La psicanalisi. Non temete ch’io ve ne parli troppo. Italo Svevo, Soggiorno londinese Ritratto di Bruno Veneziani, cognato di Svevo. Fondo fotografico Museo Sveviano, Trieste. L’incontro con la psicoanalisi è senza dubbio uno dei fatti culturali più rilevanti nella vicenda artistica e intellettuale di Svevo. Con l’opera di Freud, con il significato universale della scoperta dell’inconscio e delle sue leggi, con la portata della rivoluzione epistemologica che la psicoanalisi porta nella cultura occidentale Svevo intreccia un discorso personalissimo che è fra i risultati più alti della sua arte e del suo pensiero. Ma se guardiamo alla psicoanalisi come strumento terapeutico questo intreccio appare molto più semplice. Svevo incontra la scienza freudiana per il tramite del cognato, Bruno Veneziani, che attraverso lo psicoanalista triestino Edoardo Weiss si rivolge al maestro viennese per curare i suoi “disturbi” (omossessualità e morfinismo). Da una lettera a Weiss, sappiamo che Freud congeda il paziente definendolo «un mascalzone che non merita la sua fatica» e aggiunge: «gente come il dottor A. la si spedisce con un po’ di denaro oltreoceano, per esempio in Sudamerica, lasciando che vi cerchi a trovi il proprio destino». Svevo non la prende bene. In una lettera al giovane ammiratore Valerio Jahier che gli chiede consigli circa la sua intenzione di riprendere la terapia analitica scrive: Io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in persona non si ebbe alcun risultato. Per esattezza debbo aggiungere che il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, congedò il paziente dichiarandolo inguaribile. Anzi io ammiro il Freud, ma quel verdetto dopo tanta vita perduta mi lasciò un'impressione disgustosa. A questo giudizio segue il consiglio a Jahier di rivolgersi piuttosto alla già ricordata “scuola di Nancy” cui lo scrittore si sforza, per altro, di indirizzare lo stesso Bruno. In entrambi i casi senza successo.