le nuove proprieta`. con spunti in tema di condominio negli edifici

prof. Federico Roggero
aggregato nell’Università degli studi di Teramo
LE NUOVE PROPRIETA’. CON SPUNTI IN TEMA DI CONDOMINIO NEGLI EDIFICI
Corte d’appello di Roma – mercoledì 9 ottobre 2013
1. Il paradigma della modernità: Stato e proprietà (secc. XVIII-XIX)
Stato e proprietà come pilastri della cultura giuridica del Settecento, poi incarnatasi, nell’Ottocento, negli
ordinamenti napoleonici:
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Stato: il territorio come ambito della sovranità; l’ordinamento come sistema chiuso impermeabile
ad influenze esterne; la codificazione del diritto come strumento del potere dello Stato:
diritto=codice=ordinamento=Stato; unificazione del soggetto di diritto; il confine come limite
invalicabile; ciascuno Stato ha il proprio diritto (= il proprio Codice);
Proprietà: immediatezza e pienezza del godimento; “liberazione” della proprietà fondiaria dai diritti
che ne comprimono il godimento e la redditività (usi civici); connessa a forte impulso alla
autonomia negoziale; principio del consenso traslativo (e problemi conseguenti sull’opponibilità ai
terzi: invenzione della trascrizione immobiliare); individualismo.
Stato e proprietà si uniscono nella definizione “borghese” dell’art. 544 del Codice civile di Napoleone: la
proprietà è “il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un
uso proibito dalle leggi o dai regolamenti”.
Dove si vede però che lo Stato è al di sopra della proprietà: sono vietati gli utilizzi del bene che
comporterebbero rischi per l’ordine pubblico, cioè per il mantenimento della pace sociale, e che
metterebbero a repentaglio il contratto sociale: il giusnaturalismo, che aveva esaltato la concezione del
diritto di proprietà come diritto “naturale” (John Locke), si rivela una ideologia positivistica per il
mantenimento del potere.
Nella sistematica del Codice, tutto ruota attorno alla proprietà: i contratti, con le successioni, sono
annoverati tra i modi di acquisto della proprietà.
Questa impostazione ha resistito alla caduta di Napoleone: il paradigma borghese “Stato-proprietà”
espresso nel Codice ha condizionato la storia giuridica degli ordinamenti occidentali fino ad oggi:
- è stato mantenuto negli ordinamenti giuridici della Restaurazione (monarchie amministrative), che
hanno conservato le innovazioni più importanti del Decennio (codici civili preunitari);
- è stato sistematizzato dalla dottrina positivistica (Francia) e pandettistica ottocentesca (Germania);
- è stato accolto nel nostro Codice civile unitario (1865), art. 436: la definizione della proprietà è
identica a quella napoleonica;
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è stato accolto nel Codice civile del 1942: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose
in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico”: anche questa definizione riecheggia quella del Codice napoleonico:
o “pieno”: generalità del potere di godimento e disposizione;
o “esclusivo”: il proprietario può escludere gli altri dal godimento della cosa; in questo
requisito è compendiata la “liberazione” della proprietà dalle interferenze di diritti di
godimento altrui (feudo, usi civici).
2. Crisi del paradigma moderno (secc. XIX-XX)
Per primo si incrina il dogma proprietario (metà sec. XIX): voci di dissenso contro il modello liberale ed
individualista. Cause di questa crisi:
- industrializzazione e nascita del proletariato urbano (Inghilterra, Francia, poi tutti gli altri);
- squilibri sociali determinati dal diseguale accesso ai beni: eguaglianza soltanto teorica dei soggetti
dell’ordinamento;
- istanze del socialismo, che giungono a negare la legittimità stessa della proprietà privata (socialismo
giuridico);
- nascita della dottrina sociale della Chiesa, che propugna giustizia sociale e redistribuzione, senza
però negare legittimità alla proprietà privata (Leone XIII, Rerum novarum, anno 1891).
Si fa strada l’idea che il dominium possa soffrire limitazioni anche oltre ciò che è necessario al
mantenimento dell’ordine pubblico; che queste limitazioni siano giustificate per fini di giustizia sociale.
Entra poi in crisi anche il dogma dello Stato (metà sec. XX) e della sua sovranità. Cause:
- i drammi e la guerra provocati dalle dittature fascista e nazista;
- la necessità di rivalutare il concetto di “diritto naturale” come fondamento ontologico, o quanto
meno razionale, dei diritti protetti dall’ordinamento giuridico (concetto di “crimini contro
l’umanità” come concetto pre-statale e trans-frontaliero);
- l’opportunità di dar vita ad organizzazioni limitatrici della sovranità, in funzione del mantenimento
della pace internazionale e dello sviluppo: nuove fonti del diritto entrano nel territorio dello Stato,
fino a quel momento ritenuto intangibile da autorità esterne.
3. Nuovo paradigma proprietario nella Costituzione repubblicana (1948): funzione sociale della proprietà
L’art. 42 Cost.:
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di
godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi
d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle
eredità”.
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Cade dunque il dogma proprietario come potere assoluto sulla cosa: lo Stato può limitare, o anche
espropriare (riserva però di legge). E’ il fondamento del potere conformativo ed espropriativo attribuito alla
PA.
La proprietà privata resta comunque “garantita dalla legge”, in due sensi:
- come istituto (rigetto della visione collettivistica integrale propria dell’ideologia comunista): una
legge che abolisse la proprietà privata sarebbe incostituzionale;
- come diritto soggettivo: non si può espropriare senza indennizzo; né si può svuotare il diritto del
suo contenuto essenziale (espropriazione sostanziale): “la soglia è rappresentata dal normale
godimento della cosa. Il vincolo che sottrae al proprietario il normale godimento del bene esautora
il diritto di proprietà e ne vanifica la garanzia costituzonale” (Bianca, Diritto civile).
Sintesi di pensiero cattolico e socialista in questa formulazione (come in tanti altri passi della Costituzione).
Quale peso ha avuto questa formulazione? Due tesi estreme:
- si è determinato un diritto con contenuto nuovo rispetto alla proprietà così come la conoscevamo:
la funzione sociale è una “componente della struttura della proprietà”, che perciò opererebbe
“anche in quelle situazioni di proprietà per le quali manchi una espressa disposizione che la
richiami” (Rodotà, Terribile diritto, riedito di recente con aggiunte in materia di “beni comuni”: una
nuova/vecchia forma di proprietà?); addirittura, qualcuno sostiene che la destinazione sociale
avrebbe sottratto alla proprietà il carattere della imprescrittibilità: se il bene non è usato, o è usato
contro la funzione sociale, il diritto si prescrive (Troisi, La prescrizione come procedimento);
- non è mutato per nulla il diritto del proprietario: “nella misura in cui è diritto soggettivo, la
proprietà privata serve all’interesse del proprietario”. Ad essere piegato a fini sociali sarebbe allora
non il diritto soggettivo, ma l’istituto della proprietà (Santoro-Passarelli, Proprietà privata e
Costituzione).
...e una di mezzo, preferibile:
- l’art. 42 ha inciso nel senso di imporre limitazioni alle facoltà di godimento e disposizione del
proprietario. La struttura del diritto è rimasta la stessa, ma la Costituzione permette allo Stato,
mediante la legge, di limitare dall’esterno il diritto per fini ritenuti meritevoli di tutela. Salvo il caso
dell’espropriazione, la tutela dell’interesse pubblico convive con il godimento da parte del privato
titolare (l’ambiente, il paesaggio, il governo del territorio, ecc.) (Bianca, Diritto civile).
La formula dell’art. 42 Cost. si apre al futuro; attribuisce il potere, ma non individua i beni vincolabili, né le
modalità: dunque una sorta di formulazione “in bianco”, una delega al legislatore, che nel tempo individua
sempre nuovi beni da vincolare, e nuove finalità sociali per le quali imporre il vincolo.
Dunque è in questo senso che è consentito parlare di differenti “statuti proprietari”: uno stesso diritto di
proprietà, variamente limitato in funzione dei diversi interessi pubblici perseguiti.
E non ha molto senso distinguere tra “obblighi” e “limiti” di cui al Cod. civ. e “limiti” di cui alla Cost.: si
tratta sempre di limitazioni alle facoltà di godimento e disposizione. In entrambi i casi, si tratta di tenere in
considerazione un interesse sociale, più o meno ampio.
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A questa evoluzione non si è sottratta la proprietà condominiale: cioè la proprietà di singole porzioni
esistenti all’interno di una struttura comune: anche qui, infatti, si è posto il problema di come regolare,
limitare, “conformare” il diritto dominicale dei singoli per garantire l’interesse collettivo al corretto uso
della cosa comune e al mantenimento dell’edificio.
4. Lo “statuto” della proprietà condominiale negli edifici: il R.D.L. 15 gennaio 1934, n. 56 (conv. in l. 10
gennaio 1935, n. 8)
Il R.D.L. 15 gennaio 1934, n. 56, conv. in l. 10 gennaio 1935, n. 8, contiene la prima disciplina organica del
condominio negli edifici, resasi necessaria dopo il forte sviluppo demografico delle città l’utilizzo intensivo
del cemento armato.
La nuova normativa si applicava agli “edifici divisi in piani ovvero in singoli appartamenti o locali che
appartengono a diversi proprietari” (art. 1).
Capo I. Disposizioni generali
Individuava la “proprietà comune” ai condomini, salvo titolo contrario, in due categorie:
a) le parti costitutive dell’edificio “che non possono essere oggetto di proprietà esclusiva”, nonché “tutte le
opere, le installazioni, i manufatti che sono indispensabili alla conservazione o all’uso comune dell’edificio”:
queste parti erano sempre indivisibili (cd. comunione necessaria), e su di esse ciascun condomino vantava
un diritto proporzionale alla sua proprietà esclusiva: “Le cose anzidette, quando siano comuni, non sono
soggette a divisione. I diritti di ciascun partecipante sulle cose medesime sono proporzionali al valore del
piano o frazione di piano che gli appartiene” (art. 3);
b) i beni destinati all’utilità comune: il terreno su cui sorge l’edificio, i locali della portineria, lavatoi, ecc.,
nonché le terrazze, i giardini, “nonché le opere e i manufatti che, pur non rietrando fra i beni indivisibili di
cui all’articolo precedente, siano destinati ad utilità comune” (art. 4): per questa seconda categoria era
stabilito che i beni fossero indivisibili “se questa [divisione] importi impedimento o limite al godimento di
ciascun partecipante” (art. 6) (cd. comunione indispensabile), e che il diritto di ciascun condomino su di
essi si desumesse “dal titolo; in mancanza del titolo, dalla natura e dalla destinazione della cosa, dal valore
proporzionale dei singoli piani o parti di piano, e, ove questo criterio sia insufficiente, anche dall’uso” (art.
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Dunque viene stabilita la presunzione legale di comunione per tutto ciò che non costituisce proprietà
esclusiva. Salvo che il titolo dica il contrario. Dunque il condomino nasce fin dall’inizio come oggi lo
conosciamo: non come figura associativa tra i proprietari, bensì appunto come una particolare forma di
comunione presunta dalla legge.
Le parti comuni erano considerate una sorta di accessorio (di pertinenza) pro quota delle parti in proprietà
esclusiva, di cui seguivano la sorte: infatti “l’alienazione, l’ipoteca, il sequestro di un piano o frazione di
piano si estendono di diritto alla quota delle parti comuni dell’edificio ad esso piano relative” (art. 7).
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Era poi prevista una disciplina delle innovazioni sulle cose comuni. Si vietavano quelle che potevano recare
“pregiudizio alla stabilità o sicurezza del fabbricato, che ne alterino l’aspetto architettonico, ovvero che
importino un mutamento di destinazione che renda inservibili le parti comuni dell’edificio all’uso o al
godimento di tutti i condomini” (artt. 8 e 9).
Quanto al godimento delle parti comuni dell’edificio, si affermava il principio dell’eguale diritto di tutti i
condomini al godimento di esse e correlativamente si vietavano forme di godimento, ma anche opere o
impianti, che limitassero il godimento degli altri (art. 10).
Disciplina del diritto di sopraelevazione: obbligo di verificare se le condizioni statiche lo consentono;
indennizzo agli altri condomini. Vietata (“può essere vietata”) qualora essa alteri notevolmente l’aspetto
architettonico dell’edificio, ne danneggi la consistenza, ovvero se essa diminuisca l’aria o la luce dei piani
sottostanti”. Infine, obbligo di ricostruire il lastrico solare o la terrazza (art. 12).
Obblighi dei condomini riguardanti le cose comuni: obbligo di contribuire alle spese per conservazione,
godimento e innovazioni in misura proporzionale alla proprietà esclusiva (obligationes propter rem) (artt.
13-14). Responsabilità solidale del subentrante per le spese dell’anno in corso e di quello precedente (art.
17). Lo stesso vale per le obbligazioni scaturenti dal regolamento di condominio (art. 30).
Al capo II, il R.D. disciplinava l’amministrazione e la rappresentanza del condominio, individuando
l’assemblea e l’amministratore quali organi dell’amministrazione. Per i commentatori era questa “la parte
nuova e originale della riforma legislativa”. E si osservava:
“Il condominio delle case, senza costituire una persona giuridica, ne subisce tuttavia la disciplina, per ciò
che si attiene all’uso e godimento degli accessori comuni, non al potere dispositivo del principale, che è
diviso, e perende norma dalla teoria della proprietà in generale” (An. Bu., Condominio di case, in
Enciclopedia italiana – I appendice (1938))
L’amministratore:
- ha i poteri esecutivi riguardo alle deliberazioni della assemblea, nonché la gestione del fondo
comune;
- ha un ruolo di mediazione nelle controversie tra i condomini. A lui si dirigono tutti i reclami
riferentisi al’uso delle cose comuni: “Le norme da lui date, nell’ambito dei suoi poteri, sono
obbligatorie per i condomini, salvo il ricorso al consiglio di amministrazione ed all’assemblea da
parte del condomino che si ritenga leso” (art. 19);
- ha la rappresentanza giuridica del condominio, legittimazione attiva e passiva (art. 20); se manca
l’amministratore, il presidente del Tribunale designa un rappresentante preferibilmente fra i
compartecipi (art. 22).
L’assemblea (art. 23):
- forma e modifica il regolamento di condominio;
- stabilisce la retribuzione dell’amministratore;
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dispone le opere di manutenzione straordinaria, che sono invece di norma vietate
all’amministratore.
Funzionamento dell’assemblea (art. 24):
- maggioranze differenti per prima e seconda convocazione;
- maggioranze rafforzate per revoca amministratore, riparazioni straordinarie di notevole entità,
innovazioni, approvazione del regolamento.
Le deliberazioni dell’assemblea sono obbligatorie per i dissenzienti. Qualora però le deliberazioni “risultino
lesive dei diritti dei partecipanti al condominio, colui che disssente può ricorrere” all’autorità giudiziaria
(art. 26).
Il capo III disciplina i regolamenti di condominio. Il regolamento non può però derogare ad alcune norme
del R.D., che sono perciò imperative (ambito circoscritto dell’autonomia privata) e non può comunuque
menomare i diritti dei singoli condomini incidendo sulle loro proprietà esclusive.
Conclusione:
- fin da questa prima regolamentazione appare tratteggiato il carattere del condominio negli edifici
quale presunzione iuris tantum di comunione di alcune porzioni del manufatto; nonché il carattere
accessorio delle parti comuni rispetto alle proprietà esclusive;
- fin dall’inizio il legislatore colse la peculiarità del condominio: “la coesistenza delle realtà abitative
nell’ambito di una struttura comune”. Il condominio come “comunione degli edifici composti da più
unità abitative in proprietà esclusiva” (Bianca, Diritto civile);
- furono fin dal principio introdotte norme speciali rispetto a quelle dettate per la comunione, e in
particolare: “dettagliata regolamentazione dei rapporti tra i condomini e della organizzazione
condominiale, intesa a contemperare le esigenze abitative dei singoli con l’esigenza di un’ordinata
gestione dell’edificio” (Bianca, Diritto civile): dunque una limitazione ai diritti dei singoli
partecipanti, più intensa ancora di quella già prevista in tema di comunione, e funzionalizzata ad
esigenze di ordine: ci fu dunque già nella prima disciplina una certa limitazione della proprietà
condominiale in funzione collettiva;
- fu stabilito fin dall’inizio il principio del pieno godimento di tutti i condomini sulle parti comuni;
- e si assoggettarono i condomini al principio di autorità (assemblea ed amministratore) nella
gestione delle parti comuni;
- si attribuì fin dall’inizio una certa soggettività al condominio (fondo comune, legittimazione
processuale attiva e passiva, organi di rappresentanza esterna individuato nell’amministratore), ma
non personalità giuridica: nasce la teoria dell’ente di gestione, con poteri organo deliberativo
(assemblea) ed esecutivo (amministratore). Questa tesi poggia sulle norme che dicono: che la
proprietà delle cose comuni appartiene ai condomini, e non ad un ente distinto; che le spese per le
parti comuni gravano sui condomini, e non sulla persona giuridica distinta; che l’amministratore
rappresenta i partecipanti, non una persona giuridica. Cfr. Cass., sez. III, 30.01.2012, n. 1289; Cass.,
sez. II, 12.01.2011, n. 574;
Tuttavia, proprio la scelta iniziale di non concepire il condominio come persona distinta dai condomini, ed il
fatto di configurare le parti comuni come emanazione della proprietà dei singoli proprietari esclusivi,
nonché la debolezza, in più casi, delle limitazioni imposte dalla assemblea ai condomini evidentziano come
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il legislatore fascista sia rimasto agganciato al concetto ottocentesco della proprietà privata, quale diritto
sostanzialmente intangibile.
Fu cioè tutelato il diritto di proprietà individuale limitando allo stretto indispensabile l’assoggettamento dei
proprietari alle decisioni della maggioranza.
5. La disciplina del Codice civile del 1942
Il Codice civile del 1942 ha sostanzialmente ripreso l’impostazione del R.D.L. del 1934.
La Commissione reale per la riforma dei codici parla, a proposito del condominio, di un rapporto
complesso: “Il principio informatore [del condominio negli edifici] sta nel concetto che l’edificio costituito da
locali appartenenti a proprietari diversi dà vita ad un rapporto complesso, risultante da una proprietà
distinta dei singoli locali (casa, piano, negozio, ecc.) e da un condominio di altre parti comuni dell’edificio
stesso, costituenti accessori, per lo più necessari delle parti in proprietà individuale”.
Questa ricostruzione dell’istituto è ancora molto seguita in dottrina e giurisprudenza.
Vediamo i singoli aspetti della disciplina del condominio:
- Parti comuni dell’edificio:
o conferma: anche qui aprono la disciplina (art. 1117 v.t.),
o conferma: anche qui la comunione si instaura solo “se il contrario non risulta dal titolo”;
cioè dall’atto costitutivo del condominio, che è poi il primo atto di alienazione fatto dal
costruttore:
 presunzione di comunione iuris tantum (preferibile);
 norma dispositiva derogabile dai privati;
o conferma: il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore della
sua proprietà esclusiva
o novità (più concessiva): sparisce la distinzione tra parti in cd. comunione necessaria e parti
in cd. comunione indispensabile. Per tutti i beni indicati, si stabilisce la regola della
indivisibilità, “a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della
cosa a ciascun condomio” (art. 1118 v.t.). Dunque ci si uniforma alla regola della
comunione indispensabile, così facilitando lo scioglimento della comunione e il riacquisto di
porzioni in proprietà privata: dunque favor proprietatis;
- Sopraelevazione (art. 1127 v.t., non modificato poi dalla l. 220/2012):
o novità (più restrittiva): consentita solo se non risulti diversamente dal titolo;
o novità (più restrittive):
 vietata per legge se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono;
 vietata dagli altri condomini se pregiudica l’aspetto architettonico ovvero
diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti
Dunque per la sopraelevazione c’è un’ulteriore compressione del diritto soggettivo in funzione
degli interessi di tutti gli altri condomini e dell’edificio in generale.
Essa è intesa in dottrina come un diritto legale di superficie, costituito per legge a carico del
condominio, con l’obbligo di pagamento dell’indennizzo differito al momento dell’esercizio;
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Obblighi dei condomini riguardo alle parti comuni (art. 1123 v.t., non modif. dalla l. 220/2012):
o conferma la disciplina precedente;
Assemblea:
o conferma la disciplina precedente (è l’organo preposto alla gestione straordinaria del
condominio);
o riguardo all’impugnativa (art. 1137 v.t.), in dottrina e giurisprudenza si fa la distinzione:
 deliberazioni annullabili: impugnativa all’a.g. entro 30 gg. (art. 1137, ult. co., v.t.);
 deliberazioni nulle: quelle viziate da cause di nullità come per il contratto; quelle
viziate da mancanza dei requisiti essenziali minimi di formazione dell’atto; quelle
viziate da eccesso (carenza) di potere;
Amministratore:
o conferma la disciplina precedente (è l’organo preposto alla gestione ordinaria del
condominio, di cui assume la rappresentanza sostanziale e processuale);
Regolamento:
o conferma: inderogabilità dei diritti individuali risultanti da atti di acquisto e convenzioni,
nonché delle disposizioni sull’obbligo di sopportare le spese per le parti comuni,
sull’indivisibilità delle stesse parti comuni, sull’assemblea, l’amministratore, ecc. (art. 1138
v.t.);
o conferma: natura giuridica di regolamento della comunione;
o novità: obbligatorio soltanto se i condomini sono più di 10 (art. 1138, co. 1, v.t.);
Conclusione: sono poche le innovazioni portate dal Codice civile rispetto alla legge del ’34-’35:
- si conferma l’insistenza sulle norme in materia di assemblea e di amministratore: si vuole cioè che
la proprietà comune sia regolata in funzione del contemperamento del diritto di tutti i partecipi a
goderne e del mantenimento complessivo dell’edificio;
- a maggior tutela delle proprietà individuali:
o si restringe la facoltà di sopraelevare;
o viene lasciato più spazio alla possibilità di sciogliere la comunione;
o il condominio come tale mantiene soggettività, ma non viene “entificato”.
6. La recente riforma del condominio (l. 11 dicembre 2012, n. 220): quale “statuto” assegna al
condominio negli edifici?
ITER PARLAMENTARE DELLA RIFORMA
Precedenti tentativi di riforma sono attestati fin dal 1997 e fino al 2008.
Nella XVI legislatura, le proposte (Legnini, Mugnai, Pastore, Carrara, Valentino: tutte del 2008) sono state
riunite in un unico disegno di legge il 26 gennaio 2011 (71/S) approvato dal Senato con modifiche radicali il
26 gennaio 2011 e poi trasmesso alla Camera che ha sensibilmente sforbiciato le innovazioni introdotte,
concludendo l’iter il 27 settembre 2012 e rimettendo gli atti al Senato.
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Il Senato – in vista della scadenza della legislatura – non ha riproposto le modifiche ed ha approvato il testo
della Camera, che è così diventato la l. 11 dicembre 2012, n. 220.
PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO
Riguardo alla proprietà dei condomini sulle parti comuni, l’art. 1117 n.t. conferma che si tratta di una
particolare forma di comunione, con propria soggettività, ma non entificata.
Nozione di parti comuni dell’edificio: elencate nel nuovo 1117 n.t.: leggerlo!! Ci sono alcune aggiunte
rispetto al Codice: a] pilastri, travi portanti e facciate (implicite nel vecchio testo); b] aree di parcheggio; c]
le nuove attrezzature. Tuttavia pare che si debba confermare l’orientamento giurisprudenziale formatosi
già sul vecchio testo, che riteneva l’elencazione non tassativa.
Sul testo previgente, infatti, si era formata giurisprudenza che diceva che l’elencazione forma una
presunzione iuris tantum e che non è comunque tassativa. Mi pare che nulla sia stato modificato: “In
tema di condominio l'art. 1117 c.c. pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, la cui
elencazione non è tassativa, che deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune, sia dalla
concreta destinazione del medesimo al servizio comune, che può essere superata solo dalla prova di un
titolo contrario, che non può essere data dalla mancata menzione di uno di tali beni tra le parti comuni
dell'edificio” (Cass., sez. II, 26.07.2012, n. 13262); “In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c.
esprime un principio di carattere generale, a termini del quale, ove un bene del complesso immobiliare, su
cui insiste il condominio, comunque risponda a requisiti di destinazione oggettiva e funzionale al godimento
o al servizio della collettività dei partecipanti, ancorché non rientrante nella elencazione normativa, si
presume di proprietà comune, a meno che il contrario non risulti con chiarezza dal titolo” (Cass., sez. II,
04.05.2012, n. 6781).
In particolare, quanto al suolo su cui sorge l’edificio, tener presente che la presunzione di proprietà
comune opera anche se sul suolo insiste una porzione in proprietà esclusiva (balcone) dell’unico edificio: “Il
fabbricato condominiale è un'unità fisico-economica complessa e compiuta, che comprende sia le porzioni
comuni, sia quelle di proprietà individuale, incluse le parti di mura che, sebbene perimetrali, appartengano
ad un solo condomino per titolo o per specifica destinazione a sostenere una sola unità abitativa o una sua
porzione. Pertanto, la locuzione "il suolo su cui sorge l'edificio", di cui all'art. 1117, n. 1, c.c., designa l'area
su cui insiste il fabbricato nel suo insieme di componenti comuni e non, di talché la circostanza che una
parte delle mura perimetrali di questo sia destinata esclusivamente a delimitare e sorreggere un balcone di
proprietà di un singolo condomino, non esclude l'appartenenza comune anche della porzione di suolo su cui
detta parte insiste” (Cass., sez. II, 20.03.2012, n. 4430).
Al contrario, la presunzione si inverte, e cioè si presume la proprietà esclusiva, riguardo ad altro fabbricato
autonomo insistente sullo stesso terreno del costruttore sul quale è stato realizzato l’edificio: lo si
considera cioè di proprietà esclusiva a meno che il contrario non risulti dal titolo costitutivo del
condominio: “Stante quanto disposto dall'art. 1117 c.c., l'estensione della proprietà condominiale ad edifici
separati ed autonomi rispetto all'edificio in cui ha sede il condominio può sussistere solo in ragione di un
titolo atto a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso. Occorre, in
definitiva, che negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il condominio risulta
costituito, tale manufatto venga qualificato come bene appartenente al condominio de quo” [...] “La
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presunzione ex art. 1117 c.c., di comunanza del suolo su cui insiste il fabbricato condominiale, non opera in
direzione inversa, nel senso che non si presume comune ogni altro edificio, separato e autonomo, eretto sul
medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale, per cui l'originaria appartenenza al medesimo
proprietario dell'unico terreno su cui in tempi diversi siano stati costruiti l'edificio condominiale e il
fabbricato distinto, non costituisce quest'ultimo come parte del condominio stesso, se ciò non risulta dal
relativo titolo di provenienza” (Cass., sez. II, 15.04.2013, n. 9105).
Modificazione delle destinazioni d’uso delle parti comuni (art. 1117-ter n.t.):
Concetto di “destinazione d’uso”: sua origine nella legislazione urbanistica (art. 32, lett. a), d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380).
Differenza tra modificazioni delle destinazioni d’uso (art. 1117-ter n.t.) ed innovazioni (art. 1120 n.t.): la
modifica della destinazione d’uso esclude opere edili; si esaurisce “nel mutamento funzionale, nel
mutamento del tipo di utilizzazione o di godimento della cosa, la quale di per sé permette differenti forme
di sfruttamento”; l’innovazione invece incide sull’entità sostanziale della cosa, modificandola (Corona,
Profili della riforma sul condominio).
La precedente giurisprudenza riconduceva i mutamenti di destinazione nella categoria delle innovazioni
(Cass., sez. II, 05.11.2002, n. 15460).
Oggi invece vanno tenuti distinti i due concetti: anche perché – importante – la modifica della destinazione
d’uso non incontra il limite del godimento di taluni condomini (cfr. art. 1117-ter, ult. co., e art. 1120, ult.
co): proprio per questo, perché – a differenza delle innovazioni – la modificazione può escludere il
godimento da parte di uno o più condomini, è prescritta una maggioranza così elevata.
Non si tratta peraltro di limitazione del diritto, ma del solo godimento.
Bisogna indennizzare il condomino escluso dal godimento? Vedremo...
ASSEMBLEA
Poteri:
- modificare la destinazione d’uso delle cose comuni (art. 1117-ter) – Già però la giurisprudenza
aveva ammesso questa possibilità ex art. 1120 v.t. (innovazioni, come già detto) (Cass., 12 luglio
2011, n. 15319);
- aggiungere all’edificio impianti a servizio delle unità immobiliari (art. 1120, comma 2, n.t.) – non
c’era bisogno della riforma...;
- introdurre sistemi di videosorveglianza (art. 1122-ter) – era legato ad una questione risolta dal
Garante della privacy con prescrizione 19 febbraio 2009, n. 1601674;
- nominare un revisore della contabilità del condominio e di un consiglio di condominio (art. 1130bis) – non c’era bisogno della riforma...;
- autorizzare l’amministratore a partecipare a progetti, programmi e iniziative territoriali, ecc. (art.
1135, co. 3, n.t.);
- pronunciarsi sulle proposte di mediazione delle liti (art. 71-quater, comma 5, disp. att. n.t.).
In sostanza, i poteri restano più o meno gli stessi che già aveva.
Modo di funzionare:
- semplificato l’avviso di convocazione, che può avvenire anche per email certificata, fax o consegna
a mano (art. 66, comma 3, n.t., disp. att.);
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-
alleggerito il quorum costitutivo per la prima convocazione, ma restano elevati i quorum delle
quote di proprietà, sia per costituire che per deliberare (art. 1136 n.t.);
- speciali maggioranze rafforzate sono previste per molti casi (art. 1136, coo. 4 e 5, n.t.);
- sono aggravate rispetto al passato le maggioranze necessarie per disporre le innovazioni di cui
all’art. 1120, comma 2, n.t.);
- pesantissima la maggioranza per disporre la modifica della destinazione d’uso di cose comuni, per
le ragioni già dette (art. 1117-ter, comma 1).
In sostanza, un appesantimento delle maggioranze richieste; e perciò probabilmente difficoltà di
funzionamento delle assemblee.
Impugnazione delle delibere: vizi:
- per lo stato attuale della distinzione tra delibere nulle ed annullabili cfr. Cass., SS.UU., 7 marzo
2005, n. 4806, che riduce le ipotesi di nullità a pochi casi;
- la novella sembra voler restringere ancora di più l’ambito della nullità ed ampliare quello della
annullabilità (art. 1137 n.t., che parla espressamente di “annullamento”);
- resta comunque qualche caso di nullità, anche per espressa previsione della legge: art. 1129,
comma 14, n.t.
(segue): legittimazione attiva:
- oltre ai dissenzienti, già menzionati nel vecchio testo, hanno legittimazione anche gli assenti [ma
forse erano previsti anche questi in precedenza???] e gli astenuti (art. 1137, comma 2, n.t.);
- la riforma ha così recepito l’indirizzo formatosi in giurisprudenza: “In tema di impugnazione di
delibere di assemblea di condominio annullabili, la legittimazione ad impugnare va riconosciuta
anche al condomino presente che si sia astenuto dal voto” (Cass., sez. II, 10.10.2007, n. 21298).
AMMINISTRATORE
Requisiti:
- tendono verso la “professionalizzazione” dell’amministratore, che però la novella non compie (art.
71-bis, n.t., disp. att.);
Nomina:
- spetta sempre all’assemblea; i requisiti di cui all’art. 71-bis disp. att. sono (dovrebbero essere) a
pena di annullabilità della delibera;
- le novità introdotte dalla novella:
o l’assemblea può subordinare la nomina alla presentazione ai condomini di polizza
assicurativa, i cui massimali devono essere adeguati se vengono deliberati lavori
straordinari (art. 1129, commi 3 e 4, n.t.);
o obbligo di nominarlo quando i condomini sono più di otto (anziché quattro) (art. 1129,
comma 1, n.t.);
o alla scadenza annuale, si intende rinnovato per uguale durata (art. 1129, comma 10, n.t.);
o divieto di rinominare colui che è stato revocato dalla a.g. (art. 1129, comma 13, n.t.);
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o obbligo dell’amministratore, all’atto dell’accettazione, di specificare analiticamente
l’importo dovuto a titolo di compenso, a pena di nullità della nomina (art. 1129, comma 14,
n.t.);
Obblighi:
- gravano pur sempre sull’amministratore gli obblighi di promozione dell’attività assembleare, di
esecuzione delle deliberazioni della stessa assemblea, di gestione ordinaria delle parti comuni e
servizi, di rappresentenza sostanziale e processuale (art. 1130, comma 1, nn. 1-4, n.t.);
ricordare che comunque, per la tutela delle parti comuni dell’edificio, è legittimato ad agire ciascun
condomino. Lo ha detto la Cass. con riguardo al superconominio: “Nell'ipotesi di supercondominio,
ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo
compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla
relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell'art. 1136 cod. civ., in tema di
formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale
del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel
complesso e da tutti i rispettivi titolari. (Nella specie la S.C. ha ravvisato la legittimazione del singolo
condomino ad impugnare la sentenza inerente all'apposizione di cancelli su area antistante e
comune agli edifici del supercondominio)” (Cass., sez. II, 21.02.2013, n. 4340);
e in precedenza riguardo alle distanze: “In ipotesi di edificio in condominio, tutti i condòmini, e non
soltanto quelli che siano proprietari delle porzioni esclusive direttamente prospettanti verso le
costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle
disposizioni sulle distanze, le quali mirano a salvaguardare i fabbricati considerati nella loro
interezza.” (Cass., sez. II, 30.11.2012, n. 21486);
e in generale ancora prima ha detto che non è necessario integrare il contraddittorio nei confronti
degli altri condomini: “In tema di condominio negli edifici, ciascun condomino può legittimamente
proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza che si renda necessaria l'integrazione
del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, avendo il diritto di ogni partecipante al
condominio per oggetto la cosa comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei
concorrenti diritti altrui” (Cass., sez. II, 03.09.2012, n. 14675).
- le novità introdotte dalla novella:
o eseguire gli adempimenti fiscali; curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale;
tenere tre registri: (1) il registro delle assemblee; (2) quello di nomina e revoca
dell’amministratore; (3) quello di contabilità; conservare tutta la documentazione inerente
alla sua gestione; fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazioni relative allo stato
dei pagamenti; redigere il rendiconto annuale (art. 1130, comma 1, nn. 5-10, n.t.).
o far transitare le somme relative alla gestione condominiale su uno specifico conto corrente
postale o bancario intestato al condominio (art. 1129, comma 7, n.t.); l’inosservanza di
quest’obbligo comporta la revoca del mandato (art. 1129, comma 12, n. 3, n.t.); ratio:
trasparenza nella gestione verso i condomini; possibilità per questi di controllare l’operato
dell’amministratore;
o riconsegnare tutta la documentazione alla scadenza dell’incarico (art. 1129, comma 8, n.t.);
o agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla
chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso (art. 1129, comma 9, n.t.);
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o una serie di obblighi di trasparenza ed efficienza nella gestione, la cui violazione integra ex
lege una “grave irregolarità” e comporta perciò la revoca da parte dell’autorità giudiziaria
su ricorso di un condomino (art. 1129, comma 12, n.t.).
In conclusione, molti nuovi obblighi in funzione “professionalizzante” della gestione e di trasparenza della
stessa, a tutela dei condomini. In quest’ottica si colloca anche l’art. 1130-bis, in tema di rendiconto
condominiale, nomina di un revisore dei conti da parte dell’assemblea, nonché di un consiglio del
condominio.
REGOLAMENTO
L’unica novità è che il regolamento non può vietare di possedere o detenere animali domestici (art. 1138,
ult. co., n.t.).
Questa possibilità è però ovviamente da riconoscere al regolamento contrattuale o convenzionale. Il
regolamento contrattuale (o convenzionale) può imporre limiti alle unità immobiliari dei singoli che vi
abbiano aderito. La giurisprudenza ha recentemente detto che si tratta di imposizione di una servitù
reciproca tra le varie unità immobiliari (Cass., sez. II, 13.06.2013, n. 14898).
TABELLE MILLESIMALI
Disattendendo l’orientamento giurisprudenziale che era andato formandosi (Cass., 19 luglio 2012, n. 12471;
Cass., SS.UU., 9 agosto 1910, n. 18477), la novella stabilisce che le tabelle millesimali possano esser
modificate soltanto con il consenso unanime di tutti i condomini.
E’ posssibile farlo con le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 2, n.t., soltanto quando: 1] risulta che sono
conseguenza di un errore; 2] per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, a seguito si
sopraelevazione, incremento di superfici o diminuzione delle unità immobiliari è alterato per più di un
quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino (art. 69, n.t., disp. att.).
TITOLARI DI PROPRIETA’ ESCLUSIVE: LORO DIRITTI E POTERI
Vengono significativamente ampliati i poteri volti al migliore godimento dell’unità abitativa in proprietà
esclusiva (o “individuale”, come dice la novella):
- possono staccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento (art. 1118,
comma 4, n.t.);
- possono installare impianti necessari alla ricezione (televisione, internet, ecc.) anche se ciò
comporta opere sulle parti comuni o sulle altre proprietà individuali, purché si rechi il minimo
incomodo e sia preservato il decoro architettonico dell’edificio (art. 1122-bis, comma 1);
- possono impiantare pannelli solari sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune (art.
1122-bis, comma 2).
Vengono tutelati i diritti dei proprietari sulle parti di edificio di proprietà comune:
- è difficile modificare la destinazione d’uso della porzione in proprietà comune (art. 1117-ter);
- per la divisione delle cose comuni, alla condizione che ciò possa farsi “senza rendere più incomodo
l’uso della cosa a ciascun condomino” è stata aggiunta quella della sussistenza del “consenso di
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tutti i partecipanti al condominio” (art. 1119 n.t.): questo significa che senza unanimità non si può
mai dividere il condominio, e che in realtà il pregiudizio o l’aggravamento all’uso è irrilevante.
Vengono poi ampliati i poteri di iniziativa dei singoli nell’interesse comune, sia per quanto riguarda i beni
comuni (art. 1117-quater), sia per quanto riguarda la gestione dell’amministratore (art. 1129, comma 11,
n.t., art. 1130, n. 9, n.t., art. 1130-bis, comma 1, n.t.).
In generale, come si è detto, al singolo condomino vendono dati poteri di informarsi dall’amministratore
circa la situazione contabile del condominio e le eventuali morosità degli altri condomini. Ma questo era già
acquisito in giurisprudenza: “Ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, "dato personale", oggetto
di tutela, è "qualunque informazione" relativa a "persona fisica, giuridica, ente o associazione", che siano
"identificati o identificabili", anche "indirettamente mediante riferimento a qualsiasi altra informazione" ed
in tale nozione sono riconducibili i dati dei singoli partecipanti ad un condominio, raccolti ed utilizzati per le
finalità di cui agli artt. 1117 ss cod. civ.; tuttavia ragioni di buon andamento e di trasparenza giustificano
una comunicazione di questi dati a tutti i condomini, non solo su iniziativa dell'amministratore in sede di
rendiconto annuale, di assemblea, o nell'ambito delle informazioni periodiche trasmesse nell'assolvimento
degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, ma anche su richiesta di ciascun condomino, il quale è
investito di un potere di vigilanza e di controllo sull'attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti
comuni, che lo facoltizza a richiedere in ogni tempo all'amministratore informazioni sulla situazione
contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri
partecipanti.” (Cass., sez. III, 23.01.2013, n. 1593).
RAPPORTO SINGOLI CONDOMINI-CONDOMINIO E SINGOLI CONDOMINI-CREDITORI DEL CONDOMINIO
Alcune novità di rilievo rafforzano la posizione del condominio verso il condomino moroso disciplinando
specificamente il caso di alienazione:
- per le spese già deliberate al momento della vendita, ora la novella ha esplicitato la regola della
solidarietà tra alienante ed acquirente fino il momento in cui viene data all’amministratore copia
autentica dell’atto traslativo (art. 63, ult. co., n.t., disp. att.);
- viene poi stabilita la solidarietà tra proprietario ed usufruttuario per i contributi condominiali (art.
67, ult. co., n.t., disp. att.).
Altre novità riguardano invece la posizione del singolo condomino verso il creditore del condominio:
- nel regime precedente, in giurisprudenza era prevalsa la tesi della parziarietà delle obbligazioni dei
condomini verso il creditore del condominio: “In riferimento alle obbligazioni assunte
dall’amministratore nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi, la responsabilità dei
condomini è retta dal principio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del
condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote” (Cass.,
ss.uu., 08.04.2008, n. 9148).
- la riforma stabilisce una regola importantissima: “i creditori non possono agire nei confronti degli
obbligati in regola coi pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini” (art. 63, comma
2, n.t., disp. att.). Ma che cosa significa? Spiegazione:
In prima battuta, il creditore aggredisce ciascun condomino pro quota (conferma della parziarietà);
poi, per la parte che non riesce a recuperare da uno o più condomini, può tornare da quelli che lo
hanno pagato, e chiedergli il residuo (la cui misura varia secondo i casi): nasce dunque in capo a
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loro una nuova obbligazione, accessoria e sussidiaria: una sorta di responsabilità per
l’inadempimento di altri. Una sorta di garanzia ex lege. Ratio: privilegiare le attese del creditore
insoddisfatto; favor creditoris.
Non si configura invece solidarietà tra i condomini, perché non c’è identità di prestazione (il
condomino solvente viene chiamato, in seconda battuta, solo per il residuo, non per l’intero), né
identità di causa (questa nuova obbligazione trova causa nell’inadempimento di alcuni). (Corona,
Profili della riforma).
Queste norme confermano che l’interesse vero della riforma è proteggere i singoli proprietari
dall’amminisratore e dagli altri condomini morosi.
E’ chiaro che in questo modo si disincentivano i condomini a pagare per primi!
Tenere presente però questa importante pronuncia della Cassazione:
“In tema di condominio negli edifici, la deliberazione di approvazione delle spese, adottata dall'assemblea e
divenuta inoppugnabile, fa sorgere l'obbligo dei condomini di pagare al condominio i contributi dovuti,
rimanendo indipendenti l'obbligazione del singolo partecipante verso il condominio e le vicende delle partite
debitorie del condominio verso i suoi creditori. Ne consegue che il condomino non può ritardare il
pagamento delle rate di spesa, in attesa dell'evolversi delle relazioni contrattuali del condominio, così
riversando sugli altri condomini gli oneri del proprio ritardo nell'adempimento, né può dedurre che il
pagamento sia stato effettuato direttamente al terzo, in quanto ciò altererebbe la gestione complessiva del
condominio, ma deve, adempiere all'obbligazione verso quest'ultimo, salva l'insorgenza, in sede di bilancio
consuntivo, di un credito da rimborso nei confronti della gestione condominiale, ove residuino avanzi di
cassa per mancati esborsi o per la risoluzione dei contratti precedentemente stipulati” (Cass., sez. II,
29.01.2013, n. 2049).
***
AMBITO APPLICATIVO DELLA NOVELLA: IL SUPERCONDOMINIO
La disciplina sul condominio si applica, in quanto compatibile, “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o
più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo
1117” (art. 1117-bis). E l’art. 67 n.t. disp. att. dice che quando i partecipanti sono complessivamente più di
60 ciascun condominio deve nominare un proprio rappresentante all’asemblea del supercondominio.
La riforma ha recepito la definizione di “supercondominio” già elaborata precedentemente dalla
giurisprudenza:
- “Per supercondominio deve intendersi la fattispecie legale che si riferisce ad una pluralità di edifici,
costituiti o meno in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale,
legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali, il viale d'accesso, le zone
verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, etc.) in rapporto
di accessorietà con i fabbricati. Ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né
la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità
immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente,
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in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 1117 c.c.” (Cass.,
sez. II, 14.11.2012, n. 19939);
- “Al pari del condominio negli edifici, anche il cd. supercondominio viene in essere, ipso iure et facto,
senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o d’approvazioni assembleari, sol che singoli
edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati,
attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, pro
quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati” (Cass., sez. II,
17.08.2011, n. 17332).
Dunque, per quanto riguarda il supercondominio, la riforma non ha innovato rispetto alle conclusioni cui la
giurisprudenza era già pervenuta in base alla vecchia normativa.
***
(segue): LA MULTIPROPRIETA’
Fugace accenno alla multiproprietà nell’art. 1117 n.t.: “Sono oggetto di proprità comune dei proprietari
delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico...”.
La multiproprietà è nata dalla pratica, ma non è stata ancora tipizzata dal legislatore.
Ne esistono diverse figure:
A) Multiproprietà immobiliare: Coesistenza di più diritti di proprietà sullo stesso immobile, permessa dal
fatto che il concreto esercizio del diritto è periodico, cosicché il godimento del bene è turnario. Attribuisce
dunque il diritto di godere e disporre del bene limitatamente ad un dato periodo dell’anno, ma in perpetuo.
Varie teorie circa la sua natura giuridica:
- diritto reale su cosa altrui (no!);
- vero e proprio diritto di proprietà (no, proprio per la limitatezza nelle facoltà di godere e disporre
del bene);
- diritto reale atipico (mmm...);
- comunione (è la tesi più seguita, ma pure presenta problemi);
B) Multiproprietà alberghiera:
Una semplice variazione della precedente, caratterizzata dal vincolo di destinazione impresso
sull’immobile.
C) Multiproprietà azionaria:
Qui l’oggetto della proprietà è l’azione, non l’immobile.
A cosa si riferisce la formula della riforma del condominio?
Il Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 69, comma 1, lett. a)) prevede il caso in cui
taluno acquisti “il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di
occupazione”: ma nemmeno questa è una tipizzazione normativa della multiproprietà.
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Certamente la normativa sul condominio non può operare per diritti di carattere personale anziché reale,
ma soltanto per la multiproprietà immobiliare.
In ogni caso, l’estensione della novella alla multiproprietà dev’esser fatta solo una volta vagliato il titolo
negoziale che in concreto ha dato vita alla multiproprietà stessa.
***
CONSIDERAZIONI FINALI SULLA NOVELLA
-
-
-
considerazione di ordine generale: il testo non è stato scritto da tecnici (non c’è stata delega al
Govero), bensì dalle stesse commissioni parlamentari, e dunque da politici;
sebbene in più punti della novella sia prospettata implicitamente o esplicitamente una soggettività
giuridica del condominio (ente di gestione, come è ormai ius receptum), non è stata attribuita la
capacità giuridica al condominio perché – si è detto nella Commissione Giustizia del Senato – ciò
avrebbe costituito un “rischio” per le proprietà individuali, delle quali si sarebbe ridotta
“l’autonomia funzionale ed economica”: le parti in proprietà comune devono restare – ha detto la
Commissione – “meramente strumentali al miglior godimento delle proprietà individuali”; in altri
termini: “meglio la proprietà del mattone che la proprietà dell’azione” (è lo schema dualista che è
stato adottato anche in Francia con la loi 10 julliet 1965, n. 65-557):
o è stata respinta l’ipotesi di configurare il condominio come associazione non riconosciuta
(ratio: si sarebbero riproposte le difficoltà di disciplina che si incontrano per le associazioni
non riconosciute);
è stata mantenuta l’impostazione individualistica e pluralistica di derivazione fascista (R.D. del
1934), che ereditava una concezione “monolitica” e “dogmatica” della proprietà privata;
di conseguenza, i poteri di disposizione restano in esclusiva ai proprietari; quelli di gestione sono
assoggettati al principio di autorità realizzato tramite la decisione della maggioranza;
era stata proposta una generalizzata riduzione dei quorum deliberativi dell’assemblea in ordine alle
innovazioni, ma fu accolta solo per le innovazioni di interesse “sociale” (ratio: garantire e tutelare,
anche qui, i proprietari delle proprietà esclusive);
sono state rafforzate le possibilità dei condomini nell’installazione di apparecchiature a servizio
delle proprietà esclusive;
anche altre previsioni erano state introdotte, come il divieto di tenere condotte contrarie alla
destinazione delle unità di uso esclusivo, il potere del conduttore di opporsi ad attività contrarie
alla destinazione delle unità in proprietà esclusiva o delle parti comuni, ecc., ma non sono state
recepite.
Dunque, la novella non ha inciso per nulla sullo “statuto” della proprietà condominiale così come costruito
nel 1934 e transitato nel Codice civile del 1942 con poche modificazioni.
Le innovazioni più importanti che la novella ha voluto introdurre sono quelle che riguardano:
- maggiori doveri e responsabilità dell’amministratore verso i condomini;
- maggiori diritti dei condomini nel controllo della gestione;
- maggiori poteri dei creditori del condominio verso i condomini.
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Riferimenti bibliografici sulla riforma del condominio: Massimo Basile, Le modifiche al regime condominiale
(legge 220/2012), in Rivista di diritto civile, 2013, 3, 617; Pietro Rescigno, Al confine tra i regimi dei beni e
dei soggetti, in Giurisprudenza italiana, 2013, 7; Vincenzo Carbone, Luci e ombre sulla nuova disciplina del
condominio negli edifici, in Corriere giuridico, 2013, 2, 161; Rafaele Corona, Profili della riforma delle norme
sul condominio, in Giurisprudenza italiana, 2013, 7; Giovanni Di Rosa, Profili ricostruttivi della nuova
disciplina del condominio negli edifici, in Rivista di diritto civile, 2013, 4, 789.
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