitolata da
Pietro Motta che l’ ha fondata nel 1988. A Marcello Malpighi è dedicata l’ Aula B del nostro Dipartimento.
Giovanni Maria Lancisi
Nato a Roma nel 1654, ha studiato nel Collegio Romano dei
Gesuiti e si è laureato all’età di 18 anni in Medicina.
Fig. 4 – Giovanni
Maria Lancisi (Roma
1654-1720)
Fig. 5 – Frontespizio
di un’edizione del
1728, successiva alla
prima del 1714, delle
tavole di Bartolomeo
Eustachio commentate
dal Lancisi
Nel 1684 fu chiamato alla Cattedra di Anatomia della Sapienza
56
Il Dipartimento di Anatomia Umana
passando nel 1696 a quella di Medicina che tenne sino al 1718. Fu
Archiatra del papa Innocenzo XI e successivamente dei papi
Innocenzo XII e Clemente XI. Si interessò anche di Igiene. Si è interessato dell’anatomia del cuore, della circolazione sanguigna, delle
vene azygos, del sistema nervoso centrale. Fondamentali i suoi studi
sulla malaria. Fu anche letterato e membro di varie accademie. Fu
ammesso all’Arcadia col nome di Esilio Macariano. Nel 1714, inaugurando solennemente la Biblioteca medica, da lui donata e che oggi
porta il suo nome, presentò al papa Clemente XI le ritrovate Tavole
Anatomiche di Bartolomeo Eustachio da lui commentate.
L’anno successivo ha inaugurato l’Accademia di Medicina e
Chirurgia, ancor oggi nota come Lancisiana, nel cui ordinamento
dispose l’obbligo di indire, almeno due volte al mese, sedute per
incentivare la ricerca scientifica e contribuire all’istruzione e all’aggiornamento dei medici. Morì a Roma nel 1720 lasciando erede universale l’Ospedale S. Spirito in cui da giovane aveva lavorato come
Assistente.
Giorgio Baglivi
Nato in Dalmazia nel 1668, si è laureato in Medicina a Napoli.
Ha risieduto in diverse città italiane e nel 1692 si trasferisce a Roma
ove nel 1696 viene incaricato dell’insegnamento dell’Anatomia e
della Chirurgia che tiene sino al 1701 per passare a quello di
Medicina teorica che tiene sino alla morte avvenuta prematuramente nel 1707.
Seguace del Malpighi, scrisse alcune
opere sulla circolazione del sangue, sul
cuore della tartaruga, sulle meningi, sulla
composizione della saliva e della bile,
oltre a vari altri testi raccolti in una Opera
Omnia. Lo si ricorda come il teorico del
“Solidismo”.
Francesco Todaro
Nato a Tripi (Messina) nel 1839, compì
i suoi studi di Medicina nell’Università di
Messina da cui fu espulso per ragioni politiche in quanto aderente al movimento
antiborbonico. Avvenuto lo sbarco dei
Mille si unì ad essi a Milazzo e collaborò
con i chirurghi, anche se ancora studente,
alla cura dei feriti nell’ospedale di
57
Fig. 6 – Giorgio Baglivi
(Dalmazia 1668- Roma 1707)
Tindaro G. Renda
Barcellona (Messina). Dopo la liberazione dell’Isola, riprese gli
studi, si trasferì a Firenze ove frequentò i laboratori di Schiff e
Pacini ed ebbe l’incarico di settore di Anatomia in S. Maria Nuova.
Qui iniziò i suoi studi sul cuore che lo porteranno alla descrizione
dell’architettura cardiaca e del tendinetto che porta il suo nome. Nel
1865 riceve l’incarico dell’insegnamento dell’Anatomia presso
l’Università di Messina ove allarga i suoi interessi scientifici alla
morfologia ed embriologia di animali marini in quanto convinto
assertore del valore degli studi comparati per meglio comprendere
l’organizzazione degli organismi più complessi2. Quando nel 1870
Roma si riunì all’Italia venne chiamato a ricoprire la cattedra di
Anatomia della Regia Università, carica che occupò sino alla sua
morte avvenuta nel 1918.
Fig. 7 – Francesco Todaro
(Tripi, ME, 1839-Roma 1918)
Fig. 8 – Atrio principale dello stabile con accesso dal
viale Regina Elena. Sulla destra il busto di Francesco
Todaro (in particolare nella figura seguente).
Venne nominato da Francesco Crispi Senatore del Regno e fu membro delle accademie dei Lincei e dei XL. Fondò la rivista Ricerche di
Morfologia. E’ stato tra i primi a introdurre il metodo delle sezioni
seriate per lo studio sistematico al microscopio; introdusse lo studio
dell’Embriologia come materia complementare e per primo fu incaricato di un corso ufficiale di Embriologia. Come politico, meritevole è
stata la sua opera a favore di Messina a seguito del terremoto del 1908.
Riccardo Versari
Nato a Milano nel 1865, si laurea in Medicina a Roma nel 1889.
Dopo un breve periodo di lavoro negli ospedali romani, fu nominato
58
Il Dipartimento di Anatomia Umana
assistente nell’istituto di Anatomia,
diretto dal Todaro, nel 1890. Per circa
quattro anni lavorò in entrambi i ruoli
per poi passare decisamente all’Anatomia nel 1894 quando fu nominato
aiuto. Libero docente nel 1896 fu incaricato dell’insegnamento dell’Anatomia
Microscopica nel 1897 e professore
ordinario della stessa materia nel 1900.
Nel 1903 passò all’Istituto di Anatomia
di Palermo e nel 1914 a quello di
Napoli, ben operando in entrambi le
sedi. Alla morte del Todaro fu chiamato
a succedergli nel 1919 nella direzione
dell’Istituto che tenne sino al pensionamento avvenuto nel 1935; fu nominato
professore emerito nel 1940 e morì a
Fig. 9 - Busto bronzeo di
Morra (Cuneo) nel 1945.
Francesco Todaro collocato
Fu Senatore del Regno, Consigliere
nell’Atrio principale del
superiore della Sanità Pubblica,
Dipartimento
Rettore dell’Accademia di Educazione
Fisica e membro di varie accademie ed enti culturali italiani ed esteri. Dal punto di vista scientifico affrontò argomenti di angiologia,
neurologia periferica, morfogenesi dell’apparato urinario. Ma il suo
contributo più notevole e pregevole sono state le finissime osservazioni sull’angioarchitettura dell’occhio umano e di molti mammiferi. Ha proseguito l’opera del Todaro succedendogli nella direzione
della rivista Ricerche di Morfologia. Sotto la sua direzione avvenne
nel 1930 il trasloco dell’ Istituto nel nuovo complesso di Viale
Regina Elena, che sin dall’inizio subì
una parziale variazione di destinazione
in quanto si convenne di ospitare
anche l’Istituto di Anatomia Comparata sino ad allora situato in alcuni
locali dell’ Istituto di Patologia
Generale all’interno del Policlinico3.
Fig. 10 – Riccardo Versari
(Milano 1865- Morra, CN, 1945)
59
Tindaro G. Renda
Fig. 11 – Facciata principale dello stabile al numero civico 289 del Viale Regina Elena
che dal 1930 è stata sede dell’Istituto ed oggi lo è del Dipartimento di Anatomia Umana.
Vincenzo Virno
Nato a Cava dei Tirreni (Salerno) nel 1897, ha compiuto tutta la
sua carriera accademica all’interno dell’Istituto di Anatomia di
Roma dal 1921, come assistente, sino al 1972 epoca del suo pensionamento. In pari data fu nominato Professore emerito di Anatomia
dalla Facoltà di Medicina.
Succedendo al suo maestro Versari
assunse la direzione dell’Istituto di
Anatomia tra il 1935 ed il 1967. Si è
occupato principalmente di Anatomia
macroscopica e topografica, di anatomia comparata, di morfofisiologia dell’apparato locomotore, di medicina
sportiva. Fu editore della rivista
Ricerche di Morfologia. Fu Commissario Governativo prima e Direttore poi dell’ISEF di Roma tra il
Fig. 12 – Vincenzo Virno (Cava dei Tirreni, SA,
1897- Roma 1985)
60
Il Dipartimento di Anatomia Umana
1950 e il 1967. Fu Direttore della Scuola centrale dello Sport dal
1966 al 1971. Fu insignito di diverse medaglie d’oro dal CONI,
dall’ISEF, dalla Federazione Medico-Sportiva Italiana e dal
Ministero della Pubblica Istruzione. Fu Accademico emerito
dell’Accademia Lancisiana dal 1977. Morì a Roma nel 1985.
Zaccaria Fumagalli
Nato a Parabiago (Milano) nel 1912, si laurea in Medicina nel
1937. Dopo due anni di frequenza in Anatomia Patologica, entra
nel 1939 come assistente nell’Istituto di Anatomia Umana
Normale dell’Università di Milano, diretto dal Bruni. Ottenuta la
libera docenza nel 1943, viene chiamato dall’Università di
Messina a dirigere l’Istituto di Anatomia Umana (1952-1963).
Passa poi a dirigere l’Istituto di Anatomia Umana di Palermo
(1963-1967) e quindi quello di Roma (1967-1982). Nominato
Professore emerito dell’Università La Sapienza nel 1985, muore a
Milano nel 2000.
Di grande impegno è risultata l’attività organizzativa degli Istituti Anatomici
da lui diretti. In particolare, gli Istituti di
Messina e Palermo sono stati praticamente costruiti ex-novo, mentre l’Istituto
Anatomico di Roma è stato totalmente
riorganizzato con l’allestimento di grandi laboratori indipendenti, ciascuno
attrezzato per specifiche branche morfologiche: a) il Laboratorio di Microscopia
Elettronica (affidato al Prof. P.M. Motta,
suo primo allievo che lo aveva seguito
da Messina), b) il Laboratorio di IstoFig. 13 – Zaccaria Fumagalli
chimica e Radiobiologia (Prof. C. Ca(Parabiago, MI, 1912-Milano
vallotti), c) il Laboratorio di Colture in
2000)
vitro e Immunoistochimica (Prof.
Franceschini, Prof. T. Renda), d) il Laboratorio di Anatomia
Macroscopica (Prof. G. Marinozzi).
Ha anche provveduto a dotare l’Istituto romano di un laboratorio
didattico attrezzato con speciali e nuove apparecchiature televisive
a circuito chiuso (Centro Didattico Televisivo), che, all’epoca (si era
alla fine degli anni ‘60), rappresentavano una novità quasi assoluta,
anche a livello internazionale, per lo studio dell’Anatomia.
Dal punto di vista scientifico ha compiuto importanti ricerche sul
61
Tindaro G. Renda
sistema ipotalamo-ipofisario, sull’orecchio medio ed interno, sullo
sviluppo del sistema nervoso, sulla radioprotezione chimica e sulla
radiosensibilità dei tessuti (in particolare fegato, milza, sistema nervoso), sulla vascolarizzazione del fegato e sui processi di rigenerazione epatica, sull’architettura vascolare e sull’ultrastruttura dei processi ciliari e della retina, sugli spermatozoi animali, ricerche applicate anche a problematiche di fecondazione artificiale.
Socio di diverse società scientifiche, è stato anche socio fondatore della Società Italiana di Istochimica (1957) e della Società
Italiana di Radiobiologia Medica.
Ha anche svolto un’intensa attività pubblicistica a carattere didattico con l’intendimento di modernizzare l’insegnamento universitario dell’Anatomia Umana.
Durante la direzione del Fumagalli è avvenuto l’ampliamento
del numero delle Cattedre e degli incarichi di insegnamento
dell’Anatomia Umana e dell’Anatomia Topografica a ricoprire i
quali sono stati chiamati altri docenti, alcuni dei quali, dopo il
1983, si sono avvicendati nella direzione dell’Istituto sino alla sua
disattivazione a seguito della costituzione dell’odierno
Dipartimento4.
Convinto della necessità di avvicinare l’Anatomia Umana alle
Scienze cliniche, negli ultimi anni della sua direzione il Fumagalli
si è adoperato ad organizzare l’istituzione di uno dei primi
Dipartimenti della Sapienza, quello di Scienze Neurologiche ove
afferirono insieme a lui tre docenti ufficiali all’epoca afferenti
all’Istituto (Carlo Cavallotti, Domenico Palermo e Isidoro
Rossodivita). L’Istituto non venne in quella circostanza disattivato
perché in esso rimasero afferenti altri quattro docenti ufficiali
(Marcello Casini, Giulio Marinozzi, Pietro Motta e Tindaro
Renda)
Mario Franceschini Beghini
Nato a Sanguinetto (Verona) nel 1918, dopo aver frequentato
gli Istituti anatomici di Padova e Ferrara, è stato allievo di Levi e
Loreti nell’Istituto di Anatomia Umana di Torino dove ha iniziato
la carriera accademica. Il suo primo incarico lo vede succedere al
Fumagalli nella direzione dell’Istituto di Anatomia Umana di
Messina nel 1963, ove chi scrive era stato dall’anno precedente
accettato come allievo interno dal Fumagalli. Nel 1969 viene
chiamato dalla Facoltà di Medicina della Sapienza a ricoprire la
prima Cattedra di Anatomia Umana. Muore a Roma prematuramente nel 1973.
62
Il Dipartimento di Anatomia Umana
A lui si deve la completa ristrutturazione dell’ala dell’Istituto romano ove ha
attrezzato il reparto per le colture in vitro,
dell’ Anatomia microscopica ottica,
dell’Istoenzimologia e dell’Immunoistochimica con la collaborazione di chi scrive, suo allievo, che egli si era adoperato a
far chiamare dalla Facoltà romana sia
come assistente ordinario che come incaricato di Anatomia sullo sdoppiamento
della prima cattedra nel 1970-71. Didatta
preciso e infaticabile, è stato anche un
ottimo ricercatore, addestratosi presso il
Fig. 14 – Mario Franceschini
famoso Centro di Embriologia SpeBeghini (Sanguinetto, VR,
rimentale di Nogent-sur-Marne, nei pressi
1918- Roma 1973)
di Parigi, allora diretto da Etienne Wolf,
ove apprese le metodiche delle colture in vitro, istotipiche ed organotipiche, che successivamente applicò sia a Messina che a Roma
per i suoi studi su problematiche di organogenesi sullo sviluppo dei
somiti, dell’abbozzo degli arti e del tubo neurale. Alcune sue ricerche hanno anche ottenuto riconoscimenti ufficiali, tra cui amava
citare sempre il premio Lussana per la migliore tesi di laurea, la
medaglia d’oro al IV festival di cinematografia scientifica e il premio Cacace di Nipiologia del 1963.
Giulio Marinozzi
Nato a Tolentino nel 1935, ha compiuto i suoi studi di Medicina
presso l’Università La Sapienza laureandosi nel 1960. Sin dal primo
anno di corso è entrato come allievo interno presso l’ Istituto di
Anatomia Umana sotto la direzione del Virno e ben presto dimostra
pregevoli qualità di anatomochirurgo tanto da essere, ancora studente, incaricato di seguire gli studenti più giovani nelle esercitazioni di
Anatomia Macroscopica. Nel 1962 diviene Tecnico laureato di
ruolo. Consegue la libera docenza in Anatomia Chirurgica e Corso
di Operazioni, quindi in Anatomia Topografica e infine in Anatomia
Umana. Nel contempo, presta anche servizio come chirurgo generale e di pronto soccorso presso l’Ospedale S. Camillo di Roma. Tra il
1969 ed il 1972 svolge per incarico il corso di Anatomia Umana
presso il Libero Istituto di Medicina e Chirurgia dell’Università
dell’Aquila e dal 1972 al 1975 presso la Facoltà di Medicina della
Sapienza. Nel 1975 diviene ordinario di Anatomia Umana e viene
chiamato dalla Facoltà romana a ricoprire la terza cattedra di
63
Tindaro G. Renda
Anatomia nell’Istituto che nel frattempo era passato sotto la direzione del Fumagalli. Con quest’ultimo partecipa alla ristrutturazione
dell’Istituto di cui cura particolarmente il reparto di Anatomia
Macroscopica e l’annessa Sala Settoria. Introduce per primo in Italia
la tecnica della Plastinazione degli organi con la collaborazione del
Dr. Von Hagens dell’Università di Heidelberg.
La sua attività di ricerca si è
inizialmente rivolta ad argomenti di Anatomia Macroscopica sistematica su temi di
angiologia e splancnologia, con
particolare attenzione al fegato
e alle vie biliari. Avvia così un
filone di studi morfologici sperimentali sulla epatectomia parziale e rigenerazione epatica e
Fig. 15 – Giulio Marinozzi
sulla legatura delle vie biliari
(Tolentino, MC, 1935-Roma 1997)
che amplierà successivamente
introducendovi metodiche microscopiche, ultrastrutturali ed istochimiche. Interessanti anche i risultati dei suoi studi sulla articolazione del ginocchio compiuti con indirizzo multidisciplinare5.
Collaborando con il Prof. Miodonsky introdusse la tecnica della
iniezione vascolare di resine con osservazione al Microscopio elettronico a scansione dei calchi ottenuti a seguito di corrosione degli
organi impregnati (corrosion casts). Con tale metodo ottenne ottimi risultati studiando la microcircolazione muscolare, ossea, epatica e retinica. Ha svolto anche una pregevole attività editoriale per
la didattica. Fu Direttore dell’Istituto di Anatomia nel triennio
1988-1991.
Per la competenza raggiunta nello studio del corpo umano fu
incaricato dalle alte autorità ecclesiastiche del tempo a compiere
ricognizioni sui corpi di Santi e Beati, fra cui S. Rita da Cascia e S.
Nicola da Tolentino, patrono della sua città natale.
Subentrato al suo Maestro Virno come docente di Anatomia
nell’ISEF Statale di Roma ne divenne Direttore e ne curò la riorganizzazione curriculare, ne potenziò i laboratori scientifici, rinnovò la
rivista Alcmeone (di cui chi scrive fu per tanti anni Capo Redattore),
avviò protocolli di cooperazione internazionali e altre iniziative che
ben presto portarono l’ISEF Statale di Roma tra le più qualificate
istituzioni internazionali del settore. Seguì con infaticabile attenzione tutte le vicende legislative per trasformare l’ISEF in Facoltà
64
Il Dipartimento di Anatomia Umana
Universitaria di cui fu strenuo sostenitore. Fu anche per il suo impegno che, poi, dal 1999-2000, si arrivò alla trasformazione dell’ISEF
nell’unico Istituto Universitario autonomo di Scienze Motorie
d’Italia (IUSM).
L’ultimo periodo della sua carriera accademica lo vide impegnato nell’organizzazione del Libero Istituto Universitario “Campus
Biomedico” di cui fu Rettore ed in cui profuse tutta la sua esperienza e capacità organizzativa raggiungendo in breve tempo ottimi
risultati.
Purtroppo una grave, incurabile malattia lo portò in breve tempo
e immaturamente a morte avvenuta a Roma nel 1997.
Chi scrive gli fu sincero amico e collega e volentieri ne testimonia qui anche le doti umane, l’attaccamento al lavoro, il senso del
dovere, lo spirito di servizio, l’umiltà nel riconoscere i propri limiti,
che gli permisero di conquistare la stima del mondo accademico e
dei colleghi anatomici che lo vollero per diversi anni come consigliere nella Società Italiana di Anatomia.
Pietro M. Motta
Nato a Sassari nel 1942, compie i suoi studi di Scienze
Biologiche prima e di Medicina dopo, presso l’Università di
Messina ove il padre, Giuseppe, si era trasferito come Direttore
della Clinica Ostetrica della locale Università. Allievo interno del
Fumagalli prima e del Franceschini dopo, inizia la carriera universitaria come assistente di ruolo nell’Istituto anatomico messinese.
Nel 1967-68 si trasferisce a Roma allorquando il Fumagalli vi si
trasferisce da Palermo. Collabora con il suo maestro alla ristrutturazione dell’Istituto anatomico romano dedicando in modo particolare le sue inesauribili energie nell’organizzazione di un moderno
ed attrezzato reparto di Microscopia Elettronica delle cui tecniche,
nel frattempo, era divenuto esperto a seguito delle sue frequentazioni di eccellenti laboratori negli Stati Uniti ed in Giappone. Libero
docente di Istologia nel 1968 e di Anatomia nel 1970, è incaricato
di Istologia dal 1967 al 1971 presso il Libero Istituto di Medicina e
Chirurgia dell’Università dell’Aquila, e di Anatomia Umana dal
1971 presso l’Università La Sapienza. Diviene professore ordinario
e titolare della seconda Cattedra di Anatomia Umana di Roma nel
1975. Nel 1982 succede al suo maestro nella direzione dell’Istituto,
carica che tiene sino al 1985 e successivamente dal 1992 ininterrottamente sino al 2002 allorquando immaturamente e improvvisamente muore in Roma.
65
Tindaro G. Renda
Dotato di intelligenza vivace, brillante
ricercatore e instancabile organizzatore, si
affermò ben presto in campo nazionale ed
internazionale raggiungendo livelli di
eccellenza soprattutto per le sue ricerche di
microscopia elettronica a trasmissione ed a
scansione sul fegato e sull’apparato riproduttivo femminile. Fu Presidente della
Società Italiana di Anatomia dal 1993 al
1999; Presidente della Federazione
Mondiale delle Società di Anatomia dal
Fig. 16 – Pietro M. Motta
1999 al 2002, Segretario Generale del
(Sassari 1942-Roma 2002)
Comitato per i Simposi di Scienze
Morfologiche. Nel 1995 ha fondato la Academia Malpighiana
Studiorum Anatomiae Microscopicae. Svolse una cospicua attività
editoriale sia nel campo della didattica, pubblicando testi ed atlanti di Anatomia Microscopica che vennero tradotti in diverse lingue,
sia nel campo scientifico agendo da editor per una collana di 37
volumi su argomenti di anatomia microscopica. Importante anche
la sua attività pubblicistica collaborando alla realizzazione di trasmissioni televisive della serie Quark. Organizzò in Roma alcuni
congressi nazionali ed internazionali fra cui alcuni Malpighi
Symposia ed il Congresso Mondiale degli Anatomisti nel 1999. E’
stato insignito di innumerevoli premi internazionali ed ha ricevuto
6 lauree honoris causa da Università straniere. Grazie alla sua
instancabile attività l’Istituto di Anatomia di Roma ha acquistato
notevole prestigio in campo internazionale costituendo un vero
punto di riferimento per molti ricercatori italiani e stranieri che ne
hanno frequentato i laboratori ed hanno instaurato attive collaborazioni6. Chi scrive gli è stato compagno di cammino e sincero amico
sin da quando eravamo allievi interni nell’Istituto di Anatomia di
Messina, abbiamo seguito i rispettivi maestri nell’Istituto romano e,
ciascuno con le proprie capacità, animati da profondo amore per la
nostra disciplina e da un comune sentire abbiamo operato di conserva sempre e soltanto per il prestigio dell’Istituto che entrambi
avevamo contribuito a ristrutturare. La morte lo ha colto improvvisamente mentre era dedito alla realizzazione del 5° International
Malpighi Symposium concepito per celebrare il 7° Centenario della
fondazione dell’Università la Sapienza. Chi scrive, insieme a tutti i
componenti del nuovo dipartimento, ne ha raccolto l’idea e l’ha
realizzata con notevole partecipazione di colleghi provenienti da
tutte le parti del mondo, nel 2003, dedicandola alla sua memoria ad
66
Il Dipartimento di Anatomia Umana
un anno dalla sua scomparsa. In quella occasione è stata scoperta
una targa che intitola a Pietro Motta la Sezione di Microscopia
Elettronica del Dipartimento.
L’ultimo quarto del XX secolo ci ha visto solidali, Pietro Motta,
Giulio Marinozzi e chi scrive, nel seguire le trasformazioni tumultuose delle vicende accademiche e le riforme curriculari che in
maniera incalzante si sono susseguite. Consci del ruolo insostituibile che le scienze morfologiche rivestono nella costruzione di solide
basi teorico-pratiche del futuro medico, abbiamo in ogni sede e con
forza fatta nostra l’idea, che peraltro avevamo ereditato dai nostri
Maestri, di trasformare l’Anatomia descrittiva in Anatomia funzionale, favorendone l’apertura verso integrazioni orizzontali e verticali ed impedendone nel contempo la perdita di identità. Anche con
questa nostra attenta azione, credo, si abbia contribuito non poco
alla crescita e al raggiungimento delle attuali posizioni di eccellenza didattica e scientifica della nostra Facoltà.
Fig. 17 – Logo del 5° Simposio Malpighi
organizzato nell’ambito delle celebrazioni
del 7° centenario della fondazione
dell’Università “La Sapienza” di Roma e
dedicato alla memoria del suo ideatore
Pietro Motta.
Fig. 18 –Targa che intitola la Sezione di
Microscopia Elettronica del
Dipartimento a Pietro Motta, scoperta
l’11 settembre 2003, a poco più di un
anno dalla sua morte, in occasione del
5° Simposio Malpighi
67
Tindaro G. Renda
Con Decreto Rettorale del 14.02.2002, è stato istituito il
Dipartimento di Anatomia Umana dell’Università “La Sapienza”.
Avendovi aderito la totalità dei componenti dell’Istituto di Anatomia
Umana Normale della I Facoltà di Medicina e Chirurgia, l’Istituto è
stato disattivato in pari data.
Viene nominato Direttore del Dipartimento il Prof. Pietro M.
Motta che come si è detto tragicamente scompare dopo pochi mesi.
Dal 2002 ad oggi a tale carica viene eletto chi scrive.
L’odierno Dipartimento di Anatomia Umana si articola in quattro
Sezioni (Microscopia Elettronica “Pietro Motta”, Anatomia Microscopica Clinica, Immunoistochimica, Anatomia Macroscopica) ciascuna suddivisa in reparti, e ne è prevista l’attivazione di una quinta (Sezione di Anatomia ultrastrutturale clinica) presso il Polo S.
Andrea, sede della II Facoltà di Medicina e Chirurgia. Dispone infine di un Servizio di Organizzazione Didattica, di un Laboratorio di
produzione software e servizi multimediali e di una Biblioteca di
settore. Ulteriori dettagli sul Dipartimento sono ottenibili visitando
il sito web “http://w3.uniroma1.it/anatomiaumana/”.
BIBLIOGRAFIA
1. CAPPARONI P., I maestri di Anatomia nell’Ateneo Romano della Sapienza
durante il secolo XVI. Boll. Istituto Storico Arte Sanitaria 1926; 6:197-214.
2. RENDA T., L’insegnamento delle discipline anatomiche nella “Studiorum
Universitas Messane”. Palermo, IRES, 1967.
3. VIRNO V., Ricordo biografico di un maestro: Riccardo Versari. Ricerche di
Morfologia 1952; 22:VII-XIII.
4. CAVALLOTTI C., L’insegnamento delle discipline anatomiche nell’Università
degli studi “La Sapienza” di Roma. Roma, Edizioni Universitarie Romane,
1985.
5. GAUDIO E., Ricordo del Prof. Giulio Marinozzi. It. J. Anat. Embryol. 1999;
104/2: 22-27.
6. BARBERINI F., FAMILIARI G., MACCHIARELLI G., Commemoration of
Professor Pietro M. Motta (1942-2002). It. J. Anat. Embryol. 2003; 108/2: I-X.
68
Il Dipartimento di Anatomia Umana
TAB. I- DOCENTI DI ANATOMIA ALLA “SAPIENZA” (sino al 1870)
DOCENTE
ANNI
ANGELO DA CAMERINO....................................................................1294FRANCESCO CASINI ...........................................................................1377PAOLO DI JACOPO DELLA ROTONDA ............................................1378PAOLO DI LELLO DELLA VALLE .....................................................1431GABRIELE DE ZERBI ..........................................................................1480ALFONSO FERRI ..................................................................................1539REALDO COLOMBO............................................................................1551BARTOLOMEO EUSTACHI .................................................................1555BENALBO BRANCALUPO ..................................................................1570ARCANGELO PICCOLOMINI .............................................................1582ANGELO ANTONINI ............................................................................1587ALESSANDRO MENGHINI .................................................................1622GIOVANNI CASTELLANI....................................................................1626GIOVANNI TRULLI ..............................................................................1658PIETRO MANFREDI ............................................................................1667LUCA ANTONIO PORZIO....................................................................1681GIOVANNI MARIA LANCISI ..............................................................1684GIORGIO BAGLIVI...............................................................................1696ALESSANDRO PASCOLI .....................................................................1701ANTONIO COCCHI...............................................................................1731COSIMO GRILLI ...................................................................................1742MARCO MARCANGELI.......................................................................1743NATALE SALICETI ...............................................................................1748LEOPOLDO MICHELI ..........................................................................1769PIETRO LUPI .........................................................................................1793ACHILLE LUPI ......................................................................................1831FORTUNATO RUDEL ...........................................................................1853-
?
?
?
?
?
51
55
67
82
87
1619
26
58
67
81
84
96
1701
08
42
43
48
49
93
1831
53
1870
TAB. 2- I DIRETTORI DELL’ISTITUTO DI ANATOMIA (dal 1870 al 2002)
FRANCESCO TODARO........................................................................1870RICCARDO VERSARI ..........................................................................1919VINCENZO VIRNO ...............................................................................1945ZACCARIA FUMAGALLI ....................................................................1967PIETRO M. MOTTA ..............................................................................1982TINDARO G. RENDA ...........................................................................1985GIULIO MARINOZZI............................................................................1988PIETRO M. MOTTA ..............................................................................1992-
69
1918
1945
1967
1982
1985
1988
1991
2002
LA SCUOLA BIOCHIMICA ROMANA
GINO AMICONI
71
La Scuola Biochimica Romana
Le prime radici
Il primo corso tenuto a Roma di Chimica fisiologica e patologica
(denominazione che può considerarsi quella originaria della disciplina nota oggigiorno come Biochimica) venne svolto nel 1881 da
Giuseppe Colasanti, uno studioso che si era formato anche nel laboratorio di Eduard Pflüger all’Università di Bonn (Fig. 1) e che poi
nel 1890 passò alla cattedra di Farmacologia sperimentale. Com’è
noto, verso la fine del XIX secolo gli aspetti chimici dei processi
fisiologici e patologici che avvengono negli organismi viventi ricevettero grande attenzione da parte di una molteplicità di specialisti
in varie branche della medicina, che andavano dai farmacologi, agli
igienisti, ai patologi, ai clinici, ai fisiologi: furono in verità questi
ultimi a dare un solido corpo alla nuova disciplina, plasmandone
l’architettura generale e dandole un ben definito contenuto in modo
da separare nettamente la Chimica fisiologica (denominazione ufficiale in tutta Europa, fino alla prima guerra mondiale, dell’attuale
Biochimica) dalla cosiddetta Chimica clinica e dalla Chimica forense (le due altre branche della chimica applicata allora note, nel
campo della medicina).
Una vera e propria cattedra di Chimica
fisiologica venne però istituita ufficialmente
all’Università di Roma solo nel 1903 e, come
disciplina autonoma, trovò ospitalità presso
l’Istituto di Fisiologia umana. Fu incaricato di
svolgere il corso Domenico Lo Monaco, che ne
mantenne l’insegnamento -rinnovato di anno in
anno- fino alla sua morte, avvenuta nel 1930.
Gli successe Giuseppe Amantea, il quale lasciò
l’incarico nel 1949, quando divenne professore
ordinario di Fisiologia umana. Anche se la gran
Fig. 1 - Certificato parte degli interessi scientifici di Amantea fu
firmato da Eduard
rivolta prevalentemente a temi più propriamenPflüger- che attesta
te fisiologici (e. g. epilessia sperimentale), non
l’impegno attivo di
mancarono da parte sua studi che rientrano nelGiuseppe Colasanti
l’ambito della biochimica: basti qui ricordare
nelle ricerche svolte nel
che nel 1923 scoprì che i cristalli di emoglobisuo Istituto di Fisiologia
na ottenuti dal sangue di neonato (prelevato dal
dell’Università di Bonn.
cordone ombelicale) erano diversi da quelli
prodotti dal sangue di adulto: questa osservazione fu tra le prime a
mettere in evidenza alcune importanti differenze strutturali a livello
molecolare che si producono negli esseri viventi col passare dallo
73
Gino Amiconi
stato neonatale (caratterizzato appunto dalla presenza di un’emoglobina detta fetale) a quello della maturità biologica (con una diversa
emoglobina detta adulta, per distinguerla dalla fetale)1. Si ama qui
citare questi risultati sperimentali, perché lo studio dei trasportatori
di ossigeno negli organismi viventi (come appunto è l’emoglobina)
sarà tra le linee di ricerca che nel ventennio compreso tra il 1955 ed
il 1975 hanno dato lustro alla scuola biochimica romana, fondata da
Alessandro Rossi Fanelli.
Alessandro Rossi Fanelli a Roma
A partire dagli inizi del Novecento lo studio dei sistemi viventi
a livello molecolare andò man mano imponendosi negli ambienti
biomedici anche in Italia, tant’è che -ad imitazione di quel che era
già avvenuto in gran parte del resto d’Europa e negli Stati Uniti
d’America- nel 1942 si ritenne doveroso bandire il primo concorso nazionale per tre cattedre di Biochimica: un termine quest’ultimo che, da quel momento in poi, sostituì definitivamente la dicitura Chimica fisiologica. Tra i vincitori c’era Alessandro Rossi
Fanelli, che avrebbe dovuto trasferirsi subito -da Napoli, dov’era
nato ed aveva iniziato la sua carriera universitaria- all’Università
di Pavia, dove però giunse solo nel 1945 per le difficoltà imposte
dalla guerra allora in atto agli spostamenti di individui e cose. La
sede di Pavia fu per lui del tutto transitoria; ed infatti già nel 1949
venne chiamato a ricoprire la cattedra di Biochimica all’Università
di Roma, in seguito al trasferimento di Giuseppe Amantea alla
Fisiologia umana. Prima di andare in cattedra, Rossi Fanelli aveva
scoperto -a Napoli- che la differenza di solubilità tra l’emoglobina
(il trasportatore di ossigeno presente nel sangue) e la mioglobina
(il trasportatore di ossigeno che si trova dentro i muscoli) permetteva di isolare e purificare queste due proteine, l’una dall’altra:
tale metodica, innovativa per quei tempi, diede a Rossi Fanelli
–mentre si trovava a Pavia- la possibilità di determinare per la
prima volta la composizione chimica della mioglobina umana, un
brillante risultato che apparve nel 1948 su una delle più prestigiose riviste scientifiche (di allora, come anche al giorno d’oggi),
Science, e che fu comunicato, sempre nello stesso anno, anche alla
Barcroft Memorial Conference (un importante congresso a cui parteciparono i più importanti scienziati che lavoravano sulle emoproteine, tra cui alcuni futuri vincitori di premi Nobel).
A Roma lo spazio assegnato all’Istituto di Biochimica comprendeva poche stanze, circondate da ampie ed inutilizzabili terrazze,
all’ultimo piano dell’edificio che ospitava la Fisiologia umana (al
74
La Scuola Biochimica Romana
primo piano) e la Farmacologia (al piano terra). L’ala sinistra
dell’Istituto, in cui si decise di mettere gli uffici amministrativi e lo
studio di Rossi Fanelli, era stata riparata alla meglio, dopo la parziale distruzione (Fig. 2) dovuta al bombardamento che subì Roma nel
1943. La strumentazione per una valida ricerca biochimica in pratica
non esisteva, in quanto quel poco che vi si trovava era mirato al lavoro sperimentale di neurofisiologia, svolto da Amantea. Quanto al personale, c’era un solo tecnico esecutivo assegnato all’Istituto, ma nessun assistente. Da questo poverissimo inizio, Alessandro Rossi
Fanelli creò quello che al tempo della sua andata fuori ruolo (nel
1981, all’età di 75 anni) era diventato il Dipartimento (interfacoltà)
di Scienze biochimiche e che dalla sua morte (avvenuta nel 1990)
porta il suo nome. Attualmente (vale a dire nella primavera del 2005)
vi afferiscono 21 professori ordinari, 27 professori associati e 20
ricercatori (13, 17 e 10, rispettivamente, afferenti alla Facoltà di
Medicina); ed inoltre, 1 assistente ordinario e 38 unità di personale
non-docente, tra quello amministrativo e quello di laboratorio.
Completano il quadro odierno, le attuali potenzialità scientifiche del
Dipartimento, costituite -oltre che dalle apparecchiature di base per
la biologia molecolare, la biochimica delle proteine e la biologia cellulare- da sofisticate strumentazioni per la ricerca d’avanguardia, che
vanno da quelle per la cinetica rapida (capaci di misurare eventi
molecolari che si producono nei millisecondi, nei microsecondi e nei
nanosecondi), a quelle per la biocristallografia, per l’analisi strutturale di biomolecole (basata sulla stretta integrazione tra spettrometria
di massa e classiche metodologie biochimiche), per la bioinformatica, per la spettroscopia e per la biotermodinamica2.
Date tutte queste realizzazioni, non stupisce che quando andò
fuori ruolo Alessandro Rossi Fanelli fu molto festeggiato sia dai
suoi allievi diretti (ritratti in gran parte con lui nella Fig. 3), sia da
numerosi scienziati stranieri ben noti in campo internazionale che
avevano trascorso periodi più o meno lunghi nei laboratori
dell’Istituto da lui diretto (Fig. 4).
Fig. 2 - Così appariva l’edificio
che ospitava nella Città
universitaria gli Istituti di
Fisiologia e di Farmacologia,
dopo il bombardamento del 1943.
All’Istituto di Biochimica, diretto
da Rossi Fanelli dal 1949, fu
assegnato l’ultimo piano,
compresa la parte che risulta
distrutta.
75
Gino Amiconi
Fig. 3 - Alessandro Rossi
Fanelli (al centro della prima
fila) con alcuni dei suoi più
stretti collaboratori nel 1981.
Andando dalla fila più bassa a
quella più alta e –all’interno di
ogni fila- da sinistra a destra,
si vedono: (prima fila) Maurizio
Brunori, Lilia Calabrese,
Franca Ascoli Marchetti,
Alessandro Rossi Fanelli,
Dagmar Siliprandi, Emilia
Chiancone ed Anna Giartosio;
(seconda fila) Giuseppe Rotilio,
Carlo De Marco, Donatella Barra, Doriano Cavallini, Francesca Riva ed Eraldo
Antonini; (terza fila) Noris Siliprandi, Silvestro Duprè, Roberto Strom, Carlo Cannella,
Paolo Cerletti e Bruno Mondovì; (quarta fila) Roberto Scandurra, Giorgio Federici,
Bruno Giardina, Alessandro Finazzi-Agrò, Carlo Turano e Francesco Bossa.
In quest’occasione fu organizzato un importante simposio scientifico tenuto a Roma presso l’Accademia Nazionale dei Lincei.
Fig. 4 - Ecco la
gran parte dei
partecipanti al
simposio su
“Structure-Function
Relationships in
Biochemical
Systems”, tenutosi
dal 28 al 30
settembre 1981 a
Roma nella sede
dell’Accademia
Nazionale dei Lincei. Lo spunto per organizzare questa manifestazione scientifica fu la
celebrazione del 75° compleanno di Alessandro Rossi Fanelli (al centro della prima fila,
vestito di scuro). Nell’impossibilità di nominare tutti i presenti, si citano solo i tre
vincitori di premi Nobel: Max Perutz, John Kendrew e Renato Dulbecco.
Tra le varie e dotte comunicazioni scientifiche3 incuriosì gli
astanti l’intervento -del tutto fuori dagli schemi classici dei convegni- di William E. Blumberg, un brillante scienziato dei Bell
Laboratories (New Jersey, USA): egli presentò un quadro dettaglia76
La Scuola Biochimica Romana
to della carriera scientifica di Rossi Fanelli, applicando un ingegnoso trattamento statistico da lui escogitato, che in seguito si rivelò un
poco più elementare -ma altrettanto efficace- di quello successivamente proposto da Eugene Garfield per il suo Citation Index.
Secondo Bill Blumberg, la produzione scientifica di Rossi Fanelli
aveva seguito l’andamento tipico che si osserva per ogni grande
scienziato: uno stadio iniziale (1946–1954), caratterizzato da un
progressivo aumento del numero di lavori pubblicati ogni anno,
seguito da un periodo (1955–1966) di costante ed elevata produttività scientifica, che tende poi a declinare gradualmente (1967–1981)
man mano che più tempo e più energia vengono dedicati ad altre
attività (politica della scienza, ricerca di finanziamenti, amministrazione e -perché no- anche regate, una passione questa che durò per
l’intera vita di Rossi Fanelli).
La costruzione della scuola biochimica romana
Poche stanze dunque ed un solo tecnico: ecco ciò che trovò Rossi
Fanelli a Roma, quando vi fu chiamato a ricoprire la cattedra di
Biochimica. Una volta resosi conto della scarna situazione in cui versava il suo Istituto, Rossi Fanelli perseguì con tenacia il classico programma di sviluppo che vale per una qualsiasi attività articolata e
complessa, come può essere la didattica universitaria e la ricerca
scientifica che di necessità la accompagna: aumentare il personale
docente e non docente, trovare la strumentazione adeguata ed allargare gli spazi; in breve, cercare ed acquisire sostanziosi finanziamenti. Come prima mossa, chiamò a Roma i due assistenti che avevano collaborato con lui a Pavia: Noris Siliprandi e Giulio Perri, ai
quali affiancò due giovanissimi studenti di medicina romani (Paolo
Fasella e Paolo Cerletti). Alla fine del 1949, arrivò Doriano
Cavallini, che aveva trascorso un lungo periodo a New York presso
l’ottimo laboratorio di biochimica della Cornell University, allora
diretto dal futuro vincitore di un premio Nobel (quello per la chimica nel 1955), Vincent Du Vigneaud. Al momento della sua partenza
per gli Stati Uniti, Cavallini era assistente in una materia d’insegnamento che forse esisteva solo in Italia, la Patologia generale, dedicata allo studio dei fenomeni biologici elementari comuni a molte
malattie, osservate dal punto di vista delle loro cause e delle loro
modalità di azione, incluse quelle a livello molecolare. Quella di
Roma era una buona scuola di Patologia generale che -grazie alle
capacità scientifiche ed organizzative del suo direttore, Guido
Vernoni- si era guadagnata una notevole fama internazionale. Per tale
motivo, ed anche perché considerata una materia importante per gli
77
Gino Amiconi
studi medici, molti studenti di medicina facevano domanda per esservi accolti come interni, al fine di potervi svolgere la loro tesi sperimentale di laurea. Tre di questi -Eraldo Antonini, Carlo De Marco e
Bruno Mondovì- passarono all’Istituto di Biochimica, non appena vi
si fu trasferito Cavallini, completando così quel nucleo originario di
ricercatori che si sarebbe dimostrato decisivo per lo sviluppo qualitativo e la solidità scientifica della scuola romana di biochimica. Non
sorprenda questo passaggio di personale da una ad un’altra disciplina, peraltro incoraggiato nel caso in questione dallo stesso Vernoni,
che stava per andare in pensione. In Italia, infatti, fino agli anni
Sessanta esisteva la consuetudine che il nuovo professore -dopo aver
licenziato tutti gli assistenti (che in quei tempi vedevano il proprio
incarico rinnovato di anno in anno) del vecchio docente- chiamasse
presso di sé i collaboratori che l’avevano aiutato nella ricerca e nella
didattica quando si trovava nella precedente sede.
Grandi poi furono gli sforzi di Rossi Fanelli per acquisire -tra il
1950 ed il 1951- alcuni strumenti scientifici d’avanguardia tramite
l’European Recovery Program (il cosiddetto piano ERP o meglio
piano Marshall, dal nome dell’allora Segretario di Stato americano
che pianificò con chiarezza gli scopi dell’assistenza economica ai
Paesi dell’Europa occidentale, usciti più o meno distrutti dalla seconda guerra mondiale). Fra gli obiettivi specifici del piano ERP c’era la
modernizzazione della strumentazione scientifica, un fatto che permise di avere nell’Istituto di Biochimica di Roma uno dei primi spettrofotometri presenti in Italia, oltre ad una centrifuga refrigerata ed
un ingombrante apparato per elettroforesi in fase liquida (il cosiddetto Tiselius), sostituito poi con uno più maneggevole.
Un passo ulteriore e fondamentale verso l’acquisizione di importanti e necessari strumenti per portare avanti una ricerca d’avanguardia fu fatto grazie ad un sostanzioso finanziamento della Rockefeller
Foundation. A Gerard R. Pomerat, il responsabile della Fondazione
che doveva indicare i gruppi di ricerca europei degni di contributi
finanziari, fu presentato uno scrupoloso, dettagliato e ben articolato
progetto di ricerca e furono indicate per esteso le necessità pratiche
per realizzarlo, in termini sia di strumentazione, che di reagenti e di
vetreria; a dicembre del 1953 Rossi Fanelli ricevette un finanziamento di 7500 dollari da spendere in due anni anche “per pagare laureati e tecnici”. Fu questo un risultato molto importante; e non solo per
la somma di denaro, che era considerevole per quei tempi, ma anche
e specialmente perché quel contributo economico costituiva un vero
e proprio attestato di stima che l’Istituto di Biochimica riceveva da
una prestigiosa istituzione internazionale.
78
La Scuola Biochimica Romana
Anche se lentamente, cominciarono ad arrivare altri finanziamenti dagli Stati Uniti d’America: per ricerche sui semi di cotone, dapprima, e poi per studi sul trasporto dell’ossigeno da parte dell’emoglobina e per approfondire ed ampliare le conoscenze necessarie alla
conservazione del sangue in vitro. Tali finanziamenti furono, tra l’altro, utilizzati per pagare un minimo salario a giovani laureati (in
medicina, in scienze biologiche o in farmacia) con la stipula di contratti a breve termine oppure con l’assegnazione di modeste borse di
studio: piccoli riconoscimenti economici a persone affascinate dalla
ricerca biochimica, tanto da trascorrere non meno di 10 ore al giorno in laboratorio. Non si può infatti neanche ipotizzare che il loro
impegno derivasse da prospettive di facile carriera nell’ambito dell’università. A quei tempi l’esame di biochimica veniva sostenuto
solo da un piccolissimo manipolo di studenti particolarmente interessati al contenuto di questa disciplina: la quale, non essendo ancora
riconosciuta come materia di studio obbligatoria, non aveva possibilità alcuna di vedere banditi concorsi per posti di ruolo in
Biochimica. Solo nel 1954 infatti il Ministero della Pubblica
Istruzione impose l’obbligo di sostenere l’esame di biochimica agli
studenti di medicina, decisione presa sotto la pressione degli Stati
Uniti che minacciavano di non dare il proprio riconoscimento legale
alla laurea in medicina presa in Italia, vista l’assenza della biochimica e della microbiologia dal curriculum degli studi; un fatto questo
che avrebbe penalizzato pesantemente i neolaureati in medicina italiani, che avessero voluto continuare i loro studi in America.
Intanto, i primi collaboratori di Rossi Fanelli avevano maturato
una grande esperienza nella ricerca scientifica (alcuni erano anche
diventati assistenti), tanto da riuscire per i loro propri meriti ad ottenere finanziamenti e nuove strumentazioni, sia dal settore pubblico
che da privati. In altre parole, l’Istituto di Biochimica dell’Università
di Roma cresceva e molto in fretta. Negli anni Sessanta era diventato uno dei centri di ricerca a livello molecolare meglio equipaggiati
in Europa dal punto di vista della strumentazione d’avanguardia ed
allo stesso tempo era divenuto sede di un’attività scientifica di prima
grandezza: per questi motivi esercitava grande attrazione per molti
scienziati, giovani ed anziani, che vi giungevano di continuo da ogni
parte del mondo. Al congresso della FEBS (Federation of European
Biochemical Societies) tenuto a Londra nel 1964, il Presidente Arne
Tiselius volle presentare un quadro dello stato della ricerca biochimica in Europa, definendo quello italiano il risultato di un vero e proprio miracolo. La scuola romana aveva potentemente contribuito alla
realizzazione di questo miracolo.
79
Gino Amiconi
Si era così giunti ad un punto in cui Rossi Fanelli sentì di dover
mirare ad un ulteriore fine molto meritorio, quello di chiedere a sedi
universitarie fuori dell’area romana di bandire concorsi per cattedre
di biochimica, concorsi ai quali la gran parte dei suoi allievi poteva
prender parte con buone speranze di successo. Questa ampia visione
politica rese possibile la creazione di stretti collegamenti fondati su
interessi comuni e di importanti relazioni di collaborazione scientifica con altre università, che -col tempo- divennero sempre più numerose: basti ricordare quelle di Cagliari, Camerino, Catania, Chieti,
L’Aquila, Messina, Udine e Viterbo, dove gli allievi romani esportarono la loro vivacità intellettuale e la maturità scientifica plasmata a
Roma. Nel frattempo l’insegnamento delle basi molecolari dei sistemi viventi -in termini sia strutturali che funzionali- fu adottato anche
in altre Facoltà dell’Università di Roma: in particolare -oltre all’aggiunta della Chimica in Facoltà di Medicina- nacquero la Biochimica
e la Biochimica applicata in due altre Facoltà romane (a Farmacia ed
a Scienze matematiche, fisiche e naturali), tutti insegnamenti ospitati nel vecchio Istituto di Biochimica che nel 1986 è diventato il
Dipartimento di Scienze biochimiche.
Per quanto attiene al problema degli spazi, si decise dapprima di
utilizzare le grandi terrazze che abbracciavano il primitivo Istituto,
convertendole in laboratori, studi e biblioteca. Poi, l’intero piano
terra lasciato dalla Farmacologia medica (in seguito al suo trasferimento in un nuovo edificio appositamente costruito per questa
disciplina) fu suddiviso a metà con la Fisiologia umana, assieme al
sotto-interrato, che fu totalmente ristrutturato. Eraldo Antonini si
trasferì al piano terra con i suoi due migliori collaboratori, Maurizio
Brunori ed Emilia Chiancone, e lì stabilì l’Istituto di Chimica della
Facoltà di Medicina, di cui divenne direttore. A Doriano Cavallini
Fig. 5 - Ecco com’è
attualmente l’edificio che
ospita il Dipartimento di
Scienze
biochimiche (e la
Sezione di Fisiologia
umana del Dipartimento
di Fisiologia e
Farmacologia). Un semplice colpo d’occhio –
che mette a paragone la
parte B con la parte A di
questa figura- permette di notare facilmente lo sviluppo in altezza del palazzo.
80
La Scuola Biochimica Romana
fu assegnato il compito di rendere abitabile il sotto-interrato, che
divenne la sede dell’Istituto di Biochimica per la Facoltà di
Farmacia, una Facoltà che Rossi Fanelli governava già da alcuni
anni come Preside. Fu infine possibile sopraelevare di un piano
l’intero edificio, (Fig. 5) dopo una lunghissima e defatigante trattativa con varie autorità (al Comune di Roma ed al corrispondente
dell’attuale Ministero dei Beni Culturali) per ottenerne il permesso.
La gran parte del nuovo piano fu occupata da Carlo De Marco e dal
suo gruppo di ricerca.
La creazione a Roma di due altre sedi universitarie -l’Università
“Tor Vergata” e l’Università “Roma 3”- permise un ulteriore sciamare dei professori di biochimica dall’unica università inizialmente presente, che in quell’occasione riprese il suo nome storico: “La
Sapienza”.
Paolo Fasella, Alessandro Finazzi-Agrò, Giuseppe Rotilio e molti
altri si trasferirono direttamente a “Tor Vergata” nel 1980, mentre
Paolo Ascenzi e Giovanni Antonini giunsero a “Roma 3” dopo essere stati in altre sedi. C’è, infine, da aggiungere che nel 1991 Bruno
Giardina passò nella sede romana dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore. Tutti questi professori hanno creato loro propri gruppi
di ricerca nelle nuove sedi, mantenendo tuttavia strette e continue
collaborazioni con i colleghi della ‘casa-madre’, collaborazioni non
solo scientifiche ma anche e specialmente gestionali, realizzate con
incontri periodici e finalizzate alla soluzione di problemi di comune
interesse.
I Beati Paoli ovverosia i professori ordinari di biochimica nelle università romane
Verso la fine degli anni Sessanta il clima sociale in Italia era
andato deteriorandosi e la situazione politica era diventata molto
complicata e sempre più difficile da gestire. Ambedue questi aspetti negativi della vita associata nazionale favorirono la rivolta studentesca del 1968. I professori universitari si trovarono a dover affrontare allo stesso tempo sia l’occupazione degli edifici che ospitavano
i loro Istituti, che la violenza distruttiva di frange estremiste di studenti. Tutti questi travagli che agitavano l’università italiana non
lasciarono ovviamente indifferente Rossi Fanelli, ma non lo distrassero mai al punto da fargli trascurare i normali doveri quotidiani. La
sua acuta capacità di accettare e di pilotare qualsiasi cambiamento
fu messa alla prova in tali circostanze. Ed ecco come (re)agì. Innanzi
tutto cominciò a convocare di tanto in tanto nella biblioteca
81
Gino Amiconi
dell’Istituto tutto il personale -docente e non docente- al fine di
tastare il polso della situazione, ed allo stesso tempo fissò incontri
settimanali con tutti i professori di ruolo per discutere i problemi
accademici ed i progetti futuri (in precedenza queste ultime riunioni si tenevano in modo del tutto irregolare, e solo quando ritenuto
veramente necessario). Fu questa una notevole innovazione nella
conduzione dell’Istituto che, in pratica, sfociò in una forma di
gestione collegiale. Visti dal di fuori tali incontri periodici potevano
apparire settari, e lo stesso Rossi Fanelli era solito scherzarci sopra
dicendo con voce sommessa che quelle riunioni tra i professori di
ruolo di biochimica erano in realtà veri e propri incontri di “Beati
Paoli”; ed i biochimici romani sono tuttora noti con questo appellativo a molti colleghi italiani e stranieri. L’origine di tale denominazione risale ad una trasmissione televisiva a puntate che narrava la
storia drammatica de La baronessa di Carini. L’intero racconto era
basato su un evento storico reale accaduto il 4 dicembre 1503 in
Sicilia, nel castello dei Carini, dove il barone Vincenzo La Grua
Talamanca uccise la moglie Laura, ritenendola colpevole di una tresca intima con un cavaliere di una fazione avversa. Nel serial televisivo si potevano vedere incontri di notabili incappucciati -incluso
lo stesso barone di Carini- tenuti in un sotterraneo segreto. Si trattava delle riunioni dei Beati Paoli, vale a dire dei membri di una società segreta che teneva stretto nelle proprie mani il potere reale di una
vastissima zona attorno al castello (potere ben distinto da quello,
Fig. 6 - Schizzo colmo di napoletana ironia che rappresenta una riunione dei Beati
Paoli, presieduta dall’Apostolo, vale a dire da Rossi Fanelli in persona. Il numero degli
incappucciati, cioè dei professori ordinari di Biochimica presenti nel 1983 nelle università romane, era in quel momento di 15, con la possibilità di salire a 16 nell’anno che
stava per iniziare (una prospettiva indicata dai due numeri in basso a destra). In alto a
destra, invece, sono abbozzati due aspiranti Beati Paoli, i cui desideri si sarebbero potuti esaudire in tempi più lontani. Disegno originale di Rossi Fanelli.
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La Scuola Biochimica Romana
solo apparente per la verità, dei politici ufficiali) e che -quando
necessario- ristabiliva la vera giustizia. La società segreta dei Beati
Paoli era dunque una sorta di mafia buona. Poiché a quei tempi -tra
la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta- la stampa
nazionale era solita chiamare i professori universitari baroni e
mafiosi, Rossi Fanelli per scherzo ribattezzò con il nome collettivo
di “Beati Paoli” l’insieme di tutti i professori ordinari di biochimica
che afferivano all’Istituto da lui diretto e quelli che, trasferitisi nelle
altre università dell’area romana, partecipavano alle riunioni settimanali ricordate più sopra (Fig. 6).
Due linee di ricerca tra le tante (ed una breve parentesi)
Moltissime sono state, e tuttora sono, le linee di ricerca portate
avanti dai vari gruppi della scuola biochimica romana: quali casi
esemplari dell’attività scientifica svolta ad altissimo livello -e
come tale riconosciuta in campo internazionale- si ricorderanno
gli studi fatti sul trattamento di alcuni tumori maligni mediante
ipertermia controllata e quelli svolti sui trasportatori di ossigeno
(mioglobine ed emoglobine).
Trattamento di tumori con ipertermia
Nel 1963 Alessandro Rossi Fanelli (con la collaborazione di
Bruno Mondovì) organizzò un gruppo di lavoro, per studiare la
maggiore sensibilità al calore delle cellule neoplastiche rispetto a
quelle normali. Dapprima fu condotta una ricerca sistematica
sugli effetti che il calore induce in vari tessuti tumorali coltivati in
vitro, finché non furono stabilite con certezza le condizioni ottimali per l’azione distruttiva provocata dall’aumento della temperatura sulle cellule malate. Raggiunti i risultati attesi in vitro, furono stabilite strette collaborazioni con clinici ed anestesisti
dell’Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori di
Roma e con oncologi dell’Università del Wisconsin, dove nel frattempo era stata messa a punto una nuova tecnica che -mediante
circolazione extracorporea- permetteva di mantenere per 2-3 ore a
42°C il sangue che irrorava un tumore maligno. Si giunse in tal
modo ad ottenere la (quasi) completa distruzione di gravi processi cancerosi in vari animali da esperimento. L’applicazione all’uomo vide eccellenti risultati, di gran lunga superiori a quelli ottenuti con i trattamenti convenzionali, in molti casi di tumore degli arti
(melanomi, osteosarcomi e sarcomi dei tessuti molli). I primi dati
significativi furono pubblicati nel 1967 sulla prestigiosa rivista
Cancer. Tutti i quotidiani italiani e molti settimanali riportarono
83
Gino Amiconi
in breve tempo la notizia, che lentamente si sparse anche nelle
altre nazioni europee. Si possono citare almeno due esempi della
ricezione popolare di questa scoperta in Europa: in Svizzera, La
Tribune de Genève del 24 ottobre 1967 riportò in prima pagina un
breve articolo intitolato Importante vittoria sul cancro che rinviava alla pagina 15 del quotidiano di quel giorno, pagina interamente dedicata al nuovo trattamento terapeutico; ed inoltre l’11 ottobre dello stesso anno il settimanale tedesco Quick dedicò al medesimo argomento non solo un articolo nell’interno della rivista, ma
anche l’intera sua copertina. Ovviamente questa fama che si era
ampiamente diffusa in Europa non dispiacque a Rossi Fanelli, che
si rallegrò ancor di più in cuor suo leggendo nel 1975 sul quotidiano madrileno ABC che, grazie alle ricerche sul cancro, il suo
nome si trovava nella ristretta rosa dei candidati al premio Nobel
per la medicina di quello stesso anno. Le cose però andarono altrimenti. Nel 1975 infatti il premio Nobel per la medicina fu assegnato ad un altro italiano, Renato Dulbecco (assieme a H. Temin
e D. Baltimore); inoltre, in quel medesimo anno, Eugenio Montale
vinse il Nobel per la letteratura. Troppi italiani tutti assieme, verrebbe da dire.
Breve parentesi su una serie di ricerche mirate
ad applicazioni pratiche
Anche se la maggior parte della ricerca scientifica portata avanti
nell’Istituto di Biochimica fino agli anni Ottanta può farsi rientrare di diritto nella cosiddetta ricerca di base (quella sull’ipertermia
fu tra le poche eccezioni), ci fu chi, come Paolo Fasella, si dedicò
ben presto e con interesse a ricerche centrate sulla collaborazione
tra università ed industria. E così, già nel 1970 Fasella partecipò
alla costituzione di un Laboratorio di ricerca (creato da una grande impresa chimica ed ingegneristica), che poi diresse a lungo sviluppandovi assieme ai suoi collaboratori diverse linee di ricerca
finalizzata ad applicazioni biotecnologiche, tra cui non si possono
non ricordarne due:
- quella che portò alla realizzazione di uno strumento, basato
sulla spettroscopia all’infrarosso, per il controllo in vivo, continuo
e non invasivo, dell’erogazione di sangue e di ossigeno al cervello; tale tecnologia ha poi trovato applicazione nella farmacologia
sperimentale sugli animali e nella diagnostica sugli esseri umani;
- la progettazione e la sintesi di strutture chimiche simili a (porzioni di) substrati naturali che, interagendo con enzimi, bloccano
in modo irreversibile la loro attività (vale a dire, lo sviluppo delle
84
La Scuola Biochimica Romana
basi teoriche e sperimentali di reazioni enzimatiche cosiddette suicide); tale strategia è stata successivamente applicata alla produzione di nuovi farmaci, altamente specifici, attivi su importanti
reazioni biochimiche connesse con l’attività nervosa.
Le emoproteine
Quando giunse a Roma, Rossi Fanelli continuò lo studio sui
trasportatori di ossigeno iniziato a Napoli e continuato a Pavia,
affidandolo in gran parte ad uno dei suoi più brillanti allievi,
Eraldo Antonini (Fig. 7) prematuramente scomparso nel 1983
all’età di soli 52 anni4.
Mente spumeggiante e creativa, Antonini non mancava di progettare esperimenti estremamente semplici da attuare, ma allo stesso
tempo capaci di risolvere complessi problemi scientifici: per questa
sua qualità di cogliere con immediatezza l’essenziale di ogni fenoFig. 7 - Il volto intelligente e franco di Eraldo Antonini.
meno, oltre che per la sua grande vitalità e
per un innato senso dello humor, divenne ben
presto un leader, non solo tra i biochimici
romani ma anche in campo internazionale.
Uomo profondamente libero (“moralmente
libero” soleva definirsi), Antonini condivideva -anche se in modo non conscio- il punto
di vista del filosofo della scienza Paul
Fayerabend, secondo il quale gli scienziati lavorano nelle migliori
condizioni quando non sono vincolati da una qualsiasi autorità, compresa la “ragione razionale”; volentieri invitava i suoi allievi a cercare “asini che volano” piuttosto che “asini che camminano”, invertendo un classico detto popolare. Un tale modo di pensare può essere
esemplificato dalla purificazione di una nuova proteina, l’acalina,
che ottenne dai semi di cotone con un procedimento del tutto originale. Ad un campione limpido di un estratto totale di semi di cotone,
Antonini aggiunse una prima volta una notevole quantità di soda, ma
non accadde nulla; in un altro campione, versò molto acido cloridrico, senza peraltro osservare un qualsiasi cambiamento evidente ad
occhio nudo; infine, mentre camminava per i corridoi dell’Istituto
con la mente assorta dal problema di purificare una o più proteine da
quell’estratto, passando accanto ad un bagnetto termostatato a 20° C
sotto zero, come ispirato, vi immerse il flaconcino che teneva in
85
Gino Amiconi
Fig. 8 - Eraldo Antonini che fa esperimenti con uno
strumento di cinetica rapida, da lui progettato e
costruito.
mano, e quasi immediatamente vide il formarsi di un precipitato bianco. Si trattava di
acalina pura, che s’era separata da tutto il
resto per effetto del solo abbassamento della
temperatura: un’unica operazione che aveva
portato alla produzione di una proteina perfettamente purificata. Audentes fortuna
juvat, qualcuno potrebbe commentare. Forse, ma anche in questo
caso è evidente una precisa strategia di ricerca: semplificare il sistema, ponendolo nelle condizioni più estreme. Di certo Antonini fu uno
scienziato geniale, completo come pochi, vale a dire capace di trattamenti teorici, ma anche e specialmente abile nel progettare e nel portare a termine esperimenti originalissimi, oltre che a costruire con le
proprie mani -qualità questa estremamente rara tra i ricercatori- la
strumentazione necessaria per realizzarli (Fig. 8).
I suoi primi risultati scientifici molto importanti vennero con l’introduzione di un semplicissimo e rapido metodo per descrivere l’ossigenazione dell’emoglobina in termini quantitativi, e con la messa
a punto di una metodica per preparare allo stato nativo (e dunque in
grado di funzionare) la sola parte proteica dell’emoglobina detta
apoglobina (vale a dire, l’intera macromolecola priva degli emi, che
costituiscono le porzioni non-proteiche dell’emoglobina deputate a
legare reversibilmente l’ossigeno). All’inizio furono specialmente i
lavori scientifici sull’apoglobina ad ottenere un larghissimo riconoscimento internazionale che si protrasse anche negli anni a venire,
tanto che nel 1985 Eugene Garfield (il fondatore di Current
Contents) invitò Rossi Fanelli a scrivere quale fosse la presunta
causa di quell’enorme successo5. Fra le varie ipotesi avanzate, Rossi
Fanelli ebbe ad affermare che il primo di quei lavori (quello dedicato alla preparazione ed alla caratterizzazione chimico-fisica dell’apoglobina, apparso nel 1958) era diventato un Citation Classic
perché aveva aperto una nuova era nella ricerca delle relazioni tra
struttura chimica e funzione biologica dell’emoglobina (per aver
dimostrato, in particolare, il ruolo svolto dalla struttura dell’eme nel
modulare alcune importanti proprietà del trasporto dell’ossigeno),
rendendo così l’emoglobina un buon modello per studiare i meccanismi di controllo a livello molecolare6. Per brevità, ecco un solo
altro ricordo: nel 1961, Antonini pubblicò su The Journal of
86
La Scuola Biochimica Romana
Fig. 9 - Max F. Perutz (a sinistra) dona ad
Alessandro Rossi Fanelli uno dei tanti libri che ha
scritto.
Biological Chemistry un’osservazione
sorprendente, almeno per quei tempi,
che dimostrava come la rimozione di
uno o due amminoacidi dall’estremità
di due delle quattro catene polipeptidiche che costituiscono la molecola dell’emoglobina faceva aumentare la sua affinità per l’ossigeno, abbassare la cooperatività tra gli emi
e diminuire l’effetto imposto dall’acidità dell’ambiente sul trasporto dell’ossigeno (il cosiddetto effetto Bohr). Questa scoperta di
Antonini -come la gran parte di quelle di cui fu artefice- ebbe un
enorme stimolo intellettuale sulla comunità scientifica internazionale ed in particolare produsse un profondo impatto sulla mente di
Max Perutz (premio Nobel per la chimica nel 1962; Fig. 9), il quale
così ebbe a scrivere7:
I miei dati di diffrazione dei raggi X mostravano che questi amminoacidi
[descritti da Antonini] formavano legami elettrostatici fra loro in assenza
di ossigeno, legami che si rompevano quando con l’aggiunta di questo gas
la forma globale della macromolecola cambiava. Antonini inoltre aveva
dimostrato che la liberazione di ioni idrogeno dall’emoglobina era
direttamente proporzionale alla quantità di ossigeno legata. Quando
trovai sperimentalmente che gli ioni idrogeno che si liberano
dall’emoglobina originano da ponti salini, appoggiai i miei dati sugli studi
di Antonini ed ebbi la certezza che il legame con l’ossigeno è
strutturalmente accoppiato proprio con la rottura di quei ponti
elettrostatici che Antonini aveva già descritto.
A questo punto non si può non menzionare la venuta a Roma di
un americano sessantenne, Jeffries Wyman. Quando era ancora professore alla Harvard University, aveva trascorso alcuni mesi del
1950 in Giappone come visiting lecturer soggiornando in numerose
università, e restando sempre e dovunque affascinato dai paesaggi di
quel Paese e dall’accoglienza -rispettosissima ed allo stesso tempo
molto amichevole- dei suoi abitanti. Al suo rientro negli Stati Uniti,
ancora turbato dai ricordi del Giappone -così una volta ebbe a raccontare- chiese a se stesso: Jeffries, vuoi veramente restare
all’Università, continuando a fare quel che hai fatto finora?; la
secca risposta fu: no! E così lasciò il mondo accademico e la ricer87
Gino Amiconi
ca scientifica, divenendo dapprima -a Parigi- attaché scientifico
(una nuova figura diplomatica che il Dipartimento di Stato aveva
creato in quegli anni) e poi -al Cairo- direttore dell’Ufficio per la
cooperazione scientifica dell’UNESCO nel Medio-Oriente8. Nel
1959 Wyman incontrò casualmente in Inghilterra Eraldo Antonini
(an interesting young Italian, ebbe in seguito a dire), che doveva
tenere una conferenza alla Peterhouse (il college più antico e prestigioso della University of Cambridge) e che lo invitò a fare una visita al laboratorio romano dove lavorava. Wyman giunse a Roma nella
primavera del 1969, dove ricevette un caldo benvenuto e partecipò
ad accese discussioni sull’emoglobina. Quando Rossi Fanelli ed
Fig. 10 - Dopo quasi venticinque anni di permanenza a
Roma, nel 1985 Jeffries Wyman decide di andare a vivere
a Parigi. La morte di Eraldo Antonini, al qual era legato
da un profondo affetto, fu tra le concause che portarono a
conclusione il suo periodo romano. In questa immagine
Rossi Fanelli (col camice bianco) fa il brindisi d’addio a
Jeffries Wyman (col golf marrone) nella biblioteca del
Dipartimento.
Antonini offrirono a Wyman un contratto come ricercatore-ospite,
egli accettò per un “periodo di prova”, che poi si protrasse per quasi
venticinque anni (Fig. 10). John Edsall, della Harvard University,
riassunse così quanto gli confidò l’amico Jeffries Wyman sui primi
tempi trascorsi a Roma9:
il laboratorio era un luogo eccitante, pieno di entusiasmo e di alti spiriti,
con un continuo ribollire di articolate pianificazioni di nuovi esperimenti
proposti dalla mente di uno o di un altro ricercatore. Tutto ciò sfociava in
interessanti ed allo stesso tempo amabili discussioni fra tutti i membri di
questo gruppo di giovani ed in brevissimo tempo venivano realizzati tutti i
nuovi esperimenti che erano stati programmati.
A Rossi Fanelli, Antonini e Wyman presto si aggiunse Maurizio
Brunori e, col passar del tempo, altri collaboratori più o meno giovani, tra cui Emilia Chiancone. L’attività scientifica, estremamente produttiva, del gruppo dei ricercatori romani contribuì a sviluppare le fondamentali correlazioni fra la struttura quaternaria e le
proprietà funzionali dell’emoglobina, risultati che ebbero un effetto significativo sulla formulazione della teoria degli stati allosterici. Tutte queste ricerche culminarono nel 1971 con la pubblicazio88
La Scuola Biochimica Romana
ne di una monografia scritta a quattro mani da Antonini e Maurizio
Brunori: Hemoglobin and Myoglobin in Their Reactions with
Ligands. Questo libro, che tuttora costituisce un’importante fonte
di dati sull’emoglobina, divenne nel 1991 anch’esso un Citation
Classic. Nessuna meraviglia dunque che chi ne scrisse la recensione su Science, annotò che “dopo tutto l’emoglobina è una molecola romana”. Nessuna meraviglia inoltre che dall’inizio degli anni
Sessanta un costante flusso di visitatori stranieri (tra i quali -essendo impossibile nominarli tutti- si citano a caso solo J. F Taylor, J.
T. Edsall, C. Tanford, W. J. Libby, J. Kendrew, M. Kotani, Q. H.
Gibson, G. Gilbert, M. F. Perutz, K. Imai, M. Reichlin, S. Gill, P.
E. Phillipson) si riversò sui laboratori di biochimica di Roma, dove
ciascuno si trattenne per periodi più o meno lunghi, attratto specialmente (ma non solo) dalla figura centrale rappresentata da Antonini;
particolarmente entusiasmanti furono le numerose visite di Rufus
Lumry (della University of Minnesota), che trascorse a Roma anche
un intero anno sabbatico. Le numerose relazioni internazionali del
gruppo romano, che lavorava prevalentemente su emoglobina e
mioglobina, furono stimolo per organizzare una serie di congressi
informali estremamente fruttuosi, noti come La Cura Conferences,
dal nome di un vecchio castello vicino Roma, dove fu tenuto il
primo incontro nel 1966. Tali congressi, compreso l’ultimo che si
svolse a Caprarola (in provincia di Viterbo) nel 1980, avevano un
loro carattere speciale: gli argomenti trattati erano sviscerati in
modo approfondito, senza limiti di tempo e senza alcuna presentazione formale, in gran parte col solo ausilio di lavagna e gesso; il
tutto condito dalla gioia di Antonini di essere il generoso ospite.
Ad oltre vent’anni dalla morte, il ricordo di Eraldo Antonini è di
certo ancora vivo, sia in Italia che all’estero, e non solo tra coloro
che lo conobbero personalmente. Quando nel 2003 se ne celebrò la
memoria nell’aula magna de “La Sapienza”, su iniziativa lodevole
di Maurizio Brunori, fu il premio Nobel per la chimica (del 2002)
Kurt Wüthrich a tenere la Eraldo Antonini Memorial Lecture, in cui
ebbe modo di ricordare ai presenti le grandi qualità scientifiche ed
umane di Antonini.
Non solo bravi scienziati, ma anche dirigenti abili e capaci
Dopo una brillante carriera scientifica a Roma, Paolo Fasella si
è dedicato interamente alla politica della scienza. In particolare,
per quattordici anni (dal 1981 al 1995) è stato alla guida della
Direzione generale degli Affari scientifici, la Ricerca e lo Sviluppo
presso la Commissione Europea, vale a dire presso l’organismo
89
Gino Amiconi
esecutivo dell’Unione Europea a Brussels. Come direttore generale, è stato uno dei principali architetti e promotori del Programma
quadro per la politica comunitaria sulla ricerca e sullo sviluppo
tecnologico (che -com’è noto- rappresenta la più importante piattaforma per la cooperazione tecnico-scientifica in Europa). Al suo
rientro in Italia (nel 1995) ha diretto il Dipartimento per lo sviluppo ed il potenziamento dell’attività di ricerca del Ministero
dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e, presso il
medesimo Ministero, è stato nominato tra i nove membri del
Comitato di esperti per la politica della ricerca ed ha ricevuto l’incarico di esperto delle problematiche e del coordinamento degli
affari internazionali. Per i suoi numerosi meriti, sia scientifici che
dirigenziali, ha ricevuto un vasto numero di riconoscimenti, tra cui
varie lauree honoris causa (da: National University of Ireland,
Irlanda; University of Strathclyde, Scozia; University of
Newcastle, Regno Unito; Université de Technologie de
Compiègne, Francia; Università di Parma).
Maurizio Brunori, accademico dei Lincei, è stato presidente della
IUPAB (International Union of Pure and Applied Biophysics), ed
attualmente è Presidente dell’Istituto Pasteur-Fondazione Cenci
Bolognetti dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Molti altri, in tempi diversi, sono stati scelti come rettori di università oppure come presidi di facoltà: Carlo De Marco, prima
Rettore a Cagliari e poi Preside della Facoltà di Medicina a Roma
“La Sapienza”; Alessandro Finazzi-Agrò, prima Preside della
Facoltà di Medicina e poi Rettore, l’una e l’altra carica ricoperte
presso l’Università “Tor Vergata”; Bruno Mondovì e Francesco
Bossa, Presidi a “La Sapienza”, il primo della Facoltà di Farmacia,
il secondo di quella di Scienze matematiche, fisiche e naturali. Al di
fuori dell’ambiente accademico, si ricordano: Giuseppe Rotilio, che
è stato Presidente dell’Istituto Nazionale della Nutrizione; Emilia
Chiancone, nominata Direttore dell’Istituto di Biologia e Patologia
molecolari del CNR.
BIBLIOGRAFIA
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the Second World War. Memorie di Scienze Fisiche e Naturali
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La Scuola Biochimica Romana
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Comprehensive Biochemistry 1986; 36:99-195
91
L’ISTITUTO DI FISIOLOGIA UMANA
FABRIZIO EUSEBI E ROBERTO CAMINITI
93
L’Istituto di Fisiologia Unana
L’esigenza della costruzione
L’Istituto di Fisiologia dell’Università di Roma “La Sapienza” ha
sede in uno dei primi edifici costruiti all’interno della Città universitaria ed ha espresso, nella prima parte del XX secolo, fisiologi di
fama internazionale che hanno contribuito all’avanzamento di questa disciplina ed in modo particolare allo sviluppo degli studi dei
sistemi nervoso e circolatorio.
L’insegnamento della fisiologia risale al 1824 -anno della
Riforma universitaria voluta da Leone XII- ed è impartito con lezioni, esclusivamente teoriche, tenute nell’Archiginnasio romano.
Con l’a.a. 1870-71, come risulta dall’Annuario della Regia
Università, iniziano gli Esperimenti di Fisiologia, svolti in un
Gabinetto fisio-patologico presso l’Arcispedale di Santo Spirito, ma
in questa sede le lezioni di fisiologia sperimentale vengono impartite per breve tempo. L’insegnamento di questa materia, infatti, insieme ad altri che hanno bisogno di una parte sperimentale, viene trasferito in via Agostino De Pretis, nell’ex convento di S. Antonio, e
questo edificio, così come altri situati in via Panisperna, è riadattato
per accogliere gli studi universitari.
Il progetto di riunire in un’unica area tutti gli istituti medico-biologici-sperimentali era voluto dall’allora Ministro della Istruzione
Pubblica Antonio Scialoia ma, nonostante gli sforzi della
Commissione presieduta da Quintino Sella, e l’impegno profuso dal
Professor Corrado Tommasi-Crudeli, incaricato di sovrintendere al
progetto, di fatto questo non venne mai realizzato.
Nel 1929 i locali occupati dalla Fisiologia rientrano nel piano di
demolizione di alcuni edifici della zona, al fine di consentire la realizzazione di un’ampia area, ovvero Piazza del Vicinale; l’Istituto,
di conseguenza, deve traslocare. Per un breve periodo, circa un
anno, è ospitato presso l’Ospedale della Consolazione, finchè nel
1931 ottiene la definitiva sistemazione all’interno della Città universitaria1.
I Maestri, la didattica, la ricerca
I primi docenti di fisiologia, Giovanni Battista Bomba (17721836), Carlo Donarelli (1797-1851) e Socrate Cadet (1808-1879)
svolgono le loro lezioni sulla base di ipotesi speculative, non avendo la possibilità di verificare o confutare le loro teorie attraverso
dimostrazioni pratiche.
Il modo di insegnare la fisiologia cambia profondamente a partire dal 1870 con l’istituzione dell’Università regia -che vuole tenere
95
Fabrizio Eusebi e Robero Caminiti
il passo con le altre Università italiane e straniere- e con la chiamata a Roma nel 1879 di Jacob Moleschott: la disciplina da teorica si
trasforma in disciplina sperimentale.
Jacob Moleschott (1822-1893), nato a Bois-le-Duc in Olanda,
si forma culturalmente in Germania laureandosi ad Heidelberg nel
1845. A causa delle sue idee “materialiste” è costretto a lasciare questa università e ad accettare l’incarico dell’insegnamento di
Fisiologia al Politecnico di Zurigo nel 1856. Nel 1861 per volere di
Francesco De Sanctis, allora Ministro della Pubblica Istruzione, è
chiamato all’Università di Torino, dove insegna per diciotto anni e
dove ha come allievo Angelo Mosso. Nel 1876 Moleschott entra a
far parte del Senato del Regno in base alla 18a categoria dei requisiti previsti dall’articolo 33 dello Statuto Albertino: membri della
Regia Accademia delle Scienze dopo sette anni di nomina; infine,
nel 1879 ricopre la Cattedra di Fisiologia dell’Università romana
“La Sapienza”2.
Inizia con lui la serie di Direttori dell’Istituto di Fisiologia che
hanno saputo conciliare l’interesse per la ricerca scientifica con
quello della politica giungendo a ricoprire importanti incarichi:
Moleschott è Senatore del Regno dal 1876 al 1891, Luigi Luciani
Senatore dal 1905 al 1919 e Rettore dell’Università di Roma
(1898-1900); Silvestro Baglioni diviene Deputato al Parlamento e
membro del Consiglio Superiore di Sanità, mentre Gaetano
Martino è nominato Ministro della Pubblica Istruzione nel 1954 e
dallo stesso anno al 1957 Ministro degli Affari Esteri; diviene, in
seguito, capo della delegazione parlamentare alla XV e XVI
Assemblea generale dell’ONU, Presidente del Parlamento
Europeo dal 1963 al 1964 ed, infine, Rettore dell’Università “La
Sapienza” (1966-1967).
Nell’allocuzione pronunciata da Jacob Moleschott all’Università
di Roma il 16 dicembre 1892 in occasione delle “feste giubilari”,
organizzate in suo onore al compimento del settantesimo anno d’età,
egli afferma che il suo pensiero si muove tra due poli, Protagora e
Feuerbach3:
I due poli come fari mi accompagnarono in tutti i paesi che contribuirono
alla mia educazione. … Protagora ha detto che l’uomo è la misura di ogni
cosa … Feuerbach ha aggiunto che Iddio è la misura dell’uomo. …
Coll’indirizzo che accennai, la ricerca non ha limiti, nella stessa guisa che
è inesauribile l’ideale.
96
L’Istituto di Fisiologia Unana
Fig. 1 – Jacob Moleschott
Comunque, nonostante l’interesse
delle ricerche eseguite da Moleschott e
l’indiscussa sua capacità di oratore, testimoniata dalla considerevole partecipazione alle sue lezioni di studiosi della
materia oltre che di studenti, l’insegnamento della Fisiologia non era riuscito
ancora ad acquisire le caratteristiche di
scienza sperimentale: infatti, solo con
l’arrivo del suo successore, Luigi
Luciani, l’Istituto di Fisiologia subisce
un’effettiva trasformazione.
Luigi Luciani (1840-1919), nato ad Ascoli Piceno compie i suoi
studi a Napoli ed a Bologna, dove si era laureato nel 1868.
Importante per la sua formazione di ricercatore il soggiorno a
Lipsia, negli anni 1872-73, per seguire i corsi di perfezionamento
tenuti da Karl Friedrich Wilhelm Ludwig.
Nel 1974 Luciani ottiene a Bologna la libera docenza in
Patologia medica generale, materia che insegna dal 1875 nella cattedra di Parma. Nel 1880 diviene professore ordinario di Fisiologia
all’Università di Siena per poi trasferirsi all’Istituto Superiore di
Firenze (1882-1893) ed infine a Roma dove, dal 1893 al 1917, è
eletto Direttore dell’Istituto di Fisiologia.
Di notevole interesse le sue ricerche svolte sull’attività cardiaca,
sui centri respiratori, sull’epilessia, sulle localizzazioni cerebrali,
sulla fisiologia del cervelletto e sulla fisiologia del digiuno
Fig. 2 – Luigi Luciani
In particolare, negli studi della fisiologia del cervelletto, formula dapprima la
triade dei sintomi cerebellari: atonia,
astenia, atassia, a cui aggiunge successivamente il sintomo della dismetria. Per
questi studi sulle funzioni cerebellari,
Luciani usa un sistema primitivo, ma
molto efficace, al fine di documentare la
cinematica del movimento ed, in particolare, le modificazioni delle traiettorie del
97
Fabrizio Eusebi e Robero Caminiti
cammino a seguito di asportazione chirurgica parziale od in toto del
cervelletto, sia nel cane che nella scimmia: dipingere con la vernice
le zampe e lasciare libero l’animale di camminare prima e a differenti intervalli dopo l’intervento, fotografando dall’alto le impronte.
In questo modo riesce ad evidenziare come, in una fase avanzata di
recupero funzionale dopo una lesione cerebellare, il cane, sebbene
in grado di mantenere la postura eretta, mostri tuttavia un atteggiamento atassico, caratterizzato da un allargamento della base d’appoggio delle zampe, teso a compensare l’atonia dei muscoli durante
la postura eretta e la loro astenia durante il cammino, oltre ad una
perdita della corretta metrica del movimento. Va sottolineato come
gli studi di Luciani sulle conseguenze delle lesioni cerebellari negli
animali, assieme a quelli eseguiti in Inghilterra da Gordon Holmes
sull’Uomo, hanno gettato le basi per una moderna descrizione del
ruolo del cervelletto su molti aspetti del controllo motorio. I suoi
studi sulle localizzazioni cerebrali sono, per alcuni aspetti, di natura
pionieristica, soprattutto quelli sul ruolo della corteccia uditiva nella
localizzazione spaziale dei suoni4.
Tra i suoi scritti va ricordato il Trattato di Fisiologia dell’Uomo,
opera in cinque volumi, considerata un “classico” e tradotta in varie
lingue incluso spagnolo, inglese e tedesco, un testo che senza dubbio
gli ha dato fama ma che, nello stesso tempo, lo ha impegnato per molti
anni distogliendolo dalle ricerche sperimentali che stava svolgendo5.
Nel 1918 subentra a Luciani, nella direzione dell’Istituto, un suo
allievo: Silvestro Baglioni.
Silvestro Baglioni (1876-1957), nato a Belmonte Piceno, laureatosi in Medicina nel 1902 presso la Regia Università di Roma,
diviene, nello stesso anno, Assistente di Max Verworn presso
l’Istituto di Fisiologia di Göttingen, mantenendo l’incarico fino al
1904. Tornato in Italia, nel 1905 è nominato aiuto presso l’Istituto di
Fisiologia di Napoli diretto da Filippo Bottazzi ed in seguito aiuto
presso la cattedra di Fisiologia di Roma; nel 1913 vince il concorso
per la cattedra di Fisiologia umana a Sassari, si trasferisce nel 1917
a Pavia per tornare a Roma nel 1918, dove ricopre il ruolo di
Direttore dell’Istituto di Fisiologia, fino al 1949.
Le sue indagini più felici si riferiscono allo studio del sistema
nervoso, della respirazione e della fisiologia comparata. Il metodo di
Baglioni-Magnini viene usato per l’applicazione topica di sostanze
chimiche ai centri nervosi. Indaga a lungo la riflessologia, formulando alcuni principi che mettono in relazione gli stimoli sensoriali con
le risposte motorie riflesse. Studia la respirazione in varie specie
98
L’Istituto di Fisiologia Unana
animali e, per effettuare queste indagini, inventa il toracopneumografo per l’uomo, strumento che porta il suo nome. Lo studio dell’udito e della fonazione lo portano all’interesse per il canto e la
musica, in particolare per l’uso degli strumenti a fiato.
Fig. 3 – Silvestro Baglioni
Fonda e dirige alcuni periodici tra cui
Fisiologia e Medicina e progetta ed organizza
gabinetti fisiopsicologici che hanno il compito
di contribuire alla selezione di coloro che si
candidano per divenire aviatori. Durante la
guerra 1915-18 dirige l’Ufficio Analisi presso
il Ministero della Guerra, ufficio preposto al
controllo dell’alimentazione dell’esercito.
Per i suoi meriti scientifici viene eletto
Presidente della Reale Accademia Medica di Roma e socio di molte
accademie e società nazionali - quali l’Accademia dei Lincei e la
Società italiana delle Scienze (detta dei XL) - ed internazionali6.
Andato fuori ruolo Baglioni, per raggiunti limiti d’età, l’insegnamento è affidato per due anni (1947-1949) ad un suo allievo,
Emidio Serianni; in seguito viene chiamato a ricoprire la cattedra
Giuseppe Amantea.
Giuseppe Amantea (1885-1966), nato a Grimaldi (Cosenza),
allievo di Luigi Luciani ha studiato a Roma nel laboratorio di fisiologia, partecipando, in qualità di assistente e poi di aiuto, a ricerche
di neurofisiologia, studi da lui continuati con geniale intuito di
ricercatore per un buon trentennio. Dal 1925 al 1930 è Direttore
dell’Istituto di Fisiologia di Messina. Tornato a Roma, ricopre la
cattedra di Chimica biologica dal 1931 al 1949, poi passa in
Fisiologia umana e diviene Direttore dell’Istituto, incarico che
mantiene fino al 1955.
Fig. 4 –
Giuseppe
Amantea
Amantea sviluppa un’originale
linea di ricerca sull’epilessia sperimentale riflessa, conseguendo risultati rilevanti, tanto che ancora oggi
viene ricordata come Epilessia di
Amantea. In particolare, dimostra la
possibilità di indurre attacchi epilettici
per mezzo della stimolazione chimica
99
Fabrizio Eusebi e Robero Caminiti
della corteccia cerebrale, mediante stricnina, unita ad una stimolazione sensoriale specifica. Per queste ricerche, egli utilizza il metodo di
Baglioni-Magnini ed è il primo ad ipotizzare il concorso di più fattori nell’accesso epilettico (fattore predisponente, fattore preparante,
fattore scatenante). I suoi interessi sono rivolti anche alla fisiologia
della nutrizione e si occupa, in particolar modo, delle proprietà delle
vitamine e dei meccanismi neurologici che inducono comportamenti
alimentari specifici in risposta a determinati stimoli.
Originali i suoi contributi sulle avitaminosi e sul dosaggio della
vitamina B1, con l’introduzione del concetto di quoziente beri-berico.
Nell’ambito degli studi sulla riproduzione e la fecondazione artificiale per gli animali, nel 1914, lavorando con cani, galli e piccioni, inventa e sperimenta la prima vagina artificiale per la raccolta
del liquido seminale. Diviene socio di prestigiose Accademie e
Società italiane ed internazionali7.
Ad Amantea subentra Gaetano Martino, dopo un breve periodo in
cui l’insegnamento è affidato, per incarico, a Sergio Cerquiglini.
Gaetano Martino (1900-1967), nato a Messina, si laurea in
Medicina e Chirurgia a Roma nel 1923. Dal 1925 al 1930 è Aiuto
del Prof. Amantea all’Istituto di Fisiologia di Messina e, dopo aver
conseguito specializzazioni presso università straniere (Berlino,
Parigi, Francoforte, Vienna) insegna dal 1930 e per un triennio
Fisiologia umana presso l’Università di Assuncion in Paraguay e
presso quella di San Paolo del Brasile. Ordinario e Direttore dell’istituto di Fisiologia di Messina dal 1935 al 1957, assume l’incarico di Rettore di quella Università nel 1943, incarico che mantiene fino alla sua nomina a Ministro della Pubblica Istruzione nel
1954. Nello stesso anno diviene Ministro degli Affari Esteri ed in
tale veste promotore nel 1955 della Conferenza dei Ministri degli
Esteri della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA)
e nel 1957 dei Trattati di Roma, punti importanti questi per l’idea
di un’Europa unita8. Nel 1956 è chiamato a dirigere l’Istituto di
Fisiologia di Roma. I suoi interessi scientifici sono molteplici e
riguardano lo studio della fisiologia del pancreas, dei riflessi condizionati e dell’epilessia riflessa. Sotto la sua direzione, nell’Istituto di Fisiologia di Roma, vengono potenziati i laboratori di elettrofisiologia e di neurochimica, viene inoltre creato un reparto per
ricerche con radioisotopi.
Nel 1966 è eletto Rettore dell’Università di Roma. Durante la sua
attività politica, il Prof. Martino delega il Prof. Sergio Cerquiglini a
dirigere l’Istituto di Fisiologia.
100
L’Istituto di Fisiologia Unana
Gli ultimi anni dell’Istituto
Sergio Cerquiglini nato a Roma nel 1915, allievo di Giuseppe
Amantea, nel 1962 è chiamato dalla Facoltà a ricoprire la II
Cattedra di Fisiologia, Cattedra che lascia nel 1967 ad Alfredo
Curatolo per passare alla I.
Cerquiglini rivolge i suoi studi ai problemi dell’alimentazione,
alla fisiologia muscolare e laringea; dedica un interesse particolare
alla biomeccanica, alla neurofisiologia e alla fisiologia dell’esercizio
fisico. Dall’a.a. 1971-72 e fino al suo ritiro dall’attività accademica,
è Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina della Sport9.
Alfredo Curatolo, proveniente dall’Università di Siena, si dedica soprattutto alla biochimica del Sistema Nervoso Centrale; nel
1981 passa a ricoprire la I Cattedra e la Facoltà chiama sulla II
Cattedra Antonio Urbano, proveniente dall’Università di Catania,
dove è stato per alcuni anni Direttore dell’Istituto di Fisiologia.
Urbano dirige le sue ricerche al campo della neurofisiologia, focalizzandole sui problemi delle basi neurofisiologiche del comportamento motorio nell’Uomo, che vengono studiate attraverso elettroencefalografia ad alta risoluzione spaziale. Egli istituisce il
Dottorato di Ricerca in “Neurofisiologia: Basi neurali delle funzioni cognitive superiori”, di cui è Coordinatore dal 1994 al 1998. Il
Dottorato, che prenderà il nome di “Neurofisiologia”, dal 1999 è
coordinato dal Prof. Roberto Caminiti, attualmente ordinario di
Fisiologia, che aveva raggiunto il Prof. Urbano presso la Facoltà
medica romana nel 1983.
Marco Marchetti, divenuto ordinario nel 1980, è chiamato a
ricoprire la III Cattedra di Fisiologia, di nuova istituzione; si applica nella ricerca sulla biomeccanica dell’esercizio fisico umano e sull’azione riabilitante motoria e fisiologica dello sport.
In questi anni svolgono nell’Istituto la loro attività di ricerca i
Professori Francesco Figura, Salvatore Condorelli, Andrea Lino,
Mariangela Aita e Pietro D’Arcangelo.
L’Istituto di Fisiologia, infine, dopo una breve parentesi in cui
ha dato vita al Dipartimento di Fisiologia, Biofisica e Nutrizione
diretto dal prof. Fabrizio Eusebi, fisiologo dell’ultima generazione, già assistente del Prof. A. Curatolo, ha contribuito con l’Istituto
di Farmacologia medica all’istituzione del Dipartimento di
Fisiologia Umana e Farmacologia “V. Erspamer”, diretto prima
dal farmacologo Prof. Pietro Melchiorri, allievo del Prof. Vittorio
Erspamer, e successivamente dal Prof. Eusebi, allievo del Prof.
Ricardo Miledi.
101
Fabrizio Eusebi e Robero Caminiti
BIBLIOGRAFIA
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La Storia della Facoltà Medica di Roma. Voll. I e II. Roma, Istituto di Storia
della Medicina, 1961.
2. COSMACINI G., Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott.
Roma-Bari, Laterza, 2005.
3. MOLESCHOTT J., Allocuzione di Jacopo Moleschott. Pronunciata alla
Sapienza di Roma il 16 dicembre 1892 per le feste giubilari in suo onore.
MOLESCHOTT J., Per gli amici miei. Ricordi autobiografici. Traduzione
dall’originale tedesco di Elsa Patrizi Moleschott. Palermo-Milano, R.
Sandron, 1902. MOLESCHOTT J., La fisiologia le scienze consorelle.
Prolusione al Corso di fisiologia sperimentale nella Sapienza di Roma, pronunziata il dì 11 gennaio 1879. Torino, E. Loescher, 1879.
4. BAGLIONI S., Luigi Luciani. Il Policlinico. Sezione pratica 1919;
26(25):839.
5. LUCIANI L., Fisiologia dell’Uomo. Milano, Società Editrice Libraria, 1901.
(Edizione ampliata: Milano, 1919-1921).
6. MARTINO G., In memoria di Silvestro Baglioni. Rendiconti dell’Accademia
Nazionale dei XL. Serie IV, Vol. III, Roma, 1957.
7. ZAGAMI V., In memoria di un Maestro. Giuseppe Amantea. Sicilia Sanitaria.
Nuova serie 1966.
8. MARTINO G., Per la salvezza dell’Italia e la costruzione dell’Europa.
Camera dei Deputati, Atti parlamentari, Discussioni (seduta del 4 agosto
1964). Roma, Stabilimento tipografico Carlo Colombo, 1964.
9. STROPPIANA L., Storia della Facolta di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 113-114.
102
L’ISTITUTO DI PATOLOGIA GENERALE
PIER PAOLO GAZZANIGA
103
L’Istituto di Patologia Generale
I primi anni dell’insegnamento
Un marmo apposto su una parete di un’aula dell’attuale edificio
di Patologia Generale che, completamente ristrutturata, è stata
recentemente intitolata ad Amico Bignami, ricorda la successione di
coloro che insegnarono Patologia Generale a Roma a partire dall’introduzione di questa disciplina, allora ancella dell’Anatomia
Patologica e assai lontana dai contenuti che avrebbe assunto nel
secolo scorso, nell’ordinamento degli studi medici fissato nella
Bolla di Papa Leone XII del 1824. L’elenco si apre con il romano
Pietro Celi, che ricoprì questa cattedra dal 1824 al 1862; seguirono
Emilio Negri dal 1863 al 1867, Pietro Gentili dal 1868 al 1875,
Antonio Valenti dal 1878 al 1899, e da quest’anno fino al 1929
Amico Bignami. Fino al 1890 l’insegnamento della Patologia
Generale fu tenuto in un’auletta della ormai vetusta Sapienza; nel
1890 esso fu trasferito, insieme a quelli di Anatomia umana,
Anatomia patologica, Farmacologia e Chimica fisiologica, in via
Agostino De Pretis1, dove Antonio Valenti fondò un “Gabinetto di
Patologia Generale”, nel quale per la prima volta questa disciplina,
prima puramente teorica, si aprì ad una sia pur limitata attività sperimentale, per collocarsi infine nella sede attuale nel Policlinico
Umberto I solo a partire dal 1929. In realtà, come vedremo, Bignami
era stato il primo ad aver lavorato, sia pure non come docente universitario, nel Policlinico, ciò che giustifica un ricordo della sua
figura accademica, scientifica e professionale nel contesto di questo
scritto.
I Maestri, la didattica, l’attività di ricerca
Amico Bignami era nato a Bologna il 25 aprile 1862. Laureatosi
a Roma nel 1887, fu assistente nell’Istituto di Patologia Generale
dallo stesso anno fino al 1891, quando fu accolto nell’Istituto di
Anatomia Patologica diretto da Ettore Marchiafava. Nel 1900 ebbe
l’incarico dell’insegnamento della Patologia Generale, divenendo
poi titolare della stessa disciplina nel 1906. Contemporaneamente,
come allora era consentito, seguì una brillante carriera ospedaliera
negli Ospedali Riuniti di Roma, come assistente dal 1888 e primario dal 1896; con quest’ultima qualifica operò prima nell’Ospedale
di S. Spirito, poi in quello di S. Giovanni e infine, fino alla morte
sopravvenuta nel 1929, nel Policlinico Umberto I.
Il nome di Amico Bignami è soprattutto legato ai suoi studi sulla
malaria. In collaborazione con Marchiafava egli esaminò in maniera approfondita l’anatomia patologica di questa malattia, particolarmente per quanto riguarda le alterazioni a carico del fegato, della
105
Pier Paolo Gazzaniga
milza e del midollo osseo. Particolare attenzione egli riservò alle
alterazioni vascolari, alle quali per primo attribuì una fondamentale
importanza nel provocare fenomeni regressivi e necrotici dei vari
parenchimi. I suoi studi sul ruolo nella malaria dei monociti e delle
cellule del reticolo della milza, del fegato e del midollo osseo furono antesignani di quel concetto di sistema reticolo-endoteliale che
doveva essere formalmente enunciato più tardi da Aschoff. Un
secondo filone di ricerca di Bignami, che contribuì a rendere famosa la scuola malariologica romana, riguardò il ruolo della zanzara
nella trasmissione della malattia. Già nel 1892, in collaborazione
con Marchiafava, Bignami aveva fornito, attraverso lo studio delle
curve febbrili della malaria estivo-autunnale, un fondamentale contributo alla teoria, allora ancora osteggiata, della pluralità dei parassiti malarici. Ben più importante, peraltro, fu il suo ruolo nell’affermare essere la zanzara il trasmettitore dei parassiti malarici all’uomo. Già negli anni 1894-1896 egli aveva cercato di dimostrare questo meccanismo di infezione, ma fu nel 1898 che, presso l’Ospedale
di S. Spirito dove ricopriva il ruolo di primario, Bignami riuscì ad
infettare un soggetto ivi ricoverato da sei anni e mai affetto da malaria, mediante la puntura da parte di zanzare catturate nella zona di
Maccarese, riproducendo una sindrome estivo-autunnale con presenza di plasmodi nel sangue, esperimento che il Bignami replicò
poi su sé stesso. Ad ulteriore conferma, nel novembre del 1898, unitamente a Grassi e Bastianelli, egli comunicò all’Accademia dei
Lincei la dimostrazione dello sviluppo di parassiti malarici nell’intestino di Anopheles claviger.
Questa disamina dell’attività di ricerca di Amico Bignami sarebbe tuttavia incompleta ove non si ricordassero i suoi studi sulle
malattie del sistema nervoso, del sistema endocrino e del sangue. In
particolare egli studiò dal punto di vista clinico e anatomo-patologico casi di corea, di atrofia cerebellare, di encefalite letargica; di
notevole importanza le ricerche sulle alterazioni cerebrali nell’alcoolismo cronico, destinate poi ad essere ricordate con l’eponimo di
malattia di Marchiafava-Bignami. Nel campo della endocrinologia
fu il primo in Italia ad occuparsi di acromegalia e nel campo della
ematologia si ricordano i suoi studi sull’anemia perniciosa e sulle
varie forme allora classificate nel capitolo delle leucemie linfatiche.
Ciò che fa della figura di Bignami uno degli esempi più brillanti
di connubio tra ricerca sperimentale e medicina clinica fu la sua attività come primario ospedaliero, cui non mancò un pari successo
nella professione. Nella commemorazione di Bignami tenuta da
Bastianelli nel 1930 presso l’Accademia Medica di Roma questo
106
L’Istituto di Patologia Generale
connubio veniva considerato come un bell’esempio di che cosa
significhi per la pratica medica e per la scienza che deve essere
impartita a chi studia medicina, l’unione nella stessa persona del
medico e dell’uomo di scienza.
Con la scomparsa di Bignami avvenuta nel 1929 venne chiamato
a ricoprire la cattedra di Patologia Generale di Roma Guido
Vernoni.
Fig. 1 – Guido Vernoni
Fig. 2 – Guido Vernoni al suo tavolo di lavoro
nell’Istituto di Patologia Generale di Roma.
Vernoni, nato ad Alessandria d’Egitto da padre medico, il 3
dicembre 1881, dopo gli studi liceali a Pisa ed a Lucca, si laureò in
Medicina a Bologna nel 1906. Fu subito ammesso a frequentare
l’Istituto di Anatomia Comparata diretto dal Giacomini, dal quale
passò, come assistente prima e poi aiuto, nell’Istituto di Patologia
Generale diretto da Tizzoni, dove nel 1913 conseguì la libera docenza nella stessa disciplina. Durante la prima guerra mondiale lavorò
come Capitano e poi come Maggiore Medico nell’Istituto Militare
di Bologna, dove si occupò della preparazione e del controllo del
siero antitetanico messo a punto dal suo Maestro Tizzoni. Terminato
il conflitto, fu incaricato dell’insegnamento di Batteriologia
Generale e Fisiologia Umana prima a Bologna e poi a Firenze,
nell’Istituto di Patologia Generale diretto da Alessandro Lustig.
Vincitore del concorso a cattedra nel 1925, fu chiamato a Cagliari,
donde si trasferì a Catania nel 1928 e finalmente a Roma nel 1929.
La nuova sede assegnata per la prima volta alla Patologia Generale
nel Policlinico Umberto I era rappresentata dal solo secondo piano
di una metà dell’edificio che oggi ospita il Dipartimento di
Medicina Sperimentale e Patologia, essendo il primo piano allora
107
Pier Paolo Gazzaniga
occupato dall’Istituto di Zoologia e per qualche tempo anche da
quello di Parassitologia, e il piano seminterrato pressoché inagibile;
l’altra metà dell’edificio, allora come oggi, occupata dall’Istituto di
Anatomia Patologica. Naturalmente il primo compito di Vernoni fu
quello di attrezzare i 15 locali disponibili: creò studi per il direttore
e gli assistenti, biblioteca, segreteria, laboratori di istologia e di biochimica, oltre ad un locale per le bilancie e altri apparecchi di precisione; venne anche creata nel seminterrato una camera fredda a
-4 C°. Un corredo di apparecchiature relativamente ricco per le esigenze della ricerca dell’epoca fu approntato da Vernoni in un breve
volgere di anni, anche grazie al contributo del C.N.R. che aveva fondato nell’Istituto un Centro di Studi per la Fisiopatologia, peraltro
poi perduto per il Policlinico perché trasferito a Modena quando
Vernoni lasciò l’insegnamento nel 1952. La Figura 3 mostra, con il
simpatico ringraziamento di Cotronei, allora Direttore dell’Istituto
di Anatomia Comparata, che la dotazione di apparecchiature
dell’Istituto era tale da consentire a Vernoni di soccorrere con la cessione di un microscopio colleghi meno fortunati (si era nel 1947,
nell’immediato dopoguerra).
La personalità scientifica di Guido Vernoni emerse ben presto nell’ambiente accademico romano:
egli tenne a lungo la presidenza
del Comitato per la Biologia e la
Medicina del C.N.R., fu socio
nazionale dell’Accademia dei
Lincei dal 1940 in poi, segretario della Croce Rossa Italiana e,
negli anni della seconda guerra
mondiale, Direttore Sanitario
del Policlinico.
L’attività di ricerca di Guido
Vernoni, sia prima che durante il
periodo romano, fu assai varia,
prevalentemente orientata verso
la Fisiopatologia e soprattutto
verso lo studio e l’interpretazione patogenetica dei fenomeni
patologici elementari, peraltro
Fig. 3 – Biglietto del 1947, con il quale
sempre visti nell’ottica unitaria
Giulio Cotronei, Direttore dell’Istituto di
della malattia. La sua concezione
Anatomia Comparata, ringraziava
delle finalità della Patologia
Guido Vernoni
Generale, sia sotto il profilo
per la cessione di un microscopio
108
L’Istituto di Patologia Generale
didattico che quello scientifico, è chiaramente espressa dalle sue
parole:
Ogni processo patologico che si offre alla nostra osservazione e forma
oggetto del nostro studio, presuppone ed illustra un evento clinico
naturale, cioè una malattia, la quale, per semplice che sia, risulta sempre
dalle manifestazioni di un certo numero di manifestazioni morbose
elementari che sono appunto quelle che formano l’oggetto di Studio della
Patologia Generale… Ogni insegnamento deve tendere alla sintesi ed alla
unità: sterile apparendomi ogni descrizione di fatti staccati e
singolarmente considerati a scopo didattico se questa analisi non è
seguita, o preceduta essa stessa, da una visione unitaria del complesso
fenomeno biologico morboso quale si presenta in natura, col quadro della
malattia, all’osservazione degli studiosi.
I campi nei quali emerse la personalità scientifica di Vernoni
furono molto vari. Alcune delle sue prime ricerche furono orientate
alla istologia ed alla embriologia, come quelle sulla struttura dell’epitelio intestinale e di quello renale, o quelle sull’effetto delle
radiazioni ionizzanti sullo sviluppo dell’embrione di pollo. Nel
campo dell’anatomia e dell’istologia patologica egli fu un accurato
studioso della morfologia dei tumori: in proposito egli organizzò
una sezione di diagnostica istopatologica utilizzata da tutti gli
Istituti, universitari ed ospedalieri, del Policlinico; purtroppo, anche
in questo caso, gli oltre diecimila preparati istologici della collezione dell’Istituto andarono perduti dopo il 1952. Nel campo della
infettivologia si occupò della brucellosi, delle spirochetosi, delle leishmaniosi, del tetano, delle congiuntiviti tracomatose, e in quello
della immunologia della funzione dei sieri immuni e della sieroanafilassi. Nel campo della fisiopatologia meritano un ricordo le sue
ricerche sulla patologia del tessuto muscolare, particolarmente
importanti quelle sulla distrofia muscolare sperimentale proseguite
poi dai suoi allievi, quelle sul metabolismo degli aminoacidi e dei
chetoacidi, sul meccanismo d’azione di alcune vitamine, sulla respirazione dei tessuti in condizioni normali e patologiche studiata con
il metodo di Warburg, sulla febbre. Ma spiccano soprattutto le sue
ricerche sulla istogenesi e sulla patogenesi dei tumori. E’ singolare
che proprio riguardo a due tematiche scientifiche che gli erano particolarmente care, la febbre e la patogenesi dei tumori, Vernoni
abbia elaborato e proposto ipotesi patogenetiche destinate a non
essere confermate dalle indagini successive. Per quanto riguarda i
tumori, egli sviluppò una teoria, fondata inizialmente sul rilievo
109
Pier Paolo Gazzaniga
delle alterazioni del derma che precedono la trasformazione neoplastica dell’epitelio nella cancerogenesi sperimentale da idrocarburi,
secondo la quale la cellula tumorale sarebbe
una cellula perfettamente costituita e perfettamente funzionante, cioè una
cellula di per sé normale, che è patologica solo nei suoi rapporti con
l’organismo che la ospita.
In altri termini, l’alterazione del microambiente metabolico del
connettivo sarebbe stato il fattore prevalente responsabile della trasformazione delle cellule parenchimali. A sostegno di questa sua ipotesi Vernoni ricordava sempre che il carcinoma epatico è frequente
nella cirrosi e altrimenti raro, e che comunque l’infiammazione cronica, con le sue alterazioni a carico del connettivo, è un fattore concausale in molti tumori (va detto peraltro che questo concetto è ridiventato di grande attualità nella ricerca oncologica degli ultimi anni
sotto il profilo del ruolo delle citochine proinfiammatorie nella cancerogenesi). Riguardo alla tematica della patogenesi della febbre,
Vernoni affermò essere l’ipertermia febbrile non la conseguenza di
una alterazione funzionale primitiva dei centri termoregolatori, bensì
l’espressione di una iperattività affatto periferica del metabolismo dei
tessuti, particolarmente del muscolo striato, destinata ad eliminare
materiali eterogenei batterici e tossici. Ma, come ricorda Di Macco2
nella commemorazione di Guido Vernoni da lui tenuta
all’Accademia Medica di Roma, Goethe affermava che l’uomo erra
finché cerca qualcosa, e ogni errore contiene un nucleo di verità.
Il pensiero di Guido Vernoni è chiaramente espresso in due trattati, quello di Patologia Generale in due volumi, nel quale ebbe come
collaboratori per alcuni capitoli illustri studiosi di varie discipline
quali Ageno, Cotronei, Silvestroni, Frontali, e quello sui tumori, al
quale collaborarono Bastianelli, Valdoni, Bilancioni ed altri.
Guido Vernoni fu un grande didatta. Le sue lezioni, chiare e brillanti, erano seguite con passione da studenti e medici. Soprattutto
egli ebbe il culto della Scuola. La fotografia riportata nella Figura 4
fu scattata in uno degli ultimi giorni dell’ottobre 1952, in occasione
del suo addio all’insegnamento e all’Istituto al quale tanto aveva
dato. Intorno a lui sono i suoi allievi già in cattedra (Massimo Aloisi)
o prossimi a vincere il concorso (Eugenio Bonetti) o destinati comunque a diventare a breve ordinari di Patologia Generale (Paolo Buffa)
o di Chimica Biologica (Doriano Cavallini). Ma vi figurano anche,
oltre al personale tecnico e amministrativo, gli studenti interni
dell’Istituto. Chi scrive, allora studente del 3° anno, aveva avuto la
110
L’Istituto di Patologia Generale
ventura di esservi stato accolto all’inizio del secondo anno degli studi
medici: si era ammessi, due soli studenti per anno, a seguito di un
severo concorsino interno con prova scritta; chi scrive ricorda che il
tema proposto quell’anno era stato il ciclo di Krebs, descritto solo
pochi anni prima, il che dimostra, tra l’altro, che, nonostante il suo
orientamento prevalentemente fisiopatologico, Vernoni aveva fin
d’allora chiara l’idea che i più giovani adepti della Patologia
Generale dovessero essere orientati verso lo studio della biochimica
dei fenomeni patologici3. E’ facile riconoscere in quella foto, tra gli
studenti dei vari anni, futuri ordinari di Patologia Generale, di
Chimica Biologica, di Parassitologia, di Genetica Umana.
Fig. 4 – Fotografia scattata nell’ottobre 1952 in occasione dell’addio di Guido Vernoni
all’insegnamento. E’ presente tutto il personale dell’Istituto di Patologia Generale di allora.
Si riconoscono: 1, Guido Vernoni; 2, Massimo Aloisi, ordinario di Patologia Generale a
Modena, poi a Padova; 3, Eugenio Bonetti, aiuto, dal 1953 ordinario di Patologia Generale
a Messina, poi a Siena ed a Bologna; 4, Paolo Buffa, assistente, futuro ordinario di
Patologia Generale a Modena; 5, Doriano Cavallini, assistente, futuro ordinario di
Chimica Biologica a Roma. Sono inoltre riconoscibili alcuni studenti interni destinati ad
una brillante carriera universitaria: 6, Bruno Mondovì, futuro ordinario di Chimica
Biologica a Roma; 7, Carlo De Marco, futuro ordinario di Chimica Biologica a Roma e
Preside della Facoltà Medica dal 1981 al 1990; 8, Eraldo Antonini, futuro ordinario di
Chimica Biologica a Roma; 9, Pier Paolo Gazzaniga, futuro ordinario di Patologia
Generale a Roma; 10, Guido Modiano, futuro ordinario di Genetica Umana a Roma; 11,
Gianfranco Ferretti, futuro ordinario di Parassitologia a Roma.
111
Pier Paolo Gazzaniga
Fu proprio il culto della Scuola ad arrecare a Guido Vernoni una
grande amarezza, che nel giorno dell’addio egli trasmise con un
accorato discorso a tutto l’Istituto, per non essere riuscito ad ottenere dalla Facoltà, a succedergli a Roma, il trasferimento del suo
primo valoroso allievo, Massimo Aloisi. Amarezza che traspare da
una breve lettera di ringraziamento che chi scrive ricevette per il
dono di un libro d’arte che in quella triste occasione gli era stato
fatto dagli studenti interni, lettera gelosamente conservata quale
testimonianza dell’affetto che il Maestro dimostrava anche ai più
giovani dei suoi studenti.
Fig. 5 – Breve lettera di Guido
Vernoni indirizzata a chi scrive,
allora studente interno nell’Istituto
di Patologia Generale, in ringraziamento del dono di un libro d’arte offertogli dagli studenti interni in
occasione del suo addio all’insegnamento ed all’Istituto
A succedere a Guido Vernoni fu chiamato nel 1952 un altro illustre studioso, Francesco Pentimalli (Figura 6). Nato il 28 novembre 1885 a Palmi, Pentimalli si laureò a Napoli nel 1911. Assistente
di Patologia Generale nell’Istituto diretto da Gino Galeotti, frequentò per tre anni l’Istituto di Patologia di Friburgo diretto da
Aschoff. Durante la prima guerra mondiale si occupò della campagna antitifica coordinata da Galeotti. Libero docente nel 1916,
vinse il concorso per professore straordinario nel 1925: chiamato a
Cagliari, si trasferì poi a Perugia dal 1927 al 1933, a Firenze fino al
1936, a Napoli fino al 1953 e quindi a Roma, dove concluse la sua
carriera nel 1956. Il suo vivo interesse per la ricerca lo portò, già
112
L’Istituto di Patologia Generale
ordinario, a vari soggiorni all’estero in prestigiosi Istituti di ricerca:
nel 1927 a Berlino nell’Istituto diretto da Warburg, l’anno successivo a Londra sotto la direzione di Hilgar e Murray, nel 1936
nell’Istituto di Chimica Fisica di Uppsala diretto da Svedberg. Il
grande impegno nello studio dei tumori gli valse la nomina a
Direttore dell’Istituto Pascale di Napoli e poi dell’Istituto Regina
Elena di Roma, incarico quest’ultimo che ricoprì dal 1949 fino alla
sua morte nel 1958.
Affascinato dall’indirizzo fisico-chimico che Galeotti aveva dato alla disciplina, Francesco Pentimalli manifestò
ben presto un vivo entusiasmo per la
ricerca sperimentale, coltivata poi sempre con grande rigore. Le prime indagini
furono prevalentemente orientate a problemi di fisiopatologia: tra queste le
ricerche sull’embolia polmonare, sui
rapporti tra alcuni ormoni e funzione
renale, sul ricambio idrico, sulla motilità
dell’intestino e dell’uretere. Ben presto
però i suoi interessi scientifici si polarizFig. 6 – Francesco Pentimalli
zarono sull’oncologia sperimentale. Le
indagini sul carcinoma di Ehrlich del topo svolte nel laboratorio di
Aschoff gli consentirono di escludere un effetto chemioterapico di
alcuni composti, quali quelli del selenio, allora avvalorati da altri
studiosi. Ma la vera attività di Pentimalli iniziò con le ricerche sul
virus del sarcoma di Rous. Nelle prime indagini su questo modello
egli dimostrò un fenomeno di grande importanza: l’inoculo endovenoso di materiale contenente il virus poteva determinare l’insorgenza del tumore in sedi diverse quali fegato, rene, milza, nelle quali
fosse stato indotto un fenomeno infiammatorio mediante la cauterizzazione, così come in cicatrici cutanee o in calli ossei in formazione, in altri termini laddove fossero in atto fenomeni proliferativi cellulari. Veniva così illustrato un brillante esempio di cocancerogenesi, che in certo modo si ricollegava alla visione Vernoniana della
patogenesi dei tumori. Dopo di allora Pentimalli tese essenzialmente all’isolamento dell’agente di Rous, con appassionate lunghe indagini di ultracentrifugazione e di spettrofotometria, che lo portarono
ad affermare la natura proteica dell’agente del sarcoma. Una linea di
ricerca iniziata già tra il 1919 e il 1924 e che egli perseguì fino alla
tarda età, riguardò gli effetti dell’intossicazione cronica con protei113
Pier Paolo Gazzaniga
ne eterogenee. La dimostrazione che tra gli effetti di questa tossicosi vi era costantemente una leucocitosi, soprattutto monocitica, talora la presenza in circolo di progenitori leucocitari immaturi, ed
anche la comparsa di focolai di metaplasia mieloide in vari organi,
quali milza e rene, lo portò ad affermare che questi effetti, che oggi
sappiamo essere quelli di una intensa protratta stimolazione del
sistema reticolo-endoteliale, erano la prova di un possibile rapporto
eziopatogenetico tra intossicazione proteica cronica e leucemie,
concetto che egli sostenne fino alla sua morte, nonostante le critiche,
con la feroce passione del suo animo calabrese4.
I pochissimi anni romani di Francesco Pentimalli non apportarono particolari miglioramenti all’Istituto che era stato chiamato a
dirigere. Le già precarie condizioni di salute e il suo gravoso impegno quale Direttore dell’Istituto Regina Elena lo portarono a trascurare l’attività didattica, che rimase in buona parte affidata agli assistenti che l’avevano seguito da Napoli, Antonio Caputo, futuro ordinario di Patologia Generale a Perugia e poi Direttore dello stesso
Istituto Regina Elena, e Dino Guerritore, futuro ordinario di
Patologia Generale nella Facoltà di Scienze di Roma. Né si ricordano di lui scritti con finalità didattiche. Una figura, insomma, di ricercatore puro, che come tale merita di essere ricordato tra i grandi
Maestri della Patologia Generale di allora.
A succedergli nella cattedra di Patologia Generale di Roma fu
chiamato nel 1956 Gennaro Di Macco (Figura 7). Nato a Siracusa
il 1° settembre 1895, si laureò a Napoli nel 1919. Prima assistente,
poi aiuto nell’Istituto di Patologia Generale di Palermo diretto da
Scaffidi, vi conseguì la libera docenza nella stessa disciplina nel
1923. Incaricato a Palermo dell’insegnamento della Patologia
Generale dal 1925, fu nominato,
vincitore del relativo concorso,
ordinario a Cagliari nel 1930.
L’anno seguente passò a Catania,
nel 1935 a Torino e infine a Roma
nel 1956. Nella fase iniziale della
sua carriera frequentò importanti
laboratori di ricerca esteri, ad
Heidelberg quello diretto da Hans
Sachs, a Kiel quello diretto da
Heinrich Schade ed a Parigi quello
di Fisiologia Generale della
Sorbona diretto da Louis Lapicque. Fig. 7 – Gennaro Di Macco.
114
L’Istituto di Patologia Generale
Giunto a Roma, Di Macco diede un notevole impulso alla ristrutturazione dell’Istituto. Nel piano seminterrato, prima abbandonato,
furono create alcune aulette per le esercitazioni degli studenti, corredate con microscopi ed apparecchiature per proiezioni, mentre nel
secondo piano furono ammodernati i laboratori di istologia e di biochimica, essendo il primo piano sempre occupato dall’Istituto di
Zoologia. In un locale situato fuori dall’Istituto fu organizzato un
moderno stabulario per piccoli animali, che fu poi demolito per la
costruzione dell’attuale Aula di Patologia Generale e Anatomia
Patologica. Nel piano seminterrato fu anche organizzato un laboratorio di analisi cliniche per pazienti ambulatoriali, destinato a rimanere attivo per molti anni. D’altronde, l’interesse di Di Macco per la
medicina di laboratorio è dimostrato anche dalla fondazione a Roma
di una Scuola di Specializzazione in Patologia Generale, che per
molti anni ha preparato medici e biologi all’attività diagnostica
laboratoristica.
L’attività scientifica di Gennaro Di Macco fu soprattutto rivolta a
temi di fisiopatologia e di biochimica. Nel primo settore si ricordano le ricerche sulla patogenesi delle varie forme di ipertermia, febbrile e non, e quelle sulle ipotermie sperimentali, ricerche queste
ultime che lo portarono a formulare il concetto di “zero biologico”
quale temperatura alla quale cessa l’attività funzionale dei diversi
tessuti. Inoltre egli studiò con varie metodiche sperimentali i meccanismi implicati nell’equilibrio funzionale tra le sezioni, orto- e parasimpatica, del sistema nervoso autonomo, e la patogenesi dei relativi squilibri. In campo biochimico meritano una menzione le ricerche
sulla patologia del metabolismo degli aminoacidi, sulle ipervitaminosi sperimentali, sugli effetti delle diete monofagiche. Nel campo
della immunologia Di Macco si distinse per alcune ricerche sulle
idiosincrasie, come espressione di difetti enzimatici costituzionali,
pertanto distinte dalle allergie.
Appassionato didatta, si servì ampiamente nelle sue lezioni di sussidi tecnici per dimostrazioni epidiascopiche; è degno di menzione
il fatto che egli sia stato tra i primissimi docenti di materie mediche
in Italia ad utilizzare per l’esame finale degli studenti una prova preliminare scritta mediante test a risposta multipla, che egli allestiva
personalmente prima di ogni sessione, antesignano di una metodologia docimologica oggi largamente affermata. Nella sua vasta trattatistica, rappresentata da un testo di Patologia Generale in due
volumi, da uno di Patologia del Metabolismo e dalla voluminosa
monografia Malattia e Disposizione, Di Macco si è sempre distinto
per l’originalità delle sue concezioni in molti settori della disciplina,
115
Pier Paolo Gazzaniga
non ultimo un vivo interesse innovativo per la Medicina dello Sport.
Non si deve infine dimenticare che Di Macco ebbe anche una intensa attività editoriale, avendo fondato, già durante il soggiorno a
Torino, vari giornali, almeno uno dei quali, la Rivista di Medicina
Sperimentale, ebbe, almeno nelle sue prime annate, un notevole successo nel panorama non fulgido dell’editoria scientifica italiana dell’epoca.
Nel 1966 fu chiamato a succedere a Gennaro Di Macco Dino
Merlini.
Nato a Peccioli nel Pisano il 26 febbraio
1910, si laureò a Pisa nel 1935. Divenuto
ben presto assistente nell’Istituto di
Patologia Generale di quella Università,
allora diretto da Cesare Sacerdotti fino al
1938 e poi da Alberto Marrassini, vi svolse
la prima parte della sua carriera, assumendo
l’incarico dell’insegnamento di Patologia
Generale e di Batteriologia nel 1947 e poi
quello della direzione dell’Istituto prima che
nel 1950 vi subentrasse Enrico Puccinelli.
Vincitore del concorso a straordinario nel
1952, fu chiamato a ricoprire la cattedra di Fig. 8 – Dino Merlini.
Perugia, donde fu chiamato a Roma nel
1966. Durante questi anni svolse una vivace attività scientifica in
vari settori della fisiopatologia e della biochimica. Dopo le prime
indagini sull’attività respiratoria del cuore, in particolare sull’utilizzazione da parte del tessuto cardiaco di acidi grassi a catena breve e
lunga e di corpi chetonici quali substrati, sull’effetto di alcune vitamine sul fenomeno di Sanarelli-Schwartzmann e sul fenomeno di
Arthus, sulla presenza di fattori antianemici nell’urina, si dedicò ad
una serie di ricerche sulla patogenesi del diabete da allossana,
all’epoca il più importante modello di diabete sperimentale. Dopo
avere descritto l’azione diabetogena dell’acido deidroascorbico,
Merlini dimostrò che la somministrazione di acido ascorbico insieme all’allossana non induceva un diabete, ma una grave anemia
emolitica in varie specie animali, dovuta alla riduzione dell’allossana ad acido dialurico, a sua volta responsabile della formazione di
metemoglobina e di coleglobina, con comparsa di corpi di Heinz
negli eritrociti, formazioni delle quali fino ad allora era incerta la
natura. Durante il soggiorno perugino Merlini allestì una sezione di
microscopia elettronica dotata di un microscopio elettronico Philips
116
L’Istituto di Patologia Generale
100, con il quale iniziò, in collaborazione con il suo allievo Felice
Giacomo Caramia, ricerche di morfologia ultrastrutturale normale e
patologica.
Giunto a Roma, si impegnò duramente per vari anni nella completa ristrutturazione dell’Istituto di Patologia Generale. Recuperato
l’intero primo piano a seguito dell’avvenuto trasferimento
dell’Istituto di Zoologia che l’aveva occupato fino ad allora nella
sua sede attuale all’interno della Città Universitaria, l’attrezzò con
uffici di segreteria e con una serie di laboratori. La vecchia aula da
140 posti, ormai largamente insufficiente (erano gli anni nei quali gli
studenti iscritti al 1° anno superavano i 3000) fu demolita e fu
costruita con criteri moderni quella che attualmente è intitolata ad
Amico Bignami. La biblioteca fu trasferita al secondo piano e attrezzata con moderne scaffalature su due piani anche per accogliere le
numerose riviste alle quali l’Istituto si andava abbonando. Nello
stesso piano venne realizzata una parziale soppalcatura per accogliere magazzini e laboratori di ricerca. Nel piano seminterrato venne
realizzata una sezione di microscopia elettronica, nella quale fu
subito trasferito il microscopio elettronico Philips 100 di Perugia,
cui si aggiunse nel 1968 un Philips 300 e pochi anni più tardi un
secondo Philips 300, sezione che doveva illustrarsi per le ricerche
del suo allievo Felice Caramia e di Matteo Russo; inoltre una serie
di studi e di laboratori, una elegante auletta in seguito intitolata a
Guido Vernoni, e un moderno stabulario in luogo di quello esterno
all’Istituto, ormai fatiscente. Infine, veniva avviata la costruzione
dell’attuale aula di Patologia Generale e Anatomia Patologica.
Come si vede, una completa ristrutturazione e modernizzazione dell’edificio, reso idoneo ad accogliere pochi anni più tardi due nuovi
ordinari, Felice Giacomo Caramia e Giuseppe Pontieri.
Divenuto Segretario Generale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, Merlini si dedicò alla riorganizzazione delle varie
sezioni distaccate di questa Istituzione, compiendo numerosi viaggi
nelle sedi sparse in Italia, cui si aggiungevano spesso conferenze
sulle neoplasie e sul loro impatto sociale. Si deve infine ricordare
che, essendo divenuti in parte superati i trattati di Patologia
Generale fino ad allora in uso per la preparazione degli studenti,
Merlini provvide a curare l’edizione italiana del trattato di Sir
Florey dello stesso nome5. Se negli anni successivi alla sua andata
fuori ruolo è stato possibile ospitare efficacemente nell’Istituto una
numerosa schiera di nuovi docenti e ricercatori, non vi è dubbio che
ciò si deve all’entusiasmo con il quale Dino Merlini rinnovò radicalmente le strutture del vecchio edificio.
117
Pier Paolo Gazzaniga
Uomo di vasta cultura, austero e talora burbero, non facile al rapporto umano ed alla confidenza, Dino Merlini ha tuttavia lasciato un
simpatico ricordo in chi lo ha veramente conosciuto da vicino ed ha
potuto apprezzare, al di sotto di quella scorza, un animo capace di
momenti di grande umanità. Dopo il pensionamento si ritirò nella
sua ad un tempo amata e odiata Peccioli, donde però la nostalgia lo
riportava, sempre più raramente, a rivisitare per qualche giorno
quello che continuava chiamare il “suo” Istituto, ed a discorrere
amabilmente delle vicissitudini ulteriori di questo con chi gli era
stato più vicino in quegli anni e che di lui conserva un caro ricordo.
Già nei primi anni dopo la chiamata di Dino Merlini a Roma si era
resa evidente l’esigenza di incrementare il numero degli insegnamenti di Patologia Generale per far fronte alla sempre crescente
popolazione di studenti che frequentavano il secondo ed il terzo
anno della Facoltà medica. Esigenza che fu soddisfatta dalla chiamata di due nuovi ordinari, Felice Giacomo Caramia a seguito di
concorso, e Giuseppe Pontieri per trasferimento da Napoli, chiamate rese possibili dall’ampliamento e dalla modernizzazione
dell’Istituto cui Dino Merlini aveva atteso negli anni precedenti.
Felice Giacomo Caramia, nato a Mesagne in Puglia il 20 novembre 1927, si laureò a Perugia nel 1954. Assistente nell’Istituto di
Patologia Generale di quella Università, diretto da Dino Merlini, vi
conseguì la libera docenza nel 1964, per seguire poi Merlini a Roma
nel 1966. Vincitore di concorso, fu chiamato nel 1973 a ricoprire la
seconda cattedra di Patologia Generale di Roma.
Già le sue prime
ricerche
avevano
dimostrato un vivo
interesse alla fine
indagine morfologica: è di quel periodo lo studio dei
diversi citotipi delle
ghiandole salivari e
delle isole pancreatiche, nonché della
distribuzione del glicogeno nel miocardio, nei muscoli stria-
Fig. 9 – Felice Giacomo Caramia
118
L’Istituto di Patologia Generale
ti e nei neuroni. Il periodo più fecondo della sua attività scientifica coincise con un soggiorno negli Stati Uniti durato molti anni, a
più riprese dal 1965 al 1972, per lo più nel prestigioso Institute of
Biology della Washington University di St. Louis, dove ebbe come
maestri e collaboratori Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco,
Piero Angeletti, Sarah Luce ed altri. Erano gli anni sessanta,
durante i quali la microscopia elettronica, che aveva iniziato la sua
lenta evoluzione dopo la seconda guerra mondiale con l’affinamento delle tecniche di preparazione dei campioni, era diventata
la metodica di elezione nella ricostruzione della istologia dei tessuti e nella definizione delle ultrastrutture cellulari e delle loro
alterazioni elementari. Con due lavori pubblicati nel 1965 in collaborazione con Munger e Lacy, Caramia, che già nel 1963 aveva
da solo identificato un nuovo citotipo nelle isole pancreatiche,
furono stabilite definitivamente le basi ultrastrutturali e funzionali delle diverse popolazioni cellulari delle isole. Sul finire del suo
lungo soggiorno negli Stati Uniti, nell’ambito delle ricerche di
Rita Levi Montalcini sui fattori implicati nello sviluppo dei neuroni gangliari simpatici, ricerche che le avrebbero valso il Premio
Nobel per la scoperta del Nerve Growth Factor, Caramia, in collaborazione con la stessa Montalcini e con Piero Angeletti, studiò
dal punto di vista ultrastrutturale le alterazioni indotte da vari
agenti tossici, quali guanetidina e bretilio, nel corso dello sviluppo di questi neuroni.
Tornato in Italia nel 1972, Caramia si dedicò allo studio istologico, ultrastrutturale ed immunochimico degli epatociti in soggetti portatori di quello che era allora indicato come antigene
Australia, dimostrando per la prima volta la presenza di particelle
simil-virali nelle cellule epatiche di questi pazienti. Negli anni
successivi Caramia, insieme ai suoi allievi romani, applicò la sua
grande esperienza di fine morfologo allo studio delle alterazioni
elementari del fegato in varie condizioni patologiche, con particolare riferimento alla patologia mitocondriale e perossisomiale,
confermandosi uno dei massimi esperti di patologia ultrastrutturale epatica; di particolare rilievo anche le ricerche sui meccanismi
del trasporto intranucleare del glicogeno e quelle sulla localizzazione dei collageni tipo IV e V nello stroma di diversi tessuti
umani.
Si può affermare che soltanto la innata modestia e riservatezza di
Felice Caramia, purtroppo recentemente scomparso, gli hanno impedito di essere universalmente riconosciuto, come in effetti fu, come
uno dei padri fondatori della moderna microscopia elettronica.
119
Pier Paolo Gazzaniga
Giuseppe Pontieri, nato a Nocera Terinese il 3 settembre 1927, si
laureò a Napoli nel 1950. Assistente dal 1951 presso l’Istituto di
Microbiologia dell’Università di Napoli, poi presso quello di
Patologia Generale della stessa Università, conseguì la Libera
Docenza in Patologia Generale nel 1958 e quella in Microbiologia
nel 1961. Vincitore del concorso alla cattedra di Patologia Generale
di Messina nel 1963, fu chiamato a ricoprire la stessa cattedra a
Palermo nel 1964, donde si trasferì a Napoli nel 1971, per essere
infine chiamato a Roma nel 1974.
La sua formazione scientifica si giovò di numerosi soggiorni
all’estero: nell’Istituto Pasteur di Parigi nel 1953, nello stesso anno
nell’Istituto di Microbiologia di Delft diretto da Kluyver, dal 1954
al 1955 presso l’Istituto di Igiene di Bonn, nel 1956 nei laboratori
Hilger di Londra diretti da Keckwick, dal 1958 al 1959 nel laboratorio di Heidelberger della Rutgers University di New Brunswick,
dove, in collaborazione con Otto Plescia, svolse intensa attività di
ricerca in campo immunologico: sulla immunochimica del tumore
mammario del topo, sulle immunoglobuline mielomatose, sulla biosintesi degli antigeni batterici e tumorali, sulla immunochimica del
complemento. Seguirono, durante il soggiorno a Palermo e poi a
Napoli, le ricerche di microscopia elettronica sulla ultrastruttura dei
cromosomi e della membrana nucleare di cellule batteriche e le
indagini sulla biosintesi enzimatica indotta nei batteri, nonché sulla
induzione di alcuni enzimi nel fegato rigenerante di mammifero. Nel
campo dei tumori spiccano le ricerche sugli antigeni del sarcoma di
Rous e su un extra-antigene del fattore latte di Bittner assente nel
latte normale. Altre indagini riguardarono la titolazione del primo
componente del complemento e le tecniche di isolamento e di frazionamento del terzo componente.
A Roma l’attività di ricerca di Pontieri continuò ad essere rivolta
nel campo dell’Immunopatologia, in particolare con lo studio del
ruolo del sistema complementare nel corso dello sviluppo neoplastico, dei rapporti tra immunodepressione ed oncogenesi e dei fenomeni autoimmunitari. Diversi suoi allievi compirono lunghi soggiorni in
Laboratori europei e statunitensi con i quali vennero intrapresi rapporti di collaborazione scientifica con interscambio di ricercatori, ed egli
stesso, grazie al supporto del CNR e degli Istituti ospitanti, frequentò
come Visiting Professor diversi Istituti scientifici degli USA, soprattutto il Waksman Institute of Microbiology della Rutgers University
nel New Jersey, dove, durante gli anni giovanili, era iniziata la sua formazione immunologica sotto la guida di Heidelberger e Plescia.
Negli studi sul sistema complementare egli mise in evidenza l’uti120
L’Istituto di Patologia Generale
lizzazione da parte delle cellule neoplastiche del C3 e la biosintesi,
secrezione ed utilizzazione di questa molecola da parte di cellule
staminali emopoietiche, che la incrementano dopo la trasformazione neoplastica con virus oncogeni.
Dalle indagini sui rapporti tra immunodepressione ed oncogenesi
emerse il risultato dell’aumentata sintesi e secrezione nelle cellule
tumorali di metaboliti dell’acido arachidonico, in particolare leucotrieni e prostaglandine, che diventano responsabili dell’inibizione
funzionale dei linfociti, con la conseguenza che l’immunodepressione nei tumori può essere riguardata più come un “post-factum” che
come “ante-factum”.
Numerose altre ricerche riguardarono il chiarimento della specificità antigenica degli anticorpi antifosfolipidi, il ruolo degli eosinofili nelle reazioni di ipersensibilità di 1° tipo e le modificazioni strutturali della membrana plasmatica delle cellule neoplastiche.
Pontieri curò con passione l’attività didattica nei Corsi di Laurea
e di Specializzazione, non solo nell’ambito della Patologia Generale
ma anche in quello della Storia della Medicina, disciplina della
quale ebbe per vari anni affidato l’insegnamento. Oltre a varie rassegne, egli pubblicò, in collaborazione con docenti di diverse
Università italiane, un libro di Patologia Generale in due volumi,
che nelle sue tre edizioni è stato adottato in molte Facoltà di
Medicina, di Veterinaria e di Scienze biologiche.
Con la figura di Giuseppe Pontieri si conclude una generazione di
patologi generali di Roma. La chiamata di Luigi Frati, destinato a
diventare Preside della Facoltà Medica, prestigioso incarico che egli
ricopre dal 1990 a tutt’oggi, ha dato inizio ad un nuovo periodo di
fervida attività scientifica, oltreché didattica ed assistenziale, che nel
breve volgere di due decenni ha consentito a numerosi suoi allievi,
diretti o indiretti, di coronare la loro carriera con il conseguimento
dell’ordinariato nelle varie discipline ricomprese nel raggruppamento della Patologia Generale.
All’attività didattica, scientifica ed assistenziale di questa nuova
Scuola ha offerto una solida base organizzativa l’istituzione del
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, da molti anni
diretto con efficacia e passione da Mario Piccoli.
Se, come tutti speriamo e confidiamo, il Policlinico Umberto I
sopravviverà alle ormai sue ricorrenti crisi, il riconoscimento dell’ulteriore importante contributo offerto dalla Patologia Generale
alle sue finalità resterà affidato ad una futura rievocazione.
121
Pier Paolo Gazzaniga
BIBLIOGRAFIA
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della Medicina, 1961.
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Patologia Generale. Med. Secoli 1989; 1: 96-104.
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classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali della Accademia Nazionale
dei Lincei. Fasc. 2, serie VIII, vol. XXVIII, 1960.
5. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985.
122
L’ISTITUTO DI ANATOMIA
E ISTOLOGIA PATOLOGICA
ERMANNO BONUCCI
123
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
I primi anni dell’insegnamento
L’Anatomia Patologica, quale si è andata sviluppando nel
Policlinico Umberto I, trova le sue radici nell’insegnamento della
disciplina presso l’Ospedale Santo Spirito, dove nella seconda metà
dell’800 fu creato dapprima un “Gabinetto fisio-patologico” e poi
un Istituto di Anatomia Patologica. Questo ebbe poi sede in via
Agostino Depretis, in un edificio che comprendeva anche gli Istituti
di Anatomia Umana, Fisiologia e Chimica Biologica, e ivi rimase
fino al 1928, quando fu trasferito presso il Policlinico Universitario.
Nella Storia della Facoltà Medica di Roma, di Adalberto Pazzini, è
possibile trovare una succinta descrizione dei locali e delle strutture
del nuovo Istituto, collocato in un edificio di stile cosiddetto “coloniale”, dapprima condiviso con la Patologia Generale, la Zoologia e
la Parassitologia, quindi con la sola Patologia Generale, ed attualmente sede del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia1.
L’insegnamento pratico dell’Anatomia Patologica e la conseguente
attività autoptica, effettuati inizialmente nell’Ospedale Santo
Spirito, furono trasferiti al Policlinico Universitario nel 1907 in
locali provvisori adiacenti alle sale mortuarie e poi, nel 1928, in
locali definitivi ad esse sovrastanti. In attesa del completamento
delle strutture del Policlinico, dal 1923 al 1928, l’Istituto aveva
anche utilizzato alcuni locali della Clinica Psichiatrica.
Nell’Università di Roma il primo docente di Anatomia Patologica
fu Gaetano Valeri, il quale dal 1852 al 1865, presso l’Ospedale
Santo Spirito, tenne un corso dedicato alla disciplina, la quale peraltro non era ancora compresa nell’ordinamento degli studi. Al Valeri
seguì, come insegnante non ufficiale, Guido Baccelli (1830-1916),
professore di Clinica Medica e più volte ministro della Pubblica
Istruzione, il quale aveva pubblicato, oltre a numerose altre opere,
un volume su La patologia del cuore e dell’aorta. L’Anatomia
Patologica, tuttavia, non aveva ancora dignità di disciplina autonoma e veniva considerata un complemento di altre discipline e insegnata come corollario soprattutto della Clinica Medica,
dell’Anatomia Normale, della Fisiologia.
I Maestri, la didattica, la ricerca
Corrado Tommasi Crudeli (1834-1900) viene considerato il
primo docente ufficiale di Anatomia Patologica presso l’Università
di Roma, ove fu chiamato nel 1871-72 provenendo dall’Università
di Palermo, sede nella quale aveva insegnato la disciplina dal 1865.
Studente prima a Firenze e poi a Pisa, dopo la laurea si era recato a
Parigi dove si era interessato di Medicina Sperimentale con Claude
125
Ermanno Bonucci
Bernard, e in Germania, dove aveva frequentato l’Istituto di Rudolf
Virchow. Spirito libero e intraprendente, si era arruolato tra le truppe di Giuseppe Garibaldi e fu lievemente ferito a Milazzo. Egli fu
deputato prima e senatore poi del Regno d’Italia e, in tale veste, collaborò all’istituzione di dispensari e reparti ospedalieri per la cura
delle malattie veneree. Egli era peraltro anche uno stimato igienista,
molto impegnato nell’organizzazione e nel funzionamento dei servizi sanitari, tanto che nel 1881 ebbe a trasferirsi alla Cattedra di
Igiene. Tra le sue ricerche meritano menzione quelle sul parassita
malarico e sulla propagazione del colera asiatico e della difterite2.
Successore di Tommasi Crudeli, del quale era stato assistente, fu
Ettore Marchiafava (1847-1935), il quale portò l’Anatomia
Patologica alla dignità di disciplina autonoma. Noto soprattutto per
le sue ricerche nel campo della malaria, della quale, in collaborazione con Angelo Celli, aveva studiato il ciclo, contribuì al chiarimento della morfologia e dello sviluppo endoglobulare del parassita.
Individuò inoltre nel meningococco il responsabile della meningite
epidemica. Egli si interessò di numerosi altri problemi di patologia,
partendo dal presupposto che le manifestazioni cliniche delle malattie trovano un riscontro preciso nelle alterazioni anatomo-patologiche. Descrisse per la prima volta lesioni degli organi in varie condizioni patologiche, alcune delle quali sono note ancora oggi con il
suo nome. Si conosce infatti come “Sindrome di MarchiafavaBignami” la degenerazione del corpo calloso nell’alcoolismo cronico, come “Triade di Marchiafava” l’associazione post-pneumonica
di setticemia, endocardite e meningite, e ancora come “Sindrome di
Marchiafava-Micheli” l’associazione di ittero emolitico cronico con
emoglobinemia, emoglobinuria e sideruria. Oltre che insigne studioso, e per tale motivo membro nazionale dell’Accademia dei Lincei,
egli prese parte attiva alla vita nazionale, ricoprendo tra l’altro gli
incarichi di Presidente del Consiglio Superiore della Sanità e di
vicepresidente della Croce Rossa Italiana.
Ad Ettore Marchiafava successe nel 1922 l’allievo Antonio
Dionisi (1866-1931), che nel 1902-3 aveva tenuto per incarico l’insegnamento di Istologia Patologica a Roma, si era poi recato a
Modena come incaricato di Anatomia Patologica e, dal 1910, era
divenuto professore di ruolo di Anatomia Patologica a Palermo.
Antonio Dionisi continuò gli studi già intrapresi con il maestro, in
particolare quelli sulla malaria, con i quali riuscì ad anticipare l’idea
che il parassita malarico dovesse soggiornare nella zanzara per assumere carattere infettante, e quelli sulle malattie del sangue, con particolare riferimento alla patogenesi degli itteri3.
126
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
Successore di Antonio Dionisi fu nel 1931 Guido Sotti, il quale
proveniva dall’Università di Bari, ove era stato nominato professore di Anatomia e Istologia Patologica nel 1928. Sotti fu studioso
attento e rigoroso degli aspetti anatomo-patologici delle malattie che
all’epoca avevano il maggior impatto sociale, quali la tubercolosi.
Di questa affezione, analizzò aspetti poco noti, come quelli della
miocardite di tipo emorragico, e localizzazioni inusuali, quali quelle nella milza e nelle meningi.
Cessato l’insegnamento di Guido Sotti nel 1947 per raggiunti
limiti di età, subentrò per un breve periodo Giovanni Lelli, che
tenne l’insegnamento per incarico dal 1947 and 1949.
Titolare della cattedra di Anatomia e Istologia Patologica divenne
poi Gaetano Bompiani che, dopo aver diretto vari Istituti di
Anatomia Patologica in altre sedi universitarie, fu chiamato nel
1949 a dirigere quello dell’Università di Roma. Gaetano Bompiani
ebbe il merito di continuare l’attività universitaria secondo i rigorosi principi che erano stati propri dei suoi predecessori, ponendo sempre in primo piano l’insegnamento dell’Anatomia Patologica direttamente al tavolo anatomico. Nel contempo, tuttavia, aprì i laboratori dell’Istituto a nuove metodiche di ricerca e di studio, introducendo l’uso delle tecniche istochimiche e favorendo lo sviluppo di
quelle ultrastrutturali, in tal modo offrendo all’Anatomia Patologica,
fino ad allora avente carattere prevalentemente macroscopico e istopatologico, nuovi mezzi di ricerca e di diagnostica. Degni di menzione sono i suoi studi sulla patologia vascolare nella malattia reumatica, su alcune forme di endocardite, su alcune affezioni emolitiche, sui processi organizzativi che possono portare all’indurimento
polmonare4.
Al cessare dell’attività universitaria di Gaetano Bompiani, per
raggiunti limiti di età (1958), l’insegnamento dell’Anatomia
Patologica fu affidato per incarico ad Antonio Ascenzi, che del
Bompiani era stato aiuto. Tale incarico ebbe la durata di un biennio.
Trascorso tale periodo, nel 1960 la Facoltà romana chiamò Luigi
Ajello (1898-1995) a dirigere l’Istituto di Anatomia Patologica. Egli
aveva tenuto per incarico la cattedra di Anatomia Patologica a
Palermo e, nel 1942, era stato chiamato dall’Università di Genova a
dirigere l’Istituto di Anatomia Patologica, che aveva tra l’altro provveduto a riorganizzare dopo la parentesi bellica. Sia in tale sede, sia
in quella romana, Luigi Ajello si fece promotore di numerose ricerche. Meritano particolare menzione quelle sulla granulomatosi amebica, sugli equivalenti anatomici dell’allergia in alcune forme di
tubercolosi (intestinale, biliare, ecc.), sulla brucella con individua127
Ermanno Bonucci
zione di un granuloma similtubercolare, sul cocainismo subacuto
con evidenziazione di uno pseudogranuloma nervoso (gliomatosi
cerebrale micronodulare), sui bioritmi. Nel 1954 la Facoltà istituì la
Scuola di Perfezionamento in Oncologia, di cui assunse la direzione
e alla quale venne poi annesso il Centro per la prevenzione e la profilassi dei tumori professionali. Inoltre, l’Anatomia e Istologia
Patologica entrò come insegnamento ufficiale in varie Scuole di
Specializzazione. Nel 1965, su sua proposta, la Facoltà istituì la
Cattedra di Tecnica e Diagnostica Istopatologica, che venne affidata al suo allievo Marco Melis.
Nato a Genova nel 1927, Marco Melis aveva svolto la sua attività accademica nella Facoltà di Medicina e Chirurgia di quella città,
dove gli era stato affidato nel 1959-60 l’incarico di insegnamento
dell’Anatomia e Istologia Patologica e la direzione dell’Istituto in
sostituzione del suo maestro che era stato chiamato a Roma.
Trasferitosi anch’egli in tale sede nel 1960, la Facoltà gli affidò l’incarico di insegnamento di Anatomia e Istologia Patologica su corso
sdoppiato dal 1963 al 1968. In questa data, avendo conseguito lo
straordinariato, venne chiamato dalla Facoltà romana dapprima
all’insegnamento di Tecnica e Diagnostica Istopatologica e, successivamente, a quello di Anatomia e Istologia Patologica. E’ attualmente Professore Emerito.
Marco Melis è membro di numerose Società Scientifiche. La sua
attività di ricerca ha riguardato vari aspetti della patologia umana
e sperimentale, ed è stata condotta, oltre che con metodiche classiche, con tecniche di istochimica, di ultrastruttura e di morforadiologia vascolare normale e patologica. Quest’ultima gli ha
consentito di accertare una peculiare fisionomia vascolare degli
organi, specie per le componenti collaterali anastomotiche. I risultati delle sue ricerche sono stati riportati su numerose pubblicazioni anche a carattere monografico che, tra l’altro, comprendono le
metodiche tecniche dalle autopsie alla microscopia elettronica e
gli aspetti arteriografici, normali e patologici, del cuore e dei reni.
Di particolare interesse l’originale volume sulle Similitudini in
patologia, e quello intitolato Tavole sinottiche sistematiche di
Anatomia Patologica5.
Al cessare dell’attività universitaria di Luigi Ajello per raggiunti
limiti di età (1968), la Facoltà, per meglio far fronte all’aumentato
numero di studenti, ritenne opportuno sdoppiare l’insegnamento
dell’Anatomia Patologica in due Istituti distinti, il primo collocato al
pianterreno, il secondo al primo piano dello stesso edificio del
Policlinico Umberto I. Alla loro direzione vennero chiamati rispetti128
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
vamente Antonio Ascenzi e Cesare Cavallero.
Come già riportato, Antonio Ascenzi (1915-2000) aveva tenuto
per incarico l’insegnamento dell’Anatomia e Istologia Patologica
nel biennio 1958-59 e gli era stato poi affidato lo stesso insegnamento dalla Facoltà Medica dell’Università di Pisa, prima per
incarico, poi, dal 1963, come professore straordinario e ordinario.
Egli proveniva dalla stessa Scuola di Sotti, con il quale aveva fatto
la tesi di laurea, e di Bompiani, con il quale era stato successivamente assistente, assistente incaricato, assistente di ruolo e aiuto.
Aveva intanto ottenuto la libera docenza in antropologia e gli era
stato affidato l’incarico di insegnamento della Paleontologia
Umana presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Roma.
Richiamato a Roma sulla I Cattedra di Anatomia e Istologia
Patologica nel 1968, Antonio Ascenzi accentuò le caratteristiche
che erano state del suo maestro Gaetano Bompiani, da un lato promuovendo con vigore l’insegnamento al tavolo anatomico e facendo riferimento alle metodiche classiche, dall’altro facendosi promotore di importanti innovazioni metodologiche, soprattutto in
ambito ultrastrutturale. Resta a testimonianza del primo indirizzo
il museo di Anatomia Patologica, che egli volle istituire sia a scopo
didattico, sia come mezzo per conservare alla memoria alterazioni
patologiche che per le migliorate cognizioni e condizioni sanitarie
andavano scomparendo. Resta a testimonianza del secondo il
microscopio elettronico che attualmente fa mostra di sé, come
cimelio storico, nell’atrio d’ingresso dell’Istituto; esso fu il primo
microscopio utilizzato nel laboratorio di microscopia elettronica
istituito da Antonio Ascenzi, laboratorio tuttora efficiente e dotato
di più moderne apparecchiature. Oltre che allo studio di vari problemi di patologia, tra i quali meritano particolare menzione quelli relativi alla tubercolosi e ai vizi congeniti di cuore, egli si interessò soprattutto al tessuto osseo e ai problemi collegati con il processo di calcificazione in condizioni normali e patologiche. Fu tra
i primi nel mondo ad affrontare tali studi con il microscopio polarizzatore, la diffrazione dei raggi X, il microscopio elettronico. Si
occupò inoltre di problemi di micromeccanica ossea, giungendo
alla conclusione che le varie componenti del tessuto si organizzano in funzione delle forze meccaniche su di esse esercitate. Di
notevole rilievo sono anche le sue osservazioni in ambito antropologico, soprattutto quelle sui reperti ossei neandertaliani, uno dei
quali rinvenuto da lui stesso nel 1950 nell’area del Circeo (cosiddetto Circeo III B), e quelle che al momento della scomparsa conduceva ancora sul reperto fossile più antico rinvenuto in Europa, il
129
Ermanno Bonucci
cosiddetto “cranio di Ceprano”, relativo ad homo erectus. I risultati delle sue ricerche sono riportati in numerosi lavori pubblicati
su importanti riviste nazionali e internazionali. Particolare importanza ha avuto il suo Trattato di Anatomia Patologica, pubblicato in collaborazione con Giacomo Mottura6.
Antonio Ascenzi, oltre alla direzione del I
Istituto e della I Scuola di Specializzazione
in Anatomia patologica, ebbe numerosi altri
incarichi, alcuni dei quali extrauniversitari.
Egli fu dal 1966 al 1970 membro di nomina
ministeriale del Consiglio Superiore della
Pubblica Istruzione, dal 1966 membro della
Commissione per le Scienze Ausiliarie
dell’Archeologia del C.N.R, dal 1970 membro del Consiglio Scientifico Internazionale
del Laboratorio di Ricerca dell’Istituto
Calot di Berck Plage, in Francia, dal 1973
Presidente dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Fu Socio Corrispondente
Fig. 1 – Antonio Ascenzi
dal 1972 e Socio Nazionale dal 1987
dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nella quale fu membro del
Consiglio di Presidenza. Fu socio di numerose associazioni scientifiche nazionali ed internazionali, e membro del Comitato Editoriale
di varie riviste scientifiche a carattere internazionale. Numerosi
furono i riconoscimenti alla sua attività scientifica, in particolare gli
fu conferito il premio Ettore Marchiafava dall’Università di Roma
“La Sapienza”, e il premio nazionale “Antonio Feltrinelli” dall’Accademia Nazionale dei Lincei7.
Alla direzione del II Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
della Facoltà Medica romana fu chiamato Cesare Cavallero (19131978), il quale proveniva dall’Università di Pavia dove era stato
alunno del Collegio Ghislieri e si era laureato discutendo una tesi
sperimentale di micologia preparata sotto la guida di Piero Redaelli,
allora Professore Ordinario di Anatomia Patologia. Assistente ordinario ed aiuto presso la stessa Università, nel 1946 aveva seguito il
suo maestro, nel frattempo trasferito all’Università di Milano.
Professore ordinario di Anatomia e Istologia Patologica presso
l’Università di Pavia dal 1955, nel 1969 veniva chiamato
dall’Università di Roma a dirigere il II Istituto di Anatomia
Patologica, funzione tenuta con scrupolo e grande competenza fino
alla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1978.
130
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
Cesare Cavallero ha svolto importanti ricerche scientifiche, in
parte in Istituti esteri (Louvain, Belgio 1939-1940; Copenhagen,
Danimarca 1946-1948), occupandosi dapprima di problemi relativi alla micologia umana e sperimentale e quindi all’endocrinologia
sperimentale. I suoi studi anatomo-patologici avevano un costante
punto di riferimento nella fisiopatologia e nella patogenesi delle
affezioni, e tale indirizzo, che lo accompagnerà lungo tutto l’arco
della sua vita scientifica, rappresenta una caratteristica tipica della
sua Scuola.
Cesare Cavallero è stato Direttore delle Scuole di Specializzazione in Anatomia e Istologia Patologica ed in Oncologia
dell’Università di Roma, ed è stato membro di Consigli Direttivi
di numerose Società Scientifiche nazionali ed europee. E’ stato
autore di oltre 300 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, su temi riguardanti principalmente l’endocrinologia umana e
sperimentale, le malattie del collagene, e l’aterosclerosi umana e
sperimentale8.
Durante il periodo di insegnamento di Antonio Ascenzi, nel
1969 era stato richiamato a Roma a coadiuvarne l’operato Vittorio
Marinozzi (1924-1997), che era suo allievo. Egli aveva infatti iniziato e svolto parte della sua attività accademica presso
l’Università di Roma, dove era stato assistente e aiuto, e aveva poi
seguito Antonio Ascenzi quando questi era stato chiamato
dall’Università di Pisa. In tale sede, Vittorio Marinozzi aveva
tenuto per incarico dapprima (1966-68) l’insegnamento di
Ultrastruttura della Cellula per la Classe di Scienze Biologiche
della Scuola Normale Superiore, e poi, nel periodo 1968-69, quello di Anatomia e Istologia Patologica nella Facoltà di Medicina e
Chirurgia. Nel 1969 la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università romana lo aveva chiamato a tenere per incarico
l’insegnamento di Anatomia e Istologia Patologica. Egli aveva
ottenuto nel frattempo la libera docenza prima nella stessa disciplina e poi in Istochimica Normale e Patologica. Nel 1975 risultò vincitore del concorso di professore straordinario di Istochimica
Normale e Patologica presso la I Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Napoli, ove peraltro ebbe ad insegnare per il
solo anno accademico 1975-76, essendo stato subito richiamato a
Roma sulla terza Cattedra di Anatomia e Istologia Patologica.
Dopo la morte prematura di Cesare Cavallero, egli passò alla
seconda Cattedra e divenne Direttore del II Istituto. Nel 1985,
essendo andato fuori ruolo Antonio Ascenzi, si trasferì alla I
Cattedra.
131
Ermanno Bonucci
L’attività scientifica di Vittorio
Marinozzi ha avuto una notevole
risonanza internazionale sia per
l’importanza degli argomenti trattati, sia per le tecniche innovative
ed originali. Egli si era interessato
fin dal 1957 di problemi ultrastrutturali, dapprima presso l’Istituto
Superiore di Sanità di Roma, ove
era disponibile un microscopio
elettronico, poi presso i centri di
Microscopia Elettronica dell’Università di Losanna (1961), dell’Istituto dei Tumori di Villejuif, in
Francia (1962-63), e dell’Università di Pisa, ed infine a Roma,
dove era stato allestito da Antonio
Fig. 2 – Vittorio Marinozzi
Ascenzi il laboratorio di microscopia elettronica. Delle sue numerose ricerche condotte con tale tecnica meritano particolare menzione quelle del tutto originali, riportate
su riviste scientifiche di grande risonanza internazionale, sul significato istochimico dell’impregnazione argentica, sulla composizione e
ultrastruttura del nucleolo, sulle glicoproteine di membrana e sui glicoconiugati. Di notevole interesse sono anche le indagini che Egli
eseguì su amplissima casistica anatomo-patologica relativamente alle
alterazioni polmonari e, soprattutto, renali nelle cardiopatie congenite cianotizzanti. Per l’insieme dei risultati ottenuti, l’Accademia
Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio “Antonio Feltrinelli” per
la Medicina nell’anno 1979. E’ stato membro di numerose Società
Scientifiche nazionali e internazionali.
Nell’anno accademico 1969-1970 vennero affiancati ad Antonio
Ascenzi e a Cesare Cavallero i loro allievi, rispettivamente Cesare
Bosman e Carlo D. Baroni, con incarico di insegnamento su corso
sdoppiato di Anatomia e Istologia Patologica.
Cesare Bosman (1932-2003) era stato studente a Roma e, successivamente, assistente di Anatomia Patologica nella Facoltà di
Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa. Trascorso un biennio
negli USA, presso l’Università di California a La Jolla, ove si era
interessato soprattutto di immunopatologia, aveva ottenuto la libera
docenza in Anatomia Patologica. Trasferitosi nuovamente a Roma,
era stato incaricato nel 1975 dell’insegnamento di Anatomia e
Istologia Patologica presso il I Istituto e nel 1980, a seguito di rego132
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
lare concorso, era divenuto docente di ruolo nella disciplina. Cesare
Bosman associava ad una conoscenza molto approfondita ed erudita dell’anatomia patologica, dell’istopatologia e della citopatologia,
una notevole capacità didattica, in particolare al tavolo anatomico.
Le sue ricerche, condotte soprattutto su casistica anatomo-patologica, hanno prodotto risultati molto importanti, unanimemente apprezzati, anche su temi di patologia estremamente rari. Membro di
numerose società scientifiche, fu tra i primi a comprendere l’importanza della diagnostica ultrastrutturale, soprattutto nello studio delle
neoplasie, e in tal senso ebbe a coordinare un gruppo di ricerca
nazionale espressamente dedicato a tale tema. La sua competenza
anatomo-patologica gli valse l’invito a collaborare con importanti
istituzioni ospedaliere.
Carlo D. Baroni, nato a Milano nel 1934, proveniente
dall’Università di Pavia, dove era stato alunno, al pari del Cavallero,
del Collegio Ghislieri, aveva ottenuto la specializzazione in
Anatomia ed Istologia Patologica ed in Oncologia, la libera docenza in Anatomia ed Istologia Patologica ed in Cancerologia
Sperimentale, ed aveva avuto l’incarico di insegnamento in
Anatomia Patologica prima di trasferirsi a Roma, dove continuò tale
incarico di insegnamento nel II Istituto di Anatomia Patologica della
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “La Sapienza”.
Vincitore di concorso nazionale, quale professore straordinario fu
chiamato nel 1980 ad insegnare nella Cattedra di Anatomia e
Istologia Patologica dello stesso Istituto, dove poi, divenuto professore ordinario, ha continuato l’insegnamento della Disciplina. E’
attualmente professore fuori ruolo.
Il suo percorso universitario è contrassegnato da lunghi periodi di
studio all’estero (Department of Oncology - Chicago Medical
School, Chicago, Illinois, dal 1960 al 1963; Salk Institute for
Biological Studies, San Diego, California dal 1967-1970;
Department of Immunology - University of Minnesota Medical
School, Minneapolis, Minnesota nel 1984), durante i quali si è occupato di cancerologia sperimentale, immunologia sperimentale,
immunopatologia e patologia delle malattie immunoproliferative. In
questi periodi ha avuto modo di collaborare con eminenti scienziati
quali Henry Rappaport, Philip Shubik, Jonas Salk, Renato
Dulbecco, Anthony Davies, Jacques Miller e Fritz Bach.
Direttore della Scuola di Specializzazione in Anatomia Patologica
dal 1980 al 1986 e dal 2003 ad oggi, è membro di numerose Società
Scientifiche nazionali e internazionali; in particolare, è stato membro del Board of Directors della European Society of Pathology e
133
Ermanno Bonucci
della European Society of Haemopathology. E’ Consultant for
Pathology of the European Late Effect Project Group. Partecipa a
consorzi di ricerca finanziati dalla Comunità Europea (MuvadenDetec). E’ autore di oltre 260 pubblicazioni su riviste nazionali ed
internazionali.
Durante il periodo della direzione di Antonio Ascenzi, venne
aggregato al I Istituto l’insegnamento di Istochimica, che nel 1970
fu affidato per incarico al suo allievo Ermanno Bonucci. Nato a
Spoleto (PG) nel 1930, libero docente nella disciplina e in Anatomia
Patologica, egli tiene tale incarico sino al 1978, quando gli viene
affidato quello dell’insegnamento di Anatomia e Istologia
Patologica. Nel 1980, a seguito di regolare concorso, diviene professore straordinario e, nel 1983, professore ordinario di Anatomia e
Istologia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università “La Sapienza”.
Ermanno Bonucci, attualmente Professore Emerito, è stato dal
1983 al 1988 Direttore del Dipartimento di Biopatologia Umana
dell’Università di Roma “La Sapienza”, costituitosi nel 1983 dalla
confluenza dell’Anatomia Patologica, della Biologia, della Chimica
Clinica e dell’Ematologia. Egli è stato inoltre Direttore della Scuola
di Specializzazione in Anatomia Patologica dal 1987 al 2002, ed è
stato coordinatore del Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia dei
Tessuti Calcificati e del Dottorato di Ricerca in Patologia Umana.
L’attività di ricerca di Ermanno Bonucci ha riguardato numerosi
campi della patologia. In particolare, i risultati delle ricerche di istochimica, immunoistochimica e microscopia elettronica condotte sui
tessuti osseo e cartilagineo normali e patologici hanno avuto ampia
risonanza internazionale. Per essi l’Accademia dei Lincei gli assegnò nel 1989 il premio “Antonio Feltrinelli” per la Medicina. E’
stato membro del Consiglio Scientifico Internazionale del
Laboratorio di Ricerca dell’Istituto Ortopedico Calot di Berck-Plage
(Francia). Socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei
Lincei dal 1993, è dal 2004 socio nazionale; è inoltre socio
corrispondente della Real Academia de Medicina y Cirugia
dell’Università di Cadice. E’ socio onorario della Società Italiana di
Ortopedia e Traumatologia e membro di numerose società scientifiche nazionali e internazionali, di alcune delle quali è stato
Presidente. Ha fatto parte del comitato editoriale di numerose riviste
scientifiche, anche come Editor in Chief, ed è autore di oltre 350
pubblicazioni a stampa, prevalentemente su riviste a carattere internazionale. Degni di particolare menzione sono il Manuale di
Istochimica e il volume Calcification in Biological Systems9. E’
134
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
stato coordinatore di numerosi programmi di ricerca condotti in collaborazione con Istituti nazionali e esteri. In riconoscimento dei suoi
meriti, gli è stata conferita dal Presidente della Repubblica, Carlo
Azeglio Ciampi, l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce.
I docenti attuali
Francesco Nardi, nato a Pisa nel 1941, viene incaricato dell’insegnamento di Anatomia e Istologia Patologica dalla Facoltà di
Medicina e Chirurgia dell’Università “La Sapienza” dal 1979 al
1983. Nel 1983 diviene professore associato di Istituzioni di
Anatomia e Istologia Patologica per il Corso di Laurea in
Odontoiatria e Protesi Dentaria presso la stessa Facoltà. Diviene nel
1985 professore straordinario nella stessa Disciplina e Facoltà e nel
1989 professore ordinario, funzione che ricopre tuttora. Di particolare interesse sono i suoi studi sulla etiopatogenesi e sulla suscettibilità genetica del mesotelioma maligno familiare, e quelli del tutto
recenti su nuovi parametri genici per la diagnostica molecolare delle
neoplasie tiroidee e sui meccanismi patogenetici dello sviluppo dei
tumori tiroidei.
Pietro Gallo, nato a Firenze nel 1947, ha iniziato il suo iter accademico nel I Istituto di Anatomia Patologica dell’Università “La
Sapienza”, dove ha svolto le funzioni di assistente ordinario e, dal
1983, di professore associato di Anatomia e Istologia Patologica.
Nel 1990, divenuto professore straordinario nella stessa disciplina,
viene chiamato dall’Università dell’Aquila, ove trascorre un triennio. Nel 1993 viene richiamato a Roma, sulla cattedra di Anatomia
Patologica Cardiovascolare, della quale è ancora titolare.
Specializzatosi prima in Anatomia Patologica e poi in Oncologia, si
interessa prevalentemente di patologia cardiovascolare e in tale
campo ha pubblicato oltre 300 lavori, che hanno suscitato vasta eco
nazionale e internazionale. E’ membro di varie Società Scientifiche,
ed è stato Presidente della Società Italiana di Patologia
Cardiovascolare e membro del Consiglio Direttivo della SIAPEC.
Oltre ai numerosi e gravosi impegni didattici, accademici ed organizzativi, dal 1985 è responsabile della Sezione di Patologia, Unità
di Trapianto Cardiaco, Università “La Sapienza”. Dal 1994 è
Direttore del Museo di Anatomia Patologica annesso al I Istituto,
direzione che aveva già tenuto nel periodo 1987-90.
Tullio Faraggiana di Sarzana, nato a Milano nel 1948, nel 1987
viene chiamato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università “La Sapienza” quale professore associato di
Anatomia e Istologia Patologica. In tale disciplina diviene professo135
Ermanno Bonucci
re straordinario nel 1994 e professore ordinario nel 1997 e in tale
veste, a tutt’oggi, tiene l’insegnamento della suddetta disciplina
presso lo stesso Istituto.
Tullio Faraggiana di Sarzana ha conseguito la specializzazione in
Anatomia Patologica e la American Board of Pathology Medical
licence per gli stati di New York, New Jersey, Indiana. E’ stato
Assistant Editor e successivamente Associated Editor del Journal of
Histochemistry and Cytochemistry. I suoi interessi scientifici riguardano soprattutto la patologia renale, la patologia della pelle, la biologia del collagene; per le sue ricerche si avvale di tecniche ultrastrutturali e di biologia e patologia molecolare. E’ autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali. E’
membro di numerose Società scientifiche.
Luigi Ruco, nato a Roma nel 1950, ha percorso tutto il suo iter
accademico presso l’Università di Roma, ad eccezione del periodo
1975-78 trascorso negli USA quale Visiting Fellow presso il
National Cancer Institute di Bethesda, Md. E’ professore associato
di Anatomia Patologica nella Facoltà di Medicina e Chirurgia de “La
Sapienza” dal 1987 al 1994. In tale anno diviene professore straordinario nella stessa disciplina, e, nel 1997, professore ordinario, funzione che svolge ancora oggi presso la seconda Facoltà di Medicina
e Chirurgia, Ospedale Sant’Andrea, ove dal 1999 ricopre anche il
ruolo di Direttore della Scuola di Specializzazione in Anatomia
Patologica. Le sue ricerche di maggior rilievo vertono sull’eziopatogenesi e sulla classificazione delle malattie linfoproliferative e dei
timomi, e sulla patogenesi del carcinoma papillare della tiroide.
Paolo Bianco, nato a Lecce nel 1955, acquisisce la sua maturità
scientifica presso la Scuola di Antonio Ascenzi, del quale segue
anche l’attività di ricerca, che amplia e completa con lunghi soggiorni nel National Institute of Dental Research, National Institute of
Health, Bethesda, Md., USA. Nel 1993 viene chiamato dall’Università dell’Aquila quale Professore Associato di Anatomia e
Istologia Patologica; nel 2000, divenuto professore straordinario
della stessa disciplina, viene richiamato a Roma dalla I Facoltà di
Medicina e Chirurgia; nel 2003 diviene professore ordinario nella
stessa sede. La sua attività di ricerca, condotta con tecniche di biologia molecolare, di istochimica e immunoistochimica, di microscopia
elettronica e confocale, e mediante colture in vitro, verte soprattutto
sulla fisiopatologia ossea e sulla biologia delle cellule staminali.
Stefania Uccini, nata a Roma nel 1947, specialista in Patologia
Generale e in Anatomia Patologica, nel 1986 diviene professore
associato di Immunopatologia, nel 2000 professore straordinario e
136
L’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica
nel 2003 professore ordinario di Anatomia Patologica. Ha svolto un
intenso programma di ricerca, tra l’altro coordinando il programma
MURST sul sarcoma di Kaposi nel 1998 e nel 2000. I risultati ottenuti sono stati oggetto di pubblicazione su riviste scientifiche a
carattere nazionale e internazionale. Svolge attività di ricerca prevalentemente su AIDS, sarcoma di Kaposi, patologia linfoproliferativa, patologia pediatrica, neuroblastomi, per le quali riscuote unanime apprezzamento.
Ai suddetti professori di prima fascia si sono affiancati negli anni
numerosi professori di ruolo di seconda fascia. In particolare,
Francesco Autelitano e Alberto Ceccamea, prematuramente
scomparsi, Anna de Matteis, a riposo per raggiunti limiti di età,
Luigi Giusto Spagnoli, attualmente professor ordinario della disciplina presso l’Università di Tor Vergata, e i professori Valeria
Ascoli, Francesco Carpino, Giancarlo Castagna, Giulia
D’Amati, Carlo Della Rocca, Ugo Di Tondo, Daniele Eleuteri
Serpieri, Felice Giangaspero, Pietro Mingazzini, Andrea Onetti
Nuda, Edoardo Pescarmona, Antonella Stoppacciaro (II Facoltà,
Ospedale Sant’Andrea), Domenico Vitolo.
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Press 1992.
137
L’INSEGNAMENTO DELLA FARMACOLOGIA
PIETRO MELCHIORRI
139
L’Insegnamento della Farmacologia
I primi anni dell’insegnamento
Il 9 novembre 1513 Leone X con la Bolla Dum suavissimos atque
uberes fructus riordinò e riformò il piano degli studi universitari dell’allora Archiginnasio Romano, erede di quello Studium Urbis fondato nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, aggiungendo alle due precedenti materie dell’insegnamento medico di allora, la medicina teorica e la medicina pratica, una terza disciplina denominata Lectura
simplicium. Questa lettura dei semplici riguardava le parti di piante,
animali o minerali che erano usate nella medicina antica e che non
dovevano subire sostanziali cambiamenti che ne avrebbero modificato le proprietà farmacologiche e terapeutiche.
Il Lettore dei semplici doveva leggere quei passi dei testi di
Galeno, Avicenna, Dioscoride, Plinio che si riferivano alle proprietà delle piante, vi poteva aggiungere le annotazioni, i chiarimenti ed
aggiornamenti che riteneva opportuni, ma aveva l’obbligo di
mostrare e descrivere agli studenti le piante medicinali che vegetavano nell’orto dei semplici, un orto botanico allestito su ordine dello
stesso Pontefice Leone X nei Giardini vaticani. Con Lectura simplicium Leone X introdusse per la prima volta nel programma degli
studi medici universitari, sino ad allora assolutamente teorici, un
insegnamento di fitoterapia e farmacognosia basato su dimostrazioni ed esercitazioni pratiche.
Lo stesso Pontefice nominò il primo lettore dei semplici nella persona di Giuliano di Foligno, medico illustre ai suoi tempi, assegnandogli il ragguardevole stipendio annuo di 400 fiorini. Da quei
pochi “Rotuli della Sapienza” rimasti (magnifiche pergamente
miniate in cui venivano annotati gli atti riguardanti l’Università, gli
insegnamenti impartiti, i nomi dei lettori delle singole materie, gli
argomenti delle letture e perfino gli stipendi dei docenti), apprendiamo gli argomenti che i lettori dei semplici trattavano e l’anno in cui
li svolsero1. Giovanni Faber, ad esempio, svolse nel primo decennio del 1600 letture di semplici dal titolo De vere catarticis tam
compositis quam simplicibus, De lenientibus et aromaticis medicamentis, De purgantibus et venenis, De lenientibus et metallicis, e De
alterantibus et corroborantibus.
Pietro Castelli dal 1629 al 1630 tenne corsi intitolati De medicamentis purgantibus vomitoriis e De mineralibus. Giovanni
Sinibaldi, dal 1635 al 1645 tenne letture di semplici dai titoli De
alexifarmacis, De vinis Romanorum, De gemmarum virtutibus.
Dalla consultazione dei Rotuli si deduce anche che l’insegnamento
dei semplici alla Sapienza nel 1600 e nella prima metà del 1700 era
svolto da differenti e numerosi lettori e comprendeva una moltepli141
Pietro Melchiorri
cità di argomenti che oggi definiremmo di Botanica, di
Farmacognosia, di Farmacologia e di Terapia medica.
Questo carattere multidisciplinare della Lectura simplicium, se da
un lato rappresentava un esempio raro e sorprendentemente attuale
di insegnamento integrato, dall’altro, per la sua rigidità didattica,
legata alla lettura e al commento dei soli testi storici riconosciuti
dalla curia pontificia, finì per rendere il corso inadeguato al crescere delle conoscenze scientifiche e sempre più estraneo alle reali esigenze della medicina2.
Infatti, già nella prima metà del ‘700, gli speziali, i farmacisti del
tempo, tentarono di sostituire le piante fresche ed essiccate descritte nei testi di Galeno, o Avicenna o Razes, con estratti purificati ottenuti trattando i semplici con rozzi metodi fisici (macinazione, setacciamento, percolazione, macerazione, filtrazione), al fine di arricchirne il contenuto di ciò che era considerato efficace dal punto di
vista terapeutico, e nella seconda metà del secolo le scienze chimiche incominciarono ad applicare nuove tecniche analitiche all’ isolamento e identificazione dei principi attivi responsabili dell’effetto
curativo delle piante medicinali3. Se quindi da un lato si assisteva
alla nascita dei primi rudimentali farmaci, dall’altro la Botanica
andava sempre più assumendo i connotati di scienza autonoma dedicata allo studio delle piante indipendentemente dal loro valore terapeutico.
In questo modificato scenario Benedetto XIV introdusse nel 1748
la sua riforma degli studi settecenteschi romani (1748) abolendo la
Lectura simplicium e trasferendo l’insegnamento dei semplici nelle
Istituzioni di Botanica pratica e aggiungendo agli insegnamenti
impartiti nel corso di Medicina della Sapienza quello di Istituzioni
ed esperimenti chimici, nel cui programma didattico possiamo trovare i primi rudimenti di biochimica e chimica del farmaco. Ma agli
inizi dell’800 anche la riforma benedettina si dimostrò inadeguata
all’evolversi delle scienze mediche. Fu Leone XII, nella sua celebre
bolla Quod Divina Sapientia (1824), a riformare nuovamente i corsi
di Medicina della Sapienza, riunendo l’insegnamento dei farmaci
con quello dell’igiene e della terapia medica in una unica cattedra di
Igiene, Terapia generale e Materia medica2. Inoltre, la aumentata
disponibilità di principi attivi purificati o sintetizzati dalla chimica
indusse il Pontefice ad aggiungere all’ultimo anno degli studi medici un nuovo insegnamento di farmaci, la Farmacia pratica, ritenuto
necessario per far conoscere ai medici come si compilavano e si spedivano le ricette contenenti i principi attivi, in un tempo in cui ancora non esistevano specialità medicinali standardizzate4.
142
L’Insegnamento della Farmacologia
I Maestri, la didattica, la ricerca
Possiamo quindi, a buona ragione, considerare che la riforma di
Leone XII segna l’inizio della Farmacologia come nuova disciplina
dell’Ateneo romano, sia pur suddivisa negli insegnamenti di Materia
medica, Terapia generale e Farmacia pratica. Di questa nuova cattedra fu primo professore Giacomo Folchi, noto igienista, che vi insegnò fino al 1849, seguito da Raffaele Luchini (1851-1856) e da
Francesco Scalzi (1856-1889). Scalzi fu il primo a vincere una cattedra per pubblico concorso e sotto il suo insegnamento, nel 1870, la
Sapienza divenne Università dello Stato Italiano e la denominazione
del corso di insegnamento fu mutata in Materia medica e Terapia
Generale, mentre l’igiene divenne insegnamento distinto. Nella
Materia medica vennero raggruppati sia i farmaci estrattivi di origine vegetale ed animale (sezioni definite come Materia medica botanica e Zoologia medica) sia quelli prodotti dalla chimica (Materia
medica chimica). Lo Scalzi, popolarissimo nell’ambiente studentesco, impresse alla sua scuola un indirizzo sperimentale e scrisse un
manuale ad uso degli studenti del suo corso, il Trattato di Materia
Medica e una Synopsis pharmacologiae generalis in cui si ritrovano
alcuni rudimenti di quelle che oggi sono le due principali sezioni
della Farmacologia, la farmacocinetica e la farmacodinamica.
Ma la fine dell’800 fu soprattutto caratterizzata dalla identificazione della struttura chimica di numerose molecole contenute nelle
piante medicinali, a cui si attribuirono le proprietà terapeutiche dei
semplici, e che permise una prima classificazione dei farmaci naturali in tre grandi categorie chimiche: alcaloidi, glucosidi e acidi
vegetali.
Queste scoperte della chimica fornirono le basi a nuova disciplina, la farmacologia sperimentale, che ebbe i suoi più insigni rappresentanti in quelle figure di fisiologi-farmacologi in grado di studiare l’interazione tra organismo e farmaco e di valutare di quest’ultimo sia gli effetti terapeutici che tossici. La farmacologia sperimentale fece tesoro di quelle idee innovative che in ambito medico avevano rivoluzionato le precedenti concezioni: la medicina sperimentale di Claude Bernard, la patologia cellulare di Rudolf Virchow, le
ipotesi germinali di Louis Pasteur e la biologia dei microbi di Robert
Koch.
In questo nuovo fervore delle scienze mediche sperimentali, nel
1890, Giuseppe Colasanti viene chiamato a ricoprire la prima cattedra di Materia Medica e Farmacologia sperimentale della
Sapienza con il compito di organizzare e sviluppare la nuova scienza del farmaco. Giuseppe Colasanti era uomo di vasta cultura biolo143
Pietro Melchiorri
gica, dotato di una solida ed aggiornata esperienza nella sperimentazione animale, maturata in lunghi soggiorni nei principali laboratori di fisiologia e farmacologia europei. Vincitore di borse di perfezionamento all’estero, si recò fin da giovane nel laboratorio di
Stricker a Vienna, in quello di Pfluger a Bonn, di Virchow a Berlino
e infine in quello di Felice Hoppe-Seyler a Strasburgo. Iniziò la sua
carriera universitaria come settore di Anatomia e poi assistente di
Anatomia Comparata; fu quindi docente di Fisiologia e incaricato di
Anatomia e Fisiologia Comparata. Nel 1881 fu titolare di Chimica
Fisiologica alla Sapienza, e quindi titolare della cattedra di
Farmacologia sperimentale. Con Giuseppe Colasanti la Farmacologia venne trasferita dal Palazzo della Sapienza nell’Istituto di
Farmacologia sperimentale con sede in Via Agostino De Pretis 92.
Nell’edificio di via De Pretis, che alloggiava anche altri Istituti
Biologici, la Farmacologia occupò il terzo piano. L’Istituto di
Farmacologia sperimentale disponeva di 11 locali tra laboratori,
studi e direzione, possedeva inoltre un museo delle droghe, una
biblioteca, una officina ed uno stabulario. Colasanti attrezzò in
maniera adeguata il suo Istituto, talché alla fine dell’8oo l’Istituto di
Farmacologia sperimentale della Sapienza era considerato uno dei
meglio organizzati in Italia e in grado di sviluppare quella nuova
scienza sperimentale che incominciava ad acquisire una posizione
autonoma rispetto alle altre scienze biologiche. Colasanti fondò
inoltre la prima rivista italiana di farmacologia, Archivio di farmacologia e scienze affini.
L’indirizzo nettamente sperimentale conferito alla farmacologia
romana dal Colasanti ricevette un impulso ulteriore in senso fisiologico dal suo successore Gaetano Gaglio (1903-1924). Gaglio infatti aveva iniziato la sua carriera universitaria come assistente di
Fisiologia nell’Istituto Universitario di Torino diretto da Angelo
Mosso, per passare poi alla scuola di Fisiologia di Luigi Luciani a
Firenze. Egli si perfezionò nella fisiologia sperimentale presso i più
noti Istituti di Lipsia e Strasburgo. Le linee di ricerca che Gaglio
svolse nell’Università di Roma risentono della sua formazione fisiologica sperimentale. Organizzò ricerche sulla fisiologia e farmacologia del pancreas, sugli effetti della cocaina sulle funzioni cerebellari e labirintiche, sulla tossicità del mercurio. Fu uno dei primi in
Europa a descrivere i danni prodotti dal mercurio sul sistema nervoso periferico. Per queste sue ricerche ricevette anche l’incarico di un
insegnamento complementare di Tossicologia presso la Facoltà di
Medicina e Chirurgia della Sapienza e la direzione della Scuola di
Farmacia5.
144
L’Insegnamento della Farmacologia
Nel 1925 Attilio Bonanni subentrò a Gaglio nella cattedra di
Farmacologia e nella direzione dell’Istituto di Farmacologia sperimentale. Nel 1929 l’edificio di via Agostino De Pretis, che alloggiava l’Istituto di Farmacologia sperimentale e gli altri Istituti Biologici
della Sapienza, venne demolito per permettere la costruzione del
Ministero dell’Interno e la relativa Piazza del Viminale. Gli Istituti
di Farmacologia, Chimica Fisiologica e Fisiologia vennero trasferiti in una nuova sede costruita nell’area compresa tra il Policlinico,
la cui costruzione era stata ultimata nel 1902, e il Verano. L’Istituto
di Farmacologia fu localizzato al primo piano di questo edificio e
Bonanni curò personalmente una razionale organizzazione dei laboratori, degli studi, della direzione, della biblioteca e dei servizi. Nei
tredici anni del suo insegnamento alla Sapienza, Bonanni si dedicò
allo studio dell’assorbimento del ferro e del suo trasporto nell’organismo, delle porfinurie tossiche prodotte da farmaci e degli effetti
degli amari sulla secrezione gastrica, impiegando le tecniche dei
riflessi condizionati descritte da Ivan Pavlov.
Nel 1938, alla morte di Attilio Bonanni, venne chiamato a ricoprire la cattedra di Farmacologia della Sapienza un suo allievo, Pietro
Di Mattei, che vi si trasferì dalla Università di Pavia dove già insegnava la stessa disciplina dal 1928.
Fig. 1 – Attilio Bonanni (1925) al
tavolo della biblioteca dell’Istituto di
Farmacologia sperimentale di Via
Agostino De Pretis insieme al giovane assistente Pietro Di Mattei (in
piedi nella foto).
Fig. 2 – Pietro Di Mattei (al centro con gli
occhiali) e alla sua sinistra Hans Selye al 4°
Congresso Internazionale di Terapia (Roma 2325 settembre 1954).
145
Pietro Melchiorri
Gli eventi bellici del secondo conflitto mondiale isolarono la
ricerca italiana dal contesto europeo producendo una oscura stagnazione culturale e scientifica. Durante il bombardamento di Roma del
19 luglio 1943 i locali dell’Istituto di Farmacologia furono gravemente colpiti e alcuni piani dell’edificio crollarono.
Fig. 3 – L’edificio della Sapienza che ospitava gli Istituti di Fisiologia, Chimica
Fisiologica e Farmacologia semidistrutto dal bombardamento di Roma del 19 luglio 1943.
Seguì una faticosa e lenta ricostruzione che ben presto si dimostrò
inadeguata di fronte alle crescenti esigenze sollevate dall’imponente sviluppo della Farmacologia nel rifiorire della ricerca scientifica
italiana. Fu merito indiscusso
di Pietro Di Mattei l’essersi
energicamente impegnato per
ottenere i fondi ministeriali
necessari per la costruzione di
un nuovo edificio interamente
dedicato alla Farmacologia.
Finalmente nel marzo del
1955 il Ministero dei Lavori
Pubblici bandiva un concorso
nazionale per la costruzione
della nuova sede dell’Istituto
di Farmacologia nella Città
Universitaria di Roma.
Fig. 4 – Il Ministro dei Lavori Pubblici On.le
Risultò vincitore il progetto
Togni pone la prima pietra del nuovo edificio
presentato dagli architetti
di Farmacologia Medica (7 giugno 1958)
146
L’Insegnamento della Farmacologia
Claudio Dall’Olio e Alfredo Lambertucci, il cui impianto planovolumetrico e alcune soluzioni architettoniche testimoniano un autonomo tema di ricerca nel panorama romano di quegli anni. La matrice italiana del progetto utilizza infatti alcuni precisi contributi della
ricerca architettonica internazionale.
Il progetto fu rielaborato tra il 1956 e il 1957, i lavori iniziarono
nel 1958 ma solo nel 1963 l’edificio fu definitivamente completato.
L’edificio fu eretto su un lotto di terreno ricavato tra l’Istituto di
Botanica, l’Istituto di Medicina legale e l’ex Ufficio postale. Su
viale Regina Margherita si affaccia la parte a 2 piani, destinata alle
aule e ai laboratori didattici, sulla quale è inserito un corpo a 4 piani
per gli uffici, gli studi e la biblioteca. Su questo si innesta un altro
edificio a 5 piani destinato ai laboratori di ricerca e, nell’ultimo
piano, agli stabulari e ai relativi servizi. In un volume di forma completamente diversa e opportunamente inserito nell’impianto generale, è ricavata l’aula magna capace di 350 posti.
Fig. 5 – Il nuovo edificio dell’Istituto di Farmacologia Medica i cui lavori terminarono nel
1963
Di Mattei volle che il nuovo Istituto fosse denominato Farmacologia Medica, a significare le finalità terapeutiche e diagnostiche
che per sua scelta ed intuizione dovevano costituire la seconda
anima della farmacologia del ‘900, accanto a quella fisiologica sperimentale. Questa idea guida di una Farmacologia inserita attivamente nell’ attività assistenziale e connessa pertanto per finalità e
147
Pietro Melchiorri
compiti all’attività clinica del
Policlinico Umberto I ben si sposava nella mente di Di Mattei all’interesse per le intossicazioni che egli
definiva “di massa”, vere malattie
sociali, e tra queste in particolare
quelle prodotte dall’abuso delle
sostanze stupefacenti e psicotrope.
Queste idee del Di Mattei si concretizzarono con l’istituzione del
Centro di Studio per i Farmaci
Stupefacenti e Psicoattivi, con sede
presso l’Istituto di Farmacologia
Medica. Il Centro nasce il 20 magFig. 6 – Vittorio Erspamer diresse
gio 1963, data della firma della conl’Istituto di Farmacologia Medica dal
venzione tra l’allora Ministero della
1969 al 1979.
Sanità e l’Università, avendo come
fine, non solo la prevenzione, la diagnosi e la cura delle tossicosi da
stupefacenti e da sostanze psicoattive, ma anche la promozione di
iniziative per la prevenzione degli abusi di psicofarmaci sia a livello della classe medica che del comune cittadino. Questo ampio ventaglio di compiti del Centro, così come il sostegno governativo alla
sua istituzione, derivava dalle esigenze poste dalla appena allora
promulgata normativa che classificava la tossicodipendenza come
“malattia sociale” (art. 4 del DPR
11/2/1961 n. 249). Di Mattei potè
operare nell’Istituto di Farmacologia Medica e nel Centro per le
Tossicodipendenze solo per cinque
anni poichè lasciò la direzione e
l’insegnamento nel 1968 per raggiunti limiti di età. A Pietro Di
Mattei subentrò nel 1969 il suo
allievo Vittorio Erspamer, chiamato alla cattedra romana da quella
di Parma dove già insegnava come
farmacologo.
Vittorio Erspamer, illustre pioniere della ricerca fisio-farmacologica
e scienziato di chiara fama interna148
Fig. 7 – Vittorio Erspamer e Pietro
Melchiorri nella biblioteca del nuovo
Istituto di Farmacologia Medica
L’Insegnamento della Farmacologia
zionale, si rese subito conto che la gestione di un Centro per le
Tossicodipendenze richiedeva la direzione di un farmacologo che si
dedicasse interamente ai problemi tossicologici e sociali connessi
con l’abuso dei farmaci stupefacenti e psicotropi. Pertanto propose
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia l’istituzione di una seconda cattedra di Farmacologia per la quale indicò come docente Eugenio
Paroli, allievo di Di Mattei e professore ordinario di Farmacologia
nell’Università di Camerino6.
Vittorio Erspamer diresse l’Istituto di Farmacologia Medica dal
1969 al 1979, ma continuò la sua attività di ricerca sino al 1999,
anno in cui morì all’età di novanta anni. In questo trentennio l’inesauribile desiderio di conoscere e ricercare di Vittorio Erspamer
coinvolse nell’avventurosa ricerca di nuove molecole peptidiche
naturali non solo i farmacologi del suo Istituto ma anche altri gruppi di ricerca dell’area biomedica e clinica dell’Università di Roma,
come il gruppo biochimico di Donatella Barra, quello istochimico
di Tindaro Renda, l’unità gastroenterologica di Aldo Torsoli, i
medici della Clinica Chirurgica diretta da Vincenzo Speranza e
molti giovani ricercatori che, nei suoi consigli e sotto la sua guida,
vissero l’eccitante entusiasmo della scoperta scientifica. Nei laboratori dell’istituto di Farmacologia Medica dell’Università di
Roma, Vittorio Erspamer ha isolato da anfibi e molluschi più di
cinquanta nuovi peptidi bioattivi. La ceruleina, le tachichinine, la
sauvagina, la bombesina, le dermorfine, le deltorfine sono solo
alcuni capostipiti di 10 nuove famiglie di peptidi naturali che il
gruppo di ricercatori guidato da Erspamer ha sequenziato, sintetizzato e caratterizzato nelle principali proprietà biologiche. Ma assai
più che in Italia, i peptidi scoperti da Erspamer sono stati oggetto
di numerosi studi nei laboratori di ricerca biomedica europei e nordamericani. Una breve consultazione della MEDLINE mostra, ad
esempio, che dal 1970 ad oggi la bombesina è stata oggetto di
3340 pubblicazioni, la sauvagina di 240, la dermorfina di 452, la
deltorfina di 354, la eledoisina di 810, la ceruleina di 1939, e le
tachichinine di 2500. Le pubblicazioni di Erspamer (452) hanno
ricevuto più di 900 citazioni internazionali e sono comparse quasi
tutte (più del 90%) su le più qualificate riviste internazionali.
Questi aridi numeri, con maggiore efficacia ed evidenza di tante
pompose parole di elogio, ci forniscono una obiettiva valutazione
della enorme diffusione internazionale delle scoperte di Erspamer.
Forse la migliore definizione dell’opera scientifica di Erspamer è
quella pronunciata da Viktor Mutt del Karolinska Institute di
149
Pietro Melchiorri
Stoccolma, un altro illustre pioniere dell’era peptidica: Vittorio
Erspamer has done in our time what two of his countrymen
Christofer Columbus and Amerigo Vespucci did some five hundred
years ago: discovered a continent to explore. In Vittorio Erspamer
viveva appunto lo spirito entusiasta ed avventuroso dell’esploratore. Non esitò a dirigere personalmente spedizioni di raccolta di anfibi e molluschi nelle
Ande del Cile, nel Sud Africa,
nella
barriera
corallina
Australiana. Come i grandi
navigatori
Colombo
e
Vespucci, Erspamer era guidato nelle sue “navigazioni” tra
migliaia di specie di anfibi dal
suo senso di orientamento
“biologico”. Dalle sue esperienze, scrupolosamente catalogate e conservate, aveva elaborato una teoria geo-filogenetica di correlazioni tra le
diverse specie geografiche di
Fig. 7 – Eugenio Paroli diresse l’Istituto di
anfibi, basata sul contenuto
Farmacologia Medica dal 1979 al 1994.
cutaneo di peptidi ed amine,
che, come stella polare, lo guidava nelle sue spedizioni di raccolta
verso le specie più ricche di nuove molecole biologiche7. Vittorio
Erspamer fu Socio di numerose accademie e società nazionali e
straniere tra le quali l’Accademia Nazionale dei Lincei, la British
Pharmacological Society, la National Academy of Science degli
Stati Uniti d’America. Sotto la direzione di Vittorio Erspamer
l’Istituto di Farmacologia Medica raggiunse una grande notorietà
internazionale ed ospitò molti ricercatori e scienziati europei e
nordamericani.
Nel 1979 subentrò a Vittorio Erspamer nella direzione
dell’Istituto di Farmacologia Medica Eugenio Paroli, già titolare
della II Cattedra di Farmacologia ed allievo di Di Mattei.
Fin dalla sua chiamata a Roma dalla cattedra di Farmacologia di
Camerino, Paroli si dedicò a sviluppare il tema delle tossicodipendenze da sostanze stupefacenti e da farmaci psicotropi nell’ambito
dell’apposito Centro fondato da Pietro Di Mattei. Il Centro è stato
un prezioso punto di osservazione della evoluzione del comporta150
L’Insegnamento della Farmacologia
mento d’abuso delle sostanze psicoattive in Italia. E’ stato infatti
testimone dell’improvvisa fiammata nel consumo di allucinogeni
alla fine degli anni sessanta, dell’altrettanto improvviso dilagare
dell’eroinismo nel decennio successivo, del diffondersi dell’AIDS
negli anni ottanta, della successiva fase montante nella diffusione
della cocaina. Un’attività osservazionale ed assistenziale culminata nella partecipazione ad un progetto di accoglimento e assistenza in Pronto Soccorso di soggetti con intossicazione acuta da
sostanze psicoattive, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Questa prolungata esperienza sul campo ha permesso di
fornire un contributo concreto agli orientamenti terapeutici e legislativi in materia di tossicodipendenze: ne è stato un esempio la
nomina di Paroli a Presidente della Commissione governativa per
la determinazione della dose media giornaliera.
L’attività scientifica connessa con quella assistenziale è stata
continua e fertile di risultati. Di particolare rilievo sono stati i
risultati degli studi epidemiologici, clinici e sperimentali sull’abuso di Khat (catha edulis forsk), condotti in collaborazione con
l’Università Nazionale Somala di Mogadiscio e finanziati dalle
Nazioni Unite. Il Centro ha anche ampiamente assolto al compito
di formazione, ad esso originariamente assegnato, contribuendo
infatti a formare personale medico competente in Medicina delle
Tossicodipendenze.
Nel 1994 Luciano Angelucci, anche lui allievo di Di Mattei,
subentrava a Eugenio Paroli nella direzione dell’Istituto di
Farmacologia Medica mentre Paolo Nencini, allievo di Paroli,
sostituiva Eugenio Paroli nel ruolo di primario del Servizio per la
prevenzione e cura delle tossicodipendenze e fondava la Scuola di
specializzazione in Tossicologia. Nel 1997 Pietro Melchiorri,
allievo di Di Mattei e di Erspamer, veniva eletto direttore
dell’Istituto di Farmacologia Medica. Prima del termine del suo
mandato di direttore, Melchiorri concordò con i docenti
dell’Istituto di Fisiologia Umana la creazione di un unico
Dipartimento di Fisiologia Umana e Farmacologia intestato alla
memoria di Vittorio Erspamer. Il Dipartimento di Fisiologia
Umana e Farmacologia “Vittorio Erspamer” ha iniziato la sua attività nel 2000. Nel 2004 anche i docenti del Dipartimento di
Farmacologia delle sostanze naturali e Fisiologia generale della
Facoltà di Farmacia sono confluiti nel Dipartimento di Fisiologia
Umana e Farmacologia, completando quindi l’opera di riunire la
Fisiologia e la Farmacologia della Sapienza sotto un’unica struttura dipartimentale.
151
Ermanno Bonucci
BIBLIOGRAFIA
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Ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985.
Archivio storico della Sezione di Storia della Medicina. Fondo Vittorio
Erspamer.
152
LA SCUOLA ROMANA D’IGIENE
GIANFRANCO TARSITANI – ROSELLA DEL VECCHIO –
CARMINE MELINO
153
La Scuola Romana d’Igiene
La fabbrica della “Sapienza”
Già dal 1500 insufficiente si dimostrava la classica e monumentale “fabbrica della Sapienza” nonostante il prezioso intervento di Papa
Leone X che, su disegno di Michelangelo, ne portò avanti non solo
la sistemazione edilizia, ma anche la riorganizzazione delle Facoltà,
delle finanze ed il riordino dell’amministrazione. Ciò per incrementare il primato delle scienze sperimentali tra cui, oltre gli studi matematici e fisici, gran forma andava acquistando la “Scuola medica di
Roma”. E numerosi erano gli scienziati che ne tennero alto il prestigio, come Bartolomeo Eustachio da San Severino (1510-1574) per
gli studi anatomici; Andrea Cesalpino (1519-1603) per i primi studi
sulla circolazione del sangue; Benedetto Castelli (1577-1644), il
maggiore discepolo di Galileo; Marcello Malpighi (1628-1694) con
i suoi studi anatomici sul cuore, sul rene, sul sangue; Giovanni Maria
Lancisi (1654-1720), il più famoso accademico dell’epoca, che
fondò una ricca Biblioteca all’Ospedale S. Spirito; Giorgio Baglivi
(1668-1707) chiamato “l’Ippocrate romano”.
Ma, pur con ampliamenti sparsi qua e là nella città e presso i
diversi ospedali romani, lo spazio era sempre tiranno tanto che
così si espresse il primo Rettore dell’Università di Roma nel 1871’72:
… per dar vita ai laboratori ed al moderno progresso scientifico fanno
ostacolo al presente l’angustia, la deficienza ed il difficile adattamento dei
locali di questa Università, la quale fu retta ai tempi quando gli
insegnamenti erano nella massima parte cattedratici e lo sperimentalismo
era all’infanzia.
Il ministro Ruggero Bonghi presentò subito in proposito un disegno di legge, altrettanto fece nel 1874 il ministro Baccelli per il
nuovo Policlinico. Nel 1874 fu insediata una commissione per lo studio degli edifici universitari con la scelta di altri locali demaniali, ex
conventi e monasteri sul Viminale1.
L’idea del grande Policlinico cominciò a concretizzarsi nel 1881 e
la prima pietra fu collocata il 19 gennaio 1888; con la legge 25 febbraio 1900 n. 56 si provvide al completamento ed all’ordinamento del
grande Policlinico Umberto I, vanto per la città e d’avanguardia a quei
tempi nel mondo. A tutto ciò seguì poi, su sollecitazione del Rettore
Tonelli, la legge 25 maggio 1907 per la costruzione dell’Universitas
studiorum nelle vicinanze del Policlinico, che pur stentatamente andò
avanti, per trovare completamento soltanto negli anni trenta in piena
era fascista2.
155
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
L’Istituto d’Igiene
Sin dalla mitologia ci viene tramandato che non può esistere la
medicina dissociata dall’Igiene: in pratica ebbero i natali insieme,
secondo il mito di Esculapio, dio della medicina e padre di Igea, dea
della salute, cui trasmise i suoi doni miracolosi anche della prevenzione. Seguì poi Ippocrate a dar maggior lustro all’Igiene, quale anticipatore dell’Igiene moderna. Disciplina, quindi, l’Igiene teorica e
pratica su un riscontro nettamente scientifico e pertanto sperimentale, che purtroppo nel corso dei secoli non aveva ancora trovato una
adeguata identità scientifica. Tuttavia, si andava sempre più sviluppando fino a sfociare, come una valanga, nelle prime rudimentali
ricerche di E. Jenner (1798), che diede il battesimo alla vaccinazione
antivaiolosa, e quindi di L. Pasteur nella sperimentazione ad alto contenuto scientifico e pratico. In tal modo l’Igiene divenne all’unisono
anche materia di governo, quale strumento di lotta e di difesa contro
le malattie, quale fondamento primario di tutela nei confronti dell’uomo e delle sue svariate attività. È del 1865 il classico trattato di
Claude Bernard Introduction a l’étude de la médicine expérimentale,
secondo il quale soltanto attraverso la medicina, cosiddetta “attiva”
sarebbe possibile comprendere il meccanismo d’azione delle malattie ed identificarne strategie mirate d’intervento; privata della sperimentazione la medicina ospedaliera sarebbe rimasta del tutto passiva
e pertanto insufficiente.
Anche il Virchow (1858) fondò tutta la sua scienza d’anatomopatologo sulle tecniche di laboratorio e quindi sull’indagine microscopica strettamente mirata allo studio delle cellule. Lo stesso fece in
Italia Corrado Tommasi-Crudeli, (Fig. 1) il primo igienista di Roma
che, dopo essere stato garibaldino in qualità di medico, andò a frequentare gli Istituti dei due grandi prima
citati. Facendo tesoro di tante conoscenze, gettò le basi del primo Istituto
d’Igiene dell’Università di Roma sulla
ricerca sperimentale, sulla valorizzazione del metodo d’indagine, tracciando gli
intimi legami tra fisiologia, patologia clinica, terapia e prevenzione, opponendosi
decisamente alle vecchie conoscenze
empiriche e filosofiche, al tempo ancora
tanto in auge.
Fig. 1 – Corrado Tommasi-Crudeli
156
La Scuola Romana d’Igiene
L’insegnamento dell’Igiene fu istituito nell’Università di Roma
con la Bolla di Leone XII Quod divina sapientia nel 1824, non come
materia unica, ma abbinato alla Materia medica (Farmacologia), e
tenuto da diversi docenti fino al 1870, quando fu affidato a Gaetano
Valeri che, nominato Rettore, si dimise dall’insegnamento nel 1882.
Gli successe Corrado Tommasi-Crudeli che, a sua volta, lasciò
l’Anatomia patologica e seguendo la sua dinamica attività, trasformò l’insegnamento teorico in pratico-sperimentale sull’esempio di
Pettenkofer in Germania (1881): la cattedra assunse la denominazione di “Igiene sperimentale” con annesso “Gabinetto d’Igiene” e rappresentò il primo Istituto d’Igiene in Italia3. Nel 1879 fu creata la
Società Italiana d’Igiene, di cui Alfonso Corradi fu il primo
Presidente, con appena 248 membri.
La predisposizione dei locali fu realizzata soltanto nell’anno 1884
e, nel 1885, fu inaugurato il primo corso ufficiale con le famose
lezioni sul Clima di Roma4. Poiché la sistemazione definitiva dei
locali continuava a subire slittamenti per motivi burocratici, nel
1886 Tommasi-Crudeli si dimise dall’insegnamento, che fu poi affidato al suo allievo Angelo Celli, dapprima come incarico e successivamente in qualità di professore ordinario.
Il Celli portò avanti l’idea del Tommasi-Crudeli con grande attività scientifica unita ad una non indifferente capacità organizzativa.
Nel 1887 egli volle abbinare all’insegnamento d’Igiene sperimentale per medici anche un insegnamento di Ingegneria sanitaria e laboratori d’indagini tecniche sanitarie, quale perfezionamento d’Igiene
pubblica per medici, ingegneri, veterinari e farmacisti (R.D. 27
novembre 1887, n° 5103). Ciò costituì il primo avvio dell’attuale
Istituto Superiore di Sanità, che ebbe i natali proprio presso l’Istituto
di Igiene dell’Università di Roma con il
nome di “Laboratori di ispezione igienica” (D.M. 31 luglio 1887).
In tal modo, al momento della promulgazione della prima legge sanitaria
nazionale del 22 dicembre 1888 (detta
Crispi-Pagliani), i laboratori erano già
affiancati alla Direzione Centrale di
Sanità, allora presso il Ministero degli
Interni, ed all’avanguardia rispetto al
resto dell’Europa.
Fig. 2 – Angelo Celli
157
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
E così fu anche per la creazione dell’Istituto Vaccinogeno
Nazionale con annessi laboratori di ricerca batteriologica e stabulari (R.D. 23 novembre 1888).
Nel 1889 furono istituiti i corsi di perfezionamento e complementari d’Igiene pratica.
Nello stesso anno il Celli fondò la rivista Annali dell’Istituto
d’Igiene Sperimentale dell’Università di Roma e più tardi propugnò
ed ottenne i due nuovi insegnamenti ufficiali di Batteriologia (1924)
e di Parassitologia (1925), dapprima come incarico e, successivamente, come ordinariato. Egli diresse l’Istituto d’Igiene sperimentale sino alla sua morte prematura nel 1914; la cattedra fu affidata per
concorso al nuovo titolare Giuseppe Sanarelli che ne divenne direttore. Egli fu anche Rettore nel biennio 1922-‘23. Il Sanarelli diresse
l’Istituto con altissimo prestigio ed instancabile attività scientifica e
riorganizzativa sino al suo collocamento a riposo nel 1935. E fu proprio in questo anno che l’Istituto si trasferì dalla sede originaria dell’ex convento di San Paolo Eremita al Viminale all’attuale sede appositamente progettata ed edificata dagli architetti Marcello Piacentini
ed Arnaldo Foschini, presso la “Città Universitaria”.
Fig. 3 – Giuseppe Sanarelli
Fig. 4 – Dante De Blasi
Va anche ricordato che nel 1934, sempre
presso il Ministero degli Interni, fu fondato
l’Istituto di Sanità Pubblica (R.D. 11 gennaio 1934, n° 27), che poi prenderà il nome di
Istituto Superiore di Sanità, con l’aiuto economico della Fondazione Rockfeller. Esso
comprendeva, oltre i laboratori già funzionanti presso l’Istituto di Igiene, quelli di
batteriologia, di chimica, di controllo vaccini, virus o sieri; di fisica, di alimenti, di
acqua, del suolo ed aria; dell’industria delle
sostanze radioattive.
Il primo direttore fu Dante De Blasi
(1935), che fu nominato in contemporanea
accademico d’Italia e direttore dell’Istituto
d’Igiene, cariche che ricoprì sino al 1943.
È da ricordare che nell’anno 1934 la
prima legge sanitaria nazionale del 1888, la
cosiddetta legge Crispi-Pagliani, fu sostituita dal Testo Unico delle Leggi Sanitarie: da
quel momento i Laboratori di Sanità Pub158
La Scuola Romana d’Igiene
blica furono separati dall’Università e
divennero parte integrante dell’Istituto di
Sanità Pubblica, mentre l’insegnamento e
la ricerca sperimentale rimasero di pertinenza universitaria.
Successivamente, durante l’ultima
guerra, l’Istituto d’Igiene venne colpito e
devastato dai bombardamenti. Seguì rapida la ricostruzione, pur con tanti tesori di
scienza inevitabilmente distrutti.
Nel 1943 Vittorio Puntoni passò da titolare della cattedra di Microbiologia a
quella di Igiene che ricoprirà sino al 1957.
La cattedra di Microbiologia fu affidata
Fig. 5 – Vittorio Puntoni
per trasferimento da Perugia ad Aldo
Cimmino, già da anni assistente presso l’Istituto di Igiene.
Densa fu l’attività di Puntoni per la
ripresa dell’Istituto che, nel giro di pochi
anni, ritornò ai suoi vecchi splendori sia
nel campo della ricerca che in quello della
didattica5.
Nel 1959 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Igiene Vittorio Del Vecchio, dopo
un breve interregno con incarico di
Giovanni Labranca, che sin dal 1939 era
assistente presso l’Istituto con
un qualificato
curriculum di
ricerca ed un
preminente inteFig. 6 – Vittorio Del Vecchio
resse
rivolto
allo sviluppo delle attività di prevenzione.
Purtroppo, ad ancor meno di sessant’anni d’età, la prematura morte di Del
Vecchio, nel 1972, lasciò l’Istituto in una
prostrazione profonda.
Gli successe, prima come incaricato e
poi come ordinario, Salvatore Ugo
D’Arca, assistente ed aiuto dell’Istituto
159
Fig. 7 – Salvatore Ugo D’Arca
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
che, superando non poche difficoltà, riuscì a riportare in auge tutti i
settori di ricerca e di studi, ampliando il corredo dei laboratori con
nuove apparecchiature e con lungimiranza scientifica di rispetto.
Nel 1988 gli è succeduto nella direzione dell’Istituto Gaetano
Maria Fara, formatosi nella Scuola d’Igiene milanese di Giovanardi,
chiamato all’unanimità dalla Facoltà di Medicina di Roma e successivamente riconfermato sino alla trasformazione dell’Istituto nel
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica (2001).
Il primo direttore del nascente Dipartimento è stato uno di noi
(Gianfranco Tarsitani), che nell’Istituto di Igiene di Roma ha svolto
sin dall’inizio la sua preparazione come allievo di Del Vecchio.
E allievi di Del Vecchio che danno lustro alla Scuola Romana
d’Igiene sono Adele Simonetti D’Arca, titolare della cattedra di
Igiene e Odontoiatria Preventiva e Sociale con Epidemiologia;
Valerio Leoni, titolare della cattedra di Igiene Ambientale; Augusto
Panà che ha trasferito il germe fecondo dell’Istituto di Igiene nella
prestigiosa sede dell’Università di Tor Vergata.
I locali
Soltanto nel 1882 con Corrado Tommasi-Crudeli, che per primo
diede inizio ed impulso alla sperimentazione, l’insegnamento
dell’Igiene cominciò a richiedere locali ed attrezzature di laboratorio, in quanto nel passato il tutto s’esauriva in una lezione accademica vuota e sterile, tanto che i corsi non avevano nessun seguito.
Fig. 8 – Regia Università
degli Studi di Roma –
Istituto d’Igiene
Sperimentale - Piazza del
Viminale (1885-1935)
La prima sede fu un vecchio convento di monache presso la chiesa di San Paolo Eremita al Viminale in Via Palermo n° 58.
La liberazione dei locali si riuscì a realizzare soltanto nel 1884 e
le condizioni di grave fatiscenza dell’edificio ne ritardarono ulte160
La Scuola Romana d’Igiene
riormente la consegna, con grave disappunto del Tommasi-Crudeli.
Finalmente nel 1885 egli riuscì ad inaugurare il primo corso ufficiale d’Igiene sperimentale con le cinque brillanti e documentate lezioni sul “Clima di Roma”, all’epoca argomento di rilevante attualità a
causa della presenza della malaria in Italia e, in particolare, nel
Lazio. Infatti, era in corso il dibattito sulla questione di Roma capitale con infinite diatribe tra sostenitori, oppositori ed anche speculatori finanziari.
Fig. 9 – Università
degli Studi di Roma
“La Sapienza” dal
1935 al 2001: Istituto
di Igiene “G.
Sanarelli”, Istituto di
Microbiologia, Istituto
di Parassitologia. Dal
2001 Dipartimento di
Scienze di Sanità
Pubblica “G.
Sanarelli”
Il Celli cominciò la sistemazione dell’Istituto adattando la struttura di tre piani nei diversi settori di ricerca, situando l’aula al posto
della vecchia chiesa, al piano terreno l’Istituto antirabbico con apposite convenzioni con il Comune di Roma (1889) ed i laboratori di
preparazione delle culture; al primo piano la direzione, la biblioteca
e la sala lettura; al secondo piano i laboratori di Chimica e degli aiuti
ed assistenti; al terzo piano i laboratori di Microbiologia e
Parassitologia; sul terrazzo, poi ricoperto, stabulari, sala esercitazioni ed una stazione meteorologica.
È da questa sede che prende la mossa la grande Scuola romana
d’Igiene che tanto lustro ha dato alla disciplina stessa ed
all’Università di Roma, pur nella ristrettezza di mezzi e di spazi ma
non di menti e di passioni ineguagliabili. E tanta fu la fama a quei
tempi di questo modesto Istituto che R. Koch, visitandolo nel 1912,
ebbe ad esprimere parole di altissima lode per i “lavori fondamentali” scaturiti dai suoi laboratori, lavori noti ed apprezzati da tutto il
mondo scientifico del settore. E fu per giunta anche il Koch ad esprimere la sua grande meraviglia per l’esiguità delle risorse di strumenti ed apparecchiature presenti.
161
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
La necessità di altri spazi divenne ancora più pressante per la trasformazione in cattedra ufficiale sia della Microbiologia che della
Parassitologia quali discipline autonome. Riorganizzazione quindi
impellente, ma difficile nella sua realizzazione, che ebbe luogo soltanto nel 1935, quando fu assegnato un intero edificio all’Igiene
all’ingresso della Città Universitaria. Si componeva questo di quattro settori: quello didattico al piano rialzato con due aule, di cui una
centrale, e due grandi laboratori per esercitazioni; al primo piano
quello destinato alla biblioteca, ricca sin d’allora di numerose
migliaia di libri e di riviste specializzate sia italiane che estere;
sullo stesso piano i laboratori di batteriologia, microbiologia, sierologia, istologia ed i settori di fisica e chimica; al piano attico le stalline per animali; ed infine il servizio antirabbico per il Comune di
Roma nel seminterrato. In seguito, con le aule in comune, al primo
piano si estenderà l’Igiene, al secondo la Microbiologia ed al terzo
la Parassitologia: struttura tuttora in atto anche se oggi, a seguito
della riunificazione delle tre discipline nel Dipartimento di Scienze
di Sanità Pubblica, si ripropongono
problematiche di riorganizzazione
degli spazi in funzione della didattica e della ricerca, nonché di adeguamento dei medesimi alle norme
di sicurezza vigenti6.
La ricerca
Non è facile voler tracciare ora,
sia pure in sintesi, tutto il lavoro
scientifico svolto dalla Scuola
Romana di Igiene nel suo complesso, ovvero per singolo Autore. Ciò
non solo per il lungo spazio di
tempo intercorso dall’inizio ufficia- Fig. 10 – Annali dell’Istituto di Igiene
le dell’insegnamento di Igiene, che Sperimentale dell’Università di Roma
va almeno dal 1885 ad oggi, ma
anche per la molteplicità dei problemi affrontati, di diatribe intellettuali svolte, delle urgenze da affrontare, degli argomenti nuovi da
trattare, per non parlare poi dei congressi nazionali e regionali,
delle lezioni commemorative, delle indagini a campione e così via.
Basta in proposito sfogliare la voluminosa raccolta della rivista
dell’Istituto d’Igiene, fondata nel 1889 da Angelo Celli Annali
dell’Istituto di Igiene Sperimentale, che da allora non ha mai cessa162
La Scuola Romana d’Igiene
to la pubblicazione anche se in
veste e intestazione diversa.
Per non parlare poi degli Atti
della Società per gli Studi
sulla Malaria, anch’essa fondata da Celli nel 1898, nonché
degli Atti della Sezione
Zooprofilattica dell’Istituto
Zootecnico Laziale ed infine
degli Atti della Società di
Igiene e Medicina Coloniale,
fondata nel 1908. E poi dei
Fig. 11 – Panoramica del “Laboratorio
tanti testi pubblicati e come
d’Epoca come Museo”
dispense per studenti e tecnici, e come trattati, tra cui noto ancora è
il Manuale dell’Igienista di A. Celli, in collaborazione con tutta la
scuola, la cui prima edizione risale al 1889, cui seguirono numerosi
aggiornamenti.
Di particolare rilievo anche i legami scientifici della Scuola
Romana d’Igiene con gli altri Istituti d’Igiene europei e cliniche universitarie, in quei tempi in pieno sviluppo: a Parigi con l’Institut
Pasteur; a Berlino con il Koch Institute; a Londra con la London
School of Tropical Medicine e con il British Institute of Preventive
Medicine; a Vienna con l’Istituto Sieroterapico; a Pietroburgo con
l’Istituto di Medicina Sperimentale.
Il Celli creò anche un Museo,
dislocato in tre ambienti a pian terreno dell’Istituto. Qui vi raccolse
oggetti, apparecchiature e mappe
epidemiologiche, disegni di impianti di smaltimento rifiuti, di planimetrie di ospedali e di quartieri della
città di Roma, studi sull’andamento
del colera, della pellagra e della
malaria nella città e nelle diverse
regioni d’Italia. Il tutto fu trasferito
nella nuova sede, che però venne
distrutta durante il bombardamento
del 1943. Ed è appunto su tale concetto ispiratore che è stato ricreato il
“Laboratorio d’epoca come Museo”
Fig. 12 – Corrado Tommasi- Crudeli
nel 1996, al primo piano dell’Istituto
(1834-1900)
163
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
con l’intento di trasmettere la memoria del passato alle nuove generazioni7.
Una sintesi verrà comunque qui riportata per Autore e limitata
ai soli direttori dell’Istituto e, per ognuno, almeno a qualificarne e
ricordarne la fama che a suo tempo li onorò Tutti.
Corrado Tommasi-Crudeli già rinomato anatomo-patologo, fu
il primo a dare all’insegnamento d’Igiene un indirizzo pratico e
sperimentale ed a sollecitare l’istituzione di laboratori scientifici e
di ricerca, che purtroppo non poté realizzare in pratica.
Importanti sono i suoi studi sulla malaria, specialmente in relazione con la distribuzione delle acque del sottosuolo, tanto utili poi
nella bonifica pontina.
Fu propugnatore, come deputato prima e come senatore a vita poi,
dell’igiene sociale; curò il risanamento della città di Roma, ne studiò il clima, s’occupò del prosciugamento dell’agro romano, del
controllo dell’approvvigionamento idrico e dello smaltimento dei
reflui, auspicò l’emanazione di regolamenti edilizi mirati per ogni
città. Di particolare rilievo i suoi studi sul colera e sulle modalità di
diffusione, sul contagio e quindi sull’isolamento e quarantena, sulla
lotta alla miseria e sul modo di vivere nei bassi borghi della città,
proponendo soluzioni d’estrema importanza igienica, pubblica e
sociale. Fu uno strenuo oppositore
della tratta delle bianche; promosse provvedimenti a favore dell’infanzia abbandonata; difese ad
oltranza l’insegnamento d’Igiene
universitario e per post-laureati
(ufficiali sanitari e medici provinciali). In complesso un battagliero, un vero garibaldino anche in
campo scientifico8.
Angelo Celli realizzò l’indirizzo pratico-scientifico dell’insegnamento d’Igiene e di tutto si
occupò con competenza e passione: di batteriologia con D. De
Blasi; di parassitologia con G.
Alessandrini; di fisica-chimica
con G. Sampietro; di chimica con
164
Fig.13 – Angelo Celli (1857-1914)
La Scuola Romana d’Igiene
A. Scala; di protozoologia con M. Levi della Vida (tutti ordinari di
cattedra a quei tempi). Grande fu il suo interesse per la Malaria e
soprattutto per la sua bonifica territoriale ed umana a mezzo della
profilassi con il chinino dello Stato, che difese e propagandò a spada
tratta (legge 19 marzo 1904), contestando anche aspramente la
“mistura Baccelli” propagandata dalla ditta Bisleri.
Isolò il meningococco; affermò la patogenicità del b. coli dissentericum, eseguì ricerche sulla filtrabilità del virus della rabbia, studiò la malaria estivo-autunnale e l’anofelismo senza malaria. Si interessò anche di diversi problemi igienico-sociali: la pellagra, la risicoltura, il lavoro delle donne e dei fanciulli, la vigilanza zootecnica.
Fondamentali i suoi studi sperimentali sulla trasmissione del plasmodio della malaria e sulla bonifica dell’agro romano e delle paludi pontine. E fu proprio per opera di Celli e di tutta la Scuola romana la grande stagione della malariologia italiana, grazie soprattutto
ai lavori di Giovanni Battista Grassi, di Amico Bignami, di
Giuseppe Bastianelli, oltre che dello stesso Celli. Poliedrico, quindi,
nei suoi interessi scientifici, umile e grande nel contempo.
Giuseppe Sanarelli già di chiara fama quando nel 1915 venne da
Bologna a ricoprire la cattedra d’Igiene del Celli, prematuramente
scomparso nel 1914.
In precedenza era
stato allievo del
Golgi, di De Giaxa e
di Pettenkofer. Si
dimise da deputato e
tutto se stesso, con
la sua prestigiosa
scuola, dedicò alla
ricerca scientifica.
Grandi furono i successi e gli onori a
vantaggio
della
disciplina
e
Fig.14 – Giuseppe Sanarelli (1864-1940)
dell’Università di
Roma, di cui fu anche Rettore nel biennio 1922-23.
Numerosi i campi di ricerca: dalle malattie infettive (colera, tifo,
carbonchio, tubercolosi), agli studi epidemiologici e sociali.
Contribuì alla promulgazione delle leggi sull’approvvigionamento
165
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
idrico dei Comuni, sulla bonifica per la malaria, sull’igiene del lavoro (disciplina del lavoro notturno, lavoro delle donne e fanciulli).
Fondamentali i suoi studi sugli ultravirus, sull’immunità naturale ed
acquisita, sulla scoperta delle opsonine, del virus mixomatoso, sulla
febbre gialla, sull’eredo-immunità tubercolare in contrasto con
l’eredo-predisposizione; classico “il fenomeno di Sanarelli” sull’allergia emorragica nell’ampio studio delle enteropatie microbiche.
Organizzò ad alti livelli, pur con magri mezzi, l’Istituto d’Igiene:
sopraelevò il terrazzo ed installò una stazione meteorologica; incrementò il centro antirabbico anche con la fabbricazione in sede del
vaccino e con la distribuzione a molti dispensari periferici. Florida
la sua scuola e molti i suoi allievi in cattedra. In complesso un gran
Maestro, uno di quei rari uomini che cercò di plasmare la mente
degli studenti e degli allievi verso alte concezioni e verso superiori
ideali. Nel 1935 per limiti d’età venne fuori dall’insegnamento, proprio quando l’Istituto cambiò sede. A succedergli fu Dante De Blasi
da Napoli, ma sempre originario della scuola romana.
Dante De Blasi allievo del Celli, fu a Roma il cattedratico
d’Igiene fino al 1943, e fu anche Presidente del Consiglio Superiore
di
Sanità,
Direttore
dell’Istituto di Sanità Pubblica
che poi divenne Superiore di
Sanità; fu accademico d’Italia
e membro dell’Accademia
Pontificia delle Scienze.
E tanti anche i suoi interessi
scientifici sulla batteriologia e
sierologia (noto il fenomeno
Fig.15 – Dante De Blasi (1837-1956)
paradosso nella sierodiagnosi
del tifo, che da lui prende il nome) e molto apprezzati furono i suoi
studi sui sieri, sul loro potere batteriotropico e battericida, sul passaggio degli anticorpi nel sangue, sulla deviazione del complemento. Importanti anche i suoi studi epidemiologici, sull’igiene sessuale, sulla bonifica contro la malaria, l’educazione sanitaria, il risanamento urbano. L’igiene era per Lui materia viva da sperimentare sul
campo, oltre che nel chiuso dei laboratori: e fu in questo un vero
Maestro.
Vittorio Puntoni (allievo di Sanarelli, dal quale ereditò la severità del metodo scientifico e l’austerità del laboratorio, successe a
166
La Scuola Romana d’Igiene
De Blasi nel travagliato anno
1943, quando l’Istituto fu centrato
il 19 luglio da una bomba che polverizzò l’aula e dintorni. Egli era
ordinario di Microbiologia già dal
1925. Famosi i suoi due classici
trattati di Microbiologia e di
Igiene. Studioso anch’egli di chiara fama: classici i suoi studi sull’anafilassi echinococcica, sulle
mutazioni del vibrione colerico,
sui vibrioni inagglutinabili, sul
virus rabbico e relativi vaccini
fenicati, sulla concezione della clamidoreazione. Di pregevole valore
la sua monografia sulla rabbia.
Interessante anche la sua attenzioFig.16 – Vittorio Puntoni (1887-1970)
ne sulle cause ambientali ed atmosferiche nei riguardi delle infezioni intestinali.
Importanti i lavori della sua scuola sulle acque, gli alimenti, gli
antibiotici. Vari i suoi allievi in cattedra: Ambrosioni, Tizzano, Rita,
Biocca, Del Vecchio. Fu per anni Preside di Facoltà. Va a lui il merito, infine, del potenziamento dal Centro per le Microcitemie e l’anemia mediterranea, il primo del
genere in Italia, con Ezio
Silvestroni e Ida Bianco. Grande
organizzatore, profondo studioso,
noto anche all’estero quale esperto dell’OMS, raggiunse il fuori
ruolo nel 1957.
Vittorio Del Vecchio diresse
l’Istituto di Igiene dal 1959 quale
successore del suo Maestro
Puntoni. Già da anni incaricato di
igiene edilizia, continuò l’opera
con uguale prestigio e con interessi mirati al campo della microbiologia ed immunologia. Adottò un
suo metodo originale di chemioprofilassi e chemioterapia della brucel167
Fig.17 – Vittorio Del Vecchio
(1914-1972)
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
losi e della neurobrucellosi con derivati naftochinonici. Si occupò
della malaria, e dell’anofelismo senza malaria, di svariati problemi
di Igiene del lavoro (idaditosi, ossido di carbonio, tricloroetilene); di
medicina nucleare, d’inquinamento atmosferico e del fall-out radioattivo; nonché di medicina preventiva creando un qualificato centro
per gli studenti universitari. Potenziò la già preziosa biblioteca, ora
ristrutturata ed a suo nome, su criteri moderni e d’avanguardia,
arricchendola di centinaia di volumi di grande rilevanza scientifica.
Con lungimiranza fondò la Scuola Speciale per Dirigenti
dell’Assistenza Infermieristica, che riscosse lusinghieri apprezzamenti anche da parte dell’OMS.
Dal 1964 al 1972, in varie tornate, fu presidente di Sezione al
Consiglio Superiore di Sanità ed in questa sede ebbe un ruolo fondamentale nella istituzione della obbligatorietà della vaccinazione
antipolio e nell’estensione a tutta la popolazione della vaccinazione
antitetanica. È stato per diversi anni pro-rettore all’Università “La
Sapienza” di Roma, presidente della Società Italiana per la Lotta
contro le Microcitemie e presidente del Consiglio dei Clinici.
E tanti campi di studio, purtroppo, lasciò in sospeso per la sua prematura morte a 58 anni, nel 1972, lasciando orfana la sua scuola ed
in uno stato di grande frustrazione, di non facile superamento anche
nel tempo.
Salvatore Ugo D’arca, come incaricato prima ed ordinario dal
1976, subentrò al suo maestro,
superando non lievi difficoltà per le
risorse e gradualmente riportò
l’Istituto a livelli scientifici degni
d’ogni attenzione con una lungimiranza d’eccezione.
E tutto riorganizzò: ampliò il corredo dei vari laboratori, introducendo nuove e sofisticate apparecchiature; potenziò i corsi di perfezionamento e di specializzazione; particolare attenzione pose alla preparazione dei medici di Sanità Pubblica,
considerando estremamente utile e
vantaggioso il rapporto di continua
collaborazione con gli igienisti del
Fig.18 – Salvatore Ugo D’Arca
territorio.
(1916-1992)
168
La Scuola Romana d’Igiene
Studioso di vasta preparazione ed igienista appassionato, orientò
il suo interesse scientifico verso numerosi settori dell’igiene, dimostrando in ciascuno d’essi chiarezza di vedute, facili capacità d’analisi e sintesi (ambienti, lavoro, scuola, acque potabili, superficiali e
costiere, alimenti, radioattività, igiene e tecnica ospedaliera, ecc).
Nel settore dell’Igiene ambientale va ricordata l’importante indagine condotta sulle acque del Tevere e sulle marrane di Roma, in occasione dell’episodio del colera del 1973 (che interessò la Sardegna, la
Puglia e la Campania), con evidenziamento dei vibrioni responsabili.
Di particolare menzione è il suo volume di Igiene Ambientale,
valido testo per studenti di medicina e di ingegneria, uno dei primi
del genere e soprattutto d’estrema chiarezza ed utilità pratica. Per
limiti d’età lasciò la direzione dell’Istituto nel 1988.
Gaetano Maria Fara, proveniente da Milano, ove era già ordinario d’Igiene e direttore dell’Istituto nel 1974, subentrò a D’Arca
nel 1988. Igienista di larghe vedute ed aggiornato soprattutto, a
seguito di lunghi soggiorni di studio e di lavoro all’estero, in particolare presso la School of Public Health del Michigan (USA), ove
approfondì gli studi di biostatistica,
di epidemiologia, e le tecniche per la
determinazione dell’effetto attivante
dei farmaci. Importanti i suoi interessi sull’epidemiologia delle malattie infettive e non infettive, delle
infezioni ospedaliere, sulla valutazione dell’efficacia dei vaccini, sull’organizzazione sanitaria, sui problemi di formazione in Sanità
Pubblica ai vari livelli operativi.
Numerosi i suoi incarichi nell’ambito universitario, presidente della
Società Italiana d’Igiene, Medicina
Preventiva e di Comunità, autore del
manuale di Igiene e Medicina
Fig.19 – Annali di Igiene, Medicina
Preventiva e di altri volumi scientifiPreventiva e di Comunità
ci specifici. Dinamico direttore della
rivista Annali di Igiene, continuazione della rivista fondata dal Celli
nel 1889. Pur essendosi formato alla Scuola d’Igiene milanese di
Giovanardi, si dedicò totalmente alla Scuola Romana a tal punto da
affermare: Ho potuto sviluppare un’affezione a questo istituto ed
169
Gianfranco Tarsitani – Rosella Del Vecchio – Carmine Melino
alla sua storia da sentirlo, infine, mio: come spesso accadeva duemila anni fa’ a coloro che da ogni parte dell’impero convenivano a
Roma, e diventavano romani. Uomo di alta cultura e di eccezionale
preparazione, brillante nella penna. Sempre aperto con tutti, allegro,
gioviale, amico soprattutto.
È stato il prof. Fara l’ultimo direttore dell’Istituto di Igiene.
Nel 2001, in base ai nuovi raggruppamenti dipartimentali di discipline affini, il vecchio Istituto di Igiene si è trasformato in Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica “G. Sanarelli” al quale afferiscono gli ex Istituti di Microbiologia e Parassitologia. Un ritorno
quasi al passato quando l’Igiene raggruppava in sé tali insegnamenti, successivamente distaccatisi divenendo Istituti autonomi
(Microbiologia nel 1924 e Parassitologia nel 1925), e ne sviluppava
man mano l’evoluzione quale disciplina madre. Le esigenze che
hanno motivato tale riunificazione rispondono ad istanze di integrazione delle conoscenze e delle pratiche sanitarie nell’ottica di una
comunione d’intenti rivolta alla salvaguardia della salute umana ed
alla tutela dell’ambiente.
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8. MELINO C., DEL VECCHIO R., Corrado Tommasi Crudeli igienista. Ann.
Ig. 2000; 12:441-56.
170
PARTE III
Le Cliniche
LE SCUOLE DI MEDICINA INTERNA
NEL POLICLINICO UMBERTO I
DOMENICO ANDREANI
173
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
Gli istituti di MEDICINA INTERNA
Dall’inaugurazione del Policlinico Umberto I° gli Istituti di
Clinica Medica, di Patologia Medica e di Malattie Infettive, alla pari
degli altri Istituti inclusi nell’Ospedale, appartenenti alla Università
di Roma “Studium Urbis”, poi denominata col titolo originale “La
Sapienza”, hanno subito profonde modificazioni di struttura e di
funzione, nonché cambiamenti di denominazione a seguito delle
vicende in cui è stata coinvolta la Facoltà di Medicina in tutta Italia,
come pure a seguito dei necessari adattamenti alla crescente popolazione studentesca ed all’ampliamento degli orizzonti culturali e
scientifici. Tra l’altro, nel contesto di questi cambiamenti si è inserita la nascita di molte specializzazioni nell’ambito della medicina
interna con il conseguente frazionamento degli Istituti. Le modifiche
che sono avvenute negli ultimi anni si sono succedute con grande
rapidità, tanto che non sempre si è riusciti a seguirle con precisione;
anche le date degli spostamenti dei docenti talora sono apparse
incerte; cosicché le indicazioni riferite in questo capitolo potranno
non essere esaurienti. Del resto molti dei professori che avrebbero
potuto fornire notizie precise o sono scomparsi, o sono risultati indisponibili, ed anche i contributi bibliografici dei diversi docenti sono
risultati spesso incompleti.
E’ giusto precisare che per mantenersi in termini ragionevoli di
spazio e di contenuti mi sono limitato a citare i professori di prima
fascia, e cioè gli ordinari. Peraltro i professori di seconda fascia, o
associati, ed i ricercatori, pur essendo molto qualificati per le doti di
insegnamento e di ricerca, sono apparsi in numero esorbitante e
indicati con titolarità complesse, tali da rendere difficile la loro collocazione e caratterizzazione.
Dando uno sguardo complessivo alla storia del Policlinico ed
alle principali aree culturali che lo hanno qualificato, si può affermare che in linea di massima le grandi scuole che si sono succedute negli anni in medicina interna, e che hanno dato luogo a ricerche
di eccellenza, riscuotendo in tal modo stima e riconoscimenti in
tutta Italia ed all’estero, sono state la scuola di Cesare Frugoni,
quella di Luigi Condorelli, quella di Cataldo Cassano, e quella di
Giuseppe Giunchi. La scuola di Frugoni si è distinta principalmente per l’impronta immunologica ed allergologica; quella di
Condorelli per la specificità cardiovascolare, quella di Cassano per
il settore endocrino-metabolico, e quella di Giunchi per il campo
infettivologico. Vi sono stati anche ragguardevoli settori al di fuori
175
Domenico Andreani
di quelli citati, ad esempio quello ematologico; ma non vi è dubbio
che le linee ricordate siano state quelle preminenti.
L’Istituto di CLINICA MEDICA
La Clinica Medica della Università di Roma è stato, ed è, uno
degli edifici più imponenti del Policlinico Umberto I. Dopo l’inaugurazione dal 1906 ne fu primo Direttore proprio il prof. Guido
Baccelli, ideatore ed artefice dell’Ospedale. Il prof. Baccelli fu personaggio di grande rilievo scientifico e politico, più volte chiamato
a dirigere importanti Ministeri nel governo dell’epoca, e perciò
favorito nell’ideare e costruire l’Ospedale, che doveva essere, ed in
effetti fu, un prototipo di quanto di più razionale e moderno fosse
possibile1. Dal punto di vista medico, come era consuetudine in quel
tempo, egli si occupò di vari aspetti delle malattie; in particolare,
egli merita di essere ricordato per l’impiego della terapia per via
venosa della lue e della malaria, che allora insieme alla tubercolosi
dominavano la patologia corrente. Egli figura anche come fondatore dell’Accademia Medica e della Società Italiana di Medicina
Interna. Per i suoi eccezionali meriti fu nominato dottore honoris
causa nelle Università di Mosca e di Cristiania (Stoccolma).
A Guido Baccelli nella Direzione della Clinica e nell’insegna-
Fig. 1 – Il Prof. C. FRUGONI a lezione di Clinica Medica. Dipinto ad olio.
Istituto di Terapia Medica e Medicina Termale, Policlinico Umberto I
176
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
mento seguì nel 1917 il suo allievo Vittorio Ascoli, che istituì la
Scuola superiore di Malariologia, ben presto divenuta in Europa un
centro di riferimento per lo studio, la cura e la profilassi della malaria. Anche Ascoli ebbe numerosi riconoscimenti; tra l’altro fu nominato dottore honoris causa nell’Università di Edimburgo e fu eletto
Presidente della Commissione internazionale per il paludismo2.
Alla morte di Ascoli nel 1935 fu chiamato a ricoprire la Cattedra
di Clinica Medica il prof. Cesare Frugoni, già molto famoso per le
qualità di clinico, che divenne medico personale di molti illustri personaggi italiani e stranieri. Fu medico personale anche del Re Fuad
d’Egitto. I suoi contributi in campo scientifico spaziarono dalla “miastenia gravis” alle diatesi emorragiche, alle cardiopatie, e soprattutto
all’asma bronchiale ed alle malattie allergiche. Merito di Frugoni è
stato di aver creato una scuola di clinici di rilievo, che hanno apportato numerosi contributi in vari settori della medicina interna. Molti
degli allievi sono andati ad occupare cattedre in Università italiane e
straniere. Frugoni è stato Presidente dell’Accademia Medica e della
Società Italiana di Medicina Interna3.
Nel 1951 a Cesare Frugoni è subentrato Giovanni Di Guglielmo,
Clinico Medico di Napoli e principale epigone della Scuola ematologica di Ferrata e Micheli. A merito scientifico di Di Guglielmo vanno
annoverati l’inquadramento delle malattie mieloproliferative ed il
riconoscimento della patologia eritremica. Un quadro morboso di
questa patologia è riconosciuto sul piano internazionale come “malat-
Fig. 2 – Il Prof. L. CONDORELLI con i suoi allievi di fronte alla Clinica Medica.
177
Domenico Andreani
tia di Di Guglielmo”. E’ stato proposto più volte per il premio Nobel.
Dopo Di Guglielmo nel 1956 è stato chiamato a dirigere la
Cattedra di Clinica Medica Luigi Condorelli, già Patologo Medico
nella Università romana. Condorelli si era perfezionato a Vienna
negli Istituti di Sternberg e Wenckebach ed era stato al seguito a
Roma di Zeri ed a Napoli di Zagari. La sua attività scientifica si è
concentrata con speciale predilezione sulla fisiopatologia e clinica
della malattie del cuore e della circolazione.
Particolarmente interessanti sono stati gli studi sul circolo coronarico e l’individuazione delle zone miocardiche elettrocardiograficamente mute4. Di suggestivo valore sono state la messa a punto della
tecnica del pneumomediastino ed il riconoscimento della sindrome
clinica dell’“accretio” pericardica5. Del pari importanti sono stati gli
studi sulla regolazione pressoria del circolo polmonare e sull’azione
farmacologica dell’acido nicotinico. Condorelli è stato fra i primi in
Italia a praticare il cateterismo cardiaco, l’agobiopsia epatica e quella polmonare. Nella ristrutturazione della Clinica Medica da
Condorelli sono state costruite una bellissima aula e una moderna
biblioteca ben attrezzata ed efficiente. Egli è stato Presidente della
Accademia Medica Romana, della Società italiana di Cardiologia
(per 25 anni), della Società Europea di Cardiologia e dell’International College of Angiology. E’ stato insignito delle medaglie
d’oro della Pubblica Istruzione e della Sanità. Condorelli ha lasciato un nutrito gruppo di allievi che hanno occupato cattedre di prestigio a Roma ed in altre sedi universitarie.
Nel 1969 alla direzione della Clinica Medica giungeva, proveniente da Palermo, Aldo Turchetti, allievo di Condorelli, che ha
proseguito l’indirizzo cardiovascolare del maestro, allargando i suoi
interessi alla patologia renale, alle porfirie, alla epatite virale ed alle
sue complicanze. Col trasferimento a Roma egli aveva con sé
Francesco Balsano, Antonino Musca e Francesco Aguglia.
Agli inizi degli anni 80 il notevole aumento della popolazione studentesca, la necessità di adeguare l’insegnamento ai modelli della
Comunità europea, gli Istituti monocattedra si trasformarono in policattedra: nell’anno accademico 83-84 l’Istituto di Clinica Medica,
che era divenuto Clinica Medica I, ospitava due cattedre di
Patologia Medica e due di Semeiotica Medica. A queste si aggiungevano molti insegnamenti specialistici: Allergologia,
Fisiopatologia digestiva, Fisiopatologia del ricambio, Fisiopatologia
respiratoria, Nefrologia e Medicina nucleare.
Nel 1980 al prof. Turchetti, venuto a mancare prematuramente,
succedeva nell’insegnamento della Clinica Medica il prof. Umberto
178
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
Serafini, già titolare di una Patologia Medica, proveniente dalla
scuola di Frugoni, ben noto al mondo accademico per le sue ricerche in campo immunologico ed allergologico, con particolare riferimento all’autoimmunità organospecifica, all’asma bronchiale ed
alle allergie da farmaci6. Serafini aveva con sé Guido Valesini e
Cesare Masala. Egli è stato insignito della laurea ad honorem
dell’Università di Reims, è stato Presidente della Società di
Medicina Interna, della Società Italiana di Allergologia e
dell’International Association of Allergology. Successivamente,
nella direzione dell’Istituto, che veniva così disgiunta dall’insegnamento, subentrava il prof. Francesco Balsano; ma, nell’anno accademico 82-83, egli riuniva in sé l’insegnamento della clinica medica e la direzione dell’omonimo Istituto. Balsano era già noto per le
ricerche compiute in vari campi della medicina interna, ma si era
distinto per gli studi sulla fisiopatologia delle epatiti7 e sulla fisiopatologia del sistema vagale. Egli ha avuto il merito di ristrutturare
l’Istituto di Clinica Medica, dandogli un aspetto moderno ed elegante, e lo ha dotato di nuovi e preziosi apparecchi, quali la RM, ancora mancanti nel Policlinico. Di grande impegno da parte di Balsano
è stata la promozione della nuova struttura edilizia adibita a laboratori di ricerca, inaugurata nel 1991, ed oggi interdipartimentale,
chiamata “torre di ricerca”, dove si è stabilita una schiera di valenti
ricercatori. Contemporaneamente, il prof. Vincenzo Marigliano,
titolare di Gerontologia e Geriatria dal 1987, già Direttore della I
Clinica Medica per alcuni anni, diveniva Direttore del Dipartimento
di Scienza dell’invecchiamento,
dando grande impulso alla Gerontologia8.
Nel corso di quegli anni sono
divenuti titolari di insegnamenti di
Clinica Medica, Patologia Medica e
Semeiotica Medica, e successivamente di Medicina Interna, i proff.
Andrea Sciacca, Mario Sangiorgi,
Vincenzo Corsi, Corrado Cordova,
Giuseppe
Guarini,
Marcello
Martelli, Francesco Aguglia ed
Antonino Musca, tutti provenienti
dalla Scuola di Condorelli e dal
gruppo di Turchetti.
Questi docenti hanno allargato i Fig. 3 – Cupola e Androne della
campi d’interesse del loro maestro Clinica Medica I
179
Domenico Andreani
Condorelli ed hanno spaziato dalle ricerche sulle alterazioni istologiche del fegato, alle alterazione embriologiche del cuore, alla elaborazione di modelli matematici applicati alla patologia circolatoria,
alle porfirinopatie, alla nefropatie; però sostanzialmente si sono
mantenuti nel filone della cardiologia. Mario Sangiorgi, che ha
ricoperto la carica di Presidente della Società Europea di Medicina
Interna (SEMI) e della Società Internazionale di Medicina Interna
(ISIM), si è distinto in modo particolare contribuendo considerevolmente alla validazione internazionale della scuola condorelliana.
Istituto di Terapia Medica e Idrologia
Bisogna aggiungere che in una cospicua ala nell’edificio della originale Clinica Medica, all’epoca di Frugoni, si è differenziato, sul
piano accademico e strutturale, l’Istituto di Terapia Medica e di
Idrologia. Originariamente l’Istituto di Terapia Medica e Idrologia era
unico; ne era stato Direttore per lunghi anni dal 1942 il prof. Mariano
Messini, allievo del Frugoni e già cattedratico di Idrologia Medica dal
1938. Il prof. Messini è stato molto attivo nelle ricerche di idrologia e
medicina termale, di regimi dietetici e di fisiopatologia dell’apparato
digerente; ha pubblicato pregevoli Trattati di Terapia Medica e di
Idroclimatologia e fondato la Rivista di Clinica Terapeutica, di cui è
stato Direttore fino al suo pensionamento. Nel 1980 l’Istituto si è diviso; la direzione della Terapia Medica è andata al prof. Giorgio Ricci
e quella della Idrologia è andata al prof. Baldassarre Messina. Il
prof. G. Ricci si è distinto per le ricerche sul ricambio lipidico e sulla
sclerosi vascolare, curandone in particolare gli aspetti terapeutici; per
molti anni egli è stato coordinatore dei progetti finalizzati del CNR. Il
prof. B. Messina si è qualificato sul piano nazionale ed internazionale per le ricerche di medicina termale. Attualmente le due sezioni dell’istituto sono state nuovamente unite e comprese nel Dipartimento di
Medicina Interna e Terapia Applicata.
L’istituto di Cardiologia – Dipartimento di Scienze Cardiorespiratorie
Sempre nel contesto della Clinica Medica I, agli inizi degli anni
70 si costituiva la cattedra di Cardiologia, di cui divenne titolare il
prof. Armando Dagianti, della Scuola di Condorelli. Il prof.
Dagianti ha rapidamente dotato la Cattedra di apparecchiature di
avanguardia, svolgendo sofisticate ricerche che l’hanno messo in
evidenza sul piano internazionale; tra l’altro dal suo gruppo venivano organizzati Congressi Internazionali di ecocardiografia, giunti
nel 2000 alla X edizione. Sotto la sua direzione veniva attivata
180
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
l’Unità di Terapia intensiva coronarica. Qualche anno dopo l’Istituto
di Cardiologia si trasformava in Dipartimento di Scienze cardiovascolari e respiratorie, unendosi alla Cattedra di Pneumologia ed
includendo varie competenze specialistiche. Nel 2001 il
Dipartimento si spostava all’VIII Padiglione, del tutto rinnovato e
dedicato al prof. A. Dagianti.
L’istituto di Patologia Medica - Clinica Medica II - Dipartimento di
Scienze Cliniche
L’Istituto di Patologia Medica era giunto in eredità dall’era precedente, segnatamente dalle strutture della vecchia “Sapienza”, di cui la
parte medica era principalmente situata nell’antico Ospedale di S.
Spirito in Sassia.
Il Policlinico Umberto I, completato nella parte edilizia nel 1902,
era stato aperto ufficialmente nel 1904, ma la Patologia Medica aveva
avuto la sua sistemazione nel 1906. In realtà la denominazione iniziale era Laboratorio di Patologia Medica con una precisa impronta propedeutica alla Clinica Medica. Nei primi anni nello stesso edificio
furono ospitate la Clinica Neuropatologica e la Clinica Pediatrica.
Peraltro la Semeiotica Medica aveva avuto una sistemazione a parte.
Nel giro di qualche anno la Clinica Neuropatologica e quella
Pediatrica furono spostate altrove. E’ bene dire subito che la sistemazione dell’Istituto, che all’inizio era semplice e ben definita, negli ultimi tempi si è complicata per l’inserimento di diverse cattedre ed a
motivo della pletora studentesca, con le modifiche dell’ordinamento
didattico; cosicché recentemente, dopo alcuni anni in cui è stato
Istituto policattedra, è divenuto Dipartimento di Scienze Cliniche.
Il primo docente chiamato ad occupare l’Istituto di Patologia
Medica fu Eugenio Rossoni, allievo di Baccelli, che già nella
“Sapienza” aveva avuto l’insegnamento della Clinica Medica propedeutica. Alla morte di Rossoni nel 1919 subentrò nell’Istituto
Agenore Zeri, altro allievo di Baccelli, che nella vecchia “Sapienza”
era stato docente di Semeiotica Medica. Con l’uscita di scena di Zeri,
per limiti di età, nel 1935 da Genova giunse a Roma Nicola Pende,
partecipe della scuola costituzionalistica di G. Viola. Pende diresse
l’Istituto fino al 1950 ad eccezione degli anni 1943-47, in cui fu sostituito dal prof. Silvio De Candia, suo allievo.
Pende ha avuto un certo peso nella endocrinologia italiana per le
sue originali concezioni costituzionalistiche e per la enunciazione di
alcuni quadri morbosi, frutto di intuizioni ed impressioni personali;
certamente egli ha dato un impulso allo studio di questa disciplina in
Italia9. Dal punto di vista storico ed aneddotico merita ricordare che
181
Domenico Andreani
Fig. 4 – Il Prof. N. Pende presenta a lezione una paziente basedowiana nell’anfiteatro
dell’Istituto di Patologia Medica. Dipinto ad olio. Istituto di Genetica Medica “G. Mendel”
al centro dell’androne di ingresso della Patologia Medica per molti
anni ha fatto mostra di sé una piccola piramide, che da lui prese nome,
che intendeva esprimere i concetti dell’ideatore sulla costituzione
individuale; del pari va citato un grande quadro ad olio affisso alla
parete dell’aula dell’Istituto (attualmente nell’Istituto di Genetica G.
Mendel, Roma).
Nel 1951 l’insegnamento e l’Istituto sono stati affidati a Luigi
Condorelli, proveniente da Catania, il quale ha conferito alla ricerca
ed all’insegnamento un’impronta decisamente clinica, soprattutto nell’ambito della cardiologia, creando una scuola che si è espressa in
molti validi docenti nella Facoltà romana ed altrove. Nel 1956 per i
limiti di età raggiunti dal prof. Di Guglielmo, Condorelli è passato alla
Clinica Medica, che allora era unica, e contemporaneamente nella
Patologia Medica è subentrato il prof. Cataldo Cassano, proveniente
dalla Clinica Medica di Pisa. Da Pisa Cassano ha portato con sé molti
giovani collaboratori che si sono affermati successivamente nella
Facoltà; egli ha conferito un’impronta fisiopatologica alla ricerca ed
all’insegnamento; ha ravvisato la necessità di differenziare le varie
182
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
Fig. 5 – Il Prof. C. Cassano con i suoi allievi in occasione del suo congedo dalla Clinica
Medica II.
branche della medicina interna valorizzando i nuovi apporti scientifici provenienti dai centri di eccellenza esteri. Gli allievi si sono recati
in questi centri e ne sono tornati per vitalizzare i settori della medicina in maggiore espansione culturale, in specie nella gastroenterologia,
nefrologia, endocrinologia e metabolismo; un particolare interesse è
stato rivolto alle malattie della tiroide10, del pancreas endocrino, dell’apparato gastroenterico, del rene, del ricambio fosfocalcico. Sono
state svolte indagini che hanno qualificato l’Istituto sul piano internazionale; in molti Congressi in Italia ed all’estero le ricerche della
Scuola hanno ricevuto largo consenso11.
Cassano è stato medico di Presidenti della Repubblica e di
Presidenti del Consiglio; è stato per molti anni Presidente della
Società Italiana di Endocrinologia e membro dei Consigli Superiori
della Pubblica Istruzione e della Sanità; ha ricevuto la medaglia
d’oro per i meriti della Sanità. Nel suo gruppo si sono messi in evidenza i proff. E. Fiaschi, C. Conti, L. Baschieri, G. Andres, D.
Andreani, A. Torsoli, D. Scavo, G.F. Mazzuoli, A. Fabbrini, M.
Andreoli, I. Baschieri, M. Negri e M. Giacovazzo, che occuperanno
cattedre di Medicina Interna, Gastroenterologia, Endocrinologia,
Nefrologia e Medicina Nucleare a Roma ed in altre sedi. Si sono trasferiti negli USA G. Andres e M. Giacomelli divenuti poi docenti
nella Columbia University e nella Harvard University; tra gli allievi
più giovani si è trasferito anche C. Croce, che in America ha appro183
Domenico Andreani
fondito le ricerche di immunologia e di genetica, giungendo a risultati di assoluta eccellenza e diventando studioso di riferimento negli
USA e in Europa.
Il prof. Carlo Conti nel 1967 è diventato professore di
Endocrinologia, il primo in Italia, per poi passare alla Patologia
Medica, sistemandosi in una parte dell’Istituto di Malariologia, che
era ormai desueto.
Da Cassano l’Istituto di Patologia Medica è stato totalmente rinnovato; con la consulenza dell’architetto Nervi è stata costruita una
nuova ala con una ampia aula, con spaziosi e moderni laboratori, un
reparto di medicina nucleare, fra i primi in Italia, un reparto di
microscopia elettronica, che ha rappresentato una novità nel
Policlinico. Nel 1969 l’Istituto si è modificato in Clinica Medica II.
Nel 1972 per i limiti di età il prof. Cassano è stato sostituito dal
prof. Alessandro Beretta Anguissola, proveniente da Torino, ove si
era conquistata una solida fama di fisiopatologo e clinico, specialmente sul terreno della circolazione distrettuale. Beretta Anguissola
ha sviluppato il settore cardiologico e ha costituito una Unità coronarica, che per diversi anni è stata unica nell’Ospedale. Tra le molte
attività espletate in campo clinico ed accademico Beretta Anguissola
è diventato Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e si è fatto
promotore di un ampio e moderno Trattato di Medicina Clinica12.
Nello stesso anno il prof. Domenico Andreani è diventato
Professore di Endocrinologia e Medicina Costituzionale, ed ha
occupato una parte dell’Istituto di Patologia medica; egli ha proseguito l’indirizzo di
ricerca in campo endocrinologico e soprattutto metabolico; lo
hanno accompagnato i
proff. G. Menzinger, F.
Fallucca, U. Di Mario,
G. Tamburrano e P.
Pozzilli, che successivamente sono andati a
coprire cattedre di
Endocrinologia, Metabolismo e Medicina
Interna
nella
“Sapienza” ed in altre
Fig. 6 – Il Prof. D. Andreani con i suoi collaboratori
Università
romane.
in occasione della visita di colleghi
Due bravi collaboratocinesi dell’Università di Shangai.
184
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
ri, M. Di Girolamo e D. Bellabarba, si sono trasferiti negli USA ed
in Canada ove hanno occupato ruoli di Endocrinologia e Metabolismo ad Atlanta (Georgia) e a London (Ontario). Il prof Andreani ha
diretto l’Istituto policattedra di Clinica Medica II dal 1983 al 1988.
Il prof. Andreani ha sviluppato una intensa attività trattatistica; col
prof. Cassano ha pubblicato il Trattato Italiano di Endocrinologia13,
con il prof. Menzinger il Manuale di Diagnostica differenziale
endocrinologica14 e con il prof. Tamburrano il Manuale di Terapia
delle malattie endocrine e metaboliche15. Egli è stato Presidente
della European Association for the study of diabetes (EASD) e
Presidente della Società Italiana di Endocrinologia. Il suo gruppo si
è rivolto principalmente alla patogenesi immunitaria del diabete di
tipo I, alle complicanze croniche della malattia diabetica, alle sindromi ipoglicemiche, qualificandosi sul piano internazionale.
Nel periodo in cui il prof. Beretta Anguissola ha diretto l’Istituto
i proff. Aldo Torsoli, Domenico Scavo, Gian Franco Mazzuoli,
Mario Andreoli e Giulio Alberto Cinotti sono diventati ordinari di
Gastroenterologia, Medicina Interna, Endocrinologia II e
Nefrologia. Nel 1983, per raggiunti limiti di età il prof. Beretta
Anguissola ha ceduto la direzione dell’Istituto al prof. Andreani;
nell’insegnamento della Clinica Medica egli è stato sostituito dal
prof. Carlo De Martinis, proveniente da Ancona e già suo allievo a
Torino. Nel 1986 il prof. Mario Giacovazzo è divenuto ordinario di
Medicina Interna, per poi dirigere la Clinica Medica VI.
Un ricordo speciale merita l’attività di Aldo Torsoli; egli infatti
nella Scuola di Cassano occupa un posto di rilievo. Torsoli, divenuto ordinario di Gastroenterologia nel 1975, aveva già acquisito notorietà nel 1952, perché per la prima volta nel mondo a Pisa aveva eseguito la biopsia renale con l’ausilio del retropneumoperitoneo;
nell’Istituto di Patologia Medica si circondava di molti validi collaboratori fra cui Romano Carratù, Renzo Caprilli, Francesco Pallone,
Enrico Corazziari, Gian Franco Delle Fave, Paolo Paoluzi. Con loro
egli si è occupato della fisiopatologia delle vie biliari, specie della
funzione dello sfintere di Oddi, della fisiologia e della patologia del
colon, della malattia di Crohn. Successivamente si è occupato con
grande impegno della didattica medica costituendo un Canale
Parallelo Sperimentale, con limitato numero di studenti, in cui egli
intendeva realizzare una moderna metodologia clinica16. Torsoli è
stato Presidente della Società Italiana di Gastroenterologia e della
United European Gastroenterology Foundation (UEGF).
Il prof. Domenico Scavo ha sviluppato con dedizione l’attività
185
Domenico Andreani
Fig.7 – Il Prof.
U. Di Mario
con i collaboratori
e specializzandi
nello scalone
centrale
del Policlinico.
clinica e didattica; sul piano delle ricerche si è rivolto alla fisiopatologia e clinica delle malattie surrenaliche; con Pietro Cugini ha collaborato a ricerche di cronobiologia.
Nel 1988 la direzione dell’Istituto di Clinica Medica II è passata al
prof. A. Torsoli e nel 1991 al prof. Marcello Negri, che nel 1990 era
diventato ordinario di Medicina Interna. Nel 1998 l’Istituto si è trasformato in Dipartimento di Scienze Cliniche ed è stato diretto fino
al 2002 da Negri. I proff. Andreani e Torsoli sono usciti dai ruoli e
sono stati sostituiti dai proff. Umberto Di Mario e Renzo Caprilli,
già loro allievi e professori ordinari, rispettivamente nelle Università
di Catanzaro e de L’Aquila. Purtroppo, quando era direttore del
Dipartimento, nel 2004 il prof. U. Di Mario è venuto a mancare.
L’istituto di Patologia Medica - Clinica Medica V
Il prof. Carlo Conti, che aveva acquisito la struttura autonoma
dell’Istituto di Malariologia, era accompagnato da Aldo Fabbrini,
Aldo Isidori, Francesco Sciarra, Franco Dondero, Gaetano Frajese,
Gianni Spera, Vincenzo Toscano e Andrea Lenzi. Dalla denominazione di Patologia Medica si era passati a quella di Clinica Medica
V per giungere nel 1995 a quella di Dipartimento di Fisiopatologia
Medica.
Conti ed i collaboratori hanno coltivato intensamente il campo
degli ipogonadismi maschili, e quello degli ormoni steroidei, gonadici e surrenalici, da cui sono derivate le ricerche più settoriali in
186
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
campo andrologico ed in campo della sterilità maschile. Conti e
Isidori hanno pubblicato un mirabile Trattato di Andrologia17.
Il prof. Aldo Isidori dal 1980 ha occupato il ruolo di ordinario di
Andrologia (la prima cattedra in Italia); ha sviluppato un’intensa
attività andrologica specie nel settore della fertilità maschile, della
seminologia, in cui con un gruppo di collaboratori, ha costituito un
punto di riferimento nazionale18. È stato per lunghi anni Presidente
della Commissione Etica della Facoltà. Il prof. Francesco Sciarra
nel 1990 è diventato ordinario di Endocrinologia, ha curato in particolare il settore degli ormoni steroidei e della patologia surrenalica;
è stato responsabile del Gruppo di Studio internazionale sugli ormoni steroidei.
Nello stesso Istituto è stato accolto il prof. Mario Andreoli, già
allievo di C. Cassano, proveniente da Sassari, anch’egli con il ruolo
di Endocrinologia, che ha istituito con il CNR un efficiente Centro
per le malattie della tiroide; egli si è occupato della patologia nodulare della ghiandola; ha pubblicato un notevole Trattato di malattie
della tiroide19. Ha avuto con sé i collaboratori F. Monaco, M.
D’Armiento ed A. Pontecorvi che sono andati a ricoprire ruoli di
ordinari nella Facoltà di Roma ed in altre sedi. Il prof. Massimino
D’Armiento è succeduto al prof. Andreoli dopo la sua quiescenza
accademica.
Il prof. Aldo Fabbrini, proveniente da L’Aquila, ove era divenuto Clinico Medico e Preside della Facoltà, nel 1986 è succeduto al
suo maestro prof. Conti nell’insegnamento di clinica e nella direzione dell’Istituto policattedra; ha compiuto approfonditi studi sulla
gonade maschile, ma si è occupato più ampiamente di argomenti di
Medicina Interna; ha pubblicato un Trattato sui fondamenti di
Medicina Interna20. Sotto la direzione di Fabbrini nel 1995 l’Istituto
si è trasformato in Dipartimento di Fisiopatologia Medica; nel 2001
ne è diventato Direttore il prof. A. Isidori.
Gli interessi culturali e le ricerche di tutti i collaboratori del prof.
Conti hanno proseguito in sostanza l’indirizzo della patologia legata agli ormoni steroidei. Nel contesto delle linee di ricerca in questi
settori sono stati organizzati molti convegni internazionali e sono
state pubblicate monografie e resoconti di valido ed interessante
contenuto.
L’Istituto di Malattie Infettive - Clinica medica III - Dipartimento di
Medicina Clinica
Nel 1968 fu chiamato dalla Facoltà Medica di Roma a ricoprire il
ruolo di Malattie Infettive il prof. Giuseppe Giunchi, allievo di
187
Domenico Andreani
Frugoni, già titolare di Malattie Infettive a Sassari dal 1959 e successivamente a Perugia. Nel 1972 Giunchi passava alla Clinica
Medica III e vi rimaneva fino alla quiescenza accademica, nel 1985.
Giunchi è stato un esimio clinico, chiamato fra l’altro a curare S.S.
Giovanni Paolo II, ed un apprezzatissimo docente. Egli ha compiuto importanti indagini in campo infettivologico ed in medicina generale; ha pubblicato un Trattato di Malattie infettive, che ha un posto
di rilievo nella letteratura medica e nella didattica21. Giunchi ha
ristrutturato e rimodernato la Clinica Medica III, dotandola di
moderni laboratori ed ha raccolto intorno a sé molti validi allievi,
che hanno occupato ed occupano ruoli di prestigio nella Facoltà.
Quando è uscito dai ruoli è stato sostituito dal prof. Lorenzo
Bonomo, proveniente da Bari, anch’egli della Scuola di Frugoni.
Bonomo è stato Direttore fino al 1992; si è qualificato per gli studi
sull’immunità e sulle allergopatie.
Un allievo di Giunchi, il prof. Franco Sorice, proveniente da
Ferrara, nel 1973 è stato chiamato alla cattedra di Malattie Tropicali
ed Infettive, per poi passare nel 1979 a quella di Malattie Infettive.
Sorice nel 1993 assumeva la Direzione dell’Istituto e poi del
Dipartimento di Malattie infettive e Tropicali fino al 1995. E’ stato
coautore del Trattato di Malattie infettive con Giunchi. Ha lavorato
scientificamente sugli antibiotici, sulle infezioni stafilococciche e
sulla idatidosi22. A dirigere la Clinica Medica III fino al 1995 subentrava nel 1993 il prof. Livio Capocaccia, che era titolare di
Gastroenterologia dal 1980. Tra gli allievi di Giunchi e di Sorice
vanno segnalati i proff. P. Serra, F. Aiuti, F. De Rosa, F. RossiFanelli, G. Panichi, P. Martino, S. Delia, V. Vullo. Gli allievi di
Giunchi hanno proseguito con grande successo le premesse scientifiche e didattiche del loro maestro.
L’Istituto di Semeiotica Medica e Patologia Medica - Istituto di
Ematologia
Nel 1958 giungeva dalla Clinica Medica di Parma il prof.
Michele Bufano a ricoprire il ruolo di Semeiotica Medica per poi
passare alla Patologia Medica; con lui erano Pierfrancesco
Ottaviani, Tullio Chiarioni e Franco Mandelli. Bufano, allievo di
Pende, si è distinto per l’apporto di clinica e di ricerca dato alle
conoscenze delle malattie metaboliche; ha pubblicato un importante Trattato di Patologia Medica23. Degli allievi del prof. Bufano si
è distinto in special modo Franco Mandelli, nel 1979 divenuto
ordinario di Ematologia, che aveva con sé Giuseppe Papa, Sergio
Amadori e Giuliana Alimena ed un folto gruppo di capaci collabo188
Le Scuole di Medicina interna nel Policlinico Umberto I
ratori. Mandelli ha creato un Istituto, connesso con il Policlinico,
notevole per modernità di organizzazione ed efficienza, divenuto
struttura di riferimento in campo nazionale ed internazionale; questo Istituto è stato corredato di un Centro Trapianti di midollo di
avanguardia. Mandelli è stato autore di una vasta e qualificata produzione scientifica; particolare campo di studio è stato quello delle
malattie emorragiche, dei linfomi e delle leucemie, che lo hanno
reso noto e stimato nel mondo scientifico medico24. L’Istituto è
attualmente inserito nel Dipartimento di Biotecnologie cellulari ed
Ematologia.
BIBLIOGRAFIA
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189
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190
LA CLINICA CHIRURGICA:
LA STORIA E LA SCUOLA
VINCENZO ZIPARO
191
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
I primi Maestri della disciplina
La chirurgia, esercitata in Roma fin dall’antichità da cerusici e
barbieri con una semplice licenza, assume una dignità accademica
soltanto nel 1539 con l’istituzione nello Studium Urbis di una
Cattedra di chirurgia, unita a quella d’anatomia, affidata ad Alfonso
Ferri, noto chirurgo dell’epoca, divenuto famoso per un trattato sulle
ferite da arma da fuoco e per l’invenzione di un particolare strumento: l’alfonsino o tirapalle usato per afferrare ed estrarre i proiettili
dalle ferite.
Nel 1781 la chirurgia, sia pure
solo sotto forma di esercitazioni,
diviene disciplina autonoma insegnata da Giuseppe Sisco.
Nel 1815, Pio VII istituisce la
cattedra di Clinica Chirurgica con
un reparto di 7 letti per gli uomini e 6 per le donne presso l’ospedale S. Giacomo in Augusta.
Inizialmente i locali a disposizione sono modesti; la direzione è
affidata a Giuseppe Sisco (181530), il quale può essere considerato il primo professore di clinica
chirurgica della nostra UniverFig. 1 – Giuseppe Sisco
sità1.
Sisco, nato a Bastia in Corsica
nel 1748, compie tutti i suoi studi a Roma dove esercita come chirurgo negli ospedali S. Spirito, S. Gallicano e S. Giacomo ed è
nominato docente di Anatomia pratica, di Medicina operatoria, compresa la parte inenerente la Medicina legale, e infine di Clinica
Chirurgica. La sua tomba e la relativa lapide si trovano nella navata di destra della Chiesa di San Luigi dei Francesi.
Gli succede (1830-1834) Antonio Trasmondi chirurgo dell’ospedale di S. Maria della Consolazione, dove ha raggiunto una grande
fama professionale ed una eccezionale popolarità, testimoniata
anche dal sonetto che il suo amico Giuseppe Belli gli dedica alla
notizia della sua morte2.
193
Vincenzo Ziparo
La morte de Stramonni
È morto er gran cerusico Stramonni:
E lo Spedàr de la Consolazzione
Nun ze po’ consolà da la passione
Che je cià ffatto già pperde li sonni.
Oh quello era davero un omminone
De studi profonnissimi e pprofonni!,
Che si ar monno vieniveno du’ monni,
Guariva a ttutt’e dua la scolazzione.
Nun ze trovava a Roma antro cerusico
Che conoscessi mejo la maggnèra
De crastà un galantomo e ffàllo musico.
Tiggne, roggne, sassate, cortellate…
Annàvio da Stramonni, e bona sera:
V’ereno in quattro zompi arimediate.
21 aprile 1834.
In seguito ricoprono la Cattedra di chirurgia Bartolomeo Titocci
(1835-1850), Giuseppe Costantini (1851-1870) e Giuseppe Corradi
(1870-72) che è il primo clinico chirurgo del Regno d’Italia. Corradi
nasce a Bevagna (PG) nel 1830 e compie i suoi studi a Pisa e a
Firenze; per due anni dirige la cattedra di Roma per poi tornare, nel
1872, all’Università di Firenze, città nella quale muore nel 1907.
Costanzo Mazzoni, nato a Roma nel 1823, ricopre la cattedra dal
1872 al 1885. La sua formazione professionale è arricchita anche
dell’esperienza acquisita durante il periodo trascorso alla scuola di
Parigi con August Nelaton ed ottiene grande fama chirurgica nella
Roma capitale del Regno d’Italia.
E’ il primo Presidente della neocostituita Società Italiana di
Chirurgia.
Alla sua morte prematura (1885) gli succede il suo allievo
Francesco Durante, già dal 1879 professore di Patologia
Chirurgica.
La personalità di Durante è assai incisiva per lo sviluppo della
chirurgia accademica romana.
Nato in Sicilia a Letojanni (ME) nel 1845, da famiglia di sentimenti antiborbonici, da giovanissimo è garibaldino, si laurea a
Napoli e completa la propria formazione scientifica e chirurgica a
Vienna presso il grande Theodor Billroth, a Berlino nel laboratorio
d’anatomia patologica di Rudolph Virchow, a Londra da Joseph
194
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
Fig. 2 –
Francesco Durante
Fig. 3 – Francesco Durante
ed il suo Trattato
Lister e a Parigi nel laboratorio di Louis Antoine Ranvier. Rientrato
in Italia nel 1872 diviene aiuto di Costanzo Mazzoni. Nel 1873 gli
viene affidato l’incarico di Patologia Chirurgica e nel 1879 è nominato Professore ordinario della stessa disciplina; passa a dirigere la
Clinica Chirurgica nel 1885.
Socio Fondatore e Presidente della Società Italiana di Chirurgia,
Senatore del Regno dal 1882, è il Fondatore e primo Presidente
dell’Ordine dei Medici di Roma e dell’Opera Nazionale Invalidi di
Guerra.
Durante è un insigne operatore in tutti i campi della chirurgia del
suo tempo, geniale ricercatore e:
… scienziato versato in tutte le materie fondamentali. … Ma, come nel
campo della scienza Egli ebbe la priorità nell’idea della patogenesi dei
tumori e in quello chirurgico dell’operabilità dei tumori cerebrali e delle
suture vasali, così nel campo scientifico-tecnico dell’antisepsi e dell’asepsi3.
La sua interessante teoria, elaborata nel 1874, sulla genesi
embrionaria di alcuni tumori suscita ampia risonanza nel mondo
scientifico internazionale.
Nel 1885 asporta con successo un meningioma, descrivendo una
tecnica personale di craniotomia con lembo a sezione osteotangenziale discontinua.
L’ardita operazione in quei tempi in cui nessuno aveva ancora osato
aprire il cranio e agire chirurgicamente su un neoplasma del cervello è
una dimostrazione della completezza della sua preparazione e della sua
dottrina tecnica e fisiopatologica, del felice connubio che in Lui era
dell’arte e della scienza4.
195
Vincenzo Ziparo
I suoi numerosi interventi per asportazione di tumori cerebrali
contribuiscono significativamente allo sviluppo della neurofisiologia e della neurochirurgia.
Autore di un trattato di Patologia e Clinica Chirurgica (1895) sul
quale si sono istruite molte generazioni di medici, fonda e dirige la
sezione chirurgica della Rivista Il Policlinico.
Alla sua Scuola Romana si formano numerosissimi chirurghi di
cui ben 16 sono divenuti Cattedratici in vari Atenei italiani.
Nel 1888, anche grazie al prestigio di Durante, alla Clinica
Chirurgica viene assegnato un edificio in via Garibaldi, che si configura come un vero Istituto Clinico Universitario.
In esso trovano posto più ampi reparti di degenza, sale operatorie
più moderne e laboratori per la ricerca. La clinica viene dotata di un
proprio generatore d’energia idroelettrica, utilizza infatti l’acqua
eccedente della sovrastante Fontana dell’Acqua Paola (il
“Fontanone del Giancolo”); nel sotterraneo dell’edificio trova sede
un’officina per la costruzione di strumenti chirurgici gestita dalla
Ditta Invernizzi e, proprio in tale fabbrica, è realizzata la famosa
pinza di Durante.
In questa Clinica, Guido Farina, uno degli allievi di Durante, esegue un intervento strabiliante per quei tempi: sutura con successo
una ferita da coltello penetrante il ventricolo sinistro.
Sul finire dell’Ottocento le Cattedre di Clinica Medica e di
Clinica Chirurgica della Sapienza sono dirette da due personalità di
grande rilievo accademico e civile: Guido Baccelli, grande maestro
di medicina e Ministro della Pubblica Istruzione e Francesco
Durante. Sotto il loro impulso si realizza la progettazione e la
costruzione del nuovo grande Policlinico Universitario Umberto I
(1888). La Clinica Chirurgica si trasferisce nella nuova sede nel
1904.
La costruzione dell’istituto
L’edificio, architettonicamente simile a quello della Clinica
Medica, si sviluppa su 3000 mq e tre piani oltre l’interrato. Al piano
terreno sono situati la portineria, gli ambulatori, i laboratori, i vari
servizi e una grande biblioteca chirurgica.
Al primo piano una grande aula di 500 posti, la direzione con le
segreterie e le stanze per gli assistenti, la sala operatoria, le corsie
per gli uomini e per le donne, le stanze d’isolamento e le corsie per
i malati infetti. Al terzo piano vi sono le stanze per i pensionanti; la
dotazione totale è di 70 posti letto. La struttura rappresenta quanto
di più moderno ed efficiente si possa prevedere in quel periodo. In
196
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
essa Francesco Durante esercita il suo alto magistero realizzando la
più importante Scuola Chirurgica Italiana del primo Novecento5.
I Maestri, la didattica, la ricerca
Nel 1919, Durante, per raggiunti limiti di età, lascia la Direzione
al suo allievo Roberto Alessandri.
Alessandri, nato a Civitavecchia
nel 1867, si laurea presso
l’Università di Roma dove diviene
Professore incaricato d’Ortopedia
(1900) e di Patologia Chirurgica
(1902); è anche primario chirurgo al
S. Giacomo e nei nuovi padiglioni
Ospedalieri del Policlinico. Partecipa
alla I guerra mondiale come direttore
dell’ambulanza chirurgica d’armata
di Gorizia, per la sua operosità riceve
una medaglia d’argento ed una croce
di guerra al valor militare.
Diviene Presidente della Società
Italiana
d’Ortopedia, della Società
Fig. 4 – Roberto Alessandri
Italiana di Chirurgia (1920-1939) e
dell’Accademia Medica di Roma (1924-1928). Rilevanti sono stati i
suoi studi sulla chirurgia urologica.
Lascia l’insegnamento nel 1938 ed è nominato Senatore del
Regno nel 1939. Tra i
mumerosi suoi allievi
ricordiamo Pietro Valdoni, Paride Stefanini e
Ulrico Bracci. Un bel
dipinto ad olio, eseguito
da Roberto Fantuzzi e
che rappresenta Alessandri e la sua Scuola
durante una dimostrazione chirurgica, è conservato presso la Clinica
Chirurgica.
Fig. 5 – Dipinto
di Roberto Fantuzzi
che ritrae R. Alessandri durante
un intervento
197
Vincenzo Ziparo
Nel 1938 la Facoltà chiama a dirigere la Clinica Chirurgica
Raffaele Paolucci di Valmaggiore, Clinico chirurgo all’Ospedale S.
Orsola di Bologna.
Paolucci, di famiglia abruzzese, nato a Roma nel 1892 e laureatosi a Napoli nel 1916, partecipa alla I guerra mondiale compiendo,
assieme al Maggiore Raffaele Rossetti, l’incredibile ed eroica
impresa di affondare nel porto di Pola la corazzata Viribus Unitis,
nave ammiraglia della marina imperiale Asburgica. Per questo atto
eroico viene promosso Capitano medico per merito di guerra, decorato con la Medaglia d’oro al Valor
Militare ed insignito del titolo di Conte
di Valmaggiore. A soli 30 anni diviene
Fig. 6 – Raffaele Paolucci con alcuni allievi
Fig. 7 – Pietro Valdoni
Deputato e poi Vice-Presidente della Camera dei Fasci e delle
Corporazioni.
Nel 1925 gli viene affidato l’incarico di Patologia Chirurgica
nell’Università di Bari, appena fondata. In questo periodo esercita la
sua attività di chirurgo come consulente presso l’Ospedale di
Lanciano, nel suo Abruzzo. Nel 1929 è nominato professore ordinario a Parma e nel 1932 viene chiamato come Clinico chirurgo
dall’Ateneo di Bologna6.
Dal 1940 al ‘46 è Presidente della Società Italiana di Chirurgia.
Paolucci, dotato di brillante capacità oratoria e di grande abilità
chirurgica, dà un alto contributo nella chirurgia gastrica e toraco-polmonare. Il suo allievo più illustre, Ettore Ruggeri, diviene Clinico
chirurgo a Napoli, dove crea un’importante scuola chirurgica.
Dopo la guerra è sospeso dalla Cattedra per i suoi legami con il
regime fascista, ma presto reintegrato per i suoi meriti professionali. Si ricorda anzi che, durante il periodo delle persecuzioni razziali,
198
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
forte del proprio prestigio di eroe di guerra, egli riesce a dare protezione a professori ebrei. Nel 1948 viene eletto Senatore per il Partito
Monarchico.
Muore improvvisamente nel 1958.
La Facoltà chiama a succedergli Pietro Valdoni, ordinario di
Patologia Chirurgica nello stesso Ateneo.
Pietro Valdoni, nato a Trieste ancora asburgica nel 1900, si
forma alla scuola chirurgica romana. Nel 1935, aiuto di Alessandri,
esegue, per la prima volta al mondo, un eccezionale intervento di
embolectomia dell’arteria polmonare con guarigione del paziente.
Ad assisterlo nel corso del difficile intervento è il più giovane Paride
Stefanini.
Nel 1938 diviene ordinario a Cagliari, poi a Modena e a Firenze.
Rientra a Roma nel 1945 come Professore di Patologia Chirurgica.
Valdoni è chirurgo d’eccezionale abilità ed eleganza tecnica,
grande innovatore ed organizzatore, figura umana dotata di notevole carisma, riesce presto ad attrarre alla sua scuola i più brillanti giovani allievi da tutta Italia. Nel 1948, in un clima politico teso,
Togliatti, Segretario Generale del Partito Comunista Italiano subisce, all’uscita dal Parlamento, un attentato e viene colpito da un proiettile al polmone. I medici vicini al politico gravemente ferito decidono di condurre il paziente al Policlinico e di affidarlo alle cure del
Prof. Valdoni, che esegue prontamente una toracotomia con estrazione del proiettile e sutura del polmone. La tensione politica è elevata e si temono disordini popolari.
L’attenzione della stampa italiana ed internazionale è tutta puntata sull’esito dell’intervento: Togliatti guarisce prontamente e la figura di Valdoni assume un’eccezionale notorietà anche al di fuori del
mondo accademico e medico. In seguito numerosi sono i suoi
pazienti illustri, tra cui i due Pontefici Paolo VI e Giovanni XXIII.
Valdoni intuisce chiaramente i nuovi orizzonti che, dopo le grandi esperienze acquisite nel corso della seconda guerra mondiale, si
vanno delineando in Gran Bretagna e Stati Uniti. Si reca spesso
all’estero ed invia i suoi allievi ad apprendere in centri d’avanguardia le nuove tecniche di chirurgia toracica e cardiovascolare, d’anestesiologia e rianimazione.
Avvia uno dei suoi più brillanti allievi, Piero Mazzoni, verso
l’anestesiologia e la rianimazione, creando ed affidando alla sua
direzione la cattedra e la scuola di specializzazione in questa disciplina. Un altro suo allievo, Corrado Manni, ricopre lo stesso ruolo
presso il Policlinico Gemelli.
199
Vincenzo Ziparo
Il vecchio Istituto di Clinica Chirurgica era rimasto più o meno
nelle condizioni nelle quali l’aveva creato Durante, assolutamente
inadeguato per il livello di chirurgia praticata da Valdoni e per il
gran numero di pazienti che da tutta Italia e anche dall’estero, ricorrevano alle sue cure7.
La costruzione del nuovo edificio
Valdoni, anche per il suo prestigio personale, ottiene dal
Ministero dei Lavori Pubblici un finanziamento speciale per la
costruzione della nuova clinica chirurgica che viene rapidamente
edificata nello spazio
retrostante ll vecchio edificio, sul lato di via
Baglivi.
Quando, all’inizio degli
anni ‘60, la nuova clinica
entra in funzione, rappresenta un vero modello di
funzionalità ed un vero e
proprio ospedale nell’ospedale.
Valdoni ben comprende
il ruolo che le moderne
tecnologie diagnostiche
vanno assumendo in queFig. 8 – Il “nuovo” edificio di I Clinica Chirugica
gli anni e realizza all’interno della sua clinica una
moderna radiologia con tre sezioni diagnostiche di cui una angiografica. E’ qui che vengono eseguite le prime aortografie e splenoportografie del Policlinico.
Nell’Istituto viene creato un servizio di medicina nucleare, un servizio d’istopatologia, uno d’endoscopia (uno dei suoi allievi,
Luciano Provenzale, eseguì la prima colonscopia).
La nuova clinica comprende 4 piani di degenza per un totale di
200 letti, un piano operatorio con 4 sale operatorie con un osservatorio nel piano soprastante; ciascuna sala costituisce un’unità organica a sé stante, dotata di servizi di sterilizzazione, narcosi e preparazione dei medici. All’ultimo piano due nuove piccole aule e la
casa delle suore8.
Contemporaneamente si procede a rimodernare e ristrutturare
anche il vecchio edificio dotandolo di 3 sale operatorie -di cui una
200
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
per la cardiochirurgia- e di un moderno laboratorio di emodinamica
e diagnostica cardiovascolare diretto da Attilio Reale, allievo di
Valdoni e successivamente Ordinario di cardiologia nell’Università
“La Sapienza”. Le degenze della cardiochirurgia sono collocate al
piano sovrastante. Nell’ala di sinistra del vecchio edificio viene
creato il centro di rianimazione con un Servizio di cardiostimolazione e la prima camera iperbarica affidati a Pietro Mazzoni.
Al piano sovrastante una corsia di chirurgia generale denominata
“Perfezionandi”.
Viene sopraelevato un piano e creato un reparto di chirurgia sperimentale con stabulari e box di degenza postoperatoria per animali
di piccola e media taglia, due sale operatorie completamente attrezzate con proprio impianto di sterilizzazione. Valdoni cura molto la
documentazione iconografica con la realizzazione di un laboratorio
fotografico e cinematografico nel quale sono realizzati i primi film
scientifici ed un laboratorio di disegno chirurgico affidato all’architetto Vittorio Fornasari, divenuto poi una vera autorità in questo
campo.
Valdoni eccelle in ogni campo della chirurgia ed è il promotore,
insieme ad Achille Mario Dogliotti di Torino, della cardiochirurgia
in Italia. Pone su solide basi tecniche e fisiopatologiche la chirurgia
epatobiliopancreatica, digestiva, oncologica, toracica e vascolare. E’
autore di un manuale di chirurgia su cui si sono formati i medici di
almeno due decenni; altro testo esemplare per chiarezza ed essenzialità, è l’Atlante di Tecniche Operatorie pubblicato con Virno e
Fornasari alla fine della sua carriera.
Alla sua scuola si sono formati centinaia di chirurghi.
La scuola
Tra i suoi molti allievi che hanno raggiunto la cattedra vanno
ricordati: Piero Tonelli clinico chirurgo a Firenze, Antonio Lanzara
clinico chirurgo a Napoli, Paolo Biocca inizialmente a Cagliari, poi
a Catania, prima di rientrare a Roma come suo successore alla clinica chirurgica; Luciano Provenzale, prima a Cagliari e Catania ed,
infine, a “La Sapienza” come primo professore di cardiochirurgia;
Sandro Tagliacozzo a Cagliari, con Marino Cagetti e Gianni
Daniele, i quali poi sono rimasti come cattedratici in quella
Università al suo ritorno a Roma; Aldo De Maria a Catania, Aldo
Leggeri e Gianfederico Monti a Trieste, Gianfranco Fegiz, Silvano
Becelli, Ernesto Natalini, Enzo De Cesare a Roma; Benedetto
Marino a Catania e poi a Roma in cardiochirurgia.
Nel 1970 il Professor Valdoni, al compimento del 70° anno, lascia
201
Vincenzo Ziparo
la cattedra per continuare la sua attività chirurgica nella professione
privata. Muore nel 1976.
Nel 1970 la grande Clinica Chirurgica creata da Valdoni che
assommava a circa 400 posti letto, dà vita a diversi Istituti autonomi, tutti diretti dai suoi allievi:
- Istituto Policattedra di prima Clinica Chirurgica che occupa tutto
il nuovo edificio A e parte del vecchio edificio B ed ospita nel suo
interno le cattedre e i relativi reparti di: 1° Clinica Chirurgica (Prof.
Paolo Biocca), I Semeiotica Chirurgica e poi IV Patologia
Chirurgica (Prof. Sergio Stipa), Chirurgia pediatrica (Prof. Renato
Ricceri), Chirurgia sperimentale e poi I Patologia Chirurgica (Prof.
Giampaolo Piat). Nel vecchio edificio rimane il reparto d’Anatomia
Chirurgica (Prof. Enzo De Cesare). Inoltre presso il III Padiglione
ha sede la II cattedra di Chirurgia d’Urgenza diretta dal Prof.
Anacleto Cirenei.
- Istituto di II Patologia Chirurgica, poi
IV Clinica Chirurgica: diretto dal Prof.
Gianfranco Fegiz ed attualmente
Dipartimento Durante.
- Istituto d’Anestesia e Rianimazione
diretto dal Prof. Pietro Mazzoni.
- Istituto di Chirurgia del Cuore e dei
Grossi Vasi diretto dal Prof. Luciano
Provenzale. Questo Istituto ospiterà dal
1979 una II Cattedra diretta dal Prof.
Benedetto Marino e una Cattedra di
Cardiologia diretta dal Prof. Attilio
Reale.
- Istituto di Clinica Chirurgica
Fig. 9 – Paolo Biocca
d’Urgenza e Pronto Soccorso, diretto dal
Prof. Silvano Becelli, nel quale sarà ospitata dal 1980 la Cattedra di
VII Semeiotica Chirurgica del Prof. Ernesto Natalini.
Dal 1970 al 1985 l’Istituto di I Clinica Chirurgica viene diretto
dal Prof. Paolo Biocca, il quale svilupperà particolarmente la chirurgia toraco-polmonare ed oncologica. All’Istituto viene assegnata
una parte del Palazzo Baleani in Corso Vittorio Emanuele, dove il
Prof. Felice Virno ha sviluppato un efficiente centro di prevenzione
e cura dei tumori della mammella. Allievi di Biocca sono stati i
Professori: C.D. Pinna, clinico chirurgo a Cagliari, G. Carbone a
Catania, Sergio Stipa, prima a Cagliari e poi a Roma; G. Daddi a
Perugia; Giampaolo Piat, Vincenzo Stipa, Mario Flammia e
202
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
Lamberto Aglietti a Roma.
Nel 1984 al pensionamento del Prof. Biocca, il Prof. Fegiz subentra
nella Cattedra di I Clinica Chirurgica ed il Prof. Sergio Stipa in quella di V Clinica Chirurgica facendo acquisire all’Istituto anche il I
Padiglione di Chirurgia. Nello stesso anno il Prof. Sandro Tagliacozzo
è chiamato da Cagliari a ricoprire la cattedra di Patologia Chirurgica
già diretta da Sergio Stipa; il Prof. G. Piat è eletto direttore
dell’Istituto. Nel 1986 il Prof. Antonino Cavallaro e il Prof. Flammia
diventano professori Ordinari ed afferiscono all’Istituto.
Nel 1988 viene eletto Direttore dell’Istituto il Prof. Gianfranco
Fegiz.
Fegiz nato nel 1928, allievo di Valdoni,
diviene ordinario a Roma nel 1967.
Chirurgo di grande livello tecnico, ha
fornito grandi contributi nel campo
della chirurgia colorettale ed epatobiliare. E’ stato a lungo Segretario
Generale e poi Presidente della Società
Italiana di Chirurgia.
Tra i suoi allievi hanno raggiunto l’ordinariato: Francesco Tonelli a Firenze,
Manuele Di Paola, Licinio Angelini e
Antonio Paolini a Roma.
Al Prof. Fegiz succede nella direzione
dell’Istituto
il
Prof.
Sandro
Fig. 10 – Sandro Tagliacozzo
Tagliacozzo (n.1926 - m.2000), chirurgo di grande eleganza tecnica e di profonda cultura scientifica; rilevanti sono i suoi contributi nella chirurgia dell’idatidosi epatica e nella chirurgia oncologica del cancro del
retto. Lascia a Cagliari, dove aveva diretto la Clinica Chirurgica per
quasi 20 anni, i suoi allievi M. Cagetti, G. Daniele e P. Ucheddu9.
Nel 1999 l’Istituto si trasforma in Dipartimento di Chirurgia Pietro
Valdoni e viene eletto direttore il Professor Sergio Stipa.
S. Stipa, nato nel 1929, allievo dei Proff. Valdoni e Biocca, che
segue a Cagliari e a Catania, frequenta numerosi centri chirurgici
esteri. Nel 1970 diviene ordinario a Cagliari, dove in breve tempo
ristruttura l’Istituto di Patologia Chirurgica. Lascia a Cagliari il suo
allievo Prof. G. Casula, che successivamente diventerà ordinario di
chirurgia presso quella Università.
Rientrato a Roma in Semeiotica Chirurgica, imposta la Scuola su
203
Vincenzo Ziparo
rigorosi criteri metodologici creando gruppi di lavoro nei vari settori della chirurgia ed inviando tutti i suoi allievi, per lunghi periodi,
nei più qualificati centri esteri per apprendere e sviluppare nuove
aree di ricerca clinica e sperimentale. Convinto assertore della
necessità di una stretta collaborazione tra ricerca clinica e ricerca di
base, organizza un moderno laboratorio di ricerca presso l’area del
Castro Laurenziano.
Ha fornito importanti contributi scientifici nel campo della chirurgia
dell’esofago, dell’ipertensione portale e dei tumori del fegato, dei
tumori del retto ed in chirurgia vascolare.
Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale, ha
profuso un grande impegno nell’attività formativa dei giovani chirurghi dell’ultimo ventennio.
Alla conclusione della sua carriera il Professor Sergio Stipa lascia
nel Dipartimento numerosi suoi allievi professori ordinari: Antonino
Cavallaro, Vincenzo Ziparo, Claudio Modini, Clemente Iascone,
Giorgio De Toma, Giovanni Ramacciato e Luca Di Marzo. Altri suoi
allievi sono diventati primari negli ospedali: A. Thau, P. Leporelli e
M. Lombardi al CTO-S.Eugenio, R. Tersigni al S. Camillo, A.
Moraldi al S. Giacomo, A. Sodaro al Fatebenefratelli, R. Vincenti a
Napoli, A. Natale a Grosseto e S. Scattone in Sardegna.
All’inizio del II millennio nasce la II Facoltà di Medicina della
Sapienza ed una parte della Scuola si sposta nella nuova sede del
Policlinico S. Andrea mantenendo l’afferenza al Dipartimento
Pietro Valdoni. Nella nuova Facoltà si trasferisce il Prof. Vincenzo
Ziparo con 13 tra Professori Associati e Ricercatori, tra cui il Prof.
Giovanni Ramacciato che nel 2001 diviene ordinario.
Al gruppo farà capo una nuova Scuola di Specializzazione in
Chirurgia Generale e due Divisioni di Chirurgia Generale ed un
Servizio di Chirurgia Pediatrica. Nel novembre 2005 il Prof.
Vincenzo Ziparo è eletto Preside della II Facoltà di Medicina.
Direttore del Dipartimento Pietro Valdoni e Direttore della I Scuola
di Specializzazione è attualmente il Prof. Antonino Cavallaro,
allievo del Prof. S. Stipa.
Cavallaro si è dedicato prevalentemente alla chirurgia vascolare alla
quale ha fornito significativi contributi scientifici e nella cui pratica
chirurgica eccelle.
Il Professor Vincenzo Stipa, ha proseguito la Scuola del Professor
Biocca, dirige la Scuola di Specializzazione in Chirurgia Toracica e
il Dottorato di Ricerca in Chirurgia Sperimentale afferenti al
Dipartimento. Suoi allievi ordinari sono i Professori: Antonio
Bolognese che si è dedicato alla chirurgia oncologica ed è l’attuale
204
La Clinica Chirurgica: la Storia e la Scuola
Presidente della Società Italiana dei Chirurghi Universitari; Piero
Chirletti, che si è applicato alla chirurgia d’urgenza; Angelo Di
Giorgio, che ha sviluppato alcune interessanti applicazioni tecnologiche in chirurgia oncologica.
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1. PAZZINI A., La Storia della Facoltà Medica di Roma. Roma, Istituto di Storia
della Medicina, 1961, Vol I., pp.204-205.
2. CAGLI B. (a cura di), Giuseppe Gioacchino Belli. Tutti i sonetti romaneschi.
Compresi i sonetti rifiutati, gli abbozzi e tutte le note dell’autore per la prima
volta pubblicati integralmente. Roma, Newton Compton editori, 1972; (prima
pubblicazione 1964).
3. ALESSANDRI R., Francesco Durante. Discorso commemorativo tenuto
nell’Aula della Clinica Chirurgica. Bollettino e Atti della Reale Accademia
Medica di Roma 1935; LXI (1-3): 138.
4. ALESSANDRI R., op.cit., p. 137.
5. PAZZINI A., op.cit. nota 1, p. 207; STROPPIANA L., Il Policlinico Umberto
I di Roma. Roma, Arti Grafiche Cossidente, 1980, pp. 78-79.
6. DI MATTEO G., Vicende, personaggi e strutture della chirurgia romana al
Policlinico Umberto I nel periodo 1935-1985. Il Giornale di chirurgia 1987;
VIII (2): 193-198.
7. FELICI A., SPOLETINI F., Chirurgia a Roma dalle origini ai giorni nostri.
Roma, Società Editrice Universo, 1983, p.176.
8. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp.72-75.
9. SANTORO E., RAGNO L., Cento anni di chirurgia. Storia e Cronache della
Chirurgia Italiana del XX Secolo. Roma, Edizioni Scientifiche Romane, 2000,
pp. 61-68.
205
CENT’ANNI DI POLICLINICO:
LA CHIRURGIA
GIORGIO DI MATTEO
207
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
I primi anni dell’insegnamento
Fare la storia del Policlinico in questi ultimi cento anni significa
in gran parte fare la storia dell’insegnamento medico moderno a
Roma.
Le prime Scuole Mediche nacquero e si svilupparono negli
Ospedali1, prevalentemente nell’Ospedale di S. Spirito, dove
Leonardo da Vinci aveva ottenuto, già nei primi anni del ‘500, sotto
l’occhio vigile ma discreto di Leone X, il permesso di fare notomia2.
Nel 1815 Pio VII3, sulla scia delle modernizzazioni napoleoniche4, crea corsi di insegnamento “ufficiali” per le materie cliniche e
istituisce una Clinica Medica a S. Spirito ed una Clinica Chirurgica
a S. Giacomo che consisteva in 7 letti uomini e 6 letti donne5.
Questa iniziativa determina una forte opposizione dei Primari che,
niente di meno, riesùmano una bolla di Eugenio IV6 (1431-1447)
che vietava il ricovero di donne a S. Spirito e, alla fine, riducono
l’insegnamento universitario in poche stanze dell’Ospedale per di
più esposte agli straripamenti del Tevere.
L’applicazione di questa riforma dell’insegnamento medico, che
fu in seguito regolamentata efficacemente da Leone XII
(1823–1829) nella bolla Quod Divina Sapientia omnes docet
(1824)7, incontrò forti resistenze anche sotto altri aspetti; per esempio provocò una clamorosa protesta della deputazione degli
Ospedali perché i giovani chirurghi, ormai di diritto entrati in carriera, non prestarono più servizio di assistenza diretta in corsia
-com’era d’uopo per essere ammessi quali discenti- costringendo
l’amministrazione a formare e a reclutare infermieri.
Per motivi organizzativi e di funzionalità Pio IX riunì, nel 1850,
gli Ospedali romani sotto un’unica direzione, ispirò e fece realizzare un programma adeguato per l’assistenza sociale, provvide a trasformazioni e a restauri edilizi affidati all’architetto Francesco
Azzurri che era già intervenuto nell’ospedale Fatebenefratelli.8.
Dal 1815 si succedono nell’insegnamento della Chirurgia, che
consisteva in origine in un corso biennale post-laurea: Giuseppe
Sisco9 (1815-1830), Antonio Trasmondi10 (1830-1834), Bartolomeo
Titocci (1835-1850), Giuseppe Costantini11 (1851-1870).
Nel 1870, con la presa di Roma, l’istruzione universitaria passa al
Regno, ma fino al 1876 continuò a funzionare anche l’Archiginnasio
vaticano e si ha documentazione di una “Clinica Chirurgica” per
qualche tempo ospitata negli Ospedali delle Zoccolette e
Fatebenefratelli12. Nel ’70 si passa dai pontifici “Collegi dottorali”
alle Facoltà e viene fatta una convenzione con l’Ospedale di S.
Giacomo per la Clinica Chirurgica13. Nel 1872-73 la Facoltà di
209
Giorgio Di Matteo
Medicina consta di 31 professori di cui 18 ordinari, 3 straordinari,
10 incaricati; nel 1885 di 25 professori – 11 ordinari, 8 straordinari,
6 incaricati14. Nel 1888 la Clinica Chirurgica si trasferisce in un edificio di Via Garibaldi 44, al Gianicolo, già convento, sifilocomio,
manifattura tabacchi e lanificio. Nel sotterraneo del cosiddetto
“Istituto Chirurgico” si trovava la prima officina per strumenti chirurgici dell’Invernizzi; nel fabbricato c’era anche una “casa di salute”, cioè un reparto di assistenza privato in cui i malati sostenevano
una spesa giornaliera.
Con l’avvento del Regno si avvertì la necessità di provvedere,
oltre che a una nuova organizzazione degli studi superiori di medicina, a una diversa e più congrua sistemazione delle Cliniche.
Giuseppe Corradi, che fu il primo clinico chirurgo dell’Università
Regia (con due reparti di 16 letti ciascuno, per uomini e donne),
vagheggiò la fondazione di un Policlinico per rendere organico l’insegnamento, più vasto il materiale dimostrativo, facile e coordinato
l’accesso degli studenti. Questa proposta, come l’altra di Benedetto
Viale - clinico medico - e la prima di Baccelli (1874), suo successore, che prevedeva un Policlinico di 1200 letti, non ebbero seguito per
diversi motivi. Finalmente Guido Baccelli – Ministro della Pubblica
Istruzione – stila nel 1881 una Convenzione Governo – Comune di
Roma sul documento di una Commissione di studiosi per un
Policlinico con vasti, decorosi e moderni spazi e con larghe attrezzature per la ricerca sperimentale.
L’esigenza della costruzione
E’ interessante leggere la relazione finale di questa
Commissione15 (costituita da Galassi, Mazzoni, Bastianelli,
Toscani, Lanzi, Pantaloni, Pasquali – relatore – e Businelli) che, partendo dalla esigenza riconosciuta che una nuova direzione venga
data all’insegnamento delle varie parti della medicina in modo che
agli studiosi verrà risparmiato non poco disagio cui oggi sottostanno per l’eccentriche e troppo sparpagliate ubicazioni delle cliniche,
esaminò richieste ed opzioni, stabilì che le sole cliniche prescritte
dagli ordinamenti universitari vi si fossero dovute comprendere, dissertò sull’opportunità di stabilirvi anche una clinica dermosifilopatica più adatta all’insegnamento del sifilocomio di imminente attuazione, in modo da sopperire alla funzione dell’Ospedale S.
Gallicano, tanto più che il professore di Clinica Dermosifilopatica
da tre anni lavorava in una troppo modesta abitazione borghese
presa in fitto in via Luciano Manara, nei pressi del S. Gallicano16.
Non meno vivace fu la discussione sul conto della Clinica Ostetrico210
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
Ginecologica che avrebbe potuto essere responsabile di insalubrità
… per centri perenni d’infezione … che si diffonde con l’aria a certa
distanza. A conclusione la Commissione accettò che tutte le attuali
cliniche, obbligatorie per disposizione dei regolamenti, dovessero
essere comprese nel Policlinico…. Agli ospedali clinici di medicina
e chirurgia si assegnarono 150 malati per ciascuno, 50 a quello di
oculistica ed altrettanti a quello di dermatosifilopatica e per ultimo
60 all’ostetricia e ginecologia. Ne conseguiva che il Policlinico
sarebbe stato un ricovero ospedaliero ma pure una vasta Scuola
(siccome dichiarava nel suo discorso l’On. Ministro) e come Scuola
avrebbe avuto i suoi anfiteatri, i suoi laboratori, le sue stanze per
esperimenti, le sue macchine – insomma tutta la suppellettile scientifica necessaria.
Ad una prima indicazione di costruire il Policlinico al lato SudEst della 2ª zona dell’Esquilino segue la scelta, definitiva, dell’area
dove il Policlinico attualmente sorge, ritenuta più salubre, più isolata rispetto al contesto urbano, dove più facile appariva lo smaltimento delle acque; infine si considerò l’utilità di avere più vicino il
“Campo Varano” ai fini di un trasporto tempestivo e rapido dei
cadaveri per l’inumazione in modo da scongiurare la possibilità di
infezione.
Nel 1883 l’architetto Giulio Podesti vince il concorso per il progetto, ma lo deve in seguito radicalmente modificare perché, come
accennato, viene scelta solo in un secondo tempo la zona di Castro
Pretorio. Infine, il 19 gennaio 1888, si pone la prima pietra in presenza dei Reali.
E’ doverosa, a questo punto, una
breve digressione su Guido Baccelli. Fu
un insigne clinico medico, instancabile
negli interessi e nelle espressioni, di
carattere fermo e reattivo, moderno nelle
acquisizioni scientifiche, di vocazione
politica solidaristica per concezione
sociale, di profonda cultura, anche umanistica, geniale nelle intuizioni e originale nelle risoluzioni. Fu due volte ministro della Pubblica Istruzione e una volta
ministro dell’Agricoltura. Come ministro della P.I. sollecitò e fece eseguire
importanti sistemazioni archeologiche e
culturali e, al fine di creare un unico,
Fig. 1 – Guido Baccelli
grande complesso per l’insegnamento
211
Giorgio Di Matteo
della medicina, fece realizzare il Policlinico17. La sua immagine è affrescata
insieme a quella di F. Durante sull’arco
trionfale della cappella dell’Ospedale.
Fig. 2 – I busti di G. Baccelli e F. Durante affrescati
sull’arco trionfale, a sinistra, della Cappella
del Policlinico Umberto I
I lavori presero un ritmo regolare solo nel novembre del 1889,
l’opera fu inaugurata nel 190218 e l’Ospedale aperto agli infermi nel
1904-1905.
Fig. 3 – Frontespizio della pubblicazione
del Ministero dei Lavori Pubblici a ricordo
della costruzione del Policlinico Umberto I.
All’inizio i letti erano 1150 (350 per le cliniche e 800 per l’ospedale) e in seguito aumentarono a 1650. La Clinica Chirurgica aveva
80 letti, con diritto di prelazione di malati in tutti gli Ospedali di
Roma. Ma già nel 1920 l’On. Prof. Giuseppe Cirincione rilevava,
preoccupato, che ben 750 studenti di medicina (su un totale di 1500)
gravitavano in reparti clinici di complessivi soli 250 letti.
Il Policlinico era costato complessivamente L. 18.348.400, in particolare la Clinica Chirurgica 1.695.000 lire e la Patologia Chirurgica
551.000 lire. Vi operavano due amministrazioni differenti, universitaria ed ospedaliera. Infatti, essendo stata demolita verso la fine del
secolo una parte del S. Spirito per la costruzione dei muraglioni fluviali, il Policlinico, inizialmente concepito come istituzione universitaria, ospitò anche un complesso ospedaliero in base ad una
Convenzione Governo-Commissione degli Ospedali del 28/2/189819.
Il Policlinico si estendeva per circa 160.000 metri quadrati di cui
solo 10.000 coperti dagli edifici. Il lato maggiore del quadrilatero,
212
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
corrispondente alle mura di Belisario, era di 561 metri. Per ragioni
di “ventilazione” le Cliniche Ostetrica e di Malattie Infettive con la
lavanderia furono poste rispettivamente agli angoli Nord-Est e SudEst del complesso.
Fin dai primi tempi del funzionamento l’amministrazione lamentò deficit economici preoccupanti tanto che già nel 1908 lo Stato fu
costretto ad assumersi il carico di ripianare i debiti.
I Maestri, la didattica, la ricerca
Giuseppe Corradi20 tenne la direzione della Clinica Chirurgica dal
1870 al 1872, quando, per ragioni famigliari, se ne tornò a Firenze,
da dove proveniva. Gli successe Costanzo Mazzoni, di Ascoli
Piceno, chirurgo di gran perizia (si era perfezionato a Parigi) e fervente patriota (si era battuto con Garibaldi alla difesa di Roma)21.
Fig. 4 – Costanzo Mazzoni (a dx)
con un suo collaboratore
Fu convinto assertore della chirurgia scientifica; ricoprì la carica
di Presidente del Consiglio Superiore di Sanità del Regno. Morì
improvvisamente nel 1885, intento a prestar soccorso ad un infermo, e insegnando così – come scrisse Baccelli – non solo a vivere
ma anche a morire22.
A Mazzoni succede come Professore Straordinario di Clinica
Chirurgica Francesco Durante, anch’egli perfezionato all’estero,
combattente della guerra franco-prussiana, Senatore del Regno.
Durante si trasferì al Policlinico dall’Istituto Chirurgico del
Gianicolo nel 1905 e vi svolse un’attività chirurgica molto intensa e
varia che sta alla base della sua ben nota produzione trattatistica23.
Nel 1920 Roberto Alessandri succede a Francesco Durante, suo
Maestro. Egli guida una folta schiera di allievi ed elabora per la
213
Giorgio Di Matteo
disciplina una rigorosa interpretazione scientifica - era già stato
Professore di Istologia ed Embriologia -, persegue moderne formule
organizzative e cura l’ampliamento
della Clinica. Questa dispone, sotto
la sua direzione, di una sala operatoria principale e di una accessoria
nell’aula delle lezioni, di 90 letti,
equidivisi tra uomini e donne, di
biblioteca, laboratori, sala sperimentale, museo anatomopatologico,
radiologia diagnostica e radioterapia. Come si vede, Alessandri aveva
curato in modo particolare l’autonomia organizzativa della propria clinica e probabilmente da quel
modello, che d’altra parte corriFig. 5 – Busto di Francesco Durante
spondeva a quello della Clinica
Medica, derivarono in seguito
l’aspirazione e la politica delle Cliniche universitarie a mantenere la
propria indipendenza operativa che però, al giorno d’oggi, contrasta
con il concetto di centralizzazione dei servizi.
Qualcun altro, invece, nello stesso periodo, già si centralizzava.
Difatti, nel 1936, contemporaneamente alla nascita della Città
Universitaria, affermazione di una via italiana al razionalismo strutturale, veniva inaugurato l’Istituto di Radiologia costituito da dieci
sezioni di diagnostica, cinque di terapia, un reparto operatorio, due
corsie di degenza, laboratori ed ambulatori, per una spesa complessiva di 3.500.000 lire (coperta al 50% dall’allora Regia Università),
cui facevano capo, per le esigenze diagnostiche e terapeutiche,
anche i padiglioni ospedalieri.
Ad Alessandri succede, nel 1938, Raffaele Paolucci, proveniente
dalla Clinica di Bologna. La burocrazia subito lo sommerge.
Commenta infatti con queste parole il lavoro informativo-amministrativo: Dal rettorato circolari su circolari, a getto continuo mentre nelle altre Università dove ero stato non ne ricevevo che nel
numero di due o tre all’anno: non dare la mano, parlare col voi, chi
furono i vostri nonni, quanti figli avete, chi avete sposato, quante
lezioni avete impartito, quale è il programma che volete svolgere,
firmate dopo ogni lezione, date assicurazioni, non sprecate la carta,
quale è l’attività cui vi dedicate principalmente? Pare che a que214
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
st’ultima domanda il Prof. Bosellini, dermatologo, replicasse così:
l’attività principale consiste nel rispondere alle vostre circolari24.
Ordunque la necessità di un intenso impegno al giorno d’oggi necessario per dirigere a Roma un Istituto o, meglio, un Dipartimento universitario, trova radici lontane e profonde.
Paolucci aveva affondato a Pola, nel
1918, la corazzata Viribus Unitis,
ammiraglia della flotta austriaca, e questo merito di guerra pesò negativamente sul giudizio chirurgico che di Lui
all’inizio si diede. In realtà egli era
dotato di un eccezionale temperamento
chirurgico che fece di lui un abilissimo
operatore. A lui si debbono la prima iniziativa e la più vasta casistica di chirurgia polmonare in Italia, una grandissima esperienza nella chirurgia dello stoFig. 6 – Raffaele Paolucci
maco e dell’intestino, della milza, della
tiroide e delle paratiroidi, la prima operazione con successo sulla
fistola congenita tracheoesofagea e notevoli ricerche sperimentali.
Fu uomo di grande disciplina interiore, vibrante di contenuti ideologici, oratore affascinante, scrittore, protagonista di alta cultura, infine anche uomo politico ma non mercante della politica25.
Nel dopoguerra Paolucci sperimentava l’amara sospensione temporanea dall’insegnamento per motivi politici. Per tre anni la cattedra è tenuta da Ettore Ruggieri, suo allievo, che diventerà Patologo
e Clinico di Napoli, capostipite di una fiorente Scuola tuttora in
espansione prestigiosa.
A Paolucci, scomparso improvvisamente nel 1958 a 66 anni, succede - in Clinica Chirurgica - Pietro Valdoni, Patologo Chirurgo a
Roma dal 1946-’47.
E qui conviene fare qualche cenno sull’insegnamento di Patologia
Chirurgica nell’ateneo romano. Nel 1870-1871 questa materia aveva
preso il posto della chirurgia theoretica che esisteva
nell’Archiginnasio Pontificio ed era stata insegnata successivamente dai professori G. Pancioni, P. Umana, F. Scalzi, C. Mazzoni, F.
Durante, G. D’Urso. Dal 1902 al 1920 era stato patologo Alessandri,
che abbiamo già visto clinico dopo il 1920. Nel Regolamento del 22
ottobre 1908 la Patologia chirurgica sperimentale dimostrativa fa
parte di un gruppo di materie che comprende la Clinica Chirurgica,
la Semeiotica e la Medicina Operatoria. Dal 1920 l’insegnamento
215
Giorgio Di Matteo
della Patologia Chirurgica dimostrativa viene assunto da Giovanni
Perez che amplia e migliora l’Istituto (studiato da Gaspare D’Urso),
nella cui struttura ha sede anche la Clinica Otorinolaringoiatrica.
Perez dà all’insegnamento un prevalente indirizzo teorico-dimostrativo; sdoppia, per primo, la Patologia Chirurgica, dando l’incarico a
Rosario Pandolfini (dal ’37-’38 al ’39-’40) e poi a Vittorio
Puccinelli (dal ’40-’41 al ’43-’44), primario al I Padiglione.
A questo punto si innesta una citazione particolare, cioè dei rapporti fra Chirurgia universitaria e Chirurgia ospedaliera al
Policlinico. Questi rapporti non si esauriscono nel senso di una semplice coabitazione qualche volta sofferta e discorde, come può apparire da un esame superficiale e contingente, ma si esaltano in fasi di
cooperazione produttiva e di competizione tecnico-professionale di
alto livello. C’è stata al Policlinico una Scuola Ospedaliera, ufficialmente sancita dalla convenzione del 1937 con i primari “aggregati
clinici”26 e con gli sdoppiamenti, appunto, della Patologia
Chirurgica. Gli ospedalieri hanno espresso grandi personalità chirurgiche come Lucio Urbani, Angelo Chiasserini, Vittorio Puccinelli27.
Su tutti si staglia il profilo indiscusso di Raffaele Bastianelli, primario al I Padiglione, operatore esperto e capace, fondatore di una
Scuola Ospedaliera che produsse una cultura pratica d’alto livello,
dotato di non comune intuito scientifico. Si dedicò in modo particolare allo studio dei tumori sostenendo che la chirurgia era, per la sua
epoca, l’unico mezzo terapeutico valido, almeno per gli stadi non
avanzati di malattia. La concezione di Bastianelli non era assolutista
ed egli stesso prevedeva la possibilità di poter dominare, nel futuro,
sviluppo e diffusione dei tumori con altre terapie non cruente; ma
sottolineava che, fino a quel momento, la chirurgia comunque
avrebbe rivestito un ruolo terapeutico essenziale.
Chiusa questa parentesi torniamo alla Patologia Chirurgica.
Dopo Perez essa viene retta brevemente per incarico da Giacomo
Giangrasso; poi è chiamato da Firenze Pietro Valdoni.
Valdoni allarga le potenzialità recettive e funzionali dell’Istituto,
esalta tutti i campi della moderna chirurgia promuovendovi parallelamente la ricerca scientifica e adeguandovi la didattica, presiede la
Società Italiana di Chirurgia, dà un impulso dominante alla costruzione del nuovo edificio della Patologia Chirurgica inaugurato nel
1958, che nel 1959 diventa Clinica Chirurgica, perché Valdoni succede a Paolucci. In Patologia Chirurgica viene chiamato da Pisa il
Prof. Stefanini a favore del quale, nel 1964, si sdoppia la Clinica
Chirurgica.
A metà degli anni sessanta si raggiunge il massimo della recetti216
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
vità effettiva e della funzionalità delle
Cliniche Universitarie con 653 letti di
chirurgia generale e 95 di urologia con
un indice di occupazione che sfiora il
100%. Certamente si era fatta molta
strada dai tempi dell’Ospedale S.
Giacomo, ma neanche in quegli anni si
potè comunque realizzare la corrispondenza adeguata e moderna tra richiesta
didattico-dimostrativa e offerta strutturale e funzionale.
Il Prof. Valdoni e la sua Scuola vengono ricordati ampliamente, in questo
volume, da Vincenzo Ziparo.
Paride Stefanini, anch’egli, come
Valdoni, allievo di Alessandri, dopo una
Fig. 7 – Paride Stefanini
proficua parentesi ospedaliera a
L’Aquila, era stato professore ordinario prima a Perugia poi a Pisa
ed infine, dall’anno accademico 1959-1960, assume la direzione
della Patologia chirurgica di Roma: nell’Università di Pisa rimangono i Suoi allievi Mario Selli e Massimo Ermini. E’ un chirurgo di
eccellente esperienza professionale e molteplici interessi scientifici,
innovatore e vigoroso propositore organizzativo. Anticipa i tempi
della moderna chirurgia, ha una visione originale degli attuali sistemi didattici, passione di iniziative, impegno costante di aggiornamento. Con queste sue qualità e con gli impulsi che gli provengono
dal carattere inquieto e brillante realizza la promozione chirurgica
specialistica, oltre che generale (chirurgia toracica, vascolare, dei
trapianti), dà un’impronta inconfondibile del suo pensiero all’insegnamento universitario, fonda le due Università libere di L’Aquila e
di Mogadiscio, allarga e caratterizza il suo “Istituto Policattedra”, è
Presidente della Società Italiana di Chirurgia. Molti suoi allievi
diventano professori ordinari della Facoltà: Guido Castrini,
Vincenzo Speranza, Giorgio Ribotta, Raffaello Cortesini, Manlio
Carboni, Franz Rizzo; Paolo Fiorani e Fabrizio Benedetti Valentini
in Chirurgia vascolare, Costante Ricci in chirurgia toracica. Ulteriori
generazioni della Sua Scuola vedono al Policlinico N. Basso, E.
Lezoche, M. Simi, G. Mennini, A. Basoli, G. Pappalardo, C.
Montesani, F. Procacciante, P. Negro; D. Alfani e P. Berloco, alla
chirurgia dei trapianti, F. Coloni in chirurgia toracica, F. Speziale in
chirurgia vascolare.
Alcuni Allievi della Scuola insegnano o hanno insegnato in altre
217
Giorgio Di Matteo
università e facoltà romane: C. Casciani, E. Gentileschi, R. Pistolese
(chirurgia vascolare), C. Mineo (chirurgia toracica) nell’Università
di Tor Vegata; A. Arullani al Campus Biomedico; N. Rendina (chirurgia toracica) nella II Facoltà – Ospedale S. Andrea.
Altri, generalmente più giovani accademicamente, sono professori in altre università italiane.
Fra gli allievi del Prof. Valdoni (e, in questo caso, anche del Prof.
Paolucci) che prestigiosamente hanno tenuto l’insegnamento a
Roma ricordo in particolare il Prof. Giovanni Marcozzi, prima
Semeiota quindi Patologo e Clinico Chirurgo, cui si devono il forte
impegno per la costruzione dell’edificio di III Clinica Chirurgica e
la formazione accademica di un
folto gruppo di
professori ordinari
che hanno insegnato nella nostra
Facoltà medica:
Giorgio Di Matteo, direttore dell’Istituto di Clinica Chirurgica III
dal 1985 al 2001,
Vincenzo Martinelli,
direttore
dell’Istituto di IV
Clinica Chirurgica
dal 1985 al 2000,
Fig. 8 – III Clinica Chirurgica (attualmente Dipartimento di
Silvio Messinetti,
Scienze Chirurgiche)
Alberto Montori,
Giampaolo Zelli, Vanni Beltrami. Dal gruppo di Di Matteo derivano numerosi allievi che hanno raggiunto la cattedra di chirurgia
generale nella Facoltà Medica della Sapienza: Francesco Paolo
Campana, Enrico De Antoni, Angelo Filippini, Antonio Cancrini jr.,
Filippo Custureri, Alberto Berni, Massimo Monti, Adriano Redler,
Agostino Pierro, professore di chirurgia pediatrica a Londra, recentemente chiamato a Roma dalla nostra Facoltà. Francesco Vietri,
allievo di Martinelli, è professore e Direttore nel Dipartimento di
Scienze Chirurgiche e Tecnologie Mediche Applicate “Francesco
Durante”.
Nella IV Clinica Chirurgica, diretta da V. Martinelli, raggiungevano l’ordinariato anche i Proff. Giovanni Galassi e Marcello Bezzi.
218
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
Altri professori della Scuola hanno avuto destini diversi: Achille
Lucio Gaspari all’Università di Tor Vergata; Antonio Napolitano,
Salvatore Stella, Carlo Marchegiani, Luciano Corbellini, Nicola
Picardi, all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, Giuseppe
Mocavero in anestesiologia all’Università di Trieste. C’è inoltre
un’ulteriore generazione di professori, derivati dal nostro gruppo,
che insegnano attualmente nell’Università di Chieti: G. Gidaro, P.
Innocenti, R. Sacco.
Si aggiunga a questi una schiera molto numerosa di professori
associati, di ricercatori e di primari ospedalieri a Roma (A. Cancrini
senior urologo all’Istituto dei Tumori, A. Morabito chirurgo vascolare al San Camillo, F. Zechini chirurgo generale al Policlinico e
all’Ospedale Pertini) e fuori Roma.
La sede “storica” e “centrale” di questa Scuola è l’originario
Istituto di III Clinica Chirurgica, oggi Dipartimento di Scienze
Chirurgiche, ampio ed attrezzato edificio (attivato nel 1967) capace
di circa cento letti di degenza che, nel tempo, è stato progressivamente dotato di autonomi, eccellenti servizi. Nei primi anni ’90
sono stati acquisiti all’Istituto altre due strutture, il IV Padiglione
Fig. 9 – Francesco
Cossiga,
Presidente della
Repubblica,
in visita alla
III Clinica
Chirurgica,
a colloquio con il
Prof. G. Di Matteo
ospedaliero del Policlinico, già Clinica Urologica, (di circa 50 letti,
dotato di tre camere operatorie, di spazi e di attrezzature per la didattica e per la ricerca) e un insediamento a Palazzo Baleani come laboratorio di attività accademiche organizzative e di ricerca.
L’Istituto è stato diretto fino al 1985 dal Prof. Marcozzi, dal 1985
al 2001 dal Prof. Di Matteo e, quindi, dal Prof. Campana.
Gli interessi scientifici, metodologici e tecnici della Scuola si
sono sviluppati in diversi campi della chirurgia. Prevalgono ricerche
e casistiche riguardanti l’endocrinochirurgia, la chirurgia oncologi-
219
Giorgio Di Matteo
ca dello stomaco e del colon-retto, la chirurgia biliare, la chirurgia
vascolare, quella polmonare, la microchirurgia, la chirurgia della
mammella e plastico-ricostruttiva, la chirurgia urologica, la chirurgia endoscopica: un buon impulso ha avuto, fin dai primordi, la chirurgia laparoscopica.
Sono presenti nel Dipartimento, operanti da decenni, tre Scuole di
Specializzazione: Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare, Chirurgia
Digestiva, alcuni Dottorati e Corsi di alta formazione.
Un centro di documentazione scientifica, fra i primi ad essere costituito nel Policlinico e che si deve prevalentemente al Prof. Giorgio
Palazzini, si basa su un imponente archivio iconografico di casistica e
comprende anche numerosissimi film di tecniche chirurgiche, generali e specialistiche di grande valore per ricerche, didattica, pubblicazioni e divulgazioni chirurgiche.
Molti Docenti della Scuola, in particolare Filippini, hanno fortemente contribuito, su indicazioni della Facoltà, alla nascita ed allo
sviluppo del Polo Pontino della Sapienza svolgendo in quella sede
il loro insegnamento ed anche alcune qualificate attività chirurgiche. Altri hanno anche assunto ruoli ed impegni rappresentativi ed
organizzativi accademici, societari, politici. Di Matteo e Messinetti
sono stati Prorettori vicari della Sapienza per lunghi periodi di
tempo. Di Matteo ha rivestito le cariche di Segretario Generale e di
Presidente della Società Italiana di Chirurgia e dell'Eurosurgery,
Montori è stato Presidente della Società Europea di Chirurgia
Endoscopica, De Antoni Segretario Generale della S.I.C. e
Presidente del Corso di Laurea specialistica in Medicina e
Chirurgia “B”. Redler è stato Presidente del Consiglio ed Assessore
della Regione Lazio.
Lo spazio a disposizione non mi consente di tracciare in particolare l’origine, lo svolgimento ed il progresso, nel Policlinico, di
quelle discipline chirurgiche che già negli anni ’30 avevano assunto
legittimamente un’autonoma identificazione.
In questi 50 anni nel Policlinico si è costruito, ricostruito e ristrutturato ma non così intensamente da stravolgerne l’impianto originario28.
Queste succinte cronache si concludono con la considerazione che,
nel Policlinico, nelle diverse espressioni culturale e professionale si è
sempre perseguita una “ricerca di equilibrio tra tradizione e innovazione che, per le istituzioni culturali, è condizione decisiva di vitalità”.
Per la chirurgia il periodo da noi tratteggiato rappresenta un passaggio storico cruciale per l’evoluzione dei metodi e delle tecnolo220
Cent’anni di Policlinico: La Chirurgia
gie, per gli incessanti cambiamenti organizzativi, per le nuove concezioni didattiche.
Più che con un elenco di opere, d’altra parte ben conosciute,
voglio concludere in questa sede con un’emotiva riflessione29. Tutti
al Policlinico, medici e non medici, hanno sempre cercato di onorare il loro lavoro con un grande senso di filosofia morale e sociale,
con una scrupolosa riflessione epistemologica, con un impegno operativo spesso di prim’ordine. Sono sicuro che non verranno meno
questi sentimenti nonostante le difficoltà, le rarefazioni e i sussulti
giornalieri e che la coscienza dei doveri formativi e assistenziali guiderà e conforterà sempre l’impegno professionale di tutti.
BIBLIOGRAFIA
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l’anno 1865. Roma, Tip. Menicanti, 1866.
12. STROPPIANA L., op. cit., cfr. nota 5.
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condizioni materiali dell’Università romana riveduta da un Romano. Estratto
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15. CANEZZA A., op. cit., cfr. nota 2.
16. STROPPIANA L., op. cit., cfr. nota 8.
17. BACCELLI A., Guido Baccelli. Milano, Zucchi, 1940.
18. MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI. Ufficio Speciale del Genio Civile di
Roma. Ricordo della costruzione del Policlinico Umberto I. Roma, Officina di
fotoincisione Ospizio S. Michele, MDCCCCII.
19. SISCO G., op.cit., cfr. nota 9.
20. GIORDANO D., Chirurgia. Enciclopedia scientifica monografica italiana del
XX secolo (voll. I e II). Bompiani, 1938.
21. NATALUCCI G., Medici insigni italiani antichi moderni e contemporanei
nati nelle Marche e loro contributi clinico-scientifici. Falerone, Menicucci,
1934. MAZZONI C., Anno primo e secondo di Clinica Chirurgica nella R.
Università di Roma. Roma, Stabilimento Tipografico del don Pirloncino,
1873. INDICE decennale dei lavori pubblicati dalla R. Accademia Medica di
Roma dalla fondazione fino a tutto l’anno 1884. Roma, Tipografia Fratelli
Centenari, 1890.
22. BACCELLI A., op.cit., cfr. nota 17.
23. MARGARUCCI O., Personaggi di rilievo ed episodi nell’esercizio professionale di un chirurgo a Roma. Roma, Fratelli Palombi, 1956.
24. PAOLUCCI R. di V., Il mio piccolo mondo perduto. Bologna, Cappelli, 1947.
25. DI MATTEO G., Vicende, personaggi e strutture della chirurgia romana al
Policlinico Umberto I nel periodo 1935-1985. Il Giornale di Chirurgia 1987;
8:193-198.
26. SISCO G., op.cit., cfr. nota 9.
27. PUCCINELLI V., Pratica chirurgica. Bologna, Cappelli, 1938.
28. AA.VV., Policlinico Umberto I. Piano di ristrutturazione del sistema urbanistico ed edilizio del Policlinico Umberto I. Roma, Gangemi, 2000.
29. DI MATTEO G., op. cit., cfr. nota 25.
222
LA CLINICA OSTETRICA E GINECOLOGICA
ANTONIO PACHÌ
223
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
L’esigenza della costruzione
Quando nel 1888 si dette luogo alla progettazione esecutiva per la
costruzione del Policlinico Umberto I, preziosi furono i suggerimenti per la realizzazione dell’edificio di Clinica Ostetrica e
Ginecologica forniti da Ercole Pasquali, a quel tempo Titolare della
cattedra di Clinica Ostetrica e Ginecologia dell’Università “La
Sapienza” di Roma. Il progetto di Pasquali prevedeva la realizzazione di tre distinti corpi di fabbrica1: per la ginecologia, per le gestanti e per le puerpere, ed ognuno di detti corpi doveva far capo ad una
grande aula centrale ad anfiteatro che costituiva il fulcro del “sistema didattico-assistenziale”.
Nel primitivo progetto1, con felice
intuizione, era anche previsto un attiguo
edificio per la Clinica pediatrica, sancendo così l’indispensabilità di una
stretta collaborazione tra ostetrici e
pediatri. Successivamente, invece, nel
1932 la Clinica Pediatrica fu realizzata a
parte con diverso disegno.
Il fabbricato per il ricovero delle
gestanti aveva 12 letti, cinque camere
per le malate infette, 2 sale parto, refettorio, stanze soggiorno e servizi. Le
puerpere erano ricoverate nella corsia al
Fig. 1 – Pianta dell’Istituto di
1° piano, mentre al 2° piano era organizClinica Ostetrica-Ginecologica
zato un reparto a pagamento. Quattro
erano i dormitori per le allieve ostetriche
corredati di stanze per i servizi e di una biblioteca. I tre reparti erano
collegati ad un fabbricato sporgente, con un’aula capace di ospitare
120 studenti, la direzione sanitaria e gli ambulatori. La nuova clinica Ostetrico-Ginecologica, alla sua inaugurazione, aveva una capacità di 56 posti letto 2.
I Maestri, la didattica, l’attività di ricerca
Ercole Pasquali unì la sua opera di docente e di Presidente della
Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia all’impegno della direzione del Bollettino trimestrale del Reale Istituto Ostetrico e
Ginecologico di Roma ed alla pubblicazione di numerosi articoli.
La scuola di Perfezionamento di Ostetricia e Ginecologia fu istituita nel 1906, un anno dopo la sua morte, ed iniziò a funzionare nell’a.a. 1907-1908 grazie ad Ernesto Pestalozza, docente dal 1905 al
225
Antonio Pachì
1934, che successe al Pasquali.
La scuola aveva carattere eminentemente pratico e durava un
anno; essa riuscì a formare centinaia di allievi, molti dei quali si
inserirono come docenti in altre Università e nelle scuole per
Ostetriche, altri invece furono assorbiti nelle strutture sanitarie e di
ricerca scientifica che la Società, sempre più articolata, man mano
veniva creando.
Ernesto Pestalozza, nato a Milano nel 1860, era stato allievo di
Alessandro Cuzzi all’Università di Pavia, dove si era laureato nel
1884 e dove, nel 1889, aveva conseguito la libera docenza. Nel 1895
venne chiamato a Roma, dopo aver diretto la cattedra di Genova nel
1891 e successivamente quella di Firenze nel ’92.
Egli diede all’insegnamento e alla ricerca un indirizzo fisio-patologico, cercando di interpretare i ritmi biologici nella evoluzione
della gravidanza. Si dedicò, in particolare, agli studi dell’anatomia
dell’utero in gravidanza e durante il parto, contribuendo ai progressi della tecnica chirurgica, soprattutto per le correzioni degli spostamenti di posizione dell’utero e per il prolasso. Pestalozza intuì per
primo che la causa del corion-epitelioma era da ricercarsi negli elementi ovulari e diede un notevole contributo alla
dottrina delle autointossicazioni gravidiche. Era contrario alla limitazione delle
nascite, alla sterilizzazione coattiva, agli
interventi inutilmente demolitori e fu
uno degli ispiratori dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, creata nel
1927, alla cui organizzazione diede un
contributo basilare3. Fu Senatore del
Regno e per due volte Presidente della
Società Italiana di Ostetricia e
Ginecologia, della quale scrisse una
memoria per celebrarne i primi trenta
anni di attività. Fondò la rivista La
Ginecologia.
Nel 1927 la Clinica Ostetrica del
Policlinico Umberto I venne ampliata e
la sua ricettività portata a 100 letti. I
suoi laboratori furono ristrutturati e
dotati di moderne apparecchiature per
ricerche sierologiche, chimiche e fisico-
226
Fig. 2 – Busto di Ernesto
Pestalozza
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
chimiche. Inoltre furono istituiti reparti radioterapici all’avanguardia per quei tempi e fu migliorato l’isolamento delle pazienti infette. Alle dipendenze della Clinica furono create due Guardie
Ostetriche permanenti, una presso la Clinica Ostetrica del
Policlinico Umberto I e l’altra nel centro storico di Roma nel quartiere Trastevere presso la Maternità Savetti rimasta attiva fino agli
inizi degli anni ’60.
Pestalozza fu relatore a congressi internazionali della specialità,
membro dell’Accademia di Medicina di Parigi, della Società
Ostetrica di Edimburgo e di quella belga di Ostetricia e Ginecologia,
oltre a quelle di Monaco, Budapest, Lipsia e Buenos Aires. Fu anche
autore delle voci riguardanti l’ostetricia nella Enciclopedia
Treccani. Dimostrò che con una più larga applicazione della laparotomia era possibile ottenere la sopravvivenza del feto anche in presenza di gravi viziature pelviche contro il parere di chi indicava
l’aborto come unica soluzione del caso. Parimenti si mostrò contrario all’aborto per ragioni eugenetiche, sostenendo che era prematuro applicare alla specie umana i postulati di una scienza troppo
nuova e non ancora sufficientemente sperimentata sugli animali. Si
oppose all’aborto per ragioni economico-sociali, ritenendolo immorale, e parimenti fu anche contrario all’obbligo del certificato medico prematrimoniale, poiché riteneva che nessun medico potesse
seriamente garantire, con un atto pubblico, lo stato di salute dei
coniugi, data la latenza di alcune malattie come la blenorragia e la
sifilide al tempo molto comuni. Fu avverso alla sterilizzazione a
scopo eugenico e riteneva che il cosiddetto miglioramento della
“razza” si sarebbe meglio potuto raggiungere mediante un adeguato
perfezionamento sia fisico che morale.
Nel I Congresso di Ostetricia Sociale nel 1919 tracciò una sintesi
dei problemi della tutela della salute della madre e del figlio che
sostenne sia nelle direttive dell’O. N. M. I. (Opera Nazionale
Maternità ed Infanzia) che nella sua attività di Senatore. Pestalozza
è stato il primo professore romano a creare intorno a sé un vera
Scuola e dare un personale indirizzo alla ricerca scientifica, orientandola alla sperimentazione.
Nel 1924 il nuovo Statuto Universitario definì la regolamentazione di quegli istituti, (tra cui anche quello di Ostetricia e Ginecologia)
che erano nati come enti culturali e si erano costituiti grazie all’associazione di professori e liberi docenti di cattedre affini e complementari. Parimenti venivano regolamentate anche le Scuole di
Perfezionamento nelle varie discipline ed i Diplomi con la qualifica
di Specialista.
227
Antonio Pachì
Pestalozza morì il giorno di Natale del 1934 ed a riconoscimento
dei suoi meriti gli è stata intitolata una strada di Roma, nella zona
Boccea.
A lui successe fin dal gennaio 1935, un ostetrico della stessa scuola, Paolo Gaifami, che aveva già trascorso sedici anni nella Clinica
Ostetrica di Roma ed era stato poi chiamato a dirigere la Cattedra di
Sassari nel 1923 e successivamente quella di Siena nel ’24 e quella
di Bari nel ’25. Gaifami era nato a Como nel 1883, si era laureato a
Padova nel 1907 ed aveva conseguito nel 1915 la Libera Docenza
sotto la direzione di Pestalozza. Quando fu chiamato alla cattedra di
Roma Gaifami riordinò e ampliò la Clinica, divenuta ormai insufficiente per l’accrescersi della popolazione scolastica. Notevoli i suoi
lavori di anatomia patologica fetale, le ricerche di istologia placentare, i rilievi sulla reazione deciduale della mucosa della portio, sui
polipi cervicali, sugli aspetti istologici del cancro dell’utero in gravidanza, sulla mola vescicolare, sulla patogenesi del distacco di placenta normalmente inserta. Di grande interesse anche i suoi studi sul
corion-epitelioma, sui tumori dell’utero e dell’ovaio, sulla T.B.C.
genitale. Per primo in Italia realizzò il taglio cesareo sul segmento
inferiore dell’utero4. Come allievo di Pestalozza e seguace del suo
credo professionale, si trovò a svolgere il suo mandato di professore in uno dei periodi storici più difficili della nostra epoca. La guerra in Etiopia, che aveva portato alle “sanzioni” ebbe come effetto la
chiusura dell’Italia in un nazionalismo cupo che non riguardò soltanto gli scambi economici con l’Europa e l’America, ma condizionò nel nostro Paese anche la ricerca scientifica. Il dramma della
guerra, con gli uomini al fronte, esasperava i problemi delle donne
e i quartieri popolari di Roma si riempirono con gli esuli dal fronte
di Cassino. Oltre al contributo scientifico a favore delle madri e dei
neonati, Gaifami si è interessato dei problemi di legislazione sanitaria ed ha chiesto una chiarificazione dei diritti professionali degli
specialisti in Ostetricia e Ginecologia. Ha ricoperto la carica di
Ispettore Superiore dell’O.N.M.I ed è stato membro del Consiglio
Superiore di Sanità e Presidente della Società Italiana di Ostetricia e
Ginecologia dal 1936 al 1939 e dal 1942 al 1944.
Roma visse in quella primavera del ’44 uno dei momenti più
drammatici della sua storia. Evacuata dai tedeschi Cassino il 17
maggio, nessun diaframma si opponeva più tra la città e le Forze
Alleate. Che cosa sarebbe successo se i tedeschi avessero deciso di
difendere Roma? Quale funzione, in questo caso, avrebbero dovuto
assumere gli ospedali, era facile immaginare. Il 3 giugno Kesserling
diede ordine alle truppe tedesche di ripiegare oltre Roma e il 4 giu228
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
gno, mentre gli ultimi “panzer” partivano dalla stazione di San
Paolo, le prime “jeeps” della 5° Armata Americana entrarono a Porta
San Giovanni.
Paolo Gaifami morì sotto il bombardamento di Roma del 14
marzo 1944 mentre si trovava nel quartiere di San Lorenzo nei pressi dell’Università. Un busto di bronzo lo ricorda ai ginecologi italiani all’ingresso dell’Aula Magna della Clinica Ostetrica e
Ginecologica del Policlinico Umberto I.
Fig. 3 – Busto di
Paolo Gaifami
Fig. 4 – Paolo
Gaifami
In quei giorni drammatici si scelse di
risolvere la “successione Gaifami” utilizzando forze disponibili all’interno dell’ambiente universitario romano. Fu infatti chiamato alla direzione
della Clinica Ostetrica e Ginecologica del Policlinico Umberto I,
come supplente, Roberto Bompiani; “figlio d’arte” dell’ostetrico
Arturo Bompiani, era nato nel 1890, si era laureato a Roma nel
1914, era stato assistente volontario dal 1915 al 1919 nella Clinica
Ostetrica e Ginecologica di Roma. Successivamente Assistente
degli Ospedali Riuniti di Roma fino al 1922, anno in cui tornò alla
Clinica Universitaria, prima in qualità di Assistente e successivamente di Aiuto. Bompiani nel 1925 conseguì la Libera Docenza. Nel
1936 diresse la Clinica Ginecologica di Palermo e nel 1937 vinse il
concorso per la Clinica di Sassari, alla quale rinunciò per dirigere
l’Istituto di Maternità degli Ospedali Riuniti di Roma nel quartiere
Monteverde. Numerose le sue pubblicazioni sia di anatomia che di
fisiologia ostetrica. Di notevole importanza il suo Trattato di
Ostetricia rivolto sia agli studenti che agli specializzandi. Bompiani
morì giovanissimo a soli 57 anni5.
229
Antonio Pachì
Quando Luigi Cattaneo arrivò alla Cattedra di Roma, nel 1945,
si rese subito conto che era necessario riempire i vuoti lasciati dalla
guerra, riallacciare sul piano culturale i contatti con gli altri Paesi,
prepararsi ad affrontare un periodo di prevedibile sviluppo demografico. Nella ricerca scientifica, la preoccupazione di non essere
lasciato indietro, portò Cattaneo ad accelerare i tempi e, in alcuni
casi, egli si trovò all’avanguardia.
Era nato a Vellozzo Bellini in provincia di Pavia. Partì per il fronte come ufficiale medico. Si perfezionò quindi in Ostetricia e
Ginecologia, discipline che andavano sempre più acquisendo carattere chirurgico. Fu Assistente volontario nella Clinica OstetricoGinecologica di Pavia dal ’19 al ’22 e successivamente nel ruolo di
Assistente effettivo e quindi in quello di Aiuto. Nel 1927 Cattaneo
seguì il suo maestro, Emilio Alfieri, che si stava trasferendo
all’Università di Milano per sostituire Luigi Mangiagalli. Nel 1928
conseguì la libera docenza in Clinica Ostetrica e Ginecologica e nel
1935 fu nominato Direttore, prima incaricato e successivamente
ordinario, della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di
Perugia, dove restò dieci anni. Nel ’45, dopo la tragica morte, sotto
i bombardamenti, di Paolo Gaifami e la breve supplenza di Roberto
Bompiani, fu chiamato alla Cattedra di Roma, dove rimase fino al
raggiungimento della pensione nel 1960.
Le ricerche di Cattaneo, modificando
acquisizioni già date per certe, apportarono un reale contributo alla conoscenza
della fisiologia fetale e lo collocano tra
gli antesignani della moderna medicina
fetale. Egli fu, inoltre, un tenace sostenitore del parto naturale, limitando l’uso
del forcipe e denunciando l’abuso del
taglio cesareo. Introdusse in Italia il
parto pilotato ed istituì corsi di psicoprofilassi, propagandandoli sia tra gli ostetrici che direttamente tra le partorienti6.
Richiamò per primo l’attenzione
Fig. 5 – Luigi Cattaneo
sulla necessità di controlli urologici in
ginecologia, illustrando le sindromi urologiche di interesse ginecologico e insistendo sulla distinzione tra sintomi urologici e sintomi
ginecologici. Nella lotta contro il cancro dell’apparato genitale femminile fu un caposcuola ed organizzò centri di diagnosi precoce,
precorrendo anche in questo i tempi. Egli diede un reale contributo
230
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
alla ginecologia operativa e nella cura del carcinoma cervicale fu
sostenitore di un intervento chirurgico totale, contro il parere di
quelli che, almeno per un certo periodo, preferirono il trattamento
radiante. Tuttavia, come chirurgo, non seguì mai la strada dei grandi interventi demolitori, solo per il gusto di indulgere a virtuosismi.
In caso di cancro del collo dell’utero, seguendo il metodo di
Wertheim, era solito praticare l’isterectomia addominale radicale;
ampliò, anzi, quest’intervento, asportando anche le ghiandole linfatiche pelviche, tecniche operatorie che lui descrisse nel 1958 nella
pubblicazione Basi della cura radicale del cancro del collo dell’utero. Cattaneo si inserì con piena autorevolezza nella vivace polemica, presente in quegli anni, tra “vaginalisti” ed “addominalisti” ed
affermò che:
La standardizzazione è nefasta in chirurgia (…) il clinico, di fronte alla
realtà vivente dei casi con tutte le loro varietà adotterà, di volta in volta,
quella via che potrà apportare i migliori vantaggi.
Sotto la direzione di Cattaneo, la Clinica Ostetrica del Policlinico
Umberto I venne dotata di nuovi reparti per la roentgenterapia, gli
esami citologici e la colposcopia. Fu creata una nuova biblioteca,
dotato di nuovi esemplari il museo anatomopatologico e creati
all’interno della Clinica stessa servizi autonomi di anestesia, di emotrasfusione, di urologia e di cardiologia. In particolare il servizio trasfusionale, oltre a sopperire alle esigenze della Clinica, con personale adeguatamente preparato ad operare dalla selezione dei donatori
fino alla preparazione delle unità da trasfondere, fu anche messo in
grado di effettuare le exanguino-trasfusioni ai neonati nei casi di
immunizzazione da Rh molto frequenti a quel tempo prima dell’avvento della profilassi mediante la somministrazione della gammaglobulina specifica. Anche la sala operatoria fu radicalmente trasformata e dotata di impianto di condizionamento dell’aria, a quei tempi
preziosa rarità.
Nel 1956 fu ripristinato, all’Università di Roma, l’Esame di Stato,
sospeso durante gli eventi bellici, e la Legge divenne operante nel
1957. Si prevedeva, tra le altre, anche una prova di Clinica Ostetrica,
da eseguirsi su un caso clinico specificandone la diagnosi e la terapia.
La sala operatoria di Cattaneo era frequentata oltre che dagli assistenti e dagli studenti anche da chirurghi provenienti da tutta Italia e
dall’estero, così anche le sue lezioni erano sempre affollatissime di
studenti e specialisti che, oltre alla chiarezza dell’esposizione,
apprezzavano l’originalità delle sue ricerche.
231
Antonio Pachì
Cattaneo lasciò la cattedra
nel 1960 per raggiunti limiti di
età e morì successivamente a
Roma il 16 febbraio 1968.
Il 6 novembre 1960, con voto
unanime della Facoltà, fu chiamato a dirigere la Clinica
Ostetrica e Ginecologica del
Policlinico Umberto I di Roma Fig. 6 – Luigi Cattaneo in Aula
Eugenio Maurizio, già direttore
della Clinica Ostetrica di Genova. Egli fece parte del Consiglio
Superiore della Pubblica Istruzione e fu Presidente della Società
Italiana di Ostetricia e Ginecologia dal 1962 al 1965. Maurizio sviluppò con particolare interesse l’aspetto sociale della sua disciplina
dedicandosi soprattutto al settore della endocrinologia ostetrica e
ginecologica. Organizzò, infatti, nell’ambito del Policlinico
Umberto I, il Centro per la sterilità coniugale con annesso laboratorio per i dosaggi ormonali. Notevole diffusione ebbe il suo Manuale
di Clinica Ostetrica e Ginecologica per il quale nel 1961 ebbe il
riconoscimento del premio Marzotto7.
Nel 1972, in collaborazione con Giuseppe Delle Piane e Giuseppe
Tesauro diresse il Trattato di Ginecologia edito dall’Istituto
Geografico de Agostini di Novara. Con Maurizio si chiuse un modo
di essere della Clinica Ostetrica romana, sino ad allora imperniata
sulla figura di un unico Direttore. Nell’anno accademico 1967-68 le
aumentate esigenze didattiche, il cui carico diveniva sempre più
oneroso per un solo titolare, indussero la Facoltà, così come era
avvenuto per altre discipline, a scindere l’insegnamento in due cattedre affidandole rispettivamente a Giuseppe Valle, chiamato
dall’Università di Bari e a Wladimiro Ingiulla, proveniente da
quella di Firenze. La spiccata personalità di entrambi i docenti, la
fama ed il prestigio che li accompagnavano dalle rispettive sedi di
provenienza, consigliarono la suddivisione in due dell’Istituto.
All’Ingiulla, nato a Catania nel 1913 e formatosi alla scuola ginecologica milanese di Luigi Mangiagalli, venne affidata la Direzione
del I Istituto, ma egli non ebbe il tempo per riorganizzare la clinica
romana sul modello di quella che aveva lasciato a Firenze a causa
delle sue non perfette condizioni di salute. Il breve periodo trascorso a Roma, non gli impedì, però, di lasciare una sua precisa impronta8. Ginecologo di fama internazionale, attratto dai problemi della
grossa chirurgia ginecologica, era divenuto “vaginalista” eccelso
presso la scuola di I. Amreich. Nel breve volgere del tempo trascor232
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
so a Roma divenne punto di richiamo per giovani colleghi che volevano vederlo operare per apprendere le tecniche chirurgiche più raffinate, tecniche che, nelle sue mani, apparivano di estrema semplicità. In campo ostetrico egli amava ripetere che la moderna
Ostetricia doveva validamente impegnarsi alla soluzione del problema del dolore in travaglio di parto e la sua scuola fu la prima a sperimentare su ampia casistica il parto indolore mediante la somministrazione gamma-OH. Dopo solo tre anni, dovette abbandonare la
direzione dell’Istituto per motivi di salute ed al suo posto la Facoltà
affidò il temporaneo incarico della Direzione a Luigi Carenza, che
lo mantenne fino alla chiamata, nel 1972, di Franco Crainz.
Quell’anno segnò per Crainz il ritorno alla sua città natale ed all’università presso la quale si era laureato nel 1936. La sua formazione
scientifica, maturata attraverso soggiorni di studio e di ricerca presso varie università italiane ed europee, lo portò a gestire il I Istituto
di Clinica Ostetrica e Ginecologica con competenza ed originale
capacità. In un momento in cui le tecniche chirurgiche ampiamente
demolitive e mutilanti iniziavano ad essere messe in discussione - a
causa della mancata realizzazione dei risultati attesi - egli aveva
intuito che in oncologia ginecologica la radioterapia sarebbe stata la
terapia alternativa alla chirurgia. Spinto da tale intuizione si era
subito dedicato alla progettazione di un grande reparto di radioterapia dei tumori ginecologici, del quale aveva affrontato tutti gli aspetti clinico-organizzativi, fino a concordare piani operativi con le
autorità competenti. L’interesse e la particolare competenza di
Franco Crainz in questo campo risulta dalle numerose pubblicazioni scientifiche sull’argomento9. È stato Presidente della Società
Italiana di Ginecologia e Ostetricia dal 1977 al 1980 e, da quell’anno, Socio Onorario. Uomo di vasta cultura, il suo grande e costante
interesse per la Storia della Medicina lo ha portato a scrivere su
diversi argomenti di ostetricia, impegnandosi in ricostruzioni scientifiche originali su temi monografici. Tali ricerche hanno trovato
significativo riconoscimento nella nomina a Vice Presidente della
Società Italiana di Storia della Medicina ed a socio di numerose
Società straniere. Crainz ha lascito la direzione del I Istituto nel
1983 per raggiunti limiti d’età.
Per seguire l’evoluzione storica della Clinica Ostetrica e
Ginecologica del Policlinico Umberto I è necessario riallacciarsi
alla chiamata nella Facoltà di Roma di Giuseppe Valle nel 1968,
quando la Facoltà decise di scindere l’insegnamento in due cattedre,
onde sopperire alle aumentate esigenze didattiche. Quell’anno è passato alla storia come l’anno della contestazione giovanile che, nata
233
Antonio Pachì
nei “campus” americani, si diffuse in tutto il mondo occidentale. La
contestazione, con le sue modalità culturalmente caratterizzanti,
portò a definire il 1968 come “l’anno degli studenti” e Valle, oltre ad
affrontare i problemi organizzativi del nuovo Istituto a lui affidato e
la relativa strutturazione didattica ed assistenziale, si impegnò nell’attività scientifica, confermando il prevalente indirizzo chirurgico
della sua Scuola. E’ testimonianza di ciò l’ampia casistica raccolta,
particolarmente significativa nel campo della chirurgia oncologica,
e la ricerca scientifica documentata negli Atti della potenziata attività della Società Interregionale di Ostetricia e Ginecologia e nella
nuova edizione della rivista Aggiornamenti in Ostetricia e
Ginecologia da lui diretta. Tale preminente indirizzo chirurgico
influenzò anche l’attività didattica, suggerendogli l’organizzazione
di due corsi “Teorico-pratici di Chirurgia Ginecologica” che ottennero un notevole successo di partecipazione anche per l’innovatrice
presentazione delle tecniche operatorie allora più attuali10.
In quegli anni di contestazione giovanile, Valle fu particolarmente sensibile alle esigenze culturali che si andavano delineando e che
lo indussero a partecipare attivamente alle nuove proposte di trasformazione sociale, sia nell’ambito della Comunità Economica
Europea che della Federazione Internazionale per la Pianificazione
Familiare (IPPF).
Presso il II Istituto egli ha attivato uno dei primi Centri di
“Pianificazione Familiare” che, mediante l’organizzazione di corsi di
aggiornamento per specialisti, ostetriche ed assistenti sociali, ha preparato i primi operatori degli attuali “Consultori Familiari”. Egli ha inoltre contribuito ad incrementare, grazie alla sua capacità di intessere
relazioni internazionali ed al suo impegno nel partecipare ai Congressi
internazionali, i rapporti scientifici della Clinica romana con le più prestigiose università straniere. Lasciò la direzione del II Istituto nel 1974,
per raggiunti limiti d’età, ed a lui successe Luigi Carenza.
Le naturali doti di organizzatore di Luigi Carenza e la sua formazione universitaria e professionale alla scuola del suo grande maestro
Luigi Cattaneo gli hanno consentito una costante progressione in
tutte le tappe successive da giovane assistente a professore ordinario.
L’essersi formato nella Clinica di Roma fin dal momento della laurea
lo ha reso interprete delle reali esigenze organizzative ed assistenziali, da lui stesso verificate, stimolandolo ed aiutandolo a realizzare le
correzioni strutturali effettivamente utili e necessarie. I suoi interessi, non limitati da aspirazioni personali, hanno avuto come obiettivo
la realizzazione della funzionalità dell’Istituto e la crescita professionale di tutti i collaboratori. Il secondo Istituto ha infatti finalizzato i
234
La Clinica Ostetrica e Ginecologica
suoi sforzi in particolari settori di attività ultraspecialistica, all’avanguardia nel campo sia ostetrico che ginecologico.
In campo ostetrico già nel 1975, all’inizio della sua direzione,
Carenza, avendo intuito la potenzialità della diagnostica ecografica,
ha dotato l’Istituto di uno dei primi apparecchi ecografici (KreitzCombison 2) giunti in Italia, che costituì l’avvio alla realizzazione
nell’Istituto da lui diretto, di un servizio di ecografia successivamente ampliato e potenziato con aggiornati apparecchi moderni e divenuto punto di riferimento per la didattica e la ricerca della patologia
embrio-fetale.
La realizzazione del Centro di Diagnosi Prenatale, uno dei primi
in Italia, ha permesso di mettere a punto le tecniche di prelievo di
materiale embrio-fetale mediante le tecniche di amniocentesi, prelievo dei villi coriali e prelievo di sangue fetale mediante fetoscopia.
La diagnostica prenatale si è inoltre avvalsa della collaborazione dei
genetisti, per lo studio delle sofisticate tecniche di indagine del
DNA genomico ed inoltre, in un’ottica multidisciplinare, con i neonatologi e gli specialisti delle varie discipline interessate ai singoli
casi, ha valorizzato l’attività clinico-assistenziale di tutte le forme di
patologia complicanti la gravidanza conseguendo ottimi risultati sia
da un punto di vista assistenziale che di ricerca11.
Erede della disciplina chirurgica di Cattaneo, Carenza ha continuato la tradizione della qualificata chirurgia onco-ginecologica,
affiancandola alla moderna chemioterapia organizzata sul modello
dei più avanzati Centri statunitensi, con i quali ha mantenuto rapporti culturali e scientifici non solo personali, ma di scuola, con scambi di allievi e assistenti. Questa sua dedizione lo ha portato ad organizzare, presso la Clinica Ginecologica del Policlinico Umberto I
laboratori altamente qualificati per
la ricerca oncologica in ginecologia, servizi di colposcopia, isteroscopia e senologia, con precipuo
indirizzo alla prevenzione della
patologia maligna, senza trascurare
il particolare aspetto sociale e quello dell’assistenza psicologica pre e
post-trattamento.
Carenza fu Presidente della Società italiana di Oncologia e nell’ottobre 1985 fu nominato membro
onorario della American College of
Fig. 7 – Luigi Carenza
Obstetric and Ginecology.
235
Antonio Pachì
Questo breve excursus attraverso le tappe di progettazione e realizzazione nel tempo, ha scandito la storia della Clinica Ostetrica e
Ginecologica del Policlinico Umberto I dal suo sorgere fino all’entrata in vigore di una nuova recente organizzazione: quella dei
Dipartimenti, tuttora in atto.
Filo conduttore dell’esposizione è stato il succedersi di quegli
uomini che, nell’interesse della loro disciplina, hanno saputo contribuire, nel corso degli anni, a rendere il Policlinico Umberto I un
punto di riferimento in campo internazionale per il progresso della
Ostetricia e Ginecologia.
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A., Il feto come paziente. Firenze, Giunti, 1987.
236
LA CLINICA PEDIATRICA
MANUEL A. CASTELLO - GIORGIO MAGGIONI
237
La Clinica Pediatrica
La disciplina
Le strutture sanitarie dedicate alle cure e all’assistenza dei bambini malati prendono avvio in Europa solo a partire dagli inizi del XIX
secolo con la creazione a Parigi, nel 1802, per volontà di Napoleone
Bonaparte, dell’Ospedale dei bambini malati (Hopital des enfants
malades), destinato al ricovero dei bambini solo dopo i due anni di
età1. A questo ne seguirono molti altri: a San Pietroburgo (1834),
Vienna (1837), Budapest (1839), Praga (1842), Berlino (1843),
Londra (1852) e così via2.
In Italia il primo «ospedaletto per bambini poveri» sembra esser
stato quello fondato a Torino nel 1843 dal conte Luigi Franchi di
Pont con la collaborazione di un comitato del quale facevano parte
personalità quali Camillo di Cavour e Roberto d’Azeglio3.
I primi anni dell’insegnamento
A Roma, il primo ospedale pediatrico sorse nel 1869, sotto il pontificato di Pio IX, per iniziativa della duchessa Arabella Salviati,
nata dai duchi Fitz-James, insieme ad un gruppo di nobildonne
romane. L’opera fu dedicata al Bambino Gesù e prese rapidamente
avvio fin dall’inizio di quell’anno4. E’ merito del viterbese Luigi
Concetti (1854-1920), dal 1890 primario di questo Ospedale e che
nel 1894 aveva conseguito la libera docenza in patologia e clinica
pediatrica, l’aver dato inizio a Roma al primo insegnamento di clinica pediatrica con un corso pareggiato per studenti e ancora senza
un reparto a disposizione. Il 2
dicembre 1894 la sua prolusione fu dedicata a Lo stato attuale della pediatria5.
Nel 1896 il ministro della
Pubblica Istruzione Guido
Baccelli6, del quale il Concetti
era stato allievo, gli affidò con
decreto (14 dicembre 1896)
l’incarico dell’insegnamento
di patologia e clinica pediatrica del quale diventerà ordinario nel 1899.
All’inizio il Concetti si
valse, per l’insegnamento, dei
bambini che frequentavano
l’ambulatorio La Scarpetta,
Fig. 1 - Luigi Concetti.
Primo Cattedratico di Pediatria
239
Manuel A. Castello - Giorgio Maggioni
gestito dalla Società Soccorso e Lavoro con sede in Trastevere, e dei
piccoli ricoverati presso il Bambino Gesù. E’ importante ricordare
che il Concetti inviava gli studenti a casa dei malati per poter seguirne il decorso e l’esito delle cure. Le lezioni si svolgevano nei locali
sotterranei dell’Istituto di Clinica Chirurgica allora diretto dal prof.
Francesco Durante e sito a Trastevere in via Garibaldi 44.
Avuto un piccolo contributo dal Ministero, nel 1898-99 il
Concetti riuscì a stilare una convenzione con l’Ospedale Santo
Spirito che gli mise a disposizione durante l’anno scolastico una sala
con l0 lettini per bambini svezzati e due culle per lattanti con letti
per le madri, una suora e due infermieri.
Le lezioni erano tenute nel vicino anfiteatro della Clinica
Oculistica diretta dal prof. Francesco Businelli. Il corso di pediatria
era facoltativo e diventerà obbligatorio solo dal 1910-11.
Nel rinnovare la convenzione, due anni dopo, il Concetti ottenne
un allargamento degli spazi, una stanza per la direzione e una per la
biblioteca dove finirà per installare un primo apparecchio radiologico insieme alla concessione di poter avere per l’insegnamento i
bambini ricoverati nel reparto difterici.
I Maestri, la didattica, l’attività di ricerca
Nell’anno accademico 1904-05 la Clinica Pediatrica fu trasferita
nel Policlinico Umberto I da poco costruito e, provvisoriamente,
sistemata nell’edificio di Patologia medica dove il Concetti poté
attrezzare con molta difficoltà un piccolo reparto.
Le vicissitudini della costruzione del Policlinico e dei vari reparti sono state puntualmente illustrate dall’architetto prof. Paolo
Marconi fino alla costruzione di quella che è ancora oggi la Clinica
Pediatrica7. La prima pietra dell’edificio fu posta il 15 giugno 1912
con una cerimonia alla quale parteciparono il Re, la Regina, il sindaco di Roma, Ernesto Nathan, il prof. Guido Baccelli e varie personalità politiche. Passeranno 10 anni prima che la Clinica, a causa
dei numerosi ritardi dovuti anche al periodo bellico, diventasse operativa nel 1922, due anni dopo la morte del Concetti che non la poté
vedere completata.
Il Concetti è giustamente considerato il fondatore della Scuola
pediatrica romana: la sua attività fu instancabile sia sul piano clinico didattico sia su quello organizzativo.
Nel 1890 organizzò a Roma il I Congresso pediatrico italiano e nel
1898, con altri, fondò a Torino la Società Italiana di Pediatria (SIP),
della quale fu presidente dal 1913 al 1920; il suo manuale L’igiene del
bambino ebbe larga diffusione. Alla sua morte, il 6 dicembre 1920,
240
La Clinica Pediatrica
con la costruzione della Clinica non ancora ultimata, la direzione fu
affidata all’aiuto Tullio Luzzatti per gli anni 1920-21 e 1921-22.
Nel gennaio 1923 fu chiamato alla direzione della Clinica
Pediatrica il prof. Giuseppe Caronia (1884-1977), primo ternato
dell’ultimo concorso e allievo del prof. Rocco Jemma di Napoli8.
Caronia si adoperò in modo particolare per la messa in funzione
della Clinica potenziando soprattutto il laboratorio e l’ambulatorio e
portando i posti letto agibili a cinquanta. Sostenitore del Partito
Popolare di don Luigi Sturzo, inviso al regime fascista, a causa di
una denuncia anonima, nel giugno del 1925 fu sospeso dall’incarico
dal ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele e fu avviata
un’inchiesta a suo carico. Il Caronia venne sostituito per il periodo
1925-27 dal prof. Francesco Valagussa e nel ‘27-28 dal prof.
Salvatore De Villa. L’infondatezza delle accuse addebitate indusse
tuttavia il ministro a trasferirlo a Napoli il 23 ottobre 1927 con l’incarico di dirigere, dal l0 gennaio 1928, la cattedra di malattie infettive di quell’Università.
A partire dall’anno accademico 1928-29 fu chiamato, alla direzione della Clinica di Roma il prof. Luigi Spolverini il quale la diresse fino al 1943. Proveniente dalla Clinica di Pavia, già allievo di
Concetti, Spolverini ebbe il merito di organizzare la Clinica
Pediatrica con criteri moderni corredandola di un reparto radiologico, di un laboratorio chimico e microbiologico, di un reparto fisioterapico e di due polmoni d’acciaio. Nel 1937 riuscì ad ottenere
dagli Ospedali Riuniti la costruzione di un Padiglione pediatrico da
affiancare alla Clinica, dotato anche di un reparto di chirurgia. Un
anno prima, nel 1936, aveva organizzato con successo il Congresso
Internazionale di Pediatria a Roma.
Dal 1935 lo Spolverini si dedicò, in particolare, alla cura e al recupero dei bambini affetti da poliomielite fondando ad Ariccia un
Istituto, che diresse fino alla morte, specializzato nella riabilitazione
fisica e ortopedica di questi pazienti. Tale attività, di grande importanza sociale, gli valse il laticlavio.
Caduto il fascismo il 25 luglio 1943, fu chiamato da Padova dove
dirigeva dal 1930 la Clinica Pediatrica, il prof. Gino Frontali, allievo di C. Comba della Scuola di Firenze9. Frontali tenne l’incarico
fino al 1958-59 quando la direzione della Clinica fu affidata, per un
anno, al prof. Orazio Malaguzzi Valeri, suo aiuto.
Il prof. Frontali era noto anche sul piano internazionale per le sue
ricerche nel campo dell’alimentazione infantile e in quello vitaminologico, come la cura della pellagra.
241
Manuel A. Castello - Giorgio Maggioni
La sua attività didattica è documentata da numerose pubblicazioni quali
le Lezioni sull’alimentazione infantile,
il Manuale di Pediatria, le
Prescrizioni pediatriche e i due volumi di Lezioni pediatriche. L’attività
scientifica di Frontali a Roma, oltre
all’alimentazione del bambino, fu
dedicata in particolare alla thalassemia, alla malattia da carenza caloricoproteica, che accostò come patologia
al kwashiorkor africano, alla cura
della tubercolosi.
Fig. 2 – Gino Frontali
Fine semeiologo, sono legati al suo
nome alcuni sintomi quali il riflesso
controlaterale degli adduttori nella poliomielite e il fenomeno oculocardiaco nella difterite.
Le numerose difficoltà nella gestione della Clinica durante il conflitto bellico furono affrontate dal Frontali con energia e dedizione
assolute specie dopo il bombardamento del 18 marzo 1944 che recò
gravi danni al padiglione pediatrico. Al Frontali si deve anche l’iniziativa dell’inserimento, all’interno della Clinica Pediatrica, della
prima scuola elementare per bambini malati.
Nel 1944, dopo la liberazione di
Roma, il Caronia fu eletto Rettore
dell’Università e reintegrato nell’incarico di direttore della Clinica
Pediatrica - che terrà fino al 195354 - che fu sdoppiata in I Cattedra,
affidata a lui, e II Cattedra affidata
al Frontali; nello stesso tempo il
Caronia mantenne anche la
Cattedra di Malattie Infettive alla
quale era stato richiamato nel 1935
da Napoli a Roma.
Nel 1960 il prof. Frontali e i suoi
allievi organizzarono il XXVII
Congresso italiano di pediatria in
occasione del quale egli fu eletto
presidente della SIP fino al 1963,
242
Fig. 3 – Visita del Presidente
Antonio Segni nel 1964.
Nella foto con il Rettore Giuseppe
Ugo Papi e i Proff. Arrigo Colarizi
ed Emiliano Rezza
La Clinica Pediatrica
anno della sua morte. L’anno dopo, nel corso del XXVIII Congresso
a Torino, il Frontali svolse la relazione su I disturbi del ricambio
idro-salino nell’infanzia.
Nell’anno accademico 1960-61 fu chiamato, da Pavia, alla direzione della Clinica il prof. Arrigo Colarizi, allievo del prof.
Spolverini, che la terrà fino al 1972-73.
Il prof. Colarizi portò a Roma una ventata di novità e snellì le procedure
dei
ricoveri.
Fomentò la super specializzazione dei suoi allievi,
creando per ogni campo
della pediatria delle persone specialmente dedicate.
Incitò i suoi allievi a recarsi all’estero per perfezionarsi nei diversi settori
della pediatria, anticipando così la strada che, vent’anni dopo, sarebbe stata Fig. 4 – Papa Paolo VI visita la Clinica nel 1966.
seguita da tutti.
Nella foto con i Proff. Arrigo Colarizi e
Egli arrivò, nel 1960,
Alessandro Seganti
insieme
a
Marcello
Orzalesi, al quale si unì dopo poco tempo Ettore Cardi, che era stato
suo allievo a Pavia. Giovanni Bucci tornò dagli Stati Uniti nel 1961,
dove aveva lavorato alla Harvard University di Boston per due anni.
Contemporaneamente Orzalesi si recò in America una prima volta a
Boston, per due anni, ed in seguito trascorrerà altri 24 mesi a New
Haven. Cardi fece un soggiorno di studio a Philadelfia per approfondire la scienza dell’alimentazione presso l’Istituto di Szent Gyorgy.
Nel novembre 1961 arrivò Emiliano Rezza, che era rimasto a
Pavia con l’incarico della Cattedra per l’anno accademico 1960-61
e che di Colarizi diventò suo primo aiuto e suo successore.
Nei 12 anni di direzione di Colarizi la Clinica è stata ammodernata con la creazione o il potenziamento di servizi indispensabili: la
radiologia pediatrica, affidata a Guido Iannaccone, che presto diventò una delle migliori d’Italia. Il laboratorio, sotto Giovanna
Mancuso introdusse i micrometodi, indispensabili in pediatria.
La genetica clinica con Vignetti e Ferrante, autori del libro sulle
aberrazioni cromosomiche. La cardiologia pediatrica, creata da
Alessandro Seganti e continuata da Vincenzo Colloridi, ordinario
dal 1995. L’ematologia, dapprima diretta da Stegagno e quindi da Di
243
Manuel A. Castello - Giorgio Maggioni
Gilio è stata la prima in Italia a impiegare la vincristina nella terapia
delle leucemie. Il CNR convenzionò un laboratorio di virus respiratori, affidato a Mario Midulla che veniva dagli Stati Uniti.
L’endocrinologia inizialmente con Massimo Orsini e quindi con
Brunetto Boscherini, ordinario dal 1980-81 , che nell’anno seguente si trasferì presso la II Università di Roma “Tor Vergata” come cattedratico di Pediatria. Il suo posto è stato preso da Anna Maria
Pasquino diventata ordinario dal 2000. Il servizio si è occupato specialmente di nanismi, dei disturbi della pubertà di patologie della
tiroide e della Sindrome di Turner, con pubblicazioni a livello internazionale.
Nel XXXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria
del 1966, tenutosi a Genova, fu affidata alla Scuola Romana la relazione sul tema Disturbi respiratori del neonato.
In effetti le principali ricerche del periodo dirette dal prof.
Colarizi si concentrarono sulla neonatologia, sulla prematurità e sull’alimentazione infantile.
Nel 1968 è stata creata
la II Cattedra di Clinica
Pediatrica alla quale fu
chiamato
il
prof.
Emiliano Rezza che nel
1973, con il passaggio a
fuori ruolo del prof.
Colarizi, assunse la direzione della I Cattedra che
tenne fino alla sua scomparsa nel dicembre 1985.
Rezza aveva grande
Fig. 5 – Papa Giovanni Paolo II visita nel 1995
esperienza clinica e di lail reparto di oncologia, accompagnato
boratorio e una straordinadal Prof. Manuel A. Castello
ria capacità di analisi e
sintesi dei problemi. Introdusse in Clinica la reidratazione mediante
fleboclisi, che all’epoca costituì una novità. Studiò a fondo i problemi, cercando sempre la spiegazione logica dei fenomeni che affrontava.
Alla seconda è stato chiamato nell’anno accademico 1973-74 il
prof. Carlo Imperato da Parma che sarebbe rimasto fino al 1996 e
fuori ruolo fino al 1999 diventando così il cattedratico rimasto più a
lungo nella Clinica Pediatrica di Roma. Imperato sviluppò lo studio
delle malattie respiratorie, creando un’equipe di ricerca clinica e di
244
La Clinica Pediatrica
laboratorio. Fomentò anche lo studio di alcune patologie gastroenteriche. Dal 1979 al 1982 è stato Presidente della Società Italiana di
Pediatria.
Nell’anno accademico 1980-81 Giovanni Bucci assunse la direzione della III Cattedra di Clinica Pediatrica, di recente creazione.
Era stato professore di Puericultura dal 1971. Il prof. Bucci, coadiuvato da Marcello Orzalesi per i primi anni e da un’equipe di neonatologi, ha effettuato diversi studi di livello internazionale. Ha pubblicato un nuovo metodo di assistenza respiratoria mediante pressione
positiva continua a doppia cannula, oggi impiegato in tutto il mondo.
Ha studiato per primo la pressione arteriosa sistolica del neonato ed
ha descritto un metodo per il prelievo di sangue arterioso della radiale. Insieme a Francesco Laurenti ha utilizzato la trasfusione di granulociti nelle sepsi neonatali. Ha pubblicato con Palermo il primo studio italiano ecoencefalografico del neonato. E’ stato il primo
Presidente della Società Italiana di Neonatologia dal 1994 al 1997.
Nel 1980-81 sono diventati cattedratici i Proff. Brunetto
Boscherini, Mario Midulla e Roberto Ronchetti.
Dal 1971 hanno incominciato a svilupparsi nuove sottospecialità
pediatriche.
La gastroenterologia con Ettore Cardi, che diventò cattedratico
nel 1986 insieme a Piero Vignetti. Cardi ha studiato specialmente
la celiachia, le malattie metaboliche mediante un test rapido, la
gascromatografia dei lipidi, ha introdotto in clinica l’alimentazione
parenterale e insieme a Rezza è l’autore della dieta per le gravi intolleranze alimentari. Dagli anni ’90 Margherita Bonamico si è dedicata allo studio della malattia celiaca, con ottimi risultati.
La fibrosi cistica, con Mariano Antonelli, il cui servizio è centro
di riferimento regionale per la malattia, continuato adesso da Serena
Quattrucci. Il Servizio vanta la più importante casistica italiana di
trapianto di polmoni.
L’oncologia con Manuel A. Castello, diventato cattedratico nel
1995.
Nel 1990 è stato Presidente del Congresso Internazionale di
Oncologia Pediatrica, che si è tenuto a Roma. Dal 1997 è Segretario
Generale del Gruppo Latino di Pediatria e dal 2004 Presidente
dell’Accademia Internazionale di Pediatria. Nel 1987 ha proposto
un nuovo protocollo di chemioterapia per i tumori a piccole cellule,
a base di carboplatino ed etoposide ad alte dosi di grande efficacia,
che è stato utilizzato in toto o in parte in diversi protocolli internazionali. Ha formato un’equipe composta da A. Clerico, C. Dominici,
A. Schiavetti e C. Cappelli che oltre a curare la malattia, si occupa
245
Manuel A. Castello - Giorgio Maggioni
del dolore e della nutrizione dei pazienti affetti da tumore, di trapianto di cellule staminali e di ricerche di biologia molecolare.
La neuropediatria, con Paola Iannetti, cattedratica dal 1996 che
è stata Presidente della Società Italiana di Neuropediatria dal 1995
al 2005. La prof.ssa Iannetti si è dedicata specialmente alle epilessie
infantili, alle sindromi neurocutanee e, recentemente, al tema della
neuroimmunologia.
Desiderio Lendvai ha creato e condotto il servizio per le cefalee
infantili fino alla sua quiescenza nel 2005.
La nefrologia con Sandro Ungari, che in seguito andò all’Ospedale
Bambino Gesù come primario pediatra sostituito dapprima da Ugo
Ruberto e attualmente da Riccardo Lubrano. L’ematologia è stata
ereditata da Giuseppe Multari e Guiduccio Ballati.
Le malattie respiratorie con Roberto Ronchetti, venuto da Parma
con il prof. Imperato e che nel 2000 è passato alla II Facoltà
dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ronchetti ha portato alla
Clinica Pediatrica di Roma lo studio della fisiopatologia respiratoria,
con le più moderne apparecchiature. Ha iniziato anche le ricerche sui
disturbi respiratori nel sonno in collaborazione con M. P. Villa.
Luisa Businco, professore ordinario dal 1995 è stata responsabile del servizio di Allergologia e Immunologia fino alla sua prematura scomparsa nel 2002. Nel 1992 ha ricevuto dall’American College
of Allergy, Asthma and Clinical Immunology l’Honorary
International Distinguished fellow award. E’ stata fondatrice e presidente dal 1993 al 1995 della Società Europea di Immunologia clinica e pediatrica. Sotto la sua responsabilità il Servizio si è occupato della prevenzione delle malattie allergiche in specie dell’allergia
alle proteine del latte vaccino.
Armando Signoretti, prematuramente scomparso alla soglia della
Cattedra nel 1988, ha creato il Centro per la nutrizione pediatrica,
sulla scia del suo maestro prof. Giorgio Maggioni. Centro che è stato
continuato da Enzo Ferrante e, attualmente, da Andrea Vania.
Francesco Cozzi, dopo aver trascorso un periodo di tempo, alla
fine degli anni ’60, all’ospedale Great Ormond Street di Londra per
perfezionarsi, è divenuto il responsabile della chirurgia pediatrica
dal 1969. Ha una vasta gamma di pubblicazioni su temi della specialità. Ha studiato specialmente la morte improvvisa del lattante e
la terapia chirurgica del tumore di Wilms.
Negli ultimi anni sotto la direzione, da parte di Castello,
dell’Istituto, convertito in Dipartimento nel 2005, sono stati restaurati l’aula, il reparto di fibrosi cistica, quello di oncologia, quello di
246
La Clinica Pediatrica
gastroenterologia ed è stato creato il DEA pediatrico, con 10 posti
letto per degenze brevi e sei per la terapia intensiva pediatrica. La
vecchia accettazione pediatrica ha avuto come primari Antonio
Scalamandrè, Anna Maria Assensio, Enzo Ferrante e Laura
Tucciarone. Il nuovo DEA è diretto da Corrado Moretti che si dedica specialmente alla terapia intensiva neonatale e pediatrica.
Nel 2001 sono stati chiamati a rimpiazzare i Proff. Cardi e
Colloridi, il prof. Salvatore Cucchiara da Napoli e il prof. Bruno
Marino dall’Ospedale Bambino Gesù. Nel 2002 è diventata cattedratica di Neonatologia la prof. Patrizia Colarizi che ha una lunga esperienza nel follow-up dei prematuri. Nel 2005 la prof. Marzia Duse di
Brescia è diventata responsabile dell’allergologia e immunologia.
La Puericultura a Roma.
L’insegnamento di questa materia fu attribuito a partire dal 196061 a una Cattedra convenzionata con l’Ordine di Malta e la direzione affidata al prof. Orazio Malaguzzi Valeri. Nel 1969 ne fu riconosciuto il ruolo effettivo con la gestione del reparto neonati delle
Cliniche Ostetriche della Facoltà. La direzione e i laboratori particolarmente potenziati dal Malaguzzi per l’ematologia, specie per il
fattore Rh, vennero collocati nei sotterranei
dell’ala destra della
Clinica Pediatrica dove
rimasero fino al 1983.
Nel 1979-80 l’assegnazione di un nuovo ruolo
portò alla chiamata dalla
direzione della Clinica
Pediatrica di Ancona del
prof. Giorgio Maggioni,
che l’anno seguente
assunse con la I Cattedra
la direzione dell’Istituto Fig. 6 – I Proff. Carlo Imperato e Giorgio Maggioni,
di Puericultura. Nel
il 20.12.03 durante la cerimonia di riapertura
1983 venne inaugurato il
dell’Aula Magna della Clinica, dopo il restauro
nuovo Istituto in via dei
Sardi (direzione, laboratorio, ambulatorio, ecc.) rimanendo il reparto degenze presso le Cliniche Ostetriche.
Maggioni è uno dei primi e più importanti studiosi di nutrizione
infantile italiana. Tesoriere della Società Italiana di Pediatria del
1985 al 1991 è stato il vero successore del Frontali.
247
Manuel A. Castello - Giorgio Maggioni
Nell’anno accademico 1986-87 fu chiamata alla II Cattedra la
prof. Erminia Carapella De Luca che passerà nel 1988-89 alla I
Cattedra. Nello stesso tempo fu chiamato da Sassari il prof.
Marcello Orzalesi per la Cattedra libera che prese il nome di
Pediatria Preventiva e Sociale.
Il prof. Orzalesi diventò in seguito primario neonatologo
dell’Ospedale Bambino Gesù. La prof.ssa Carapella, per motivi di
salute, si ritirò nel 1998. Dopo un interregno durato diversi anni, nei
quali l’Istituto di Puericultura è stato diretto dai professori associati
Lapi e Schwarzenberg, nel 2004 è stato chiamato da Palermo il prof.
Mario De Curtis. L’Istituto era passato a fare parte del
Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia nel 2001.
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4. MARTINELLI V., Dal Tevere al Gianicolo: l’Ospedale del Bambino Gesù tra
cronaca e storia. Roma, ed. dell’Obelisco, 1980. SIRONI A., NAPOLI C. (a
cura di), I piccoli malati del Gianicolo: storia dell’Ospedale pediatrico
Bambino Gesù. Bari, Laterza, 2001. Pazzini A., La Storia della Facoltà
Medica di Roma. Roma, Istituto di Storia della Medicina, 1961.
5. CANTANI A., Concetti Luigi. In: Dizionario biografico degli Italiani. XXVII,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1982, pp. 711-713.
6. CRESPI M., Baccelli Guido. In: Dizionario biografico degli Italiani. V, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana, 1963, pp. 13-15.
7. MARCONI, P., Il padiglione di pediatria nel Policlinico, Umberto I a Roma.
Dattiloscritto redatto in occasione del restauro dell’Aula Magna della Clinica
Pediatrica.
8. PAVAN A., Caronia Giuseppe. In: Dizionario biografico degli Italiani. Primo
Supplemento, XXXIV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1988, pp.
664-666.
9. BURGIO G.R., Frontali Gino. In: Dizionario biografico degli Italiani. L,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1998, pp. 605-606.
248
LA CLINICA OTORINOLARINGOIATRICA
ROBERTO FILIPO - ELIO DE SETA
249
La Clinica Otorinolaringoiatrica
I primi anni del’insegnamento
Alla Regia Università di Roma, nell’elenco delle materie indicate
senza alcuna distinzione tra quelle del Corso di Laurea in Medicina
e chirurgia dell’anno 1871-72, fa la sua prima comparsa un corso di
Otoiatria affidato a Clemente Emilio De Rossi. Il corso, nel 187374, prende il titolo di Otoiatria pratica e nell’anno seguente (187475) ne viene specificato il carattere di «Corso libero complementare». Nel 1877-78 l’insegnamento entra a far parte dei corsi ufficiali
da conferirsi per incarico; tale incarico De Rossi tiene anche negli
anni seguenti, finché nel 1881-82 viene istituita la Cattedra di ruolo
e il De Rossi ne è nominato titolare.
Clemente Emilio De Rossi era nato il 10 febbraio 1844 a
Mentone. Ancora giovanissimo, divenne il più insigne cultore italiano di otologia tanto che nel 1870 fu invitato ufficialmente a Roma
per tenere alcune conferenze sulle malattie dell’orecchio; quando
nell’a.a. 1881-82 fu istituita la Cattedra di ruolo di Otoiatria, De
Rossi divenne il primo titolare della materia.
Era nato così in Italia l’insegnamento accademico dell’otoiatria,
ma una Clinica universitaria vera e propria non esisteva ancora, dal
momento che non erano previsti sussidi per l’attività assistenziale e
scientifica né era possibile disporre di letti per i ricoveri.
I locali destinati all’insegnamento di questa disciplina furono di
fortuna, all’inizio, e per nulla rispondenti ad ancorché minime esigenze di pratica clinica e di insegnamento. Anche la sede non era
fissa, ma negli anni aveva subito spostamenti: dal 1871 al 1874 le
lezioni si tennero due volte alla settimana nel Teatro anatomico di S.
Spirito; dal 1874 al 1890 presso l’Ospedale di S. Giacomo; dal 1890
al 1898, presso l’Ospedale di S. Giovanni Calibita; dal 1898 al 1901,
nuovamente presso l’Ospedale di S. Spirito. Ma i locali erano insufficienti e, come lo stesso De Rossi lamentava in una sua vigorosa
protesta al Ministro, mancanti assolutamente del reparto clinico.
Nell’anno 1884-85, il corso di Otoiatria rimaneva tra quelli “complementari” del VI anno e tra quelli “liberi” compariva un altro
corso, tenuto anch’esso da De Rossi, dal titolo «Laringoscopia »·
Nell’anno seguente (1885-86) entrambi i corsi appaiono tra quelli complementari del VI anno ma il titolo di Laringoscopia è mutato
in Laringorinologia: orecchio, naso e gola erano già compresi, tutti
e tre, sia pure in due corsi d’insegnamento.
Nel giugno 1891, con l’applicazione dell’articolo 96 della legge
Casati, Clemente Emilio De Rossi fu nominato professore ordina-
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Roberto Filipo - Elio De Seta
rio di Otoiatria e questo rappresentò un’enorme evento poiché fu il
primo otoiatra a rivestire questo ruolo in Europa.
In quegli anni De Rossi dette vita a una Scuola molto frequentata
e il suo impegno si caratterizzò, oltre che per la notevole produzione scientifica, anche per i brillanti progressi che seppe apportare alle
tecniche chirurgiche in vigore a quel tempo. Nel 1876 De Rossi
descrisse la miringotomia (effettuata già nel 1870); in seguito pubblicò studi sulla tenotomia del tensore del timpano e dello stapedio
e sulla disarticolazione dell’incudine dalla staffa, intervento questo
che effettuò a scopo funzionale nel 1878, per primo, ottenendo risultati soddisfacenti1.
Tra gli strumenti chirurgici da lui ideati ricordiamo il divaricatore ortostatico per la chirurgia mastoidea, l’otoscopio operatorio, i
ferri per la microchirurgia otologica, il dilatatore a punto d’arresto
nell’antro mastoideo. Mise in atto tecniche chirurgiche innovatrici
quali: il metodo di otoplastica, l’uso del trapano a mano per aprire
la mastoide in modo meno traumatico, l’impiego dell’infuso di
“jequizitv” per sterilizzare la mucosa infetta della cassa timpanica in
caso di otiti medie purulente croniche e l’applicazione dell’elettrolisi all’ablazione dei tumori laringei.
Nel 1893 De Rossi fondò con Giuseppe Gradenigo la rivista
Archivio italiano di otologia, rinologia e laringologia.
Alla Scuola di De Rossi si perfezionarono diversi specialisti e tra
i molti citiamo il suo futuro successore Gherardo Ferreri, Avoledo
che dirigerà in seguito il reparto di otoiatria dell’Ospedale Maggiore
di Milano, Faraci che insegnerà all’Università di Palermo, Gelasio
Chiucini e Gaetano Geronzi che, per conto dell’Università di Roma,
terranno alcuni corsi a titolo privato, il figlio Carlo che divenne
direttore del reparto specialistico Marchiafava a Sampierdarena, De
Carli.
De Rossi morì a Roma nel novembre 1901.
La Scuola, la didattica, l’attività di ricerca
Successore sulla Cattedra di otoiatria a Roma fu Gherardo
Ferreri il quale assunse l’incarico della Cattedra vacante per la
morte del suo maestro, divenendo nel 1903 professore straordinario
e nel 1909 ordinario.
Ferreri, nato a Cuneo nel 1856, si era laureato in Medicina e
Chirurgia a Roma nel 1880, già assistente e poi aiuto di De Rossi fin
dal 1888.
Sotto la sua direzione, nel 1905, il corso di Clinica otoiatrica e
rinolaringologica venne finalmente indicato con il titolo di
252
La Clinica Otorinolaringoiatrica
Otorinolaringoiatria, insegnamento complementare del quinto anno
di corso.
Gherardo Ferreri, nel 1906, trasferì la Clinica otorinolaringoiatrica dall’Ospedale S. Spirito al “nuovo” Policlinico Umberto I. Nella
nuova sede la Clinica fu sistemata nello stesso fabbricato della patologia chirurgica, ma da questa era completamente separata nelle sale
e nei servizi. Era la prima volta che la Clinica otorinolaringoiatrica
aveva un edificio a sé stante e il merito fu tutto di Ferreri e del ministro della Pubblica Istruzione di allora, Guido Baccelli. Ben presto,
per lo sviluppo scientifico della disciplina e per nuove esigenze di
spazio, furono utilizzati anche locali non previsti nella costruzione,
quali porticati e sotterranei, che vennero chiusi e trasformati in
ambienti clinici.
La produzione scientifica di Ferreri fu contenuta principalmente
negli Atti della Clinica otorinolaringoiatrica periodico da lui stesso
fondato nel 1903, in Archivio italiano di otologia e negli Archivi italiani di laringologia.
In molti argomenti egli ha lasciato una sua personale impronta,
recando l’apporto della sua cultura ed esperienza. Apprezzatissimi
furono i suoi manuali e la monografia Indirizzo pratico alla diagnosi e cura delle malattie della lingua, pubblicata nel 1890. Si occupò
a fondo, inoltre, della funzione sociale della medicina, propugnando
tra i primi l’istituzione dei dispensari antitubercolari. Tra gli strumenti da lui ideati vanno citati: l’abrasore laringeo ad anse nascoste,
la pinza curva da piccola chirurgia laringea con punte cambiabili e
l’allacciapolipi laringeo; inoltre la cannula a doppia corrente per le
irrigazioni auricolari antisettiche continue, la sonda per iniezioni
endotimpaniche graduate di ossigeno, l’apparecchio per il massaggio e la ginnastica del timpano e degli ossicini.
Gherardo Ferreri fu il primo otorinolaringoiatra italiano a effettuare l’intervento di laringectomia totale2, mettendo in atto la tecnica che Francesco Durante propose nel 1904.
Tenne a lungo e prestigiosamente la Cattedra fino al 1929 annoverando tra i suoi allievi il nipote Giorgio, Guglielmo Bilancioni e
Giuseppe Vidau. Ferreri morì a Roma il 22 gennaio 1929.
Guglielmo Bilancioni direttore della Clinica otorinolaringoiatrica dell’Università di Pisa, fu chiamato nel 1929 dalla Facoltà romana a ricoprire la Cattedra rimasta libera dopo la morte di Gherardo
Ferreri.
Bilancioni era nato a Rimini il 2 luglio 1881 e si era laureato a
253
Roberto Filipo - Elio De Seta
Roma nel 1905. Dal 1907 al 1910 aveva ricoperto il ruolo di assistente e poi di aiuto negli Ospedali riuniti di Roma. Si trasferì successivamente nella Clinica ORL di Roma diretta da Gherardo
Ferreri dove, nel 1913, conseguì la libera docenza in otorinolaringoiatria.
Dopo aver prestato negli anni della grande guerra la sua opera
come maggiore medico, diresse a Roma il reparto otoiatrico
dell’Aeronautica militare, sviluppando brillanti studi sulla funzionalità labirintica in condizioni di ipossia.
Diede nuovo impulso allo sviluppo della Clinica, anche se i suoi
progetti erano assai più vasti di quanto in effetti non riuscì a realizzare con i mezzi che aveva a disposizione. Così si limitò ad attuare
gli interventi richiesti dalle carenze funzionali più evidenti.
Organizzò gli ambienti per l’esame funzionale dell’orecchio, il
reparto di radiologia, il laboratorio di fonetica biologica in modo che
il malato potesse passare da una sala all’altra senza perder tempo e
concludere rapidamente l’esame.
Bilancioni diede, inoltre, notevole sviluppo all’esame radioscopico del torace, estendendo l’indicazione a tutte le forme di laringite
cronica anche non specifica. Promosse un più diffuso impiego dell’esame radiologico del cranio, dei seni paranasali e dell’orecchio
medio con risvolti positivi dal punto di vista diagnostico e chirurgico.
Furono inoltre allestite sale operatorie riservate alla bronco-esofagoscopia - allora agli albori in Italia - con attrezzature complete, ivi
compreso un impianto radiologico che consentiva di intervenire
sotto controllo RX, laboratori di chimica e batteriologia, il museo
anatomo-patologico e uno stabulario per piccoli animali da esperimento3.
Tra gli apparecchi e i ferri chirurgici da lui ideati, ricordiamo l’apparecchio per la transilluminazione laringea, le forbici da turbinotomia e l’apparecchio per la cloronarcosi nella chirurgia dei seni paranasali.
La produzione scientifica fu notevole includendo più di 300 pubblicazioni e abbracciò, oltre le diverse branche della specialità,
anche la storia della medicina di cui era profondo cultore.
Possiamo schematizzare i principali campi di interesse: la patologia tubercolare, gli studi di fonetica biologica e sperimentale (La
voce parlata e cantata, normale e patologica, 1923), i fattori ereditari nella patologia otorinolaringoiatrica (Prime linee di una patologia dello sviluppo, 1932), la storia della medicina con argomenti
254
La Clinica Otorinolaringoiatrica
inerenti le scoperte in campo specialistico dei medici italiani del
passato (Eustachio, Spallanzani, Valsalva, Morgagni, Corti, Scarpa).
Nel 1925 fondò la rivista Valsalva e nel 1928 pubblicò il Manuale
di otorinolaringoiatria, opera in quattro volumi.
Fu membro della Reale Accademia Medica di Roma e socio fondatore della Società otorinolaringoiatrica latina. Morì a Roma il 6
gennaio 1935.
A Bilancioni successe il suo aiuto Giuseppe Vidau; romano di
nascita, si laureò e svolse tutta la carriera universitaria presso il
nostro Ateneo. Dal 1921 al 1925 fu assistente volontario; dal 1925
al 1931 è stato assistente di ruolo e poi aiuto (1931-35) del professor Bilancioni. Fu nominato professore ordinario nel 1942.
Diresse la Clinica fino alla sua morte (1954) con un intervallo, per
motivi politici, dal 1943 al ‘45; in quegli anni fu sostituito dal suo
aiuto Ettore Borghesan.
La produzione scientifica di Vidau fu quanto mai varia e riguardò
i più importanti problemi di patologia e clinica otorinolaringoiatrica: le malattie dell’epiglottide, i traumi del naso e delle cavità paranasali, la patologia del setto nasale, la plastica per fistole tracheolaringee.
Ampliò e migliorò la Clinica di cui gli era stata affidata la direzione: creò nuovi reparti destinati alla foniatria, audiologia ed elettrofisiologia specialistica, ma da tempo si era reso conto che la struttura
della vecchia Clinica, inaugurata da Gherardo Ferreri nel 1906, non
poteva reggere il passo delle necessità sviluppate con l’evoluzione
della specialità. Negli ultimi anni della carriera Vidau si adoperò per
far iniziare, all’interno del Policlinico Umberto I, la costruzione di
un nuovo e razionale edificio - la sede attuale - che accogliesse la
Clinica otorinolaringoiatrica, per la quale dette preziose indicazioni
e direttive. Purtroppo non poté veder compiuto interamente il suo
grande sogno, poiché morì di infarto cardiaco a Roma nel 1954.
Vidau dette vita ad una Scuola nella quale si formarono futuri cattedratici e primari ospedalieri: Donato di Vestea, direttore della
Clinica ORL di Perugia (1939-43); Ettore Borghesan, direttore della
Clinica ORL di Palermo; Vincenzo Fortunato, direttore della Clinica
ORL di Perugia (1944-53), poi di Catania (1953-66) e infine
dell’Università Cattolica di Roma (1966-75); Leopoldo Fiori-Ratti,
direttore della Clinica ORL di Perugia (1962-71), di Napoli (197175) e della Cattolica di Roma (1975-83); Domenico Raschellà, prematuramente scomparso; Domenico Filipo che, dopo aver diretto la
Clinica ORL di Perugia (1953-62), ricoprirà la Cattedra di Roma;
255
Roberto Filipo - Elio De Seta
Rodolfo Bormioli, primario per oltre quindici anni del reparto ORL
dell’Ospedale S. Giovanni di Roma.
Alla morte di Vidau fu chiamato a ricoprire la Cattedra Giorgio
Ferreri, nipote di Gherardo e allievo della Scuola romana. Giorgio
Ferreri, nato a Roma il 24 settembre 1893, partecipò alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria e si laureò a Padova nel
1917. Dopo la guerra entrò come assistente ordinario nella Clinica
otorinolaringoiatrica dell’Università di Roma diretta dallo zio
Gherardo. Conseguì la libera docenza nel 1923 e per un decennio
(1930-40) fu professore incaricato di otorinolaringoiatria presso
l’Università di Perugia.
Divenuto primario del reparto ORL dell’Ospedale S. Camillo di
Roma (1934-54), mantenne l’insegnamento a Perugia fino al 1940.
L’attività clinica e chirurgica non lo allontanarono comunque mai da
quella scientifica. Socio delle Società ORL francese, belga, austriaca e polacca, del Collegium ORL Amicitiae Sacrum, dell’International Broncho-Esophagological Society, dell’International
College of Surgeons, fu in stretto contatto con i più illustri esponenti dell’otorinolaringoiatria di allora grazie alla frequenza assidua
delle principali Cliniche e ai congressi europei della specialità4.
Nel 1947 fondò il Gruppo otologi ospedalieri italiani (GOOI)
concepito come forma di tutela degli specialisti ospedalieri nei confronti dell’allora predominante potere universitario. Nel 1950 organizzò a Roma una riunione straordinaria del Collegium
Otorinolaryngologicum Amicitiae Sacrum. Dal 1953 al 1954 fu presidente della Società italiana di otologia, rinologia e laringoiatria e
organizzò il 51° Congresso nazionale a Roma e il 52° a Trieste.
Nel 1954, alla morte di Vidau, fu nominato professore incaricato
di Clinica ORL presso l’Università degli Studi di Roma; nel 1956
divenne professore straordinario e infine ordinario nel 1959.
Inaugurò nel 1955 la nuova sede della Clinica ORL nel
Policlinico Umberto I che subito organizzò e perfezionò nelle sue
strutture interne. Si tratta dell’edificio sede dell’attuale
Dipartimento Assistenziale Integrato (DAI) di Otorinolaringoiatria
dell’Università “La Sapienza” di Roma che al tempo rappresentava
uno dei più moderni complessi sanitari esistenti.
L’edificio, ubicato nel Policlinico, lungo il lato prospiciente viale
dell’Università e posto tra la Clinica dermosifilopatica e la “nuova”
Clinica urologica, era composto da reparti di degenza per complessivi 118 letti, due complessi operatori, il reparto radiologico, il
reparto per visite ambulatoriali e dai servizi speciali quali l’otoneu256
La Clinica Otorinolaringoiatrica
rologia, l’olfattometria, l’audiologia con le cabine silenti, la foniatria, la tracheobronco-esofagoscopia, l’anatomia patologica, la
microbiologia, il laboratorio d’analisi e gli stabulari.
Alla didattica era riservata un’aula di 168 posti e una fornitissima
biblioteca.
I reparti di degenza erano articolati su quattro piani (fino al 1968
il terzo piano ospitò un reparto di chirurgia generale) e i complessi
operatori ubicati all’ultimo piano. Tra il blocco operatorio e l’aula
delle lezioni esisteva un impianto televisivo per mezzo del quale gli
studenti potevano seguire gli interventi chirurgici. Ciascuna sala
operatoria era dotata di tutti i servizi accessori e costituiva pertanto
un’unità organica a sé stante. L’istituto già allora era dotato di lavanderia autonoma, telefoni interni e segnalazioni acustiche radio a cuffia5.
L’apertura mentale conseguita grazie ai continui scambi culturali
con l’estero spinse Giorgio Ferreri a fondare nel 1959 la rivista
Italian general review of otorhinolaryngology edita in inglese e
francese che tuttavia non ebbe la fortuna che avrebbe meritato, probabilmente per il fatto che allora erano ancora pochi i colleghi che
avevano compreso l’importanza di lavorare in stretta sintonia con
scuole estere.
Avendo intuito, inoltre, che ciascuna branca dell’otorinolaringoiatria stava evolvendo verso una superspecializzazione, indirizzò
alcuni collaboratori in differenti campi come la chirurgia plastica,
l’otoneurologia, l’otochirurgia.
Fu autore di circa 120 pubblicazioni tra le quali: il capitolo sulla
chirurgia del labirinto e le complicanze endocraniche otogene nel
Trattato di Chirurgia otorinolaringologica di Caliceti (1940);
Anestesia locale e anestesia generale nella tonsillectomia (1948);
Cancro della laringe: Chirurgia e radioterapia (1949); Tentativi di
cura dell’ozena con impianto endonasale di placenta (1949);
Moderne acquisizioni sulla genesi e sul significato delle due componenti del nistagmo vestibolare (1952) e ancora studi sulle neuriti
ottiche di origine sinusale, sulla malattia di Wegener e il granuloma
gangraenescens. A lui si deve la descrizione di un sintomo – il sintomo auricolare di Ferreri - nei tumori peritubarici.
Morì improvvisamente per infarto cardiaco nel luglio del 1961.
Giorgio Ferreri fu, nell’ambito dell’otorinolaringoiatria italiana
dell’epoca, una delle più autorevoli figure di clinico e di ricercatore; dette vita a due scuole, una ospedaliera, nata nel periodo del primariato al San Camillo e l’altra universitaria.
Tra gli allievi del ventennale periodo ospedaliero ricordiamo
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Roberto Filipo - Elio De Seta
Edmondo Coppo, Vittorio Pescetti, Goffredo Carfagni e Annibale
Perrino divenuti tutti, in successione, primari ORL dell’Istituto
Regina Elena di Roma; Ugo Bombelli primario dal 1950 presso
l’ospedale San Giovanni di Roma, Michele Di Girolamo primario
dal 1950 al 1970 all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, Mario
Modestini, Roberto Valerio e Virgilio Pinelli giunti anch’essi al vertice primariale.
Allievi degli anni in cui Ferreri fu direttore della Clinica di Roma
furono Lucio Coppo, poi primario a Rieti; Stelio Crifò, futuro cattedratico di Audiologia all’Università “La Sapienza”; Antonio Cerretti
e Luciano Curi, primari ORL prematuramente scomparsi.
Alla morte di Giorgio Ferreri la
direzione della Clinica fu affidata
temporaneamente
a
Giorgio
Paludetti, aiuto anziano, fino al 1962
quando a ricoprire la Cattedra fu
chiamato il professor Domenico
Filipo, direttore della Clinica otorinolaringoiatrica dell’Università di
Perugia dal 1953, per il quale l’incarico romano rappresentava un ritorno alla sede d’origine e il coronamento di una carriera iniziata quasi
trent’anni prima.
Nato a Polistena (RC) l’8 maggio
1904, si era laureato a Roma nel
Fig. 1 – Domenico Filipo
1930. Allievo del professor
Bilancioni, aveva frequentato diversi corsi specialistici nelle
Cliniche di Vienna e Parigi e nel 1938 aveva conseguito la libera
docenza.
Fu aiuto di ruolo dal 1946 al 1957, ma in realtà dal primo novembre 1953 fu chiamato dall’Università di Perugia a dirigere la Clinica
ORL. Nel 1957 fu nominato professore straordinario e quindi il
primo novembre 1962 fu chiamato dalla Facoltà di Roma a ricoprire la Cattedra lasciata libera da Giorgio Ferreri.
Al momento del trasferimento a Roma, Domenico Filipo aveva
pubblicato circa 90 lavori scientifici, realizzati, quasi in egual misura, metà nel periodo in cui era stato assistente e aiuto a Roma e metà
nel periodo della direzione della Clinica di Perugia.
Di particolare importanza è la Relazione Ufficiale sui Tumori
258
La Clinica Otorinolaringoiatrica
maligni primitivi del rinofaringe presentata al Congresso nazionale
a Roma nel 1950. Vanno ricordati inoltre: il Trattato di
Otorinolaringoiatria in due volumi (1967), la monografia sulla
Terapia delle malattie otorinolaringoiatriche e la relazione ufficiale Le angiopatie in ORL presentata al Congresso nazionale di otorinolaringoiatria tenutosi a Firenze nel 1960.
Nella Clinica ORL del nostro Ateneo, Filipo tradusse in pratica i
suoi interessi scientifici, potenziando notevolmente i servizi di audiologia e di foniatria, incrementando l’attività operatoria con particolare riguardo alla laringectomia totale per la cura dei tumori maligni
della laringe e creando così una Scuola di specialisti che in Italia raggiunse livelli apicali in diverse sedi universitarie e ospedaliere6.
Tra gli allievi di Domenico Filipo che hanno conseguito cattedre
universitarie citiamo: Tommaso Marullo e Italo de Vincentiis, già
direttori della prima e seconda Clinica ORL dell’Università “La
Sapienza” rispettivamente; Maurizio Maurizi, direttore della Clinica
ORL di Perugia (1971-1987) e successivamente (1988-2005) della
Clinica ORL dell’Università Cattolica di Roma; Alberto Di
Girolamo, direttore della Clinica ORL di Roma “Tor Vergata”,
Desiderio Passali, già direttore della Clinica ORL de L’Aquila,
attualmente a Siena.
Allievi che hanno conseguito il primariato ospedaliero della specialità sono stati, invece, Luigi Bernicchi a Città di Castello,
Giuseppe Archilei a Foligno, Alfredo Cimino a Catanzaro, Giancarlo
Zaoli a Rimini, Antonio Luvarà a Reggio Calabria e molti altri.
Filipo diresse la Clinica di Roma come unico cattedratico fino al
1969, poi, con lo sdoppiamento della cattedra, mantenne la direzione della prima fino al 1974, anno del pensionamento. Morì a Roma
nel 1976.
Italo de Vincentiis, trasferitosi a Perugia nel 1953 al seguito del
professor Domenico Filipo, rientrò con lui a Roma nel 1962. Nel
1970, avendo Filipo sdoppiato la Cattedra, è stato nominato ordinario, ricoprendo la seconda Cattedra di Clinica ORL.
Italo de Vincentiis ha pubblicato, anche come coautore, diversi
trattati e monografie e 47 pubblicazioni indexate. Tra i suoi lavori:
Le micosi in otorinolaringoiatria (1961), La puntura citodiagnostica linfonodale in otorinolaringoiatria (1964), Le osteopatie rare in
ORL (1967), Otosclerosi e stapedectomia (1974); hanno suscitato
particolare interesse, inoltre, le pubblicazioni sulla laringe artificiale, sulla malattia di Ménière, sulle ipoacusie neurosensoriali e sulle
algie craniofacciali.
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Roberto Filipo - Elio De Seta
E’ stato tra i fondatori dell’AUORL (1971). Nel 1980 ha istituito, presso la Clinica ORL, il reparto di chirurgia maxillofacciale. È
stato presidente della Società italiana di otorinolaringoiatria, di quella di foniatria e direttore della rivista Valsalva. È stato membro del
Consiglio superiore di sanità e vicepresidente della Società europea
di otorinolaringoiatria (EUFOS).
Tra i suoi allievi ricordiamo Giorgio Iannetti, direttore di
Chirurgia Maxillo-Facciale a “La Sapienza”, Alberto Biserni vincitore del concorso a cattedra ORL in Clinica nel 1986, pochi mesi
prima della sua prematura scomparsa, Marco Fusetti, attualmente
direttore della Clinica ORL de L’Aquila.
E’ andato in pensione un anno prima della naturale scadenza.
Nel 1974, quando Domenico Filipo ha lasciato la direzione della
prima Cattedra, il suo posto è stato occupato dal professor Tommaso
Marullo che dal 1973 già ricopriva l’insegnamento di Clinica ORL
della terza Cattedra.
Tommaso Marullo è autore di 42
pubblicazioni scientifiche indexate e
di numerose relazioni ufficiali presentate a Congressi nazionali delle
società italiane di otorinolaringoiatria e di audiologia.
Fra le relazioni ufficiali svolte per
la SIO sono da ricordare Le malformazioni dell’orecchio (1954),
L’arteriografia vertebrale in otorinolaringoiatria (1970), I tumori
maligni primitivi del seno e dell’osso mascellare (1974); fra le relazioni svolte per la Società italiana di
audiologia quella sulla Semeiologia
Fig. 2 – Tommaso Marullo
e clinica dell’insufficienza vertebrobasilare (1978).
Tra gli argomenti di ricerca perseguiti appassionatamente, vanno
ricordati gli studi sperimentali sulle malformazioni dell’orecchio,
quelli sulla impedenzometria posizionale, sulla faticabilità e recupero della funzione uditiva, sul circolo cerebrale; inoltre le innovazioni apportate alle tecniche per la terapia chirurgica funzionale delle
neoplasie maligne della regione sovraglottica, nonché delle neoplasie estese a più regioni laringee, ma non profondamente infiltranti,
260
La Clinica Otorinolaringoiatrica
trattamento che prevede l’eviscerazione sottopericondrale interna
nel rispetto dello scheletro dell’organo.
Tommaso Marullo è stato per nove anni membro del Consiglio
Superiore di Sanità; membro elettivo del Comitato nazionale per le
scienze biologiche e mediche del CNR; membro del Consiglio
scientifico del laboratorio di neurofisiologia del CNR di Pisa. È
stato presidente della Società Italiana di Audiologia.
Tra gli allievi divenuti professori ordinari, Roberto Filipo è l’attuale Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato di
Otorinolaringoiatria de “La Sapienza” e Mario Fabiani è Audiologo
nel nostro Ateneo; tra quelli che hanno conseguito i vertici primariali ricordiamo Paolo Bolasco a Roma (Ospedale Nuovo Regina
Margherita) e Fulvio Carluccio ad Avezzano.
Nel 1991 è stato decorato di medaglia d’oro al merito della Sanità
Pubblica; si è spento nel maggio del 2004.
Il professor Stelio Crifò (1929-1980) nell’arco di tutta la carriera
sì dedicò a studi di anatomia e di istologia inerenti i diversi settori
della specialità e nel 1956 fu nominato dirigente dei laboratori di ricerca della Clinica ORL di Roma.
Crifò è stato redattore della rivista
bilingue Italian general review of
otorhinolaryngology, fondata e
diretta dal suo maestro Giorgio
Ferreri; dal 1970 fu redattore capo
della rivista Valsalva e dal 1979
anche del Bollettino della Società
Italiana di audiologia e foniatria.
Nel 1972 istituì presso la Clinica
ORL un servizio speciale centralizzato di diagnosi e cura per le malattie allergologiche e immunologiche.
Nel 1974 fu nominato, fra i primi
Fig. 3 – Stelio Crifò
in Italia, professore ordinario di
audiologia, direttore della Cattedra omonima presso la Clinica di
Roma ed inoltre responsabile della terza divisione ORL.
Fu uno dei più convinti assertori della necessità di autonomizzare
l’audiologia dall’otorinolaringoiatria e nel 1979 attivò la Scuola di
specializzazione in audiologia.
261
Roberto Filipo - Elio De Seta
Fu membro del comitato CNR per la medicina e biologia, presidente della Società italiana di otorino-laringologia pediatrica e della
Società italiana di audiologia, componente della commissione del
Ministero della Sanità per il Servizio Sanitario Nazionale, socio di
numerose organizzazioni scientifiche italiane e straniere.
Ha curato la traduzione italiana di trattati di patologia e chirurgia
otorinolaringoiatrica: Ballantyne e Naumann.
Tra le pubblicazioni, numerosissime e ad impronta clinica e sperimentale, di particolare interesse sono gli studi sulla distribuzione
dei mucopolisaccaridi acidi nella mucosa nasale, sulla granulomatosi di Wegener e sulle mesenchimopatie, le ricerche di audiologia, gli
studi sul lisozima e sul muscolo vocale, i capitoli delle relazioni
ufficiali La tonsilla linguale, Osteopatie rare in ORL, Sindromi
ostruttive acute di tipo asmatico; la monografia La puntura citodiagnostica linfonodale in otorinolaringoiatria, il capitolo Le malattie
del naso sul Trattato di otorinolaringoiatria di Domenico Filipo.
Stelio Crifò è improvvisamente deceduto il 16 giugno 1980, mentre,
nel pieno dell’attività clinica e scientifica, stava per intraprendere un
triennio di direzione dell’intera Clinica ORL di Roma7.
Il professor Alberto Biserni (1946-1986) ricoprì l’incarico di
insegnamento al corso ufficiale di Clinica otorinolaringoiatrica già
nel 1979.
Nel 1980 fu nominato primario del servizio di laringobronco-esofagoscopia e nel 1982 professore associato e titolare della quarta
Cattedra di Clinica ORL. Tra le sue pubblicazioni sono da ricordare
i lavori sperimentali sulla laringe artificiale e quelli sull’epidemiologia e la terapia chirurgica del cancro laringeo.
Alberto Biserni era noto in campo nazionale e internazionale
anche per essere stato molti anni segretario dell’AUORL e redattore capo della rivista Il Valsalva.
Nel 1986, pochi mesi prima della prematura scomparsa, risultò
vincitore del concorso a cattedra di Clinica otorinolaringoiatrica a
coronamento di una particolare dedizione alla didattica e alla ricerca scientifica8.
La Clinica attuale
Marco de Vincentiis, professore associato nel 1987 presso
l’Università di Chieti, ordinario nel 1990 e direttore della quarta
Cattedra di Clinica ORL a “La Sapienza”. Dirige attualmente il
Dipartimento di ORL e Foniatria Giorgio Ferreri.
I suoi campi di interesse riguardano soprattutto la chirurgia larin262
La Clinica Otorinolaringoiatrica
gea subtotale, la microchirurgia laser C02, la chirurgia plastica ricostruttiva dopo demolizioni per neoplasie maligne del distretto cervicofacciale ed altre.
E’ direttore del periodico Nuova medicina moderna e dal 1987
della rivista Valsalva. E’ coordinatore nazionale del Gruppo di cooperazione interdisciplinare in ORL e dal 1986 responsabile scientifico della ricerca CNR su Le lesioni precancerose della laringe: tipizzazione istologica, trattamento ed evoluzione verso il carcinoma.
Giancarlo Cianfrone è professore associato di audiologia
dall’82, ordinario nel 1990, da allora è titolare dell’insegnamento di
audiologia di Roma “La Sapienza”.
Le sue pubblicazioni sono rivolte prevalentemente allo studio
della neuromeccanica e micromeccanica dell’organo del Corti e alle
emissioni otoacustiche sulle quali ha organizzato conferenze e simposi anche internazionali.
Ha curato le relazioni ufficiali dei congressi nazionali della
Società italiana di audiologia e di otorinolaringoiatria su: L’indagine
elettroacustica nella patologia della voce (1976), Gli acufeni (1983)
e Fisiopatologia e clinica delle vie uditive del troncoencefalo
(1985).
Mario Fabiani, professore associato di Audiologia dal 1985, nella
stessa matera è stato chiamato dalla Facoltà nel 2000 come professore ordinario. E’ presidente del Corso d Laurea in Audioprotesi e
direttore della scuola di specializzazione in Audiologia e Foniatria
dal 2002; dal 2004 responsabile della UOC di Foniatria. Le sue ricerche originali riguardano i potenziali evocati uditivi del troncoencefalo e le otoemissioni acustiche; negli ultimi dieci anni i suoi interessi
scientifici si sono rivolti principalmente alla sindrome delle apnee
ostruttive durante il sonno e al russamento, a proposito dei quali ha
organizzato due congressi internazionali a Roma.
Roberto Filipo, specialista in ORL nel 1971 ed in neurochirurgia
nel 1976, ha frequentato come fellow in diversi periodi, a partire dal
1971, l’House Ear Institute di Los Angeles e altri importanti Centri
otologici statunitensi e lì ha acquisito, portandole a Roma, strategie
cliniche e tecniche chirurgiche allora d’avanguardia e tuttora valide.
Professore associato di Otorinolaringoiatria presso l’Università
degli Studi “La Sapienza” di Roma dal 1982 è stato chiamato dalla
Facoltà come professore di prima fascia nel 1986, ricoprendo il
ruolo di ordinario di audiologia ed è stato nominato primario del
263
Roberto Filipo - Elio De Seta
Servizio speciale di audiologia della Clinica. Nel luglio del 1987 è
stato chiamato, per trasferimento, a ricoprire la III Cattedra della
Clinica ORL.
Presidente del Corso di Laurea “C” della Facoltà di Medicina e
Chirurgia a “La Sapienza” di Roma dal 1995 al 2001. Direttore del
Centro Interuniversitario di Ricerca sulle Problematiche della
Sordità, dal 1998. Direttore del Dipartimento di Neurologia e
Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza” dal 2001.
Direttore dell’istituto di Clinica Otorinolaringoiatrica dal 1990 al
2001, Roberto Filipo è l’attuale direttore del Dipartimento
Assistenziale Integrato (DAI) di Otorinolaringoiatria, realizzando
così nuovamente, dopo oltre 20 anni, quell’unità organizzativa della
Clinica che si era persa dopo la scomparsa del padre.
E’ stato direttore della Scuola di specializzazione in audiologia
(1988-2001) e del corso di laurea per audiometristi fino al 2004.
Dirige attualmente la II Scuola di Specializzazione in otorinolaringoiatria. È stato presidente della Commissione medica della fondazione mondiale dei sordi e consulente scientifico per l’Ente nazionale sordomuti.
La sua produzione scientifica è stata sempre rivolta elettivamente
allo studio delle patologie funzionali e flogistiche dell’orecchio
medio e interno e la maggior parte dei lavori si riferisce a problema-
Fig. 4 – Laboratorio di dissezione del temporale
264
La Clinica Otorinolaringoiatrica
tiche tipicamente audiologiche e otologiche con numerosi contributi clinici e sperimentali originali. Interessi clinici particolari sono
l’otoneurochirurgia, la chirurgia dell’orecchio medio e soprattutto la
chirurgia dell’impianto cocleare, eseguito in Clinica fin dal 1993,
che è attualmente considerato il metodo più efficace e di avanguardia per la riabilitazione dell’udito in pazienti affetti da sordità severa-profonda sia congenita che acquisita.
Da molti anni, infine, ha allestito e dirige, all’ultimo piano della
Clinica, un Laboratorio del temporale con dieci postazioni per
altrettanti allievi, dotate di microscopio operatorio, trapani, aspiratori e microstrumenti. Con cadenza trimestrale vi si tengono corsi di
dissezione dell’osso temporale e chirurgia in diretta con docenti
della Clinica e ospiti, esperti otologi di fama internazionale.
BIBLIOGRAFIA
1. CELESTINO D., CURI L. , La chirurgia funzionale dell’orecchio nei lavori di
Clemente Emilio De Rossi. Valsalva 1965; 41(6):440-53.
2. MORETTI A., CROCE A., Laringectomia totale: dal chirurgo generale
all’otorinolaringoiatra. Acta Otorhinolaryngol. Ital. 2000; 20(1):16-22.
3. PAZZINI A., La Storia della Facoltà Medica di Roma. Voll. I e II, Roma,
Istituto di Storia della Medicina, 1961.
4. PALUDETTI G., Il Prof. Giorgio Ferreri (1893-1961). Valsalva 1961; 37:181185.
5. DI GIROLAMO A., La storia dell’otorinolaringoiatria di Roma e del Lazio
dalla fine dell’800 ad oggi. Riv. It. Otorinolar. Aud. Fon. 1991; 11:15-26.
6. BELLUSSI G., In memoria del Prof. Domenico Filipo. Ann. Laringol. Otol.
Rinol. Faringol. 1978; 76(2):179-80.
7. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
Ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985.
8. DE VINCENTIIS I., CROCE A., Evoluzione dell’ORL in ambito universitario
a Roma “La Sapienza”. In: FELISATI D., I cento anni della otorinolaringoiatria italiana. Firenze, Giunti 1992 pag. 71-88.
265
LA CLINICA OCULISTICA
PAOLA PIVETTI PEZZI
267
La Clinica Oculistica
I primi anni d’insegnamento
L’insegnamento della Clinica Oculistica nell’Università “La
Sapienza” di Roma inizia con l’istituzione della Regia Università:
infatti, lo troviamo citato, per la prima volta, nella Convenzione stipulata il 27 dicembre 1870 tra il Ministro della Pubblica Istruzione
e le Amministrazioni degli Ospedali ove è espressa la decisione di
svolgere il corso di lezioni di Oculistica in locali messi a disposizione presso l’Ospedale San Giacomo; viene colmata così questa lacuna presente nell’Università Pontificia. Inizialmente, è nominato
Direttore della Clinica Oculistica Francesco Magni, proveniente
dall’Università di Bologna, ma già nell’anno successivo, a.a. 187273, l’insegnamento è tenuto da Francesco Businelli, trasferitosi
dall’Università di Modena.
Businelli dedica una particolare cura alla didattica e rivolge la sua
attenzione soprattutto ai problemi clinici quali l’oftalmopatia dei
neonati, la irido-coroidite simpatica, le flogosi del segmento anteriore ed il glaucoma. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1907, l’insegnamento è affidato al suo allievo Alfredo Fortunati fino a quando, nel
1908, viene chiamato come Direttore Giuseppe Cirincione.
Nel frattempo nel 1877, durante la direzione di Businelli, la Clinica
dall’Ospedale San Giacomo è trasferita al Santo Spirito o più precisamente all’Ospedale San Carlo, un edificio situato verso Ponte S.
Angelo, staccato dal vecchio ospedale S. Spirito, ma di esso comunque facente parte. In questo edificio la Clinica Oculistica può usufruire di un unico locale, situato al pianterreno, dove necessariamente trovano posto il laboratorio, l’ambulatorio e la clinica1. Nel 1905 la
Clinica ha la sua sede definitiva in una struttura appositamente
costruita al Policlinico Umberto I, dove è tuttora operante.
La sede dell’Istituto
L’edificio di Clinica Oculistica viene costruito, su progetto
dell’Architetto Podesti, all’estremità sinistra della fronte del
Policlinico … e si eleva sopra un’area di mq. 13002. E’ situato nella
zona anteriore, la zona cioè che si affaccia sul viale del Policlinico
(in passato via delle mura di Belisario). La costruzione prevede: nell’avancorpo un pianterreno ove collocare l’infermeria per bambini
con quattro sale, ognuna con sei letti; al primo piano due padiglioni
d’infermeria collegati da una galleria, uno a destra per le donne, uno
a sinistra per gli uomini, divisi ciascuno in due sale ed ognuna dotata di cinque letti; inoltre una stanza per il medico di guardia e tre
camere per malati isolati. Il secondo piano, nel progetto, è formato
da tredici camere destinate ai pensionanti e all’abitazione per gli
269
Paola Pivetti Pezzi
studenti. Nel retrocorpo un’antisala da cui si accede alla scala principale, una spaziosa sala d’aspetto, due camere di visita per il professore, due per gli assistenti e due camerini con lavandino e cesso3.
I Maestri, la didattica, la ricerca
Giuseppe Cirincione (Bagheria 1863 – Roma 1929) assume la
direzione della cattedra nel 1908 e la “nuova” clinica diventa un
importante centro di ricerca apprezzato a livello internazionale,
dotato di laboratori, di una biblioteca ben fornita di periodici italiani e stranieri, di adeguata attrezzatura scientifica e di apparecchiature adatte a riprendere gli atti operatori. L’obiettivo che vuole raggiungere è quello di evitare che gli studenti debbano subire4:
il calvario da lui percorso per il perfezionamento all’estero in clinica
oculistica e viceversa spingere gli stranieri a venire in Italia a
perfezionarsi nel grande centro oftalmologico di Roma.
Di particolare interesse la sua raccolta di preparati istologici e di
disegni riproducenti le malattie oculari.
Cirincione è autore di importanti pubblicazioni relative alle sue
ricerche sull’embriologia e istopatologia dell’apparato visivo, sul
tracoma, sulla tubercolosi del nervo ottico, sulla sclerosi congiuntivale, su problemi chirurgici, clinici e di medicina legale. Ben consapevole dell’importanza delle pubblicazioni scientifiche, egli, nel
1917, promuove la fondazione e dirige la rivista Annali di
Ottalmologia e Clinica Oculistica, nata dalla fusione di altri due
periodici: Clinica Oculistica (1900-1915) e Annali di Ottalmologia
(1871-1915). La sua fama di chirurgo è legata soprattutto agli interventi per innesti corneali; così Giuseppe Scuderi sottolinea la sua
abilità chirurgica5:
… Della sua incessante attività di clinico e di chirurgo, va ricordato che
fu il primo a praticare con successo in Italia e in Europa l’innesto corneale
(1907) su un occhio di un lavoratore cieco per leucoma, prelevando il
disco di cornea da trapiantare dal bulbo di un altro paziente affetto da
tumore maligno dell’orbita.
Numerosi furono i suoi allievi che raggiunsero la Cattedra universitaria: Speciale a Torino, Maggiore a Genova, Cattaneo a
Milano, Lo Cascio a Napoli, Di Marzio a Bologna, Contino a
Palermo.
270
La Clinica Oculistica
Fig. 1 – Giuseppe Cirincione
Nel 1926 Cirincione termina il suo
ruolo di docente e l’insegnamento è affidato come supplenza al suo allievo Quirino
Di Marzio che mantiene l’incarico fino al
1929, quando viene chiamato a Roma il
Professor Giuseppe Ovio.
Giuseppe Ovio (Polcenigo (Udine)
1863- Roma 1957) ha diretto la Clinica
Oculistica di Roma soltanto per sei anni,
dal 1929 al 1935, dopo essere stato titolare
della cattedra di Oculistica di Siena,
Modena, Genova e Padova.
Fig. 2 – Giuseppe Ovio
disegno a matita
Fig. 3 – Giuseppe Ovio
Scienziato e uomo di grande cultura, Ovio è stato un caposcuola
dell’Oftalmologia Italiana.
Le sue alte doti scientifiche sono ricordate nella commemorazione fatta da Gian Battista Bietti in occasione della scomparsa del più
venerando Maestro dell’Oftalmologia Italiana Giuseppe Ovio,
Professore Emerito dell’Università di Roma6:
… L’opera scientifica di Giuseppe Ovio si è concentrata in circa 100
pubblicazioni che hanno interessato, nel senso più vero della parola, tutti
i campi dell’oftalmologia, … Degni di menzione sono anzitutto gli studi
clinico-patologici dei suoi anni giovanili sull’oftalmia simpatica e sul
glioma retinico, le indagini sperimentali sui traumatismi da pallini da
caccia, nonché le classiche ricerche sulla cataratta artificiale ed in
particolare su quella naftalinica.
Nell’ambito dei contributi di anatomia e fisiologia fa poi spicco il grosso
volume di “Anatomia e Fisiologia dell’occhio nella serie animale”, il più
271
Paola Pivetti Pezzi
completo del genere, ricchissimo di una messe di preziose notizie
estremamente utili allo studioso, e che ebbe anche l’onore di un’edizione
francese. …
Non mancano trattazioni sui problemi della visione cromatica, campo nel
quale Giuseppe Ovio ha pubblicato anche un prezioso volume, uscito pure
in edizione francese. All’ottica fisiologica egli seppe anche indirizzare
l’interesse di numerosi allievi ... un vasto e fecondo lavoro ha poi svolto
nei riguardi della Storia della Medicina. Egli ci ha dato qui contributi di
altissimo interesse e che rappresentano senza dubbio quanto di più vasto
e completo sia stato scritto in italiano sull’oftalmologia, dal punto di vista
storico.
Vorremmo qui soprattutto ricordare il volume sull’ottica di Euclide, quello
su G.B. Morgagni e i due volumi su Antonio Scarpa, precursore
dell’oculistica moderna.
Ma la visione sull’attività di Giuseppe Ovio quale scrittore di cose
oculistiche non sarebbe completa, se non si avesse presente il suo
“Manuale di oculistica pratica”, edito da Vallardi, che ebbe ripetute
edizioni e sul quale si educarono numerose generazioni di medici. …
…Per la stima della quale godeva negli ambienti oftalmologici anche
stranieri fu piu’ volte chiamato a far parte di riunioni e congressi
internazionali… Fece pure parte del Concilium Ophthamologicum
Universale, quale rappresentante dell’Italia.
Fu clinico valentissimo ed operatore sicuro e, soprattutto negli anni della
sua maturità, godé di largo apprezzamento e successo professionale. Egli
tuttavia non tenne mai a guadagni economici e si andò sempre più
rifugiando nei suoi prediletti studi.
Ebbe larga schiera di allievi e lasciò profondo solco del Suo passaggio
nelle numerose sedi toccate dalla sua lunga carriera universitaria. Molti
di essi ascesero a posti di rilievo nell’oftalmologia italiana e basterà qui
ricordare i nomi di Pardo, di Lachi, di Leonardi, di Strampelli.
Nel 1935 Ovio è dichiarato Professore fuori ruolo per raggiunti
limiti di età, ma continua la sua attività scientifica fino a tarda età
dedicandosi anche a ricerche storiche. Infatti nel 1950 pubblica il I
Volume della Storia dell’Oculistica (dalle origini al 1850), nel 1952
il II (dal 1850 al 1900); un enorme lavoro condotto con l’obiettivo
di far chiarezza nella disciplina dell’oculistica e con la speranza,
come egli afferma, che7:
nel leggerlo qualcuno provassse un po’ del piacere da me provato nello
scrivere questo libro, perché è la gioia maggiore che uno possa provare
272
La Clinica Oculistica
sapere che ciò che si è tanto amato interessi.
La Cattedra di Oculistica, intanto, dal 1935 era stata affidata a
Vittoriano Cavara, (Castelmaggiore, Bologna, 1886 – Roma 1955)
proveniente dall’Università di Napoli, dopo essere stato titolare
della Cattedra di Clinica Oculistica di Siena.
Vittoriano Cavara, Socio fondatore della Società Oftalmologica
Italiana, si dedica a numerosi aspetti della Oftalmologia. Particolare
interesse suscitano i suoi studi sulle micosi oculari, sui metodi di
diagnosi differenziale tra pneumococco e streptococco (batteriologia oculare), sulle malattie oculari di natura tubercolare; molto
apprezzati, inoltre, quelli sulle virosi, ricerche queste ultime che presenta nel 1952 a Torino al Congresso della Società con il titolo: Le
manifestazioni oculari delle malattie da virus e da rickettsie, suscitando grande interesse. La relativa monografia ha rappresentato per
molti anni il massimo testo di riferimento e di consultazione nel
campo delle virosi oculari.
Fig. 4 – Vittoriano Cavara
Le sue alte doti umane e di scienziato sono
state così ricordate nella commemorazione fatta
da Giambattista Bietti8:
… Di lui si può con piena certezza affermare che
raramente vi è stata tanta unanimità di consensi nel
considerarlo su un piano elevatissimo di intelligenza, di capacità, di
rettitudine, di bontà, di signorilità e di umanità …
… Per quanto profondamente schivo da onori e da cariche i Suoi meriti
grandissimi gli valsero i più alti riconoscimenti in Italia e all’Estero, onde
fu ripetutamente membro di comitati e commissioni e socio di numerose
accademie e società scientifiche italiane e straniere …
Oltre alla sua opera di ricercatore va sottolineata quella di chirurgo; fu, infatti, tra i primi in Italia ad operare il distacco di retina. Si
dedicò inoltre allo studio del trapianto di cornea e delle resine sintetiche in Oftalmologia.
Tra i suoi allievi vanno ricordati oltre a Bietti, Marcello Focosi
cattedratico di Sassari, Siena e Firenze e Franco D’Ermo cattedratico a Cagliari, Bari, Padova e Roma – Tor Vergata.
Alla sua morte, avvenuta in maniera improvvisa nel 1955, è chiamato alla Direzione della Clinica il suo allievo Gian Battista Bietti.
273
Paola Pivetti Pezzi
Gian Battista Bietti (Padova 1907 – Roma 1977) ha diretto con
altissimo prestigio la Clinica Oculistica dell’Università di Roma, per
oltre un ventennio, dal 1955 al 1977, dopo essere stato titolare delle
Cliniche di Sassari, Pavia e Parma.
Durante la sua vita professionale Bietti svolge un’intensissima
attività clinica, scientifica e universitaria che gli fa guadagnare meritata fama internazionale come clinico insigne, scienziato di profonda cultura e soprattutto Maestro appassionato, che tutt’ora vive con
rimpianto nel ricordo dei suoi Allievi e della comunità scientifica
internazionale.
Il suo interesse di ricercatore e di clinico si rivolge a quasi tutti gli
aspetti dell’oftalmologia: dalla fisiopatologia sperimentale all’istologia e microbiologia, alla clinica e terapia medica e chirurgica.
Ha dato il proprio nome a più di 25 sindromi, malattie e tecniche
chirurgiche. Precursore e pioniere della crioterapia in oftalmologia,
per primo la propone nel trattamento del distacco di retina e del
glaucoma. Sempre in campo chirurgico mette a punto originali interventi per la correzione della ptosi palpebrale e di particolari forme
di strabismo, mentre in numerose monografie e pubblicazioni, anche
internazionali, compendia le sue ricerche sulle vitamine, sul tracoma, i virus, le distrofie corneali, le distrofie retiniche e sul trattamento chirurgico del glaucoma congenito.
Collabora con il Centro Studi e Ricerche di Medicina Aeronautica, conducendo studi originali sulla circolazione retinica in
volo ad alta quota e si fa promotore della Scuola di Specializzazione in Medicina Aeronautica Spaziale.
Istituisce la Scuola Speciale per Ortottisti, prima in Italia, e dà un
importante contribuito all’istituzione dell’Oftalmologia Sociale.
È nominato Presidente dell’International Organization against
Trachoma (OMS) e Vice Presidente dell’International Council of
Ophthalmology 9.
Particolarmente aperto verso esperienze e realtà culturali internazionali, viene spesso invitato dai più prestigiosi Dipartimenti di
Oftalmologia a tenere conferenze e letture magistrali e da questi
soggiorni all’estero riporta sempre, con entusiasmo, idee originali e
novità tecnologiche utili per modernizzare e incentivare l’attività
clinica e di ricerca della “sua clinica”.
Bietti, infatti, fin dai primi anni del suo insediamento a Roma, effettua una progressiva e moderna riorganizzazione della Clinica, dotandola di laboratori di ricerca e di nuove strumentazioni e tecnologie.
Negli anni ’60 del secolo scorso la Clinica Oculistica contava di
120 letti di degenza suddivisi in quattro reparti per adulti (due repar274
La Clinica Oculistica
ti Uomini e due reparti Donne) e di un reparto Pediatrico di 22 letti,
non sufficienti per soddisfarre le richieste di ricovero di bambini
affetti da glaucoma congenito, cataratta e strabismo, provenienti da
tutte le regioni di Italia per essere operati dal Professore Bietti.
La Clinica, quindi, viene
dotata di reparti speciali di
ricerca clinica, all’avanguardia per l’epoca, affidati
a valenti ricercatori; tra i
reparti raggiungono l’eccellenza il Centro di Elettroretinografia (con il Prof.
A. Wirth), il Reparto di
Ortottica (con il Prof. B.
Fig. 5 – Il Prof. Bietti mentre esegue una tonoBagolini), il Reparto Retina
grafia con un prototipo di tonografo elettronico
(con il Prof. M.R. Pannarale), il Reparto Glaucoma (con il Prof. C.A. Quaranta ed il Prof.
M.G. Bucci), il Centro di Fisiofarmacologia Oculare (con il Prof. M.
Virno e la Prof. M. J. Pecori Giraldi) e, infine, il Centro Uveiti (con
la Prof. P. Pivetti Pezzi).
Bietti ha dato un notevole impulso alla ricerca, sia sperimentale
che clinica, stimolando i suoi allievi più giovani ad affrontare, con
interesse ed entusiasmo, le più attuali e difficili problematiche del
momento relative all’oftalmologia sempre sotto la sua precisa e
sapiente guida. Risultati significativi e internazionalmente riconosciuti si sono così ottenuti nel campo della terapia del glaucoma con
l’individuazione di nuovi agenti osmotici e dei primi beta-bloccanti
topici, nella terapia chirurgica e parachirurgica del distacco di retina, nello studio della fisiopatologia della motilità oculare e nella
prevenzione dell’ambliopia, nella patogenesi e terapia delle uveiti.
Bietti certamente non è stato soltanto un grande ricercatore, un
grande clinico e chirurgo, un grande organizzatore, ma anche un
grande didatta. L’amore per lo studio, che trasmetteva a chi gli stava
vicino, e la sua profonda cultura, non soltanto scientifica, si riflettevano sulle sue innate capacità didattiche e sul suo spiccato senso del
dovere per l’insegnamento. Sempre aperto e disponibile al dialogo
con i giovani, ma nello stesso tempo esigente e rigoroso nella sua
funzione di educatore e di Maestro.
Le sue lezioni, i periodici incontri aperti a tutti gli oftalmologi
della regione, i seminari e le riunioni del Circolo Oftalmologico
Romano non si possono dimenticare; egli ha costituito, infatti, un
275
Paola Pivetti Pezzi
punto costante di riferimento e di guida per l’Oculistica Italiana del
suo tempo, uomo di scienza, prestigioso e appassionato organizzatore di una grande Scuola, ma anche uomo di alte qualità morali e
culturali.
Nove suoi allievi sono diventati Professori Ordinari, ampliando e
diffondendo la sua Scuola e i suoi insegnamenti: Antonio Grignolo
(Genova), Alberto M. Wirth (Pisa), Bruno Boles Carenini (Torino),
Bruno Bagolini (Roma, Cattolica), Carlo A. Quaranta (Brescia),
Luigi Scullica (Roma, Cattolica), Mario R. Pannarale (Roma, La
Sapienza), Massimo G. Bucci (Roma, Tor Vergata), Paola Pivetti
Pezzi (Roma, La Sapienza).
Fig. 6 – 1. Il Prof. G.B. Bietti davanti alla Clinica Oculistica di Roma nel 1968/69 insieme agli Aiuti, Assistenti, Specializzandi, Ortottiste, Allieve Ortottiste e Ospiti stranieri: 2.
B. Bagolini (P.O. Roma, Cattolica); 3. M. R. Pannarale (P.O. Roma, La Sapienza); 4. L.
Scullica (P.O. Roma, Cattolica); 5. R. Vozza (Primario, Milano); 6. F. Bruna (Aiuto,
Roma); 7. C.A. Quaranta (P.O. Brescia); 8. N. Capobianco (P.A. Siena); 9. B.S. Pristley
(Univ. Boston, USA); 10. M. Virno (P.A. Roma, La Sapienza); 11. G.C. Modugno (P.A.
Roma, La Sapienza); 12. F. Bozzoni Pantaleoni (Primario, Roma); 13. C. Bisantis (P.O.
Padova); 14. G. Ravalico (P.O. Trieste); 15. P. Pivetti Pezzi (P.O. Roma, La Sapienza);
16. M. G. Bucci (P.O. Roma, Tor Vergata); 17. A. Missiroli (P.A. Roma, La Sapienza); 18.
R. Neuschüler (Primario, Roma);19. Koki Aoki (Univ. Sapporo, Giappone); 20. M. Stirpe
(Pres. Fond. Bietti); 21. G.B. Moschini (P.A. Padova); 22. B. Ciucci (Primario, Roma);
23. C. Santillo (Primario, Roma); 24. L. Cerulli (P.O. Roma, Tor Vergata).
276
La Clinica Oculistica
Come il suo maestro Vittoriano Cavara, anche Bietti muore
improvvisamente mentre si trova in Egitto, al Cairo, per partecipare
ad un Congresso e la Facoltà di Medicina affida temporaneamente
la Direzione dell’Istituto e l’Insegnamento al suo allievo Mario
Rosario Pannarale, titolare della Cattedra di Ottica Fisiopatologia e
in seguito chiamato a ricoprire la I Cattedra di Clinica Oculistica.
Infatti proprio in quell’anno, il 1977, il Ministero della Pubblica
Istruzione concede il nulla osta per l’istituzione di una seconda Cattedra
di Clinica Oculistica che si vuole ricoprire con la chiamata a Roma, per
trasferimento, di Giuseppe Scuderi, Professore Ordinario dal 1965 e
Direttore dell’Istituto di Clinica Oculistica dell’Università di Bari.
Mario Rosario Pannarale (Triggiano, Bari, 1926 – Roma 2002)
svolge un’intensa e originale attività di ricerca clinica e sperimentale in numerosi campi dell’Oftalmologia. Di particolare rilievo le
ricerche sul tracoma, gli studi di Otticafisiopatologica, di elettrofisiologia oculare e di biotecnologie, con la realizzazione di nuovi
strumenti per la microchirurgia del segmento posteriore, e soprattutto le ricerche sulla patologia vitreo-retinica, campo nel quale con
grande passione ha raggiunto l’eccellenza.
Degne di menzione sono in particolare le numerose tecniche innovative da lui adottate nella chirurgia del distacco di retina e dei fori
maculari.
Pannarale dirige per molti anni la Scuola speciale per Ortottisti e,
dal 1980, la II Scuola di Specializzazione in Oftalmologia. Guida
con grande impegno l’attività di alcuni Servizi e Centri di ricerca,
già presenti in Istituto, e promuove la nascita e lo sviluppo di altri.
Di particolare rilievo: il Centro per la diagnosi e la chirurgia delle
malattie della retina; il Centro di Ortottica per lo studio e la cura
delle anomalie della motilità oculare e della visione binoculare; il
Servizio di diagnosi, profilassi e terapia medico-chirurgica della
retinopatia diabetica e delle vasculopatie oculari; il Centro per le
eredo-degenerazioni retiniche; il Servizio di laserterapia (Laser
Argon/Krypton e Yag Laser); il Reparto di fisiofarmacologia oculare e glaucoma; il Centro di elettrofisiologia e tecniche biomediche.
Sotto la sua direzione la I Clinica Oculistica diventa Centro di
riferimento nazionale per la diagnosi e la terapia medica e chirurgica delle malattie vitreo-retiniche.
E’ stato socio fondatore del Club Gonin e membro di numerose
società internazionali di Patologia e Chirurgia Retinica.
Nel 1998 è dichiarato Professore fuori ruolo per raggiunti limiti di
età rimanendo Direttore della II Scuola di Specializzazione in
277
Paola Pivetti Pezzi
Oftalmologia fino al pensionamento nel 2001.
Nel 2002 viene chiamata dalla Facoltà a succedergli la Prof.ssa
Paola Pivetti Pezzi.
Giuseppe Scuderi, nato a Giardini Naxos, Messina, nel 1918, è
trasferito a Roma nel 1977 da Bari per ricoprire la II Cattedra di
Clinica Oculistica.
E’ conosciuto a livello internazionale per essere colui che10:
primo in Italia e tra i primisimi nel mondo, ha isolato il virus del tracoma
(1961) e sul tracoma stesso egli ha apportato importanti acquisizioni nella
terapia medica e chirurgica, Anche importanti i lavori sul tumore del
bulbo oculare, e degli annessi dell’orbita. Apporti originali di ordine
classatorio, etiopatogenetico, semeiologico, clinico, anatomopatologico e
terapeutico egli ha fornito al tema della vasculopatia diabetica della
retina.
La sua ampia produzione scientifica è rivolta a quasi tutti i campi
dell’oftalmologia. Importanti sono i lavori di oncologia e istopatologia oculare, di microchirurgia, di cui è stato in Italia un precursore,
sulle malformazioni oculari e sulla patologia corneale.
Molte sono le tecniche chirurgiche ideate e descritte: la cantoplastica, il rifacimento della cavità congiuntivale anoftalmica, il coloboma congenito della palpebra superiore, l’entropion e l’ectropion
palpebrale, la ricostruzione delle vie lacrimali di deflusso, il glaucoma congenito, la cataratta congenita e quella traumatica.
Scuderi ristruttura tutto l’Istituto di Oftalmologia11, di cui diventa Direttore, adeguandolo alle esigenze moderne e all’evoluzione dei
tempi; istituisce il Day Hospital e ridimensiona i reparti di degenza.
Potenzia e segue i Centri ed i Laboratori afferenti alla II Clinica: il
Centro di studio per il glaucoma; il Centro di studio della motilità
oculare; il Centro di diagnostica strumentale; il Centro di Laser-terapia; il Centro di oftalmologia sociale e di ergoftalmologia; il Centro
di fisiopatologia del film lacrimale; il Laboratorio di istologia, istopatologia ed ultrastruttura oculare.
Nel 1980 Scuderi fonda una nuova rivista scientifica Clinica
Oculistica e Patologia Oculare; è autore di numerose pubblicazioni
e monografie tra cui l’Atlante di Oftalmoscopia Clinica.
Nel 1988 è dichiarato Professore fuori ruolo per raggiunti limiti di
età rimanendo Direttore della I Scuola di Specializzazione in
Oftalmologia fino al pensionamento nel 1993.
Nel 1989 viene chiamato a succedergli il suo allievo Prof.
278
La Clinica Oculistica
Corrado Balacco Gabrieli, Professore Ordinario di Ottica
Fisiopatologia all’Università di Bari.
Il Prof. Balacco Gabrieli è l’attuale Direttore del Dipartimento di
Scienze Oftalmologiche. L’Istituto di Oftalmologia (ex di Clinica
Oculistica) è infatti diventato Dipartimento Universitario di Scienze
Oftalmologiche nell’a.a. 2001/2002.
BIBLIOGRAFIA
1. PAZZINI A., La Storia della Facoltà Medica di Roma. Roma, Istituto di Storia
della Medicina della Università di Roma, 1961, Vol. I, pp. 262-263.
2. SALVATORI C., et al., Il Policlinico Umberto I. Progetto eseguito
dall’Arch.tto Giulio Podesti. In Occasione dell’XI Congresso Medico
Internazionale in Roma. Roma, Virano C. e C., 1894, p. 8.
3. SALVATORI C. et al., op. cit., cfr. nota 2, p.8. STROPPIANA L., Il
Policlinico Umberto I. Roma, Università degli Studi di Roma, 1980, p. 77.
4. D’AMICO D., Giuseppe Cirincione nel giudizio degli italiani e degli stranieri. Lettura Oftalmologica 1939; 16: 5. BAZZI F., Giuseppe Cirincione (18631929). Castalia 1963, XIX (3):28-30.
5. SCUDERI G. (a cura di), L’Istituto di Oftalmologia dell’Università “La
Sapienza” di Roma. Roma, Verduci Ed., 1986, p.17.
6. BIETTI G.B., Giuseppe Ovio. Boll. Ocul. 1958; 37:71.
7. OVIO G., Storia dell’Oculistica. Cuneo, Tipografia Ghibaudo, vol. I 1950,
vol. II 1952.
8. BIETTI G.B., Vittoriano Cavara. Il Policlinico 1955; 62:1256.
9. FRANCOIS J., G.B. Bietti. Am. J. Ophthalmol. 1977; 84:128.
10. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
Ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, p.87.
11. SCUDERI G. (a cura di), op. cit., cfr. nota 5, p.32.
279
LA CLINICA DERMATOLOGICA
VITTORIA SERAFINI - STEFANO CALVIERI
La Clinica Dermatologica
L’insegnamento universitario della “Dermopatia” nella città di
Roma ha origine nell’800 come corso per laureandi in Medicina e
Chirurgia all’ospedale San Gallicano. Qui, nel 1854 veniva ufficialmente fondata la Cattedra, aperte le prime due sale degenti e, con
una speciale convenzione fra Ministero della Pubblica Istruzione e
gli ospedali, a partire dal 1870 cominciavano a svolgersi le lezioni
agli studenti della nuova Facoltà di Medicina e Chirurgia della
Regia Università del Regno d’Italia.
Nel 1882 i reparti venivano chiusi fino a che Baccelli non li riattivava col nome di Clinica e Istituto dermosifilopatico e mentre iniziava a concretizzarsi il nuovo progetto di Città universitaria nelle
vicinanze del Policlinico, nel 1905 l’Istituto e la Clinica venivano
trasferiti dai locali del San Gallicano al nuovo “Umberto I”, ospedale clinico finalizzato all’insegnamento universitario i cui lavori di
costruzione erano iniziati nel 1888. L’Istituto di Clinica Dermosifilopatica era tra i primi sette che costituivano il progetto originario del Policlinico: collocato nella estremità sinistra dell’area ospedaliera, dove ancora sorge, comprendeva due infermerie capaci di
20 letti complessivi e 15 camere per pensionanti e assistenti. Come
descritto da Pazzini nella Storia della Facoltà Medica di Roma,
c’erano ambulatori, laboratori e un’aula per 120 studenti1. Il San
Gallicano, dove venivano ricoverate coattivamente, nelle sale celtiche, la maggior parte delle donne schedate come prostitute in base
ad una regolamentazione voluta per primo da Cavour nel 1861 e che
portava il suo nome2, rimaneva tuttavia sempre attivo e presente
nella vita della città di Roma, punto di riferimento per la diagnosi e
la cura delle malattie veneree.
Come per l’ospedale San Gallicano, anche le vicende della
Clinica Dermosifilopatica del Policlinico Umberto I erano legate,
sin dalla nascita, da un lato alla normativa dello Stato in tema di
Sanità e Istruzione e dall’altro alle norme in materia di controllo dei
contagi venerei e di regolamentazione della prostituzione. Il 22
dicembre 1888 era stato promulgato il primo Codice di Igiene e
Sanità Pubblica, approvato dal Parlamento italiano: parte del codice
era dedicata alla igiene della prostituzione. L’igiene della prostituzione partiva dal presupposto che quest’ultima fosse un male inevitabile e socialmente necessario e che in quanto tale andasse sorvegliata e regolamentata per prevenire eccessi peggiori. Coautore del
testo che andava a parziale modifica del Regolamento Cavour del
1861, il Tommasi Crudeli titolare della Cattedra di Igiene della
Regia Università di Roma. Il nuovo Regolamento introduceva una
non esclusiva coincidenza tra prostituzione e contagio, prevedeva
283
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
l’apertura di dispensari pubblici gratuiti e la chiusura dei sifilocomi/carcere previsti dalla originaria normativa, sostituiti da sezioni
dermosifilopatiche presso gli ospedali civili. Questo portò alla
nascita e allo sviluppo di diverse cliniche dermosifilopatiche su tutto
il territorio italiano, compresa quella universitaria romana.
Una ulteriore svolta si aveva col Regolamento sanitario del 1905
che, garantendo trattamento gratuito e riservato a chiunque, presso
Dispensari distinti dagli Uffici Sanitari, facilitava l’accesso alle
strutture. Le persone cominciarono a rivolgersi ai Dispensari ospedalieri: uomini (molti) e donne, di cui le prostitute regolamentate
non erano che una parte.
In relazione a tali normative, dunque, la Clinica Dermosifilopatica del Policlinico universitario sin dal suo nascere assolveva a
compiti diversi. Oltre allo studio e alla cura delle patologie dermatologiche era centro di ricerca, studi e insegnamento per le malattie
sessualmente trasmesse; era dispensario per la diagnosi e la cura dei
contagi sessuali ad accesso libero e gratuito per uomini e donne ed
era uno dei centri governativi per il controllo sanitario delle donne
regolamentate come prostitute. Le diverse attività svolte nell’Istituto
sono testimoniate dal materiale raccolto oggi nel Fondo conservato
presso la Biblioteca dell’attuale Dipartimento di Clinica Dermatologica e delle Malattie Veneree. Il Fondo comprende tesi di laurea
e lavori di specializzazione dei medici impegnati nella clinica, documentazione relativa a concorsi, materiale burocratico amministrativo di diversa natura. Ma la parte più ricca e interessante è costituita
dalle cartelle cliniche. Il materiale relativo alle cartelle, inizialmente denominate Diari clinici, parte dal 1896 per giungere fino ai primi
anni ’60 e si fa progressivamente più consistente con il trascorrere
degli anni. La parte relativa ai primi anni è conservata in volumi collettanei, ordinati cronologicamente, che raccolgono casi di uomini e
donne malati tanto di patologie dermatologiche quanto di malattie
veneree. Successivamente, dal 1923 le cartelle, sistemate cronologicamente, dividono i casi di uomini e donne, mentre è del 1936 una
ulteriore divisione per patologie: veneree e cutanee. La sistemazione del materiale testimonia i percorsi stessi della disciplina come
pure delle prassi burocratiche relative all’organizzazione ospedaliera e della professione in rapporto alla struttura ospedaliera3.
Al momento dell’istituzione del corso di clinica dermosifilopatica l’insegnamento fu affidato inizialmente al professor Casimiro
Menassei, il quale rimaneva alla direzione dell’Istituto dal 1859 al
1892. Egli fu il primo titolare della Cattedra fondata grazie al lascito del dottor Nicola Corsi. Di Menassei rimane a testimonianza del284
La Clinica Dermatologica
l’intensa attività una Raccolta dei casi clinici delle malattie della
pelle e sifilitiche e un Atlante riproducente i casi di malattie cutanee
che si presentarono alla Clinica durante gli anni del suo insegnamento.
Dal 1893, fino al 1918, l’insegnamento passava al professor
Roberto Campana4. Nato a Teramo, allievo di Cantani e Tanturri
con il quale aveva studiato a Napoli; nel 1878 Roberto Campana
aveva vinto il concorso per la Cattedra di Clinica dermosifilopatica
a Genova. Chiamato nel 1893 a dirigere la Cattedra a Roma, svolgeva il suo insegnamento prima nei locali del San Gallicano e poi dal
1905, ultimata la costruzione dell’Istituto al Policlinico, si dedicava
qui all’organizzazione della Clinica, fornendola anche di una biblioteca. Eminente e appassionato patologo, dedicava i suoi studi al
parassita del mollusco contagioso e alla psoriasi, ma soprattutto concentrava le proprie ricerche alla messa a punto di un nuovo metodo
di coltura del bacillo della lebbra. Fu socio fondatore e presidente
per i primi due anni della Società Dermatologica Italiana e membro
dell’Accademia Medica di Roma. Autore del manuale Dei morbi
sifilitici e venerei. Trattato per studenti e medici pratici stampato a
Torino nel 1906, durante il periodo della direzione della Clinica di
Roma, si occupò anche del periodico La clinica dermosifilopatica
della regia Università di Roma, dal 1894 al 1918.
Dopo essersi adoperato per 24 anni ininterrottamente nello studio,
nella ricerca e nell’insegnamento presso l’Università di Roma, nel
gennaio del 1919 il professor Campana moriva in povertà, dopo aver
donato tutto il suo patrimonio agli Ospedali di Roma.
L’Istituto passava sotto la direzione del professor Augusto
Ducrey nel 1919. L’esordio della carriera scientifica del professore
era legato alla sua scoperta più importante, quella del bacillo dell’ulcera molle che lo poneva in una posizione di netta opposizione di
fronte a coloro che sostenevano la tesi, allora dominante, dell’unicismo della lesione venerea e di quella sifilitica.
Augusto Ducrey, è una figura illustre della dermosifilografia italiana. Nato a Napoli nel 1860, allievo di Cantani, si era laureato nel
1883 e subito aveva iniziato a lavorare a Napoli presso la Clinica
Dermosifilopatica diretta da De Amicis. Nominato, dopo concorso,
assistente ordinario e poi aiuto, era rimasto a Napoli per dieci anni.
Nel 1890 conseguiva la libera docenza e nel 1894 passava Direttore
dei dispensari celtici governativi per la profilassi antivenerea. Era
stato professore ordinario a Pisa, poi a Genova e alla fine della
prima guerra mondiale, quando il problema del ritorno a casa dei
reduci si era accompagnato a quello di un incremento della diffusio285
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
ne delle malattie veneree, insieme a Ferdinando De Napoli aveva
fatto parte della Commissione per la revisione del Regolamento
della prostituzione poi ratificata nel 1923 come “Regolamento
Mussolini”. Particolarmente attivo nel dopoguerra come membro,
oltre che della Commissione di revisione del Regolamento sulle
malattie veneree, anche di quella per la profilassi sui reduci e membro ufficiale delegato dal Governo italiano al Congresso internazionale di Cannes sui problemi della profilassi indetto dalla Croce
Rossa americana, fu a lungo presidente della Società Italiana di
Dermatologia e Sifilografia5.
Nel 1919 veniva chiamato dalla Regia Università di Roma a dirigere l’Istituto di Clinica Dermosifilopatica e, nel contempo, veniva
incaricato dal sindaco della Capitale di verificare la possibile riforma dei servizi di profilassi delle malattie veneree, attività che dal
1910 era passata dal Ministero dell’Interno alle amministrazioni
comunali. Si formò una Commissione che, non esistendo statistiche
ufficiali sulla diffusione della sifilide, usava i dati parziali ricavati
dall’Ufficio di stato civile del Comune per le nascite e la mortalità
infantile, i dati del brefotrofio provinciale di Roma, i dati
dell’Ambulatorio della Regia Clinica Neuropatologica e quelli del
primo dispensario celtico del Policlinico Umberto I. Nel 1920 concluso il lavoro di indagine, la Commissione elaborava proposte e
modifiche ai servizi cittadini6.
La Commissione investiva il Comune di un ruolo decisivo nell’ambito della profilassi: secondo i relatori Ducrey e De Napoli
occorreva adottare adeguate misure di difesa della popolazione di
cui proprio il Comune poteva e doveva farsi carico poggiandosi,
nella sua opera, sulle strutture ospedaliere. Ma soprattutto l’Italia,
dicevano i relatori, col modello del dispensario possedeva un’istituzione profilattica che veniva inficiata dal cattivo funzionamento.
Per la stesura della relazione i Commissari avevano visitato personalmente i locali dei dispensari, compreso quello della Clinica
Dermosifilopatica del Policlinico Umberto I, durante gli orari di
consultazione. Nonostante l’incremento delle malattie veneree, la
frequenza risultava notevolmente diminuita rispetto al periodo
antecedente la prima guerra mondiale. Diversi i motivi, secondo i
relatori: l’ubicazione inadatta; la poca pulizia, l’arretratezza di
strutture e tecniche applicate; la mancanza di direttive uniche.
Veniva in particolare sottolineata l’insufficienza delle registrazioni
della tipologia della malattia, delle cure eseguite, dei risultati conseguiti e soprattutto la mancanza di un’adeguata propaganda a
scopo profilattico.
286
La Clinica Dermatologica
Veniva proposto un piano di riordino per la città di Roma che,
vista la scarsezza delle risorse, riduceva a tre i dispensari controbilanciando i tagli con l’incremento degli ambulatori della Regia
Clinica Dermosifilopatica del Policlinico Umberto I e del San
Gallicano ai quali il Comune avrebbe assegnato un contributo finanziario annuo. Il progetto prevedeva altresì di eliminare il carattere di
specializzazione troppo spinta dei dispensari, soprattutto di quelli
interni agli ospedali, curandovi, contemporaneamente alle malattie
veneree, anche quelle dermatologiche. Venivano stabiliti turni mattutini, più comodi per piccoli impiegati, commessi, ecc…, e turni
serali, per donne e operai. Veniva anche proposta l’adozione di una
scheda clinica unica di registrazione per la razionalizzazione del
sistema di identificazione dei pazienti, delle terapie, dei risultati
ottenuti da trarsi annualmente per ciascun dispensario ai fini della
statistica sanitaria.
All’inizio del 1920 Ducrey proponeva alla direzione dell’ospedale che la Regia Clinica universitaria Dermosifilopatica di Roma
diventasse oltre che centro scientifico di studi, un centro di propaganda e perfezionata assistenza a mezzo di un dispensario “modello” in sostituzione del vecchio, considerato inadeguato. La progettata trasformazione del servizio rientrava in quanto proposto nella
relazione al Sindaco di Roma. Il tentativo era di far compiere un
salto qualitativo alla struttura nell’ambito di un progetto di riordino
di più ampio respiro.
Il nuovo dispensario, con sezione uomini e donne, aperto con orario continuato tutti i giorni dalle 8.30 alle 10.30, veniva completato
alla fine del 1921 e inaugurato nel gennaio del 1922. Oltre alla sua
presenza tre volte a settimana e ogni volta che ve ne fosse bisogno,
Ducrey aveva affidato il servizio al suo aiuto prof. Garibaldi e a due
assistenti ordinari, tra cui il figlio, coadiuvati dai volontari. A ciascuno degli ordinari era affidata la prima visita degli infermi e a ciascuno dei volontari un compito definito (esami microscopici, medicazioni, iniezioni, ecc…) con turnazioni quindicinali. I preparati arsenobenzolici, che sostituivano in parte i preparati a base di mercurio
e che sarebbero rimasti i farmaci più attivi contro la sifilide fino alla
scoperta di antibiotici e sulfamidici negli anni ‘40, erano portati dai
pazienti o somministrati gratuitamente dalla Clinica a seconda delle
circostanze. Ogni intervento operativo era gratuito e gratuite le reazioni di Wassermann, mentre molte Cliniche universitarie italiane
avevano ormai istituito tasse di consultazione e anche per gli esami
del sangue. Il dispensario della clinica aveva conservata la assoluta
gratuità per diverse ragioni. Intanto per agevolare la profilassi delle
287
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
malattie veneree e della sifilide, aprendo le porte a tutti indistintamente, anche i malati di patologie cutanee onde non sottolineare la
differenza tra frequentatori; in secondo luogo per l’esistenza del sussidio governativo. Si intendeva inoltre incrementare il più possibile
l’afflusso di malati, “materiale umano” la cui scarsezza era in realtà
problema non solo della Clinica Dermosifilopatica. I regolamenti
delle Cliniche universitarie finanziate dal governo prevedevano il
diritto di scegliere i malati per i casi di studio. A Roma, per il
Policlinico Umberto I, venne discusso tra l’altro se continuare a prelevare i malati da grandi ospedali civili, come si era fatto per un
lungo periodo iniziale, o fondare piccoli padiglioni all’interno del
Policlinico, dai quali trarre “il materiale umano” per i casi di studio,
ipotesi che ebbe la meglio7. Ma per le malattie veneree era abitudine dei romani recarsi ancora all’ospedale San Gallicano; a questo si
aggiungeva la lontananza del Policlinico dai quartieri più popolosi e
popolari della città con l’aggravio della mancanza anche di infrastrutture, ad esempio strade praticabili, per giungere all’ospedale,
motivo per il quale molti infermi, soprattutto operai, preferivano
strutture più centrali. Questa molteplicità di cause rischiavano di
rendere inefficaci i propositi di “modernizzazione” del servizio che
Ducrey tentava di attuare.
Le competenze diversificate della Clinica per giunta facevano si
che si creasse una dicotomia tra attività dell’Istituto come polo di insegnamento e ricerca e della Clinica come presidio sanitario di cure
ambulatoriali e degenza e controllo delle donne regolamentate come
prostitute. Sotto la direzione Ducrey la Clinica Dermosifilopatica fu al
centro di alterne vicende che causarono un conflitto che sfociava in
due inchieste: una del Ministero degli Interni e una del Ministero della
Pubblica Istruzione in merito alla gestione dei fondi e alla suddivisione dei ruoli medici all’interno della Clinica messa in moto da una
denuncia degli assistenti della stessa Clinica Dermosifilopatica.
I professori della Facoltà di Medicina, venuti a conoscenza della
denuncia, avevano deliberato l’espulsione degli assistenti dall’ufficio che ricoprivano e lo stesso ministro Gentile era intervenuto,
modificando la delibera in sospensione fino alla chiusura dell’inchiesta8. Di fatto per un periodo non breve il dispensario e gli ambulatori rimasero quasi privi di personale medico.
Rotture generazionali, divergenze di approccio alla professione
tra il direttore e i suoi assistenti in un momento di crisi economica
grave, l’attuazione solo parzialmente riuscita di un importate progetto pilota, portarono all’allontanamento di Ducrey dalla Clinica e alla
nomina di un nuovo direttore.
288
La Clinica Dermatologica
A ricoprire l’incarico veniva chiamato il professor Pier Luigi
Bosellini. Nato nel 1873, era stato allievo di Maiocchi fino al 1912.
Docente a Cagliari poi a Modena e a Pisa dove insegnava nel 1922,
nel 1923 veniva chiamato a dirigere la Clinica Dermosifilopatica
romana come successore di Ducrey. Direttore attivo tanto nella veste
di primario ospedaliero quanto nella attività di ricerca in cui coinvolgeva la clinica e i giovani medici che lo seguivano, convinto
assertore che questione morale, questione professionale e questione
sanitaria fossero strettamente legate, rivendicava posizioni rigide
comprese le cure coattive nei confronti delle donne sospettate di
essere infette. Socio dei maggiori istituti culturali italiani e stranieri
dermosifilopatici, fu membro del Consiglio Superiore di Sanità
Pubblica e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Bosellini si spendeva con impegno negli anni della sua direzione
per dare lustro alla clinica dopo le vicende che avevano colpito il
suo predecessore e l’intera struttura, ma va tuttavia ricordato che
quanto accaduto durante la direzione del professor Ducrey aveva
avuto cause complesse: i tentativi non riusciti di riforma erano inseriti non solo in dinamiche interne alla professione e alla questione
ospedaliera e universitaria in particolare ma anche e soprattutto nell’ambito di un disegno più generale che riguardava le strutture sanitarie della capitale. Nell’evolversi della struttura sanitaria giocava
infatti un rilevante ruolo negativo il fallimento della riforma amministrativa in discussione in quegli anni, che avrebbe dovuto portare
all’abolizione della Provincia. Nel 1928 si decideva di non farne più
nulla nonostante le funzioni di quest’Ente venissero sempre più
depotenziate. Si cercava però di compensare la situazione ingaggiando un braccio di ferro con gli enti comunali, che erano stati progressivamente limitati nelle competenze sanitarie. In tal modo il
fascismo interrompeva un processo storico che aveva visto il
Comune al centro del buon funzionamento del servizio sanitario
nazionale. Veniva tolta in generale ai Comuni ogni iniziativa, ingerenza o responsabilità nel campo della profilassi di malattie importanti: non solo la sifilide ma anche la tubercolosi. La funzione profilattica veniva integrata con interventi diversificati ma dispersivi:
centri profilattici provinciali, laboratori provinciali di vigilanza igienica, servizi di assistenti sanitarie visitatrici e perfino ostetriche provinciali. I Comuni si videro sempre più costretti a limitare la propria
assistenza agli ammalati poveri, alla formale rilevazione delle
malattie infettive o a riempire eventuali lacune rimaste scoperte9.
La Clinica Dermosifilopatica del Policlinico e, in particolare, il
dispensario avevano subito dunque un parziale ridimensionamento
289
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
legato alle riforme politiche e sociali di cui sopra che avevano nel
contempo inficiato i tentativi di riforma. Nonostante questi precedenti il numero dei malati e delle malate che si rivolgevano alla
Clinica del Policlinico durante la direzione di Bosellini andò progressivamente aumentando: fino al 1930 la media continuò a salire
con un movimento annuo di circa 6.000 pazienti per giungere infine
agli 8.000 pazienti annui del 1935.
Bosellini rimaneva alla guida dell’Istituto fino al 1943. Socio dei
principali istituti culturali italiani, era anche membro del Consiglio
Superiore di Sanità Pubblica e del Consiglio Nazionale delle
Ricerche. Se Ducrey aveva imposto un carattere eminentemente dottrinario all’insegnamento impartito nell’Istituto, Bosellini lavorò,
durante gli anni della docenza romana, soprattutto per inquadrare le
dermopatie nella medicina interna, come esposto nel testo La dermatologia nei suoi rapporti con la medicina interna, mettendo in
guardia da ricerche che limitavano gli studi ad un solo organo o
sistema. Egli dedicava contributi diretti allo studio dell’eziologia dei
tuberculidi, ai granulomi cutanei, ad alcune tipologie di eczemi. Alla
Clinica in particolar modo si dedicava incrementando gli ambulatori, fornendo di nuovi strumenti di laboratorio la sierologia e la batteriologia. Creava altresì ex-novo un laboratorio di fisico-chimica e
incrementava il patrimonio di volumi della Biblioteca di Istituto con
numerosi lasciti di volumi personali. Nel 1927, sotto la sua direzione, veniva riattrezzato il gabinetto di terapia fisica ed eseguiti i lavori di riammodernamento della Clinica che, ampliata, vedeva salire il
numero dei degenti a 60. Funzionavano ormai a pieno regime l’ambulatorio per le malattie cutanee e il dispensario antivenereo governativo, sussidiato dal Ministero dell’Interno.
Lo sviluppo della Clinica e, in senso più ampio, la fortuna della
sifilografia tra le due guerre mondiali si legavano al fatto che tra gli
anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento la questione della
degenerazione fisica divenne elemento critico importante, legato a
letture della realtà che affidavano al numero e alla salute dei cittadini la forza di una Nazione. Le teorie eugenetiche conoscevano anche
in Italia veloce diffusione fornendo basi scientifiche alle iniziative
politiche al regime fascista10. Le infezioni veneree, soprattutto
quando ereditarie, diventavano il terreno concreto e simbolico ad un
tempo delle forze fisiche e morali che potevano inquinare il corpo
singolo e collettivo. E l’importanza ascritta alle malattie veneree
faceva si che i medici dermosifilopati rivendicassero il valore della
specializzazione legando allo Stato il ruolo profilattico della loro
attività, non solamente per i tentativi operati dai venereologi di inci290
La Clinica Dermatologica
dere sulle condizioni di salute in generale, di sifilide si soffriva e si
moriva, ma in particolare per l’attenzione specifica posta sulla salute riproduttiva, di uomini e donne.
La seconda guerra mondiale e le trasformazioni politiche e sociali del paese segnavano il declino della sifilografia tradizionalmente
intesa. Gli anni del dopoguerra si caratterizzavano soprattutto come
periodo di assestamento. Nel 1943, in coincidenza con le mutate
condizioni politiche, raggiunti i limiti di età, Bosellini lasciava la
direzione della Clinica sostituito, nel 1944/45, in via transitoria dal
professor Eugenio Tarantelli.
Nel 1946 il professor Ludovico Tommasi assumeva la cattedra
tenendola fino al 1955. Clinico specializzato già incaricato inizialmente all’Università di Perugia, dove aveva fondato e reso funzionante l’Istituto di Clinica dermosifilopatica nel 1924, nominato poi
titolare a Sassari, quindi a Palermo e Napoli, giungeva infine a
Roma dove come studioso si adoperava per rimettere nel quadro
della medicina interna la dermatologia. Dedicava altrettante energie
alla ricerca di una terapia efficace per la sifilide: sua la proposta e
l’attuazione della cura della tabe mediante vaccino antirabbico,
metodo applicato per un periodo non breve anche fuori dalla Clinica
romana. L’attenzione specifica alla sifilide vedeva anche l’applicazione di una nuova reazione sierologica ideata dal prof. Spicca, della
Clinica stessa.
Nel 1955 a Tarantelli subentrava il professor Mario Monacelli11.
Formatosi alla scuola di Ducrey e Bosellini, dopo aver vinto nel
1934 il concorso per la Cattedra di Clinica Dermosifilopatica
dell’Università di Messina, ne diresse l’Istituto fino al 1945 per poi
trasferirsi a Napoli dal 1946 fino al 1955, anno in cui veniva chiamato a Roma. Qui si dedicava al miglioramento della funzionalità
dell’Istituto, incrementando il movimento degli ammalati nei reparti già esistenti e dotando ambulatori e laboratori di nuove strumentazioni. Imprimendo al suo lavoro un indirizzo anatomo-clinico funzionale con forti riferimenti alla medicina generale, dedicava studi
alla psoriasi e in particolare alla leishmaniosi cutanea in Italia: a lui
si deve il riconoscimento e lo studio di una zona di diffusione endemica della Leishmania comprendente la costiera adriatica dell’Italia
centro meridionale. Per le sue ricerche in questo campo gli veniva
assegnato il Premio Marchiafava. Si interessava anche di approfondire i rapporti tra tubercolosi e dermatosi non specifiche ricevendo
il premio De Amicis della Società Italiana di Dermatologia. Autore
assieme a Nazzaro, aiuto presso il San Gallicano, del testo
Dermatologia e venereologia, dedicava studi in particolare alla sifi291
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
lide femminile. Nel contempo si aprivano la strada ricerche sulle
dermatosi allergiche e le recenti malattie professionali che imprimevano nuovi indirizzi alla disciplina. In questi anni del resto cambiamenti normativi importanti per la storia sanitaria, e non solo, del
paese portavano una trasformazione anche nella organizzazione
dell’Istituto. Nel 1958 lo Stato italiano con la legge Merlin, dopo
dieci anni di dibattiti e un travagliato iter parlamentare, aboliva le
norme sulla regolamentazione della prostituzione. La Clinica
dismetteva dunque l’ambulatorio governativo e cambiava il proprio
nome in Clinica Dermatologica e delle Malattie Veneree. Di contro,
nella nuova società di massa dove le esigenze sanitarie della popolazione richiedevano interventi sanitari diversamente strutturati,
apriva un nuovo ambulatorio di sessuologia completamente attrezzato per ogni ricerca in tale campo. Venivano inaugurati anche un
nuovo centro per lo studio della psoriasi, un laboratorio per le ricerche endocrinologiche e tutte le attrezzature degli ambulatori rinnovate. I lavori di ampliamento e ristrutturazione voluti dal professor
Monacelli comprendevano anche un nuovo reparto di degenza al
secondo piano della Clinica fino ad allora mai utilizzato. In tal modo
si incrementava il movimento degli ammalati nei reparti già esistenti e negli ambulatori.
La Clinica cambiava direzione nel 1972 quando l’incarico veniva
affidato al prof. Antonio Ribuffo, il quale cercava di correlare la
clinica con la patofisiologia, sviluppando a tal fine tecniche innovative quali l’enzimocitochimica, l’immunologia e la biochimica
applicate alla dermatologia. Si occupava in maniera dettagliata di
linfomi con particolare attenzione sia all’aspetto clinico sia eziopatogenetico. Tra i suoi lavori anche studi su epiteliomi, melanomi,
psoriasi, dermatiti da contatto, morbo di Paget. A lui il merito di aver
richiamato la comunità scientifica a porre attenzione al concetto di
cute come “organo spia di patologia” con ricerche originali sul piano
immunologico ed enzimocitochimico.
Dal 1980 la struttura consta di circa 100 posti letto, diversi ambulatori, una biblioteca, una sala operatoria di chirurgia plastica, laboratori di microscopia elettronica, istopatologia cutanea, immunologia, enzimocitochimica, sierologia e biochimica.
Negli ultimi anni, dal 1986 al 1994, la Clinica è stata diretta dal
professor Onorio Antonio Carlesimo e, dal 1994 al 2005 dal professor Stefano Calvieri.
Quest’ultimo, allievo del Prof. A. Ribuffo, si è interessato di
genodermatosi, tanto da rendere possibile nel 2000 l’attivazione
presso il Dipartimento del Centro di riferimento regionale per le
292
La Clinica Dermatologica
Malattie Neurocutanee. Calvieri ha dato, inoltre, notevole impulso
alla Dermatologia oncologica favorendo lo svolgimento di un’intensa attività scientifica e clinica nella diagnosi e nella terapia del melanoma. E, sempre sul piano scientifico, ha avviato numerose indagini sulle patologie dei capelli e del cuoio capelluto con l’istituzione
di un ambulatorio di tricologia. Le ricerche sono di particolare valore anche applicativo, tanto da aver dato luogo ad un brevetto internazionale sull’isolamento di cellule staminali cutanee. L’attività
assistenziale è stata indirizzata anche verso l’utenza territoriale,
potenziando gli ambulatori di Dermatologia oncologica,
Epiluminescenza, di Terapia fisica e Dermatologia chirurgica, di
Tricologia, ambulatori che hanno trovato spazio grazie all’opera di
ristrutturazione dei locali seminterrati dell’Istituto.
Dall’anno 2000 l’Istituto di Clinica Dermatologica, è divenuto:
Dipartimento di Malattie Cutanee – Veneree e Chirurgia Plastica
Ricostruttiva, diretto dal novembre del 2005 dal professor Nicolò
Scuderi. Specializzato in Chirurgia Plastica, il professor Scuderi ha
prestato servizio presso le Università di Bari, Catania e Sassari,
Napoli, infine Roma. Attualmente è responsabile della conduzione
di importanti protocolli di sperimentazione internazionali, in particolare nel settore dei nuovi materiali protesici biocompatibili, ed è
stato coordinatore locale e nazionale di numerosi progetti di ricerca
del CNR e del MURST. A Roma, in particolare, ha curato l’attivazione di un reparto di 22 posti letto e di ambulatori specialistici ed
ultraspecialistici, nonché di un servizio di consulenze di chirurgia
plastica operante all’interno del Policlinico Umberto I e per numerosi ospedali della capitale. Ha richiesto ed ottenuto dalla Regione
Lazio l’autorizzazione all’attivazione di un Centro Ustioni dotato di
5 posti letto.
Attualmente l’Istituto risulta dunque composto al piano terra: da
un ingresso, dove è situata la portineria, da un breve corridoio che
conduce nell’atrio centrale. Dall’atrio si dipartono tre corridoi: uno
centrale, uno a destra ed uno a sinistra. II corridoio centrale conduce all’aula. Nel corridoio di sinistra si trovano: il laboratorio di sierologia, le stanze per gli amministrativi e le stanze per i professori.
In fondo a tale corridoio troviamo gli ambulatori uomini, donne,
pediatrico, il servizio di microscopia elettronica, l’ambulatorio tricologico, l’ambulatorio oncologico, l’ambulatorio endocrinologico
e delle malattie neurocutanee. Nel corridoio di destra sono collocati: la direzione, l’istologia, i laboratori di immunofluorescenza, enzimocitochimica ed immunoistochimica, le stanze per i professori, e
gli ambulatori di allergologia e micologia. Al primo piano si trova293
Vittoria Serafini - Stefano Calvieri
no un reparto di degenza uomini ed uno donne, l’ambulatorio di dermatologia correttiva, di terapia fisica e la camera operatoria. II
secondo piano è interamente occupato da un reparto di degenza,
uomini e donne.
BIBLIOGRAFIA
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Storia della Medicina dell’Università di Roma, 1961.
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1995.
Il Fondo è stato oggetto di studio per una tesi di dottorato, inedita: Vittoria
Serafini, Il corpo e il contagio. Politiche e pratiche di eugenetica in Italia tra
le due guerre mondiali. Dottorato in Storia della famiglia e dell’identità di
genere, XIV ciclo, Università di Napoli “L’Orientale”, aa. 2003 – 2004.
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della Enciclopedia italiana, 1990.
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Giorn. Ital. Dermat. e sifil. 1941; LXXVI: 292-296. Augusto Ducrey. In
Dizionario biografico degli italiani. Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1992.
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Per la profilassi delle malattie veneree. Relazioni dei Consigli direttivi alla
Direzione generale di sanità.
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Roma. In: Atti del I Congresso italiano di storia ospitaliera. Reggio Emilia,
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XIX». Genova, 26 febbraio 1923. La denuncia del direttore della clinica dermosifilopatica, conversazione col professor Ducrey. «Il Giornale d’Italia».
Roma, 27 febbraio 1923.
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pubblica, istituzioni e professioni sanitarie. Milano, FrancoAngeli, 1987.
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1999.
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294
LA CLINICA DELLE MALATTIE TROPICALI
ANTONIO SEBASTIANI – CARLA SERARCANGELI
295
La Clinica delle Malattie Tropicali
La disciplina
La seconda metà del secolo XIX e l’inizio del XX segnano la
massima espansione coloniale delle Potenze Europee; un processo
cui l’Italia partecipa stabilendo la propria egemonia sull’Eritrea,
sulla Somalia centrale e meridionale e, successivamente, sulla Libia.
Con questa fase storica coincide una sempre maggiore attenzione per quelle patologie esotiche indicate con i termini di “Malattie
Tropicali”, “Malattie Coloniali”, “Malattie dei Paesi Caldi” e fonte
di notevole preoccupazione negli occupanti, non tanto verso le
popolazioni autoctone, quanto, invece, per la salute dei militari, dei
funzionari civili e degli altri espatriati residenti nei paesi assoggettati e, inoltre, per il timore di importare le forme trasmissibili sul territorio metropolitano; problema assai ampio ed articolato nei suoi
complessi aspetti diagnostici, curativi e preventivi in quanto, come
sosteneva Aldo Castellani1,
la medicina tropicale comprende lo studio di tutte quelle malattie che
occorrono comunemente nei climi tropicali: se si intendessero quelle
limitate nella loro estensione geografica, non vi sarebbero ragioni di fare
assurgere la medicina tropicale ad una branca specialistica della scienza
medica.
Tenuto conto dell’effetto potenziante svolto sulla morbosità dal
drammatico stato di povertà delle zone depresse, ne deriva che gli
argomenti oggetto della “Medicina Tropicale” possano trovare punti
di contatto con le basi teoriche e gli sviluppi pratici della “Medicina
di Comunità” e della “Medicina Internazionale”; con la Medicina di
Comunità in quanto propone sotto l’aspetto metodologico: la globalizzazione dell’intervento, la definizione dei bisogni sanitari effettivi e preminenti, il privilegio delle attività sanitarie di tipo ambientale e collettivo, la promozione della partecipazione attiva degli utenti, l’adozione di sistemi di lavoro di gruppo da parte degli operatori2. A sua volta con la Medicina Internazionale in quanto prevede un
impegno planetario inteso a risolvere il disagio economico delle
aree del sottosviluppo come indispensabile premessa di emancipazione civile, sola garanzia di effettivo progresso sanitario3.
Il crescente interesse rivolto alle patologie coloniali giustificò il
sorgere in Occidente di istituti e società scientifiche dedicati a tali
problematiche. In Italia è stato Angelo Celli, insigne igienista e
malariologo dell’Università di Roma, il promotore della “Società
Italiana di Medicina ed Igiene Tropicale”, fondata nel 1908, appena
un anno dopo le consorelle inglese e tedesca. Subito vi aderirono
297
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
connazionali di grande spessore: Aldo Castellani che operava a
Ceylon (Sri Lanka), Alfonso Splendore, direttore del Laboratorio
Microbiologico dell’Ospedale Portoghese di S. Paolo del Brasile e,
nella stessa città, Antonio Carini direttore dell’Istituto Pasteur.
Entrarono a farne parte numerosi ufficiali medici, coinvolti a motivo della presenza oltremare delle nostre truppe. Merita segnalazione il fatto inusuale del succedersi di ben cinque diverse società
scientifiche, attinenti la disciplina, tra il 1908 ed il 1983. L’ultima è
la “Società Italiana di Medicina Tropicale”, società tuttora attiva e
che ha avuto quale primo Presidente il Professor Antonio Sebastiani,
esponente dell’Istituto di cui nel titolo. Società nata con il sostegno
e l’iniziale contributo finanziario del “Dipartimento per la
Cooperazione allo Sviluppo” del nostro Ministero degli Esteri e
sotto la sagace regia di Guido Bertolaso, allora Capo dell’Ufficio
Sanitario di detto dipartimento4. Che su questi temi sia sempre vivo
l’interesse lo conferma la recente decisione della “Società Italiana di
Malattie Infettive” di variare la denominazione in “Società Italiana
di Malattie Infettive e Tropicali”.
Tuttavia bisogna attendere il 1931 per vedere istituita, con provvedimento legislativo, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di
Roma, una “nuova” Clinica per l’insegnamento delle Malattie
Tropicali e Subtropicali e l’omonimo Istituto di ricerca, ricovero e
cura.
I primi anni dell’insegnamento
L’insegnamento della materia era
stato impartito, dal 1909 al 1917, con un
corso complementare affidato per incarico ad Umberto Gabbi (1860-1933),
cremonese, Ordinario nell’Università di
Messina, allievo di Pietro Grocco5.
Gabbi, a causa del terribile terremoto
che il 28 dicembre 1908 aveva colpito la
città di Messina, si vide costretto ad
interrompere le ricerche che stava conducendo e, con Decreto ministeriale del
27 febbraio 1909, venne comandato, in
via provvisoria, presso la Clinica
Medica di Roma per poter continuare i
suoi studi sulle malattie esotiche.
Fig. 1 – Umberto Gabbi
Gabbi insegnò fino al 1° novembre 1917, quando il Ministero ne
298
La Clinica delle Malattie Tropicali
dispose il rientro nella sede di origine. Nel frattempo Carlo Basile,
un medico formatosi presso il Royal College of Physicians and
Surgeons di Londra, chiese ed ottenne nel marzo del 1916 l’autorizzazione a trasferire all’Università di Roma la sua libera docenza in
Parassitologia, conseguita per titoli nell’Università di Torino6. Con
Decreto Rettorale venne conferito a Basile per l’a.a. 1924-25 l’incarico di insegnamento, a titolo gratuito, di Diagnostica delle Malattie
Tropicali, insegnamento che fu mutato nell’a.a. 1927-28 in
Patologia Coloniale.
Aldo Castellani (1874-1971) fu nominato “stabile” (Ordinario,
di I fascia) di Clinica delle Malattie Tropicali e Subtropicali, a
decorrere dal 1 febbraio 1931, in base all’art.69 della Legge Casati
ed in applicazione dell’art.3 del R.D.L. 18 dicembre 1930 n. 1837,
cioè “per chiara fama”. Castellani era conosciuto in tutto il mondo
per i suoi studi in dermatologia, per le sue ricerche microbiologiche
e parassitologiche, per la realizzazione dei vaccini polivalenti, ma
soprattutto per aver scoperto, nel 1902 ad Entebbe (Kenia), l’agente
causale della malattia del sonno e, negli anni seguenti, in Ceylon
(Sri Lanka) l’etiologia e la cura della framboesia e nuovi batteri
enteritogeni7. A lui si deve quel “toccasana” contro le micosi superficiali noto come tintura rubra di Castellani diffusissima per oltre
mezzo secolo. Alla fama scientifica si accompagnava una grande
professionalità ed una notevole capacità didattica, poiché era stato
docente dal 1903 al 1914 a Ceylon presso il Collegio Medico della
capitale Colombo; dal 1919 al 1926 alla London School of Hygiene
and Tropical Medicine; dal 1926 al 1931 alla Tulane Medical School
di New Orleans, con titoli equivalenti a quello italiano di
“Professore Stabile”. Castellani ricopriva, inoltre, incarichi prestigiosi che non volle abbandonare per dedicarsi esclusivamente all’insegnamento in Italia; accettò, quindi, la nomina presso la nostra
Università solo dopo un decreto legge che lo assicurava di poter
mantenere l’attività anche all’estero, ottenendo la certezza di contenere le lezioni all’Università di Roma nel trimestre aprile-giugno.
Spinto, pertanto, dall’esigenza di rendere operativa la struttura e
consapevole di non assicurare la sua presenza in modo continuativo,
Castellani, dai primi mesi del suo incarico, operò al fine di ottenere
la nomina del personale occorrente per il funzionamento della
Clinica da lui diretta.
Nel verbale del Senato Accademico del 14 marzo 1931 si legge8:
Il Rettore comunica che la Facoltà di Medicina e Chirurgia, nell’adunanza
del 7 marzo 1931, ha preso in esame una lettera del sen. Prof. Aldo
299
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
Castellani - testè nominato stabile della Clinica delle malattie tropicali e
subtropicali - con la quale chiede la nomina del personale occorrente pel
funzionamento della Clinica stessa. Il ruolo organico di tale personale
dovrebbe comprendere due aiuti, quattro assistenti, un tecnico, due
custodi, e la loro retribuzione graverà sui fondi messi a disposizione dei
competenti Ministeri, per il funzionamento della Clinica stessa.
Nonostante il parere favorevole
del Senato Accademico ed il
Decreto Rettorale 8 aprile 1931,
pubblicato nel Bollettino Ufficiale
del Ministero dell’Educazione
Nazionale n.18 del 5 maggio 1931,
che modificava il ruolo organico
del personale della Clinica ed assegnava alla stessa il personale
richiesto, sorsero problemi di carattere economico.
Castellani, avvalendosi delle
disposizioni all’art. 26 del RDL 28
agosto 1931 n.1227, riuscì a far trasferire a Roma, a partire dal 1
novembre 1931, il Prof. Igino
Jacono aiuto di ruolo della terza
Clinica Medica di Napoli e a far
Fig. 2 – Foto di Aldo Castellani con
nominare assistente incaricato, dal
dedica a Mario Girolami
1 gennaio 1932, il Dr. Giuseppe
Acanfora, futuri Direttori degli Istituti di Malattie Tropicali delle
Università di Napoli e, rispettivamente, di Modena9.
La sede dell’Istituto
Un altro problema da affrontare nell’immediato riguardava i
locali assegnati per rendere operativa l’iniziativa; era stata disposta,
con lettera 19 aprile 1931 del Ministro dell’Interno ad interim,
Benito Mussolini, la cessione “in uso temporaneo” del 10°
Padiglione del Policlinico Umberto I appartenente al Pio Istituto S.
Spirito ed Ospedali Riuniti e, sempre nel verbale dell’11 giugno
1931, si legge10:
Per regolare le condizioni della consegna e disciplinarne le conseguenze
d’ordine finanziario è stata stipulata tra l’amministrazione ospitaliera e
l’Università una convenzione… .
300
La Clinica delle Malattie Tropicali
Il Rettore riferisce che tutte le spese di adattamento, di manutenzione, di
gestione, di riduzione in pristino dei locali ecc., graveranno sui fondi
speciali concessi da vari Ministeri a norma dell’art.4 del R.D.L. 18
dicembre 1930 n.1837.
Tale convenzione in forza del comma 8, è subordinata all’approvazione del
Consiglio di Amministrazione, e, pertanto, il Rettore prega il Consiglio
stesso di esaminarla e di deliberare in merito.
Il Consiglio di Amministrazione presa visione della convenzione
l’approva.
L’impegno economico era gravoso e benché l’interesse dello
Stato ad attivare gli studi di medicina tropicale fosse alto, come
desumiamo dal rilievo del numero dei Ministeri coinvolti nel finanziamento annuale per il funzionamento della Clinica (i Ministeri
della Guerra e della Marina si impegnarono a versare 50.000 lire
l’anno, quello dell’Africa Italiana 100.000 e quelli dell’Aeronautica
e dell’Interno 20.000), si resero indispensabili donazioni da parte di
“benemeriti”.
Fra i primi a contribuire con mezzi personali per dotare la Clinica
delle strutture necessarie troviamo Luigi Amedeo Savoia Aosta
(1873-1933) Duca degli Abruzzi, ufficiale di Marina, esploratore e
conoscitore dei problemi di sanità tropicale per aver vissuto
molti anni in Africa,
creando in Somalia, a
Joar (villaggio Duca
degli Abruzzi), una
estesa azienda agricola con poderose opere
irrigue ed annesso
zuccherificio. Con lui
sua cognata Elena di
Fig. 3 – Ingresso dell’Istituto di Malattie Tropicali
Borbone-Orléans
Duchessa d’Aosta (1871-1951) sostenitrice dei corsi per infermiere
volontarie della CRI e madre del futuro Viceré di Etiopia. A ricordo
dell’importante donazione furono posti all’ingresso dell’Istituto due
medaglioni in bronzo con i ritratti delle Loro Altezze Reali inseriti in
una lapide scolpita da Romano Romanelli, datata 1933.
Nell’anno accademico 1932-33 vengono nominati assistenti
incaricati Giuseppe Giunta, Mario Cecchi, Gabriele Amalfitano e
301
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
viene concesso un contratto, in favore di Felice Pullè. L’Istituto,
comunque, risulta ancora privo di personale tecnico e di custodia.
Il denaro per completare e far funzionare la Clinica è sempre scarso ed il Direttore cerca di trovare il modo per ottenere finanziamenti; numerose sono le richieste che inoltra, tra cui un promemoria a Benito Mussolini, da lui conosciuto personalmente per
averlo curato da un’ulcera duodenale nel 1925 e seguito clinicamente fino al 1943, ma i risultati non sono brillanti11:
Consiglio di Amministrazione 10.3.1932 12
Il Rettore comunica che dal Ministero della Educazione nazionale è stato
qui trasmesso l’unito memoriale, presentato dal Prof. Sen Aldo Castellani,
direttore della Clinica delle malattie tropicali, a S.E. il Capo del Governo
(lo stesso Benito Mussolini).
Per la parte del memoriale che riguarda la richiesta straordinaria di £.
300.000 occorrenti per la sistemazione dei lavori della Clinica, riferisce
che il Consiglio di Amministrazione del Consorzio per la Città
Universitaria, nella recente seduta del 5 corr., ha constatato
l’impossibilità di prelevare la somma richiesta sui fondi del Consorzio.
… Il Consiglio constata che l’Università non ha i fondi necessari per poter
assegnare una dotazione annua alla Clinica delle malattie tropicali e
subtropicali e, che anche le altre Cliniche, sorte con speciali assegnazioni
(Clinica della tubercolosi, Clinica di Semeiotica medica, Clinica delle
malattie del lavoro, ecc.) non hanno dotazioni dall’Università. Rileva,
inoltre, che le spese di funzionamento della Clinica delle malattie tropicali
e subtropicali, possono in parte essere limitate, perché essendo il direttore
della medesima autorizzato a compiere i propri studi all’estero, dove
trascorrere la maggior parte dell’anno, la Clinica potrebbe funzionare
soltanto per pochi mesi.
Diversa situazione troviamo invece a partire dal 1936, dopo che
Castellani aveva guidato i servizi sanitari delle Forze Armate durante la vittoriosa guerra italo-etiopica (ottobre 1935 – maggio 1936),
riuscì ad ottenere il personale promessogli: due Aiuti (Igino Jacono
e Mario Ghiron), tre Assistenti (Giuseppe Acanfora, Gabriele
Amalfitano e Massimo Acquaviva Coppola), un tecnico e due custodi. La Clinica funzionava e molti erano i medici desiderosi di poterla frequentare come assistenti volontari. I laboratori erano dotati di
moderne attrezzature scientifiche, completati da un Museo “dimostrativo” ricco di preparati anatomo-patologici e da una Biblioteca
fornita delle recenti pubblicazioni. Ai locali destinati al buon funzionamento della Clinica stessa (lavanderia-stireria, sala di lavaggio e
302
La Clinica delle Malattie Tropicali
sterilizzazione dei materiali di laboratorio), si accompagnava anche
uno stabulario che rispondeva alle “nuove” esigenze della medicina
sperimentale. La produzione scientifica risultava notevole ed
abbracciava i diversi campi della disciplina. A partire dal 1935 era
iniziata anche la convenzione con l’Ospedale militare del Celio per-
Fig. 4 – Aldo Castellani all’ingresso dell’Istituto dopo una conferenza ad un gruppo di
medici militari
ché potessero essere ricoverati e curati i militari affetti da malattie
specifiche13. In questi anni l’Istituto si dotò di un qualificato
Servizio di Radiologia Diagnostica, cui sono stati preposti in successione i Professori F. Colosimo, F. Paroni-Sterbini, E. Pompei, M.
Risi, F. Frega, V. Virgili.
Durante la II guerra mondiale, il Ministero dell’Educazione
Nazionale cercò di venire incontro alle necessità della Clinica che
vedeva richiamati in servizio militare Aiuti ed Assistenti e stabilì
accordi perché fosse loro concesso, compatibilmente con la necessità del servizio, di svolgere la loro opera, anche presso la clinica predetta.
Nel 1944, avvenuta la liberazione di Roma ad opera delle forze
alleate, il colonnello statunitense Charles Poletti, comandante dell’area della capitale, sospese Castellani dall’insegnamento, dalla
direzione e dallo stipendio in esecuzione a quanto stabilito con l’ordine n.1 del 26 giugno del 1944 e con decorrenza 4 luglio. Gabriele
303
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
Amalfitano fu incaricato della direzione dell’Istituto, in via temporanea. Nonostante la Commissione per l’epurazione del personale
universitario avesse prosciolto Castellani dall’addebito di apologia
fascista, tuttavia l’Alto Commissario aggiunto per l’epurazione,
Mario Berlinguer, presentò ricorso chiedendone la dispensa dal servizio. Castellani quindi potè essere reintegrato in servizio e restituito alla Facoltà in una condizione di assoluta integrità morale solo
nel maggio del 1945, ma ormai aveva raggiunto l’età per essere collocato a riposo14.
Costituiva certamente un problema sostituire una figura così
famosa a livello internazionale, ma il problema più grave era determinato dall’utilizzo del 10° Padiglione come Clinica universitaria:
in quanto, con l’andata in pensione di Castellani, veniva a decadere
anche la convenzione stipulata con il Pio Istituto S. Spirito ed
Ospedali Riuniti. Di conseguenza, fino alla definizione della convenzione, in favore di Castellani dovette essere applicato il D.L. 16
marzo 1944 n.114 che consentiva per tutta la durata della guerra,
la permanenza dei professori di ruolo oltre il 70° anno ed eventualmente fino al 75° anno, su proposta rinnovabile di anno in anno15.
Pertanto, in virtù dell’applicazione di questo D.L., egli potè rimanere in servizio fino al 1 novembre del 1949 ed essere nominato
Professore Emerito con decreto del Presidente della Repubblica
datato 31 agosto 1949.
Con l’uscita di Aldo Castellani, rinnovata la convenzione con il
Pio Istituto di S. Spirito, si rese vacante la Cattedra di Malattie
Tropicali e Subtropicali, come da bando pubblicato sulla G.U. n.27
del 3.2.1949; furono presentate diverse domande per la copertura
del ruolo e la Facoltà di Medicina dovette procedere ad una votazione: ottenne la maggioranza dei voti Mario Girolami (1903-1982).
La scuola, la didattica, la ricerca
Mario Girolami16 era nato nel 1903 a Monteveglio (Bologna).
Allievo nell’Ateneo di Bologna di Antonio Gasbarrini, dopo la laurea conseguita nel 1927, si recò a Londra nel 1932 per frequentare il
Ross Institute and Hospital for Tropical Disease, diretto da
Castellani, iniziando allora a rivolgere i suoi studi sulla specialità.
Dopo essere stato direttore incaricato dei Laboratori dell’Ospedale
Italiano di Alessandria d’Egitto ed aver conseguito la libera docenza in Patologia Tropicale e Subtropicale, in Patologia Speciale
Medica e in Clinica delle Malattie Tropicali e Subtropicali, nel 1942
divenne ordinario di quest’ultima disciplina a Cagliari e fu chiamato a Roma nel 1950, dove assunse la direzione dell’Istituto (nella
304
La Clinica delle Malattie Tropicali
vacanza intercorsa, questo incarico era stato assolto da Gabriele
Amalfitano, Aiuto di ruolo). I suoi studi scientifici abbracciarono
diversi campi, dalla microbiologia alla radiologia, dalla fisiopatologia alle indagini cliniche e terapeutiche. Proseguì alcuni studi di
Castellani ben evidenziando come il Maestro avesse per primo
descritto alcune parassitosi e ripubblicandone i risultati su riviste
italiane. Dal 1950 fu Direttore della Scuola di Clinica delle Malattie
Tropicali e Subtropicali; questa era organizzata in tre differenti livelli: un corso bimestrale di preparazione, uno annuale di perfezionamento ed infine uno biennale di specializzazione. Girolami, dal
1956 al 1973, assunse anche la direzione della Scuola di
Specializzazione in Gastroenterologia di Roma -la prima attivata in
Italia- facendola afferire all’Istituto. Su proposta del titolare venne
avanzata la richiesta di cambiamento di denominazione della
Cattedra di Clinica delle Malattie Tropicali e Subtropicali in quella
di Clinica delle Malattie Tropicali ed Infettive ed il Ministro della
Pubblica Istruzione, in data 10 ottobre 1962, approvò tale cambiamento17.
Mario Girolami rimase Direttore
dell’Istituto fino a quando, nel 1973, fu
collocato fuori ruolo, mantenne, comunque, la direzione della scuola di specializzazione delle Malattie Tropicali e
Subtropicali fino al 1978, anno del suo
congedo per raggiunti limiti di età, e nel
1979 gli venne conferito il titolo di
Professore Emerito.
Nel 1973, quando si rese nuovamente
vacante la Cattedra e la direzione dell’Istituto, questo era conosciuto a livello mondiale per la sua importanza ed era, in Italia,
Fig. 5 – Mario Girolami
il solo a far parte della Associazione degli
Istituti Europei di Medicina Tropicale. Il Consiglio di Facoltà, in
data 14 maggio, decise di coprire tale ruolo mediante il trasferimento di un docente della disciplina, come da bando pubblicato sulla
G.U. del 26/06/1973. Furono presentate due domande, quella di
Marco Lippi, Ordinario di Clinica delle Malattie Tropicali e
Subtropicali di Cagliari, e quella di Franco Sorice, Direttore
dell’Istituto di Malattie Infettive di Ferrara. Vivace fu la discussione
in Facoltà nella seduta del 27 luglio per designare il nuovo titolare,
soprattutto brillante ed appassionata fu la presentazione dei candida305
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
ti da parte dei loro Maestri: il Professor Mario Girolami, che aveva
inviato al Preside ed ai Colleghi di Facoltà una lettera nella quale
esaltava i meriti didattici e scientifici di Lippi, ed il Professor
Giuseppe Giunchi, che aveva prodotto un dettagliato documento, da
inserire nel verbale del Consiglio di Facoltà, nel quale illustrava il
curriculum di Sorice e ne sottolineava la preparazione, la regolare
continuità scientifica, i contributi originali prodotti in molti campi
della ricerca e la capacità organizzativa dimostrata. Si cercò di trovare una soluzione di compromesso ma, nonostante fosse emersa la
proposta di chiedere al Ministero un raddoppiamento della Cattedra
di Malattie Infettive o anche quella di riattivare la II Cattedra di
Malattie Tropicali, (Cattedra frutto dello sdoppiamento della I avvenuto nel 1968, ricoperta con procedura concorsuale dal professor
Giovanni Mastrandrea, allocata nei locali dell’Istituto di Malattie
Infettive, soppressa e destinata ad altro insegnamento nel 1972 in
seguito alla morte dello stesso Mastrandrea) il Consiglio di Facoltà
convenne di non rinviare ulteriormente la decisione e di procedere,
nella stessa seduta del 27 luglio, alla chiamata per votazione nominale: ottenne la maggioranza Franco Sorice, nato ad Udine nel
1923. Sorice ha trascorso molti anni della sua formazione e della sua
carriera presso l’Università di Roma. Dopo la laurea conseguita nel
1947, ha frequentato per dieci anni la Cattedra di Clinica Medica
Generale e Terapia Medica come assistente; è divenuto nel 1956
libero docente in Malattie Infettive ed in Patologia Speciale Medica.
Ha avuto come maestri Cesare Frugoni, Giovanni Di Guglielmo e
Giuseppe Giunchi. Dopo un periodo trascorso nell’Università di
Sassari da Professore incaricato e nell’Università di Ferrara come
Professore Ordinario viene, quindi, chiamato a Roma a dirigere, dal
1 novembre 1973, la Clinica
delle Malattie Tropicali ed
Infettive, ruolo che mantiene
fino a quando, resasi vacante la
Cattedra di Malattie Infettive,
in seguito al collocamento
fuori ruolo del Professore
Germano Ricci, chiede ed
ottiene autorizzazione a ricoprire questa Cattedra dal 1
Fig. 6 – Franco Sorice
novembre 1979.
Sorice, clinico di notevole spessore e brillante ricercatore, si è
prevalentemente dedicato allo studio delle malattie batteriche ed alla
306
La Clinica delle Malattie Tropicali
antibioticoterapia. I testi ed i trattati di malattie infettive cui ha posto
mano, prima con Giuseppe Giunchi e poi con Luigi Ortona, hanno
trovato un vasto consenso tra studenti e medici nell’ultimo trentennio. Ha fatto parte della Commissione per il Farmaco del Ministero
della Sanità nella metà degli anni ’90, contribuendo al ripristino
della trasparenza nei rapporti Commissione-industria. E’ Professore
Emerito dal 24 maggio 1999.
Gli succede alla Direzione dell’Istituto il
Professor Antonio Sebastiani, allievo del
Girolami e dello stesso Sorice, che mantiene l’incarico direttivo fino al 1994, cioè fino
alla confluenza dipartimentale dell’Istituto.
Antonio Sebastiani, romano del 1929, ha
percorso l’intero iter formativo nell’Istituto
conseguendo la libera docenza in Malattie
Infettive ed in Malattie Tropicali.
Sebastiani, vincitore del relativo concorso è stato chiamato alla titolarità della II
Fig. 7 – Antonio Sebastiani
Cattedra (nata per sdoppiamento nel 1977)
finché - nel 1979 - a seguito del trasferimento di Sorice, è passato alla I cattedra assumendo, nel contempo,
la direzione dell’Istituto di Malattie Tropicali ed Infettive e della
Scuola di Specializzazione in Malattie Tropicali e Subtropicali;
Scuola che, in ottemperanza alle norme comunitarie europee, si è
trasformata in corso quadriennale di “Medicina Tropicale” riservato
ai soli borsisti retribuiti dal Ministero della Sanità o da Enti convenzionati con l’Università. Sebastiani si è dedicato alle ricerche sugli
enterovirus, sui virus respiratori, sulla vaccinazione antipoliomielitica; favorito, inoltre, dall’avere trascorso annualmente un trimestre
presso l’Università Nazionale della Somalia dal 1977 al 1990 con
compiti didattici e di ricerca, ha potuto approfondire varie tematiche
riguardanti il tetano, le dissenterie, le virus-epatiti ed alcune parassitosi endemiche in quel Paese. Presso tale Università ha presieduto
il Comitato Tecnico della Facoltà di Medicina e Chirurgia nel periodo 1979-92, cioè fino alla cessazione ufficiale di ogni attività a
motivo dei conflitti interni scoppiati in quella Nazione18. La sua
nomina era stata deliberata dal Dipartimento per la Cooperazione
allo Sviluppo del nostro Ministero degli Affari Esteri –principale
finanziatore dell’iniziativa– e ratificata dal Governo Somalo, su proposta del Professor Paride Stefanini, che ha guidato la Commissione
Mista Italo-Somala per la Cooperazione Universitaria dal 1972 al
307
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
1981, cioè fino alla sua morte. Per volere di Paride Stefanini, la
Facoltà somala risultò radicalmente innovativa rispetto agli schemi
italiani del periodo e pienamente consonante con la dottrina e la pratica della Medicina di Comunità19. Durante la presidenza di
Sebastiani venne adottato uno schema didattico intensivo - “tempo
pieno di docenti e discenti” - in dieci semestri seguiti da un biennio
post-laurea di perfezionamento con cinque opzioni: Medicina di
Comunità, Medicina Interna, Chirurgia Generale, PediatriaPuericultura, Ostetricia-Ginecologia. Un piano di studi orchestrato
con l’OMS che lo propose allo Yemen ed agli Emirati Arabi e, inoltre, riconobbe un Dottorato in Medicina di Comunità con borse assegnate nell’Africa Orientale dalla stessa OMS. Nel periodo 1972
(fondazione) – 1990 (cessazione di fatto dell’attività) la Facoltà di
Mogadiscio ha laureato oltre 600 medici destinati al Servizio
Sanitario Nazionale. Di questi, attualmente circa 150 professano con
successo all’estero nei paesi africani, nei paesi arabi, in Canada,
Usa, Regno Unito, Europa continentale20.
Tornando alle vicende dell’Istituto romano, questo nel 1973
assunse l’assetto policattedra, cooptando il Professor Umberto
Serafini e concedendo strutture di ricovero alle cattedre delle quali
è stato titolare, in successione, III Patologia Medica e poi IV Clinica
Medica. In seguito otteneva l’afferenza il Professor Carlo De Bac –
proveniente dall’Istituto di Malattie Infettive – con l’incarico della
II cattedra di Malattie Tropicali. Quando poi, nel 1980, il Serafini si
trasferiva, gli succedeva nella titolarità della IV Clinica Medica il
Professor Vincenzo Corsi, rimasto di ruolo fino al 1985.
Onde evitare equivoci deve essere precisato che, nella Facoltà di
Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “La Sapienza”, hanno
convissuto due distinti istituti: quello di Malattie Infettive e quello
di Malattie Tropicali e Subtropicali (dal 1961 di Malattie Tropicali
ed Infettive), istituti che, nel 1994, sono stati disattivati per costituire il nuovo Dipartimento di “Malattie Infettive e Tropicali”. Il 1
Novembre 1979, il Professor Franco Sorice – Direttore in carica
dell’Istituto di Malattie Tropicali ed Infettive – si trasferiva alla direzione dell’Istituto di Malattie Infettive, seguito dal Prof. Ignazio
Ilardi, parassitologo clinico con vasto curriculum di permanenza in
aree tropicali, e dagli allievi Salvatore Delia e Vincenzo Vullo, i
quali hanno pubblicato numerosi contributi di interesse tropicalistico e, in particolare Delia, compiuto varie missioni presso
l’Università Nazionale della Somalia. Questi due ultimi vincevano il
concorso di Professore di prima fascia, rispettivamente nel 1985 e
nel 1994, e venivano chiamati presso l’Istituto di Malattie Infettive.
308
La Clinica delle Malattie Tropicali
Nell’Istituto di Malattie Tropicali ed Infettive rimaneva il Prof.
Sebastiani - che si avvaleva della preziosa collaborazione di Antonio
Aceti, Giorgio Quaranta, Alfredo Pennica, Massimo Marangi - e vi
afferivano i Professori Carlo De Bac e Vittorio Laghi, entrambi
vincitori del concorso di Professore Ordinario espletato nel 1985.
Costituito il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali nel
1994, sono stati eletti alla sua Direzione, successivamente, i
Professori Franco Sorice, Antonio Sebastiani, Salvatore Delia,
Vincenzo Vullo (attualmente in carica).
Ha così compimento la storia dell’Istituto che negli oltre 60
anni della sua intensa e meritoria attività ha prodotto e realizzato:
- oltre 2000 pubblicazioni scientifiche a stampa su riviste italiane ed estere, comunicazioni in convegni e congressi nazionali ed
internazionali in parte frutto di collaborazione con enti stranieri e
finanziate da OMS, CNR, Ministero della Sanità, Consiglio
Universitario Nazionale, Facoltà Medica de “La Sapienza”.
Frequenti i contributi originali e significativi, numerosi in parassitologia e sulle virus-epatiti;
- intensa attività trattatistica nel settore con in primo piano Aldo
Castellani (il fondamentale trattato di Medicina Tropicale vide la I
edizione a Londra nel 1910), Igino Jacono, Mario Girolami, Marco
Lippi, Angelo Balestrieri, Biagio Urso, Giuseppe Scotti, Gabriele
Amalfitano, Vincenzo Servino, Giovanni Gambini, Francesco
Paroni-Sterbini, Bruno Benetazzo, Giovanni Mastrandrea, Antonio
Sebastiani, Livio Capocaccia, Franco Sorice (notissimi i testi di
Malattie infettive in collaborazione con Giuseppe Giunchi e con
Luigi Ortona), Salvatore Delia, Carlo De Bac, Vittorio Laghi,
Giovanni Panichi, Vincenzo Russo, Antonio Aceti, Vincenzo Vullo,
Furio Cifarelli (suo un testo di Malattie Tropicali per l’Università
Nazionale della Somalia), Corrado Bianchini (editor di un testo di
Medicina Internazionale) Ignazio Ilardi, Giorgio Mazzacurati,
Sergio Sanguigni, Giorgio Quaranta, Alfredo Pennica, Massimo
Marangi, Mario Manganaro, Mario Nuti, Michele De Carlo,
Marino Luminari, Marcello Assumma, Diego De Luca, Mariano
Belli, Mario Mazzetti di Pietralata, Antonio De Dominicis, Giorgio
Mele, Antonio Cappelli (uno dei fondatori della Medicina di
Comunità in Italia);
- la gestione della Scuola di Specializzazione in Malattie Tropicali
e Subtropicali (poi titolata “Medicina Tropicale” secondo la normativa Cee) e di Gastroenterologia (1961-1981) con circa 400 specializzati. Lo svolgimento di Corsi di Medicina Missionaria per conto
309
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
dello SMOM (Sovrano Militare Ordine di Malta) e di corsi per
“Assistente Medico” voluti dall’AFIS (Amministrazione Fiduciaria
Italiana della Somalia) negli anni ’50;
- la gestione dell’insegnamento nel Corso di Laurea, diventato
fondamentale con la riforma della tabella 18 bis. Oltre 400 studenti
hanno preparato con successo la Tesi di Laurea nell’Istituto. E’ stato,
inoltre, offerto un accurato monitoraggio a molti borsisti stranieri
specializzandi nella Facoltà Medica de “La Sapienza” ed un preciso
punto di riferimento per quelli della Università Nazionale della
Somalia (dal 1977). Assistenza è stata ampiamente fornita ai docenti di quella Università, profughi in Italia e supportati dal nostro
Ministero degli Affari Esteri a motivo della guerra civile nel loro
Paese. Numerosi specializzati e vari membri del personale
dell’Istituto hanno prestato servizio nella OMS ed in diversi enti ed
organizzazioni per la “Cooperazionee allo Sviluppo” in Africa, Asia,
America Latina;
- la gestione delle Riviste scientifiche: Archivio Italiano di
Medicina Tropicale e Parassitologia e Rivista Italiana di
Gastroenterologia;
- la gestione assistenziale con ambulatori, day hospital ed una
dotazione di posti letti ordinari che ha raggiunto le cento unità.
L’impegno tropicalistico si è mantenuto costante anche dopo la
decolonizzazione, alimentato dalle patologie dei viaggiatori e degli
immigrati: la casistica comprende, tra l’altro, circa il 20% dei casi di
malaria da importazione osservati in Italia.
Infine, nel periodo 1985-2004 sono stati chiamati presso l’Istituto
(o dal 1994 presso la sezione di Malattie Tropicali del Dipartimento)
i seguenti Professori di I fascia:
- Carlo De Bac, allievo di Luigi Condorelli e di Germano Ricci,
ha operato prevalentemente nell’Istituto di Malattie Infettive de “La
Sapienza”. E’ un’autorità indiscussa nel campo delle virus-epatiti e
da quasi un ventennio presiede la “Società Italiana per lo Studio
delle Malattie da virus”; sua principale collaboratrice Gloria Taliani,
che ha raggiunto l’ordinariato nel 2005;
- Vittorio Laghi, allievo di Luigi Ortona e proveniente
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esponente di punta della
epatologia virologica, negli ultimi anni ha presieduto la Società
Italiana di Medicina Tropicale;
- Giovanni Panichi, allievo di Giuseppe Giunchi e poi di Giorgio
Andreoni. Vinto il concorso di I fascia ha preso servizio presso
l’Università di Sassari ove ne ha diretto l’Istituto di Malattie
310
La Clinica delle Malattie Tropicali
Infettive. Ha fornito apporti significativi nel campo dei batteri anaerobi e degli enterobatteri patogeni;
- Antonio Aceti, formatosi nell’Istituto; i suoi indubbi meriti
scientifici sono stati riconosciuti nel concorso di I fascia nel 1994,
ancora molto giovane. Chiamato a Sassari vi ha diretto per un lustro
l’Istituto di Malattie Infettive con grande dinamismo ed ottenendone il trasferimento in nuove strutture moderne ed adeguate. In
Sassari, ha promosso annualmente dei corsi di aggiornamento infettivologico e tropicalistico di notevole risonanza nazionale e vi ha
organizzato esemplarmente il Congresso nazionale della Società
Italiana di Malattie Infettive del 1997. Chiamato a Roma presso “La
Sapienza” nel 1999, ha optato per la II Facoltà di Medicina, di
recente costituita, dove dirige una divisione d’avanguardia
nell’Ospedale S. Andrea e dove è stato eletto Direttore del
Dipartimento di Medicina Interna.
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311
Antonio Sebastiani - Carla Serarcangeli
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312
CLINICA DELLE MALATTIE
NERVOSE E MENTALI
ALBERTO GASTON
313
Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
La disciplina
L’insegnamento di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali è
stato costituito nella sua unitarietà soltanto a partire dal 1920-21,
anno in cui i due insegnamenti di Malattie mentali e Malattie nervose vengono fusi insieme. Sino ad allora la loro evoluzione è relativamente autonoma e tale tornerà ad essere dopo circa cinquanta
anni.
Malattie Mentali - Come riporta Adalberto Pazzini1, nella sua
Storia della Facoltà Medica Romana, Diomede Pantaleoni, in un
rapporto amministrativo del 1871, dice testualmente:
Sono riuscito ad ottenere dalla Pubblica Istruzione che un insegnamento
di Psichiatria sia stabilito nella Romana Università; ed essendo
ugualmente utile all’insegnamento ed alla condotta del luogo pio che la
scelta cada sulla stessa persona, come ordinariamente avviene, ho potuto
ottenere che il Direttore del Manicomio sia a quell’insegnamento
prescelto.
La scelta cadde quindi, necessariamente, sul direttore del
Manicomio, che era all’epoca Giuseppe Girolami, il quale tenne la
cattedra dal 1871 al 1875, anno in cui dovette lasciare a causa di una
grave malattia che lo portava a morte nel 1878. Girolami si era conquistato una certa fama con la direzione del manicomio di Pesaro
(dal 1850) e con un trattato Sulla Pazzia. Studi psicologici e patologici (1856), abbastanza vicino alle concezioni di Guislain, cui dedica lo studio - trattato dal quale traspariva chiaramente il suo atteggiamento critico riguardo le tendenze riduzionistiche della medicina
mentale dell’epoca e la sua chiara propensione a favore di una “psicologia” o, meglio ancora, detto alla francese, dello studio dei
“fenomeni morali”; da tale disciplina, infatti, a suo parere, non era
possibile prescindere, pena la incompletezza dell’operare psichiatrico2. Girolami ebbe anche un certo rilievo nella scelta della denominazione della nascente Società Freniatrica (il cui congresso di fondazione si svolse a Roma nel 1873), appoggiando l’idea di Livi a
favore della denominazione “freniatrica”, rispetto alla denominazione “psichiatrica”, che avrebbe potuto, secondo alcuni dei partecipanti, generare ambiguità spiritualistiche, vista anche una certa
ambiguità semantica della parola “psiche” (come è noto la parola
“psichiatria” affonda le sue radici nella concezione romantica della
medicina dei primi anni dell’800). Ciò nonostante egli continuò a
seguire un indirizzo che si può definire psicologico-spiritualista e
315
Alberto Gaston
che per questo motivo lo separerà dalle idee di un gruppo altamente
significativo e sempre più emergente (Livi, Morselli, Tamburini) le
cui idee sposteranno il baricentro della psichiatria italiana dalla prevalente influenza del pensiero psichiatrico francese a quella del pensiero tedesco, lungo la linea di idee che da Griesinger va verso
Kraepelin.
Le sue linee programmatiche si trovano nel testo della prolusione
con la quale inaugurerà il primo corso di Clinica delle malattie mentali nell’Università di Roma, prolusione nella quale, pur valorizzando sufficientemente il valore delle ricerche anatomo-patologiche ed
istologiche del sistema nervoso, ne indicava le illusioni e non mancava di sottolineare la assoluta importanza di una medicina psicologica, fondamentale per cercare di interpretare e chiarire tutte quelle
forme (cliniche) non spiegabili con il solo strumento anatomo-patologico. Polemizzò d’altronde anche con Griesinger sottolineando,
sul piano della terapia, il valore di una cura morale (psicologica) e
affermando la necessità di essere allo stesso tempo un buon medico
ed un buon psicologo, idea, questa ultima, che lo oppose anche a
Lombroso, il quale era abbastanza contrario alla presenza degli psicologi nella Società Freniatrica.
I Maestri, la didattica, l’attività di ricerca
La cattedra di psichiatria, appena costituita, alla morte di
Girolami, restò vacante sino al 1881, anno della chiamata di
Alessandro Solivetti, primo medico di sezione del Manicomio, che
la tenne sino 1893; egli rese possibile la creazione di due sale di
osservazione sotto la direzione di un professore di Psichiatria. Alla
sua morte gli successe per breve tempo (infatti nel 1895, appena
due anni dopo, rinunciò volontariamente all’incarico) lo stesso
Direttore del Manicomio Clodomiro Bonfigli, il quale comunque
confermò la persistenza in seno al Manicomio, delle due sale destinate alla Psichiatria; anche se, come ricorda sempre Pazzini, il successore di Bonfigli, Ezio Sciamanna troverà, a dire di De Sanctis,
soltanto una umile stanza posta in un angolo del Manicomio3.
La sede del Manicomio era allora alla Lungara, dove era stato trasferito fin dal 1728 dalla prima sede di piazza Colonna (aperta nel
1548) e dove resterà almeno sino al 1914, data di inizio del trasferimento dei malati al nuovo Manicomio di S. Onofrio in Campagna,
che dal 1931 riprenderà l’antico nome di Santa Maria della Pietà.
Nel 1900 la Clinica fu trasferita in una struttura annessa al
Manicomio, ma autonoma, al numero 13 di via dei Penitenzieri, che,
come ricorda ancora il Pazzini4, consisteva in due reparti di 12 letti
316
Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
ognuno, per uomini e donne, e vari locali per l’ambulatorio, la direzione, il laboratorio, un’ aula ed una biblioteca. I locali furono
ampliati dal successore di Sciamanna, Augusto Tamburini, il quale
già pensava alla fondazione di un vero e proprio istituto autonomo,
all’interno della futura Città Universitaria. Il progetto della nuova
Clinica Psichiatrica fu presentato nell’agosto del 1911 (insieme a
quello degli Istituti di Igiene e di Medicina Legale), in base ad una
progetto di massima che prevedeva l’ubicazione dell’Università a
breve distanza dal viale a sud del Policlinico. L’Istituto (i cui locali, non ancora completati, nel marzo del 1918 saranno sistemati frettolosamente per ospitare i feriti e i reduci della guerra) verrà inaugurato ufficialmente nel 1924.
Ezio Sciamanna, quindi, già incaricato dal 1883 di
Neuropatologia, diresse dal 1895 al 1905 la Clinica Psichiatrica rendendola definitivamente autonoma dal Manicomio. Come ricorda
sempre Pazzini, egli fu allievo di Charcot, a Parigi, e di Benedikt, a
Vienna ed a lui si deve un forte impulso organizzativo della ricerca
sia sul piano prettamente scientifico che sul piano clinico. Fondò, tra
l’altro, nel 1897, insieme all’antropologo Giuseppe Sergi la Rivista
quindicinale di psicologia, psichiatria, neuropatologia, rivista
scientifica nel cui titolo compare ormai la parola “psicologia”. E’
anche interessante ricordare che fu relatore, nel 1896, della tesi di
laurea di Montessori, sulle allucinazioni a contenuto antagonistico,
argomento di cui si occupava, nella stessa clinica da lui diretta,
Sante De Sanctis, che, tra le altre cose, nel 1899 fondò a Roma il
primo asilo-scuola5. D’altro canto gli ottimi risultati della ricerca
isto-patologica, affidata ad un altro suo assistente, Ugo Cerletti, contribuirono a rinforzare l’indirizzo prevalentemente organicista della
ricerca, che continuò anche sotto la direzione di Tamburini.
A Sciamanna successe, come già accennato, Augusto
Tamburini. Laureato a Bologna si interessò subito alla neurologia e
alla psichiatria e, dopo un breve periodo di incarico al Manicomio di
Voghera, passò a Modena e quindi al San Lazzaro di Reggio Emilia,
dove, nel 1877, alla morte di Livi, fu nominato direttore, collaborando attivamente con Eugenio Tanzi, Luigi Luciani ed Enrico
Morselli. Nel 1905 sarà chiamato a Roma, alla cattedra di Clinica
Psichiatrica che tenne sino al 1919, anno della sua morte. Sono noti
i suoi studi, insieme a Luciani, su alcuni problemi che riguardano le
localizzazioni cerebrali e quelli sui disturbi del linguaggio; ebbero
inoltre una certa eco le sue teorie sulla genesi dei disturbi psicosensoriali: egli prese in considerazione l’ipotesi che l’allucinazione
fosse una sorta di “epilessia dei centri sensoriali”; uno stato irritati317
Alberto Gaston
vo di questi centri, provocato da cause le più varie (centrali o periferiche, fisiogene o anche psicogene), potrebbe “risvegliare” le
immagini già in essi immagazzinate, provocando appunto il fenomeno allucinatorio, che è tanto più complesso quanto più lo stimolo è
di origine corticale; questa immagine “risvegliata” irritativamente
sarebbe poi proiettata all’esterno tramite l’intervento dei centri
senso-motori, come avviene nella normale percezione.
Tamburini nel 1896 fondò con Morselli e Tanzi la Rivista di patologia nervosa e mentale; fu tra l’altro un membro molto attivo della
Società Freniatrica (di cui diresse anche la relativa Rivista) affiancato in ciò, tra gli altri, da Clodomiro Bonfigli (molto impegnato in
quel periodo nella elaborazione di una legge sugli Istituti medicopedagogici) con il quale cercò di costruire uno spazio proprio per la
Psichiatria, intesa anche come scienza sociale, nel tentativo di rafforzare l’autonomia della disciplina che, sul piano medico-scientifico, rischiava di essere soverchiata dalla Neuropatologia; del resto lo
stesso Sciamanna, che lo aveva immediatamente preceduto, proveniva dalla titolarità della Cattedra di Neuropatologia. Di Tamburini
è opportuno ricordare anche l’entusiastica Prefazione alla edizione
italiana del Trattato di E. Kraepelin, nella quale tra l’altro dice queste idee avranno sempre... il merito di scuotere la psichiatria clinica da quella specie di sonno in cui erasi immersa. Sua anche la prefazione alla traduzione italiana dei Principi di Psicologia di Willam
James del 1905, opera affascinante... che dischiude... tanta copia di
fatti, di metodi, di idee, di vedute nuove e feconde.
Malattie Nervose - L’insegnamento di questa disciplina prende
l’avvio con l’incarico di Neuropatologia, affidato ad Ezio Sciamanna
nel 1883; il corso, dapprima complementare, si tenne inizialmente
presso l’ospedale di S. Giovanni, in un secondo momento presso
l’ospedale di Santo Spirito ed infine al Policlinico. Nel 1895, come
abbiamo già visto, quando Sciamanna otterrà la cattedra di
Psichiatria, l’insegnamento di Neuropatologia sarà assegnato a
Giovanni Mingazzini, dapprima come supplente, quindi come incaricato (1896), straordinario (1899), ed infine, dal 1905, come direttore
della Scuola di Neuropatologia, che aveva trovato appunto una collocazione, come ricorda sempre Pazzini, in alcuni locali della Patologia
Medica all’interno del nuovo ospedale Policlinico; più precisamente
nella parte posteriore dell’edificio, dove ebbe soltanto 6 letti per il
ricovero ed alcune stanze per gli ambulatori e la direzione6.
Giovanni Mingazzini, laureato a Roma nel 1883, due anni dopo
diventa assistente nell’istituto anatomico, diretto da F. Todaro, dove
318
Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
si dedicò alla anatomia del sistema nervoso; nello stesso periodo
seguì nel laboratorio di G. Sergi studi di morfologia cerebrale e di
antropologia. Lavorò per circa due anni nel laboratorio del manicomio di Monaco di Baviera. Nel 1888 conseguì la libera docenza in
anatomia umana. Nel 1891 è nominato anatomo-patologo nel
Manicomio di Roma, dove fondò un Laboratorio di anatomia patologica per lo studio e la ricerca anatomica delle lesioni del sistema
nervoso, che divenne nel tempo ricchissimo di mezzi di indagine e
di collezioni. Dal 1906 fu nominato Direttore del Manicomio e della
Clinica Neurologica, sino al 1920, anno dal quale divenne professore di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, essendo state ormai
unificate le due cattedre, ruolo che tenne sino alla morte, 19297.
Tra le sue ricerche più importanti è bene ricordare quelle che
riguardano la morfologia del cervello dei microcefali, quelle sulla
sifilide dell’asse cerebro-spinale, le ricerche sulle fibre arcifomi e
sulle loro connessioni (considerate come una sua vera scoperta), gli
studi sul nucleo lenticolare (sindrome lenticolare acuta di
Mingazzini), lo studio sulla morfologia della regione prelenticolare
(nota come campo di Mingazzini o Mingazzinische Feld o Punkt), le
ricerche sulla patologia delle atrofie cerebellari, sulla morfofisiologia e fisiopatologia del corpo calloso e molte altre ancora. Tra le
opere monografiche è bene ricordare Il cervello in relazione coi
fenomeni psichici, Torino, 1895; Anatomia clinica dei centri nervosi ad uso dei medici e degli studenti, Torino, 1908 e 1913; Der
Balken, Berlino, 1922; Le afasie, Roma, 1923.
Tra queste opere le lezioni di Anatomia Clinica rivestono forse
una particolare importanza; il volume, di cui stava preparando la
terza edizione, era dedicato a Francesco Todaro, ed iniziava sottolineando l’importanza che l’applicazione della fine tecnica istologica
aveva portato nella conoscenza dell’architettura dei centri nervosi,
specialmente dopo le scoperte della mielogenesi per opera di
Meynert e Flechsig e della degenerazione sperimentale di Gudden,
che permisero di stabilire il decorso e l’individualità dei diversi fasci
nervosi. Ma, egli sottolinea, i risultati di queste importanti ricerche
sarebbero rimasti sterili se i patologi e i clinici avessero trascurato
di studiare in vivo il disturbo di quelle funzioni presumibilmente
connesse con le lesioni e con le degenerazione dei fasci.
Sul piano puramente clinico terapeutico fu tra i primissimi ad
applicare in Italia la malarioterapia di von Jauregg nella demenza
paralitica.
Il suo insegnamento fu particolarmente caratterizzato da un
approccio prevalentemente clinico; le sue lezioni erano molto segui319
Alberto Gaston
te e molto apprezzate oltre che per la vastità del suo sapere per una
vivacità speciale di espressione e di linguaggio, come si legge in
una sua commemorazione letta da S. Baglioni, in Ancona, alla fine
di dicembre del 1929.
Malattie Nervose e Mentali.
A Mingazzini succede Sante De Sanctis. Laureato in Medicina a
Roma nel 1886 con una tesi sulle afasie; nel 1891 lavora presso il
laboratorio di anatomia patologica diretto dal Mingazzini, nei locali
del Manicomio; nel 1892 è aiuto nella Clinica Psichiatrica
dell’Università, diretta da Sciamanna. Nel 1893 si reca a Parigi,
molto interessato alle ricerche di J. M. Charcot e quindi a Zurigo, da
A. Forel, per studi sull’ipnotismo. Si dedica a ricerche sul sonno e i
sogni, specie in relazione alle malattie mentali, argomento che presenterà come lezione di libera docenza, nel 1896, con il titolo I sogni
e il sonno nell’isterismo e nella epilessia e che sarà ulteriormente
elaborato nel suo scritto I sogni: studi clinici e psicologici di un alienista. Questi scritti sono noti anche perché citati da Freud nella
Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni- v. capitolo 1.H della
edizione italiana: Rapporti tra sogno e malattie mentali), e citati
anche nel volume che raccoglie i dibattiti della Società
Psicoanalitica di Vienna (nella riunione del 15 aprile 1908, durante
una relazione di Freud sul libro La disperazione di ogni psicologia
di Moebius). Con Freud, inoltre, come ricorda Cesare Musatti nella
commemorazione del centenario della nascita, ebbe una assidua
corrispondenza, e diede l’appoggio della sua alta autorità allo sparuto gruppo di giovani che stava organizzando il primo nucleo del
movimento psicoanalitico nel nostro paese.
Nel 1902 inaugura il primo corso di Psicologia con metodi sperimentali, presso la scuola di Antropologia di Giuseppe Sergi; nel
1903 ottiene l’incarico di “Psicologia Fisiologica”; nel 1906 ottiene
a Roma, nella Facoltà di Medicina una delle tre prime cattedre italiane di Psicologia Sperimentale (le altre erano quella di Kiesow, a
Torino, e quella di Colucci, a Napoli)8.
Nel 1907 fonda la rivista L’Infanzia Anormale, con contributi prevalentemente di tipo medico e pedagogico e da questo anno sino al
1930 dirigerà l’Istituto di Psicologia della Facoltà di Medicina
dell’Università di Roma.
Si può affermare che la sua opera Neuropsichiatria infantile
(Roma, 1925) segna l’atto di nascita di una nuova disciplina, anche
attraverso l’individuazione e la descrizione di nuove forme patologiche come, ad esempio, la sindrome aparetico-afasica tardiva della
320
Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
frenastenia cerebropatica postnatale o, ancor più interessante, la
descrizione della dementia praecocissima; sindrome notissima che
U. Cerletti, nella commemorazione romana del centenario della
nascita, ricorda aver sentito chiamare nel California Hospital di San
Francisco, De Sanctis’ disease. Rispetto a questa ultima sindrome è
noto il giudizio dello stesso Kraepelin che, in una lettera riportata da
Ferruccio Banissoni negli scritti in onore, pubblicati nel 1930 sulla
Rivista di Psicologia, scrive:
La sua opera è stata multilaterale e feconda... Me personalmente hanno
interessato più di tutto, le sue comunicazioni sulla demenza precocissima
la cui esattezza posso confermare in tutto e che mi diedero vari impulsi a
pensare.
Il tratto caratteristico della psicologia differenziale di De Sanctis
si può dire che consista prevalentemente nel suo specifico interesse
per la clinica, specialmente sotto i vari aspetti sia psicopedagogici
che psichiatrici o psicopatologici: egli, per fare un esempio, comprese subito il valore della Scala metrica, pubblicata da Binet e Simon
nel 1905, prima di una lunga serie di batterie di test o reattivi mentali per la misurazione del grado dell’intelligenza, ma ne comprese
anche subito gli inconvenienti e i difetti del metodo; come dirà lui
stesso:
Noi supereremo tutte le scale dell’intelligenza perché rinunciamo alla
comparazione fra frenastenico e fanciullo normale, fra tappe progressive
e tappe regressive e preferiamo per la clinica graduare non l’intelligenza,
ma l’insufficienza mentale.
I suoi reattivi furono utilizzati ai fini della scolarizzazione e della
educabilità degli anormali psichici e non per il loro inquadramento
diagnostico. Il particolare atteggiamento clinico e psicopatologico si
evidenzierà nel suo interesse per la storia del malato, considerando
la stessa patologia mentale come un elemento importante della ricerca psicologica che studia i fenomeni normali, e avvicinandosi, in
questo senso, alle ricerche tipiche della psicologia patologica, come
quelle, per esempio, di Pierre Janet.
Alla morte di De Sanctis, nel 1935, fu chiamato a Roma, da
Genova, Ugo Cerletti, che rimase in carica sino al 1948-49, anno in
cui esce di ruolo.
Laureato a Torino, tornò presto a Roma, dove aveva iniziato gli
studi. Lavorò con Sciamanna e Mingazzini; nel 1925 fu professore
321
Alberto Gaston
di Neurologia a Bari; nel 1928 alla Università di Genova e dal 1935
diresse la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali di Roma. Nel
1900 insieme a Gaetano Perusini (futuro collaboratore di
Alzheimer) si recò ad Heidelberg, dove studiò psichiatria clinica e
neuropatologia con Kraepelin ed Erb; collaborò inoltre con Nissl
interessandosi dei processi di fagocitosi nella sostanza cerebrale e
delle evidenze anatomiche nella paralisi progressiva. Tornato in
Italia si laureò nel 1901. Dopo la morte di Sciamanna, Tamburini,
ormai titolare a Roma, lo incoraggiò a tornare in Germania per
seguire un corso di studi avanzati tenuto a Monaco da Kraepelin e
Alzheimer.
In Germania aveva maturato un orientamento spiccatamente biologico; si era interessato prevalentemente di ricerche di istologia e
istopatologia del sistema nervoso centrale; inoltre aveva portato
avanti ricerche sulla paralisi progressiva; l’esame post-mortem suggeriva ai ricercatori, tra cui lo stesso Cerletti, che la malattia probabilmente aveva una origine batterica, per cui si poteva attribuire la
natura infiammatoria dei processi istopatologici osservati alla azione locale e diretta della spirocheta. Tale ipotesi fu confermata da
Noguchi poco tempo dopo (1913). Tra l’altro la scoperta qualche
anno dopo (1917) da parte di von Jauregg della malario-terapia,
darà, in un certo senso, inizio alle moderne terapie psichiatriche di
shock.
Già dal 1933 a Genova Cerletti lavorava sulla epilessia sperimentale nei cani e nelle cavie usando l’elettrostimolazione per provocare attacchi convulsivi. L’introduzione delle terapie di shock
(cardiazolico e coma insulinico) nella cura della schizofrenia, basate anche sull’idea di un antagonismo tra epilessia e schizofrenia e
l’idea che sostanze sconosciute venissero rilasciate nell’organismo
dopo un accesso convulsivo guidava le ricerche di Cerletti, che cercava di produrre delle convulsioni tramite il passaggio di una corrente elettrica, con l’ipotesi che la convulsione stessa provocasse
nell’organismo il rilascio di “sostanze vitalizzanti”, cui diede il
nome di “acroagonine”. La storia è nota: approntata una tecnica di
passaggio di corrente attraverso il capo, osservata presso il mattatoio di Roma, che stordiva soltanto gli animali e permetteva l’induzione di convulsioni con l’applicazione di correnti elettriche di
intensità molto bassa e non pericolosa, mise a punto con Lucio Bini
un apparecchio per una tecnica più sicura e applicabile all’uomo.
Nel marzo del 1938 essi applicavano il primo elettroshock su un
vagabondo in uno stato di tipo confusionale, inviato dalla polizia
presso la clinica universitaria, che, dopo una serie di applicazioni,
322
Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
presentava una remissione completa della sintomatologia. Poco
tempo dopo Cerletti comunicava il resoconto del caso alla
Accademia Medica Romana ed in breve tempo la nuova terapia
convulsivante sostituì, anche per la sua sicurezza rispetto alle altre,
sia quella Cardiazolica che quella Insulinica.
Uscito di ruolo Cerletti, dopo un periodo di incarico affidato a
Vittorio Challiol, viene chiamato a Roma Mario Gozzano. Laureato
a Torino nel 1922, nel 1924 torna a Roma per lavorare con
Mingazzini. Tra il 1924 ed il 1934 ebbe numerosi contatti con l’estero, specialmente con l’Austria, dove frequentò alcuni corsi di base
con Otto Marburg e Wolfgang Pauli e in Germania con Oskar Vogt,
con il quale sviluppò alcune ricerche sulla elettrofisiologia della corteccia cerebrale.
Nel 1935 è incaricato di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
a Cagliari, dove nel 1938, vinto il concorso, è nominato straordinario; va poi a Pisa, quindi a Bologna, da dove appunto tornerà a
Roma.
Come sottolinea giustamente Pazzini in campo psichiatrico
Gozzano ha sempre cercato di dare un “indirizzo integrale” alla psichiatria e cioè di considerare la eziopatogenesi della malattia psichiatrica non come di derivazione esclusivamente somatica o psicologica, ma bilaterale; egli ha sempre messo in evidenza la necessità
di discriminare di volta in volta la predominante provenienza somatica o psicologica8.
La psichiatria - dice Gozzano - non può e non deve seguire un indirizzo
unilaterale, bensì integrare i dati che ci offrono tanto lo studio biologico
quanto lo studio psicologico del malato psichiatrico. Questo indirizzo che
potrebbe definirsi eclettico, ma che io preferirei chiamare indirizzo
integrale della psichiatria è quello che noi seguiamo nella Clinica
Psichiatrica di Roma.
Con l’uscita di Mario Gozzano la Clinica delle Malattie Nervose
e Mentali dell’Università di Roma perde la sua precedente unitarietà. Le discipline si autonomizzano: la psichiatria con Giancarlo
Reda la neuropsichiatria infantile con Giovanni Bollea, che si trasferirà in un Istituto autonomo, e la neurochirurgia con Beniamino
Guidetti; da Genova sarà chiamato Cornelio Fazio che verrà con
tutta la sua scuola e nello stesso periodo tornerà anche Vincenzo
Floris che era stato uno degli aiuti di Gozzano.
323
Alberto Gaston
BIBLIOGRAFIA
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Istituto di Storia della Medicina, 1961.
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8. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
Ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985.
324
LA CLINICA ORTOPEDICA
E TRAUMATOLOGICA
LUIGI ROMANINI - EMILIO ROMANINI
325
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
Sulla nascita della disciplina
L’insegnamento di Clinica Ortopedica e Traumatologica si concretizza a Roma in Cattedra Universitaria nel 1912, con il primo
concorso in Italia di Professore Ordinario della disciplina; la terna è
composta da Riccardo Dalla Vedova, Vittorio Putti e Baldo Rossi; i
primi due verranno chiamati a “La Sapienza” di Roma, all’Istituto
Rizzoli di Bologna.
E’ la consacrazione ufficiale dell’opera di molti grandi chirurghi
che insegnarono (sia nell’Archigimnasio Pontificio della Sapienza
tra il 1500 e 1870 e poi nella nuova Università Statale dopo “fatta
l’Italia”), una disciplina che veniva poco alla volta prendendo forma
nei decenni a cavallo tra il XIX e XX secolo, ma che ancora i
Chirurghi Generali del tempo consideravano di loro stretta pertinenza, che riesce finalmente a trovare una sua pur precaria collocazione nel Policlinico Umberto I inaugurato da pochi anni1.
Facendo un passo indietro è interessante notare come tra il ‘70 e
la fine del secolo, l’insegnamento di Traumatologia venga affidato
a prestigiosi Primari Chirurghi ospedalieri, dell’Ospedale San
Giacomo e dell’Ospedale della Consolazione (Filippo Scalzi,
Angelo Incoronato, Francesco Occhini, A. Postempscky) e quello di Ortopedia agli Aiuti della Clinica Chirurgica Universitaria
Roberto Alessandri e poi a Demetrio Roncalli e Riccardo Dalla
Vedova.
Solo con il pensionamento di F. Scalzi, e il liberarsi dell’incarico
di Traumatologia, le due materie vengono per la prima volta riunite
in un solo insegnamento e - prima Università in Italia - La Sapienza
vede “materializzarsi” l’Ortopedia e Traumatologia nel 1910.
L’idea di una fusione delle due materie era ormai matura poichè
si veniva evidenziando e concretizzando il concetto unitario di una
disciplina diretta alla diagnosi e cura delle deformità dell’apparato
locomotore sia congenite che acquisite da cause genetiche, distrofiche, infettive così come traumatiche.
E qui nello stesso tempo, è interessante notare come, si uniscono
i percorsi sia della nuova disciplina, che del Policlinico Umberto I.
Poiché il genio creativo di un singolo concepisce contemporaneamente i due grandi progetti: Francesco Durante.
Infatti Durante, Clinico Chirurgo, ideatore e creatore con G.
Baccelli negli anni tra il 1888 e 1905 del grande Ospedale
Universitario Romano, è lo stesso che intuisce l’opportunità e la
necessità di fondere i due insegnamenti (tanto vicini alla sua sensibilità ed ai suoi interessi operativi e di ricerca) al punto di assumere
personalmente nel 1910 l’incarico della materia per divenire nello
327
Luigi Romanini - Emilio Romanini
stesso tempo Ordinario di Clinica Chirurgica con l’interim
dell’Ortopedia e Traumatologia.
Nato a Letojanni di Messina, Durante traversò tutte le esperienze
chirurgiche in Italia ed all’estero, e, se altri parlerà dei suoi meriti
specificamente chirurgici (tra cui il primo intervento nel mondo nel
1857 di asportazione di un tumore cerebrale), qui voglio ricordare le
sue tecniche di resezione o osteotomia cuneiforme del ginocchio,
dell’artroplastica del gomito, di resezione della spalla e di astragalectomia parziale, tecniche di deciso stampo specialistico ortopedico.
Raffaele Bastianelli (e non è dir poco) che aspirava a quell’incarico, accettò signorilmente la assunzione di responsabilità del
Maestro indiscutibile, e si fece da parte per non interferire nei suoi
disegni.
Con la realizzazione della nuova specialità, valorizzata dal suo
mettersi personalmente in gioco, Durante chiede alla Facoltà di bandire quel Concorso di Ordinario che si concluderà, come ho accennato all’esordio di questo racconto, con l’avvento di Riccardo Dalla
Vedova alla Cattedra nel 1912.
Francesco Durante, nel frattempo, lascia Roma per tornare alla
sua Sicilia, dopo 47 anni d’insegnamento, prima nella Clinica
Chirurgica Universitaria, nella sua prima Sede in un edificio di via
Garibaldi 44 (ai piedi del bosco del Parnaso sotto il Gianicolo), e poi
nella nuova sede prestigiosa del Policlinico Umberto I, sua creatura.
Gli succederanno i suoi allievi: Roberto Alessandri per la Clinica
Chirurgica e Riccardo Dalla Vedova per la Clinica Ortopedica.
Dalla Vedova, Direttore del
neo Istituto di Clinica
Ortopedica, dal 1912 al 1919
deve operare usufruendo dei
pochi letti che gli vengono
“prestati” dalla Clinica Chirurgica già forte di 90 letti e di
attrezzature di laboratorio,
radiologiche e cliniche d’avanguardia. Ma non si adatta e, nel
Fig. 1 – Vittorio Putti (a sinistra) e Riccardo
tempo, riesce ad ottenere l’uso
Dalla Vedova (a destra) ritratti durante una
di due piccole infermerie e di
Commissione di Concorso (1936)
un solarium nel braccio orientale della terrazza.
E’ bene, a questo punto, che io lasci la parola proprio a Dalla
Vedova che, per incarico del Rettore, elaborò personalmente il capi328
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
tolo relativo alla sua Clinica nella Monografia L’Università di Roma
pubblicata dallo stabilimento Poligrafico dell’Amministrazione
dello Stato nel 1927 - Anno VI2. (Fig. 2-3-4)
In quel capitolo il Direttore dell’Istituto espone la realtà del suo
piccolo Reparto con una serenità ed un equilibrio che sono lo specchio del suo carattere severo, riservato, ma straordinariamente laborioso e tenace. E’ un uomo che ha appena oltrepassato la cinquantina che - malgrado il passare degli anni (allora le carriere erano spesso più rapide) - non demorde dall’impegno di costruire a Roma un
“vero” Istituto di Clinica Ortopedica e lavora per questo scopo con
quella indefessa attività che ha sempre marcato i tempi della sua
vita.
Consulente specialista del 9° corpo d’Armata e Colonnello della
Croce Rossa durante la guerra 1915-18, egli fu chiamato dalla
Regina Margherita come Consulente Specialista Ortopedico e
Traumatologo all’Ospedale della CRI annesso alla Reale Casa del
Quirinale per i mutilati di guerra, e questo suo ben operare presso le
istituzioni gli procurò tale stima e simpatia da riuscire ad ottenere un
ampliamento della sua sede autonoma nel 1919, per provvisoria
concessione ed adattamento di locali del pianterreno nel fabbricato
della Clinica Chirurgica, nel padiglione orientale.
Ed ecco le sue parole:
Al piano terreno, oltre ad un locale per l’ambulatorio (ottenuto da qualche
mese), dispone di un’infermeria per i bambini (20 letti, promiscui a piccoli
pazienti di ambo i sessi), di locali per l’armamento, per l’Archivio delle
storie cliniche, delle fotografie e delle radiografie, di una sala per
apparecchi gessati, comunicante con spogliatoio, di locali per la
Direzione, per gli assistenti e per la Biblioteca, per l’impianto
radiografico e per la fotografia a luce artificiale; di due locali per ricerche
istologiche; di una sala per terapia fisica, nella quale è ammassata una
larga dotazione di macchinari e di apparecchi, pervenuti per la maggior
parte alla clinica da donazione di
sua Maestà la Regina Elena: tale
suppellettile non è abbastanza
utilizzata, data l’angustia dello
spazio.
Fig. 2 – La corsia dei bambini nel
reparto di Ortopedia attrezzato nei
locali della Clinica Chirurgica del
Policlinico
329
Luigi Romanini - Emilio Romanini
Fig. 3 – La sala gessi con l’annesso
laboratorio radiologico ancora presso la
Clinica Chirurgica del Policlinico
Nelle due infermerie del I
piano sono allogati 16 letti
per gli adulti (8 uomini e 8
donne). I locali per i vari
servizi igienici di dette
infermerie e della camera
operatoria sono promiscui
con la clinica chirurgica, con
evidente reciproco disagio di
funzionamento. La soprastante terrazza viene adibita a
solarium (priva però di
qualsiasi adattamento).
Per l’allestimento degli apparecchi ortopedici, nella mancanza di locali
per gestirvi le officine proprie, la clinica si giova delle officine di protesi
dei mutilati di guerra cui ha concesso in uso il macchinario e gli utensili
che alla clinica sono pervenuti dalla stessa donazione sovrana che l’ha
fornita delle macchine per chinesiterapia.
L’Istituto funziona soltanto durante il periodo delle lezioni, non essendo
compatibile con l’ammontare della donazione.
Per questo Istituto è stato studiato un progetto di sistemazione edilizia
definitiva, sul prolungamento del Viale Regina Margherita, di rimpetto
alla clinica pediatrica, ma fino ad ora non ne sono state iniziate neppure
le fondazioni.
Fig. 4 – L’angusto locale dove sono
ammassate le attrezzature e i
macchinari per la terapia fisica e
riabilitazione come racconta
Riccardo Dalla Vedova
Dall’ultima sua frase traspare tutta la necessità e l’urgenza che
assillavano Dalla Vedova, ma anche una vena di delusione e stanchezza nel vedere i tempi protrarsi in maniera eccessiva, mentre la
sua disciplina, che andava acquisendo sempre più importanza e
significato, gli impone, al contrario, tempi serrati.
Dal 1918 al 1933 Dalla Vedova non si stancò mai di dimostrare
l’importanza scientifica e sociale dell’insegnamento da lui dettato e
330
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
Fig. 5 – L’epigrafe
che ricorda la donazione
di S.M. la Regina Elena
di Savoia
l’urgenza di provvedere a creare nella capitale un Istituto degno di
Roma e delle finalità che doveva perseguire.
Sono molti, in quegli anni, a Roma a dibattere il tema
dell’Università; ma il succedersi tra quadri dirigenti di personalità tecniche e politiche diverse, con impostazioni e disegni progettuali spesso contrastanti, creano in una prima fase il dilatarsi dei tempi, dilazionando l’inizio dei lavori che solo intorno agli anni 1930-31 sfociano
in una condizione di fermento operoso, finalmente foriero di risultati.
Lo Stato, dopo molti dubbi, acquista ed espropria tutta la vasta area
compresa tra il Policlinico, la zona militare di Castro Pretorio (dove
era appena sorto il Ministero dell’Aereonautica) e il quartiere di San
Lorenzo. E’ quella che Livio Iannattoni3, indimenticato poeta e cantore di Roma, ricorda come il Vallone, vasto terreno di caccia per le
nostre scorrerie ed i nostri sogni di ragazzi tra i gruppi di Piazza
Siculi e di Via dei Marrucini. Sono circa 30 ettari che, selvaggi ed
incolti, vengono destinati alla creazione della nuova Città
Universitaria (termine discusso e contestato in un primo tempo) che
dovrà riunire tutte le facoltà (esclusa Ingegneria, Architettura,
Scienze Politiche e poche altre) con il programma, nel tempo, di
abbandonare il prestigioso Palazzo borrominiano della Sapienza, che
diverrà in futuro Archivio di Stato, e le sedi di via Panisperna ed altre.
La nuova sede
E sono le parole di Carlo Marino-Zuco, nella commemorazione
del Maestro nel 1942, che ci ricordano il grande evento del tanto
atteso passaggio dell’Istituto dagli angusti locali del Policlinico nell’imponente nuovo edificio creato da Arnaldo Foschini all’ingresso
della nuova Sapienza, appena aldilà dei propilei.
E nel 1935, quando già la voce del Maestro cominciava ad essere roca e
stanca, per avere troppe volte chiesto invano, sorse il magnifico Istituto di
Clinica Ortopedica della Città Universitaria.
331
Luigi Romanini - Emilio Romanini
E sorse quasi d’incanto; perché architetti, ingegneri e costruttori
trovarono le strade spianate da Colui che per anni aveva maturato nella
sua mente tutte le possibili soluzioni di tale edificio, e li spronava
continuamente a completare con rapidità l’opera.
E fu opera degna di tanto grande Maestro, per la sua organicità della
costruzione, per il proporzionato rapporto dei diversi servizi, per i
moderni dettagli costruttivi legati alle necessità specialistiche e
soprattutto per le indovinate proporzioni dell’edificio.
E’ infatti opportuno ricordare che, fino al momento in cui la Clinica
Ortopedica prese possesso del nuovo Istituto, essa aveva solo 40 letti.
Dalla Vedova ne previde 100 nel nuovo Istituto, ma lo creò in modo tale da
potervene disporre senza alcun disagio ben duecentocinquanta negli anni
successivi.
Il Suo grande merito non è solo quello di aver ottenuto un Istituto, la cui
necessità veniva imponendosi col tempo, ma di avere pazientato fino
quando fosse stato possibile far si che l’Istituto sorgesse nelle proporzioni
che la sua mente di antesignano assegnavano alla Ortopedia
nei rapporti della vita sociale moderna.
E come pensò alle strutture dell’edificio, previde alle difficoltà di
preparare gli uomini, medici e personale adatto alla specialità, e quelle
dell’attrezzatura specifica per un così grande Istituto e per il suo
larghissimo movimento ambulatorio in continuo inesauribile aumento.
Nel novembre del 1940 prima dello scadere dei limiti di età, quando io
avrei dovuto assumere una cattedra di Ortopedia fuori Roma, lasciò
Fig. 6 – Nel 1933 si pongono le fondamenta dell’Istituto (sullo sfondo la Clinica
Neurologica e il complesso del Policlinico)
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La Clinica Ortopedica e Traumatologica
Fig. 7 – Illustrazione dal progetto dell’architetto Arnaldo Foschini per l’Istituto di
Clinica Ortopedica
anticipatamente la propria, colla decisa volontà ch’io continuassi l’opera
sua.
I tempi sono rapidi: nel 1933 viene posta la prima pietra4, (Fig.
6,7) nel 1936 l’inaugurazione dell’Istituto che già nel 1938 è sede di
una giornata del Congresso della Società Internazionale di Chirurgia
Ortopedica e Traumatologica, svoltosi per la prima ed unica volta in
Italia in tre giornate, di cui due a Bologna e una a Roma.
La Scuola
La clinica vive una vita nuova e nuovi allievi si aggiungono alla
Scuola: emergono Crainz, Marino-Zuco e Tancredi e successivamente Paparella-Treccia, che ancora oggi, indomito ultranovantenne, ha ricordato con lucidità in alcuni scritti e in una spiritosa e vivace intervista l’attività di quegli anni, e poi F. Russo, Di Nepi e molti
altri. Aumenta in modo eloquente il numero dei ricoveri e si incrementa il numero delle prestazioni chirurgiche e conservative, sia in
campo traumatologico che - grossa novità per Roma - in campo
ortopedico: le deformità conseguenti alla poliomielite, alla TBC,
alla lussazione congenita dell’anca, alle deformità congenite degli
arti, sistemiche e non, divengono il pane quotidiano della pattuglia
di giovani chirurghi del Nuovo Istituto. Si allarga sempre più il
333
Luigi Romanini - Emilio Romanini
Fig. 11 – I medici in posa in
uno dei quattro osservatori del
reparto operatorio
campo d’azione mediante l’opera ed il servizio di consulenza prestato alla Società Autonoma delle Officine Ortopediche Romane che si
afferma rapidamente in campo nazionale (dalla prima sede a Villa
Mirafiori, in un edificio alle spalle dell’Istituto, oggi ancora attiva in
via degli Irpini), con un potenziale di uomini apparecchiature e
strutture di tale qualità da competere degnamente con quelle dei più
antichi Istituti: il Rizzoli di Bologna, i Rachitici a Milano e il Maria
Adelaide di Torino.
Anche l’attività didattica e di ricerca si amplia grazie a nuove
strutture: una bella aula di oltre 100 posti, quattro vaste sale operatorie provviste di osservatori per studenti e specialisti in formazione
collegati via radio, (Fig. 11) un vasto
modernissimo laboratorio per analisi
chimico-cliniche e di istopatologia,
un servizio di radiologia ed un potenziamento di quel piccolo Reparto di
Fisiochinesiterapia che, come abbiamo detto, era stato generosamente
fornito delle più moderne apparecchiature riabilitative dal delicato e
munifico gesto dalla Regina Elena di
Savoia. Una epigrafe commemorativa di quell’evento, ritenuta dispersa,
fu danneggiata nei successivi eventi
bellici, ma recuperata nel 1999 dal
personale dell’Istituto, e oggi esposta
Fig. 8 – Personaggi illustri in visita all’Istituto.
In alto: l’arrivo della Regina d’Italia nel 1937.
Al centro: Maria Josè di Savoia a colloquio con
Dalla Vedova nella biblioteca. In basso:
Umberto di Savoia nel 1942 visita i militari feriti
334
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
nell’atrio della Sede del Dipartimento di Scienze dell’Apparato
Locomotore. (Fig. 5)
Tutti questi Reparti completamente autonomi rendevano di fatto
l’Istituto distaccato ma contiguo al Policlinico, perfettamente autosufficiente ma direttamente collegato all’opera ed ai programmi
dello stesso Policlinico Universitario.
Ma proprio quando la Nuova Clinica Ortopedica ha preso consistenza e il complesso si perfeziona con l’attivazione di sempre
nuove iniziative sotto l’occhio vigile di Dalla Vedova e la dinamica
spinta di Carlo Marino-Zuco, assurto alla Cattedra nel 1942, mentre tutta l’Italia è entusiasticamente invasata da visioni e certezze di
un futuro imperiale, cominciano a delinearsi torbidi segni della tempesta e delle ineluttabili tragedie che - come sempre - seguono alle
guerre ingiuste.
Infatti il 19 luglio del 1943, alle ore 11,03, la prima ondata delle
Fortezze Volanti e dei Liberators partite dall’Africa, giungono nel
cielo di Roma sui quartieri di Castro Pretorio, Tiburtino e San
Lorenzo. Alle ore 11,40 (come testimonia la foto dell’orologio
“della firma” all’ingresso del personale dell’Istituto) la successiva
Fig. 9 – Immagini riprese il 20 luglio subito dopo il bombardamento americano di Roma.
A sinistra: l’ingresso del personale. In alto: i danni riportati dall’ala di levante e
dell’ingresso posteriore della Clinica. In basso: una corsia devastata.
335
Luigi Romanini - Emilio Romanini
ondata scarica numerose bombe sia sul Policlinico che sulla Città
Universitaria, dove vengono centrate l’ala sud, l’Aula Magna, il cortile ed alcuni ambulatori della Clinica Ortopedica. (Fig. 9)
La perdita pressochè totale del materiale di documentazione non
ci permette di ricostruire con esattezza i dettagli ed i numeri dell’evento. Le poche foto faticosamente reperite in Istituto e allegate,
potrebbero avallare la testimonianza di Cesare De Simone che, nel
suo libro5 Venti angeli sopra Roma parla di settanta morti tra pazienti e personale medico-sanitario in Clinica Ortopedica. Tutti i degenti, per la gran parte militari traumatizzati provenienti dal fronte, vengono evacuati e trasferiti nei locali di una scuola pubblica di Via
Boezio, dove l’Istituto continuerà a prestare assistenza durante il
durissimo e drammatico periodo dell’inverno e primavera 1944,
sotto l’occupazione nazifascista e nell’anno successivo6.
Ma nel 1946 Marino-Zuco è già al lavoro per la ricostruzione
dell’Istituto. Con un impegno e una genialità organizzativa e la
capacità di reperire risorse da grande manager, egli riesce in breve
tempo non solo a ricostruire, ma ad ampliare e migliorare le strutture dell’Istituto.
Nato a Roma nel 1893, egli nel difficile momento che l’Italia
attraversa, è nominato anche Commissario della Società Italiana di
Ortopedia e Traumatologia la cui vita era rimasta paralizzata a
causa della guerra7.
La didattica e la ricerca
Nella clinica viene potenziata l’attività didattica con la ricostruzione dell’Aula Magna (fig.10) che viene portata a oltre 300 posti e
fornita di apparecchiature di estrema avanguardia per l’epoca
(impianto per la traduzione simultanea a quattro linee, sistema TV a
circuito chiuso per la trasmissione degli interventi dalle sale operatorie e dalle sale gessi), mentre viene attrezzato un laboratorio tecnico-chirurgico che Marino-Zuco, con la collaborazione di
Tommaso Crespi e Aldo Astolfi, segue personalmente; qui vengono
disegnati, elaborati e costruiti prototipi originalissimi di protesi di
anca (fig.12), di spalla, di segmenti scheletrici, fra i primi in Europa,
e viene realizzato l’originale sistema di avvitamento del collo del
femore con vite a cannocchiale e l’altrettanto originale sistema di
centramento radioscopico. I primi materiali bio-compatibili vengono studiati e lavorati per la creazione di mezzi di sintesi, diastasatori e compattatori per le scoliosi e per tutto ciò che riguarda l’impiego della biotecnologia in chirurgia ortopedica.
336
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
Fig. 10 – L’Aula Magna al termine dei
lavori di ricostruzione nel 1948
Fig. 12 – Uno dei primi modelli di protesi
d’anca MZ (Marino Zuco 1950) e
immagine radiografica di un impianto
Il laboratorio di istopatologia clinica e batteriologia viene ulteriormente potenziato con l’uso di uno dei primi microscopi elettronici impiantati nel Policlinico e nella Città Universitaria e con la
creazione di una sofisticata Banca delle Ossa. Il reparto di
Fisioterapia dispone qui di una vastissima palestra per la ginnastica
medica e la rieducazione motoria, di una sezione di idro-balneoterapia con vasca per la deambulazione e vasche a farfalla in acciaio, di servizi ambulatoriali e numerosi box per la termo-elettro-fisioterapia. Marcello Pizzetti ne diverrà il responsabile dalla fine degli
anni ’60 fino al 1980 quando diviene Professore Ordinario (primo in
Italia) di Medicina Fisica e Riabilitazione. Egli scomparve prematuramente nel 1997; gli succederanno nel 2000 Valter Santilli e
Vincenzo Saraceni.
Questa imponente impostazione didattica e scientifica consentirà
notevoli realizzazioni in sede assistenziale e scientifica. I più diversi campi della patologia ortopedica verranno affrontati con visione
del tutto nuova e con risultati decisamente positivi, dalla poliomielite agli esiti delle paralisi ostetriche, paralisi da cerebropatie, al
piede torto congenito ed alle cifoscoliosi che vengono curate chirurgicamente con metodiche originali. Sarà questo un tema di particolare interesse per Marino-Zuco che già dal 1922 aveva riferito
all’Accademia Medica di Roma sulla cura moderna della scoliosi, e
che verrà, tra il 1970 e il 1985 portata avanti con risultati brillanti
dal suo successore Giorgio Monticelli.
Rimangono sempre stretti i rapporti con il Policlinico soprattutto
in riferimento alla traumatologia: la clinica Ortopedica gestisce,
infatti, un reparto specialistico presso il Pronto Soccorso dove a
turno i suoi operatori prestano servizio di consulenza, dettato dell’accordo Università-Ospedali istituito già nel 1824 da Leone XII
337
Luigi Romanini - Emilio Romanini
con la bolla quod divina sapientia omnes docet. L’accordo prevedeva che tutti i Professori di Clinica hanno il diritto di scegliere i
malati convenienti alla Istruzione in qualsivoglia Ospedale della
città. Tale disposizione è stata sempre confermata negli anni successivi nelle riforme e negli statuti dell’Università Statale8.
Oggi quel piccolo Reparto è da alcuni anni divenuto una
Divisione Traumatologica del DEA, forte di 12 letti e adeguate strutture, diretto da Salvatore Pappalardo del Dipartimento di Scienze
dell’Apparato Locomotore.
Come già fece Dalla Vedova, anche Marino-Zuco, dal 1950 al
1964, forma una “squadra” poliedrica e vivacissima di collaboratori ed allievi che nei successivi decenni diffonderà la cultura ortopedica in grandissima parte delle Università e degli Ospedali romani
ed italiani, e che non è possibile enumerare in questa sintetica e
breve trattazione.
Si aprono grandi prospettive a una nuovissima scienza che deriva
direttamente dalla specialità ortopedica: la Terapia Fisica e la
Riabilitazione Motoria in Ortopedia, così come nacquero iniziative
di carattere sociale particolarmente innovative per l’epoca rivolte al
recupero dei motulesi ed alla prevenzione delle malattie traumatiche
con la fondazione della
Associazione
Italiana
Riabilitazione Minorati e
della Società Italiana di
Medicina del Traffico.
Ricorderò infine colui
che succede a MarinoZuco nel 1964: Giorgio
Monticelli. Ordinario dal
1959 a Siena, viene chiamato
alla
Cattedra
Romana nel novembre
1963.
Fig. 13 – Marino Zuco (al centro) e Monticelli (a
destra) insieme al Rettore Ugo Papi (1965, alla
prolusione del Prof. Monticelli)
Sotto la sua Direzione,
che lascerà nel 1987,
l’Istituto si rinnova ancora una volta, con la trasformazione delle vecchie corsie in camere e
box a due o tre letti con servizi personalizzati e moderni. Si potenziano, con una migliore dinamica dei servizi e degli spazi, gli ambulatori e si aggiorna il reparto di radiologia dove vengono arricchite
le diagnostiche con specifiche apparecchiature per le sacco-radico338
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
lografie del rachide. Ma, soprattutto, fu importante l’adeguamento
di tutta l’attività di ricerca di base e applicata, adeguata agli standard
internazionali; dalla chirurgia vertebrale alla chirurgia protesica
sostitutiva, dalla chirurgia infantile a quella dei tumori e alle nuove
Fig. 14 – Il tavolo della Presidenza in occasione di un Congresso Internazionale
nell’aula dell’Istituto: da sinistra il Prof. Merlè D’Aubignè (presidente della Società
Internazionale di Chirurgia Ortopedica e Traumatologia), il rettore Prof. D’Avack, il
Prof. Paride Stefanini e il Prof. Monticelli
metodiche di osteosintesi rigida e poi dinamica9. Si passava così
anche nei laboratori, al passo con i tempi, da tecniche originali, ma
ancora artigianali, a metodiche di più ampio respiro, consentite da
scambi culturali frequentissimi sia del Maestro che degli allievi in
campo internazionale. (Fig. 14)
Negli anni ’70 Monticelli fonda il Giornale Italiano di
Ortopedia e Traumatologia edito in lingua italiana ed inglese,
organo ufficiale della Società Italiana di Ortopedia e
Traumatologia in cui confluiscono e si esauriscono le storie di
molte riviste ormai obsolete. Sono note in tutto il mondo le metodiche della Sua Scuola per l’allungamento degli arti e il trattamento delle deformità vertebrali. Così come tutti i suoi allievi ebbero
sempre ad apprezzare il suo impegno nella loro formazione clinica e scientifica e le sue caratteristiche peculiari di dedizione e
umanità che riservava ai pazienti.
339
Luigi Romanini - Emilio Romanini
Già nel 1968 Monticelli chiese lo sdoppiamento della sua cattedra
per affiancare a sè Lamberto Perugia che divenne titolare della
seconda Cattedra Ortopedica Romana. Di Perugia è doveroso ricordare l’intensa attività scientifica e chirurgica nei campi della patologia del ginocchio e delle malattie dei tendini, nella patologia scheletrica dell’emofilico fino a divenire punto di riferimento in campo
internazionale nella traumatologia sportiva.
Perugia succede al Maestro nella direzione della prima Cattedra
nel 1985, mentre alla seconda Cattedra viene chiamato a Roma,
nello stesso anno, dall’Università dell’Aquila il vostro cronista di
oggi, che aprirà un discorso nuovo in campo nazionale sul tema
della Neuro-Ortopedia infantile e dell’ancoraggio biologico in chirurgia protesica. (Fig. 15)
Maurizio Monteleone, cui era stata affidata una terza Cattedra, si
trasferisce alla Direzione dell’Istituto di Clinica Ortopedica della
nuova Università di
Tor Vergata.
Lamberto Perugia,
Marcello Pizzetti e
Luigi Romanini si
succederanno
alla
Direzione dell’Istituto
dal 1987 al 1999.
Nel 2000, col terminare del secolo e con
l’arrivo alla Cattedra
di Franco Postacchini, l’Istituto si trasforma in Dipartimento di Scienze
Fig. 15 – A sinistra Monticelli con i due allievi in
dell’Apparato LocoCattedra, Perugia (al centro) e Romanini (a destra)
motore, che egli stesso
terrà a battesimo assumendone la Direzione, mentre (ed è la storia
più recente) Ciro Villani risulta vincitore del concorso per la seconda Cattedra Universitaria a Roma nel 2003, e Giuseppe Costanzo,
che successe a Romanini a L’Aquila nel 1986, viene chiamato alla
Cattedra presso il Polo Pontino di Latina della nostra università nel
2005.
Con la nascita del Dipartimento il vecchio Istituto prende un
aspetto nuovo: non è più la grande nave da battaglia forte di oltre
200 letti, di due Cattedre e di più di 20 Professori Associati,
340
La Clinica Ortopedica e Traumatologica
Ricercatori ed Assistenti Ordinari ad esaurimento; essa si trasforma poco a poco in una struttura più duttile e dinamica, oggi forse
eccessivamente snella per le sue reali potenzialità e per il servizio
ancora imponente che deve svolgere sul piano didattico, di ricerca e assistenziale nel confronto di un numero tanto vasto di studenti e delle incessanti richieste di ricovero e cura dei pazienti. E’,
infatti, da considerare la perdita di gran numero del personale
medico e sociosanitario a causa dei pensionamenti e del blocco
delle assunzioni che riduce drasticamente la mano d’opera attiva.
In tali nuove condizioni, di fronte ai nuovi problemi, anche i rapporti tra il Dipartimento ed il Policlinico (a sua volta divenuto
Azienda) si fanno più complessi. Malgrado tutto, essi si maturano
grazie ad una dialettica serrata e spesso laboriosa, pur sempre
positiva e propositiva, dovuta soprattutto all’impegno di una
Facoltà Medica poliedrica e articolata, sempre ben guidata e
attenta alle esigenze accademiche del grande complesso ortopedico di Piazzale Aldo Moro.
Ciò ebbe una splendida conferma in occasione della festosa cerimonia per la celebrazione del sessantesimo anniversario
dell’Istituto, quando Autorità accademiche e aziendali testimoniarono in gran numero il prezioso e indispensabile contributo tuttora fornito dall’Istituto al complesso del Policlinico10.
Nel futuro, si prospetta ancora una volta un nuovo progetto di
competizione e rilancio, che certamente, nelle mani delle giovani
leve pervenute alla guida della struttura, non potrà che essere degno
del suo prestigioso passato.
BIBLIOGRAFIA
1. PAZZINI A., La Storia della Facoltà Medica di Roma. Voll. I e II, Roma,
Istituto di Storia della Medicina, 1961.
2. DEL VECCHIO G. (a cura di), L’Università di Roma. Roma, Istituto
Poligrafico dello Stato, 1927.
3. JANNATTONI L., Roma intima e sconosciuta. Roma, Newton Compton,
1990.
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5. DE SIMONE C., Venti angeli sopra Roma. I bombardamenti aerei sulla città
eterna (il 19 luglio e il 13 agosto 1943). Milano, Mursia 1993.
6. COCCIA M., La Città Universitaria di Roma negli anni del II Conflitto
Mondiale. Atti e Memoria dell’Arcadia. Serie III ; 9(1):221-255.
341
Luigi Romanini - Emilio Romanini
7. BADER L., Genesi ed evoluzione dell’ortopedia in Italia dalla chirurgia del
Medioevo alla chirurgia ortopedica dei nostri giorni. Padova, 1962.
8. STROPPIANA L., Storia della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Istituzioni e
Ordinamenti. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985.
9. GUIDONI E., REGNI M., 1935-1985 La Sapienza nella Città Universitaria.
Roma, Multigrafica, 1985.
10. ROMANINI L. (a cura di), 60° Anniversario della Fondazione dell’Istituto di
Clinica Ortopedica e Traumatologica dell’Università di Roma “La
Sapienza”. Roma, Delfino Editore 1997.
342
PARTE IV
Il Policlinico oggi - Ricerca ed Organizzazione
RICERCA DI ECCELLENZA
AL POLICLINICO UMBERTO I
ALBERTO GULINO
345
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
Premessa ovvero Medicina Accademica ed Eccellenza Scientifica
al giro di boa.
Oltre ai compiti istituzionali didattico-assistenzali, una delle
finalità principali di un Policlinico Universitario è lo sviluppo di
una ricerca capace di generare progressi scientifici e di trasferirli
al paziente. Perchè si realizzi questo obiettivo è necessaria una
stretta collaborazione tra ricerca di base e ricerca clinica. Quando
si crea questa condizione, i risultati che ne derivano portano alla
creazione di centri dove si sviluppa una ricerca di eccellenza.
Naturalmente si tratta di una sfida difficile per la cui realizzazione sono necessarie competenze, metodologie innovative e mezzi.
La ricerca di eccellenza è la missione di tutte le strutture universitarie. Nelle Facoltà Mediche, questa missione è sentita in modo
particolare perché in esse tutti i fruitori, studenti, medici in formazione, personale sanitario e cittadini si aspettano di trovare le
risposte più aggiornate al bisogno primario rappresentato dalla
salute1.2.
Paradossalmente, in tutto il mondo la Medicina accademica
vive un momento di profonda riflessione in relazione alle sue
capacità di ricercare, di pensare, di insegnare e di fornire assistenza, nonostante grandissime opportunità siano offerte dagli enormi
avanzamenti registrati negli ultimi anni sia sul piano conoscitivo
che tecnologico, dalla globalizzazione e dalle tendenze sociali.
Per questa ragione, sono in corso dibattiti per cercare di trovare le
strategie migliori per sostenere questo settore così cruciale. Diversi
illustri pareri sono stati raccolti sulle più prestigiose riviste scientifiche ma le cause della crisi non sono state ancora del tutto chiarite3.4.5. Per taluni, una delle cause andrebbe ricercata nell’aumento
della richiesta di servizi. Dovendosi confrontare con le riforme del
servizio sanitario e con i tagli alle spese imposte dai governi, i finanziamenti e di conseguenza i programmi di ricerca si sono fortemente ridotti. La carenza di incentivi finanziari e il crescere della disillusione riguardo le prospettive di carriera nella medicina accademica hanno ostacolato gli sforzi di reclutamento e mantenimento del
personale delle Facoltà Mediche. La pressione finanziaria sulle università può comportare che gli allievi più brillanti non possano continuare la loro carriera nei dipartimenti universitari e di conseguenza la maggior parte degli scienziati sono costretti a trovare impiego
nell’industria, nei Paesi in cui essa sia competitiva. La mancanza di
riconoscimento per i buoni insegnanti pone un serio problema
all’educazione ed alla ricerca medica del futuro.
Nonostante gli enormi problemi in cui si è venuta a trovare la
347
Alberto Gulino
Medicina accademica a livello internazionale, in molti centri la
ricerca si mantiene ad un livello di eccellenza. Il Policlinico
Umberto I ha condiviso con altre strutture nazionali ed internazionali questa profonda riflessione sull’essere una moderna Medicina
accademica e non è sfuggito alle contraddizioni proprie di un
Policlinico universitario, ma allo stesso tempo ha conservato la
capacità di sviluppare una ricerca di eccellenza riconosciuta nel
mondo e, così come ha fornito un punto di riferimento per le generazioni di medici del secolo scorso, si accinge a continuare a fornire il suo servizio negli anni a venire.
GLI STRUMENTI:
Eccellenza scientifica e benchmarking nella ricerca.
La coesistenza nella nostra Facoltà di Medicina della missione
“universitaria” con quella “clinico-assistenziale”, ha reso possibile
la programmazione delle finalità del Policlinico Umberto I introducendo, accanto alle tradizionali ricerca di base e ricerca clinica, la
ricerca traslazionale, ponendo quindi la nostra Istituzione nel più
globale contesto internazionale che si muove nell’ambito degli
obiettivi stabiliti nel 1997 dal NIH Director’s Panel on Clinical
Research (http://www.nih.gov/news/crp/97report/1report.htm) per i
National Institutes of Health USA. Ponendo l’accento sull’importanza fondamentale della ricerca di base e di quella epidemiologica,
il Panel ha peraltro ridefinito in maniera differenziale la ricerca clinica (studies of living human subjects, including the laboratorybased development of new forms of technology), e la ricerca traslazionale (studies of the mechanisms of human disease and evaluation
of therapeutic interventions)1,2. Ciò ha avuto ovvie ripercussioni
sulla politica degli investimenti scientifici sia in termini di risorse
che di progettualità culturali.
I risultati di questa politica scientifica sono stati giudicati positivamente1, anche per l’influenza che questa politica ha avuto nell’orientare la ricerca accademica2 in quanto ha accelerato il trasferimento (traslazione) dei risultati della ricerca di base verso una
migliore caratterizzazione delle diverse patologie come substrato
razionale per gli interventi terapeutici, in particolare grazie agli
studi di Genomica e di Medicina molecolare.
Facendo propria questa politica scientifica e dando ampio spazio alle procedure di benchmarking nella ricerca, requisito essenziale per la realizzazione di una eccellenza scientifica, la Facoltà
348
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
di Medicina ed il suo Policlinico Umberto I, sempre di più, nel
corso degli ultimi anni, hanno disegnato la propria struttura ed i
propri obiettivi secondo modalità che, pur confermando lo sviluppo della ricerca di base e della ricerca clinica, danno spazio a
quell’area intermedia a forte implementazione di risultati rappresentata dalla ricerca traslazionale, che ne ha anzi rappresentato
l’elemento caratterizzante di eccellenza scientifica.
Le procedure di benchmarking si sono sviluppate mediante
l’utilizzo di criteri di valutazione dell’attività di ricerca scientifica, già ampiamente in uso in ambito internazionale (pubblicazioni scientifiche indexate, indicatori d’impatto scientifico, Journal
Citation Report-ISI) o di raggiungimento di obiettivi e verifiche
intermedie in analogia a quanto realizzato in ambito internazionale o nella ricerca industriale pre-competitiva (obiettivi intermedi,
utilizzo risorse rispetto agli obiettivi intermedi raggiunti, etc.).
Tali procedure hanno trovato spazio sia in appropriati organi
all’interno dell’Università (Facoltà di Medicina e Ateneo) sia in
un contesto sovrauniversitario nazionale (ad es. il MIUR nell’ambito del Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca e
degli altri organi di valutazione dei prodotti e della progettualità)
ed internazionale (ad es. la competizione per il reperimento di
risorse per la realizzazione dei progetti di ricerca).
Produttività scientifica
Il forte impulso alla ricerca si è tradotto in una crescita progressiva dell’attività valutata come prodotti (pubblicazioni scientifiche) nonché come partecipazione dei ricercatori della Facoltà di
Medicina e del Policlinico Umberto I a collaborazioni scientifiche
multicentriche a livello nazionale ed internazionale, spesso svolgendo un preminente ruolo di coordinamento. Esempi sono rappresentati dal numero e dalla qualità delle pubblicazioni scientifiche prodotte, qualità valutata secondo indicatori scientimetrici
consolidati quali l’impact factor (Journal Citation Report-ISI). La
valutazione di una selezione di oltre 3.000 pubblicazioni della
Facoltà di Medicina nell’ultimo quinquennio ha rivelato la collocazione degli impact factor medi relativi ai vari settori scientificodisciplinari in posizione di eccellenza (primo quartile) rispetto al
corrisponente impact factor di ogni categoria. Le pubblicazioni
scientifiche risultano infatti nelle più prestigiose riviste a diffusione internazionale quali, a titolo esemplificativo, Nature, Nature
Medicine, Nature Cell Biology, Nature Neurosci., Science, Cell,
New England J. Medicine, J. Clin. Invest., Lancet, JAMA, J. Exp.
349
Alberto Gulino
Med., Cancer Cell, J. Natl. Cancer Inst., J. Cell Biol., EMBO J.,
Proc. Natl. Acad. Sci. USA, Am. J. Hum. Genet., Immunity, Blood,
Gastroenterology, Circulation, Trend Mol. Med., Trend Neurosci.,
Trend Genet., Trend Biochem. Sci., Trend Pharmacol. Sci.
Il coinvolgimento dei ricercatori della Facoltà in progetti di
ricerca sostenuti finanziariamente da Enti di ricerca nazionali ed
internazionali testimonia la validità delle ricerche condotte. Il
MIUR ha selezionato, nell’ultimo triennio, oltre 200 Progetti di
Ricerca di Rilevante carattere Nazionale (PRIN) presentati da
ricercatori della Facoltà di Medicina, di cui oltre 50 sono anche
coordinati da ricercatori della nostra sede. Uguale riconoscimento
viene attribuito a progetti di ricerca sostenuti finanziariamente da
numerosi altri Enti nazionali ed internazionali di finanziamento
della ricerca caratterizzati da sistemi di valutazione scientifica a
peer review (ad es. Telethon, Associazione Italiana per la Ricerca
sul Cancro, Ministero della Salute, CNR, MIUR-FIRB, ASI,
Fondazione Cenci-Bolognetti, Juvenile Diabetes Research
Foundation, V e VI Programma Quadro dell’Unione Europea).
Dottorati di Ricerca
I numerosi corsi di Dottorato di Ricerca della “Sapienza” che
operano all’interno delle strutture del Policlinico Umberto I rappresentano il fertile terreno in cui la formazione si confronta con
lo sviluppo della ricerca più innovativa sottoposta al vaglio della
competizione internazionale. Superando le barriere disciplinari e
facendo tesoro della partecipazione delle preziose competenze
proprie della ricerca di base e provenienti anche dalle altre Facoltà
dell’Università La Sapienza nonché da altre Università, Enti di
Ricerca e Istituti Scientifici, gli oltre trenta Dottorati di Ricerca
attivi nel Policlinico sono fortemente improntati alla missione
della Medicina traslazionale, articolando in maniera integrata le
principali aree di ricerca di eccellenza scientifica (dalla biologia,
biochimica e genetica e biotecnologie alla medicina sperimentale
e molecolare ed alla chirurgia sperimentale in tutte le sue specializzazioni, fino alla progettazione ed applicazione di tecnologie
diagnostiche avanzate).
Un ulteriore livello organizzativo per la realizzazione di ricerche
di Medicina traslazionale a forte integrazione multidisciplinare è
rappresentato dall’attivazione nell’anno 2000 del Centro
d’Eccellenza in Biologia e Medicina Molecolare (BEMM) nell’ambito del riconoscimento e del finanziamento di Centri di
350
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
Eccellenza di rilievo nazionale da parte del MIUR. A costituire il
BEMM partecipano le principali aree della Facoltà di Medicina e
del Policlinico Umberto I ma anche settori esterni della Facoltà di
Scienze MM.FF.NN. e di Farmacia, costituendo un complesso multidisciplinare di numerosi gruppi di ricerca operanti nei settori della:
- biologia strutturale e Proteomica,
- genomica funzionale,
- trasduzione dei segnali cellulari e
- biologia dello sviluppo e patogenesi delle malattie umane, rappresentando quindi un incubatore culturale e tecnologico in grado
di fornire un importante valore aggiunto, requisito indispensabile
per il raggiungimento dell’eccellenza scientifica. Infatti, la missione del BEMM è lo sviluppo della ricerca nel settore delle biotecnologie e della biomedicina, focalizzandosi in particolare alla
post-genomica cioè allo studio dei geni e dei loro prodotti ed al
loro ruolo nella fisio-patologia. A sostegno della finalità traslazionale, il BEMM comprende anche una piattaforma tecnologica e
biotecnologica rivolta all’integrazione ed al trasferimento tecnologico delle ricerche realizzate.
Testimonianza dell’apertura ed integrazione del Policlinico con
le iniziative scientifiche più innovative del territorio, è la partecipazione allo sviluppo della piattaforma tecnologica afferente al
Centro di Oncogenomica “ROC” (Rome Oncogenomic Center),
promosso e sostenuto finanziariamente dall’ AIRC, le cui finalità
sono rappresentate dall’implementazione tecnologica nel settore
dell’Oncogenomica con riferimento a tre impianti, quali
- realizzazione dello sviluppo tecnologico e relativa piattaforma
tecnologica per l’analisi highthroughput del trascrittoma e dei profili di espressione genica;
- realizzazione di una piattaforma tecnologica per l’uso del
sistema di RNAinterference e per lo studio del suo ruolo in oncologia;
- realizzazione di una piattaforma tecnologica per l’identificazione, l’isolamento e lo studio di cellule staminali neoplastiche.
La disponibilità delle competenze dei componenti del Policlinico
Umberto I per le attività del Centro di Oncogenomica “ROC” ne
costituisce un punto di riferimento per la realizzazione di progetti
di ricerca su base nazionale ed internazionale.
Lo stato dell’arte e le frontiere della ricerca
L’attuale attività di ricerca della Facoltà Medica della Sapienza e
351
Alberto Gulino
del suo Policlinico Umberto I è impegnata su molteplici problematiche mediche e chirurgiche generali e specialistiche, nonché sull’area della post-genomica e delle biotecnologie applicate alla
Medicina. Risultati di particolare rilievo a livello nazionale ed internazionale sono stati ottenuti in numerosi settori:
- malattie cardiovascolari e respiratorie, per quanto attiene agli
aspetti funzionali nonché a quelli fisiopatologici, genetico-molecolari, diagnostici e terapeutici medico-chirurgici. Particolare rilievo
hanno i settori di ricerca relativi alla patologia aterosclerotica, allo
“stroke”, alla cardiochirurgia ed alle patologie cardiache anche
attraverso prospettive tecnologiche terapeutiche innovative (ad es.
utilizzazione di cellule staminali). Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti ai Dipartimenti di Scienze
Cardiovascolari, Respiratorie e Morfologiche, di Medicina Clinica,
di Medicina Sperimentale e Patologia, di Scienze dell’Invecchiamento e all’Istituto di Clinica Pediatrica;
- neuroscienze, per quanto attiene agli aspetti differenziativi e
funzionali, nonché a quelli patogenetici su base genetica e molecolare, fisiopatologici, diagnostici e terapeutici (medici e chirurgici)
delle malattie degenerative, vascolari e neoplastiche del sistema nervoso centrale e periferico, all’impiego di tecnologie medico-chirurgiche innovative anche in ambito diagnostico e terapeutico.
Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti ai Dipartimenti di Scienze Neurologiche e di Neurologia ed
Otorinolaringoiatria e a quelli di Fisiologia Umana e Farmacologia,
di Medicina Sperimentale e Patologia;
- malattie endocrino-metaboliche, per quanto attiene agli aspetti
differenziativi e funzionali, nonché a quelli fisiopatologici, genetico-molecolari, diagnostici e terapeutici relativi alle patologie endocrine generali ed in particolare tiroidea, al diabete mellito, all’obesità, all’andrologia e alle patologie dell’apparato riproduttivo.
Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti ai Dipartimenti di Scienze Cliniche, di Fisiopatologia Medica
e di Medicina Sperimentale e Patologia ed anche di contributi provenienti da altri distretti tra i quali i Dipartimenti di Istologia ed
Embriologia medica e di Anatomia Umana;
- malattie dell’apparato gastroenterico e scienze dell’alimentazione, per quanto attiene agli aspetti fisiopatologici, patogenetici
genetico-molecolari e clinici delle malattie infiammatorie e neoplastiche intestinali, delle patologie biliari e delle epatiti e dell’epatocarcinoma, nonché alle strategie finalizzate al settore della biochimica della nutrizione, all’ epidemiologia della nutrizione, alla valu352
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
tazione dello stato nutrizionale e all’intervento nutrizionale.
Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti ai Dipartimenti di Scienze Cliniche, di Medicina Clinica, di
Medicina Interna, ed anche di contributi provenienti da altri distretti tra i quali i Dipartimenti di Anatomia Umana e di Medicina
Sperimentale e Patologia e gli Istituti di Scienza dell’Alimentazione
e di Clinica Pediatrica;
- ematologia e immunologia clinica, per quanto attiene agli
aspetti biologico-clinici delle leucemie acute e croniche e dei linfomi e delle malattie su base immunologica, alla loro caratterizzazione diagnostica genetico-molecolare, allo sviluppo di originali
modelli sperimentali della malattia umana per la validazione di terapie innovative, nonché allo sviluppo del settore delle cellule staminali da cordone ombelicale e dei trapianti di midollo. Quest’ambito
scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti al
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, di Medicina
Sperimentale e Patologia, di Medicina Clinica, di Clinica e Terapia
Medica applicata;
- malattie infettive, per quanto attiene agli aspetti fisiopatologici,
diagnostici e terapeutici delle malattie da agenti batterici, virali,
parassitari. Particolare rilevanza hanno le ricerche sulla identificazione di meccanismi patogenetici di microrganismi emergenti,
sull’HIV e quelle sul plasmodium falciparum, sull’epidemiologia
della malaria, sulla messa a punto di nuovi protocolli diagnostici e
terapeutici. Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti al Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, a
quelli di Medicina Clinica, di Scienze di Sanità Pubblica e di
Medicina Sperimentale e Patologia;
- patologie dell’area materno-infantile e ginecologica per quanto attiene agli aspetti fisiopatologici, diagnostici e terapeutici relativi alle patologie pediatriche congenite e non, con particolare riguardo alla diagnostica ed alla terapia prenatale e neonatale ed alla medicina della riproduzione nonchè agli aspetti fisiopatologici e clinici
delle patologie ginecologiche disfunzionali e oncologiche.
Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti all’Istituto di Clinica Pediatrica ed a quelli dei Dipartimenti di
Scienze Ginecologiche perinatologia e puericultura e di Medicina
Sperimentale e Patologia;
- chirurgie generali e specialistiche, anestesiologia e rianimazione, per quanto attiene allo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche. Particolare rilievo hanno i progetti incentrati su
tecnologie chirurgiche innovative quali la chirurgia dei trapianti, la
353
Alberto Gulino
chirurgia laparoscopica ed endoscopica, la microchirurgia.
Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei ricercatori afferenti ai vari Dipartimenti di Chirurgia generale e Specialistica e di
Anestesiologia;
- diagnostica per immagini, per quanto attiene allo sviluppo di
nuove tecniche diagnostiche non invasive ad alto impatto tecnologico nel campo degli ultrasuoni, della tomografia computerizzata,
della risonanza magnetica e della medicina nucleare con particolare
riferimento alle prospettive dell’Imaging Molecolare, nonché alle
strategie di sviluppo di nuovi radiofarmaci e di chemio-radioterapia
delle neoplasie. Quest’ambito scientifico si avvale dell’attività dei
ricercatori afferenti ai Dipartimenti di Scienze Radiologiche, di
Medicina Sperimentale e Patologia e di Scienze Cliniche.
E’ importante infine sottolineare che lo sviluppo di tutti i settori più innovativi a livello diagnostico e terapeutico nel campo
delle malattie oncologiche, costituisce un importante aspetto in
tutte le aree di attività sopra descritte.
Oltre a conseguire significativi risultati nelle aree che sono
state illustrate, in piena sintonia con la profonda rivoluzione culturale e tecnologica verificatasi con la capitalizzazione delle
informazioni derivanti dal Progetto Genoma Umano, la ricerca
del Policlinico Umberto I, nel periodo più recente ha sviluppato
ed esteso con particolare impegno il settore della Genomica, postGenomica e Proteomica. Base di partenza possono essere considerati gli studi del Dipartimento di Scienze Biochimiche sulla
struttura, funzione ed evoluzione delle macromolecole di interesse biologico (settore di grandi implicazioni biotecnologiche e
farmacologiche) e quelli dei Dipartimenti di Istologia ed
Embriologia Medica, di Anatomia Umana, di Biotecnologie
Cellulari ed Ematologia e di Medicina Sperimentale e Patologia,
con la collaborazione di altri Dipartimenti a prevalente finalità
clinica, su altre due grandi aree, quella della biologia dello sviluppo e del differenziamento cellulare, che si pone in posizione
strategica nel percorrere le frontiere conoscitive, tecnologiche e
cliniche della riparazione e rigenerazione tessutale e dell’uso
delle cellule staminali. Infine l’area della Genetica Medica e
Molecolare e della Medicina Molecolare, per quanto attiene il
controllo dell’espressione genica e le basi molecolari dei principali processi morbosi, in particolare quelli relativi all’Oncologia
(in considerazione degli enormi avanzamenti registrati in questo
campo) ma anche in tutte le altre aree della Medicina (ad es.
354
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
malattie degenerative, metaboliche, etc.). Da segnalare al riguardo, l’identificazione ed isolamento di geni-malattia, lo studio di
caratteri complessi e la delineazione di nuove sindromi genetiche,
lo sviluppo di nuovi protocolli diagnostici molecolari e terapeutici innovativi comprendenti lo sviluppo di nuovi bersagli cellulari
di terapia molecolare.
Proprio su queste frontiere, a seguito di una riflessione programmatica maturata all’interno della Commissione Assistenza
della Facoltà medica, il Policlinico Umberto I si è caratterizzato,
negli ultimi anni, con un piano di sviluppo che valorizza i settori
di eccellenza scientifica maggiormente innovativi, già operanti
nelle sue strutture. Puntando sul forte carattere di traslazionalità
medica, tali settori insistono su tematiche di particolare attualità e
prospettiva assistenziale afferenti a vari ambiti disciplinari, che
vanno dalla Medicina molecolare, all’Ingegneria tissutale ed alla
Robotica interventistica.
- Ingegneria dei tessuti e terapia cellulare. L’ingegneria dei
tessuti, cioè lo sviluppo e l’applicazione di metodi di ricostruzione ex vivo di organi e tessuti per successivo uso in vivo, prevede
l’uso di cellule autologhe in congiunzione con idonei carrier derivati da materiali biocompatibili. La terapia cellulare invece intende sviluppare terapie utilizzanti cellule autologhe, allo stato nativo
o dopo espansione o modificazione ex vivo, compresa la loro
manipolazione genetica a fini terapetici. Sia l’ingegneria dei tessuti, sia la terapia cellulare, conoscono una profonda rivoluzione
e una straordinaria espansione delle teoriche possibilità applicative in dipendenza dalla recente acquisizione di conoscenze profondamente innovative nell’emergente campo delle cellule staminali.
Mentre l’uso di cellule staminali emopoietiche in procedure di trapianto di midollo emopoietico costituisce un dato sostanzialmente
acquisito della medicina avanzata, ancorché soggetto a importanti
sviluppi e perfezionamenti (si pensi all’uso di cellule staminali
purificate, o all’uso di cellule staminali da sangue del cordone
ombelicale), la disponibilità e l’uso di cellule staminali non emopoietiche per la ricostruzione di organi e tessuti non emopoietici
apre immense prospettive terapeutiche.
I ricercatori del Policlinico Umberto I sono attivamente impegnati in uno spettro relativamente ampio di sistemi di cellule staminali, conseguendo brillanti e promettenti risultati in queste tecnologie di frontiera. Le principali aree riguardano lo studio di progenitori muscolari scheletrici e miocardici, cellule staminali scheletriche e mesenchimali, cellule staminali epidermiche, cellule sta355
Alberto Gulino
minali corneali e congiuntivali, cellule staminali neurali e cellule
staminali germinali con le corrispondenti applicazioni cliniche per
la ricostruzione di cute, ricostruzione di cornea, ricostruzione di
cartilagini articolari e riparazione di difetti scheletrici, infarto del
miocardio, distrofie muscolari, diabete, malattia di Parkinson,
malattia di Hungtinton, uso di cellule stromali di midollo come
adiuvante nel trapianto di midollo emopoietico, ricostituzione
della spermatogenesi.
- Medicina molecolare. L’investimento tecnologico rappresenta
una tappa essenziale e caratterizzante della Medicina molecolare,
quale sviluppo biotecnologico rivolto allo sfruttamento dei processi
biologici per la produzione di modelli di malattia o di prodotti di uso
diagnostico e/o terapeutico che possano consentire il realizzarsi
della Medicina predittiva, preventiva e clinica. Tali investimenti biotecnologici comprendono lo sviluppo di tecnologie bioinformatiche
(che si interfacciano con la cornice di lettura della moltitudine di
dati prodotti dal Progetto Genoma Umano e dagli avanzamenti della
ricerca biologica e biomedica) e di tecnologie miranti alla realizzazione di strumenti terapeutici o di indagini diagnostiche genetiche e
molecolari sufficientemente accurate ed applicabili a grandi numeri
di individui.
Tale investimento tecnologico rappresenta anche un importante
punto di incontro fra il mondo accademico della ricerca scientifica e quello imprenditoriale, con la finalità di progettualità connotate da forti ricadute socio-economiche nell’ambito della tutela
della salute.
Ma certamente la frontiera tracciata dall’incontro della
Genomica e post-Genomica con la Medicina è rappresentata
dalla Farmacogenomica, con la possibilità di identificare determinanti genici di predittività alla risposta terapeutica. Tale intersezione fra Genomica e Medicina, ha il potenziale di generare
nuovi strumenti diagnostici molecolari che possono essere usati
per “individualizzare” ed ottimizzare la terapia, ponendo l’“individuo”, con la singolarità della sua storia naturale, al centro della
Medicina6,7.
Muovendosi in questo ambito, sono numerose le competenze
presenti nella Facoltà di Medicina ed il suo Policlinico Umberto I
che operano con brillanti risultati nei settori dell’oncologia (neoplasie a trasmissione ereditaria e sporadiche), dell’endocrinologia
e malattie del metabolismo (diabetologia, obesità, malattie della
tiroide e neoplasie endocrine), della genetica medica, delle patologie cardio-vascolari, della neurologia molecolare, della ematolo356
Ricerca di eccellenza al Policlinico Umberto I
gia, della gastroenterologia, della diagnosi pre-natale e delle patologie pediatriche, dell’infettivologia e virologia molecolare.
- Tecnologie biomediche e robotica in chirurgia e diagnostica
per immagini. Questo settore, con il quale i ricercatori del
Policlinico si cimentano con successo, è in una fase avanzata ma
ricca di sperimentazione e di forti impulsi all’innovazione tecnologica, confrontandosi con il progressivo perfezionamento di processi
diagnostici per immagini già attuati e l’acquisizione di nuove modalità diagnostiche, l’applicazione di metodiche robotizzate di navigazione in vari settori della chirurgia generale, particolarmente endoscopica, ed in chirurgie specialistiche (ad es. neurochirurgia, otorinolaringoiatria, ortopedia). Un’area di grande interesse e di forte
valenza innovativa, appare infine essere quella dell’Imaging molecolare, in cui la diagnostica per immagini si coniuga con i più avanzati aspetti dei settori sopra descritti della Medicina molecolare e
della Medicina rigenerativa.
La recentissima ristrutturazione dell’assetto clinico-assistenziale del Policlinico Umberto I attraverso l’attivazione di
Dipartimenti Assistenziali Integrati (DAI), rappresentando un
ulteriore elemento di integrazione tra e con i Dipartimenti
Universitari, istituzionalmente dedicati allo sviluppo della ricerca,
costituisce una tappa fondamentale all’attuazione della traslazionalità dei risultati ottenuti, anche nei più avanzati settori di frontiera della biomedicina.
Concludendo, la storia scientifica del Policlinico Umberto I
affonda le sue radici in un lontano passato che ha rappresentato un
punto di riferimento per la Medicina accademica. Nel travaglio
culturale dell’epoca moderna ha conservato tutto il suo giovane
entusiasmo conoscitivo per affrontare le sfide della frontiera del
terzo millennio.
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358
AZIENDA POLICLINICO E
INSERIMENTO NEL SSN
GIUSEPPE GRAZIANO
359
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
Brevi cenni storici
“ E’ approvata la convenzione intervenuta in data 7 novembre
1936-XV fra ……”
Con queste parole inizia l’articolo unico del regio decreto con cui
nel 1937 si approvava la Convenzione stesa su 35 articoli che disciplinavano i rapporti tra la Regia Università di Roma e il Pio Istituto
di S. Spirito ed Ospedali Riuniti, circa il nuovo ordinamento del
Policlinico Umberto I1.
In realtà tali rapporti erano già stati disciplinati da una
Convenzione stipulata il 28 febbraio 1898, prima ancora che il
Policlinico fosse costruito, allorquando, essendosi dovuta demolire
una parte dell’Ospedale S. Spirito, si decise che il Policlinico, inizialmente concepito come esclusiva sede universitaria, dovesse
essere sede anche di padiglioni ospedalieri2.
Prima di tali convenzioni la collaborazione tra Università e
Ospedali era disciplinata caso per caso e si limitava a prevedere la
fornitura alle Facoltà mediche di malati e cadaveri quali ausili alle
attività didattiche.
Da questo brevissimo excursus storico si evince come nel
Policlinico Umberto I, fin dalla sua costruzione, siano stati intensi e
complessi i legami tra Università e Sanità Pubblica.
Nel contempo non sfugge la peculiarità del Policlinico Umberto I,
unico Policlinico Universitario a gestione diretta ad essere stato ed
essere, tuttora, sede di attività e di personale ospedaliero.
E’ per tali ragioni che le convenzioni e i protocolli di intesa stipulati nel corso degli anni tra l’Università di Roma e il Pio Istituto,
prima, e la Regione Lazio in seguito, hanno rappresentato talvolta,
nelle contraddizioni derivanti da una legislazione ambigua, un
modello per tutto il territorio nazionale.
Excursus legislativo
Con il D.L. n. 549 del 1924 le cui norme sono riprodotte nel T.U.
delle Leggi dell’Istruzione Superiore approvato con R.D. n. 1592
del 31.8.1933 si affermava la tendenza a riconoscere la “supremazia” dell’Università.
Di fatto, con la “clinicizzazione” degli ospedali, nella cui direzione viene previsto il personale universitario, si persegue l’obiettivo di
coordinare, in un sistema inscindibile, le funzioni didattica, scientifica e assistenziale.
In un contesto normativo sostanzialmente privo di un vero e proprio sistema sanitario pubblico, la “supremazia” dell’Università era
riscontrabile anche nella presenza dei rappresentanti dell’Università
361
Giuseppe Graziano
nei Consigli di Amministrazione dell’Ospedale.
Una netta inversione di tendenza si ha con la riforma degli enti e
dell’assistenza ospedaliera, attuata con la Legge n. 132 del
12.2.1968 (cosiddetta Legge Mariotti) e con i successivi decreti
delegati nn. 128, 129 e 130 del 1969.
Si afferma il principio che l’assistenza ospedaliera deve essere
inquadrata ed organizzata in una visione unitaria e tutti gli ospedali,
compresi quelli afferenti alle Facoltà di Medicina, sono soggetti al
potere di programmazione e gestione di un vero e proprio “servizio
pubblico sanitario” basato sul nuovo “Ente ospedaliero”.
Con tale normativa, la posizione delle due istituzioni, Università
ed Ospedale, diviene del tutto paritaria con una prospettiva destinata a durare nel tempo.
La Legge n. 833 del 1978, che istituisce il Servizio Sanitario
Nazionale e introduce principi innovativi nel nostro paese, essendo
pervasa da principi di universalità e solidarietà (erogazione delle
prestazioni sanitarie a tutti i cittadini, indipendentemente dalla capacità contributiva) riconosce ad una serie di istituzioni che svolgono
assistenza ospedaliera, comprese le Università con le Facoltà di
Medicina, la propria autonomia, pur ritenendo opportuno il loro
inserimento nel Servizio Sanitario Nazionale e prospettando l’adozione dello strumento convenzionale per disciplinare le attività ed
integrarle alle finalità del Servizio Sanitario Nazionale3.
Nel 1992 la riforma progettata dal Decreto Legislativo n. 502 è
incentrata su un fondamentale obiettivo: la razionalizzazione del
sistema sanitario.
Pur lasciando inalterato il principio informatore del Servizio
Sanitario Nazionale – vale a dire la tutela universalistica della salute – l’intervento del legislatore del 1992 ha approntato un modello
di riforma teso fondamentalmente ad un forte recupero della efficacia, efficienza ed economicità in materia di assistenza sanitaria pubblica.
Tale intervento si inquadra in un più generale programma di revisione organizzativa che, prendendo spunto dalla legge delega n.
21/1992, investe la razionalizzazione e revisione delle discipline del
pubblico impiego.
E’ proprio la razionalizzazione del rapporto di pubblico impiego
– attuata con il Decreto Legislativo n. 29/1993 – che rappresenta
l’asse portante su cui deve rapportarsi la stessa riforma sanitaria pre362
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
vista dal citato D. Lgs. N. 502/1992, da leggere come parte integrante di un più esteso disegno riformatore che vede, quali obiettivi qualificanti, il recupero della efficienza ed efficacia dell’azione pubblica.
In questa fase di revisione dello stato sociale, nella quale la crescita esponenziale dei bisogni si scontra con la sempre più rilevante
scarsezza delle risorse, l’amministrazione pubblica ed il sistema
sanitario devono trasformarsi in strumento razionale tramite cui
ricercare ed attuare la migliore combinazione tra le risorse (limitate)
ed una domanda sempre in aumento.
E’ proprio in questi anni che su tale questione si apre un ampio
dibattito, ancora oggi attuale, sulle problematiche etiche che scaturiscono dall’ineludibile necessità di operare scelte programmatorie
in ambito sanitario.
In primo luogo, si assiste ad un capovolgimento della precedente
logica economico-istituzionale che – nella incompleta attuazione
delle previsioni normative già presenti nella Legge n. 833/1978 e nel
sostanziale fallimento di un disegno che prevedeva una espansione
della medicina territoriale a fronte di un ridimensionamento del
sistema ospedaliero – ha favorito una incontrollata crescita della
spesa sanitaria accompagnata da sistematici e deresponsabilizzanti
meccanismi di ripiano “ex post” dei deficit regionali.
In tale ottica si è pervenuti ad una marcata ridefinizione dei compiti ed attribuzioni dello Stato e delle Regioni.
Ridimensionato lo spessore delle attribuzioni dello Stato, sono
stati rafforzati i poteri della Regione in materia di programmazione
regionale, di organizzazione, funzionamento e controllo delle attività sanitarie.
Altro punto centrale della riforma è stata l’introduzione della tendenziale separazione tra funzione di garanzia dei livelli di assistenza ed erogazione delle prestazioni medesime, e formazione dell’offerta affidata ad altri distinti soggetti erogatori (pubblici o privati) da
cui la U.S.L. dovrebbe “acquistare” le prestazioni stesse.
Altro elemento qualificante della riforma è l’accreditamento degli
enti erogatori, la remunerazione delle prestazioni a tariffa predeterminata, il controllo delle prestazioni e del servizio reso, la libera
scelta dell’utente circa il soggetto erogatore cui riferirsi.
363
Giuseppe Graziano
Il vero elemento innovativo è l’identificazione giuridica della
USL e dell’ospedale quali aziende della Regione con personalità
giuridica, autonomia e organi di gestione propri.
Per quanto attiene i rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e
Università la norma prevede che le Aziende-Policlinico a gestione
diretta si affianchino alle aziende USL ed alle aziende ospedaliere,
tenendo presente che le aziende ospedaliere sono enti strumentali
della Regione.
L’art. 4 del Decreto Legislativo n. 502/92 specifica che è possibile costituire in “azienda” di tipo ospedaliero i presidi ospedalieri ove
sia presente il percorso formativo del triennio clinico della Facoltà
di Medicina e Chirurgia.
L’art. 6 dello stesso Decreto Legislativo 502/92 prevede di articolare su diversi livelli i convenzionamenti di tipo misto.
Da un lato si ha il coordinamento generale delle finalità universitarie ed assistenziali, nonché di programmazione, condivise e concordate e testimoniate dalla dislocazione della Facoltà di Medicina
e Chirurgia nelle struttura ospedaliere, da cui si genera la necessità
di stipulare un protocollo d’intesa tra Università e Regione, e dall’altro si ha un accordo di attuazione (esecutivo) tra università ed
azienda sanitaria, dove all’azienda spetta la gestione assistenziale.
Il Policlinico a gestione diretta, qualificato come ospedale a rilievo nazionale e di alta specializzazione, è definito azienda
dell’Università dotata di autonomia organizzativa, gestionale, patrimoniale e contabile; in particolare i Policlinici universitari hanno
una gestione informata al principio dell’autonomia economicofinanziaria, con centri di costo basati sulle prestazioni erogate e dunque con preventivi e consuntivi.
Nel 1999 si avverte nuovamente la necessità di ridisegnare il quadro normativo dei rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e
Università e viene emanato il Decreto Legislativo n. 517.
Con tale Decreto Legislativo viene, ancora una volta, ribadita
l’esigenza che:
… l’attività assistenziale necessaria per lo svolgimento dei compiti
istituzionali delle università è
determinata nel quadro della
programmazione nazionale e regionale … secondo specifici protocolli
d’intesa… stipulati tra Regione e Università in conformità ad apposite
linee guida….
Viene, altresì, ribadita l’adozione dello strumento “convenziona364
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
le” per disciplinare i rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e
Università4.
Il primo punto di rilevante importanza di tale norma è la definizione, per un periodo transitorio di quattro anni, di due tipologie
organizzative di azienda ospedaliero-universitaria:
a) aziende ospedaliere costituite in seguito alla trasformazione dei
policlinici universitari a gestione diretta, denominate aziende ospedaliere universitarie integrate con il servizio sanitario nazionale;
b)aziende ospedaliere costituite mediante trasformazione dei presidi ospedalieri nei quali insiste la prevalenza del corso di laurea
in medicina e chirurgia, anche operanti in strutture di pertinenza
dell’università, denominate aziende ospedaliere integrate con
l’università.
Per la prima volta, sia pure dopo un periodo di sperimentazione di
quattro anni, vi è la volontà di pervenire ad un modello aziendale
unico di azienda ospedaliero-universitaria, al quale si dovrebbe
applicare la disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 517/99,
salvo gli adattamenti necessari, anche in base ai risultati della sperimentazione.
Il Decreto Legislativo n. 517/99 pone le basi per il superamento
sia dei policlinici a gestione diretta che degli ospedali clinicizzati o
aziende miste, prefigurando una nuova tipologia di azienda ospedaliero-universitaria diversa dalle aziende ospedaliere per tre fondamentali caratteristiche:
- una missione più complessa e articolata che prevede la “integrazione” dell’assistenza con didattica e ricerca mediante la istituzione di uno specifico modello organizzativo: il Dipartimento ad
Attività Integrata;
- una organizzazione conseguentemente più complessa: i principali atti dell’azienda siano adottati dal Direttore Generale d’intesa
con il Rettore;
- un duplice riferimento università-regione che garantisca l’armonico raggiungimento degli obiettivi aziendali, anche attraverso un
organo collegiale di indirizzo nel quale le due istituzioni sono rappresentate nella funzione unitaria di pianificazione e controllo.
365
Giuseppe Graziano
Punto qualificante del decreto è la individuazione del
Dipartimento ad Attività Integrata quale modello ordinario di gestione operativa dell’azienda ospedaliero-universitaria al fine di assicurare l’esercizio integrato delle attività assistenziali, didattiche e di
ricerca.
Viene poi specificato che i dipartimenti sono articolati in strutture “complesse” e strutture “semplici”.
L’elemento qualificante è rappresentato dal fatto che si passa dal
concetto, più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale,
della “inscindibilità” tra didattica, ricerca ed assistenza a quello
della “integrazione” di queste funzioni.
Facoltà di Medicina e Servizio Sanitario Nazionale
E’ sicuramente il tema dell’assistenza sanitaria che continua a
suscitare il dibattito più acceso, in quanto entrambe le istituzioni
sono deputate ad erogare assistenza ai cittadini.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha come precipuo compito istituzionale l’erogazione dell’assistenza sanitaria, mentre le Facoltà di
Medicina hanno l’assistenza sanitaria come compito inscindibilmente connesso alle funzioni istituzionali di didattica e di ricerca.
Entrambe le istituzioni hanno comunque l’obiettivo di garantire la
promozione e la tutela della salute dei cittadini.
Alcuni autori hanno, in passato, sostenuto, per fortuna senza successo, che l’unica soluzione al problema sarebbe stata rappresentata
dalla “estromissione” delle Facoltà mediche dall’Università.
La maggioranza degli autori, invece, ritiene che … è un campo di
fertile intesa - purchè non manchi lo spirito di leale collaborazione
- fra il Servizio Sanitario Nazionale e le Facoltà di Medicina.
E’ del tutto evidente che lo spirito di “leale” e “reale” collaborazione non può limitarsi a semplice enunciato nei testi legislativi o
nei protocolli di intesa, ma deve tradursi in atti concreti finalizzati
alla congiunta e condivisa individuazione di linee programmatiche,
di modelli e strumenti di gestione e di meccanismi operativi di valutazione in tutti i settori nei quali le reciproche funzioni istituzionali
collidono e/o si sovrappongono.
Di fatto, il decreto legislativo 502/1992 presentava numerose
importanti criticità:
- per i policlinici non era prevista la “personalità giuridica” che
invece era prevista per le aziende USL e per le aziende ospedaliere;
366
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
- attribuzione automatica, senza previo controllo del possesso dei
requisiti tecnico-organizzativi, della qualifica di “ospedali di rilievo
nazionale ad alta specializzazione”;
- qualifica del Policlinico come azienda dell’università.
Tali criticità nascevano dal fatto che il D.Lgs/vo 502/92 è un
decreto attuativo della Legge Delega n. 421/92 nella quale si specificava che sarebbe dovuto essere proprio il decreto attuativo, cioè il
D.Lgs/vo 502, ad indicare i criteri per individuare gli ospedali di
rilievo nazionali, compresi i policlinici universitari, ai quali inoltre,
sarebbe stata conferita la personalità giuridica ed autonomia di
bilancio, finanziaria, gestionale e tecnica.
Da tutto ciò si deduce che l’azienda policlinico, non era, come
invece accadeva per le aziende USL ed ospedaliere, uno strumento
diretto della regione, bensì uno strumento diretto dell’università che,
per mezzo di apposito protocollo, d’intesa concordava con la regione le modalità attuative di funzionamento del policlinico.
In realtà il modello introdotto dal D.Lgs/vo 502/92, dove la regione fornisce indirizzo politico e dunque identifica obiettivi da perseguire e controllo dei risultati, si traslava nel rapporto università-policlinico dove l’università aveva una funzione di controllo politico ed
il policlinico uno specifico organo di gestione: in questo senso devono essere letti ed inquadrati i “presìdi” di autonomia organizzativa,
gestionale, patrimoniale e contabile dell’azienda policlinico che
erano peraltro espressamente citati dal comma 5 dell’art.4 del
D.Lgs/vo 502/92.
Ne discende che l’azienda policlinico si poneva come “impresa
organo” con mezzi, potestà ed autonomia in grado di compiere tutte
le attività negoziali correlate al raggiungimento degli obiettivi che le
erano stati assegnati5.
D’altra parte lo statuto universitario, su proposta della facoltà,
doveva fissare le modalità organizzative e gestionali in armonia ed
in analogia con i principi fissati dal D.Lgs/vo 502/92 che li identificava per le aziende ospedaliere.
Le finalità universitarie, che sono quelle di didattica e di ricerca,
devono tenere conto del livello di separazione tra la decisione politico-amministrativa ed il livello della responsabilità gestionale.
In altre parole, l’intervento normativo statutario deve consentire
che gli interessi della ricerca e della didattica, insieme a quelli assistenziali, trovino il modo di coesistere all’interno degli obiettivi formulati in sede politico-amministrativa universitaria ma anche in
367
Giuseppe Graziano
quegli obiettivi assegnati al direttore generale d’azienda, che è l’unico responsabile dei risultati conseguiti.
Questo quadro normativo cambia con il D.L. 1 Agosto 1998
(D’Alema) specifico per il Policlinico e poi con il Decreto
Legislativo 517/1999, che danno personalità giuridica al Policlinico,
bilancio autonomo dell’Università e propri organi. La modifica normativa si completa con l’introduzione dei Dipartimenti ad Attività
Integrata.
In merito a questa innovazione alcuni sostengono, non senza
qualche ragione, che i Dipartimenti ad Attività Integrata rappresentano una sorta di “sovrastruttura” che renderà più complessa la
gestione dei policlinici e che il legislatore avrebbe dovuto essere più
coraggioso e spingersi a sostituire, nelle Facoltà di Medicina, i
Dipartimenti Universitari con i Dipartimenti ad Attività Integrata.
Infatti, se è vero che i Dipartimenti ad Attività Integrata hanno il
compito di assicurare l’esercizio integrato delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca, non si comprende perché debbano continuare ad esistere, nelle Facoltà di Medicina, i Dipartimenti
Universitari competenti esclusivamente in materia di ricerca e didattica.
Ulteriore elemento di criticità è rappresentato dal sistema di
finanziamento, patrimonio e contabilità.
L’art.5 del D.Lgs/vo 502/92, per garantire il processo di aziendalizzazione delle aziende USL e delle aziende ospedaliere, ha previsto il
passaggio dal sistema di contabilità finanziaria a quello economico
patrimoniale, lo stesso che viene adottato dalle aziende private.
Il cambiamento imposto dal D.Lgs/vo 502/92 è forte: si passa da
un sistema monetario di previsione e consuntivo ad un sistema revisionale e gestionale che valorizza l’aspetto “economico” e comporta l’adozione della partita doppia a determinare il reddito di esercizio e cioè un raffronto tra costi e ricavi.
Il sistema di contabilità analitica impone di avere informazioni
dettagliate sui costi e sui ricavi al fine di poter determinare la relazione tra costi ed i vari oggetti di imputazione.
Ma si introduce anche un altro strumento economico-giuridico,
che è il sistema di controllo direzionale, teso alla pianificazione e
formulazione di budget, misurazione dell’attività e valutazione; il
tutto al fine di garantire nelle USL e negli ospedali il conseguimen368
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
to degli obiettivi aziendali in condizioni di efficienza, efficacia ed
economicità.
Tali strumenti di controllo, pero’, se previsti dal D.Lgs/vo 502/92
per le aziende USL ed aziende ospedaliere, non sono così stringenti
per i policlinici pur se al comma 5 dell’art. 4 è prevista l’autonomia
economico-finanziaria e dei preventivi e consuntivi per centri di
costo basati sulle prestazioni erogate.
Tutto ciò ha portato a situazioni in cui gli statuti universitari non
hanno sempre ridefinito in senso economico-patrimoniale gli assetti contabili dei policlinici.
In realtà si è avuta una “conservazione”, almeno per l’azienda
policlinico, dell’assetto finanziario mutuato dal sistema contabile
dell’università.
Nel sistema sanitario regionale i rapporti tra aziende USL ed
aziende ospedaliere e regione sono chiari poiché impostati sui due
livelli: la regione è l’ente decisore dell’indirizzo politico amministrativo che definisce gli obiettivi generali delle aziende ed assegna
le risorse, ovviamente correlate agli obiettivi, e controlla il raggiungimento degli obiettivi stessi; dall’altro lato, l’azienda ha la responsabilità gestionale dell’attività.
La mediazione tra regione ed aziende viene trovata al momento
dell’approvazione dei bilanci.
La Regione LAZIO con legge regionale 95/96 ha previsto una
fase di definizione concordata degli obiettivi e risorse e una fase di
controllo dove viene approvato dalla regione il bilancio di esercizio
dell’azienda.
Per quanto riguarda l’azienda policlinico non solo ciò non avviene ma il D.Lgs/vo 517/99 al comma 1 dell’art. 7 lascia ampi margini di incertezza laddove si afferma, senza precisare modalità e
procedure, che:
… Al sostegno economico-finanziario delle attività svolte dalle Aziende
concorrono risorse messe a disposizione sia dall’Università sia dal Fondo
Sanitario regionale…..
Nell’affrontare il delicato tema del finanziamento delle attività
del policlinico, è necessaria una breve premessa tesa a sottolineare
che il finanziamento di tale struttura dovrebbe prevedere un maggiore costo assistenziale dovuto alle attività didattica e di ricerca e si
dovrebbe, inoltre, valorizzare e valutare correttamente la quota dei
costi prestazionali complessivi corrispondente agli emolumenti sti369
Giuseppe Graziano
pendiali del personale universitario impiegato in assistenza già
sostenuti dal sistema universitario stesso.
Ebbene il comma 2 dell’art. 6 del Decreto Interministeriale del
31/07/97 fornisce delle soluzioni alquanto scarne: infatti, viene riconosciuta all’azienda dove è strutturata la facoltà di medicina la
“integrazione dal 3 all’8 % della valorizzazione dell’attività assistenziale” da essa svolta per i maggiori costi indotti sulle attività
assistenziali dalle funzioni di ricerca e didattica.
Inoltre è prevista una decurtazione della valorizzazione stessa che
è commisurata al risparmio corrispondente alla maggiore spesa di
personale che avrebbe dovuto sostenere l’azienda per produrre la
stessa attività.
Si sottolinea, inoltre, che per le aziende policlinico classificate nei
presidi ad elevata complessità è prevista un’unica forfettaria decurtazione compensativa dal 5 al 15 % sul complessivo finanziamento,
tenendo presenti ovviamente i maggiori costi dovuti alle attività di
ricerca e didattica.
Ovviamente, la didattica dilata i tempi ed i percorsi assistenziali
in funzione della formazione clinica e della ricerca, dunque i costi
assistenziali crescono e questo rende ancora piu’ critica la posizione
degli ospedali dove si insegna perché i sistemi prospettici di pagamento basati sulla valutazione del “case mix” e quindi connotati da
una standardizzazione e semplificazione del prodotto ospedaliero e
della loro tariffazione, rappresentano una perdita per l’ospedale di
insegnamento, perdita che si esplicita con una produttività assistenziale piu’ bassa.
È necessario, dunque, un modo per “pesare” questa diversa
modalità di erogazione di una prestazione sanitaria.
Il sistema di finanziamento assistenziale è incentrato sulla identificazione dell’ente regione quale “committente” dei prodotti finali cioè
ricoveri e prestazioni, che sono richiesti alle diverse aziende sia ospedaliere che universitarie considerate come “centri di erogazione”.
Quindi il prodotto finale, sia per le aziende ospedaliere che universitarie, viene ritenuto “uguale” e, conseguentemente, tariffato in
maniera del tutto iniqua, nello stesso modo.
Conclusioni
Le considerazioni di cui sopra offrono alcuni spunti sui quali è
possibile avviare un discorso propositivo rivolto alle competenti
sedi istituzionali (Parlamento, Ministero della Sanità, MURST e
Regioni).
370
Azienda Policlinico e inserimento nel SSN
Occorre, riesaminare un percorso, avviato oltre settanta anni orsono e proseguito senza soste nell’ultimo ventennio.
Invero, la collaborazione tra Università e Servizio Sanitario
Nazionale non può prescindere dalla fissazione di alcuni principi
che, pur nell’ambito della normativa attuale, eventualmente rimodulata in alcuni punti, debbono essere tenuti presenti per garantire lo
sviluppo delle istituzioni interessate.
Stabilito che la funzione primaria dell’università è quella della
organizzazione e gestione della didattica ai fini della formazione, sia
per i corsi di laurea che per quelli di specializzazione, nonché della
ricerca scientifica; e che la funzione primaria del Servizio Sanitario
Nazionale è quella dell’assistenza per garantire ai cittadini il più alto
livello di tutela della salute; stabilito pure che l’esercizio della didattica e della ricerca scientifica non può prescindere dalla partecipazione del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto le strutture assistenziali debbono ritenersi essenziali per una corretta gestione di tali
attività, si deve affermare chiaramente che l’Università, per quanto
riguarda l’attività assistenziale connessa con l’attività di didattica e
di ricerca, non può agire in senso autonomo rispetto agli obiettivi
generali del Servizio Sanitario Nazionale.
Ciò comporta che, spettando al Servizio Sanitario Nazionale la
programmazione delle risorse necessarie al raggiungimento dei fini
sopradetti, l’Università deve essere coinvolta in tale programmazione e partecipare al momento programmatorio sia a livello nazionale
che, soprattutto, a livello regionale e locale.
Vi è pertanto la necessità di stabilire, in concreta applicazione
delle leggi, gli ambiti ed i livelli di tale partecipazione, cercando
soprattutto di evitare contrapposizioni e isolamenti.
Il problema, quindi, della consultazione obbligatoria dell’Università da parte della Regione non solo nella fase della stesura di
Piani Sanitari Regionali, ma anche nei momenti applicativi o modificativi più importanti di tali piani, merita particolare approfondimento.
Del resto, una delle possibilità più significative di cui in questo
momento dispone il Servizio Sanitario Nazionale per garantire
all’utente un buon livello assistenziale, è quella di valorizzare e non
di comprimere la partecipazione dell’Università sia nel momento
programmatorio dell’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale sia nel momento gestionale del Servizio stesso.
Parallelamente, anche per quanto riguarda gli aspetti gestionali e
organizzativi, devono essere introdotti nell’attuale normativa, senza
371
Giuseppe Graziano
margini di incertezza e indeterminatezza, quegli elementi di modernità che caratterizzino il modello organizzativo aziendale ospedaliero - universitario, basato sul Dipartimento ad Attività Integrata, le
modalità di gestione e i sistemi di finanziamento.
L’aforisma preferito di Guido Baccelli, fondatore del Policlinico
Umberto I, era sintesi antica, analisi moderna; forse sta proprio in
queste parole la chiave per trovare quella leale e reale collaborazione tra il Policlinico Universitario e il Servizio Sanitario Nazionale.
BIBLIOGRAFIA
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dell’Ateneo, 1980, pp.57-58.
2. SPANO N., L’Universita’ di Roma. Roma, Mediterranea, 1936, pp.121-140.
SERARCANGELI C., GIOVENALE A.M., Il Caso del Policlinico Umberto
I. Med. Secoli 2002; 14:155-175.
3. BOMPIANI A., CARINCI P., GHETTI V. (a cura di), Facoltà di medicina e
Servizio sanitario Nazionale. Milano, Franco Angeli– Fondazione Smith
Kline, 1988.
4. DI IORIO F., I rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e Universita’
Commissione Parlamentare di inchiesta sul Sistema Sanitario. Senato della
Repubblica, seduta n. 98 del 7 marzo 2001.
5. FATARELLA R., FIORE A., Il Policlinico Universitario. Le leggi dell’ospedale. Zaglio A. Roma, Verduci, 2001.
372
POSTFAZIONE
POLICLINICO UMBERTO I:
L’OSPEDALE DEI ROMANI,
VOLUTO DA BACCELLI, ENTRA NEL FUTURO
LUIGI FRATI
373
Policlinico Umberto I: l’Ospedale dei Romani, voluto da Baccelli, entra nel futuro
Dovendo celebrare in una raccolta collettanea di saggi i 100 anni
del Policlinico Umberto I, vi erano più possibilità: seguire lo sviluppo dell’assistenza in quello che è stato per un secolo ed è l’ospedale dei Romani, oppure porre attenzione ai personaggi ed alle loro
scoperte, oppure infine ricordare i tanti studenti divenuti illustri che
nella Facoltà e nel Policlinico si sono formati. Alla fine ci siamo
rivolti a ricordare le Scuole che si sono sviluppate, non in un grande ospedale come tale, ma in un grande ospedale dove si integrano
ricerca, formazione ed assistenza, in una continuità che ha nelle
Scuole il fluire ed il rafforzarsi delle conoscenze. Perché così lo ha
ideato Guido Baccelli, il clinico insigne d’origine toscana, ma profondamente romano, ostico verso la politica dei politici di professione, ma divenuto infine politico (quattro volte Ministro) quando si è
reso conto che così doveva essere per realizzare i suoi progetti per
sviluppare una medicina d’avanguardia, competitiva in ambito
internazionale: “Scienza e politica mi sono entrambe amiche e io le
amo con pari fervore” ripeteva, per realizzare quella che oggi noi
chiamiamo “autonomia universitaria”: “Voleva che le Università
fossero libere”, annota Fausto Pettinelli nella monografia “Il medico dei Re” (2000).
La ricerca per Baccelli era il fondamento della clinica, in una
visione che viene rinforzata dall’amicizia con Rudolph Virchow, il
patologo che stava spingendo la medicina verso l’indagine fisiopatologica a livello cellulare, in una logica colta. Con Virchow
Baccelli amava parlare in latino: Latinus latine loquor, iniziò a dire
nelle relazioni che tenne nei Congressi internazionali di Medicina di
Parigi e Berlino, ed in latino tenne il saluto inaugurale all’XI
Congresso Medico Internazionale che si tenne a Roma nel 1894: …
Salvete igitur, carissimi viri! Salus populi suprema lex esto…
Hospites doctissimi, iterumque iterumque salvete… Finì proclamando l’apertura del congresso: Undecimum omnium gentium de medicina conventum, hodie, Roma auspicatur. C’è in Baccelli tutto l’orgoglio di chi sa di vivere nella città che ha costruito, con Atene, le
fondamenta del mondo occidentale ed ancora c’è in lui l’orgoglio di
chi sa di poter dettare le regole di una visione della medicina proiettata nel futuro: nella presentazione della nuova rivista Il Policlinico,
da lui fondata con il clinico chirurgo Francesco Durante nel 1893,
segna la discontinuità con il dipanarsi delle teorie e dei nominalismi:
Al nosografismo puro, che si sbizzarriva tra le teorie organiche e
dinamiche, tra lo stimolo e il controstimolo, tra la diatesi e i concetti nebulosi del misto organico, tenne dietro, come doveva, la reazio375
Luigi Frati
ne scientifica. Da per tutto sorgevano laboratori: la istologia patologica, la chimica organica, la batteriologia attrassero a sé vigorosi ingegni… [Baccelli G., Per intenderci, Il Policlinico, sezione
medica 1893; 1:1-2].
La ricerca è dunque la base per una formazione di eccellenza e
però per la formazione medica è necessaria anche l’osservazione
diretta del malato. Proprio dalla riconduzione dell’essere medico
alla visita del malato è nato il: “Dica trentatre”, da Baccelli introdotto in una lezione di Clinica medica nell’aprile del 1872, auscultando il torace di un malato di pleurite, per discernere se il liquido
nel cavo pleurico sia “più o meno corpuscolato”.
Delle Cliniche del Policlinico Baccelli diceva con orgoglio che
sono “munite dei più perfetti e moderni mezzi d’investigazione. Tutte
sono in grado di pronunciare sopra ogni caso l’ultima parola della
scienza”. Quando l’8 aprile 1906 gli vengono tributate le “onoranze
capitoline” alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, del Sindaco
Cruciani Aliprandi e del Rettore Tonelli, di ministri e di scienziati
accorsi da tutta Europa, il discorso di Baccelli, fu centrato sul
Policlinico, inaugurato quattro anni prima. Iniziò facendo la cronistoria dal 1874, quando fu elaborato un primo progetto per un ospedale di 1200 posti letto e proseguì dicendo:
Nel 1881 ebbi l’onore, quando fui per la prima volta ministro, di convocare alla Minerva una commissione di clinici perché studiassero il disegno
di massima, per l’esecuzione del quale si sarebbe aperto un concorso tra
gli architetti… Il concorso fu vinto dal rinomato architetto romano Giulio
Podesti… Ma bisognò giungere al 1884 per avere una commissione esecutiva della grande opera. Nominata la commissione dal Presidente del
Consiglio di quel tempo Agostino Depretis, mi fu concesso l’onore di presiederla”. Rivolgendosi al Re, proseguì: “Era il 10 gennaio 1888 quando
i vostri genitori Umberto e Margherita posero la prima pietra del grande
istituto…”. E conclude con un richiamo al ruolo anche sociale del
Policlinico: “In questo tempio dove i nostri fratelli indigenti potranno
recuperare la salute, potranno anche riconquistare, accrescere e accumulare le forze necessarie alla ripresa del lavoro. Di quel lavoro che è nell’odierna convivenza civile e sociale potenza altamente moralizzatrice.
Ciò che oggi resterà più profondamente scolpito negli animi… è la
coscienza di un grande beneficio”.
Ed al Re che gli diceva: “Eccellenza, lei ha fatto tanto per la
medicina, per l’Italia, per Roma. Mi dica, per favore, cosa posso
fare io per Lei?”, chiese clemenza per Linda Murri, la figlia del suo
allievo più illustre, condannata in Assise per correità nell’omicidio
376
Policlinico Umberto I: l’Ospedale dei Romani, voluto da Baccelli, entra nel futuro
del marito. Il legame profondo della Scuola si estendeva financo alle
angustie familiari, cosicché alla morte di Baccelli il 10 gennaio 1916
Augusto Murri telegrafò al figlio Alfredo: Amato da lui, riamai moltissimo lui. Nessuno partecipò più di me al tuo grande dolore.
Dunque la Scuola, come legame profondo scientifico ed umano tra
Maestro ed allievi, che a loro volta divengono Maestri (Murri,
Alessandri e così via).
Questo breve spaccato del personaggio che amava definirsi
Direttore della Regia Clinica medica di Roma bene illustra i presupposti su cui è stato edificato il Policlinico Umberto I ed i diversi
capitoli di questo fascicolo speciale di “Medicina nei Secoli”, che
illustrano le Scuole, rendono omaggio ai tanti che si sono impegnati e si impegnano nella vita quotidiana del Policlinico, fatta di scienza, di formazione, ma anche di umanità romanesca, che riesce a
volte a rendere meno drammatica la sofferenza.
******
Il progetto architettonico originario ha subito ampliamenti negli
anni ’20-30, quando si affaccia la necessità di espandere i laboratori di ricerca biomedica: è l’epoca in cui la biochimica spiega alcune
tappe dei diversi metabolismi, anche in chiave patologica (le chemical malformations, che Archibald E. Garrod aveva descritto nel suo
Inborns errors of metabolism, 1909); in quel periodo sono identificati ormoni (l’insulina: Frederick Banting e Charles Best, 1922) e la
fisiologia si addentra nello studio anche a fini diagnostici dell’attività elettrica cerebrale (Johannes Berger, 1929), così che Ugo
Cerletti, “rovesciando” il sistema (non diagnostica, ma terapia),
mette a punto l’elettroshock (1938). Intanto la farmacologia sintetizza i primi chemioterapici utilizzabili in terapia umana (Gerhard
Domagk, 1935), cosicché le ricerche “biologiche” appaiono sempre
più di rapida applicazione nella medicina pratica. Non bastano più i
laboratori negli Istituti clinici: la costruzione piacentiniana della
Città universitaria consente di dedicare spazi esterni alla cinta del
Policlinico per la fisiologia e la biochimica, per la farmacologia e
per l’igiene, così come per la clinica delle malattie nervose e mentali (all’epoca disciplina unica) e per la medicina legale. Sono gli
anni in cui progrediscono rapidamente le scienze di base, in particolare la fisica e la chimica di sintesi, oltre che la biomedicina: sembra crollare la tradizionale interpretazione delle verità “seconde”
(quelle scientifiche) subordinate alle verità “prime” (quelle filosofi377
Luigi Frati
co-teologiche), che già aveva vissuto una evidente crisi con l’uomo
rinascimentale (il ricordo va ovviamente a Galileo). Della nuova
crisi si fa interprete il modernismo, la corrente di pensiero che in
Francia vede in prima linea Alfred Loisy, che sostiene la assoluta
libertà della scienza di cercare la “sua” verità. L’enciclica Pascendi
Dominici Gregis (Pio X, 1907) indica come eresia le tesi di Loisy,
che però si diffondono, perché coerenti con gli avanzamenti straordinari della scienza: nell’Università romana se ne fa interprete
Ernesto Bonaiuti, professore di Storia del Cristianesimo, colpito da
scomunica, poi revocata, quindi riabilitato, e che a La Sapienza si
afferma per “il suo inestinguibile fervore per il progresso della
scienza, che per lui faceva tutt’uno colla diffusione del suo messaggio di rinnovamento religioso”, annota Giorgio Levi Dalla Vida
(Fantasmi ritrovati, 2004, p. 89), che gli è stato collega
all’Università. Cresce così la Facoltà di Medicina in un clima di
aperto confronto culturale e scientifico: con il Policlinico e con la
nuova Città Universitaria lo Studium Urbis è punto di arrivo dei più
prestigiosi Maestri accademici, punto di riferimento del sistema universitario nazionale (Perugia, Pisa, Siena, Cagliari, Sassari, Catania,
Messina, etc., sono spesso tappe intermedie, anche per prestigiosi
ritorni al Policlinico).
Nel frattempo prendono autonomia molte specialità, soprattutto
chirurgiche (otorinolaringoiatria, urologia, etc.). Sorgono così negli
anni ’60-80 specifiche costruzioni, anche alterando la logica unitaria di Baccelli (nel progetto originale tutti gli edifici erano uniti da
una rete ipogea, rimasta funzionante, e da corridoi perigei, che invece qualche Direttore d’Istituto ha interrotto per creare il proprio
castelletto autosufficiente). L’interruzione dei percorsi perigei spinge le Cliniche maggiori ad organizzarsi come piccoli policlinici, con
la loro radiologia, i laboratori di analisi, a volte con una loro istopatologia, etc.: la diffusione in più strutture delle stesse tecnologie
avviene inevitabilmente a livello medio-basso (salvo qualche caso)
e questo diviene uno dei motivi di crisi strutturale del Policlinico,
crisi che diviene “funzionale”, con rischio di perdita di competitività con gli altri grandi ospedali romani e soprattutto con i grandi
ospedali universitari del Nord Italia, che non hanno subito analoga
parcellizzazione, al Policlinico favorita da un mal interpretato concetto di autonomia universitaria (ogni Professore-caposcuola ha
diritto ad organizzarsi anche al di fuori di una visione d’insieme).
L’allargamento negli anni ’80-90 della base elettorale per Rettore
(dai soli Professori ordinari a tutti i docenti e poi anche al persona378
Policlinico Umberto I: l’Ospedale dei Romani, voluto da Baccelli, entra nel futuro
le tecnico-amministrativo e socio-sanitario) fa della Facoltà di
Medicina il maggior “giacimento” di voti, sfruttato spesso dal
Rettore di turno con una mal riposta logica di compensazione del
consenso ricevuto. La democratizzazione della conduzione del
Policlinico, avocata a sé dai Rettori, si è fondata sulla moltiplicazione delle strutture ai livelli medio-alti e non su regole premianti la
meritocrazia, da praticare non tenendo in conto solo la stratificazione accademica gerarchica.
*****
Dopo anni di amministrazione del Policlinico nel coacervo degli
Ospedali Riuniti, che amministravano migliaia di posti-letto nei 4
grandi ospedali romani ed in altri di più ridotte dimensioni, si deve
al Rettore Antonio Ruberti la riconduzione del Policlinico ad ospedale d’insegnamento per la Facoltà di Medicina e quindi ad una
gestione assunta in prima persona dall’Università. Ma stavano
incombendo profonde trasformazioni, dovute allo sviluppo della
biologia in senso molecolare e cellulare applicato alla medicina,
all’affermarsi di tecnologie sofisticate nella diagnostica per immagini, infine alle crescenti aspettative di diagnosi precoce e di guarigione della gente dovute alla “propaganda” (giornali, televisione), che
sposta le proprie richieste sulla domanda di salute. Anche per questo esplodono i costi. Così ad inizio degli anni ’90 si cerca di raggiungere il loro contenimento attraverso due strumenti di gestione:
l’aziendalizzazione dei grandi ospedali, affidati alla managerialità
monocratica di un direttore generale (decreto legislativo 502/1992),
e la remunerazione degli atti medici a tariffa pre-fissata (D.M. 14
dicembre 1994). La gestione è stata affidata a Direttori generali:
qualcuno di questi si è distinto per l’eloquio forbito, più che per
capacità gestionale, qualche altro – decisamente migliore – ha però
seguito le vicissitudini dovute ai cambi di maggioranza politica
regionale.
I continui cambiamenti alla direzione generale non hanno consentito di dare una risposta alle esigenze profonde di riorganizzazione,
che implicano l’accorciamento della degenza media (sino a limiti
che sfiorano talvolta una ridotta sicurezza per i pazienti!) ed il passaggio delle modalità organizzative almeno in parte da una forma
“statica-classica” (il primariato con i suoi letti per la degenza) ad
una più articolata ed in genere più breve in day hospital-day surgery o ambulatoriale (diritto del docente a poter “curare” i pazienti nel
379
Luigi Frati
modello organizzativo più opportuno, non necessariamente “staticamente” a sua esclusiva conduzione). Questa è la sfida che stiamo
raccogliendo adesso, cercando di recuperare 10 anni di inerzia, se
non di propensione allo sfascio ed alla implosione di sistema, di cui
vi è evidenza nel Piano sanitario regionale 2003, che, approfittando
del decentramento della II Facoltà al S. Andrea, dava un’indicazione per il Policlinico di un potenziale assistenziale ridotto a meno
della metà dei 2.020 posti-letto accertati nella Conferenza dei
Servizi Università-Regione-Ministeri del 29 luglio 1999.
L’indicazione di 900 posti letto in diminuzione (!!!) rimane imperdonabile per i coautori: Rettore, Direttore generale, Giunta
Regionale dell’epoca. La reazione violenta della Facoltà e del suo
Preside e delle forze sociali ha riportato il volume assistenziale ad
una misura compatibile con un piano di rilancio (circa 1.300 postiletto: accordo Presidenza Facoltà-OO.SS.-Regione del marzo 2004).
Verso dove andare? In questo riassetto organizzativo la scientificità diagnostico-terapeutica (appropriatezza medica) si deve dunque
confrontare con nuove modalità organizzative (appropriatezza
organizzativa) ed entrambe richiedono una revisione radicale del
sistema di funzionamento dell’ospedale, tra “area h24” (quella delle
degenze) ed “area h12” (quella degli ambulatori e dei day hospital)
ed ancora tra un’organizzazione fondata sulle discipline (universitarie od ospedaliere, è pressoché la stessa cosa: cardiologia distante da
cardiochirurgia, neurologia da neuroradiologia e da neurochirurgia)
ed un’organizzazione basata sulle necessità del malato (che è malato gastroenterologico, cardiovascolare, neurologico, etc.: medicochirurgico, con una organizzazione integrata). In questa nuova logica, che si fonda anche sulla “economia” di gestione, ma soprattutto
su di una organizzazione funzionale alla ricerca-didattica integrata
con l’assistenza, si attenua il ruolo della divisione (o della cattedra)
quale “possesso” del suo dirigente medico-professore: la struttura
organizzativa di base diviene strumentale al ricovero del malato, che
è studiato e curato dal medico-docente, mentre della gestione del
reparto si occupa lo staff infermieristico.
Si tratta di una riorganizzazione profonda, alla quale ci stiamo
accingendo con importanti investimenti in edilizia e tecnologie. Di
questa riorganizzazione vogliamo essere protagonisti, proprio perché siamo e vogliamo restare Policlinico universitario, aperti all’innovazione strutturale ed organizzativa, che stenta ad affermarsi nel
mondo ospedaliero, nel quale è forte la rigidità delle “divisioni” e
380
Policlinico Umberto I: l’Ospedale dei Romani, voluto da Baccelli, entra nel futuro
dei relativi primariati (adesso si chiamano unità operative complesse, semplici, semplici a valenza dipartimentale o interdipartimentale, etc.) e forte è il potere del primario-dirigente sull’attribuzione di
responsabilità ai medici da lui coordinati. Si aggiunga che il 70% dei
dirigenti-primari degli ospedali è passato attraverso una o più sanatorie e che i restanti dirigenti sono stati scelti spesso dalla politica
attraverso il sistema perverso della idoneità aperta (che quindi non
si nega a nessuno) e della scelta fiduciaria tra gli idonei da parte del
Direttore generale, che a sua volta è nominato con scelta fiduciaria
dalla politica regionale.
L’Università per fortuna ha la caratteristica di avere alcuni punti
di riferimento meritocratici: il valore scientifico-professionale è
largamente riconducibile alla pubblicistica internazionale (con il
relativo impact factor) ed è così possibile andare oltre la gestione
burocratico-politica del sistema. Significativo è allora che con la
attuale direzione generale, fortemente voluta da questa dirigenza
dell’Università, sia stata offerta a tutti i docenti la possibilità di
mettere in evidenza, tramite un censimento concordato tra Azienda
e Facoltà, la propria esperienza scientifico-professionale, in particolare da parte dei Ricercatori (con conseguente assegnazione di
funzioni). Ed è questa la scommessa più importante: valorizzare in
termini meritocratici le tante competenze che si sono formate nel
Policlinico, del personale medico e di quello sanitario, ai quali si
deve se il Policlinico è classificato per validità scientifico-professionale il primo in Italia.
*****
Pochi forse sanno che Guido Baccelli, già tre volte Ministro della
Pubblica Istruzione, fu anche Ministro dell’Agricoltura (fu l’ultimo
suo incarico ministeriale, dal 1901 al 1903, in un’Italia all’epoca
fondamentalmente agricola). Il ministero aveva competenze anche
su commercio ed industria: Baccelli distribuì gratuitamente i concimi minerali, dette premi agli agricoltori che avessero migliorato la
resa agraria (inguaribile meritocrate!), istituì e poi incentivò i campi
sperimentali agrari (altrettanto inguaribile ricercatore!). Già nel
1889 aveva opposto al piano nazionale di disboscamento del
Ministro Salvatore Majorana Calatabiano l’istituzione di una “Festa
degli alberi”. Nel febbraio 1902 Baccelli riuscì a far firmare dal re
Vittorio Emanuele III il decreto che faceva divenire nazionale quella Festa, da celebrare in ogni Comune da parte delle scolaresche, a
381
Luigi Frati
primavera o in autunno. Piantare un albero, guardare al futuro,
diceva Baccelli.
Che c’entrano gli alberi? Il Rettore Prof. Renato Guarini, a chi ci
ricorda che a settant’anni o giù di lì dovremmo pensare ad altro che
all’Università, ama citare il poeta turco Nazim Hikmet, che in una
sua poesia più o meno dice così:
… a settant’anni pianterai... degli ulivi
[alberi forti e che danno frutti ai quali è legata la nostra tradizione];
…non perché restino ai tuoi figli, ma perché [tu li veda crescere]
… e la vita peserà di più sulla bilancia.
Il giorno che inizieranno i lavori per l’ammodernamento strutturale e tecnologico del Policlinico, in una visione unitaria e nel contempo articolata, che amplifichi le possibilità di valorizzazione
meritocratica delle professionalità e che renda fruibili le molte
eccellenze diagnostico-curative per i tanti che vedono nel
Policlinico l’ospedale dei romani, il Rettore Guarini ed io pianteremo un ulivo, per vederlo crescere e guardare al futuro. Ed offriremo
ai presenti, insieme con il Preside della II Facoltà Vincenzo Ziparo,
con il Direttore amministrativo dell’Università Carlo Musto
D’Amore, con l’Assessore regionale alla Sanità Augusto Battaglia e
con il Direttore generale del Policlinico Ubaldo Montaguti una
copia di questo volumetto sul Policlinico Umberto I, cioè sulla
nostra storia e sul comune impegno a servizio delle istituzioni e
della società civile.
Luigi Frati,
Preside della I Facoltà di Medicina e Chirurgia
382
PARTE V
Alcune immagini nella storia
del Policlinico Umberto I
IL PROGETTO PRIMITIVO
385
Ermanno Bonucci
Immagini tratte dal Volume stampato in occasione dell’ XI Congresso Medico
Internazionale tenutosi in Roma il 29 Marzo 1894 e contenente il Progetto dell’Architetto
Giulio Podesti.
386
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
396
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
397
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
398
IL PROGETTO ESECUTIVO
Immagini tratte dal Volume stampato nel 1902 a cura del Ministero dei Lavori Pubblici a
ricordo della costruzione del Policlinico Umberto I.
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Frontespizio
Veduta a volo d’uccello del Policlinico
401
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta del Policlinico dal lato sud
Prospetto del Palazzo centrale dell’Amministrazione
402
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Scala principale del Palazzo dell’Amministrazione (parte inferiore)
Scala principale del Palazzo dell’Amministrazione (parte superiore)
403
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Prospetto della Clinica Medica
Prospetto della Clinica Chirurgica
404
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Prospetto delle Cliniche Patologica e Chirurgica
Prospetto della Clinica Dermosifilopatica
405
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta laterale della Clinica Dermosifilopatica
Prospetto della Clinica Ostetrico-Ginecologica
Clinica Ostetrico-Ginecologica veduta da mezzogiorno
406
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta esterna dei Padiglioni Ospedale
Sala di dissezione nel Padiglione Crupposi
407
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta interna della Cucina a vapore
Veduta della Cappella
408
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta interna della sala delle caldaie
Veduta della caminiera
409
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta aerea della Lavanderia
Veduta interna del locale delle lavatrici
410
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Viale posteriore alla Cliniche con veduta dei canili e delle prese d’aria
Sezione Clinica Ostetrica e Ginecologica
411
ALCUNE DELLE PRIME COSTRUZIONI
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Per l’iconografia si ringrazia l’Ufficio Tecnico dell’Università “La Sapienza”
ed in particolare l’Architetto Carla Onesti - Settore Archivio Storico sul patrimonio
architettonico.
414
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Clinica Pediatrica
Clinica Psichiatrica
415
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Fisiologia umana - Chimica Fisiologica - Farmacologia
Medicina Legale
416
IL BOMBARDAMENTO DEL 19 LUGLIO 1943
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Si ringrazia l’Istituto Luce per aver messo a disposizione il materiale fotografico
di questa sezione ed in particolare il Direttore dell’Archivio Storico Edoardo Ceccuti
e Patrizia Cacciani.
418
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
L’Istituto di Fisiologia umana, Chimica Fisiologica e Farmacologia danneggiato dal
bombardamento
Ala destra dello stesso Istituto
419
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
I gravi danni del bombardamento
Reparto di Clinica Ortopedica dopo il bombardamento
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Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Reparto di Clinica Ortopedica
Il Prof. Giorgio Maggioni all’ingresso della Clinica Pediatrica gravemente danneggiata
421
LATO OVEST
VIA DELLE MURA DI BELISARIO
(Oggi Viale del Policlinico)
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Clinica Chirurgica
Patologia Chirurgica
425
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Lato della Patologia Chirurgica
426
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Padiglione Clinica Medica
Padiglione Clinica Oculistica
427
LATO EST-SUD
VIALE DELLA REGINA
(Oggi Viale Regina Elena)
VIALE DEL CASTRO PRETORIO
(Oggi Viale dell’Università)
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Ingresso Clinica Ostetrica
Clinica Pediatrica
431
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Stenditoio
Stenditoio
432
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Viale Regina Elena
Angolo Viale Regina Elena
433
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Angolo Viale dell’Università
Progetto della Clinica di Malattie Infettive
434
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Viale dell’Università
435
VEDUTE AEREE
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Laboratorio analisi e dissezione
III Clinica Chirurgica
439
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Veduta aerea della “Caminiera”
Retro Clinica delle Malattie Nervose e Mentali
440
I CANTIERI
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Impalcature
443
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Cantieri sul retro della Clinica Oculistica
444
GLI EDIFICI ALL’INTERNO DEL POLICLINICO
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Passaggio perigeo tra gli edifici
Passaggio perigeo tra gli edifici
447
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Ingresso Lavanderia
448
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Sala delle lavatrici
Veduta dall’alto della sala lavatrici
449
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Retro della lavanderia ed alloggio suore
Veduta di scorcio della “caminiera”
450
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Annotazioni tecniche relative ad un edificio
451
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
III Clinica Chirurgica (ingresso)
452
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Pronto Soccorso
453
LE “NUOVE” COSTRUZIONI
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Progetto della Clinica Otorinolaringoiatrica
Progetto della Clinica Otorinolaringoiatrica
457
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Clinica Otorinolaringoiatrica
Clinica Otorinolaringoiatrica vista da viale dell’Università
458
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Ingresso della Clinica Pediatrica
Ingresso del Nido
459
CLINICA OSTETRICA E GINECOLOGICA:
AULA - SALA OPERATORIA - LABORATORIO
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Aula
Sala operatoria con osservatorio
463
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
Sala operatoria
Laboratorio
464
CARTELLONISTICA
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
467
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
468
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
469
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
470
Alcune immagini nella storia del Policlinico Umberto I
471
Finito di stampare nel mese di dicembre 2006
presso il
Centro Stampa Università
Università degli Studi di Roma La Sapienza
P.le Aldo Moro, 5 - 00185
www.editriceateneo.it