Matteo Gualandris
Vedere l’universo
piegarsi alla lettera
Progetto editoriale per una rivista
di astronomia e astrofisica
Progetto
Numero 1
Anno 1
Aprile 2011
Periodicità: mensile
Pagine: 160
Prezzo: € 4,90
Formato: 200×283 mm
Carte
Interno: Munken Lynx, mano 1.13, 80 g
Sezione Articoli: Hello Fat Matt 1.1, 100 g
Copertina: Munken Lynx, mano 1.13, 200 g
Nota
Le pagine in scala di grigio al 30%
corrispondono a spazi pubblicitari
In coda
Copertine future
Politecnico di Milano
Facoltà del Design
Laurea Specialistica in Design della Comunicazione
A.A. 2009/2010
Matteo Gualandris
matricola 734835
Relatore
Prof. Mauro Panzeri
Correlatore
Dott. Marco Cattaneo
Direttore responsabile
di Le Scienze e National Geographic Italia
ANNO 1
Vedere l’universo piegarsi alla lettera
NUMERO 1
ASTRONOMIA
E ASTROFISICA
ANNO 1
NUMERO 1
APRILE 2011
APRILE 2011
LEGGERE L'UNIVERSO
LEGGERE
L’UNIVERSO
L'informazione di ciò che esiste
e avviene nell'universo è contenuta
nella radiazione elettromagnetica
generata dai vari processi astrofisici.
Nel XIX secolo la scoperta della natura
elettromagnetica della luce ha posto
le basi per passare dall’astronomia
ottica all’osservazione sia dalla Terra
sia dallo spazio
ARTICOLI
Oltre la luce
Piero Benvenuti · unipd
L’universo violento
Giovanni Fabrizio Bignami · cospar
I raggi cosmici un secolo dopo
Bruna Bertucci · infn
POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA
Dal big bang ai buchi neri
Paolo De Bernardis · inaf
€ 4,90 · www.planckonline.it
Vedere l’universo piegarsi aLla lettera
ANNO 1
NUMERO 1
APRILE 2011
LEGGERE
L’UNIVERSO
Piero Benvenuti · unipd
Giovanni Fabrizio Bignami · cospar
Bruna Bertucci · infn
Paolo De Bernardis · inaf
www.planckonline.it
N.1 Anno I Aprile 2011
APERTURA
5
PLANCK
‘Ora non essendo i princìpi
né uguali né della stessa
specie, non si sarebbero potuti
ordinare in un cosmo se non
si fosse aggiunta l'armonia,
in qualunque modo vi sia
raggiunta. Se fossero stati simili
e d'egual specie, non avrebbero
avuto bisogno dell'armonia:
ma gli elementi che sono
dissimili e di specie diversa
e diversamente ordinati,
devono essere conchiusi
dall'armonia che può tenerli
stretti in un cosmo.’
FILOLAO DI CROTONE (470–390a.C.) / ASTRONOMO, MATEMATICO E FILOSOFO DELLA SCUOLA PITAGORICA
E DSIETZOI O
R INAEL E
Anno 1 N.1 Aprile 2011
7
PLANCK
COSE DI CUI
ANDARE FIERI
I successi della scienza italiana nell'età del degrado
Da giorni penso alle parole giuste per
il mio primo intervento su queste pagine.
D'altra parte, mi dico, per un giornalista che
da anni si dedica alla divulgazione astronomica e astrofisica, che cosa ci potrebbe essere di più entusiasmante che lavorare per
una nuova rivista come Planck? Figuriamoci
poi esserne il direttore responsabile. E in più
riceverne l'incarico all'inizio di un anno già
così speciale.
Celebriamo questo mese il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, e c'è davvero tanta
Italia a bordo di ams, il grande rivelatore di
particelle che partirà in aprile a bordo della missione Shuttle sts‐134 per agganciarsi
alla Stazione Spaziale Internazionale e studiare i raggi cosmici dallo spazio, a caccia di
antimateria e materia oscura, per spiegare
alcuni degli enigmi più intricati del cosmo.
Come raccontano Roberto Battiston e Andrei Kounine a pagina 50, nell'esperimento
– costato 1,5 miliardi di euro e la cui realizzazione è durata 16 anni – hanno un ruolo
di primo piano l'Agenzia Spaziale Italiana
e l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ma
anche molte aziende aerospaziali nazionali
che godono di fama e stima in tutto il mondo.
Un po' come a Ginevra, dove lhc vede
impegnato un numero formidabile di fisici
e tecnici italiani, a cominciare da Fabiola
Gianotti, Guido Tonelli, Paolo Giubellino e
Pierluigi Campana, i portavoce dei quattro
esperimenti in corso nel più ambizioso e
complesso acceleratore di fisica delle particelle mai costruito.
Piaccia o no, tutto questo è un prodotto
di quella università pubblica italiana che – a
detta del ministro che dovrebbe governarla e
dei troppi economisti‐opinionisti‐riformisti
che la denigrano dalla cattedra dell'università privata – genererebbe soltanto clientele
e baronie. Sembra proprio che all'estero non
siano d'accordo, se affidano ancora all'Italia
e agli scienziati italiani ruoli di primissimo
piano nelle più importanti collaborazioni
internazionali, e se continuano ad assumere particelle più potente del mondo, in grado di
giovani ricercatori italiani nei loro atenei.
fornire tra i suoi fasci di protoni e antiprotoni
Tutto questo fa riflettere. Perché è sempre quasi 2.000 gigaelettronvolt di energia, più
più chiaro che il nostro grosso guaio non è di 2.000 volte la massa del protone. Grazie a
una patologia del sistema dell'istruzione questa fantastica energia, negli anni novano della ricerca, quanto piuttosto la cronica ta l'esperimento cdf è riuscito a scoprire il
impreparazione della classe dirigente politi- sesto quark, il top, che ha massa pari a 175
ca e imprenditoriale a sfruttare le occasioni gigaelettronvolt/c² ed è quindi la particella
che la scienza mette loro a disposizione, per elementare più pesante mai scoperta.
inseguire modelli di sviluppo miopi e di rePer molti anni il Tevatron è stato la bestia
troguardia. Tanto più se si vanno a vedere i nera di lhc, entrato in funzione del 2009.
quattro casi (Olivetti, Mattei, Ippolito e Ma- Nonostante lhc abbia un'energia di progetrotta) raccontati da Marco Pivato in Il mira- to sette volte maggiore e una luminosità ben
colo scippato, di cui trovate una recensione cento volte più grande, Tevatron è entrato
in questo numero.
in funzione nella seconda metà degli anni
È passato mezzo secolo, da quelle storie ottanta, quando lhc era ancora un'idea, e
oscure e turpi. E mi viene da pensare che ha operato per oltre vent'anni migliorando
nessuno, ma proprio nessuno, si è seria- le proprie caratteristiche. Con la scoperta
mente preoccupato di imparare le lezioni del top nel 1995, il modello standard con sei
del passato per progettare il futuro del pae- quark e tre famiglie di leptoni ha ricevuto la
se. Però poi penso a tutti quelli che tengono sua definitiva conferma e il santo Graal è diduro, come i fisici di ams e lhc, ai ricercato- ventata la ricerca del bosone di Higgs.
ri che uno stipendio da fame si arrampicano
La vita del Tevatron è stata davvero piesui tetti per far sentire la loro protesta ma na di soddisfazioni e di sorprese: in più di
poi anticipano comunque di tasca propria i trent'anni la fisica delle particelle ha visquattrini per partecipare ai congressi, ai gio- suto svolte radicali, e Tevatron con le sue
vani che si iscrivono a fisica, chimica, biolo- scoperte è stato uno degli attori principali,
gia perché credono nei valori dell'istruzione, dimostrando un'adattabilità straordinaria
della ricerca, della cultura anche se sanno a nuovi tipi di esperimenti. La sua chiusura
che probabilmente in patria non troveranno rappresenta il passaggio di testimone degli
né sbocchi né opportunità.
Stati Uniti all'Europa nel settore della fisica
E grazie a loro mi accosto con animo più delle alte energie.
sereno ai festeggiamenti per il 150o dell'UniConcludo ringraziando l'editore per la fità di Italia. Perché c'è ancora qualcosa di cui ducia che mi ha accordato; la redazione tutandare dannatamente fieri, in questo paese. ta, per l'accoglienza che mi ha riservato e la
Voglio approfittare di questo mio primo pazienza con cui mi assiste in questa avvenintervento su Planck celebrando la pen- tura. E voi, naturalmente, i lettori di Planck.
sione di Tevatron, protagonista della fisica È il nostro primo incontro, ma sono sicuro
delle particelle, che sarà spento subito dopo che sarà l'inizio di un lungo viaggio insieme.
l'estate. A fine settembre, infatti, il Tevatron Quello che ci accomuna, omaggiando le paCollider del Fermi National Accelerator La- role di Richard Feynamn, è l'emozione nel
boratory, a Batavia, nell'Illinois, terminerà le «vedere l'universo piegarsi alla lettera».
sue operazioni come collisore di particelle e
tornerà a fornire fasci estratti di alta energia. Giuseppe Piazzi
Per molto tempo è stato l'acceleratore di Direttore responsabile
ESA / P. DIAMANTOPOLOUS
SOMMARIO
PLANCK
13
ANTEPRIME
15
OSSERVATORIO
Piero Benvenuti
Isaac Newton si è sbagliato: la gravità non esiste
Guido Romeo
Con il Large Hadron Collider è iniziata l'era della «Nuova Fisica»
Sergio Ferraris
In Italia la roulette russa degli enti vigilati
Roberto Battiston
Pavel Cerenkov, il nome della luce è russo
Paolo De Bernardis
La sindrome di Kessler e l'inquinamento spaziale
Piergiorgio Odifreddi
Il big bang di Galileo
25
NOTIZIARIO
A ferrara una nuova scoperta sui buchi neri
Addio a BeppoSax, l'occhio italiano nello spazio
Scende la luce sui gamma ray burst oscuri
Ancora sorprese dalla nebulosa di Orione
vlt scopre l'oggetto più lontano dell'universo
Il Brasile in procinto di entrare a far parte dell'eso
Conto alla rovescia per Nespoli, astronauta italiano
Messier 107, un ammasso globulare distanre 21 mila anni luce
Il lungo viaggio nel tempo di Planck sta per iniziare
asi presenta il nuovo piano da 7 miliardi di euro
Plato, trentadue occhi alla caccia di sistemi solari
Dati geologici rivelano la presenza di antichi laghi su Marte
La missione Hubble compie vent'anni: è record
La chiesa polacca concederà la sepoltura ufficiale a Copernico
Analizzata per la prima volta l'atmosfera di una «superTerra»
Evalso: il nuovo link ad alta velocità per gli osservatori cileni
Sugli exopianeti la nasa vuole alzare la posta
Getti coronali: una dinamica già osservata
Kepler scopre il primo sistema extrasolare con sei pianeti
La missione Discovery subisce un nuovo stop
Italia e Israele: via al progetto Shalom
La nuova politica spaziale europea
hip 13044, un nuovo pianeta extragalattico
vista: il telescopio d'avanguardia inizia i lavori
Sessant'anni fa lo «zoo spaziale»: in orbita scimmie, ragni e api
In copertina
NGC 6611 è una grande regione
visibile nella costellazione della Coda
del Serpente; è formata da un ammasso
di stelle associato ad una nebulosa
catalogata come IC 4703.
9
N.1 Anno I APRILE 2011
SOMMARIO
11
PLANCK
ONLINE
67
ARTICOLI
1. LEGGERE L'UNIVERSO
APRILE 2011
L'informazione di ciò che esiste e avviene nell'universo
è contenuta nella radiazione elettromagnetica generata
dai vari processi astrofisici.
Piero Benvenuti
Oltre la luce
Notiziario
Tutti gli articoli, notizie, aggiornamenti,
recensioni e manifestazioni pubblicati
su questo numero sono consultabili
online insieme ad ulteriori notizie
ed approfondimenti. La sezioni sono
costantemente aggiornate.
Giovanni Fabrizio BIGNAMI
L'universo violento
Bruna Bertucci
I raggi cosmici un secolo dopo
Paolo De Bernardis
Dal big bang ai buchi neri
www.planckonline.it/notiziario
Podcast
119
L'uomo è attorno a Marte, il 12 marzo sul Pianeta Rosso
PSR J0737–3039 conferma le teorie di Albert Einstein
A 2 mila anni luce dalla Terra ecco il primo pianeta extragalattico
Studio conferma tracce di vegetazione su Europa
Si alza il sipario sul teatro cosmico di Planck
Risolto il mistero delle stelle pulsanti
La sonda nasa Deep Impact spia la cometa Hartley
Quante masse ci vogliono per un buco nero? Sfida alle teorie
sts–133: non prima del 24 aprile
Lares e Vega verso il lancio
Kepler scopre il suo primo esopianeta roccioso
CNR: arriva il via libera al nuovo statuto
Sul podcast di questo mese tutti
gli approfondimenti relativi a notizie,
articoli, aggiornamenti e recensioni
pubblicati in questo numero. Il podcast
è disponibile tramite iTunes oppure
scaricabile dal sito.
www.planckonline.it/podcast
Video
Esplora il vasto archivio video di Planck
con notizie, aggiornamenti e documentari.
135
RECENSIONI
La fisica di Feynman. Volumi I, II e III, RICHARD FEYNMAN
La ricerca tradita, Tommaso Maccacaro
Stanley Kubrick. Interviste extraterrestri, Anthony Frewin
La guerra dei buchi neri, Leonard Susskind
L'universo elegante, Brian Green
Ingegni minuti, Lucio Russo e Emanuela santoni
L'eleganza della verità. Storia della simmetria, Ian Stewart
Il re del Sole. Racconto dell'astronomia moderna, Stuart Clark
L'astrofisica è facile, Mike Lnglis
Zero. La storia di un'idea pericolosa, Charles Seife
Italo Calvino e la scienza, Massimo Bucciantini
L'universo senza stringhe, Mee Smolin
La fine del tutto, Chris Impey
La musica del big bang, AMEDEO BALBI
Il paesaggio cosmico, EMIL RUDER
www.planckonline.it/videochannel
Recensioni
Consigli per la lettura, lo studio, la ricerca
e la didattica in campo astronomico.
www.planckonline.it/recensioni
Manifestazioni
Tenetevi aggiornati con i prossimi
appuntamenti, mostre e conferenze.
www.planckonline.it/manifestazioni
AGGIORNAMENTI
149
MANIFESTAZIONI
156
LETTERE
AN
SE
TZ
E IPORNI M
EE
N.1 Anno I Aprile 2011
13
PLANCK
LEGGERE L'UNIVERSO p.67
Antichi laghi su Marte
L'esame delle ultime immagini di Marte
suggeriscono che la superficie del Pianeta
Rosso era una volta coperta di laghi. Questi,
hanno lasciato evidenti segni geologici
formati dai processi di sedimentazione.
Notiziario p.38
Mars 500 simula
atterraggio marziano
Aggiornamenti p.102
La chiesa polacca seppellirà Copernico
Per la storia della scienza è stato e resterà
sempre un grande: fu lui a teorizzare e
scoprire che la Terra gira intorno al Sole.
Per la sua patria, la Polonia oggi libera,
è uno dei massimi eroi.
Notiziario p.46
Oltre la luce
Nel xix secolo la scoperta della natura
elettromagnetica della luce ha posto le
basi per passare, nel secolo successivo,
dall'astronomia ottica all'osservazione
sia dalla Terra sia dallo spazio.
Piero Benvenuti, Articoli, p.68
L'universo violento
Tra poco saranno dieci anni che xmmNewton della European Space Agency
funziona in orbita. Il racconto di quello
che è successo nell'ultimo decennio
nell'astrofisica delle alte energie.
Giovanni Fabrizio Bignami, Articoli, p.82
ESA / IPMB
Il telescopio VISTA
inizia i lavori
La scommessa
di Westerlund 1
Notiziario p.59
Aggiornamenti p.130
I raggi cosmici un secolo dopo
Il 99% della radiazione cosmica è composta
da nuclei atomici. Il resto sono fotoni,
elettroni, neutrini e tracce di antimateria.
L'identificazione delle sorgenti è invece
un problema ancora irrisolto.
Bruna Bertucci, Articoli, p.93
Dal big bang ai buchi neri
Oggi sappiamo che l'universo è nato dal
big bang, ha una geometria euclidea ed
è in espansione accelerata. Resta però
ancora da chiarire la natura della materia
e dell'energia oscura.
Paolo De Bernardis, Articoli, p.102
PSR J0737-3039 conferma le teorie di Einstein
Il sistema di due pulsar scoperto nel 2003
dal Gruppo Pulsar italiano e i suoi partner
internazionali con il radiotelescopio
australiano di Parkes, ha mantenuto
le promesse. Ecco i primi risultati.
Aggiornamenti, p.122
ESO / VISTA
ESO
N.1 Anno I Aprile 2011
O S S E RVAT O R I O
15
PLANCK
Federico Rampini
Isaac Newton
si è sbagliato:
la gravità
non esiste
16
NATIONAL PORTRAIT GALLERY
Piergiorgio Odifreddi
Il big bang
di Galileo
Galilei
23
Guido Romeo
Con il Large Hadron Collider
è iniziata l'era della «Nuova Fisica»
16
Sergio Ferraris
In Italia la roulette russa
degli enti vigilati
19
Roberto Battiston
Pavel Cerenkov, il nome
della luce è russo
20
Paolo De Bernardis
La sindrome di Kessler
e l'inquinamento spaziale
20
16
OSSERVATORIO
FISICA
Isaac Newton
si è sbagliato:
la gravità
non esiste
Federico Rampini
Giornalista e scrittore italiano.
Ha insegnato alla Berkeley
University. Nel 2009 torna
a fare l'inviato de La Repubblica
negli Stati Uniti.
RIVOLUZIONI
Con LHC
inizia l'era
della «Nuova
Fisica»
Guido Romeo
Giornalista scientifico.
Le sue collaborazioni includono
LeScienze, La Stampa, Il Corriere
della Sera, Scientific American,
New Scientist, The Lancet
e Nature.
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
La teoria della gravità è forse la più formidabile legge della fisica, il principio più evidente
e universale perché corrisponde a un'esperienza empirica irresistibile. Il bambino ancora non sa parlare e uno dei primi giochi in
cui si trastulla dal seggiolone, consiste nel far
cadere il cucchiaio della pappa. Lo spettacolo
è affascinante nella sua ripetitività. Afferra il
cucchiaio, lo solleva, lo lascia cadere, e ogni
volta il miracolo si ripete: quell'oggetto viene
attratto irresistibilmente a terra, costringendo il paziente genitore a raccoglierlo. Ognuno
di noi all'età di 18 mesi è stato Newton senza
saperlo. Ebbene, ricrediamoci: la forza di gravità è un'illusione, una beffa cosmica, o un effetto collaterale di qualcos'altro che avviene a
un livello molto più profondo della realtà.
L'abbandono di Newton era già stato anticipato dalla relatività di Albert Einstein ma
ora avviene una rottura ancora più radicale.
Un celebre fisico matematico olandese-americano, il 48enne Erik Peter Verlinde sta agitando il mondo accademico degli Stati Uniti
con una serie di conferenze in cui fa a pezzi la
teoria della gravità. Da Harvard a Berkeley, i
colleghi scienziati lo stanno prendendo molto sul serio. La sua nuova visione infatti può
gettare una diversa luce su alcuni dei grandi
temi della fisica contemporanea: la cosiddetta «energia oscura» (dall'inglese dark energy),
una sorta di anti-gravità che sembra accelerare l'espansione dell'universo, o la materia
oscura che ipoteticamente tiene unite le galassie.
Andrew Strominger, fisico‐matematico di
Harvard, è uno dei colleghi di Verlinde che
non nasconde la sua ammirazione: ‘Queste
idee stanno ispirando discussioni molto interessanti, vanno dritte al cuore di tutto ciò che
non comprendiamo del nostro universo’. Verlinde è l'ultimo di una serie di scienziati che
da trent'anni a questa parte stanno smantellando pezzo dopo pezzo la teoria della gravità. Negli anni Settanta Jacob Bekenstein e
Stephen Hawking hanno esplorato i legami
tra i buchi neri e la termodinamica. Negli
anni novanta Ted Jacobson ha illustrato i buchi neri come degli ologrammi, le immagini
tridimensionali usate per la sicurezza delle
nostre carte di credito: tutto ciò che è stato
inghiottito ed è sparito dentro i buchi neri
dell'universo, è presente come un'informazione stampata nell'ologramma, sulla superficie esterna. Juan Maldacena dell'Institute
for Advanced Study ha costruito un modello
matematico dell'universo espresso come un
La tensione per un attimo si allenta, scoppiano gli applausi e non mancano le lacrime
di commozione. Per molti questo è il punto di
arrivo di oltre vent'anni di lavoro e oltre otto
miliardi di euro necessari per risolvere problemi scientifici e ingegneristici senza precedenti. Basti pensare che quando il progetto fu
approvato, nel 1995 ,gran parte delle tecnologie che oggi lo fanno funzionare nemmeno
esistevano.
Ma soprattutto è l'inizio di una nuova era.
‘È un momento fantastico – esclama Lyn Evan,
leader del progetto LHC – perché ora possiamo finalmente cominciare a svelare com'è
nato e si è evoluto il nostro universo’.
Quella di ieri è stata una giornata intensa,
cominciata già prima dell'alba al CERN. Il primo passo è avvenuto nei laboratori in superficie del CERN, con la sottrazione di elettroni a
migliaia di atomi di idrogeno gassoso per isolarne i protoni che ne costituiscono il nucleo
e spingerli fino a circa un terzo della velocità
della luce con un acceleratore lineare, assai
meno potente dell'LHC. Il passo successivo è
stato l'ingresso di questi protoni pre-accelerati in un booster, un anello che li spinge fino
al 91% della velocità della luce convogliandoli poi in una seconda struttura circolare. È il
vecchio sincrotrone a protoni costruito 50
anni fa, ma ancora efficientissimo grazie a
numerosi upgrade, che a regime sparerà le
particelle fino al 99,9999991% della velocità
della luce fino a un'energia di 25 gigaelettronvolt. A questo punto il fascio di particelle, più
sottile di un capello umano, ma velocissimo,
è fatto scendere 40 metri nel sottosuolo per
raggiungere l'SPS, il sincrotrone grazie al quale il Nobel italiano Carlo Rubbia, presente al
test, ha scoperto i bosoni W e Z.
Questo è l'ultimo passo prima dell'LHC
vero e proprio e molti, nella sala controllo in
superficie, hanno sicuramente trattenuto il
fiato quando intorno alle 9.30 è cominciata
l'attesa per il passo finale verso l'LHC. Che è
arrivato con l'ingresso del primo fascio di particelle in senso orario e la conferma che tutti
i 27 chilometri dell'anello venivano percorsi
senza problemi. Questo era uno dei punti più
delicati dell'LHC, perché per far curvare particelle che sfiorano la velocità della luce, e poter quindi essere alloggiato nello stesso tunnel costruito anni fa per un acceleratore più
piccolo, ha dovuto sviluppare magneti potentissimi. La prima iniezione di protoni in senso
orario nell'LHC è stata un successo anche in
termini storici. Nessuno infatti sembrava im-
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
OSSERVATORIO
17
barattolo di minestra in conserva. Tutto ciò
che accade dentro il barattolo, inclusa quella che chiamiamo la gravità, è sintetizzato
nell'etichetta incollata all'esterno: fuori invece la gravità non esiste.
L'idea di Verlinde è questa: la forza di gravità è il sottoprodotto dell'insana tendenza
della natura a massimizzare il disordine.
Non preoccupatevi: molti fisici dicono di
non comprendere il lavoro di Verlinde, ed
altri sono parecchio scettici. Tuttavia parte
dell'ambiente della fisica sembra concordare
sul fatto che l'ipotesi di Verlinde sia un punto
di vista nuovo su un problema vecchio come
quello della gravità e dello spazio-tempo.
‘Alcune percone dicono che non possa
aver ragione – dice Andrew Strominger, fisico
delle stringhe ad Harvard – altri che abbia ragione e che già si sapeva. Qualcosa di giusto
e profondo, o di giusto ed ovvio. Quello che
bisognerebbe dire è che si è ispirato a molte
discussioni interessanti. È una collezione di
idee interessanti che toccano cose che non
comprendiamo sul nostro universo. È per
questo che mi è piaciuto il suo lavoro’.
Lee Smolin, un fisico teorico del Perimeter
Institute for Theoretical Physics, ha addirittura definito il lavoro di Verlinde come ‘una
delle ricerche più importanti degli ultimi 20
anni’. Verlinde, assieme al suo gemello Herman, professore di Princeton, sono lanciati
nella ricerca della vera natura della gravità.
Sono noti nell'ambiente per le loro doti matematiche nel campo della teoria delle stringhe
portata ai massimi estremi. Tant'è che hanno
inventato l'«Algebra di Verlinde» e la «formula di Verlinde», elementi fondamentali della
famosa «teoria del tutto».
È a questo punto che entrano in gioco i gemelli e il ladro, che sembrano presi da sceneggiature di film surrealisti. Lo scienziato Erik
Verlinde, autore di una formula algebrica che
porta il suo nome, ha un fratello monovulare:
Herman. Le loro due vite sono state identiche
per molto tempo. I gemelli sono due matematici molto rispettati. Si sono laureati insieme all'università olandese di Utrecht nel 1988,
insieme andarono in America per proseguire
gli studi a Princeton, dove tutti e due ottennero la cattedra. Sposarono due sorelle. Divorziarono. E solo a questo punto una leggera
discrepanza si è introdotta nel meccanismo
delle loro vite speculari. Herman è rimasto a
Princeton, Erik ha deciso di vivere ad Amsterdam per essere più vicino ai figli.
L'estate scorsa, mentre era in vacanza nel
sud della Francia, un ladro gli portò via il
laptop, le chiavi di casa, il passaporto. ‘Fui costretto a fermarmi una settimana in più’, racconta Erik. Una settimana di cogitazioni che
è stata fatale per l'eredità di Newton. Pensate
all'universo come una scatola dello scrabble
(lo scarabeo, ndr), il gioco in cui si compongono parole con le lettere dell'alfabeto. Se agitate la scatola e sparpagliate le lettere a caso,
c'è una sola possibile combinazione che può
darvi una poesia del Leopardi. Una quantità
pressoché infinita di combinazioni non hanno alcun significato. Più scuotete la scatola
delle lettere più è probabile che il disordine
aumenti via via che le lettere si combinano
per ordine di probabilità. Questo è il nuovo modo di vedere la forza di gravità, come
una forma di entropia. Se non è chiaro che
cosa la sostituirà, e ancora siamo ben lontani
dall'immaginare le possibili applicazioni pratiche, su un punto Verlinde è categorico: ‘Il re
è nudo. Da tempo si era capito che la gravità
non esiste. Ora è il momento di gridarlo’.
maginare, e forse nemmeno sperare, che tutto ciò potesse essere fatto in meno di un'ora.
Per gli stessi test, il predecessore dell'LHC, il
collider LEP (Large Electron Positron) aveva
richiesto ben 12 ore.
L'esito è stato talmente incoraggiante che
poco dopo la prima prova gli scienziati hanno
deciso di tentare la fortuna una seconda volta, sparando i protoni in senso opposto. Una
doppietta azzeccata che ha esaltato la comunità di fisici presenti al Cern, ma anche nel
resto del mondo. ‘Ci sono moltissimi giovani
che hanno lavorato a questi esperimenti e per
costruire questa macchina, e che potranno
dire: io c'ero’, – sottolinea Roberto Petronzio,
il presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare, che ha avuto un ruolo fondamentale nel coordinare lo sviluppo scientifico e
tecnologico del progetto, in particolare nei
confronti con l'industria.
È ufficiale: LHC non si fermerà nel 2012
come era previsto in un primo tempo, ma
continuerà la sua corsa alla ricerca di «nuova fisica» nei prossimi 24 mesi. La macchina
verrà fermata solo alla fine di questa lunga
cavalcata e verrà preparata per la seconda
fase, quando l'energia per fascio sarà portata
al valore record di 7 TeV. La decisione è stata
resa nota oggi da un comunicato del CERN, ed
è stata presa durante l'annuale riunione del
management del laboratorio europeo a Chamonix, nei giorni scorsi. L'indicazione è contenuta anche in un report presentato sempre
oggi dal Machine Advisory Committee. Nel
report si annuncia che l'energia per fascio
sarà, da qui al 2012 compreso, di 3,5 TeV, ma
non ufficialmente c'è chi spera di raggiungere
il valore di 4 TeV.
Liquidati invece gli allarmismi degli ultimi
giorni, anche se in realtà le collisioni tra particelle non avverranno che tra diverse settimane. ‘L'esperimento è da considerare assolutamente a rischio zero’ ha ribadito Luciano
Maiani, oggi direttore del Cnr e alla guida del
Cern dal 1998 al 2003. ‘Tramite l'osservazione
le stelle – dice Margherita Hack – abbiamo
guardato indietro nel tempo, fino a osservare
l'universo quando era giovanissimo, 13 miliardi di anni fa. Ma ora con l'LHC si cercherà
di riprodurre le stesse condizioni di temperatura per vedere le particelle che si erano formate all'origine dell'universo’.
Tra tutti gli esperimenti che saranno realizzati, quello senza dubbio più affascinante,
e che costituisce uno dei principali motivi
che hanno portato alla costruzione dell'LHC,
riguarda il problema della massa. Infatti, i teorici ritengono che per completare il modello
standard delle particelle elementari e delle
interazioni fondamentali manchi ancora un
tassello importante, una particella elusiva
che nessuno ha mai osservato e alla quale
si dà la caccia da oltre vent'anni: qualcuno
l'ha definita, fantasiosamente, la «particella di Dio» ma è meglio nota come il bosone
di Higgs. Non solo, esperimenti altrettanto
interessanti riguarderanno la ricerca delle
particelle candidate per la materia scura, la
verifica dell'esistenza, o meno, delle dimensioni extra e delle superparticelle. Nei prossimi post, mi riserverò di approfondire questi
argomenti.
Gli obiettivi che i fisici sperano di raggiungere vanno ben al di là di quelle che sono le
aspettative. Di fatto, gli scienziati si aspettano
di trovare le risposte alle domande sul perché
esistono varie tipologie di particelle, se ad un
certo valore di energia tutte le forze diventano
una sola. Il nuovo appuntamento per l'LHC è
fissato al mese prossimo, quando i due fasci
di particelle saranno sincronizzati.
CONTATTI
rampini.blogautore.repubblica.it
CONTATTI
guidoromeo.nova100.ilsole24ore.com
N.1 Anno I APRILE 2011
RICERCA
In Italia
la roulette
russa degli
enti vigilati
Sergio Ferraris
Giornalista e divulgatore scientifico. Collabora con New Scientist,
Nature e La Repubblica.
PLANCK
OSSERVATORIO
19
Gli attacchi del governo Berlusconi alla come funziona la ricerca in Europa oggi.
ricerca sono poco lungimiranti. La ricerca è
La ricerca italiana ha voglia di merito e
stata considerata come una normale voce di trasparenza: lo sentiamo dire da tempo, con
spesa alla stregua di mille altre e non come pochi riscontri e molto scetticismo. Forse è
un investimento per costruire un'economia arrivato il momento di abbandonare le podella conoscenza degna del ventunesimo lemiche e fare scelte coraggiose, mettendo a
secolo.
sistema quanto di buono esiste già nel nostro
C'è la ricerca, rappresentata dal Cnr o paese. Nella sua proposta di rilancio della
dall'Agenzia Spaziale Italiana; c'è la salute ricerca italiana, presentata a Padova dal pre(Istituto Superiore di Sanità, Lega Italiana per sidente Luca di Montezemolo nel corso della
la Lotta ai Tumori), gli enti di controllo del giornata Ricerca, l'Italia che merita, Telethon
volo (Enav e Enac), i porti, i parchi naziona- ha messo a disposizione delle istituzioni la
li e una serie di realtà minori, come l'istituto propria ventennale esperienza nel selezioitaliano per l'Africa e l'Oriente o l'istituto na- nare e finanziare ricerca eccellente. Un'eccelzionale di beneficienza Vittorio Emanuele II. lenza confermata dai numeri, che parlano di
Tutti enti vigilati dei ministeri, a cui la mano- 2.213 progetti finanziati, 306 milioni di euro
vra taglia del 50% le risorse da girare alle am- investiti, 7.047 articoli scientifici pubblicati e
ministrazioni che controllano: entro la fine di soprattutto 13 bambini definitivamente curati
questa settimana, ogni ministero dovrà fissa- da una gravissima immunodeficienza e nure in un decreto la distribuzione dei soldi che merosi studi clinici avviati su diverse malattie
rimangono.
genetiche.
A stabilirlo è il decreto con la manovra
Cuore della proposta è la costituzione di
correttiva, in una norma che il maxiemen- un'agenzia di valutazione e finanziamento
damento governativo non ha ritoccato. Con della ricerca che assegni i fondi statali metil taglio del 50% nei finanziamenti garantiti tendo i progetti di ricerca in competizione tra
ogni anno dalle rispettive amministrazioni vi- loro e valutandoli esclusivamente attraverso
gilanti, la manovra che sarà approvata in set- criteri di peer review. Un recente atto a livello
timana alla camera riserva il trattamento più di ricerca pubblica è stato fatto dal ministero
duro nel panorama del rigore a tutto campo del Welfare alla fine del 2008, con l'elaboramesso in atto. Alla lotteria non manca la su- zione di un meccanismo di assegnazione dei
spence, perché la coperta è corta: taglio line- fondi che ha previsto la collaborazione con
are (50% a tutti) o distribuzione più sofisticata, gli NIH statunitensi. Inaugurato con il Bani sacrifici difficilmente faranno eccezioni.
do Giovani Ricercatori 2008, questo sistema
L'intervento è da primato non solo nella ha fatto ricorso al contributo del Center for
misura dei tagli, ma anche nei tempi. Perché Scientific Review, l'agenzia di valutazione
a differenza di regioni, enti locali e ministeri degli NIH, che ha scelto nel panorama interqueste realtà non dovranno aspettare il 2011 nazionale i ricercatori più adatti a valutare i
per vedersi dimezzare i budget; la sforbiciata progetti presentati dai loro colleghi italiani.
è immediata, e calcolata in base ai fondi asseLa proposta presentata da Telethon e cognati l'anno scorso. La manovra è blindata, e firmata da LUISS, Università Bocconi, Istituto
margini di correzione a Montecitorio non ce Veneto di Medicina Molecolare, INAF e Grupne sono, perché i tempi di conversione non po 2003 riconosce il modello degli NIH come
lo consentono (la scadenza è a fine mese), e quello di riferimento, ma propone di crearne
vista l'entità delle misure in gioco basterebbe uno italiano e di istituzionalizzarlo. L'agenzia
il minimo spiraglio a far ripartire la giostra in- nazionale avrebbe perciò il compito di applifinita delle richieste di modifica.
care il modello ogniqualvolta si assegnino
Se passa, come previsto, la legge provoche- fondi pubblici alla ricerca scientifica. Di fatto,
rebbe il licenziamento di quasi duemila ri- si tratterebbe di replicare su scala nazionale
cercatori precari, che costituiscono l'ossatura quanto fatto dalla Fondazione Telethon, che
degli istituti di ricerca italiani perennemente agisce da vent'anni come agenzia di finanziaa corto di personale, e metà di essi sono già mento riuscendo a generare un vero paradosstati selezionati per posizioni a tempo inde- so: una piccola charity italiana che compete a
terminato.
livello mondiale in un settore di nicchia della
La conclusione è drastica: Berlusconi non ricerca come quello delle malattie genetiche
deve considerare solo i guadagni a breve ter- rare.
mine attuati attraverso un sistema di decreti
facilitato da ministri compiacenti. Se vuole preparare un futuro realistico per l'Italia,
come ci si aspetta, il governo non dovrebbe CONTATTI
riferirsi pigramente al passato, ma capire www.sergioferraris.it
20
OSSERVATORIO
PERSONAGGI
Čerenkov
il nome della
luce è russo
Roberto Battiston
Professore ordinario di fisica
sperimentale all'Università
di Perugia.
RIVOLUZIONI
La sindrome
di Kessler
Paolo De Bernardis
Professore di Astrofisica
e Cosmologia Osservativa
all'Università La Sapienza
di Roma e co-investigator
del satellite Planck (ESA).
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
Pavel Alekseevic Cerenkov, classe 1904, è
stato un fisico russo che a preso il Nobel per
aver scoperto nel 1932 il fenomeno che porta
il suo nome, l'emissione di luce Cerenkov. È
un effetto fisico di grande interesse, spiegabile con la teoria classica dell'elettrodinamica, che viene oggi sfruttato negli esperimenti
di fisica delle alte energie per misurare con
precisione la velocità delle particelle relativistiche.
La luce attraversa i diversi materiali con
una velocità minore che nel vuoto, e la misura di questo rallentamento è data dall'indice
di rifrazione n, un numero sempre maggiore
o uguale a 1: n è tanto più grande quanto più
lentamente viaggia la luce in quel mezzo. Per
esempio, nell'acqua la luce è più lenta di un
terzo, e in certi vetri va due volte più piano
che nel vuoto. Ma le particelle cariche possono attraversare la materia da una velocità
prossima a quella della luce. Essendo cariche sono circondate da un campo elettrico
formato da fotoni, ancorché virtuali: di norma, infatti, una carica elettrica non emette
luce. Quando però attraversa un mezzo con
un indice di rifrazione maggiore di 1 la luce
rimane indietro rispetto alla particella, creando un caratteristico cono di luce rispetto alla
direzione di moto della particella quanto più
grande è l'indice di rifrazione del mezzo.
Quello che è meno noto è come questo
effetto sia stato scoperto dal giovane Cerenkov quando era dottorando dell'accademico
Nikolai Vavilov all'Istituto di Fisica di San Pietroburgo. Cerenkov era stato incaricato dello
studio della debole luminescenza emessa dai
sali di uranio bombardati da raggi gamma.
Per misurare questo effetto si usava un collimatore che veniva chiuso progressivamente
fino a che l'intensità luminosa scendeva al
di sotto della soglia di rivelazione del sensore. Piccolo dettaglio: il sensore era l'occhio
dello studente Cerenkov, che si sottoponeva
metodicamente a quotidiane sedute di misura, dopo essersi adattato al buio per almeno un'ora. Durante queste sedute Cerenkov
osservò per caso un fenomeno molto strano,
una debolissima emissione di luce blu da
parte di raggi gamma che attraversavano un
contenitore acido solforico.
Secondo la teoria della relatività è impossibile per un corpo dotato di massa superare
o eguagliare la velocità della luce. Accelerare fino alla velocità della luce una particella
con massa inerziale non nulla richiederebbe
una quantità di energia infinita. Tuttavia, se
La Sindrome di Kessler è uno scenario,
proposto nel 1991 dal consulente NASA Donald J. Kessler, nel quale il volume di detriti
spaziali che si trovano in orbita bassa intorno
alla Terra diventa così elevato che gli oggetti
in orbita vengono spesso in collisione, creando così una reazione a catena con incremento esponenziale del volume dei detriti stessi e
quindi del rischio di ulteriori impatti. La conseguenza diretta del realizzarsi di tale scenario consiste nel fatto che il crescente numero
di rifiuti in orbita renderebbe l'esplorazione
spaziale, e anche l'uso dei satelliti artificiali,
impossibile per molte generazioni.
Ogni satellite artificiale, sonda spaziale e
missione con equipaggio può rappresentare
una sorgente di rifiuti spaziali. Siccome il numero di satelliti in orbita è in aumento e i vecchi apparecchi diventano obsoleti, il rischio
di una sindrome di Kessler cresce continuamente. Fortunatamente all'altezza delle orbite basse, che sono quelle comunemente più
usate, la resistenza residua dell'aria, producendo la combustione degli oggetti in caduta,
aiuta a mantenere questa zona sgombra. Anche le collisioni che avvengono al di sotto di
questa altitudine non costituiscono un problema, dal momento che la perdita di energia
nella collisione fa in modo che le orbite dei
frammenti abbiano un perigeo di nuovo al
di sotto di tale quota.Ad altitudini superiori
a quelle in cui la resistenza atmosferica è significativa, la persistenza dei rifiuti prima del
decadimento dell'orbita risulta molto maggiore. Una debole resistenza aerodinamica,
l'influenza della luna e la resistenza del vento
solare possono portare gradualmente i rifiuti
verso quote inferiori da cui poi i frammenti
finiscono per rientrare sulla Terra, ma se la
quota iniziale è molto elevata questo processo può durare dei millenni.
La sindrome di Kessler è particolarmente
insidiosa a causa del cosiddetto effetto cascata o effetto domino. Infatti le velocità relative
degli oggetti in orbita possono superare i 10
km/s. L'energia cinetica della collisione tra
due oggetti di massa piuttosto grande crea
una nuvola di detriti sotto forma di schegge
lanciate in direzioni casuali. Ogni frammento
ha quindi il potenziale per indurre ulteriori
impatti, creando un numero ancora maggiore di rifiuti spaziali. Con una collisione abbastanza grande, la quantità di detriti prodotti a
cascata potrebbe essere sufficiente a rendere
il livello di orbita bassa praticamente inattraversabile.
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
OSSERVATORIO
21
quella particella viaggia in un mezzo, allora
è possibile che la velocità della particella sia
maggiore della velocità che la luce possiede
all’interno di quel mezzo. Se la particella è
carica allora la sostanza può emettere radiazione.
Cerenkov intendeva studiare la luminescenza emessa da certe soluzioni liquide
quando vengono sottoposte ai raggi di una
sorgente di radio. Egli si accorse che accanto
alla luminescenza era presente un’altra forma
di radiazione emessa dai solventi stessi. Cerenkov verificò che molti liquidi puri, come
l’acqua e il benzolo, emettono una luce blu
se irraggiati. Al contrario della luminescenza,
che è diffusa uniformemente su tutte le direzioni, la radiazione rivelata da Cerenkov veniva emessa lungo la direzione dei raggi.
La spiegazione del fenomeno venne trovata pochi anni dopo da altri due fisici russi: Il’ja
Mikhailovic Frank e Igor Evgenevic Tamm.
Secondo i due scienziati la causa diretta della radiazione era dovuta non ai raggi, ma alle
particelle cariche prodotte da questi nel mezzo. Supponiamo che un elettrone sia in moto
con velocità costante in un solido o in un
liquido (che per semplicità immagineremo
composti da molecole non polari). Poiché
l’elettrone è carico, esso lungo il cammino polarizza il mezzo, cioè deforma gli orbitali delle
molecole che lo costituiscono: le cariche positive sono attratte dall’elettrone, mentre le
cariche negative ne vengono respinte. Nelle
molecole si creano quindi dei dipoli elementari.
La curiosità è il motore della ricerca scientifica, e il nostro studente iniziò metodicamente a studiare la causa e l'effetto di questo
effetto, prima cercando di capire se fosse un
effetto spurio, poi variando le condizioni della misura e osservando come questo effetto
fosse indipendente da ogni variazione ambientale e come invece questa luce fosse polarizzata e asimmetrica rispetto alla direzione
di moto delle particelle. Dopo tre anni di ricerche, grazie al decisivo supporto di Vavilov,
che mandò questi risultati a Philipp Frank,
uno degli esperti di elettrodinamica del tempo, le ragioni fisiche di questo fenomeno furono chiarite, verificando tra l'altro una serie
di previsioni fatte da Oliver Heaviside e Arnold Sommerfeld alla fine del XIX secolo.
È interessante ricordare che questa luminescenza bluastra era stata osservata da Marie Curie nel 1910, che però non approfondì la
questione. Avrebbe forse potuto prendere il
suo terzo premio Nobel, che invece andò nel
1958 a Cerenkov per la scoperta sperimentale
e a Frank e Igor Tamm per la spiegazione teorica di questa emissione luminosa. Altre curiosità: Vavilov sostenne sempre che il lavoro
di ricerca del suo studente, e non gli fece ombra con la sua fama e importanza accademica.
Sembra una storia d'altri tempi, ma contiene una lezione valida anche per la scienza di
oggi: scoperte fondamentali fatte da giovani
studenti e sfuggite all'indagine di premi Nobel, strumentazione di una semplicità incredibile unita a una grande curiosità e tanto
rigoroso lavoro, supporto forte e continuo ma
allo stesso tempo grande rispetto scientifico
da parte di coloro che hanno autorità decisionale. Anche oggi, nei luoghi dove si fanno
scoperte e ricerca vera, le cose vanno esattamente così. Chi ha orecchie per intendere,
intenda. intenditori.
Questa lezione difficilmente può trovare,
neanche un seguito, ma neppure un parallelo
con quello che accade oggi nei nostri confini.
Ci vorrebbe un passo indietro, ma si sa, sono
proprio questi i più difficili.
Il problema dei rifiuti spaziali è molto
difficile da risolvere in maniera diretta, dal
momento che le piccole dimensioni e le alte
velocità che caratterizzano la maggior parte
dei rifiuti rendono praticamente inattuabile il
loro recupero e smaltimento.
Lo scorso febbraio, un satellite della costellazione Iridium e un satellite per telecomunicazioni russo in disuso si sono scontrati
a 800 chilometri di quota alla velocità di più
di 10 chilometri al secondo, 36 mila chilometri all'ora, circa 3o volte la velocità di una
pallottola di fucile. Il violentissimo impatto
ha creato una nube di 600 frammenti sufficientemente grandi da essere visti dai sistemi di sorveglianza sulla Terra, ma si pensa
siano complessivamente almeno 1 milione.
L'impatto ha rilasciato una quantità di energia pari a 10 volte quella del tritolo, 100 volte
più grande di quella generata quando la Cina
centrò con un missile uno dei suo satelliti nel
2007.
Lo spazio, per quanto vasto, non può contenere un numero eccessivo di frammenti in
regioni in cui orbitano molti satelliti la cui esistenza è messa a rischio dagli urti con proiettili iperveloci. La lista degli incidenti comincia
a essere impressionante. Negli ultimi vent'an-
ni sono avvenute almeno dieci collisioni importanti, che per lo più hanno danneggiato
satelliti inattivi. Infatti, grazie a un controllo
continuo, ai satelliti in funzione viene fatta
fare una sorta di slalom spaziale, per evitare i
frammenti più voluminosi. Di molte migliaia
di questi frammenti è continuamente controllata l'orbita, ma evidentemente qualcosa
è andato storto nel caso del satellite Iridium.
La densità di questa spazzatura spaziale non
è uniforme. Mostra un picco a 900 chilometri, altezza tipica delle orbite dei satelliti per
telecomunicazioni. Un secondo picco, un po'
meno marcato, è 1500 chilometri. Ma anche
la Stazione Spaziale Internazionale, che orbita a 300–400 chilometri con il suo prezioso
carico di astronauti, è esposta a questo pericolo, e viene fatta periodicamente spostare
dall'orbita, così come Hubble, l'osservatorio
spaziale Fermi e tutti i satelliti scientifici che
tipicamente operano a circa 500 chilometri
di quota.
La situazione potrebbe sfuggire di mano
da un momento all'altro: se infatti il numero di detriti spaziali è così alto da renderne
sufficientemente probabile l'urto con un satellite, la creazione di altri frammenti aumenterebbe la probabilità d'urto, e così via fino a
distruggere tutti i satelliti messi in orbita. È la
cosiddetta «sindrome di Kessler», una sorta
di reazione a catena ipotizzata nel 1991 da un
consulente della nasa, che – se attivata – di
fatto impedirebbe l'uso delle orbite basse intorno al nostro pianeta.
Che cosa si può fare per ovviare a questo
problema? Prima di tutto non aggravarlo, evitando in tutti i modi ulteriori collisioni, perfezionando lo slalom spaziale dei satelliti operativi. In secondo luogo mettendo in orbita
satelliti ecologici, in grado di rientrare nell'atmosfera ed essere distrutti una volta finita la
loro vita operativa. Terzo, proteggendo i satelliti con scudi in grado di fermare per lo meno
i frammenti più piccolo. Questi scudi sono
basati sul principio dei giubbotti antiproiettile, strati di materiali opportunamente scelti
per frammentare e assorbire i detriti spaziali.
Difficile invece è porre rimedio all'inquinamento già esistente. A causa dell'attrito con
i gas residui dell'alta atmosfera, i frammenti
tendono lentamente a scendere e bruciare
nell'atmosfera, ma il tempo necessario si misura in centinaia di migliaia di anni.
CONTATTI
www.robertobattiston.it
CONTATTI
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N.1 Anno I APRILE 2011
STORIA
Il big bang
di Galileo
Galilei
Piergiorgio Odifreddi
Professore ordinario di logica
all'Università di Torino e visiting
professor alla Cornell University
di Ithaca, New York.
PLANCK
OSSERVATORIO
23
Qualunque studente delle superiori cono- dal Sole dalla quale un corpo in caduta libera
sce il principio d'inerzia – un corpo permane arriva sull'orbita del pianeta con una velocità
nel suo stato di quiete o di moto rettilineo pari a quella orbitale, e di vedere se le distanuniforme, a meno che non intervenga una ze per i vari pianeti coincidono. La cosa non
forza esterna a modificare il suo strato – e è insensata, perché la velocità orbitale di un
sa che è una delle scoperte di Galileo. Pec- pianeta è tanto maggiore quanto più esso è
cato che non lo sapesse lui, che non ha mai vicino al Sole, e dunque quanto più a lungo
enunciato il principio in questa forma, ma esso cade ed accelera.
Nella quarta giornata dei Discorsi Galileo
se l'avesse fatto l'avrebbe enunciato così: ‘Un
corpo permane nel suo stato di quiete o di afferma di ‘aver una volta fatto il compiuto, ed
moto circolare uniforme, a meno che non in- anco trovatolo assai acconciamente rispontervenga una forza esterna a modificare il suo dere alle osservazioni’. Ma in una lettera a
stato’. Aggiungendo: ‘Un corpo non permane Richard Bentley del 25 febbraio 1692 Newton
nel suo stato di moto rettilineo, che si modifi- dimostrò che si sbagliava: ‘Non c'è un luogo
ca spontaneamente in uno stato di moto cir- comune dal quale, se si lasciano cadere tutti
i pianeti ed essi discendono con gravità unicolare uniforme’.
Lo prova, per esempio, questo brano del forme ed eguale, al loro arrivo nelle diverse
Dialogo (pagina 56 dell'edizione naziona- orbite essi acquisiscano le velocità con le
le): ‘Concludo per tanto, il solo movimento quali vi orbitano’. Per convincersene, basta
circolare poter naturalmente convenire a i ricordare che un corpo in caduta libera con
corpi integrali integranti l'universo e costruiti accelerazione uniforme di gravità g, al tempo
nell'ottima disposizione. Ed il retto, al più che t ha una velocità vt e ha percorso uno spazio
si possa dire, essere assegnato dalla natura ai gt²/2: eliminando t, lo spazio percorso è v²/2g.
suoi corpi e parti di essi, qualunque volta si Ma per la terza legge di Keplero, il quadrato
ritrovassero fuori de' luoghi loro, costituite in del periodo di rivoluzione di un pianeta in orprava disposizione, e però bisognose di ridur- bita circolare attorno al Sole è proporzionale
si per la più breve allo stato naturale. Di qui al cubo del raggio r: poiché il periodo è pari
mi par che assai ragionevolmente si possa alla circonferenza dell'orbita 2πr divisa per
concludere, che per mantenimento dell'ordi- la sua velocità, il quadrato di quest'ultima è
ne perfetto tra le parti del mondo bisogni dire pari a k/r per un'appropriata costante k. Dunche le mobili siano mobili solo circolarmente, que, un pianeta che parta da una distanza
e se alcune ve ne sono che circolarmente non r+(k/2gr) arriva in caduta libera sull'orbita
si muovano, queste di necessità siano immo- con la corretta velocità qualunque sia g, e due
bili, non essendo altro, salvo che la quiete pianeti possono arrivarci dallo stesso punto
e 'l moto circolare, atto alla conservazione solo se g è uguale al doppio prodotto dei raggi
delle loro orbite diviso per k.
dell'ordine’.
Ma non c'è nessun punto da cui tre o più
Non stupisce che, con queste premesse,
Galileo abbia cercato, sulla base di un mito pianeti con orbite diverse ci arrivino, con
da lui attribuito al Timeo, di identificare il buona pace di Galileo e del divino Architetto.
Galileo ha lasciato il nome generico di
punto di origine come di tutti i moti planetari,
che costituisce un analogo dell'orizzonte del «mari» alla macchie che si vedono sulla Luna
nostro big bang. Il problema è così enuncia- ma non riuscì a imporre ai satelliti di Giove
to nel Dialogo (pagina 53): ‘Figuriamoci, tra i che aveva scoperto il nome di Stelle Medicee,
decreti del divino Architetto essere stato pen- operazione certamente un po’ cortigiana ma
siero di crear nel mondo questi globi, che noi ben comprensibile in quei tempi. Fu il suo
veggiamo continuamente muoversi in giro, nemico e rivale Simon Mayr a battezzarli
ed aver stabilito il centro delle lor conversioni (e anche a contendergli disonestamente la
ed in esso collocato il Sole immobile, ed aver scoperta). In modo simile, William Herschel
poi fabbricati tutti i detti globi del medesimo dovette subire il nome di Urano per il pianeta
luogo, e di lì datali inclinazione di muoversi, da lui scoperto nel 1781, che avrebbe voluto
discendendo verso il centro, sin che acqui- dedicare al re d’Inghilterra, suo mecenastassero quei gradi di velocità che pareva alla te, chiamandolo Georgium Sidus. Giovanni
medesima mente Divina, li quali acquistati, Schiaparelli ebbe invece la soddisfazione di
fossero volti in giro, ciascheduno nel suo cer- vedere universalmente accettata la sua nochio, mantenendo la già concepita velocità: menclatura della superficie di Marte, anche
si cerca in qual altezza e lontananza dal Sole nei casi in cui aveva visto strutture geologiche
era il luogo dove primamente furono essi inesistenti.
globi creati, e se può esser che la creazione
di tutti fosse stata nell'istesso luogo’. Si tratta CONTATTI
di calcolare, per ciascun pianeta, la distanza www.piergiorgioodifreddi.it
N.1 Anno I Aprile 2011
NOTIZIARIO
25
PLANCK
SCOPERTE
VLT scopre l'oggetto più
antico e lontano mai
osservato dell'universo
32
INTERVISTE
Plato, ben trentadue occhi
daranno la caccia ai nuovi
sistemi solari
39
PIANETI
Su Marte, rinvenute
le tracce di antichi laghi
e corsi d'acqua
40
STORIA
Dopo sei secoli la Chiesa
polacca concederà la
sepoltura a Copernico
46
STRUMENTI
VISTA, il nuovo
telescopio
d'avanguardia
inizia i lavori
59
ESO / V V V
26
PLANCK
NOTIZIARIO
N.1 Anno I APRILE 2011
RIC ERC A
MIS SIONI
FERRARA STUDIA L'UNIVERSO.
UNA NUOVA SCOPERTA
SUI BUCHI NERI
ADDIO BEPPOSAX,
L'OCCHIO ITALIANO
NELLO SPAZIO
Pubblicata una ricerca del professor
Frontera: ‘Misurando il fondo cosmico
di radiazione possiamo capire come
e quando è nato l'universo.’
Verrà spento a breve BeppoSAX,
il satellite ASI/CNR che ha esplorato
il cosmo per sei anni. Nonostante
l'eccellente bilancio finale della
missione, l'osservatorio muore
per vecchiaia senza lasciare eredi.
Ferrara · Hanno una massa milioni o miliardi
di volte superiore a quella del Sole, sono
dotati di un'attrazione gravitazionale
talmente elevata da non permettere
l'allontanamento di alcunché dalla loro
superficie e si pensa che molte, se non tutte
le galassie, ne ospitino uno nel loro centro.
Si tratta dei buchi neri supermassicci, il
cui studio rappresenta una delle sfide
dell'astrofisica degli ultimi anni.
Alla misura della quantità di materia
nell'universo racchiusa nei buchi neri
supermassicci e della loro densità ha dato
un importante contributo l'équipe di ricerca
guidata da Filippo Frontera, ordinario di
Fisica Generale alla Facoltà di Ingegneria
dell'Università di Ferrara, già autore
di importanti scoperte nel campo
dell'astrofisica.
Ancora in corso di stampa – verrà
pubblicato sulla rivista americana The
Astrophysical Journal – la ricerca guidata dal
professor Frontera è stata citata lo scorso
2 luglio su una delle riviste più prestigiose
del mondo scientifico, Nature Physics. Per
compiere lo studio, i ricercatori hanno
utilizzato tutte le osservazioni del fondo
cosmico in raggi X ottenute dal 1996 al 2002
con lo strumento di alta energia Pds, di
cui Frontera era responsabile, a bordo del
satellite italiano BeppoSax, uno dei satelliti
che hanno fatto la storia dell'astrofisica
moderna. ‘Grazie a questo strumento di alta
energia – spiega Frontera – siamo riusciti
ad avere dati sul fondo cosmico in raggi X
altrimenti difficili da ottenere, soprattutto
per i buchi neri avvolti da gas e polvere’.
‘Il fondo cosmico in raggi X, scoperto 45
anni fa, è un'intensa radiazione proveniente
da tutte le direzioni del cielo’, prosegue
Frontera. Uno dei temi più affascinanti
dell'astrofisica degli ultimi anni, come
la più nota radiazione cosmica di fondo
ritenuta essere il residuo termico del
big bang, il fondo cosmico in raggi X
sembra essere originato dal contributo
integrato dell'emissione di tutte le galassie
dell'universo, note come AGN (Nuclei Attivi
di Galassie), che possiedono al loro interno
buchi neri supermassicci (massa maggiore
di 100 milioni di masse solari).
‘Il fondo cosmico di raggi
x sembra essere originato
dal contributo integrato
dell'emissione di tutte
le galassie dell'universo.’
Filippo Frontera
Per una comprensione quantitativa della
reale origine del fondo cosmico in raggi X,
e quindi per stabilire la densità di buchi neri
supermassicci, è assolutamente necessario
conoscere il valore assoluto dell'intensità
di questo fondo, specie nella banda in
cui viene principalmente emessa tale
radiazione. I risultati ottenuti dal gruppo
di Frontera forniscono un valore del fondo
molto preciso, consistente con quello
ottenuto negli anni ottanta, e inconsistente
con le ultime misure eseguite.
Un altro risultato di rilievo da aggiungere
quindi alla scoperta dell'origine dei lampi
gamma anch'essa ottenuta con la missione
BeppoSAX.
Roma · Ne ha viste di tutti i colori: stelle,
galassie, comete, quasar, pulsar e buchi neri.
In sei anni di gloriosa attività, BeppoSAX,
il satellite italiano realizzato dall'Agenzia
Spaziale Italiana (ASI) e gestito
scientificamente dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche (CNR), ha tenuto alto l'onore
della fisica e dell'astronomia nazionali
con scoperte che resteranno nella storia di
queste discipline. Dal 30 aprile 2002, però,
i suoi telescopi si oscureranno e su di lui
calerà il gelo spaziale dalle ore 6.30 italiane.
A mandare in pensione BeppoSAX una
serie di acciacchi tra cui l'abbassamento
dell'orbita e il malfunzionamento di
una batteria di bordo che, tuttavia, non
ne hanno mai compromesso il valore
scientifico, visto che fino all'ultimo minuto
ha continuato a registrare lampi gamma.
Lanciato nel 1996, il satellite italiano
sarebbe dovuto restare in orbita per soli
due anni. Ma la straordinaria efficienza e
versatilità gli hanno permesso di prolungare
le operazioni sino ad oggi: ‘BeppoSAX
– spiegano Luigi Piro e Giangiacomo
Gandolfi, ricercatori dell'Istituto di
Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica del
CNR (IASF) – ha scritto pagine importanti
dell'astrofisica delle alte energie, svelando
l'universo violento dei raggi X e gamma e,
in particolare, il mistero dei lampi gamma,
che da trent'anni dava filo da torcere agli
scienziati’. BeppoSAX vanta un curriculum
di 30 mila orbite, 65 milioni di secondi di
osservazione, 57 lampi gamma localizzati,
circa mille pubblicazioni sui giornali
scientifici di tutto il mondo e il prestigioso
Bruno Rossi Prize del 1998, che rappresenta
un po' il Nobel dell'astrofisica.
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
27
S T UDI
SCENDE LA LUCE
SUI GAMMA RAY
BURST OSCURI
I lampi di raggi gamma sono tra gli
eventi più energetici dell'universo,
ma alcuni sembrano stranamente
deboli se osservati nella banda del
visibile. Il più grande studio effettuato
fino ad oggi di questi lampi di raggi
gamma oscuri ha scoperto che
queste esplosioni non hanno
niente di esotico.
Garching, Germania · I lampi di raggi
gamma (GRB), eventi fugaci che durano
da meno di un secondo a diversi minuti,
sono rivelati da osservatori in orbita che
possono raccogliere la loro radiazione di
alta energia. Tredici anni fa, tuttavia, gli
astronomi scoprirono un’emissione di
radiazione ad energie più basse e di più
lunga durata proveniente da queste violente
esplosioni. Tale emissione può durare per
settimane o anche anni dopo l'esplosione
iniziale: viene chiamata afterglow dagli
Astronomi. Mentre tutti i lampi di raggi
gamma¹ hanno afterglow che emettono
raggi X, solo la metà di essi è stata osservata
1. I lampi di raggi gamma che durano
più di due secondi sono indicati
come lunghi e quelli con una durata
inferiore sono chiamati brevi. Quelli
lunghi, che sono stati osservati in
questo studio, sono associati con
le esplosioni di supernova di stelle
giovani massicce in galassie in cui
è presente un’intensa formazione
stellare. Quelli brevi invece non sono
ancora ben spiegati, ma si pensa
che provengano dalla fusione
di due oggetti compatti come
le stelle di neutroni.
irradiare luce visibile, mentre la frazione
rimanente è ancora misteriosamente
oscura. Alcuni astronomi sospettavano che
questi afterglow oscuri potessero essere
esempi di una nuova classe di lampi di
raggi gamma, mentre altri ritenevano si
trovassero a distanze molto grandi. Studi
precedenti avevano suggerito anche che la
polvere cosmica interposta tra la sorgente e
noi oscurasse l’esplosione e questo spiega
perché questi eventi siano così fiochi.
‘Studiare gli afterglow è di vitale importanza
per migliorare la nostra comprensione
degli oggetti che producono lampi di raggi
gamma ma anche per quanto ci spiegano
della formazione stellare nell'universo
primordiale’, dice l'autore principale dello
studio Jochen Greiner, dell’Istituto MaxPlanck Institute for Extraterrestrial Physics
di Garching, Germania.
La NASA ha lanciato il satellite Swift
alla fine del 2004. Dalla sua orbita sopra
l'atmosfera terrestre è in grado di rivelare
i lampi di raggi gamma e comunicare
immediatamente la loro posizione agli altri
osservatori in modo che l'afterglow possa
essere studiato. In questo nuovo studio,
gli astronomi hanno combinato i dati di
Swift con nuove osservazioni effettuate
con GROND – uno strumento dedicato
all’osservazione degli afterglow dei gammaray burst, installato al telescopio MPG di 2,2
metri dell'ESO a La Silla in Cile. In tal modo,
gli astronomi hanno definitivamente risolto
l’enigma dell’afterglow ottico mancante.
Ciò che rende GROND veramente utile²
per lo studio degli afterglow è il tempo
di risposta estremamente veloce – può
2. Il Gamma-Ray Optical and Near
Infrared Detector (GROND) è stato
progettato e realizzato presso
il Max-Planck Institute for
Extraterrestrial Physics insieme
all'Osservatorio Karl Schwarzschild
di Tautenburg, ed è pienamente
operativo dal mese di agosto 2007.
osservare un’esplosione pochi minuti
dopo la segnalazione proveniente da Swift
grazie ad un sistema speciale chiamato
Rapid Response Mode – e la sua capacità
di osservare contemporaneamente in sette
bande diverse, che vanno dalla banda
visibile a quella del vicino infrarosso.
Combinando i dati GROND ottenuti in
queste sette bande alle osservazioni di
Swift, gli astronomi hanno determinato
con precisione la quantità di luce emessa
dall’afterglow a molte diverse lunghezze
d'onda, dai raggi X al vicino infrarosso.
Gli astronomi hanno utilizzato queste
informazioni per misurare direttamente
la quantità di polvere che luce assorbono
la radiazione durante la sua rotta verso la
Terra. In precedenza, gli astronomi avevano
potuto solo stimare approssimativamente
la quantità di polvere.Il team ha utilizzato
una serie di dati, comprese le misurazioni
proprietarie effettuate con GROND, oltre alle
osservazioni fatte da altri telescopi di grandi
dimensioni tra cui il Very Large Telescope
dell’ESO, per stimare le distanze di quasi
tutte le esplosioni tra quelle selezionate.
Se una percentuale significativa di
esplosioni risulta più debole, circa il
60-80% dell’intensità originale, a causa
dell’oscuramento dovuto alla polvere,
questo fenomeno è decisamente più
significativo per le esplosioni molto
distanti, per le quali solo il 30-50% della
luce originale raggiunge l'osservatore.³ Gli
3. Poiché l’afterglow delle esplosioni
molto distanti risulta spostato verso
il rosso per effetto dell’espansione
dell'universo, la luce che ha lasciato
l'oggetto era originariamente più
blu di quella che si registra quando
arriva sulla Terra. Poiché l’effetto di
riduzione dell'intensità della luce
dovuto alla polvere è maggiore nella
banda blu e ultravioletta che in quella
rossa, questo significa che l'effetto
di oscuramento globale dovuto alle
polveri è maggiore per le esplosioni
più distanti. Questo è il motivo per
cui la capacità di GROND di osservare
la radiazione anche nella banda
del vicino infrarosso lo rende così
sensibile.
astronomi concludono che i lampi di raggi
gamma oscuri sono quindi semplicemente
quelli avuto per cui la piccola quantità di
luce visibile emessa viene completamente
assorbita dalla polvere cosmica prima
che di raggiungerci. ‘Rispetto a molti
strumenti per installati sui grandi telescopi,
GROND è uno strumento a basso costo e
relativamente semplice, che però è stato in
grado di risolvere definitivamente il mistero
che circonda i lampi di raggi gamma oscuri’,
conclude Jochen Greiner. Le aspettative
erano alte e sono state rispettate. Nuove
sfide attendono ora il telescopio, pronto
per essere rimesso all'opera.
28
NOTIZIARIO
ESO / IGOR CHEKALIN
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
29
ASTRONOMIA
ANCORA SORPRESE
DALLA NEBULOSA
DI ORIONE
Questa nuova immagine eterea della
Nebulosa di Orione è stata catturata
dal Wide Field Imager montato ul
telescopio da 2.2 metri dell’MPG/ESO
che si trova all’osservatorio di La Silla.
La Silla, Cile · La Nebulosa di Orione, nota
La nuova immagine della
Nebulosa di Orione
catturata dal Wide Field
Imager montato
sull'osservatorio ESO
di La Silla, in Cile.
anche come Messier 42, è uno dei corpi
celesti più facilmente riconoscibili e studiati
in modo più approfondito. Si tratta di un
enorme complesso di gas e polveri, il più
vicino alla Terra del suo genere, in cui si
formano stelle massicce. Il gas illuminato
è così brillante da essere visibile persino a
occhio nudo; diventa invece un’affascinante
visione per mezzo di un telescopio.
Nonostante la sua vicinanza e familiarità,
c’è ancora molto da studiare su questa
incubatrice stellare. Per esempio, solo nel
2007 è stato dimostrato che la nebulosa è
più vicina di quanto fino ad allora creduto:
1350 anni luce anziché 1500.
Per osservare le stelle in Messier 42 gli
astronomi hanno utilizzato il Wide Field
Imager posto sul telescopio da 2.2 metri
dell’MPG/ESO all’osservatorio di La Silla,
Cile. Hanno scoperto che le deboli nane
rosse nell’ammasso stellare associato alla
radiazione ionizzante emettono molta
più luce di quanto finora previsto. Questi
studi permettono di meglio conoscere
quest’oggetto famoso e le stelle in esso
ospitate. I dati raccolti per questo progetto,
che sicuramente non aveva tra i suoi scopi
quello di produrre una bella immagine
a colori, sono stati riutilizzati per creare
l’immagine così riccamente descrittiva qui
mostrata.
L’immagine è un composito di diverse
esposizioni prese con cinque filtri differenti.
La luce che ha attraversato un filtro rosso,
così come quella ricavata dal filtro che
mostra l’emissione dell’idrogeno, è stata
colorata di rosso. La luce della parte giallo/
verde dello spettro è stata colorata di verde,
mentre la luce blu è stata colorata di blu;
infine la luce ottenuta con un filtro UV è
stata colorata di viola.
SCOPERTE
VLT SCOPRE L'OGGETTO
PIÙ ANTICO E LONTANO
DI TUTTO L'UNIVERSO
Il grande telescopio cileno annuncia
di aver captato lo scintillio seguito
ad un'esplosione avvenuta circa 13
miliardi di anni fa. Si tratta del raggio
gamma più distante mai rilevato.
Cerro Paranal, Cile · Il getto di raggi gamma,
battezzato GRB 090423, è stato rilevato
per una durata di dieci secondi giovedì 23
aprile nella costellazione del Leone, poi
osservato sui telescopi cileni di La Silla e
del Paranal, gestiti dall'Organizzazione
Europea per la Ricerca Astronomica
nell'Emisfero Australe.
Le osservazioni nelle 17 ore seguenti
hanno permesso agli astronomi di misurare
lo stiramento della luce nell'universo in
espansione, dunque a risalire nel tempo, ha
spiegato l'astronomo britannico Nial Tanvir,
membro dell'équipe internazionale del Vlt.
‘L'esplosione si è prodotta più di 13
miliardi di anni fa, quando l'universo aveva
il 5% della sua età, cioè 600 milioni di anni
dopo il big bang’, ha riferito l'Eso. Questo
ne fa ‘il raggio gamma più distante mai
rilevato, ma anche l'oggetto più antico
mai scoperto’, ha commentato Tanvir. Il
precedente record era quello di un raggio
gamma proveniente dall'esplosione di
una stella circa 200 milioni di anni dopo
a quella di GRB090423, avvistata nel 2008
dal satellite americano Swift e osservata
anch'essa dal Vlt del monte Paranal.
ON-LINE
www.gemini.edu/furthestgrb
GEMINI OBSERVATORY / NSF / AURA, D. FOX & A. CUCCHIARA (PENN STATE UNIVERSITY), & E. BERGER (HARVARD UNIVERSITY)
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
NOTIZIARIO
31
ORG A NI Z Z A Z IONI
MIS SIONI
IL BRASILE IN PROCINTO DI ENTRARE
A FAR PARTE DELL'OSSERVATORIO
EUROPEO MERIDIONALE
INIZIA IL CONTO
ALLA ROVESCIA
PER NESPOLI,
L'ASTRONAUTA
ITALIANO
La Repubblica Federativa del Brasile ha firmato l'accordo
formale di adesione per diventare uno Stato membro
della European Southern Observatory . A seguito della
ratifica parlamentare il Brasile diventerà il quindicesimo
Stato membro e il primo extraeuropeo.
L'appuntamento con l'accensione
dei motori è per il 15 dicembre, alle
20.09 italiane per il lancio in diretta
web di MagISStra, missione numero
ventisette alla Stazione Internazionale.
Brasilia · Il 29 dicembre 2010, con una
Köln, Germania · A bordo della capsula russa
cerimonia a Brasilia, il ministro brasiliano
di Stato per la Scienza e la Tecnologia,
Sergio Machado Rezende e il direttore
generale dell'ESO, Tim de Zeeuw hanno
firmato l'accordo di adesione formale al
fine di rendere il Brasile uno Stato membro
dello European Southern Observatory.
Il Brasile diventerà quindi a tutti gli
effetti il quindicesimo Stato membro, ed
il primo al di fuori dell'Europa. Dato che
con l'accordo si intende l'adesione ad
una convenzione internazionale, questo
deve essere ora sottoposto al Parlamento
brasiliano per la ratifica ufficiale.* La firma
* Dopo la ratifica di adesione del
Brasile, gli Stati membri ESO saranno
Austria, Belgio, Brasile, Repubblica
Ceca, Danimarca, Francia, Finlandia,
Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna,
Svezia, Svizzera, Portogallo, e Regno
Unito.
dell’accordo fa seguito all'approvazione
unanime da parte del Consiglio dell’ESO
avvenuta nel corso di una riunione
straordinaria svoltasi il 21 dicembre 2010.
‘Partecipare all’ESO darà nuovo impulso
allo sviluppo della scienza, della tecnologia
e dell'innovazione in Brasile, in coerenza
con gli sforzi considerevoli che il nostro
governo sta facendo per mantenere il paese
tra i più avanzati in questi settori strategici’,
ha dichiarato Rezende. L'European
Southern Observatory ha una lunga storia
di partnership con il Sud America, da
quando il Cile è stato selezionato come
il miglior sito per i suoi osservatori nel
1963. Fino ad ora, tuttavia, nessun paese
non europeo ha aderito all’ESO in qualità
di Stato membro. ‘L'adesione del Brasile
darà alla vivace comunità brasiliana
astronomica pieno accesso agli osservatorio
più produttivi del mondo e creerà
opportunità per l’industria brasiliana ad
alta tecnologia, contribuendo al progetto
europeo Extremely Large Telescope. Ne
deriveranno nuove risorse e competenze
per l'organizzazione e, al momento giusto,
per il Brasile fornendo un importante
contributo a questo entusiasmante progetto’
– ha aggiunto il direttore generale dell'ESO,
Tim de Zeeuw. La fase di progettazione
del telescopio European Extremely Large
Telescope (E-ELT) è stata recentemente
completata. È stata condotta una profonda
verifica del progetto stesso in quanto ogni
suo aspetto è stato esaminato da una giuria
internazionale di esperti indipendenti.
Il panel ha rilevato che il progetto E-ELT
è tecnicamente pronto per entrare nella
fase di costruzione. Il via libera per la
costruzione di E-ELT è prevista per il 2011
e quando le operazioni di avvio avranno
inizio nel prossimo decennio, astronomi
europei, brasiliani e cileni avranno accesso
a questo telescopio gigante.
Laurent Vigroux, il Presidente del
Consiglio dell'ESO, ha concluso: ‘Gli
astronomi in Brasile potranno collaborare
finalmente con i loro colleghi europei e,
naturalmente, potranno avere disponibilità
di utilizzo degli osservatori di livello
mondiale dell'ESO situati nelle località
montane di La Silla e Mount Paranal,
la cui altezza garantisce un ottimo punto
di osservazione’.
ON-LINE
www.eso.org/public/italy/news/eso1050
si stringe letteralmente la Expedition 27,
composta dall'astronauta americana Cady
Coleman, dal comandante russo Dmitry
Kondratiev e dall'italiano dell'Agenzia
Spaziale Europea (Esa) Paolo Nespoli, che
ritorna nello spazio per una missione di
lunga durata che non ha precedenti nella
storia spaziale italiana. Ci vorranno solo
8 minuti e 48 secondi e tre accelerazioni
con un picco di 3,5 w per compiere il
viaggio dalla steppa all'orbita, dove il terzo
stadio del razzo russo sgancerà la Soyuz. La
navicella russa, quarta versione del modello
lanciato per la prima volta nel 1967, è con
oltre cento missioni il veicolo spaziale più
economico e affidabile al mondo. Lungo
complessivamente poco più di 7 metri è
composto da un modulo orbitale, da uno
di servizio e naturalmente dal modulo di
rientro.
Durante la sua permanenza di quasi sei
mesi nello spazio, Paolo Nespoli, svolgerà
più di trenta esperimenti in sei campi
di ricerca nell'ambito del programma
scientifico Europeo con uno sguardo
particolare agli studi sulla fisiologia
umana, preludio indispensabile ai viaggi
interplanetari del prossimo futuro.
Nespoli, 53enne originario di Verano
Brianza con un passato da incursore
che l'ha portato anche a partecipare
alla missione in Libano al comando
del generale Angioni, come la collega
americana Coleman, sarà anche la cavia
consapevole di una serie di misurazioni in
campo neuroscientifico, cardiovascolare,
metabolico e nella valutazione della forma
fisica.
ON-LINE
www.esa.int/specials/magisstra
32
NOTIZIARIO
PLANCK
ASTRONOMIA
MESSIER 107
UN AMMASSO GLOBULARE DISTANTE
21 MILA ANNI LUCE DALLA TERRA
Conosciamo circa 150 ammassi
globulari, ossia raggruppamenti
di vecchie stelle che orbitano nella
nostra galassia. Questa nuova nitida
immagine di Messier 10 ci mostra
nel dettaglio la struttura di uno
di questi ammassi globulari.
La Silla, Cile · L’ammasso globulare Messier
107, noto anche come NGC 6171, è un’antica
e compatta famiglia di stelle posta a circa
21 mila anni luce di distanza. Messier 107 è
come una frenetica metropoli: in ammassi
globulari come questo, migliaia di stelle
sono concentrate in uno spazio che è solo
una ventina di volte la distanza tra il nostro
Sole e la sua stella più prossima, Alpha
Centauri.
Un numero significativo di queste stelle
si sono già trasformate in giganti rosse, una
delle ultime fasi della vita di una stella,
e, in questa immagine, hanno un colore
giallastro. Gli ammassi globulari sono tra
i più antichi oggetti dell’universo. E dal
momento che le stelle all’interno di un
ammasso globulare si sono formate dalla
stessa nuvola di materia interstellare e più
o meno allo stesso tempo – tipicamente
oltre 10 miliardi di anni fa – sono tutte
stelle di piccola massa e, per questa loro
caratteristica, bruciano il loro combustibile
di idrogeno molto più lentamente delle
stelle di grande massa.
Gli ammassi globulari si sono generati
nella prima fase di formazione delle loro
galassie ospiti e, pertanto, lo studio di
questi oggetti può fornire spunti importanti
su come le galassie e le stelle che le
compongono si evolvono. Messier 107 è
stato oggetto di osservazioni intensive,
essendo uno dei 160 campi stellari
selezionati per il Pre-FLAMES Survey,
un’indagine preliminare condotta tra il
1999 e il 2002 utilizzando il telescopio di
2,2 metri dell'ESO di La Silla in Cile, per
trovare stelle adatte per osservazioni
spettroscopiche con FLAMES. Utilizzando
FLAMES è possibile osservare fino a 130
obiettivi contemporaneamente, il che
lo rende particolarmente adatto per lo
studio spettroscopico di campi stellari
densamente popolati, come gli ammassi
globulari.
M107 può facilmente essere osservato da
un sito buio con un binocolo o un piccolo
telescopio. L’ammasso globulare ha un
diametro di circa 80 anni luce, e si trova
nella costellazione di Ofiuco, a nord delle
tenaglie dello Scorpione.
Circa la metà degli ammassi globulari
della Via Lattea si trovano nelle
costellazioni del Sagittario, Scorpione e
Ofiuco, in direzione del centro della Via
Lattea. Questo perché possiedono orbite
allungate intorno alla regione centrale
e quindi hanno in media maggiori
probabilità di essere osservati in questa
direzione. Messier 107 è stato scoperto
da Pierre Méchain* nel 1782 e fu aggiunto
* Pierre François André Méchain,
astronomo e geodeta francese.
Prese parte dal 1792 al 1798 alla
triangolazione lungo il meridiano
di Parigi fino a Barcellona, promossa
dall'Assemblea Costituente con
il principale scopo di fissare l'unità
metrica di misura. Méchain scoprì
inoltre la cometa 8P/Tuttle il 9
gennaio 1790. La cometa C/1785 E1,
invece, fu coscoperta insieme
a Charles Messier.
alla lista dei sette Oggetti Aggiuntivi di
Messier, originariamente non inclusi nella
versione finale del catalogo di Messier,
pubblicato l’anno precedente. Il 12 maggio
1793, fu riscoperto in maniera indipendente
da William Herschel, che per la prima
volta riuscì a risolvere le stelle di questo
ammasso globulare. Ma fu solo nel 1947 che
questo ammasso globulare ebbe finalmente
il suo posto nel catalogo di Messier come
M107, il che lo rende l’ammasso stellare più
recentemente aggiunto a questa lista.
ON-LINE
www.eso.org/news/1047
L'ammasso globulare
Messier 107, conosciuto
anche come NGC 6171,
si trova a circa 21 mila
luce di distanza nella
costellazione di Ofiuco.
Come è tipico degli
ammassi globulari, una
popolazione di migliaia
di stelle vecchie in Messier
107 sono densamente
concentrate in un volume
che è solo una ventina
di volte la distanza tra
il nostro Sole e il suo
più prossimo ammasso
stellare, Alpha Centauri.
ESO / ESO IMAGING SURVEY
ESA
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
NOTIZIARIO
35
IN T ER V IS T E
IL LUNGO VIAGGIO NEL TEMPO
DEL SATELLITE PLANCK
STA PER INIZIARE
Il satellite osserverà la prima
luce rilasciata nello spazio circa
14 miliardi di anni fa, il fondo
cosmico di microonde, quando
l'età del cosmo era meno
dello 0,003% di quella attuale.
Intervista a cura di
Giulia Chiari
Milano · Ogni cosa è luminosa. E la luce
che viene emanata dai corpi, terrestri
o celesti che siano, porta informazioni
sulla loro composizione e struttura. Ma
anche sulla loro evoluzione. Infatti, la luce
impiega del tempo a raggiungere l’occhio
o il telescopio dell’osservatore e quando
arriva a destinazione regala un’istantanea
del passato. Per esempio, la luce del Sole
viaggia 8 minuti prima di approdare sulla
Terra, perciò noi vediamo il Sole in ritardo
di 8 minuti, facendo così un piccolo salto
indietro nel tempo. Per le galassie più
distanti il ritardo si misura in miliardi di
anni. Dunque, osservando a grandi distanze
possiamo risalire nel tempo e nello spazio
andando a ritroso, in un viaggio vertiginoso.
Avvicinandoci addirittura a quell’istante
che ha marcato l’origine dell’universo. E
poi della vita. Fino al momento in cui tutto
è iniziato. Non si tratta di fantascienza,
bensì di cosmologia. Di una storia dal
finale conosciuto, ma dall’inizio ancora
da scrivere e che a tempi viene raccontata
come fosse poesia da un numero uno nel
campo della fisica del nostro paese.
Marco Bersanelli, docente di astrofisica
all’Università degli studi di Milano e
collaboratore dell’Istituto Nazionale di
Astrofisica, è in procinto di partire alla volta
di Kourou, nella Guyana Francese, dove
assisterà al lancio della missione spaziale
Planck Surveyor. Obiettivo: indagare
a lato Il satellite Planck durante i test
che precedono la messa in orbita.
l’origine dell’universo. Un sogno vecchio
quanto la storia dell’uomo. E un’ambizione
che dura da 17 anni, da quando ‘lavoravo
in California con George Smoot, Nobel per
la fisica nel 2006’, ricorda Bersanelli. ‘Era il
1992 quando il satellite Cobe per la prima
volta ci ha raccontato qualcosa di inedito
sull’origine dell’universo in cui viviamo’.
Cosa è Planck e che cosa ci farà vedere?
Marco Bersanelli ‘Planck è la prima
missione dell’Esa, l’Agenzia spaziale
europea, dedicata allo studio del fondo
cosmico di microonde, la prima luce
dell’universo. Planck è un telescopio
spaziale che osserverà il fondo dell’universo,
l’ultimo confine osservabile dello spaziotempo. Grazie a ricettori di nuovissima
generazione capaci di cogliere segnali
debolissimi a lunghezze d’onda di
qualche millimetro, Planck fotograferà gli
embrioni delle galassie, prima che queste
prendessero forma, e ci darà un’immagine
ad alta risoluzione di come era l’universo
14 miliardi di anni fa. Per la precisione
380 mila anni dopo il big bang, che in
cosmologia è un niente. Come fosse il
primo vagito del cosmo.’
Come è possibile tutto questo?
MB ‘L’universo inizialmente è molto denso
e caldo, tanto che la luce primordiale è
intrappolata. Ma lo spazio si espande e si
raffredda. Dopo 380 mila anni, quando la
temperatura scende sotto i tremila gradi,
protoni ed elettroni si uniscono a formare
per la prima volta gli atomi e in quel
momento quasi d’improvviso l’universo
diventa trasparente. Insomma la luce si
libera dalla materia e inizia il suo viaggio.
Planck studierà l’universo appena nato con
una precisione senza precedenti.’
L'importanza del fondo cosmico
ha un ruolo centrale per la missione.
MB ‘Misurando le sue caratteristiche
possiamo conoscere non solo la
composizione e la struttura dell’universo
delle origini, ma anche la sua storia, la sua
evoluzione. Indagare cosa è successo in
quel mare incandescente e primordiale,
dove tutto prendeva pian piano forma, ci
permette di dedurre i parametri in cui
inquadrare la storia cosmica, conoscerne
gli ingredienti, studiarne la geometria e
l’espansione. E potremo anche verificare
le teorie, fino ad oggi poco più che
speculazioni teoriche, che cercano
di descrivere che cosa accadde nelle
primissime frazioni di secondo dopo
l’inizio.’
Un progetto tutto europeo in cui l’Italia
riveste un ruolo da protagonista.
M B ‘L’équipe italiana, in particolare i
gruppi di Bologna e Milano, hanno guidato
lo sviluppo di uno dei due occhi di Planck.
Ossia di uno dei due strumenti focali, quello
che vede le lunghezza d’onda più grandi,
e che insieme permettono di produrre
l’immagine del fondo cosmico. Inoltre, i
due centri di raccolta dati saranno a Trieste
e a Parigi, essendo la Francia l’altro paese
leader della missione.’
C’è un collegamento con l’acceleratore
Lhc del Cern di Ginevra, che secondo
i giornali avrebbe dovuto portare
alla fine del mondo?
M B ‘Ah! La storia del buco nero (sorride,
ndr). Certo, perché mentre Planck ci
mostra una diretta del passato remoto,
l’acceleratore Lhc riproduce in laboratorio
le condizioni di quel passato di 14 miliardi
di anni fa.’
Planck e la materia oscura.
M B ‘La materia oscura è una delle
grandi questioni aperte che riguardano
la composizione dell’universo. Noi infatti,
ad oggi, conosciamo solo il 4% della
materia e dell’energia che compongono
l’universo. Rimane dunque un punto di
domanda che pesa quanto il restante 96%,
36
NOTIZIARIO
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
I TA LI A
L'ASI PRESENTA
IL NUOVO PIANO
DA 7 MILIARDI
IN DIECI ANNI
con un 26% composto proprio da questa
materia oscura, che non vediamo, ma
la cui presenza registriamo attraverso i
suoi effetti gravitazionali. Più che oscura,
dovremmo chiamarla invisibile o cristallina
(se fosse veramente oscura la vedremmo
benissimo), tanto che crediamo si tratti di
una forma di materia totalmente diversa
da quelle che conosciamo. Il restante 70%
sarebbe composto, invece, di una forma di
energia ancora più misteriosa, dark energy,
responsabile dell’espansione accelerata
dell’universo. Con Planck abbiamo
l’ambizione di redigere un censimento
estremamente dettagliato degli ingredienti
dell’universo.’
Come è possibile conciliare il desiderio
di raggiungere vette inesplorate con un
umile realismo?
M B ‘Effettivamente è un paradosso. Se
dimensioni spazio-temporali così vaste da
sfuggire alla nostra immaginazione sono
un segno che invita all’umiltà, il fatto di
poter comprendere anche solo una parte
di tutto questo tenta l’orgoglio, l’ambizione
di potere. Ma a ben vedere anche questa
capacità di ‘leggere il libro della Natura’,
come diceva Galileo, non è qualcosa che
ci diamo noi. Nel rapporto dell’uomo
con l’universo, secondo me, emerge la
consapevolezza della nostra piccolezza e
sproporzione, e anche del fatto che ciò che
ci è dato conoscere è quasi un lusso, perché,
come per l’arte o la poesia, noi potremmo
sopravvivere anche senza. Eppure ci viene
offerta una possibilità di conoscenza che
non possiamo che accogliere come un
regalo e una sorpresa allo stesso tempo.
Con la commozione di essere partecipi di
un dramma cosmico. Ai miei studenti cerco
di insegnare l’astrofisica e attraverso questo
spero che si accorgano della bellezza del
mondo. E che sappiano porsi domande. È
questo ciò che ho imparato dai miei maestri,
primo fra tutti George Smoot, e tanti altri
anche qui in Italia. Sono anche molto grato
ai giovani ricercatori con cui collaboro
da cui imparo moltissimo. Più si procede
nella ricerca e più ci si rende conto di
quanto la nostra conoscenza sia limitata e
imperfetta. Col passare del tempo cresce la
coscienza della nostra ignoranza, ma cresce
anche l’ammirazione per quel poco che si
comprende.’
Enrico Saggese, presidente dell'ASI
(Agenzia Spaziale Italiana) illustra
il nuovo piano economico decennale
recentemente approvato dal Governo
e dal Ministero dell'Istruzione,
Università e Ricerca.
che pagano le tasse a sovvenzionarci,
talvolta banalizzando i contenuti pur di
risultare vendibili. Questa divulgazione
strumentale a me non interessa. Il nocciolo
della questione non riguarda infatti la
divulgazione in sé, quanto piuttosto la
mancanza dell’idea di popolo.
Gli scienziati si concepiscono soli, non
mandati da nessuno. Invece divulgare
significa andare al cuore di ciò che muove
l’interesse di chi ricerca, perché lì ci sarà
qualcosa di interessante e comunicabile
a tutti, qualcosa che ha un senso e una
bellezza per tutti. Quindi comunicare
l’importanza della ricerca va oltre le sue
ricadute tecnologiche, pure importanti.
Capire di cosa è fatto quel 96% dell’universo
credo che interessi tutti. O no?’
Roma · Sette miliardi. Questo l'investimento
previsto per il Documento di Visione
Strategica 2010–20 presentato dall'asi.
‘Il Documento – ha spiegato il presidente
dell'asi, Enrico Saggese, in occasione della
presentazione della Terza Edizione del
Master in Istituzione e Politiche Spaziali –
è uno dei tasselli che il Governo Italiano
e il Ministero dell'Istruzione, Università
e Ricerca hanno ideato per offrire una
continuità al progresso nel settore spaziale
del nostro Paese.’
‘Il piano decennale dell'asi – ha aggiunto
Saggese – prevede un investimento globale
di sette miliardi, che dopo l'approvazione
del Consiglio di Amministrazione
dell'Agenzia ha avuto conferma definitiva
da parte del ministero dell'Istruzione,
Università e Ricerca.’
In particolare, il piano prevede che
il 37% del budget sia destinato allo
sviluppo di nuovi strumenti al servizio
dell'esplorazione scientifica e un altro 33%
ad applicazioni nel campo dell'osservazione
della Terra. Ci sono poi settori emergenti
sui quali l'asi intende puntare, come quelli
delle telecomunicazioni e dello sviluppo di
lanciatori di nuova generazione. Entrambi
questi campi dividono il restante 30% del
budget, nel quale è compreso anche il
contributo italiano alla Stazione Spaziale
Internazionale (iss).
‘In campo scientifico – ha concluso
Saggese – il piano decennale non
contempla la realizzazione di missioni
complete ma punta alla diversificazione
e alla realizzazione di molti strumenti
scientifici da imbarcare su missioni
internazionali.
ON-LINE
www.esa.int/specials/planck
ON-LINE
www.asi.it
In quest’anno di commemorazioni di due
figure come Galileo e Darwin quanto è
importante la divulgazione scientifica e
come dovrebbe essere fatta secondo lei?
MB ‘Si tratta di un tema cruciale e secondo
me il termine divulgazione è ambiguo,
quasi si trattasse di un abbassarsi al
volgo, un pedaggio da pagare allo scopo
di persuadere a tutti i costi i cittadini
‘Planck ci darà un'immagine
ad alta risoluzione di come
era l'universo 14 miliardi
di anni fa.’
Marco Bersanelli
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
37
IN T ER V IS T E
PLATO: TRENTADUE
OCCHI ALLA CACCIA
DEI SISTEMI SOLARI
DEL FUTURO
I successi di Kepler fanno guardare
con grande aspettativa a PLATO,
la missione dell'ESA destinata alla
ricerca di pianeti extrasolari, se sarà
selezionata nel programma Cosmic
Vision.
Intervista a cura di
Davide Romagna
Palermo · La caccia ai pianeti extrasolari
si fa sempre più agguerrita. Condotta su
due fronti, sulla Terra e nello spazio, la
recente scoperta del satellite della NASA
Kepler ha avuto grande eco. Ma sta anche
evidenziando che è necessaria raffinare
la caccia perché tale ricerca sappia darci
quelle conoscenze che ci permetteranno
di individuare i sistemi stellari che meglio
si conformino al nostro modello di
riferimento, il nostro sistema solare.
Anche con questo obiettivo è stato
pensato PLATO, il satellite dell’Agenzia
Spaziale Europea che ha superato la prima
fase di selezione nell’ambito della Cosmic
Vision e attende, entro la fine di quest’anno,
il definitivo giudizio. Ed è difficile pensare
che l’Europa possa rinunciare ad un
settore di ricerca che ha fatto grandissimi
passi avanti negli ultimi anni. Non è
solo una scelta finanziaria, tecnologica e
scientifica ma anche strategica. Di PLATO
ne parliamo con Giusi Micela dell’INAF,
componente dello Science Team di PLATO
e dell’Exoplanet Roadmap Advisory Team
(EPR-AT), la commissione di esperti istituita
nel 2008 dall’ESA con il compito di stabilire
quali strategie adottare e quali vie seguire
per raggiungere uno dei traguardi più
ambiti dell’astrofisica moderna: distinguere
e riconoscere pianeti extrasolari di tipo
terrestre che possano ospitare forme di
vita. E nel progetto PLATO la componente di
partecipazione italiana è particolarmente
importante: oltre all’INAF a cui si deve tra
l’altro il disegno dei 32 telescopi a bordo del
satellite, l’Università di Firenze e Padova e
ovviamente l’Agenzia Spaziale Italiana che
ha supportato il programma e la comunità
scientifica italiana ad esserne protagonista.
caratteristiche simili al Sole, permetterà
di capire quali siano le stelle papabili per
avere un’altra Terra che le orbita intorno
e in che condizioni si possano formare i
sistemi planetari.’
Che cosa caratterizza PLATO?
Giusi Micela ‘L’elemento più importante
è l’area di cielo che è osservata. Kepler
osserva 100 gradi quadri della volta celeste,
PLATO duemila gradi quadri per ogni
puntamento, e alla fine della missione
coprirà quasi la metà del cielo. Un’area
assai più vasta che non è importante solo
per quantità, ma anche e soprattutto per
la qualità. I satelliti come Kepler e come
PLATO usano la tecnica del transito per
individuare pianeti orbitanti attorno alla
loro stella madre, ma le orbite che rendono
abitabili i pianeti, come la Terra, attorno a
stelle come il Sole durano circa un anno. Il
pianeta passa dunque davanti alla sua stella
solo una volta l’anno, ed è importante allora
guardare per lungo tempo un’area di cielo
così ampia, perché non solo si aumenta la
possibilità di trovare esopianeti, ma anche
di cercare con più accuratezza quelli più
simili al nostro.’
Non basta dunque la fascia di abitabilità?
GM ‘No certo. Gliese 581d, il pianeta
recentemente scoperto in fascia di abilità,
orbita attorno ad una stella che non è come
il nostro Sole, non è altrettanto calda e
luminosa. Quello che ci permetterà di fare
PLATO insieme agli strumenti a terra, è di
svolgere una catalogazione sistematica
delle stelle e dei pianeti del loro sistema
fino alla fascia di abitabilità. Si potrà
comprendere quali stelle possono avere
determinati pianeti e scoprire ad esempio
se la formazione del sistema solare sia
così comune o meno. Nel senso che la
combinazione Sole-sistema solare potrebbe
essere molto più rara di quanto si pensi
o che, al contrario, possa essere molto
comune. Qualunque risultato si otterrà
sarà un grande passo avanti sapere che
non basta cercare un esopianeta, ma un
sistema che corrisponda a determinate
caratteristiche, se veramente vogliamo
trovare pianeti abitabili secondo il
nostro concetto di abitabilità. Per poterli
individuare è necessario studiare le stelle e
i pianeti.’
Non è però l’unico aspetto peculiare
rispetto a Kepler.
GM ‘Infatti, un altro aspetto importante
è che si concentrerà sulle stelle più
brillanti. È necessario che la ricerca e lo
studio dei pianeti extrasolari sia condotta
sinergicamente dalla Terra e dallo spazio.
Grazie agli spettrometri come HARPS
siamo in grado di determinare la massa
di questi pianeti e conoscendo la massa
e la dimensione, derivata dalle misure
spaziali, possiamo ricavare la densità e
quindi determinare la struttura dei pianeti
stessi. Ma se le stelle sono poco brillanti
non è detto che dalla Terra si riesca a
misurarne la massa. Ma c’è un altro aspetto
altrettanto importante. La capacità di
osservare un grande campione di stelle con
Per far questo è strategico unire le forze,
terrestri e spaziali. È un dato acquisito?
GM ‘È un dato abbastanza acquisito.
Bisogna considerare che ESA ed ESO, le
due istituzioni europee che sono coinvolte
in queste ricerche, hanno cominciato a
parlarsi recentemente su queste tematiche.
Ma questo è un settore nuovo, che sta
dando risultati più sorprendenti di quanto
forse ci si aspettasse in così poco tempo. E
quando è così la comunità scientifica si
unisce, non si divide. Questa è la comunità
scientifica. Come dovrebbe funzionare in
Italia e nel resto del mondo.
ON-LINE
www.oact.inaf.it/plato/Plato-Italia
38
NOTIZIARIO
PIANETI
DATI GEOLOGICI
RIVELANO
LA PRESENZA
DI ANTICHI LAGHI
SU MARTE
Pubblicato uno studio di due
astrofisici americani basato
sulle recenti analisi fotografiche.
New York · L'esame delle ultime immagini
di Marte suggeriscono che la superficie del
Pianeta Rosso era una volta coperta di laghi.
Questi, secondo due astrofisici americani,
hanno lasciato evidenti segni di strati
geologici che si sono formati attraverso
processi di sedimentazione. In uno studio
pubblicato dalla rivista Science sulla scorta
delle immagini scattate dalla sonda Mars
Global Surveyor, Michael Malin e Kenneth
Edgett dell'osservatorio privato Malin Space
Science Systems di San Diego, in California,
affermano che un ulteriore studio degli
strati sedimentari delle aree dove un tempo
giacevano i laghi potrebbe rivelare non solo
dettagli sulla storia del pianeta ma anche
sull'eventuale presenza di forme di vita nel
corso di questa storia. Le foto scattate dalla
Global Surveyor mostrano che in diverse
aree i rilievi del suolo sono caratterizzati
da depositi di detriti, disposti in maniera
marcatamente orizzontale, simili cioè
a quelli formatisi sulla Terra attraverso
il progressivo accumulo di materiale
di sedimentazione. Fenomeno, questo,
tipico delle aree ricoperte da laghi dove
lentamente i sedimenti danno origine a
strati ben definiti, impilati uno sopra l'altro.
Alcuni sedimenti possono essere il
risultato dell'azione del vento o di fenomeni
vulcanici, ma, secondo Malin ed Edgett,
su Marte queste formazioni mostrano
segni che suggeriscono senz'altro l'azione
dell'acqua in un periodo compreso fra 3,5 e
4,3 miliardi di anni fa.
Le immagini del Global Surveyor cioè,
stando a Malin, rivelano ‘centinaia e
centinaia di strati di identico spessore, cosa
quasi impossibile in assenza di acqua’.
ON-LINE
www.nasa.gov/mission/mars/news
NASA / JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS
1
Agosto 1999
Settembre 2005
Nuovo deposito
2
NASA/ JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS
3
NASA/ JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS
NASA /JPL / MALIN SPACE SCIENCE SYSTEMS
4
NASA / JPL / UNIVERSITY OF ARIZONA
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
Immagini
1 I canali di questa regione,
nei pressi del cratere
Noachis Terra, sono
particolarmente profondi.
La loro forma e disposizione
è paragonabile ai crepacci
provocati dall'azione erosiva
di un antico ghiacciaio.
2 Un nuovo deposito
formatosi in un cratere della
regione Centauri Monte
immortalato dalla missione
Mars Global Surveyor nel
2005. La formazione di
questi depositi di detriti è
segno tangibile di continue
azioni erosive sulla
superficie del pianeta, ed è
compatibile con il flusso di
acqua allo stato liquido.
3 I segni d'erosione provocati
dall'acqua e del flusso di
detriti sono evidenti in
questa immagine ad alta
risoluzione dei calanchi
della parete del un cratere
di impatto Noachis Terra.
È possibile che questi
calanchi rappresentino la
prova che acqua allo stato
liquido è oggi presente sotto
la superficie di Marte.
4 Calanchi a bordo del cratere
Hale. Se acqua allo stato
liquido erode i canaloni in
condizioni di freddo e
asciutto oggi su Marte, è
una questione importante
che cui gli scienziati stanno
cercando di dare una
risposta. Gli avvallamenti
in questo sito sono
particolarmente interessanti
perché gli studiosi hanno
recentemente scoperto dei
cambiamenti di forma e
posizione, segno di una
costante azione erosiva.
5 Canali con caratteristici
segni erosivi provocati dal
flusso di acqua. Immagine
ripresa dalla telecamera di
Mars Reconnaissance
Orbiter. Tali impressionanti
calanchi mostrano i meandri
e motivi intrecciati tipici dei
bacini idrici.
5
43
NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
NOTIZIARIO
45
MISSIONI
LA MISSIONE HUBBLE
COMPIE VENT'ANNI,
SI TRATTA DI UN RECORD
Le osservazioni di Hubble hanno
permesso di definire esattamente
l'età dell'universo, di vedere le prime
galassie e di realizzare una mappa
in 3d della materia oscura.
Roma · Le immagini più rivoluzionarie dello
spazio sono quelle catturate e rilanciate
sulla Terra da Hubble, il telescopio della
Nasa e dell’Agenzia Spaziale Europa (Esa),
lanciato in orbita 20 anni fa, il 24 aprile 1990.
Costato 1,6 miliardi di dollari, ha il nome di
Edwin Hubble, l’astrofisico americano che
nei primi decenni del xx secolo dimostrò
che l’universo è in perenne espansione ed è
molto più vasto si quanto si credesse.
Pesante 11 tonnellate, lungo 13,3 metri
e con un diametro di 4,3, è stato il primo
occhio con cui l’uomo è riuscito a osservare
il cielo al di fuori dell’atmosfera terrestre,
fino a vedere stelle e galassie giovanissime
che popolavano il baby-universo. Eppure
il progetto sembrava nato sotto una cattiva
stella: dall’incidente del Challenger che
ritardò il lancio di cinque anni al difetto
di progettazione della parabola riflettente,
passato inosservato nei test a terra e che
costrinse i tecnici ad adottare un dispositivo
di correzione (ribattezzato prontamente gli
occhiali dello Hubble) che venne montato
in orbita nel 1992.
In questi venti anni, Hubble ha goduto
di 5 missioni di manutenzione effettuate
con lo Shuttle, l'ultima nel maggio scorso. Il
telescopio spaziale si trova a 563 chilometri
dalla Terra ed è l'unico la cui manutenzione
poteva essere curata dall’uomo. Le missioni
di manutenzione sono state indispensabili
alla lunga vita di Hubble. La prima, nel
1993, ha dato allo strumento occhiali
per correggere un difetto dello specchio
primario. Le altre missioni di manutenzione
sono avvenute nel 1997 (che installò
nuovi strumenti più potenti), nel 1999
(sostituzione di alcuni strumenti e aggiunta
Sinistra
Hubble agganciato allo Shuttle Endeavor (1993).
di un computer di bordo) e nel 2002
(riparazione e miglioramento di numerosi
strumenti). La missione di riparazione
effettuata dall’Atlantis ha permesso di
prolungare fino al 2014 la vita operativa del
telescopio, che aveva sofferto di numerosi
guasti meccanici tanto da portare ad una
sospensione delle operazioni nel 2007: sono
stati cambiati i sei giroscopi, le batterie, il
sistema di protezione termica e il sistema
informatico, mentre sono stati installati
due nuovi apparecchi, uno spettrografo per
raggi cosmici e un obiettivo grandangolo;
il tutto ha migliorato da 10 a 70 volte le
capacità di Hubble, in grado così di rilevare
oggetti risalenti a 500 milioni di anni dopo
il big bang contro il precedente limite di
un miliardo di anni. Hubble sarà operativo
almeno fino al 2014, ma considerando
che considerando che il suo rientro
nell’atmosfera è previsto fra il 2019 e il 2032,
la sua missione effettiva potrebbe essere
prolungata ancora a lungo.
NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM
Hubble viene infatti considerato dagli
astronomi ancora uno strumento di
assoluta avanguardia, anzi insostituibile:
non vi è nulla di simile in orbita per quanto
riguarda l’astronomia nel campo della
radiazione visibile; le moderne reti di
telescopi sulla Terra possono raggiungere
in alcuni casi la stessa risoluzione, ma
l’atmosfera terrestre li rende ciechi
all’infrarosso e all’ultravioletto. Proprio
l’infrarosso dovrebbe essere il punto di
forza del James Webb Space Telescope, il
cui lancio è in programma per il 2013 e
che dovrà lavorare fianco a fianco con lo
Hubble per poi sostituirlo. Il telescopio
ha osservato aspetti del cielo impossibili
da vedere con i telescopi basati a Terra, e
le sue scoperte hanno avuto un impatto
rivoluzionario sull’astronomia. Anche la
loro quantità è impressionante, con oltre
ottomila articoli scientifici. Per esempio,
nel 1994 Hubble ha inviato le immagini
spettacolari dell’impatto su Giove della
cometa Shoemaker-Levy. È stato Hubble a
indicare per la prima volta che esistono altri
sistemi solari oltre al nostro e, all’interno
di uno di questi, ha catturato la prima
immagine ottica di un pianeta extrasolare.
Il telescopio spaziale ha inoltre fornito le
prime evidenze sull’esistenza dell’energia
oscura che costituisce il 70% dell’universo.
Ha inoltre osservato complessivamente
più di 446 mila galassie, studiando così la
distribuzione della materia nell’universo.
Questi dati hanno anche permesso di
realizzare una mappa in 3d della materia
oscura, la materia ancora misteriosa che
occupa il 25% dell’universo, mentre la
materia visibile ne costituisce appena il 5%.
Le osservazioni di Hubble hanno inoltre
permesso di definire esattamente l’età
dell’universo e di dimostrare che al centro
di alcune galassie di grandi dimensioni si
trovano buchi neri.
Sopra
Il pianeta Giove fotografato dal telescopio.
ON-LINE
www.nasa.gov/externalflash/Hubble20
Le osservazioni di Hubble
hanno permesso di definire
esattamente l'età dell'universo
e di dimostrare l'esistenza
di giganteschi buchi neri.
46
NOTIZIARIO
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
STORIA
CHIESA POLACCA
CONCEDERÀ
LA SEPOLTURA
UFFICIALE
A COPERNICO
Alla fine la Chiesa ha dovuto
ammettere che riabilitare Copernico
in sordina non sarebbe bastato:
gli si dovevano i massimi onori,
in una cattedrale.
Frombork, Polonia · Per la storia della scienza
è stato e resterà sempre un grande: fu lui
a teorizzare e scoprire che la Terra gira
intorno al Sole. Per la sua patria, la Polonia
oggi libera, moderna e multiculturale come
ai suoi tempi, è uno dei massimi eroi, come
il re Jan Sobieski che fermò i turchi a Vienna
o il maresciallo Józef Klemens Piłsudski
che sconfisse l'Armata Rossa a un passo da
Varsavia, come Marie Curie, Lech Wałesa
o Papa Wojtyla. Per la Chiesa invece era un
personaggio scomodo, uno che contestava
i dogmi. Adesso è arrivata la svolta:
Copernico, al secolo Mikołaj Kopernik, ha
avuto ieri la sua solenne sepoltura ufficiale
e religiosa da personaggio eterno.
‘Deploro gli eccessi di zelo dei difensori
della Chiesa, che allora lo colpirono’,
ha detto il nuovo primate di Polonia,
arcivescovo Jozef Kowalczyk, parlando
alla cerimonia. Con secoli di ritardo,
quasi come con Galileo Galilei, la Chiesa
pronuncia e completa dunque il suo mea
culpa verso uno scienziato che aveva messo
in discussione i dogmi in nome del sapere.
È in parte un caso, dovuto al tenace lavoro
di scienziati e ricercatori, ma comunque
la svolta è grande: per il geniale ma umile
e modesto Mikołaj Kopernik, astronomo,
matematico, economista, medico e zelante
canonico cattolico, questa prima sepoltura
solenne è una riabilitazione di grande
valenza per il rapporto tra fede e ragione nel
mondo in cui viviamo.
De Revolutionibus Orbium Cœlestium,
ossia Le Rivoluzioni dei Corpi Celesti,
s'intitolò il suo trattato. Fu la rivoluzione:
per la prima volta venne spiegato al
mondo che il centro del sistema dei pianeti
in cui viviamo è il Sole, non la Terra.
Eliocentrismo, contrapposto all'antico,
obsoleto geocentrismo di Tolomeo. La
Chiesa la rifiutò. Papa Paolo V la condannò
ancora nel 1616, cioè decenni dopo che
Mikołaj era morto in povertà, nel 1543. Fu
poi riabilitato, ma in sordina. Copernico
non ebbe la sventura di affrontare
interrogatori e torture come Galileo. Eppure,
grande scienziato multitalento, fu sepolto
in una fossa comune nella cattedrale di
Frombork, nel nord polacco, non lontano
dal Baltico. E per secoli le sue spoglie
furono dimenticate là, sotto i marmi
dell'altare.
Dopo il 1989, la caduta dell'Unione
Sovietica iniziata proprio dalla rivoluzione
democratica polacca, un team di scienziati
locali, tedeschi e francesi avviò la ricerca
delle spoglie di Copernico, nella speranza
di ritrovarle e di rivendicare postumamente
per lui i massimi onori. ‘Individuammo
sotto i marmi dell'altare il cranio di un
uomo, morto apparentemente all'età di
settant'anni, come Copernico’, spiegano
i ricercatori polacchi. Il cranio fu inviato
ai medici legali della polizia a Varsavia, e
ricercatori svedesi trovarono nelle antiche
biblioteche del regno il Calendarium
Romanum Magnum, appartenuto a
Copernico e trafugato dai militari svedesi
secoli addietro le loro guerre contro la
Polonia. Tra le pagine trovarono capelli, e
l'esame del dna li fece risultare coincidenti
con quel cranio.
‘La storia delle nostre ricerche sembra un
poliziesco’, dice Jerzy Gassowski, anziano
scienziato polacco. E alla fine la Chiesa ha
dovuto ammettere che riabilitare Copernico
in sordina non bastava: gli si dovevano i
massimi onori, in una cattedrale. L'autore
della prima fondamentale rivoluzione
del mondo moderno, il mite professore
di matematica che aveva studiato
all'Università di Ferrara e aveva percorso
le strade dell'Europa del suo tempo, aveva
fatto in tempo a morire settantenne mentre
quel libro cominciava un difficile viaggio nel
mondo. Un libro rivoluzionario, se altri ce
ne sono mai stati: con l'opera di Copernico
l'antico significato astronomico del termine
rivoluzione come rivolgimento periodico in
un movimento ripetitivo e sempre uguale
apriva la porta al significato moderno: uno
sconvolgimento profondo dopo il quale la
società e il mondo non sono più gli stessi.
Allora si trattò di una rivoluzione mentale
di portata incalcolabile: a cambiare fu
nientemeno che il posto dell'uomo nel
mondo e quello del mondo nell'universo.
Al sistema geocentrico tolemaico con la
Terra al centro circondata dalla sfere dei
cieli delle stelle fisse si sostituì il sistema
detto da allora «copernicano» con il Sole
al centro delle orbite dei pianeti e col
movimento duplice della Terra, di rotazione
sul proprio asse e di rivoluzione annua
intorno al Sole. C'era di che sconvolgere
radicalmente una visione della realtà che
si affidava all'esperienza dei sensi e che
trovava conferma di quella esperienza nella
fisica aristotelica e nell'interpretazione della
Bibbia in senso letterale. Ne fu scosso il
senso comune, ne fu urtata la sicumera dei
teologi che dettavano legge nelle università.
Per questo, viste le reazioni violentemente
critiche di Lutero e Melantone davanti
alla prima circolazione delle tesi di
Copernico, il teologo protestante Andreas
Osiander premise all'edizione a stampa
una presentazione anonima che sfumava il
contenuto di verità dell'opera e suggeriva di
leggerla come proposta di una teoria solo
ipotetica. Ma se la diffidenza e l'ostilità dei
teologi non conobbe frontiere confessionali,
fu solo la Chiesa cattolica a mobilitarsi
per una condanna dottrinale. Bisognava
esorcizzare definitivamente gli effetti di una
rivoluzione che colpiva l'alleanza tra fede
cristiana e ragione aristotelica e toglieva ai
teologi il monopolio della verità.
Quando il genio di Giordano Bruno colse
la novità e l'importanza della proposta
copernicana, la sua morte sul rogo fu la
premessa della resa dei conti tutta italiana
tra la Chiesa cattolica e il mondo degli
scienziati. Si doveva bloccare l'avanzata
della matematica e della ragione umana al
posto della verità teologica ricavata da una
lettura rigidamente letterale delle Bibbia e
amministrata da una struttura ecclesiastica
di potere.
Il gigante che si levò contro il matematico
polacco fu il santo cardinale Roberto
Bellarmino convinto che quell'opera di
Copernico fosse certamente eretica. ‘Stolta’,
‘assurda in filosofia’, ‘formalmente eretica’,
la tesi di Copernico fu condannata nel
1616. Il suo nome entrò nell'indice dei libri
proibiti insieme a quelli di Galileo e di
Keplero. Ne doveva uscire quasi in punta
di piedi solo nell'Indice pubblicato da Papa
Gregorio xvi nel 1835.
Oggi le ossa, il nome e la gloria di
Copernico si riuniscono nella cattedrale di
Frombork. Wojciech Ziemba, arcivescovo
della regione, ha dichiarato che la Chiesa
cattolica è fiera che Copernico abbia
lasciato alla regione l'eredità del suo ‘duro
lavoro, devozione e genio scientifico’.
Destra
Il monumento a Copernico a Cracovia.
Niccolò Copernico
Astronomo polacco,
nato a Torún, Polonia,
il 19 febbraio 1473,
morto a Frombork il
24 maggio 1543. Fu
astronomo e astrologo,
canonico, giurista,
governatore, medico.
Le sue rivoluzionarie
teorie formulate nel De
Revolutionibus Orbium
Cœlestium pubblicato
a Norimberga, nell'anno
della sua morte,
influenzarono Galileo
e Keplero.
PAP
48
ESO / L. CALÇADA
NOTIZIARIO
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
49
RICERCA
ANALIZZATA PER LA PRIMA VOLTA
L'ATMOSFERA DI UNA “SUPERTERRA”
Analizzata per la prima volta
da un team di astronomi
l'atmosfera di un pianeta
extrasolare, utilizzando il Very
Large Telescope dell'eso.
Il pianeta, noto come gj 1214b,
è stato studiato al momento
del suo passaggio davanti
alla stella madre.
Paranal, Cile · Il pianeta GJ 1214b è stato
scoperto nel 2009 utilizzando lo strumento
hraps installato al telescopio di 3.6 metri
dell'eso in Cile.¹ Già i primi risultati
suggerivano che questo pianeta avesse
un'atmosfera, ipotesi ora confermata
e studiata nel dettaglio da un team
1. Il numero di pianeti extrasolari
confermati ha raggiunto quota
500 il 19 novembre 2010. Da allora,
altri pianeti extrasolari sono stati
confermati.
internazionale di astronomi, guidato da
Jacob Bean (Harvard-Smithsonian Center
for Astrophysics), che ha utilizzato lo
strumento fors sul Very Large Telescope.
‘Questa è la prima superTerra di cui è stata
analizzata l’atmosfera. Abbiamo posto una
pietra miliare sulla strada della conoscenza
delle caratteristiche di questi mondi’, ha
detto Bean.
GJ 1214b ha un raggio circa 2,6 volte
quella della Terra ed è circa 6,5 volte più
massiccio, caratteristiche che lo collocano
esattamente nella classe dei pianeti
extrasolari conosciuti come superTerre.
La sua stella si trova a circa 40 anni luce
dalla Terra nella costellazione di Ofiuco
(il Serpentario). Si tratta di una stella
debole² e anche piccola, il che significa
che la dimensione del pianeta è piuttosto
grande rispetto al disco stellare, e ciò lo
rende relativamente agevole da studiare.³
Il pianeta ruota intorno alla sua stella ogni
38 ore ad una distanza di soli due milioni
di chilometri: una distanza circa settanta
volte inferiore a quella che divide la Terra
dal Sole. Per studiarne l'atmosfera, il team
Sinistra
Interpretazione della superTerra davanti la stella madre.
ha osservato la luce proveniente dalla stella
nel momento in cui il pianeta passava di
fronte ad essa.4 Durante questi transiti,
una frazione della radiazione luminosa,
proveniente dalla stella, passa attraverso
l'atmosfera del pianeta che, a seconda
della sua composizione chimica e del
2. Se si osservasse GJ 1214 alla stessa
distanza che ci separa dal Sole,
ci apparirebbe 300 volte più debole
del Sole.
3. Poiché la stella GJ1214 è piuttosto
debole – oltre 100 volte più debole
nella luce visibile delle stelle madri
dei due esopianeti più studiati
appartenenti alla categoria degli hot
Jupiter – la grande area di raccolta
del Very Large Telescope è stata
determinante per acquisire un
segnale sufficiente per le analisi.
4. La composizione atmosferica di
GJ 1214b è stata studiata utilizzando
lo strumento FORS sul Very Large
Telescope, che può eseguire misure
spettroscopiche molto accurate di più
oggetti contemporaneamente nella
porzione del vicino infrarosso dello
spettro elettromagnetico. FORS è stato
uno dei primi strumenti ad essere
installato sul Very Large Telescope.
esopianeta fosse come un piccolo Nettuno,
con un esiguo nucleo roccioso e una densa
atmosfera ricca di idrogeno.
Le nuove misure non mostrano i segni
rivelatori tipici dell’idrogeno e, quindi, la
terza opzione è da escludere. Pertanto,
l'atmosfera o è ricca di vapore o è ricoperta
da nubi o nebbie, simili a quelle osservate
nelle atmosfere di Venere e Titano nel
nostro sistema solare, che nascondono le
tracce della presenza di idrogeno.
‘Anche se non possiamo ancora dire
esattamente come sia composta la sua
atmosfera, è un entusiasmante passo in
avanti essere in grado di restringere le
opzioni per un mondo così lontano: se
sia vapore acqueo o nebbia’, dice Bean.
‘Ulteriori osservazioni, a lunghezze d'onda
maggiori dell’infrarosso, si fanno ora
necessarie per determinare quali di queste
atmosfere avvolge GJ 1214b’.
clima del pianeta, assorbisce specifiche
lunghezze d'onda della luce. Il team ha
poi messo a confronto queste misure
precise, con quanto ci si sarebbe aspettato
di vedere a seconda delle possibili diverse
composizioni dell’atmosfera.
Prima di effettuare queste nuove
osservazioni, gli astronomi avevano
ipotizzato tre possibili atmosfere per GJ
1214b. La prima comprendeva l'affascinate
possibilità che il pianeta fosse avvolto
da acqua, che, data la vicinanza alla
stella, sarebbe stata in forma di vapore.
La seconda ipotesi proponeva che fosse
un mondo roccioso con una atmosfera
composta principalmente da idrogeno, ma
con nubi alte o nebbie che ne oscurano la
vista. La terza ipotesi suggeriva che questo
ON-LINE
www.eso.org/news/1047
50
NOTIZIARIO
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
TECNOLOGIA
EVALSO: UN NUOVO LINK AD ALTA
VELOCITÀ PER GLI OSSERVATORI CILENI
Disteso per 100 km attraverso l'aspro
deserto di Atacama del Cile, è stato
inaugurato un cavo dati che dando
nuove opportunità all'Osservatorio
del Panaral e di Cerro Armazone
in Cile. La connessione di queste
strutture alla spina dorsale principale
latino-americana per il trasferimento
dei dati scientifici ad alta velocità.
Paranal, Cile · Questo nuovo cavo è parte
del progetto EVALSO¹ (Enabling Virtual
Access to Latin American Southern
Observatories), un programma cofinanziato
dalla Commissione Europea nell’ambito
del 7 ° Programma Quadro², e coordinato
dall'Università di Trieste, che comprende
1. EVALSO è finanziato nell'ambito
del 7 ° Programma Quadro della
Commissione Europea ed è una
collaborazione tra: Università degli
Studi di Trieste, Italia; ESO; RuhrUniversität Bochum, Germania;
Consortium GARR (Gestione
Ampliamento Rete Ricerca), Italia;
Universiteit Leiden, Paesi Bassi;
Istituto Nazionale di Astrofisica, Italia
Queen Mary, University of London,
UK; Cooperacion Latinoamericana de
Redes Avanzasas (Clara), Uruguay;
Red Universitaria Nacional (REUNA),
Cile.
2. Il 7 ° Programma Quadro (il
Settimo Programma Quadro di
Ricerca e Sviluppo Tecnologico della
Commissione europea) è il principale
strumento dell'Unione Europea
per il finanziamento della ricerca.
Il suo scopo è quello di rendere e
mantenere l'UE come uno dei leader
mondiali nel campo della scienza
e della tecnologia.
l'ESO, l'Osservatorio Cerro Armazones
(OCA, parte della Ruhr-Universität
Bochum), la rete cilena accademici REUNA
e altre organizzazioni. Così come il cavo
stesso, il progetto prevede l’acquisizione
con EVALSO di nuove capacità nelle
infrastrutture esistenti al fine di completare
una connessione a banda larga dalla
zona Paranal al quartier generale dell'ESO
nei pressi di Monaco, in Germania. Il
coordinatore del progetto Fernando Liello,
ha dichiarato: ‘Questo progetto è stata un
eccellente collaborazione tra i membri del
consorzio. Oltre a fornire una connessione
veloce per i due osservatori, porta maggiori
benefici per la comunità scientifica, sia in
Europa che in America Latina’.
I siti di Paranal e Armazones sono
ideali per le osservazioni astronomiche
grazie alla loro quota, ai cieli limpidi e alla
lontananza dall’inquinamento luminoso.
Ma la loro posizione significa è lontana da
qualsiasi infrastruttura di comunicazione
preesistente, che fino ad ora li ha resi
dipendenti da un unico collegamento a
microonde per inviare i dati scientifici a una
stazione base vicino a Antofagasta.
I telescopi all’osservatorio Paranal
dell'ESO sono in grado di produrre oltre 100
gigabyte di dati al giorno, equivalenti a più
di 20 DVD, anche dopo la compressione
dei file. Il collegamento esistente è
sufficiente per trasportare i dati generati
dagli strumenti al Very Large Telescope
(VLT), ma non ha l'ampiezza di banda
necessaria per gestire i dati provenienti
dal telescopio VISTA (Visible and Infrared
Survey Telescope for Astronomy) o per la
nuova generazione di strumenti del VLT che
saranno operativi nei prossimi anni.
Questo significa che per gran parte
dei dati provenienti da Paranal, l'unico
modo pratico per inviarlo alla sede
centrale dell’ESO è stato quello di salvarli
su hard disk e di spedirli per posta aerea.
Questo può significare un attesa di giorni
o addirittura settimane prima che le
osservazioni condotte da VISTA siano
disponibili per essere analizzate.
Pur con un razionamento attento della
connessione e una sofisticata gestione dei
dati per utilizzare la connessione nel modo
più efficiente possibile, il link può andare
in saturazione nelle ore di punta. Anche
se questo non causa grossi problemi al
momento, è un segnale che il link è arrivato
al suo limite. Il direttore generale dell’ESO
Tim de Zeeuw, ha dichiarato: ‘L’osservatorio
dell'ESO al Paranal è in crescita, con nuovi
telescopi e strumenti che stanno per essere
messi in funzione. I nostri osservatori
scientifici di livello mondiale hanno
bisogno di infrastrutture adeguate’.
Al posto della connessione esistente,
che ha un limite di 16 megabit/s (simile
a una linea domestica ADSL a banda
larga), EVALSO fornirà una connessione
più veloce fino a 10 gigabit/s – una velocità
che permette di trasferire un intero film
DVD in una manciata di secondi.³ Mario
Campolargo, Direttore per le Tecnologie
3. Il cavo dislocato di recente ha una
larghezza di banda di 10 gigabit/s.
L'infrastruttura di rete tra ESO Paranal
e l’ESO HQ in Germania è in grado
di trasferire i dati fino a un massimo
di 1 gigabit/s.
Emergenti e Infrastrutture presso la
Commissione Europea, ha dichiarato: ‘È
importante che la comunità degli astronomi
d'Europa possa ottenere il miglior accesso
possibile agli osservatori dell'ESO: questo
è uno dei motivi per cui l'Unione Europea
sostiene la distribuzione regionale delle
e-infrastrutture per la scienza in America
Latina e interconnessioni con GÉANT 4 ed
4. GÉANT è una rete pan-europea
di dati dedicata alla ricerca e
all'istruzione. Collega 40 milioni
di utenti in 40 paesi.
altre e-infrastrutture appartenenti alla UE’.
Il forte aumento dell’ampiezza di
banda permetterà un maggiore uso in
remoto dei dati del Paranal, e in tempo
reale. Esso consentirà un più facile
controllo delle prestazioni del telescopio
VISTA, e un accesso più rapido ai dati VLT,
aumentando la reattività del controllo di
qualità. E con la maggiore larghezza di
banda, nuove opportunità si apriranno,
come la possibilità per gli astronomi
ON-LINE
www.evalso.eu
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
NOTIZIARIO
51
e i tecnici di prendere parte a riunioni
in videoconferenza ad alta definizione
senza bisogno di recarsi in Cile. Inoltre,
guardando avanti, il nuovo collegamento
fornirà una banda sufficiente per stare al
passo con il volume sempre crescente di
dati provenienti dal Paranal e Armazones
negli anni futuri, con l’entrata in uso dei
nuovi strumenti che richiederanno grandi
ampiezze di banda.
L'accesso immediato a dati remoti in
una località distante non permette solo
di risparmiare denaro e rendere il lavoro
dell'osservatorio più efficiente. Per eventi
imprevisti e imprevedibili, come i lampi
di raggi gamma, non c'è spesso il tempo
sufficiente per gli astronomi di viaggiare
fino agli osservatori, e EVALSO darà agli
esperti la possibilità di lavorare da remoto
su questi eventi quasi come fossero presso
l'osservatorio.
Immagini
L'installazione del principale data cable
si è svolta nelle difficili condizioni offerte
dal deserto dell'Atacama. Questo nuovo
snodo comunicativo offre all'osservatorio
cileno e al Ruhr-Universität Bochum’s Cerro
Armazones Observatory un'incredibile
velocità di connessione capienza dati.
ESO
52
NOTIZIARIO
NASA
SUGLI EXOPIANETI
LA NASA VUOLE
ALZARE LA POSTA
Gli Stati Uniti non rinunceranno
mai alla supremazia scientifica
e tecnologica nello spazio: è una
questione di astropolitica.
Washington · Mentre celebra i successi del
satellite Kepler (messo in orbita un anno
fa per cercare nella galassia altri pianeti
come la Terra), la Nasa pensa già ai satelliti
e agli strumenti del futuro. Insieme alla
National Academy of Science, l'agenzia
spaziale americana ha appena redatto il
Decadal Survey che, come dice il nome, è
un rapporto pubblicato ogni dieci anni,
raccogliendo i suggerimenti della comunità
scientifica sugli investimenti da mettere in
cantiere per il lungo periodo. O, se volete,
i progetti da sottoporre allo Zio Sam per
ottenere i necessari finanziamenti.
La questione è sempre più delicata.
Da un lato, Washington deve tenere
d'occhio la voragine del deficit federale.
Dall'altro, non vuole certo abdicare alla
supremazia spaziale e scientifica che –dai
tempi dello Sputnik, il satellite russo che
mise i brividi all'America– è diventata
parte integrante della geopolitica. O, se
volete, dell'astropolitica. In poche parole,
l'ultimo Decadal Survey –intitolato Nuovi
mondi, nuovi orizzonti nell'astrofisica e
nell'astronomia– raccomanda tre priorità:
gli exopianeti (ovvero quelli fuori dal
sistema solare, come i due curiosi pianeti
multipli annunciati due giorni fa dalla
Nasa), la formazione delle prime strutture
nell'universo e la fisica che ha governato la
sua evoluzione.
‘Nel Decadal Survey di dieci anni
fa –commenta Claire Max, un'astronoma
dell'Università della California e
membro del comitato che ha fatto le
raccomandazioni– di exopianeti quasi
non si parlava e l'energia oscura non
veniva menzionata. In ballo, ci sono un
sacco di cose nuove’. L'energia oscura è
l'ipotetica forma di energia che, si teorizza,
contribuisce ad aumentare il tasso di
espansione dell'universo. La chiamano
oscura perché non si vede e non si rileva.
NASA
La questione è delicata: da un lato Washington deve tenere
d'occhio la voragine del deficit federale. Dall'altro non vuole
certo abdicare alla supremazia spaziale e scientifica,
ormai parte integrante della geopolitica.
Ma è un passaggio fondamentale per
sciogliere i restanti rebus dell'astrofisica.
Quanto agli exopianeti, è perfino naturale
che siano diventati di moda: in un mese
mezzo di osservazioni, Kepler ha trovato
706 possibili candidati. Quelli bizzarri
annunciati due giorni fa, con un interazione
gravitazionale fra di loro, sono solo gli
ultimi. E intanto anche l'Eso europeo è sulle
stesse tracce: col suo spettrografo in Cile,
ha trovato un sistema solare con 5, forse
7, pianeti. Chi troverà per primo una Terra
(ovvero un piccolo pianeta alla distanza
giusta da una stella come il Sole) farà bingo:
sappiamo già in anticipo che sarà un evento
miliare, nella storia del genere umano.
Kepler sta dando delle belle soddisfazioni,
ma è costato 600 milioni di dollari. Quanto
costerà salire al prossimo livello, nella
caccia alle nuove Terre raccomandata dal
Decadal Survey? Certo non noccioline: un
miliardo e seicento milioni di dollari.
Il Wide-Field Infrared Survey Telescope
(Wfirst, in sigla) viene giudicato il passo
necessario, dopo Kepler. Innanzitutto,
perché consentirebbe di dare risultati in
tutte e tre le priorità di ricerca prescritte
dal Survey. E poi perché, se i costi fossero
quelli, non sarebbe granché: il celeberrimo
Hubble è costato, incluso il lancio, 10
miliardi di dollari. E il James Webb
Telescope, che la Nasa dovrebbe inaugurare
nel 2014, ne costerà cinque. Ma il Wfirst
non è l'unica proposta da sottoporre
all'amministrazione Obama. Gli scienziati
suggeriscono di considerare anche un
upgrade per l'osservatorio Chandra, con
l'International X-ray Observatory (5 miliardi
da finanziare fifty-fifty con l'Esa, l'Agenzia
Spaziale Europea). E anche progetti a terra,
come il Large Synoptic Survey Telescope
da costruire in Cile con 460 milioni
d'investimento e un budget di 40 milioni
all'anno. L'Europa insegue. La Russia è
un po' in ribasso e la Cina ha le sue brave
ambizioni. Ma l'America non rinuncerà alla
supremazia scientifica e tecnologica nello
spazio. È una questione di astropolitica.
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
S T UDI
NOTIZIARIO
53
SC OP ERT E
GETTI CORONALI:
UNA DINAMICA
GIÀ OSSERVATA
KEPLER HA SCOPERTO
IL PRIMO SISTEMA SOLARE
CON SEI PICCOLI PIANETI
Nuove informazioni sulle ragioni
per cui questi getti di massa coronali
appaiono sia in moto rettilineo sia
in rotazione sulla superficie del Sole.
Individuato dal telescopio spaziale
Kepler, dista duemila anni luce dalla
Terra. È possibile che due dei corpi
celesti siano composti da acqua.
Warwick, Inghilterra · Le instabilità che danno
Santa Cruz, CA · Eccola, finalmente, a
luogo all’esplosione di nubi sul Sole sono
del tutto simili a quelle che danno origine
alle nubi nell’atmosfera terrestre: è questa la
sorprendente conclusione di uno studio di
un gruppo di ricercatori del Dipartimento
di fisica dell’Università di Warwick.
La scoperta è avvenuta in seguito
all’esame delle immagini di nubi di
materiale in esplosione sulla superficie
del Sole note come getti di massa coronali
(CME) ottenute nell’ambito dell’esperimento
Atmospheric Imaging Assembly (AIA)
presso il Solar Dynamics Observatory (SDO)
della NASA.
Le nuove osservazioni dello SDO/
AIA hanno fornito immagini dei getti di
massa coronali nella porzione spettrale
dell’ultravioletto estremo, non possibili con
gli strumenti precedenti. Nell’esaminare
queste immagini i ricercatori si sono accorti
di un familiare schema d’instabilità su
un fianco di una nube in esplosione di
materiale solare, per molti versi simile alle
instabilità osservate nelle nubi atmosferiche
e nelle onde marine, note come instabilità
di Kelvin-Helmholtz. Queste ultime si
manifestano all’interfaccia di due superfici
diverse – per esempio aria/acqua – che si
muovono a velocità diverse tra loro.
‘Il fatto di sapere che tali instabilità nelle
CME siano osservabili nell’ultravioletto
estremo, a una temperatura di 11 milioni di
gradi Kelvin ci consentirà di modellizzare
in modo più accurato la loro dinamica’, ha
spiegato Claire Foullon, che ha partecipato
alla ricerca. ‘Queste nuove osservazioni ci
forniscono nuove informazioni sul perché
queste CME appaiono sia in rotazione sia in
moto rettilineo sulla superficie del Sole; se
le instabilità si formano solo su un fianco,
possono incrementare il trascinamento su
un lato del CME causando un moto più lento
rispetto al resto del getto’.
duemila anni luce dalla Terra, la stella
simile al Sole con una corona di pianeti
che ricorda il nostro sistema solare. L'ha
individuata il telescopio spaziale Kepler
della Nasa, lanciato proprio allo scopo di
trovare nuovi pianeti al di là del sistema
solare. La scoperta è stata realizzata da
astronomi della University of California a
Santa Cruz, i quali sono riusciti non solo
a evidenziare la presenza di sei pianeti
attorno alla stella, ma anche le orbite e
le masse di ciascuno di essi. Cinque dei
pianeti hanno una massa compresa tra
2,3 e 13,5 volte quella della Terra e ruotano
attorno all'astro principale in meno di 50
giorni. Tutti e cinque, quindi, se fossero nel
nostro sistema solare, si troverebbero tra
il Sole e Mercurio. Deve fare un bel caldo
lassù, dunque. Il sesto pianeta invece si
trova più lontano e ruota attorno alla stella
in un periodo di 118 giorni.
‘Dei sei pianeti trovati uno assomiglia per
dimensioni ai nostri Nettuno o Urano, ma
tre dei cinque con massa assai inferiore
hanno caratteristiche che non troviamo
in alcun modo nel nostro sistema solare’,
ha detto Jonathan Fortney, astrofisico alla
UCSC che ha guidato il gruppo di astronomi
in questa ricerca. Il telescopio Kepler mette
in luce la presenza di pianeti attorno a
una stella rilevando l'abbassamento di
luminosità che questi producono quando
passano davanti ad essa e l'ammontare
di riduzione della quantità di luce risulta
proporzionale alle dimensioni dell'oggetto
in questione. E il tempo che trascorre
tra una riduzione e l'altra racconta agli
scienziati il periodo di rivoluzione del
pianeta. Ma per determinare la massa
dei pianeti gli astronomi hanno studiato
le piccole variazioni che ciascuno di essi
presenta nei periodi orbitali, variazioni
che possono essere più o meno vistose a
secondo della massa del pianeta con cui
interagisce. La densità dei pianeti (derivata
dalla massa e dal raggio), invece, fornisce
indizi sulla loro composizione. Secondo i
ricercatori tutti e sei i pianeti hanno una
densità inferiore a quella della Terra e
sembra che due possano essere composti
da acqua con una possibile atmosfera di
idrogeno ed elio. Gli altri invece, potrebbero
essere formati solo da idrogeno ed elio.
Fino ad oggi la massa dei pianeti veniva
valutata in base ai piccoli movimenti che
essi provocavano sulla stella madre. Ma in
questo caso il sistema solare di Kepler-11,
questo il nome che gli è stato dato dagli
astronomi, è troppo lontano da noi e i
pianeti sono troppo piccoli per osservare
tali variabili. Dunque si è scelta l'innovativa
strada di studiare la massa dei pianeti
osservando le interazioni che si fanno l'un
l'altro. L'insieme di queste scoperte dunque,
è davvero importante e può riservare
ancora molte sorprese. ‘Non si può
escludere che in esso esistano altri pianeti
che potrebbero non essere transitati davanti
alla stella nel periodo in cui il telescopio
l'ha osservata’, ha sottolineato l'esperto
di pianeti extrasolari Raffaele Gratton,
dell'osservatorio di Padova dell'inaf.
Lo studio di tale sistema solare ha
permesso di verificare che anche lassù i
pianeti si trovano più o meno tutti sullo
stesso piano orbitale, come avviene per il
nostro sistema solare. E questo rafforza
l'idea che i pianeti si formano da una
nebulosa con un ampio raggio, ma con
uno spessore piccolo. La scoperta solleva
comunque tante domande: come è
possibile che pianeti così vicini alla stella
abbiano un'atmosfera di idrogeno ed elio?
Secondo gli astronomi non è da escludere
che l'atmosfera abbia avuto anche altri
elementi che ora hanno già lasciato i pianeti
e forse è possibile che alcuni di essi si siano
formati lontani dalla stella madre e che
si stiano avvicinando ad essa. E l'acqua,
visto la piccola distanza dalla stella madre
dei pianeti più interni dovrebbe essere
sotto forma di vapore, ma se sottoposta ad
enormi pressioni, potrebbe essere liquida.
ON-LINE
www.kepler.nasa.gov
NASA
NUOVO STOP
PER DISCOVERY
Rinviata al 3 febbraio la missione
STS-133 che porterà in orbita PMM.
Dalla NASA: riparate le crepe,
ma sono necessari ulteriori test.
Cape Canaveral · Non scatta il semaforo
verde per il Discovery: la NASA ha deciso di
cancellare la data di lancio del 17 dicembre.
La navetta più anziana della flotta spaziale
americana dovrà dunque attendere fino al
prossimo febbraio per compiere il 39esimo
e ultimo liftoff della sua carriera. Primo
giorno utile: il 3 febbraio alla 1.34, ora della
Florida.
Nonostante le crepe alle centine del
serbatoio siano state riparate ‘sono
necessari più test e analisi prima di
procedere al lancio della missione STS133 diretta verso la Stazione Spaziale
Internazionale’. Si è espresso così il
Program Requirements Control Board
(PRCB), il Comitato della NASA incaricato
della sicurezza dei programmi in seguito
al briefing del 2 dicembre scorso per
l’esame dei test condotti sugli interventi di
riparazione dell’external tank.
Analisi più dettagliate, test al serbatoio
esterno e valutazioni strutturali
impegneranno i tecnici dello Shuttle
durante i prossimi mesi. Si allontana
dunque per il momento l'ora della pensione
per la navetta che ha collezionato in
assoluto più viaggi spaziali, ne ha compiuti
ben 38 da quando ha preso servizio il 30
agosto 1984. Il prezioso carico della navetta
resta dunque a terra e gli abitanti della
base spaziale internazionale dovranno
pazientare fino a febbraio per mettere piede
nella nuova stanza della ISS, Leonardo, il
modulo italiano che una volta lanciato
sarà agganciato permanentemente alla
stazione orbitante e che ora si trova nella
pancia dello Shuttle. E dentro Leonardo,
oltre a rifornimenti, attrezzature ed
esperimenti c’è anche un coinquilino molto
speciale: Robonaut 2, un robot astronauta
antropomorfo, il primo della sua specie
a viaggiare nello spazio. Una volta in
orbita, verrà impiegato sia all’interno che
all’esterno della stazione in attività
di supporto agli astronauti.
NASA / BILL INGALLS
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
NOTIZIARIO
55
ACCORDI
UNIONE EUROPEA
ITALIA E ISRAELE:
VIA A SHALOM
LA NUOVA POLITICA
SPAZIALE EUROPEA
Le agenzie spaziali dei due paesi
annunciano a Tel Aviv l'avvio di un
programma per la realizzazione di due
satelliti per l'osservazione della Terra.
Si è tenuta a Bruxelles il 26 e 27 marzo
la conferenza sul tema: A New Space
Policy for Europe.
Tel Aviv · ‘La chiave del nostro successo
Bruxelles · Il 26 e 27 ottobre la sede del
Parlamento europeo a Bruxelles, è stata
teatro della terza conferenza sulla politica
spaziale europea A New Space Policy
for Europe. L’evento è stato organizzato
da Business Bridge Europe (BBE) con
il supporto di Sky and Space, gruppo
interparlamentare con a capo l’italiano
Vittorio Prodi. Sono intervenuti diversi
leader europei, il direttore generale dell’ESA
Jean Jacques Dordain, il Presidente del
Consiglio europeo Herman Van Rompuy,
Antonio Tajani vice presidente della
Commissione europea, Enrico Saggese
presidente dell’ASI e altri attori di spicco del
settore. L’incontro aveva lo scopo di rendere
note a policy makers, rappresentanti della
società civile e dell’industria le nuove
competenze in materia spaziale che
l’Europa ha acquisito dopo la firma del
Trattato di Lisbona nel 2007.
‘Non c’è competitività senza ricerca e lo
spazio è il settore dove l’innovazione è il
motore’, ha dichiarato Antonio Tajani, vice
presidente della Commissione europea
‘la ricerca in campo spaziale non può
occuparsi solo di missioni e lanci, ma
deve fornire risposte concrete ai cittadini
europei’. ‘Le nuove competenze in materia
comunitaria – ha dichiarato Dordain ,
sottolineando l'importanza del Trattato
di Lisbona che definisce le linee di
un’ambiziosa politica spaziale – potrebbero
favorire la ricerca in settori come global
environment e prevenzione dei disastri
naturali in modo da acquisire una vasta
gamma di competenze utili alla società
civile’. L’assegnazione di un ruolo
decisionale alla Commissione, dovrebbe
dare nuovo impulso ai programmi spaziali
continentali quali il sistema di navigazione
satellitare Galileo e il GMES (Global
Monitoring Environment Security) per
il monitoraggio globale dell’ambiente.
è la fiducia reciproca: non potremmo
scambiare le nostre tecnologie, il nostro
know-how e le nostre esperienze se non
fossimo assolutamente sicuri della fiducia
reciproca che esiste e continuerà ad esistere
fra i nostri Paesi e fra i nostri popoli’. con
queste parole il ministro degli Esteri
Franco Frattini ha aperto il 23 novembre
all’Ambasciata italiana di Tel Aviv il Forum
Italo-Israeliano della Scienza.
Nel corso dell’incontro, al quale il premio
Nobel Rita Levi Montalcini ha voluto inviare
il suo caloroso saluto, le Agenzie Spaziali
dei due paesi (ASI e ISA) hanno annunciato
alla qualificata platea di rappresentanti
del mondo dell’Università e dell’Industria
di Israele la firma dell'intesa raggiunta sul
progetto SHALOM. Si tratta di un programma
per la realizzazione di due Satelliti con
tecnologia congiunta nell’osservazione
della Terra iperspettrale: occuperanno la
stessa orbita di Cosmo SkyMed e quindi
integreranno le osservazioni radar con
osservazioni nell’infrarosso visibile
ed ultravioletto. Questo accordo – ha
commentato il presidente dell’ASI Enrico
Saggese a Tel Aviv – ‘consentirà la piena
integrazione delle tecnologie italiane
ed israeliane, entrambe essenziali per
la creazione di due satelliti di media
dimensione le cui specifiche tecniche di
dettaglio saranno stabilite da un gruppo
tecnico-scientifico congiunto italoisraeliano’.
L’accordo segna un altro importante
passo in avanti nel percorso di
cooperazione spaziale tra i due paesi,
avviato nel gennaio 2009 con l'incontro
di ASI e ISA col presidente Shimon Peres
e proseguito – anche attraverso la firma
della Dichiarazione Congiunta a Roma il
20 marzo 2009, con il coinvolgimento delle
comunità scientifiche ed industriali dei
due paesi. ‘Non è un caso – ha sottolineato
Frattini – che l’Italia sia il primo partner di
Israele in campo scientifico’.
ON-LINE
www.asi.it/it/news/shalom
ON-LINE
www.spaceconference.eu
56
NOTIZIARIO
PLANCK
A lato
Immagine visibile della
vasta area attorno alla
regione dell'esopianeta
di origine extragalattica
HIP 13044.
ASTRONOMIA
HIP 13044, UN NUOVO ESOPIANETA
DI ORIGINE EXTRAGALATTICA
INDIVIDUATO DAGLI ASTRONOMI
Un pianeta extrasolare in orbita
intorno ad una stella che è entrata
nella Via Lattea provenendo da
un'altra galassia è stato rilevato
da un team europeo di astronomi
utilizzando il telescopio MPG/ESO
di 2,2 metri sito a La Silla in Cile.
Heidelberg, Germania · Negli ultimi 15 anni,
gli astronomi hanno scoperto circa 500
pianeti orbitanti attorno a stelle nelle nostre
vicinanze cosmiche, ma nessuna scoperta
al di fuori della Via Lattea è stata finora
confermata.¹ Ora un pianeta con una massa
minima pari a 1.25 volte quella di Giove,² è
1. Ci sono state rivendicazioni nel
tentativo di rilevare pianeti extrasolari
extragalattici attraverso gli eventi
delle microlenti gravitazionali, in cui
il pianeta passa davanti a una stella
ancora più distante che porta ad un
sottile, ma rilevabile flash. Tuttavia,
questo metodo si basa su un evento
singolare —l'allineamento possibile
tra una sorgente luminosa distante,
il sistema planetario e gli osservatori
sulla Terra— e nessun rilevamento
di tale pianeta extragalattico è stato
finora confermato.
2. Usando il metodo della velocità
radiale, gli astronomi possono solo
stimare una massa minima per
un pianeta, e la stima della massa
dipende anche dalla inclinazione
del piano orbitale rispetto alla linea
di vista, che è sconosciuta. Da un
punto di vista statistico, questa massa
minima è però spesso vicina alla
massa reale del pianeta.
stato scoperto orbitare intorno a una stella
di origine extragalattica, anche se la stella si
trova ora all'interno della nostra Galassia. È
parte della cosiddetta «corrente di Helmi»
– un gruppo di stelle che originariamente
apparteneva ad una galassia nana e che è
stato divorato dalla nostra Galassia, la Via
Lattea, in un atto di cannibalismo galattico
avvenuto tra sei e nove miliardi di anni fa.
‘Questa scoperta è molto emozionante’,
dice Rainer Klement del Max-PlanckInstitut für Astronomie (MPIA), responsabile
per la selezione delle stelle destinate
a questo studio. ‘Per la prima volta, gli
astronomi hanno individuato un sistema
planetario in una corrente stellare di origine
extragalattica. A causa delle grandi distanze
non ci sono attualmente conferme di
rilevazioni di pianeti in altre galassie. Ma
questa fusione cosmica ha fatto si che un
pianeta extragalattico si trovasse alla nostra
portata’. La stella è conosciuta come HIP
13044, e si trova a circa duemila anni luce
dalla Terra nella costellazione meridionale
della Fornace. Gli astronomi hanno
individuato il pianeta, chiamato HIP 13044b,
rilevando le minime oscillazioni della
stella causate dalla forza gravitazionale
esercitata dal suo compagno orbitante. Il
team ha utilizzato FEROS, lo spettrografo
ad alta risoluzione,³ installato al telescopio
MPG di 2,2 metri dell’ESO4 a La Silla in Cile.
A rendere ancora più celebre HIP 13044b si
3. FEROS sta per Fibre-fed Extended
Range Optical Spectrograph.
4. Il telescopio di 2,2 metri è in
funzione a La Silla dall'inizio
del 1984 ed è in prestito a tempo
indeterminato a ESO da parte
dell'Istituto Max-Planck (MaxPlanck-Gesellschaft o MPG in
tedesco). Il tempo del telescopio
è condiviso tra MPG e i programmi
ESO di osservazione; la gestione del
telescopio è responsabilità dell'ESO.
aggiunge anche il fatto che è uno dei pochi
pianeti extrasolari conosciuti ad essere
sopravvissuto al periodo in cui la sua stella
ha raggiunto la fase di gigante rossa nella
sua evoluzione stellare, espandendosi
notevolmente dopo aver esaurito
l’idrogeno, suo combustibile all’interno
del suo nucleo. La stella si è nuovamente
contratta e ora brucia l'elio nel suo nucleo.
Fino ad ora, queste stelle del cosiddetto
«ramo orizzontale», sono rimaste in
gran parte un territorio inesplorato per
i cacciatori di pianeti. ‘Questa scoperta
è parte di uno studio nel quale sono
stati sistematicamente ricercati pianeti
extrasolari orbitanti stelle che si stanno
avvicinando alla fine della loro vita’, dice
Johny Setiawan, dell’MPIA, che ha guidato
la ricerca.
‘Questa scoperta è particolarmente
interessante se si considera il lontano futuro
del nostro sistema planetario. Anche il Sole
è infatti destinato a diventare una gigante
rossa tra circa cinque miliardi di anni.’ HIP
13044b è vicino alla sua stella madre. Nel
punto più vicino della sua orbita ellittica
si trova a meno di un diametro stellare
dalla superficie della stella (o 0.055 volte la
distanza Terra–Sole). Completa un'orbita
in soli 16,2 giorni. Setiawan e i suoi colleghi
ipotizzano che l'orbita del pianeta potesse
essere inizialmente molto più grande, ma
che si sia ridotta durante la fase di gigante
rossa della stella.
Difficilmente altri tra i pianeti così
prossimi alla loro stella possono essere
stati altrettanto fortunati. ‘La stella ha un
tempo di rotazione relativamente breve
per una stella del ramo orizzontale’, dice
Setiawan. ‘Una possibile spiegazione
è che HIP 13044 abbia inghiottito i suoi
pianeti interni durante la fase di gigante
rossa, il che porterebbe la stella a girare più
velocemente’.
Anche se HIP 13044b è sfuggito fin qui
al destino dei pianeti interni, la stella si
espanderà nuovamente nella prossima
fase della sua evoluzione. HIP 13044b può
quindi essere sul punto di essere inghiottito
dalla stella, e dunque il suo destino è già
segnato. Questo può darci una previsione
della scomparsa dei nostri pianeti esterni
–come Giove– quando il Sole si avvicinerà
alla fine della sua vita. ‘È un rompicapo per
il modello di formazione planetaria oggi
accettato spiegare come una stella abbia
potuto costituire un pianeta. Pianeti intorno
a stelle come questa devono essersi formati
in modo diverso’, conclude Setiawan.
ON-LINE
www.eso.org/news/1045
ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: DAVIDE DE MARTIN
ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: D. DE MARTIN & S. GUISARD
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
NOTIZIARIO
59
STRUMENTI
VISTA: IL NUOVO TELESCOPIO
D'AVANGUARDIA INIZIA I LAVORI
Un nuovo telescopio – VISTA (Visible
and Infrared Survey Telescope for
Astronomy) – è appena entrato in
funzione all'Osservatorio del Paranal
dell'ESO e ha già diffuso le prime
immagini. VISTA è un telescopio per
survey che opera alle lunghezze d'onda
infrarosse, ed è il più grande telescopio
al mondo dedicato a produrre una
mappa del cielo. Lo specchio, l'ampio
campo visivo, e i sensibilissimi
rivelatori, offriranno una veduta
interamente nuova del cielo australe.
Nuove spettacolari immagini della
Nebulosa Fiamma, del centro della
nostra galassia, e dell'ammasso
di galassie della Fornace, dimostrano
il perfetto funzionamento
del telescopio.
Paranal, Cile · VISTA è il più recente
telescopio dell'Osservatorio del Paranal
dell'ESO, nel Deserto di Atacama nel
Cile settentrionale. È situato sulla cima
adiacente a quella che ospita il Very Large
Telescope dell'ESO (VLT), condividendone
le eccezionali condizioni osservative. Lo
specchio principale di VISTA ha un diametro
di 4,1 m ed è lo specchio più curvo di queste
dimensioni e qualità mai realizzato – le
sue deviazioni dalla superficie ideale sono
inferiori a pochi millesimi dello spessore
di un capello umano – e la sua costruzione
e lucidazione hanno presentato delle
sfide formidabili. VISTA è stato ideato e
sviluppato da un consorzio di diciotto
università del Regno Unito coordinate
A lato
Questa immagine mostra la luce visibile del grande
campo stellare in prossimità delle costellazione del
Sagittario, all'interno della nostra galassia, la Via Lattea.
Il campo visivo è di circa 3,5°×3,6°.
dalla Queen Mary, Università di Londra,
ed è diventato parte del contributo del
Regno Unito per l'accordo di adesione
all'ESO. Il progetto e la costruzione del
telescopio VISTA sono stati condotti dal
United Kingdom Astronomy Technology
Centre (UK ATC).* L'accettazione provvisoria
* Il consorzio VISTA è guidato dalla
Queen Mary, University of London
e ne fanno parte: Queen Mary,
University of London; Queen's
University of Belfast; University
of Birmingham; University of
Cambridge; Cardiff University;
University of Central Lancashire;
University of Durham; The
University of Edinburgh; University
of Hertfordshire; Keele University;
Leicester University; Liverpool John
Moores University; University of
Nottingham; University of Oxford;
University of St Andrews; University
of Southampton.
è stata accordata formalmente dall'ESO in
una cerimonia al Quartier Generale presso
Garching, in Germania, alla quale hanno
preso parte i rappresentanti della Queen
Mary, Università di Londra, e dell'STFC, il
10 dicembre 2009. Ora il telescopio sarà
operato dall'ESO. ‘VISTA è una estensione
unica dell'osservatorio dell'ESO al Cerro
Paranal. Avrà un ruolo all'avanguardia
nell'esplorazione sistematica del cielo
australe alle lunghezze d'onda infrarosse e
identificherà numerosi oggetti interessanti
per un successivo studio più approfondito
con il Very Large Telescope, ALMA, e il
futuro European Extremely Large Telescope’
dichiara Tim de Zeeuw, Direttore Generale
dell'ESO. Nel cuore di VISTA è posto un
apparecchio fotografico di 3 tonnellate
che contiene 16 speciali rivelatori sensibili
alla luce infrarossa, per un totale di 67
milioni di pixel. Osservare a lunghezze
d'onda maggiori di quelle visibili all'occhio
umano permette a VISTA di studiare oggetti
impossibili da osservare alla luce visibile
perché sono troppo freddi, oscurati da nubi
Destra
Il Fornax Galaxy Cluster è
uno degli ammassi più vicini
al nostro gruppo locale di
galassie. Questa immagine
della luce visibile
dell'ammasso è stata
generata attraverso i filtri
rosso e blu del telescopio
VISTA. Il campo visivo
è di circa tre gradi.
Seguente
In questo straordinario
mosaico prodotto dal
telescopio VISTA sono
ritratte circa un milione
di stelle. Uno sguardo
profondo nel cuore
polveroso della nostra
galassia, nella
costellazione del Sagittario.
Così come assorbe la luce,
la polvere spaziale diffonde
la luce blu delle stelle
lontane, rendendo la
sezione centrale di questo
enorme starscape molto
rossa. Il campo visivo di
questa immagine è di circa
due gradi; il tempo di
esposizione totale è stato
di appena 80 secondi.
PLANCK
ESO / DIGITIZED SKY SURVEY 2 / ACKNOWLEDGMENT: D. DE MARTIN
ESO / VISTA / ACKNOWLEDGMENT: CAMBRIDGE ASTRONOMICAL SURVEY UNIT
64
PLANCK
NOTIZIARIO
N.1 Anno I APRILE 2011
STORIA
di polvere, o perché sono così distanti che la
loro luce si è allungata oltre la banda visibile
a causa dell'espansione dell'universo. Per
evitare di sommergere la fioca radiazione
infrarossa proveniente dallo spazio, lo
strumento deve essere raffreddato a −200
gradi e sigillato dalla più grande finestra
trasparente all'infrarosso mai realizzata.
Tale strumento è stato progettato e costruito
da un consorzio che include il Rutherford
Appleton Laboratory, l'UK ATC, e l'Università
di Durham nel Regno Unito.
Poiché VISTA è un grande telescopio
dotato di ampio angolo visuale, può
rivelare sorgenti molto deboli esplorando
ampie regioni del cielo in poco tempo.
Ciascuna immagine di VISTA cattura una
regione di cielo grande circa dieci volte
l'area della Luna piena, e sarà in grado
di rilevare e catalogare oggetti sull'intero
cielo australe con una sensibilità quaranta
volte maggiore di quella raggiunta in
esplorazioni sistematiche precedenti
come la straordinaria Two Micron All-Sky
Survey. Questo salto di potenza osservativa
– paragonabile al salto di sensibilità fra
l'occhio nudo e il primo telescopio di
Galileo – rivelerà un numero enorme di
nuove sorgenti, e permetterà la creazione
di cataloghi di gran lunga più completi di
oggetti rari ed esotici nel cielo australe.
‘Siamo entusiasti di essere stati in grado di
offrire alla società astronomica il telescopio
VISTA. La qualità eccezionale dei dati
scientifici è un tributo a tutti gli scienziati
e i tecnici che hanno preso parte a questo
esaltante e impegnativo progetto’ aggiunge
Ian Robson, direttore dell'UK ATC.
Le prime immagini distribuite mostrano
la Nebulosa Fiamma (NGC 2024) nella
familiare costellazione di Orione, una
spettacolare nube di gas e polvere entro la
quale nascono stelle, e i suoi dintorni. Nella
luce visibile il nucleo dell'oggetto è celato
da spesse nubi di polvere, ma l'immagine
di VISTA, ottenuta alle lunghezze d'onda
infrarosse, può penetrare le fitte coltri e
rivelare l'ammasso di giovani e caldissime
stelle che si celano all'interno. L'ampio
campo visivo dello strumento cattura anche
il bagliore di NGC 2023 e la forma spettrale
della famosa Nebulosa Testa di Cavallo.
La seconda immagine è un mosaico
composto da due vedute di VISTA del
centro della nostra galassia, la Via Lattea,
nella costellazione del Sagittario. Si
svelano numerosissime stelle – solo questa
immagine ne mostra circa un milione – che
in maggioranza sono solitamente celate da
spesse nubi di polvere e diventano visibili
solo alla luce infrarossa.
Per ottenere l'ultima immagine, VISTA
ha spinto lo sguardo ben oltre la nostra
galassia per ottenere il ritratto di famiglia di
un ammasso di galassie nella costellazione
della Fornace. Il grande campo permette di
catturare numerose galassie in una singola
immagine che include l'impressionante
spirale barrata NGC 1365 e la grande galassia
ellittica NGC 1399.
VISTA userà quasi tutto il suo tempo nella
creazione di una mappa sistematica del
cielo australe. Il telescopio si prepara a sei
survey principali aventi scopi scientifici
differenti, da svolgersi nei prossimi cinque
anni. Una survey interesserà l'intero cielo
australe mentre le altre si concentreranno
su regioni più limitate, da studiare in
maggiore dettaglio. Le survey di VISTA ci
aiuteranno a comprendere la natura, la
distribuzione e l'origine dei tipi conosciuti
di stelle e galassie, realizzeranno una
mappa della struttura tridimensionale
della nostra galassia e delle vicine Nubi
di Magellano, e aiuteranno a determinare
la relazione fra la struttura dell'universo
e le misteriose materia oscura ed energia
oscura. L'enorme volume di dati prodotti
– circa 300 gigabyte ogni notte, o più
di 100 terabyte all'anno – sarà raccolto
dall'archivio digitale dell'ESO e sarà
convertito in immagini e cataloghi dai
centri dati del Regno Unito nelle università
di Cambridge ed Edimburgo. Tutti i dati
diverranno pubblici e resi accessibili agli
astronomi di tutto il mondo.
Jim Emerson della Queen Mary di Londra,
alla guida del consorzio di VISTA, anticipa
un ricco raccolto scientifico per mezzo del
nuovo telescopio: ‘La storia ha dimostrato
che alcuni dei risultati più esaltanti ottenuti
da progetti come VISTA sono proprio quelli
che meno ci si aspetta – e sono io stesso
molto ansioso di vedere quali saranno.’
ON-LINE
www.vista.ac.uk
SESSANT'ANNI FA
LO «ZOO SPAZIALE»
IN ORBITA SCIMMIE,
RAGNI E API
Una vera Arca di Noè orbitante, prima
di lanciare nel cosmo equipaggi umani,
per testare apparecchiature e mezzi.
Missioni riuscite e missioni finite
tragicamente, a partire dalla cagnetta
russa Laika, lanciata con lo Sputnik 2.
Morì, abbandonata nello spazio.
Una vera Arca di Noè orbitante, per scoprire
i segreti del cosmo prima di lanciare nello
spazio gli equipaggi umani. Sessant'anni
fa, le guerre stellari per il predominio del
vuoto cosmico furono combattute, anche
loro malgrado, da scimmie, cani, gatti,
topi, rane, ragni, api e addirittura pesci.
Uno zoo spaziale precursore delle prime
missioni con esseri umani per testare
apparecchiature e mezzi in grado di portare
l'umanità fuori dai confini della Terra.
E se nel 1947 gli Stati Uniti lanciano
a bordo di razzi V-2 intere famiglie di
moscerini, l'anno successivo tocca alla
scimmia Albert, protagonista (involontaria)
di una missione che però fallisce sul
nascere. Riesce, invece, il lancio effettuato
l'anno seguente: a bordo c'è sempre un
primate, Albert II, che raggiunge i 150
chilometri di altezza. Da allora, lo zoo
orbitante delle missioni spaziali, anche
dopo lo storico lancio del primo uomo nello
spazio, l'astronauta russo Yuri Gagarin, si
è arricchito di sempre nuovi protagonisti,
pescati qua e là fra le varie specie animali:
dai ragni ai topi, dai cani alle farfalle, dai
gatti alle api, dai pesci agli scarafaggi, ai
vermi, le lumache, i gamberi, agli scorpioni
e anche alle ostriche
L'astronauta a quattro zampe più famoso
della storia spaziale è senza dubbio Laika,
la cagnetta russa che per prima, nel 1957,
orbitò intorno alla Terra a bordo della
navicella spaziale Sputnik 2. Fu lasciata
morire nello spazio perché il suo rientro sul
nostro pianeta non era previsto. Una delle
ipotesi più accreditate fu che l'animale morì
praticamente poche ore dopo il lancio a
causa del surriscaldamento della cabina. RKA
Le sue colleghe Belka e Strelka, assieme a
un coniglio, due topi e due ratti, furono le
prime a tornare vive e vegete sulla Terra da
un volo spaziale, a bordo dello Sputnik 5.
Insieme alle scimmie, i topi sono stati
tra i primi animali a raggiungere lo spazio.
Nell'agosto del 1950, il quinto lancio del
razzo Albert aveva a bordo proprio un
roditore. Sfortunato, però, dal momento che
il paracadute di recupero non funzionò a
dovere, causando la morte del topolino. Un
altro missile americano, l'Aerobee, volò alla
conquista dello spazio con una squadra di
undici topi a bordo.
Seguì poi il test Mouse in Able, che
prevedeva il ritorno sulla Terra di tre topi
di tre razzi differenti. Ma anche questa
missione si concluse tragicamente. Dieci
anni prima della missione Apollo che
portò l'uomo sulla Luna, ancora una
missione sfortunata, questa volta per 14
topi che morirono a bordo del razzo Jupiter.
Neppure alle due rane lanciate nello
spazio dalla Nasa nel 1970 per una serie
di esperimenti sull'assenza di peso andò
bene: rimasero in orbita per ben 6 giorni,
ma scomparvero con tutta la navetta negli
abissi dello spazio al momento del rientro.
Era andata meglio un paio di anni prima
a due tartarughe inviate in missione nello
spazio dai russi a bordo della navetta Zond
5. Al loro rientro sulla Terra, le tartarughe
avevano perso peso, ma almeno erano
sopravvissute. E nel novembre 1975, ancora
tartarughe nello spazio, e ancora una volta
lanciate dai russi: rimasero nel cosmo per
ben 90 giorni.
In orbita ci sono andati pure i gatti. Il
primo, nel 1963, è stato Felix, felicemente,
è il caso di dire, rientrato sulla Terra a
bordo del razzo francese Veronique. Una
settimana più tardi i transalpini ritentarono,
spedendo nel cosmo un altro felino,
che però non fu fortunato come il suo
predecessore e morì durante il rientro.
Di ragni ne sono stati inviati tanti nello
spazio, ma i primi in assoluto sono stati
gli europei Arabella e Anita, a bordo dello
Skylab 3, nel 1973. Anche i porcellini d'India
sono stati astronauti per un giorno – e
anche più – a bordo dello Sputnik 9 nel
marzo del 1961, insieme a un cane di nome
Chernushka, fatto passare come un finto
cosmonauta ribattezzato Ivan Ivanovich
e un assortimento di topi e rettili. Nel
1990 la Cina ha lanciato il satellite FSW-13
con a bordo oltre 60 tra piante e animali,
porcellini d'India inclusi. Dopo otto giorni
tutti di nuovo sulla Terra, senza perdite.
Alla conquista del cosmo sono partiti
pure i pesci. Il primo è stato un mummichog,
piccolo pesce d'acqua dolce, utilizzato
spesso nei progetti di ricerca per la sua
capacità di sopravvivere in condizioni
ambientali estreme. E se il mummichog è
stato il pioniere, tra i pesci, dei voli spaziali,
molti altri ne hanno seguito la scia, dalle
carpe ai pesci killer del Giappone, alle
ostriche.
Sopra
La cagnetta Laika, lanciata nello spazio nel 1957 .
N.1 Anno i
aPRILE 2011
1
ARTICOLI
LEGGERE
L'UNIVERSO
L'informazione di ciò che esiste e avviene
nell'universo è contenuta nella radiazione
elettromagnetica generata dai vari processi
astrofisici. Nel XIX secolo la scoperta della
natura elettromagnetica della luce ha posto
le basi per passare, nel secolo successivo,
dall'astronomia ottica all'osservazione
sia dalla Terra sia dallo spazio.
Oltre la Luce Piero Benvenuti 69
L'Universo Violento Giovanni Fabrizio Bignami 83
I Raggi Cosmici un Secolo Dopo Bruna Bertucci 93
Dal Big Bang ai Buchi Neri Paolo De Bernardis 103
68
articoli
1
piero benvenuti
OLTRE
LA LUCE
L'informazione su ciò che esiste e avviene
nell'universo è contenuta nella radiazione
elettromagnetica generata dai vari processi
astrofisici. Nel XIX secolo la scoperta della
natura elettromagnetica della luce ha posto
le basi per passare, nel secolo successivo,
dall'astronomia ottica all'osservazione
sia dalla Terra sia dallo spazio.
Caso unico tra le scienze, l’astronomia
non permette al ricercatore di costruire
i propri esperimenti, di interrogare direttamente la natura imponendo precise
condizioni, come si fa per esempio nello studio di un gas in laboratorio o nello
studio delle particelle subatomiche in un
grande acceleratore. Le enormi distanze
che intercorrono tra l’osservatore e gli oggetti celesti (stelle, galassie, ammassi di
galassie) e le loro masse ed energie caratteristiche, insieme alla velocità finita della luce, rendono di fatto impossibile ogni
interazione con gli oggetti stessi. Le «sensate esperienze» che Galileo pone alla
base del suo nuovo metodo scientifico
sono quindi limitate, nel caso dell’astronomia, alla ricezione e all’analisi delle
informazioni che gli oggetti astronomici,
naturalmente e indipendentemente dalla volontà dell’astronomo, ci inviano.
Se tralasciamo una piccola parte di
informazione che ci arriva attraverso
particelle atomiche di altissima energia,
i raggi cosmici, la quasi totalità dell’informazione su ciò che esiste e avviene
nel cosmo è contenuta nella radiazione
elettromagnetica generata dai processi
astrofisici. Questo è il motivo che lega
strettamente il progredire della conoscenza astronomica alla capacità di rac-
Fig.1
Il W.M. Keck Observatory è un osservatorio
astronomico costituito dai due telescopi
riflettori gemelli Keck situato a 4.145 m
di altezza sulla sommità del vulcano Mauna
Kea, nelle isole Hawaii. Lo specchio primario
di ciascuno dei due telescopi ha un diametro
di circa 10 m.
LAURIE HATCH
ARTICOLI
69
70
ALTEC
OLTRE LA LUCE
PIERO BENVENUTI
Quattro secoli di tecnologia
Da Galileo in poi, le dimensioni dell'apertura dei telescopi
sono aumentate costantemente Circa mezzo secolo fa,
è iniziato un enorme balzo tecnologico.
1000
100
M. Wilson
M. Palomar
Keck
VLT
E-ELT
La finestra radioastronomica
Da millenni, quindi ben prima di Galileo,
e per circa tre secoli e mezzo dopo di lui,
l’astronomia si è basata sull’osservazione
della luce visibile, cioè della radiazione
elettromagnetica con lunghezza d’onda
compresa tra circa 300 e 700 nanometri.
Questo intervallo di lunghezze d’onda è
quello al quale è sensibile l’occhio umano, e coincide con buona approssimazione con quello della luce solare filtrata
dall’atmosfera terrestre: sembra plausibile che l’evoluzione biologica della nostra specie abbia favorito la sensibilità
dell’organo preposto alla visione alla luce
più copiosamente disponibile durante il
giorno. Se così non fosse, saremmo ciechi. Che ne è della radiazione invisibile
ai nostri occhi, ma pur sempre presente perché emessa dai fenomeni celesti?
Una parte consistente (dall’ultravioletto ai raggi X e gamma) viene assorbita
dall’atmosfera prima di raggiungere la
superficie terrestre. La radiazione infrarossa è in parte assorbita dall’atmosfera
e in parte disturbata dall’emissione infrarossa dell’atmosfera stessa, mentre la
radiazione a radiofrequenza (con lunghezze d’onda da circa 1 cm a circa 10 m)
raggiunge la superficie terrestre come
la luce visibile, ma ci era ignota perché
non disponiamo di un organo sensoriale
adatto a percepirla.
A causa della trasparenza atmosferica,
furono proprio le emissioni a radiofrequenza le prime ad ampliare lo spettro
di visibilità dei fenomeni cosmici non
Piero Benvenuti
Professore di astrofisica
delle alte energie presso
l'Università di Pavia
10
1
0,1
0,01
Occhio nudo
1500
X Diametro
ASI, 2010
Newton
Fig.2
L'osservatorio di Mount
Palomar è uno dei più
importanti al mondo
nel settore della ricerca
astronomica. Ospita il famoso
telescopio Hale di 5 m di
apertura, completato nel
1949 e gestito dal California
Institute of Technology. È
situato nella Contea di San
Diego, circa 150 km a sud-est
di Los Angeles, a 1.710 m di
altezza. Comprende anche
due camere Schmidt e un
telescopio riflettore di 1,5 m.
motivo l’evoluzione del telescopio è stata dominata dalla necessità di costruire
strumenti con un’apertura di diametro
sempre maggiore, e con qualità ottiche
tali da riprodurre su una superficie – il
piano focale – una zona di cielo il più
ampia possibile con il minimo di aberrazioni.
Questa evoluzione, iniziata immediatamente dopo le prime scoperte galileiane, ha proceduto costantemente nel
tempo, ma senza balzi significativi fino a
circa mezzo secolo fa, quando una combinazione di progressi tecnologici ha
dato un impulso straordinario alle capacità di osservazione.
Galileo
cogliere e analizzare i segnali elettromagnetici provenienti dal cosmo. La storia
dell’evoluzione di questa capacità è stata
segnata dalla scoperta, da parte di James
Clerk Maxwell nel 1864, della natura elettromagnetica della luce e, successivamente, dallo sviluppo delle tecnologie
per la rivelazione della radiazione, che
ha permesso di passare dall’astronomia
ottico-visiva all’osservazione, dalla Terra
e dallo spazio, di tutto lo spettro elettromagnetico emesso dai fenomeni celesti.
Il cannocchiale di Galileo è un vero e proprio telescopio in senso etimologico: uno
strumento che fa vedere oggetti lontani
come se fossero vicini, ingrandendone le
dimensioni apparenti.
È senz’altro la più immediatamente
comprensibile delle capacità dello strumento, ed è quella alla base delle prime,
rivoluzionarie scoperte astronomiche: le
montagne e le valli della Luna, la natura
della Via Lattea, le fasi di Venere e, naturalmente, il sistema gioviano dei satelliti
medicei.
Limitandosi però al solo effetto di ingrandimento si rischia di sottovalutare
i vantaggi veramente determinanti del
telescopio, ovvero la capacità di raccogliere la luce (più in generale la radiazione elettromagnetica) emessa da oggetti
debolissimi per la grande distanza che
li separa da noi, e la capacità correlata di
distinguere oggetti angolarmente molto
vicini in cielo. Entrambe queste caratteristiche del telescopio sono legate all’area
effettiva dell’apertura dello strumento
che intercetta la radiazione proveniente
dalla zona di cielo osservata. Per questo
1600
1700
1800
1900
2000
Y Anno
INFOGRAFICA: P
71
72
ESO
OLTRE LA LUCE
PIERO BENVENUTI
Fig.3
VLT è un sistema di quattro telescopi ottici separati, ognuno con uno specchio
primario di 8,2 m. Il progetto fa parte dell'ESO e si trova sul Cerro Paranal, in Cile.
73
74
OLTRE LA LUCE
Fig.4–5 a destra
L'osservatorio di Arecibo
è situato circa 15 km
a sud-sudovest di Arecibo,
nell'isola di Porto Rico. Esso
opera attraverso la Cornell
University sotto un accordo
cooperativo con la National
Science Foundation,
un'agenzia governativa USA.
L'osservatorio è noto come
NAIC (National Astronomy
and Ionosphere Center)
anche se entrambi i nomi
sono ufficialmente utilizzati
per riferirsi ad esso. NAIC si
riferisce più propriamente
all'organizzazione che dirige
sia l'osservatorio che
i laboratori associati e gli
uffici della Cornell University.
L'osservatorio possiede
un radiotelescopio formato
da un'antenna di 305 m
ed è il più grande telescopio
con singola apertura che
sia mai stato costruito.
Esso viene utilizzato
principalmente per tre
grandi aree di ricerca:
radioastronomia, fisica
atmosferica (utilizzando
sia il radiotelescopio
che la funzione LIDAR
dell'osservatorio)
e l'osservazione radar di
oggetti del sistema solare.
Nel 2012 verrà inaugurato il più grande
sito di antenne mai concepito: il progetto
ALMA, costruito su un immenso salar
a più di 5 mila metri quota in Cile
appena la tecnologia lo permise. La sco- si tratta di una legge di natura: sempliperta dell’emissione di onde radio da cemente, finora non siamo stati in grado
parte di oggetti celesti avvenne casual- di costruire rivelatori di radiazione eletmente nel 1930 per opera di un ingegnere tromagnetica che, nel caso di lunghezze
dei Bell Telephone Laboratories, Clark d’onda pari o inferiori a quelle della luce
Guthe Jansky, che usando una grande visibile, ci permettano di misurare amantenna direzionale si accorse che un piezza e fase del segnale incidente. Lo
segnale radio entrava nel campo della sappiamo fare invece molto bene nel
sua antenna ogni giorno con 4 minuti di caso delle onde radio, per le quali l’oscilritardo, segno che la sorgente, successi- lazione degli elettroni liberi in un dipolo
vamente identificata con la zona centrale – il cuore dell’antenna – indotta dalla radella Via Lattea, seguiva il tempo siderale, diazione incidente viene amplificata da
ovvero era solidale con la sfera celeste. opportuni e sempre più sofisticati circuEra nata la radioastronomia, che comin- iti elettronici fino a fornirci un tracciato
ciò però a svilupparsi sistematicamente temporale dell’oscillazione stessa, da cui
solo dopo la fine della seconda guerra è possibile ricavare non solo l’energia
mondiale. Per capire i vantaggi e la com- trasportata dalla radiazione, ma anche
plementarità delle osservazioni radio l’ampiezza e la fase della radiazione in
rispetto a quelle ottiche è importante funzione del tempo. Questa precisazioevidenziare la sostanziale differenza di ne, che sembrerà un po’ pignola e aririvelazione del segnale elettromagnetico
nelle due tecniche. Nel caso ottico-visibile, la radiazione – la luce – oltre a essere rilevabile dall’occhio umano, è stata
appaiono brillanti nella parte
rivelata e registrata per molti decenni Fig.6 pagina seguente
dello spettro millimetrica
dal processo fotografico, mentre attual- Sull'altopiano di
Chajnantor nelle Ande
e submillimetrica.
mente lo è da dispositivi a stato solido, i cilene, l'ESO (European
La radiazione millimetrica
CCD (Charge Coupled Device), gli stessi Southern Observatory), in
e submillimetrica apre una
finestra sull'enigmatico
che si usano nelle fotocamere digitali e collaborazione con i suoi
universo freddo, ma i segnali
nei telefonini. In entrambi i casi – lastra partner internazionali,
sta costruendo ALMA – un
provenienti dallo spazio
fotografica e CCD – la luce può essere
telescopio modernissimo per
sono fortemente assorbiti
immaginata come un insieme di fotoni, studiare la luce proveniente
dal vapore acqueo presente
pacchetti individuali di energia defini- da alcuni dei più freddi
nell'atmosfera terrestre.
Per questo i telescopi per
ta e proporzionale all’inverso della loro oggetti dell'universo. Questa
luce ha lunghezze d'onda
questo tipo di astronomia
lunghezza d’onda, che interagendo con
di circa un millimetro, fra la
devono essere costruiti in siti
i granuli di un sale d’argento nel primo luce infrarossa e le onde radio, elevati e secchi, come quello
caso o con un elemento semiconduttore ed è perciò conosciuta come
di 5 mila metri dell'altopiano
di Chajnantor, il sito del più
nel secondo, cedono la loro energia elet- radiazione millimetrica
e submillimetrica.
alto osservatorio astronomico
tromagnetica.
La luce a queste lunghezze
sulla Terra. L'ESO con i
In questo processo, che in ogni caso d'onda proviene da vaste
suoi partner internazionali,
permette di misurare l’energia trasporta- nubi fredde nello spazio
sta costruendo qui ALMA
(Atacama Large Millimeter/
ta dalla luce, viene persa definitivamente interstellare, a temperature
di solo alcune decine di gradi
Submillimeter Array). Questo
l’informazione legata alla caratteristica
sopra lo zero assoluto, e da
è il più grande progetto
ondulatoria della luce, cioè all’ampiezza alcune tra le più antiche e
astronomico di oggi. Il sito di
dell’onda elettromagnetica e alla sua fase distanti galassie dell'universo. ALMA, circa 50 km a est di San
Pedro di Atacama, nel nord
che, per dir così, spariscono nel processo Gli astronomi possono usarla
per studiare le condizioni
del Cile, è uno dei luoghi
di cessione di energia al rivelatore. Non
chimiche e fisiche nelle nubi
molecolari – le dense regioni
di gas e polvere dove nascono
nuove stelle. Spesso, queste
regioni dell'universo sono
buie e oscure se guardate
nella luce visibile, ma
più secchi della Terra. Gli
astronomi trovano condizioni
ottime per l'osservazione,
ma devono gestire un
osservatorio di frontiera
in condizioni molto
(continua a pag. 77)
SIC
76
ESO
OLTRE LA LUCE
PIERO BENVENUTI
77
Fig.6
(continua da pag. 74)
molto difficili. Il Chajnantor
è 750 m più in alto
dell'osservatorio di Mauna
Kea, e 2.400 m più in alto
del VLT sul Cerro Paranal.
Procurando agli scienziati
dettagliate immagini di stelle
e pianeti nati in nuvole di gas,
vicino al nostro sistema solare,
e individuando galassie
distanti, che si formano
ai confini dell'universo
osservabile, che noi vediamo
all'incirca come erano dieci
miliardi di anni fa, ALMA
consentirà agli astronomi
di rispondere ad alcune delle
domande più profonde sulle
origini del nostro cosmo.
La sua costruzione verrà
completata intorno al 2012,
ma le prime osservazioni
scientifiche con una parte
della serie di antenne
cominceranno già entro
la fine di quest'anno.
78
OLTRE LA LUCE
N.1 Anno i aprile 2011
da, è necessaria per capire la tecnologia Array), costruito su un immenso salar,
che sta alla base della VLBI (Very Long un antico lago salato, a più di 5 mila metri
Baseline Interferometry) la più impor- di quota nel deserto di Atacama, in Cile.
tante tecnica radioastronomica. Più antenne riceventi, situate anche a migliaia
di chilometri di distanza, osservano la L'era spaziale e l'accesso globale
radiazione emessa dallo stesso oggetto. allo spettro elettromagnetico
Le osservazioni ottenute da ciascuna L’avvento dell’era spaziale, con il lancio
antenna – i tracciati di ampiezza e fase in dei primi satelliti artificiali, apre definifunzione del tempo – vengono registrate tivamente il potenziale accesso all’intero
su un supporto magnetico e successiva- spettro elettromagnetico, in particolare
mente sovrapposte, ovvero fatte interfe- quello relativo alla radiazione più enerrire, in modo che le oscillazioni in coin- getica della luce visibile: l’ultravioletto e i
cidenza di fase si sommino e quelle con raggi X e gamma. In questo caso, tuttavia,
fase opposta si elidano. Questa tecnica, oltre al problema di portare in orbita il
detta «sintesi di apertura», permette di telescopio, si presenta un ulteriore proaumentare enormemente la risoluzione blema tecnico: gli specchi a incidenza
del complesso di telescopi, quasi come normale, quali sono quelli classicamense il telescopio avesse un diametro pari te usati dai telescopi ottici terrestri, non
alla separazione massima tra le antenne riflettono efficacemente la radiazione;
usate. Per ottenere risultati soddisfacenti anzi, nel caso dei raggi X e gamma ne
è necessario usare una rete di numerosi verrebbero attraversati.
telescopi collocati a varie distanze, anche
Solo per l’ultravioletto, fino a lunghezin continenti diversi, o addirittura nello ze d’onda di circa 90 nanometri, è posspazio, come prevede un progetto russo, sibile usare un disegno ottico classico, a
Radioastron.
patto di adottare speciali accorgimenti
La possibilità di usare collegamenti a per la superficie riflettente. Fu il sistema
fibra ottica a larga banda ha permesso adottato dal satellite IUE (International
di recente di collegare direttamente le Ultraviolet Explorer), lanciato nel 1978,
antenne e operare l’interferometria in che montava un telescopio classico con
tempo reale. Farà parte di questa rete in- uno specchio primario del diametro di
ternazionale anche il Sardinia Radio Te- 45 cm, ma con un’ottima efficienza per
lescope, in fase di avanzata costruzione la radiazione ultravioletta, da 300 a 115
a Pranu Sanguni, in Sardegna, un radio- nanometri. Collocato in orbita geostatelescopio del diametro di 64 m che sarà zionaria, IUE fu il primo vero osservail più sofisticato esistente in Europa. Nel torio spaziale, controllabile e gestibile
2010 si inaugurerà il più grande parco di dalle stazioni di terra come un telescopio
antenne mai realizzato: il progetto mon- terrestre. Il grande balzo per l’astronodiale ALMA (Atacama Large Millimitre mia ottica-ultravioletta dallo spazio fu
Fig.7
Il JWST (James Webb Space
Telescope) è un telescopio
spaziale infrarosso
sviluppato per un upgrade
nell'infrarosso rispetto alle
funzionalità del precedente
Telescopio Spaziale Hubble.
Verrà costruito e gestito in
cooperazione dalla NASA
e dall'Agenzia Spaziale
Europea. Precedentemente
indicato come NGST (Next
Generation Space Telescope),
è stato rinominato nel
2002 in onore del secondo
amministratore della NASA
James E. Webb. Il lancio del
telescopio è previsto per il
2014. La missione primaria
del JWST è di esaminare il
residuo a infrarossi del big
bang, per poter determinare
le condizioni iniziali di
formazione dell'universo.
Per realizzare questa
missione il telescopio
sarà dotato di sensori
estremamente sensibili.
Questi sensori necessitano di
una struttura estremamente
fredda e infatti la maggior
parte delle interferenze
infrarosse – provenienti dal
Sole, la Terra e la Luna in
prima approssimazione –
saranno bloccate.
Per bloccare le radiazioni
infrarosse il telescopio sarà
dotato di una ampia paratia
metallizzata utilizzata come
schermo. Il telescopio
verrà posto in un'orbita
lagrangiana in modo da
mantenere costante la
posizione del Sole e della
Terra rispetto al telescopio
e quindi rendere efficace lo
schermo. Nonostante il JWST
pesi la metà del telescopio
Hubble il suo specchio
primario (uno specchio di
6,5 m di berillio) sarà più
del doppio dello specchio
dell'Hubble (2,4 m). Dato
che il lanciatore non è in
grado di trasportare in orbita
uno specchio così grande
lo specchio sarà diviso in 18
sezioni che una volta in orbita
si dispiegheranno attraverso
dei sensibili micromotori
che posizioneranno
correttamente i segmenti.
Una volta che il telescopio
sarà dispiegato saranno
necessari solo rari
aggiustamenti dei segmenti
a differenza dei telescopi
terrestri. Per esempio il
telescopio Keck utilizza dei
micromotori che muovono
continuamente i singoli
pezzi dello specchio per
compensare le perturbazioni
dell'atmosfera. La Northrop
Grumman, compagnia
statunitense, è il primario
sviluppatore, costruttore e
assemblatore del telescopio.
Ha la responsabilità dello
sviluppo e della costruzione
del veicolo spaziale incluso
lo schermo di protezione
dalle radiazioni infrarosse
e dei sistemi di trasmissione
dati verso la Terra.
ESA
ESA / P. DIAMANTOPOLOUS
PIERO BENVENUTI
Fig.8
NGC 6611 è una grande
regione visibile nella
costellazione della Coda
del Serpente; è formata
da un ammasso di stelle
associato ad una nebulosa
catalogata come IC 4703. Il
suo studio è diventato molto
importante per la ricerca sui
buchi neri supermassicci: nel
2004 al centro della regione
è stato infatti scoperto un
enorme buco nero, la cui
osservazione diretta era
resa però estremamente
complessa a causa delle
interferenze radio emesse
mezzo interstellare. Dal 2005
l'ESO ha coinvolto la propria
comunità di astronomi e
astrofisici europei allo scopo
di definire le caratteristiche
di un nuovo telescopio.
Questo rivoluzionario
progetto concettuale
chiamato E-ELT (European
Extremely Large Telescope)
prevede un telescopio a terra
del diametro di 42 m che
sarà il più grande telescopio
ottico/vicino-infrarosso
del mondo: ‘Il più grande
occhio rivolto al cielo’. Le
potenzialità di E-ELT sono tali
da far ben sperare nel campo
della ricerca sui buchi neri
come quello al centro
di NGC 6611.
compiuto dall’Hubble Space Telescope,
lanciato nel 1990, che con uno specchio
primario del diametro di 2,4 m, una suite di strumenti per l’osservazione nel
visibile e nell’ultravioletto e la possibilità
di essere visitato dagli astronauti per la
manutenzione e per la sostituzione degli
strumenti rappresenta tuttora il più efficiente e popolare osservatorio spaziale.
Oltretutto, l’assenza dell’effetto perturbativo dell’atmosfera sulla luce visibile
permette a Hubble di ottenere immagini
degli oggetti celesti visibili anche dai telescopi terrestri, ma con una risoluzione e
nitidezza circa dieci volte superiore. Anche per Hubble, il disegno ottico del telescopio non è diverso da quello usato per
gli strumenti terrestri. Questo disegno ottico, proposto da Riccardo Giacconi nel
1969, prevede che la radiazione incontri
la superficie riflettente con un angolo
molto piccolo, radente appunto. In questo modo la riflettività si mantiene alta,
ma la superficie utile per raccogliere la
radiazione risulta molto piccola: è come
se lo specchio primario avesse un enorme buco al centro. Per aumentare l’area
efficace si costruiscono molti specchi coassiali, ognuno leggermente più piccolo
dell’altro e si montano uno dentro l’altro
come in una bambola russa o come le
foglie di un carciofo. Tutti i telescopi per
raggi X attuali – XMM-Newton e Chandra – sono costruiti in questo modo: per
evitare pesi eccessivi, gli specchi devono
essere molto sottili, pur mantenendo
esattamente la forma voluta. I fotoni di
più alta energia, i raggi gamma, non sono
riflessi nemmeno dalle ottiche radenti, e
bisogna usare altre metodologie. Negli
strumenti più recenti si sfrutta la proprietà dei raggi gamma di materializzarsi,
nel passare vicino a un nucleo pesante,
producendo una coppia costituita da un
elettrone e dalla sua antiparticella, il positrone.
La traiettoria di queste due particelle è
seguita da una serie di rivelatori disposti
uno sopra l’altro, e permette di determinare la direzione di provenienza del fotone originario e, con l’aiuto di altri rivelatori, la sua energia.
Non si può chiudere il capitolo dell’astronomia dallo spazio senza citare i satelliti
infrarossi e millimetrici, come COBE e
WMAP, che con l’osservazione del fondo cosmico, indisturbata dall’atmosfera,
hanno contribuito in modo determinante alla costruzione dell’attuale modello
cosmologico.
Sembrava che il telescopio di Mount
Palomar fosse un limite invalicabile,
invece i progressi ottenuti nel campo
della micro-elettronica hanno fatto
un vero e propio miracolo tencologico
BIBLIOGRAFIA
Eyes on the skies. 400 years
of telescopic discovery
Schilling G., Christensen L.L.,
ESA, 2010
The adaptive optics
revolution: a history
Duffner R.W., University of NM
Press, 2009
Astronomical optics
and elasticity theory
Lemaitre G.R., Springer, 2009
The invisible universe.
The story of radio astronomy
Verschuur G.L., Springer, 2009
Il telescopio di Galileo.
Lo strumento che
ha cambiato il mondo
Strano G. (a cura di ), Giunti, 2009
Viaggio verso l’infinito.
Le sette tappe che ci hanno
svelato l’universo
Bianacci P., Gruppo B, 2009
ON-LINE
www.eso.org
81
KSC / NASA
articoli
2
giovanni fabrizio bignami
L'UNIVERSO
VIOLENTO
Negli ultimi dieci anni, l'astrofisica della alte energie che
studia la radiazione X e quella gamma, ha ottenuto una
serie impressionante di risultati, facendo luce sui più violenti
fenomeni del cosmo. La comunità scientifica e industriale
italiana ha un ruolo di primo piano in questi risultati, grazie
ad una scuola riconosciuta a livello mondiale.
Quattro secoli dal telescopio di Galileo,
quarant’anni dall’Apollo 11, vent’anni
dall’invenzione del World Wide Web al
CERN. Siamo circondati dalle ricorrenze.
E tra poco, in dicembre, saranno dieci
anni che la missione XMM-Newton della
European Space Agency funziona in orbita. Usiamo allora questa data simbolo
per raccontare quello che è successo
nell’ultimo decennio nell’astrofisica delle alte energie, una branca dell’astronomia dallo spazio che non era stata mai
così attiva e prolifica, soprattutto in Europa e in Italia.
A partire dal lancio di XMM-Newton
nel 1999, quando la missione BeppoSAX
dell’Agenzia Spaziale Italiana era al picco dei suoi risultati, cercheremo di seguire, fino a oggi, la serie impressionante
di missioni e di risultati. E vedremo che
gruppi italiani sono, in molti casi, protagonisti. Ma un decennio d’oro non nasce
nel vuoto: i risultati di oggi partono da
una scuola che ha ormai mezzo secolo. E
quella italiana è una scuola che il mondo ci invidia, almeno finora, sul piano
culturale come su quello tecnologico e
industriale.
Nascita di una scienza
Possiamo fissare l’inizio dell’astrofisica
delle alte energie nel 1960. Solo tre anni
dopo il lancio dello Sputnik, al Massachusetts Institute of Technology Bruno
Rossi e George Clark cercano di capire
come usare lo spazio per studiare fotoni extraterrestri. Lo stesso sta facendo
uno dei laureati milanesi di Giuseppe
Occhialini, Riccardo Giacconi, da poco
negli Stati Uniti. E lo stesso Occhialini,
nel 1960, trascorre un periodo al MIT con
Rossi, seguito da un soggiorno di Clark a
Milano. Mentre Giacconi, Rossi e gli altri
scoprono la prima sorgente di raggi X nel
1962 (grazie a cui Giacconi otterrà il premio Nobel quarant’anni dopo), tornato
83
84
L'UNIVERSO VIOLENTO
a Milano, Occhialini inizia a progettare
missioni spaziali, insieme ai maggiori fisici e astrofisici europei dell’epoca. Lo fa
nel contesto dell'ESRO (European Space
Research Organisation, l’organismo che
precedette l’ESA istituita nel 1975), prima
per studiare i raggi gamma celesti, rivelati
da Clark nel 1968, e poi i raggi X, anche sulla spinta della missione UHURU (SAS-1)
realizzata per la NASA da Giacconi e Rossi nel 1970. Proprio su un esperimento
spaziale di prima generazione per astronomia gamma mi laureo nel gruppo di
Occhialini nel 1968.
Sugli intensi rapporti tra Occhialini e
Rossi dovevo fare, molti anni dopo, una
interessante scoperta, che rivelo qui per
la prima volta – i due protagonisti sono
morti, quasi contemporaneamente, ormai da tempo. Negli anni settanta ereditai a Milano la scrivania della segretaria
di Beppo, Nella Cimaz. Caduta dietro a
un cassetto, trovai una copia di una lettera – che tuttora custodisco gelosamente. Era indirizzata da Beppo al Comitato
Nobel, e nominava Bruno Rossi per il
premio, elencandone i meriti con il suo
stile conciso e ficcante. La candidatura
non andò a buon fine: forse Beppo non
era potente a Stoccolma, o forse Rossi
non era abbastanza sostenuto negli Stati
Uniti.
La scuola europea di astronomia gamma, cresciuta grazie a Occhialini – e ai
suoi colleghi e allievi – in modo parallelo
a quella statunitense, arriva a maturità
con COS-B (1975—1982), il primo satellite
dell’ESA. Per una volta, l’Europa è alla pari
degli Stati Uniti, se non davanti: COS-B
migliora nettamente i dati della missione NASA SAS-2, svoltasi tra il 1972 e il
1973. Scopre una popolazione di sorgenti
gamma galattiche, tra le quali Geminga,
che diventerà la più famosa, e vede la
prima sorgente extragalattica, il quasar
3C273. Pur con grosse difficoltà pratiche
e lunghi ritardi, in Europa comincia an-
Fig.9 pag. 82
Swift messo in orbita
dalla NASA nell'ambito del
Programma Explorer. È
dedicato allo studio dei lampi
gamma. Lanciato alle 17.16
UTC del 20 novembre 2004
dalla base di Cape Canaveral
usando come vettore un
razzo Delta II 7320-10C, è
stato posizionato su un'orbita
caratterizzata da un apogeo
di 604 km, un perigeo di 585
km, un periodo di 96,6 minuti
e un'inclinazione di 21°.
Il satellite è frutto di una
collaborazione tra NASA, ASI
e PPARC (Particle Physics and
Astronomy Research Council).
La principale base terrestre
è il Centro spaziale
Luigi Broglio, mentre
l'archiviazione dei dati è
svolta al Goddard Space
Flight Center. Lo studio
scientifico dei dati è svolto
al GSFC presso Leicester.
Fig.10 a destra
XMM-Newton, ufficialmente
High Throughput X-ray
Spectroscopy Mission, venne
lanciato dall'Agenzia Spaziale
Europea il 10 dicembre 1999
dal Centre Spatial Guyanais di
Kourou. È stato posizionato in
un'orbita molto ellittica con
un periodo di 48 ore a 40°, un
apogeo di 114 mila km dalla
Terra e un perigeo di soli 7
mila km. La missione venne
proposta nel 1984 e approvata
nel 1985. Il gruppo di sviluppo
venne creato nel 1993 e lo
sviluppo della sonda iniziò
nel 1996. Il satellite venne
costruito e testato tra il marzo
1997 e il settembre 1999.
Questo strumento è il più
grande satellite scientifico
mai costruito in Europa,
infatti pesa 3.800 kg ed è
lungo 10 m e largo 16 m
con i pannelli fotovoltaici
dispiegati. È dotato di 3
telescopi per i raggi X prodotti
dalla Media Lario in Italia,
ognuno dotato di 58 specchi
concentrici di tipo Wolter,
per una superficie totale di
ricezione di 3400 cm².
ESA
86
ESA
giovanni fabrizio bignami
Fig.11
AGILE (Astrorivelatore
Gamma ad Immagini ultra
LEggero) è un satellite
astronomico a raggi Gamma e
a raggi X dell'Agenzia Spaziale
Italiana. Il design, lo sviluppo
e la fabbricazione del
satellite sono stati capeggiati
dalla Carlo Gavazzi Space
di Milano, insieme ad altre
aziende ed istituti di ricerca.
AGILE è equipaggiato con
strumenti scientifici in
grado di catturare immagini
di oggetti celesti distanti
nelle regioni dei raggi
gamma e X dello spettro
elettromagnetico. Il satellite
pesa 352 kg. È stato lanciato
con successo il 23 aprile
del 2007 dal razzo PSLV-C8
dell'ISRO, dalla base indiana
di Sriharikota.
che l’astronomia spaziale in raggi X, con strumento più produttivo di tutta l’astrola missione EXOSAT, operativa tra il 1983 nomia X. Dal 1998, il coordinatore euroe il 1986. Anche se scopre le variazioni di peo sarà Martin Turner, che porterà al
intensità della radiazione X emessa da un lancio lo strumento, realizzato da tredici
oggetto astronomico (QPO, dall’inglese istituti e innumerevoli industrie in Italia,
quasi-periodic oscillation), EXOSAT non Germania, Inghilterra e Francia.
fa meglio del NASA Einstein Observatory
Il 10 dicembre 1999 assisto al lancio da
(1978—1981), ancora dovuto a Giacconi Kourou di XMM (che subito dopo verrà
(e a Pippo Vaiana), che aveva portato in ribattezzato Newton). Con me è Sergio
orbita una potente e accurata ottica per De Julio, allora presidente dell’Agenzia
raggi X. Proprio sull’ottica per raggi X ne- Spaziale Italiana. Non è un astronomo,
gli anni ottanta nel gruppo di Occhialini ma capisce di scienza. Lo so, perché
parte uno studio innovativo dal punto coordino per lui i programmi scientifici
di vista tecnologico. Si fanno ottiche ef- ASI. Insieme, abbiamo appena fatto parficienti, abbastanza accurate ma a basso tire un programma di piccole missioni
costo, robuste ma sufficientemente leg- e abbiamo scelto la prima: si chiama
gere per essere imbarcate in numero e AGILE (Astro-rivelatore Gamma a Imdimensioni adeguate a una missione di magini LEggero), e riprenderà l’astrononuova generazione. Purtroppo non par- mia gamma, dopo COS-B e il Compton
te in parallelo uno studio su rivelatori di Observatory della NASA. Più tardi, De
piano focale: forse uno dei pochi errori Julio approverà anche due grandi partestrategici di Occhialini nella sua carriera cipazioni italiane a missioni NASA, Swift
di maestro di scienza per tutti noi. Il la- e GLAST (ribattezzata «Fermi» subito
voro sulle ottiche per raggi X, sotto la gui- dopo il lancio). Mi sembra importante rida di Oberto Citterio ed Enrico Mattaini, cordarlo, adesso che tutte tre le missioni
produrrà risultati importanti per l’Italia
e per l’Europa. Le ottiche alla milanese Le ottiche alla milanese furono
sono state determinanti per la missione determinanti per la missione
ASI BeppoSAX e per le missioni XMMASI BeppoSAX e per le missioni
Newton (ESA) e Swift (NASA), entrambe
ESA XMM-Newton e NASA Swift,
ancora in orbita.
Di BeppoSAX, missione partita con entrambe ancora in orbita
gravi ritardi nel 1996 e durata fino al 2002,
che portava con orgoglio il nome di Oc- (AGILE, Swift e GLAST/Fermi) sono felichialini, è già stato detto molto. Ricor- cemente in orbita. Le missioni non nadiamo qui solo che BeppoSAX ha vinto il scono sotto i cavoli. Soprattutto in quelpremio Rossi 1998 della American Astro- le che sono al di fuori del programma
nomical Society per il suo contributo alla scientifico obbligatorio ESA, l’ASI ha un
comprensione della natura dei lampi di ruolo determinante di iniziativa e di traino, di concerto con gli altri enti di ricerca
raggi gamma (GRB).
Nel 1987 l’ESA approva la missione coinvolti, come l’Istituto Nazionale di
XMM, e a Milano (e a me, con Gabriele Astrofisica e l’Istituto Nazionale di Fisica
Villa come project manager) è assegnata Nucleare. Senza il supporto e il coordinala responsabilità del coordinamento eu- mento dell’ASI non nascono però neanropeo dello strumento posto nel piano che significative partecipazioni alle misfocale per realizzare immagini e spettri sioni ESA. Dopo EXOSAT e XMM-Newton,
in raggi X. Si chiamerà EPIC (European negli anni ottanta parte il lavoro su InPhoton Imaging Camera) e diventerà lo tegral, missione innovativa e coraggiosa
87
88
L'UNIVERSO VIOLENTO
per fare immagini e spettroscopia dove
non erano mai state fatte. Pietro Ubertini,
del gruppo IASF/CNR/INAF di Frascati,
si guadagna sul campo la responsabilità
scientifica dello strumento di imaging
della missione, chiamato IBIS e costruito con un forte contributo del gruppo
di Bologna IASF/CNR/INAF, coordinato
da Di Cocco. La missione è in orbita con
successo dal 2002. Per la missione Swift
della NASA si è rivelato positivo un errore di valutazione, commesso tra gli anni
ottanta e novanta, sulla possibilità di una
partecipazione italiana (anzi, italo-inglese) alla missione sovietica SpektrumRG.
Con l’Unione Sovietica in ginocchio, l’investimento fatto si rivela sprecato. Per
cercare di rimediare si salvano le ottiche
per raggi X (italiane) e gli strumenti di
piano focale (inglesi) e li si propone, con
successo, alla NASA. Alla fine degli anni
novanta l’ASI approva la partecipazione
italiana, completata dall’uso della base
di Malindi, che si fa onore nella gestione
di una missione NASA. Nasce Swift, in orbita dal 2004.
Della genesi di AGILE come prima (e
purtroppo finora unica) piccola missione scientifica di ASI si è detto. Dal 1998
il responsabile scientifico Marco Tavani guida una squadra INAF/INFN nella progettazione di un piccolo gioiello
dell’astronomia gamma, che l’ASI affida,
per prima volta in Italia, a un consorzio
di piccole e medie industrie. Vengono
usati i tracciatori al silicio e numerose altre innovazioni tecnologiche. Il 23 aprile
2007 un lanciatore dell’agenzia spaziale
indiana (ISRO) porta in orbita AGILE. La
missione è operativa da allora, e produce risultati che il mondo ci invidia. Lo
sviluppo dei tracciatori al silicio, dovuto
in larga misura a fisici dell’INFN, apre
anche la porta alla partecipazione italiana alla missione GLAST/Fermi. Lo strumento principale, il Large Area Telescope, ha come principal investigator Peter
Fig.12
Al centro di quest'area si
trova il luogo in cui la famosa
Supernova Tycho, conosciuta
anche come SN 1572A, esplose
nel 1572. La regione giace
nel cielo settentrionale della
costellazione di Cassiopea.
L'immagine è stata composta
tramite due esposizioni del
Digitized Survey 2.
giovanni fabrizio bignami
89
NASA / ESA, DIGITIZED SURVEY 2 AND P. RUIZ-LAPUENTE (UNIVERSITY OF BARCELONA)
90
PLANCK
ARTICOLI VIOLENTO
L'UNIVERSO
Dieci anni di spazio
delle alte energie
Raggi X
1-10 keV
Raggi Gamma
(Decine di keV - qualche MeV)
La missione XMM-Newton trae la
sua sensibilità dalla combinazione
della tecnologia degli specchi e
del rivelatore EPIC. Un bell’esempio di risultato è la lunga osservazione del capostipite delle pulsar
ad alte energie, Geminga.
Con EPIC si riescono a distinguere,
nello spettro della sorgente centrale (la pulsar), una doppia componente termica e una non termica. La superficie della stella di
neutroni rotante mostra una zona,
larga qualche chilometro, alla
temperatura di centinaia di migliaia di gradi, e una calotta polare a
più di un milione di gradi, grande
come un campo da calcio. Niente
male, per un oggetto che si trova a
500 anni luce da noi.
La terza componente spettrale,
non termica, invece, è identificata
con l’emissione da elettroni energetici, accelerati dalla pulsar e
immessi nel campo magnetico
interstellare, insieme al quale
generano i raggi X osservati.
Un’immagine simile, con più alta
risoluzione angolare, ma con
minore profondità, è stata ottenuta dalla missione NASA Chandra,
lanciata contemporaneamente a
XMM-Newton e ancora attiva. È
una missione splendida, che sta
rivoluzionando il cielo a raggi X,
anch’essa in gran parte dovuta
alla scuola di Riccardo Giacconi.
Geminga è un esempio di sorgente studiata a tutte le lunghezze
d’onda, anzi, è oggi di gran lunga
la stella di neutroni più studiata (e
capita) del cielo, dopo la sua scoperta in raggi gamma più di
trent’anni fa.
È l’intervallo di energia della missione Integral, dominato da processi non termici, come l’interazione tra particelle e campi
magnetici o fotonici. In più, è la
regione delle righe nucleari, di
grande e ancora non sfruttata
potenza diagnostica. (Fino a circa
100 keV è ancora attiva anche la
missione RXTE, della NASA, lanciata nel 1996 e dedicata proprio
a Bruno Rossi.)
Nei sette anni trascorsi dal suo
lancio Integral, con lo strumento
IBIS, ha ottenuto un nuovo catalogo di sorgenti nell’intervallo tra 20
e 200 keV che conta più di 700
sorgenti, un record assoluto. IBIS
è riuscito anche dimostrare che
l’emissione dal piano della nostra
galassia è dovuta alla somma di
sorgenti individuali, fino ad allora
confuse in una diffusa luminosità.
Un po’ come Galileo, quando puntò il suo specillum alla Via Lattea,
400 anni fa, scoprendo che la lattiginosità apparente all’occhio era
formata da infinite stelle una vicina all’altra. Ma dal centro galattico un risultato altrettanto inaspettato è venuto dallo strumento SPI,
lo spettrometro a immagini di Integral. SPI ha confermato l’esistenza di antimateria nella regione,
grazie alla presenza della riga
spettrale a 511 keV, rivelata con
chiarezza.
Si tratta della riga generata quando un positrone incontra un elettrone. Per la prima volta Integral
ha dato la distribuzione della riga
nella regione centrale della Via
Lattea, scoprendo una strana
asimmetria rispetto al centro geo-
metrico della galassia. C’è più
antimateria da una parte che non
dall’altra. Ora si tratta di capire il
perché. Forse il tutto è connesso
alla famosa materia oscura. Speriamo: sarebbe un gran bel colpo
aver rivelato, anche se indirettamente, la componente più sfuggente dell’universo.
Lampi di Raggi Gamma
(GRB)
SWIFT, la missione NASA-ASI-UK
lanciata nel 2004, ci ha già regalato 450 lampi di raggi gamma, o
GRB, quasi tutti posizionati con
accuratezza dal telescopio X di
bordo, e circa la metà con una
controparte ottica. Di quest’ultima
è talvolta possibile misurare il
redshift, e quindi la distanza.
SWIFT ha subito stupito tutti rivelando un GRB a redshift di poco
più di 6, corrispondente a oltre 12
miliardi di anni luce di distanza.
Poi, nel 2008, ha fatto registrare
un redshift di 6,7, poco meno della
galassia per ora più distante, che
si piazza a 6,96. GRB e galassie
erano chiaramente impegnati in
un testa a testa cosmologico, con
le galassie che vedevano la loro
posizione di candele cosmologiche seriamente insidiata dai fuggevoli ma brillantissimi lampi
gamma. Con GRB 090423, rivelato
il 23 aprile 2009, SWIFT ha polverizzato tutti i record. A prima vista,
sembrava uno dei tanti. Ma SWIFT
lo ha diligentemente seguito,
ripuntando velocemente i suoi
telescopi X e ottico. Mentre il lampo veniva facilmente rivelato nella
banda X come una sorgente che si
andava spegnendo, il telescopio
N.1 Anno i aprile 2011
ottico non rivelava nulla. Le ricerche da terra, con telescopi molto
più potenti, si rivelavano inconcludenti nell’ottico, ma una controparte veniva scoperta nell’infrarosso. Vedere una sorgente in
infrarosso ma non in ottico significa che si ha a che fare con un
oggetto potenzialmente molto lontano, la cui radiazione, emessa
nell’ottico, è spostata nell’infrarosso a causa dell’espansione
dell’universo. Le osservazioni in
diverse bande hanno subito fatto
sospettare un redshift eccezionale. Sono stati gli astronomi italiani
del telescopio nazionale Galileo,
alle Canarie, ad arrivare per primi
al valore di redshift di 8,2, rapidamente confermato da altri gruppi.
Si tratta dell’oggetto celeste più
lontano mai osservato. GRB
090423 è stato prodotto
dall’esplosione di una stella.
Raggi Gamma
(Sopra le decine di MeV)
Una volta finalmente in orbita,
AGILE ha cominciato a rivelare
raggi gamma con i suoi tracciatori
al silicio che gli danno un campo
di vista più ampio di qualunque
altro telescopio gamma precedente. In due anni di vita sono già
molti i risultati, sia per sorgenti
galattiche sia per sorgenti extragalattiche. Mentre le seconde
sono dominate, come atteso, dai
blazar, nuclei attivi di galassie
dove il motore centrale, sede della produzione di raggi gamma, è
un buco nero di grande massa (da
un milione a un miliardo di masse
solari), le sorgenti gamma galattiche sono dominate dalle pulsar. Si
tratta di stelle di neutroni fortemente magnetizzate e rotanti, in
grado di accelerare particelle cariche che poi creano fotoni di alta
energia.
Le pulsar gamma, come Geminga,
non sono una novità. La novità
vista da AGILE è l’emissione da
una stella di neutroni che ha appena subito una scossa di terremoto
(o stellamoto). In una stella di neutroni, le onde sismiche fanno
vibrare gli intensi campi magnetici. La rapida variazione del campo
magnetico crea campi elettrici in
grado di accelerare particelle cari-
che e quindi produrre un flusso di
raggi gamma. AGILE ha osservato,
per la prima volta, un evento di
questo tipo dalla pulsar della
costellazione delle Vele, nell’emisfero sud. Per circa cinque minuti
dopo lo stellamoto (rivelato dai
radiotelescopi a terra) il flusso
gamma è aumentato in modo
significativo. Insomma, con i gamma si può forse fare quell’esame
interno della struttura e della
natura delle pulsar che aspettiamo da quando furono scoperte,
quarant’anni fa.
Ancora Raggi Gamma
(Sopra le decine di MeV)
A poco più di un anno dal lancio
(11 giugno 2008) la missione
GLAST/Fermi ha già prodotto
risultati straordinari. Le sue prestazioni sono simili a quelle di
AGILE, ma la capacità di Fermi di
rivelare fotoni di energia superiore al GeV, dove la risoluzione dello
strumento è migliore, rende i suoi
risultati meglio definiti.
La collaborazione Fermi ha già stilato un catalogo di 205 sorgenti,
ancora non definitivo, chiamato
catalogo 0. Le sorgenti vengono
identificate dalla sigla 0FGL (per
Fermi Gamma Lat), seguita dal
valore dell’ascensione retta e della declinazione.
Molte le pulsar radio rivelate nella
banda gamma: la disponibilità di
dati radio e gamma contemporanei ha permesso di triplicare il
bottino dello strumento EGRET sul
NASA Compton GRO (1990—
1999), arrivando rapidamente a 15
pulsar radio-gamma. La novità è
stata, invece, la rivelazione di
altrettante pulsar invisibili in radio,
un risultato reso possibile dall’abbondanza di fotoni e da algoritmi
di ricerca particolarmente efficaci.
Così Geminga, la capostipite, non
è più sola. Ha 14 sorelle, trovate
nei primi tre mesi di attività di LAT
e destinate a crescere in numero.
Sono tutte sorgenti già rivelate da
EGRET, e in molti casi perfino da
COS-B, ma solo ora è possibile
vederne la pulsazione e capire che
si tratta di stelle di neutroni. Dai
dati di Fermi si capisce che sono
abbastanza giovani (meno di 10
mila anni).
giovanni fabrizio bignami
Michelson, ma il cuore dello strumento,
appunto le torri di tracciatori al silicio,
è fatto in Italia, dove pure è curata una
consistente parte della scienza della missione. Per l’Italia, sono Ronaldo Bellazzini (dell’INFN di Pisa) e Patrizia Caraveo
(dell’INAF di Milano) i due responsabili
scientifici.
Le missioni che abbiamo passato in
rassegna hanno prodotto risultati inimmaginabili, solo qualche decina d’anni
fa, scoprendo pulsar gamma come Geminga, esotici nuclei attivi di galassie,
e permettendo finalmente di spiegare
l’origine dei lampi gamma.
Un futuro a rischio
Abbiamo visto che alla tradizione iniziata, tra gli altri, da Occhialini (e ispirata a
Giacconi) possono essere ricondotte le
missioni di alta energia attualmente attive nello spazio con significativa presenza italiana: XMM/Newton, Integral, Swift,
AGILE, GLAST/Fermi. Mai nella storia
dell’astronomia spaziale una simile qualità e abbondanza di missioni e dati è stata a disposizione dell’Italia.
Si veda per esempio nel grafico in alto
la crescita del numero di sorgenti nelle
quattro generazioni di missioni di astronomia gamma degli ultimi quarant’anni
(facendo una ragionevole estrapolazione
per i dati di Fermi). Si passa da tre (SAS2), a circa 30 (COS-B), a circa 300 (EGRET),
a circa 3 mila (speriamo, per Fermi) e da
una a 100 (speriamo) Geminga. Per le
sorgenti X, lo stesso grafico è più difficile,
per questioni di coperture del cielo diverse. Ma i numeri parlano chiaro. Dopo
la prima sorgente del 1962, tra il 1970 e il
1973 con UHURU si contano 339 sorgenti in tutto il cielo, che diventano 124.800
nel 1990—1999 con ROSAT. Anche se in
zone limitate di cielo, Newton e Chandra
insieme, alla fine della loro vita, potrebbero sfiorare il milione, certo più di 500
mila. Infine, il numero di GRB identificati
(con catena gamma-X-ottico/IR) è aumentato in dieci anni di almeno un fattore dieci, tra BeppoSAX e Swift (con l’aiuto
di Integral). Passeranno molti decenni
prima che un’altra serie come questa si
possa ripetere.
Nel frattempo, il futuro della nostra
scuola di astrofisica delle alte energie è in
pericolo, se non si intraprendono immediate, vigorose azioni in sua difesa.
Una scienza in crescita
Il grafico illustra la crescita del numero delle sorgenti
di lampi gamma rilevate a partire dalla prima osservazione
di Clark, con proiezione nel prossimo triennio.
10.000
1000
100
10
1
1968
1972
1982
Sorgente di raggi gamma
1999
2012
Sorgente di tipo geminga
ASI, 2011
INFOGRAFICA: ALESSIO SORDI
Giovanni Fabrizio
Bignami
Professore di Astronomia
presso lo IUSS di Pavia,
Accademico dei Lincei
e Ufficiale della Legion
d'Onore francese, è
stato inoltre il direttore
scientifico dell'ASI.
BIBLIOGRAFIA
L'universo in raggi X.
La ricerca del fuoco cosmico
dai cuchi neri allo spazio
intergalattico
Giacconi R., Tucker W.,
Mondadori, Milano, 2003
La storia dello dpazio
Bignami G.F., Mursia, Milano, 2002
The restless universe.
Understanding X-ray
astronomy in the age
of Chandra & Newton
Schlegel E., Oxford University
Press, 2002
Gamma-ray astronomy
Ramana P.V., Wolfendale A.W.,
Cambridge University Press, 1993
91
92
articoli
3
bruna bertucci
I RAGGI COSMICI
UN SECOLO DOPO
I raggi cosmici sono stati scoperti nel 1912 da Franz Hess,
che proprio per questa scoperta nel 1936 ottenne il premio
Nobel per la fisica. Oggi sappiamo che il 99% della radiazione
cosmica è composta da nuclei atomici. Il resto sono fotoni,
elettroni, neutrini e tracce di antimateria. Lo studio della
radiazione cosmica potrà anche aiutare a risolvere misteri
come quello della materia oscura.
Alziamo gli occhi in una notte stellata:
il cielo è cosparso di punti luminosi, separati da enormi distese di spazio vuoto.
Quello che non possiamo vedere, né a
occhio nudo né con un normale telescopio, sono i raggi cosmici: la miriade di
particelle che in quel vuoto vaga anche
per milioni di anni fino a giungere alla
Terra, bombardandone incessantemente l’atmosfera.
Costituiti principalmente da nuclei
atomici completamente ionizzati, i raggi
cosmici hanno una grande varietà di specie e di energie. Al contatto con l’atmosfera, collidono con i nuclei di cui è composta producendo nuove particelle, che
a loro volta interagiscono o decadono
creandone altre. Il risultato è uno sciame
di nuove particelle, i raggi cosmici atmo-
sferici, che costituiscono la maggioranza
dei raggi cosmici misurabili sulla superficie terrestre.
La caccia ai raggi cosmici è uno sport
praticato da quasi un secolo, e come in
tutti gli sport se ne distinguono diverse
specialità, ciascuna rivolta alla comprensione di un particolare aspetto della
loro esistenza o dei loro effetti, per cui
è necessaria una diversa preparazione
atletica, ovvero una specifica tecnica
di misura. Nel corso degli anni, questo
sport ha raccolto appassionati di ogni genere: fisici delle particelle, astrofisici, cosmologi, geofisici e fisici dell’atmosfera.
Esperienze di comunità scientifiche apparentemente separate trovano nei raggi
cosmici un prezioso punto di incontro,
che permette lo scambio di competen-
ARTICOLI
93
Fig.13
I raggi cosmici sono particelle e nuclei atomici di alta energia
che, muovendosi quasi alla velocità della luce, colpiscono la Terra
da ogni direzione. La loro origine è sia galattica che extragalattica.
In questa immagine di M87 è messo ben in evidenza il getto
di materia di questa galassia che parte dal nucleo e si estende
per 5 mila anni luce. Il nucleo centrale è un potente emettitore
di raggi gamma, X e radio ed è anche noto come sorgente 3C 274.
NASA / THE HUBBLE HERITAGE TEAM / STSCI / AURA
94
GRAZIA NERI
bruna bertucci
ze e idee in conferenze internazionali
frequentate da migliaia di ricercatori. Il
loro studio costituisce quindi un natural
punto d'incontro.
Luce o particelle?
31 dicembre 1932: il New York Times riporta a caratteri cubitali la violenta disputa di due scienziati durante un congresso. Raramente i dibattiti scientifici
occupano le prime pagine dei giornali,
ma in questo caso la disputa coinvolge
due fisici di chiara fama, Robert A. Millikan e Arthur H. Compton, entrambi insigniti del premio Nobel. Il soggetto della
discussione è la natura dei raggi cosmici:
sono particelle portatrici di carica elettrica o una radiazione neutra?
Oggi, pur non potendo ancora fornire
un identikit dettagliato dei raggi cosmici
a tutte le energie con cui raggiungono
l’atmosfera, possiamo però tracciarne un
quadro complessivo. Nello spazio, prima
di interagire con la nostra atmosfera, circa il 99 per cento della radiazione cosmica è composta da nuclei, ovvero atomi di
diverse specie chimiche completamente
ionizzati. Di questi, la maggioranza è costituita da protoni (nuclei di idrogeno)
che rappresentano circa il 90 per cento
dell’intero flusso dei raggi cosmici, ma
sono presenti in proporzioni variabili i
nuclei di tutti gli elementi fino al Ferro,
Fig.14
Aussig, Germania, 7 agosto
1912, alle prime luci dell’alba,
il ventinovenne fisico
austriaco Franz Victor Hess
sale a bordo della cabina di
un pallone aerostatico per
la nona volta in due anni:
inizia così l’esperimento
sull’elettricità atmosferica
che sarà decisivo per la
scoperta dei raggi cosmici,
e grazie al quale nel 1936 Hess
verrà insignito del premio
Nobel per la fisica.
È passato poco più di un
decennio dalla scoperta della
radioattività, e speciali lastre
fotografiche o elettroscopi
vengono utilizzati per rivelare
l’emissione di radiazioni
ionizzanti in presenza di
sorgenti radioattive.
È proprio nella radioattività
naturale, dovuta agli elementi
presenti nella crosta terrestre,
che si cerca la ragione per cui
con debolissime tracce di elementi più
pesanti. Elettroni (1%), deboli tracce di
antimateria (meno di 1 per mille) e di radiazione neutra (raggi gamma e neutrini)
completano il panorama delle particelle
che ci arrivano dallo spazio. Accanto alla
composizione, i parametri fondamentali
che si studiano nei raggi cosmici sono la
loro energia, misurata generalmente in
eV ( l’elettronvolt è l’energia di un elettrone che esce da una pila da un volt), e il
loro flusso, ovvero il numero di particelle
in arrivo nell’unità di tempo (secondo),
di superficie (metro quadrato) sotto un
angolo di vista standard (steradiante).
La scala delle energie con cui possono
presentarsi i raggi cosmici è particolarmente estesa, compresa tra le migliaia
di eV delle particelle solari e i 1020 eV dei
raggi cosmici generati da sorgenti extragalattiche: la differenza tra gli estremi di
questa scala è paragonabile a quella che
intercorre tra l’energia necessaria per
lanciare un batterio e una pallina da tennis a una velocità di 100 chilometri all’ora.
Allo stesso tempo, il flusso di particelle
diminuisce drasticamente in funzione
della loro energia: se basta aspettare
un paio di secondi perché una particella cosmica con energia di qualche GeV
(miliardi di eV) attraversi uno strumento
grande come il palmo di una mano, dobbiamo prepararci ad attese di un secolo
per poter rivelare una particella cosmica
elettroscopi apparentemente
isolati perdono la loro carica.
Gli esperimenti portano
però a risultati inaspettati.
Nonostante la schermatura
degli elettroscopi con pesanti
lastre di piombo per bloccare
la radiazione circostante o il
loro posizionamento a grandi
distanze dal suolo – persino
in cima alla torre Eiffel – dove
ci si aspetta che la radiazione
diminuisca, gli elettroscopi
continuano a scaricarsi:
la radiazione ionizzante è
superiore a quella imputabile
alla sola radioattività naturale.
Durante il suo volo, Hess
raccoglie misure che indicano
come la radiazione presente
aumenti con l’altitudine tra i
1500 ed i 5 mila metri di quota.
Fu immediatamente chiaro
che la radiazione sconosciuta
non aveva nessuna origine
terrestre: è nata la fisica
dei raggi cosmici.
Nello spazio circa il 99%
della radiazione cosmica
è composta da nuclei
completamente ionizzati
95
96
I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO
Lo studio dei
raggi cosmici
Fisica delle particelle
I raggi cosmici sono una sorgente
naturale e inesauribile di
particelle subatomiche in un
ampio intervallo di energia. Nella
prima metà del Novecento lo
studio dei raggi cosmici ha
permesso la scoperta del
positrone e di nuove particelle
instabili, permettendo la nascita
della moderna fisica delle
particelle elementari, che si è poi
sviluppata e ha ottenuto grandi
successi grazie all’avvento degli
acceleratori. Per il futuro ci
aspettiamo che lo studio dei raggi
cosmici di altissima energia serva
ancora una volta ad aprire nuove
strade non solo verso una diversa
astronomia ma anche nella
direzione di fenomeni fisici non
riproducibili in laboratorio.
Cosmologia
La presenza di antinuclei di elio
tra i raggi cosmici potrebbe
essere la prova determinante
dell’esistenza di porzioni
dell’universo composte di
antimateria, aiutando a svelare il
mistero di dove sia finita
l’antimateria che doveva essere
presente nei primi istanti di vita
dell’universo.
Astrofisica
I raggi cosmici sono veri e propri
messaggeri del nostro universo in
grado di fornire informazioni sui
corpi celesti e il mezzo galattico e
intergalattico complementari a
quelle disponibili tramite
l’osservazione con telescopi
basati sull’emissione
elettromagnetica. Mettendo in
relazione le caratteristiche dei
raggi cosmici con le attuali
conoscenze astronomiche
possono essere verificate le
diverse ipotesi che sono state
avanzate fino ad ora con le
conoscenze sui raggi cosmici.
Astronautica
I raggi cosmici costituiscono sotto
ogni punto di vista una radiazione
ionizzante in grado di provocare
danni irreversibili ai tessuti
biologici e alla strumentazione
elettronica. L’atmosfera e il campo
magnetico terrestre offrono un
potente schermo che protegge la
vita sulla Terra, ma il loro effetto
di schermatura si riduce o si
annulla quando iniziamo a
viaggiare in aereo a circa 10 mila
metri, la quota di crociera media
delle rotte commerciali
intercontinentali, e ovviamente
ancora di più nello spazio. Una
conoscenza accurata dei flussi di
queste particelle negli strati
superiori dell’atmosfera e nello
spazio rappresenta una premessa
indispensabile per consentire
all’uomo permanenze
prolungate nello spazio.
Ingegneria
L’emissione ininterrotta di un
flusso di particelle ionizzate dal
Sole, il cosiddetto «vento solare»,
la cui interazione con la ionosfera
causa le cosiddette «aurore
boreali», influenza la struttura del
campo magnetico attorno alla
Terra ed è all’origine dei raggi
cosmici a energie inferiori a 106
eV. In alcuni periodi di attività
solare, questi flussi possono
divenire particolarmente intensi,
causando danni diretti alla
strumentazione nello spazio
(satelliti, sonde spaziali) ed estese
perturbazioni del campo
magnetico terrestre. Queste
tempeste magnetiche,
interferendo con i sistemi di
comunicazione radio e le reti di
distribuzione elettrica, possono
provocare prolungati blackout e
danni alle apparecchiature
elettriche anche a terra. Lo studio
del flusso delle particelle solari e
il loro legame con l’attività del
Sole è oggetto di particolari studi.
97
NASA
98
I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO
alle energie più alte, anche se abbiamo a
disposizione uno strumento di superficie pari a 150 campi da calcio.
Da dove vengono?
9 novembre 2007: «Scoperta l’origine dei
raggi cosmici», «I buchi neri ci sputano
addosso i raggi». Sono alcuni dei titoli di
giornale che riprendono il risultato appena pubblicato su Science dai fisici dell’osservatorio Pierre Auger. Studiando i raggi
cosmici più energetici è stata messa in
evidenza, per la prima volta, una correlazione tra le direzioni di arrivo delle
particelle con la posizione in cielo di alcune sorgenti astronomiche, speciali galassie attive distanti milioni di anni luce
da noi. Questo risultato, tuttora in corso
di approfondimento, è stata forse la prima risposta sperimentale alla domanda
sull’origine dei raggi cosmici a quasi un
secolo dalla loro scoperta. Cercare le
sorgenti dei raggi cosmici è infatti come
cercare un ago in un pagliaio. Alle basse
energie, il Sole è una fonte evidente e vicina di particelle, ma a energie superiori
al GeV la maggior parte dei raggi cosmici
proviene dall’intera galassia e impiega
milioni di anni per raggiungere la Terra.
Nel loro viaggio, i raggi cosmici carichi
sono in balìa di campi magnetici che ne
deviano continuamente la traiettoria, per
cui è impossibile tracciare un collegamento diretto tra le loro direzioni di arrivo alla Terra e le posizioni degli oggetti
astronomici che li generano. Non potendo mettere in relazione la singola particella con la sua sorgente, vengono quindi
Fig.15 a sinistra
Payload for Antimatter
Exploration and Light-nuclei
Astrophysics, è il più avanzato
osservatorio per lo studio dei
raggi cosmici attualmente
nello spazio, risultato di una
collaborazione internazionale
guidata dall'Italia.
LOCKHEED MARTIN / INFN
Fig.16 a destra
L o shuttle Endeavour per
il trasporto sulla ISS di Alpha
Magnetic Spectrometer, è un
gigantesco spettometro del
peso di circa otto tonnellate.
Per cinque anni catalogherà
con precisione senza
precedenti le componenti dei
raggi cosmici di alta energia.
NASA / KTH
100
I RAGGI COSMICI UN SECOLO DOPO
avanzate ipotesi plausibili sulle caratteristiche degli acceleratori cosmici, e si cerca di verificarle incrociando i dati forniti
dalle misure di raggi cosmici con quelli
derivanti da osservazioni astronomiche.
Lo studio dell’origine dei raggi cosmici si
lega così indissolubilmente all’astrofisica
e alla comprensione dei fenomeni più
violenti del nostro universo. Le principali
sorgenti dei raggi cosmici sono generalmente ritenute le esplosioni di stelle in
supernove. L’enorme energia liberata
durante queste esplosioni, paragonabile a quella che il nostro Sole emette in
un miliardo di anni, produce una fortissima onda d’urto in cui viene fornita
l’accelerazione iniziale alle particelle. Le
condizioni dinamiche raggiungibili con
le supernove non sono però sufficienti
a generare protoni e nuclei con energie
superiori a 1015-1017 eV: per spiegare l’esistenza dei raggi cosmici osservati fino a
energie di 1020 eV devono entrare in gioco
acceleratori cosmici più potenti, posti al
di fuori della nostra galassia.
Quali siano queste sorgenti ultraenergetiche e a quali energie diventi dominante il loro contributo al flusso dei raggi
cosmici è una questione ancora aperta e
oggetto di vivace dibattito.
L’accrescimento di buchi neri supermassicci in nuclei di galassie attive, come
suggerito dai risultati di Auger, il collasso
di nuclei stellari in magnetar (stelle di
neutroni con intensi campi magnetici)
o in buchi neri con emissione di violenti getti di particelle e di luce (i cosiddetti
gamma ray burst, o lampi di raggi gamma) sono solo alcuni dei meccanismi
ipotizzati per la produzione di particelle
alle energie più alte. Verificare queste
ipotesi con dati sperimentali è la sfida
raccolta dagli osservatori per raggi cosmici ultraenergetici e dai telescopi per
neutrini. Sia i raggi cosmici ultraenergetici, troppo veloci per essere deviati significativamente dai campi magnetici, sia
i neutrini, privi di carica elettrica, viaggiano secondo traiettorie rettilinee che
consentono di tracciare direttamente le
loro sorgenti astronomiche. Al tempo
stesso, neutrini e raggi cosmici carichi
interagiscono in modo differente con la
radiazione e la materia attraversate nel
loro viaggio verso la Terra, permettendo
di ricostruire in maniera complementare
il quadro dell’universo a diverse distanze.
Le interazioni dei protoni ultraenergetici con la radiazione di corpo nero che
pervade l’universo causano importanti
perdite di energia, limitando a circa 150
milioni di anni luce la distanza da cui le
particelle più energetiche possono raggiungere la Terra.
Già negli anni sessanta Kenneth Greisen, Georgiy Zatsepin e Vadim Kuzmin,
predissero che alle energie superiori di
5×1019 eV, la cosiddetta «soglia GZK», il
flusso dei raggi cosmici dovesse subire
una drastica riduzione legata a queste
perdite di energia, come confermato dalle misure di Auger. I neutrini interagiscono invece molto raramente con materia
e radiazione: questo permette loro di
raggiungerci praticamente indisturbati
sia che provengano dal nostro Sole o che
vengano originati in supernove galattiche e acceleratori ultraenergetici nell’intero universo.
Il numero di neutrini attesi da sorgenti
cosmiche è però di gran lunga inferiore a
quelli che ci arrivano dal Sole o che sono
prodotti nella nostra atmosfera, e le stesse proprietà che rendono i neutrini così
Le recenti osservazioni indicano
che la materia oscura costituisce
circa un quarto dell'universo
preziosi per lo studio dell’universo ne
fanno delle particelle particolarmente
sfuggenti e difficili da osservare. Benché
lo studio dei flussi di neutrini solari e e atmosferici sia stato di primaria importanza per la comprensione delle natura di
queste particelle, a oggi l’unica osservazione di neutrini da sorgenti astrofisiche
lontane risale a poche manciate di neutrini, con energie inferiori ai 106 eV, rivelate in corrispondenza dell’esplosione della supernova SN1987 più di vent’anni fa.
Il problema di individuare le sorgenti di raggi cosmici e i meccanismi che li
accelerano resta quindi ancora aperto, e
solo lo sviluppo di una nuova generazione di osservatori permetterà di raccogliere un numero sufficiente di particelle ultraenergetiche per affrontarlo e studiarlo
in maniera forse definitiva.
BRUNA BERTUCCI
Raggi cosmici e materia oscura
2 aprile 2009: PAMELA, un esperimento
spaziale italorusso guidato dall’INFN, riferisce su Nature di aver trovato un’anomala abbondanza di positroni nel flusso
dei raggi cosmici. In pochi mesi, centinaia di articoli che analizzano i risultati
di PAMELA compaiono negli archivi telematici specializzati. Gli stessi articoli
citano i risultati di ATIC, un esperimento
su pallone che ha trovato troppi raggi
cosmici di natura elettronica in un intervallo di energia complementare a quello
esplorato da PAMELA, e quelli di Fermi
e Hess, due telescopi per raggi gamma,
anch’essi con nuovi risultati sugli spettri
elettronici che però non sembrano del
tutto d’accordo con quelli di ATIC.
Perché tanta eccitazione?
L’esistenza di piccole quantità di antimateria nei raggi cosmici in sé non è una
novità: positroni e antiprotoni sono generati di continuo nelle interazioni dei
raggi cosmici con il gas interstellare e ci
sono diversi modelli che ne predicono i
flussi. La scarsità di antimateria nei raggi
cosmici rende però sensibile la misura di
precisione delle loro quantità all’esistenza di sorgenti esotiche di raggi cosmici. Il
contributo di queste sorgenti al flusso dei
raggi cosmici può essere così debole da
rimanere nascosto quando lo si vada a
cercare tra i molti protoni o elettroni, ma
può costituire un segnale significativo
rispetto ai pochi antiprotoni o positroni
attesi. Lo studio dell’antimateria diventa
così la ricerca di nuova fisica, di nuovi fenomeni legati all’origine e all’evoluzione
dell’intero universo. Una sorgente esotica di raggi cosmici potrebbe essere infatti
fornita dalle annichilazioni di particelle
generate nei primi istanti di vita dell’universo che non emettono luce e interagiscono molto debolmente con la materia.
Queste particelle costituirebbero una
materia oscura, invisibile alle osservazioni astronomiche tradizionali, i cui effetti
gravitazionali ne hanno però indicato
l’esistenza grazie ai comportamenti anomali del moto di galassie appartenenti ad
ammassi lontani. Le più recenti osservazioni cosmologiche, interpretate alla luce
di quanto noto sulla produzione di ele-
menti leggeri nell’universo primordiale,
indicano che la materia oscura costituisce circa un quarto dell’universo e non è
riconducibile a protoni, nuclei, elettroni
o neutrini. L’eccesso di positroni rivelato da PAMELA è ancora in attesa di una
spiegazione; forse è indice di nuova fisica,
o più semplicemente deve essere rivista
la stima dei flussi di raggi cosmici previsti dai modelli astrofisici. In ogni caso, la
ricerca della natura della materia oscura
rimane aperta su molti fronti: nello spazio, dove nel 2010 l’esperimento AMS-02
affiancherà PAMELA decuplicando in pochi mesi il numero di particelle di antimateria da analizzare, nei laboratori sotterranei del Gran Sasso, dove si cercano
le interazioni dirette delle particelle della
materia oscura nei progetti DAMA, WARP,
XENON, e nei futuri laboratori subacquei
dove potranno essere eventualmente rivelati i neutrini prodotti in queste annichilazioni.
Oggi migliaia di scienziati sono impegnati in progetti legati ai raggi cosmici,
un’intera comunità che aspetta con il fiato sospeso nuovi risultati su antimateria,
materia oscura, natura e provenienza dei
raggi cosmici ultraenergetici, sperando
al tempo stesso nella prossima apertura
di una diversa finestra sull’universo grazie all’astronomia con i neutrini.
A distanza di quasi un secolo dalla loro
scoperta, i raggi cosmici offrono ancora
prospettive uniche: sono i messaggeri di
un universo in cui accadono fenomeni
che non potremo mai riprodurre in un
laboratorio.
Bruna Bertucci
Professore associato di
Fisica Generale all'Università di Perugia e membro
della commissione scientifica di fisica astroparticellare dell'Istituto Nazionale
di Fisica Nucleare.
101
BIBLIOGRAFIA
Alla ricerca dell'uno
Creare R.P., Mann C.C., Mondadori,
Milano, 1986
An anomalous positron
abundance in cosmic rays
with energies 1,5-100 GeV
The Pamela Collaboration,
in Nature, n. 458, pp. 607–09,
2 apr 2009
An excess of cosmic ray
electrons at energies
of 300–800 GeV
The ATIC Collaboration, in Nature,
n. 456, pp. 362–65, 20 nov 2008
Correlation of the highestenergy cosmic rays with
nearby extragalactic objects
The Pierre Auger Collaboration,
in Science, n. 318, pp. 938–43,
9 nov 2007
Problems in high energy
astrophysics
Lipari P., in IV International
Workshop on Neutrino Oscillations
in Venice, disponibile su arvix.org
sotto l'identificativo:
arvix:0808.0417v1
ON-LINE
www.ings.infn.it
www.auger.org
www.pamela.rowwma2.infn.it
www.nemoweb.ins.infn.it
DIGITIZED SKY SURVEY II
103
4
paolo de bernardis
DAL BIG BANG
AI BUCHI NERI
La cosmologia studia la struttura e l’evoluzione dell’universo nel suo complesso.
L’evoluzione di un sistema è dettata dalle
forze in gioco, e delle quattro forze fondamentali l’unica importante in questo
caso è la gravitazione. Alle grandi scale
di interesse per la cosmologia, infatti, la
materia è in media elettricamente neutra, e quindi le interazioni elettromagnetiche sono in media nulle, e la forza
forte e quella debole sono irrilevanti alle
distanze cosmologiche. è quindi naturale
che in cosmologia si faccia uso della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1917, la teoria della gravitazione
capace di descrivere anche condizioni
estreme (in dimensioni o intensità).
Negli ultimi novant’anni, le previsioni
della relatività generale sono state verificate sperimentalmente con precisione
sempre migliore. L’ultimo dei fenomeni
Per studiare la struttura e l'evoluzione
dell'universo si fa ampio uso della teoria
della relatività generale di Einstein. Oggi
sappiamo che il cosmo è nato dal big
bang, ha una geometria euclidea ed è in
espansione accelerata. Resta da chiarire
la natura di energia e materia oscure
e da osservare finalmente il cosmo
attraverso le onde gravitazionali.
Fig.17
La regione attorno al sistema del buco
nero gro j1655-40. Insieme a GRS 1915+105,
è uno dei due microquasars che può
fornire un collegamento tra i buchi neri
supermassivi e sistemi concrescenti più
locali. Entrambi visualizzano le onde radio
emesse da getti cosmici, caratteristici di
molti nuclei galattici attivi. La distanza dal
nostro sistema solare è di circa 11 mila anni
luce, più o meno a metà strada dal Sole al
centro della galassia.
104
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
Paolo De Bernardis
Professore di Astrofisica e Cosmologia
Osservativa all'Università La Sapienza
di Roma e co-investigator del satellite
Planck (ESA).
previsti dalla teoria a richiedere una verifica diretta è l’emissione di onde gravitazionali. La loro emissione è stata osservata solo indirettamente in un sistema di
due stelle di neutroni in orbita una intorno all’altra: le due stelle si avvicinano
progressivamente cadendo una sull’altra
a causa della perdita di energia dovuta
all’emissione di queste onde. Da molti
anni si stanno sviluppando strumenti
sia a terra (LIGO negli Stati Uniti, VIRGO
in Europa) sia nello spazio (LISA, una
collaborazione ESA/NASA) per osservare
direttamente queste onde, e anche per
usarle per osservare l’universo.
Fotoni primordiali
L’applicazione della relatività generale
all’universo portò Alexander Friedmann
nel 1922 a prevederne l’espansione, poi
verificata sperimentalmente da Edwin
Hubble nel 1929 con la scoperta della
ESA
recessione delle galassie lontane. Negli
anni cinquanta, George Gamow notò
che, come la termodinamica richiede per
tutti i sistemi fisici isolati in espansione,
anche l’universo dovrebbe raffreddarsi,
e dovrebbe quindi provenire da una fase
più calda e più densa di quella attuale.
Se estrapoliamo all’indietro l’evoluzione
dell’universo, quando le distanze cosmiche erano mille o più volte più piccole di
oggi, anche la temperatura media doveva
essere mille o più volte più alta. Ad alte
temperature, l’energia termica strappa gli
elettroni dai nuclei atomici creando un
plasma in cui coesistono elettroni e nuclei liberi: è ciò che avviene nelle stelle.
Nell’universo primordiale, a temperature di migliaia di gradi, la presenza di
elettroni non legati agli atomi impediva
la libera propagazione della luce: i fotoni
venivano continuamente deflessi dagli
elettroni. Se estrapoliamo ancora più indietro nel tempo, troviamo che l’energia
termica era così elevata da non permettere nemmeno i legami dei nuclei: nei
primi minuti, quando la temperatura era
più alta di 10 milioni di gradi, coesistevano particelle e antiparticelle elementari.
Il raffreddamento graduale dell’universo
ha poi permesso la formazione dei nuclei
più semplici. La fisica nucleare mostra
che nell’universo primordiale si potevano produrre proprio le abbondanze
di nuclei leggeri osservabili ancora oggi
nelle zone lontane dalle stelle. Era però
necessaria la presenza di un grande numero di fotoni, in grado di rallentare la
formazione dei nuclei: circa un miliardo
di fotoni per ogni particella di materia.
Fig.18–19
Planck Surveyor è la
terza missione di medie
dimensioni (M3) del
programma dell'Agenzia
Spaziale Europea Horizon
2000 Scientific Programme.
È progettato per acquisire
un'immagine dell'anisotropia
della radiazione cosmica
di fondo (CMBR). Questa
radiazione avvolge l'intero
cielo e questa missione ne
realizzerà una immagine
con la massima precisione
angolare e sensibilità mai
ottenuta. Planck diventerà
la fonte primaria di
informazioni astronomiche
per testare le teorie sulla
formazione dell'universo e
sulla formazione della sua
attuale struttura.
Planck nasce dalla fusione
di due progetti, COBRAS (poi
diventato lo strumento Low
Frequency Instrument, LFI)
e SAMBA (poi diventato lo
strumento High Frequency
Instrument, HFI). Dopo
che i due progetti sono stati
selezionati, per motivi di
efficienza e di risparmio dei
costi sono stati riuniti in un
unico satellite. Al progetto
unificato è stato dato il nome
dello scienziato tedesco
Max Planck (1858—1947),
vincitore del Premio Nobel
per la fisica nel 1918. Alla
missione collabora la NASA
(principalmente per la parte
criogenica) e questa missione
completerà e migliorerà le
misurazioni effettuate dalla
sonda WMAP.
PLANCK
105
ESA
106
Fig.22
Virgo è un rivelatore
interferometrico di onde
gravitazionali del tipo
interferometro di Michelson,
con bracci lunghi 3 km,
situato nel comune di
Cascina (PI), in località
Santo Stefano a Macerata.
Lo scopo del progetto, frutto
di una collaborazione italofrancese tra l'INFN e il CNRS,
è quello di rivelare le onde
gravitazionali, in un range
di frequenze osservabili
esteso tra i 10 e i 10 mila Hz.
PLANCK
N.1 Anno i aprile 2011
107
VIRGO
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
Secondo questa previsione, questi fotoni devono essere presenti ancora oggi,
e formare un fondo di fotoni di tipo termico, come quelli provenienti dal Sole.
Tuttavia, l’espansione subita dall’universo da allora ha stirato le lunghezze d’onda dei fotoni, da meno del micrometro
della radiazione termica ai millimetri e
più, lasciando così un fondo cosmico
di microonde (la radiazione cosmica
di fondo o CMB, da Cosmic Microwave
Background).
Questi fotoni si separano dalla materia
dell’universo primordiale 380 mila anni
dopo il big bang, quando l’universo si raffredda a una temperatura di circa 3 mila
kelvin, rendendo possibile la formazione
dei primi atomi. Da allora, i fotoni della
CMB viaggiano liberamente nell’universo, arrivando fino ai nostri ricevitori
dopo un viaggio di molti miliardi di anni.
La CMB è stata misurata per la prima volta nel 1965, e nel 1992 l’esperimento FIRAS sul satellite COBE ha evidenziato con
grande precisione la sua natura termica.
Altri esperimenti ne hanno accertato la
quasi perfetta isotropia, e l’esperimento
DMR su COBE ha evidenziato per la prima volta una leggera anisotropia, a un
livello di dieci parti per milione. Si deve
concludere che l’universo primordiale è
veramente molto caldo e isotropo.
Fig.23
La mappa CMB realizzata
nel 2003 con i dati del
satellite wmap: i diversi
colori indicano le deboli
fluttuazioni di densità e
temperatura dell'universo
primordiale.
BERKELEY LAB COMPUTATIONAL RESEARCH DIVISION'S SCIENTIFIC COMPUTING & VISUALIZATION GROUP
108
PAOLO DE BERNARDIS
La prova indiretta dell'esitena delle
onde gravitazionali è stata ottenuta
dall'osservazione delle pulsar
binarie
Paradossi cosmici
Oggi la materia è organizzata nell’universo in una gerarchia di strutture, fatta
di filamenti di galassie, ammassi di galassie, galassie, stelle. L’universo deve
quindi evolvere non solo espandendosi
e raffreddandosi, ma anche passando
dalla semplicità alla complessità. Deve
essere la gravitazione ad addensare la
materia, partendo da piccole concentrazioni di densità iniziali, che lentamente
attirano la materia circostante, crescendo e strutturandosi. Ma solo dopo 380
mila anni, quando la radiazione si separa
dalla materia, la materia può iniziare a
strutturarsi. In un universo in espansione
per la gravitazione, aggregare le strutture
è più difficile che in un universo statico:
partendo da una situazione omogenea,
380 mila anni dopo il big bang, per la ma-
teria normale non ci sarebbe stato modo
di formare, nei successivi 13,7 miliardi
di anni, le strutture che oggi osserviamo
nell’universo. Recentemente due campagne osservative, 2dF e Sloan, hanno
localizzato in tre dimensioni le posizioni
di più di un milione di galassie. Dettagliate simulazioni, come la Millennium
Simulation hanno usato supercomputer
per calcolare l’evoluzione di sistemi di
miliardi di punti massa, ciascuno interagente gravitazionalmente con tutti gli
altri, in uno spazio in espansione.
Queste simulazioni hanno confermato
che, per ottenere la distribuzione osservata delle galassie, è necessaria la presenza nell’universo di materia oscura,
cioè che non interagisce con la radiazione. Questa si può dunque aggregare fin
dall’inizio, attirando poi la materia ordinaria quando essa si libera dalla radiazione. Solo a questo punto iniziano a formarsi le maestose strutture cosmiche di
filamenti di galassie che riempiono l’universo odierno. Nonostante il successo di
queste previsioni, vi sono alcuni aspetti
paradossali. La CMB si libera dalla materia 380 mila anni dopo il big bang, ma
l’immagine che ne osserviamo, da 13,7
miliardi di anni luce di distanza, permette di vedere simultaneamente regioni di
universo molto distanti tra loro, anche
molto più di 380 mila anni luce. Nel modello standard, queste regioni non hanno
mai avuto il tempo di interagire, perché
le interazioni si propagano alla velocità
della luce: in 380 mila anni percorrono,
al massimo, 380 mila anni luce. Regioni
che sono angolarmente separate di molti gradi (e quindi distano tra loro molto
più di 380 mila anni luce) mostrano una
brillanza della CMB quasi identica, quindi si trovano a temperature molto simili.
109
110
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
Fig.24 a sinistra
30 giugno 2001, wmap viene
lanciato dalla piattaforma
17b del Kennedy Spaceflight
Center Launch.
Fig.25 sotto
L'impianto ligo presso
Livingstone, Los Angeles.
NASA / KENNEDY SPACE FLIGHT CENTER
PAOLO DE BERNARDIS
111
LIGO LABORATORY
112
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
Come hanno potuto omogeneizzarsi le
temperature senza contatto causale? È il
cosiddetto «paradosso degli orizzonti».
Ma c’è di più. Se vogliamo che la densità media di massa-energia presente
nell’universo sia, anche solo approssimativamente, quella osservata oggi, il suo
valore iniziale doveva essere regolato in
modo estremamente preciso. Altrimenti
si avrebbe un’espansione troppo rapida,
che dissolverebbe la massa-energia in
un volume enorme, senza la possibilità
di formare le strutture; oppure si avrebbe un’espansione troppo lenta che, dopo
un breve periodo di espansione, farebbe
riaumentare la densità di massa-energia,
portando a un’implosione finale: il big
crunch.
Il valore critico della densità che garantisce la formazione delle strutture cosmiche è di 10-²9 grammi per centimetro
cubo, ed è proprio quello che garantisce
una geometria piatta dell’universo. Il
che è sorprendente, perché questa è una
sola delle geometrie possibili secondo la
relatività generale: in un mezzo omogeneo e isotropo, una densità maggiore di
quella critica comporterebbe una curvatura positiva dello spazio, in cui due
raggi inizialmente paralleli andrebbero
a convergere, mentre una inferiore produrrebbe una curvatura negativa. Quale processo regola così precisamente la
densità iniziale da produrre una geometria piatta? Questi due paradossi, insieme
al problema dell’inizio (perché c’è stato
il big bang?) e a quello dell’origine delle
fluttuazioni di densità (che permettono
alla materia oscura di iniziare ad addensarsi nelle prime protostrutture), hanno
stimolato un’intensa ricerca teorica tesa
a estendere e modificare la teoria standard. L’ipotesi che risolverebbe simultaneamente questi problemi è quella
dell’inflazione cosmica. Si ipotizza che
a energie estremamente elevate l’universo sia dominato da un campo le cui
fluttuazioni quantistiche produrrebbero,
in un certo momento e in un certo volume microscopico, le condizioni per una
crescita velocissima e accelerata delle
Il valore critico della densità che
garantisce la formazione delle strutture
cosmiche è di 10-29 g/cm3 , proprio quello
che garantisce una geometria piatta
dell'universo
lunghezze: un’inflazione cosmica, capace di espandere quella regione microscopica fino a dimensioni cosmologiche.
Tutto l’universo osservabile oggi sarebbe
stato contenuto, prima dell’inflazione,
in quel microscopico volume, e quindi
in contatto causale, risolvendo così il
paradosso degli orizzonti. Qualunque
curvatura della geometria dell’universo
presente prima dell’inflazione verrebbe
stirata dall’enorme espansione, realizzando così la geometria quasi perfettamente piatta dell’universo dopo l’inflazione. Infine, le fluttuazioni quantistiche
presenti prima dell’inflazione si convertirebbero in fluttuazioni di densità, risolvendo il problema della loro origine. La
fisica quantistica permette di calcolare le
caratteristiche di queste fluttuazioni: ci
si aspetta che siano della stessa ampiezza per tutte le dimensioni (invarianza di
scala), e di tipo gaussiano.
Un universo euclideo
Ci aspettiamo l’esistenza di una scala tipica delle fluttuazioni: all’interno di un
volume in contatto causale possono agire
le forze in grado di modificare le fluttuazioni. All’esterno, invece, le fluttuazioni
iniziali rimangono inalterate. L’orizzonte causale, 380 mila anni luce, visto da
una distanza di 13,7 miliardi di anni luce,
sottende un angolo di circa 1 grado, se la
geometria dell’universo è euclidea. L’an-
Fig.26–28
La materia distribuita
nell'universo, a grandissime
scale (1 Mpc = 3,26 milioni
di anni luce). Queste tre
sequenze della Millenium
Simulation, la più ampia e
realistica delle simulazioni
informatiche delle strutture
cosmiche, mostrano che le
galassie e la materia oscura
sono distribuite in una rete
di filamenti che si incrociano
formando gli ammassi di
galassie, e sono separati da
regioni a bassa intensità, i
cosiddetti vuoti cosmici.
PAOLO DE BERNARDIS
113
500 Mpc/h
125 Mpc/h
31.25 Mpc/h
MAX PLANCK INSTITUT FÜR ASTROPHYSIK
114
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
golo è maggiore in un universo a curvatura positiva, ed è invece inferiore se la
curvatura è negativa.
Le mappe ad alta risoluzione angolare della CMB realizzate a partire dal 1998
hanno evidenziato la presenza di zone
più calde e più fredde, con dimensioni
tipiche di circa un grado. Se ne conclude
che la geometria del nostro universo è
quella euclidea –come previsto dall’inflazione– e che la densità di massa-energia
è proprio quella critica.
All’interno dell’orizzonte, il plasma è
sottoposto alle azioni contrastanti della
gravità e della pressione dei fotoni.
Questo genera oscillazioni di densità,
dette «oscillazioni acustiche», che, in una
qualsiasi regione più densa della media,
cominciano quando l’orizzonte causale,
crescendo con il tempo, supera le dimensioni della regione stessa. Tutte le regioni
dell’universo che siano più dense della
media, e che abbiano le stesse dimensioni, iniziano a oscillare alla stessa epoca.
La sincronizzazione delle oscillazioni è
responsabile di un andamento caratteristico delle fluttuazioni di temperatura
della CMB in funzione della scala angolare osservata. Le misure di CMB più recenti, come quelle ottenute dagli esperimenti BOOMERanG e MAXIMA, e poi dal
satellite WMAP, hanno confermato con
grande precisione la presenza delle oscillazioni acustiche. Hanno inoltre confermato con ottima precisione l’invarianza
di scala delle fluttuazioni e la loro natura
Le misure di CMB più recenti,
come quelle di BOOMERanG
e WMAP, hanno confermato
la presenza delle oscillazioni
acustiche PAOLO DE BERNARDIS
rare l’espansione dell’universo.Quest’ultima componente è stata introdotta circa
dieci anni fa per spiegare le osservazioni
di lontanissime supernove, di tipo particolare (tipo Ia). Queste hanno sempre
la stessa luminosità di picco, ma il flusso
ricevuto dalle più lontane di queste supernove è sistematicamente più debole
di quanto ci si aspetterebbe, come se nel
frattempo l’universo avesse accelerato la
sua espansione.
Secondo la relatività generale, per
provocare un’accelerazione dell’espansione dell’universo è necessario che la
massa-energia dominante abbia una
pressione negativa, e non si diluisca con
l’espansione, caratteristiche che sono
proprie dell’energia del vuoto. Ma la fisica fondamentale non è ancora in grado
di stabilire quanta sia davvero la densità
di energia del vuoto, e il valore richiesto
per spiegare l’accelerazione dell’universo
è minuscolo rispetto ai valori delle energie in gioco nella teoria.
Fig.29–31
BOOMERanG, Ballon
Observation of Millimetric
Extragalactic Radiation and
Geophysics, è stato il primo
esperimento in grado di
fornire un'immagine ad alta
definizione delle anisotropie
della temperatura della
radiazione cosmica di fondo.
Tramite un telescopio fatto
sorvolare ad un'altitudine di
42 km circa è stato possibile
ridurre l'assorbimento delle
microonde. Il primo volo
di test è avvenuto nei cieli
dell'America settentrionale
nel 1997.
gaussiana. Queste missioni, insieme alla
misura di altre osservabili cosmologiche,
hanno dato inizio alla la cosiddetta «cosmologia di precisione», che vede l’origine dell’universo in un evento di «inflazione cosmica», seguito da un’evoluzione
espansiva, guidata dalla radiazione prima, dalla materia poi (sia ordinaria sia
oscura) e infine da una componente di
«energia oscura», necessaria a far accele-
Materia oscura ed energia oscura
Lo scenario fin qui illustrato spiega bene
i dati sperimentali, ma non è ancora soddisfacente dal punto di vista fisico. L’universo è costituito da radiazione, materia
ordinaria, materia oscura ed energia
oscura, ma due di queste componenti,
materia ed energia oscura, non sono mai
state osservate in laboratorio. E l’evento
inflazionario non è ancora ben descritto
dalla fisica delle altissime energie. Per
quanto riguarda la materia oscura, ci si
aspetta che i nuovi esperimenti di CMB
riescano a fornire indicazioni più precise
sul tipo di particelle che la costituiscono.
Nel frattempo, il Large Hadron Collider
al CERN dovrebbe verificare sperimentalmente le teorie supersimmetriche
che prevedono l’esistenza di particelle
dotate di massa non interagenti con la
luce. Per l’energia oscura, oltre agli esperimenti di CMB citati, si stanno proget-
115
116
DAL BIG BANG AI BUCHI NERI
tando grandi osservatori spaziali dedicati all’indagine di migliaia di esplosioni
di supernove lontane, che dovrebbero
permettere di stabilire le caratteristiche
evolutive dell’energia oscura (è davvero
costante o evolve con l’universo?). Gli
stessi telescopi spaziali a grande campo,
registrando la forma di molti milioni di
galassie, consentiranno anche di rivelare le distorsioni gravitazionali delle loro
immagini, evidenziando le disomogeneità nella distribuzione della materia
oscura. Anche le onde gravitazionali diventeranno un potente strumento per la
cosmologia di precisione. LISA osserverà
le onde emesse da coppie di giganteschi
buchi neri orbitanti uno rispetto all’altro.
Questi buchi neri giganti sono stati osservati in quasi tutte le galassie, e arrivano a
masse miliardi di volte quella del Sole:
LISA sarà in grado di osservare le intensissime onde emesse da questi sistemi a
distanze di miliardi di anni luce. Le onde
gravitazionali consentono di misurare la
distanza dalla sorgente senza bisogno di
calibrazioni indipendenti, fornendo così
una mappa graduata e calibrata dell’intero universo, complementare all’osservazione delle supernove.
BIBLIOGRAFIA
Tutti gli universi possibili
e altri ancora
Mazzitelli I., Liguori Editore,
Napoli, 2002
I primi tre minuti
Weinberg S., Oscar Mondadori,
Milano, 1986
Dalle onde ai buchi neri
Vitale S., in Le Scienze, n. 247,
marzo 2004
BOOMERanG e la nuova
immagine dell'universo
De Bernardis P. , Masi S.,
in Sapere, ago 2001
Un click sull'universo
De Bernardis P.,Masi S.,
in Sapere, giu 2000
A caccia delle onde gravitazionali
L’inflazione cosmica resta il fenomeno
più affascinante da investigare. è una teoria predittiva, e tre delle sue previsioni
fondamentali sono state verificate: la
piattezza della geometria, la gaussianità
e l’invarianza di scala delle fluttuazioni
iniziali. Ma c’è una quarta previsione: la
produzione, durante la fase di espansione accelerata, di un fondo di onde gravitazionali stocastiche di grandissima lunghezza d’onda. Sono debolissime, ma si
propagano nell’universo senza ostacoli:
oggi sono ancora presenti, un po’ come
le onde elettromagnetiche della CMB. Ma
mentre quest’ultima presenta un’immagine dell’universo 380 mila anni dopo
il big bang, le onde gravitazionali inflazionarie permetterebbero di studiare i
primissimi attimi dell’evoluzione. E di
verificare la fisica a energie che mai saranno raggiunte dagli acceleratori terrestri. L’energia di queste onde dipende
dall’epoca dell’inflazione, ma è estrema-
mente debole. La possibilità di osservare
direttamente questo fondo cosmico di
onde gravitazionali dipende dallo scenario dettagliato della loro emissione. Alcuni scenari predicono violente transizioni
di fase con formazione di bolle e fenomeni turbolenti. LISA, che può rivelare onde
con periodi di alcune ore, osserverebbe
le onde emesse dopo un tempo ben inferiore al miliardesimo di secondo dal big
bang; se anche una piccolissima parte
dell’energia liberata in queste transizioni
di fase viene convertita in onde gravitazionali, LISA potrà osservarle.
Altri modelli, messi a punto nel tentativo di unificare relatività generale e meccanica quantistica, predicono l’esistenza
di nuovi oggetti fondamentali chiamati
«superstringhe». Questa espansione cosmica allungherebbe questi oggetti fino a
scale astronomiche, ed essi perderebbero energia per emissione di onde gravitazionali. LISA vedrà queste onde, se sono
state veramente emesse, riconoscendone inequivocabilmente le proprietà
spettrali.
Meno potenti sono le onde emesse in
uno scenario di inflazione più standard,
ma sono già allo studio rivelatori di prossima generazione per osservarle anche
in questo scenario debole.
Queste stesse onde gravitazionali erano presenti 380 mila anni dopo il big
bang, generando anisotropie nel plasma
che sta diffondendo per l’ultima volta
i fotoni. Questo genera una polarizzazione molto caratteristica delle onde
elettromagnetiche della CMB, e sono già
in corso esperimenti che sviluppano le
tecnologie necessarie per misurarla, e
progetti di satelliti (come B-Pol per ESA
e CMB-Pol per NASA) dedicati a questo
scopo.
Forse in futuro la sinergia tra esperimenti di misura di onde gravitazionali ed
esperimenti di polarizzazione CMB aprirà una finestra sui primi attimi dell’evoluzione dell’universo e sulla fisica delle
energie ultra-alte.
N.1 Anno I Aprile 2011
AGGIORNAMENTI
119
PLANCK
BIOASTRONOMIA
ARGOMENTO
Possibili tracce di
Titolo
vegetazione
scoperte
00
su Europa, luna di Giove
124
STUDI
ARGOMENTO
Team di astronomi
Titolo
risolve il mistero
00
delle stelle pulsanti
127
MISSIONI
ARGOMENTO
Deep Impact spia la
Titolo
cometa Hartley. Il robot
00
NASA ora pronto al lancio
129
MISSIONI
La missione Mars500
simula atterraggio
marziano
121
RISULTATI
PSR J0737-3039
conferma le teorie
di Albert Einstein
122
TEORIE
Quante masse
occorrono per
un buco nero?
130
ACCORDI
ARGOMENTO
Con l'ok al nuovo statuto
Titolo
il CNR sarà più vicino alle
00
imprese. Critici i sindacati
133
ESA / IPMB
PLANCK
AGGIORNAMENTI
121
MISSIONI
‘L'uomo è attorno a Marte’.
Il 12 marzo sul Pianeta Rosso
L'obiettivo raggiunto qualche giorno fa dai sei
membri del progetto Mars500 che sta simulando
in un hangar della Russia il viaggio, la discesa
sul corpo celeste e il ritorno a Terra.
Aggiornamento di
Mars500: ESA va su Marte
N.2 Anno 2 Febbraio 2012
Immagini I membri
dell'equipaggio Mars500
durante la simulazione
dello sbarco.
Russia · L'uomo è arrivato attorno a Marte.
L'obiettivo è stato raggiunto qualche giorno
fa dai sei membri del progetto Mars 500
che sta simulando in un hangar della
Russia un viaggio verso il pianeta rosso, la
discesa su di esso e il ritorno a Terra. Dopo
244 giorni dalla partenza i sei uomini, tra
cui vi è anche un italiano, Diego Urbina,
sono arrivati in orbita marziana e da lì il
prossimo 12 febbraio scenderanno sulla
superficie del pianeta, dove realizzeranno
3 passeggiate per raccogliere campioni e
informazioni del suolo, anch'esso del tutto
simulato.
Mars500 è un esperimento voluto da
un gruppo di ricercatori internazionali
che vuole studiare le complesse
interazioni psicologiche e tecniche che
nel futuro incontreranno gli uomini che si
spingeranno realmente sulla sua superficie.
Il non vedere la Terra ad esempio (essa,
dopo poche settimane dalla partenza,
apparirà come una qualunque stellina del
cielo), potrebbe avere serie ripercussioni
sul morale degli astronauti. Il non riuscire
a risolvere qualche problema tecnico
potrebbe essere causa di forte depressione
per qualcuno dell'equipaggio. Qualche
incompatibilità di carattere che potrebbe
emergere dopo settimane di stretto contatto
potrebbe addirittura far fallire la missione.
Per questo è necessario una simile ricerca.
La struttura ove si sta simulando il viaggio
si trova all'Istituto di Problemi Biomedici
di Mosca. I sei uomini dell'equipaggio
(3 russi, 2 europei e un cinese) stanno
lavorando come fossero realmente diretti
verso Marte: essi operano 5 giorni alla
settimana e durante la giornata lavorativa
eseguono esperimenti, esercizi fisici e lavori
di mantenimento della navicella. ‘Mars500
ON-LINE
www.esa.int/specials/mars500
è un esperimento che ci spinge verso il
futuro. L'Europa sta facendo passi davvero
importanti verso l'esplorazione dello spazio’,
ha detto Simonetta di Pippo, Direttore dei
voli umani all'Agenzia Spaziale Europea.
Tutto nell'esperimento è così realistico
che anche i messaggi tra l'equipaggio e la
base spaziale sono ritardati di un tempo
simile a quello che proveranno realmente
gli astronauti marziani quando saranno su
Marte. Il pianeta rosso infatti, dista decine
di milioni di chilometri (varia a secondo
del periodo dell'anno durante il quale i
due pianeti si avvicinano o si allontanano)
dalla Terra e le comunicazioni radio
impiegano diversi minuti per coprire lo
spazio esistente. Il 2 febbraio, dopo circa
un mese e mezzo di approccio a Marte, gli
astronauti sono entrati in orbita attorno
al pianeta. L'equipaggio ha aperto il
portellone che separa la navicella madre
con il modulo che scenderà sulla superficie
del pianeta. Ora i tre uomini dell'equipaggio
si trasferiranno nel lander, eseguiranno il
distacco dalla navicella madre e il giorno
12 febbraio atterreranno su Marte. Due
giorni dopo il russo Alexander Smoleevskiy
e Urbina indosseranno le tute e usciranno
all'aperto. Il 18 febbraio invece, sarà la volta
di Smoleevskiy and Wang Yue e il 22 sarà
ancora la volta del russo e dell'italiano.
Alla fine del mese di febbraio ritorneranno
alla navicella madre, dove, dopo tre giorni
di quarantena, si riuniranno al resto
dell'equipaggio.
Quindi, il lander verrà sganciato e
abbandonato nello spazio, mentre gli
uomini riprenderanno la strada verso
la Terra per raggiungerla il prossimo
novembre. Una sorta di Capricorn 1 (il
film del 1978 dove un complotto architettò
un viaggio a Marte, mai realizzato, ma
fatto credere tale in studi appositamente
attrezzati), mai realizzato di cui si
conosce ogni fase, ma le cui conclusioni
permetteranno di trovare risposte ai molti
problemi psicologici che gli astronauti
incontreranno durante un simile viaggio,
le cui difficoltà non sono da ricercarsi solo
nelle tempistiche, nella tecnologie nel costo,
ma anche, e nella psiche umana.
122
PLANCK
AGGIORNAMENTI
N.1 Anno I APRILE 2011
R I S U LT A T I
PSR J0737-3039
conferma le teorie
di Albert Einstein
Il sistema di due pulsar scoperto nel 2003 ha
mantenuto le promesse. Dopo ben otto anni
di studio e difficili osservazioni, escono i primi
strabilianti risultati.
Aggiornamento di
Gruppo Pulsar scopre un nuovo sistema
N.16 Anno 3 luglio 2014
Australia · psr j0737-3039, il sistema di due
pulsar scoperto nel 2003 dal Gruppo Pulsar
italiano e i suoi partner internazionali
con il radiotelescopio australiano di
Parkes, ha mantenuto le promesse. Si era
subito intuito che questo eccezionale
orologio cosmico, formato da due stelle a
neutroni pulsanti e in orbita l’una attorno
all’altra, poteva rivelarsi uno strumento
di precisione incomparabile per mettere
alla prova la teoria della relatività generale.
Ora, dopo tre anni di intense e difficili
osservazioni, escono i primi risultati. E
sono strabilianti: con un’incertezza di
appena lo 0,05%, Einstein e la sua teoria
escono vittoriosi dal terzo grado cui sono
stati sottoposti.
psr j0737-3039 A/B è una doppia
pulsar: due stelle di neutroni piccolissime,
appena qualche chilometro di diametro.
Densissime: un cucchiaino del loro
materiale peserebbe quanto tutti gli
abitanti del nostro pianeta. Pulsanti:
emettono infatti onde radio. E, soprattutto,
vicinissime e orbitanti una attorno all’altra
in sole 2,4 ore. Fin dalla loro scoperta – nel
2003, a opera di un team internazionale
con molti ricercatori italiani – hanno
suscitato un interesse spasmodico nella
comunità internazionale, tanto che il
primo articolo a loro dedicato è stato il più
citato di tutto il 2004 per la letteratura della
fisica dello spazio. Il motivo è semplice:
in quelle condizioni estreme gli effetti
previsti dalla relatività generale devono
essere molto marcati e si debbono poter
vedere in pochi anni. Per la prima volta,
2
𝛚
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P
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1.5
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0.5
0
0.5
1
1.5
2
X Massa B (Msun) Y Massa A (Msun)
JBO, 2011
insomma, si pensava di poter disporre di
un laboratorio cosmico unico, un orologio
celeste ultra preciso che avrebbe dovuto
mostrare cambiamenti registrabili, anche
se con misure sofisticatissime fatte con i
migliori ricevitori esistenti.
E così è stato. Per tre anni, i più grandi
radiotelescopi del mondo – quello di 64
metri di Parkes, in Australia, quello di 76
metri del Jodrell Bank Observatory, nel
Regno Unito e il Green Bank Telescope,
negli Stati Uniti, un gigante da 100 metri
– hanno tenuto le loro enormi parabole
orientate verso il sistema psr j0737-3039. E
a ogni battito delle due pulsar (generano
INFOGRAFICA: ANDREA POSSENTI
rispettivamente un impulso ogni 22
millisecondi e uno ogni 2,7 secondi), gli
scienziati hanno potuto restringere sempre
di più il margine d’errore con il quale si può
affermare se le variazioni di orbita e periodo
seguono o meno la teoria di Einstein anche
in presenza di un campo gravitazionale
straordinariamente intenso.
Allo studio che illustra questa importante
ricerca hanno preso parte tre astrofisici
dell’INAF: Marta Burgay, Andrea Possenti
e Nichi D’Amico, dell’Osservatorio
Astronomico di Cagliari e dell’Università
di Cagliari. I test che la coppia di pulsar
ha consentito di svolgere sono quattro, e
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
AGGIORNAMENTI
123
SCOPERTE
si basano sulle misura di alcuni complessi
parametri del sistema doppio, detti postkepleriani: l’avanzamento del periastro, cioè
lo spostamento progressivo del punto di
minor distanza fra le orbite ellittiche delle
due pulsar; il redshift gravitazionale, ovvero
la dilatazione della lunghezza d’onda degli
impulsi; il decadimento dell’orbita, che
porterà le due pulsar a fondersi tra circa 85
milioni di anni; e infine il cosiddetto ritardo
di Shapiro, causato dalla deformazione
dello spazio-tempo nei dintorni delle pulsar.
Superarli tutti e quattro, con i severi limiti
imposti dalle osservazioni di psr j07373039, equivale un po’ a vincere il grande
slam delle teorie sulla gravità. Ebbene,
Einstein e la sua relatività generale ne
sono usciti trionfanti. Un trionfo che, per
i ricercatori, ha l’aspetto di un grafico nel
quale c’è un minuscolo spazio in cui tutte
le misure sopra elencate convivono. ‘Ce
lo attendevamo, ma vedere come tutti i
parametri continuino a intersecarsi pur
in un'area così ridotta’ – ammette Andrea
Possenti – ‘è qualche cosa di stupefacente’.
Intanto, la doppia pulsar continua a
pulsare. E a far sognare fisici e astrofisici.
Perché se in appena tre anni è riuscita a
portare a risultati migliori di qualsiasi altra
pulsar (compresa PSR 1913+16, osservata per
oltre trent’anni, e che nel 1993 valse il Nobel
a Russell Hulse e a Joseph Taylor), le attese
per il futuro sono comprensibilmente assai
ambiziose. Anzitutto, nel giro di pochi anni,
grazie alla pulsar doppia, si raggiungeranno
livelli di precisione tali da mettere a
confronto le teorie di Einstein con altre
teorie rivali emerse di recente.
L'aspettativa maggiore, però, è che
l'osservazione prolungata di queste due
pulsar permetta alla fine di comprendere
come si comporta la materia nel cuore di
una stella di neutroni.
ON-LINE
www.pulsar.ca.astro.it/pulsar/press
A 2 mila anni luce dalla Terra
scoperto il primo pianeta
extragalattico
Il corpo celeste fa parte dei resti di una
galassia nana che circa sei miliardi di anni fa
si scontrò con la Via Lattea, venendone quasi
completamente assorbita.
Aggiornamento di
Setiawan e i pianeti extragalattici
N.1 Anno 6 marzo 2017
La Silla, Chile · Si chiama HIP 13044b, un
nome forse poco evocativo, ma è una pietra
miliare nella storia dell'astronomia: è infatti
il primo pianeta scoperto al di fuori della
nostra galassia, la Via Lattea.
Dagli anni novanta a oggi sono stati
individuati circa 500 pianeti al di fuori del
nostro sistema solare, ma tutti all'interno
della Via Lattea. HIP 13044b, invece, orbita
attorno a una gigante rossa a 2 mila anni
luce dalla Terra.
La stella fa parte di una corrente stellare,
cioè un gruppo di stelle che a sua volta
ruota intorno alla nostra galassia alla
velocità di oltre 950 mila chilometri l'ora.
Si tratta dei resti di una galassia nana che
circa sei miliardi di anni fa si scontrò con
la Via Lattea e ne fu quasi completamente
assorbita.
Il pianeta extragalattico, descritto
sull'ultimo numero della rivista Science, è
un gigante gassoso con una massa pari
almeno a 1,25 volte quella di Giove.
È troppo distante per essere osservato
direttamente, ma l'équipe guidata
dall'astronomo Johny Setiawan, dell'Istituto
Max Planck, ha dedotto la sua esistenza
osservando la sua stella madre con uno
dei telescopi dello European Southern
Observatory di La Silla, in Cile. L'attrazione
gravitazionale del pianeta causa infatti una
leggera oscillazione della stella, una gigante
rossa.
Si tratta di una stella che un tempo aveva
una massa comparabile a quella del nostro
Sole, e che oggi, a otto miliardi di anni di età,
è in una fase tardiva della sua evoluzione.
Le giganti rosse possono espandersi fino
a decuplicare o anche centuplicare la loro
massa iniziale, catturando e divorando i
pianeti nella loro orbita. Alcuni astronomi
ritengono che questa sarà la sorte della
Terra quando, tra cinque miliardi di anni,
anche il Sole si trasformerà in una gigante
rossa. Ma per qualche motivo HIP 13044b
è riuscito a sopravvivere. Ma non solo
il pianeta dovrebbe essere morto: non
dovrebbe nemmeno essere nato. Gli
astronomi infatti ritengono che le stelle e i
loro pianeti sono fatti dagli stessi mattoni
di costruzione. Ma la stella madre di HIP
13044b è molto povera di metalli, e anzi
contiene scarse quantità di elementi più
pesanti dell'idrogeno e dell'elio.
Questo significa che anche il disco di
materiale che circondava la stella in origine
era povero di metalli: troppo pochi per
formare quel nucleo pesante che, secondo
le teorie prevalenti, attrae i gas più leggeri
e consente la formazione di un pianeta
gassoso.
« Questa scoperta fa pensare
all'esistenza di meccanismi di
formazione dei pianeti diversi
da quelli conosciamo. »
JOHN SETIAWAN
Secondo Allan Boss, esperto della
formazione dei pianeti alla Carnegie
Institution for Science di Washington, HIP
13044b è una grossa anomalia.
‘È improbabile che il pianeta si sia
formato secondo il meccanismo che
consideriamo abituale, forse esistono
altri procedimenti a noi sconosciuti: la
formazione di un nucleo massiccio di
roccia e ghiaccio che attrae quantità di
gas sufficienti a creare un vero e proprio
pianeta gassoso’.
ON-LINE
www.eso.org/public/eso1047
124
AGGIORNAMENTI
BIOASTRONOMIA
Scovate tracce
di vegetazione
su Europa,
luna di Giove
La teoria elaborata dal professore di fisica
Freeman Dyson è molto intrigante, e si basa
sui dati raccolti con gli ultimi studi sulla
atmosfera e la superficie del satellite.
Aggiornamento di
Europa potrebbe ospitare forme di vita
N.6 Anno 5 dicembre 2020
Secondo Dyson la strategia di ricerca nella
vita nel cosmo dovrebbe essere quella di
cercare ciò che è rilevabile, e non ciò che
è probabile. ‘Abbiamo una tendenza tra
teorici in questo campo che è quella di
indovinare ciò che è probabile. In effetti la
nostra ipotesi potrebbe essere sbagliata:
non abbiamo mai avuto l’immaginazione
che ci dona la Natura’.
Ad esempio queste forme di vita si
potrebbero trovare su Europa, luna coperta
di ghiaccio e su cui si pensa si possa essere
sviluppata la vita seppur primordiale. Ad
esempio su questa luna la vita potrebbe
assumere le sembianze di fiori attraverso
una forma parabolica che concentra la luce
solare e la immette all’interno del vegetale
stesso. Secondo Dyson ‘fiori su Europa
potrebbero esseri rilevati attraverso un
fenomeno denominato retroriflessione, in
cui la fonte di luce viene riflessa indietro
alla sua fonte’. Dyson inoltre afferma che i
fiori su Europa potrebbero diffondersi nel
resto del sistema solare. ‘Si può immaginare’
– dice Dyson – ‘che i fiori che vivono sotto
i ghiacci di Europa possano evolversi in
maniera indipendente’. Inoltre la presenza
di piante di grande taglia può essere
presente anche in altri oggetti lontani nel
sistema solare, come nelle comete o nella
nube di Oort, dove la forza gravitazionale
è minora e l’energia solare da raccogliere
deve essere massimizzata: ‘anche se le
piante sarebbero molto distanti dalla Terra,
le loro dimensioni proporzionalmente
larghe le renderebbero, comunque,
rilevabili’.
Immagini Europa è il quarto, per dimensioni,
satellite naturale del pianeta Giove.
NASA
126
AGGIORNAMENTI
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
MISSIONI
Si alza il sipario sul teatro
cosmico di Planck
I primi risultati scientifici della missione
Esa Planck sono stati resi pubblici durante
una conferenza stampa che si è tenuta in
contemporanea a Parigi e a Roma. Risultati
raccolti in un catalogo degli oggetti più freddi
dell’universo.
Aggiornamento di
Il viaggio nel tempo di Planck
N.3 Anno 3 SETTEMBRE 2013
Roma · ‘Tutto l’universo è un palcoscenico,
e tutte le galassie non sono altro che
attori’, scriverebbe Shakespeare se fosse un
astronomo dei nostri giorni. Planck ci offre
ora una nuova vista sia del palcoscenico
sia degli attori, rivelando il dramma
dell’evoluzione dell’universo.
Dopo la pubblicazione, avvenuta nel
luglio scorso, della prima immagine
dell’intero cielo di Planck, oggi vengono
infatti resi pubblici i primi, attesissimi,
risultati scientifici della missione. Risultati
presentati dalla Planck Collaboration
a Parigi, proprio questa settimana, nel
corso di un importante convegno su ben
25 articoli scientifici sottomessi per la
pubblicazione ad Astronomy & Astrophysics.
Alla base di quasi tutti questi risultati c’è
l’Early Release Compact Source Catalogue
di Planck: restando nella metafora del
teatro, è l’equivalente dell’elenco dei
personaggi. Ottenuto dall’osservazione
continua dell’intero cielo a lunghezze
d’onda millimetriche e submillimetriche,
il catalogo è costituito da una raccolta di
migliaia di sorgenti estremamente fredde.
Sorgenti che l’intera comunità scientifica
potrà d’ora in avanti esplorare e studiare in
tutta libertà.
‘Sono i primi risultati pubblici della
missione: un catalogo di tutte le sorgenti
galattiche ed extragalattiche viste da Planck
nell’intero cielo. Non solo: è il primo
catalogo a tutto cielo a nove frequenze
diverse, da 30 GHz a 857 GHz, e costituisce
un’assoluta novità. Darà lavoro per anni a
tutti i telescopi sulla Terra e nello spazio,
che potranno fare osservazioni di followup’, dice Reno Mandolesi, associato Inaf e
responsabile di Lfi, lo strumento a bassa
frequenza a bordo di Planck, finanziato da
ASI e realizzato in gran parte in Italia.¹
‘Per avere accesso ai dati contenuti nel
catalogo’, spiega Andrea Zacchei, dell’INAF
Osservatorio astronomico di Trieste,
responsabile del Data Processing Centre
italiano di Planck (che ha sede, appunto,
a Trieste, ed è costituito da ricercatori
dell'Osservatorio e della SISSA-Scuola
Internazionale Superiore di Studi Avanzati),
‘non è necessaria alcuna expertise tecnica.
Sono resi pubblici attraverso un sito web
dell’Esa, accessibile a tutti. Si potranno
fare ricerche per parole chiave, per zone
1. Planck è una missione dell’Agenzia
Spaziale Europea (ESA), che ha gestito
il programma sin dagli esordi, nel
1993, e ha finanziato lo sviluppo del
satellite, il lancio e le operazioni di
controllo. Il prime contractor di ESA
per Planck è stata Thales Alenia Space
(Cannes, Francia). Un contributo
fondamentale a Planck è stato dato
dall’industria europea. In particolare,
è stato decisivo il contributo di Thales
Alenia Spazio (Torino) per il service
module, di Astrium (Friedrichshafen,
Germania) per gli specchi del
telescopio e di Oerlikon Space
(Zürich, Svizzera) per le strutture
del payload. La maggior parte dei test
criogenici e ottici più complessi sono
stati eseguiti presso il Centro Spaziale
di Liegi, in Belgio, e presso la sede
di Cannes di Thales Alenia Space.
di cielo e per nome degli oggetti. Di ogni
oggetto, sarà anche possibile visualizzarne
l’immagine, per studiarne forma e struttura.
Insomma, un catalogo a tutti gli effetti,
totalmente integrato con gli altri cataloghi
astronomici già esistenti’. È un palcoscenico,
quello dell’universo, sul quale va in scena
un dramma in tre atti. Quello che riescono a
cogliere i telescopi ottici, l’arazzo di galassie
che ci circonda, è poco più che l’atto finale.
Con le sue misure a lunghezze d’onda
che vanno dal radio all’infrarosso, Planck
è invece in grado di risalire indietro nel
tempo, e mostrarci i due atti precedenti. I
risultati presentati oggi riguardano l’atto di
mezzo, quando le galassie si stavano ancora
formando.
Qui Planck ha rilevato l’esistenza di una
popolazione di galassie, altrimenti invisibili,
a miliardi di anni indietro nel tempo:
avvolte nella polvere, in esse si formavano
stelle a un ritmo vorticoso, da dieci a mille
volte più rapido di quello che possiamo
osservare oggi nella nostra galassia. Si tratta
di misure mai effettuate prima a queste
lunghezze d’onda.
Alla fine, Planck sarà in grado di offrirci
la migliore visuale che sia mai stata
disponibile anche sul primo dei tre atti:
la formazione delle prime strutture a
grande scala nell’universo, dalle quali le
galassie si sarebbero poi formate. Strutture
la cui traccia è impressa nella radiazione
di fondo a microonde, risalente ad
appena 380 mila anni dopo il big bang,
l’epoca in cui l’universo cominciava a
raffreddarsi. Per vedere nei dettagli il
fondo cosmico, però, occorre anzitutto
rimuovere le contaminazioni introdotte
dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds
a esso sovrapposte. Fra queste, gli oggetti
elencati nell’Early Release Compact Source
Catalogue presentato oggi, così come altre
sorgenti d’emissione diffusa.
Sorgenti come, per esempio, la cosiddetta
emissione anomala a microonde: un
bagliore diffuso, associato a regioni dense
e polverose della Via Lattea, la cui origine
ha rappresentato per anni un vero e proprio
enigma. Enigma che i dati di Planck,
grazie all’ampiezza senza precedenti della
gamma di lunghezze d’onda alle quali
sono sensibili i suoi rivelatori, potrebbero
aver definitivamente risolto: a generare
l’emissione anomala sono le collisioni di
grani di polvere in rapidissima rotazione su
se stessi, fino a decine di miliardi di volte
al secondo, con atomi o pacchetti di luce
ultravioletta.
Sfruttando un effetto particolare detto
Sunyaev-Zel'dovich, Planck è poi riuscito
a individuare 189 ammassi di galassie, 20
dei quali ancora sconosciuti. Un’assoluta
novità da numerosi punti di vista. È la
prima volta, infatti, che nuovi ammassi di
galassie vengono scoperti grazie all’effetto
Sunyaev-Zel'dovich, e già stanno arrivando
conferme della loro esistenza grazie a
osservazioni congiunte con un altro satellite
Esa, l’osservatorio a raggi X Xmm-Newton.
Oltre a consegnarci immagini spettacolari,
lo studio di questi enormi e antichissimi
cluster ci aiuta ad approfondire le nostre
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
AGGIORNAMENTI
127
STUDI
conoscenze sul tipo di universo in cui
viviamo, a che velocità si sta espandendo
e quanta materia contiene. ‘E questa non
è che la punta dell’iceberg’, osserva David
Southwood, direttore della sezione Esa di
Scienza ed Esplorazione Robotica. ‘Grazie
all’impegno di tutte le persone coinvolte
nel progetto, Planck sta superando
ogni aspettativa’.² ‘L’Italia in questi
anni ha raggiunto – rileva il presidente
dell’Agenzia Spaziale Italiana, Enrico
Saggese – una posizione di eccellenza nel
2. Per quanto riguarda lo sviluppo
degli strumenti scientifici, un
contributo importante è dovuto a
Thales Alenia Space (Milano) per
LFI e a Air Liquide - DTA (Grenoble,
Francia) per HFI. I due consorzi sono
anche responsabili per l’operatività
scientifica dei rispettivi strumenti
e per il trattamento dei dati. Alla
guida dei consorzi, i due principal
investigators: J. L. Puget, dell’Institut
d’Astrophysique Spatiale di Orsay
(Francia), è responsabile di HFI
(finanziato principalmente dal CNES
e dal CNRS), mentre N. Mandolesi,
dell’Istituto di Astrofisica Spaziale
e Fisica Cosmica di Bologna, è
responsabile di LFI (finanziato
principalmente dall’ASI e dall’INAF).
La NASA ha finanziato lo US Planck
Project, con base a JPL e con il
coinvolgimento di scienziati da
numerose istituzioni degli Stati Uniti,
il cui contributo all’impegno dei due
consorzi è stato decisivo. Planck è
gestito dal Flight Control Team del
Mission Operations Centre (MOC),
presso l' ESOC dell’ESA, a Darmstadt,
Germania.
campo dell’osservazione ed esplorazione
dell’universo vicino e lontano. L’importante
contributo italiano dato al successo della
missione Planck ne è una conferma’. ‘È un
grande momento, per Planck’, aggiunge
Jan Tauber, project scientist di Planck all’Esa,
‘Fino a oggi ci siamo concentrati sulla
raccolta dei dati e sul mettere in luce il loro
potenziale. Ora, finalmente, è arrivato il
tempo delle scoperte’.
Planck, nel frattempo, continua a
osservare l’universo. Il prossimo rilascio
di dati è in programma per il gennaio
2013. Saranno dati in grado di mostrare, a
un livello di dettagli senza precedenti, la
radiazione del fondo a microonde. L’atto
iniziale del dramma cosmico, dunque:
l’immagine dell’origine di tutto.
ON-LINE
www.esa.int/esaCP/S
Il mistero
delle stelle
pulsanti
Con la scoperta del primo sistema binario
in cui una delle due stelle è una Cefeide,
una stella pulsante variabile, e grazie al fatto
che una stella del sistema transita davanti
all’altra, un team internazionale di astronomi
ha risolto un mistero vecchio di decenni.
Aggiornamento di
Inizia lo studio sulle cefeidi
N.2 Anno 2 Febbraio 2012
Concepción, Cile · I nuovi risultati,
ottenuti da un team guidato da Grzegorz
Pietrzynski (Universidad de Concepción,
Cile, Obserwatorium Astronomiczne
Uniwersytetu Warszawskiego, Polonia)
sono stati resi pubblici. Grzegorz
Pietrzynski sottolinea il notevole risultato
raggiunto: ‘Utilizzando lo strumento HARPS
sul telescopio di 3.6 metri dell'ESO di La
Silla in Cile, insieme ad altri telescopi,
abbiamo misurato la massa di una delle
Cefeidi con una precisione di gran lunga
superiore a tutte le stime precedenti.
Questo nuovo risultato ci permette di
vedere immediatamente quale delle due
teorie, tra loro in competizione, utilizzate
per determinare le masse delle Cefeidi sia
corretta’. Le Variabili Cefeidi classiche, di
solito chiamate più semplicemente Cefeidi,
sono stelle instabili più grandi del Sole.¹
1. Le prime Cefeidi sono stati avvistate
nel XVIII secolo e le più luminose
possono essere facilmente viste
variare di sera in sera ad occhio nudo.
Esse prendono il nome dalla stella
Delta Cephei nella costellazione
di Cefeo (il Re).
Si espandono e si contraggono in modo
regolare, impiegando da pochi giorni ad
alcuni mesi per completare il ciclo. Il tempo
necessario per crescere di luminosità
per poi tornare ai valori di partenza è più
lungo per le stelle che sono più luminose
e più breve per quelle più deboli. Questa
relazione così precisa rende lo studio
delle Cefeidi uno dei modi più efficaci per
misurare le distanze di galassie vicine e da lì
tracciare la scala di tutto l'universo.
Purtroppo, nonostante la loro importanza,
le caratteristiche delle Cefeidi non sono
completamente note. La determinazione
della loro massa sulla base della teoria
delle stelle pulsanti, è il 20–30% minore
di quella determinata grazie alla teoria
dell’evoluzione stellare. Questa discrepanza
è emersa dagli anni '60 del secolo scorso.
Per risolvere il mistero, gli astronomi
avevano bisogno di trovare una stella
doppia di cui una fosse una Cefeide e la
cui orbita doveva essere vista di taglio dalla
Terra. In questi casi, noti come sistemi
binari ad eclisse, la luminosità delle due
stelle si affievolisce quando una delle due
passa davanti all'altra, e ancora quando
passa dietro l'altra stella. In tali coppie
gli astronomi possono determinare la
massa delle stelle con grande precisione.
Purtroppo né le Cefeidi né le binarie a
eclisse sono comuni, quindi la possibilità di
trovare una coppia così insolita sembrava
molto bassa. Nessun sistema di questo tipo
è stato finora scoperto nella Via Lattea.²
2. Il rapporto luminosità/periodo per
le Cefeidi è stato utilizzato da Edwin
Hubble per stimare la distanza di ciò
che ora sappiamo essere galassie. Più
recentemente le Cefeidi sono stati
osservate con il telescopio Hubble.
Wolfgang Gieren, un altro membro
del team, aggiunge: ‘Di recente abbiamo
effettivamente trovato quello che
speravamo, un sistema di due stelle, tra
quelle della Grande Nube di Magellano.
Essa contiene una Cefeide, una stella
variabile pulsante che completa il suo ciclo
ogni 3,8 giorni. L'altra stella è leggermente
più grande e più fredda, e i due corpi celesti
orbitano l'uno intorno all'altro in 310 giorni.
La vera natura binaria dell'oggetto è
stata immediatamente confermata quando
l'abbiamo osservato con lo spettrografo
HARPS a La Silla’.
Gli astronomi hanno misurato
accuratamente le variazioni di luminosità di
questo raro oggetto, denominato OGLE-LMCCEP0227, quando le due stelle, orbitando,
sono passate una davanti all'altra. Hanno
inoltre usato HARPS, ed altri spettrografi
particolarmente precisi, sia per misurare
i moti di allontanamento e avvicinamento
alla Terra delle stelle che il moto orbitale
delle due stelle e i movimenti degli strati
superficiali della Cefeide quando nelle sue
fasi di espansione e contrazione.
ON-LINE
www.eso.org/public/news/eso1046/#1
103P-Hartley
CREDITI
NASA / JPL-CALTECH / UMD
AGGIORNAMENTI
129
MISSIONI
Deep Impact
spia la cometa
Hartley
L'incontro è avvenuto alla distanza minima
prevista di 700 km dal nucleo di roccia e ghiacco,
e ha fruttato immagini mai viste fino ad ora,
trasmesse al centro ricerche.
Aggiornamento di
Deep Impact scruta le comete
N.4 Anno 8 giugno 2022
Immagini
In senso orario dall'alto,
la prima delle incredibili
sequenze ottenute dalla
sonda Deep Impact
durante il suo avvicinamento e l'osservazione
del nucleo di roccia e
ghiaccio.
Cape Canaveral · La sonda Nasa Deep
Impact ha incontrato la cometa Hartley alla
distanza minima prevista di 700 chilometri
dal nucleo di roccia e ghiaccio. L'incontro
ravvicinato è avvenuto a circa 15 milioni di
chilometri dalla Terra.
La sonda, grande come un'automobile,
catturerà immagini e dati che aiuteranno
astronomi e astrofisici a scoprire nuovi
segreti delle comete, veri e propri fossili
del sistema solare. La sonda Deep Impact
ha inviato le prima immagini spettacolari
a Terra e sugli schermi dei computer
del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della
Nasa, dove si trova il centro di controllo
della missione Epoxi dove sono arrivate
immagini ‘mai viste finora’.
I tecnici hanno lavorato fin dalle prime
ore della giornata per verificare che la
sonda Deep Impact fosse nella posizione
corretta per avvicinarsi alla cometa senza
rischiare di essere colpita dai frammenti di
ghiaccio che come una nube circondano il
nucleo roccioso.
Pochi minuti dopo aver raggiunto la
distanza voluta, a 700 chilometri dal
nucleo, la sonda ha puntato verso la Terra
la sua antenna. È cominciata così una fase
di controllo dei dati relativi alle buone
condizioni di salute della piccola sonda,
grande come un'automobile. Concluse le
verifiche, la sonda ha cominciato a inviare
a Terra le prime immagini della cometa.
‘Ci manca il respiro al solo pensiero delle
scoperte che ci aspettano’, ha detto il
coordinatore della missione Epoxi, Michael
O'Hearn, dell'Università del Maryland.
ON-LINE
www.jpl.nasa.gov/news
130
AGGIORNAMENTI
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
TEORIE
Quante masse
ci vogliono per
un buco nero?
Grazie all’utilizzo del Very Large Telescope, gli
astronomi europei hanno dimostrato per la
prima volta che una magnetar si è formata da
una stella di 40 volte la massa del Sole. Si pone,
quindi, ora una nuova domanda fondamentale:
quanto deve essere massiccia una stella
affinché si trasformi in un buco nero?
Aggiornamento di
Westerlund 1
N.1 Anno 5 gennaio 2015
Per arrivare a tali conclusioni, gli
astronomi hanno esaminato nel dettaglio
lo straordinario ammasso stellare
straordinario Westerlund 1*,che si trova
a 16 mila anni luce di distanza, nella
costellazione meridionale di Ara (l'Altare).
Da studi precedenti, gli astronomi sapevano
che Westerlund 1 fosse il più vicino super
ammasso stellare conosciuto, contenente
* L'ammasso aperto Westerlund 1 è
stato scoperto nel 1961 dall’Australia
da un astronomo svedese, Bengt
Westerlund, che in seguito ricoprì la
carica di Direttore dell’ESO in Cile da
1970 al 1974. Questo cluster è dietro
una enorme nuvola interstellare di
gas e polveri, che blocca la maggior
parte della sua luce visibile. Il fattore
di attenuazione è superiore a 100 mila,
ed è per questo che ci è voluto tanto
tempo per scoprire la vera natura di
questo particolare agglomerato.
Westerlund 1 è un laboratorio
naturale unico per lo studio della
fisica stellare estrema, che ha aiutato
gli astronomi a cercare di scoprire
come le stelle più massicce nella
nostra Via Lattea vivono e muoiono.
centinaia di stelle molto massicce, alcune
così brillanti da avere una luminosità di
quasi un milione di soli e con circa duemila
volte il diametro del Sole.
‘Se il Sole si trovasse nel cuore di questo
straordinario ammasso, il nostro cielo
notturno sarebbe pieno di centinaia di
stelle brillanti una luna piena’, dice Ben
Ritchie, autore principale dell’articolo che
illustra questi risultati.
Westerlund 1 è un fantastico zoo stellare,
con diverse ed esotiche popolazioni
di stelle. Le stelle di questo gruppo
condividono però un aspetto: tutte hanno la
stessa età, stimata tra 3,5 e 5 milioni di anni
e ciò testimonia come questo ammasso
abbia trovato origine da un unico evento di
formazione stellare.
Una magnetar è un tipo di stella di
neutroni con un campo magnetico
incredibilmente forte – un milione di
miliardi di volte più forte di quella della
Terra, che si forma quando alcune stelle
sono sottoposte ad esplosioni di una
supernova. L’ammasso Westerlund 1 ospita
uno delle poche magnetar conosciute
nella Via Lattea. Grazie alla sua presenza in
questo gruppo gli astronomi sono stati in
grado di dedurre che debba essersi formata
da una stella almeno 40 volte più massiccia
del Sole.
Poiché tutte le stelle in Westerlund 1
hanno la stessa età, la stella che è esplosa
e ha lasciato come residuo una magnetar,
deve aver avuto una vita più breve delle
altre stelle del gruppo. ‘Poiché la durata
della vita di una stella è direttamente
collegata alla sua massa – più pesante è una
stella, più breve la sua vita – se siamo in
grado di misurare la massa di una qualsiasi
stella superstite, sappiamo per certo che la
stella con vita più breve e che è divenuta
una magnetar, deve essere stata ancora
più massiccia’, afferma il coautore e leader
del team Simon Clark. ‘Questo è molto
importante, perché non esiste una teoria
universalmente riconosciuto su come si
formino questi oggetti così magnetici’.
Gli astronomi hanno quindi studiato le
stelle che appartengono al sistema binario
ad eclisse W13 in Westerlund 1, sfruttando
il fatto che, in un tale sistema, le masse
delle stelle possono essere direttamente
determinate dal loro movimento.
Messa a confronto con le altre stelle, gli
astronomi hanno verificato che la stella
divenuta una magnetar deve essere stata
almeno di 40 volte la massa del Sole.
Questo porta a dimostrare che stelle molto
massicce, dalle quali ci si attenderebbe
la formazione di un buco nero, possono
evolvere diversamente, come una magnetar
appunto. L'ipotesi precedente riteneva
che le stelle con masse iniziali comprese
tra circa 10 e 25 masse solari formassero
le stelle di neutroni e quelle superiori a 25
masse solari producessero buchi neri.
‘Questa stella deve essersi liberata di più
di nove decimi della sua massa prima di
esplodere come una supernova, o altrimenti
avrebbe creato un buco nero’, dice il
coautore Ignacio Negueruela. ‘L’enorme
perdita di massa prima dell'esplosione
rappresenta la sfida più grande alle attuali
teorie sull’evoluzione stellare’.
‘Si pone quindi la spinosa questione di
come una stella di grande massa debba
collassare per formare un buco nero se
stelle più pesanti oltre 40 volte il nostro Sole
non fanno altrettanto’, conclude il coautore
Norbert Langer.
Il meccanismo di formazione preferito
dagli astronomi ipotizza che la stella
divenuta una magnetar – il cosiddetto
progenitore – sia nata in compagnia di
un’altra stella. Poiché entrambe le stelle
una volta evolute avrebbero cominciato a
interagire, l’energia derivata dal loro moto
orbitale avrebbe portato ad espellete le
quantità necessarie dell’enorme massa
della stella progenitrice. Il fatto che tale
compagnia non sia visibile sul luogo
della magnetar, potrebbe essere perché la
supernova che ha costituito la magnetar
ha rotto il sistema binario, espellendo
entrambe le stelle a ad alta velocità dal
gruppo.
‘Se questo è il caso, ciò suggerisce che i
sistemi binari possano svolgere un ruolo
chiave nell'evoluzione stellare provocando
una perdita di massa – l'ultima dieta
cosmica per stelle supermassicce – fino al
95% della massa iniziale’ conclude Clark.
Destra Westerlund 1
comprende migliaia di
stelle molto massive,
alcune delle quali brillano
con una forza pari ad un
milione di volte quella del
Sole. Sebbene la maggior
parte delle stelle in questo
ammasso sono blu supergiganti, esse appaiono
rosse in questa fotografia a
causa del filtro creato dalle
polveri e dai gas stellari.
SISTEMA BINARIO AD ECLISSE W13
MAGNETAR
ES0
132
PLANCK
AGGIORNAMENTI
N.1 Anno I APRILE 2011
MISSIONI
MISSIONI
SCOPERTE
STS-133:
non prima
del 24 aprile
Lares e Vega
verso il lancio
Kepler scopre
il suo primo
esopianeta
roccioso
Ancora un rinvio per la missione NASA.
Conseguenze anche per il successivo lancio
della sonda Arus, previsto per la fine di marzo.
Il satellite LARES pronto a lasciare la Terra
con il lanciatore Vega nel 2011.
Il telescopio spaziale identifica un nuovo
esopianeta alcune caratteristiche simili
a quelle della Terra.
Aggiornamento di
Vega esce dalla sale test, presto il lancio
N.11 Anno 2 ottobre 2012
Aggiornamento di
Ecco i primi dati del satellite Kepler
N.7 Anno 6 marzo 2018
Aggiornamento di
STS-133 ancora dubbi sul lancio
N.6 Anno 3 aprile 2013
Houston · Nessun colpo di scena. I
componenti del Program Requirements
Control Board (PRCB) si sono regolarmente
riuniti al Johnson Space Center della NASA a
Houston. Per confermare che il lancio dello
Shuttle Discovery, missione Sts-133, quello
che doveva partire il 5 novembre scorso,
non avverrà prima del 24 febbraio 2011. I
tecnici continuano a lavorare ai serbatoi
esterni applicando nuove strutture di
rinforzo, i radius bocks.
Per essere precisi, comunque, i launch
manager hanno sottolineato di non poter
ancora indicare una data target, a causa
anche del traffico verso la Stazione Spaziale
Internazionale previsto a metà febbraio
(il 15, per esempio, è in agenda il Cargo
europeo Atv-2). L’impressione, almeno per
il momento, è che il lancio dello Shuttle con
a bordo PMM, il modulo permanente per
la ISS realizzato a Torino a tempo di record
modificando Leonardo, non avvenga il 24
ma comunque entro la fine di febbraio.
Contribuisce a dar peso a questa
previsione il fatto che nel corso della stessa
riunione i tecnici della NASA abbiano
confermato l'ulteriore slittamento in avanti
per la missione successiva. La Sts-134,
quella che porterà sulla ISS l’astronauta
italiano dell’ESA Roberto Vittori e, tra le
altre cose, lo strumento AMS (il cacciatore di
antimateria realizzato con un determinante
contributo italiano). Questa volta a
partire è l’altro Shuttle rimasto in servizio,
l’Endeavour. Ma non più il primo aprile,
come preannunciato dopo l’ultimo rinvio.
Al momento la prima data utile perché
Vittori raggiunga la ISS è il 19 aprile.
ON-LINE
www.nasa.gov/mission_pages/shuttle/main/index
Houston · Nei primi giorni di Dicembre
è stata raggiunta una delle tappe finali
verso la qualifica del satellite LARES, che
sarà messo in orbita con il primo volo del
lanciatore VEGA, attualmente previsto per il
terzo trimestre del 2011 dalla base di lancio
europea di Kourou, nella Guyana Francese.
Il programma LARES, la cui realizzazione
è affidata da ASI alla Carlo Gavazzi Space,
procede quindi a buon ritmo in parallelo
alle fasi finali dello sviluppo del lanciatore
e, secondo la nuova pianificazione, sarà
pronto per la spedizione in base di lancio
dalla seconda metà del prossimo anno.
‘Vale la pena ricordare che la missione
LARES ha una molteplice valenza, scientifica
e tecnologica – ci dice Simone Pirrotta,
responsabile nel team ASI degli aspetti
ingegneristici e delle interfacce. Difatti,
insieme al payload principale costituito dal
satellite dedicato all’esperimento del PI prof.
Ciufolini per la misura dell’effetto LenseThirring con estrema accuratezza, il sistema
fornisce anche un importante supporto alla
qualifica del lanciatore VEGA, misurando
alcune importanti grandezze fisiche
durante le varie fasi di volo e permettendo
così di ricostruire le sollecitazioni
ambientali cui saranno sottoposti tutti
i futuri satelliti passeggeri del nuovo
lanciatore europeo a preponderante
contributo italiano.
Ad aumentare ulteriormente la
complessa architettura del Sistema LARES
sono i suoi passeggeri secondari cioè i nove
Cubesats, piccolissime sonde del peso di 1
chilogrammo, forniti dall’Agenzia Spaziale
Europea.
Washington · La missione Kepler, primo
telescopio spaziale della NASA preposto
alla ricerca di pianeti orbitanti intorno
ad altre stelle con caratteristiche simili a
quelle della Terra, ha individuato il primo
esopianeta roccioso denominato Kepler-10b.
Si tratta del più piccolo pianeta scoperto al
di fuori del sistema solare ma non si trova
nella cosiddetta zona abitabile. La minima
distanza che intercorre tra Kepler-10b e
la sua stella fa sì che il pianeta non sia in
grado di ospitare la vita: le temperature
del lato esposto alla stella potrebbero
raggiungere un migliaio di gradi, e in queste
condizioni sarebbe impossibile mantenere
un'atmosfera gassosa stabile e duratura nel
tempo.
Gli scienziati della NASA hanno calcolato
che il pianeta orbita attorno alla sua
stella a una distanza che è una frazione
di quella che separa Mercurio e il Sole,
conseguentemente l'intera orbita viene
coperta in un periodo temporale ridotto,
meno di un giorno terrestre.
‘Questa è un’ulteriore conferma che
pianeti non troppo diversi dalla Terra
possono esistere intorno ad altri Soli
– commenta Enrico Flamini, chief scientist
Destra La Missione
Kepler è un programma
di ricerca astronomica
sviluppato dalla NASA.
Esso è costituito da
un satellite artificiale,
chiamato Kepler, costituito
da un fotometro e messo
in un'orbita eliocentrica
parzialmente sovrapposta
quella terrestre. Il telescopio è stato correttamente
lanciato in orbita da Cape
Canaveral il 7 marzo 2009.
AGGIORNAMENTI
133
ACCORDI
CNR, arriva
l'ok al nuovo
statuto: ‘Più
vicini alle
imprese.’
Il presidente Maiani: ‘Saremo più virtuosi
ed internazionali’. Critiche le organizzazioni
sindacali.
Aggiornamento di
Un nuovo statuto per il CNR
N.2 Anno 2 Febbraio 2012
dell’ASI. Bisogna tuttavia aver chiaro –
prosegue Flamini – che non li stiamo
vedendo direttamente, ma solo attraverso
l’effetto che hanno sulla radiazione emessa
dal loro Sole quando vi passano davanti”
Le dimensioni di Kepler-10b sono
state calcolate sulla base delle variazioni
della luminosità nella stella registrate
dagli strumenti di Kepler, in particolare
dal fotometro, ogni volta che il pianeta
transitava di fronte ad esso. Kepler-10b ha
un diametro pari a 1,4 volte quello terrestre
e una massa 4,6 volte superiore a quella
ON-LINE
http://www.nasa.gov/universe/features/rocky_planet
della Terra. ‘Tutte le capacità di Kepler
hanno portato alla luce l’esistenza di un
pianeta roccioso che orbita intorno a una
stella che non è il nostro Sole’ ha dichiarato
Natalie Batalha, responsabile del team
NASA di Kepler presso il Centro di ricerche
Ames in California e autrice dell’articolo
sulla scoperta pubblicato dall’Astrophisical
Journal. ‘Riteniamo – spiega la Batalha –
che le recenti rivelazioni fatte da Kepler
rappresentino solo il punto di partenza
di ricerche molto sulla formazione degli
esopianeti’.
Roma · Un CNR snello, efficiente e pronto
a parlare sempre più la lingua del mercato.
Per dialogare con le imprese il più grande
ente di ricerca italiano potrà partecipare
a fondi di investimento, realizzare spin
off industriali o creare società, fondare
consorzi con i privati. A chiederglielo è il
nuovissimo statuto approvato dal CDA del
Consiglio Nazionale delle Ricerche tra le
proteste dei sindacati che lo bocciano. Nel
mirino sono finite alcune richieste per
il nuovo statuto -in parte poi riformate
durante la riunione- arrivate dal ministro
vigilante dell'Istruzione, della Ricerca e
dell'Università Maria Stella Gelmini, che
secondo UIL, CGIL e ANPRI rischiano
di mettere a repentaglio l'autonomia
scientifica. Il cambio di pelle arriva oltre
un anno dalla riforma degli enti di ricerca
(Dlgs 213/2009) e punta a ridisegnare
l'architettura del CNR. Tra le novità di fondo
c'è anche l'invito esplicito al Consiglio
Nazionale delle Ricerche a diventare non
solo un incubatore di scienza, ma anche
di idee da trasformare in prodotti e attività
imprenditoriali.
Diverse le novità anche sul fronte
dell'organizzazione interna: innanzitutto lo
snellimento dei dipartimenti, il cui numero
scende da undici a sette. Più snello sarà
anche il CDA che sarà composto da solo
cinque membri, di cui tre di nomina del
ministro. Le altre due nomine dovrebbero
contendersele le regioni, i rettori delle
università, Confindustia o la comunità
scientifica. Quest'ultima sarà rappresentata
dal consiglio scientifico e nei consigli dei
vari dipartimenti in cui è diviso l'ente.
N.1 Anno I Aprile 2011
RECENSIONI
135
PLANCK
Trent'anni
di fisica dei
buchi neri
La scienza
secondo
Italo Calvino
La fisica
senza
stringhe
Leonard SusskinD 135
Massimo Bucciantini 141
Lee Smolin 142
Genio & humour.
La fisica di Feynman
recensione di
SYLVIE COYAUD
La fisica di Feynman.
Volumi I, II e III
di RICHARD FEYNMAN
Zanichelli, 2001, € 110.99
A trent'anni di distanza dalla prima
edizione italiana, ecco ristampato
pari pari, qualche errore di stampa
incluso, il corso che il fisico americano Richard Feynman (1918—1988)
tenne al California Institute of
Technology tra il 1961 e il 1963, un
po' costretto dagli amministratori
al California Institute of Technology,
irritati dal modo in cui si sottraeva ai
doveri d'insegnamento, e un po' per
dimostrare che, anche come docente,
non aveva pari.
Dopo i corsi dei colleghi, scrisse
nell'introduzione alle lezioni sbobinate, riviste e completate da Robert
Leighton (volume 1) e Matthew
Sands (volume 2 e 3) ‘parecchi studenti si sentivano scoraggiati perché
venivano loro presentate ben poche
idee affascinanti. Il problema era se
si potesse fare o no un corso che salvasse lo studente più bravo e più interessato dal perdere ogni entusiasmo’.
Quindi decise di rivolgersi ai migliori
della classe e di stimolarne la mente.
‘In sostanza, tutta la faccenda fu un
esperimento. E se dovessi ripeterlo
non rifarei la stessa cosa, spero di
non doverlo ripetere!‘. A fare da
cavia, si presentarono 180 matricole,
ma non si salvarono e scomparvero
rapidamente dall'aula. Il perché si
capisce dalle prime pagine del primo
volume: questa è la fisica di Feynman
e pochi altri, quella che tesse, taglia
e cuce a propria misura per arrivare
all'elettrodinamica quantistica, definita come ‘la strana teoria della luce
e della materia o, specificamente,
l'interazione tra la luce e gli elettroni’
in Qed (Adelphi, 1989) e qui come
‘la teoria dell'intera chimica, e della
vita se la vita, in definitiva, si riduce
a chimica e quindi a fisica, dato
che la chimica ci è già ridotta’. Le
cavie, richiamate da una personalità
irriverente e già leggendaria, non
furono all'altezza di tanta ambizione.
Forse nemmeno lo sperimentatore
che a fine biennio si dichiarò poco
soddisfatto. ‘Col passare dei mesi
i risultati degli esami lasciarono
Feynman scioccato e scoraggiato’,
scrisse James Gleick (in Genio, Garzanti, 1994). Le matricole scappavano
terrorizzate. ‘Via via che il corso si
avviava alla conclusione, la frequenza
degli studenti prese a calare in modo
allarmante, ma al tempo stesso furono sempre più i laureati e i professori
che presero a parteciparvi’, riferisce
lo storico della fisica Charles Weiner.
D'altronde, furono le parole conclusive di Feynman al suo pubblico, ‘lo
scopo principale del mio insegnamento non è stato quello di prepararvi a
un esame, né quello di mettervi in
condizione di lavorare per l'industria
o per l'esercito. Più di ogni altra cosa,
ho voluto farvi apprezzare un po' la
bellezza del mondo e quella maniera
di guardarlo che è caratteristica dei
fisici e che, a mio parere, è una parte
assai importante della vera cultura
dei nostri tempi. Ci sono probabilmente professori di altre materie che
troverebbero da obiettare, ma credo
che sbaglino del tutto. Può darsi che
non solo apprezzerete quella cultura
ma che vogliate partecipare alla più
grande avventura mai intrapresa
dalla mente umana’. Oggi la teoria
si concentra sulle simmetrie e sulle
stringhe (la M Theory ), eppure quei
tre volumi trovano ancora lettori che
ne escono trasformati in avventurieri, spavaldi e incantati dalla
disinvoltura di Feynman – la fisica
prima del 1920 riassunta in quattro
paginette – e dalle sue domande.
Dimostra quanto è fecondo accostare
le idee in maniera inedita, ribaltare
l'ordine seguito da tutti i manuali per
creare collegamenti nuovi, saltare a
piè pari le frontiere tra le discipline.
Che si può legare con un unico filo
improvvisamente logico e luminoso
la materia su grande e su piccola
scala, forze, colori, trottole, cubetti
di ghiaccio, atomi e ruote dentate. A
condizione di sapere di matematica.
‘Uno può anche domandarsi: che ci
fa la matematica in una lezione di
fisica? Noi possiamo addurre varie
scuse: la prima, ovviamente, è che la
matematica è uno strumento potente
ma questo ci scusa soltanto di avervi
dato la formula in due minuti. D'altro
canto, in fisica teorica tutte le nostre
leggi si possono scrivere in forma
matematica, il che ha una certa
semplicità e bellezza. Tutto sommato,
quindi, per capire la natura può esserci bisogno di una comprensione più
profonda delle relazioni matematiche.
Ma la ragione vera è che la materia è
divertente, e sebbene noialtri umani
sminuzziamo la natura in tanti modi,
e teniamo corsi diversi nei diversi
dipartimenti, si tratta di una compartimentazione del tutto artificiosa. Ma
godiamoci i nostri piaceri intellettuali
ovunque li troviamo’.
Feynman si era fatto su misura
anche una matematica raffinata, idiosincratica eppure subito adottata dai
colleghi (basti pensare agli integrali
di cammino). Era uscita dalla cassetta
degli attrezzi che si era procurato
da ragazzino con letture precoci e
solitarie, con un bricolage di cui
andava fiero. La matematica gli dava
‘la sensazione concreta della bellezza
più profonda della natura’, per lui
come per Galileo infatti ne era il linguaggio. Era anche una sensazione di
felicità, la stessa che un altro fisico
matematico, Jean-Marc Lévy-Leblond
(uno dei primi a capire e diffondere
il Feynman pensiero fuori dagli Stati
Uniti) esprime in una poesia d' amore
e di fisica pubblicata sulla rivista
Alliage.
Chi non sa di matematica non
scrive, come Lévy-Leblond, ‘E2 − E1 =
hv’, perché non vede la fotosintesi né
la foglia che beve il Sole, non prova
l'inebriante senso di potere che viene
dallo ‘scrivere, descrivere, decretare’
e dal vedere ‘l'universo piegarsi alla
lettera’. La fisica di Feynman gli è
preclusa insieme a quella che era per
lui la vera cultura dei nostri tempi.
Probabilmente troverà da obiettare
all'arroganza che allo scienziato
in effetti non mancava, e dirà che
la vera cultura è un'altra. Ma non
solo perché non sa di quali piaceri
intellettuali si priva. La matematica
gli dava ‘la sensazione concreta della
bellezza più profonda della natura’,
per lui come per Galileo infatti ne era
il linguaggio primario, dal quale tutto
derivava.
136
RECENSIONI
Per una
ripresa
della
scienza
italiana
recensione di
Giovanni Fabrizio Bignami
La ricerca tradita. Analisi
di una crisi e prospettive
per il rilancio
di Tommaso Maccacaro
Garzanti, 2007, € 16.50
I fatti, innanzitutto. Ovvero il confronto tra il nostro paese e le altre
nazioni industrializzate. Così si deve
misurare il caso italiano della ricerca
e, indirettamente, dell'Università. E i
numeri della ricerca e delle Università italiane, si sa, non ci fanno fare
una gran bella figura. Specialmente
dopo il quinquennio 2002-2006 (ma
anche prima), l'Italia è posizionata
agli ultimi posti della graduatoria europea. E per fortuna c'è il Portogallo
(che però sta crescendo in fretta).
Da questa analisi di una crisi parte
il bel libro coordinato da Tommaso
Maccacaro e scritto a più mani,
capitolo per capitolo, da un'élite
di ricercatori membri del Gruppo
2003, quello degli italiani più citati
al mondo. Che tra questi ultimi ci sia
un ministro, per di più un ministro
importante come Luigi Nicolais, sarà
una piacevole sorpresa per molti,
visto che Nicolais non ha mai sbandierato la sua anima di ricercatore,
ma diventa un fatto di particolare
rilevanza quando si parla di politica
della ricerca.
Proprio del Gruppo 2003 il libro
propone il manifesto, ancora attualissimo, che elenca un succinto decalogo di proposte per andare verso
la normalità, cioè verso il necessario,
ma inesistente, livello di sostegno e
attenzione alla ricerca per un paese
del nostro calibro. Tutte proposte
normali al limite della banalità: non
più promozioni per legge, ma obbligo
PLANCK
della peer review ovunque e poi
valutazione, valutazione, valutazione.
Su quest'ultima sono sempre tutti
d'accordo, se si valutano, magari
severamente, gli altri. Applicarla e
rispettarla seriamente anche per se è
un'altra cosa.
È il momento giusto, invece, di dire
che tutti i ricercatori italiani degni di
questo nome – e degni di lavorare
in Europa e nel mondo – aspettano
con ansia la formazione dell'Agenzia
Nazionale della Valutazione dell'Università e della Ricerca. Speriamo che
arrivi presto e bene: i piani ci sono, e
sembrano buoni, come le persone e la
volontà politica. Perché le credenziali
di una valutazione nazionale corretta
sono indispensabili per portarci in
modo stabile e credibile in Europa. Ci
siamo già, lo so, e in qualche caso
siamo anche protagonisti, ma non
basta.
La Francia ha capito quattro anni
fa che un organismo pur forte di
tradizioni eccellenti e di dimensioni
notevoli, come il CNRS, non bastava
alla domanda di ricerca di un paese
moderno. Un paese moderno deve
saper coinvolgere, anzi attrarre, gli investimenti privati nella ricerca e metterli insieme con quelli pubblici per
scoprire che il totale è maggiore della
somma delle parti. E così in Francia si
è pensata e creata, con una rapidità
per noi sconcertante, l'Agence Nationale de la Recherche, un'agenzia di
mezzi per il finanziamento di ricerche
scelte per merito. E allora facciamola
anche in Italia un'agenzia nazionale
della ricerca, visto che il CNR, da
rivedere a fondo, non supporta più,
o quasi, la ricerca extra moenia. Per
esempio non nelle Università, dove i
modi per incentivare la ricerca vanno
letteralmente reinventati.
Certo, per fare i ricercatori bisogna
partire da una base ampia, creando
una cultura della scienza nella gente.
Una battuta finale, tratta dallo spumeggiante capitolo di Franco Brezzi,
matematico capace di prendere un
circolo, accarezzarlo e farlo diventare
vizioso. A proposito dell'Istituto italiano di tecnologia, nota che la cosa
agghiacciante sia stato il tentativo di
spacciarlo per il MIT italiano. Al MIT
lavora Noam Chomsky, definito dal
New York Times come ‘il più grande
intellettuale vivente’. Rimbocchiamoci le maniche, ma siamo ancora
lontani dall'eccellenza.
Stanley
Kubrick
2001: le
interviste
spaziali
recensione di
Giacomo Gambineri
Stanley Kubrick.
Interviste extraterrestri
di Anthony Frewin (a cura di)
Isbn, 2006, € 19.50
Nel 1966, durante la lavorazione de
2001: Odissea nello Spazio, Stanley
Kubrick diede una 35mm al suo
assistente Roger Caras e lo mandò a
intervistare fisici, biologi, astronomi,
antropologi e teologi: che mondo
immaginavano per il 2001? Le risposte dovevano diventare un prologo
per spiegare che quelle del film non
erano fantasie ma problemi reali,
con i quali l'umanità avrebbe dovuto
confrontarsi. In fase di montaggio
però le interviste vennero scartate,
e soltanto nel 2001, quello vero, un
altro assistente di Kubrick, Anthony
Frewin, ha ritrovato i raccoglitori con
le trascrizioni di queste Interviste
Extraterrestri (le pellicole sono andate
perdute).
Pagina dopo pagina scorrono le
idee di scienziati come Aleksandr
Oparin, Burrhus Skinner o Freeman
Dyson sull'origine della vita, gli
extraterrestri, i viaggi spaziali e il
ruolo dell'uomo nell'universo. Ci sono
previsioni azzardate, figlie del clima
di ottimismo tecnologico dell'epoca: per qualcuno, per esempio, il
contatto con civiltà extraterrestri era
imminente. Isaac Asimov riteneva
che l'umanità fosse pronta per l'incontro con civiltà aliene, e che ‘forse
anche dei buoni film di fantascienza’
avrebbero aiutato a superare lo shock.
Margaret Mead descriveva invece
internet che conosciamo oggi: ‘In
futuro ogni studente sarà seduto al
suo banco avendo davanti un piccolo
N.1 Anno I APRILE 2011
computer tramite il quale otterrà
immediatamente l'informazione che
vuole facendo ricerche nei più grandi
archivi di informazioni’. E Marvin
Minsky, mentre diceva che ‘i primi
alieni che conosceremo non verranno
da altre galassie ma saranno creati
da noi stessi’, pensava all'intelligenza artificiale.
Già il fatto che l'elenco degli intervistati si apra con Asimov suggerisce
una certa qualità nell'approccio ad
un argomento che potrebbe suscitare
facili ironie, ovvero l'esistenza di
una vita, e magari di un'intelligenza
extraterrestre, ma poi si capisce che
l'interesse di Kubrick andava ben
oltre gli aspetti strettamente cinematografici. ‘Certe parole debbono porsi
ad un livello che l'umano non può
situare. Quegli esseri avrebbero probabilmente dei poteri incomprensibili.
Potrebbero essere in comunicazione
telepatica attraverso l'intero universo.
Potrebbero avere la facoltà di
plasmare gli avvenimenti in un modo
che appare divino’ rifletteva il regista
all'epoca dell'ideazione de 2001 ed è
lo spunto iniziale per cui ha chiesto
a Roger Caras, il suo assistente più
vicino, di realizzare una vasta serie di
interviste, riportate in gran parte in
questo Interviste Extraterrestri.
Tra gli intervistati c'è un intero
olimpo di fisici, psicologi, etnologi,
biologi, astronomi e filosofi – nonché,
oltre ad Asimov, un altro illuminato
scrittore, Arthur C. Clarke che ebbe
una parte rilevante nella sceneggiatura del film e che per l'occasione
si è prestato per una brevissima
(e pungente) prefazione. Odissea
nell'odissea, le Interviste Extraterrestri, che in un prima ipotesi dovevano
essere parte integrante del film,
vennero poi scartate, messe da parte
e in gran parte dimenticate fino a
quando un altro assistente di Stanley
Kubrick, Anthony Frewin che le ha
ritrovate e assemblate in un libro
denso e visionario che, esattamente
come il film per cui erano state realizzate, è più vicino agli uomini che agli
extraterrestri. D'altra parte un'opera
«a misura di universo» deve misurarsi
con esso, non con l'uomo.
Destra 1967, Stanley
Kubrick insieme all'attore
Gary Lockwood (nel ruolo
del dott. Frank Poole) sul set
de 2001: Odissea nello Spazio.
DIMITRI KASTERINE
STANFORD UNIVERSITY
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
RECENSIONI
139
Leonard Susskind
racconta trent'anni
di fisica dei buchi neri
Ecco
l'universo
elegante
recensione di
Folco Claudi
recensione di
Daniela Bigatti
La guerra dei buchi neri
di Leonard Susskind
Adelphi, 2009, € 35.00
L'universo elegante
di Brian Green
Einaudi, 2005, € 13.50
‘Anche se classicamente l'orizzonte
degli eventi di un buco nero ha una
forma fissata, le fluttuazioni quantistiche dovrebbero farlo tremolare;
anzi, una fluttuazione molto intensa
dovrebbe poterlo deformare per
tempi brevi in una forma più allungata e appiattita, e di tanto in tanto
far assumere al buco nero l'aspetto
di due sfere più piccole unite o
addirittura portarlo a disintegrarsi in
piccolissimi pezzi.’
È il 1972. Nel West End Café, un
locale newyorchese sulla Broadway,
un giovane fisico della Yeshiva
University, Leonard Susskind, espone,
davanti ad una birra, le sue argomentazioni su un tema assai complesso.
Davanti all'altra birra sta un mostro
sacro della fisica dell'epoca, Richard
Feynman, all'apice della carriera
scientifica e della notorietà. ‘In
effetti – risponde Feynman – nulla
potrebbe impedire il decadimento
del buco nero, ma questo modello
richiederebbe fluttuazioni enormi:
è più plausibile un modello in cui
l'orizzonte si divide in una parte delle
dimensioni simili a quelle originali e
in una parte microscopica che se ne
allontana.’
Sono considerazioni un po' alla
buona, anche se dettate da felici
intuizioni: sono i primi tentativi di
impostare una serie, approfondita discussione sulle profonde implicazioni
della teoria generale della relatività,
un ambito di ricerca allora di moda.
A Princeton c'è John Archibald
Wheeler, allievo di Einstein, che
cerca di aprire una breccia per questo
tipo di studi nella comunità dei fisici
di allora, tutta presa dagli incredibili
successi ottenuti nello studio delle
particelle elementari. Dal 1967, in
particolare, Wheeler cercava di
esplorare l'immenso territorio che
separava la teoria della gravitazione dalla meccanica quantistica, a
cominciare dalle stelle nere, come
furono battezzati sulle prime i
paradossali oggetti cosmici frutto
dei collassi gravitazionali descritti
da Karl Schwarzschild nel 1917, in
grado di inghiottire tutta la massa e
la radiazione che si trovano entro un
certo raggio dal loro centro, secondo
un processo che metteva alla prova
non solo le capacità immaginative
umane, ma anche alcuni principi
fondamentali della fisica.
Come se non bastasse, già negli
anni settanta il giovane Stephen
Hawking aveva dimostrato che gli
stessi buchi neri emettono radiazione
termica, e per questo finiscono con
l'evaporare, cioè con lo scomparire
senza lasciare traccia, subendo
un destino non dissimile da quello
prospettato nell'incontro al West End
Cafè. ‘Ma se così avviene – rincarava
la dose Hawking nel corso di una
serie di seminari nel 1976 – che fine
fa l'informazione inghiottita? Si perde
per sempre, violando così un altro
fondamentale principio di conservazione?’.
Un altro salto sulla sedia per i
fisici: sarebbe come dire, almeno per
la formulazione che ne dà la fisica
classica, che il futuro può anche non
ricordarsi più del passato, e che il
determinismo viene a perdersi anche
nella meccanica quantistica.
Ma Susskind non vuole arrendersi
all'ipotesi del fisico di Cambridge, e
ne nasce una schermaglia scientifica,
anzi una vera e propria Guerra dei
buchi neri, che egli stesso ricostruisce in quest'ultimo saggio, fresco di
traduzione, con una verve non comune
anche tra i divulgatori di professione, con godibilissime divagazioni
sulle personalità dei protagonisti
della vicenda e con numerosi esempi
analogie illustrate che consentono
nella maggior parte dei casi di evitare
formule ed equazioni.
Certo, per raccontare più di
trent'anni di fisica dei buchi neri ci
voglio 400 pagine di gravitazione,
cromodinamica quantistica, principio
olografico e teoria delle stringhe, e la
lettura non è consigliabile ai deboli
di cuore. Ma per chi se la sente di
affrontare la materia le ultime pagine
svelano la soluzione, sancita dallo
stesso Hawking del 2004: Susskind
aveva ragione. Quando evaporano, i
buchi neri non trattengono l'informazione, la rimettono tra i prodotti
dell'evaporazione stessa.
Una conclusione importante, ma
che non può certo valere come una
pacificazione: chi non è sconvolto dalla teoria dei buchi neri – si potrebbe
chiosare, parafrasando Niels Bohr
sulla meccanica quantistica – allora
non l'ha realmente capita.
Sinistra
Il fisico Leonard Susskind.
Durante un lungo volo intercontinentale scambiavo due parole col
vicino: qual è la sua destinazione, che
mestiere fa. A mia volta spiego che
sono un fisico, un fisico teorico – e
qui in genere l'interlocutore cambia
discorso. Invece, allungandosi a
prendere il bagaglio a mano, ne ha
estratto un volume, dal titolo The
Elegant Universe. Mentre si lanciava
in un'appassionata recensione, si è
avvicinato un entusiasta di qualche
fila più oltre, con lo stesso libro in
mano. Avrebbe potuto essere un caso,
ma chi lavora nel campo, e ha visto
tanti scritti deludenti, inesatti, criptici
(in una parola brutti), conosce l'autore
come uno straordinario divulgatore,
oltre che uno scienziato di punta. Se
è possibile scrivere un'opera bella,
avvincente, precisa, sugli sviluppi
recenti della fisica teorica, è facile
che sia Greene a firmarla. Il libro
introduce il lettore ad alcuni fra i concetti più ostici della fisica moderna
– la relatività generale e la meccanica
quantistica – per affrontare la geometria delle superstringhe, teoria
candidata a essere la spiegazione
definitiva dell'universo, e in ogni
caso una delle costruzioni più vaste
e complesse dell'intelletto umano,
alla frontiera tra fisica e matematica.
Sia gli adepti sia i profani del culto
delle superstringhe troveranno spunti
di riflessione e approfondimento;
i profani, poi, potranno intuire la
meravigliosa avventura che la fisica
teorica sta vivendo. La traduzione
è ben curata e scorrevole. Da non
perdere.
140
RECENSIONI
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
Ma anche Galileo
oggi sarebbe costretto
a migrare
recensione di
Piero Bianucci
Ingegni minuti. Una storia
della scienza in Italia
di L. russo, E. santoni
Feltrinelli, 2010, € 30.00
sferimento a Catanzaro per superare
l'esame di Stato da procuratore, firma
la riforma dell'Università italiana,
con l'attenuante che il premier non
è Cavour. E nella riforma è scritto
che le borse di studio ai meritevoli si
assegnano in buona parte secondo un
criterio di appartenenza territoriale.
Per fortuna gli studenti e il presidente
Napolitano se ne sono accorti e forse
qualcosa cambierà con i regolamenti
attuativi.
È interessante leggere Ingegni
Minuti. Una storia della scienza in
Italia di Lucio Russo ed Emanuele
Santoni con un occhio al presente. Si
capiscono molte cose, perché, come
chiarì Benedetto Croce, ‘la storia è
sempre stata contemporanea’.
Lucio Russo, nato a Venezia,
laurea in fisica e professore all'Università Tor Vergata a Roma, è noto
per aver fatto riemergere dall'antica
scienza greca teorie rimosse che
anticipano conquiste scientifiche
ritenute esclusivamente moderne
come il moto della Terra intorno al
Sole e la spiegazione delle maree per
effetto dell'attrazione lunare. Questi
trascorsi conferiscono al suo libro
una prospettiva temporale ampia
e una forte attenzione alla scienza
come impresa collettiva, idea ben
condivisa da Emanuela Santoni,
docente di matematica con interessi
per la didattica.
Si spiega così il titolo insolito,
Ingegni Minuti, mutuato da Giam-
battista Vico. Gli scienziati sono tali
non solo perché il loro contributo
in Italia è stato sempre ai margini
della cultura dominante, ma anche
perché la scienza si fa in tanti e non
tutti geni, servono anche i gregari.
Succede, oggi con cooperazioni internazionali che coinvolgono centinaia
di ricercatori. Ma avveniva anche nel
passato, quando gli scienziati erano
più solitari, ma mai isolati né nello
spazio (quanto si scrivevano, prima
che arrivassero le e-mail) e tanto
meno nel tempo (si pensi alla staffetta Aristotele-Tolomeo-Astronomi
arabi-Copernico-Keplero-GalileoNewton).
I grandi innovatori esistono, naturalmente. Ma Lucio Russo ci ricorda
che i ‘miti di fondazione, tendendo a
nascondere la continuità dello sviluppo teorico, generano la sistematica
sottovalutazione dell'importanza della
tradizione’. E di Kristeller, studioso
del Rinascimento, cita una frase che
sembra tolta dall'Estetica del nostro
filosofo Luigi Pareyson: ‘L'eccellenza
delle opere d'arte, e in generale delle
imprese umane, non dipende dalla
sola creatività ma dall'incontro di
originalità e tradizione’.
Sono dunque molti e minuti gli
ingegni che con la loro comunità
costituiscono il tessuto storico della
scienza italiana. Con alti e bassi.
C'è l'età dell'oro, dal Rinascimento
al Barocco, con l'affermarsi del
metodo sperimentale e la comparsa
di strumenti come il microscopio e
il telescopio che estendono i sensi
umani. È la rivoluzione astronomica
di Galileo, la rivoluzione biologica di
Redi e Malpighi, che dimostrano l'inesistenza della generazione spontanea.
Un tempo nel quale c'era una grande
mobilità degli scienziati italiani a
livello europeo e viceversa, mentre
il latino, svolgendo il ruolo che ora è
dell'inglese, favoriva l'affermarsi dei
nostri studiosi.
Tra la fine del Seicento e l'inizio
dell'Ottocento la scienza italiana
diviene periferica, e tuttavia si
difende con Galvani nella fisiologia,
Volta nella fisica, Avogadro nella
chimica-fisica. La conquista dell'unità
segna una ripresa caratterizzata
dall'immersione del nostro Paese
nella corrente internazionale della
scienza positivista. Poi ci sono ancora
gli episodi eccellenti dei ‘ragazzi di
via Panisperna’ cresciuti intorno a
Fermi e di Giulio Natta, unico nostro
Nobel per la chimica, padre di quelle
materie plastiche che nel bene e nel
male sono un simbolo del nostro tempo. Il resto è scienza, ma si confonde
con la storia dell'emigrazione.
Sopra
Galileo Galilei ritratto da Cristofani.
MUSEO GALILEO
Nel 1861 Francesco De Sanctis,
ministro della Pubblica Istruzione
dell'Italia appena unita, si guardò
intorno e per sprovincializzare la
nostra Università chiamo a Torino
l'olandese Jacob Moleschott. Con un
atto autoritario, liberò la cattedra di
fisiologia mettendo a riposo Secondo
Berruti e gliela affidò.
Moleschott si era laureato in
Germania a Heidelberg e, dopo
un breve rientro a Utrecht, aveva
insegnato in Svizzera all'Università
di Zurigo. Qui De Sanctis lo aveva
conosciuto quando era professore di
letteratura italiana al Politecnico di
quella città. Già, perché De Sanctis,
scrittore e geniale critico letterario,
nato nella depressa Irpinia, dopo aver
partecipato ai moti libertari del 1848
ed essere stato rifiutato dall'ateneo
sabaudo perché troppo sovversivo,
nel 1856 aveva preso la via della
Svizzera. A Torino tornerà da ministro
su invito del premier Cavour.
Questa vicenda non è eccezionale.
Nel 1862 il ministro Carlo Matteucci
convinse il fisiologo tedesco Moritz
Schiff, celebre per i suoi studi sulla
tiroide, ad assumere un incarico
direttivo al Museo di Fisica e Storia
Naturale di Firenze, dove nel 1876
lasciò il posto al russo Herzen, che
era stato suo allievo a Berna.
Oggi abbiamo un ministro, Mariastella Gelmini, che, nata vicino a
Brescia, laureata fuori corso con 100
su 110 in giurisprudenza, dopo un tra-
N.1 Anno I APRILE 2011
PLANCK
‘La bellezza è verità, la verità
bellezza — questo è tutto ciò
che sappiamo, tutto ciò che
dobbiamo sapere al mondo’
RECENSIONI
Stuart
Clark,
il re
del Sole
recensione di
Pietro Fabbri
recensione di
Marco Boscolo
L'eleganza della verità.
Storia della simmetria
di Ian Stewart
Einaudi, 2008, € 25.00
Il re del Sole. Il racconto
dell'astronomia moderna
di Stuart Clark
Einaudi, 2009, € 25.00
Forse a causa della fama dei nostri
creatori di moda, il titolo italiano
di questo libro di Ian Stewart ha
barattato la bellezza con l'eleganza,
ma non è detto che abbia fatto un
buon affare. Il titolo originale è infatti
un esplicito riferimento ai versi più
famosi di Keats: ‘La bellezza è verità,
la verità bellezza – questo è tutto ciò
che sappiamo al mondo, tutto ciò che
dobbiamo sapere’. Ed è un peccato
perderli.
Ma Ian Stewart è oggi probabilmente l'autore più prolifico nella
divulgazione matematica, e fortunatamente di quanto scrive non si
perde nulla. Dopo due titoli usciti nel
2006, altri tre suoi libri sono arrivati
nelle librerie italiane nel 2008: Come
tagliare una torta e altri rompicapo
matematici (Einaudi), in cui l'autore
ritorna alle ricreazioni che frequentava sulle pagine di Scientific American;
quindi Flatterlandia (Aragno) dove
prosegue il viaggio multidimensionale iniziato da Edwin Abbott nel 1884
con Flatlandia; e ora L'eleganza della
verità che, come dichiara il sottotitolo,
è una Storia della simmetria.
E la simmetria è l'argomento più
trattato dai divulgatori in questi
tempi. Seppure lentamente, sembra
che si stia finalmente facendo strada
anche tra i non addetti ai lavori l'idea
che l'oggetto della matematica non
siano solo i numeri; e i testi che
mostrano il fascino della matematica
attraverso le sue strutture e la loro
bellezza sono diversi, e quasi tutti di
autori di vaglia.
Nel libro si incontrano così il più
prolifico dei divulgatori matematici
e il tema matematico più alla moda,
con approccio storico-biografico; e
questo è quasi un trucco del mestiere.
Si può quasi sempre scegliere un
argomento matematico qualunque e
usarlo come guida di una storia abbastanza completa della matematica,
perché la disciplina, da Archimede ai
giorni nostri, mantiene una coerenza
invidiabile con il proprio passato
nonostante le continue rivoluzioni che
periodicamente la attraversano. Così
Stewart ha buon gioco a farsi guidare
nella storia della simmetria dalle
imprese e dalle vite dei matematici
che quella storia hanno costruito,
certo di incontrare lungo il percorso
le figure più influenti e più affascinanti: da Euclide e Khayyâm, attraverso
gli italiani che si sfidavano con le
cubiche, ad Abel e Galois, che hanno
vite che nulla hanno da invidiare ai
protagonisti dei romanzi d'ottocento;
quindi Hamilton, Lee e molti altri
ancora, fino ai giorni nostri.
Una sottile divisione percorre il
libro: nella prima parte, classica e
matematica, Stewart giunge a far
intuire il concetto di simmetria matematica partendo dalla risolubilità
delle equazioni di grado crescente:
sembra un percorso illogico, finché la
teoria dei gruppi giunge come deus
ex machina a risolvere l'irresolubile.
Poco dopo inizia la seconda parte del
racconto, che vede protagonisti non
più i matematici classici, ma i fisici
moderni.
La fisica del novecento viene
raccontata come ineluttabilmente attratta dalla simmetria, in un continuo
precipitare: dalla relatività ai quanti,
dal modello standard alle stringhe, e
naturalmente alla supersimmetria.
Solo alla fine che ci si rende conto che
l'intenzione era proprio quella di una
rappresentazione in cui la matematica
recita la parte della bellezza e la fisica
quella della verità: riunite, una volta di
più, sotto l'egida della simmetria.
Da matematico, Stewart si trova
forse più a suo agio nel narrare le
storie della matematica; da britannico,
arriva perfino a definire effetto Dirac
quello che generazioni di fisici, da George Gamow in poi, hanno chiamato
effetto Pauli, ovvero il devastante effetto distruttivo in un laboratorio della
goffaggine dei fisici teorici particolarmente dotati; da storico, non risparmia
neanche qualche frecciatina al più
famoso degli storici della matematica,
il suo connazionale Eric Temple Bell.
Ma è anche quasi un poeta, quando
mostra nell'ultimo capitolo la sua
visione della matematica.
Raccontare la verità della bellezza
e la bellezza della verità, partendo dai
versi di un poeta romantico e dal fuoco
giovanile di un matematico ribelle è
opera difficile, ma tutto sommato ben
riuscita.
141
Nel suo saggio del 1776 La ricchezza
delle nazioni, Adam Smith, padre
degli economisti classici, aveva sottolineato, dati alla mano, la correlazione tra prezzo del grano e condizioni
climatiche delle annate dei raccolti.
Migliore è il clima, maggiore è la
resa dei campi, più basso è il prezzo
del grano.
Circa vent'anni dopo, questa correlazione avrebbe permesso all'astronomo William Herschel di ipotizzarne
un'altra tra macchie solari e prezzo
del grano. Se quest'ultimo dipendeva
dal clima e il clima dalla radiazione
solare, il prezzo dei cereali nel corso
degli anni doveva rappresentare una
registrazione storica del misterioso
fenomeno della macchie notate sulla
superficie dell'astro. Un'ipotesi che
fu criticata con ferocia. Molto tempo
dopo però, nel 2003, un gruppo di ricercatori israeliani ha dimostrato che
Herschel aveva ragione: nell'Inghilterra del XVIII secolo, prezzo del grano e
attività solare erano collegate.
Questa è una delle tante storie
raccontate in Il re del Sole, il libro
di Stuart Clark. Clark, tra i più affermati divulgatori scientifici britannici,
intreccia vicende umane e passioni
scientifiche, dipingendo un affresco
della storia dell'astronomia che parte
dalla fine del Settecento e arriva ai
nostri giorni. I protagonisti sono gli
scienziati e le scoperte grazie a cui
oggi conosciamo in dettaglio il legame che lega la Terra alla sua stella.
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
RECENSIONI
L'astrofisica
semplice
di Mike Inglis
Zero, la storia
di un'idea
pericolosa
recensione di
Paolo Pagliario
recensione di
ROSSANA TAZZIOLI
L'astrofisica è facile
di Mike Inglis
Springer, 2009, € 19.95
Zero. La storia
di un'idea pericolosa
di Charles Seife
Bollati Boringhieri, 2002, € 29.00
Effettivamente se è ben spiegato,
o ben divulgato, anche il concetto
più difficile diventa comprensibile;
attenzione non dico semplice, ma
dico che lo si può capire, arrivando
per gradi, fino alla fatidica frase ‘Ah!
ecco perché!’.
Il testo ha una struttura ed una
logica simile ad altri della stessa
collana, mi viene in mente Imaging
Plantario; stessa filosofia, i primi
capitoli che trattano degli strumenti
che poi verranno utilizzati in seguito.
Solo che qui gli strumenti non sono
mezzi ottici, o radio, ma concetti,
princìpi, valori. Spaventati? Tranquilli,
ogni capitolo è fondamentalmente
descrittivo, con dei box che riportano
diagrammi o formule
Le formule sono molto semplificate, delle semplici espressioni di terza
media. Ma capitolo dopo capitolo
si scopre come si è potuto calcolare
la distanza di una stella da noi, i
concetti di luminosità, magnitudine
apparente ed assoluta, massa, il
mitico (o famigerato) diagramma di
Hertzsprung-Russell, il raggio di una
stella, il colore.
Capitoli scritti per chi ama il cielo
prima di tutto; l’autore riporta alla
fine di ogni capitolo un elenco di
corpi celesti inerenti all’argomento,
e, si badi bene, non un freddo elenco,
ma per ogni corpo qualche riga di
spiegazione; così nel capitolo del
colore riporta varie stelle colorate
visibili con strumenti amatoriali; certo
nello stesso capitolo c’è un box che
spiega la legge di Wien (relazione tra
lunghezza d’onda e temperatura), ma
è in un box a parte: si può tranquillamente leggere il capitolo e poi
buttarsi sull’oculare.
Che l’autore si rivolga a tutti gli
amanti del cielo lo si capisce quando
tra le stelle colorate cita anche il
Sole, riportando in grassetto di non
guardarlo direttamente se non con
opportune protezioni.
Vuol divulgare veramente a tutti,
anche a chi è affascinato da una
notte stellata e si mette a guardare
ad occhio nudo seduto su un muretto.
Dopo questi capitoli introduttivi si
parte per un viaggio nello spazio, ma
direi più che altro nel tempo; viene
cioè illustrato e spiegato il percorso
che porta alla formazione e nascita
di una stella fino alla sua fine, dalle
nebulose , alle protostelle, alle stelle
nella loro evoluzione, le nebulose
planetarie, le supernovae, le stelle
di neutroni, le pulsar, i buchi neri.
Questo è il vero corpo del libro.
Ultimo capitolo riguarda le
galassie, la loro classificazione, i concetti di redshift, la legge di Hubble e,
ovviamente, la solita ghiotta lista di
nomi da osservare. L’autore, proprio
nel capitoletto conclusivo, si augura
che oltre ad aver letto il libro il
lettore abbia anche osservato il cielo,
proprio perché non vuole riempire
di nozioni da mal di testa, ma vuole
che chi osserva possa comprendere il
perché di un certo fenomeno.
Alla fine avrete incamerato alcuni
concetti che prima saltavate a piè
pari o vi facevano addormentare
se vi venivano illustrati in qualche
conferenza.
Questo libro è un esempio di smagliante divulgazione scientifica su un
argomento affascinante e molto di
moda di questi tempi: il numero zero
e il suo ruolo nell'evoluzione della
cultura. Lo zero, infatti, non è solo
un'idea matematica, ma anche un
concetto connesso alla filosofia e alla
fisica, così come alla mistica e alla
religione. Lunghe e tortuose appaiono
le sue traversie nel corso della storia.
Essendo ‘lo zero inesorabilmente
connesso al vuoto e al nulla’ esso
si scontrò con il credo aristotelico
che, negando il vuoto, lo estromise
dal mondo filosofico, e dunque
matematico, dell'antica Grecia. Non a
caso è in Oriente che lo zero fa la sua
comparsa, per venire introdotto nella
matematica occidentale soltanto nel
XIII secolo, per opera di Leonardo
Pisano, meglio noto come Fibonacci.
L'analisi storica è condotta con stile brillante e coinvolge gli argomenti
più diversi di storia della matematica
in cui lo zero ha giocato un ruolo
rilevante: dall'antica matematica
dei Maya al calcolo degli abacisti
medievali, dall'analisi infinitesimale
di Leibniz e Newton alla teoria degli
insiemi di Cantor. Una storia – quella
dello zero – indissolubilmente legata
a quella di un altro fondamentale
concetto, l'infinito, su cui l'autore
non manca di soffermarsi. ‘Zero e
infinito sono le due facce della stessa
medaglia’ osserva Seife. ‘Uguali e
opposti, yin e yang, avversari con
equivalenti poteri situati ai due
estremi del dominio dei numeri.’ Ma
anche nella fisica lo zero entra con
143
prepotenza, mostrandosi essenziale
nella comprensione e nella formulazione delle leggi dell’universo. Così
nell’ultima parte del libro si mettono
in luce i profondi legami tra lo zero e
alcune fondamentali teorie fisiche: la
termodinamica (con lo zero assoluto),
la teoria della relatività di Einstein e
la meccanica quantistica.
Sotto Lo scrittore
statunitense Charles
Seife durante gli anni
di college.
GRAZIA NERI
SEUIL / JERRY BAUER
PLANCK
RECENSIONI
145
Dal Saggiatore a Palomar,
la scienza di Italo Calvino
recensione di
Claudia Di Giorgio
Italo Calvino e la Scienza.
Gli alfabeti del mondo
di Massimo Bucciantini
Donzelli, 2007, € 25.00
Considerava Galileo ‘il più grande
scrittore della letteratura italiana di
ogni secolo’. Basterebbe questa citazione da una lettera che Italo Calvino
scrisse nel 1967 ad Anna Maria Ortese, per giustificare l'impegno di uno
storico della scienza, e per di più di
specializzazione galileiana, a mettere
a tema il rapporto tra Calvino e la
scienza. Tuttavia, l'alta considerazione di Galileo dimostrata dallo scrittore non è che uno dei possibili fili che
si possono tirare nella molteplicità
dell'idea di letteratura di Calvino. La
sua attenzione per la scienza derivava anche dall'ambiente familiare:
genitori e fratelli laureati in materie
scientifiche, dunque impossibile
ignorare quella parte di mondo. E la
scienza era per Calvino la possibilità
di esplorare nuovi mondi, al pari del
fantastico utilizzato da Ariosto o delle
grandi scoperte geografiche.
Come saggista Calvino aveva già
ragionato sulla scienza e sul suo
impatto sulla cultura più in generale,
come nel 1957 di fronte al lancio del
primo satellite da parte dei sovietici.
Mentre il gruppo di intellettuali vicini
al Partito Comunista (cui Calvino
faceva riferimento) si divise tra l'esaltazione del risultato e la denigrazione
della tecnologia disumanizzante,
Calvino sparigliò le carte con accenti
ancora oggi attualissimi: ‘Il trasferire
in cielo una parte di sé, umiliata sulla
Terra, non è l'antico modo usato dalla
religione per offrire conforto alle
pene quotidiane? [...] La sua prima
funzione (del satellite, ndr) è quella
di dare all'uomo la dimensione dello
spazio [...]. Voglio che faccia operare
sulla Terra. E pensare all'universo.
Voglio che dia più spazio ai pensieri
umani’.
Negli anni successivi, influenzato
dal grande storico della scienza Giorgio De Santillana, trova una radice
comune tra scienza e letteratura
nelle narrazioni mitologiche degli
antichi. ‘L'idea del mito come primo
linguaggio scientifico è l'inaspettata
scoperta’ che lo accompagna nel
ripensare la propria produzione narrativa. Da qui prendono le mosse Le
Cosmicomiche ed emerge la stretta
connessione tra le ‘scelte formali della composizione letteraria e il bisogno
di un modello cosmologico (ossia
d'un quadro mitologico generale)’ che
Calvino porrà alla base del suo nuovo
canone letterario, e che prenderà
forma narrativa soprattutto nelle
Città Invisibili e in Palomar.
Bucciantini mostra però il percorso
compiuto da Calvino: con Santillana
scopre che il mito produce scienza,
con Le Cosmicomiche si fa narrazione
a partire dai risultati scientifici.
Nasce così la passione per Galileo:
lo scienziato ha infatti ‘mutato la natura degli oggetti. [...] Ha assegnato
loro un'altra forma fatta solo di numero, pondere et mensura‘. Tutto il resto
dipende dall'uomo, dall'osservatore
capace di vedere altre caratteristiche:
in definitiva, scienza e narrazione
sono complementari, utili entrambe
alla costruzione del mondo. Per
questo là dove Galileo si ferma entra
in gioco il narratore, colui cioè che è
capace di percepire la molteplicità.
Come scrive nelle Lezioni Americane, il romanzo contemporaneo può
essere considerato ‘come enciclope-
dia, come metodo di conoscenza, e
soprattutto come rete di connessione
tra i fatti, tra le persone, tra le cose
del mondo’. Nel porsi questo compito
la letteratura non può ignorare la
scienza, e la contrapposizione tra le
due culture non è più sostenibile.
Il testo di Bucciantini mostra bene
come in Calvino questa contrapposizione fosse inesistente: un
romanziere che legge testi scientifici
e spinge Einaudi alla pubblicazione
dei testi epistemologici di Thomas
Kuhn, mentre studia l'antropologia
di Levi-Strauss e discute di filosofia
della storia con Carlo Ginzburg. Per
mezzo dei saggi, dei romanzi, nonché
di molti documenti inediti, Bucciantini
riesce a ricostruire la fitta tela di
legami che Calvino aveva intessuto
tra scienza e letteratura.
Italo Calvino e la scienza è un saggio che solletica quindi sia gli amanti
delle lettere sia gli appassionati di
ricerca, ma che soprattutto consente
di tornare a leggere Calvino da un
punto di vista completamente diverso
e fuori dagli schemi della sola critica
letteraria, per raccontarci un personaggio assolutamente eccezionale
nel panorama culturale italiano.
Sinistra
Italo Calvino nel 1976.
146
RECENSIONI
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
La fisica senza stringhe.
Critica di una teoria
un tempo fortunata
Prepararsi
alla fine
di tutto
recensione di
Gianbruno Guerriero
recensione di
Marco Boscolo
L'universo senza stringhe.
Fortuna di una teoria
e turbamenti della scienza
di Lee Smolin
Einaudi, 2007, € 27.00
C'è dibattito sull'infinitamente piccolo
e sull'infinitamente grande. Un dibattito, a volte anche molto acceso, su
quale sia la teoria più adatta a descrivere le particelle elementari e le forze
che governano il cosmo e a risolvere
alcuni problemi della fisica attuale,
per esempio conciliare in un quadro
coerente le due grandi rivoluzioni del
XX secolo: la relatività e la meccanica
quantistica.
Nell'ambito di questa discussione,
da una ventina di anni ormai la teoria
del modello standard è incalzata
dalla teoria delle stringhe, secondo
cui particelle e forze possono essere
descritte come corde infinitesimali
che vibrano nello spazio. Ma, con il
crescere della popolarità, per le stringhe, e soprattutto per i sostenitori
di questa teoria ricca di formalismi
matematici estremamente complessi,
sono arrivate le critiche. Anche
da scienziati che nella teoria delle
stringhe ci ha messo le mani in prima
persona, come Lee Smolin, autore di
L'universo senza stringhe. La critica
del fisico teorico statunitense, uno
dei fondatori del Perimeter Institute
of Theoretical Physics di Waterloo,
nell'Ontario, parte dai cinque grandi
problemi della fisica teorica, che
danno il titolo al primo capitolo. In
ordine di apparizione: combinare
la relatività e la teoria dei quanti
in un'unica descrizione completa
della natura; risolvere i problemi
che riguardano i fondamenti della
meccanica quantistica; determinare
se forze e particelle possano essere
unificate in una teoria che le spieghi
tutte come manifestazioni di un'unica
entità fondamentale; spiegare come
sono scelti in natura i valori dei
parametri liberi del modello standard
della fisica delle particelle; e infine
spiegare la materia oscura e l'energia
oscura o, se non esistono, determinare come e perché la gravità si
modifica a grandi scale.
La lista permette a Smolin di
produrre una critica puntuale e di
raccontare oltre vent'anni di intenso
ma improduttivo lavoro sperimentale
dedicato alla teoria delle stringhe. Un
arco di tempo durante il quale Smolin
non ha certo sofferto di solitudine intellettuale, visto che la maggior parte
dei fisici teorici è stata impegnata in
un'elaborazione coerente della teoria,
partendo dalle intuizioni iniziali.
Non deve essere facile ammettere
di avere sbagliato. Tuttavia Smolin
dichiara il fallimento delle teoria
delle stringhe, facendo però di questa
fine un punto d'inizio del libro. Smolin
racconta infatti le teorie alternative
a quella a cui ha lavorato per lungo
tempo. Descrive le idee più eretiche
della fisica contemporanea: dalla teoria MOND, che vorrebbe modificare la
legge di gravità per valori piccolissimi
dell'accelerazione, alla relatività
doppiamente speciale, un'idea del
teorico italiano Giovanni AmelinoCamelia per cui la lunghezza di Planck
sarebbe indipendente dal sistema di
riferimento, né più né meno come la
velocità della luce. Per arrivare alla
gravità quantistica a loop, un'affascinante teoria quantistica dello spaziotempo elaborata proprio da Smolin
insieme a Carlo Rovelli e pochi altri
abbastanza coraggiosi da abbandonare la scuola dominante della teoria
delle stringhe. L'onestà intellettuale
porta Smolin non solo a riconoscere
il fallimento delle stringhe, ma anche
a osservare che le teorie alternative
non hanno ancora raggiunto una
completezza tale da poter essere ritenute soddisfacenti, sebbene facciano
previsioni verificabili sul mondo reale.
Queste previsioni possono essere
messe alla prova con esperimenti. E
per di più esperimenti che sono già
in corso.
Gli ultimi capitoli sono dedicati
a un tema coraggioso: ‘Che cosa ha
lasciato in eredità a questi giovani
scienziati la mia generazione?’, si
chiede Smolin. Per poi lanciarsi in
un'appassionata invettiva contro i
metodi conservativi del reclutamento
in fisica teorica, altro argomento di
feroce dibattito. Metodi che, secondo
lo scienziato, in una materia sempre
più arcana e intricata tendono a
favorire chi ha buone doti tecniche
ma segue strade già battute rispetto
a chi ha inventiva e vorrebbe aprire
nuove vie. È una vecchia storia. Che
finirà, come sempre, con l'arrivo di
qualcuno che avrà un'intuizione, un
lampo: e tutti scopriranno di aver avuto la soluzione lì, a portata di mano.
La fine del tutto. Dai singoli
individui all'intero universo
di Chris Impey
LeScienze, 2010, € 15.00
Anche se cerchiamo di non pensarci,
tutti noi abbiamo coscienza del nostro
essere mortali.
Pochi sanno ciò che la scienza, con
il contributo delle più recenti ricerche,
ha da dire a proposito della morte
e del destino ultimo di tutte le cose,
dalla scala microscopica a quella
cosmica.
È per questo che Chris Impey ha
deciso di dedicare questo libro alla
fine di tutta la baracca: i singoli individui, le specie, la biosfera, la Terra, il
Sole, la Via Lattea, l'intero universo.
Con una sana dose di umorismo, La
fine di tutto fa luce su molte questioni,
dall'ambiziosa idea umana di trascendere la vita biologica fino a sfidare
la morte alla corsa agli armamenti
evolutiva tra microrganismi e animali,
fino all'inevitabile, lento spegnersi
della luce del Sole e all'ultima increspatura dello spazio-tempo.
In realtà, con il pretesto di
parlare della fine Impey ci schiude
una finestra sui misteri e le sorprese
del mondo naturale, raccontando i
progressi della conoscenza scientifica
nei settori più disparati, che ci stanno
rivelando quale potrebbe essere il destino della vita sulla Terra, delle galassie e dei milioni di miliardi di stelle
che popolano il cosmo. E, strada
facendo, ci offre una rara visione di
come sarebbe l'universo senza di noi.
Tra aneddoti, riflessioni filosofiche e
intuizioni psicologiche, un libro che è
al tempo stesso un thriller scientifico
e una sfida intellettuale.
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
La
musica
del big
bang
recensione di
Mauro Capocci
La musica del big bang.
Come la radiazione cosmica
di fondo ci ha svelato i segreti
dell'universo
di AMEDEO BALBI
Springer, 2007, € 20.95
Uno degli artifici letterari più usati, e
abusati, della letteratura, come del
cinema e delle fiction televisive, è
quello di raccontare la storia di una
famiglia e di rendere tutti i suoi componenti protagonisti, a vario titolo,
di un'intera vicenda storica, molto
più ampia e complessa. A leggere
la storia della radiazione cosmica di
fondo si ha la stessa sensazione: si
toccano un po' tutte le vicende, gli
uomini e le idee che hanno fatto la
storia della fisica dell'ultimo secolo.
C'è l'intuizione geniale – quella di
Gamow – che previde, solo su base
teorica, che se big bang vi fu, allora
deve esserci anche una sorta di eco
elettromagnetico dell'inaudito evento.
C'è la rivelazione sperimentale in cui
ha avuto una buona parte la causalità
– o serendipity, come dicono gli anglosassoni – di Penzias e Wilson, due
ricercatori dei Bell Laboratories che
cercavano onde radio e che hanno
rilevato, invece, un rumore di fondo
che sembrava provenire allo stesso
modo da tutte le direzioni dello
spazio. E c'è tutta una stagione di misurazioni sempre più accurate, quelle
dei satelliti COBE prima e WMAP più
tardi. Per il futuro è atteso il contributo di Planck dell'ESA per rispondere a
una questione cosmologica di enorme
portata: è la radiazione cosmica di
fondo effettivamente la stessa in ogni
direzione dello spazio? O l'eco ha
preso a un certo punto a raggrumarsi, così come ha fatto la materia,
ordinaria od oscura, nel cosmo? Le
ultime misurazioni di precisione
fanno propendere per la seconda tesi
e costituiscono ‘un primo inventario
dei costituenti del nostro universo’,
come spiega Balbi, con notevoli implicazioni soprattutto per la conferma
dell'esistenza di un ‘lato oscuro del
cosmo’. Oltre, la materia da trattare
si fa più che mai ostica, soprattutto
per un saggio divulgativo come
questo, e ci si inoltra della topologia
dello spazio-tempo e nella teoria
delle stringhe. Ma volendo, alla
fine del percorso si può tornare alla
straordinaria intuizione di Gamow:
‘Arriveremo al punto di partenza e lo
conosceremo per la prima volta’.
I dubbi
dei molti
universi
recensione di
Folco Claudi
Il paesaggio cosmico
di Emil Ruder
Adelphi, 2007, € 34.00
Certo, è difficile trovare una
ragione sufficiente perché tutto sia
andato così com'è andato. A partire
dall'origine dell'universo, intendiamo.
Qualunque fisico o persona di buon
senso converrà con Italo Calvino che
essendo presenti al big bang o solo
al disaccoppiamento tra materia e
radiazione sarebbe stato arduo prevedere ‘le pianure della Mesopotamia
nereggianti di uomini e cavalli’ o
altri momenti più o meno edificanti
dell'avventura umana.
Eppure, se lo stupore di guardarsi
allo specchio appartiene inderogabilmente alla nostra specie, la faccenda
considerata con lo sguardo del fisico
teorico si fa più profonda, e densa
di interrogativi. Un nutrito numero di
costanti fisiche sembra avere proprio
quel valore – unico o compreso in
uno stretto intervallo – che permette
l'esistenza della vita e in particolare
della nostra. È la cifra di un disegno
intelligente? O più semplicemente
conviene abbandonarsi al principio
antropico, per cui – banalmente – se
le costanti fossero state diverse non
saremmo qui a raccontarcela?
Altro che la Mesopotamia, ci
racconta Ruder in questo libro. Gli
ultimi modelli della fisica teorica e in
particolare della teoria delle stringhe
ci parlano di infinite possibilità,
di infiniti universi, brane, bolle e
quant'altro si è reso necessario
per delineare modelli delle nuove
conoscenze. Siamo immersi in un
paesaggio cosmico – ecco da dove
proviene il titolo: è un'espressione
coniata dall'autore – in cui noi,
con il nostro universo antropizzato,
occupiamo una sperduta valle dove la
costante di struttura fine deve valere
proprio 1/137 e così pure per tutte
le altre.
Insomma, di carne al fuoco ce n'è
tanta, e a spiegarla Ruder si dedica
con grande passione e competenza;
soprattutto, ovviamente, sul versante
più propriamente scientifico. Tutto è
illustrato con dovizia di particolari, a
partire dalla fisica classica per poi
passare alla meccanica quantistica.
E ancora relatività, elettrodinamica
quantistica, modello standard della
fisica delle particelle, cosmologia teorica e sperimentale. Insomma tutta, o
quasi, la fisica dei giorni nostri.
Ma dove prende una piega un po'
più epistemologica la discussione si
fa assai più sbrigativa, più di quanto
conceda la partigianeria. Riguardo
alle critiche alla teoria delle stringhe,
Susskind ci informa del fatto che i
fisici sperimentali delle alte energie
‘sono turbati perché non vedono
alcuna possibilità di affrontare
sperimentalmente gli interrogativi
a cui cercano di rispondere i teorici
delle stringhe’, i miopi. Non sanno
che ‘i giovani teorici brillanti sono
come esploratori irrequieti: vogliono
andare dove li porta la curiosità; e
se questa li porta nel gran mare
dell'ignoto, pace’. Come dire, ognuno
fa quello che vuole. ‘La teoria, in
fondo, ha superato innumerevoli
prove di coerenza matematica che
avrebbero potuto decretarne la fine’.
E anche questo si può accettare, ma
forse se si abbandonano le fisime di
trovare risultati teorici da verificare in
seguito con un'indagine sperimentale
e se tutto ciò che importa è la coerenza matematica dell'intera costruzione,
RECENSIONI
147
il sospetto che si tratti solo di una
magnifica tautologia alla fine è lecito.
E, a voler essere puntigliosi, anche
la scelta dello stile lascia più di una
perplessità: non si riesce a capire
che cosa dovrebbero aggiungere alla
comprensione di una materia così
ostica paragoni come: ‘L'universo
primordiale non era né troppo grumoso né troppo liscio: proprio come
la minestra dell'orsetto nella favola
di Riccioli d'Oro’. O perché debba
per forza esserci simpatico l'autore
che racconta: ‘Era il 1965, l'epoca
del movimento studentesco, della
liberazione sessuale, dell'LSD e delle
proteste pacifiste contro la guerra
nel Vietnam. Provai tutte e quattro le
esperienze più qualche altra. Portavo
i capelli lunghi e di solito ero vestito
con un paio di jeans e una maglietta
nera attillata’.
Insomma, tanto di cappello a
Ruder e ai suoi risultati scientifici, ma
sulle questioni dell'universo, della
sua storia, delle sue dimensioni e
delle sue possibilità di esistenza si
sono lette pagine migliori.
Recensioni
PLA N CK O N LIN E
Le recensioni sottoelencate
e quelle pubblicate sono
consultabili e commentabili
sull'edizione online.
Fisica vissuta
Carlo Bernardini
Sette volte la rivoluzione
Daniel Kehlmann
La natura delle cose
Valia Allori
L'impero delle stelle
Arthur Miller
La vita nel sistema solare
Cesare Guaita
www.planckonline.it
M A N I F E S TA Z I O N I
N.1 Anno I Aprile 2011
149
PLANCK
Estremo
Le macchine della conoscenza
Palazzo D'Accursio, Bologna
3 aprile — 24 maggio 2011
Apre Estremo - Le macchine
della conoscenza, la nuova
mostra dell’Istituto Nazionale
di Fisica Nucleare allestita
a Bologna nell’ambito della
manifestazione Arte e scienza
in Piazza e realizzata in collaborazione con la Fondazione
Golinelli e con il contributo di
ASG Superconductors. Estremo
è dedicata alle grandi macchine e infrastrutture della fisica
delle alte energie, giganti che
uniscono tecnologie avanzatissime, precisione estrema,
ricerca di frontiera. La mostra
si apre con una grande installazione interattiva che, grazie
a una tecnologia chroma key,
invita il pubblico a entrare
negli esperimenti per ritrovarsi bersagliati da velocissime
particelle nel tunnel di LHC
(il titanico acceleratore di
particelle del Cern di Ginevra),
oppure camminare sulla stazione spaziale internazionale o
sorvolare la pampa argentina
dove si trova l’osservatorio di
raggi cosmici Auger. O, infine,
immergersi nei fondali marini assieme all’esperimento
cattura-neutrini Nemo.
L’allestimento prosegue
in un percorso di immagini,
narrazioni e video installazioni interattive che raccontano
quanto vi sia di estremo nella
fisica delle particelle e delle
alte energie: dagli esperimenti
alle incredibili macchine frutto della creatività e immaginazione degli scienziati. Ecco
allora i rivelatori costruiti sotto
gli abissi marini o nel cuore
della montagna per catturare
particelle piccolissime e sfuggenti come i neutrini, i satelliti
che orbitano oltre l’atmosfera
terrestre a caccia di raggi
gamma, i grandi osservatori
planetari in ascolto dei segnali
cosmici e gli acceleratori di al-
tissima precisione costruiti per
la cura del cancro e per indagare i segreti delle opere d’arte.
L’allestimento è suddiviso
in quattro aree tematiche:
l’universo estremo e gli
strumenti per esplorarlo, LHC
la più grande macchina mai
costruita per la ricerca scientifica, le reti planetarie per la
condivisione e lo scambio della
conoscenza, le tecnologie che
nascono dalla ricerca di base e
che sono usate per importanti
applicazioni in medicina e nei
beni culturali. ‘La sezione di
Bologna dell’Infn partecipa a
tutti i principali esperimenti in
cui è coinvolto l’istituto, da LHC
ai grandi esperimenti astro
particellari. Inoltre, abbiamo
il CNAF (Centro Nazionale per
la Ricerca e Sviluppo nelle
Tecnologie Informatiche e Telematiche) che ospita uno dei
più grandi centri di calcolo al
mondo, il Tier 1, realizzato per
processare i dati provenienti
da LHC.’ commenta Antonio
Zoccoli, direttore della sezione
INFN di Bologna.
Alla mostra sono collegate due
conferenze dedicate al grande
pubblico:
Aspettando AMS
Palazzo d’Accursio
12 maggio / h 21.00
Con Roberto Battiston, vice
responsabile Ams e INFN
Perugia e Andrea Contini INFN
Bologna. Modera la giornalista
Claudia di Giorgio.
Il Big Bang in laboratorio
Palazzo Re Renzo
13 maggio / h 16.30
Con Antonio Zoccoli, direttore
INFN Bologna e Silvia Arcelli,
INFN Bologna. Modera la giornalista Fabiola Zanchi.
CONTATTI
www.bo.infn.it
Search & Develop
Palazzo D'Accursio, Bologna
9 aprile — 4 maggio 2011
Anche nel 2011 si rinnova
l’appuntamento con Search
& Develop, l’iniziativa di Innovhub, Azienda speciale per
l’innovazione della Camera di
Commercio di Milano, dedicata all’innovazione delle PMI
milanesi. È ormai consuetudine di Innovhub aprire le porte,
tramite un invito a presentare
proposte di servizi nelle aree di
seguito specificate, alle esperienze e competenze esterne
per cercare soluzioni nuove
e fornire servizi, prodotti e
strumenti ad elevato valore
aggiunto a favore delle PMI, destinatarie finali dell’intervento.
La finalità è duplice: da un lato
individuare le aree di intervento utili alle PMI, avvicinando le
stesse a servizi ad alto valore
aggiunto, dall’altro abbattere
il costo del servizio sostenendone circa il 55% del totale.
Grazie alle precedenti tre
edizioni sono stati selezionati
30 servizi quali: valorizzazione
della ricerca, innovazione dei
settori tradizionali, promozione di attività di diffusione
della cultura dell’innovazione, open innovation, nuove
metodologie di trasferimento
tecnologico, eco-innovation,
venture contest e supporto
alle start-up, supporto alla
presentazione e gestione di
progetti di ricerca, sviluppo
e innovazione, supporto alle
PMI per la partecipazione a
gare di appalto internazionali.
Tali servizi sono stati forniti a
circa 160 imprese con quasi 1,5
milioni di euro dedicati, per
un costo medio del servizio di
9.200 €. Numeri destinati ad
aumentare grazie alle terza
edizione ancora in corso. Per la
quarta sarà stanziato 1 milione
di euro, attraverso cui si stima
che verranno erogati servizi ad almeno 100 imprese. I
riscontri da parte delle aziende
beneficiarie del servizio nelle
prime due edizioni (2008 e
2009) sono stati molto positivi.
Nei dati raccolti tramite circa
90 questionari di valutazione è
emerso che: più del 90% delle
imprese ha valutato il servizio
adatto/molto adatto alle esigenze dell’azienda; circa il 70%
ha ritenuto che il servizio abbia
contribuito molto a migliorare
il posizionamento dell’azienda
nel mercato di riferimento,
in termini di competitività o
di conoscenze acquisite; più
dell’80% degli intervistati
ritiene soddisfatte le aspettative suscitate inizialmente dal
servizio.
Rispetto alla valutazione
dell’esperienza e dei risultati
conseguiti dal servizio a cui si
è preso parte il campione intervistato si è così distribuito: il
6% ha valutato il servizio buono, il 51% molto buono, mentre
il 27% lo ha valutato ottimo.
‘L’innovazione – ha dichiarato
Alessandro Spada, presidente
di Innovhub – rappresenta oggi
l’elemento centrale della sfida
competitiva di grandi e piccole
imprese. Innovhub attraverso
Search & Develop lavora in
qualità di broker di servizi
per avvicinare le PMI all’innovazione, attraverso servizi
ad elevato valore aggiunto,
rispondendo così al suo obiettivo di supportare la diffusione
dell’innovazione, abbattendo il
costo d’accesso (per individuare l’offerta di servizi e identificare il fornitore più adeguato)
e il costo diretto del servizio.
Possono presentare le proposte
persone giuridiche con sede in
uno Stato membro dell’Unione
europea. Le aree individuate
per questa edizione vanno
dalle più tradizionali alle
più innovative e creative: dal
supporto all’ideazione di nuovi
prodotti o servizi alla progettazione per l’innovazione
degli stessi, anche attraverso
l’interazione con l’utente, fino
ai servizi di sperimentazio-
150
manifestazioni
ne (prove e test). Dai servizi
di gestione della proprietà
intellettuale al supporto per la
partecipazione al 7° Programma Quadro per la Ricerca e
Sviluppo dell’UE agli studi di
business technology intelligence.
Dai percorsi di eco-innovation
e audit energetico degli edifici
a servizi offerti dalle imprese
creative. Dall’innovazione
organizzativa al supporto alle
nuove imprese innovatrici.
Dai servizi di innovazione
attraverso l’adeguamento legislativo fino ad un’area aperta,
in cui verranno raccolte idee
innovative di servizi, lasciando
ampio spazio alla creatività dei
proponenti. Saranno valutate
tutte le proposte pervenute
entro il 04 marzo 2011.
CONTATTI
www.innovhub-sd.com
+39 02 8515 5244
Premio letterario Galileo
per la divulgazione scientifica
Padova
21 aprile — 5 maggio 2011
Giunge quest’anno alla 5a
edizione il Premio letterario
Galileo per la divulgazione
scientifica. Al suo primo lustro
il premio ha insegnato a oltre
13 mila giovani delle quarte
superiori di tutta Italia ad
appassionarsi agli argomenti
scientifici. Li ha incoraggiati
ad avere un approccio razionale ai temi della medicina, della
fisica, della matematica e delle
altre discipline, provando passione per il rigore del metodo
scientifico.
Un premio fortemente voluto
dal Sindaco di Padova Flavio
Zanonato, convinto che
l’interesse per le scienze e il
pensiero razionale siano il
presupposto per essere cittadini del mondo e che un modo
di pensare rigoroso e fondato
sui fatti aiuta l’esercizio della
democrazia.
Per questa nuova edizione il
premio conferma l’originaria
impostazione con una giuria
scientifica che seleziona una
cinquina di opere da sottoporre alla giuria popolare degli
PLANCK
studenti, ma presenta anche
alcune importanti novità.
La prima di queste ce la illustra
Andrea Colasio, Assessore alla
Cultura del Comune di Padova.
‘Quest’anno – afferma – il
Premio Galileo entra a far parte
di Universi Diversi il nuovo
contenitore culturale della
primavera 2011 che si affianca
all’Estate Carrarese e al RAM
completando la triade dei tre
grandi format entro i quali si
sviluppa la proposta culturale
padovana. Di Universi Diversi
il Premio Galileo è uno dei due
capisaldi. L’altro evento centrale sarà la grande mostra sul
Guariento. Si profila in questo
modo una sorta di dialogo tra
sacro e profano, appunto tra
universi diversi .
La seconda novità riguarda la
giuria scientifica del premio.
Dopo gli scienziati Umberto Veronesi, Carlo Rubbia,
Margherita Hack e lo storico
della scienza Paolo Rossi, la
presidenza tocca quest’anno
ad un grande divulgatore,
oltre che primo ricercatore del
CNR. Si tratta di Mario Tozzi, il
popolare conduttore della fortunata trasmissione televisiva
La Gaia Scienza. Drastica è la
sua opinione sulla situazione
della divulgazione scientifica
in Italia. ‘È disastrosa – afferma – stavamo meglio qualche
tempo fa. Oggi, se togliamo
Quark, in tv non vedo altro. Le
televisioni commerciali non
fanno nulla, noi, su La7, con
poche risorse, proviamo a fare
qualcosa. Va un po’ meglio
l’editoria, ma per quanto
riguarda la comunicazione di
massa il panorama è tragico.
I giovani non leggono di scienza. Nel nostro Paese – continua
Tozzi – se uno non conosce
l’inizio dei Promessi Sposi si
deve vergognare a morte, ma
se gli dici Watson e Crick al
massimo possono associare il
primo all’assistente di Sherlock
Holmes, non pensano certo
agli scopritori della struttura
della molecola del DNA.’
Un contributo importante
per accrescere l’interesse per
questo aspetto del sapere viene
certamente dal Premio letterario Galileo per la divulgazione
scientifica che sempre più si
N.1 Anno I APRILE 2011
La Scienza in Piazza
Bologna
11—21 maggio 2011
Si terrà a Bologna la 5a edizione de
La Scienza in Piazza, manifestazione
di diffusione della cultura scientifica,
ideata dalla Fondazione Marino
Golinelli con la collaborazione del
Comune di Bologna. Si tratta di un vero
e proprio science center nel cuore della
città: mostre, incontri, spettacoli
e laboratori che coinvolgono il pubblico
di ogni età. Oltre un centinaio di eventi
per esplorare i grandi temi della scienza
e della cultura con importanti ospiti
e prestigiose collaborazioni strette
dalla Fondazione Marino Golinelli,
tra cui: Accademia di Belle Arti di
Bologna; ARIC Area della Ricerca
dell’Università di Bologna; Collezione
Peggy Guggenheim; Gruppo Hera; IDIS
Città della Scienza di Napoli; INAF
Osservatorio Astronomico di Bologna,
MAMbo e Scuola di Robotica di Genova.
CONTATTI
www.lascienzainpiazza.it
è radicato nel panorama culturale italiano, nell’interesse
delle case editrici, nell’attenzione dei lettori, soprattutto
giovani. Una pregevole iniziativa promossa dal Comune di
Padova e che gode del sostegno
della Regione del Veneto e
della Provincia di Padova e
della collaborazione dell’Università degli Studi di Padova, di
ANCI, UPI e di Turismo Padova
Terme Euganee e dei patrocini
del Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca,
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Fondazione
Il Campiello e dell’Accademia
Galileiana di Scienze Lettere
ed Arti di Padova.
Il Premio Galileo per la
divulgazione scientifica 2011
viene assegnato a un’opera di
diffusione scientifica pubblicata in lingua italiana dal 1o
gennaio 2009 al 31 dicembre
2010, secondo una formula che
si ispira a quella già ampiamente sperimentata del Premio
Campiello. Una Giuria Scientifica, quest’anno presieduta
da Mario Tozzi e composta da
scienziati, ricercatori e giornalisti, seleziona una cinquina
di opere che saranno sottoposte al giudizio di una Giuria
Popolare composta da una
classe di studenti per ciascuna
Provincia italiana, scelta fra
le quarte classi delle scuole
superiori. Sono due, quindi, i
momenti principali previsti
dal premio. La riunione della
giuria scientifica, costituita
N.1 Anno I APRILE 2011
da sedici componenti, che si
terrà a Padova venerdì 21 aprile
per la selezione della cinquina,
scelta tra circa 70 opere, e la
proclamazione del vincitore,
risultante dalla votazione della
giuria popolare degli studenti,
che si terrà giovedì 5 maggio
2011 nel Salone del Palazzo
della Regione alla presenza di
delegazioni rappresentanti le
110 classi di tutte le province
italiane che partecipano alle
votazioni.
Tra questi due momenti una
serie di incontri degli autori
della cinquina finalista con gli
studenti e la cittadinanza.
Definito il «Campiello delle
Scienze», il Premio Galileo per
la divulgazione scientifica è
nato per stimolare nei ragazzi
il desiderio di studiare e capire
regole e contenuti del sapere
scientifico – dalla fisica all’evoluzione, dalle teorie sulla
meccanica celeste ai misteri
dell’universo – per provare la
forza e il fascino del sapere razionale ed ha visto una costante crescita della partecipazione
da parte delle scuole italiane e
analoga crescita nell’attenzione delle case editrici.
I precedenti. Vincitore delle
precedenti edizioni: 2007,
Perché la Scienza? di Luigi Luca
e Francesco Cavalli Sforza
(Mondadori, 2007); 2008, Se
l’uomo avesse le ali di Andrea Frova (BUR 2008); 2009,
Energia per l'astronave Terra
di Nicola Armaroli e Vincenzo
Balzani (Zanichelli, 2009);
2010, I vaccini dell’era globale
di Rino Ruppoli e Lisa Vozza
(Zanichelli, 2010). Il 21 aprile
conosceremo la cinquina che
si contenderà la vittoria della
quinta edizione.
L'equazione di Drake
Biblioteca Regionale
Aosta
25 aprile 2011 / h 21.00
La Fondazione Clément
Fillietroz-ONLUS, che gestisce
l'Osservatorio Astronomico
della Regione Autonoma Valle
d'Aosta e il Planetario di Lignan, è lieta di annunciare che
venerdì 25 aprile alle ore 21.00
PLANCK
presso la Biblioteca regionale di
Aosta, si terrà la consueta conferenza di stagione. Relatore della
conferenza, che tratterà delle
possibilità di vita nel cosmo,
sarà il dott. Andrea Bernagozzi,
ricercatore all’Osservatorio per
il Progetto Pianeti extrasolari,
sviluppato dall’istituto valdostano e dall’INAF-Osservatorio
Astronomico di Torino per
cercare pianeti simili alla Terra
in orbita attorno a stelle nane
rosse nelle vicinanze del Sole.
Il dott. Bernagozzi, laureato in
fisica all’Università degli Studi
di Milano, per poi conseguire il
Master in comunicazione della
scienza alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste, da quasi
quindici anni è impegnato in
iniziative di didattica e divulgazione, è autore di La fantascienza a test (Alpha Test, 2007) e con
Davide Cenadelli di Seconda
stella a destra. Guida turistica al
Sistema Solare (Sironi, 2009).
Lo spettacolo della notte stellata, che possiamo ammirare
quando siamo lontani dall’inquinamento luminoso delle nostre città, è tanto affascinante
da indurre una sorta di timore
reverenziale. Forse per questa
ragione gli antichi immaginarono che divinità e spiriti popolassero il cielo: fantasie in grado
di renderlo meno misterioso e
più amico.
Quando le vecchie credenze
furono abbandonate, molti si
chiesero se le stelle non potessero essere invece lontani soli,
che illuminavano mondi abitati
da altri esseri viventi. Finché,
nel corso del XX secolo, la possibile esistenza di altre forme
di vita nel cosmo cominciò ad
essere considerata non più un
tema esclusivamente filosofico, religioso o letterario, ma
un problema scientifico vero e
proprio.
Nel 1961 una dozzina di eminenti studiosi di varie discipline,
dalla biologia all’astronomia,
si riunirono nella cittadina
statunitense di Green Bank, in
West Virginia, per discutere
una formula matematica che
permettesse di rispondere
alla domanda fondamentale:
siamo soli? Affrontare questo
interrogativo con gli strumenti
manifestazioni
151
Settimana della Scienza
Frascati, Roma
18—26 maggio 2011
I fili della ricerca scientifica europea
d'eccellenza si annodano a Frascati.
Durante la Notte Europea dei ricercatori
del 24 aprile e in tutta la Settimana
della Scienza, l'area a sud della capitale
diventa il portale d'ingresso per
accedere ai più importanti laboratori
e centri di ricerca internazionali.
È inevitabile che in primo piano sotto
i riflettori finisca la fisica del mondo
subatomico. Oltre ai laboratori aperti
degli istituti di ricerca dell'area romana
meridionale, ci saranno collegamenti
diretti con la sede del maggiore progetto
mondiale di ricerca sulla struttura della
materia e dell'antimateria, il CERN
di Ginevra. Dagli schermi in piazza
e dalle web tv collegate all'evento, il
pubblico europeo potrà penetrare nella
sala di controllo dell'LHC, dove si volge
il più importante e ambizioso progetto
di fisica subnucleare che l'uomo abbia
mai realizzato per indagare la materia
e l’energia contenute nell’universo.
Ad accompagnare la visita, rispondendo
a domande e interagendo con i cittadini,
saranno i massimi scienziati italiani
ed europei di fisica della materia che
anticiperanno le ultime ricerche e le
possibili nuove scoperte sull'universo.
La Notte Europea dei Ricercatori
è la maggiore iniziativa voluta dalla
Comunità Europea per far scoprire
il valore della ricerca scientifica
ai cittadini. Quest'anno si svolgerà
in contemporanea in oltre ben 260
città di 31 paesi europei.
CONTATTI
www.frascatiscienza.it
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
MassaScienza
Comune di Massa
11 aprile — 12 maggio 2011
L’astronomia tra ricerca scientifica,
emozione e rispetto per l’ambiente.
Sono i temi proposti da MassaScienza.
L’evento si articola su 28 appuntamenti
spalmati nell’arco di due mesi,
con l’intento di mettere in grado i
partecipanti di vivere in prima persona
il metodo scientifico abituandosi
al confronto e alla verifica di prove
sperimentali: in programma dieci
conferenze che porteranno a Massa
Stefano Bagnasco, Vittorio De Marchis,
Giulio Giorello, Stefano Moriggi, Pietro
Redondi, Piergiorgio Odifreddi, Giulio
Mola e molti altri.
CONTATTI
www.comune.massa.ms.it
e il rigore propri della scienza
è il compito dell’astrobiologia,
disciplina nata dall’incontro
tra le scienze della vita e quelle
dell’universo. Cinquant’anni
dopo la conferenza di Green Bank, grazie alle sonde
spaziali sappiamo che l’unico
pianeta del Sistema Solare
dove attualmente è presente la
vita è il nostro. Però sono stati
scoperti centinaia di pianeti
extrasolari nella Via lattea e gli
esperti ritengono che sia vicino
il momento in cui troveremo
un mondo potenzialmente
adatto allo sviluppo della vita.
D'autres terres dans l'univers?
Osservatorio di Brera
Milano
16 aprile 2011 / h 21.30
Il prof. Michel Mayor dell'Università di Ginevra, scienziato
di fama mondiale e pioniere
nel campo della ricerca di
pianeti extrasolari, a tenere
una conferenza sul tema
D'autres terres dans l'univers?
presso l'Osservatorio Astronomico di Brera. Il 23 novembre
1995, esattamente quindici
anni fa, due astrofisici svizzeri,
Michel Mayor e Didier Queloz
(allora studente di dottorato)
pubblicavano su Nature, la più
importante rivista scientifica
internazionale, la scoperta di
un pianeta in orbita attorno
a una stella simile al Sole, la
stella 51 della costellazione di
Pegaso. Proprio 51 Pegasi fu il
nome con cui venne battezzato
quel mondo alieno, individuato con il metodo indiretto delle
velocità radiali. Con questo
annuncio l'antico quesito
dell'umanità sulla possibile esistenza di altri mondi
nell'universo diventava argomento di studio della moderna
ricerca astronomica.
Nel giro di una quindicina
d'anni sono stati individuati
circa 500 pianeti extrasolari, così chiamati perché non
orbitano attorno al Sole, come
la Terra, ma attorno ad altre
stelle. È stata scoperta una sorprendente diversità tra questi
sistemi planetari, cosa che ci
manifestazioni
153
permette di capire meglio la
otto anni in su. Un’occasione
loro formazione e in particoimperdibile per affrontare in
lare la formazione del Sistema
modo giocoso e spensierato arSolare. La ricerca di pianeti
gomenti scientifici importanti
simili alla nostra Terra fa parte
che hanno contribuito allo
delle sfide attuali di questo
sviluppo della nostra civiltà.
nuovo capitolo dell'astronomia. CONTATTI
La scoperta di un mondo con
www.technotown.it
caratteristiche analoghe al
[email protected]
nostro non rappresenterebbe
+39 060608
però che un primo passo per
rispondere alla domanda ancora più cruciale: ‘esiste la vita
altrove nell'universo?’
Seconda stella a destra
CONTATTI
Libreria Melbookstore
www.mi.astro.it
Roma
20 aprile 2011 / h 18.00
Minuetto astronomico
Villa Torlonia
Roma
13 — 14 maggio 2011 / h 16.30
Un viaggio fantastico tra esperimenti e teorie del passato,
questo è lo spettacolo Minuetto
astronomico che sabato 13 e domenica 14 maggio alle ore 16.30,
verrà presentato a Technotown,
spazio a cura dell’Assessorato
alle Politiche Educative Scolastiche, della Famiglia e della
Gioventù di Roma Capitale,
realizzato nel cuore di Villa
Torlonia da Zètema Progetto
Cultura con l’ideazione e la
supervisione di Paco Lanciano.
A metà tra una favola musicale
e una lezione di astronomia,
Minuetto astronomico è un
vero e proprio esperimento di
comunicazione della scienza
curato da Cinzia Belmonte
e Tommaso Castellani in cui
verrà ripercorsa la storia delle
teorie del cosmo. Due scienziati-attori-musicisti coinvolgeranno la platea attraverso
il racconto delle teorie e degli
esperimenti che hanno cambiato la nostra storia: da Tolomeo a Copernico, da Galileo ad
Hubble, dalla sfera alle spirali,
dalla terra centro dell'universo
agli infiniti mondi.
Minuetto astronomico è un
progetto di formaScienza in
collaborazione con il Gruppo
Sperimentale Villanuccia e con
the Pool Factory. L’ingresso
allo spettacolo è libero ed è offerto dall’Agenzia Spaziale Italiana, l’età consigliata è dagli
Presentazione del libro
Seconda stella a destra. Vite
semiserie di astronomi illustri,
recentemente pubblicato
da DeAgostini. All'incontro
interverrà l'autore, Amedeo
Balbi, e Luca Sofri, giornalista,
direttore de Il Post. Quante
volte a ognuno di noi è capitato
di scrutare il cielo cercando di
guardare oltre il punto dove
l’umana vista può arrivare,
cercando di avere le risposte
ai nostri più strani desideri
o curiosità? Questo è ciò che
hanno sempre fatto anche
gli astronomi nel loro intimo.
Tutto ciò che hanno sempre
voluto erano le risposte che
ognuno di noi cerca, in fondo.
E guardavano lontano nello
spazio per guardare indietro
nel tempo, per guardare dentro
di noi, dentro quel buco nero
d’incertezze e interrogativi che
é l’essere umano. E se nell’antichità gli astronomi erano
considerati tipi in gamba, ma
assai poco prevedibili e spesso
stralunati, andando avanti col
tempo le cose sono cambiate,
soprattutto con Copernico. E
si sono susseguiti poi colpi di
scena con Keplero, Galileo,
Newton, e tutti gli altri fino
ad arrivare a noi, a Einstein, a
Hubble, alle teorie del big bang
e degli universi paralleli. Dagli
uliveti della Grecia, alle colline
di Firenze e poi a quelle della
California, il paesaggio non è
così diverso, a ben vedere, e
i secoli passati non sono poi
molti. Ma è l’universo che è
cambiato nel frattempo, un
universo oggi smisurato e in
154
PLANCK
manifestazioni
continua espansione.
In Seconda stella a destra
l’autore, astrofisico di professione, ci aiuta a comprendere
in modo semplice e divertente
alcuni passaggi fondamentali
per lo studio e la conoscenza
dell’universo e i più importanti
segreti di questa complessa
scienza. Lo fa, in una prima
parte, attraverso il racconto
delle storie personali dei grandi protagonisti dell’astronomia,
una sparuta serie di irriducibili
bastian contrari, di stralunati pionieri che sono partiti
alla conquista del mistero
tracciando nello spazio smisurato del cosmo un sentiero
per noi; in una seconda parte,
invece, racconta le scoperte e
i progressi fatti dagli astronomi, dal sistema tolemaico, a
quello copernicano, a quello
misto di Tycho Brache, alle
leggi empiriche di Keplero, alla
legge gravitazionale universale
newtoniana, passando attraverso la scoperta dei pianeti,
della natura della luce, della
vita delle stelle, e arrivando
al complesso problema della
misura delle distanze, alle
galassie, alla relatività e alla
cosmologia.
‘Di solito – come dice Margherita Hack nella prefazione – ci
si limita ai morti’. Qui invece
Balbi ha voluto arrivare a raccontare progressi della scienza
fino ai nostri giorni, parlando
degli scienziati che negli
ultimi cinquant’anni hanno
trasformato ancora una volta
radicalmente le conoscenze
dell’universo. E se c’è un finale
da scrivere per il momento non
ci va nemmeno di sapere quale
sia perché la storia è troppo
avvincente e non vorremmo
mai arrivare alla parola fine.
Amedeo Balbi è un ricercatore
del Dipartimento di Fisica
dell’Università di Roma Tor
Vergata. Ha lavorato all’Università di Berkeley, in California, con George Smoot (premio
Nobel per la fisica 2006). Si
occupa di cosmologia e di
astrobiologia. Gestisce un blog,
molto approfondito e seguito,
di divulgazione scientifica,
con un occhio alla cultura
pop e sporadiche divagazioni
personali.
ICARA 2011
Osservatorio FOAM13
Tradate (VA)
29 — 31 aprile 2011 / h 16.30
IARA, Italian Amateur Radio
Astronomy e Sezione di Ricerca
Radioastronomia UAI, in collaborazione con Osservatorio
FOAM13 sono lieti di annunciare ICARA 2011, l'Italian Congress
of Amateur Radio Astronomy
(7o Congresso Nazionale di Radioastronomia Amatoriale) che
si terrà a Tradate (provincia di
Varese) dal 29 al 31 aprile 2011. I
lavori di ICARA 2011 si svilupperanno in più sessioni. Il programma dell’evento è tuttora
in via di definizione pertanto i
responsabili chiedono, qualora
foste interessati a partecipare
con una relazione orale, di inviare entro e il 20 aprile il titolo
e l’abstract dell’intervento.
CONTATTI
www.iaragroup.org/icara
Hubble alle frontiere
dell’universo
Palazzo Loredan,
Venezia
16 Aprile — 15 Maggio 2011
Apre a Venezia la mostra Il
telescopio spaziale Hubble alle
frontiere dell’universo, dedicata
a uno dei progetti scientifici
più ambiziosi mai realizzati,
frutto di una stretta collaborazione internazionale tra NASA
e ESA.
La mostra, che si terrà dal 16
aprile al 15 maggio 2011 presso
l’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, celebra il ventennale del lancio del telescopio spaziale, la costruttiva
collaborazione tra la NASA e
l’ESA a questo storico progetto
e i risultati ottenuti, che sono
stati di enorme impatto sullo
sviluppo della conoscenza
astronomica e più in generale
sulla società. Hubble, infatti,
non ha solamente cambiato la
nostra conoscenza dell’universo, ha cambiato il modo di fare
scienza. Ha portato l’universo
nelle nostre case, ha ispirato e
continua a ispirare molti di noi,
fino a poterlo definire «il tele-
scopio della gente», facendo
dell’astronomia, una scienza
prima riservata a pochi, una
risorsa disponibile a tutti.
La mostra presenta una selezione di immagini astronomiche di grande formato
e di straordinaria nitidezza
scattate da Hubble dalla sua
orbita al di sopra dell’atmosfera e descrive il lavoro degli
astronauti durante le missioni
di manutenzione, con foto e
campioni della strumentazione usata durante l’ultima
missione dello Shuttle, nel
maggio del 2009.
Dal tramonto, per un paio
d’ore, verranno proiettati sulla
facciata gli spettri – i segnali
luminosi scomposti nelle varie
lunghezze d’onda – di galassie
lontane, raccolte da uno degli
strumenti installati su Hubble,
la Advanced Camera for Surveys. In parallelo, immagini
stilizzate delle galassie più
lontane verranno proiettate
sul prato.
Questi dati, mostrati a Venezia
in anteprima assoluta, rappresentano i confini estremi della
nostra conoscenza dell’universo lontano.
Direttore Artistico: Mario Livio,
STScI. Curatori: Antonella Nota,
ESA/STScI; Bob Fosbury, ESA/
ST-ECF; Thomas Griffin, NASA;
Responsabile NASA Équipe:
Bonnie Eisenhaimer, STScI.
Consulenti: Tom Griffin, NASA/
GSFC; Salim Ansari, ESA; Lars
Christensen, ESO; Elena Dalla
Bontà, Università di Padova;
Zolt Levay, STScI; Mark MacCaughrean, ESA.
CONTATTI
www.palazzoloredanvenezia.it
[email protected]
+30 049 8278246
L’universo in mostra
Grignano (TS)
26 aprile — 28 maggio
Buchi neri, galassie, supernovæ. Fenomeni che fanno
parte del nostro immaginario
quando parliamo di spazio. Ma
come li vedono gli scienziati?
Una risposta la suggerisce la
mostra Space Art, realizzata
N.1 Anno I APRILE 2011
dalla Scuola internazionale
superiore di studi avanzati
(Sissa), dal dipartimento di
Astrofisica dell’Università di
Trieste, dall’Istituto nazionale
di astrofisica e dall’Università di Durham (Regno Unito),
presso l’Immaginario Scientifico, museo interattivo della
scienza a Grignano (Trieste).
La mostra, visitabile gratuitamente ogni domenica dal 26
aprile al 28 maggio, è abbinata
al workshop Novicosmo 2011:
the impact of simulations in cosmology and galaxy formation.
I misteri della natura sono visti
sotto una nuova luce, grazie
allo sguardo di ricercatori
italiani e stranieri, che vestono
i panni degli artisti. Fotografie
scattate da sonde lontane o
da telescopi terrestri vengono
modificate dagli scienziati in
chiave artistica, cercando di
suscitare emozioni negli spettatori. Anche la simulazione
trova posto tra le opere. Diverse forme di cosmologie virtuali,
usate per studiare come sia
nato il nostro universo, sono
reinterpretate da giovani
registi e scorrono di fronte ai
nostri occhi. Bambini e adulti
potranno osservare il cosmo
con occhi diversi e divertirsi in
maniera intelligente.
CONTATTI
www.immaginarioscientifico.it
+39 040 224424
Manifestazioni
PLA N CK O N LIN E
A causa del volume
delle segnalazioni
pervenute ogni mese non
è possibile pubblicare
tutti gli appuntamenti.
Sull'edizione online è
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programma nel bimestre
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Vedere l’universo piegarsi aLla lettera
156
LETTERE
PLANCK
N.1 Anno I APRILE 2011
N.1 Anno I Aprile 2011
LETTERE
157
PLANCK
Controversia sul
Global
Global Warming
Warming
Spett. Redazione, ho letto con piacere
l'articolo di Fabio Nervegna sull'attuale
minimo solare (Planck 131, ndr). Quel mi ha
lasciato perplesso è la sitografia fornita, in
cui sono presenti siti (climatemonitor. com,
daltonsminima.com e whattsupwiththat.
com) che sono schieratamente rivolti a
negare il contributo antropico dell'effetto
serra, mentre l'aspetto di fisica solare
è magari trattato bene, ma solo in funzione
di dimostrare che il riscaldamento globale
è interamente dovuto al Sole. Con tutto
il rispetto per la formazione professionale
dei curatori, mi sembra che tali siti tendono
a selezionate acriticamente le teorie a loro
favore e ad ignorare i dai contrastanti. È nel
loro diritto, ma il rischio è quello di prendere
per buone quelle che sono ipotesi molto
discusse (vedi le due teorie di Svenskmark
e Archibald citate nel vostro articolo).
Nervegna tratta con criterio questi argomenti,
e sa distinguere, ma per un lettore meno
preparato temo sia difficile fare altrettanto.
Credo che esistano molti altri siti in cui le
tematiche legate al Sole e alla meteorologia
sono trattate in modo meno ideologico.
—prof. Gianni Comoretto
Astronomo Associato
inaf, Osservatorio Astrofisico di Arcetri
NASA: il déjà vu
della Discovery
A tre giorni dalla (speriamo) partenza della
STS-133 per la stazione spaziale, mi viene
il dubbio di aver già scritto quattro mesi fa
tutto quello che c’era da scrivere di saliente
su questa missione: il modulo logistico
Leonardo che diventa permanente, e tutta
la storia che c’è dietro, lo strabiliante mezzo
robot Robonaut 2 e naturalmente il fatto
che questo sarà l’ultimo volo del Discovery,
la più anziana delle tre navicelle superstiti,
nonché quella che ha volato di più – questa
sarà la sua 39a missione – volando nello
spazio quasi un anno intero in totale.
Anche l’agenda degli undici giorni della
missione è la stessa, centrata su due EVA
e l’aggancio di Leonardo al nodo 1-Unity,
benché in fatto di cambiamenti la STS-133
ne abbia registrato uno rilevante e senz’altro
inconsueto: la sostituzione di un membro
dell’equipaggio, Tim Kopra, per colpa di
un incidente di bicicletta. Della serie, anche
gli astronauti cadono. Tutta la faccenda,
insomma, potrebbe avere il sapore del déjà
vu se non fosse che ogni lancio shuttle
è una storia a parte.
—prof.ssa Roberta Loy
uniud, Università degli Studi di Udine
Dipartimento di Fisica
Mix spaziale
a basso costo
L’americana ATK (quella che fai i booster
dello shuttle) collaborerà con l’industria
europea EADS/Astrium (che fa Ariane 5) alla
produzione di un lanciatore che un giorno
potrebbe portare in orbita astronauti e carico
al moderatissimo costo di 180 milioni di
dollari, vale a dire il 40% in meno dei costi
medi attuali (shuttle escluso). Il razzo low
cost, battezzato Liberty, sarebbe un robone
di una novantina di metri in grado di portare
in orbita bassa oltre 22 tonnellate di carico,
ed è una sorta di mix tra un primo stadio à la
shuttle, derivato dai booster dello shuttle
(e sviluppato in effetti dalla ATK per Ares-1),
e un secondo stadio basato, se capisco bene,
su quello criogenico dell’Ariane 5 con il
motore Vulcain 2. Il tutto, poiché si tratta
di un composé di oggetti che hanno già
abbondantemente volato (da qui il basso
costo), sarebbe pronto per il primo test
nel 2013 e operativo nel 2015.
La notizia, tuttavia, per essere capita fino
in fondo va inquadrata nel contesto del
secondo turno del CCDev, il programma
della NASA per lo sviluppo di velivoli spaziali
commerciali con equipaggio, a cui appunto
è stata presentata la proposta. La lista dei
concorrenti conta – per adesso – ben 42
industrie, senza parlare di quelle europee
che non possono partecipare direttamente
perché il programma è indirizzato solo a US
commercial providers as defined by the
Commercial Space Act of 1998. La torta da
dividere al momento non è immensa, 200
milioni di dollari, ma le prospettive sono
ben più ampie. Certo che come piano per
stimolare l’iniziativa privata, non c’è dubbio
che il CCDev stia stimolando assai. Io però
una domanda ce l’ho: se è così semplice fare
buone astronavi spendendo poco, com’è
che nessuno l’ha ancora fatto?
—dott. Pietro Pericoti
Project Manager Settore Pianificazione
asi, Agenzia Spaziale Italiana
Fuoco amico
Certo che di cose strane ne capitano.
Che un atto del governo si trovi attaccato,
e pesantemente, da un membro della
maggioranza di governo, e addirittura da
un ex sottosegretario, è difatti perlomeno
inatteso. Ancor più se si pensa che l’atto
è il decreto di riordino degli enti di ricerca,
l’esponente del PdL è l’ex sottosegretario
alla ricerca Guido Possa, e la sede la
Commissione cultura del Senato riunita
il mese scorso per dare il suo parere sul
suddetto decreto. Vi invito a leggere per
intero il resoconto dell’intervento di Possa
(che avendo antichi trascorsi con
il presidente del Consiglio dovrebbe essere
persona ascoltata a palazzo Chigi).
Io ho trovato particolarmente carina, per
esempio, la frase ‘suscita pertanto perplessità
la volontà dell’attuale Governo di operare a
così breve distanza un ulteriore importante
riordino degli enti di ricerca’ (e ci credo:
tanto lavoro per nulla? uno si aspettava
di vederselo minacciato da Mussi – mica
da una compagna di partito), ma le
argomentazioni di Possa sono molte, e molto
articolate, e riguardano in primo luogo,
e non stupisce, l’eccesso di autonomia che
verrebbe concesso agli enti. Ci sono poi una
serie di altre osservazioni, che vi rinnovo
l’invito a leggere, che entrano molto in
dettaglio e rivelano, che le si condivida
o meno, l’esperienza di Possa in materia.
Ma la botta vera, se capisco bene, è proprio
all’inizio, quando si fa notare con estrema
vivacità che la delega che consentiva al
ministro di presentare il decreto era scaduta
da mesi. E che – dice testualmente Possa, che
è Presidente relatore del decreto in
commissione – è stata però «resuscitata» con
modalità che il Presidente relatore non esita
a censurare vivacemente in quanto hanno
impedito il prescritto esame da parte della
Commissione competente. Ora, non saprei
assolutamente se tutto questo porta
all’arresto del processo di approvazione del
decreto, di cui proprio ieri ha iniziato l’esame
158
lettere
PLANCK
più probabile che c sia la velocità istantanea
la commissione cultura della Camera.
(attuale) di tale espansione. Concludendo:
Le osservazioni del sen Possa, a prescindere
forse c’è una relazione tra la velocità con cui
se sia fuoco amico o meno, sono molto serie
e condivisibili. Il reale problema infatti è che
si espande l’universo e c, il cui valore non
il decreto di riordino approvato dal Goveno
sarebbe quindi costante ma si sarebbe
è un gran pasticcio che mette insieme Enti
modificato nel tempo. Pura congettura, lo so,
di natura e ruoli diversi. Per di più non
ma ho letto da qualche parte che, alla luce di
rappresenta alcuna innovazione ed
alcune osservazioni, ci sono dei fisici che
introduce elementi di grande contraddizione stanno mettendo in discussione l’idea
dell’isotropia dell’universo. Chissà cosa ci
come ad esempio che gli statuti siano
diranno, a questo proposito, le future
formalati dagli attuali consigli di
osservazioni. Salute a tutti.
amministrazione ormai delegittimati.
—prof. Roberto Bedogni
—prof. Luca Dello Iacovo
—prof.ssa Margherita Talia
Dipartimento Interateneo di Fisica
inaf, Istituto Nazionale di Astrofisica
uniba, Università degli Studi di Bari
Gentili professori vi ringraziamo per
il vostro intervento che spinge alla riflessione
e al dialogo su un tema così dibattuto
dalla comunità scientifica in questo ultimo
periodo. Cercherò in queste poche righe
di rispondere alla vostra puntuale
Non siamo d’accordo con le motivazioni
osservazione. Le spiegazioni da voi fornite
sulla progressiva diminuzione della
riguardo le fasi evolutive più avanzati
luminosità delle galassie che avete dato
delle galassie sono essenzialmente corrette
nell'articolo del numero di febbraio (Planck
e coerenti con i gli ultimi dati diramati
14, ndr). La velocità di espansione, a mio
da Nasa e Esa; difatti erano citati anche
avviso, c’entra eccome. Un oggetto si vede
nell'articolo stesso. Il punto, credo, non
come era nel passato sulla base della sua
risiede nei dati in sé quanto piuttosto
distanza da noi e probabilmente gli abitanti
nell'interpretazione. La nostra rivista,
di quella galassia ci vedono uguali a come
da sempre, non offre punti di vista, bensì
noi vediamo loro. Se la luce della galassia
spaccati sulla ricerca. È un discorso
azzurra ha impiegato tutto questo tempo per di responsabilità e etica.
arrivare da noi vuol dire veramente che
Le vostre obiezioni valgono infatti tanto
l’universo si è espanso a velocità relativistica; quanto le teorie espresse dai vostri colleghi
se così non fosse non potremmo vedere
autori dell'articolo, i quali si prendono
oggetti tanto antichi perché la loro luce ci
in prima persona oneri ed onori delle
avrebbe già superato. Se per esempio
loro affermazioni. Non è nostro compito
l’universo avesse un diametro di 2 mld di
premurarci di generare consenso, il nostro
anni luce e un’età di 13,7 mld di anni noi non
compito è quello di dare ai ricercatori,
potremmo vedere nulla più vecchio di 2 mld
e al loro lavoro, la possibilità di apparire.
di anni perché le immagini più vecchie
Naturalmente tutto al vaglio di un'attenta
sarebbero già oltre noi e non potremmo più
valutazione scientifica. Ma, e lo sapete
riacchiapparle. Inoltre succederebbe una
meglio di me, la scienza non progredisce
cosa strana: vedendo oltre il punto del big
per certezze. E niente è «verità assoluta».
bang le galassie più lontane ci apparirebbero —Roberta Zabotti
in fasi evolutive più avanzate rispetto ad altre Coordinamento editoriale
più vicine al punto del big bang e quindi a
noi, e ciò non concorda con le osservazioni,
che confermano che più guardiamo lontano
e più si vedono oggetti arcaici. Le
spiegazioni in linea con le osservazioni
possono essere a mio avviso tre: o la distanza
di questi oggetti è inferiore a quanto si crede,
Che si preannuncia un anno un po’ strano,
o l’universo è molto più vecchio e grande,
in cui, almeno da un certo punto di vista,
oppure (e io propendo per questa terza
a causa di una serie di ritardi parecchie cose
ipotesi) la velocità di espansione è
sono le stesse del 2010. A cominciare dagli
relativistica. A 13,7 mld di anni luce di
ultimi due voli shuttle, o forse tre: persino
distanza da noi potrebbe esserci proprio il
l’incertezza sulla STS-135 è ancora in gran
punto da cui è nato tutto, in questo caso c (la
parte la stessa di dodici mesi fa, ora si
velocità della luce) sarebbe la velocità di
aspettano i primi di marzo, la scadenza
espansione media dell’universo. Tuttavia è
La luminosità
delle galassie
Quel che (forse)
ci aspetta
N.1 Anno I APRILE 2011
dell’attuale Continuing Resolution e le scelte
del nuovo Congresso. Le date NET per la STS133, e quindi la STS-134, dovrebbero
comunque arrivare il prossimo giovedì,
dopo l’ennesima riunione tecnica per
valutare lo stato delle riparazioni al serbatoio
esterno del Discovery.
Restando nell’ambito delle navette verso la
ISS, il 20 gennaio dovrebbe partire il secondo
HTV giapponese; tuttavia, se non ricordo
male, sulla STS-133 c’è un payload legato
a un altro bordo dell’HTV-2, per cui non sono
sicura che la data rimanga valida. Nessuna
conseguenza, invece, sull’ATV-2 Keplero
dell’ESA, che parte da Kourou il 15 febbraio.
Sempre da Kourou, in aprile (ma ancora non
c’è la data esatta) dovrebbe fare il suo viaggio
inaugurale il Soyuz-Fregat, mettendo in
orbita il primo dei Pleiades, due satelliti ottici
di osservazione della Terra che fanno parte
dell’accordo italofrancese sul duale: in
pratica, la parte ottica del progetto di cui
COSMO-SkyMed è la componente radar.
La seconda missione Soyuz da Kourou, in
data da destinarsi ma auspicabilmente entro
la fine del 2011, porterà invece due satelliti
di validazione per il sistema di navigazione
europeo Galileo. E Vega? A settembre, si dice
e si spera, mentre dall’ASI fanno sapere che
il piccolo satellite scientifico LARES, con cui
Vega farà il primo volo dalla Guyana
Francese, è pronto a partire. Dal punto
di vista scientifico, tuttavia, il 2011 sarà
senz’altro l’anno di AMS-02, che va sulla ISS
con l’Endeavour e la STS-134 in aprile
(sempre che…), aprendo la stagione della
fisica delle particelle sulla stazione spaziale.
—dott.ssa Simonetta Di Pippo
Direttrice del Volo Umano
ESA, Agenzia Spaziale Europea
Lettere
Le lettere devono essere inviate
con il nome dell'autore, indirizzo
e numero di telefono via e-mail
a [email protected]. Ai fini
della pubblicazione, le lettere
possono essere modificate in
lunghezza e chiarezza. Tutte le
lettere diventano proprietà de
Planck e non saranno restituite.
A causa del volume della
corrispondenza non è possibile
pubblicare ogni lettera.
www.planckonline.it
Nel prossimo numero
Anno 1 Numero 2 Maggio 2011
LE RAGIONI
DEL VIAGGIO
SPAZIALE
NASA / GRIN
Peter Balazi e ZoÉ Baraton · ESO
Johanna FÖrstetter · DLR
Fiona Harry e Charles Hailey · uksa
Edoardo Bonicelli · ASI
Lawrence Clousing · nasa
Vedere l’universo piegarsi aLla lettera
ANNO 1
NUMERO 1
APRILE 2011
Redazione
Comitato scientifico
Giuseppe Piazzi Direttore responsabile
Renato Falomo Direttore scientifico
Gianluca Masi Vicedirettore
Roberta Zabotti Supervisione editoriale
Mauro Pelella Segreteria
Roberto Battiston
Docente di fisica sperimentale
Università degli Studi di Perugia
LEGGERE
L’UNIVERSO
Claudia Di Giorgio Caporedattore
Matteo Gualandris Caposervizio grafico
Alessio Sordi, Cinzia Amato Grafica
Gianbruno Guerriero Photo editor
Piero Benvenuti
Università degli Studi di Padova
Recensioni
Folco Claudi, SYLVIE COYAUD,
Giacomo Gambineri, Daniela Bigatti,
Piero Bianucci, Pietro Fabbri,
Marco Boscolo, Paolo Pagliario,
ROSSANA TAZZIOLI, Claudia Di Giorgio
Giovanni Fabrizio Bignami
Committee on Space Research
Bruna Bertucci
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
Paolo De Bernardis
Istituto Nazionale di Astrofisica
Progetto Grafico
Matteo Gualandris
Pubblicità
A. Manzoni & C. S.p.A.
via Nervesa 21, 20139, Milano
telefono: 02 574941
Abbonamenti e arretrati: 02 87082433
Per chi chiama da telefoni pubblici
o cellulari, il costo massimo della
telefonata da rete fissa è di 14,26 cent
di Euro alla risposta (iva inclusa).
Registrazione del Tribunale di Milano
n. 48/70 del 5 febbraio 1970.
Rivista mensile pubblicata da MG
Editore. Printed in Italy – marzo 2011
Copyright © 2011 by MG Editore
ISSN 0036–8083
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna
parte della rivista può essere rielaborata
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articoli non richiesti.
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Università degli Studi di Milano
Elena Castellani
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Roberto Langé
Docente di fisica teorica
Massachusetts Institute of Technology
Piergiorgio Odifreddi
Professore ordinario di logica e matematica
Università di Torino
Stefano Oliverio
Docente di astrofisica
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
TELMO PIEVANI
Docente di filosofia della scienza
Università degli Studi di Milano Bicocca
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Legatoria Europea (Milano)
Copertina: Grafiche Mainardi (Milano)
Carolyn Porco
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Space Science Institute
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Giuseppe Piazzi
Annalisa Randall
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www.planckonline.it
Martino Ressa
Docente di cosmologia e astrofisica
Cambridge University
Lene Vestergaard Hau
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Harvard University
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piegarsi alla lettera
Progetto editoriale per una rivista
di astronomia e astrofisica
Copertine future
Politecnico di Milano
Facoltà del Design
Laurea Specialistica in Design della Comunicazione
A.A. 2009/2010
Matteo Gualandris
matricola 734835
Relatore
Prof. Mauro Panzeri
Correlatore
Dott. Marco Cattaneo
Direttore responsabile
di Le Scienze e National Geographic Italia
ANNO 1
Vedere l’universo piegarsi alla lettera
NUMERO 2
ASTRONOMIA
E ASTROFISICA
ANNO 1
NUMERO 2
MAGGIO 2011
MAGGIO 2011
LE RAGIONI DEL VIAGGIO SPAZIALE
LE RAGIONI
DEL VIAGGIO
SPAZIALE
La chiusura del progetto Shuttle coincide
con la cancellazione del programma
Constellation, i velivoli spaziali destinati
a raggiungere la Luna e poi Marte.
Simboli della lenta agonia di un certo
modo di intendere l’impresa spaziale
ARTICOLI
La Luna di carta
Peter Balazi e ZoÉ Baraton · ESO
Missioni in affitto
Johanna FÖrstetter · DLR
Competitività nella monarchia stellare
Edoardo Bonicelli · ASI
Il programma astropolitico di Obama
Lawrence Clousing · nasa
POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA
La galassia privata
Fiona Harry e Charles Hailey · uksa
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ANNO 1
Vedere l’universo piegarsi alla lettera
NUMERO 3
ASTRONOMIA
E ASTROFISICA
ANNO 1
NUMERO 3
GIUGNO 2011
GIUGNO 2011
L’ACQUA DI MARTE
L’ACQUA
DI MARTE
Generalmente si ritiene che acqua
sia sinonimo di vita perciò attualmente
l’esplorazione di Marte con la missione
Mars Exploration Rover non è stata
finalizzata direttamente per la ricerca
di forme vitali ma per la scoperta
del prezioso liquido. E questo è stato
trovato, perlomeno sono state trovate
prove della sua esistenza
ARTICOLI
Il grande oceano prosciugato
Enrico Bellone · unimi
L’importanza della ricerca geologica
Elena Castellani · ESA
Attività idrotermale a Syrtis Major
Stefano Oliverio · uniroma
POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA
Dall’acqua alla vita
Lene VEstergaard hau · DLR
Le premesse per una missione umana
Sep Norris · nasa
€ 4,90 · www.planckonline.it
ANNO 1
Vedere l’universo piegarsi alla lettera
NUMERO 4
ASTRONOMIA
E ASTROFISICA
ANNO 1
NUMERO 4
LUGLIO 2011
LUGLIO 2011
LA NUOVA PROMESSA DI GIOVE
LA NUOVA
PROMESSA
DI GIOVE
Mentre la Nasa e l’Agenzia Spaziale
Europea mettono a punto nuove sonde
indirizzate verso il più grande pianeta
del sistema solare, gli utlimi studi sulla
superificie del gigante gassoso lasciano
intravedere la possibilità di una futura
spedizione
ARTICOLI
Vecchie e nuove frontiere
Alberto Fumagalli · INAF
Implicazioni psicologiche dell’esplorazione
Telmo Pievani · UNIMI
Cupola con vista su ATV-2
Martino Ressa · ASI
POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, DCB - ROMA
Cooperare per un grande obiettivo
Gianluca Masi · ESO
Tre missioni per Europa
Annalisa Randall · SSi
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