Matteo Gualandris Vedere l’universo piegarsi alla lettera Progetto editoriale per una rivista di astronomia e astrofisica Progetto Numero 1 Anno 1 Aprile 2011 Periodicità: mensile Pagine: 160 Prezzo: € 4,90 Formato: 200×283 mm Carte Interno: Munken Lynx, mano 1.13, 80 g Sezione Articoli: Hello Fat Matt 1.1, 100 g Copertina: Munken Lynx, mano 1.13, 200 g Nota Le pagine in scala di grigio al 30% corrispondono a spazi pubblicitari In coda Copertine future Politecnico di Milano Facoltà del Design Laurea Specialistica in Design della Comunicazione A.A. 2009/2010 Matteo Gualandris matricola 734835 Relatore Prof. Mauro Panzeri Correlatore Dott. Marco Cattaneo Direttore responsabile di Le Scienze e National Geographic Italia ANNO 1 Vedere l’universo piegarsi alla lettera NUMERO 1 ASTRONOMIA E ASTROFISICA ANNO 1 NUMERO 1 APRILE 2011 APRILE 2011 LEGGERE L'UNIVERSO LEGGERE L’UNIVERSO L'informazione di ciò che esiste e avviene nell'universo è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata dai vari processi astrofisici. Nel XIX secolo la scoperta della natura elettromagnetica della luce ha posto le basi per passare dall’astronomia ottica all’osservazione sia dalla Terra sia dallo spazio ARTICOLI Oltre la luce Piero Benvenuti · unipd L’universo violento Giovanni Fabrizio Bignami · cospar I raggi cosmici un secolo dopo Bruna Bertucci · infn POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA Dal big bang ai buchi neri Paolo De Bernardis · inaf € 4,90 · www.planckonline.it Vedere l’universo piegarsi aLla lettera ANNO 1 NUMERO 1 APRILE 2011 LEGGERE L’UNIVERSO Piero Benvenuti · unipd Giovanni Fabrizio Bignami · cospar Bruna Bertucci · infn Paolo De Bernardis · inaf www.planckonline.it N.1 Anno I Aprile 2011 APERTURA 5 PLANCK ‘Ora non essendo i princìpi né uguali né della stessa specie, non si sarebbero potuti ordinare in un cosmo se non si fosse aggiunta l'armonia, in qualunque modo vi sia raggiunta. Se fossero stati simili e d'egual specie, non avrebbero avuto bisogno dell'armonia: ma gli elementi che sono dissimili e di specie diversa e diversamente ordinati, devono essere conchiusi dall'armonia che può tenerli stretti in un cosmo.’ FILOLAO DI CROTONE (470–390a.C.) / ASTRONOMO, MATEMATICO E FILOSOFO DELLA SCUOLA PITAGORICA E DSIETZOI O R INAEL E Anno 1 N.1 Aprile 2011 7 PLANCK COSE DI CUI ANDARE FIERI I successi della scienza italiana nell'età del degrado Da giorni penso alle parole giuste per il mio primo intervento su queste pagine. D'altra parte, mi dico, per un giornalista che da anni si dedica alla divulgazione astronomica e astrofisica, che cosa ci potrebbe essere di più entusiasmante che lavorare per una nuova rivista come Planck? Figuriamoci poi esserne il direttore responsabile. E in più riceverne l'incarico all'inizio di un anno già così speciale. Celebriamo questo mese il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, e c'è davvero tanta Italia a bordo di ams, il grande rivelatore di particelle che partirà in aprile a bordo della missione Shuttle sts‐134 per agganciarsi alla Stazione Spaziale Internazionale e studiare i raggi cosmici dallo spazio, a caccia di antimateria e materia oscura, per spiegare alcuni degli enigmi più intricati del cosmo. Come raccontano Roberto Battiston e Andrei Kounine a pagina 50, nell'esperimento – costato 1,5 miliardi di euro e la cui realizzazione è durata 16 anni – hanno un ruolo di primo piano l'Agenzia Spaziale Italiana e l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ma anche molte aziende aerospaziali nazionali che godono di fama e stima in tutto il mondo. Un po' come a Ginevra, dove lhc vede impegnato un numero formidabile di fisici e tecnici italiani, a cominciare da Fabiola Gianotti, Guido Tonelli, Paolo Giubellino e Pierluigi Campana, i portavoce dei quattro esperimenti in corso nel più ambizioso e complesso acceleratore di fisica delle particelle mai costruito. Piaccia o no, tutto questo è un prodotto di quella università pubblica italiana che – a detta del ministro che dovrebbe governarla e dei troppi economisti‐opinionisti‐riformisti che la denigrano dalla cattedra dell'università privata – genererebbe soltanto clientele e baronie. Sembra proprio che all'estero non siano d'accordo, se affidano ancora all'Italia e agli scienziati italiani ruoli di primissimo piano nelle più importanti collaborazioni internazionali, e se continuano ad assumere particelle più potente del mondo, in grado di giovani ricercatori italiani nei loro atenei. fornire tra i suoi fasci di protoni e antiprotoni Tutto questo fa riflettere. Perché è sempre quasi 2.000 gigaelettronvolt di energia, più più chiaro che il nostro grosso guaio non è di 2.000 volte la massa del protone. Grazie a una patologia del sistema dell'istruzione questa fantastica energia, negli anni novano della ricerca, quanto piuttosto la cronica ta l'esperimento cdf è riuscito a scoprire il impreparazione della classe dirigente politi- sesto quark, il top, che ha massa pari a 175 ca e imprenditoriale a sfruttare le occasioni gigaelettronvolt/c² ed è quindi la particella che la scienza mette loro a disposizione, per elementare più pesante mai scoperta. inseguire modelli di sviluppo miopi e di rePer molti anni il Tevatron è stato la bestia troguardia. Tanto più se si vanno a vedere i nera di lhc, entrato in funzione del 2009. quattro casi (Olivetti, Mattei, Ippolito e Ma- Nonostante lhc abbia un'energia di progetrotta) raccontati da Marco Pivato in Il mira- to sette volte maggiore e una luminosità ben colo scippato, di cui trovate una recensione cento volte più grande, Tevatron è entrato in questo numero. in funzione nella seconda metà degli anni È passato mezzo secolo, da quelle storie ottanta, quando lhc era ancora un'idea, e oscure e turpi. E mi viene da pensare che ha operato per oltre vent'anni migliorando nessuno, ma proprio nessuno, si è seria- le proprie caratteristiche. Con la scoperta mente preoccupato di imparare le lezioni del top nel 1995, il modello standard con sei del passato per progettare il futuro del pae- quark e tre famiglie di leptoni ha ricevuto la se. Però poi penso a tutti quelli che tengono sua definitiva conferma e il santo Graal è diduro, come i fisici di ams e lhc, ai ricercato- ventata la ricerca del bosone di Higgs. ri che uno stipendio da fame si arrampicano La vita del Tevatron è stata davvero piesui tetti per far sentire la loro protesta ma na di soddisfazioni e di sorprese: in più di poi anticipano comunque di tasca propria i trent'anni la fisica delle particelle ha visquattrini per partecipare ai congressi, ai gio- suto svolte radicali, e Tevatron con le sue vani che si iscrivono a fisica, chimica, biolo- scoperte è stato uno degli attori principali, gia perché credono nei valori dell'istruzione, dimostrando un'adattabilità straordinaria della ricerca, della cultura anche se sanno a nuovi tipi di esperimenti. La sua chiusura che probabilmente in patria non troveranno rappresenta il passaggio di testimone degli né sbocchi né opportunità. Stati Uniti all'Europa nel settore della fisica E grazie a loro mi accosto con animo più delle alte energie. sereno ai festeggiamenti per il 150o dell'UniConcludo ringraziando l'editore per la fità di Italia. Perché c'è ancora qualcosa di cui ducia che mi ha accordato; la redazione tutandare dannatamente fieri, in questo paese. ta, per l'accoglienza che mi ha riservato e la Voglio approfittare di questo mio primo pazienza con cui mi assiste in questa avvenintervento su Planck celebrando la pen- tura. E voi, naturalmente, i lettori di Planck. sione di Tevatron, protagonista della fisica È il nostro primo incontro, ma sono sicuro delle particelle, che sarà spento subito dopo che sarà l'inizio di un lungo viaggio insieme. l'estate. A fine settembre, infatti, il Tevatron Quello che ci accomuna, omaggiando le paCollider del Fermi National Accelerator La- role di Richard Feynamn, è l'emozione nel boratory, a Batavia, nell'Illinois, terminerà le «vedere l'universo piegarsi alla lettera». sue operazioni come collisore di particelle e tornerà a fornire fasci estratti di alta energia. Giuseppe Piazzi Per molto tempo è stato l'acceleratore di Direttore responsabile ESA / P. DIAMANTOPOLOUS SOMMARIO PLANCK 13 ANTEPRIME 15 OSSERVATORIO Piero Benvenuti Isaac Newton si è sbagliato: la gravità non esiste Guido Romeo Con il Large Hadron Collider è iniziata l'era della «Nuova Fisica» Sergio Ferraris In Italia la roulette russa degli enti vigilati Roberto Battiston Pavel Cerenkov, il nome della luce è russo Paolo De Bernardis La sindrome di Kessler e l'inquinamento spaziale Piergiorgio Odifreddi Il big bang di Galileo 25 NOTIZIARIO A ferrara una nuova scoperta sui buchi neri Addio a BeppoSax, l'occhio italiano nello spazio Scende la luce sui gamma ray burst oscuri Ancora sorprese dalla nebulosa di Orione vlt scopre l'oggetto più lontano dell'universo Il Brasile in procinto di entrare a far parte dell'eso Conto alla rovescia per Nespoli, astronauta italiano Messier 107, un ammasso globulare distanre 21 mila anni luce Il lungo viaggio nel tempo di Planck sta per iniziare asi presenta il nuovo piano da 7 miliardi di euro Plato, trentadue occhi alla caccia di sistemi solari Dati geologici rivelano la presenza di antichi laghi su Marte La missione Hubble compie vent'anni: è record La chiesa polacca concederà la sepoltura ufficiale a Copernico Analizzata per la prima volta l'atmosfera di una «superTerra» Evalso: il nuovo link ad alta velocità per gli osservatori cileni Sugli exopianeti la nasa vuole alzare la posta Getti coronali: una dinamica già osservata Kepler scopre il primo sistema extrasolare con sei pianeti La missione Discovery subisce un nuovo stop Italia e Israele: via al progetto Shalom La nuova politica spaziale europea hip 13044, un nuovo pianeta extragalattico vista: il telescopio d'avanguardia inizia i lavori Sessant'anni fa lo «zoo spaziale»: in orbita scimmie, ragni e api In copertina NGC 6611 è una grande regione visibile nella costellazione della Coda del Serpente; è formata da un ammasso di stelle associato ad una nebulosa catalogata come IC 4703. 9 N.1 Anno I APRILE 2011 SOMMARIO 11 PLANCK ONLINE 67 ARTICOLI 1. LEGGERE L'UNIVERSO APRILE 2011 L'informazione di ciò che esiste e avviene nell'universo è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata dai vari processi astrofisici. Piero Benvenuti Oltre la luce Notiziario Tutti gli articoli, notizie, aggiornamenti, recensioni e manifestazioni pubblicati su questo numero sono consultabili online insieme ad ulteriori notizie ed approfondimenti. La sezioni sono costantemente aggiornate. Giovanni Fabrizio BIGNAMI L'universo violento Bruna Bertucci I raggi cosmici un secolo dopo Paolo De Bernardis Dal big bang ai buchi neri www.planckonline.it/notiziario Podcast 119 L'uomo è attorno a Marte, il 12 marzo sul Pianeta Rosso PSR J0737–3039 conferma le teorie di Albert Einstein A 2 mila anni luce dalla Terra ecco il primo pianeta extragalattico Studio conferma tracce di vegetazione su Europa Si alza il sipario sul teatro cosmico di Planck Risolto il mistero delle stelle pulsanti La sonda nasa Deep Impact spia la cometa Hartley Quante masse ci vogliono per un buco nero? Sfida alle teorie sts–133: non prima del 24 aprile Lares e Vega verso il lancio Kepler scopre il suo primo esopianeta roccioso CNR: arriva il via libera al nuovo statuto Sul podcast di questo mese tutti gli approfondimenti relativi a notizie, articoli, aggiornamenti e recensioni pubblicati in questo numero. Il podcast è disponibile tramite iTunes oppure scaricabile dal sito. www.planckonline.it/podcast Video Esplora il vasto archivio video di Planck con notizie, aggiornamenti e documentari. 135 RECENSIONI La fisica di Feynman. Volumi I, II e III, RICHARD FEYNMAN La ricerca tradita, Tommaso Maccacaro Stanley Kubrick. Interviste extraterrestri, Anthony Frewin La guerra dei buchi neri, Leonard Susskind L'universo elegante, Brian Green Ingegni minuti, Lucio Russo e Emanuela santoni L'eleganza della verità. Storia della simmetria, Ian Stewart Il re del Sole. Racconto dell'astronomia moderna, Stuart Clark L'astrofisica è facile, Mike Lnglis Zero. La storia di un'idea pericolosa, Charles Seife Italo Calvino e la scienza, Massimo Bucciantini L'universo senza stringhe, Mee Smolin La fine del tutto, Chris Impey La musica del big bang, AMEDEO BALBI Il paesaggio cosmico, EMIL RUDER www.planckonline.it/videochannel Recensioni Consigli per la lettura, lo studio, la ricerca e la didattica in campo astronomico. www.planckonline.it/recensioni Manifestazioni Tenetevi aggiornati con i prossimi appuntamenti, mostre e conferenze. www.planckonline.it/manifestazioni AGGIORNAMENTI 149 MANIFESTAZIONI 156 LETTERE AN SE TZ E IPORNI M EE N.1 Anno I Aprile 2011 13 PLANCK LEGGERE L'UNIVERSO p.67 Antichi laghi su Marte L'esame delle ultime immagini di Marte suggeriscono che la superficie del Pianeta Rosso era una volta coperta di laghi. Questi, hanno lasciato evidenti segni geologici formati dai processi di sedimentazione. Notiziario p.38 Mars 500 simula atterraggio marziano Aggiornamenti p.102 La chiesa polacca seppellirà Copernico Per la storia della scienza è stato e resterà sempre un grande: fu lui a teorizzare e scoprire che la Terra gira intorno al Sole. Per la sua patria, la Polonia oggi libera, è uno dei massimi eroi. Notiziario p.46 Oltre la luce Nel xix secolo la scoperta della natura elettromagnetica della luce ha posto le basi per passare, nel secolo successivo, dall'astronomia ottica all'osservazione sia dalla Terra sia dallo spazio. Piero Benvenuti, Articoli, p.68 L'universo violento Tra poco saranno dieci anni che xmmNewton della European Space Agency funziona in orbita. Il racconto di quello che è successo nell'ultimo decennio nell'astrofisica delle alte energie. Giovanni Fabrizio Bignami, Articoli, p.82 ESA / IPMB Il telescopio VISTA inizia i lavori La scommessa di Westerlund 1 Notiziario p.59 Aggiornamenti p.130 I raggi cosmici un secolo dopo Il 99% della radiazione cosmica è composta da nuclei atomici. Il resto sono fotoni, elettroni, neutrini e tracce di antimateria. L'identificazione delle sorgenti è invece un problema ancora irrisolto. Bruna Bertucci, Articoli, p.93 Dal big bang ai buchi neri Oggi sappiamo che l'universo è nato dal big bang, ha una geometria euclidea ed è in espansione accelerata. Resta però ancora da chiarire la natura della materia e dell'energia oscura. Paolo De Bernardis, Articoli, p.102 PSR J0737-3039 conferma le teorie di Einstein Il sistema di due pulsar scoperto nel 2003 dal Gruppo Pulsar italiano e i suoi partner internazionali con il radiotelescopio australiano di Parkes, ha mantenuto le promesse. Ecco i primi risultati. Aggiornamenti, p.122 ESO / VISTA ESO N.1 Anno I Aprile 2011 O S S E RVAT O R I O 15 PLANCK Federico Rampini Isaac Newton si è sbagliato: la gravità non esiste 16 NATIONAL PORTRAIT GALLERY Piergiorgio Odifreddi Il big bang di Galileo Galilei 23 Guido Romeo Con il Large Hadron Collider è iniziata l'era della «Nuova Fisica» 16 Sergio Ferraris In Italia la roulette russa degli enti vigilati 19 Roberto Battiston Pavel Cerenkov, il nome della luce è russo 20 Paolo De Bernardis La sindrome di Kessler e l'inquinamento spaziale 20 16 OSSERVATORIO FISICA Isaac Newton si è sbagliato: la gravità non esiste Federico Rampini Giornalista e scrittore italiano. Ha insegnato alla Berkeley University. Nel 2009 torna a fare l'inviato de La Repubblica negli Stati Uniti. RIVOLUZIONI Con LHC inizia l'era della «Nuova Fisica» Guido Romeo Giornalista scientifico. Le sue collaborazioni includono LeScienze, La Stampa, Il Corriere della Sera, Scientific American, New Scientist, The Lancet e Nature. PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 La teoria della gravità è forse la più formidabile legge della fisica, il principio più evidente e universale perché corrisponde a un'esperienza empirica irresistibile. Il bambino ancora non sa parlare e uno dei primi giochi in cui si trastulla dal seggiolone, consiste nel far cadere il cucchiaio della pappa. Lo spettacolo è affascinante nella sua ripetitività. Afferra il cucchiaio, lo solleva, lo lascia cadere, e ogni volta il miracolo si ripete: quell'oggetto viene attratto irresistibilmente a terra, costringendo il paziente genitore a raccoglierlo. Ognuno di noi all'età di 18 mesi è stato Newton senza saperlo. Ebbene, ricrediamoci: la forza di gravità è un'illusione, una beffa cosmica, o un effetto collaterale di qualcos'altro che avviene a un livello molto più profondo della realtà. L'abbandono di Newton era già stato anticipato dalla relatività di Albert Einstein ma ora avviene una rottura ancora più radicale. Un celebre fisico matematico olandese-americano, il 48enne Erik Peter Verlinde sta agitando il mondo accademico degli Stati Uniti con una serie di conferenze in cui fa a pezzi la teoria della gravità. Da Harvard a Berkeley, i colleghi scienziati lo stanno prendendo molto sul serio. La sua nuova visione infatti può gettare una diversa luce su alcuni dei grandi temi della fisica contemporanea: la cosiddetta «energia oscura» (dall'inglese dark energy), una sorta di anti-gravità che sembra accelerare l'espansione dell'universo, o la materia oscura che ipoteticamente tiene unite le galassie. Andrew Strominger, fisico‐matematico di Harvard, è uno dei colleghi di Verlinde che non nasconde la sua ammirazione: ‘Queste idee stanno ispirando discussioni molto interessanti, vanno dritte al cuore di tutto ciò che non comprendiamo del nostro universo’. Verlinde è l'ultimo di una serie di scienziati che da trent'anni a questa parte stanno smantellando pezzo dopo pezzo la teoria della gravità. Negli anni Settanta Jacob Bekenstein e Stephen Hawking hanno esplorato i legami tra i buchi neri e la termodinamica. Negli anni novanta Ted Jacobson ha illustrato i buchi neri come degli ologrammi, le immagini tridimensionali usate per la sicurezza delle nostre carte di credito: tutto ciò che è stato inghiottito ed è sparito dentro i buchi neri dell'universo, è presente come un'informazione stampata nell'ologramma, sulla superficie esterna. Juan Maldacena dell'Institute for Advanced Study ha costruito un modello matematico dell'universo espresso come un La tensione per un attimo si allenta, scoppiano gli applausi e non mancano le lacrime di commozione. Per molti questo è il punto di arrivo di oltre vent'anni di lavoro e oltre otto miliardi di euro necessari per risolvere problemi scientifici e ingegneristici senza precedenti. Basti pensare che quando il progetto fu approvato, nel 1995 ,gran parte delle tecnologie che oggi lo fanno funzionare nemmeno esistevano. Ma soprattutto è l'inizio di una nuova era. ‘È un momento fantastico – esclama Lyn Evan, leader del progetto LHC – perché ora possiamo finalmente cominciare a svelare com'è nato e si è evoluto il nostro universo’. Quella di ieri è stata una giornata intensa, cominciata già prima dell'alba al CERN. Il primo passo è avvenuto nei laboratori in superficie del CERN, con la sottrazione di elettroni a migliaia di atomi di idrogeno gassoso per isolarne i protoni che ne costituiscono il nucleo e spingerli fino a circa un terzo della velocità della luce con un acceleratore lineare, assai meno potente dell'LHC. Il passo successivo è stato l'ingresso di questi protoni pre-accelerati in un booster, un anello che li spinge fino al 91% della velocità della luce convogliandoli poi in una seconda struttura circolare. È il vecchio sincrotrone a protoni costruito 50 anni fa, ma ancora efficientissimo grazie a numerosi upgrade, che a regime sparerà le particelle fino al 99,9999991% della velocità della luce fino a un'energia di 25 gigaelettronvolt. A questo punto il fascio di particelle, più sottile di un capello umano, ma velocissimo, è fatto scendere 40 metri nel sottosuolo per raggiungere l'SPS, il sincrotrone grazie al quale il Nobel italiano Carlo Rubbia, presente al test, ha scoperto i bosoni W e Z. Questo è l'ultimo passo prima dell'LHC vero e proprio e molti, nella sala controllo in superficie, hanno sicuramente trattenuto il fiato quando intorno alle 9.30 è cominciata l'attesa per il passo finale verso l'LHC. Che è arrivato con l'ingresso del primo fascio di particelle in senso orario e la conferma che tutti i 27 chilometri dell'anello venivano percorsi senza problemi. Questo era uno dei punti più delicati dell'LHC, perché per far curvare particelle che sfiorano la velocità della luce, e poter quindi essere alloggiato nello stesso tunnel costruito anni fa per un acceleratore più piccolo, ha dovuto sviluppare magneti potentissimi. La prima iniezione di protoni in senso orario nell'LHC è stata un successo anche in termini storici. Nessuno infatti sembrava im- N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK OSSERVATORIO 17 barattolo di minestra in conserva. Tutto ciò che accade dentro il barattolo, inclusa quella che chiamiamo la gravità, è sintetizzato nell'etichetta incollata all'esterno: fuori invece la gravità non esiste. L'idea di Verlinde è questa: la forza di gravità è il sottoprodotto dell'insana tendenza della natura a massimizzare il disordine. Non preoccupatevi: molti fisici dicono di non comprendere il lavoro di Verlinde, ed altri sono parecchio scettici. Tuttavia parte dell'ambiente della fisica sembra concordare sul fatto che l'ipotesi di Verlinde sia un punto di vista nuovo su un problema vecchio come quello della gravità e dello spazio-tempo. ‘Alcune percone dicono che non possa aver ragione – dice Andrew Strominger, fisico delle stringhe ad Harvard – altri che abbia ragione e che già si sapeva. Qualcosa di giusto e profondo, o di giusto ed ovvio. Quello che bisognerebbe dire è che si è ispirato a molte discussioni interessanti. È una collezione di idee interessanti che toccano cose che non comprendiamo sul nostro universo. È per questo che mi è piaciuto il suo lavoro’. Lee Smolin, un fisico teorico del Perimeter Institute for Theoretical Physics, ha addirittura definito il lavoro di Verlinde come ‘una delle ricerche più importanti degli ultimi 20 anni’. Verlinde, assieme al suo gemello Herman, professore di Princeton, sono lanciati nella ricerca della vera natura della gravità. Sono noti nell'ambiente per le loro doti matematiche nel campo della teoria delle stringhe portata ai massimi estremi. Tant'è che hanno inventato l'«Algebra di Verlinde» e la «formula di Verlinde», elementi fondamentali della famosa «teoria del tutto». È a questo punto che entrano in gioco i gemelli e il ladro, che sembrano presi da sceneggiature di film surrealisti. Lo scienziato Erik Verlinde, autore di una formula algebrica che porta il suo nome, ha un fratello monovulare: Herman. Le loro due vite sono state identiche per molto tempo. I gemelli sono due matematici molto rispettati. Si sono laureati insieme all'università olandese di Utrecht nel 1988, insieme andarono in America per proseguire gli studi a Princeton, dove tutti e due ottennero la cattedra. Sposarono due sorelle. Divorziarono. E solo a questo punto una leggera discrepanza si è introdotta nel meccanismo delle loro vite speculari. Herman è rimasto a Princeton, Erik ha deciso di vivere ad Amsterdam per essere più vicino ai figli. L'estate scorsa, mentre era in vacanza nel sud della Francia, un ladro gli portò via il laptop, le chiavi di casa, il passaporto. ‘Fui costretto a fermarmi una settimana in più’, racconta Erik. Una settimana di cogitazioni che è stata fatale per l'eredità di Newton. Pensate all'universo come una scatola dello scrabble (lo scarabeo, ndr), il gioco in cui si compongono parole con le lettere dell'alfabeto. Se agitate la scatola e sparpagliate le lettere a caso, c'è una sola possibile combinazione che può darvi una poesia del Leopardi. Una quantità pressoché infinita di combinazioni non hanno alcun significato. Più scuotete la scatola delle lettere più è probabile che il disordine aumenti via via che le lettere si combinano per ordine di probabilità. Questo è il nuovo modo di vedere la forza di gravità, come una forma di entropia. Se non è chiaro che cosa la sostituirà, e ancora siamo ben lontani dall'immaginare le possibili applicazioni pratiche, su un punto Verlinde è categorico: ‘Il re è nudo. Da tempo si era capito che la gravità non esiste. Ora è il momento di gridarlo’. maginare, e forse nemmeno sperare, che tutto ciò potesse essere fatto in meno di un'ora. Per gli stessi test, il predecessore dell'LHC, il collider LEP (Large Electron Positron) aveva richiesto ben 12 ore. L'esito è stato talmente incoraggiante che poco dopo la prima prova gli scienziati hanno deciso di tentare la fortuna una seconda volta, sparando i protoni in senso opposto. Una doppietta azzeccata che ha esaltato la comunità di fisici presenti al Cern, ma anche nel resto del mondo. ‘Ci sono moltissimi giovani che hanno lavorato a questi esperimenti e per costruire questa macchina, e che potranno dire: io c'ero’, – sottolinea Roberto Petronzio, il presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che ha avuto un ruolo fondamentale nel coordinare lo sviluppo scientifico e tecnologico del progetto, in particolare nei confronti con l'industria. È ufficiale: LHC non si fermerà nel 2012 come era previsto in un primo tempo, ma continuerà la sua corsa alla ricerca di «nuova fisica» nei prossimi 24 mesi. La macchina verrà fermata solo alla fine di questa lunga cavalcata e verrà preparata per la seconda fase, quando l'energia per fascio sarà portata al valore record di 7 TeV. La decisione è stata resa nota oggi da un comunicato del CERN, ed è stata presa durante l'annuale riunione del management del laboratorio europeo a Chamonix, nei giorni scorsi. L'indicazione è contenuta anche in un report presentato sempre oggi dal Machine Advisory Committee. Nel report si annuncia che l'energia per fascio sarà, da qui al 2012 compreso, di 3,5 TeV, ma non ufficialmente c'è chi spera di raggiungere il valore di 4 TeV. Liquidati invece gli allarmismi degli ultimi giorni, anche se in realtà le collisioni tra particelle non avverranno che tra diverse settimane. ‘L'esperimento è da considerare assolutamente a rischio zero’ ha ribadito Luciano Maiani, oggi direttore del Cnr e alla guida del Cern dal 1998 al 2003. ‘Tramite l'osservazione le stelle – dice Margherita Hack – abbiamo guardato indietro nel tempo, fino a osservare l'universo quando era giovanissimo, 13 miliardi di anni fa. Ma ora con l'LHC si cercherà di riprodurre le stesse condizioni di temperatura per vedere le particelle che si erano formate all'origine dell'universo’. Tra tutti gli esperimenti che saranno realizzati, quello senza dubbio più affascinante, e che costituisce uno dei principali motivi che hanno portato alla costruzione dell'LHC, riguarda il problema della massa. Infatti, i teorici ritengono che per completare il modello standard delle particelle elementari e delle interazioni fondamentali manchi ancora un tassello importante, una particella elusiva che nessuno ha mai osservato e alla quale si dà la caccia da oltre vent'anni: qualcuno l'ha definita, fantasiosamente, la «particella di Dio» ma è meglio nota come il bosone di Higgs. Non solo, esperimenti altrettanto interessanti riguarderanno la ricerca delle particelle candidate per la materia scura, la verifica dell'esistenza, o meno, delle dimensioni extra e delle superparticelle. Nei prossimi post, mi riserverò di approfondire questi argomenti. Gli obiettivi che i fisici sperano di raggiungere vanno ben al di là di quelle che sono le aspettative. Di fatto, gli scienziati si aspettano di trovare le risposte alle domande sul perché esistono varie tipologie di particelle, se ad un certo valore di energia tutte le forze diventano una sola. Il nuovo appuntamento per l'LHC è fissato al mese prossimo, quando i due fasci di particelle saranno sincronizzati. CONTATTI rampini.blogautore.repubblica.it CONTATTI guidoromeo.nova100.ilsole24ore.com N.1 Anno I APRILE 2011 RICERCA In Italia la roulette russa degli enti vigilati Sergio Ferraris Giornalista e divulgatore scientifico. Collabora con New Scientist, Nature e La Repubblica. PLANCK OSSERVATORIO 19 Gli attacchi del governo Berlusconi alla come funziona la ricerca in Europa oggi. ricerca sono poco lungimiranti. La ricerca è La ricerca italiana ha voglia di merito e stata considerata come una normale voce di trasparenza: lo sentiamo dire da tempo, con spesa alla stregua di mille altre e non come pochi riscontri e molto scetticismo. Forse è un investimento per costruire un'economia arrivato il momento di abbandonare le podella conoscenza degna del ventunesimo lemiche e fare scelte coraggiose, mettendo a secolo. sistema quanto di buono esiste già nel nostro C'è la ricerca, rappresentata dal Cnr o paese. Nella sua proposta di rilancio della dall'Agenzia Spaziale Italiana; c'è la salute ricerca italiana, presentata a Padova dal pre(Istituto Superiore di Sanità, Lega Italiana per sidente Luca di Montezemolo nel corso della la Lotta ai Tumori), gli enti di controllo del giornata Ricerca, l'Italia che merita, Telethon volo (Enav e Enac), i porti, i parchi naziona- ha messo a disposizione delle istituzioni la li e una serie di realtà minori, come l'istituto propria ventennale esperienza nel selezioitaliano per l'Africa e l'Oriente o l'istituto na- nare e finanziare ricerca eccellente. Un'eccelzionale di beneficienza Vittorio Emanuele II. lenza confermata dai numeri, che parlano di Tutti enti vigilati dei ministeri, a cui la mano- 2.213 progetti finanziati, 306 milioni di euro vra taglia del 50% le risorse da girare alle am- investiti, 7.047 articoli scientifici pubblicati e ministrazioni che controllano: entro la fine di soprattutto 13 bambini definitivamente curati questa settimana, ogni ministero dovrà fissa- da una gravissima immunodeficienza e nure in un decreto la distribuzione dei soldi che merosi studi clinici avviati su diverse malattie rimangono. genetiche. A stabilirlo è il decreto con la manovra Cuore della proposta è la costituzione di correttiva, in una norma che il maxiemen- un'agenzia di valutazione e finanziamento damento governativo non ha ritoccato. Con della ricerca che assegni i fondi statali metil taglio del 50% nei finanziamenti garantiti tendo i progetti di ricerca in competizione tra ogni anno dalle rispettive amministrazioni vi- loro e valutandoli esclusivamente attraverso gilanti, la manovra che sarà approvata in set- criteri di peer review. Un recente atto a livello timana alla camera riserva il trattamento più di ricerca pubblica è stato fatto dal ministero duro nel panorama del rigore a tutto campo del Welfare alla fine del 2008, con l'elaboramesso in atto. Alla lotteria non manca la su- zione di un meccanismo di assegnazione dei spence, perché la coperta è corta: taglio line- fondi che ha previsto la collaborazione con are (50% a tutti) o distribuzione più sofisticata, gli NIH statunitensi. Inaugurato con il Bani sacrifici difficilmente faranno eccezioni. do Giovani Ricercatori 2008, questo sistema L'intervento è da primato non solo nella ha fatto ricorso al contributo del Center for misura dei tagli, ma anche nei tempi. Perché Scientific Review, l'agenzia di valutazione a differenza di regioni, enti locali e ministeri degli NIH, che ha scelto nel panorama interqueste realtà non dovranno aspettare il 2011 nazionale i ricercatori più adatti a valutare i per vedersi dimezzare i budget; la sforbiciata progetti presentati dai loro colleghi italiani. è immediata, e calcolata in base ai fondi asseLa proposta presentata da Telethon e cognati l'anno scorso. La manovra è blindata, e firmata da LUISS, Università Bocconi, Istituto margini di correzione a Montecitorio non ce Veneto di Medicina Molecolare, INAF e Grupne sono, perché i tempi di conversione non po 2003 riconosce il modello degli NIH come lo consentono (la scadenza è a fine mese), e quello di riferimento, ma propone di crearne vista l'entità delle misure in gioco basterebbe uno italiano e di istituzionalizzarlo. L'agenzia il minimo spiraglio a far ripartire la giostra in- nazionale avrebbe perciò il compito di applifinita delle richieste di modifica. care il modello ogniqualvolta si assegnino Se passa, come previsto, la legge provoche- fondi pubblici alla ricerca scientifica. Di fatto, rebbe il licenziamento di quasi duemila ri- si tratterebbe di replicare su scala nazionale cercatori precari, che costituiscono l'ossatura quanto fatto dalla Fondazione Telethon, che degli istituti di ricerca italiani perennemente agisce da vent'anni come agenzia di finanziaa corto di personale, e metà di essi sono già mento riuscendo a generare un vero paradosstati selezionati per posizioni a tempo inde- so: una piccola charity italiana che compete a terminato. livello mondiale in un settore di nicchia della La conclusione è drastica: Berlusconi non ricerca come quello delle malattie genetiche deve considerare solo i guadagni a breve ter- rare. mine attuati attraverso un sistema di decreti facilitato da ministri compiacenti. Se vuole preparare un futuro realistico per l'Italia, come ci si aspetta, il governo non dovrebbe CONTATTI riferirsi pigramente al passato, ma capire www.sergioferraris.it 20 OSSERVATORIO PERSONAGGI Čerenkov il nome della luce è russo Roberto Battiston Professore ordinario di fisica sperimentale all'Università di Perugia. RIVOLUZIONI La sindrome di Kessler Paolo De Bernardis Professore di Astrofisica e Cosmologia Osservativa all'Università La Sapienza di Roma e co-investigator del satellite Planck (ESA). PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 Pavel Alekseevic Cerenkov, classe 1904, è stato un fisico russo che a preso il Nobel per aver scoperto nel 1932 il fenomeno che porta il suo nome, l'emissione di luce Cerenkov. È un effetto fisico di grande interesse, spiegabile con la teoria classica dell'elettrodinamica, che viene oggi sfruttato negli esperimenti di fisica delle alte energie per misurare con precisione la velocità delle particelle relativistiche. La luce attraversa i diversi materiali con una velocità minore che nel vuoto, e la misura di questo rallentamento è data dall'indice di rifrazione n, un numero sempre maggiore o uguale a 1: n è tanto più grande quanto più lentamente viaggia la luce in quel mezzo. Per esempio, nell'acqua la luce è più lenta di un terzo, e in certi vetri va due volte più piano che nel vuoto. Ma le particelle cariche possono attraversare la materia da una velocità prossima a quella della luce. Essendo cariche sono circondate da un campo elettrico formato da fotoni, ancorché virtuali: di norma, infatti, una carica elettrica non emette luce. Quando però attraversa un mezzo con un indice di rifrazione maggiore di 1 la luce rimane indietro rispetto alla particella, creando un caratteristico cono di luce rispetto alla direzione di moto della particella quanto più grande è l'indice di rifrazione del mezzo. Quello che è meno noto è come questo effetto sia stato scoperto dal giovane Cerenkov quando era dottorando dell'accademico Nikolai Vavilov all'Istituto di Fisica di San Pietroburgo. Cerenkov era stato incaricato dello studio della debole luminescenza emessa dai sali di uranio bombardati da raggi gamma. Per misurare questo effetto si usava un collimatore che veniva chiuso progressivamente fino a che l'intensità luminosa scendeva al di sotto della soglia di rivelazione del sensore. Piccolo dettaglio: il sensore era l'occhio dello studente Cerenkov, che si sottoponeva metodicamente a quotidiane sedute di misura, dopo essersi adattato al buio per almeno un'ora. Durante queste sedute Cerenkov osservò per caso un fenomeno molto strano, una debolissima emissione di luce blu da parte di raggi gamma che attraversavano un contenitore acido solforico. Secondo la teoria della relatività è impossibile per un corpo dotato di massa superare o eguagliare la velocità della luce. Accelerare fino alla velocità della luce una particella con massa inerziale non nulla richiederebbe una quantità di energia infinita. Tuttavia, se La Sindrome di Kessler è uno scenario, proposto nel 1991 dal consulente NASA Donald J. Kessler, nel quale il volume di detriti spaziali che si trovano in orbita bassa intorno alla Terra diventa così elevato che gli oggetti in orbita vengono spesso in collisione, creando così una reazione a catena con incremento esponenziale del volume dei detriti stessi e quindi del rischio di ulteriori impatti. La conseguenza diretta del realizzarsi di tale scenario consiste nel fatto che il crescente numero di rifiuti in orbita renderebbe l'esplorazione spaziale, e anche l'uso dei satelliti artificiali, impossibile per molte generazioni. Ogni satellite artificiale, sonda spaziale e missione con equipaggio può rappresentare una sorgente di rifiuti spaziali. Siccome il numero di satelliti in orbita è in aumento e i vecchi apparecchi diventano obsoleti, il rischio di una sindrome di Kessler cresce continuamente. Fortunatamente all'altezza delle orbite basse, che sono quelle comunemente più usate, la resistenza residua dell'aria, producendo la combustione degli oggetti in caduta, aiuta a mantenere questa zona sgombra. Anche le collisioni che avvengono al di sotto di questa altitudine non costituiscono un problema, dal momento che la perdita di energia nella collisione fa in modo che le orbite dei frammenti abbiano un perigeo di nuovo al di sotto di tale quota.Ad altitudini superiori a quelle in cui la resistenza atmosferica è significativa, la persistenza dei rifiuti prima del decadimento dell'orbita risulta molto maggiore. Una debole resistenza aerodinamica, l'influenza della luna e la resistenza del vento solare possono portare gradualmente i rifiuti verso quote inferiori da cui poi i frammenti finiscono per rientrare sulla Terra, ma se la quota iniziale è molto elevata questo processo può durare dei millenni. La sindrome di Kessler è particolarmente insidiosa a causa del cosiddetto effetto cascata o effetto domino. Infatti le velocità relative degli oggetti in orbita possono superare i 10 km/s. L'energia cinetica della collisione tra due oggetti di massa piuttosto grande crea una nuvola di detriti sotto forma di schegge lanciate in direzioni casuali. Ogni frammento ha quindi il potenziale per indurre ulteriori impatti, creando un numero ancora maggiore di rifiuti spaziali. Con una collisione abbastanza grande, la quantità di detriti prodotti a cascata potrebbe essere sufficiente a rendere il livello di orbita bassa praticamente inattraversabile. N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK OSSERVATORIO 21 quella particella viaggia in un mezzo, allora è possibile che la velocità della particella sia maggiore della velocità che la luce possiede all’interno di quel mezzo. Se la particella è carica allora la sostanza può emettere radiazione. Cerenkov intendeva studiare la luminescenza emessa da certe soluzioni liquide quando vengono sottoposte ai raggi di una sorgente di radio. Egli si accorse che accanto alla luminescenza era presente un’altra forma di radiazione emessa dai solventi stessi. Cerenkov verificò che molti liquidi puri, come l’acqua e il benzolo, emettono una luce blu se irraggiati. Al contrario della luminescenza, che è diffusa uniformemente su tutte le direzioni, la radiazione rivelata da Cerenkov veniva emessa lungo la direzione dei raggi. La spiegazione del fenomeno venne trovata pochi anni dopo da altri due fisici russi: Il’ja Mikhailovic Frank e Igor Evgenevic Tamm. Secondo i due scienziati la causa diretta della radiazione era dovuta non ai raggi, ma alle particelle cariche prodotte da questi nel mezzo. Supponiamo che un elettrone sia in moto con velocità costante in un solido o in un liquido (che per semplicità immagineremo composti da molecole non polari). Poiché l’elettrone è carico, esso lungo il cammino polarizza il mezzo, cioè deforma gli orbitali delle molecole che lo costituiscono: le cariche positive sono attratte dall’elettrone, mentre le cariche negative ne vengono respinte. Nelle molecole si creano quindi dei dipoli elementari. La curiosità è il motore della ricerca scientifica, e il nostro studente iniziò metodicamente a studiare la causa e l'effetto di questo effetto, prima cercando di capire se fosse un effetto spurio, poi variando le condizioni della misura e osservando come questo effetto fosse indipendente da ogni variazione ambientale e come invece questa luce fosse polarizzata e asimmetrica rispetto alla direzione di moto delle particelle. Dopo tre anni di ricerche, grazie al decisivo supporto di Vavilov, che mandò questi risultati a Philipp Frank, uno degli esperti di elettrodinamica del tempo, le ragioni fisiche di questo fenomeno furono chiarite, verificando tra l'altro una serie di previsioni fatte da Oliver Heaviside e Arnold Sommerfeld alla fine del XIX secolo. È interessante ricordare che questa luminescenza bluastra era stata osservata da Marie Curie nel 1910, che però non approfondì la questione. Avrebbe forse potuto prendere il suo terzo premio Nobel, che invece andò nel 1958 a Cerenkov per la scoperta sperimentale e a Frank e Igor Tamm per la spiegazione teorica di questa emissione luminosa. Altre curiosità: Vavilov sostenne sempre che il lavoro di ricerca del suo studente, e non gli fece ombra con la sua fama e importanza accademica. Sembra una storia d'altri tempi, ma contiene una lezione valida anche per la scienza di oggi: scoperte fondamentali fatte da giovani studenti e sfuggite all'indagine di premi Nobel, strumentazione di una semplicità incredibile unita a una grande curiosità e tanto rigoroso lavoro, supporto forte e continuo ma allo stesso tempo grande rispetto scientifico da parte di coloro che hanno autorità decisionale. Anche oggi, nei luoghi dove si fanno scoperte e ricerca vera, le cose vanno esattamente così. Chi ha orecchie per intendere, intenda. intenditori. Questa lezione difficilmente può trovare, neanche un seguito, ma neppure un parallelo con quello che accade oggi nei nostri confini. Ci vorrebbe un passo indietro, ma si sa, sono proprio questi i più difficili. Il problema dei rifiuti spaziali è molto difficile da risolvere in maniera diretta, dal momento che le piccole dimensioni e le alte velocità che caratterizzano la maggior parte dei rifiuti rendono praticamente inattuabile il loro recupero e smaltimento. Lo scorso febbraio, un satellite della costellazione Iridium e un satellite per telecomunicazioni russo in disuso si sono scontrati a 800 chilometri di quota alla velocità di più di 10 chilometri al secondo, 36 mila chilometri all'ora, circa 3o volte la velocità di una pallottola di fucile. Il violentissimo impatto ha creato una nube di 600 frammenti sufficientemente grandi da essere visti dai sistemi di sorveglianza sulla Terra, ma si pensa siano complessivamente almeno 1 milione. L'impatto ha rilasciato una quantità di energia pari a 10 volte quella del tritolo, 100 volte più grande di quella generata quando la Cina centrò con un missile uno dei suo satelliti nel 2007. Lo spazio, per quanto vasto, non può contenere un numero eccessivo di frammenti in regioni in cui orbitano molti satelliti la cui esistenza è messa a rischio dagli urti con proiettili iperveloci. La lista degli incidenti comincia a essere impressionante. Negli ultimi vent'an- ni sono avvenute almeno dieci collisioni importanti, che per lo più hanno danneggiato satelliti inattivi. Infatti, grazie a un controllo continuo, ai satelliti in funzione viene fatta fare una sorta di slalom spaziale, per evitare i frammenti più voluminosi. Di molte migliaia di questi frammenti è continuamente controllata l'orbita, ma evidentemente qualcosa è andato storto nel caso del satellite Iridium. La densità di questa spazzatura spaziale non è uniforme. Mostra un picco a 900 chilometri, altezza tipica delle orbite dei satelliti per telecomunicazioni. Un secondo picco, un po' meno marcato, è 1500 chilometri. Ma anche la Stazione Spaziale Internazionale, che orbita a 300–400 chilometri con il suo prezioso carico di astronauti, è esposta a questo pericolo, e viene fatta periodicamente spostare dall'orbita, così come Hubble, l'osservatorio spaziale Fermi e tutti i satelliti scientifici che tipicamente operano a circa 500 chilometri di quota. La situazione potrebbe sfuggire di mano da un momento all'altro: se infatti il numero di detriti spaziali è così alto da renderne sufficientemente probabile l'urto con un satellite, la creazione di altri frammenti aumenterebbe la probabilità d'urto, e così via fino a distruggere tutti i satelliti messi in orbita. È la cosiddetta «sindrome di Kessler», una sorta di reazione a catena ipotizzata nel 1991 da un consulente della nasa, che – se attivata – di fatto impedirebbe l'uso delle orbite basse intorno al nostro pianeta. Che cosa si può fare per ovviare a questo problema? Prima di tutto non aggravarlo, evitando in tutti i modi ulteriori collisioni, perfezionando lo slalom spaziale dei satelliti operativi. In secondo luogo mettendo in orbita satelliti ecologici, in grado di rientrare nell'atmosfera ed essere distrutti una volta finita la loro vita operativa. Terzo, proteggendo i satelliti con scudi in grado di fermare per lo meno i frammenti più piccolo. Questi scudi sono basati sul principio dei giubbotti antiproiettile, strati di materiali opportunamente scelti per frammentare e assorbire i detriti spaziali. Difficile invece è porre rimedio all'inquinamento già esistente. A causa dell'attrito con i gas residui dell'alta atmosfera, i frammenti tendono lentamente a scendere e bruciare nell'atmosfera, ma il tempo necessario si misura in centinaia di migliaia di anni. CONTATTI www.robertobattiston.it CONTATTI [email protected] N.1 Anno I APRILE 2011 STORIA Il big bang di Galileo Galilei Piergiorgio Odifreddi Professore ordinario di logica all'Università di Torino e visiting professor alla Cornell University di Ithaca, New York. PLANCK OSSERVATORIO 23 Qualunque studente delle superiori cono- dal Sole dalla quale un corpo in caduta libera sce il principio d'inerzia – un corpo permane arriva sull'orbita del pianeta con una velocità nel suo stato di quiete o di moto rettilineo pari a quella orbitale, e di vedere se le distanuniforme, a meno che non intervenga una ze per i vari pianeti coincidono. La cosa non forza esterna a modificare il suo strato – e è insensata, perché la velocità orbitale di un sa che è una delle scoperte di Galileo. Pec- pianeta è tanto maggiore quanto più esso è cato che non lo sapesse lui, che non ha mai vicino al Sole, e dunque quanto più a lungo enunciato il principio in questa forma, ma esso cade ed accelera. Nella quarta giornata dei Discorsi Galileo se l'avesse fatto l'avrebbe enunciato così: ‘Un corpo permane nel suo stato di quiete o di afferma di ‘aver una volta fatto il compiuto, ed moto circolare uniforme, a meno che non in- anco trovatolo assai acconciamente rispontervenga una forza esterna a modificare il suo dere alle osservazioni’. Ma in una lettera a stato’. Aggiungendo: ‘Un corpo non permane Richard Bentley del 25 febbraio 1692 Newton nel suo stato di moto rettilineo, che si modifi- dimostrò che si sbagliava: ‘Non c'è un luogo ca spontaneamente in uno stato di moto cir- comune dal quale, se si lasciano cadere tutti i pianeti ed essi discendono con gravità unicolare uniforme’. Lo prova, per esempio, questo brano del forme ed eguale, al loro arrivo nelle diverse Dialogo (pagina 56 dell'edizione naziona- orbite essi acquisiscano le velocità con le le): ‘Concludo per tanto, il solo movimento quali vi orbitano’. Per convincersene, basta circolare poter naturalmente convenire a i ricordare che un corpo in caduta libera con corpi integrali integranti l'universo e costruiti accelerazione uniforme di gravità g, al tempo nell'ottima disposizione. Ed il retto, al più che t ha una velocità vt e ha percorso uno spazio si possa dire, essere assegnato dalla natura ai gt²/2: eliminando t, lo spazio percorso è v²/2g. suoi corpi e parti di essi, qualunque volta si Ma per la terza legge di Keplero, il quadrato ritrovassero fuori de' luoghi loro, costituite in del periodo di rivoluzione di un pianeta in orprava disposizione, e però bisognose di ridur- bita circolare attorno al Sole è proporzionale si per la più breve allo stato naturale. Di qui al cubo del raggio r: poiché il periodo è pari mi par che assai ragionevolmente si possa alla circonferenza dell'orbita 2πr divisa per concludere, che per mantenimento dell'ordi- la sua velocità, il quadrato di quest'ultima è ne perfetto tra le parti del mondo bisogni dire pari a k/r per un'appropriata costante k. Dunche le mobili siano mobili solo circolarmente, que, un pianeta che parta da una distanza e se alcune ve ne sono che circolarmente non r+(k/2gr) arriva in caduta libera sull'orbita si muovano, queste di necessità siano immo- con la corretta velocità qualunque sia g, e due bili, non essendo altro, salvo che la quiete pianeti possono arrivarci dallo stesso punto e 'l moto circolare, atto alla conservazione solo se g è uguale al doppio prodotto dei raggi delle loro orbite diviso per k. dell'ordine’. Ma non c'è nessun punto da cui tre o più Non stupisce che, con queste premesse, Galileo abbia cercato, sulla base di un mito pianeti con orbite diverse ci arrivino, con da lui attribuito al Timeo, di identificare il buona pace di Galileo e del divino Architetto. Galileo ha lasciato il nome generico di punto di origine come di tutti i moti planetari, che costituisce un analogo dell'orizzonte del «mari» alla macchie che si vedono sulla Luna nostro big bang. Il problema è così enuncia- ma non riuscì a imporre ai satelliti di Giove to nel Dialogo (pagina 53): ‘Figuriamoci, tra i che aveva scoperto il nome di Stelle Medicee, decreti del divino Architetto essere stato pen- operazione certamente un po’ cortigiana ma siero di crear nel mondo questi globi, che noi ben comprensibile in quei tempi. Fu il suo veggiamo continuamente muoversi in giro, nemico e rivale Simon Mayr a battezzarli ed aver stabilito il centro delle lor conversioni (e anche a contendergli disonestamente la ed in esso collocato il Sole immobile, ed aver scoperta). In modo simile, William Herschel poi fabbricati tutti i detti globi del medesimo dovette subire il nome di Urano per il pianeta luogo, e di lì datali inclinazione di muoversi, da lui scoperto nel 1781, che avrebbe voluto discendendo verso il centro, sin che acqui- dedicare al re d’Inghilterra, suo mecenastassero quei gradi di velocità che pareva alla te, chiamandolo Georgium Sidus. Giovanni medesima mente Divina, li quali acquistati, Schiaparelli ebbe invece la soddisfazione di fossero volti in giro, ciascheduno nel suo cer- vedere universalmente accettata la sua nochio, mantenendo la già concepita velocità: menclatura della superficie di Marte, anche si cerca in qual altezza e lontananza dal Sole nei casi in cui aveva visto strutture geologiche era il luogo dove primamente furono essi inesistenti. globi creati, e se può esser che la creazione di tutti fosse stata nell'istesso luogo’. Si tratta CONTATTI di calcolare, per ciascun pianeta, la distanza www.piergiorgioodifreddi.it N.1 Anno I Aprile 2011 NOTIZIARIO 25 PLANCK SCOPERTE VLT scopre l'oggetto più antico e lontano mai osservato dell'universo 32 INTERVISTE Plato, ben trentadue occhi daranno la caccia ai nuovi sistemi solari 39 PIANETI Su Marte, rinvenute le tracce di antichi laghi e corsi d'acqua 40 STORIA Dopo sei secoli la Chiesa polacca concederà la sepoltura a Copernico 46 STRUMENTI VISTA, il nuovo telescopio d'avanguardia inizia i lavori 59 ESO / V V V 26 PLANCK NOTIZIARIO N.1 Anno I APRILE 2011 RIC ERC A MIS SIONI FERRARA STUDIA L'UNIVERSO. UNA NUOVA SCOPERTA SUI BUCHI NERI ADDIO BEPPOSAX, L'OCCHIO ITALIANO NELLO SPAZIO Pubblicata una ricerca del professor Frontera: ‘Misurando il fondo cosmico di radiazione possiamo capire come e quando è nato l'universo.’ Verrà spento a breve BeppoSAX, il satellite ASI/CNR che ha esplorato il cosmo per sei anni. Nonostante l'eccellente bilancio finale della missione, l'osservatorio muore per vecchiaia senza lasciare eredi. Ferrara · Hanno una massa milioni o miliardi di volte superiore a quella del Sole, sono dotati di un'attrazione gravitazionale talmente elevata da non permettere l'allontanamento di alcunché dalla loro superficie e si pensa che molte, se non tutte le galassie, ne ospitino uno nel loro centro. Si tratta dei buchi neri supermassicci, il cui studio rappresenta una delle sfide dell'astrofisica degli ultimi anni. Alla misura della quantità di materia nell'universo racchiusa nei buchi neri supermassicci e della loro densità ha dato un importante contributo l'équipe di ricerca guidata da Filippo Frontera, ordinario di Fisica Generale alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Ferrara, già autore di importanti scoperte nel campo dell'astrofisica. Ancora in corso di stampa – verrà pubblicato sulla rivista americana The Astrophysical Journal – la ricerca guidata dal professor Frontera è stata citata lo scorso 2 luglio su una delle riviste più prestigiose del mondo scientifico, Nature Physics. Per compiere lo studio, i ricercatori hanno utilizzato tutte le osservazioni del fondo cosmico in raggi X ottenute dal 1996 al 2002 con lo strumento di alta energia Pds, di cui Frontera era responsabile, a bordo del satellite italiano BeppoSax, uno dei satelliti che hanno fatto la storia dell'astrofisica moderna. ‘Grazie a questo strumento di alta energia – spiega Frontera – siamo riusciti ad avere dati sul fondo cosmico in raggi X altrimenti difficili da ottenere, soprattutto per i buchi neri avvolti da gas e polvere’. ‘Il fondo cosmico in raggi X, scoperto 45 anni fa, è un'intensa radiazione proveniente da tutte le direzioni del cielo’, prosegue Frontera. Uno dei temi più affascinanti dell'astrofisica degli ultimi anni, come la più nota radiazione cosmica di fondo ritenuta essere il residuo termico del big bang, il fondo cosmico in raggi X sembra essere originato dal contributo integrato dell'emissione di tutte le galassie dell'universo, note come AGN (Nuclei Attivi di Galassie), che possiedono al loro interno buchi neri supermassicci (massa maggiore di 100 milioni di masse solari). ‘Il fondo cosmico di raggi x sembra essere originato dal contributo integrato dell'emissione di tutte le galassie dell'universo.’ Filippo Frontera Per una comprensione quantitativa della reale origine del fondo cosmico in raggi X, e quindi per stabilire la densità di buchi neri supermassicci, è assolutamente necessario conoscere il valore assoluto dell'intensità di questo fondo, specie nella banda in cui viene principalmente emessa tale radiazione. I risultati ottenuti dal gruppo di Frontera forniscono un valore del fondo molto preciso, consistente con quello ottenuto negli anni ottanta, e inconsistente con le ultime misure eseguite. Un altro risultato di rilievo da aggiungere quindi alla scoperta dell'origine dei lampi gamma anch'essa ottenuta con la missione BeppoSAX. Roma · Ne ha viste di tutti i colori: stelle, galassie, comete, quasar, pulsar e buchi neri. In sei anni di gloriosa attività, BeppoSAX, il satellite italiano realizzato dall'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e gestito scientificamente dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha tenuto alto l'onore della fisica e dell'astronomia nazionali con scoperte che resteranno nella storia di queste discipline. Dal 30 aprile 2002, però, i suoi telescopi si oscureranno e su di lui calerà il gelo spaziale dalle ore 6.30 italiane. A mandare in pensione BeppoSAX una serie di acciacchi tra cui l'abbassamento dell'orbita e il malfunzionamento di una batteria di bordo che, tuttavia, non ne hanno mai compromesso il valore scientifico, visto che fino all'ultimo minuto ha continuato a registrare lampi gamma. Lanciato nel 1996, il satellite italiano sarebbe dovuto restare in orbita per soli due anni. Ma la straordinaria efficienza e versatilità gli hanno permesso di prolungare le operazioni sino ad oggi: ‘BeppoSAX – spiegano Luigi Piro e Giangiacomo Gandolfi, ricercatori dell'Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica del CNR (IASF) – ha scritto pagine importanti dell'astrofisica delle alte energie, svelando l'universo violento dei raggi X e gamma e, in particolare, il mistero dei lampi gamma, che da trent'anni dava filo da torcere agli scienziati’. BeppoSAX vanta un curriculum di 30 mila orbite, 65 milioni di secondi di osservazione, 57 lampi gamma localizzati, circa mille pubblicazioni sui giornali scientifici di tutto il mondo e il prestigioso Bruno Rossi Prize del 1998, che rappresenta un po' il Nobel dell'astrofisica. N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO 27 S T UDI SCENDE LA LUCE SUI GAMMA RAY BURST OSCURI I lampi di raggi gamma sono tra gli eventi più energetici dell'universo, ma alcuni sembrano stranamente deboli se osservati nella banda del visibile. Il più grande studio effettuato fino ad oggi di questi lampi di raggi gamma oscuri ha scoperto che queste esplosioni non hanno niente di esotico. Garching, Germania · I lampi di raggi gamma (GRB), eventi fugaci che durano da meno di un secondo a diversi minuti, sono rivelati da osservatori in orbita che possono raccogliere la loro radiazione di alta energia. Tredici anni fa, tuttavia, gli astronomi scoprirono un’emissione di radiazione ad energie più basse e di più lunga durata proveniente da queste violente esplosioni. Tale emissione può durare per settimane o anche anni dopo l'esplosione iniziale: viene chiamata afterglow dagli Astronomi. Mentre tutti i lampi di raggi gamma¹ hanno afterglow che emettono raggi X, solo la metà di essi è stata osservata 1. I lampi di raggi gamma che durano più di due secondi sono indicati come lunghi e quelli con una durata inferiore sono chiamati brevi. Quelli lunghi, che sono stati osservati in questo studio, sono associati con le esplosioni di supernova di stelle giovani massicce in galassie in cui è presente un’intensa formazione stellare. Quelli brevi invece non sono ancora ben spiegati, ma si pensa che provengano dalla fusione di due oggetti compatti come le stelle di neutroni. irradiare luce visibile, mentre la frazione rimanente è ancora misteriosamente oscura. Alcuni astronomi sospettavano che questi afterglow oscuri potessero essere esempi di una nuova classe di lampi di raggi gamma, mentre altri ritenevano si trovassero a distanze molto grandi. Studi precedenti avevano suggerito anche che la polvere cosmica interposta tra la sorgente e noi oscurasse l’esplosione e questo spiega perché questi eventi siano così fiochi. ‘Studiare gli afterglow è di vitale importanza per migliorare la nostra comprensione degli oggetti che producono lampi di raggi gamma ma anche per quanto ci spiegano della formazione stellare nell'universo primordiale’, dice l'autore principale dello studio Jochen Greiner, dell’Istituto MaxPlanck Institute for Extraterrestrial Physics di Garching, Germania. La NASA ha lanciato il satellite Swift alla fine del 2004. Dalla sua orbita sopra l'atmosfera terrestre è in grado di rivelare i lampi di raggi gamma e comunicare immediatamente la loro posizione agli altri osservatori in modo che l'afterglow possa essere studiato. In questo nuovo studio, gli astronomi hanno combinato i dati di Swift con nuove osservazioni effettuate con GROND – uno strumento dedicato all’osservazione degli afterglow dei gammaray burst, installato al telescopio MPG di 2,2 metri dell'ESO a La Silla in Cile. In tal modo, gli astronomi hanno definitivamente risolto l’enigma dell’afterglow ottico mancante. Ciò che rende GROND veramente utile² per lo studio degli afterglow è il tempo di risposta estremamente veloce – può 2. Il Gamma-Ray Optical and Near Infrared Detector (GROND) è stato progettato e realizzato presso il Max-Planck Institute for Extraterrestrial Physics insieme all'Osservatorio Karl Schwarzschild di Tautenburg, ed è pienamente operativo dal mese di agosto 2007. osservare un’esplosione pochi minuti dopo la segnalazione proveniente da Swift grazie ad un sistema speciale chiamato Rapid Response Mode – e la sua capacità di osservare contemporaneamente in sette bande diverse, che vanno dalla banda visibile a quella del vicino infrarosso. Combinando i dati GROND ottenuti in queste sette bande alle osservazioni di Swift, gli astronomi hanno determinato con precisione la quantità di luce emessa dall’afterglow a molte diverse lunghezze d'onda, dai raggi X al vicino infrarosso. Gli astronomi hanno utilizzato queste informazioni per misurare direttamente la quantità di polvere che luce assorbono la radiazione durante la sua rotta verso la Terra. In precedenza, gli astronomi avevano potuto solo stimare approssimativamente la quantità di polvere.Il team ha utilizzato una serie di dati, comprese le misurazioni proprietarie effettuate con GROND, oltre alle osservazioni fatte da altri telescopi di grandi dimensioni tra cui il Very Large Telescope dell’ESO, per stimare le distanze di quasi tutte le esplosioni tra quelle selezionate. Se una percentuale significativa di esplosioni risulta più debole, circa il 60-80% dell’intensità originale, a causa dell’oscuramento dovuto alla polvere, questo fenomeno è decisamente più significativo per le esplosioni molto distanti, per le quali solo il 30-50% della luce originale raggiunge l'osservatore.³ Gli 3. Poiché l’afterglow delle esplosioni molto distanti risulta spostato verso il rosso per effetto dell’espansione dell'universo, la luce che ha lasciato l'oggetto era originariamente più blu di quella che si registra quando arriva sulla Terra. Poiché l’effetto di riduzione dell'intensità della luce dovuto alla polvere è maggiore nella banda blu e ultravioletta che in quella rossa, questo significa che l'effetto di oscuramento globale dovuto alle polveri è maggiore per le esplosioni più distanti. Questo è il motivo per cui la capacità di GROND di osservare la radiazione anche nella banda del vicino infrarosso lo rende così sensibile. astronomi concludono che i lampi di raggi gamma oscuri sono quindi semplicemente quelli avuto per cui la piccola quantità di luce visibile emessa viene completamente assorbita dalla polvere cosmica prima che di raggiungerci. ‘Rispetto a molti strumenti per installati sui grandi telescopi, GROND è uno strumento a basso costo e relativamente semplice, che però è stato in grado di risolvere definitivamente il mistero che circonda i lampi di raggi gamma oscuri’, conclude Jochen Greiner. Le aspettative erano alte e sono state rispettate. Nuove sfide attendono ora il telescopio, pronto per essere rimesso all'opera. 28 NOTIZIARIO ESO / IGOR CHEKALIN PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO 29 ASTRONOMIA ANCORA SORPRESE DALLA NEBULOSA DI ORIONE Questa nuova immagine eterea della Nebulosa di Orione è stata catturata dal Wide Field Imager montato ul telescopio da 2.2 metri dell’MPG/ESO che si trova all’osservatorio di La Silla. La Silla, Cile · La Nebulosa di Orione, nota La nuova immagine della Nebulosa di Orione catturata dal Wide Field Imager montato sull'osservatorio ESO di La Silla, in Cile. anche come Messier 42, è uno dei corpi celesti più facilmente riconoscibili e studiati in modo più approfondito. Si tratta di un enorme complesso di gas e polveri, il più vicino alla Terra del suo genere, in cui si formano stelle massicce. Il gas illuminato è così brillante da essere visibile persino a occhio nudo; diventa invece un’affascinante visione per mezzo di un telescopio. Nonostante la sua vicinanza e familiarità, c’è ancora molto da studiare su questa incubatrice stellare. Per esempio, solo nel 2007 è stato dimostrato che la nebulosa è più vicina di quanto fino ad allora creduto: 1350 anni luce anziché 1500. Per osservare le stelle in Messier 42 gli astronomi hanno utilizzato il Wide Field Imager posto sul telescopio da 2.2 metri dell’MPG/ESO all’osservatorio di La Silla, Cile. Hanno scoperto che le deboli nane rosse nell’ammasso stellare associato alla radiazione ionizzante emettono molta più luce di quanto finora previsto. Questi studi permettono di meglio conoscere quest’oggetto famoso e le stelle in esso ospitate. I dati raccolti per questo progetto, che sicuramente non aveva tra i suoi scopi quello di produrre una bella immagine a colori, sono stati riutilizzati per creare l’immagine così riccamente descrittiva qui mostrata. L’immagine è un composito di diverse esposizioni prese con cinque filtri differenti. La luce che ha attraversato un filtro rosso, così come quella ricavata dal filtro che mostra l’emissione dell’idrogeno, è stata colorata di rosso. La luce della parte giallo/ verde dello spettro è stata colorata di verde, mentre la luce blu è stata colorata di blu; infine la luce ottenuta con un filtro UV è stata colorata di viola. SCOPERTE VLT SCOPRE L'OGGETTO PIÙ ANTICO E LONTANO DI TUTTO L'UNIVERSO Il grande telescopio cileno annuncia di aver captato lo scintillio seguito ad un'esplosione avvenuta circa 13 miliardi di anni fa. Si tratta del raggio gamma più distante mai rilevato. Cerro Paranal, Cile · Il getto di raggi gamma, battezzato GRB 090423, è stato rilevato per una durata di dieci secondi giovedì 23 aprile nella costellazione del Leone, poi osservato sui telescopi cileni di La Silla e del Paranal, gestiti dall'Organizzazione Europea per la Ricerca Astronomica nell'Emisfero Australe. Le osservazioni nelle 17 ore seguenti hanno permesso agli astronomi di misurare lo stiramento della luce nell'universo in espansione, dunque a risalire nel tempo, ha spiegato l'astronomo britannico Nial Tanvir, membro dell'équipe internazionale del Vlt. ‘L'esplosione si è prodotta più di 13 miliardi di anni fa, quando l'universo aveva il 5% della sua età, cioè 600 milioni di anni dopo il big bang’, ha riferito l'Eso. Questo ne fa ‘il raggio gamma più distante mai rilevato, ma anche l'oggetto più antico mai scoperto’, ha commentato Tanvir. Il precedente record era quello di un raggio gamma proveniente dall'esplosione di una stella circa 200 milioni di anni dopo a quella di GRB090423, avvistata nel 2008 dal satellite americano Swift e osservata anch'essa dal Vlt del monte Paranal. ON-LINE www.gemini.edu/furthestgrb GEMINI OBSERVATORY / NSF / AURA, D. FOX & A. CUCCHIARA (PENN STATE UNIVERSITY), & E. BERGER (HARVARD UNIVERSITY) PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 NOTIZIARIO 31 ORG A NI Z Z A Z IONI MIS SIONI IL BRASILE IN PROCINTO DI ENTRARE A FAR PARTE DELL'OSSERVATORIO EUROPEO MERIDIONALE INIZIA IL CONTO ALLA ROVESCIA PER NESPOLI, L'ASTRONAUTA ITALIANO La Repubblica Federativa del Brasile ha firmato l'accordo formale di adesione per diventare uno Stato membro della European Southern Observatory . A seguito della ratifica parlamentare il Brasile diventerà il quindicesimo Stato membro e il primo extraeuropeo. L'appuntamento con l'accensione dei motori è per il 15 dicembre, alle 20.09 italiane per il lancio in diretta web di MagISStra, missione numero ventisette alla Stazione Internazionale. Brasilia · Il 29 dicembre 2010, con una Köln, Germania · A bordo della capsula russa cerimonia a Brasilia, il ministro brasiliano di Stato per la Scienza e la Tecnologia, Sergio Machado Rezende e il direttore generale dell'ESO, Tim de Zeeuw hanno firmato l'accordo di adesione formale al fine di rendere il Brasile uno Stato membro dello European Southern Observatory. Il Brasile diventerà quindi a tutti gli effetti il quindicesimo Stato membro, ed il primo al di fuori dell'Europa. Dato che con l'accordo si intende l'adesione ad una convenzione internazionale, questo deve essere ora sottoposto al Parlamento brasiliano per la ratifica ufficiale.* La firma * Dopo la ratifica di adesione del Brasile, gli Stati membri ESO saranno Austria, Belgio, Brasile, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Portogallo, e Regno Unito. dell’accordo fa seguito all'approvazione unanime da parte del Consiglio dell’ESO avvenuta nel corso di una riunione straordinaria svoltasi il 21 dicembre 2010. ‘Partecipare all’ESO darà nuovo impulso allo sviluppo della scienza, della tecnologia e dell'innovazione in Brasile, in coerenza con gli sforzi considerevoli che il nostro governo sta facendo per mantenere il paese tra i più avanzati in questi settori strategici’, ha dichiarato Rezende. L'European Southern Observatory ha una lunga storia di partnership con il Sud America, da quando il Cile è stato selezionato come il miglior sito per i suoi osservatori nel 1963. Fino ad ora, tuttavia, nessun paese non europeo ha aderito all’ESO in qualità di Stato membro. ‘L'adesione del Brasile darà alla vivace comunità brasiliana astronomica pieno accesso agli osservatorio più produttivi del mondo e creerà opportunità per l’industria brasiliana ad alta tecnologia, contribuendo al progetto europeo Extremely Large Telescope. Ne deriveranno nuove risorse e competenze per l'organizzazione e, al momento giusto, per il Brasile fornendo un importante contributo a questo entusiasmante progetto’ – ha aggiunto il direttore generale dell'ESO, Tim de Zeeuw. La fase di progettazione del telescopio European Extremely Large Telescope (E-ELT) è stata recentemente completata. È stata condotta una profonda verifica del progetto stesso in quanto ogni suo aspetto è stato esaminato da una giuria internazionale di esperti indipendenti. Il panel ha rilevato che il progetto E-ELT è tecnicamente pronto per entrare nella fase di costruzione. Il via libera per la costruzione di E-ELT è prevista per il 2011 e quando le operazioni di avvio avranno inizio nel prossimo decennio, astronomi europei, brasiliani e cileni avranno accesso a questo telescopio gigante. Laurent Vigroux, il Presidente del Consiglio dell'ESO, ha concluso: ‘Gli astronomi in Brasile potranno collaborare finalmente con i loro colleghi europei e, naturalmente, potranno avere disponibilità di utilizzo degli osservatori di livello mondiale dell'ESO situati nelle località montane di La Silla e Mount Paranal, la cui altezza garantisce un ottimo punto di osservazione’. ON-LINE www.eso.org/public/italy/news/eso1050 si stringe letteralmente la Expedition 27, composta dall'astronauta americana Cady Coleman, dal comandante russo Dmitry Kondratiev e dall'italiano dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) Paolo Nespoli, che ritorna nello spazio per una missione di lunga durata che non ha precedenti nella storia spaziale italiana. Ci vorranno solo 8 minuti e 48 secondi e tre accelerazioni con un picco di 3,5 w per compiere il viaggio dalla steppa all'orbita, dove il terzo stadio del razzo russo sgancerà la Soyuz. La navicella russa, quarta versione del modello lanciato per la prima volta nel 1967, è con oltre cento missioni il veicolo spaziale più economico e affidabile al mondo. Lungo complessivamente poco più di 7 metri è composto da un modulo orbitale, da uno di servizio e naturalmente dal modulo di rientro. Durante la sua permanenza di quasi sei mesi nello spazio, Paolo Nespoli, svolgerà più di trenta esperimenti in sei campi di ricerca nell'ambito del programma scientifico Europeo con uno sguardo particolare agli studi sulla fisiologia umana, preludio indispensabile ai viaggi interplanetari del prossimo futuro. Nespoli, 53enne originario di Verano Brianza con un passato da incursore che l'ha portato anche a partecipare alla missione in Libano al comando del generale Angioni, come la collega americana Coleman, sarà anche la cavia consapevole di una serie di misurazioni in campo neuroscientifico, cardiovascolare, metabolico e nella valutazione della forma fisica. ON-LINE www.esa.int/specials/magisstra 32 NOTIZIARIO PLANCK ASTRONOMIA MESSIER 107 UN AMMASSO GLOBULARE DISTANTE 21 MILA ANNI LUCE DALLA TERRA Conosciamo circa 150 ammassi globulari, ossia raggruppamenti di vecchie stelle che orbitano nella nostra galassia. Questa nuova nitida immagine di Messier 10 ci mostra nel dettaglio la struttura di uno di questi ammassi globulari. La Silla, Cile · L’ammasso globulare Messier 107, noto anche come NGC 6171, è un’antica e compatta famiglia di stelle posta a circa 21 mila anni luce di distanza. Messier 107 è come una frenetica metropoli: in ammassi globulari come questo, migliaia di stelle sono concentrate in uno spazio che è solo una ventina di volte la distanza tra il nostro Sole e la sua stella più prossima, Alpha Centauri. Un numero significativo di queste stelle si sono già trasformate in giganti rosse, una delle ultime fasi della vita di una stella, e, in questa immagine, hanno un colore giallastro. Gli ammassi globulari sono tra i più antichi oggetti dell’universo. E dal momento che le stelle all’interno di un ammasso globulare si sono formate dalla stessa nuvola di materia interstellare e più o meno allo stesso tempo – tipicamente oltre 10 miliardi di anni fa – sono tutte stelle di piccola massa e, per questa loro caratteristica, bruciano il loro combustibile di idrogeno molto più lentamente delle stelle di grande massa. Gli ammassi globulari si sono generati nella prima fase di formazione delle loro galassie ospiti e, pertanto, lo studio di questi oggetti può fornire spunti importanti su come le galassie e le stelle che le compongono si evolvono. Messier 107 è stato oggetto di osservazioni intensive, essendo uno dei 160 campi stellari selezionati per il Pre-FLAMES Survey, un’indagine preliminare condotta tra il 1999 e il 2002 utilizzando il telescopio di 2,2 metri dell'ESO di La Silla in Cile, per trovare stelle adatte per osservazioni spettroscopiche con FLAMES. Utilizzando FLAMES è possibile osservare fino a 130 obiettivi contemporaneamente, il che lo rende particolarmente adatto per lo studio spettroscopico di campi stellari densamente popolati, come gli ammassi globulari. M107 può facilmente essere osservato da un sito buio con un binocolo o un piccolo telescopio. L’ammasso globulare ha un diametro di circa 80 anni luce, e si trova nella costellazione di Ofiuco, a nord delle tenaglie dello Scorpione. Circa la metà degli ammassi globulari della Via Lattea si trovano nelle costellazioni del Sagittario, Scorpione e Ofiuco, in direzione del centro della Via Lattea. Questo perché possiedono orbite allungate intorno alla regione centrale e quindi hanno in media maggiori probabilità di essere osservati in questa direzione. Messier 107 è stato scoperto da Pierre Méchain* nel 1782 e fu aggiunto * Pierre François André Méchain, astronomo e geodeta francese. Prese parte dal 1792 al 1798 alla triangolazione lungo il meridiano di Parigi fino a Barcellona, promossa dall'Assemblea Costituente con il principale scopo di fissare l'unità metrica di misura. Méchain scoprì inoltre la cometa 8P/Tuttle il 9 gennaio 1790. La cometa C/1785 E1, invece, fu coscoperta insieme a Charles Messier. alla lista dei sette Oggetti Aggiuntivi di Messier, originariamente non inclusi nella versione finale del catalogo di Messier, pubblicato l’anno precedente. Il 12 maggio 1793, fu riscoperto in maniera indipendente da William Herschel, che per la prima volta riuscì a risolvere le stelle di questo ammasso globulare. Ma fu solo nel 1947 che questo ammasso globulare ebbe finalmente il suo posto nel catalogo di Messier come M107, il che lo rende l’ammasso stellare più recentemente aggiunto a questa lista. ON-LINE www.eso.org/news/1047 L'ammasso globulare Messier 107, conosciuto anche come NGC 6171, si trova a circa 21 mila luce di distanza nella costellazione di Ofiuco. Come è tipico degli ammassi globulari, una popolazione di migliaia di stelle vecchie in Messier 107 sono densamente concentrate in un volume che è solo una ventina di volte la distanza tra il nostro Sole e il suo più prossimo ammasso stellare, Alpha Centauri. ESO / ESO IMAGING SURVEY ESA PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 NOTIZIARIO 35 IN T ER V IS T E IL LUNGO VIAGGIO NEL TEMPO DEL SATELLITE PLANCK STA PER INIZIARE Il satellite osserverà la prima luce rilasciata nello spazio circa 14 miliardi di anni fa, il fondo cosmico di microonde, quando l'età del cosmo era meno dello 0,003% di quella attuale. Intervista a cura di Giulia Chiari Milano · Ogni cosa è luminosa. E la luce che viene emanata dai corpi, terrestri o celesti che siano, porta informazioni sulla loro composizione e struttura. Ma anche sulla loro evoluzione. Infatti, la luce impiega del tempo a raggiungere l’occhio o il telescopio dell’osservatore e quando arriva a destinazione regala un’istantanea del passato. Per esempio, la luce del Sole viaggia 8 minuti prima di approdare sulla Terra, perciò noi vediamo il Sole in ritardo di 8 minuti, facendo così un piccolo salto indietro nel tempo. Per le galassie più distanti il ritardo si misura in miliardi di anni. Dunque, osservando a grandi distanze possiamo risalire nel tempo e nello spazio andando a ritroso, in un viaggio vertiginoso. Avvicinandoci addirittura a quell’istante che ha marcato l’origine dell’universo. E poi della vita. Fino al momento in cui tutto è iniziato. Non si tratta di fantascienza, bensì di cosmologia. Di una storia dal finale conosciuto, ma dall’inizio ancora da scrivere e che a tempi viene raccontata come fosse poesia da un numero uno nel campo della fisica del nostro paese. Marco Bersanelli, docente di astrofisica all’Università degli studi di Milano e collaboratore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, è in procinto di partire alla volta di Kourou, nella Guyana Francese, dove assisterà al lancio della missione spaziale Planck Surveyor. Obiettivo: indagare a lato Il satellite Planck durante i test che precedono la messa in orbita. l’origine dell’universo. Un sogno vecchio quanto la storia dell’uomo. E un’ambizione che dura da 17 anni, da quando ‘lavoravo in California con George Smoot, Nobel per la fisica nel 2006’, ricorda Bersanelli. ‘Era il 1992 quando il satellite Cobe per la prima volta ci ha raccontato qualcosa di inedito sull’origine dell’universo in cui viviamo’. Cosa è Planck e che cosa ci farà vedere? Marco Bersanelli ‘Planck è la prima missione dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, dedicata allo studio del fondo cosmico di microonde, la prima luce dell’universo. Planck è un telescopio spaziale che osserverà il fondo dell’universo, l’ultimo confine osservabile dello spaziotempo. Grazie a ricettori di nuovissima generazione capaci di cogliere segnali debolissimi a lunghezze d’onda di qualche millimetro, Planck fotograferà gli embrioni delle galassie, prima che queste prendessero forma, e ci darà un’immagine ad alta risoluzione di come era l’universo 14 miliardi di anni fa. Per la precisione 380 mila anni dopo il big bang, che in cosmologia è un niente. Come fosse il primo vagito del cosmo.’ Come è possibile tutto questo? MB ‘L’universo inizialmente è molto denso e caldo, tanto che la luce primordiale è intrappolata. Ma lo spazio si espande e si raffredda. Dopo 380 mila anni, quando la temperatura scende sotto i tremila gradi, protoni ed elettroni si uniscono a formare per la prima volta gli atomi e in quel momento quasi d’improvviso l’universo diventa trasparente. Insomma la luce si libera dalla materia e inizia il suo viaggio. Planck studierà l’universo appena nato con una precisione senza precedenti.’ L'importanza del fondo cosmico ha un ruolo centrale per la missione. MB ‘Misurando le sue caratteristiche possiamo conoscere non solo la composizione e la struttura dell’universo delle origini, ma anche la sua storia, la sua evoluzione. Indagare cosa è successo in quel mare incandescente e primordiale, dove tutto prendeva pian piano forma, ci permette di dedurre i parametri in cui inquadrare la storia cosmica, conoscerne gli ingredienti, studiarne la geometria e l’espansione. E potremo anche verificare le teorie, fino ad oggi poco più che speculazioni teoriche, che cercano di descrivere che cosa accadde nelle primissime frazioni di secondo dopo l’inizio.’ Un progetto tutto europeo in cui l’Italia riveste un ruolo da protagonista. M B ‘L’équipe italiana, in particolare i gruppi di Bologna e Milano, hanno guidato lo sviluppo di uno dei due occhi di Planck. Ossia di uno dei due strumenti focali, quello che vede le lunghezza d’onda più grandi, e che insieme permettono di produrre l’immagine del fondo cosmico. Inoltre, i due centri di raccolta dati saranno a Trieste e a Parigi, essendo la Francia l’altro paese leader della missione.’ C’è un collegamento con l’acceleratore Lhc del Cern di Ginevra, che secondo i giornali avrebbe dovuto portare alla fine del mondo? M B ‘Ah! La storia del buco nero (sorride, ndr). Certo, perché mentre Planck ci mostra una diretta del passato remoto, l’acceleratore Lhc riproduce in laboratorio le condizioni di quel passato di 14 miliardi di anni fa.’ Planck e la materia oscura. M B ‘La materia oscura è una delle grandi questioni aperte che riguardano la composizione dell’universo. Noi infatti, ad oggi, conosciamo solo il 4% della materia e dell’energia che compongono l’universo. Rimane dunque un punto di domanda che pesa quanto il restante 96%, 36 NOTIZIARIO PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 I TA LI A L'ASI PRESENTA IL NUOVO PIANO DA 7 MILIARDI IN DIECI ANNI con un 26% composto proprio da questa materia oscura, che non vediamo, ma la cui presenza registriamo attraverso i suoi effetti gravitazionali. Più che oscura, dovremmo chiamarla invisibile o cristallina (se fosse veramente oscura la vedremmo benissimo), tanto che crediamo si tratti di una forma di materia totalmente diversa da quelle che conosciamo. Il restante 70% sarebbe composto, invece, di una forma di energia ancora più misteriosa, dark energy, responsabile dell’espansione accelerata dell’universo. Con Planck abbiamo l’ambizione di redigere un censimento estremamente dettagliato degli ingredienti dell’universo.’ Come è possibile conciliare il desiderio di raggiungere vette inesplorate con un umile realismo? M B ‘Effettivamente è un paradosso. Se dimensioni spazio-temporali così vaste da sfuggire alla nostra immaginazione sono un segno che invita all’umiltà, il fatto di poter comprendere anche solo una parte di tutto questo tenta l’orgoglio, l’ambizione di potere. Ma a ben vedere anche questa capacità di ‘leggere il libro della Natura’, come diceva Galileo, non è qualcosa che ci diamo noi. Nel rapporto dell’uomo con l’universo, secondo me, emerge la consapevolezza della nostra piccolezza e sproporzione, e anche del fatto che ciò che ci è dato conoscere è quasi un lusso, perché, come per l’arte o la poesia, noi potremmo sopravvivere anche senza. Eppure ci viene offerta una possibilità di conoscenza che non possiamo che accogliere come un regalo e una sorpresa allo stesso tempo. Con la commozione di essere partecipi di un dramma cosmico. Ai miei studenti cerco di insegnare l’astrofisica e attraverso questo spero che si accorgano della bellezza del mondo. E che sappiano porsi domande. È questo ciò che ho imparato dai miei maestri, primo fra tutti George Smoot, e tanti altri anche qui in Italia. Sono anche molto grato ai giovani ricercatori con cui collaboro da cui imparo moltissimo. Più si procede nella ricerca e più ci si rende conto di quanto la nostra conoscenza sia limitata e imperfetta. Col passare del tempo cresce la coscienza della nostra ignoranza, ma cresce anche l’ammirazione per quel poco che si comprende.’ Enrico Saggese, presidente dell'ASI (Agenzia Spaziale Italiana) illustra il nuovo piano economico decennale recentemente approvato dal Governo e dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca. che pagano le tasse a sovvenzionarci, talvolta banalizzando i contenuti pur di risultare vendibili. Questa divulgazione strumentale a me non interessa. Il nocciolo della questione non riguarda infatti la divulgazione in sé, quanto piuttosto la mancanza dell’idea di popolo. Gli scienziati si concepiscono soli, non mandati da nessuno. Invece divulgare significa andare al cuore di ciò che muove l’interesse di chi ricerca, perché lì ci sarà qualcosa di interessante e comunicabile a tutti, qualcosa che ha un senso e una bellezza per tutti. Quindi comunicare l’importanza della ricerca va oltre le sue ricadute tecnologiche, pure importanti. Capire di cosa è fatto quel 96% dell’universo credo che interessi tutti. O no?’ Roma · Sette miliardi. Questo l'investimento previsto per il Documento di Visione Strategica 2010–20 presentato dall'asi. ‘Il Documento – ha spiegato il presidente dell'asi, Enrico Saggese, in occasione della presentazione della Terza Edizione del Master in Istituzione e Politiche Spaziali – è uno dei tasselli che il Governo Italiano e il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca hanno ideato per offrire una continuità al progresso nel settore spaziale del nostro Paese.’ ‘Il piano decennale dell'asi – ha aggiunto Saggese – prevede un investimento globale di sette miliardi, che dopo l'approvazione del Consiglio di Amministrazione dell'Agenzia ha avuto conferma definitiva da parte del ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca.’ In particolare, il piano prevede che il 37% del budget sia destinato allo sviluppo di nuovi strumenti al servizio dell'esplorazione scientifica e un altro 33% ad applicazioni nel campo dell'osservazione della Terra. Ci sono poi settori emergenti sui quali l'asi intende puntare, come quelli delle telecomunicazioni e dello sviluppo di lanciatori di nuova generazione. Entrambi questi campi dividono il restante 30% del budget, nel quale è compreso anche il contributo italiano alla Stazione Spaziale Internazionale (iss). ‘In campo scientifico – ha concluso Saggese – il piano decennale non contempla la realizzazione di missioni complete ma punta alla diversificazione e alla realizzazione di molti strumenti scientifici da imbarcare su missioni internazionali. ON-LINE www.esa.int/specials/planck ON-LINE www.asi.it In quest’anno di commemorazioni di due figure come Galileo e Darwin quanto è importante la divulgazione scientifica e come dovrebbe essere fatta secondo lei? MB ‘Si tratta di un tema cruciale e secondo me il termine divulgazione è ambiguo, quasi si trattasse di un abbassarsi al volgo, un pedaggio da pagare allo scopo di persuadere a tutti i costi i cittadini ‘Planck ci darà un'immagine ad alta risoluzione di come era l'universo 14 miliardi di anni fa.’ Marco Bersanelli N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO 37 IN T ER V IS T E PLATO: TRENTADUE OCCHI ALLA CACCIA DEI SISTEMI SOLARI DEL FUTURO I successi di Kepler fanno guardare con grande aspettativa a PLATO, la missione dell'ESA destinata alla ricerca di pianeti extrasolari, se sarà selezionata nel programma Cosmic Vision. Intervista a cura di Davide Romagna Palermo · La caccia ai pianeti extrasolari si fa sempre più agguerrita. Condotta su due fronti, sulla Terra e nello spazio, la recente scoperta del satellite della NASA Kepler ha avuto grande eco. Ma sta anche evidenziando che è necessaria raffinare la caccia perché tale ricerca sappia darci quelle conoscenze che ci permetteranno di individuare i sistemi stellari che meglio si conformino al nostro modello di riferimento, il nostro sistema solare. Anche con questo obiettivo è stato pensato PLATO, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea che ha superato la prima fase di selezione nell’ambito della Cosmic Vision e attende, entro la fine di quest’anno, il definitivo giudizio. Ed è difficile pensare che l’Europa possa rinunciare ad un settore di ricerca che ha fatto grandissimi passi avanti negli ultimi anni. Non è solo una scelta finanziaria, tecnologica e scientifica ma anche strategica. Di PLATO ne parliamo con Giusi Micela dell’INAF, componente dello Science Team di PLATO e dell’Exoplanet Roadmap Advisory Team (EPR-AT), la commissione di esperti istituita nel 2008 dall’ESA con il compito di stabilire quali strategie adottare e quali vie seguire per raggiungere uno dei traguardi più ambiti dell’astrofisica moderna: distinguere e riconoscere pianeti extrasolari di tipo terrestre che possano ospitare forme di vita. E nel progetto PLATO la componente di partecipazione italiana è particolarmente importante: oltre all’INAF a cui si deve tra l’altro il disegno dei 32 telescopi a bordo del satellite, l’Università di Firenze e Padova e ovviamente l’Agenzia Spaziale Italiana che ha supportato il programma e la comunità scientifica italiana ad esserne protagonista. caratteristiche simili al Sole, permetterà di capire quali siano le stelle papabili per avere un’altra Terra che le orbita intorno e in che condizioni si possano formare i sistemi planetari.’ Che cosa caratterizza PLATO? Giusi Micela ‘L’elemento più importante è l’area di cielo che è osservata. Kepler osserva 100 gradi quadri della volta celeste, PLATO duemila gradi quadri per ogni puntamento, e alla fine della missione coprirà quasi la metà del cielo. Un’area assai più vasta che non è importante solo per quantità, ma anche e soprattutto per la qualità. I satelliti come Kepler e come PLATO usano la tecnica del transito per individuare pianeti orbitanti attorno alla loro stella madre, ma le orbite che rendono abitabili i pianeti, come la Terra, attorno a stelle come il Sole durano circa un anno. Il pianeta passa dunque davanti alla sua stella solo una volta l’anno, ed è importante allora guardare per lungo tempo un’area di cielo così ampia, perché non solo si aumenta la possibilità di trovare esopianeti, ma anche di cercare con più accuratezza quelli più simili al nostro.’ Non basta dunque la fascia di abitabilità? GM ‘No certo. Gliese 581d, il pianeta recentemente scoperto in fascia di abilità, orbita attorno ad una stella che non è come il nostro Sole, non è altrettanto calda e luminosa. Quello che ci permetterà di fare PLATO insieme agli strumenti a terra, è di svolgere una catalogazione sistematica delle stelle e dei pianeti del loro sistema fino alla fascia di abitabilità. Si potrà comprendere quali stelle possono avere determinati pianeti e scoprire ad esempio se la formazione del sistema solare sia così comune o meno. Nel senso che la combinazione Sole-sistema solare potrebbe essere molto più rara di quanto si pensi o che, al contrario, possa essere molto comune. Qualunque risultato si otterrà sarà un grande passo avanti sapere che non basta cercare un esopianeta, ma un sistema che corrisponda a determinate caratteristiche, se veramente vogliamo trovare pianeti abitabili secondo il nostro concetto di abitabilità. Per poterli individuare è necessario studiare le stelle e i pianeti.’ Non è però l’unico aspetto peculiare rispetto a Kepler. GM ‘Infatti, un altro aspetto importante è che si concentrerà sulle stelle più brillanti. È necessario che la ricerca e lo studio dei pianeti extrasolari sia condotta sinergicamente dalla Terra e dallo spazio. Grazie agli spettrometri come HARPS siamo in grado di determinare la massa di questi pianeti e conoscendo la massa e la dimensione, derivata dalle misure spaziali, possiamo ricavare la densità e quindi determinare la struttura dei pianeti stessi. Ma se le stelle sono poco brillanti non è detto che dalla Terra si riesca a misurarne la massa. Ma c’è un altro aspetto altrettanto importante. La capacità di osservare un grande campione di stelle con Per far questo è strategico unire le forze, terrestri e spaziali. È un dato acquisito? GM ‘È un dato abbastanza acquisito. Bisogna considerare che ESA ed ESO, le due istituzioni europee che sono coinvolte in queste ricerche, hanno cominciato a parlarsi recentemente su queste tematiche. Ma questo è un settore nuovo, che sta dando risultati più sorprendenti di quanto forse ci si aspettasse in così poco tempo. E quando è così la comunità scientifica si unisce, non si divide. Questa è la comunità scientifica. Come dovrebbe funzionare in Italia e nel resto del mondo. ON-LINE www.oact.inaf.it/plato/Plato-Italia 38 NOTIZIARIO PIANETI DATI GEOLOGICI RIVELANO LA PRESENZA DI ANTICHI LAGHI SU MARTE Pubblicato uno studio di due astrofisici americani basato sulle recenti analisi fotografiche. New York · L'esame delle ultime immagini di Marte suggeriscono che la superficie del Pianeta Rosso era una volta coperta di laghi. Questi, secondo due astrofisici americani, hanno lasciato evidenti segni di strati geologici che si sono formati attraverso processi di sedimentazione. In uno studio pubblicato dalla rivista Science sulla scorta delle immagini scattate dalla sonda Mars Global Surveyor, Michael Malin e Kenneth Edgett dell'osservatorio privato Malin Space Science Systems di San Diego, in California, affermano che un ulteriore studio degli strati sedimentari delle aree dove un tempo giacevano i laghi potrebbe rivelare non solo dettagli sulla storia del pianeta ma anche sull'eventuale presenza di forme di vita nel corso di questa storia. Le foto scattate dalla Global Surveyor mostrano che in diverse aree i rilievi del suolo sono caratterizzati da depositi di detriti, disposti in maniera marcatamente orizzontale, simili cioè a quelli formatisi sulla Terra attraverso il progressivo accumulo di materiale di sedimentazione. Fenomeno, questo, tipico delle aree ricoperte da laghi dove lentamente i sedimenti danno origine a strati ben definiti, impilati uno sopra l'altro. Alcuni sedimenti possono essere il risultato dell'azione del vento o di fenomeni vulcanici, ma, secondo Malin ed Edgett, su Marte queste formazioni mostrano segni che suggeriscono senz'altro l'azione dell'acqua in un periodo compreso fra 3,5 e 4,3 miliardi di anni fa. Le immagini del Global Surveyor cioè, stando a Malin, rivelano ‘centinaia e centinaia di strati di identico spessore, cosa quasi impossibile in assenza di acqua’. ON-LINE www.nasa.gov/mission/mars/news NASA / JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS 1 Agosto 1999 Settembre 2005 Nuovo deposito 2 NASA/ JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS 3 NASA/ JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS NASA /JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS 4 NASA / JPL / UNIVERSITY OF ARIZONA N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO Immagini 1 I canali di questa regione, nei pressi del cratere Noachis Terra, sono particolarmente profondi. La loro forma e disposizione è paragonabile ai crepacci provocati dall'azione erosiva di un antico ghiacciaio. 2 Un nuovo deposito formatosi in un cratere della regione Centauri Monte immortalato dalla missione Mars Global Surveyor nel 2005. La formazione di questi depositi di detriti è segno tangibile di continue azioni erosive sulla superficie del pianeta, ed è compatibile con il flusso di acqua allo stato liquido. 3 I segni d'erosione provocati dall'acqua e del flusso di detriti sono evidenti in questa immagine ad alta risoluzione dei calanchi della parete del un cratere di impatto Noachis Terra. È possibile che questi calanchi rappresentino la prova che acqua allo stato liquido è oggi presente sotto la superficie di Marte. 4 Calanchi a bordo del cratere Hale. Se acqua allo stato liquido erode i canaloni in condizioni di freddo e asciutto oggi su Marte, è una questione importante che cui gli scienziati stanno cercando di dare una risposta. Gli avvallamenti in questo sito sono particolarmente interessanti perché gli studiosi hanno recentemente scoperto dei cambiamenti di forma e posizione, segno di una costante azione erosiva. 5 Canali con caratteristici segni erosivi provocati dal flusso di acqua. Immagine ripresa dalla telecamera di Mars Reconnaissance Orbiter. Tali impressionanti calanchi mostrano i meandri e motivi intrecciati tipici dei bacini idrici. 5 43 NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 NOTIZIARIO 45 MISSIONI LA MISSIONE HUBBLE COMPIE VENT'ANNI, SI TRATTA DI UN RECORD Le osservazioni di Hubble hanno permesso di definire esattamente l'età dell'universo, di vedere le prime galassie e di realizzare una mappa in 3d della materia oscura. Roma · Le immagini più rivoluzionarie dello spazio sono quelle catturate e rilanciate sulla Terra da Hubble, il telescopio della Nasa e dell’Agenzia Spaziale Europa (Esa), lanciato in orbita 20 anni fa, il 24 aprile 1990. Costato 1,6 miliardi di dollari, ha il nome di Edwin Hubble, l’astrofisico americano che nei primi decenni del xx secolo dimostrò che l’universo è in perenne espansione ed è molto più vasto si quanto si credesse. Pesante 11 tonnellate, lungo 13,3 metri e con un diametro di 4,3, è stato il primo occhio con cui l’uomo è riuscito a osservare il cielo al di fuori dell’atmosfera terrestre, fino a vedere stelle e galassie giovanissime che popolavano il baby-universo. Eppure il progetto sembrava nato sotto una cattiva stella: dall’incidente del Challenger che ritardò il lancio di cinque anni al difetto di progettazione della parabola riflettente, passato inosservato nei test a terra e che costrinse i tecnici ad adottare un dispositivo di correzione (ribattezzato prontamente gli occhiali dello Hubble) che venne montato in orbita nel 1992. In questi venti anni, Hubble ha goduto di 5 missioni di manutenzione effettuate con lo Shuttle, l'ultima nel maggio scorso. Il telescopio spaziale si trova a 563 chilometri dalla Terra ed è l'unico la cui manutenzione poteva essere curata dall’uomo. Le missioni di manutenzione sono state indispensabili alla lunga vita di Hubble. La prima, nel 1993, ha dato allo strumento occhiali per correggere un difetto dello specchio primario. Le altre missioni di manutenzione sono avvenute nel 1997 (che installò nuovi strumenti più potenti), nel 1999 (sostituzione di alcuni strumenti e aggiunta Sinistra Hubble agganciato allo Shuttle Endeavor (1993). di un computer di bordo) e nel 2002 (riparazione e miglioramento di numerosi strumenti). La missione di riparazione effettuata dall’Atlantis ha permesso di prolungare fino al 2014 la vita operativa del telescopio, che aveva sofferto di numerosi guasti meccanici tanto da portare ad una sospensione delle operazioni nel 2007: sono stati cambiati i sei giroscopi, le batterie, il sistema di protezione termica e il sistema informatico, mentre sono stati installati due nuovi apparecchi, uno spettrografo per raggi cosmici e un obiettivo grandangolo; il tutto ha migliorato da 10 a 70 volte le capacità di Hubble, in grado così di rilevare oggetti risalenti a 500 milioni di anni dopo il big bang contro il precedente limite di un miliardo di anni. Hubble sarà operativo almeno fino al 2014, ma considerando che considerando che il suo rientro nell’atmosfera è previsto fra il 2019 e il 2032, la sua missione effettiva potrebbe essere prolungata ancora a lungo. NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM Hubble viene infatti considerato dagli astronomi ancora uno strumento di assoluta avanguardia, anzi insostituibile: non vi è nulla di simile in orbita per quanto riguarda l’astronomia nel campo della radiazione visibile; le moderne reti di telescopi sulla Terra possono raggiungere in alcuni casi la stessa risoluzione, ma l’atmosfera terrestre li rende ciechi all’infrarosso e all’ultravioletto. Proprio l’infrarosso dovrebbe essere il punto di forza del James Webb Space Telescope, il cui lancio è in programma per il 2013 e che dovrà lavorare fianco a fianco con lo Hubble per poi sostituirlo. Il telescopio ha osservato aspetti del cielo impossibili da vedere con i telescopi basati a Terra, e le sue scoperte hanno avuto un impatto rivoluzionario sull’astronomia. Anche la loro quantità è impressionante, con oltre ottomila articoli scientifici. Per esempio, nel 1994 Hubble ha inviato le immagini spettacolari dell’impatto su Giove della cometa Shoemaker-Levy. È stato Hubble a indicare per la prima volta che esistono altri sistemi solari oltre al nostro e, all’interno di uno di questi, ha catturato la prima immagine ottica di un pianeta extrasolare. Il telescopio spaziale ha inoltre fornito le prime evidenze sull’esistenza dell’energia oscura che costituisce il 70% dell’universo. Ha inoltre osservato complessivamente più di 446 mila galassie, studiando così la distribuzione della materia nell’universo. Questi dati hanno anche permesso di realizzare una mappa in 3d della materia oscura, la materia ancora misteriosa che occupa il 25% dell’universo, mentre la materia visibile ne costituisce appena il 5%. Le osservazioni di Hubble hanno inoltre permesso di definire esattamente l’età dell’universo e di dimostrare che al centro di alcune galassie di grandi dimensioni si trovano buchi neri. Sopra Il pianeta Giove fotografato dal telescopio. ON-LINE www.nasa.gov/externalflash/Hubble20 Le osservazioni di Hubble hanno permesso di definire esattamente l'età dell'universo e di dimostrare l'esistenza di giganteschi buchi neri. 46 NOTIZIARIO PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 STORIA CHIESA POLACCA CONCEDERÀ LA SEPOLTURA UFFICIALE A COPERNICO Alla fine la Chiesa ha dovuto ammettere che riabilitare Copernico in sordina non sarebbe bastato: gli si dovevano i massimi onori, in una cattedrale. Frombork, Polonia · Per la storia della scienza è stato e resterà sempre un grande: fu lui a teorizzare e scoprire che la Terra gira intorno al Sole. Per la sua patria, la Polonia oggi libera, moderna e multiculturale come ai suoi tempi, è uno dei massimi eroi, come il re Jan Sobieski che fermò i turchi a Vienna o il maresciallo Józef Klemens Piłsudski che sconfisse l'Armata Rossa a un passo da Varsavia, come Marie Curie, Lech Wałesa o Papa Wojtyla. Per la Chiesa invece era un personaggio scomodo, uno che contestava i dogmi. Adesso è arrivata la svolta: Copernico, al secolo Mikołaj Kopernik, ha avuto ieri la sua solenne sepoltura ufficiale e religiosa da personaggio eterno. ‘Deploro gli eccessi di zelo dei difensori della Chiesa, che allora lo colpirono’, ha detto il nuovo primate di Polonia, arcivescovo Jozef Kowalczyk, parlando alla cerimonia. Con secoli di ritardo, quasi come con Galileo Galilei, la Chiesa pronuncia e completa dunque il suo mea culpa verso uno scienziato che aveva messo in discussione i dogmi in nome del sapere. È in parte un caso, dovuto al tenace lavoro di scienziati e ricercatori, ma comunque la svolta è grande: per il geniale ma umile e modesto Mikołaj Kopernik, astronomo, matematico, economista, medico e zelante canonico cattolico, questa prima sepoltura solenne è una riabilitazione di grande valenza per il rapporto tra fede e ragione nel mondo in cui viviamo. De Revolutionibus Orbium Cœlestium, ossia Le Rivoluzioni dei Corpi Celesti, s'intitolò il suo trattato. Fu la rivoluzione: per la prima volta venne spiegato al mondo che il centro del sistema dei pianeti in cui viviamo è il Sole, non la Terra. Eliocentrismo, contrapposto all'antico, obsoleto geocentrismo di Tolomeo. La Chiesa la rifiutò. Papa Paolo V la condannò ancora nel 1616, cioè decenni dopo che Mikołaj era morto in povertà, nel 1543. Fu poi riabilitato, ma in sordina. Copernico non ebbe la sventura di affrontare interrogatori e torture come Galileo. Eppure, grande scienziato multitalento, fu sepolto in una fossa comune nella cattedrale di Frombork, nel nord polacco, non lontano dal Baltico. E per secoli le sue spoglie furono dimenticate là, sotto i marmi dell'altare. Dopo il 1989, la caduta dell'Unione Sovietica iniziata proprio dalla rivoluzione democratica polacca, un team di scienziati locali, tedeschi e francesi avviò la ricerca delle spoglie di Copernico, nella speranza di ritrovarle e di rivendicare postumamente per lui i massimi onori. ‘Individuammo sotto i marmi dell'altare il cranio di un uomo, morto apparentemente all'età di settant'anni, come Copernico’, spiegano i ricercatori polacchi. Il cranio fu inviato ai medici legali della polizia a Varsavia, e ricercatori svedesi trovarono nelle antiche biblioteche del regno il Calendarium Romanum Magnum, appartenuto a Copernico e trafugato dai militari svedesi secoli addietro le loro guerre contro la Polonia. Tra le pagine trovarono capelli, e l'esame del dna li fece risultare coincidenti con quel cranio. ‘La storia delle nostre ricerche sembra un poliziesco’, dice Jerzy Gassowski, anziano scienziato polacco. E alla fine la Chiesa ha dovuto ammettere che riabilitare Copernico in sordina non bastava: gli si dovevano i massimi onori, in una cattedrale. L'autore della prima fondamentale rivoluzione del mondo moderno, il mite professore di matematica che aveva studiato all'Università di Ferrara e aveva percorso le strade dell'Europa del suo tempo, aveva fatto in tempo a morire settantenne mentre quel libro cominciava un difficile viaggio nel mondo. Un libro rivoluzionario, se altri ce ne sono mai stati: con l'opera di Copernico l'antico significato astronomico del termine rivoluzione come rivolgimento periodico in un movimento ripetitivo e sempre uguale apriva la porta al significato moderno: uno sconvolgimento profondo dopo il quale la società e il mondo non sono più gli stessi. Allora si trattò di una rivoluzione mentale di portata incalcolabile: a cambiare fu nientemeno che il posto dell'uomo nel mondo e quello del mondo nell'universo. Al sistema geocentrico tolemaico con la Terra al centro circondata dalla sfere dei cieli delle stelle fisse si sostituì il sistema detto da allora «copernicano» con il Sole al centro delle orbite dei pianeti e col movimento duplice della Terra, di rotazione sul proprio asse e di rivoluzione annua intorno al Sole. C'era di che sconvolgere radicalmente una visione della realtà che si affidava all'esperienza dei sensi e che trovava conferma di quella esperienza nella fisica aristotelica e nell'interpretazione della Bibbia in senso letterale. Ne fu scosso il senso comune, ne fu urtata la sicumera dei teologi che dettavano legge nelle università. Per questo, viste le reazioni violentemente critiche di Lutero e Melantone davanti alla prima circolazione delle tesi di Copernico, il teologo protestante Andreas Osiander premise all'edizione a stampa una presentazione anonima che sfumava il contenuto di verità dell'opera e suggeriva di leggerla come proposta di una teoria solo ipotetica. Ma se la diffidenza e l'ostilità dei teologi non conobbe frontiere confessionali, fu solo la Chiesa cattolica a mobilitarsi per una condanna dottrinale. Bisognava esorcizzare definitivamente gli effetti di una rivoluzione che colpiva l'alleanza tra fede cristiana e ragione aristotelica e toglieva ai teologi il monopolio della verità. Quando il genio di Giordano Bruno colse la novità e l'importanza della proposta copernicana, la sua morte sul rogo fu la premessa della resa dei conti tutta italiana tra la Chiesa cattolica e il mondo degli scienziati. Si doveva bloccare l'avanzata della matematica e della ragione umana al posto della verità teologica ricavata da una lettura rigidamente letterale delle Bibbia e amministrata da una struttura ecclesiastica di potere. Il gigante che si levò contro il matematico polacco fu il santo cardinale Roberto Bellarmino convinto che quell'opera di Copernico fosse certamente eretica. ‘Stolta’, ‘assurda in filosofia’, ‘formalmente eretica’, la tesi di Copernico fu condannata nel 1616. Il suo nome entrò nell'indice dei libri proibiti insieme a quelli di Galileo e di Keplero. Ne doveva uscire quasi in punta di piedi solo nell'Indice pubblicato da Papa Gregorio xvi nel 1835. Oggi le ossa, il nome e la gloria di Copernico si riuniscono nella cattedrale di Frombork. Wojciech Ziemba, arcivescovo della regione, ha dichiarato che la Chiesa cattolica è fiera che Copernico abbia lasciato alla regione l'eredità del suo ‘duro lavoro, devozione e genio scientifico’. Destra Il monumento a Copernico a Cracovia. Niccolò Copernico Astronomo polacco, nato a Torún, Polonia, il 19 febbraio 1473, morto a Frombork il 24 maggio 1543. Fu astronomo e astrologo, canonico, giurista, governatore, medico. Le sue rivoluzionarie teorie formulate nel De Revolutionibus Orbium Cœlestium pubblicato a Norimberga, nell'anno della sua morte, influenzarono Galileo e Keplero. PAP 48 ESO / L. CALÇADA NOTIZIARIO PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO 49 RICERCA ANALIZZATA PER LA PRIMA VOLTA L'ATMOSFERA DI UNA “SUPERTERRA” Analizzata per la prima volta da un team di astronomi l'atmosfera di un pianeta extrasolare, utilizzando il Very Large Telescope dell'eso. Il pianeta, noto come gj 1214b, è stato studiato al momento del suo passaggio davanti alla stella madre. Paranal, Cile · Il pianeta GJ 1214b è stato scoperto nel 2009 utilizzando lo strumento hraps installato al telescopio di 3.6 metri dell'eso in Cile.¹ Già i primi risultati suggerivano che questo pianeta avesse un'atmosfera, ipotesi ora confermata e studiata nel dettaglio da un team 1. Il numero di pianeti extrasolari confermati ha raggiunto quota 500 il 19 novembre 2010. Da allora, altri pianeti extrasolari sono stati confermati. internazionale di astronomi, guidato da Jacob Bean (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics), che ha utilizzato lo strumento fors sul Very Large Telescope. ‘Questa è la prima superTerra di cui è stata analizzata l’atmosfera. Abbiamo posto una pietra miliare sulla strada della conoscenza delle caratteristiche di questi mondi’, ha detto Bean. GJ 1214b ha un raggio circa 2,6 volte quella della Terra ed è circa 6,5 volte più massiccio, caratteristiche che lo collocano esattamente nella classe dei pianeti extrasolari conosciuti come superTerre. La sua stella si trova a circa 40 anni luce dalla Terra nella costellazione di Ofiuco (il Serpentario). Si tratta di una stella debole² e anche piccola, il che significa che la dimensione del pianeta è piuttosto grande rispetto al disco stellare, e ciò lo rende relativamente agevole da studiare.³ Il pianeta ruota intorno alla sua stella ogni 38 ore ad una distanza di soli due milioni di chilometri: una distanza circa settanta volte inferiore a quella che divide la Terra dal Sole. Per studiarne l'atmosfera, il team Sinistra Interpretazione della superTerra davanti la stella madre. ha osservato la luce proveniente dalla stella nel momento in cui il pianeta passava di fronte ad essa.4 Durante questi transiti, una frazione della radiazione luminosa, proveniente dalla stella, passa attraverso l'atmosfera del pianeta che, a seconda della sua composizione chimica e del 2. Se si osservasse GJ 1214 alla stessa distanza che ci separa dal Sole, ci apparirebbe 300 volte più debole del Sole. 3. Poiché la stella GJ1214 è piuttosto debole – oltre 100 volte più debole nella luce visibile delle stelle madri dei due esopianeti più studiati appartenenti alla categoria degli hot Jupiter – la grande area di raccolta del Very Large Telescope è stata determinante per acquisire un segnale sufficiente per le analisi. 4. La composizione atmosferica di GJ 1214b è stata studiata utilizzando lo strumento FORS sul Very Large Telescope, che può eseguire misure spettroscopiche molto accurate di più oggetti contemporaneamente nella porzione del vicino infrarosso dello spettro elettromagnetico. FORS è stato uno dei primi strumenti ad essere installato sul Very Large Telescope. esopianeta fosse come un piccolo Nettuno, con un esiguo nucleo roccioso e una densa atmosfera ricca di idrogeno. Le nuove misure non mostrano i segni rivelatori tipici dell’idrogeno e, quindi, la terza opzione è da escludere. Pertanto, l'atmosfera o è ricca di vapore o è ricoperta da nubi o nebbie, simili a quelle osservate nelle atmosfere di Venere e Titano nel nostro sistema solare, che nascondono le tracce della presenza di idrogeno. ‘Anche se non possiamo ancora dire esattamente come sia composta la sua atmosfera, è un entusiasmante passo in avanti essere in grado di restringere le opzioni per un mondo così lontano: se sia vapore acqueo o nebbia’, dice Bean. ‘Ulteriori osservazioni, a lunghezze d'onda maggiori dell’infrarosso, si fanno ora necessarie per determinare quali di queste atmosfere avvolge GJ 1214b’. clima del pianeta, assorbisce specifiche lunghezze d'onda della luce. Il team ha poi messo a confronto queste misure precise, con quanto ci si sarebbe aspettato di vedere a seconda delle possibili diverse composizioni dell’atmosfera. Prima di effettuare queste nuove osservazioni, gli astronomi avevano ipotizzato tre possibili atmosfere per GJ 1214b. La prima comprendeva l'affascinate possibilità che il pianeta fosse avvolto da acqua, che, data la vicinanza alla stella, sarebbe stata in forma di vapore. La seconda ipotesi proponeva che fosse un mondo roccioso con una atmosfera composta principalmente da idrogeno, ma con nubi alte o nebbie che ne oscurano la vista. La terza ipotesi suggeriva che questo ON-LINE www.eso.org/news/1047 50 NOTIZIARIO PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 TECNOLOGIA EVALSO: UN NUOVO LINK AD ALTA VELOCITÀ PER GLI OSSERVATORI CILENI Disteso per 100 km attraverso l'aspro deserto di Atacama del Cile, è stato inaugurato un cavo dati che dando nuove opportunità all'Osservatorio del Panaral e di Cerro Armazone in Cile. La connessione di queste strutture alla spina dorsale principale latino-americana per il trasferimento dei dati scientifici ad alta velocità. Paranal, Cile · Questo nuovo cavo è parte del progetto EVALSO¹ (Enabling Virtual Access to Latin American Southern Observatories), un programma cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del 7 ° Programma Quadro², e coordinato dall'Università di Trieste, che comprende 1. EVALSO è finanziato nell'ambito del 7 ° Programma Quadro della Commissione Europea ed è una collaborazione tra: Università degli Studi di Trieste, Italia; ESO; RuhrUniversität Bochum, Germania; Consortium GARR (Gestione Ampliamento Rete Ricerca), Italia; Universiteit Leiden, Paesi Bassi; Istituto Nazionale di Astrofisica, Italia Queen Mary, University of London, UK; Cooperacion Latinoamericana de Redes Avanzasas (Clara), Uruguay; Red Universitaria Nacional (REUNA), Cile. 2. Il 7 ° Programma Quadro (il Settimo Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico della Commissione europea) è il principale strumento dell'Unione Europea per il finanziamento della ricerca. Il suo scopo è quello di rendere e mantenere l'UE come uno dei leader mondiali nel campo della scienza e della tecnologia. l'ESO, l'Osservatorio Cerro Armazones (OCA, parte della Ruhr-Universität Bochum), la rete cilena accademici REUNA e altre organizzazioni. Così come il cavo stesso, il progetto prevede l’acquisizione con EVALSO di nuove capacità nelle infrastrutture esistenti al fine di completare una connessione a banda larga dalla zona Paranal al quartier generale dell'ESO nei pressi di Monaco, in Germania. Il coordinatore del progetto Fernando Liello, ha dichiarato: ‘Questo progetto è stata un eccellente collaborazione tra i membri del consorzio. Oltre a fornire una connessione veloce per i due osservatori, porta maggiori benefici per la comunità scientifica, sia in Europa che in America Latina’. I siti di Paranal e Armazones sono ideali per le osservazioni astronomiche grazie alla loro quota, ai cieli limpidi e alla lontananza dall’inquinamento luminoso. Ma la loro posizione significa è lontana da qualsiasi infrastruttura di comunicazione preesistente, che fino ad ora li ha resi dipendenti da un unico collegamento a microonde per inviare i dati scientifici a una stazione base vicino a Antofagasta. I telescopi all’osservatorio Paranal dell'ESO sono in grado di produrre oltre 100 gigabyte di dati al giorno, equivalenti a più di 20 DVD, anche dopo la compressione dei file. Il collegamento esistente è sufficiente per trasportare i dati generati dagli strumenti al Very Large Telescope (VLT), ma non ha l'ampiezza di banda necessaria per gestire i dati provenienti dal telescopio VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) o per la nuova generazione di strumenti del VLT che saranno operativi nei prossimi anni. Questo significa che per gran parte dei dati provenienti da Paranal, l'unico modo pratico per inviarlo alla sede centrale dell’ESO è stato quello di salvarli su hard disk e di spedirli per posta aerea. Questo può significare un attesa di giorni o addirittura settimane prima che le osservazioni condotte da VISTA siano disponibili per essere analizzate. Pur con un razionamento attento della connessione e una sofisticata gestione dei dati per utilizzare la connessione nel modo più efficiente possibile, il link può andare in saturazione nelle ore di punta. Anche se questo non causa grossi problemi al momento, è un segnale che il link è arrivato al suo limite. Il direttore generale dell’ESO Tim de Zeeuw, ha dichiarato: ‘L’osservatorio dell'ESO al Paranal è in crescita, con nuovi telescopi e strumenti che stanno per essere messi in funzione. I nostri osservatori scientifici di livello mondiale hanno bisogno di infrastrutture adeguate’. Al posto della connessione esistente, che ha un limite di 16 megabit/s (simile a una linea domestica ADSL a banda larga), EVALSO fornirà una connessione più veloce fino a 10 gigabit/s – una velocità che permette di trasferire un intero film DVD in una manciata di secondi.³ Mario Campolargo, Direttore per le Tecnologie 3. Il cavo dislocato di recente ha una larghezza di banda di 10 gigabit/s. L'infrastruttura di rete tra ESO Paranal e l’ESO HQ in Germania è in grado di trasferire i dati fino a un massimo di 1 gigabit/s. Emergenti e Infrastrutture presso la Commissione Europea, ha dichiarato: ‘È importante che la comunità degli astronomi d'Europa possa ottenere il miglior accesso possibile agli osservatori dell'ESO: questo è uno dei motivi per cui l'Unione Europea sostiene la distribuzione regionale delle e-infrastrutture per la scienza in America Latina e interconnessioni con GÉANT 4 ed 4. GÉANT è una rete pan-europea di dati dedicata alla ricerca e all'istruzione. Collega 40 milioni di utenti in 40 paesi. altre e-infrastrutture appartenenti alla UE’. Il forte aumento dell’ampiezza di banda permetterà un maggiore uso in remoto dei dati del Paranal, e in tempo reale. Esso consentirà un più facile controllo delle prestazioni del telescopio VISTA, e un accesso più rapido ai dati VLT, aumentando la reattività del controllo di qualità. E con la maggiore larghezza di banda, nuove opportunità si apriranno, come la possibilità per gli astronomi ON-LINE www.evalso.eu N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK NOTIZIARIO 51 e i tecnici di prendere parte a riunioni in videoconferenza ad alta definizione senza bisogno di recarsi in Cile. Inoltre, guardando avanti, il nuovo collegamento fornirà una banda sufficiente per stare al passo con il volume sempre crescente di dati provenienti dal Paranal e Armazones negli anni futuri, con l’entrata in uso dei nuovi strumenti che richiederanno grandi ampiezze di banda. L'accesso immediato a dati remoti in una località distante non permette solo di risparmiare denaro e rendere il lavoro dell'osservatorio più efficiente. Per eventi imprevisti e imprevedibili, come i lampi di raggi gamma, non c'è spesso il tempo sufficiente per gli astronomi di viaggiare fino agli osservatori, e EVALSO darà agli esperti la possibilità di lavorare da remoto su questi eventi quasi come fossero presso l'osservatorio. Immagini L'installazione del principale data cable si è svolta nelle difficili condizioni offerte dal deserto dell'Atacama. Questo nuovo snodo comunicativo offre all'osservatorio cileno e al Ruhr-Universität Bochum’s Cerro Armazones Observatory un'incredibile velocità di connessione capienza dati. ESO 52 NOTIZIARIO NASA SUGLI EXOPIANETI LA NASA VUOLE ALZARE LA POSTA Gli Stati Uniti non rinunceranno mai alla supremazia scientifica e tecnologica nello spazio: è una questione di astropolitica. Washington · Mentre celebra i successi del satellite Kepler (messo in orbita un anno fa per cercare nella galassia altri pianeti come la Terra), la Nasa pensa già ai satelliti e agli strumenti del futuro. Insieme alla National Academy of Science, l'agenzia spaziale americana ha appena redatto il Decadal Survey che, come dice il nome, è un rapporto pubblicato ogni dieci anni, raccogliendo i suggerimenti della comunità scientifica sugli investimenti da mettere in cantiere per il lungo periodo. O, se volete, i progetti da sottoporre allo Zio Sam per ottenere i necessari finanziamenti. La questione è sempre più delicata. Da un lato, Washington deve tenere d'occhio la voragine del deficit federale. Dall'altro, non vuole certo abdicare alla supremazia spaziale e scientifica che –dai tempi dello Sputnik, il satellite russo che mise i brividi all'America– è diventata parte integrante della geopolitica. O, se volete, dell'astropolitica. In poche parole, l'ultimo Decadal Survey –intitolato Nuovi mondi, nuovi orizzonti nell'astrofisica e nell'astronomia– raccomanda tre priorità: gli exopianeti (ovvero quelli fuori dal sistema solare, come i due curiosi pianeti multipli annunciati due giorni fa dalla Nasa), la formazione delle prime strutture nell'universo e la fisica che ha governato la sua evoluzione. ‘Nel Decadal Survey di dieci anni fa –commenta Claire Max, un'astronoma dell'Università della California e membro del comitato che ha fatto le raccomandazioni– di exopianeti quasi non si parlava e l'energia oscura non veniva menzionata. In ballo, ci sono un sacco di cose nuove’. L'energia oscura è l'ipotetica forma di energia che, si teorizza, contribuisce ad aumentare il tasso di espansione dell'universo. La chiamano oscura perché non si vede e non si rileva. NASA La questione è delicata: da un lato Washington deve tenere d'occhio la voragine del deficit federale. Dall'altro non vuole certo abdicare alla supremazia spaziale e scientifica, ormai parte integrante della geopolitica. Ma è un passaggio fondamentale per sciogliere i restanti rebus dell'astrofisica. Quanto agli exopianeti, è perfino naturale che siano diventati di moda: in un mese mezzo di osservazioni, Kepler ha trovato 706 possibili candidati. Quelli bizzarri annunciati due giorni fa, con un interazione gravitazionale fra di loro, sono solo gli ultimi. E intanto anche l'Eso europeo è sulle stesse tracce: col suo spettrografo in Cile, ha trovato un sistema solare con 5, forse 7, pianeti. Chi troverà per primo una Terra (ovvero un piccolo pianeta alla distanza giusta da una stella come il Sole) farà bingo: sappiamo già in anticipo che sarà un evento miliare, nella storia del genere umano. Kepler sta dando delle belle soddisfazioni, ma è costato 600 milioni di dollari. Quanto costerà salire al prossimo livello, nella caccia alle nuove Terre raccomandata dal Decadal Survey? Certo non noccioline: un miliardo e seicento milioni di dollari. Il Wide-Field Infrared Survey Telescope (Wfirst, in sigla) viene giudicato il passo necessario, dopo Kepler. Innanzitutto, perché consentirebbe di dare risultati in tutte e tre le priorità di ricerca prescritte dal Survey. E poi perché, se i costi fossero quelli, non sarebbe granché: il celeberrimo Hubble è costato, incluso il lancio, 10 miliardi di dollari. E il James Webb Telescope, che la Nasa dovrebbe inaugurare nel 2014, ne costerà cinque. Ma il Wfirst non è l'unica proposta da sottoporre all'amministrazione Obama. Gli scienziati suggeriscono di considerare anche un upgrade per l'osservatorio Chandra, con l'International X-ray Observatory (5 miliardi da finanziare fifty-fifty con l'Esa, l'Agenzia Spaziale Europea). E anche progetti a terra, come il Large Synoptic Survey Telescope da costruire in Cile con 460 milioni d'investimento e un budget di 40 milioni all'anno. L'Europa insegue. La Russia è un po' in ribasso e la Cina ha le sue brave ambizioni. Ma l'America non rinuncerà alla supremazia scientifica e tecnologica nello spazio. È una questione di astropolitica. PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 S T UDI NOTIZIARIO 53 SC OP ERT E GETTI CORONALI: UNA DINAMICA GIÀ OSSERVATA KEPLER HA SCOPERTO IL PRIMO SISTEMA SOLARE CON SEI PICCOLI PIANETI Nuove informazioni sulle ragioni per cui questi getti di massa coronali appaiono sia in moto rettilineo sia in rotazione sulla superficie del Sole. Individuato dal telescopio spaziale Kepler, dista duemila anni luce dalla Terra. È possibile che due dei corpi celesti siano composti da acqua. Warwick, Inghilterra · Le instabilità che danno Santa Cruz, CA · Eccola, finalmente, a luogo all’esplosione di nubi sul Sole sono del tutto simili a quelle che danno origine alle nubi nell’atmosfera terrestre: è questa la sorprendente conclusione di uno studio di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di fisica dell’Università di Warwick. La scoperta è avvenuta in seguito all’esame delle immagini di nubi di materiale in esplosione sulla superficie del Sole note come getti di massa coronali (CME) ottenute nell’ambito dell’esperimento Atmospheric Imaging Assembly (AIA) presso il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA. Le nuove osservazioni dello SDO/ AIA hanno fornito immagini dei getti di massa coronali nella porzione spettrale dell’ultravioletto estremo, non possibili con gli strumenti precedenti. Nell’esaminare queste immagini i ricercatori si sono accorti di un familiare schema d’instabilità su un fianco di una nube in esplosione di materiale solare, per molti versi simile alle instabilità osservate nelle nubi atmosferiche e nelle onde marine, note come instabilità di Kelvin-Helmholtz. Queste ultime si manifestano all’interfaccia di due superfici diverse – per esempio aria/acqua – che si muovono a velocità diverse tra loro. ‘Il fatto di sapere che tali instabilità nelle CME siano osservabili nell’ultravioletto estremo, a una temperatura di 11 milioni di gradi Kelvin ci consentirà di modellizzare in modo più accurato la loro dinamica’, ha spiegato Claire Foullon, che ha partecipato alla ricerca. ‘Queste nuove osservazioni ci forniscono nuove informazioni sul perché queste CME appaiono sia in rotazione sia in moto rettilineo sulla superficie del Sole; se le instabilità si formano solo su un fianco, possono incrementare il trascinamento su un lato del CME causando un moto più lento rispetto al resto del getto’. duemila anni luce dalla Terra, la stella simile al Sole con una corona di pianeti che ricorda il nostro sistema solare. L'ha individuata il telescopio spaziale Kepler della Nasa, lanciato proprio allo scopo di trovare nuovi pianeti al di là del sistema solare. La scoperta è stata realizzata da astronomi della University of California a Santa Cruz, i quali sono riusciti non solo a evidenziare la presenza di sei pianeti attorno alla stella, ma anche le orbite e le masse di ciascuno di essi. Cinque dei pianeti hanno una massa compresa tra 2,3 e 13,5 volte quella della Terra e ruotano attorno all'astro principale in meno di 50 giorni. Tutti e cinque, quindi, se fossero nel nostro sistema solare, si troverebbero tra il Sole e Mercurio. Deve fare un bel caldo lassù, dunque. Il sesto pianeta invece si trova più lontano e ruota attorno alla stella in un periodo di 118 giorni. ‘Dei sei pianeti trovati uno assomiglia per dimensioni ai nostri Nettuno o Urano, ma tre dei cinque con massa assai inferiore hanno caratteristiche che non troviamo in alcun modo nel nostro sistema solare’, ha detto Jonathan Fortney, astrofisico alla UCSC che ha guidato il gruppo di astronomi in questa ricerca. Il telescopio Kepler mette in luce la presenza di pianeti attorno a una stella rilevando l'abbassamento di luminosità che questi producono quando passano davanti ad essa e l'ammontare di riduzione della quantità di luce risulta proporzionale alle dimensioni dell'oggetto in questione. E il tempo che trascorre tra una riduzione e l'altra racconta agli scienziati il periodo di rivoluzione del pianeta. Ma per determinare la massa dei pianeti gli astronomi hanno studiato le piccole variazioni che ciascuno di essi presenta nei periodi orbitali, variazioni che possono essere più o meno vistose a secondo della massa del pianeta con cui interagisce. La densità dei pianeti (derivata dalla massa e dal raggio), invece, fornisce indizi sulla loro composizione. Secondo i ricercatori tutti e sei i pianeti hanno una densità inferiore a quella della Terra e sembra che due possano essere composti da acqua con una possibile atmosfera di idrogeno ed elio. Gli altri invece, potrebbero essere formati solo da idrogeno ed elio. Fino ad oggi la massa dei pianeti veniva valutata in base ai piccoli movimenti che essi provocavano sulla stella madre. Ma in questo caso il sistema solare di Kepler-11, questo il nome che gli è stato dato dagli astronomi, è troppo lontano da noi e i pianeti sono troppo piccoli per osservare tali variabili. Dunque si è scelta l'innovativa strada di studiare la massa dei pianeti osservando le interazioni che si fanno l'un l'altro. L'insieme di queste scoperte dunque, è davvero importante e può riservare ancora molte sorprese. ‘Non si può escludere che in esso esistano altri pianeti che potrebbero non essere transitati davanti alla stella nel periodo in cui il telescopio l'ha osservata’, ha sottolineato l'esperto di pianeti extrasolari Raffaele Gratton, dell'osservatorio di Padova dell'inaf. Lo studio di tale sistema solare ha permesso di verificare che anche lassù i pianeti si trovano più o meno tutti sullo stesso piano orbitale, come avviene per il nostro sistema solare. E questo rafforza l'idea che i pianeti si formano da una nebulosa con un ampio raggio, ma con uno spessore piccolo. La scoperta solleva comunque tante domande: come è possibile che pianeti così vicini alla stella abbiano un'atmosfera di idrogeno ed elio? Secondo gli astronomi non è da escludere che l'atmosfera abbia avuto anche altri elementi che ora hanno già lasciato i pianeti e forse è possibile che alcuni di essi si siano formati lontani dalla stella madre e che si stiano avvicinando ad essa. E l'acqua, visto la piccola distanza dalla stella madre dei pianeti più interni dovrebbe essere sotto forma di vapore, ma se sottoposta ad enormi pressioni, potrebbe essere liquida. ON-LINE www.kepler.nasa.gov NASA NUOVO STOP PER DISCOVERY Rinviata al 3 febbraio la missione STS-133 che porterà in orbita PMM. Dalla NASA: riparate le crepe, ma sono necessari ulteriori test. Cape Canaveral · Non scatta il semaforo verde per il Discovery: la NASA ha deciso di cancellare la data di lancio del 17 dicembre. La navetta più anziana della flotta spaziale americana dovrà dunque attendere fino al prossimo febbraio per compiere il 39esimo e ultimo liftoff della sua carriera. Primo giorno utile: il 3 febbraio alla 1.34, ora della Florida. Nonostante le crepe alle centine del serbatoio siano state riparate ‘sono necessari più test e analisi prima di procedere al lancio della missione STS133 diretta verso la Stazione Spaziale Internazionale’. Si è espresso così il Program Requirements Control Board (PRCB), il Comitato della NASA incaricato della sicurezza dei programmi in seguito al briefing del 2 dicembre scorso per l’esame dei test condotti sugli interventi di riparazione dell’external tank. Analisi più dettagliate, test al serbatoio esterno e valutazioni strutturali impegneranno i tecnici dello Shuttle durante i prossimi mesi. Si allontana dunque per il momento l'ora della pensione per la navetta che ha collezionato in assoluto più viaggi spaziali, ne ha compiuti ben 38 da quando ha preso servizio il 30 agosto 1984. Il prezioso carico della navetta resta dunque a terra e gli abitanti della base spaziale internazionale dovranno pazientare fino a febbraio per mettere piede nella nuova stanza della ISS, Leonardo, il modulo italiano che una volta lanciato sarà agganciato permanentemente alla stazione orbitante e che ora si trova nella pancia dello Shuttle. E dentro Leonardo, oltre a rifornimenti, attrezzature ed esperimenti c’è anche un coinquilino molto speciale: Robonaut 2, un robot astronauta antropomorfo, il primo della sua specie a viaggiare nello spazio. Una volta in orbita, verrà impiegato sia all’interno che all’esterno della stazione in attività di supporto agli astronauti. NASA / BILL INGALLS PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 NOTIZIARIO 55 ACCORDI UNIONE EUROPEA ITALIA E ISRAELE: VIA A SHALOM LA NUOVA POLITICA SPAZIALE EUROPEA Le agenzie spaziali dei due paesi annunciano a Tel Aviv l'avvio di un programma per la realizzazione di due satelliti per l'osservazione della Terra. Si è tenuta a Bruxelles il 26 e 27 marzo la conferenza sul tema: A New Space Policy for Europe. Tel Aviv · ‘La chiave del nostro successo Bruxelles · Il 26 e 27 ottobre la sede del Parlamento europeo a Bruxelles, è stata teatro della terza conferenza sulla politica spaziale europea A New Space Policy for Europe. L’evento è stato organizzato da Business Bridge Europe (BBE) con il supporto di Sky and Space, gruppo interparlamentare con a capo l’italiano Vittorio Prodi. Sono intervenuti diversi leader europei, il direttore generale dell’ESA Jean Jacques Dordain, il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, Antonio Tajani vice presidente della Commissione europea, Enrico Saggese presidente dell’ASI e altri attori di spicco del settore. L’incontro aveva lo scopo di rendere note a policy makers, rappresentanti della società civile e dell’industria le nuove competenze in materia spaziale che l’Europa ha acquisito dopo la firma del Trattato di Lisbona nel 2007. ‘Non c’è competitività senza ricerca e lo spazio è il settore dove l’innovazione è il motore’, ha dichiarato Antonio Tajani, vice presidente della Commissione europea ‘la ricerca in campo spaziale non può occuparsi solo di missioni e lanci, ma deve fornire risposte concrete ai cittadini europei’. ‘Le nuove competenze in materia comunitaria – ha dichiarato Dordain , sottolineando l'importanza del Trattato di Lisbona che definisce le linee di un’ambiziosa politica spaziale – potrebbero favorire la ricerca in settori come global environment e prevenzione dei disastri naturali in modo da acquisire una vasta gamma di competenze utili alla società civile’. L’assegnazione di un ruolo decisionale alla Commissione, dovrebbe dare nuovo impulso ai programmi spaziali continentali quali il sistema di navigazione satellitare Galileo e il GMES (Global Monitoring Environment Security) per il monitoraggio globale dell’ambiente. è la fiducia reciproca: non potremmo scambiare le nostre tecnologie, il nostro know-how e le nostre esperienze se non fossimo assolutamente sicuri della fiducia reciproca che esiste e continuerà ad esistere fra i nostri Paesi e fra i nostri popoli’. con queste parole il ministro degli Esteri Franco Frattini ha aperto il 23 novembre all’Ambasciata italiana di Tel Aviv il Forum Italo-Israeliano della Scienza. Nel corso dell’incontro, al quale il premio Nobel Rita Levi Montalcini ha voluto inviare il suo caloroso saluto, le Agenzie Spaziali dei due paesi (ASI e ISA) hanno annunciato alla qualificata platea di rappresentanti del mondo dell’Università e dell’Industria di Israele la firma dell'intesa raggiunta sul progetto SHALOM. Si tratta di un programma per la realizzazione di due Satelliti con tecnologia congiunta nell’osservazione della Terra iperspettrale: occuperanno la stessa orbita di Cosmo SkyMed e quindi integreranno le osservazioni radar con osservazioni nell’infrarosso visibile ed ultravioletto. Questo accordo – ha commentato il presidente dell’ASI Enrico Saggese a Tel Aviv – ‘consentirà la piena integrazione delle tecnologie italiane ed israeliane, entrambe essenziali per la creazione di due satelliti di media dimensione le cui specifiche tecniche di dettaglio saranno stabilite da un gruppo tecnico-scientifico congiunto italoisraeliano’. L’accordo segna un altro importante passo in avanti nel percorso di cooperazione spaziale tra i due paesi, avviato nel gennaio 2009 con l'incontro di ASI e ISA col presidente Shimon Peres e proseguito – anche attraverso la firma della Dichiarazione Congiunta a Roma il 20 marzo 2009, con il coinvolgimento delle comunità scientifiche ed industriali dei due paesi. ‘Non è un caso – ha sottolineato Frattini – che l’Italia sia il primo partner di Israele in campo scientifico’. ON-LINE www.asi.it/it/news/shalom ON-LINE www.spaceconference.eu 56 NOTIZIARIO PLANCK A lato Immagine visibile della vasta area attorno alla regione dell'esopianeta di origine extragalattica HIP 13044. ASTRONOMIA HIP 13044, UN NUOVO ESOPIANETA DI ORIGINE EXTRAGALATTICA INDIVIDUATO DAGLI ASTRONOMI Un pianeta extrasolare in orbita intorno ad una stella che è entrata nella Via Lattea provenendo da un'altra galassia è stato rilevato da un team europeo di astronomi utilizzando il telescopio MPG/ESO di 2,2 metri sito a La Silla in Cile. Heidelberg, Germania · Negli ultimi 15 anni, gli astronomi hanno scoperto circa 500 pianeti orbitanti attorno a stelle nelle nostre vicinanze cosmiche, ma nessuna scoperta al di fuori della Via Lattea è stata finora confermata.¹ Ora un pianeta con una massa minima pari a 1.25 volte quella di Giove,² è 1. Ci sono state rivendicazioni nel tentativo di rilevare pianeti extrasolari extragalattici attraverso gli eventi delle microlenti gravitazionali, in cui il pianeta passa davanti a una stella ancora più distante che porta ad un sottile, ma rilevabile flash. Tuttavia, questo metodo si basa su un evento singolare —l'allineamento possibile tra una sorgente luminosa distante, il sistema planetario e gli osservatori sulla Terra— e nessun rilevamento di tale pianeta extragalattico è stato finora confermato. 2. Usando il metodo della velocità radiale, gli astronomi possono solo stimare una massa minima per un pianeta, e la stima della massa dipende anche dalla inclinazione del piano orbitale rispetto alla linea di vista, che è sconosciuta. Da un punto di vista statistico, questa massa minima è però spesso vicina alla massa reale del pianeta. stato scoperto orbitare intorno a una stella di origine extragalattica, anche se la stella si trova ora all'interno della nostra Galassia. È parte della cosiddetta «corrente di Helmi» – un gruppo di stelle che originariamente apparteneva ad una galassia nana e che è stato divorato dalla nostra Galassia, la Via Lattea, in un atto di cannibalismo galattico avvenuto tra sei e nove miliardi di anni fa. ‘Questa scoperta è molto emozionante’, dice Rainer Klement del Max-PlanckInstitut für Astronomie (MPIA), responsabile per la selezione delle stelle destinate a questo studio. ‘Per la prima volta, gli astronomi hanno individuato un sistema planetario in una corrente stellare di origine extragalattica. A causa delle grandi distanze non ci sono attualmente conferme di rilevazioni di pianeti in altre galassie. Ma questa fusione cosmica ha fatto si che un pianeta extragalattico si trovasse alla nostra portata’. La stella è conosciuta come HIP 13044, e si trova a circa duemila anni luce dalla Terra nella costellazione meridionale della Fornace. Gli astronomi hanno individuato il pianeta, chiamato HIP 13044b, rilevando le minime oscillazioni della stella causate dalla forza gravitazionale esercitata dal suo compagno orbitante. Il team ha utilizzato FEROS, lo spettrografo ad alta risoluzione,³ installato al telescopio MPG di 2,2 metri dell’ESO4 a La Silla in Cile. A rendere ancora più celebre HIP 13044b si 3. FEROS sta per Fibre-fed Extended Range Optical Spectrograph. 4. Il telescopio di 2,2 metri è in funzione a La Silla dall'inizio del 1984 ed è in prestito a tempo indeterminato a ESO da parte dell'Istituto Max-Planck (MaxPlanck-Gesellschaft o MPG in tedesco). Il tempo del telescopio è condiviso tra MPG e i programmi ESO di osservazione; la gestione del telescopio è responsabilità dell'ESO. aggiunge anche il fatto che è uno dei pochi pianeti extrasolari conosciuti ad essere sopravvissuto al periodo in cui la sua stella ha raggiunto la fase di gigante rossa nella sua evoluzione stellare, espandendosi notevolmente dopo aver esaurito l’idrogeno, suo combustibile all’interno del suo nucleo. La stella si è nuovamente contratta e ora brucia l'elio nel suo nucleo. Fino ad ora, queste stelle del cosiddetto «ramo orizzontale», sono rimaste in gran parte un territorio inesplorato per i cacciatori di pianeti. ‘Questa scoperta è parte di uno studio nel quale sono stati sistematicamente ricercati pianeti extrasolari orbitanti stelle che si stanno avvicinando alla fine della loro vita’, dice Johny Setiawan, dell’MPIA, che ha guidato la ricerca. ‘Questa scoperta è particolarmente interessante se si considera il lontano futuro del nostro sistema planetario. Anche il Sole è infatti destinato a diventare una gigante rossa tra circa cinque miliardi di anni.’ HIP 13044b è vicino alla sua stella madre. Nel punto più vicino della sua orbita ellittica si trova a meno di un diametro stellare dalla superficie della stella (o 0.055 volte la distanza Terra–Sole). Completa un'orbita in soli 16,2 giorni. Setiawan e i suoi colleghi ipotizzano che l'orbita del pianeta potesse essere inizialmente molto più grande, ma che si sia ridotta durante la fase di gigante rossa della stella. Difficilmente altri tra i pianeti così prossimi alla loro stella possono essere stati altrettanto fortunati. ‘La stella ha un tempo di rotazione relativamente breve per una stella del ramo orizzontale’, dice Setiawan. ‘Una possibile spiegazione è che HIP 13044 abbia inghiottito i suoi pianeti interni durante la fase di gigante rossa, il che porterebbe la stella a girare più velocemente’. Anche se HIP 13044b è sfuggito fin qui al destino dei pianeti interni, la stella si espanderà nuovamente nella prossima fase della sua evoluzione. HIP 13044b può quindi essere sul punto di essere inghiottito dalla stella, e dunque il suo destino è già segnato. Questo può darci una previsione della scomparsa dei nostri pianeti esterni –come Giove– quando il Sole si avvicinerà alla fine della sua vita. ‘È un rompicapo per il modello di formazione planetaria oggi accettato spiegare come una stella abbia potuto costituire un pianeta. Pianeti intorno a stelle come questa devono essersi formati in modo diverso’, conclude Setiawan. ON-LINE www.eso.org/news/1045 ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: DAVIDE DE MARTIN ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: D. DE MARTIN & S. GUISARD PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 NOTIZIARIO 59 STRUMENTI VISTA: IL NUOVO TELESCOPIO D'AVANGUARDIA INIZIA I LAVORI Un nuovo telescopio – VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) – è appena entrato in funzione all'Osservatorio del Paranal dell'ESO e ha già diffuso le prime immagini. VISTA è un telescopio per survey che opera alle lunghezze d'onda infrarosse, ed è il più grande telescopio al mondo dedicato a produrre una mappa del cielo. Lo specchio, l'ampio campo visivo, e i sensibilissimi rivelatori, offriranno una veduta interamente nuova del cielo australe. Nuove spettacolari immagini della Nebulosa Fiamma, del centro della nostra galassia, e dell'ammasso di galassie della Fornace, dimostrano il perfetto funzionamento del telescopio. Paranal, Cile · VISTA è il più recente telescopio dell'Osservatorio del Paranal dell'ESO, nel Deserto di Atacama nel Cile settentrionale. È situato sulla cima adiacente a quella che ospita il Very Large Telescope dell'ESO (VLT), condividendone le eccezionali condizioni osservative. Lo specchio principale di VISTA ha un diametro di 4,1 m ed è lo specchio più curvo di queste dimensioni e qualità mai realizzato – le sue deviazioni dalla superficie ideale sono inferiori a pochi millesimi dello spessore di un capello umano – e la sua costruzione e lucidazione hanno presentato delle sfide formidabili. VISTA è stato ideato e sviluppato da un consorzio di diciotto università del Regno Unito coordinate A lato Questa immagine mostra la luce visibile del grande campo stellare in prossimità delle costellazione del Sagittario, all'interno della nostra galassia, la Via Lattea. Il campo visivo è di circa 3,5°×3,6°. dalla Queen Mary, Università di Londra, ed è diventato parte del contributo del Regno Unito per l'accordo di adesione all'ESO. Il progetto e la costruzione del telescopio VISTA sono stati condotti dal United Kingdom Astronomy Technology Centre (UK ATC).* L'accettazione provvisoria * Il consorzio VISTA è guidato dalla Queen Mary, University of London e ne fanno parte: Queen Mary, University of London; Queen's University of Belfast; University of Birmingham; University of Cambridge; Cardiff University; University of Central Lancashire; University of Durham; The University of Edinburgh; University of Hertfordshire; Keele University; Leicester University; Liverpool John Moores University; University of Nottingham; University of Oxford; University of St Andrews; University of Southampton. è stata accordata formalmente dall'ESO in una cerimonia al Quartier Generale presso Garching, in Germania, alla quale hanno preso parte i rappresentanti della Queen Mary, Università di Londra, e dell'STFC, il 10 dicembre 2009. Ora il telescopio sarà operato dall'ESO. ‘VISTA è una estensione unica dell'osservatorio dell'ESO al Cerro Paranal. Avrà un ruolo all'avanguardia nell'esplorazione sistematica del cielo australe alle lunghezze d'onda infrarosse e identificherà numerosi oggetti interessanti per un successivo studio più approfondito con il Very Large Telescope, ALMA, e il futuro European Extremely Large Telescope’ dichiara Tim de Zeeuw, Direttore Generale dell'ESO. Nel cuore di VISTA è posto un apparecchio fotografico di 3 tonnellate che contiene 16 speciali rivelatori sensibili alla luce infrarossa, per un totale di 67 milioni di pixel. Osservare a lunghezze d'onda maggiori di quelle visibili all'occhio umano permette a VISTA di studiare oggetti impossibili da osservare alla luce visibile perché sono troppo freddi, oscurati da nubi Destra Il Fornax Galaxy Cluster è uno degli ammassi più vicini al nostro gruppo locale di galassie. Questa immagine della luce visibile dell'ammasso è stata generata attraverso i filtri rosso e blu del telescopio VISTA. Il campo visivo è di circa tre gradi. Seguente In questo straordinario mosaico prodotto dal telescopio VISTA sono ritratte circa un milione di stelle. Uno sguardo profondo nel cuore polveroso della nostra galassia, nella costellazione del Sagittario. Così come assorbe la luce, la polvere spaziale diffonde la luce blu delle stelle lontane, rendendo la sezione centrale di questo enorme starscape molto rossa. Il campo visivo di questa immagine è di circa due gradi; il tempo di esposizione totale è stato di appena 80 secondi. PLANCK ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: D. DE MARTIN ESO / VISTA / ACKNOWLEDGMENT: CAMBRIDGE ASTRONOMICAL SURVEY UNIT 64 PLANCK NOTIZIARIO N.1 Anno I APRILE 2011 STORIA di polvere, o perché sono così distanti che la loro luce si è allungata oltre la banda visibile a causa dell'espansione dell'universo. Per evitare di sommergere la fioca radiazione infrarossa proveniente dallo spazio, lo strumento deve essere raffreddato a −200 gradi e sigillato dalla più grande finestra trasparente all'infrarosso mai realizzata. Tale strumento è stato progettato e costruito da un consorzio che include il Rutherford Appleton Laboratory, l'UK ATC, e l'Università di Durham nel Regno Unito. Poiché VISTA è un grande telescopio dotato di ampio angolo visuale, può rivelare sorgenti molto deboli esplorando ampie regioni del cielo in poco tempo. Ciascuna immagine di VISTA cattura una regione di cielo grande circa dieci volte l'area della Luna piena, e sarà in grado di rilevare e catalogare oggetti sull'intero cielo australe con una sensibilità quaranta volte maggiore di quella raggiunta in esplorazioni sistematiche precedenti come la straordinaria Two Micron All-Sky Survey. Questo salto di potenza osservativa – paragonabile al salto di sensibilità fra l'occhio nudo e il primo telescopio di Galileo – rivelerà un numero enorme di nuove sorgenti, e permetterà la creazione di cataloghi di gran lunga più completi di oggetti rari ed esotici nel cielo australe. ‘Siamo entusiasti di essere stati in grado di offrire alla società astronomica il telescopio VISTA. La qualità eccezionale dei dati scientifici è un tributo a tutti gli scienziati e i tecnici che hanno preso parte a questo esaltante e impegnativo progetto’ aggiunge Ian Robson, direttore dell'UK ATC. Le prime immagini distribuite mostrano la Nebulosa Fiamma (NGC 2024) nella familiare costellazione di Orione, una spettacolare nube di gas e polvere entro la quale nascono stelle, e i suoi dintorni. Nella luce visibile il nucleo dell'oggetto è celato da spesse nubi di polvere, ma l'immagine di VISTA, ottenuta alle lunghezze d'onda infrarosse, può penetrare le fitte coltri e rivelare l'ammasso di giovani e caldissime stelle che si celano all'interno. L'ampio campo visivo dello strumento cattura anche il bagliore di NGC 2023 e la forma spettrale della famosa Nebulosa Testa di Cavallo. La seconda immagine è un mosaico composto da due vedute di VISTA del centro della nostra galassia, la Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Si svelano numerosissime stelle – solo questa immagine ne mostra circa un milione – che in maggioranza sono solitamente celate da spesse nubi di polvere e diventano visibili solo alla luce infrarossa. Per ottenere l'ultima immagine, VISTA ha spinto lo sguardo ben oltre la nostra galassia per ottenere il ritratto di famiglia di un ammasso di galassie nella costellazione della Fornace. Il grande campo permette di catturare numerose galassie in una singola immagine che include l'impressionante spirale barrata NGC 1365 e la grande galassia ellittica NGC 1399. VISTA userà quasi tutto il suo tempo nella creazione di una mappa sistematica del cielo australe. Il telescopio si prepara a sei survey principali aventi scopi scientifici differenti, da svolgersi nei prossimi cinque anni. Una survey interesserà l'intero cielo australe mentre le altre si concentreranno su regioni più limitate, da studiare in maggiore dettaglio. Le survey di VISTA ci aiuteranno a comprendere la natura, la distribuzione e l'origine dei tipi conosciuti di stelle e galassie, realizzeranno una mappa della struttura tridimensionale della nostra galassia e delle vicine Nubi di Magellano, e aiuteranno a determinare la relazione fra la struttura dell'universo e le misteriose materia oscura ed energia oscura. L'enorme volume di dati prodotti – circa 300 gigabyte ogni notte, o più di 100 terabyte all'anno – sarà raccolto dall'archivio digitale dell'ESO e sarà convertito in immagini e cataloghi dai centri dati del Regno Unito nelle università di Cambridge ed Edimburgo. Tutti i dati diverranno pubblici e resi accessibili agli astronomi di tutto il mondo. Jim Emerson della Queen Mary di Londra, alla guida del consorzio di VISTA, anticipa un ricco raccolto scientifico per mezzo del nuovo telescopio: ‘La storia ha dimostrato che alcuni dei risultati più esaltanti ottenuti da progetti come VISTA sono proprio quelli che meno ci si aspetta – e sono io stesso molto ansioso di vedere quali saranno.’ ON-LINE www.vista.ac.uk SESSANT'ANNI FA LO «ZOO SPAZIALE» IN ORBITA SCIMMIE, RAGNI E API Una vera Arca di Noè orbitante, prima di lanciare nel cosmo equipaggi umani, per testare apparecchiature e mezzi. Missioni riuscite e missioni finite tragicamente, a partire dalla cagnetta russa Laika, lanciata con lo Sputnik 2. Morì, abbandonata nello spazio. Una vera Arca di Noè orbitante, per scoprire i segreti del cosmo prima di lanciare nello spazio gli equipaggi umani. Sessant'anni fa, le guerre stellari per il predominio del vuoto cosmico furono combattute, anche loro malgrado, da scimmie, cani, gatti, topi, rane, ragni, api e addirittura pesci. Uno zoo spaziale precursore delle prime missioni con esseri umani per testare apparecchiature e mezzi in grado di portare l'umanità fuori dai confini della Terra. E se nel 1947 gli Stati Uniti lanciano a bordo di razzi V-2 intere famiglie di moscerini, l'anno successivo tocca alla scimmia Albert, protagonista (involontaria) di una missione che però fallisce sul nascere. Riesce, invece, il lancio effettuato l'anno seguente: a bordo c'è sempre un primate, Albert II, che raggiunge i 150 chilometri di altezza. Da allora, lo zoo orbitante delle missioni spaziali, anche dopo lo storico lancio del primo uomo nello spazio, l'astronauta russo Yuri Gagarin, si è arricchito di sempre nuovi protagonisti, pescati qua e là fra le varie specie animali: dai ragni ai topi, dai cani alle farfalle, dai gatti alle api, dai pesci agli scarafaggi, ai vermi, le lumache, i gamberi, agli scorpioni e anche alle ostriche L'astronauta a quattro zampe più famoso della storia spaziale è senza dubbio Laika, la cagnetta russa che per prima, nel 1957, orbitò intorno alla Terra a bordo della navicella spaziale Sputnik 2. Fu lasciata morire nello spazio perché il suo rientro sul nostro pianeta non era previsto. Una delle ipotesi più accreditate fu che l'animale morì praticamente poche ore dopo il lancio a causa del surriscaldamento della cabina. RKA Le sue colleghe Belka e Strelka, assieme a un coniglio, due topi e due ratti, furono le prime a tornare vive e vegete sulla Terra da un volo spaziale, a bordo dello Sputnik 5. Insieme alle scimmie, i topi sono stati tra i primi animali a raggiungere lo spazio. Nell'agosto del 1950, il quinto lancio del razzo Albert aveva a bordo proprio un roditore. Sfortunato, però, dal momento che il paracadute di recupero non funzionò a dovere, causando la morte del topolino. Un altro missile americano, l'Aerobee, volò alla conquista dello spazio con una squadra di undici topi a bordo. Seguì poi il test Mouse in Able, che prevedeva il ritorno sulla Terra di tre topi di tre razzi differenti. Ma anche questa missione si concluse tragicamente. Dieci anni prima della missione Apollo che portò l'uomo sulla Luna, ancora una missione sfortunata, questa volta per 14 topi che morirono a bordo del razzo Jupiter. Neppure alle due rane lanciate nello spazio dalla Nasa nel 1970 per una serie di esperimenti sull'assenza di peso andò bene: rimasero in orbita per ben 6 giorni, ma scomparvero con tutta la navetta negli abissi dello spazio al momento del rientro. Era andata meglio un paio di anni prima a due tartarughe inviate in missione nello spazio dai russi a bordo della navetta Zond 5. Al loro rientro sulla Terra, le tartarughe avevano perso peso, ma almeno erano sopravvissute. E nel novembre 1975, ancora tartarughe nello spazio, e ancora una volta lanciate dai russi: rimasero nel cosmo per ben 90 giorni. In orbita ci sono andati pure i gatti. Il primo, nel 1963, è stato Felix, felicemente, è il caso di dire, rientrato sulla Terra a bordo del razzo francese Veronique. Una settimana più tardi i transalpini ritentarono, spedendo nel cosmo un altro felino, che però non fu fortunato come il suo predecessore e morì durante il rientro. Di ragni ne sono stati inviati tanti nello spazio, ma i primi in assoluto sono stati gli europei Arabella e Anita, a bordo dello Skylab 3, nel 1973. Anche i porcellini d'India sono stati astronauti per un giorno – e anche più – a bordo dello Sputnik 9 nel marzo del 1961, insieme a un cane di nome Chernushka, fatto passare come un finto cosmonauta ribattezzato Ivan Ivanovich e un assortimento di topi e rettili. Nel 1990 la Cina ha lanciato il satellite FSW-13 con a bordo oltre 60 tra piante e animali, porcellini d'India inclusi. Dopo otto giorni tutti di nuovo sulla Terra, senza perdite. Alla conquista del cosmo sono partiti pure i pesci. Il primo è stato un mummichog, piccolo pesce d'acqua dolce, utilizzato spesso nei progetti di ricerca per la sua capacità di sopravvivere in condizioni ambientali estreme. E se il mummichog è stato il pioniere, tra i pesci, dei voli spaziali, molti altri ne hanno seguito la scia, dalle carpe ai pesci killer del Giappone, alle ostriche. Sopra La cagnetta Laika, lanciata nello spazio nel 1957 . N.1 Anno i aPRILE 2011 1 ARTICOLI LEGGERE L'UNIVERSO L'informazione di ciò che esiste e avviene nell'universo è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata dai vari processi astrofisici. Nel XIX secolo la scoperta della natura elettromagnetica della luce ha posto le basi per passare, nel secolo successivo, dall'astronomia ottica all'osservazione sia dalla Terra sia dallo spazio. Oltre la Luce Piero Benvenuti 69 L'Universo Violento Giovanni Fabrizio Bignami 83 I Raggi Cosmici un Secolo Dopo Bruna Bertucci 93 Dal Big Bang ai Buchi Neri Paolo De Bernardis 103 68 articoli 1 piero benvenuti OLTRE LA LUCE L'informazione su ciò che esiste e avviene nell'universo è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata dai vari processi astrofisici. Nel XIX secolo la scoperta della natura elettromagnetica della luce ha posto le basi per passare, nel secolo successivo, dall'astronomia ottica all'osservazione sia dalla Terra sia dallo spazio. Caso unico tra le scienze, l’astronomia non permette al ricercatore di costruire i propri esperimenti, di interrogare direttamente la natura imponendo precise condizioni, come si fa per esempio nello studio di un gas in laboratorio o nello studio delle particelle subatomiche in un grande acceleratore. Le enormi distanze che intercorrono tra l’osservatore e gli oggetti celesti (stelle, galassie, ammassi di galassie) e le loro masse ed energie caratteristiche, insieme alla velocità finita della luce, rendono di fatto impossibile ogni interazione con gli oggetti stessi. Le «sensate esperienze» che Galileo pone alla base del suo nuovo metodo scientifico sono quindi limitate, nel caso dell’astronomia, alla ricezione e all’analisi delle informazioni che gli oggetti astronomici, naturalmente e indipendentemente dalla volontà dell’astronomo, ci inviano. Se tralasciamo una piccola parte di informazione che ci arriva attraverso particelle atomiche di altissima energia, i raggi cosmici, la quasi totalità dell’informazione su ciò che esiste e avviene nel cosmo è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata dai processi astrofisici. Questo è il motivo che lega strettamente il progredire della conoscenza astronomica alla capacità di rac- Fig.1 Il W.M. Keck Observatory è un osservatorio astronomico costituito dai due telescopi riflettori gemelli Keck situato a 4.145 m di altezza sulla sommità del vulcano Mauna Kea, nelle isole Hawaii. Lo specchio primario di ciascuno dei due telescopi ha un diametro di circa 10 m. LAURIE HATCH ARTICOLI 69 70 ALTEC OLTRE LA LUCE PIERO BENVENUTI Quattro secoli di tecnologia Da Galileo in poi, le dimensioni dell'apertura dei telescopi sono aumentate costantemente Circa mezzo secolo fa, è iniziato un enorme balzo tecnologico. 1000 100 M. Wilson M. Palomar Keck VLT E-ELT La finestra radioastronomica Da millenni, quindi ben prima di Galileo, e per circa tre secoli e mezzo dopo di lui, l’astronomia si è basata sull’osservazione della luce visibile, cioè della radiazione elettromagnetica con lunghezza d’onda compresa tra circa 300 e 700 nanometri. Questo intervallo di lunghezze d’onda è quello al quale è sensibile l’occhio umano, e coincide con buona approssimazione con quello della luce solare filtrata dall’atmosfera terrestre: sembra plausibile che l’evoluzione biologica della nostra specie abbia favorito la sensibilità dell’organo preposto alla visione alla luce più copiosamente disponibile durante il giorno. Se così non fosse, saremmo ciechi. Che ne è della radiazione invisibile ai nostri occhi, ma pur sempre presente perché emessa dai fenomeni celesti? Una parte consistente (dall’ultravioletto ai raggi X e gamma) viene assorbita dall’atmosfera prima di raggiungere la superficie terrestre. La radiazione infrarossa è in parte assorbita dall’atmosfera e in parte disturbata dall’emissione infrarossa dell’atmosfera stessa, mentre la radiazione a radiofrequenza (con lunghezze d’onda da circa 1 cm a circa 10 m) raggiunge la superficie terrestre come la luce visibile, ma ci era ignota perché non disponiamo di un organo sensoriale adatto a percepirla. A causa della trasparenza atmosferica, furono proprio le emissioni a radiofrequenza le prime ad ampliare lo spettro di visibilità dei fenomeni cosmici non Piero Benvenuti Professore di astrofisica delle alte energie presso l'Università di Pavia 10 1 0,1 0,01 Occhio nudo 1500 X Diametro ASI, 2010 Newton Fig.2 L'osservatorio di Mount Palomar è uno dei più importanti al mondo nel settore della ricerca astronomica. Ospita il famoso telescopio Hale di 5 m di apertura, completato nel 1949 e gestito dal California Institute of Technology. È situato nella Contea di San Diego, circa 150 km a sud-est di Los Angeles, a 1.710 m di altezza. Comprende anche due camere Schmidt e un telescopio riflettore di 1,5 m. motivo l’evoluzione del telescopio è stata dominata dalla necessità di costruire strumenti con un’apertura di diametro sempre maggiore, e con qualità ottiche tali da riprodurre su una superficie – il piano focale – una zona di cielo il più ampia possibile con il minimo di aberrazioni. Questa evoluzione, iniziata immediatamente dopo le prime scoperte galileiane, ha proceduto costantemente nel tempo, ma senza balzi significativi fino a circa mezzo secolo fa, quando una combinazione di progressi tecnologici ha dato un impulso straordinario alle capacità di osservazione. Galileo cogliere e analizzare i segnali elettromagnetici provenienti dal cosmo. La storia dell’evoluzione di questa capacità è stata segnata dalla scoperta, da parte di James Clerk Maxwell nel 1864, della natura elettromagnetica della luce e, successivamente, dallo sviluppo delle tecnologie per la rivelazione della radiazione, che ha permesso di passare dall’astronomia ottico-visiva all’osservazione, dalla Terra e dallo spazio, di tutto lo spettro elettromagnetico emesso dai fenomeni celesti. Il cannocchiale di Galileo è un vero e proprio telescopio in senso etimologico: uno strumento che fa vedere oggetti lontani come se fossero vicini, ingrandendone le dimensioni apparenti. È senz’altro la più immediatamente comprensibile delle capacità dello strumento, ed è quella alla base delle prime, rivoluzionarie scoperte astronomiche: le montagne e le valli della Luna, la natura della Via Lattea, le fasi di Venere e, naturalmente, il sistema gioviano dei satelliti medicei. Limitandosi però al solo effetto di ingrandimento si rischia di sottovalutare i vantaggi veramente determinanti del telescopio, ovvero la capacità di raccogliere la luce (più in generale la radiazione elettromagnetica) emessa da oggetti debolissimi per la grande distanza che li separa da noi, e la capacità correlata di distinguere oggetti angolarmente molto vicini in cielo. Entrambe queste caratteristiche del telescopio sono legate all’area effettiva dell’apertura dello strumento che intercetta la radiazione proveniente dalla zona di cielo osservata. Per questo 1600 1700 1800 1900 2000 Y Anno INFOGRAFICA: P 71 72 ESO OLTRE LA LUCE PIERO BENVENUTI Fig.3 VLT è un sistema di quattro telescopi ottici separati, ognuno con uno specchio primario di 8,2 m. Il progetto fa parte dell'ESO e si trova sul Cerro Paranal, in Cile. 73 74 OLTRE LA LUCE Fig.4–5 a destra L'osservatorio di Arecibo è situato circa 15 km a sud-sudovest di Arecibo, nell'isola di Porto Rico. Esso opera attraverso la Cornell University sotto un accordo cooperativo con la National Science Foundation, un'agenzia governativa USA. L'osservatorio è noto come NAIC (National Astronomy and Ionosphere Center) anche se entrambi i nomi sono ufficialmente utilizzati per riferirsi ad esso. NAIC si riferisce più propriamente all'organizzazione che dirige sia l'osservatorio che i laboratori associati e gli uffici della Cornell University. L'osservatorio possiede un radiotelescopio formato da un'antenna di 305 m ed è il più grande telescopio con singola apertura che sia mai stato costruito. Esso viene utilizzato principalmente per tre grandi aree di ricerca: radioastronomia, fisica atmosferica (utilizzando sia il radiotelescopio che la funzione LIDAR dell'osservatorio) e l'osservazione radar di oggetti del sistema solare. Nel 2012 verrà inaugurato il più grande sito di antenne mai concepito: il progetto ALMA, costruito su un immenso salar a più di 5 mila metri quota in Cile appena la tecnologia lo permise. La sco- si tratta di una legge di natura: sempliperta dell’emissione di onde radio da cemente, finora non siamo stati in grado parte di oggetti celesti avvenne casual- di costruire rivelatori di radiazione eletmente nel 1930 per opera di un ingegnere tromagnetica che, nel caso di lunghezze dei Bell Telephone Laboratories, Clark d’onda pari o inferiori a quelle della luce Guthe Jansky, che usando una grande visibile, ci permettano di misurare amantenna direzionale si accorse che un piezza e fase del segnale incidente. Lo segnale radio entrava nel campo della sappiamo fare invece molto bene nel sua antenna ogni giorno con 4 minuti di caso delle onde radio, per le quali l’oscilritardo, segno che la sorgente, successi- lazione degli elettroni liberi in un dipolo vamente identificata con la zona centrale – il cuore dell’antenna – indotta dalla radella Via Lattea, seguiva il tempo siderale, diazione incidente viene amplificata da ovvero era solidale con la sfera celeste. opportuni e sempre più sofisticati circuEra nata la radioastronomia, che comin- iti elettronici fino a fornirci un tracciato ciò però a svilupparsi sistematicamente temporale dell’oscillazione stessa, da cui solo dopo la fine della seconda guerra è possibile ricavare non solo l’energia mondiale. Per capire i vantaggi e la com- trasportata dalla radiazione, ma anche plementarità delle osservazioni radio l’ampiezza e la fase della radiazione in rispetto a quelle ottiche è importante funzione del tempo. Questa precisazioevidenziare la sostanziale differenza di ne, che sembrerà un po’ pignola e aririvelazione del segnale elettromagnetico nelle due tecniche. Nel caso ottico-visibile, la radiazione – la luce – oltre a essere rilevabile dall’occhio umano, è stata appaiono brillanti nella parte rivelata e registrata per molti decenni Fig.6 pagina seguente dello spettro millimetrica dal processo fotografico, mentre attual- Sull'altopiano di Chajnantor nelle Ande e submillimetrica. mente lo è da dispositivi a stato solido, i cilene, l'ESO (European La radiazione millimetrica CCD (Charge Coupled Device), gli stessi Southern Observatory), in e submillimetrica apre una finestra sull'enigmatico che si usano nelle fotocamere digitali e collaborazione con i suoi universo freddo, ma i segnali nei telefonini. In entrambi i casi – lastra partner internazionali, sta costruendo ALMA – un provenienti dallo spazio fotografica e CCD – la luce può essere telescopio modernissimo per sono fortemente assorbiti immaginata come un insieme di fotoni, studiare la luce proveniente dal vapore acqueo presente pacchetti individuali di energia defini- da alcuni dei più freddi nell'atmosfera terrestre. Per questo i telescopi per ta e proporzionale all’inverso della loro oggetti dell'universo. Questa luce ha lunghezze d'onda questo tipo di astronomia lunghezza d’onda, che interagendo con di circa un millimetro, fra la devono essere costruiti in siti i granuli di un sale d’argento nel primo luce infrarossa e le onde radio, elevati e secchi, come quello caso o con un elemento semiconduttore ed è perciò conosciuta come di 5 mila metri dell'altopiano di Chajnantor, il sito del più nel secondo, cedono la loro energia elet- radiazione millimetrica e submillimetrica. alto osservatorio astronomico tromagnetica. La luce a queste lunghezze sulla Terra. L'ESO con i In questo processo, che in ogni caso d'onda proviene da vaste suoi partner internazionali, permette di misurare l’energia trasporta- nubi fredde nello spazio sta costruendo qui ALMA (Atacama Large Millimeter/ ta dalla luce, viene persa definitivamente interstellare, a temperature di solo alcune decine di gradi Submillimeter Array). Questo l’informazione legata alla caratteristica sopra lo zero assoluto, e da è il più grande progetto ondulatoria della luce, cioè all’ampiezza alcune tra le più antiche e astronomico di oggi. Il sito di dell’onda elettromagnetica e alla sua fase distanti galassie dell'universo. ALMA, circa 50 km a est di San Pedro di Atacama, nel nord che, per dir così, spariscono nel processo Gli astronomi possono usarla per studiare le condizioni del Cile, è uno dei luoghi di cessione di energia al rivelatore. Non chimiche e fisiche nelle nubi molecolari – le dense regioni di gas e polvere dove nascono nuove stelle. Spesso, queste regioni dell'universo sono buie e oscure se guardate nella luce visibile, ma più secchi della Terra. Gli astronomi trovano condizioni ottime per l'osservazione, ma devono gestire un osservatorio di frontiera in condizioni molto (continua a pag. 77) SIC 76 ESO OLTRE LA LUCE PIERO BENVENUTI 77 Fig.6 (continua da pag. 74) molto difficili. Il Chajnantor è 750 m più in alto dell'osservatorio di Mauna Kea, e 2.400 m più in alto del VLT sul Cerro Paranal. Procurando agli scienziati dettagliate immagini di stelle e pianeti nati in nuvole di gas, vicino al nostro sistema solare, e individuando galassie distanti, che si formano ai confini dell'universo osservabile, che noi vediamo all'incirca come erano dieci miliardi di anni fa, ALMA consentirà agli astronomi di rispondere ad alcune delle domande più profonde sulle origini del nostro cosmo. La sua costruzione verrà completata intorno al 2012, ma le prime osservazioni scientifiche con una parte della serie di antenne cominceranno già entro la fine di quest'anno. 78 OLTRE LA LUCE N.1 Anno i aprile 2011 da, è necessaria per capire la tecnologia Array), costruito su un immenso salar, che sta alla base della VLBI (Very Long un antico lago salato, a più di 5 mila metri Baseline Interferometry) la più impor- di quota nel deserto di Atacama, in Cile. tante tecnica radioastronomica. Più antenne riceventi, situate anche a migliaia di chilometri di distanza, osservano la L'era spaziale e l'accesso globale radiazione emessa dallo stesso oggetto. allo spettro elettromagnetico Le osservazioni ottenute da ciascuna L’avvento dell’era spaziale, con il lancio antenna – i tracciati di ampiezza e fase in dei primi satelliti artificiali, apre definifunzione del tempo – vengono registrate tivamente il potenziale accesso all’intero su un supporto magnetico e successiva- spettro elettromagnetico, in particolare mente sovrapposte, ovvero fatte interfe- quello relativo alla radiazione più enerrire, in modo che le oscillazioni in coin- getica della luce visibile: l’ultravioletto e i cidenza di fase si sommino e quelle con raggi X e gamma. In questo caso, tuttavia, fase opposta si elidano. Questa tecnica, oltre al problema di portare in orbita il detta «sintesi di apertura», permette di telescopio, si presenta un ulteriore proaumentare enormemente la risoluzione blema tecnico: gli specchi a incidenza del complesso di telescopi, quasi come normale, quali sono quelli classicamense il telescopio avesse un diametro pari te usati dai telescopi ottici terrestri, non alla separazione massima tra le antenne riflettono efficacemente la radiazione; usate. Per ottenere risultati soddisfacenti anzi, nel caso dei raggi X e gamma ne è necessario usare una rete di numerosi verrebbero attraversati. telescopi collocati a varie distanze, anche Solo per l’ultravioletto, fino a lunghezin continenti diversi, o addirittura nello ze d’onda di circa 90 nanometri, è posspazio, come prevede un progetto russo, sibile usare un disegno ottico classico, a Radioastron. patto di adottare speciali accorgimenti La possibilità di usare collegamenti a per la superficie riflettente. Fu il sistema fibra ottica a larga banda ha permesso adottato dal satellite IUE (International di recente di collegare direttamente le Ultraviolet Explorer), lanciato nel 1978, antenne e operare l’interferometria in che montava un telescopio classico con tempo reale. Farà parte di questa rete in- uno specchio primario del diametro di ternazionale anche il Sardinia Radio Te- 45 cm, ma con un’ottima efficienza per lescope, in fase di avanzata costruzione la radiazione ultravioletta, da 300 a 115 a Pranu Sanguni, in Sardegna, un radio- nanometri. Collocato in orbita geostatelescopio del diametro di 64 m che sarà zionaria, IUE fu il primo vero osservail più sofisticato esistente in Europa. Nel torio spaziale, controllabile e gestibile 2010 si inaugurerà il più grande parco di dalle stazioni di terra come un telescopio antenne mai realizzato: il progetto mon- terrestre. Il grande balzo per l’astronodiale ALMA (Atacama Large Millimitre mia ottica-ultravioletta dallo spazio fu Fig.7 Il JWST (James Webb Space Telescope) è un telescopio spaziale infrarosso sviluppato per un upgrade nell'infrarosso rispetto alle funzionalità del precedente Telescopio Spaziale Hubble. Verrà costruito e gestito in cooperazione dalla NASA e dall'Agenzia Spaziale Europea. Precedentemente indicato come NGST (Next Generation Space Telescope), è stato rinominato nel 2002 in onore del secondo amministratore della NASA James E. Webb. Il lancio del telescopio è previsto per il 2014. La missione primaria del JWST è di esaminare il residuo a infrarossi del big bang, per poter determinare le condizioni iniziali di formazione dell'universo. Per realizzare questa missione il telescopio sarà dotato di sensori estremamente sensibili. Questi sensori necessitano di una struttura estremamente fredda e infatti la maggior parte delle interferenze infrarosse – provenienti dal Sole, la Terra e la Luna in prima approssimazione – saranno bloccate. Per bloccare le radiazioni infrarosse il telescopio sarà dotato di una ampia paratia metallizzata utilizzata come schermo. Il telescopio verrà posto in un'orbita lagrangiana in modo da mantenere costante la posizione del Sole e della Terra rispetto al telescopio e quindi rendere efficace lo schermo. Nonostante il JWST pesi la metà del telescopio Hubble il suo specchio primario (uno specchio di 6,5 m di berillio) sarà più del doppio dello specchio dell'Hubble (2,4 m). Dato che il lanciatore non è in grado di trasportare in orbita uno specchio così grande lo specchio sarà diviso in 18 sezioni che una volta in orbita si dispiegheranno attraverso dei sensibili micromotori che posizioneranno correttamente i segmenti. Una volta che il telescopio sarà dispiegato saranno necessari solo rari aggiustamenti dei segmenti a differenza dei telescopi terrestri. Per esempio il telescopio Keck utilizza dei micromotori che muovono continuamente i singoli pezzi dello specchio per compensare le perturbazioni dell'atmosfera. La Northrop Grumman, compagnia statunitense, è il primario sviluppatore, costruttore e assemblatore del telescopio. Ha la responsabilità dello sviluppo e della costruzione del veicolo spaziale incluso lo schermo di protezione dalle radiazioni infrarosse e dei sistemi di trasmissione dati verso la Terra. ESA ESA / P. DIAMANTOPOLOUS PIERO BENVENUTI Fig.8 NGC 6611 è una grande regione visibile nella costellazione della Coda del Serpente; è formata da un ammasso di stelle associato ad una nebulosa catalogata come IC 4703. Il suo studio è diventato molto importante per la ricerca sui buchi neri supermassicci: nel 2004 al centro della regione è stato infatti scoperto un enorme buco nero, la cui osservazione diretta era resa però estremamente complessa a causa delle interferenze radio emesse mezzo interstellare. Dal 2005 l'ESO ha coinvolto la propria comunità di astronomi e astrofisici europei allo scopo di definire le caratteristiche di un nuovo telescopio. Questo rivoluzionario progetto concettuale chiamato E-ELT (European Extremely Large Telescope) prevede un telescopio a terra del diametro di 42 m che sarà il più grande telescopio ottico/vicino-infrarosso del mondo: ‘Il più grande occhio rivolto al cielo’. Le potenzialità di E-ELT sono tali da far ben sperare nel campo della ricerca sui buchi neri come quello al centro di NGC 6611. compiuto dall’Hubble Space Telescope, lanciato nel 1990, che con uno specchio primario del diametro di 2,4 m, una suite di strumenti per l’osservazione nel visibile e nell’ultravioletto e la possibilità di essere visitato dagli astronauti per la manutenzione e per la sostituzione degli strumenti rappresenta tuttora il più efficiente e popolare osservatorio spaziale. Oltretutto, l’assenza dell’effetto perturbativo dell’atmosfera sulla luce visibile permette a Hubble di ottenere immagini degli oggetti celesti visibili anche dai telescopi terrestri, ma con una risoluzione e nitidezza circa dieci volte superiore. Anche per Hubble, il disegno ottico del telescopio non è diverso da quello usato per gli strumenti terrestri. Questo disegno ottico, proposto da Riccardo Giacconi nel 1969, prevede che la radiazione incontri la superficie riflettente con un angolo molto piccolo, radente appunto. In questo modo la riflettività si mantiene alta, ma la superficie utile per raccogliere la radiazione risulta molto piccola: è come se lo specchio primario avesse un enorme buco al centro. Per aumentare l’area efficace si costruiscono molti specchi coassiali, ognuno leggermente più piccolo dell’altro e si montano uno dentro l’altro come in una bambola russa o come le foglie di un carciofo. Tutti i telescopi per raggi X attuali – XMM-Newton e Chandra – sono costruiti in questo modo: per evitare pesi eccessivi, gli specchi devono essere molto sottili, pur mantenendo esattamente la forma voluta. I fotoni di più alta energia, i raggi gamma, non sono riflessi nemmeno dalle ottiche radenti, e bisogna usare altre metodologie. Negli strumenti più recenti si sfrutta la proprietà dei raggi gamma di materializzarsi, nel passare vicino a un nucleo pesante, producendo una coppia costituita da un elettrone e dalla sua antiparticella, il positrone. La traiettoria di queste due particelle è seguita da una serie di rivelatori disposti uno sopra l’altro, e permette di determinare la direzione di provenienza del fotone originario e, con l’aiuto di altri rivelatori, la sua energia. Non si può chiudere il capitolo dell’astronomia dallo spazio senza citare i satelliti infrarossi e millimetrici, come COBE e WMAP, che con l’osservazione del fondo cosmico, indisturbata dall’atmosfera, hanno contribuito in modo determinante alla costruzione dell’attuale modello cosmologico. Sembrava che il telescopio di Mount Palomar fosse un limite invalicabile, invece i progressi ottenuti nel campo della micro-elettronica hanno fatto un vero e propio miracolo tencologico BIBLIOGRAFIA Eyes on the skies. 400 years of telescopic discovery Schilling G., Christensen L.L., ESA, 2010 The adaptive optics revolution: a history Duffner R.W., University of NM Press, 2009 Astronomical optics and elasticity theory Lemaitre G.R., Springer, 2009 The invisible universe. The story of radio astronomy Verschuur G.L., Springer, 2009 Il telescopio di Galileo. Lo strumento che ha cambiato il mondo Strano G. (a cura di ), Giunti, 2009 Viaggio verso l’infinito. Le sette tappe che ci hanno svelato l’universo Bianacci P., Gruppo B, 2009 ON-LINE www.eso.org 81 KSC / NASA articoli 2 giovanni fabrizio bignami L'UNIVERSO VIOLENTO Negli ultimi dieci anni, l'astrofisica della alte energie che studia la radiazione X e quella gamma, ha ottenuto una serie impressionante di risultati, facendo luce sui più violenti fenomeni del cosmo. La comunità scientifica e industriale italiana ha un ruolo di primo piano in questi risultati, grazie ad una scuola riconosciuta a livello mondiale. Quattro secoli dal telescopio di Galileo, quarant’anni dall’Apollo 11, vent’anni dall’invenzione del World Wide Web al CERN. Siamo circondati dalle ricorrenze. E tra poco, in dicembre, saranno dieci anni che la missione XMM-Newton della European Space Agency funziona in orbita. Usiamo allora questa data simbolo per raccontare quello che è successo nell’ultimo decennio nell’astrofisica delle alte energie, una branca dell’astronomia dallo spazio che non era stata mai così attiva e prolifica, soprattutto in Europa e in Italia. A partire dal lancio di XMM-Newton nel 1999, quando la missione BeppoSAX dell’Agenzia Spaziale Italiana era al picco dei suoi risultati, cercheremo di seguire, fino a oggi, la serie impressionante di missioni e di risultati. E vedremo che gruppi italiani sono, in molti casi, protagonisti. Ma un decennio d’oro non nasce nel vuoto: i risultati di oggi partono da una scuola che ha ormai mezzo secolo. E quella italiana è una scuola che il mondo ci invidia, almeno finora, sul piano culturale come su quello tecnologico e industriale. Nascita di una scienza Possiamo fissare l’inizio dell’astrofisica delle alte energie nel 1960. Solo tre anni dopo il lancio dello Sputnik, al Massachusetts Institute of Technology Bruno Rossi e George Clark cercano di capire come usare lo spazio per studiare fotoni extraterrestri. Lo stesso sta facendo uno dei laureati milanesi di Giuseppe Occhialini, Riccardo Giacconi, da poco negli Stati Uniti. E lo stesso Occhialini, nel 1960, trascorre un periodo al MIT con Rossi, seguito da un soggiorno di Clark a Milano. Mentre Giacconi, Rossi e gli altri scoprono la prima sorgente di raggi X nel 1962 (grazie a cui Giacconi otterrà il premio Nobel quarant’anni dopo), tornato 83 84 L'UNIVERSO VIOLENTO a Milano, Occhialini inizia a progettare missioni spaziali, insieme ai maggiori fisici e astrofisici europei dell’epoca. Lo fa nel contesto dell'ESRO (European Space Research Organisation, l’organismo che precedette l’ESA istituita nel 1975), prima per studiare i raggi gamma celesti, rivelati da Clark nel 1968, e poi i raggi X, anche sulla spinta della missione UHURU (SAS-1) realizzata per la NASA da Giacconi e Rossi nel 1970. Proprio su un esperimento spaziale di prima generazione per astronomia gamma mi laureo nel gruppo di Occhialini nel 1968. Sugli intensi rapporti tra Occhialini e Rossi dovevo fare, molti anni dopo, una interessante scoperta, che rivelo qui per la prima volta – i due protagonisti sono morti, quasi contemporaneamente, ormai da tempo. Negli anni settanta ereditai a Milano la scrivania della segretaria di Beppo, Nella Cimaz. Caduta dietro a un cassetto, trovai una copia di una lettera – che tuttora custodisco gelosamente. Era indirizzata da Beppo al Comitato Nobel, e nominava Bruno Rossi per il premio, elencandone i meriti con il suo stile conciso e ficcante. La candidatura non andò a buon fine: forse Beppo non era potente a Stoccolma, o forse Rossi non era abbastanza sostenuto negli Stati Uniti. La scuola europea di astronomia gamma, cresciuta grazie a Occhialini – e ai suoi colleghi e allievi – in modo parallelo a quella statunitense, arriva a maturità con COS-B (1975—1982), il primo satellite dell’ESA. Per una volta, l’Europa è alla pari degli Stati Uniti, se non davanti: COS-B migliora nettamente i dati della missione NASA SAS-2, svoltasi tra il 1972 e il 1973. Scopre una popolazione di sorgenti gamma galattiche, tra le quali Geminga, che diventerà la più famosa, e vede la prima sorgente extragalattica, il quasar 3C273. Pur con grosse difficoltà pratiche e lunghi ritardi, in Europa comincia an- Fig.9 pag. 82 Swift messo in orbita dalla NASA nell'ambito del Programma Explorer. È dedicato allo studio dei lampi gamma. Lanciato alle 17.16 UTC del 20 novembre 2004 dalla base di Cape Canaveral usando come vettore un razzo Delta II 7320-10C, è stato posizionato su un'orbita caratterizzata da un apogeo di 604 km, un perigeo di 585 km, un periodo di 96,6 minuti e un'inclinazione di 21°. Il satellite è frutto di una collaborazione tra NASA, ASI e PPARC (Particle Physics and Astronomy Research Council). La principale base terrestre è il Centro spaziale Luigi Broglio, mentre l'archiviazione dei dati è svolta al Goddard Space Flight Center. Lo studio scientifico dei dati è svolto al GSFC presso Leicester. Fig.10 a destra XMM-Newton, ufficialmente High Throughput X-ray Spectroscopy Mission, venne lanciato dall'Agenzia Spaziale Europea il 10 dicembre 1999 dal Centre Spatial Guyanais di Kourou. È stato posizionato in un'orbita molto ellittica con un periodo di 48 ore a 40°, un apogeo di 114 mila km dalla Terra e un perigeo di soli 7 mila km. La missione venne proposta nel 1984 e approvata nel 1985. Il gruppo di sviluppo venne creato nel 1993 e lo sviluppo della sonda iniziò nel 1996. Il satellite venne costruito e testato tra il marzo 1997 e il settembre 1999. Questo strumento è il più grande satellite scientifico mai costruito in Europa, infatti pesa 3.800 kg ed è lungo 10 m e largo 16 m con i pannelli fotovoltaici dispiegati. È dotato di 3 telescopi per i raggi X prodotti dalla Media Lario in Italia, ognuno dotato di 58 specchi concentrici di tipo Wolter, per una superficie totale di ricezione di 3400 cm². ESA 86 ESA giovanni fabrizio bignami Fig.11 AGILE (Astrorivelatore Gamma ad Immagini ultra LEggero) è un satellite astronomico a raggi Gamma e a raggi X dell'Agenzia Spaziale Italiana. Il design, lo sviluppo e la fabbricazione del satellite sono stati capeggiati dalla Carlo Gavazzi Space di Milano, insieme ad altre aziende ed istituti di ricerca. AGILE è equipaggiato con strumenti scientifici in grado di catturare immagini di oggetti celesti distanti nelle regioni dei raggi gamma e X dello spettro elettromagnetico. Il satellite pesa 352 kg. È stato lanciato con successo il 23 aprile del 2007 dal razzo PSLV-C8 dell'ISRO, dalla base indiana di Sriharikota. che l’astronomia spaziale in raggi X, con strumento più produttivo di tutta l’astrola missione EXOSAT, operativa tra il 1983 nomia X. Dal 1998, il coordinatore euroe il 1986. Anche se scopre le variazioni di peo sarà Martin Turner, che porterà al intensità della radiazione X emessa da un lancio lo strumento, realizzato da tredici oggetto astronomico (QPO, dall’inglese istituti e innumerevoli industrie in Italia, quasi-periodic oscillation), EXOSAT non Germania, Inghilterra e Francia. fa meglio del NASA Einstein Observatory Il 10 dicembre 1999 assisto al lancio da (1978—1981), ancora dovuto a Giacconi Kourou di XMM (che subito dopo verrà (e a Pippo Vaiana), che aveva portato in ribattezzato Newton). Con me è Sergio orbita una potente e accurata ottica per De Julio, allora presidente dell’Agenzia raggi X. Proprio sull’ottica per raggi X ne- Spaziale Italiana. Non è un astronomo, gli anni ottanta nel gruppo di Occhialini ma capisce di scienza. Lo so, perché parte uno studio innovativo dal punto coordino per lui i programmi scientifici di vista tecnologico. Si fanno ottiche ef- ASI. Insieme, abbiamo appena fatto parficienti, abbastanza accurate ma a basso tire un programma di piccole missioni costo, robuste ma sufficientemente leg- e abbiamo scelto la prima: si chiama gere per essere imbarcate in numero e AGILE (Astro-rivelatore Gamma a Imdimensioni adeguate a una missione di magini LEggero), e riprenderà l’astrononuova generazione. Purtroppo non par- mia gamma, dopo COS-B e il Compton te in parallelo uno studio su rivelatori di Observatory della NASA. Più tardi, De piano focale: forse uno dei pochi errori Julio approverà anche due grandi partestrategici di Occhialini nella sua carriera cipazioni italiane a missioni NASA, Swift di maestro di scienza per tutti noi. Il la- e GLAST (ribattezzata «Fermi» subito voro sulle ottiche per raggi X, sotto la gui- dopo il lancio). Mi sembra importante rida di Oberto Citterio ed Enrico Mattaini, cordarlo, adesso che tutte tre le missioni produrrà risultati importanti per l’Italia e per l’Europa. Le ottiche alla milanese Le ottiche alla milanese furono sono state determinanti per la missione determinanti per la missione ASI BeppoSAX e per le missioni XMMASI BeppoSAX e per le missioni Newton (ESA) e Swift (NASA), entrambe ESA XMM-Newton e NASA Swift, ancora in orbita. Di BeppoSAX, missione partita con entrambe ancora in orbita gravi ritardi nel 1996 e durata fino al 2002, che portava con orgoglio il nome di Oc- (AGILE, Swift e GLAST/Fermi) sono felichialini, è già stato detto molto. Ricor- cemente in orbita. Le missioni non nadiamo qui solo che BeppoSAX ha vinto il scono sotto i cavoli. Soprattutto in quelpremio Rossi 1998 della American Astro- le che sono al di fuori del programma nomical Society per il suo contributo alla scientifico obbligatorio ESA, l’ASI ha un comprensione della natura dei lampi di ruolo determinante di iniziativa e di traino, di concerto con gli altri enti di ricerca raggi gamma (GRB). Nel 1987 l’ESA approva la missione coinvolti, come l’Istituto Nazionale di XMM, e a Milano (e a me, con Gabriele Astrofisica e l’Istituto Nazionale di Fisica Villa come project manager) è assegnata Nucleare. Senza il supporto e il coordinala responsabilità del coordinamento eu- mento dell’ASI non nascono però neanropeo dello strumento posto nel piano che significative partecipazioni alle misfocale per realizzare immagini e spettri sioni ESA. Dopo EXOSAT e XMM-Newton, in raggi X. Si chiamerà EPIC (European negli anni ottanta parte il lavoro su InPhoton Imaging Camera) e diventerà lo tegral, missione innovativa e coraggiosa 87 88 L'UNIVERSO VIOLENTO per fare immagini e spettroscopia dove non erano mai state fatte. Pietro Ubertini, del gruppo IASF/CNR/INAF di Frascati, si guadagna sul campo la responsabilità scientifica dello strumento di imaging della missione, chiamato IBIS e costruito con un forte contributo del gruppo di Bologna IASF/CNR/INAF, coordinato da Di Cocco. La missione è in orbita con successo dal 2002. Per la missione Swift della NASA si è rivelato positivo un errore di valutazione, commesso tra gli anni ottanta e novanta, sulla possibilità di una partecipazione italiana (anzi, italo-inglese) alla missione sovietica SpektrumRG. Con l’Unione Sovietica in ginocchio, l’investimento fatto si rivela sprecato. Per cercare di rimediare si salvano le ottiche per raggi X (italiane) e gli strumenti di piano focale (inglesi) e li si propone, con successo, alla NASA. Alla fine degli anni novanta l’ASI approva la partecipazione italiana, completata dall’uso della base di Malindi, che si fa onore nella gestione di una missione NASA. Nasce Swift, in orbita dal 2004. Della genesi di AGILE come prima (e purtroppo finora unica) piccola missione scientifica di ASI si è detto. Dal 1998 il responsabile scientifico Marco Tavani guida una squadra INAF/INFN nella progettazione di un piccolo gioiello dell’astronomia gamma, che l’ASI affida, per prima volta in Italia, a un consorzio di piccole e medie industrie. Vengono usati i tracciatori al silicio e numerose altre innovazioni tecnologiche. Il 23 aprile 2007 un lanciatore dell’agenzia spaziale indiana (ISRO) porta in orbita AGILE. La missione è operativa da allora, e produce risultati che il mondo ci invidia. Lo sviluppo dei tracciatori al silicio, dovuto in larga misura a fisici dell’INFN, apre anche la porta alla partecipazione italiana alla missione GLAST/Fermi. Lo strumento principale, il Large Area Telescope, ha come principal investigator Peter Fig.12 Al centro di quest'area si trova il luogo in cui la famosa Supernova Tycho, conosciuta anche come SN 1572A, esplose nel 1572. La regione giace nel cielo settentrionale della costellazione di Cassiopea. L'immagine è stata composta tramite due esposizioni del Digitized Survey 2. giovanni fabrizio bignami 89 NASA / ESA, DIGITIZED SURVEY 2 AND P. RUIZ-LAPUENTE (UNIVERSITY OF BARCELONA) 90 PLANCK ARTICOLI VIOLENTO L'UNIVERSO Dieci anni di spazio delle alte energie Raggi X 1-10 keV Raggi Gamma (Decine di keV - qualche MeV) La missione XMM-Newton trae la sua sensibilità dalla combinazione della tecnologia degli specchi e del rivelatore EPIC. Un bell’esempio di risultato è la lunga osservazione del capostipite delle pulsar ad alte energie, Geminga. Con EPIC si riescono a distinguere, nello spettro della sorgente centrale (la pulsar), una doppia componente termica e una non termica. La superficie della stella di neutroni rotante mostra una zona, larga qualche chilometro, alla temperatura di centinaia di migliaia di gradi, e una calotta polare a più di un milione di gradi, grande come un campo da calcio. Niente male, per un oggetto che si trova a 500 anni luce da noi. La terza componente spettrale, non termica, invece, è identificata con l’emissione da elettroni energetici, accelerati dalla pulsar e immessi nel campo magnetico interstellare, insieme al quale generano i raggi X osservati. Un’immagine simile, con più alta risoluzione angolare, ma con minore profondità, è stata ottenuta dalla missione NASA Chandra, lanciata contemporaneamente a XMM-Newton e ancora attiva. È una missione splendida, che sta rivoluzionando il cielo a raggi X, anch’essa in gran parte dovuta alla scuola di Riccardo Giacconi. Geminga è un esempio di sorgente studiata a tutte le lunghezze d’onda, anzi, è oggi di gran lunga la stella di neutroni più studiata (e capita) del cielo, dopo la sua scoperta in raggi gamma più di trent’anni fa. È l’intervallo di energia della missione Integral, dominato da processi non termici, come l’interazione tra particelle e campi magnetici o fotonici. In più, è la regione delle righe nucleari, di grande e ancora non sfruttata potenza diagnostica. (Fino a circa 100 keV è ancora attiva anche la missione RXTE, della NASA, lanciata nel 1996 e dedicata proprio a Bruno Rossi.) Nei sette anni trascorsi dal suo lancio Integral, con lo strumento IBIS, ha ottenuto un nuovo catalogo di sorgenti nell’intervallo tra 20 e 200 keV che conta più di 700 sorgenti, un record assoluto. IBIS è riuscito anche dimostrare che l’emissione dal piano della nostra galassia è dovuta alla somma di sorgenti individuali, fino ad allora confuse in una diffusa luminosità. Un po’ come Galileo, quando puntò il suo specillum alla Via Lattea, 400 anni fa, scoprendo che la lattiginosità apparente all’occhio era formata da infinite stelle una vicina all’altra. Ma dal centro galattico un risultato altrettanto inaspettato è venuto dallo strumento SPI, lo spettrometro a immagini di Integral. SPI ha confermato l’esistenza di antimateria nella regione, grazie alla presenza della riga spettrale a 511 keV, rivelata con chiarezza. Si tratta della riga generata quando un positrone incontra un elettrone. Per la prima volta Integral ha dato la distribuzione della riga nella regione centrale della Via Lattea, scoprendo una strana asimmetria rispetto al centro geo- metrico della galassia. C’è più antimateria da una parte che non dall’altra. Ora si tratta di capire il perché. Forse il tutto è connesso alla famosa materia oscura. Speriamo: sarebbe un gran bel colpo aver rivelato, anche se indirettamente, la componente più sfuggente dell’universo. Lampi di Raggi Gamma (GRB) SWIFT, la missione NASA-ASI-UK lanciata nel 2004, ci ha già regalato 450 lampi di raggi gamma, o GRB, quasi tutti posizionati con accuratezza dal telescopio X di bordo, e circa la metà con una controparte ottica. Di quest’ultima è talvolta possibile misurare il redshift, e quindi la distanza. SWIFT ha subito stupito tutti rivelando un GRB a redshift di poco più di 6, corrispondente a oltre 12 miliardi di anni luce di distanza. Poi, nel 2008, ha fatto registrare un redshift di 6,7, poco meno della galassia per ora più distante, che si piazza a 6,96. GRB e galassie erano chiaramente impegnati in un testa a testa cosmologico, con le galassie che vedevano la loro posizione di candele cosmologiche seriamente insidiata dai fuggevoli ma brillantissimi lampi gamma. Con GRB 090423, rivelato il 23 aprile 2009, SWIFT ha polverizzato tutti i record. A prima vista, sembrava uno dei tanti. Ma SWIFT lo ha diligentemente seguito, ripuntando velocemente i suoi telescopi X e ottico. Mentre il lampo veniva facilmente rivelato nella banda X come una sorgente che si andava spegnendo, il telescopio N.1 Anno i aprile 2011 ottico non rivelava nulla. Le ricerche da terra, con telescopi molto più potenti, si rivelavano inconcludenti nell’ottico, ma una controparte veniva scoperta nell’infrarosso. Vedere una sorgente in infrarosso ma non in ottico significa che si ha a che fare con un oggetto potenzialmente molto lontano, la cui radiazione, emessa nell’ottico, è spostata nell’infrarosso a causa dell’espansione dell’universo. Le osservazioni in diverse bande hanno subito fatto sospettare un redshift eccezionale. Sono stati gli astronomi italiani del telescopio nazionale Galileo, alle Canarie, ad arrivare per primi al valore di redshift di 8,2, rapidamente confermato da altri gruppi. Si tratta dell’oggetto celeste più lontano mai osservato. GRB 090423 è stato prodotto dall’esplosione di una stella. Raggi Gamma (Sopra le decine di MeV) Una volta finalmente in orbita, AGILE ha cominciato a rivelare raggi gamma con i suoi tracciatori al silicio che gli danno un campo di vista più ampio di qualunque altro telescopio gamma precedente. In due anni di vita sono già molti i risultati, sia per sorgenti galattiche sia per sorgenti extragalattiche. Mentre le seconde sono dominate, come atteso, dai blazar, nuclei attivi di galassie dove il motore centrale, sede della produzione di raggi gamma, è un buco nero di grande massa (da un milione a un miliardo di masse solari), le sorgenti gamma galattiche sono dominate dalle pulsar. Si tratta di stelle di neutroni fortemente magnetizzate e rotanti, in grado di accelerare particelle cariche che poi creano fotoni di alta energia. Le pulsar gamma, come Geminga, non sono una novità. La novità vista da AGILE è l’emissione da una stella di neutroni che ha appena subito una scossa di terremoto (o stellamoto). In una stella di neutroni, le onde sismiche fanno vibrare gli intensi campi magnetici. La rapida variazione del campo magnetico crea campi elettrici in grado di accelerare particelle cari- che e quindi produrre un flusso di raggi gamma. AGILE ha osservato, per la prima volta, un evento di questo tipo dalla pulsar della costellazione delle Vele, nell’emisfero sud. Per circa cinque minuti dopo lo stellamoto (rivelato dai radiotelescopi a terra) il flusso gamma è aumentato in modo significativo. Insomma, con i gamma si può forse fare quell’esame interno della struttura e della natura delle pulsar che aspettiamo da quando furono scoperte, quarant’anni fa. Ancora Raggi Gamma (Sopra le decine di MeV) A poco più di un anno dal lancio (11 giugno 2008) la missione GLAST/Fermi ha già prodotto risultati straordinari. Le sue prestazioni sono simili a quelle di AGILE, ma la capacità di Fermi di rivelare fotoni di energia superiore al GeV, dove la risoluzione dello strumento è migliore, rende i suoi risultati meglio definiti. La collaborazione Fermi ha già stilato un catalogo di 205 sorgenti, ancora non definitivo, chiamato catalogo 0. Le sorgenti vengono identificate dalla sigla 0FGL (per Fermi Gamma Lat), seguita dal valore dell’ascensione retta e della declinazione. Molte le pulsar radio rivelate nella banda gamma: la disponibilità di dati radio e gamma contemporanei ha permesso di triplicare il bottino dello strumento EGRET sul NASA Compton GRO (1990— 1999), arrivando rapidamente a 15 pulsar radio-gamma. La novità è stata, invece, la rivelazione di altrettante pulsar invisibili in radio, un risultato reso possibile dall’abbondanza di fotoni e da algoritmi di ricerca particolarmente efficaci. Così Geminga, la capostipite, non è più sola. Ha 14 sorelle, trovate nei primi tre mesi di attività di LAT e destinate a crescere in numero. Sono tutte sorgenti già rivelate da EGRET, e in molti casi perfino da COS-B, ma solo ora è possibile vederne la pulsazione e capire che si tratta di stelle di neutroni. Dai dati di Fermi si capisce che sono abbastanza giovani (meno di 10 mila anni). giovanni fabrizio bignami Michelson, ma il cuore dello strumento, appunto le torri di tracciatori al silicio, è fatto in Italia, dove pure è curata una consistente parte della scienza della missione. Per l’Italia, sono Ronaldo Bellazzini (dell’INFN di Pisa) e Patrizia Caraveo (dell’INAF di Milano) i due responsabili scientifici. Le missioni che abbiamo passato in rassegna hanno prodotto risultati inimmaginabili, solo qualche decina d’anni fa, scoprendo pulsar gamma come Geminga, esotici nuclei attivi di galassie, e permettendo finalmente di spiegare l’origine dei lampi gamma. Un futuro a rischio Abbiamo visto che alla tradizione iniziata, tra gli altri, da Occhialini (e ispirata a Giacconi) possono essere ricondotte le missioni di alta energia attualmente attive nello spazio con significativa presenza italiana: XMM/Newton, Integral, Swift, AGILE, GLAST/Fermi. Mai nella storia dell’astronomia spaziale una simile qualità e abbondanza di missioni e dati è stata a disposizione dell’Italia. Si veda per esempio nel grafico in alto la crescita del numero di sorgenti nelle quattro generazioni di missioni di astronomia gamma degli ultimi quarant’anni (facendo una ragionevole estrapolazione per i dati di Fermi). Si passa da tre (SAS2), a circa 30 (COS-B), a circa 300 (EGRET), a circa 3 mila (speriamo, per Fermi) e da una a 100 (speriamo) Geminga. Per le sorgenti X, lo stesso grafico è più difficile, per questioni di coperture del cielo diverse. Ma i numeri parlano chiaro. Dopo la prima sorgente del 1962, tra il 1970 e il 1973 con UHURU si contano 339 sorgenti in tutto il cielo, che diventano 124.800 nel 1990—1999 con ROSAT. Anche se in zone limitate di cielo, Newton e Chandra insieme, alla fine della loro vita, potrebbero sfiorare il milione, certo più di 500 mila. Infine, il numero di GRB identificati (con catena gamma-X-ottico/IR) è aumentato in dieci anni di almeno un fattore dieci, tra BeppoSAX e Swift (con l’aiuto di Integral). Passeranno molti decenni prima che un’altra serie come questa si possa ripetere. Nel frattempo, il futuro della nostra scuola di astrofisica delle alte energie è in pericolo, se non si intraprendono immediate, vigorose azioni in sua difesa. Una scienza in crescita Il grafico illustra la crescita del numero delle sorgenti di lampi gamma rilevate a partire dalla prima osservazione di Clark, con proiezione nel prossimo triennio. 10.000 1000 100 10 1 1968 1972 1982 Sorgente di raggi gamma 1999 2012 Sorgente di tipo geminga ASI, 2011 INFOGRAFICA: ALESSIO SORDI Giovanni Fabrizio Bignami Professore di Astronomia presso lo IUSS di Pavia, Accademico dei Lincei e Ufficiale della Legion d'Onore francese, è stato inoltre il direttore scientifico dell'ASI. BIBLIOGRAFIA L'universo in raggi X. La ricerca del fuoco cosmico dai cuchi neri allo spazio intergalattico Giacconi R., Tucker W., Mondadori, Milano, 2003 La storia dello dpazio Bignami G.F., Mursia, Milano, 2002 The restless universe. Understanding X-ray astronomy in the age of Chandra & Newton Schlegel E., Oxford University Press, 2002 Gamma-ray astronomy Ramana P.V., Wolfendale A.W., Cambridge University Press, 1993 91 92 articoli 3 bruna bertucci I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO I raggi cosmici sono stati scoperti nel 1912 da Franz Hess, che proprio per questa scoperta nel 1936 ottenne il premio Nobel per la fisica. Oggi sappiamo che il 99% della radiazione cosmica è composta da nuclei atomici. Il resto sono fotoni, elettroni, neutrini e tracce di antimateria. Lo studio della radiazione cosmica potrà anche aiutare a risolvere misteri come quello della materia oscura. Alziamo gli occhi in una notte stellata: il cielo è cosparso di punti luminosi, separati da enormi distese di spazio vuoto. Quello che non possiamo vedere, né a occhio nudo né con un normale telescopio, sono i raggi cosmici: la miriade di particelle che in quel vuoto vaga anche per milioni di anni fino a giungere alla Terra, bombardandone incessantemente l’atmosfera. Costituiti principalmente da nuclei atomici completamente ionizzati, i raggi cosmici hanno una grande varietà di specie e di energie. Al contatto con l’atmosfera, collidono con i nuclei di cui è composta producendo nuove particelle, che a loro volta interagiscono o decadono creandone altre. Il risultato è uno sciame di nuove particelle, i raggi cosmici atmo- sferici, che costituiscono la maggioranza dei raggi cosmici misurabili sulla superficie terrestre. La caccia ai raggi cosmici è uno sport praticato da quasi un secolo, e come in tutti gli sport se ne distinguono diverse specialità, ciascuna rivolta alla comprensione di un particolare aspetto della loro esistenza o dei loro effetti, per cui è necessaria una diversa preparazione atletica, ovvero una specifica tecnica di misura. Nel corso degli anni, questo sport ha raccolto appassionati di ogni genere: fisici delle particelle, astrofisici, cosmologi, geofisici e fisici dell’atmosfera. Esperienze di comunità scientifiche apparentemente separate trovano nei raggi cosmici un prezioso punto di incontro, che permette lo scambio di competen- ARTICOLI 93 Fig.13 I raggi cosmici sono particelle e nuclei atomici di alta energia che, muovendosi quasi alla velocità della luce, colpiscono la Terra da ogni direzione. La loro origine è sia galattica che extragalattica. In questa immagine di M87 è messo ben in evidenza il getto di materia di questa galassia che parte dal nucleo e si estende per 5 mila anni luce. Il nucleo centrale è un potente emettitore di raggi gamma, X e radio ed è anche noto come sorgente 3C 274. NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM / STSCI / AURA 94 GRAZIA NERI bruna bertucci ze e idee in conferenze internazionali frequentate da migliaia di ricercatori. Il loro studio costituisce quindi un natural punto d'incontro. Luce o particelle? 31 dicembre 1932: il New York Times riporta a caratteri cubitali la violenta disputa di due scienziati durante un congresso. Raramente i dibattiti scientifici occupano le prime pagine dei giornali, ma in questo caso la disputa coinvolge due fisici di chiara fama, Robert A. Millikan e Arthur H. Compton, entrambi insigniti del premio Nobel. Il soggetto della discussione è la natura dei raggi cosmici: sono particelle portatrici di carica elettrica o una radiazione neutra? Oggi, pur non potendo ancora fornire un identikit dettagliato dei raggi cosmici a tutte le energie con cui raggiungono l’atmosfera, possiamo però tracciarne un quadro complessivo. Nello spazio, prima di interagire con la nostra atmosfera, circa il 99 per cento della radiazione cosmica è composta da nuclei, ovvero atomi di diverse specie chimiche completamente ionizzati. Di questi, la maggioranza è costituita da protoni (nuclei di idrogeno) che rappresentano circa il 90 per cento dell’intero flusso dei raggi cosmici, ma sono presenti in proporzioni variabili i nuclei di tutti gli elementi fino al Ferro, Fig.14 Aussig, Germania, 7 agosto 1912, alle prime luci dell’alba, il ventinovenne fisico austriaco Franz Victor Hess sale a bordo della cabina di un pallone aerostatico per la nona volta in due anni: inizia così l’esperimento sull’elettricità atmosferica che sarà decisivo per la scoperta dei raggi cosmici, e grazie al quale nel 1936 Hess verrà insignito del premio Nobel per la fisica. È passato poco più di un decennio dalla scoperta della radioattività, e speciali lastre fotografiche o elettroscopi vengono utilizzati per rivelare l’emissione di radiazioni ionizzanti in presenza di sorgenti radioattive. È proprio nella radioattività naturale, dovuta agli elementi presenti nella crosta terrestre, che si cerca la ragione per cui con debolissime tracce di elementi più pesanti. Elettroni (1%), deboli tracce di antimateria (meno di 1 per mille) e di radiazione neutra (raggi gamma e neutrini) completano il panorama delle particelle che ci arrivano dallo spazio. Accanto alla composizione, i parametri fondamentali che si studiano nei raggi cosmici sono la loro energia, misurata generalmente in eV ( l’elettronvolt è l’energia di un elettrone che esce da una pila da un volt), e il loro flusso, ovvero il numero di particelle in arrivo nell’unità di tempo (secondo), di superficie (metro quadrato) sotto un angolo di vista standard (steradiante). La scala delle energie con cui possono presentarsi i raggi cosmici è particolarmente estesa, compresa tra le migliaia di eV delle particelle solari e i 1020 eV dei raggi cosmici generati da sorgenti extragalattiche: la differenza tra gli estremi di questa scala è paragonabile a quella che intercorre tra l’energia necessaria per lanciare un batterio e una pallina da tennis a una velocità di 100 chilometri all’ora. Allo stesso tempo, il flusso di particelle diminuisce drasticamente in funzione della loro energia: se basta aspettare un paio di secondi perché una particella cosmica con energia di qualche GeV (miliardi di eV) attraversi uno strumento grande come il palmo di una mano, dobbiamo prepararci ad attese di un secolo per poter rivelare una particella cosmica elettroscopi apparentemente isolati perdono la loro carica. Gli esperimenti portano però a risultati inaspettati. Nonostante la schermatura degli elettroscopi con pesanti lastre di piombo per bloccare la radiazione circostante o il loro posizionamento a grandi distanze dal suolo – persino in cima alla torre Eiffel – dove ci si aspetta che la radiazione diminuisca, gli elettroscopi continuano a scaricarsi: la radiazione ionizzante è superiore a quella imputabile alla sola radioattività naturale. Durante il suo volo, Hess raccoglie misure che indicano come la radiazione presente aumenti con l’altitudine tra i 1500 ed i 5 mila metri di quota. Fu immediatamente chiaro che la radiazione sconosciuta non aveva nessuna origine terrestre: è nata la fisica dei raggi cosmici. Nello spazio circa il 99% della radiazione cosmica è composta da nuclei completamente ionizzati 95 96 I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO Lo studio dei raggi cosmici Fisica delle particelle I raggi cosmici sono una sorgente naturale e inesauribile di particelle subatomiche in un ampio intervallo di energia. Nella prima metà del Novecento lo studio dei raggi cosmici ha permesso la scoperta del positrone e di nuove particelle instabili, permettendo la nascita della moderna fisica delle particelle elementari, che si è poi sviluppata e ha ottenuto grandi successi grazie all’avvento degli acceleratori. Per il futuro ci aspettiamo che lo studio dei raggi cosmici di altissima energia serva ancora una volta ad aprire nuove strade non solo verso una diversa astronomia ma anche nella direzione di fenomeni fisici non riproducibili in laboratorio. Cosmologia La presenza di antinuclei di elio tra i raggi cosmici potrebbe essere la prova determinante dell’esistenza di porzioni dell’universo composte di antimateria, aiutando a svelare il mistero di dove sia finita l’antimateria che doveva essere presente nei primi istanti di vita dell’universo. Astrofisica I raggi cosmici sono veri e propri messaggeri del nostro universo in grado di fornire informazioni sui corpi celesti e il mezzo galattico e intergalattico complementari a quelle disponibili tramite l’osservazione con telescopi basati sull’emissione elettromagnetica. Mettendo in relazione le caratteristiche dei raggi cosmici con le attuali conoscenze astronomiche possono essere verificate le diverse ipotesi che sono state avanzate fino ad ora con le conoscenze sui raggi cosmici. Astronautica I raggi cosmici costituiscono sotto ogni punto di vista una radiazione ionizzante in grado di provocare danni irreversibili ai tessuti biologici e alla strumentazione elettronica. L’atmosfera e il campo magnetico terrestre offrono un potente schermo che protegge la vita sulla Terra, ma il loro effetto di schermatura si riduce o si annulla quando iniziamo a viaggiare in aereo a circa 10 mila metri, la quota di crociera media delle rotte commerciali intercontinentali, e ovviamente ancora di più nello spazio. Una conoscenza accurata dei flussi di queste particelle negli strati superiori dell’atmosfera e nello spazio rappresenta una premessa indispensabile per consentire all’uomo permanenze prolungate nello spazio. Ingegneria L’emissione ininterrotta di un flusso di particelle ionizzate dal Sole, il cosiddetto «vento solare», la cui interazione con la ionosfera causa le cosiddette «aurore boreali», influenza la struttura del campo magnetico attorno alla Terra ed è all’origine dei raggi cosmici a energie inferiori a 106 eV. In alcuni periodi di attività solare, questi flussi possono divenire particolarmente intensi, causando danni diretti alla strumentazione nello spazio (satelliti, sonde spaziali) ed estese perturbazioni del campo magnetico terrestre. Queste tempeste magnetiche, interferendo con i sistemi di comunicazione radio e le reti di distribuzione elettrica, possono provocare prolungati blackout e danni alle apparecchiature elettriche anche a terra. Lo studio del flusso delle particelle solari e il loro legame con l’attività del Sole è oggetto di particolari studi. 97 NASA 98 I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO alle energie più alte, anche se abbiamo a disposizione uno strumento di superficie pari a 150 campi da calcio. Da dove vengono? 9 novembre 2007: «Scoperta l’origine dei raggi cosmici», «I buchi neri ci sputano addosso i raggi». Sono alcuni dei titoli di giornale che riprendono il risultato appena pubblicato su Science dai fisici dell’osservatorio Pierre Auger. Studiando i raggi cosmici più energetici è stata messa in evidenza, per la prima volta, una correlazione tra le direzioni di arrivo delle particelle con la posizione in cielo di alcune sorgenti astronomiche, speciali galassie attive distanti milioni di anni luce da noi. Questo risultato, tuttora in corso di approfondimento, è stata forse la prima risposta sperimentale alla domanda sull’origine dei raggi cosmici a quasi un secolo dalla loro scoperta. Cercare le sorgenti dei raggi cosmici è infatti come cercare un ago in un pagliaio. Alle basse energie, il Sole è una fonte evidente e vicina di particelle, ma a energie superiori al GeV la maggior parte dei raggi cosmici proviene dall’intera galassia e impiega milioni di anni per raggiungere la Terra. Nel loro viaggio, i raggi cosmici carichi sono in balìa di campi magnetici che ne deviano continuamente la traiettoria, per cui è impossibile tracciare un collegamento diretto tra le loro direzioni di arrivo alla Terra e le posizioni degli oggetti astronomici che li generano. Non potendo mettere in relazione la singola particella con la sua sorgente, vengono quindi Fig.15 a sinistra Payload for Antimatter Exploration and Light-nuclei Astrophysics, è il più avanzato osservatorio per lo studio dei raggi cosmici attualmente nello spazio, risultato di una collaborazione internazionale guidata dall'Italia. LOCKHEED MARTIN / INFN Fig.16 a destra L o shuttle Endeavour per il trasporto sulla ISS di Alpha Magnetic Spectrometer, è un gigantesco spettometro del peso di circa otto tonnellate. Per cinque anni catalogherà con precisione senza precedenti le componenti dei raggi cosmici di alta energia. NASA / KTH 100 I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO avanzate ipotesi plausibili sulle caratteristiche degli acceleratori cosmici, e si cerca di verificarle incrociando i dati forniti dalle misure di raggi cosmici con quelli derivanti da osservazioni astronomiche. Lo studio dell’origine dei raggi cosmici si lega così indissolubilmente all’astrofisica e alla comprensione dei fenomeni più violenti del nostro universo. Le principali sorgenti dei raggi cosmici sono generalmente ritenute le esplosioni di stelle in supernove. L’enorme energia liberata durante queste esplosioni, paragonabile a quella che il nostro Sole emette in un miliardo di anni, produce una fortissima onda d’urto in cui viene fornita l’accelerazione iniziale alle particelle. Le condizioni dinamiche raggiungibili con le supernove non sono però sufficienti a generare protoni e nuclei con energie superiori a 1015-1017 eV: per spiegare l’esistenza dei raggi cosmici osservati fino a energie di 1020 eV devono entrare in gioco acceleratori cosmici più potenti, posti al di fuori della nostra galassia. Quali siano queste sorgenti ultraenergetiche e a quali energie diventi dominante il loro contributo al flusso dei raggi cosmici è una questione ancora aperta e oggetto di vivace dibattito. L’accrescimento di buchi neri supermassicci in nuclei di galassie attive, come suggerito dai risultati di Auger, il collasso di nuclei stellari in magnetar (stelle di neutroni con intensi campi magnetici) o in buchi neri con emissione di violenti getti di particelle e di luce (i cosiddetti gamma ray burst, o lampi di raggi gamma) sono solo alcuni dei meccanismi ipotizzati per la produzione di particelle alle energie più alte. Verificare queste ipotesi con dati sperimentali è la sfida raccolta dagli osservatori per raggi cosmici ultraenergetici e dai telescopi per neutrini. Sia i raggi cosmici ultraenergetici, troppo veloci per essere deviati significativamente dai campi magnetici, sia i neutrini, privi di carica elettrica, viaggiano secondo traiettorie rettilinee che consentono di tracciare direttamente le loro sorgenti astronomiche. Al tempo stesso, neutrini e raggi cosmici carichi interagiscono in modo differente con la radiazione e la materia attraversate nel loro viaggio verso la Terra, permettendo di ricostruire in maniera complementare il quadro dell’universo a diverse distanze. Le interazioni dei protoni ultraenergetici con la radiazione di corpo nero che pervade l’universo causano importanti perdite di energia, limitando a circa 150 milioni di anni luce la distanza da cui le particelle più energetiche possono raggiungere la Terra. Già negli anni sessanta Kenneth Greisen, Georgiy Zatsepin e Vadim Kuzmin, predissero che alle energie superiori di 5×1019 eV, la cosiddetta «soglia GZK», il flusso dei raggi cosmici dovesse subire una drastica riduzione legata a queste perdite di energia, come confermato dalle misure di Auger. I neutrini interagiscono invece molto raramente con materia e radiazione: questo permette loro di raggiungerci praticamente indisturbati sia che provengano dal nostro Sole o che vengano originati in supernove galattiche e acceleratori ultraenergetici nell’intero universo. Il numero di neutrini attesi da sorgenti cosmiche è però di gran lunga inferiore a quelli che ci arrivano dal Sole o che sono prodotti nella nostra atmosfera, e le stesse proprietà che rendono i neutrini così Le recenti osservazioni indicano che la materia oscura costituisce circa un quarto dell'universo preziosi per lo studio dell’universo ne fanno delle particelle particolarmente sfuggenti e difficili da osservare. Benché lo studio dei flussi di neutrini solari e e atmosferici sia stato di primaria importanza per la comprensione delle natura di queste particelle, a oggi l’unica osservazione di neutrini da sorgenti astrofisiche lontane risale a poche manciate di neutrini, con energie inferiori ai 106 eV, rivelate in corrispondenza dell’esplosione della supernova SN1987 più di vent’anni fa. Il problema di individuare le sorgenti di raggi cosmici e i meccanismi che li accelerano resta quindi ancora aperto, e solo lo sviluppo di una nuova generazione di osservatori permetterà di raccogliere un numero sufficiente di particelle ultraenergetiche per affrontarlo e studiarlo in maniera forse definitiva. BRUNA BERTUCCI Raggi cosmici e materia oscura 2 aprile 2009: PAMELA, un esperimento spaziale italorusso guidato dall’INFN, riferisce su Nature di aver trovato un’anomala abbondanza di positroni nel flusso dei raggi cosmici. In pochi mesi, centinaia di articoli che analizzano i risultati di PAMELA compaiono negli archivi telematici specializzati. Gli stessi articoli citano i risultati di ATIC, un esperimento su pallone che ha trovato troppi raggi cosmici di natura elettronica in un intervallo di energia complementare a quello esplorato da PAMELA, e quelli di Fermi e Hess, due telescopi per raggi gamma, anch’essi con nuovi risultati sugli spettri elettronici che però non sembrano del tutto d’accordo con quelli di ATIC. Perché tanta eccitazione? L’esistenza di piccole quantità di antimateria nei raggi cosmici in sé non è una novità: positroni e antiprotoni sono generati di continuo nelle interazioni dei raggi cosmici con il gas interstellare e ci sono diversi modelli che ne predicono i flussi. La scarsità di antimateria nei raggi cosmici rende però sensibile la misura di precisione delle loro quantità all’esistenza di sorgenti esotiche di raggi cosmici. Il contributo di queste sorgenti al flusso dei raggi cosmici può essere così debole da rimanere nascosto quando lo si vada a cercare tra i molti protoni o elettroni, ma può costituire un segnale significativo rispetto ai pochi antiprotoni o positroni attesi. Lo studio dell’antimateria diventa così la ricerca di nuova fisica, di nuovi fenomeni legati all’origine e all’evoluzione dell’intero universo. Una sorgente esotica di raggi cosmici potrebbe essere infatti fornita dalle annichilazioni di particelle generate nei primi istanti di vita dell’universo che non emettono luce e interagiscono molto debolmente con la materia. Queste particelle costituirebbero una materia oscura, invisibile alle osservazioni astronomiche tradizionali, i cui effetti gravitazionali ne hanno però indicato l’esistenza grazie ai comportamenti anomali del moto di galassie appartenenti ad ammassi lontani. Le più recenti osservazioni cosmologiche, interpretate alla luce di quanto noto sulla produzione di ele- menti leggeri nell’universo primordiale, indicano che la materia oscura costituisce circa un quarto dell’universo e non è riconducibile a protoni, nuclei, elettroni o neutrini. L’eccesso di positroni rivelato da PAMELA è ancora in attesa di una spiegazione; forse è indice di nuova fisica, o più semplicemente deve essere rivista la stima dei flussi di raggi cosmici previsti dai modelli astrofisici. In ogni caso, la ricerca della natura della materia oscura rimane aperta su molti fronti: nello spazio, dove nel 2010 l’esperimento AMS-02 affiancherà PAMELA decuplicando in pochi mesi il numero di particelle di antimateria da analizzare, nei laboratori sotterranei del Gran Sasso, dove si cercano le interazioni dirette delle particelle della materia oscura nei progetti DAMA, WARP, XENON, e nei futuri laboratori subacquei dove potranno essere eventualmente rivelati i neutrini prodotti in queste annichilazioni. Oggi migliaia di scienziati sono impegnati in progetti legati ai raggi cosmici, un’intera comunità che aspetta con il fiato sospeso nuovi risultati su antimateria, materia oscura, natura e provenienza dei raggi cosmici ultraenergetici, sperando al tempo stesso nella prossima apertura di una diversa finestra sull’universo grazie all’astronomia con i neutrini. A distanza di quasi un secolo dalla loro scoperta, i raggi cosmici offrono ancora prospettive uniche: sono i messaggeri di un universo in cui accadono fenomeni che non potremo mai riprodurre in un laboratorio. Bruna Bertucci Professore associato di Fisica Generale all'Università di Perugia e membro della commissione scientifica di fisica astroparticellare dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. 101 BIBLIOGRAFIA Alla ricerca dell'uno Creare R.P., Mann C.C., Mondadori, Milano, 1986 An anomalous positron abundance in cosmic rays with energies 1,5-100 GeV The Pamela Collaboration, in Nature, n. 458, pp. 607–09, 2 apr 2009 An excess of cosmic ray electrons at energies of 300–800 GeV The ATIC Collaboration, in Nature, n. 456, pp. 362–65, 20 nov 2008 Correlation of the highestenergy cosmic rays with nearby extragalactic objects The Pierre Auger Collaboration, in Science, n. 318, pp. 938–43, 9 nov 2007 Problems in high energy astrophysics Lipari P., in IV International Workshop on Neutrino Oscillations in Venice, disponibile su arvix.org sotto l'identificativo: arvix:0808.0417v1 ON-LINE www.ings.infn.it www.auger.org www.pamela.rowwma2.infn.it www.nemoweb.ins.infn.it DIGITIZED SKY SURVEY II 103 4 paolo de bernardis DAL BIG BANG AI BUCHI NERI La cosmologia studia la struttura e l’evoluzione dell’universo nel suo complesso. L’evoluzione di un sistema è dettata dalle forze in gioco, e delle quattro forze fondamentali l’unica importante in questo caso è la gravitazione. Alle grandi scale di interesse per la cosmologia, infatti, la materia è in media elettricamente neutra, e quindi le interazioni elettromagnetiche sono in media nulle, e la forza forte e quella debole sono irrilevanti alle distanze cosmologiche. è quindi naturale che in cosmologia si faccia uso della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1917, la teoria della gravitazione capace di descrivere anche condizioni estreme (in dimensioni o intensità). Negli ultimi novant’anni, le previsioni della relatività generale sono state verificate sperimentalmente con precisione sempre migliore. L’ultimo dei fenomeni Per studiare la struttura e l'evoluzione dell'universo si fa ampio uso della teoria della relatività generale di Einstein. Oggi sappiamo che il cosmo è nato dal big bang, ha una geometria euclidea ed è in espansione accelerata. Resta da chiarire la natura di energia e materia oscure e da osservare finalmente il cosmo attraverso le onde gravitazionali. Fig.17 La regione attorno al sistema del buco nero gro j1655-40. Insieme a GRS 1915+105, è uno dei due microquasars che può fornire un collegamento tra i buchi neri supermassivi e sistemi concrescenti più locali. Entrambi visualizzano le onde radio emesse da getti cosmici, caratteristici di molti nuclei galattici attivi. La distanza dal nostro sistema solare è di circa 11 mila anni luce, più o meno a metà strada dal Sole al centro della galassia. 104 DAL BIG BANG AI BUCHI NERI Paolo De Bernardis Professore di Astrofisica e Cosmologia Osservativa all'Università La Sapienza di Roma e co-investigator del satellite Planck (ESA). previsti dalla teoria a richiedere una verifica diretta è l’emissione di onde gravitazionali. La loro emissione è stata osservata solo indirettamente in un sistema di due stelle di neutroni in orbita una intorno all’altra: le due stelle si avvicinano progressivamente cadendo una sull’altra a causa della perdita di energia dovuta all’emissione di queste onde. Da molti anni si stanno sviluppando strumenti sia a terra (LIGO negli Stati Uniti, VIRGO in Europa) sia nello spazio (LISA, una collaborazione ESA/NASA) per osservare direttamente queste onde, e anche per usarle per osservare l’universo. Fotoni primordiali L’applicazione della relatività generale all’universo portò Alexander Friedmann nel 1922 a prevederne l’espansione, poi verificata sperimentalmente da Edwin Hubble nel 1929 con la scoperta della ESA recessione delle galassie lontane. Negli anni cinquanta, George Gamow notò che, come la termodinamica richiede per tutti i sistemi fisici isolati in espansione, anche l’universo dovrebbe raffreddarsi, e dovrebbe quindi provenire da una fase più calda e più densa di quella attuale. Se estrapoliamo all’indietro l’evoluzione dell’universo, quando le distanze cosmiche erano mille o più volte più piccole di oggi, anche la temperatura media doveva essere mille o più volte più alta. Ad alte temperature, l’energia termica strappa gli elettroni dai nuclei atomici creando un plasma in cui coesistono elettroni e nuclei liberi: è ciò che avviene nelle stelle. Nell’universo primordiale, a temperature di migliaia di gradi, la presenza di elettroni non legati agli atomi impediva la libera propagazione della luce: i fotoni venivano continuamente deflessi dagli elettroni. Se estrapoliamo ancora più indietro nel tempo, troviamo che l’energia termica era così elevata da non permettere nemmeno i legami dei nuclei: nei primi minuti, quando la temperatura era più alta di 10 milioni di gradi, coesistevano particelle e antiparticelle elementari. Il raffreddamento graduale dell’universo ha poi permesso la formazione dei nuclei più semplici. La fisica nucleare mostra che nell’universo primordiale si potevano produrre proprio le abbondanze di nuclei leggeri osservabili ancora oggi nelle zone lontane dalle stelle. Era però necessaria la presenza di un grande numero di fotoni, in grado di rallentare la formazione dei nuclei: circa un miliardo di fotoni per ogni particella di materia. Fig.18–19 Planck Surveyor è la terza missione di medie dimensioni (M3) del programma dell'Agenzia Spaziale Europea Horizon 2000 Scientific Programme. È progettato per acquisire un'immagine dell'anisotropia della radiazione cosmica di fondo (CMBR). Questa radiazione avvolge l'intero cielo e questa missione ne realizzerà una immagine con la massima precisione angolare e sensibilità mai ottenuta. Planck diventerà la fonte primaria di informazioni astronomiche per testare le teorie sulla formazione dell'universo e sulla formazione della sua attuale struttura. Planck nasce dalla fusione di due progetti, COBRAS (poi diventato lo strumento Low Frequency Instrument, LFI) e SAMBA (poi diventato lo strumento High Frequency Instrument, HFI). Dopo che i due progetti sono stati selezionati, per motivi di efficienza e di risparmio dei costi sono stati riuniti in un unico satellite. Al progetto unificato è stato dato il nome dello scienziato tedesco Max Planck (1858—1947), vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1918. Alla missione collabora la NASA (principalmente per la parte criogenica) e questa missione completerà e migliorerà le misurazioni effettuate dalla sonda WMAP. PLANCK 105 ESA 106 Fig.22 Virgo è un rivelatore interferometrico di onde gravitazionali del tipo interferometro di Michelson, con bracci lunghi 3 km, situato nel comune di Cascina (PI), in località Santo Stefano a Macerata. Lo scopo del progetto, frutto di una collaborazione italofrancese tra l'INFN e il CNRS, è quello di rivelare le onde gravitazionali, in un range di frequenze osservabili esteso tra i 10 e i 10 mila Hz. PLANCK N.1 Anno i aprile 2011 107 VIRGO DAL BIG BANG AI BUCHI NERI Secondo questa previsione, questi fotoni devono essere presenti ancora oggi, e formare un fondo di fotoni di tipo termico, come quelli provenienti dal Sole. Tuttavia, l’espansione subita dall’universo da allora ha stirato le lunghezze d’onda dei fotoni, da meno del micrometro della radiazione termica ai millimetri e più, lasciando così un fondo cosmico di microonde (la radiazione cosmica di fondo o CMB, da Cosmic Microwave Background). Questi fotoni si separano dalla materia dell’universo primordiale 380 mila anni dopo il big bang, quando l’universo si raffredda a una temperatura di circa 3 mila kelvin, rendendo possibile la formazione dei primi atomi. Da allora, i fotoni della CMB viaggiano liberamente nell’universo, arrivando fino ai nostri ricevitori dopo un viaggio di molti miliardi di anni. La CMB è stata misurata per la prima volta nel 1965, e nel 1992 l’esperimento FIRAS sul satellite COBE ha evidenziato con grande precisione la sua natura termica. Altri esperimenti ne hanno accertato la quasi perfetta isotropia, e l’esperimento DMR su COBE ha evidenziato per la prima volta una leggera anisotropia, a un livello di dieci parti per milione. Si deve concludere che l’universo primordiale è veramente molto caldo e isotropo. Fig.23 La mappa CMB realizzata nel 2003 con i dati del satellite wmap: i diversi colori indicano le deboli fluttuazioni di densità e temperatura dell'universo primordiale. BERKELEY LAB COMPUTATIONAL RESEARCH DIVISION'S SCIENTIFIC COMPUTING & VISUALIZATION GROUP 108 PAOLO DE BERNARDIS La prova indiretta dell'esitena delle onde gravitazionali è stata ottenuta dall'osservazione delle pulsar binarie Paradossi cosmici Oggi la materia è organizzata nell’universo in una gerarchia di strutture, fatta di filamenti di galassie, ammassi di galassie, galassie, stelle. L’universo deve quindi evolvere non solo espandendosi e raffreddandosi, ma anche passando dalla semplicità alla complessità. Deve essere la gravitazione ad addensare la materia, partendo da piccole concentrazioni di densità iniziali, che lentamente attirano la materia circostante, crescendo e strutturandosi. Ma solo dopo 380 mila anni, quando la radiazione si separa dalla materia, la materia può iniziare a strutturarsi. In un universo in espansione per la gravitazione, aggregare le strutture è più difficile che in un universo statico: partendo da una situazione omogenea, 380 mila anni dopo il big bang, per la ma- teria normale non ci sarebbe stato modo di formare, nei successivi 13,7 miliardi di anni, le strutture che oggi osserviamo nell’universo. Recentemente due campagne osservative, 2dF e Sloan, hanno localizzato in tre dimensioni le posizioni di più di un milione di galassie. Dettagliate simulazioni, come la Millennium Simulation hanno usato supercomputer per calcolare l’evoluzione di sistemi di miliardi di punti massa, ciascuno interagente gravitazionalmente con tutti gli altri, in uno spazio in espansione. Queste simulazioni hanno confermato che, per ottenere la distribuzione osservata delle galassie, è necessaria la presenza nell’universo di materia oscura, cioè che non interagisce con la radiazione. Questa si può dunque aggregare fin dall’inizio, attirando poi la materia ordinaria quando essa si libera dalla radiazione. Solo a questo punto iniziano a formarsi le maestose strutture cosmiche di filamenti di galassie che riempiono l’universo odierno. Nonostante il successo di queste previsioni, vi sono alcuni aspetti paradossali. La CMB si libera dalla materia 380 mila anni dopo il big bang, ma l’immagine che ne osserviamo, da 13,7 miliardi di anni luce di distanza, permette di vedere simultaneamente regioni di universo molto distanti tra loro, anche molto più di 380 mila anni luce. Nel modello standard, queste regioni non hanno mai avuto il tempo di interagire, perché le interazioni si propagano alla velocità della luce: in 380 mila anni percorrono, al massimo, 380 mila anni luce. Regioni che sono angolarmente separate di molti gradi (e quindi distano tra loro molto più di 380 mila anni luce) mostrano una brillanza della CMB quasi identica, quindi si trovano a temperature molto simili. 109 110 DAL BIG BANG AI BUCHI NERI Fig.24 a sinistra 30 giugno 2001, wmap viene lanciato dalla piattaforma 17b del Kennedy Spaceflight Center Launch. Fig.25 sotto L'impianto ligo presso Livingstone, Los Angeles. NASA / KENNEDY SPACE FLIGHT CENTER PAOLO DE BERNARDIS 111 LIGO LABORATORY 112 DAL BIG BANG AI BUCHI NERI Come hanno potuto omogeneizzarsi le temperature senza contatto causale? È il cosiddetto «paradosso degli orizzonti». Ma c’è di più. Se vogliamo che la densità media di massa-energia presente nell’universo sia, anche solo approssimativamente, quella osservata oggi, il suo valore iniziale doveva essere regolato in modo estremamente preciso. Altrimenti si avrebbe un’espansione troppo rapida, che dissolverebbe la massa-energia in un volume enorme, senza la possibilità di formare le strutture; oppure si avrebbe un’espansione troppo lenta che, dopo un breve periodo di espansione, farebbe riaumentare la densità di massa-energia, portando a un’implosione finale: il big crunch. Il valore critico della densità che garantisce la formazione delle strutture cosmiche è di 10-²9 grammi per centimetro cubo, ed è proprio quello che garantisce una geometria piatta dell’universo. Il che è sorprendente, perché questa è una sola delle geometrie possibili secondo la relatività generale: in un mezzo omogeneo e isotropo, una densità maggiore di quella critica comporterebbe una curvatura positiva dello spazio, in cui due raggi inizialmente paralleli andrebbero a convergere, mentre una inferiore produrrebbe una curvatura negativa. Quale processo regola così precisamente la densità iniziale da produrre una geometria piatta? Questi due paradossi, insieme al problema dell’inizio (perché c’è stato il big bang?) e a quello dell’origine delle fluttuazioni di densità (che permettono alla materia oscura di iniziare ad addensarsi nelle prime protostrutture), hanno stimolato un’intensa ricerca teorica tesa a estendere e modificare la teoria standard. L’ipotesi che risolverebbe simultaneamente questi problemi è quella dell’inflazione cosmica. Si ipotizza che a energie estremamente elevate l’universo sia dominato da un campo le cui fluttuazioni quantistiche produrrebbero, in un certo momento e in un certo volume microscopico, le condizioni per una crescita velocissima e accelerata delle Il valore critico della densità che garantisce la formazione delle strutture cosmiche è di 10-29 g/cm3 , proprio quello che garantisce una geometria piatta dell'universo lunghezze: un’inflazione cosmica, capace di espandere quella regione microscopica fino a dimensioni cosmologiche. Tutto l’universo osservabile oggi sarebbe stato contenuto, prima dell’inflazione, in quel microscopico volume, e quindi in contatto causale, risolvendo così il paradosso degli orizzonti. Qualunque curvatura della geometria dell’universo presente prima dell’inflazione verrebbe stirata dall’enorme espansione, realizzando così la geometria quasi perfettamente piatta dell’universo dopo l’inflazione. Infine, le fluttuazioni quantistiche presenti prima dell’inflazione si convertirebbero in fluttuazioni di densità, risolvendo il problema della loro origine. La fisica quantistica permette di calcolare le caratteristiche di queste fluttuazioni: ci si aspetta che siano della stessa ampiezza per tutte le dimensioni (invarianza di scala), e di tipo gaussiano. Un universo euclideo Ci aspettiamo l’esistenza di una scala tipica delle fluttuazioni: all’interno di un volume in contatto causale possono agire le forze in grado di modificare le fluttuazioni. All’esterno, invece, le fluttuazioni iniziali rimangono inalterate. L’orizzonte causale, 380 mila anni luce, visto da una distanza di 13,7 miliardi di anni luce, sottende un angolo di circa 1 grado, se la geometria dell’universo è euclidea. L’an- Fig.26–28 La materia distribuita nell'universo, a grandissime scale (1 Mpc = 3,26 milioni di anni luce). Queste tre sequenze della Millenium Simulation, la più ampia e realistica delle simulazioni informatiche delle strutture cosmiche, mostrano che le galassie e la materia oscura sono distribuite in una rete di filamenti che si incrociano formando gli ammassi di galassie, e sono separati da regioni a bassa intensità, i cosiddetti vuoti cosmici. PAOLO DE BERNARDIS 113 500 Mpc/h 125 Mpc/h 31.25 Mpc/h MAX PLANCK INSTITUT FÜR ASTROPHYSIK 114 DAL BIG BANG AI BUCHI NERI golo è maggiore in un universo a curvatura positiva, ed è invece inferiore se la curvatura è negativa. Le mappe ad alta risoluzione angolare della CMB realizzate a partire dal 1998 hanno evidenziato la presenza di zone più calde e più fredde, con dimensioni tipiche di circa un grado. Se ne conclude che la geometria del nostro universo è quella euclidea –come previsto dall’inflazione– e che la densità di massa-energia è proprio quella critica. All’interno dell’orizzonte, il plasma è sottoposto alle azioni contrastanti della gravità e della pressione dei fotoni. Questo genera oscillazioni di densità, dette «oscillazioni acustiche», che, in una qualsiasi regione più densa della media, cominciano quando l’orizzonte causale, crescendo con il tempo, supera le dimensioni della regione stessa. Tutte le regioni dell’universo che siano più dense della media, e che abbiano le stesse dimensioni, iniziano a oscillare alla stessa epoca. La sincronizzazione delle oscillazioni è responsabile di un andamento caratteristico delle fluttuazioni di temperatura della CMB in funzione della scala angolare osservata. Le misure di CMB più recenti, come quelle ottenute dagli esperimenti BOOMERanG e MAXIMA, e poi dal satellite WMAP, hanno confermato con grande precisione la presenza delle oscillazioni acustiche. Hanno inoltre confermato con ottima precisione l’invarianza di scala delle fluttuazioni e la loro natura Le misure di CMB più recenti, come quelle di BOOMERanG e WMAP, hanno confermato la presenza delle oscillazioni acustiche PAOLO DE BERNARDIS rare l’espansione dell’universo.Quest’ultima componente è stata introdotta circa dieci anni fa per spiegare le osservazioni di lontanissime supernove, di tipo particolare (tipo Ia). Queste hanno sempre la stessa luminosità di picco, ma il flusso ricevuto dalle più lontane di queste supernove è sistematicamente più debole di quanto ci si aspetterebbe, come se nel frattempo l’universo avesse accelerato la sua espansione. Secondo la relatività generale, per provocare un’accelerazione dell’espansione dell’universo è necessario che la massa-energia dominante abbia una pressione negativa, e non si diluisca con l’espansione, caratteristiche che sono proprie dell’energia del vuoto. Ma la fisica fondamentale non è ancora in grado di stabilire quanta sia davvero la densità di energia del vuoto, e il valore richiesto per spiegare l’accelerazione dell’universo è minuscolo rispetto ai valori delle energie in gioco nella teoria. Fig.29–31 BOOMERanG, Ballon Observation of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics, è stato il primo esperimento in grado di fornire un'immagine ad alta definizione delle anisotropie della temperatura della radiazione cosmica di fondo. Tramite un telescopio fatto sorvolare ad un'altitudine di 42 km circa è stato possibile ridurre l'assorbimento delle microonde. Il primo volo di test è avvenuto nei cieli dell'America settentrionale nel 1997. gaussiana. Queste missioni, insieme alla misura di altre osservabili cosmologiche, hanno dato inizio alla la cosiddetta «cosmologia di precisione», che vede l’origine dell’universo in un evento di «inflazione cosmica», seguito da un’evoluzione espansiva, guidata dalla radiazione prima, dalla materia poi (sia ordinaria sia oscura) e infine da una componente di «energia oscura», necessaria a far accele- Materia oscura ed energia oscura Lo scenario fin qui illustrato spiega bene i dati sperimentali, ma non è ancora soddisfacente dal punto di vista fisico. L’universo è costituito da radiazione, materia ordinaria, materia oscura ed energia oscura, ma due di queste componenti, materia ed energia oscura, non sono mai state osservate in laboratorio. E l’evento inflazionario non è ancora ben descritto dalla fisica delle altissime energie. Per quanto riguarda la materia oscura, ci si aspetta che i nuovi esperimenti di CMB riescano a fornire indicazioni più precise sul tipo di particelle che la costituiscono. Nel frattempo, il Large Hadron Collider al CERN dovrebbe verificare sperimentalmente le teorie supersimmetriche che prevedono l’esistenza di particelle dotate di massa non interagenti con la luce. Per l’energia oscura, oltre agli esperimenti di CMB citati, si stanno proget- 115 116 DAL BIG BANG AI BUCHI NERI tando grandi osservatori spaziali dedicati all’indagine di migliaia di esplosioni di supernove lontane, che dovrebbero permettere di stabilire le caratteristiche evolutive dell’energia oscura (è davvero costante o evolve con l’universo?). Gli stessi telescopi spaziali a grande campo, registrando la forma di molti milioni di galassie, consentiranno anche di rivelare le distorsioni gravitazionali delle loro immagini, evidenziando le disomogeneità nella distribuzione della materia oscura. Anche le onde gravitazionali diventeranno un potente strumento per la cosmologia di precisione. LISA osserverà le onde emesse da coppie di giganteschi buchi neri orbitanti uno rispetto all’altro. Questi buchi neri giganti sono stati osservati in quasi tutte le galassie, e arrivano a masse miliardi di volte quella del Sole: LISA sarà in grado di osservare le intensissime onde emesse da questi sistemi a distanze di miliardi di anni luce. Le onde gravitazionali consentono di misurare la distanza dalla sorgente senza bisogno di calibrazioni indipendenti, fornendo così una mappa graduata e calibrata dell’intero universo, complementare all’osservazione delle supernove. BIBLIOGRAFIA Tutti gli universi possibili e altri ancora Mazzitelli I., Liguori Editore, Napoli, 2002 I primi tre minuti Weinberg S., Oscar Mondadori, Milano, 1986 Dalle onde ai buchi neri Vitale S., in Le Scienze, n. 247, marzo 2004 BOOMERanG e la nuova immagine dell'universo De Bernardis P. , Masi S., in Sapere, ago 2001 Un click sull'universo De Bernardis P.,Masi S., in Sapere, giu 2000 A caccia delle onde gravitazionali L’inflazione cosmica resta il fenomeno più affascinante da investigare. è una teoria predittiva, e tre delle sue previsioni fondamentali sono state verificate: la piattezza della geometria, la gaussianità e l’invarianza di scala delle fluttuazioni iniziali. Ma c’è una quarta previsione: la produzione, durante la fase di espansione accelerata, di un fondo di onde gravitazionali stocastiche di grandissima lunghezza d’onda. Sono debolissime, ma si propagano nell’universo senza ostacoli: oggi sono ancora presenti, un po’ come le onde elettromagnetiche della CMB. Ma mentre quest’ultima presenta un’immagine dell’universo 380 mila anni dopo il big bang, le onde gravitazionali inflazionarie permetterebbero di studiare i primissimi attimi dell’evoluzione. E di verificare la fisica a energie che mai saranno raggiunte dagli acceleratori terrestri. L’energia di queste onde dipende dall’epoca dell’inflazione, ma è estrema- mente debole. La possibilità di osservare direttamente questo fondo cosmico di onde gravitazionali dipende dallo scenario dettagliato della loro emissione. Alcuni scenari predicono violente transizioni di fase con formazione di bolle e fenomeni turbolenti. LISA, che può rivelare onde con periodi di alcune ore, osserverebbe le onde emesse dopo un tempo ben inferiore al miliardesimo di secondo dal big bang; se anche una piccolissima parte dell’energia liberata in queste transizioni di fase viene convertita in onde gravitazionali, LISA potrà osservarle. Altri modelli, messi a punto nel tentativo di unificare relatività generale e meccanica quantistica, predicono l’esistenza di nuovi oggetti fondamentali chiamati «superstringhe». Questa espansione cosmica allungherebbe questi oggetti fino a scale astronomiche, ed essi perderebbero energia per emissione di onde gravitazionali. LISA vedrà queste onde, se sono state veramente emesse, riconoscendone inequivocabilmente le proprietà spettrali. Meno potenti sono le onde emesse in uno scenario di inflazione più standard, ma sono già allo studio rivelatori di prossima generazione per osservarle anche in questo scenario debole. Queste stesse onde gravitazionali erano presenti 380 mila anni dopo il big bang, generando anisotropie nel plasma che sta diffondendo per l’ultima volta i fotoni. Questo genera una polarizzazione molto caratteristica delle onde elettromagnetiche della CMB, e sono già in corso esperimenti che sviluppano le tecnologie necessarie per misurarla, e progetti di satelliti (come B-Pol per ESA e CMB-Pol per NASA) dedicati a questo scopo. Forse in futuro la sinergia tra esperimenti di misura di onde gravitazionali ed esperimenti di polarizzazione CMB aprirà una finestra sui primi attimi dell’evoluzione dell’universo e sulla fisica delle energie ultra-alte. N.1 Anno I Aprile 2011 AGGIORNAMENTI 119 PLANCK BIOASTRONOMIA ARGOMENTO Possibili tracce di Titolo vegetazione scoperte 00 su Europa, luna di Giove 124 STUDI ARGOMENTO Team di astronomi Titolo risolve il mistero 00 delle stelle pulsanti 127 MISSIONI ARGOMENTO Deep Impact spia la Titolo cometa Hartley. Il robot 00 NASA ora pronto al lancio 129 MISSIONI La missione Mars500 simula atterraggio marziano 121 RISULTATI PSR J0737-3039 conferma le teorie di Albert Einstein 122 TEORIE Quante masse occorrono per un buco nero? 130 ACCORDI ARGOMENTO Con l'ok al nuovo statuto Titolo il CNR sarà più vicino alle 00 imprese. Critici i sindacati 133 ESA / IPMB PLANCK AGGIORNAMENTI 121 MISSIONI ‘L'uomo è attorno a Marte’. Il 12 marzo sul Pianeta Rosso L'obiettivo raggiunto qualche giorno fa dai sei membri del progetto Mars500 che sta simulando in un hangar della Russia il viaggio, la discesa sul corpo celeste e il ritorno a Terra. Aggiornamento di Mars500: ESA va su Marte N.2 Anno 2 Febbraio 2012 Immagini I membri dell'equipaggio Mars500 durante la simulazione dello sbarco. Russia · L'uomo è arrivato attorno a Marte. L'obiettivo è stato raggiunto qualche giorno fa dai sei membri del progetto Mars 500 che sta simulando in un hangar della Russia un viaggio verso il pianeta rosso, la discesa su di esso e il ritorno a Terra. Dopo 244 giorni dalla partenza i sei uomini, tra cui vi è anche un italiano, Diego Urbina, sono arrivati in orbita marziana e da lì il prossimo 12 febbraio scenderanno sulla superficie del pianeta, dove realizzeranno 3 passeggiate per raccogliere campioni e informazioni del suolo, anch'esso del tutto simulato. Mars500 è un esperimento voluto da un gruppo di ricercatori internazionali che vuole studiare le complesse interazioni psicologiche e tecniche che nel futuro incontreranno gli uomini che si spingeranno realmente sulla sua superficie. Il non vedere la Terra ad esempio (essa, dopo poche settimane dalla partenza, apparirà come una qualunque stellina del cielo), potrebbe avere serie ripercussioni sul morale degli astronauti. Il non riuscire a risolvere qualche problema tecnico potrebbe essere causa di forte depressione per qualcuno dell'equipaggio. Qualche incompatibilità di carattere che potrebbe emergere dopo settimane di stretto contatto potrebbe addirittura far fallire la missione. Per questo è necessario una simile ricerca. La struttura ove si sta simulando il viaggio si trova all'Istituto di Problemi Biomedici di Mosca. I sei uomini dell'equipaggio (3 russi, 2 europei e un cinese) stanno lavorando come fossero realmente diretti verso Marte: essi operano 5 giorni alla settimana e durante la giornata lavorativa eseguono esperimenti, esercizi fisici e lavori di mantenimento della navicella. ‘Mars500 ON-LINE www.esa.int/specials/mars500 è un esperimento che ci spinge verso il futuro. L'Europa sta facendo passi davvero importanti verso l'esplorazione dello spazio’, ha detto Simonetta di Pippo, Direttore dei voli umani all'Agenzia Spaziale Europea. Tutto nell'esperimento è così realistico che anche i messaggi tra l'equipaggio e la base spaziale sono ritardati di un tempo simile a quello che proveranno realmente gli astronauti marziani quando saranno su Marte. Il pianeta rosso infatti, dista decine di milioni di chilometri (varia a secondo del periodo dell'anno durante il quale i due pianeti si avvicinano o si allontanano) dalla Terra e le comunicazioni radio impiegano diversi minuti per coprire lo spazio esistente. Il 2 febbraio, dopo circa un mese e mezzo di approccio a Marte, gli astronauti sono entrati in orbita attorno al pianeta. L'equipaggio ha aperto il portellone che separa la navicella madre con il modulo che scenderà sulla superficie del pianeta. Ora i tre uomini dell'equipaggio si trasferiranno nel lander, eseguiranno il distacco dalla navicella madre e il giorno 12 febbraio atterreranno su Marte. Due giorni dopo il russo Alexander Smoleevskiy e Urbina indosseranno le tute e usciranno all'aperto. Il 18 febbraio invece, sarà la volta di Smoleevskiy and Wang Yue e il 22 sarà ancora la volta del russo e dell'italiano. Alla fine del mese di febbraio ritorneranno alla navicella madre, dove, dopo tre giorni di quarantena, si riuniranno al resto dell'equipaggio. Quindi, il lander verrà sganciato e abbandonato nello spazio, mentre gli uomini riprenderanno la strada verso la Terra per raggiungerla il prossimo novembre. Una sorta di Capricorn 1 (il film del 1978 dove un complotto architettò un viaggio a Marte, mai realizzato, ma fatto credere tale in studi appositamente attrezzati), mai realizzato di cui si conosce ogni fase, ma le cui conclusioni permetteranno di trovare risposte ai molti problemi psicologici che gli astronauti incontreranno durante un simile viaggio, le cui difficoltà non sono da ricercarsi solo nelle tempistiche, nella tecnologie nel costo, ma anche, e nella psiche umana. 122 PLANCK AGGIORNAMENTI N.1 Anno I APRILE 2011 R I S U LT A T I PSR J0737-3039 conferma le teorie di Albert Einstein Il sistema di due pulsar scoperto nel 2003 ha mantenuto le promesse. Dopo ben otto anni di studio e difficili osservazioni, escono i primi strabilianti risultati. Aggiornamento di Gruppo Pulsar scopre un nuovo sistema N.16 Anno 3 luglio 2014 Australia · psr j0737-3039, il sistema di due pulsar scoperto nel 2003 dal Gruppo Pulsar italiano e i suoi partner internazionali con il radiotelescopio australiano di Parkes, ha mantenuto le promesse. Si era subito intuito che questo eccezionale orologio cosmico, formato da due stelle a neutroni pulsanti e in orbita l’una attorno all’altra, poteva rivelarsi uno strumento di precisione incomparabile per mettere alla prova la teoria della relatività generale. Ora, dopo tre anni di intense e difficili osservazioni, escono i primi risultati. E sono strabilianti: con un’incertezza di appena lo 0,05%, Einstein e la sua teoria escono vittoriosi dal terzo grado cui sono stati sottoposti. psr j0737-3039 A/B è una doppia pulsar: due stelle di neutroni piccolissime, appena qualche chilometro di diametro. Densissime: un cucchiaino del loro materiale peserebbe quanto tutti gli abitanti del nostro pianeta. Pulsanti: emettono infatti onde radio. E, soprattutto, vicinissime e orbitanti una attorno all’altra in sole 2,4 ore. Fin dalla loro scoperta – nel 2003, a opera di un team internazionale con molti ricercatori italiani – hanno suscitato un interesse spasmodico nella comunità internazionale, tanto che il primo articolo a loro dedicato è stato il più citato di tutto il 2004 per la letteratura della fisica dello spazio. Il motivo è semplice: in quelle condizioni estreme gli effetti previsti dalla relatività generale devono essere molto marcati e si debbono poter vedere in pochi anni. Per la prima volta, 2 𝛚 R P b 1.5 r 1 s 0.5 0 0.5 1 1.5 2 X Massa B (Msun) Y Massa A (Msun) JBO, 2011 insomma, si pensava di poter disporre di un laboratorio cosmico unico, un orologio celeste ultra preciso che avrebbe dovuto mostrare cambiamenti registrabili, anche se con misure sofisticatissime fatte con i migliori ricevitori esistenti. E così è stato. Per tre anni, i più grandi radiotelescopi del mondo – quello di 64 metri di Parkes, in Australia, quello di 76 metri del Jodrell Bank Observatory, nel Regno Unito e il Green Bank Telescope, negli Stati Uniti, un gigante da 100 metri – hanno tenuto le loro enormi parabole orientate verso il sistema psr j0737-3039. E a ogni battito delle due pulsar (generano INFOGRAFICA: ANDREA POSSENTI rispettivamente un impulso ogni 22 millisecondi e uno ogni 2,7 secondi), gli scienziati hanno potuto restringere sempre di più il margine d’errore con il quale si può affermare se le variazioni di orbita e periodo seguono o meno la teoria di Einstein anche in presenza di un campo gravitazionale straordinariamente intenso. Allo studio che illustra questa importante ricerca hanno preso parte tre astrofisici dell’INAF: Marta Burgay, Andrea Possenti e Nichi D’Amico, dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari e dell’Università di Cagliari. I test che la coppia di pulsar ha consentito di svolgere sono quattro, e PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 AGGIORNAMENTI 123 SCOPERTE si basano sulle misura di alcuni complessi parametri del sistema doppio, detti postkepleriani: l’avanzamento del periastro, cioè lo spostamento progressivo del punto di minor distanza fra le orbite ellittiche delle due pulsar; il redshift gravitazionale, ovvero la dilatazione della lunghezza d’onda degli impulsi; il decadimento dell’orbita, che porterà le due pulsar a fondersi tra circa 85 milioni di anni; e infine il cosiddetto ritardo di Shapiro, causato dalla deformazione dello spazio-tempo nei dintorni delle pulsar. Superarli tutti e quattro, con i severi limiti imposti dalle osservazioni di psr j07373039, equivale un po’ a vincere il grande slam delle teorie sulla gravità. Ebbene, Einstein e la sua relatività generale ne sono usciti trionfanti. Un trionfo che, per i ricercatori, ha l’aspetto di un grafico nel quale c’è un minuscolo spazio in cui tutte le misure sopra elencate convivono. ‘Ce lo attendevamo, ma vedere come tutti i parametri continuino a intersecarsi pur in un'area così ridotta’ – ammette Andrea Possenti – ‘è qualche cosa di stupefacente’. Intanto, la doppia pulsar continua a pulsare. E a far sognare fisici e astrofisici. Perché se in appena tre anni è riuscita a portare a risultati migliori di qualsiasi altra pulsar (compresa PSR 1913+16, osservata per oltre trent’anni, e che nel 1993 valse il Nobel a Russell Hulse e a Joseph Taylor), le attese per il futuro sono comprensibilmente assai ambiziose. Anzitutto, nel giro di pochi anni, grazie alla pulsar doppia, si raggiungeranno livelli di precisione tali da mettere a confronto le teorie di Einstein con altre teorie rivali emerse di recente. L'aspettativa maggiore, però, è che l'osservazione prolungata di queste due pulsar permetta alla fine di comprendere come si comporta la materia nel cuore di una stella di neutroni. ON-LINE www.pulsar.ca.astro.it/pulsar/press A 2 mila anni luce dalla Terra scoperto il primo pianeta extragalattico Il corpo celeste fa parte dei resti di una galassia nana che circa sei miliardi di anni fa si scontrò con la Via Lattea, venendone quasi completamente assorbita. Aggiornamento di Setiawan e i pianeti extragalattici N.1 Anno 6 marzo 2017 La Silla, Chile · Si chiama HIP 13044b, un nome forse poco evocativo, ma è una pietra miliare nella storia dell'astronomia: è infatti il primo pianeta scoperto al di fuori della nostra galassia, la Via Lattea. Dagli anni novanta a oggi sono stati individuati circa 500 pianeti al di fuori del nostro sistema solare, ma tutti all'interno della Via Lattea. HIP 13044b, invece, orbita attorno a una gigante rossa a 2 mila anni luce dalla Terra. La stella fa parte di una corrente stellare, cioè un gruppo di stelle che a sua volta ruota intorno alla nostra galassia alla velocità di oltre 950 mila chilometri l'ora. Si tratta dei resti di una galassia nana che circa sei miliardi di anni fa si scontrò con la Via Lattea e ne fu quasi completamente assorbita. Il pianeta extragalattico, descritto sull'ultimo numero della rivista Science, è un gigante gassoso con una massa pari almeno a 1,25 volte quella di Giove. È troppo distante per essere osservato direttamente, ma l'équipe guidata dall'astronomo Johny Setiawan, dell'Istituto Max Planck, ha dedotto la sua esistenza osservando la sua stella madre con uno dei telescopi dello European Southern Observatory di La Silla, in Cile. L'attrazione gravitazionale del pianeta causa infatti una leggera oscillazione della stella, una gigante rossa. Si tratta di una stella che un tempo aveva una massa comparabile a quella del nostro Sole, e che oggi, a otto miliardi di anni di età, è in una fase tardiva della sua evoluzione. Le giganti rosse possono espandersi fino a decuplicare o anche centuplicare la loro massa iniziale, catturando e divorando i pianeti nella loro orbita. Alcuni astronomi ritengono che questa sarà la sorte della Terra quando, tra cinque miliardi di anni, anche il Sole si trasformerà in una gigante rossa. Ma per qualche motivo HIP 13044b è riuscito a sopravvivere. Ma non solo il pianeta dovrebbe essere morto: non dovrebbe nemmeno essere nato. Gli astronomi infatti ritengono che le stelle e i loro pianeti sono fatti dagli stessi mattoni di costruzione. Ma la stella madre di HIP 13044b è molto povera di metalli, e anzi contiene scarse quantità di elementi più pesanti dell'idrogeno e dell'elio. Questo significa che anche il disco di materiale che circondava la stella in origine era povero di metalli: troppo pochi per formare quel nucleo pesante che, secondo le teorie prevalenti, attrae i gas più leggeri e consente la formazione di un pianeta gassoso. « Questa scoperta fa pensare all'esistenza di meccanismi di formazione dei pianeti diversi da quelli conosciamo. » JOHN SETIAWAN Secondo Allan Boss, esperto della formazione dei pianeti alla Carnegie Institution for Science di Washington, HIP 13044b è una grossa anomalia. ‘È improbabile che il pianeta si sia formato secondo il meccanismo che consideriamo abituale, forse esistono altri procedimenti a noi sconosciuti: la formazione di un nucleo massiccio di roccia e ghiaccio che attrae quantità di gas sufficienti a creare un vero e proprio pianeta gassoso’. ON-LINE www.eso.org/public/eso1047 124 AGGIORNAMENTI BIOASTRONOMIA Scovate tracce di vegetazione su Europa, luna di Giove La teoria elaborata dal professore di fisica Freeman Dyson è molto intrigante, e si basa sui dati raccolti con gli ultimi studi sulla atmosfera e la superficie del satellite. Aggiornamento di Europa potrebbe ospitare forme di vita N.6 Anno 5 dicembre 2020 Secondo Dyson la strategia di ricerca nella vita nel cosmo dovrebbe essere quella di cercare ciò che è rilevabile, e non ciò che è probabile. ‘Abbiamo una tendenza tra teorici in questo campo che è quella di indovinare ciò che è probabile. In effetti la nostra ipotesi potrebbe essere sbagliata: non abbiamo mai avuto l’immaginazione che ci dona la Natura’. Ad esempio queste forme di vita si potrebbero trovare su Europa, luna coperta di ghiaccio e su cui si pensa si possa essere sviluppata la vita seppur primordiale. Ad esempio su questa luna la vita potrebbe assumere le sembianze di fiori attraverso una forma parabolica che concentra la luce solare e la immette all’interno del vegetale stesso. Secondo Dyson ‘fiori su Europa potrebbero esseri rilevati attraverso un fenomeno denominato retroriflessione, in cui la fonte di luce viene riflessa indietro alla sua fonte’. Dyson inoltre afferma che i fiori su Europa potrebbero diffondersi nel resto del sistema solare. ‘Si può immaginare’ – dice Dyson – ‘che i fiori che vivono sotto i ghiacci di Europa possano evolversi in maniera indipendente’. Inoltre la presenza di piante di grande taglia può essere presente anche in altri oggetti lontani nel sistema solare, come nelle comete o nella nube di Oort, dove la forza gravitazionale è minora e l’energia solare da raccogliere deve essere massimizzata: ‘anche se le piante sarebbero molto distanti dalla Terra, le loro dimensioni proporzionalmente larghe le renderebbero, comunque, rilevabili’. Immagini Europa è il quarto, per dimensioni, satellite naturale del pianeta Giove. NASA 126 AGGIORNAMENTI PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 MISSIONI Si alza il sipario sul teatro cosmico di Planck I primi risultati scientifici della missione Esa Planck sono stati resi pubblici durante una conferenza stampa che si è tenuta in contemporanea a Parigi e a Roma. Risultati raccolti in un catalogo degli oggetti più freddi dell’universo. Aggiornamento di Il viaggio nel tempo di Planck N.3 Anno 3 SETTEMBRE 2013 Roma · ‘Tutto l’universo è un palcoscenico, e tutte le galassie non sono altro che attori’, scriverebbe Shakespeare se fosse un astronomo dei nostri giorni. Planck ci offre ora una nuova vista sia del palcoscenico sia degli attori, rivelando il dramma dell’evoluzione dell’universo. Dopo la pubblicazione, avvenuta nel luglio scorso, della prima immagine dell’intero cielo di Planck, oggi vengono infatti resi pubblici i primi, attesissimi, risultati scientifici della missione. Risultati presentati dalla Planck Collaboration a Parigi, proprio questa settimana, nel corso di un importante convegno su ben 25 articoli scientifici sottomessi per la pubblicazione ad Astronomy & Astrophysics. Alla base di quasi tutti questi risultati c’è l’Early Release Compact Source Catalogue di Planck: restando nella metafora del teatro, è l’equivalente dell’elenco dei personaggi. Ottenuto dall’osservazione continua dell’intero cielo a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche, il catalogo è costituito da una raccolta di migliaia di sorgenti estremamente fredde. Sorgenti che l’intera comunità scientifica potrà d’ora in avanti esplorare e studiare in tutta libertà. ‘Sono i primi risultati pubblici della missione: un catalogo di tutte le sorgenti galattiche ed extragalattiche viste da Planck nell’intero cielo. Non solo: è il primo catalogo a tutto cielo a nove frequenze diverse, da 30 GHz a 857 GHz, e costituisce un’assoluta novità. Darà lavoro per anni a tutti i telescopi sulla Terra e nello spazio, che potranno fare osservazioni di followup’, dice Reno Mandolesi, associato Inaf e responsabile di Lfi, lo strumento a bassa frequenza a bordo di Planck, finanziato da ASI e realizzato in gran parte in Italia.¹ ‘Per avere accesso ai dati contenuti nel catalogo’, spiega Andrea Zacchei, dell’INAF Osservatorio astronomico di Trieste, responsabile del Data Processing Centre italiano di Planck (che ha sede, appunto, a Trieste, ed è costituito da ricercatori dell'Osservatorio e della SISSA-Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), ‘non è necessaria alcuna expertise tecnica. Sono resi pubblici attraverso un sito web dell’Esa, accessibile a tutti. Si potranno fare ricerche per parole chiave, per zone 1. Planck è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che ha gestito il programma sin dagli esordi, nel 1993, e ha finanziato lo sviluppo del satellite, il lancio e le operazioni di controllo. Il prime contractor di ESA per Planck è stata Thales Alenia Space (Cannes, Francia). Un contributo fondamentale a Planck è stato dato dall’industria europea. In particolare, è stato decisivo il contributo di Thales Alenia Spazio (Torino) per il service module, di Astrium (Friedrichshafen, Germania) per gli specchi del telescopio e di Oerlikon Space (Zürich, Svizzera) per le strutture del payload. La maggior parte dei test criogenici e ottici più complessi sono stati eseguiti presso il Centro Spaziale di Liegi, in Belgio, e presso la sede di Cannes di Thales Alenia Space. di cielo e per nome degli oggetti. Di ogni oggetto, sarà anche possibile visualizzarne l’immagine, per studiarne forma e struttura. Insomma, un catalogo a tutti gli effetti, totalmente integrato con gli altri cataloghi astronomici già esistenti’. È un palcoscenico, quello dell’universo, sul quale va in scena un dramma in tre atti. Quello che riescono a cogliere i telescopi ottici, l’arazzo di galassie che ci circonda, è poco più che l’atto finale. Con le sue misure a lunghezze d’onda che vanno dal radio all’infrarosso, Planck è invece in grado di risalire indietro nel tempo, e mostrarci i due atti precedenti. I risultati presentati oggi riguardano l’atto di mezzo, quando le galassie si stavano ancora formando. Qui Planck ha rilevato l’esistenza di una popolazione di galassie, altrimenti invisibili, a miliardi di anni indietro nel tempo: avvolte nella polvere, in esse si formavano stelle a un ritmo vorticoso, da dieci a mille volte più rapido di quello che possiamo osservare oggi nella nostra galassia. Si tratta di misure mai effettuate prima a queste lunghezze d’onda. Alla fine, Planck sarà in grado di offrirci la migliore visuale che sia mai stata disponibile anche sul primo dei tre atti: la formazione delle prime strutture a grande scala nell’universo, dalle quali le galassie si sarebbero poi formate. Strutture la cui traccia è impressa nella radiazione di fondo a microonde, risalente ad appena 380 mila anni dopo il big bang, l’epoca in cui l’universo cominciava a raffreddarsi. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico, però, occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds a esso sovrapposte. Fra queste, gli oggetti elencati nell’Early Release Compact Source Catalogue presentato oggi, così come altre sorgenti d’emissione diffusa. Sorgenti come, per esempio, la cosiddetta emissione anomala a microonde: un bagliore diffuso, associato a regioni dense e polverose della Via Lattea, la cui origine ha rappresentato per anni un vero e proprio enigma. Enigma che i dati di Planck, grazie all’ampiezza senza precedenti della gamma di lunghezze d’onda alle quali sono sensibili i suoi rivelatori, potrebbero aver definitivamente risolto: a generare l’emissione anomala sono le collisioni di grani di polvere in rapidissima rotazione su se stessi, fino a decine di miliardi di volte al secondo, con atomi o pacchetti di luce ultravioletta. Sfruttando un effetto particolare detto Sunyaev-Zel'dovich, Planck è poi riuscito a individuare 189 ammassi di galassie, 20 dei quali ancora sconosciuti. Un’assoluta novità da numerosi punti di vista. È la prima volta, infatti, che nuovi ammassi di galassie vengono scoperti grazie all’effetto Sunyaev-Zel'dovich, e già stanno arrivando conferme della loro esistenza grazie a osservazioni congiunte con un altro satellite Esa, l’osservatorio a raggi X Xmm-Newton. Oltre a consegnarci immagini spettacolari, lo studio di questi enormi e antichissimi cluster ci aiuta ad approfondire le nostre PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 AGGIORNAMENTI 127 STUDI conoscenze sul tipo di universo in cui viviamo, a che velocità si sta espandendo e quanta materia contiene. ‘E questa non è che la punta dell’iceberg’, osserva David Southwood, direttore della sezione Esa di Scienza ed Esplorazione Robotica. ‘Grazie all’impegno di tutte le persone coinvolte nel progetto, Planck sta superando ogni aspettativa’.² ‘L’Italia in questi anni ha raggiunto – rileva il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Enrico Saggese – una posizione di eccellenza nel 2. Per quanto riguarda lo sviluppo degli strumenti scientifici, un contributo importante è dovuto a Thales Alenia Space (Milano) per LFI e a Air Liquide - DTA (Grenoble, Francia) per HFI. I due consorzi sono anche responsabili per l’operatività scientifica dei rispettivi strumenti e per il trattamento dei dati. Alla guida dei consorzi, i due principal investigators: J. L. Puget, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale di Orsay (Francia), è responsabile di HFI (finanziato principalmente dal CNES e dal CNRS), mentre N. Mandolesi, dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Bologna, è responsabile di LFI (finanziato principalmente dall’ASI e dall’INAF). La NASA ha finanziato lo US Planck Project, con base a JPL e con il coinvolgimento di scienziati da numerose istituzioni degli Stati Uniti, il cui contributo all’impegno dei due consorzi è stato decisivo. Planck è gestito dal Flight Control Team del Mission Operations Centre (MOC), presso l' ESOC dell’ESA, a Darmstadt, Germania. campo dell’osservazione ed esplorazione dell’universo vicino e lontano. L’importante contributo italiano dato al successo della missione Planck ne è una conferma’. ‘È un grande momento, per Planck’, aggiunge Jan Tauber, project scientist di Planck all’Esa, ‘Fino a oggi ci siamo concentrati sulla raccolta dei dati e sul mettere in luce il loro potenziale. Ora, finalmente, è arrivato il tempo delle scoperte’. Planck, nel frattempo, continua a osservare l’universo. Il prossimo rilascio di dati è in programma per il gennaio 2013. Saranno dati in grado di mostrare, a un livello di dettagli senza precedenti, la radiazione del fondo a microonde. L’atto iniziale del dramma cosmico, dunque: l’immagine dell’origine di tutto. ON-LINE www.esa.int/esaCP/S Il mistero delle stelle pulsanti Con la scoperta del primo sistema binario in cui una delle due stelle è una Cefeide, una stella pulsante variabile, e grazie al fatto che una stella del sistema transita davanti all’altra, un team internazionale di astronomi ha risolto un mistero vecchio di decenni. Aggiornamento di Inizia lo studio sulle cefeidi N.2 Anno 2 Febbraio 2012 Concepción, Cile · I nuovi risultati, ottenuti da un team guidato da Grzegorz Pietrzynski (Universidad de Concepción, Cile, Obserwatorium Astronomiczne Uniwersytetu Warszawskiego, Polonia) sono stati resi pubblici. Grzegorz Pietrzynski sottolinea il notevole risultato raggiunto: ‘Utilizzando lo strumento HARPS sul telescopio di 3.6 metri dell'ESO di La Silla in Cile, insieme ad altri telescopi, abbiamo misurato la massa di una delle Cefeidi con una precisione di gran lunga superiore a tutte le stime precedenti. Questo nuovo risultato ci permette di vedere immediatamente quale delle due teorie, tra loro in competizione, utilizzate per determinare le masse delle Cefeidi sia corretta’. Le Variabili Cefeidi classiche, di solito chiamate più semplicemente Cefeidi, sono stelle instabili più grandi del Sole.¹ 1. Le prime Cefeidi sono stati avvistate nel XVIII secolo e le più luminose possono essere facilmente viste variare di sera in sera ad occhio nudo. Esse prendono il nome dalla stella Delta Cephei nella costellazione di Cefeo (il Re). Si espandono e si contraggono in modo regolare, impiegando da pochi giorni ad alcuni mesi per completare il ciclo. Il tempo necessario per crescere di luminosità per poi tornare ai valori di partenza è più lungo per le stelle che sono più luminose e più breve per quelle più deboli. Questa relazione così precisa rende lo studio delle Cefeidi uno dei modi più efficaci per misurare le distanze di galassie vicine e da lì tracciare la scala di tutto l'universo. Purtroppo, nonostante la loro importanza, le caratteristiche delle Cefeidi non sono completamente note. La determinazione della loro massa sulla base della teoria delle stelle pulsanti, è il 20–30% minore di quella determinata grazie alla teoria dell’evoluzione stellare. Questa discrepanza è emersa dagli anni '60 del secolo scorso. Per risolvere il mistero, gli astronomi avevano bisogno di trovare una stella doppia di cui una fosse una Cefeide e la cui orbita doveva essere vista di taglio dalla Terra. In questi casi, noti come sistemi binari ad eclisse, la luminosità delle due stelle si affievolisce quando una delle due passa davanti all'altra, e ancora quando passa dietro l'altra stella. In tali coppie gli astronomi possono determinare la massa delle stelle con grande precisione. Purtroppo né le Cefeidi né le binarie a eclisse sono comuni, quindi la possibilità di trovare una coppia così insolita sembrava molto bassa. Nessun sistema di questo tipo è stato finora scoperto nella Via Lattea.² 2. Il rapporto luminosità/periodo per le Cefeidi è stato utilizzato da Edwin Hubble per stimare la distanza di ciò che ora sappiamo essere galassie. Più recentemente le Cefeidi sono stati osservate con il telescopio Hubble. Wolfgang Gieren, un altro membro del team, aggiunge: ‘Di recente abbiamo effettivamente trovato quello che speravamo, un sistema di due stelle, tra quelle della Grande Nube di Magellano. Essa contiene una Cefeide, una stella variabile pulsante che completa il suo ciclo ogni 3,8 giorni. L'altra stella è leggermente più grande e più fredda, e i due corpi celesti orbitano l'uno intorno all'altro in 310 giorni. La vera natura binaria dell'oggetto è stata immediatamente confermata quando l'abbiamo osservato con lo spettrografo HARPS a La Silla’. Gli astronomi hanno misurato accuratamente le variazioni di luminosità di questo raro oggetto, denominato OGLE-LMCCEP0227, quando le due stelle, orbitando, sono passate una davanti all'altra. Hanno inoltre usato HARPS, ed altri spettrografi particolarmente precisi, sia per misurare i moti di allontanamento e avvicinamento alla Terra delle stelle che il moto orbitale delle due stelle e i movimenti degli strati superficiali della Cefeide quando nelle sue fasi di espansione e contrazione. ON-LINE www.eso.org/public/news/eso1046/#1 103P-Hartley CREDITI NASA / JPL-CALTECH / UMD AGGIORNAMENTI 129 MISSIONI Deep Impact spia la cometa Hartley L'incontro è avvenuto alla distanza minima prevista di 700 km dal nucleo di roccia e ghiacco, e ha fruttato immagini mai viste fino ad ora, trasmesse al centro ricerche. Aggiornamento di Deep Impact scruta le comete N.4 Anno 8 giugno 2022 Immagini In senso orario dall'alto, la prima delle incredibili sequenze ottenute dalla sonda Deep Impact durante il suo avvicinamento e l'osservazione del nucleo di roccia e ghiaccio. Cape Canaveral · La sonda Nasa Deep Impact ha incontrato la cometa Hartley alla distanza minima prevista di 700 chilometri dal nucleo di roccia e ghiaccio. L'incontro ravvicinato è avvenuto a circa 15 milioni di chilometri dalla Terra. La sonda, grande come un'automobile, catturerà immagini e dati che aiuteranno astronomi e astrofisici a scoprire nuovi segreti delle comete, veri e propri fossili del sistema solare. La sonda Deep Impact ha inviato le prima immagini spettacolari a Terra e sugli schermi dei computer del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, dove si trova il centro di controllo della missione Epoxi dove sono arrivate immagini ‘mai viste finora’. I tecnici hanno lavorato fin dalle prime ore della giornata per verificare che la sonda Deep Impact fosse nella posizione corretta per avvicinarsi alla cometa senza rischiare di essere colpita dai frammenti di ghiaccio che come una nube circondano il nucleo roccioso. Pochi minuti dopo aver raggiunto la distanza voluta, a 700 chilometri dal nucleo, la sonda ha puntato verso la Terra la sua antenna. È cominciata così una fase di controllo dei dati relativi alle buone condizioni di salute della piccola sonda, grande come un'automobile. Concluse le verifiche, la sonda ha cominciato a inviare a Terra le prime immagini della cometa. ‘Ci manca il respiro al solo pensiero delle scoperte che ci aspettano’, ha detto il coordinatore della missione Epoxi, Michael O'Hearn, dell'Università del Maryland. ON-LINE www.jpl.nasa.gov/news 130 AGGIORNAMENTI PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 TEORIE Quante masse ci vogliono per un buco nero? Grazie all’utilizzo del Very Large Telescope, gli astronomi europei hanno dimostrato per la prima volta che una magnetar si è formata da una stella di 40 volte la massa del Sole. Si pone, quindi, ora una nuova domanda fondamentale: quanto deve essere massiccia una stella affinché si trasformi in un buco nero? Aggiornamento di Westerlund 1 N.1 Anno 5 gennaio 2015 Per arrivare a tali conclusioni, gli astronomi hanno esaminato nel dettaglio lo straordinario ammasso stellare straordinario Westerlund 1*,che si trova a 16 mila anni luce di distanza, nella costellazione meridionale di Ara (l'Altare). Da studi precedenti, gli astronomi sapevano che Westerlund 1 fosse il più vicino super ammasso stellare conosciuto, contenente * L'ammasso aperto Westerlund 1 è stato scoperto nel 1961 dall’Australia da un astronomo svedese, Bengt Westerlund, che in seguito ricoprì la carica di Direttore dell’ESO in Cile da 1970 al 1974. Questo cluster è dietro una enorme nuvola interstellare di gas e polveri, che blocca la maggior parte della sua luce visibile. Il fattore di attenuazione è superiore a 100 mila, ed è per questo che ci è voluto tanto tempo per scoprire la vera natura di questo particolare agglomerato. Westerlund 1 è un laboratorio naturale unico per lo studio della fisica stellare estrema, che ha aiutato gli astronomi a cercare di scoprire come le stelle più massicce nella nostra Via Lattea vivono e muoiono. centinaia di stelle molto massicce, alcune così brillanti da avere una luminosità di quasi un milione di soli e con circa duemila volte il diametro del Sole. ‘Se il Sole si trovasse nel cuore di questo straordinario ammasso, il nostro cielo notturno sarebbe pieno di centinaia di stelle brillanti una luna piena’, dice Ben Ritchie, autore principale dell’articolo che illustra questi risultati. Westerlund 1 è un fantastico zoo stellare, con diverse ed esotiche popolazioni di stelle. Le stelle di questo gruppo condividono però un aspetto: tutte hanno la stessa età, stimata tra 3,5 e 5 milioni di anni e ciò testimonia come questo ammasso abbia trovato origine da un unico evento di formazione stellare. Una magnetar è un tipo di stella di neutroni con un campo magnetico incredibilmente forte – un milione di miliardi di volte più forte di quella della Terra, che si forma quando alcune stelle sono sottoposte ad esplosioni di una supernova. L’ammasso Westerlund 1 ospita uno delle poche magnetar conosciute nella Via Lattea. Grazie alla sua presenza in questo gruppo gli astronomi sono stati in grado di dedurre che debba essersi formata da una stella almeno 40 volte più massiccia del Sole. Poiché tutte le stelle in Westerlund 1 hanno la stessa età, la stella che è esplosa e ha lasciato come residuo una magnetar, deve aver avuto una vita più breve delle altre stelle del gruppo. ‘Poiché la durata della vita di una stella è direttamente collegata alla sua massa – più pesante è una stella, più breve la sua vita – se siamo in grado di misurare la massa di una qualsiasi stella superstite, sappiamo per certo che la stella con vita più breve e che è divenuta una magnetar, deve essere stata ancora più massiccia’, afferma il coautore e leader del team Simon Clark. ‘Questo è molto importante, perché non esiste una teoria universalmente riconosciuto su come si formino questi oggetti così magnetici’. Gli astronomi hanno quindi studiato le stelle che appartengono al sistema binario ad eclisse W13 in Westerlund 1, sfruttando il fatto che, in un tale sistema, le masse delle stelle possono essere direttamente determinate dal loro movimento. Messa a confronto con le altre stelle, gli astronomi hanno verificato che la stella divenuta una magnetar deve essere stata almeno di 40 volte la massa del Sole. Questo porta a dimostrare che stelle molto massicce, dalle quali ci si attenderebbe la formazione di un buco nero, possono evolvere diversamente, come una magnetar appunto. L'ipotesi precedente riteneva che le stelle con masse iniziali comprese tra circa 10 e 25 masse solari formassero le stelle di neutroni e quelle superiori a 25 masse solari producessero buchi neri. ‘Questa stella deve essersi liberata di più di nove decimi della sua massa prima di esplodere come una supernova, o altrimenti avrebbe creato un buco nero’, dice il coautore Ignacio Negueruela. ‘L’enorme perdita di massa prima dell'esplosione rappresenta la sfida più grande alle attuali teorie sull’evoluzione stellare’. ‘Si pone quindi la spinosa questione di come una stella di grande massa debba collassare per formare un buco nero se stelle più pesanti oltre 40 volte il nostro Sole non fanno altrettanto’, conclude il coautore Norbert Langer. Il meccanismo di formazione preferito dagli astronomi ipotizza che la stella divenuta una magnetar – il cosiddetto progenitore – sia nata in compagnia di un’altra stella. Poiché entrambe le stelle una volta evolute avrebbero cominciato a interagire, l’energia derivata dal loro moto orbitale avrebbe portato ad espellete le quantità necessarie dell’enorme massa della stella progenitrice. Il fatto che tale compagnia non sia visibile sul luogo della magnetar, potrebbe essere perché la supernova che ha costituito la magnetar ha rotto il sistema binario, espellendo entrambe le stelle a ad alta velocità dal gruppo. ‘Se questo è il caso, ciò suggerisce che i sistemi binari possano svolgere un ruolo chiave nell'evoluzione stellare provocando una perdita di massa – l'ultima dieta cosmica per stelle supermassicce – fino al 95% della massa iniziale’ conclude Clark. Destra Westerlund 1 comprende migliaia di stelle molto massive, alcune delle quali brillano con una forza pari ad un milione di volte quella del Sole. Sebbene la maggior parte delle stelle in questo ammasso sono blu supergiganti, esse appaiono rosse in questa fotografia a causa del filtro creato dalle polveri e dai gas stellari. SISTEMA BINARIO AD ECLISSE W13 MAGNETAR ES0 132 PLANCK AGGIORNAMENTI N.1 Anno I APRILE 2011 MISSIONI MISSIONI SCOPERTE STS-133: non prima del 24 aprile Lares e Vega verso il lancio Kepler scopre il suo primo esopianeta roccioso Ancora un rinvio per la missione NASA. Conseguenze anche per il successivo lancio della sonda Arus, previsto per la fine di marzo. Il satellite LARES pronto a lasciare la Terra con il lanciatore Vega nel 2011. Il telescopio spaziale identifica un nuovo esopianeta alcune caratteristiche simili a quelle della Terra. Aggiornamento di Vega esce dalla sale test, presto il lancio N.11 Anno 2 ottobre 2012 Aggiornamento di Ecco i primi dati del satellite Kepler N.7 Anno 6 marzo 2018 Aggiornamento di STS-133 ancora dubbi sul lancio N.6 Anno 3 aprile 2013 Houston · Nessun colpo di scena. I componenti del Program Requirements Control Board (PRCB) si sono regolarmente riuniti al Johnson Space Center della NASA a Houston. Per confermare che il lancio dello Shuttle Discovery, missione Sts-133, quello che doveva partire il 5 novembre scorso, non avverrà prima del 24 febbraio 2011. I tecnici continuano a lavorare ai serbatoi esterni applicando nuove strutture di rinforzo, i radius bocks. Per essere precisi, comunque, i launch manager hanno sottolineato di non poter ancora indicare una data target, a causa anche del traffico verso la Stazione Spaziale Internazionale previsto a metà febbraio (il 15, per esempio, è in agenda il Cargo europeo Atv-2). L’impressione, almeno per il momento, è che il lancio dello Shuttle con a bordo PMM, il modulo permanente per la ISS realizzato a Torino a tempo di record modificando Leonardo, non avvenga il 24 ma comunque entro la fine di febbraio. Contribuisce a dar peso a questa previsione il fatto che nel corso della stessa riunione i tecnici della NASA abbiano confermato l'ulteriore slittamento in avanti per la missione successiva. La Sts-134, quella che porterà sulla ISS l’astronauta italiano dell’ESA Roberto Vittori e, tra le altre cose, lo strumento AMS (il cacciatore di antimateria realizzato con un determinante contributo italiano). Questa volta a partire è l’altro Shuttle rimasto in servizio, l’Endeavour. Ma non più il primo aprile, come preannunciato dopo l’ultimo rinvio. Al momento la prima data utile perché Vittori raggiunga la ISS è il 19 aprile. ON-LINE www.nasa.gov/mission_pages/shuttle/main/index Houston · Nei primi giorni di Dicembre è stata raggiunta una delle tappe finali verso la qualifica del satellite LARES, che sarà messo in orbita con il primo volo del lanciatore VEGA, attualmente previsto per il terzo trimestre del 2011 dalla base di lancio europea di Kourou, nella Guyana Francese. Il programma LARES, la cui realizzazione è affidata da ASI alla Carlo Gavazzi Space, procede quindi a buon ritmo in parallelo alle fasi finali dello sviluppo del lanciatore e, secondo la nuova pianificazione, sarà pronto per la spedizione in base di lancio dalla seconda metà del prossimo anno. ‘Vale la pena ricordare che la missione LARES ha una molteplice valenza, scientifica e tecnologica – ci dice Simone Pirrotta, responsabile nel team ASI degli aspetti ingegneristici e delle interfacce. Difatti, insieme al payload principale costituito dal satellite dedicato all’esperimento del PI prof. Ciufolini per la misura dell’effetto LenseThirring con estrema accuratezza, il sistema fornisce anche un importante supporto alla qualifica del lanciatore VEGA, misurando alcune importanti grandezze fisiche durante le varie fasi di volo e permettendo così di ricostruire le sollecitazioni ambientali cui saranno sottoposti tutti i futuri satelliti passeggeri del nuovo lanciatore europeo a preponderante contributo italiano. Ad aumentare ulteriormente la complessa architettura del Sistema LARES sono i suoi passeggeri secondari cioè i nove Cubesats, piccolissime sonde del peso di 1 chilogrammo, forniti dall’Agenzia Spaziale Europea. Washington · La missione Kepler, primo telescopio spaziale della NASA preposto alla ricerca di pianeti orbitanti intorno ad altre stelle con caratteristiche simili a quelle della Terra, ha individuato il primo esopianeta roccioso denominato Kepler-10b. Si tratta del più piccolo pianeta scoperto al di fuori del sistema solare ma non si trova nella cosiddetta zona abitabile. La minima distanza che intercorre tra Kepler-10b e la sua stella fa sì che il pianeta non sia in grado di ospitare la vita: le temperature del lato esposto alla stella potrebbero raggiungere un migliaio di gradi, e in queste condizioni sarebbe impossibile mantenere un'atmosfera gassosa stabile e duratura nel tempo. Gli scienziati della NASA hanno calcolato che il pianeta orbita attorno alla sua stella a una distanza che è una frazione di quella che separa Mercurio e il Sole, conseguentemente l'intera orbita viene coperta in un periodo temporale ridotto, meno di un giorno terrestre. ‘Questa è un’ulteriore conferma che pianeti non troppo diversi dalla Terra possono esistere intorno ad altri Soli – commenta Enrico Flamini, chief scientist Destra La Missione Kepler è un programma di ricerca astronomica sviluppato dalla NASA. Esso è costituito da un satellite artificiale, chiamato Kepler, costituito da un fotometro e messo in un'orbita eliocentrica parzialmente sovrapposta quella terrestre. Il telescopio è stato correttamente lanciato in orbita da Cape Canaveral il 7 marzo 2009. AGGIORNAMENTI 133 ACCORDI CNR, arriva l'ok al nuovo statuto: ‘Più vicini alle imprese.’ Il presidente Maiani: ‘Saremo più virtuosi ed internazionali’. Critiche le organizzazioni sindacali. Aggiornamento di Un nuovo statuto per il CNR N.2 Anno 2 Febbraio 2012 dell’ASI. Bisogna tuttavia aver chiaro – prosegue Flamini – che non li stiamo vedendo direttamente, ma solo attraverso l’effetto che hanno sulla radiazione emessa dal loro Sole quando vi passano davanti” Le dimensioni di Kepler-10b sono state calcolate sulla base delle variazioni della luminosità nella stella registrate dagli strumenti di Kepler, in particolare dal fotometro, ogni volta che il pianeta transitava di fronte ad esso. Kepler-10b ha un diametro pari a 1,4 volte quello terrestre e una massa 4,6 volte superiore a quella ON-LINE http://www.nasa.gov/universe/features/rocky_planet della Terra. ‘Tutte le capacità di Kepler hanno portato alla luce l’esistenza di un pianeta roccioso che orbita intorno a una stella che non è il nostro Sole’ ha dichiarato Natalie Batalha, responsabile del team NASA di Kepler presso il Centro di ricerche Ames in California e autrice dell’articolo sulla scoperta pubblicato dall’Astrophisical Journal. ‘Riteniamo – spiega la Batalha – che le recenti rivelazioni fatte da Kepler rappresentino solo il punto di partenza di ricerche molto sulla formazione degli esopianeti’. Roma · Un CNR snello, efficiente e pronto a parlare sempre più la lingua del mercato. Per dialogare con le imprese il più grande ente di ricerca italiano potrà partecipare a fondi di investimento, realizzare spin off industriali o creare società, fondare consorzi con i privati. A chiederglielo è il nuovissimo statuto approvato dal CDA del Consiglio Nazionale delle Ricerche tra le proteste dei sindacati che lo bocciano. Nel mirino sono finite alcune richieste per il nuovo statuto -in parte poi riformate durante la riunione- arrivate dal ministro vigilante dell'Istruzione, della Ricerca e dell'Università Maria Stella Gelmini, che secondo UIL, CGIL e ANPRI rischiano di mettere a repentaglio l'autonomia scientifica. Il cambio di pelle arriva oltre un anno dalla riforma degli enti di ricerca (Dlgs 213/2009) e punta a ridisegnare l'architettura del CNR. Tra le novità di fondo c'è anche l'invito esplicito al Consiglio Nazionale delle Ricerche a diventare non solo un incubatore di scienza, ma anche di idee da trasformare in prodotti e attività imprenditoriali. Diverse le novità anche sul fronte dell'organizzazione interna: innanzitutto lo snellimento dei dipartimenti, il cui numero scende da undici a sette. Più snello sarà anche il CDA che sarà composto da solo cinque membri, di cui tre di nomina del ministro. Le altre due nomine dovrebbero contendersele le regioni, i rettori delle università, Confindustia o la comunità scientifica. Quest'ultima sarà rappresentata dal consiglio scientifico e nei consigli dei vari dipartimenti in cui è diviso l'ente. N.1 Anno I Aprile 2011 RECENSIONI 135 PLANCK Trent'anni di fisica dei buchi neri La scienza secondo Italo Calvino La fisica senza stringhe Leonard SusskinD 135 Massimo Bucciantini 141 Lee Smolin 142 Genio & humour. La fisica di Feynman recensione di SYLVIE COYAUD La fisica di Feynman. Volumi I, II e III di RICHARD FEYNMAN Zanichelli, 2001, € 110.99 A trent'anni di distanza dalla prima edizione italiana, ecco ristampato pari pari, qualche errore di stampa incluso, il corso che il fisico americano Richard Feynman (1918—1988) tenne al California Institute of Technology tra il 1961 e il 1963, un po' costretto dagli amministratori al California Institute of Technology, irritati dal modo in cui si sottraeva ai doveri d'insegnamento, e un po' per dimostrare che, anche come docente, non aveva pari. Dopo i corsi dei colleghi, scrisse nell'introduzione alle lezioni sbobinate, riviste e completate da Robert Leighton (volume 1) e Matthew Sands (volume 2 e 3) ‘parecchi studenti si sentivano scoraggiati perché venivano loro presentate ben poche idee affascinanti. Il problema era se si potesse fare o no un corso che salvasse lo studente più bravo e più interessato dal perdere ogni entusiasmo’. Quindi decise di rivolgersi ai migliori della classe e di stimolarne la mente. ‘In sostanza, tutta la faccenda fu un esperimento. E se dovessi ripeterlo non rifarei la stessa cosa, spero di non doverlo ripetere!‘. A fare da cavia, si presentarono 180 matricole, ma non si salvarono e scomparvero rapidamente dall'aula. Il perché si capisce dalle prime pagine del primo volume: questa è la fisica di Feynman e pochi altri, quella che tesse, taglia e cuce a propria misura per arrivare all'elettrodinamica quantistica, definita come ‘la strana teoria della luce e della materia o, specificamente, l'interazione tra la luce e gli elettroni’ in Qed (Adelphi, 1989) e qui come ‘la teoria dell'intera chimica, e della vita se la vita, in definitiva, si riduce a chimica e quindi a fisica, dato che la chimica ci è già ridotta’. Le cavie, richiamate da una personalità irriverente e già leggendaria, non furono all'altezza di tanta ambizione. Forse nemmeno lo sperimentatore che a fine biennio si dichiarò poco soddisfatto. ‘Col passare dei mesi i risultati degli esami lasciarono Feynman scioccato e scoraggiato’, scrisse James Gleick (in Genio, Garzanti, 1994). Le matricole scappavano terrorizzate. ‘Via via che il corso si avviava alla conclusione, la frequenza degli studenti prese a calare in modo allarmante, ma al tempo stesso furono sempre più i laureati e i professori che presero a parteciparvi’, riferisce lo storico della fisica Charles Weiner. D'altronde, furono le parole conclusive di Feynman al suo pubblico, ‘lo scopo principale del mio insegnamento non è stato quello di prepararvi a un esame, né quello di mettervi in condizione di lavorare per l'industria o per l'esercito. Più di ogni altra cosa, ho voluto farvi apprezzare un po' la bellezza del mondo e quella maniera di guardarlo che è caratteristica dei fisici e che, a mio parere, è una parte assai importante della vera cultura dei nostri tempi. Ci sono probabilmente professori di altre materie che troverebbero da obiettare, ma credo che sbaglino del tutto. Può darsi che non solo apprezzerete quella cultura ma che vogliate partecipare alla più grande avventura mai intrapresa dalla mente umana’. Oggi la teoria si concentra sulle simmetrie e sulle stringhe (la M Theory ), eppure quei tre volumi trovano ancora lettori che ne escono trasformati in avventurieri, spavaldi e incantati dalla disinvoltura di Feynman – la fisica prima del 1920 riassunta in quattro paginette – e dalle sue domande. Dimostra quanto è fecondo accostare le idee in maniera inedita, ribaltare l'ordine seguito da tutti i manuali per creare collegamenti nuovi, saltare a piè pari le frontiere tra le discipline. Che si può legare con un unico filo improvvisamente logico e luminoso la materia su grande e su piccola scala, forze, colori, trottole, cubetti di ghiaccio, atomi e ruote dentate. A condizione di sapere di matematica. ‘Uno può anche domandarsi: che ci fa la matematica in una lezione di fisica? Noi possiamo addurre varie scuse: la prima, ovviamente, è che la matematica è uno strumento potente ma questo ci scusa soltanto di avervi dato la formula in due minuti. D'altro canto, in fisica teorica tutte le nostre leggi si possono scrivere in forma matematica, il che ha una certa semplicità e bellezza. Tutto sommato, quindi, per capire la natura può esserci bisogno di una comprensione più profonda delle relazioni matematiche. Ma la ragione vera è che la materia è divertente, e sebbene noialtri umani sminuzziamo la natura in tanti modi, e teniamo corsi diversi nei diversi dipartimenti, si tratta di una compartimentazione del tutto artificiosa. Ma godiamoci i nostri piaceri intellettuali ovunque li troviamo’. Feynman si era fatto su misura anche una matematica raffinata, idiosincratica eppure subito adottata dai colleghi (basti pensare agli integrali di cammino). Era uscita dalla cassetta degli attrezzi che si era procurato da ragazzino con letture precoci e solitarie, con un bricolage di cui andava fiero. La matematica gli dava ‘la sensazione concreta della bellezza più profonda della natura’, per lui come per Galileo infatti ne era il linguaggio. Era anche una sensazione di felicità, la stessa che un altro fisico matematico, Jean-Marc Lévy-Leblond (uno dei primi a capire e diffondere il Feynman pensiero fuori dagli Stati Uniti) esprime in una poesia d' amore e di fisica pubblicata sulla rivista Alliage. Chi non sa di matematica non scrive, come Lévy-Leblond, ‘E2 − E1 = hv’, perché non vede la fotosintesi né la foglia che beve il Sole, non prova l'inebriante senso di potere che viene dallo ‘scrivere, descrivere, decretare’ e dal vedere ‘l'universo piegarsi alla lettera’. La fisica di Feynman gli è preclusa insieme a quella che era per lui la vera cultura dei nostri tempi. Probabilmente troverà da obiettare all'arroganza che allo scienziato in effetti non mancava, e dirà che la vera cultura è un'altra. Ma non solo perché non sa di quali piaceri intellettuali si priva. La matematica gli dava ‘la sensazione concreta della bellezza più profonda della natura’, per lui come per Galileo infatti ne era il linguaggio primario, dal quale tutto derivava. 136 RECENSIONI Per una ripresa della scienza italiana recensione di Giovanni Fabrizio Bignami La ricerca tradita. Analisi di una crisi e prospettive per il rilancio di Tommaso Maccacaro Garzanti, 2007, € 16.50 I fatti, innanzitutto. Ovvero il confronto tra il nostro paese e le altre nazioni industrializzate. Così si deve misurare il caso italiano della ricerca e, indirettamente, dell'Università. E i numeri della ricerca e delle Università italiane, si sa, non ci fanno fare una gran bella figura. Specialmente dopo il quinquennio 2002-2006 (ma anche prima), l'Italia è posizionata agli ultimi posti della graduatoria europea. E per fortuna c'è il Portogallo (che però sta crescendo in fretta). Da questa analisi di una crisi parte il bel libro coordinato da Tommaso Maccacaro e scritto a più mani, capitolo per capitolo, da un'élite di ricercatori membri del Gruppo 2003, quello degli italiani più citati al mondo. Che tra questi ultimi ci sia un ministro, per di più un ministro importante come Luigi Nicolais, sarà una piacevole sorpresa per molti, visto che Nicolais non ha mai sbandierato la sua anima di ricercatore, ma diventa un fatto di particolare rilevanza quando si parla di politica della ricerca. Proprio del Gruppo 2003 il libro propone il manifesto, ancora attualissimo, che elenca un succinto decalogo di proposte per andare verso la normalità, cioè verso il necessario, ma inesistente, livello di sostegno e attenzione alla ricerca per un paese del nostro calibro. Tutte proposte normali al limite della banalità: non più promozioni per legge, ma obbligo PLANCK della peer review ovunque e poi valutazione, valutazione, valutazione. Su quest'ultima sono sempre tutti d'accordo, se si valutano, magari severamente, gli altri. Applicarla e rispettarla seriamente anche per se è un'altra cosa. È il momento giusto, invece, di dire che tutti i ricercatori italiani degni di questo nome – e degni di lavorare in Europa e nel mondo – aspettano con ansia la formazione dell'Agenzia Nazionale della Valutazione dell'Università e della Ricerca. Speriamo che arrivi presto e bene: i piani ci sono, e sembrano buoni, come le persone e la volontà politica. Perché le credenziali di una valutazione nazionale corretta sono indispensabili per portarci in modo stabile e credibile in Europa. Ci siamo già, lo so, e in qualche caso siamo anche protagonisti, ma non basta. La Francia ha capito quattro anni fa che un organismo pur forte di tradizioni eccellenti e di dimensioni notevoli, come il CNRS, non bastava alla domanda di ricerca di un paese moderno. Un paese moderno deve saper coinvolgere, anzi attrarre, gli investimenti privati nella ricerca e metterli insieme con quelli pubblici per scoprire che il totale è maggiore della somma delle parti. E così in Francia si è pensata e creata, con una rapidità per noi sconcertante, l'Agence Nationale de la Recherche, un'agenzia di mezzi per il finanziamento di ricerche scelte per merito. E allora facciamola anche in Italia un'agenzia nazionale della ricerca, visto che il CNR, da rivedere a fondo, non supporta più, o quasi, la ricerca extra moenia. Per esempio non nelle Università, dove i modi per incentivare la ricerca vanno letteralmente reinventati. Certo, per fare i ricercatori bisogna partire da una base ampia, creando una cultura della scienza nella gente. Una battuta finale, tratta dallo spumeggiante capitolo di Franco Brezzi, matematico capace di prendere un circolo, accarezzarlo e farlo diventare vizioso. A proposito dell'Istituto italiano di tecnologia, nota che la cosa agghiacciante sia stato il tentativo di spacciarlo per il MIT italiano. Al MIT lavora Noam Chomsky, definito dal New York Times come ‘il più grande intellettuale vivente’. Rimbocchiamoci le maniche, ma siamo ancora lontani dall'eccellenza. Stanley Kubrick 2001: le interviste spaziali recensione di Giacomo Gambineri Stanley Kubrick. Interviste extraterrestri di Anthony Frewin (a cura di) Isbn, 2006, € 19.50 Nel 1966, durante la lavorazione de 2001: Odissea nello Spazio, Stanley Kubrick diede una 35mm al suo assistente Roger Caras e lo mandò a intervistare fisici, biologi, astronomi, antropologi e teologi: che mondo immaginavano per il 2001? Le risposte dovevano diventare un prologo per spiegare che quelle del film non erano fantasie ma problemi reali, con i quali l'umanità avrebbe dovuto confrontarsi. In fase di montaggio però le interviste vennero scartate, e soltanto nel 2001, quello vero, un altro assistente di Kubrick, Anthony Frewin, ha ritrovato i raccoglitori con le trascrizioni di queste Interviste Extraterrestri (le pellicole sono andate perdute). Pagina dopo pagina scorrono le idee di scienziati come Aleksandr Oparin, Burrhus Skinner o Freeman Dyson sull'origine della vita, gli extraterrestri, i viaggi spaziali e il ruolo dell'uomo nell'universo. Ci sono previsioni azzardate, figlie del clima di ottimismo tecnologico dell'epoca: per qualcuno, per esempio, il contatto con civiltà extraterrestri era imminente. Isaac Asimov riteneva che l'umanità fosse pronta per l'incontro con civiltà aliene, e che ‘forse anche dei buoni film di fantascienza’ avrebbero aiutato a superare lo shock. Margaret Mead descriveva invece internet che conosciamo oggi: ‘In futuro ogni studente sarà seduto al suo banco avendo davanti un piccolo N.1 Anno I APRILE 2011 computer tramite il quale otterrà immediatamente l'informazione che vuole facendo ricerche nei più grandi archivi di informazioni’. E Marvin Minsky, mentre diceva che ‘i primi alieni che conosceremo non verranno da altre galassie ma saranno creati da noi stessi’, pensava all'intelligenza artificiale. Già il fatto che l'elenco degli intervistati si apra con Asimov suggerisce una certa qualità nell'approccio ad un argomento che potrebbe suscitare facili ironie, ovvero l'esistenza di una vita, e magari di un'intelligenza extraterrestre, ma poi si capisce che l'interesse di Kubrick andava ben oltre gli aspetti strettamente cinematografici. ‘Certe parole debbono porsi ad un livello che l'umano non può situare. Quegli esseri avrebbero probabilmente dei poteri incomprensibili. Potrebbero essere in comunicazione telepatica attraverso l'intero universo. Potrebbero avere la facoltà di plasmare gli avvenimenti in un modo che appare divino’ rifletteva il regista all'epoca dell'ideazione de 2001 ed è lo spunto iniziale per cui ha chiesto a Roger Caras, il suo assistente più vicino, di realizzare una vasta serie di interviste, riportate in gran parte in questo Interviste Extraterrestri. Tra gli intervistati c'è un intero olimpo di fisici, psicologi, etnologi, biologi, astronomi e filosofi – nonché, oltre ad Asimov, un altro illuminato scrittore, Arthur C. Clarke che ebbe una parte rilevante nella sceneggiatura del film e che per l'occasione si è prestato per una brevissima (e pungente) prefazione. Odissea nell'odissea, le Interviste Extraterrestri, che in un prima ipotesi dovevano essere parte integrante del film, vennero poi scartate, messe da parte e in gran parte dimenticate fino a quando un altro assistente di Stanley Kubrick, Anthony Frewin che le ha ritrovate e assemblate in un libro denso e visionario che, esattamente come il film per cui erano state realizzate, è più vicino agli uomini che agli extraterrestri. D'altra parte un'opera «a misura di universo» deve misurarsi con esso, non con l'uomo. Destra 1967, Stanley Kubrick insieme all'attore Gary Lockwood (nel ruolo del dott. Frank Poole) sul set de 2001: Odissea nello Spazio. DIMITRI KASTERINE STANFORD UNIVERSITY N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK RECENSIONI 139 Leonard Susskind racconta trent'anni di fisica dei buchi neri Ecco l'universo elegante recensione di Folco Claudi recensione di Daniela Bigatti La guerra dei buchi neri di Leonard Susskind Adelphi, 2009, € 35.00 L'universo elegante di Brian Green Einaudi, 2005, € 13.50 ‘Anche se classicamente l'orizzonte degli eventi di un buco nero ha una forma fissata, le fluttuazioni quantistiche dovrebbero farlo tremolare; anzi, una fluttuazione molto intensa dovrebbe poterlo deformare per tempi brevi in una forma più allungata e appiattita, e di tanto in tanto far assumere al buco nero l'aspetto di due sfere più piccole unite o addirittura portarlo a disintegrarsi in piccolissimi pezzi.’ È il 1972. Nel West End Café, un locale newyorchese sulla Broadway, un giovane fisico della Yeshiva University, Leonard Susskind, espone, davanti ad una birra, le sue argomentazioni su un tema assai complesso. Davanti all'altra birra sta un mostro sacro della fisica dell'epoca, Richard Feynman, all'apice della carriera scientifica e della notorietà. ‘In effetti – risponde Feynman – nulla potrebbe impedire il decadimento del buco nero, ma questo modello richiederebbe fluttuazioni enormi: è più plausibile un modello in cui l'orizzonte si divide in una parte delle dimensioni simili a quelle originali e in una parte microscopica che se ne allontana.’ Sono considerazioni un po' alla buona, anche se dettate da felici intuizioni: sono i primi tentativi di impostare una serie, approfondita discussione sulle profonde implicazioni della teoria generale della relatività, un ambito di ricerca allora di moda. A Princeton c'è John Archibald Wheeler, allievo di Einstein, che cerca di aprire una breccia per questo tipo di studi nella comunità dei fisici di allora, tutta presa dagli incredibili successi ottenuti nello studio delle particelle elementari. Dal 1967, in particolare, Wheeler cercava di esplorare l'immenso territorio che separava la teoria della gravitazione dalla meccanica quantistica, a cominciare dalle stelle nere, come furono battezzati sulle prime i paradossali oggetti cosmici frutto dei collassi gravitazionali descritti da Karl Schwarzschild nel 1917, in grado di inghiottire tutta la massa e la radiazione che si trovano entro un certo raggio dal loro centro, secondo un processo che metteva alla prova non solo le capacità immaginative umane, ma anche alcuni principi fondamentali della fisica. Come se non bastasse, già negli anni settanta il giovane Stephen Hawking aveva dimostrato che gli stessi buchi neri emettono radiazione termica, e per questo finiscono con l'evaporare, cioè con lo scomparire senza lasciare traccia, subendo un destino non dissimile da quello prospettato nell'incontro al West End Cafè. ‘Ma se così avviene – rincarava la dose Hawking nel corso di una serie di seminari nel 1976 – che fine fa l'informazione inghiottita? Si perde per sempre, violando così un altro fondamentale principio di conservazione?’. Un altro salto sulla sedia per i fisici: sarebbe come dire, almeno per la formulazione che ne dà la fisica classica, che il futuro può anche non ricordarsi più del passato, e che il determinismo viene a perdersi anche nella meccanica quantistica. Ma Susskind non vuole arrendersi all'ipotesi del fisico di Cambridge, e ne nasce una schermaglia scientifica, anzi una vera e propria Guerra dei buchi neri, che egli stesso ricostruisce in quest'ultimo saggio, fresco di traduzione, con una verve non comune anche tra i divulgatori di professione, con godibilissime divagazioni sulle personalità dei protagonisti della vicenda e con numerosi esempi analogie illustrate che consentono nella maggior parte dei casi di evitare formule ed equazioni. Certo, per raccontare più di trent'anni di fisica dei buchi neri ci voglio 400 pagine di gravitazione, cromodinamica quantistica, principio olografico e teoria delle stringhe, e la lettura non è consigliabile ai deboli di cuore. Ma per chi se la sente di affrontare la materia le ultime pagine svelano la soluzione, sancita dallo stesso Hawking del 2004: Susskind aveva ragione. Quando evaporano, i buchi neri non trattengono l'informazione, la rimettono tra i prodotti dell'evaporazione stessa. Una conclusione importante, ma che non può certo valere come una pacificazione: chi non è sconvolto dalla teoria dei buchi neri – si potrebbe chiosare, parafrasando Niels Bohr sulla meccanica quantistica – allora non l'ha realmente capita. Sinistra Il fisico Leonard Susskind. Durante un lungo volo intercontinentale scambiavo due parole col vicino: qual è la sua destinazione, che mestiere fa. A mia volta spiego che sono un fisico, un fisico teorico – e qui in genere l'interlocutore cambia discorso. Invece, allungandosi a prendere il bagaglio a mano, ne ha estratto un volume, dal titolo The Elegant Universe. Mentre si lanciava in un'appassionata recensione, si è avvicinato un entusiasta di qualche fila più oltre, con lo stesso libro in mano. Avrebbe potuto essere un caso, ma chi lavora nel campo, e ha visto tanti scritti deludenti, inesatti, criptici (in una parola brutti), conosce l'autore come uno straordinario divulgatore, oltre che uno scienziato di punta. Se è possibile scrivere un'opera bella, avvincente, precisa, sugli sviluppi recenti della fisica teorica, è facile che sia Greene a firmarla. Il libro introduce il lettore ad alcuni fra i concetti più ostici della fisica moderna – la relatività generale e la meccanica quantistica – per affrontare la geometria delle superstringhe, teoria candidata a essere la spiegazione definitiva dell'universo, e in ogni caso una delle costruzioni più vaste e complesse dell'intelletto umano, alla frontiera tra fisica e matematica. Sia gli adepti sia i profani del culto delle superstringhe troveranno spunti di riflessione e approfondimento; i profani, poi, potranno intuire la meravigliosa avventura che la fisica teorica sta vivendo. La traduzione è ben curata e scorrevole. Da non perdere. 140 RECENSIONI PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 Ma anche Galileo oggi sarebbe costretto a migrare recensione di Piero Bianucci Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia di L. russo, E. santoni Feltrinelli, 2010, € 30.00 sferimento a Catanzaro per superare l'esame di Stato da procuratore, firma la riforma dell'Università italiana, con l'attenuante che il premier non è Cavour. E nella riforma è scritto che le borse di studio ai meritevoli si assegnano in buona parte secondo un criterio di appartenenza territoriale. Per fortuna gli studenti e il presidente Napolitano se ne sono accorti e forse qualcosa cambierà con i regolamenti attuativi. È interessante leggere Ingegni Minuti. Una storia della scienza in Italia di Lucio Russo ed Emanuele Santoni con un occhio al presente. Si capiscono molte cose, perché, come chiarì Benedetto Croce, ‘la storia è sempre stata contemporanea’. Lucio Russo, nato a Venezia, laurea in fisica e professore all'Università Tor Vergata a Roma, è noto per aver fatto riemergere dall'antica scienza greca teorie rimosse che anticipano conquiste scientifiche ritenute esclusivamente moderne come il moto della Terra intorno al Sole e la spiegazione delle maree per effetto dell'attrazione lunare. Questi trascorsi conferiscono al suo libro una prospettiva temporale ampia e una forte attenzione alla scienza come impresa collettiva, idea ben condivisa da Emanuela Santoni, docente di matematica con interessi per la didattica. Si spiega così il titolo insolito, Ingegni Minuti, mutuato da Giam- battista Vico. Gli scienziati sono tali non solo perché il loro contributo in Italia è stato sempre ai margini della cultura dominante, ma anche perché la scienza si fa in tanti e non tutti geni, servono anche i gregari. Succede, oggi con cooperazioni internazionali che coinvolgono centinaia di ricercatori. Ma avveniva anche nel passato, quando gli scienziati erano più solitari, ma mai isolati né nello spazio (quanto si scrivevano, prima che arrivassero le e-mail) e tanto meno nel tempo (si pensi alla staffetta Aristotele-Tolomeo-Astronomi arabi-Copernico-Keplero-GalileoNewton). I grandi innovatori esistono, naturalmente. Ma Lucio Russo ci ricorda che i ‘miti di fondazione, tendendo a nascondere la continuità dello sviluppo teorico, generano la sistematica sottovalutazione dell'importanza della tradizione’. E di Kristeller, studioso del Rinascimento, cita una frase che sembra tolta dall'Estetica del nostro filosofo Luigi Pareyson: ‘L'eccellenza delle opere d'arte, e in generale delle imprese umane, non dipende dalla sola creatività ma dall'incontro di originalità e tradizione’. Sono dunque molti e minuti gli ingegni che con la loro comunità costituiscono il tessuto storico della scienza italiana. Con alti e bassi. C'è l'età dell'oro, dal Rinascimento al Barocco, con l'affermarsi del metodo sperimentale e la comparsa di strumenti come il microscopio e il telescopio che estendono i sensi umani. È la rivoluzione astronomica di Galileo, la rivoluzione biologica di Redi e Malpighi, che dimostrano l'inesistenza della generazione spontanea. Un tempo nel quale c'era una grande mobilità degli scienziati italiani a livello europeo e viceversa, mentre il latino, svolgendo il ruolo che ora è dell'inglese, favoriva l'affermarsi dei nostri studiosi. Tra la fine del Seicento e l'inizio dell'Ottocento la scienza italiana diviene periferica, e tuttavia si difende con Galvani nella fisiologia, Volta nella fisica, Avogadro nella chimica-fisica. La conquista dell'unità segna una ripresa caratterizzata dall'immersione del nostro Paese nella corrente internazionale della scienza positivista. Poi ci sono ancora gli episodi eccellenti dei ‘ragazzi di via Panisperna’ cresciuti intorno a Fermi e di Giulio Natta, unico nostro Nobel per la chimica, padre di quelle materie plastiche che nel bene e nel male sono un simbolo del nostro tempo. Il resto è scienza, ma si confonde con la storia dell'emigrazione. Sopra Galileo Galilei ritratto da Cristofani. MUSEO GALILEO Nel 1861 Francesco De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione dell'Italia appena unita, si guardò intorno e per sprovincializzare la nostra Università chiamo a Torino l'olandese Jacob Moleschott. Con un atto autoritario, liberò la cattedra di fisiologia mettendo a riposo Secondo Berruti e gliela affidò. Moleschott si era laureato in Germania a Heidelberg e, dopo un breve rientro a Utrecht, aveva insegnato in Svizzera all'Università di Zurigo. Qui De Sanctis lo aveva conosciuto quando era professore di letteratura italiana al Politecnico di quella città. Già, perché De Sanctis, scrittore e geniale critico letterario, nato nella depressa Irpinia, dopo aver partecipato ai moti libertari del 1848 ed essere stato rifiutato dall'ateneo sabaudo perché troppo sovversivo, nel 1856 aveva preso la via della Svizzera. A Torino tornerà da ministro su invito del premier Cavour. Questa vicenda non è eccezionale. Nel 1862 il ministro Carlo Matteucci convinse il fisiologo tedesco Moritz Schiff, celebre per i suoi studi sulla tiroide, ad assumere un incarico direttivo al Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, dove nel 1876 lasciò il posto al russo Herzen, che era stato suo allievo a Berna. Oggi abbiamo un ministro, Mariastella Gelmini, che, nata vicino a Brescia, laureata fuori corso con 100 su 110 in giurisprudenza, dopo un tra- N.1 Anno I APRILE 2011 PLANCK ‘La bellezza è verità, la verità bellezza — questo è tutto ciò che sappiamo, tutto ciò che dobbiamo sapere al mondo’ RECENSIONI Stuart Clark, il re del Sole recensione di Pietro Fabbri recensione di Marco Boscolo L'eleganza della verità. Storia della simmetria di Ian Stewart Einaudi, 2008, € 25.00 Il re del Sole. Il racconto dell'astronomia moderna di Stuart Clark Einaudi, 2009, € 25.00 Forse a causa della fama dei nostri creatori di moda, il titolo italiano di questo libro di Ian Stewart ha barattato la bellezza con l'eleganza, ma non è detto che abbia fatto un buon affare. Il titolo originale è infatti un esplicito riferimento ai versi più famosi di Keats: ‘La bellezza è verità, la verità bellezza – questo è tutto ciò che sappiamo al mondo, tutto ciò che dobbiamo sapere’. Ed è un peccato perderli. Ma Ian Stewart è oggi probabilmente l'autore più prolifico nella divulgazione matematica, e fortunatamente di quanto scrive non si perde nulla. Dopo due titoli usciti nel 2006, altri tre suoi libri sono arrivati nelle librerie italiane nel 2008: Come tagliare una torta e altri rompicapo matematici (Einaudi), in cui l'autore ritorna alle ricreazioni che frequentava sulle pagine di Scientific American; quindi Flatterlandia (Aragno) dove prosegue il viaggio multidimensionale iniziato da Edwin Abbott nel 1884 con Flatlandia; e ora L'eleganza della verità che, come dichiara il sottotitolo, è una Storia della simmetria. E la simmetria è l'argomento più trattato dai divulgatori in questi tempi. Seppure lentamente, sembra che si stia finalmente facendo strada anche tra i non addetti ai lavori l'idea che l'oggetto della matematica non siano solo i numeri; e i testi che mostrano il fascino della matematica attraverso le sue strutture e la loro bellezza sono diversi, e quasi tutti di autori di vaglia. Nel libro si incontrano così il più prolifico dei divulgatori matematici e il tema matematico più alla moda, con approccio storico-biografico; e questo è quasi un trucco del mestiere. Si può quasi sempre scegliere un argomento matematico qualunque e usarlo come guida di una storia abbastanza completa della matematica, perché la disciplina, da Archimede ai giorni nostri, mantiene una coerenza invidiabile con il proprio passato nonostante le continue rivoluzioni che periodicamente la attraversano. Così Stewart ha buon gioco a farsi guidare nella storia della simmetria dalle imprese e dalle vite dei matematici che quella storia hanno costruito, certo di incontrare lungo il percorso le figure più influenti e più affascinanti: da Euclide e Khayyâm, attraverso gli italiani che si sfidavano con le cubiche, ad Abel e Galois, che hanno vite che nulla hanno da invidiare ai protagonisti dei romanzi d'ottocento; quindi Hamilton, Lee e molti altri ancora, fino ai giorni nostri. Una sottile divisione percorre il libro: nella prima parte, classica e matematica, Stewart giunge a far intuire il concetto di simmetria matematica partendo dalla risolubilità delle equazioni di grado crescente: sembra un percorso illogico, finché la teoria dei gruppi giunge come deus ex machina a risolvere l'irresolubile. Poco dopo inizia la seconda parte del racconto, che vede protagonisti non più i matematici classici, ma i fisici moderni. La fisica del novecento viene raccontata come ineluttabilmente attratta dalla simmetria, in un continuo precipitare: dalla relatività ai quanti, dal modello standard alle stringhe, e naturalmente alla supersimmetria. Solo alla fine che ci si rende conto che l'intenzione era proprio quella di una rappresentazione in cui la matematica recita la parte della bellezza e la fisica quella della verità: riunite, una volta di più, sotto l'egida della simmetria. Da matematico, Stewart si trova forse più a suo agio nel narrare le storie della matematica; da britannico, arriva perfino a definire effetto Dirac quello che generazioni di fisici, da George Gamow in poi, hanno chiamato effetto Pauli, ovvero il devastante effetto distruttivo in un laboratorio della goffaggine dei fisici teorici particolarmente dotati; da storico, non risparmia neanche qualche frecciatina al più famoso degli storici della matematica, il suo connazionale Eric Temple Bell. Ma è anche quasi un poeta, quando mostra nell'ultimo capitolo la sua visione della matematica. Raccontare la verità della bellezza e la bellezza della verità, partendo dai versi di un poeta romantico e dal fuoco giovanile di un matematico ribelle è opera difficile, ma tutto sommato ben riuscita. 141 Nel suo saggio del 1776 La ricchezza delle nazioni, Adam Smith, padre degli economisti classici, aveva sottolineato, dati alla mano, la correlazione tra prezzo del grano e condizioni climatiche delle annate dei raccolti. Migliore è il clima, maggiore è la resa dei campi, più basso è il prezzo del grano. Circa vent'anni dopo, questa correlazione avrebbe permesso all'astronomo William Herschel di ipotizzarne un'altra tra macchie solari e prezzo del grano. Se quest'ultimo dipendeva dal clima e il clima dalla radiazione solare, il prezzo dei cereali nel corso degli anni doveva rappresentare una registrazione storica del misterioso fenomeno della macchie notate sulla superficie dell'astro. Un'ipotesi che fu criticata con ferocia. Molto tempo dopo però, nel 2003, un gruppo di ricercatori israeliani ha dimostrato che Herschel aveva ragione: nell'Inghilterra del XVIII secolo, prezzo del grano e attività solare erano collegate. Questa è una delle tante storie raccontate in Il re del Sole, il libro di Stuart Clark. Clark, tra i più affermati divulgatori scientifici britannici, intreccia vicende umane e passioni scientifiche, dipingendo un affresco della storia dell'astronomia che parte dalla fine del Settecento e arriva ai nostri giorni. I protagonisti sono gli scienziati e le scoperte grazie a cui oggi conosciamo in dettaglio il legame che lega la Terra alla sua stella. PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 RECENSIONI L'astrofisica semplice di Mike Inglis Zero, la storia di un'idea pericolosa recensione di Paolo Pagliario recensione di ROSSANA TAZZIOLI L'astrofisica è facile di Mike Inglis Springer, 2009, € 19.95 Zero. La storia di un'idea pericolosa di Charles Seife Bollati Boringhieri, 2002, € 29.00 Effettivamente se è ben spiegato, o ben divulgato, anche il concetto più difficile diventa comprensibile; attenzione non dico semplice, ma dico che lo si può capire, arrivando per gradi, fino alla fatidica frase ‘Ah! ecco perché!’. Il testo ha una struttura ed una logica simile ad altri della stessa collana, mi viene in mente Imaging Plantario; stessa filosofia, i primi capitoli che trattano degli strumenti che poi verranno utilizzati in seguito. Solo che qui gli strumenti non sono mezzi ottici, o radio, ma concetti, princìpi, valori. Spaventati? Tranquilli, ogni capitolo è fondamentalmente descrittivo, con dei box che riportano diagrammi o formule Le formule sono molto semplificate, delle semplici espressioni di terza media. Ma capitolo dopo capitolo si scopre come si è potuto calcolare la distanza di una stella da noi, i concetti di luminosità, magnitudine apparente ed assoluta, massa, il mitico (o famigerato) diagramma di Hertzsprung-Russell, il raggio di una stella, il colore. Capitoli scritti per chi ama il cielo prima di tutto; l’autore riporta alla fine di ogni capitolo un elenco di corpi celesti inerenti all’argomento, e, si badi bene, non un freddo elenco, ma per ogni corpo qualche riga di spiegazione; così nel capitolo del colore riporta varie stelle colorate visibili con strumenti amatoriali; certo nello stesso capitolo c’è un box che spiega la legge di Wien (relazione tra lunghezza d’onda e temperatura), ma è in un box a parte: si può tranquillamente leggere il capitolo e poi buttarsi sull’oculare. Che l’autore si rivolga a tutti gli amanti del cielo lo si capisce quando tra le stelle colorate cita anche il Sole, riportando in grassetto di non guardarlo direttamente se non con opportune protezioni. Vuol divulgare veramente a tutti, anche a chi è affascinato da una notte stellata e si mette a guardare ad occhio nudo seduto su un muretto. Dopo questi capitoli introduttivi si parte per un viaggio nello spazio, ma direi più che altro nel tempo; viene cioè illustrato e spiegato il percorso che porta alla formazione e nascita di una stella fino alla sua fine, dalle nebulose , alle protostelle, alle stelle nella loro evoluzione, le nebulose planetarie, le supernovae, le stelle di neutroni, le pulsar, i buchi neri. Questo è il vero corpo del libro. Ultimo capitolo riguarda le galassie, la loro classificazione, i concetti di redshift, la legge di Hubble e, ovviamente, la solita ghiotta lista di nomi da osservare. L’autore, proprio nel capitoletto conclusivo, si augura che oltre ad aver letto il libro il lettore abbia anche osservato il cielo, proprio perché non vuole riempire di nozioni da mal di testa, ma vuole che chi osserva possa comprendere il perché di un certo fenomeno. Alla fine avrete incamerato alcuni concetti che prima saltavate a piè pari o vi facevano addormentare se vi venivano illustrati in qualche conferenza. Questo libro è un esempio di smagliante divulgazione scientifica su un argomento affascinante e molto di moda di questi tempi: il numero zero e il suo ruolo nell'evoluzione della cultura. Lo zero, infatti, non è solo un'idea matematica, ma anche un concetto connesso alla filosofia e alla fisica, così come alla mistica e alla religione. Lunghe e tortuose appaiono le sue traversie nel corso della storia. Essendo ‘lo zero inesorabilmente connesso al vuoto e al nulla’ esso si scontrò con il credo aristotelico che, negando il vuoto, lo estromise dal mondo filosofico, e dunque matematico, dell'antica Grecia. Non a caso è in Oriente che lo zero fa la sua comparsa, per venire introdotto nella matematica occidentale soltanto nel XIII secolo, per opera di Leonardo Pisano, meglio noto come Fibonacci. L'analisi storica è condotta con stile brillante e coinvolge gli argomenti più diversi di storia della matematica in cui lo zero ha giocato un ruolo rilevante: dall'antica matematica dei Maya al calcolo degli abacisti medievali, dall'analisi infinitesimale di Leibniz e Newton alla teoria degli insiemi di Cantor. Una storia – quella dello zero – indissolubilmente legata a quella di un altro fondamentale concetto, l'infinito, su cui l'autore non manca di soffermarsi. ‘Zero e infinito sono le due facce della stessa medaglia’ osserva Seife. ‘Uguali e opposti, yin e yang, avversari con equivalenti poteri situati ai due estremi del dominio dei numeri.’ Ma anche nella fisica lo zero entra con 143 prepotenza, mostrandosi essenziale nella comprensione e nella formulazione delle leggi dell’universo. Così nell’ultima parte del libro si mettono in luce i profondi legami tra lo zero e alcune fondamentali teorie fisiche: la termodinamica (con lo zero assoluto), la teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica. Sotto Lo scrittore statunitense Charles Seife durante gli anni di college. GRAZIA NERI SEUIL / JERRY BAUER PLANCK RECENSIONI 145 Dal Saggiatore a Palomar, la scienza di Italo Calvino recensione di Claudia Di Giorgio Italo Calvino e la Scienza. Gli alfabeti del mondo di Massimo Bucciantini Donzelli, 2007, € 25.00 Considerava Galileo ‘il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo’. Basterebbe questa citazione da una lettera che Italo Calvino scrisse nel 1967 ad Anna Maria Ortese, per giustificare l'impegno di uno storico della scienza, e per di più di specializzazione galileiana, a mettere a tema il rapporto tra Calvino e la scienza. Tuttavia, l'alta considerazione di Galileo dimostrata dallo scrittore non è che uno dei possibili fili che si possono tirare nella molteplicità dell'idea di letteratura di Calvino. La sua attenzione per la scienza derivava anche dall'ambiente familiare: genitori e fratelli laureati in materie scientifiche, dunque impossibile ignorare quella parte di mondo. E la scienza era per Calvino la possibilità di esplorare nuovi mondi, al pari del fantastico utilizzato da Ariosto o delle grandi scoperte geografiche. Come saggista Calvino aveva già ragionato sulla scienza e sul suo impatto sulla cultura più in generale, come nel 1957 di fronte al lancio del primo satellite da parte dei sovietici. Mentre il gruppo di intellettuali vicini al Partito Comunista (cui Calvino faceva riferimento) si divise tra l'esaltazione del risultato e la denigrazione della tecnologia disumanizzante, Calvino sparigliò le carte con accenti ancora oggi attualissimi: ‘Il trasferire in cielo una parte di sé, umiliata sulla Terra, non è l'antico modo usato dalla religione per offrire conforto alle pene quotidiane? [...] La sua prima funzione (del satellite, ndr) è quella di dare all'uomo la dimensione dello spazio [...]. Voglio che faccia operare sulla Terra. E pensare all'universo. Voglio che dia più spazio ai pensieri umani’. Negli anni successivi, influenzato dal grande storico della scienza Giorgio De Santillana, trova una radice comune tra scienza e letteratura nelle narrazioni mitologiche degli antichi. ‘L'idea del mito come primo linguaggio scientifico è l'inaspettata scoperta’ che lo accompagna nel ripensare la propria produzione narrativa. Da qui prendono le mosse Le Cosmicomiche ed emerge la stretta connessione tra le ‘scelte formali della composizione letteraria e il bisogno di un modello cosmologico (ossia d'un quadro mitologico generale)’ che Calvino porrà alla base del suo nuovo canone letterario, e che prenderà forma narrativa soprattutto nelle Città Invisibili e in Palomar. Bucciantini mostra però il percorso compiuto da Calvino: con Santillana scopre che il mito produce scienza, con Le Cosmicomiche si fa narrazione a partire dai risultati scientifici. Nasce così la passione per Galileo: lo scienziato ha infatti ‘mutato la natura degli oggetti. [...] Ha assegnato loro un'altra forma fatta solo di numero, pondere et mensura‘. Tutto il resto dipende dall'uomo, dall'osservatore capace di vedere altre caratteristiche: in definitiva, scienza e narrazione sono complementari, utili entrambe alla costruzione del mondo. Per questo là dove Galileo si ferma entra in gioco il narratore, colui cioè che è capace di percepire la molteplicità. Come scrive nelle Lezioni Americane, il romanzo contemporaneo può essere considerato ‘come enciclope- dia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo’. Nel porsi questo compito la letteratura non può ignorare la scienza, e la contrapposizione tra le due culture non è più sostenibile. Il testo di Bucciantini mostra bene come in Calvino questa contrapposizione fosse inesistente: un romanziere che legge testi scientifici e spinge Einaudi alla pubblicazione dei testi epistemologici di Thomas Kuhn, mentre studia l'antropologia di Levi-Strauss e discute di filosofia della storia con Carlo Ginzburg. Per mezzo dei saggi, dei romanzi, nonché di molti documenti inediti, Bucciantini riesce a ricostruire la fitta tela di legami che Calvino aveva intessuto tra scienza e letteratura. Italo Calvino e la scienza è un saggio che solletica quindi sia gli amanti delle lettere sia gli appassionati di ricerca, ma che soprattutto consente di tornare a leggere Calvino da un punto di vista completamente diverso e fuori dagli schemi della sola critica letteraria, per raccontarci un personaggio assolutamente eccezionale nel panorama culturale italiano. Sinistra Italo Calvino nel 1976. 146 RECENSIONI PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 La fisica senza stringhe. Critica di una teoria un tempo fortunata Prepararsi alla fine di tutto recensione di Gianbruno Guerriero recensione di Marco Boscolo L'universo senza stringhe. Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza di Lee Smolin Einaudi, 2007, € 27.00 C'è dibattito sull'infinitamente piccolo e sull'infinitamente grande. Un dibattito, a volte anche molto acceso, su quale sia la teoria più adatta a descrivere le particelle elementari e le forze che governano il cosmo e a risolvere alcuni problemi della fisica attuale, per esempio conciliare in un quadro coerente le due grandi rivoluzioni del XX secolo: la relatività e la meccanica quantistica. Nell'ambito di questa discussione, da una ventina di anni ormai la teoria del modello standard è incalzata dalla teoria delle stringhe, secondo cui particelle e forze possono essere descritte come corde infinitesimali che vibrano nello spazio. Ma, con il crescere della popolarità, per le stringhe, e soprattutto per i sostenitori di questa teoria ricca di formalismi matematici estremamente complessi, sono arrivate le critiche. Anche da scienziati che nella teoria delle stringhe ci ha messo le mani in prima persona, come Lee Smolin, autore di L'universo senza stringhe. La critica del fisico teorico statunitense, uno dei fondatori del Perimeter Institute of Theoretical Physics di Waterloo, nell'Ontario, parte dai cinque grandi problemi della fisica teorica, che danno il titolo al primo capitolo. In ordine di apparizione: combinare la relatività e la teoria dei quanti in un'unica descrizione completa della natura; risolvere i problemi che riguardano i fondamenti della meccanica quantistica; determinare se forze e particelle possano essere unificate in una teoria che le spieghi tutte come manifestazioni di un'unica entità fondamentale; spiegare come sono scelti in natura i valori dei parametri liberi del modello standard della fisica delle particelle; e infine spiegare la materia oscura e l'energia oscura o, se non esistono, determinare come e perché la gravità si modifica a grandi scale. La lista permette a Smolin di produrre una critica puntuale e di raccontare oltre vent'anni di intenso ma improduttivo lavoro sperimentale dedicato alla teoria delle stringhe. Un arco di tempo durante il quale Smolin non ha certo sofferto di solitudine intellettuale, visto che la maggior parte dei fisici teorici è stata impegnata in un'elaborazione coerente della teoria, partendo dalle intuizioni iniziali. Non deve essere facile ammettere di avere sbagliato. Tuttavia Smolin dichiara il fallimento delle teoria delle stringhe, facendo però di questa fine un punto d'inizio del libro. Smolin racconta infatti le teorie alternative a quella a cui ha lavorato per lungo tempo. Descrive le idee più eretiche della fisica contemporanea: dalla teoria MOND, che vorrebbe modificare la legge di gravità per valori piccolissimi dell'accelerazione, alla relatività doppiamente speciale, un'idea del teorico italiano Giovanni AmelinoCamelia per cui la lunghezza di Planck sarebbe indipendente dal sistema di riferimento, né più né meno come la velocità della luce. Per arrivare alla gravità quantistica a loop, un'affascinante teoria quantistica dello spaziotempo elaborata proprio da Smolin insieme a Carlo Rovelli e pochi altri abbastanza coraggiosi da abbandonare la scuola dominante della teoria delle stringhe. L'onestà intellettuale porta Smolin non solo a riconoscere il fallimento delle stringhe, ma anche a osservare che le teorie alternative non hanno ancora raggiunto una completezza tale da poter essere ritenute soddisfacenti, sebbene facciano previsioni verificabili sul mondo reale. Queste previsioni possono essere messe alla prova con esperimenti. E per di più esperimenti che sono già in corso. Gli ultimi capitoli sono dedicati a un tema coraggioso: ‘Che cosa ha lasciato in eredità a questi giovani scienziati la mia generazione?’, si chiede Smolin. Per poi lanciarsi in un'appassionata invettiva contro i metodi conservativi del reclutamento in fisica teorica, altro argomento di feroce dibattito. Metodi che, secondo lo scienziato, in una materia sempre più arcana e intricata tendono a favorire chi ha buone doti tecniche ma segue strade già battute rispetto a chi ha inventiva e vorrebbe aprire nuove vie. È una vecchia storia. Che finirà, come sempre, con l'arrivo di qualcuno che avrà un'intuizione, un lampo: e tutti scopriranno di aver avuto la soluzione lì, a portata di mano. La fine del tutto. Dai singoli individui all'intero universo di Chris Impey LeScienze, 2010, € 15.00 Anche se cerchiamo di non pensarci, tutti noi abbiamo coscienza del nostro essere mortali. Pochi sanno ciò che la scienza, con il contributo delle più recenti ricerche, ha da dire a proposito della morte e del destino ultimo di tutte le cose, dalla scala microscopica a quella cosmica. È per questo che Chris Impey ha deciso di dedicare questo libro alla fine di tutta la baracca: i singoli individui, le specie, la biosfera, la Terra, il Sole, la Via Lattea, l'intero universo. Con una sana dose di umorismo, La fine di tutto fa luce su molte questioni, dall'ambiziosa idea umana di trascendere la vita biologica fino a sfidare la morte alla corsa agli armamenti evolutiva tra microrganismi e animali, fino all'inevitabile, lento spegnersi della luce del Sole e all'ultima increspatura dello spazio-tempo. In realtà, con il pretesto di parlare della fine Impey ci schiude una finestra sui misteri e le sorprese del mondo naturale, raccontando i progressi della conoscenza scientifica nei settori più disparati, che ci stanno rivelando quale potrebbe essere il destino della vita sulla Terra, delle galassie e dei milioni di miliardi di stelle che popolano il cosmo. E, strada facendo, ci offre una rara visione di come sarebbe l'universo senza di noi. Tra aneddoti, riflessioni filosofiche e intuizioni psicologiche, un libro che è al tempo stesso un thriller scientifico e una sfida intellettuale. PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 La musica del big bang recensione di Mauro Capocci La musica del big bang. Come la radiazione cosmica di fondo ci ha svelato i segreti dell'universo di AMEDEO BALBI Springer, 2007, € 20.95 Uno degli artifici letterari più usati, e abusati, della letteratura, come del cinema e delle fiction televisive, è quello di raccontare la storia di una famiglia e di rendere tutti i suoi componenti protagonisti, a vario titolo, di un'intera vicenda storica, molto più ampia e complessa. A leggere la storia della radiazione cosmica di fondo si ha la stessa sensazione: si toccano un po' tutte le vicende, gli uomini e le idee che hanno fatto la storia della fisica dell'ultimo secolo. C'è l'intuizione geniale – quella di Gamow – che previde, solo su base teorica, che se big bang vi fu, allora deve esserci anche una sorta di eco elettromagnetico dell'inaudito evento. C'è la rivelazione sperimentale in cui ha avuto una buona parte la causalità – o serendipity, come dicono gli anglosassoni – di Penzias e Wilson, due ricercatori dei Bell Laboratories che cercavano onde radio e che hanno rilevato, invece, un rumore di fondo che sembrava provenire allo stesso modo da tutte le direzioni dello spazio. E c'è tutta una stagione di misurazioni sempre più accurate, quelle dei satelliti COBE prima e WMAP più tardi. Per il futuro è atteso il contributo di Planck dell'ESA per rispondere a una questione cosmologica di enorme portata: è la radiazione cosmica di fondo effettivamente la stessa in ogni direzione dello spazio? O l'eco ha preso a un certo punto a raggrumarsi, così come ha fatto la materia, ordinaria od oscura, nel cosmo? Le ultime misurazioni di precisione fanno propendere per la seconda tesi e costituiscono ‘un primo inventario dei costituenti del nostro universo’, come spiega Balbi, con notevoli implicazioni soprattutto per la conferma dell'esistenza di un ‘lato oscuro del cosmo’. Oltre, la materia da trattare si fa più che mai ostica, soprattutto per un saggio divulgativo come questo, e ci si inoltra della topologia dello spazio-tempo e nella teoria delle stringhe. Ma volendo, alla fine del percorso si può tornare alla straordinaria intuizione di Gamow: ‘Arriveremo al punto di partenza e lo conosceremo per la prima volta’. I dubbi dei molti universi recensione di Folco Claudi Il paesaggio cosmico di Emil Ruder Adelphi, 2007, € 34.00 Certo, è difficile trovare una ragione sufficiente perché tutto sia andato così com'è andato. A partire dall'origine dell'universo, intendiamo. Qualunque fisico o persona di buon senso converrà con Italo Calvino che essendo presenti al big bang o solo al disaccoppiamento tra materia e radiazione sarebbe stato arduo prevedere ‘le pianure della Mesopotamia nereggianti di uomini e cavalli’ o altri momenti più o meno edificanti dell'avventura umana. Eppure, se lo stupore di guardarsi allo specchio appartiene inderogabilmente alla nostra specie, la faccenda considerata con lo sguardo del fisico teorico si fa più profonda, e densa di interrogativi. Un nutrito numero di costanti fisiche sembra avere proprio quel valore – unico o compreso in uno stretto intervallo – che permette l'esistenza della vita e in particolare della nostra. È la cifra di un disegno intelligente? O più semplicemente conviene abbandonarsi al principio antropico, per cui – banalmente – se le costanti fossero state diverse non saremmo qui a raccontarcela? Altro che la Mesopotamia, ci racconta Ruder in questo libro. Gli ultimi modelli della fisica teorica e in particolare della teoria delle stringhe ci parlano di infinite possibilità, di infiniti universi, brane, bolle e quant'altro si è reso necessario per delineare modelli delle nuove conoscenze. Siamo immersi in un paesaggio cosmico – ecco da dove proviene il titolo: è un'espressione coniata dall'autore – in cui noi, con il nostro universo antropizzato, occupiamo una sperduta valle dove la costante di struttura fine deve valere proprio 1/137 e così pure per tutte le altre. Insomma, di carne al fuoco ce n'è tanta, e a spiegarla Ruder si dedica con grande passione e competenza; soprattutto, ovviamente, sul versante più propriamente scientifico. Tutto è illustrato con dovizia di particolari, a partire dalla fisica classica per poi passare alla meccanica quantistica. E ancora relatività, elettrodinamica quantistica, modello standard della fisica delle particelle, cosmologia teorica e sperimentale. Insomma tutta, o quasi, la fisica dei giorni nostri. Ma dove prende una piega un po' più epistemologica la discussione si fa assai più sbrigativa, più di quanto conceda la partigianeria. Riguardo alle critiche alla teoria delle stringhe, Susskind ci informa del fatto che i fisici sperimentali delle alte energie ‘sono turbati perché non vedono alcuna possibilità di affrontare sperimentalmente gli interrogativi a cui cercano di rispondere i teorici delle stringhe’, i miopi. Non sanno che ‘i giovani teorici brillanti sono come esploratori irrequieti: vogliono andare dove li porta la curiosità; e se questa li porta nel gran mare dell'ignoto, pace’. Come dire, ognuno fa quello che vuole. ‘La teoria, in fondo, ha superato innumerevoli prove di coerenza matematica che avrebbero potuto decretarne la fine’. E anche questo si può accettare, ma forse se si abbandonano le fisime di trovare risultati teorici da verificare in seguito con un'indagine sperimentale e se tutto ciò che importa è la coerenza matematica dell'intera costruzione, RECENSIONI 147 il sospetto che si tratti solo di una magnifica tautologia alla fine è lecito. E, a voler essere puntigliosi, anche la scelta dello stile lascia più di una perplessità: non si riesce a capire che cosa dovrebbero aggiungere alla comprensione di una materia così ostica paragoni come: ‘L'universo primordiale non era né troppo grumoso né troppo liscio: proprio come la minestra dell'orsetto nella favola di Riccioli d'Oro’. O perché debba per forza esserci simpatico l'autore che racconta: ‘Era il 1965, l'epoca del movimento studentesco, della liberazione sessuale, dell'LSD e delle proteste pacifiste contro la guerra nel Vietnam. Provai tutte e quattro le esperienze più qualche altra. Portavo i capelli lunghi e di solito ero vestito con un paio di jeans e una maglietta nera attillata’. Insomma, tanto di cappello a Ruder e ai suoi risultati scientifici, ma sulle questioni dell'universo, della sua storia, delle sue dimensioni e delle sue possibilità di esistenza si sono lette pagine migliori. Recensioni PLA N CK O N LIN E Le recensioni sottoelencate e quelle pubblicate sono consultabili e commentabili sull'edizione online. Fisica vissuta Carlo Bernardini Sette volte la rivoluzione Daniel Kehlmann La natura delle cose Valia Allori L'impero delle stelle Arthur Miller La vita nel sistema solare Cesare Guaita www.planckonline.it M A N I F E S TA Z I O N I N.1 Anno I Aprile 2011 149 PLANCK Estremo Le macchine della conoscenza Palazzo D'Accursio, Bologna 3 aprile — 24 maggio 2011 Apre Estremo - Le macchine della conoscenza, la nuova mostra dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare allestita a Bologna nell’ambito della manifestazione Arte e scienza in Piazza e realizzata in collaborazione con la Fondazione Golinelli e con il contributo di ASG Superconductors. Estremo è dedicata alle grandi macchine e infrastrutture della fisica delle alte energie, giganti che uniscono tecnologie avanzatissime, precisione estrema, ricerca di frontiera. La mostra si apre con una grande installazione interattiva che, grazie a una tecnologia chroma key, invita il pubblico a entrare negli esperimenti per ritrovarsi bersagliati da velocissime particelle nel tunnel di LHC (il titanico acceleratore di particelle del Cern di Ginevra), oppure camminare sulla stazione spaziale internazionale o sorvolare la pampa argentina dove si trova l’osservatorio di raggi cosmici Auger. O, infine, immergersi nei fondali marini assieme all’esperimento cattura-neutrini Nemo. L’allestimento prosegue in un percorso di immagini, narrazioni e video installazioni interattive che raccontano quanto vi sia di estremo nella fisica delle particelle e delle alte energie: dagli esperimenti alle incredibili macchine frutto della creatività e immaginazione degli scienziati. Ecco allora i rivelatori costruiti sotto gli abissi marini o nel cuore della montagna per catturare particelle piccolissime e sfuggenti come i neutrini, i satelliti che orbitano oltre l’atmosfera terrestre a caccia di raggi gamma, i grandi osservatori planetari in ascolto dei segnali cosmici e gli acceleratori di al- tissima precisione costruiti per la cura del cancro e per indagare i segreti delle opere d’arte. L’allestimento è suddiviso in quattro aree tematiche: l’universo estremo e gli strumenti per esplorarlo, LHC la più grande macchina mai costruita per la ricerca scientifica, le reti planetarie per la condivisione e lo scambio della conoscenza, le tecnologie che nascono dalla ricerca di base e che sono usate per importanti applicazioni in medicina e nei beni culturali. ‘La sezione di Bologna dell’Infn partecipa a tutti i principali esperimenti in cui è coinvolto l’istituto, da LHC ai grandi esperimenti astro particellari. Inoltre, abbiamo il CNAF (Centro Nazionale per la Ricerca e Sviluppo nelle Tecnologie Informatiche e Telematiche) che ospita uno dei più grandi centri di calcolo al mondo, il Tier 1, realizzato per processare i dati provenienti da LHC.’ commenta Antonio Zoccoli, direttore della sezione INFN di Bologna. Alla mostra sono collegate due conferenze dedicate al grande pubblico: Aspettando AMS Palazzo d’Accursio 12 maggio / h 21.00 Con Roberto Battiston, vice responsabile Ams e INFN Perugia e Andrea Contini INFN Bologna. Modera la giornalista Claudia di Giorgio. Il Big Bang in laboratorio Palazzo Re Renzo 13 maggio / h 16.30 Con Antonio Zoccoli, direttore INFN Bologna e Silvia Arcelli, INFN Bologna. Modera la giornalista Fabiola Zanchi. CONTATTI www.bo.infn.it Search & Develop Palazzo D'Accursio, Bologna 9 aprile — 4 maggio 2011 Anche nel 2011 si rinnova l’appuntamento con Search & Develop, l’iniziativa di Innovhub, Azienda speciale per l’innovazione della Camera di Commercio di Milano, dedicata all’innovazione delle PMI milanesi. È ormai consuetudine di Innovhub aprire le porte, tramite un invito a presentare proposte di servizi nelle aree di seguito specificate, alle esperienze e competenze esterne per cercare soluzioni nuove e fornire servizi, prodotti e strumenti ad elevato valore aggiunto a favore delle PMI, destinatarie finali dell’intervento. La finalità è duplice: da un lato individuare le aree di intervento utili alle PMI, avvicinando le stesse a servizi ad alto valore aggiunto, dall’altro abbattere il costo del servizio sostenendone circa il 55% del totale. Grazie alle precedenti tre edizioni sono stati selezionati 30 servizi quali: valorizzazione della ricerca, innovazione dei settori tradizionali, promozione di attività di diffusione della cultura dell’innovazione, open innovation, nuove metodologie di trasferimento tecnologico, eco-innovation, venture contest e supporto alle start-up, supporto alla presentazione e gestione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, supporto alle PMI per la partecipazione a gare di appalto internazionali. Tali servizi sono stati forniti a circa 160 imprese con quasi 1,5 milioni di euro dedicati, per un costo medio del servizio di 9.200 €. Numeri destinati ad aumentare grazie alle terza edizione ancora in corso. Per la quarta sarà stanziato 1 milione di euro, attraverso cui si stima che verranno erogati servizi ad almeno 100 imprese. I riscontri da parte delle aziende beneficiarie del servizio nelle prime due edizioni (2008 e 2009) sono stati molto positivi. Nei dati raccolti tramite circa 90 questionari di valutazione è emerso che: più del 90% delle imprese ha valutato il servizio adatto/molto adatto alle esigenze dell’azienda; circa il 70% ha ritenuto che il servizio abbia contribuito molto a migliorare il posizionamento dell’azienda nel mercato di riferimento, in termini di competitività o di conoscenze acquisite; più dell’80% degli intervistati ritiene soddisfatte le aspettative suscitate inizialmente dal servizio. Rispetto alla valutazione dell’esperienza e dei risultati conseguiti dal servizio a cui si è preso parte il campione intervistato si è così distribuito: il 6% ha valutato il servizio buono, il 51% molto buono, mentre il 27% lo ha valutato ottimo. ‘L’innovazione – ha dichiarato Alessandro Spada, presidente di Innovhub – rappresenta oggi l’elemento centrale della sfida competitiva di grandi e piccole imprese. Innovhub attraverso Search & Develop lavora in qualità di broker di servizi per avvicinare le PMI all’innovazione, attraverso servizi ad elevato valore aggiunto, rispondendo così al suo obiettivo di supportare la diffusione dell’innovazione, abbattendo il costo d’accesso (per individuare l’offerta di servizi e identificare il fornitore più adeguato) e il costo diretto del servizio. Possono presentare le proposte persone giuridiche con sede in uno Stato membro dell’Unione europea. Le aree individuate per questa edizione vanno dalle più tradizionali alle più innovative e creative: dal supporto all’ideazione di nuovi prodotti o servizi alla progettazione per l’innovazione degli stessi, anche attraverso l’interazione con l’utente, fino ai servizi di sperimentazio- 150 manifestazioni ne (prove e test). Dai servizi di gestione della proprietà intellettuale al supporto per la partecipazione al 7° Programma Quadro per la Ricerca e Sviluppo dell’UE agli studi di business technology intelligence. Dai percorsi di eco-innovation e audit energetico degli edifici a servizi offerti dalle imprese creative. Dall’innovazione organizzativa al supporto alle nuove imprese innovatrici. Dai servizi di innovazione attraverso l’adeguamento legislativo fino ad un’area aperta, in cui verranno raccolte idee innovative di servizi, lasciando ampio spazio alla creatività dei proponenti. Saranno valutate tutte le proposte pervenute entro il 04 marzo 2011. CONTATTI www.innovhub-sd.com +39 02 8515 5244 Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica Padova 21 aprile — 5 maggio 2011 Giunge quest’anno alla 5a edizione il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica. Al suo primo lustro il premio ha insegnato a oltre 13 mila giovani delle quarte superiori di tutta Italia ad appassionarsi agli argomenti scientifici. Li ha incoraggiati ad avere un approccio razionale ai temi della medicina, della fisica, della matematica e delle altre discipline, provando passione per il rigore del metodo scientifico. Un premio fortemente voluto dal Sindaco di Padova Flavio Zanonato, convinto che l’interesse per le scienze e il pensiero razionale siano il presupposto per essere cittadini del mondo e che un modo di pensare rigoroso e fondato sui fatti aiuta l’esercizio della democrazia. Per questa nuova edizione il premio conferma l’originaria impostazione con una giuria scientifica che seleziona una cinquina di opere da sottoporre alla giuria popolare degli PLANCK studenti, ma presenta anche alcune importanti novità. La prima di queste ce la illustra Andrea Colasio, Assessore alla Cultura del Comune di Padova. ‘Quest’anno – afferma – il Premio Galileo entra a far parte di Universi Diversi il nuovo contenitore culturale della primavera 2011 che si affianca all’Estate Carrarese e al RAM completando la triade dei tre grandi format entro i quali si sviluppa la proposta culturale padovana. Di Universi Diversi il Premio Galileo è uno dei due capisaldi. L’altro evento centrale sarà la grande mostra sul Guariento. Si profila in questo modo una sorta di dialogo tra sacro e profano, appunto tra universi diversi . La seconda novità riguarda la giuria scientifica del premio. Dopo gli scienziati Umberto Veronesi, Carlo Rubbia, Margherita Hack e lo storico della scienza Paolo Rossi, la presidenza tocca quest’anno ad un grande divulgatore, oltre che primo ricercatore del CNR. Si tratta di Mario Tozzi, il popolare conduttore della fortunata trasmissione televisiva La Gaia Scienza. Drastica è la sua opinione sulla situazione della divulgazione scientifica in Italia. ‘È disastrosa – afferma – stavamo meglio qualche tempo fa. Oggi, se togliamo Quark, in tv non vedo altro. Le televisioni commerciali non fanno nulla, noi, su La7, con poche risorse, proviamo a fare qualcosa. Va un po’ meglio l’editoria, ma per quanto riguarda la comunicazione di massa il panorama è tragico. I giovani non leggono di scienza. Nel nostro Paese – continua Tozzi – se uno non conosce l’inizio dei Promessi Sposi si deve vergognare a morte, ma se gli dici Watson e Crick al massimo possono associare il primo all’assistente di Sherlock Holmes, non pensano certo agli scopritori della struttura della molecola del DNA.’ Un contributo importante per accrescere l’interesse per questo aspetto del sapere viene certamente dal Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica che sempre più si N.1 Anno I APRILE 2011 La Scienza in Piazza Bologna 11—21 maggio 2011 Si terrà a Bologna la 5a edizione de La Scienza in Piazza, manifestazione di diffusione della cultura scientifica, ideata dalla Fondazione Marino Golinelli con la collaborazione del Comune di Bologna. Si tratta di un vero e proprio science center nel cuore della città: mostre, incontri, spettacoli e laboratori che coinvolgono il pubblico di ogni età. Oltre un centinaio di eventi per esplorare i grandi temi della scienza e della cultura con importanti ospiti e prestigiose collaborazioni strette dalla Fondazione Marino Golinelli, tra cui: Accademia di Belle Arti di Bologna; ARIC Area della Ricerca dell’Università di Bologna; Collezione Peggy Guggenheim; Gruppo Hera; IDIS Città della Scienza di Napoli; INAF Osservatorio Astronomico di Bologna, MAMbo e Scuola di Robotica di Genova. CONTATTI www.lascienzainpiazza.it è radicato nel panorama culturale italiano, nell’interesse delle case editrici, nell’attenzione dei lettori, soprattutto giovani. Una pregevole iniziativa promossa dal Comune di Padova e che gode del sostegno della Regione del Veneto e della Provincia di Padova e della collaborazione dell’Università degli Studi di Padova, di ANCI, UPI e di Turismo Padova Terme Euganee e dei patrocini del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Fondazione Il Campiello e dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti di Padova. Il Premio Galileo per la divulgazione scientifica 2011 viene assegnato a un’opera di diffusione scientifica pubblicata in lingua italiana dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2010, secondo una formula che si ispira a quella già ampiamente sperimentata del Premio Campiello. Una Giuria Scientifica, quest’anno presieduta da Mario Tozzi e composta da scienziati, ricercatori e giornalisti, seleziona una cinquina di opere che saranno sottoposte al giudizio di una Giuria Popolare composta da una classe di studenti per ciascuna Provincia italiana, scelta fra le quarte classi delle scuole superiori. Sono due, quindi, i momenti principali previsti dal premio. La riunione della giuria scientifica, costituita N.1 Anno I APRILE 2011 da sedici componenti, che si terrà a Padova venerdì 21 aprile per la selezione della cinquina, scelta tra circa 70 opere, e la proclamazione del vincitore, risultante dalla votazione della giuria popolare degli studenti, che si terrà giovedì 5 maggio 2011 nel Salone del Palazzo della Regione alla presenza di delegazioni rappresentanti le 110 classi di tutte le province italiane che partecipano alle votazioni. Tra questi due momenti una serie di incontri degli autori della cinquina finalista con gli studenti e la cittadinanza. Definito il «Campiello delle Scienze», il Premio Galileo per la divulgazione scientifica è nato per stimolare nei ragazzi il desiderio di studiare e capire regole e contenuti del sapere scientifico – dalla fisica all’evoluzione, dalle teorie sulla meccanica celeste ai misteri dell’universo – per provare la forza e il fascino del sapere razionale ed ha visto una costante crescita della partecipazione da parte delle scuole italiane e analoga crescita nell’attenzione delle case editrici. I precedenti. Vincitore delle precedenti edizioni: 2007, Perché la Scienza? di Luigi Luca e Francesco Cavalli Sforza (Mondadori, 2007); 2008, Se l’uomo avesse le ali di Andrea Frova (BUR 2008); 2009, Energia per l'astronave Terra di Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani (Zanichelli, 2009); 2010, I vaccini dell’era globale di Rino Ruppoli e Lisa Vozza (Zanichelli, 2010). Il 21 aprile conosceremo la cinquina che si contenderà la vittoria della quinta edizione. L'equazione di Drake Biblioteca Regionale Aosta 25 aprile 2011 / h 21.00 La Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS, che gestisce l'Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d'Aosta e il Planetario di Lignan, è lieta di annunciare che venerdì 25 aprile alle ore 21.00 PLANCK presso la Biblioteca regionale di Aosta, si terrà la consueta conferenza di stagione. Relatore della conferenza, che tratterà delle possibilità di vita nel cosmo, sarà il dott. Andrea Bernagozzi, ricercatore all’Osservatorio per il Progetto Pianeti extrasolari, sviluppato dall’istituto valdostano e dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino per cercare pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle nane rosse nelle vicinanze del Sole. Il dott. Bernagozzi, laureato in fisica all’Università degli Studi di Milano, per poi conseguire il Master in comunicazione della scienza alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste, da quasi quindici anni è impegnato in iniziative di didattica e divulgazione, è autore di La fantascienza a test (Alpha Test, 2007) e con Davide Cenadelli di Seconda stella a destra. Guida turistica al Sistema Solare (Sironi, 2009). Lo spettacolo della notte stellata, che possiamo ammirare quando siamo lontani dall’inquinamento luminoso delle nostre città, è tanto affascinante da indurre una sorta di timore reverenziale. Forse per questa ragione gli antichi immaginarono che divinità e spiriti popolassero il cielo: fantasie in grado di renderlo meno misterioso e più amico. Quando le vecchie credenze furono abbandonate, molti si chiesero se le stelle non potessero essere invece lontani soli, che illuminavano mondi abitati da altri esseri viventi. Finché, nel corso del XX secolo, la possibile esistenza di altre forme di vita nel cosmo cominciò ad essere considerata non più un tema esclusivamente filosofico, religioso o letterario, ma un problema scientifico vero e proprio. Nel 1961 una dozzina di eminenti studiosi di varie discipline, dalla biologia all’astronomia, si riunirono nella cittadina statunitense di Green Bank, in West Virginia, per discutere una formula matematica che permettesse di rispondere alla domanda fondamentale: siamo soli? Affrontare questo interrogativo con gli strumenti manifestazioni 151 Settimana della Scienza Frascati, Roma 18—26 maggio 2011 I fili della ricerca scientifica europea d'eccellenza si annodano a Frascati. Durante la Notte Europea dei ricercatori del 24 aprile e in tutta la Settimana della Scienza, l'area a sud della capitale diventa il portale d'ingresso per accedere ai più importanti laboratori e centri di ricerca internazionali. È inevitabile che in primo piano sotto i riflettori finisca la fisica del mondo subatomico. Oltre ai laboratori aperti degli istituti di ricerca dell'area romana meridionale, ci saranno collegamenti diretti con la sede del maggiore progetto mondiale di ricerca sulla struttura della materia e dell'antimateria, il CERN di Ginevra. Dagli schermi in piazza e dalle web tv collegate all'evento, il pubblico europeo potrà penetrare nella sala di controllo dell'LHC, dove si volge il più importante e ambizioso progetto di fisica subnucleare che l'uomo abbia mai realizzato per indagare la materia e l’energia contenute nell’universo. Ad accompagnare la visita, rispondendo a domande e interagendo con i cittadini, saranno i massimi scienziati italiani ed europei di fisica della materia che anticiperanno le ultime ricerche e le possibili nuove scoperte sull'universo. La Notte Europea dei Ricercatori è la maggiore iniziativa voluta dalla Comunità Europea per far scoprire il valore della ricerca scientifica ai cittadini. Quest'anno si svolgerà in contemporanea in oltre ben 260 città di 31 paesi europei. CONTATTI www.frascatiscienza.it PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 MassaScienza Comune di Massa 11 aprile — 12 maggio 2011 L’astronomia tra ricerca scientifica, emozione e rispetto per l’ambiente. Sono i temi proposti da MassaScienza. L’evento si articola su 28 appuntamenti spalmati nell’arco di due mesi, con l’intento di mettere in grado i partecipanti di vivere in prima persona il metodo scientifico abituandosi al confronto e alla verifica di prove sperimentali: in programma dieci conferenze che porteranno a Massa Stefano Bagnasco, Vittorio De Marchis, Giulio Giorello, Stefano Moriggi, Pietro Redondi, Piergiorgio Odifreddi, Giulio Mola e molti altri. CONTATTI www.comune.massa.ms.it e il rigore propri della scienza è il compito dell’astrobiologia, disciplina nata dall’incontro tra le scienze della vita e quelle dell’universo. Cinquant’anni dopo la conferenza di Green Bank, grazie alle sonde spaziali sappiamo che l’unico pianeta del Sistema Solare dove attualmente è presente la vita è il nostro. Però sono stati scoperti centinaia di pianeti extrasolari nella Via lattea e gli esperti ritengono che sia vicino il momento in cui troveremo un mondo potenzialmente adatto allo sviluppo della vita. D'autres terres dans l'univers? Osservatorio di Brera Milano 16 aprile 2011 / h 21.30 Il prof. Michel Mayor dell'Università di Ginevra, scienziato di fama mondiale e pioniere nel campo della ricerca di pianeti extrasolari, a tenere una conferenza sul tema D'autres terres dans l'univers? presso l'Osservatorio Astronomico di Brera. Il 23 novembre 1995, esattamente quindici anni fa, due astrofisici svizzeri, Michel Mayor e Didier Queloz (allora studente di dottorato) pubblicavano su Nature, la più importante rivista scientifica internazionale, la scoperta di un pianeta in orbita attorno a una stella simile al Sole, la stella 51 della costellazione di Pegaso. Proprio 51 Pegasi fu il nome con cui venne battezzato quel mondo alieno, individuato con il metodo indiretto delle velocità radiali. Con questo annuncio l'antico quesito dell'umanità sulla possibile esistenza di altri mondi nell'universo diventava argomento di studio della moderna ricerca astronomica. Nel giro di una quindicina d'anni sono stati individuati circa 500 pianeti extrasolari, così chiamati perché non orbitano attorno al Sole, come la Terra, ma attorno ad altre stelle. È stata scoperta una sorprendente diversità tra questi sistemi planetari, cosa che ci manifestazioni 153 permette di capire meglio la otto anni in su. Un’occasione loro formazione e in particoimperdibile per affrontare in lare la formazione del Sistema modo giocoso e spensierato arSolare. La ricerca di pianeti gomenti scientifici importanti simili alla nostra Terra fa parte che hanno contribuito allo delle sfide attuali di questo sviluppo della nostra civiltà. nuovo capitolo dell'astronomia. CONTATTI La scoperta di un mondo con www.technotown.it caratteristiche analoghe al [email protected] nostro non rappresenterebbe +39 060608 però che un primo passo per rispondere alla domanda ancora più cruciale: ‘esiste la vita altrove nell'universo?’ Seconda stella a destra CONTATTI Libreria Melbookstore www.mi.astro.it Roma 20 aprile 2011 / h 18.00 Minuetto astronomico Villa Torlonia Roma 13 — 14 maggio 2011 / h 16.30 Un viaggio fantastico tra esperimenti e teorie del passato, questo è lo spettacolo Minuetto astronomico che sabato 13 e domenica 14 maggio alle ore 16.30, verrà presentato a Technotown, spazio a cura dell’Assessorato alle Politiche Educative Scolastiche, della Famiglia e della Gioventù di Roma Capitale, realizzato nel cuore di Villa Torlonia da Zètema Progetto Cultura con l’ideazione e la supervisione di Paco Lanciano. A metà tra una favola musicale e una lezione di astronomia, Minuetto astronomico è un vero e proprio esperimento di comunicazione della scienza curato da Cinzia Belmonte e Tommaso Castellani in cui verrà ripercorsa la storia delle teorie del cosmo. Due scienziati-attori-musicisti coinvolgeranno la platea attraverso il racconto delle teorie e degli esperimenti che hanno cambiato la nostra storia: da Tolomeo a Copernico, da Galileo ad Hubble, dalla sfera alle spirali, dalla terra centro dell'universo agli infiniti mondi. Minuetto astronomico è un progetto di formaScienza in collaborazione con il Gruppo Sperimentale Villanuccia e con the Pool Factory. L’ingresso allo spettacolo è libero ed è offerto dall’Agenzia Spaziale Italiana, l’età consigliata è dagli Presentazione del libro Seconda stella a destra. Vite semiserie di astronomi illustri, recentemente pubblicato da DeAgostini. All'incontro interverrà l'autore, Amedeo Balbi, e Luca Sofri, giornalista, direttore de Il Post. Quante volte a ognuno di noi è capitato di scrutare il cielo cercando di guardare oltre il punto dove l’umana vista può arrivare, cercando di avere le risposte ai nostri più strani desideri o curiosità? Questo è ciò che hanno sempre fatto anche gli astronomi nel loro intimo. Tutto ciò che hanno sempre voluto erano le risposte che ognuno di noi cerca, in fondo. E guardavano lontano nello spazio per guardare indietro nel tempo, per guardare dentro di noi, dentro quel buco nero d’incertezze e interrogativi che é l’essere umano. E se nell’antichità gli astronomi erano considerati tipi in gamba, ma assai poco prevedibili e spesso stralunati, andando avanti col tempo le cose sono cambiate, soprattutto con Copernico. E si sono susseguiti poi colpi di scena con Keplero, Galileo, Newton, e tutti gli altri fino ad arrivare a noi, a Einstein, a Hubble, alle teorie del big bang e degli universi paralleli. Dagli uliveti della Grecia, alle colline di Firenze e poi a quelle della California, il paesaggio non è così diverso, a ben vedere, e i secoli passati non sono poi molti. Ma è l’universo che è cambiato nel frattempo, un universo oggi smisurato e in 154 PLANCK manifestazioni continua espansione. In Seconda stella a destra l’autore, astrofisico di professione, ci aiuta a comprendere in modo semplice e divertente alcuni passaggi fondamentali per lo studio e la conoscenza dell’universo e i più importanti segreti di questa complessa scienza. Lo fa, in una prima parte, attraverso il racconto delle storie personali dei grandi protagonisti dell’astronomia, una sparuta serie di irriducibili bastian contrari, di stralunati pionieri che sono partiti alla conquista del mistero tracciando nello spazio smisurato del cosmo un sentiero per noi; in una seconda parte, invece, racconta le scoperte e i progressi fatti dagli astronomi, dal sistema tolemaico, a quello copernicano, a quello misto di Tycho Brache, alle leggi empiriche di Keplero, alla legge gravitazionale universale newtoniana, passando attraverso la scoperta dei pianeti, della natura della luce, della vita delle stelle, e arrivando al complesso problema della misura delle distanze, alle galassie, alla relatività e alla cosmologia. ‘Di solito – come dice Margherita Hack nella prefazione – ci si limita ai morti’. Qui invece Balbi ha voluto arrivare a raccontare progressi della scienza fino ai nostri giorni, parlando degli scienziati che negli ultimi cinquant’anni hanno trasformato ancora una volta radicalmente le conoscenze dell’universo. E se c’è un finale da scrivere per il momento non ci va nemmeno di sapere quale sia perché la storia è troppo avvincente e non vorremmo mai arrivare alla parola fine. Amedeo Balbi è un ricercatore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tor Vergata. Ha lavorato all’Università di Berkeley, in California, con George Smoot (premio Nobel per la fisica 2006). Si occupa di cosmologia e di astrobiologia. Gestisce un blog, molto approfondito e seguito, di divulgazione scientifica, con un occhio alla cultura pop e sporadiche divagazioni personali. ICARA 2011 Osservatorio FOAM13 Tradate (VA) 29 — 31 aprile 2011 / h 16.30 IARA, Italian Amateur Radio Astronomy e Sezione di Ricerca Radioastronomia UAI, in collaborazione con Osservatorio FOAM13 sono lieti di annunciare ICARA 2011, l'Italian Congress of Amateur Radio Astronomy (7o Congresso Nazionale di Radioastronomia Amatoriale) che si terrà a Tradate (provincia di Varese) dal 29 al 31 aprile 2011. I lavori di ICARA 2011 si svilupperanno in più sessioni. Il programma dell’evento è tuttora in via di definizione pertanto i responsabili chiedono, qualora foste interessati a partecipare con una relazione orale, di inviare entro e il 20 aprile il titolo e l’abstract dell’intervento. CONTATTI www.iaragroup.org/icara Hubble alle frontiere dell’universo Palazzo Loredan, Venezia 16 Aprile — 15 Maggio 2011 Apre a Venezia la mostra Il telescopio spaziale Hubble alle frontiere dell’universo, dedicata a uno dei progetti scientifici più ambiziosi mai realizzati, frutto di una stretta collaborazione internazionale tra NASA e ESA. La mostra, che si terrà dal 16 aprile al 15 maggio 2011 presso l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, celebra il ventennale del lancio del telescopio spaziale, la costruttiva collaborazione tra la NASA e l’ESA a questo storico progetto e i risultati ottenuti, che sono stati di enorme impatto sullo sviluppo della conoscenza astronomica e più in generale sulla società. Hubble, infatti, non ha solamente cambiato la nostra conoscenza dell’universo, ha cambiato il modo di fare scienza. Ha portato l’universo nelle nostre case, ha ispirato e continua a ispirare molti di noi, fino a poterlo definire «il tele- scopio della gente», facendo dell’astronomia, una scienza prima riservata a pochi, una risorsa disponibile a tutti. La mostra presenta una selezione di immagini astronomiche di grande formato e di straordinaria nitidezza scattate da Hubble dalla sua orbita al di sopra dell’atmosfera e descrive il lavoro degli astronauti durante le missioni di manutenzione, con foto e campioni della strumentazione usata durante l’ultima missione dello Shuttle, nel maggio del 2009. Dal tramonto, per un paio d’ore, verranno proiettati sulla facciata gli spettri – i segnali luminosi scomposti nelle varie lunghezze d’onda – di galassie lontane, raccolte da uno degli strumenti installati su Hubble, la Advanced Camera for Surveys. In parallelo, immagini stilizzate delle galassie più lontane verranno proiettate sul prato. Questi dati, mostrati a Venezia in anteprima assoluta, rappresentano i confini estremi della nostra conoscenza dell’universo lontano. Direttore Artistico: Mario Livio, STScI. Curatori: Antonella Nota, ESA/STScI; Bob Fosbury, ESA/ ST-ECF; Thomas Griffin, NASA; Responsabile NASA Équipe: Bonnie Eisenhaimer, STScI. Consulenti: Tom Griffin, NASA/ GSFC; Salim Ansari, ESA; Lars Christensen, ESO; Elena Dalla Bontà, Università di Padova; Zolt Levay, STScI; Mark MacCaughrean, ESA. CONTATTI www.palazzoloredanvenezia.it [email protected] +30 049 8278246 L’universo in mostra Grignano (TS) 26 aprile — 28 maggio Buchi neri, galassie, supernovæ. Fenomeni che fanno parte del nostro immaginario quando parliamo di spazio. Ma come li vedono gli scienziati? Una risposta la suggerisce la mostra Space Art, realizzata N.1 Anno I APRILE 2011 dalla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa), dal dipartimento di Astrofisica dell’Università di Trieste, dall’Istituto nazionale di astrofisica e dall’Università di Durham (Regno Unito), presso l’Immaginario Scientifico, museo interattivo della scienza a Grignano (Trieste). La mostra, visitabile gratuitamente ogni domenica dal 26 aprile al 28 maggio, è abbinata al workshop Novicosmo 2011: the impact of simulations in cosmology and galaxy formation. I misteri della natura sono visti sotto una nuova luce, grazie allo sguardo di ricercatori italiani e stranieri, che vestono i panni degli artisti. Fotografie scattate da sonde lontane o da telescopi terrestri vengono modificate dagli scienziati in chiave artistica, cercando di suscitare emozioni negli spettatori. Anche la simulazione trova posto tra le opere. Diverse forme di cosmologie virtuali, usate per studiare come sia nato il nostro universo, sono reinterpretate da giovani registi e scorrono di fronte ai nostri occhi. Bambini e adulti potranno osservare il cosmo con occhi diversi e divertirsi in maniera intelligente. CONTATTI www.immaginarioscientifico.it +39 040 224424 Manifestazioni PLA N CK O N LIN E A causa del volume delle segnalazioni pervenute ogni mese non è possibile pubblicare tutti gli appuntamenti. Sull'edizione online è possibile visionare la totalità degli eventi in programma nel bimestre corrente. www.planckonline.it Abbonarsi conviene 1 anno / 12 numeri / €47,00 (−20%) La rivista che riunisce ogni mese i contributi dei più celebri astrofisici e dei maggiori centri di ricerca: lo strumento indispensabile per chi vuole comprendere come sta cambiando il nostro universo. tramite posta Compilando e spedendo il coupon inserito nella rivista. per telefono 02 48000922 NASA / VOYAGER 1 / LA PRIMA IMMAGINE DELLA TERRA E DELLA LUNA INSIEME IN UN SINGOLO FOTOGRAMMA, 1977. dal sito www.planckonline.it Vedere l’universo piegarsi aLla lettera 156 LETTERE PLANCK N.1 Anno I APRILE 2011 N.1 Anno I Aprile 2011 LETTERE 157 PLANCK Controversia sul Global Global Warming Warming Spett. Redazione, ho letto con piacere l'articolo di Fabio Nervegna sull'attuale minimo solare (Planck 131, ndr). Quel mi ha lasciato perplesso è la sitografia fornita, in cui sono presenti siti (climatemonitor. com, daltonsminima.com e whattsupwiththat. com) che sono schieratamente rivolti a negare il contributo antropico dell'effetto serra, mentre l'aspetto di fisica solare è magari trattato bene, ma solo in funzione di dimostrare che il riscaldamento globale è interamente dovuto al Sole. Con tutto il rispetto per la formazione professionale dei curatori, mi sembra che tali siti tendono a selezionate acriticamente le teorie a loro favore e ad ignorare i dai contrastanti. È nel loro diritto, ma il rischio è quello di prendere per buone quelle che sono ipotesi molto discusse (vedi le due teorie di Svenskmark e Archibald citate nel vostro articolo). Nervegna tratta con criterio questi argomenti, e sa distinguere, ma per un lettore meno preparato temo sia difficile fare altrettanto. Credo che esistano molti altri siti in cui le tematiche legate al Sole e alla meteorologia sono trattate in modo meno ideologico. —prof. Gianni Comoretto Astronomo Associato inaf, Osservatorio Astrofisico di Arcetri NASA: il déjà vu della Discovery A tre giorni dalla (speriamo) partenza della STS-133 per la stazione spaziale, mi viene il dubbio di aver già scritto quattro mesi fa tutto quello che c’era da scrivere di saliente su questa missione: il modulo logistico Leonardo che diventa permanente, e tutta la storia che c’è dietro, lo strabiliante mezzo robot Robonaut 2 e naturalmente il fatto che questo sarà l’ultimo volo del Discovery, la più anziana delle tre navicelle superstiti, nonché quella che ha volato di più – questa sarà la sua 39a missione – volando nello spazio quasi un anno intero in totale. Anche l’agenda degli undici giorni della missione è la stessa, centrata su due EVA e l’aggancio di Leonardo al nodo 1-Unity, benché in fatto di cambiamenti la STS-133 ne abbia registrato uno rilevante e senz’altro inconsueto: la sostituzione di un membro dell’equipaggio, Tim Kopra, per colpa di un incidente di bicicletta. Della serie, anche gli astronauti cadono. Tutta la faccenda, insomma, potrebbe avere il sapore del déjà vu se non fosse che ogni lancio shuttle è una storia a parte. —prof.ssa Roberta Loy uniud, Università degli Studi di Udine Dipartimento di Fisica Mix spaziale a basso costo L’americana ATK (quella che fai i booster dello shuttle) collaborerà con l’industria europea EADS/Astrium (che fa Ariane 5) alla produzione di un lanciatore che un giorno potrebbe portare in orbita astronauti e carico al moderatissimo costo di 180 milioni di dollari, vale a dire il 40% in meno dei costi medi attuali (shuttle escluso). Il razzo low cost, battezzato Liberty, sarebbe un robone di una novantina di metri in grado di portare in orbita bassa oltre 22 tonnellate di carico, ed è una sorta di mix tra un primo stadio à la shuttle, derivato dai booster dello shuttle (e sviluppato in effetti dalla ATK per Ares-1), e un secondo stadio basato, se capisco bene, su quello criogenico dell’Ariane 5 con il motore Vulcain 2. Il tutto, poiché si tratta di un composé di oggetti che hanno già abbondantemente volato (da qui il basso costo), sarebbe pronto per il primo test nel 2013 e operativo nel 2015. La notizia, tuttavia, per essere capita fino in fondo va inquadrata nel contesto del secondo turno del CCDev, il programma della NASA per lo sviluppo di velivoli spaziali commerciali con equipaggio, a cui appunto è stata presentata la proposta. La lista dei concorrenti conta – per adesso – ben 42 industrie, senza parlare di quelle europee che non possono partecipare direttamente perché il programma è indirizzato solo a US commercial providers as defined by the Commercial Space Act of 1998. La torta da dividere al momento non è immensa, 200 milioni di dollari, ma le prospettive sono ben più ampie. Certo che come piano per stimolare l’iniziativa privata, non c’è dubbio che il CCDev stia stimolando assai. Io però una domanda ce l’ho: se è così semplice fare buone astronavi spendendo poco, com’è che nessuno l’ha ancora fatto? —dott. Pietro Pericoti Project Manager Settore Pianificazione asi, Agenzia Spaziale Italiana Fuoco amico Certo che di cose strane ne capitano. Che un atto del governo si trovi attaccato, e pesantemente, da un membro della maggioranza di governo, e addirittura da un ex sottosegretario, è difatti perlomeno inatteso. Ancor più se si pensa che l’atto è il decreto di riordino degli enti di ricerca, l’esponente del PdL è l’ex sottosegretario alla ricerca Guido Possa, e la sede la Commissione cultura del Senato riunita il mese scorso per dare il suo parere sul suddetto decreto. Vi invito a leggere per intero il resoconto dell’intervento di Possa (che avendo antichi trascorsi con il presidente del Consiglio dovrebbe essere persona ascoltata a palazzo Chigi). Io ho trovato particolarmente carina, per esempio, la frase ‘suscita pertanto perplessità la volontà dell’attuale Governo di operare a così breve distanza un ulteriore importante riordino degli enti di ricerca’ (e ci credo: tanto lavoro per nulla? uno si aspettava di vederselo minacciato da Mussi – mica da una compagna di partito), ma le argomentazioni di Possa sono molte, e molto articolate, e riguardano in primo luogo, e non stupisce, l’eccesso di autonomia che verrebbe concesso agli enti. Ci sono poi una serie di altre osservazioni, che vi rinnovo l’invito a leggere, che entrano molto in dettaglio e rivelano, che le si condivida o meno, l’esperienza di Possa in materia. Ma la botta vera, se capisco bene, è proprio all’inizio, quando si fa notare con estrema vivacità che la delega che consentiva al ministro di presentare il decreto era scaduta da mesi. E che – dice testualmente Possa, che è Presidente relatore del decreto in commissione – è stata però «resuscitata» con modalità che il Presidente relatore non esita a censurare vivacemente in quanto hanno impedito il prescritto esame da parte della Commissione competente. Ora, non saprei assolutamente se tutto questo porta all’arresto del processo di approvazione del decreto, di cui proprio ieri ha iniziato l’esame 158 lettere PLANCK più probabile che c sia la velocità istantanea la commissione cultura della Camera. (attuale) di tale espansione. Concludendo: Le osservazioni del sen Possa, a prescindere forse c’è una relazione tra la velocità con cui se sia fuoco amico o meno, sono molto serie e condivisibili. Il reale problema infatti è che si espande l’universo e c, il cui valore non il decreto di riordino approvato dal Goveno sarebbe quindi costante ma si sarebbe è un gran pasticcio che mette insieme Enti modificato nel tempo. Pura congettura, lo so, di natura e ruoli diversi. Per di più non ma ho letto da qualche parte che, alla luce di rappresenta alcuna innovazione ed alcune osservazioni, ci sono dei fisici che introduce elementi di grande contraddizione stanno mettendo in discussione l’idea dell’isotropia dell’universo. Chissà cosa ci come ad esempio che gli statuti siano diranno, a questo proposito, le future formalati dagli attuali consigli di osservazioni. Salute a tutti. amministrazione ormai delegittimati. —prof. Roberto Bedogni —prof. Luca Dello Iacovo —prof.ssa Margherita Talia Dipartimento Interateneo di Fisica inaf, Istituto Nazionale di Astrofisica uniba, Università degli Studi di Bari Gentili professori vi ringraziamo per il vostro intervento che spinge alla riflessione e al dialogo su un tema così dibattuto dalla comunità scientifica in questo ultimo periodo. Cercherò in queste poche righe di rispondere alla vostra puntuale Non siamo d’accordo con le motivazioni osservazione. Le spiegazioni da voi fornite sulla progressiva diminuzione della riguardo le fasi evolutive più avanzati luminosità delle galassie che avete dato delle galassie sono essenzialmente corrette nell'articolo del numero di febbraio (Planck e coerenti con i gli ultimi dati diramati 14, ndr). La velocità di espansione, a mio da Nasa e Esa; difatti erano citati anche avviso, c’entra eccome. Un oggetto si vede nell'articolo stesso. Il punto, credo, non come era nel passato sulla base della sua risiede nei dati in sé quanto piuttosto distanza da noi e probabilmente gli abitanti nell'interpretazione. La nostra rivista, di quella galassia ci vedono uguali a come da sempre, non offre punti di vista, bensì noi vediamo loro. Se la luce della galassia spaccati sulla ricerca. È un discorso azzurra ha impiegato tutto questo tempo per di responsabilità e etica. arrivare da noi vuol dire veramente che Le vostre obiezioni valgono infatti tanto l’universo si è espanso a velocità relativistica; quanto le teorie espresse dai vostri colleghi se così non fosse non potremmo vedere autori dell'articolo, i quali si prendono oggetti tanto antichi perché la loro luce ci in prima persona oneri ed onori delle avrebbe già superato. Se per esempio loro affermazioni. Non è nostro compito l’universo avesse un diametro di 2 mld di premurarci di generare consenso, il nostro anni luce e un’età di 13,7 mld di anni noi non compito è quello di dare ai ricercatori, potremmo vedere nulla più vecchio di 2 mld e al loro lavoro, la possibilità di apparire. di anni perché le immagini più vecchie Naturalmente tutto al vaglio di un'attenta sarebbero già oltre noi e non potremmo più valutazione scientifica. Ma, e lo sapete riacchiapparle. Inoltre succederebbe una meglio di me, la scienza non progredisce cosa strana: vedendo oltre il punto del big per certezze. E niente è «verità assoluta». bang le galassie più lontane ci apparirebbero —Roberta Zabotti in fasi evolutive più avanzate rispetto ad altre Coordinamento editoriale più vicine al punto del big bang e quindi a noi, e ciò non concorda con le osservazioni, che confermano che più guardiamo lontano e più si vedono oggetti arcaici. Le spiegazioni in linea con le osservazioni possono essere a mio avviso tre: o la distanza di questi oggetti è inferiore a quanto si crede, Che si preannuncia un anno un po’ strano, o l’universo è molto più vecchio e grande, in cui, almeno da un certo punto di vista, oppure (e io propendo per questa terza a causa di una serie di ritardi parecchie cose ipotesi) la velocità di espansione è sono le stesse del 2010. A cominciare dagli relativistica. A 13,7 mld di anni luce di ultimi due voli shuttle, o forse tre: persino distanza da noi potrebbe esserci proprio il l’incertezza sulla STS-135 è ancora in gran punto da cui è nato tutto, in questo caso c (la parte la stessa di dodici mesi fa, ora si velocità della luce) sarebbe la velocità di aspettano i primi di marzo, la scadenza espansione media dell’universo. Tuttavia è La luminosità delle galassie Quel che (forse) ci aspetta N.1 Anno I APRILE 2011 dell’attuale Continuing Resolution e le scelte del nuovo Congresso. Le date NET per la STS133, e quindi la STS-134, dovrebbero comunque arrivare il prossimo giovedì, dopo l’ennesima riunione tecnica per valutare lo stato delle riparazioni al serbatoio esterno del Discovery. Restando nell’ambito delle navette verso la ISS, il 20 gennaio dovrebbe partire il secondo HTV giapponese; tuttavia, se non ricordo male, sulla STS-133 c’è un payload legato a un altro bordo dell’HTV-2, per cui non sono sicura che la data rimanga valida. Nessuna conseguenza, invece, sull’ATV-2 Keplero dell’ESA, che parte da Kourou il 15 febbraio. Sempre da Kourou, in aprile (ma ancora non c’è la data esatta) dovrebbe fare il suo viaggio inaugurale il Soyuz-Fregat, mettendo in orbita il primo dei Pleiades, due satelliti ottici di osservazione della Terra che fanno parte dell’accordo italofrancese sul duale: in pratica, la parte ottica del progetto di cui COSMO-SkyMed è la componente radar. La seconda missione Soyuz da Kourou, in data da destinarsi ma auspicabilmente entro la fine del 2011, porterà invece due satelliti di validazione per il sistema di navigazione europeo Galileo. E Vega? A settembre, si dice e si spera, mentre dall’ASI fanno sapere che il piccolo satellite scientifico LARES, con cui Vega farà il primo volo dalla Guyana Francese, è pronto a partire. Dal punto di vista scientifico, tuttavia, il 2011 sarà senz’altro l’anno di AMS-02, che va sulla ISS con l’Endeavour e la STS-134 in aprile (sempre che…), aprendo la stagione della fisica delle particelle sulla stazione spaziale. —dott.ssa Simonetta Di Pippo Direttrice del Volo Umano ESA, Agenzia Spaziale Europea Lettere Le lettere devono essere inviate con il nome dell'autore, indirizzo e numero di telefono via e-mail a [email protected]. Ai fini della pubblicazione, le lettere possono essere modificate in lunghezza e chiarezza. Tutte le lettere diventano proprietà de Planck e non saranno restituite. A causa del volume della corrispondenza non è possibile pubblicare ogni lettera. www.planckonline.it Nel prossimo numero Anno 1 Numero 2 Maggio 2011 LE RAGIONI DEL VIAGGIO SPAZIALE NASA / GRIN Peter Balazi e ZoÉ Baraton · ESO Johanna FÖrstetter · DLR Fiona Harry e Charles Hailey · uksa Edoardo Bonicelli · ASI Lawrence Clousing · nasa Vedere l’universo piegarsi aLla lettera ANNO 1 NUMERO 1 APRILE 2011 Redazione Comitato scientifico Giuseppe Piazzi Direttore responsabile Renato Falomo Direttore scientifico Gianluca Masi Vicedirettore Roberta Zabotti Supervisione editoriale Mauro Pelella Segreteria Roberto Battiston Docente di fisica sperimentale Università degli Studi di Perugia LEGGERE L’UNIVERSO Claudia Di Giorgio Caporedattore Matteo Gualandris Caposervizio grafico Alessio Sordi, Cinzia Amato Grafica Gianbruno Guerriero Photo editor Piero Benvenuti Università degli Studi di Padova Recensioni Folco Claudi, SYLVIE COYAUD, Giacomo Gambineri, Daniela Bigatti, Piero Bianucci, Pietro Fabbri, Marco Boscolo, Paolo Pagliario, ROSSANA TAZZIOLI, Claudia Di Giorgio Giovanni Fabrizio Bignami Committee on Space Research Bruna Bertucci Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Paolo De Bernardis Istituto Nazionale di Astrofisica Progetto Grafico Matteo Gualandris Pubblicità A. Manzoni & C. S.p.A. via Nervesa 21, 20139, Milano telefono: 02 574941 Abbonamenti e arretrati: 02 87082433 Per chi chiama da telefoni pubblici o cellulari, il costo massimo della telefonata da rete fissa è di 14,26 cent di Euro alla risposta (iva inclusa). Registrazione del Tribunale di Milano n. 48/70 del 5 febbraio 1970. Rivista mensile pubblicata da MG Editore. Printed in Italy – marzo 2011 Copyright © 2011 by MG Editore ISSN 0036–8083 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere rielaborata o diffusa senza autorizzazione scritta dell'editore. Si collabora alla rivista solo su invito e non si accettano articoli non richiesti. Distribuzione per l'Italia Gruppo editoriale L'Espresso Divisione La Repubblica via C. Colombo 19, 00147, Roma Enrico Bellone Docente di astronomia Università degli Studi di Milano Elena Castellani Professore di filosofia Università di Firenze Davide Grosso Docente di fisica quantistica University of California Santa Barbara Roberto Langé Docente di fisica teorica Massachusetts Institute of Technology Piergiorgio Odifreddi Professore ordinario di logica e matematica Università di Torino Stefano Oliverio Docente di astrofisica Università degli Studi di Roma Tor Vergata TELMO PIEVANI Docente di filosofia della scienza Università degli Studi di Milano Bicocca Stampa Optima Grafiche: loc. Miole MIlano; Legatoria Europea (Milano) Copertina: Grafiche Mainardi (Milano) Carolyn Porco Team leader Cassini Imaging Science Space Science Institute Responsabile del trattamento dati (D. lgs. 30 giugno 2010 n. 196) Giuseppe Piazzi Annalisa Randall Docente di astronomia Harvard University Sede legale via Vincenzo Monti 24, 20123, Milano tel. 02 48000922 www.planckonline.it Martino Ressa Docente di cosmologia e astrofisica Cambridge University Lene Vestergaard Hau Docente di fisica applicata Harvard University Matteo Gualandris Vedere l’universo piegarsi alla lettera Progetto editoriale per una rivista di astronomia e astrofisica Copertine future Politecnico di Milano Facoltà del Design Laurea Specialistica in Design della Comunicazione A.A. 2009/2010 Matteo Gualandris matricola 734835 Relatore Prof. Mauro Panzeri Correlatore Dott. Marco Cattaneo Direttore responsabile di Le Scienze e National Geographic Italia ANNO 1 Vedere l’universo piegarsi alla lettera NUMERO 2 ASTRONOMIA E ASTROFISICA ANNO 1 NUMERO 2 MAGGIO 2011 MAGGIO 2011 LE RAGIONI DEL VIAGGIO SPAZIALE LE RAGIONI DEL VIAGGIO SPAZIALE La chiusura del progetto Shuttle coincide con la cancellazione del programma Constellation, i velivoli spaziali destinati a raggiungere la Luna e poi Marte. Simboli della lenta agonia di un certo modo di intendere l’impresa spaziale ARTICOLI La Luna di carta Peter Balazi e ZoÉ Baraton · ESO Missioni in affitto Johanna FÖrstetter · DLR Competitività nella monarchia stellare Edoardo Bonicelli · ASI Il programma astropolitico di Obama Lawrence Clousing · nasa POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA La galassia privata Fiona Harry e Charles Hailey · uksa € 4,90 · www.planckonline.it ANNO 1 Vedere l’universo piegarsi alla lettera NUMERO 3 ASTRONOMIA E ASTROFISICA ANNO 1 NUMERO 3 GIUGNO 2011 GIUGNO 2011 L’ACQUA DI MARTE L’ACQUA DI MARTE Generalmente si ritiene che acqua sia sinonimo di vita perciò attualmente l’esplorazione di Marte con la missione Mars Exploration Rover non è stata finalizzata direttamente per la ricerca di forme vitali ma per la scoperta del prezioso liquido. E questo è stato trovato, perlomeno sono state trovate prove della sua esistenza ARTICOLI Il grande oceano prosciugato Enrico Bellone · unimi L’importanza della ricerca geologica Elena Castellani · ESA Attività idrotermale a Syrtis Major Stefano Oliverio · uniroma POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA Dall’acqua alla vita Lene VEstergaard hau · DLR Le premesse per una missione umana Sep Norris · nasa € 4,90 · www.planckonline.it ANNO 1 Vedere l’universo piegarsi alla lettera NUMERO 4 ASTRONOMIA E ASTROFISICA ANNO 1 NUMERO 4 LUGLIO 2011 LUGLIO 2011 LA NUOVA PROMESSA DI GIOVE LA NUOVA PROMESSA DI GIOVE Mentre la Nasa e l’Agenzia Spaziale Europea mettono a punto nuove sonde indirizzate verso il più grande pianeta del sistema solare, gli utlimi studi sulla superificie del gigante gassoso lasciano intravedere la possibilità di una futura spedizione ARTICOLI Vecchie e nuove frontiere Alberto Fumagalli · INAF Implicazioni psicologiche dell’esplorazione Telmo Pievani · UNIMI Cupola con vista su ATV-2 Martino Ressa · ASI POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA Cooperare per un grande obiettivo Gianluca Masi · ESO Tre missioni per Europa Annalisa Randall · SSi € 4,90 · www.planckonline.it