Giuria Premio “David Giovani” a.s. 2011-2012 Cagliari - Sassari Regia: Massimo Martelli Sinossi: In un paese della provincia italiana il "Bar Sport" - gestito da Antonio il Barista, detto anche Onassis per la sua tirchieria - è il punto d'incontro di una serie di personaggi emblematici che si ritrovano per scambiare storie di leggende sportive e pettegolezzi: il Tennico, tuttologo che tutto sa e tutti conosce; il playboy che racconta le sue improbabili avventure; le vecchiette dall'aspetto innocuo ma dall'animo perfido; l'inventore in cerca di battere il record del flipper; i giocatori di biliardo in eterna sfida con il 'Bar Moka'; i giocatori di carte impegnati in epiche sfide; i giocatori di calcio balilla; l'innamorato depresso che è diventato un tutt'uno col telefono a gettoni; l'ingenuo Cocosecco; Elvira 'lire tremila', dall'inequivocabile lavoro; il 'cinno', aspirante campione di ciclismo; il vecchietto incollato al televisore; il timido geometra con la moglie appariscente; il professore che dà i voti alle ragazze. E alla cassa c'è la bellissima Clara, di cui tutti sono innamorati anche se lei ha perso la testa per l'affascinante fornaio... Titolo originale: Nazione: Anno: Genere: Durata: Regia: Tratto da: Soggetto e Sceneggiatura: Fotografia: Scenografia: Musiche: Montaggio: Costumi: Effetti: Cast: Produzione: Distribuzione: Data di uscita: Bar Sport Italia 2011 Commedia 93’ Massimo Martelli romanzo omonimo di Stefano Benni (Ed. Feltrinelli) Stefano Benni, Nicola Alvau, Massimo Martelli, Giannandrea Pecorelli Roberto Cimatti Stefano Giambanco Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo Gianandrea Tintori Luigi Bonanno Massimiliano Bianchi, Stefano Marinoni, Visualogie Claudio Bisio, Giuseppe Battiston, Antonio Catania, Angela Finocchiaro, Lunetta Savino, Bob Messini, Vito, Aura Rolenzetti, Antonio Cornacchione, Gianluca Impastato, Alessandro Sampaoli, Roberta Lena, Cristina Ramella, Cristiano Pasca, Daniele Pilli, Ermanno Bonatti, Michael Galluzzi, Antonio d'Ausilio, Michele Caputo, Claudio Amendola, Teo Teocoli Giannandrea Pecorelli per Aurora Film, in Collaborazione con Rai Cinema 01 Distribution 21 ottobre 2011 Recensioni (Filmup.it) Bar Sport Cosa traspare in questo atteso adattamento da Bar Sport di Stefano Benni? Un grandissimo senso di nostalgia. Da questo punto di vista si può dire che il regista Massimo Martelli sia riuscito nel suo intento. Alla nutrita schiera di personaggi, aneddoti e tipi umani corrisponde un autentico campionario di caratteristi del cinema nostrano. Ciascuno degli attori che compongono il cast di Bar Sport è immediatamente identificabile nelle proprie peculiarità fisiche e nelle idiosincrasie del personaggio interpretato. Nell'adattamento il bestiario "provinciale" ma non di provincia di Benni viene alla vita, dunque. Viene da chiedersi se tutto questo sia sufficiente per fare un buon film. La struttura di una delle opere più amate di Benni non viene mutata radicalmente: il Bar Sport resta un contenitore di vicende e personalità più o meno verosimili, più o meno caricaturali. Non c'è una linea narrativa forte a collegare tra loro tutte le piccole storie degli avventori del Bar, e il fugace accenno al passare delle stagioni sembra suggerire una situazione immutabile nel tempo. Suggerimento paradossale, se si considera che il mondo rappresentato è in realtà sparito da tempo con il suo armamentario di trasferte, sidecar, ventilatori a soffitto e telefoni a gettoni. A legare ancora di più le varie parti, "leggibili" anche separatamente, è la voce narrante dello stesso Bisio, che in questo caso si identifica con lo stesso scrittore. Anche se questa operazione è portata avanti con molta onestà e con grande generosità da parte degli interpreti, Bar Sport è un film che essenzialmente nasce già datato. Ci sono dei piccoli guizzi di follia, dovuto ad alcune soluzioni digitali, ma c'è sempre la sensazione che ci sia un po' di paura a voler premere fino in fondo il pedale della follia, e che le situazioni vengano lasciate appena accennate. Molto riusciti invece i due aneddoti di Piva e Pozzi, affidati a due brevi animazioni molto efficaci. Il resto però passa tutto un po' via. In ultima analisi proprio come la Luisona. La frase: "che è... non avete mai visto mangiare una pasta?". a cura di Mauro Corso (MyMovies) ”L'antropologia surreale di Benni per una rimpatriata comica con la data di scadenza” di Edoardo Becattini 1976. In un piccolo paese di provincia vicino Bologna viene inaugurato il Bar Sport. Il gestore, detto Onassis per la sua tirchieria, condivide per l'occasione un paio di bottiglie di lambrusco e qualche pastarella con i vecchi amici del luogo e con il nuovo arrivato Eros, un tuttologo chiacchierone, mentre il povero Bovinelli cerca invano di accendere l'insegna del locale. Dai gelati estivi alla riffa natalizia, l'umanità che popola il Bar Sport si ritrova assieme giorno dopo giorno, fra chiacchiere amene e battute salaci, partite a carte e tornei di boccette, trasferte fuori rotta e aneddoti mitologici. Un anno trascorso in compagnia dello scontroso Muzzi e dell'ingenuo Cocosecco, della procace cassiera Clara e del pedante geometra Buzzi, di un giovanissimo ciclista spericolato e di un nonno dalla tosse catarrosa, di un playboy fanfarone e di due vecchie signore dabbene con volpe al collo anche in piena estate. E della Luisona, la decana delle paste: una bomba di crema pasticcera mai consumata e conservata sotto teca da decadi come un'opera d'arte. L'antropologia da bar è una delle espressioni più significative dell'italica commedia umana. Sempre uguale eppure sempre incredibilmente diversa, la popolazione dei caffè italiani possiede quel fascino meravigliosamente quotidiano che, attraverso personaggi, situazioni e dialoghi facilmente riconoscibili, regala un'ampia visuale del costume nazional-popolare. Su questo luogo "comune", socio-culturale prima ancora che fisico-commerciale, Stefano Benni è riuscito a costruire un fantasioso compendio narrativo che, dagli anni Settanta in cui è stato scritto, rappresenta degnamente ancora oggi il più tipico bestiario da bar. L'impresa di fare della sua struttura rapsodica e frammentata il soggetto per un film si misura, ancor più che in un qualunque adattamento da romanzo, con la necessità di utilizzare un registro virtuoso e iperbolico, capace di creare caricature realistiche ed evocare un susseguirsi di situazioni assieme paradossali e ordinarie. Il Bar Sport di Massimo Martelli riprende spesso alla lettera il trattatello comico di Benni, cercando dove può di sopperire all'immaginazione e al potere della trasfigurazione linguistica col supporto di effetti speciali e di brevi sequenze animate. Bisio, Battiston & co. portano avanti il ruolo che ognuno tiene naturalmente dentro di sé: Bisio è il tuttologo affabulatore, Battiston il timido imbranato, Catania il misantropo brontolone, Cornacchione il dissacratore fulminato, e via dicendo; ognuno adattato dentro a dei pantaloni a zampa e delle camicie a fiori per dare una patina vintage a un'atmosfera che ricorda troppo da vicino una rimpatriata fra comici di Zelig. In questo modo, anziché immaginarsi, alla stregua del "tennico" di Benni, una zuffa allo stesso tavolo fra Zavattini e Calvino o una partita a tressette tra Fellini e i Monty Python, il Bar Sport per immagini si risolve in un cabaret leggero che mette purtroppo in evidenza anziché smussare lo schematismo del trattato di antropologia surreale che ne sta alla base. E, soprattutto, perde la miglior qualità del testo di Benni, ovvero l'universalità, trasformando i suoi caratteri in caratteristi. E facendoli quindi uscire da una sorta di limbo al di sopra del tempo per collocarli dentro alla comicità televisiva degli anni Duemila, dove vezzi e battute non sono come la "Luisona" e portano una data di scadenza. (Movieplayer.it) “Eravamo tanti amici al bar” di Francesca Fiorentino La fedeltà al testo è pressocché totale, ma non mette al riparo il film di Martelli da una lunga serie di pericoli, il primo, il più grave, l'assenza di reali momenti comici. Per fare un Bar Sport ci vogliono tre cose. La prima, un bar. Uno di quelli normali, con il bancone, i tavoli, le sedie, il telefono e via di seguito. Magari, lo si inaugura in una giornata di estate. La seconda, un'insegna che non funzioni; qualcosa che faccia capire che il bar sport è effettivamente quello, ma non troppo chiara, che insomma ti faccia porre qualche domanda. La terza, la più importante, un tecnico, o meglio un tennico, figura mitologica che si evoca (o si automanifesta) ogni qual volta ci sia una discussione, un confronto, un interrogativo da risolvere. Al suo cospetto passa in secondo piano perfino il proprietario del bar, fai conto un Antonio detto Onassis per l'insana tendenza al braccino corto. Stabiliti questi punti cardine, tutti gli altri figuranti vengono da sé. Il playboy da balera e le vecchiette all'arsenico, l'inventore che gioca al flipper e il tutto fare, l'innamorato depresso e il nonnino che sputa, la generosa Elvira e il Cinno, il ragazzo di bottega obbligato ad andare in bici senza mani e, infine, ma non meno importante, il malcapitato che mangia la Luisona, la pasta da bar, quindi ontologicamente decorativa, che una volta ingurgitata si autodisintegra nell'apparato digerente del poveretto. Ci sono voluti tre anni e mezzo per convincere Stefano Benni e per trasformare in film uno dei suoi libri più amati, Bar Sport. Artefice del miracolo, un bolognese purosangue, Massimo Martelli, un passato di documentarista e di autore televisivo brillante. Non fatichiamo a credere quali siano stati gli aspetti che hanno affascinato il regista, coadiuvato in questo coraggioso tentativo da Giannandrea Pecorelli, Nicola Alvau e Michele Pellegrini; sono gli stessi che hanno ammaliato svariate generazioni di lettori, innamorati di quel mondo bislacco e soprattutto delle parole che Benni ha scelto per raccontarlo. Una comicità, la sua, che è tutta nei giochi linguistici, nell'assurdità delle situazioni delineate, nelle immagini evocative, così preziose da spingere il cineasta ad un rispetto e ad una deferenza genuini; tuttavia non possiamo non definire deludente l'intera operazione, che si trasforma purtroppo in una grande occasione sprecata. Compattando un minimo la storia originale, ma rimanendo fedele alla sua struttura rapsodica, Martelli costruisce un film che solo superficialmente riesce a mostrare la magia di quell'universo. Non stiamo parlando dell'annoso tema della fedeltà ad un testo o del suo tradimento; il punto è non appiattire quello che nasce per essere tridimensionale. Il film non rinnega lo spirito di Benni, anzi, ma lo livella, tentando di riproporlo senza averne il guizzo. Del caleidoscopico cosmo dello scrittore bolognese non restano che simpatiche figurine simboliche che, slegate da quel contesto, appaiono fiacche e giù di corda, eroi stravaganti in azione su un palcoscenico vintage. L'opera di Martelli soffre soprattutto per l'assenza di reali momenti comici. L'arguzia che abbonda nel racconto di Benni viene così trattenuta, raffreddata, e privata di quel pizzico di sana nostalgia. Pubblicato nel 1976, il non-romanzo di Benni si gusta ancora oggi con trasporto e affetto grazie a quella strana alchimia che si instaura tra lettore e scrittore e a quel senso di rimpianto per i tempi passati, fortissimo anche in un libro innovativo e 'moderno' per la sua epoca di riferimento. Gli inserti animati dedicati alle favole di Piva e Pozzi, realizzati e diretti da Giuseppe Maurizio Laganà, non bastano da soli a colmare questa lacuna e appaiono slegati dal film. Ci si aspettava qualcosa di più anche dagli attori apparsi nell'insieme un po' stanchi e sottotono. Se Claudio Bisio incarna alla perfezione l'umorismo benniano, di contro Giuseppe Battiston sembra spaesato. Forse sarebbe bastato affidare al primo la voce fuori campo al posto del monocorde Battiston, per avere un cambio di marcia. Con le pause, il colore delle intonazioni, Bisio avrebbe acceso i motti del 'suo' Benni. Bloccati da questa morsa anche Antonio Catania e Antonio Cornacchione che avrebbero potuto sfruttare meglio i rispettivi personaggi Muzzi e Bovinelli. Ricominciamo, allora. Per fare un Bar Sport ci vogliono tre cose... Critiche (Cinematografo) "Il film di Martelli del libro cult di Benni è la gradevole riprova che un certo tipo di umorismo scritto non s'addice alla visualità, come questa storia di varia umanità da bar di provincia dell'Italia anni 70, ben più presentabile di oggi. Le occasioni nostalgiche diventano buffe e viceversa ma le cose migliori sono affidate alla grafica dei cartoon e a qualche sintesi fantozziana, nonostante il carisma globale di un coeso clan di attori di chiara fama e simpatia in cui il padrone, non a caso, è Battiston, ma Teocoli fa ridere." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 21 ottobre 2011) "Sono passati trentacinque anni tondi da quando gli archetipi di varia umanità del libro di Stefano Benni entrarono nell'immaginario degli italiani. Ora hanno delle facce: Giuseppe Battiston è il barista, Claudio Bisio il 'tennico', Teo Teocoli il playboy da bar... Perfino la mitica Luisona, madre di tutte le paste, ha una 'faccia'. (...) Diretto (e cosceneggiato) da Massimo Martelli, 'Bar Sport - Il film' mette in scena un piccolo mondo antico, senza telefonini né globalizzazione, con una certa grazia e con l'ausilio di bravi attori: inevitabilmente, però, finisce per far scattare un effetto-nostalgia generazionale fin troppo diffuso nel nostro Paese. A confrontarlo con altri film comici italiani sugli schermi (vedi 'Ex: amici come prima'), di cui è decisamente migliore, la sensazione del tempo passato si fa vertiginosa. Simpatico, ma un po' polveroso, come le paste del Bar Sport." (Roberto Nepoti, 'Repubblica', 21 ottobre 2011) "Secondo molti fans di Stefano Benni era un'impresa disperata. In realtà, perché no? Portare al cinema 'Bar sport' significava lavorare sui personaggi e trovare un corrispettivo allo stile. Martelli c'è riuscito realizzando alcune parti a disegni animati - i mitici racconti dei Piva e del Pozzi - e il tono del film è quello giusto, anche se forse qualcuno si aspetterà più risate, più comicità e meno surrealismo. Cast di grande livello (bellissimo il cammeo di Teocoli), Battiston perfetto. Altri un po' meno. Bisio forse sta facendo fin troppi film, dopo anni di attesa per sfondare sul grande schermo." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 21 ottobre 2011) "Che delusione. Trasferito sullo schermo, il surreale romanzo di Stefano Benni perde fragranza e umorismo. Nel 'Bar Sport' di Giuseppe Battiston, nel '74 e dintorni s'incrociano tutti gli sfaccendati di Sant'Agata Bolognese guidati dal chiacchierone Claudio Bisio. Un girotondo piuttosto sboccato di personaggi senza smalto, tra estenuanti tormentoni (Cornacchione) e inutili incursioni (Teocoli e Amendola). Si ride poco, mai quando è in scena l'irritante vecchina pettegola Angela Finocchiaro. Peccato." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 21 ottobre 2011) "1976: nasce un cult della narrativa italiana. 2011: 'Bar Sport' approda al cinema, con tinte, toni e tic affidati a Claudio Bisio, il tennico; Giuseppe Battiston alias Onassis, proprietario del Bar, nonché voce narrante; Antonio Catania (Muzzi); Bob Messini (Cocosecco); Antonio Cornacchione ovvero il Bovinelli in perenne lotta elettrica; Teo Teocoli, il fantomatico playboy, mentre spetta a Claudio Amendola il fantasmagorico tête-à-tête con la vera protagonista: la mitica, stantia brioche Luisona. Mal servito da inconsulti inserti animati, Massimo Martelli fa di regia filologico compitino, quando tradire sarebbe l'unica via per rimanere fedeli a Stefano Benni. Viceversa, complice 'l'onniscienza' del narratore Battiston, 'Bar Sport' fa una professione di fede nell'originale così ortodossa da risultare bacchettona e, in definitiva, miscredente: il confronto con la magia della parola, le capriole stilistiche e poetiche su carta, è perso per KO 'tennico'. Da Onassis alle vecchiette Savino e Finocchiaro, è mera parafrasi, che colleziona calchi poco divertenti." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 20 ottobre 2011) Note Regia Animazione: Giuseppe Laganà Suono: Marco Fiumara Canzoni: "Lady Marmalade" (Patty Labelle); "Piccola Katy" (Pooh); "Scherzo and Trio" (Penguin Cafe Orchestra); "Liscio 70" (Raul Casadei); "The Passanger" (Iggy Pop); "Never Can Say Goodbye" (Gloria Gaynor).