parte settima i beni pubblici e la disciplina della proprietà privata

Parte Settima
I beni pubblici e la disciplina
della proprietà privata.
L’espropriazione per pubblica utilità
116 Quali sono le tipologie di bene pubblico presenti nel nostro ordinamento?
I beni pubblici si distinguono in:
a) beni demaniali;
b) beni patrimoniali indisponibili.
La distinzione è data da un criterio meramente formale, atteso che
l’inclusione nell’una o nell’altra categoria dipende esclusivamente dalla
definizione legislativa: appartengono al demanio pubblico tutti quei
beni elencati nell’art. 822 c.c., mentre costituiscono beni pubblici patrimoniali indisponibili quelle categorie di beni individuate dall’art. 826 c.c.
L’inclusione nell’una o nell’altra categoria, come riconosciuto anche in
dottrina, non è basata su reali fondamenti sostanziali o dogmatici, ma
dipende unicamente da scelte politico-legislative, collegate a ragioni storiche e di convenienza pratica (SANDULLI). La maggiore o minore importanza dell’interesse pubblico da soddisfare implica la qualificazione
del bene come demaniale o patrimoniale indisponibile, considerando
che la demanialità è diretta a garantire gli interessi più rilevanti (PERFETTI), in quanto posti a servizio delle collettività rappresentate dagli enti territoriali.
117 Quali caratteristiche accomunano tutti i beni
demaniali?
I beni demaniali sono sempre solo beni immobili o universalità di
beni mobili (nel caso del demanio eventuale), appartenenti ad enti pubblici territoriali e cioè allo Stato, alle Regioni, alle Province o ai Comuni.
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Detti beni presentano le seguenti caratteristiche:
— sono inalienabili: qualsiasi atto di trasferimento è nullo (art. 823
c.c.), salvo che siano trasferiti dal demanio di un ente pubblico territoriale ad un altro ente pubblico territoriale, a condizione che la
loro appartenenza a un ente specifico non abbia carattere di stretta
necessità e il trasferimento non pregiudichi la demanialità dei beni;
— non sono suscettibili di acquisto a titolo originario per usucapione da parte di altri soggetti, in quanto non possono formare oggetto di diritti di terzi, se non nei modi e limiti stabiliti dalle leggi che
li riguardano (artt. 823 e 1145 c.c.);
— il diritto di proprietà «pubblica» dell’ente è imprescrittibile;
— sono insuscettibili di espropriazione forzata nonché di quella per
pubblica utilità: l’art. 4 del D.P.R. 327/2001 stabilisce, infatti, che i
beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione;
— sono impignorabili, in quanto insuscettibili di espropriazione forzata.
La demanialità del bene si estende anche alle sue pertinenze, cioè alle cose destinate
durevolmente a ornamento o servizio del bene (es.: case cantoniere lungo le strade statali) e alle servitù costituite a favore del bene demaniale.
118 In quali categorie si distinguono i beni patrimoniali indisponibili?
I beni patrimoniali indisponibili sono beni pubblici, mobili ed immobili, che possono appartenere (tranne alcuni, che la legge riserva allo
Stato o ad altri enti) a qualsiasi ente pubblico.
La dottrina (SANDULLI, QUARANTA) distingue tali beni in:
— indisponibili per natura: beni che devono necessariamente appartenere allo Stato o a una Regione e non possono appartenere a
privati (ad es.: miniere, acque minerali e termali, cave e torbiere).
Tali beni acquistano la loro qualità venendo ad esistenza e la perdono col venir meno del bene (es.: l’esaurimento della miniera);
— indisponibili perché appartenenti ad un ente pubblico: si
tratta di beni che sono patrimonialmente indisponibili solo se appartengono ad un ente pubblico (ad es: foreste, aree destinate all’edilizia economica e popolare (SANDULLI), cose mobili di interesse
Beni pubblici, proprietà privata ed espropriazione per pubblica utilità
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storico, artistico, archeologico ed etnologico, documenti pubblici). Tali beni acquistano tale qualità per effetto dell’acquisto in proprietà da parte dell’ente pubblico e la perdono mediante l’atto che
li trasferisce a terzi;
— appartenenti allo Stato ed indisponibili per destinazione: si
tratta di beni di proprietà statale che diventano indisponibili a causa della specifica destinazione loro impressa (ad es.: i beni che costituiscono la dotazione del Presidente della Repubblica, i beni
non demaniali destinati alla difesa a al servizio delle forze armate
(caserme, polveriere, armamenti). Tali beni acquistano la loro qualità attraverso uno specifico atto di destinazione, mentre la perdono
a causa di un atto che ne muti la destinazione o ne trasferisca l’appartenenza (BELLOMO);
— appartenenti ad altri enti pubblici ed indisponibili per destinazione: si tratta di beni che sono patrimonialmente indisponibili in quanto di proprietà di un ente pubblico e destinati ad uno specifico servizio pubblico (ad es.: sedi e arredi degli uffici, materiale
ferroviario, mezzi di trasporto adibiti a pubblici servizi, impianti ed arredi di imprese di diritto pubblico). Per quanto attiene all’acquisto e alla perdita della loro qualità, si verificano le stesse ipotesi
previste per gli altri beni indisponibili per destinazione.
119 In che modo i privati possono utilizzare i beni
pubblici?
I privati sono ammessi all’uso dei beni pubblici secondo diverse modalità legate alla specifica tipologia di bene, ad eccezione di quei beni
che sono riservati all’uso esclusivo (o diretto) della P.A., quando, cioè,
gli stessi sono strumentali al perseguimento di fini istituzionali (ad es.:
strade o zone militari e tutti gli altri beni del demanio militare tramite i
quali lo Stato provvede alla difesa nazionale).
Per gli altri beni pubblici, si distingue tra:
— uso generale (o libera utilizzazione) da parte di chiunque (es.: mare,
spiagge, strade pubbliche). Tale utilizzazione aperta genericamente alla collettività è espressione dell’esercizio dei cd. diritti civici, spettanti sia ai cittadini che agli stranieri. In tal caso l’interesse pubblico
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Parte Settima
è conseguito tramite il godimento dei beni da parte della collettività. La generalità dell’uso non esclude, comunque, che talvolta lo
stesso sia subordinato al pagamento di diritti o tasse (es.: il pedaggio delle autostrade).
— uso particolare da parte di determinati soggetti. In questo caso
l’interesse pubblico è conseguito attraverso l’uso riservato solo a determinati soggetti (anche pubblici), che può derivare: dalla legge; da
un atto amministrativo di concessione; da una concessione-contratto; da un contratto di diritto privato (preceduto pur sempre da un
provvedimento amministrativo che autorizza tale utilizzazione del bene).
120 Quali sono le caratteristiche di un bene patrimoniale disponibile?
Rientrano nel patrimonio disponibile dello Stato e degli altri enti
pubblici tutti i beni ad essi appartenenti diversi da quelli demaniali e da
quelli patrimoniali indisponibili.
I beni patrimoniali disponibili non sono beni pubblici in senso stretto,
bensì soltanto beni di proprietà di un ente pubblico (sarebbero
solo soggettivamente pubblici, in quanto appartenenti ad un ente pubblico: CARINGELLA). Generalmente si tratta di beni produttivi di reddito per l’ente.
Tali beni si distinguono, tradizionalmente, in quattro categorie:
— beni corporali: in genere beni immobili;
— beni incorporali: ad esempio, diritti reali su cose altrui e diritti di
credito;
— titoli di credito: titoli dello Stato, azioni etc.;
— denaro che l’ente incassa, a qualsiasi titolo. Deve trattarsi di denaro privo di specifica destinazione, in quanto laddove fosse vincolato ad un fine, per provvedimento o per volontà del legislatore, sarebbe da qualificare come bene patrimoniale indisponibile.
I beni patrimoniali disponibili sono beni di proprietà privata dell’ente e,
come tali, sono soggetti alle comuni regole del diritto privato, eccettuata
l’alienazione che deve sempre avvenire nelle forme del diritto pubblico.
Beni pubblici, proprietà privata ed espropriazione per pubblica utilità
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121 Quali sono le principali categorie di diritti demaniali su beni altrui?
Le principali categorie di diritti demaniali su beni altrui sono:
a) le servitù prediali pubbliche, che attribuiscono all’ente un potere diretto sulla cosa altrui, consistendo in una limitazione imposta
al godimento di un bene privato per l’utilità del bene pubblico. Esse
possono sorgere: per legge (e non presuppone alcuna indennità),
per atto amministrativo (di imperio, ed è dovuta l’indennità ex art.
42, 3 comma, Cost.), per convenzione con il privato, per atto di
liberalità del privato e per usucapione da parte dell’ente.
A loro volta si distinguono in:
— servitù di via alzaia: per cui i proprietari di fondi laterali ai corsi d’acqua devono permettere, su adeguate strisce di terra, in riva al fiume, il passaggio di uomini, animali etc. (sono dette anche «servitù di marciapiede»: SANDULLI). Tale godimento a favore della generalità degli utenti ha durata tendenzialmente illimitata, potendo cessare solo a seguito di un provvedimento di sdemanializzazione (BELLOMO);
— servitù di scarico per i fondi prossimi ai laghi;
— servitù di scolo delle acque stradali sui terreni sottostanti;
— servitù di soprapassaggio a favore di ponti cavalcavia, viadotti sui fiumi e corsi d’acqua, terreni e strade private.
b) i diritti di uso pubblico (servitù di uso pubblico): sono quelle servitù costituite a carico di fondi privati per il conseguimento di fini
di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni demaniali. In tali servitù manca un fondo dominante, perché non sono
costituite a vantaggio di un fondo demaniale, bensì della collettività.
Rientrano nei diritti di uso pubblico:
— le strade vicinali, cioè quelle non di proprietà del Comune, ma soggette a pubblico
transito da parte della collettività. Una servitù di uso pubblico su una strada privata
può sorgere anche per effetto della «dicatio ad patriam», che consiste nel porre volontariamente il bene a disposizione della collettività, nel cui caso la servitù si perfeziona con l’inizio dell’uso;
— le aree private aperte al pubblico transito: per esse il Comune è obbligato a concorrere alle spese di manutenzione;
— i musei, le pinacoteche e gli archivi di proprietà privata.
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122 Come si caratterizzano gli atti ablativi?
Il potere ablatorio è quel potere attraverso il quale la pubblica amministrazione per un vantaggio della collettività sacrifica un interesse ad
un bene della vita di un privato cittadino (GIANNINI).
Le forme e l’intensità del sacrificio imposto variano in relazione ai diversi provvedimenti: esso può consistere nella semplice limitazione di
una facoltà (es.: divieto di transitare su di una strada), nell’imposizione
di un obbligo (es.: servizio militare) o, ancora, nell’estinzione di un diritto del privato (es.: espropriazione).
Da ciò si desume che trattasi di una categoria eterogenea di provvedimenti sia sotto il profilo funzionale che strutturale:
— a livello funzionale, i provvedimenti ablatori (o ablativi) hanno tutti sempre un effetto privativo di una facoltà o diritto facente capo
al destinatario del provvedimento. Alcuni di essi, poi, possono anche avere un effetto acquisitivo di una facoltà o diritto a favore di un
beneficiario (espropriante);
— a livello strutturale, fra le varie classificazioni possibili, la dottrina
prevalente utilizza quella basata sulla natura della situazione soggettiva sacrificata: atti personali (incidono su diritto personale, come
gli ordini di polizia); atti obbligatori (incidono su rapporti di obbligazione, come le imposizioni tributarie); atti reali (incidono su diritti reali come l’espropriazione).
123 Quali principi regolano l’adozione degli atti
ablativi reali?
Gli atti ablatori (o ablativi) reali, possono definirsi come quei provvedimenti mediante i quali la P.A. priva il titolare di un determinato diritto reale, estinguendolo o trasferendolo coattivamente ad altro soggetto oppure limitandolo. Essi sono provvedimenti che incidono sfavorevolmente sui diritti.
Dall’art. 42, comma 3, Cost. si evince che alla categoria dei provvedimenti ablatori reali si applicano i seguenti principi:
a) principio della riserva di legge, in quanto solo una legge può
riconoscere alla P.A., caso per caso, il potere di sottrarre il bene al
privato, fissando limiti, oggetto e condizioni dell’atto ablativo;
Beni pubblici, proprietà privata ed espropriazione per pubblica utilità
115
b) obbligo di indennizzo, in quanto in tutte le ipotesi di appropriazione di un bene o di una facoltà da parte dell’amministrazione è
dovuta al proprietario un’indennità, che si configura quale presupposto di legittimità dell’atto ablativo (ma non nei casi di provvedimenti similari alle ablazioni, ma che presentano finalità sanzionatorie, organizzative o volte a realizzare una funzione sociale);
c) la necessità di motivi di interesse generale, cioè pubblico, a fondamento dell’atto ablativo.
124 Quali sono gli atti ablativi presenti nel nostro
ordinamento?
Rientrano nella categoria degli atti ablativi:
a) l’espropriazione per pubblica utilità;
b) la requisizione in proprietà, provvedimento ablativo eccezionale e necessitato, avente ad oggetto solo i beni mobili indicati dalla
legge, che ha luogo, di regola solo in tempo di guerra o in tempo
di pace, per esigenze di carattere militare;
c) la confisca;
d) il sequestro amministrativo, differisce dalla confisca in quanto
comporta una indisponibilità temporanea del bene alla quale non
corrisponde un effetto ablativo della titolarità del bene per il destinatario del provvedimento. Mentre la confisca è una conseguenza
dell’illecito, ed è accessoria ad altra sanzione amministrativa principale, il sequestro è atto prettamente cautelare, adottato in via
preventiva, per salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità di un bene (CASETTA);
e) avocazione di cave e torbiere da parte delle Regioni;
f) la prelazione a favore dello Stato del materiale archivistico o delle
cose artistiche che i privati intendano vendere;
g) i trasferimenti autoritativi di strade e altri beni di enti pubblici a
favore dello Stato o di altri enti pubblici.
Inoltre, vanno menzionati i provvedimenti che privano parzialmente del godimento di un
bene, nel senso che espropriano invece della proprietà, la servitù esistente a favore di un
fondo o costituiscono su di un fondo delle servitù, limitazioni, o diritti di uso pubblico:
— servitù di elettrodotto;
— servitù di passaggio;
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— servitù di appoggio di fili telegrafici e cassette postali;
— diritto di uso pubblico a favore delle comunità di visitare le collezioni private di
eccezionale interesse storico o artistico.
125 Cosa si intende per «espropriazione per pubblica utilità»?
Ai sensi dell’art. 834 c.c., l’espropriazione per pubblica utilità è un
istituto di diritto pubblico attraverso il quale un soggetto (espropriato),
previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato,
in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà, per
una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata.
Il potere pubblico di “aggredire” beni oggetto di proprietà privata, per
ragioni di pubblica utilità, è specificamente ammesso dall’art. 42, 3°
comma, Cost., a norma del quale la «proprietà privata può essere, nei
casi preveduti espressamente dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale». La disposizione citata, fondamento normativo di tutti gli atti ablativi reali in genere, e dell’espropriazione in particolare, è diretto corollario del più generale principio
della funzione sociale della proprietà.
L’espropriazione per pubblica utilità trova una completa disciplina nel
D.P.R. 327/2001.
126 Come viene determinato l’indennizzo?
L’indennizzo consiste in un intervento riparatore economico a
parziale compensazione del sacrificio imposto al privato, non necessariamente commisurato alla effettiva entità del danno sopportato
dall’avente diritto, ma agganciato a parametri prestabiliti per legge o
per contratto. Esso si pone come presupposto di legittimità dell’atto
espropriativo ed ha fondamento nella Costituzione.
L’indennizzo deve essere:
— unico: cioè pagato solo al proprietario o all’enfiteuta se il fondo è gravato da enfiteusi. Nel caso in cui si espropri, invece, solamente un diritto reale altrui, l’indennizzo va pagato al titolare di tale diritto;
— giusto, secondo il dettato dell’art. 834 c.c. (termine non riportato nell’art. 42 della
Costituzione), in conformità ad una esigenza di giustizia sostanziale. Qualunque sia
Beni pubblici, proprietà privata ed espropriazione per pubblica utilità
117
la natura dell’indennizzo, non vi è dubbio che attraverso la sua previsione si sia voluta attuare una sorta di ripristino (almeno parziale) dell’equilibrio patrimoniale alterato a danno del privato, sia pure per motivi legittimi rappresentati dal raggiungimento di una finalità pubblicistica. Pertanto, l’indennizzo deve essere serio, congruo
(cioè non simbolico, né aleatorio) ed adeguato.
Relativamente ai criteri per la determinazione e la quantificazione dell’indennizzo, il D.P.R. 327/2001 prevedeva in origine:
— per le aree edificabili, il criterio della semi-somma del valore venale e del reddito netto rivalutato e moltiplicato per dieci, diminuita
del quaranta per cento in caso di rifiuto, non addebitabile alla P.A.,
di cessione volontaria del bene (art. 37);
— per le aree non edificabili, il criterio del valore agricolo, per le
aree coltivate, mentre, per le aree non coltivate, l’indennizzo viene
rapportato al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalentemente praticata nella zona e ai manufatti edilizi legalmente realizzati (art. 40);
— per le aree legittimamente edificate, quello del valore venale del
bene (art. 38);
— per le aree destinate ad opere private di pubblica utilità,
quello del valore venale del bene, tranne nelle ipotesi di opere che
rientrino nell’ambito della edilizia residenziale pubblica, convenzionata e agevolata (art. 36).
Il sistema di calcolo dell’indennizzo così delineato è stato poi modificato a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza
n. 348/2007 che ha statuito l’incompatibilità della disciplina dell’indennizzo di cui all’art. 5bis D.L. 333/1992, conv. in L. 359/1992 con
l’art. 1 del primo Protocollo allegato alla CEDU (che tutela la proprietà), così come interpretato dalla Corte dei diritti dell’uomo, pronunciando così l’incostituzionalità della richiamata normativa per contrasto con
l’art. 117, comma 1, Cost. A fondamento della propria tesi, il Giudice
delle Leggi ha stabilito che l’indennizzo non può ritenersi legittimo se
non consiste in una somma che si ponga in rapporto ragionevole con
il valore del bene. La Corte, pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 37 D.P.R. 327/2001, che richiamavano l’art. 5bis citato.
Il legislatore ha dovuto prendere atto di questa fondamentale pronuncia e, con la L. 244/2007 (finanziaria per il 2008), ha introdotto un
nuovo sistema di calcolo per le aree edificabili.
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Parte Settima
All’art. 37 del T.U. espropriazioni, i commi 1 e 2 sono, quindi, sostituiti dai seguenti:
«1.L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata
nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento.
2. Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso
non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in
via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento».
Per le altre categorie di aree, rimane in vigore la disciplina del
T.U. sopra esaminata.
127 Qual è la differenza tra occupazione appropriativa e occupazione usurpativa?
Strettamente legate ad aspetti patologici dell’espropriazione, ma comunque riconducibili al genus dell’espropriazione sostanziale quanto
agli effetti prodotti (la perdita della proprietà per il privato), sono le ipotesi in cui l’amministrazione realizzi un’opera pubblica su un
suolo illegittimamente occupato.
Con l’importante pronuncia del 26 febbraio 1983, n. 1464, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, per la prima volta, configurato l’istituto dell’occupazione appropriativa (o acquisitiva) risolvendo de facto il suddetto problema.
In particolare, tale istituto comporta che qualora l’occupazione di un
suolo da parte della P.A. sia illegittima — perché la procedura espropriativa, benché avviata, difetta del decreto di esproprio ovvero per difetto originario del provvedimento di occupazione — l’edificazione sul
fondo stesso di un’opera pubblica che importi una trasformazione così
radicale da provocare la perdita, in via irreversibile, dei caratteri e della destinazione propria del fondo, determina l’acquisto a titolo originario della proprietà del suolo occupato senza titolo, secondo i principi tipici dell’accessione.
Beni pubblici, proprietà privata ed espropriazione per pubblica utilità
119
In definitiva, la giurisprudenza ha creato un nuovo modo di acquisto della proprietà da parte della P.A. che ha assunto la denominazione di occupazione appropriativa (o acquisitiva) o, meglio, accessione invertita, perché opera in senso inverso a
quello della comune accessione disciplinata dal codice civile (artt. 934-938).
L’occupazione, invece, si definisce usurpativa quando la P.A. occupa un suolo di proprietà privata per realizzare un’opera di pubblica utilità, ma in modo assolutamente illegittimo, ossia in assenza di un titolo legittimante.
Evidente è la differenza tra i due tipi di occupazione. Come sottolineato sia dalla Corte costituzionale con la decisione n. 191 dell’11-52006 che dalla dottrina, dalla diversa natura dell’occupazione discendono conseguenze diverse sul piano della tutela del privato. Mentre
nel caso dell’occupazione appropriativa, con l’irreversibile trasformazione del fondo, avvenuta nell’ambito di un procedimento in cui la
P.A. ha riconosciuto la pubblica utilità dell’opera, si realizza l’effetto
traslativo del diritto di proprietà e il proprietario del fondo non può
che chiedere la tutela per equivalente, nell’ipotesi dell’occupazione usurpativa, mancando il riconoscimento della pubblica utilità
dell’opera, la P.A. pone in essere «un’attività materiale integrante un illecito extracontrattuale permanente» (GAROFOLI) e non si verifica alcun effetto traslativo della proprietà: il privato, quindi, ha la facoltà
di scelta tra l’esperimento di azioni (petitorie e possessorie)
a tutela del suo diritto dominicale oppure la proposizione del
rimedio risarcitorio. In tale ipotesi, ricorrendo un comportamento
materiale della P.A. non riconducibile, neppure in via mediata e indiretta, all’esercizio di un pubblico potere, la giurisdizione spetta al giudice ordinario (Cass., SS.UU., 23-3-2009, n. 6956).
128 È possibile parlare ancora, nel nostro ordinamento, di «acquisizione sanante»?
Con l’approvazione del Testo unico espropriazioni, il legislatore è intervenuto a colmare una lacuna dell’ordinamento ed ha disciplinato
l’ipotesi dell’utilizzazione di un immobile sine titulo per scopi di
interesse pubblico, e precisamente di un bene «modificato in assenza
del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità» (art. 43 D.P.R. 327/2001).
120
Parte Settima
Con l’atto di acquisizione del bene, che viene trascritto nei registri
immobiliari, al patrimonio indisponibile della P.A. viene, nella sostanza, «legalizzata l’espropriazione sostanziale effettuata in mancanza di
un titolo ablativo» (GAROFOLI), fermo restando il diritto del proprietario al risarcimento del danno.
Elementi indispensabili per l’applicazione dell’art. 43 D.P.R., pertanto, sono:
— l’assenza, ab origine o a seguito di annullamento, di un valido ed
efficace titolo (provvedimento di esproprio o dichiarazione di pubblica utilità);
— l’utilizzazione di un bene immobile per finalità di pubblico interesse;
— la modifica del bene, non essendo più necessaria la sua irreversibile trasformazione.
Con sentenza n. 293 dell’8 ottobre 2010, la Corte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.
43 citato. Secondo i giudici della Consulta, infatti, tale articolo appare connotato da un eccesso di delega, ponendosi, pertanto, in contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
La legge delega in questione era costituita dalla L. 50/1999, che aveva delegato al legislatore il potere di provvedere al riordino delle norme in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità e di procedure connesse, contenute nelle LL. 2395/1865 e
865/1971.
Nella redazione del testo delegato, emanato poi nella veste del D.P.R. 327/2001, il legislatore avrebbe dovuto procedere alla puntuale indicazione delle norme abrogate; al
coordinamento “formale” del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei
limiti di tale coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e
sistematica della normativa nonché, infine, indicare quali disposizioni venivano esplicitamente abrogate e quali no. Con riferimento al secondo dei profili citati, in particolare, la
Corte ha ravvisato l’esistenza di eccesso di delega, dal momento che l’istituto disciplinato poi dall’art. 43 T.U. espropriazioni appare caratterizzato da molteplici profili innovativi, sia riguardo alla normativa di delega stessa che con riferimento alla elaborazione
giurisprudenziale.
Venuto meno l’art. 43 D.P.R. 327/2001 e, con esso, l’istituto della acquisizione sanante, nell’ordinamento si è venuta a creare una lacuna
normativa alla quale la giurisprudenza sta cercando, attraverso varie
ed innovative pronunce, di porre rimedio mediante la ricerca degli istituti applicabili in luogo dell’acquisizione medesima. Occorre premettere,
tuttavia, che sul punto ancora non si ravvisa una univocità di vedute.
Parte Ottava
I contratti della
Pubblica Amministrazione
129 La pubblica amministrazione, nel perseguimento dei suoi fini, può porre in essere atti di natura privatistica?
Sì. Usualmente la P.A. svolge la propria attività amministrativa mediante provvedimenti, con i quali essa agisce nei confronti dei cittadini –
utenti esplicando quel potere autoritativo che la pone in una posizione di supremazia rispetto alla collettività.
Tale modalità di svolgimento dell’attività amministrativa non è però
esclusiva. Ed infatti, sempre nel rispetto dei principi fissati dall’art. 97
Cost., la P.A. ha la possibilità di utilizzare strumenti di diritto
privato, tra i quali i contratti, che realizzano un sistema più agile e
veloce per la cura concreta degli interessi pubblici.
I contratti si differenziano dai provvedimenti amministrativi perché con
essi la pubblica amministrazione agisce ponendosi su un piano di parità giuridica rispetto al soggetto contraente.
L’art. 1, comma 1bis, della L. 241/1990, prevede che «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa,
agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga
diversamente»: dalla lettera della disposizione non sorgono dubbi sul
fatto che il legislatore ha inteso formalizzare una piena e generale
capacità di diritto privato dell’amministrazione (C.d.S., sez. VI,
12-3-1990, n. 374).
130 Che differenza c’è tra attività contrattuale ed
attività consensuale della P.A.?
Quando si parla di attività consensuale della pubblica amministrazione si intende fare riferimento a quei moduli convenzionali di eser-
122
Parte Ottava
cizio dell’attività amministrativa, mediante i quali la P.A., esercita
il proprio potere amministrativo, non in via autoritativa ed unilaterale,
ma ricercando il consenso del privato destinatario del provvedimento
finale: si tratta di attività tesa alla condivisione del contenuto del provvedimento da adottare, che poi viene formalmente trasfusa in specifici
«accordi» (artt. 11 e 15 della L. 241/1990).
Se da un punto di vista formale, può dirsi che nell’ambito dell’ampio
genus dell’attività amministrativa consensuale possono includersi sia
moduli contrattual-privatistici che gli accordi, in quanto entrambi risultato dell’incontro delle volontà della P.A. e del privato, in realtà la differenza tra tali modalità di azione è di non poco conto.
Ed invero, mentre nei contratti di diritto comune, la pubblica amministrazione, pur nel perseguimento del pubblico interesse, agisce su di
un piano di parità con il contraente, quindi jure privatorum, in caso
di accordi, il soggetto pubblico non si spoglia del suo potere amministrativo ma opta per l’esercizio consensuale dello stesso.
131 Come possono essere classificati i contratti
della P.A.?
Lo strumento utilizzato dalla P.A. per la realizzazione della sua attività di diritto privato è il contratto. I contratti della P.A. possono così
distinguersi:
a) contratti ordinari. Sono i cosiddetti contratti di diritto comune caratteristici dell’autonomia privata (es.: vendita, locazione, contratto di appalto). Essi non presentano alcuna particolarità rispetto agli
schemi contrattuali utilizzati dai soggetti privati;
b) contratti speciali di diritto privato. Sono tali quei contratti regolati da norme di diritto privato speciale (es.: i contratti di trasporto
ferroviario). La loro peculiarità risiede, perciò, nel fatto di essere regolati da norme civilistiche di specie rispetto a quelle del codice civile;
c) contratti ad oggetto pubblico. Si caratterizzano per l’incontro e
la commistione tra provvedimento amministrativo e contratto in relazione a materie di carattere (ed interesse) pubblicistico (es.: le convenzioni che si accompagnano alla concessione di un bene pubblico).
Inoltre, quando si parla di attività contrattuale della pubblica amministrazione, un’altra importante distinzione è quella basata sulla dicotomia contratti passivi - contratti attivi:
I contratti della Pubblica Amministrazione
123
i primi sono quelli con cui la P.A. si procura beni e servizi necessari al proprio funzionamento dietro erogazione di somme di denaro (es.: gli appalti, la compravendita, la locazione, il contratto d’opera ecc.); con i secondi, invece, l’amministrazione si
procura delle entrate finanziarie (es.: la compravendita, nel caso in cui la P.A. riveste il ruolo di venditore, la locazione quando il soggetto pubblico è locatore ecc.).
132 Quali sono i principi generali che devono sovrintendere l’affidamento dei contratti pubblici?
Con il D.Lgs. 12-4-2006, n. 163, recante il Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, il legislatore ha dettato una disciplina completa ed unitaria dell’intera procedura che l’amministrazione deve seguire per addivenire alla conclusione di un contratto.
In particolare, l’art. 2 del Codice detta una serie di principi generali, comuni a tutti i contratti pubblici, applicabili indistintamente, a prescindere dalla specifica tipologia, e che devono essere rispettati nelle
procedure di affidamento.
L’elencazione legislativa, da una parte, stabilisce che deve essere garantita la qualità delle prestazioni ed il rispetto dei principi di
economicità, efficacia, tempestività e correttezza, con evidente
richiamo all’art. 97 Cost., e dall’altra, pone l’accento sulla necessità di
procedere all’affidamento nel rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, tutti di matrice europeistica.
Oltre ai principi specificamente individuati al comma 1, l’art. 2, ai successivi commi 3 e 4, contiene due importanti richiami, che operano nei limiti di quanto «non espressamente previsto nel presente Codice»: al rispetto
delle disposizioni di cui alla legge sul procedimento amministrativo, L.
241/1990, per ciò che attiene le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in tema di contratti pubblici, e ai principi fissati nel codice civile, relativamente all’attività contrattuale dei soggetti appaltanti.
133 Che si intende per «amministrazioni aggiudicatrici»?
L’art. 3, al comma 25, Codice dei contratti stabilisce che i contratti debbano essere affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici, con tale
124
Parte Ottava
espressione intendendosi «le amministrazioni dello Stato; gli enti
pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli
organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».
Particolare interesse suscita la figura dell’organismo di diritto pubblico che, in quanto nozione autonoma del diritto dell’Unione, è sostanzialmente estranea alla nostra tradizione giuridica. L’art. 3, comma
26, del Codice prevede tre condizioni - che devono ricorrere cumulativamente secondo la interpretazione data dal giudice europeo - affinchè ricorra tale figura, e precisamente:
1) che l’organismo (anche in forma societaria) venga istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
2) che sia dotato di personalità giuridica;
3) che la sua attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi
oppure il cui organo di amministrazione o di vigilanza sia costituito
da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti
pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (cfr. Cass.,
SS.UU., 7-4-2010, n. 8225).
134 Qual è l’ambito oggettivo di applicazione del
Codice dei contratti?
Il Codice dei contratti regola prevalentemente i contratti pubblici cd.
passivi, e nell’ambito di tale tipologia contrattuale, particolare importanza è rivestita dagli appalti pubblici, per i quali il legislatore detta una
disciplina specifica soprattutto per quanto attiene alle modalità di scelta del contraente.
In particolare, al comma 3 dell’art. 3, il legislatore ha specificato che «i
«contratti» o i «contratti pubblici» sono i contratti di appalto o
di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di
forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere
dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori».
I contratti della Pubblica Amministrazione
125
Ai successivi commi 6, 11 e 12 vengono, rispettivamente, fornite le
definizioni dell’appalto e della concessione (di lavori pubblici e di servizi) utili a delimitare, con maggiore precisione, la portata applicativa del
D.Lgs. 163/2006:
— l’appalto è un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto
tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi.
Specificamente, il contratto di appalto può avere ad oggetto:
1. lavori: comprendente l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e
l’esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la
progettazione esecutiva e l’esecuzione (art. 53), oppure, limitatamente alle per infrastrutture strategiche l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle
esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del
progetto preliminare o definitivo posto a base di gara (art. 176);
2. servizi: aventi ad oggetto la prestazione dei servizi individuati dal legislatore;
3. forniture: aventi ad oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti;
— le concessioni di lavori pubblici, invece, vengono definite come
«contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad
oggetto, in conformità al presente Codice, l’esecuzione, ovvero la
progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o
di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente
collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad
eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo»;
— le concessioni di servizi che, pur presentando le medesime caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, vengono dal legislatore definite a contrario, differenziandole da quest’ultimo per la loro
peculiarità di avere come corrispettivo della fornitura di servizi
unicamente il diritto di gestire i servizi ovvero tale diritto accompagnato da un prezzo.
126
Parte Ottava
135 Che differenza c’è tra concessione ed appalto?
Partendo dalle definizioni di cui all’art. 3 del Codice, si ricava chiaramente che ciò che caratterizza la concessione (sia di lavori che di servizi), differenziandola dall’appalto, è la circostanza che il corrispettivo dei lavori o della fornitura dei servizi è dato esclusivamente dal
diritto di gestire l’opera o il servizio ovvero dallo stesso diritto
accompagnato da un prezzo.
Il concessionario, quindi, non viene mai remunerato direttamente dalla pubblica amministrazione, come accade per l’appaltatore, ma riceve
esclusivamente i proventi derivanti dalla gestione dell’opera o del
servizio (canoni pagati dall’utenza). Su un piano pratico, ciò significa
che, mentre l’appalto crea un rapporto bilaterale esclusivamente
tra il soggetto appaltante e quello aggiudicatario, nella concessione si
ha un rapporto trilatero, che investe anche gli utenti che fruiscono
del servizio.
Diverso è quindi il cd. rischio di gestione (GAROFOLI-FERRARI), che
nel caso della concessione grava esclusivamente sul gestore del servizio
(cfr: T.A.R. Molise, 2-7-2008, n. 677).
136 Come è strutturato il procedimento di evidenza
pubblica?
Per poter addivenire alla stipula di un contratto è necessario che la pubblica amministrazione segua una determinata e specifica procedura, definita da regole di ordine pubblico che non possono essere derogate dalle parti, con la quale renda evidenti le ragioni che la inducono a stipulare proprio con un determinato soggetto: la cd. evidenza pubblica.
Dagli artt. 11 e 12 del Codice sono evincibili, schematicamente, le seguenti fasi:
1. la cd. deliberazione a contrarre: la realizzazione di qualsiasi negozio da parte della P.A. deve essere preceduta da un provvedimento amministrativo o da analoga manifestazione di volontà (cd. deliberazione a contrarre) con cui la stessa dichiari lo
scopo da perseguire ed il modo con cui si intende realizzarlo.
I contratti della Pubblica Amministrazione
127
Tale atto costituisce così il presupposto del futuro negozio, che è, perciò, in rapporto di strumentalità con il detto provvedimento. In particolare, la delibera a contrarre è
l’atto (l’art. 11, comma 2, del Codice espressamente stabilisce che le amministrazioni,
prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, decretano o determinano di contrarre) con il quale la P.A. manifesta la propria volontà di concludere un contratto, fornisce delle indicazioni di massima circa la futura procedura e legittima la successiva azione dell’organo esecutivo che rappresenta
l’ente. Sulla base della delibera a contrarre viene poi emanato il bando di gara, quale lex specialis della procedura, contenente la disciplina speciale della singola procedura concorsuale. Dopo la pubblicazione del bando i soggetti interessati possono presentare la propria offerta;
2. la fase di scelta del contraente: in tale fase si procede all’aggiudicazione, cioè alla scelta del contraente secondo criteri oggettivi e
predeterminati in precedenza seguendo determinate procedure di
scelta (aperte, ristrette o negoziate);
3. la conclusione del contratto: la stipulazione è la fase della redazione scritta del contratto;
4. l’approvazione del contratto: il contratto stipulato, a sua volta,
è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’approvazione, quale condicio iuris di efficacia, dello stesso da parte
delle stazioni appaltanti.
137 Che cosa è il bando di gara?
Il primo vero atto della procedura di evidenza pubblica è, sulla base della delibera a contrarre, la predisposizione e successiva pubblicazione del bando di gara, che contiene la disciplina speciale regolante la singola procedura concorsuale e costituisce, pertanto,
la lex specialis della procedura (unitamente a tutte quelle disposizioni che in qualche modo regolano i presupposti, lo svolgimento e la conclusione della gara per la scelta del contraente, in qualsiasi documento
contenute).
Ed infatti, ai sensi dell’art. 64 del Codice, il bando è l’atto con il quale
una stazione appaltante rende nota (ai terzi) l’intenzione di aggiudicare un appalto pubblico o un accordo quadro mediante una specifica procedura (aperta, ristretta, negoziata con previa pubblicazione del bando, dialogo competitivo), di istituire un sistema dinamico di acquisizione, oppure di aggiudicare un appalto pubbli-
128
Parte Ottava
co basato su di un sistema dinamico di acquisizione. In considerazione della particolare importanza del bando di gara, il legislatore ne ha
previsto un contenuto minimo inderogabile, consistente nelle
indicazioni fissate nell’Allegato IX A del Codice, lasciando in
ogni caso alla stazione appaltante la possibilità di inserire nello stesso
«ogni altra informazione ritenuta utile» ai fini dell’espletamento
della gara.
Considerata l’importante finalità che il bando di gara assolve, ossia quella di garantire
la più ampia partecipazione e di creare una reale concorrenza tra le ditte partecipanti che possa consentire alla P.A. di scegliere successivamente il contraente migliore al quale affidare il servizio o i lavori o dal quale acquisire i beni necessari alla sua attività, lo stesso deve essere sottoposto alle forme di pubblicità ritenute a tal fine idonee
dal legislatore: l’art. 66 del Codice, infatti, prevede una pubblicazione sovranazionale
nella GUCE ed una pubblicazione in ambito nazionale.
138 A quale giudice è devoluta la tutela giurisdizionale in tema di contratti pubblici?
Il sistema di tutela processuale in materia contrattualistica risulta dal
combinato disposto del Codice dei contratti pubblici e del Codice del processo amministrativo, stante la forte connessione tra
gli istituti di natura sostanziale, che precedono il contenzioso vero e proprio, rimasti nel Codice dei contratti pubblici, e quelli di natura processuale, trasmigrati (con delle modifiche) nel Codice del processo.
Ed infatti, l’art. 244 del Codice dei contratti pubblici rimanda al Codice del processo amministrativo per la individuazione delle controversie in materia di contratti pubblici devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; mentre l’art.
245 del Codice dei contratti, come sostituito dal D.Lgs. 104/2010, rimanda al Codice del processo amministrativo la disciplina della tutela giurisdizionale dinanzi al G.A.
nel settore de quo.
Con specifico riferimento alla tutela giurisdizionale, si rileva che
in materia sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A. Ed infatti,
ai sensi dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo, in tale
settore, sono devolute al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie:
— relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contra-
I contratti della Pubblica Amministrazione
129
ente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione
ed alle sanzioni alternative;
— relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori,
servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115 del D.Lgs. 163/2006,
nonchè quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi, ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4, dello stesso Codice dei contratti.
139 Che si intende per «affidamenti in house»?
L’affidamento in house (detto anche in house providing) si configura
quale modulo organizzativo attraverso il quale la pubblica amministrazione si serve dell’attività di un ente formalmente distinto ma
sostanzialmente interno alla sua struttura.
Gli affidamenti in house, quindi, contrassegnano quei casi in cui la
P.A. preferisce ricorrere ad uno strumento interno per gestire la rete
dei servizi pubblici, costituendo allo scopo una società di cui rimane
azionista in via totalitaria, piuttosto che indire una procedura di evidenza pubblica per individuare così una società terza, ad essa estranea.
Gli affidamenti in house, perciò, hanno posto problemi di compatibilità con i principi europei in tema di concorrenza e di libertà di iniziativa economica, in considerazione dell’assenza di una gara aperta a tutti i soggetti terzi.
I requisiti caratterizzanti l’affidamento in house, la cui presenza consente di bypassare le procedure di aggiudicazione previste per gli appalti pubblici, sono stati per la prima volta enucleati dalla nota sentenza Teckal s.r.l. della Corte di giustizia CE (18-11-1999, C 107-98),
spesso richiamata dalla giurisprudenza comunitaria successiva.
In base a tale pronuncia, la normativa dell’UE non trova applicazione
quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale, quindi un in-
130
Parte Ottava
contro di volontà tra soggetti giuridicamente distinti, sempre che ricorrano i seguenti requisiti:
— che vi sia una totale partecipazione pubblica;
— che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sull’aggiudicatario
un «controllo analogo» a quello esercitato sui propri servizi;
— che l’aggiudicatario realizzi la propria «attività prevalente» con
l’ente o enti controllanti.
Parte Nona
La responsabilità della P.A.
e verso la P.A.
140 Quali tipi di responsabilità giuridica sono configurabili in capo alla P.A.?
In genere, si configura una responsabilità in capo ad un soggetto quando lo stesso ponga in essere un comportamento antigiuridico/illecito, a cui segue l’irrogazione di una sanzione.
In relazione alla natura delle norme violate e alle conseguenze derivanti dalla loro violazione l’ordinamento italiano contempla tre tipi di responsabilità: civile, penale e amministrativa.
In particolare:
— la responsabilità civile si concreta nel risarcimento del danno
provocato ad un soggetto, ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c.;
— la responsabilità penale insorge allorquando il comportamento
di singoli soggetti (persone fisiche) sia inquadrabile in una fattispecie di reato, in quanto lesivo di particolari interessi, tutelati dall’ordinamento come pubblici: essa consiste nell’assoggettamento personale del colpevole alla potestà punitiva dello Stato, mediante l’inflizione di una pena;
— la responsabilità amministrativa deriva dalla violazione di doveri amministrativi; tale violazione comporta l’inflizione di una sanzione amministrativa.
Il principio della responsabilità dello Stato e degli enti pubblici, per i
danni causati ai singoli dall’attività illecita dei propri organi, si è imposto solo di recente dopo l’affermarsi del cd. Stato di diritto.
La responsabilità giuridica può ricadere, pertanto, anche sulla P.A.: questa può essere responsabile sia da un punto di vista civile che
amministrativo. Non può, invece, essere responsabile penalmente,
perché la responsabilità penale è personale, e soltanto le persone fisiche possono esserne investite. Potranno, quindi, essere penalmente responsabili solo le singole persone preposte agli uffici od organi della P.A.
132
Parte Nona
141 Come si articola la responsabilità della P.A. per
fatti illeciti?
La responsabilità civile si può definire come il dovere giuridico,
imposto ad un soggetto, di risarcire il danno prodotto ad un altro soggetto, in conseguenza della lesione della sfera giuridica di quest’ultimo.
Essa si distingue in responsabilità contrattuale ed extracontrattuale:
— si ha responsabilità contrattuale quando l’obbligo di risarcimento del danno deriva dalla violazione di un obbligo derivante da preesistente rapporto obbligatorio;
— si ha responsabilità extracontrattuale quando un soggetto, in
violazione del principio del neminem laedere, provoca a terzi un
danno ingiusto (art. 2043 c.c.).
La dottrina individua anche un terzo tipo di responsabilità: quella precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.), che nasce dalla violazione delle norme che regolano, appunto, la fase cd. delle trattative negoziali e di cui è controverso l’inquadramento nella responsabilità contrattuale oppure in quella extracontrattuale (la mancanza di un rapporto obbligatorio fra le parti, però, induce a ritenere che tale forma di responsabilità vada ricondotta a quella extracontrattuale (la mancanza di
un rapporto obbligatorio fra le parti, però, induce a ritenere che tale
forma di responsabilità vada ricondotta a quella extracontrattuale).
142 Quali sono gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della P.A.?
La responsabilità extracontrattuale è disciplinata dall’art. 2043 c.c.,
il quale stabilisce che «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».
Gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale sono:
— la condotta, che può consistere nella omissione di un atto amministrativo (es.: mancato rilascio di un permesso di costruire), nella
omissione di un comportamento (es.: mancata manutenzione di
La responsabilità della P.A. e verso la P.A
133
un impianto fognario), nell’adozione di un atto amministrativo illegittimo (es.: emanazione di un decreto di esproprio in violazione
della normativa regolante l’esercizio del potere espropriativo), o in
un comportamento illecito (es.: occupazione di un suolo di proprietà privata in assenza di provvedimenti espropriativi);
— l’antigiuridicità della condotta, che coincide, nel caso di comportamenti (anche omissivi) con il loro contrasto con norme giuridiche di relazione, mentre, nel caso di adozione o nella mancata
adozione di atti amministrativi, la sua antigiuridicità coinciderà con
l’illegittimità degli atti adottati o del cd. silenzio inadempimento;
— l’elemento soggettivo, che può consistere nella colpa e nel dolo;
— il danno, cioè il pregiudizio patrimoniale derivante dalla lesione di
un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo.
143 Come si articola il rapporto tra la responsabilità della P.A. e dei suoi impiegati?
Il problema relativo ai rapporti tra questi due tipi di responsabilità è sorto in seguito all’entrata in vigore della Costituzione, il cui art. 28 afferma: «I funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono
direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili, amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi, la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici».
Secondo la dottrina più accreditata (SANDULLI), per effetto dell’art. 28
Cost. la responsabilità della P.A. rispetto a quella dei propri funzionari
(che è sempre diretta), è in relazione di solidarietà e concorrenza alternativa, nel senso che il soggetto danneggiato può rivolgersi indifferentemente per il proprio ristoro sia alla P.A. che al funzionario, ma
la richiesta del risarcimento all’uno esclude l’analoga richiesta all’altro.
144 Quando si configura la responsabilità precontrattuale della P.A.?
La responsabilità precontrattuale tutela l’interesse all’adempimento, ossia l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire inganni
in ordine ad atti negoziali.
134
Parte Nona
Il codice civile, all’art. 1337, sancisce l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. L’art. 1338
c.c. sancisce la responsabilità della parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte. In tal
caso il responsabile è tenuto a risarcire il danno che l’altra parte ha sofferto per avere
confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
La dottrina e la giurisprudenza più recenti concordano nel senso della
piena applicabilità del combinato disposto degli artt. 1337 e
1338 c.c. ai contratti tra P.A. e privati. A sostegno di tale assunto, è stato evidenziato che nessun ostacolo può opporsi ad un sindacato
del G.O. sulla correttezza comportamentale della P.A. nel corso delle trattative, in quanto la P.A. agisce iure privatorum e non iure imperii.
Fra le ipotesi di responsabilità precontrattuale emergono:
— la violazione dei doveri di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto;
— il recesso ingiustificato dalla trattativa;
— la stipulazione di contratto invalido o inefficace;
— la violenza e il dolo, nonché la colposa induzione in errore.
145 Che si intende per «responsabilità da contatto
amministrativo qualificato»?
La responsabilità della P.A. da contatto amministrativo qualificato è
un tipo di responsabilità amministrativa di derivazione dottrinaria e giurisprudenziale, secondo cui la sussistenza di un contatto qualificato che
si instaura fra amministrazione e privato, attraverso lo svolgimento di
un procedimento amministrativo, ingenera alcuni obblighi di protezione in capo alla P.A. (nella persona del dipendente con cui si ha
detto contatto) a tutela del principio dell’affidamento sulla corretta
conduzione della procedura.
Controverso è l’inquadramento di tale forma di responsabilità; secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, si tratterebbe di una forma di responsabilità extracontrattuale, derivante dal mancato rispetto dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede
e correttezza, imposto anche in capo ad una amministrazione pubblica, ai sensi dell’art.
2043 c.c. e del generale principio del neminem laedere. Viceversa, secondo un diverso orientamento, non sarebbe possibile parlare di responsabilità extracontrattuale, venendo a cadere proprio l’aspetto principale di tale forma di responsabilità, ossia l’estraneità tra danneggiato e danneggiante, che manca nel caso in cui P.A. e cittadino diventino parti di un medesimo procedimento amministrativo.
La responsabilità della P.A. e verso la P.A
135
146 Quando si configura la responsabilità civile verso la P.A.?
La responsabilità civile verso la P.A. deriva da attività colpose o dolose dell’impiegato che arrechino un danno patrimoniale alla P.A.
È una responsabilità contrattuale (per gli autori che riconoscono al
rapporto di pubblico impiego natura contrattualistica) derivante dal mancato adempimento di obblighi e doveri che l’impiegato ha nei confronti dello Stato. Il carattere contrattuale della responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato è confermato dall’art. 18 D.P.R. 3/1957,
T.U. degli impiegati civili dello Stato che disciplina la materia, ai sensi
del quale il dipendente è responsabile nei confronti dell’amministrazione solo se ha agito per delega del superiore; se, invece, ha agito per
un ordine che era obbligato ad eseguire, va esente da responsabilità,
salva la responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine.
Essa può presentarsi come responsabilità contabile, che riguarda gli
agenti contabili, ossia gli incaricati (a qualsiasi titolo, anche senza legale autorizzazione) di versamento e riscossione delle entrate dello Stato,
coloro che maneggiano pubblico denaro o gli agenti che hanno in consegna oggetti e beni di proprietà dello Stato. La responsabilità contabile di costoro risulta dall’annuale rendiconto oppure come responsabilità formale, che riguarda, più genericamente, gli amministratori per
spese non autorizzate in bilancio, non deliberate nelle forme legali etc.
147 Che si intende per danno all’immagine della P.A.?
L’ordinamento giuridico riconosce e garantisce il diritto all’immagine in senso ampio, sia alle persone fisiche che giuridiche. L’immagine
della P.A. è tutelata in base agli artt. 2 e 97 Cost., concernenti, rispettivamente, le formazioni sociali e l’organizzazione della medesima. Le
amministrazioni pubbliche hanno, infatti, il diritto ad organizzarsi ed
agire in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente e, laddove
l’azione di un pubblico amministratore o dipendente leda o danneggi
questo diritto, ciò si traduce in una alterazione della immagine delle
P.A., o, peggio, nell’apparire di una sua immagine negativa, come organizzazione strutturata confusamente e mal gestita. Il danno all’immagine, conseguentemente, incide sul rapporto di fiducia e di affidamento che lega amministrazione a amministrati. Tale tipo di
136
Parte Nona
danno, a sua volta, presuppone l’esplicazione di una condotta che abbia causato la reiterata violazione di doveri di servizio e un discredito per l’amministrazione.
148 È configurabile una responsabilità della P.A. per
condotta di mobbing?
Sì. La condotta di mobbing consiste in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte del suo capo o di colleghi, e caratterizzati da un intento di persecuzione finalizzato all’emarginazione del lavoratore (Corte cost., 19-12-2003, n. 359).
Essa costituisce, in genere, violazione dei doveri del datore di lavoro
che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti ed è responsabile anche per il fatto illecito dei propri dipendenti.
In seguito alla privatizzazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, l’ente pubblico datore di lavoro è responsabile dei
danni causati al lavoratore allo stesso modo del datore di lavoro privato. In tali casi la prevalente giurisprudenza ritiene che in capo al datore di lavoro si configuri una vera responsabilità di natura contrattuale.
La condotta di mobbing può essere posta in essere, oltre che dal datore di lavoro, anche dai dipendenti, nel qual caso il datore sarà responsabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2087 e 1228 del
c.c., che prevede la responsabilità del debitore per il fatto dei suoi ausiliari.
In questi casi, la responsabilità dello Stato e/o dell’ente pubblico concorre con quella personale e diretta del dipendente autore del comportamento illecito, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 28 Cost. In tale
ipotesi, l’amministrazione potrà rivalersi nei confronti del dipendente
pubblico che abbia determinato con il suo comportamento la condanna della stessa amministrazione al risarcimento del danno a favore del
privato, azionando un giudizio innanzi alla Corte dei conti.
Parte Decima
La giustizia amministrativa
149 Che si intende con l’espressione «giustizia amministrativa»?
L’espressione «giustizia amministrativa» per la dottrina più moderna (CASETTA) sta ad indicare un complesso di istituti assoggettati
a discipline differenti, di natura tanto processuale quanto sostanziale,
che raccoglie sia rimedi giurisdizionali, caratterizzati da un peculiare processo, sia rimedi giustiziali, di natura amministrativa. La finalità di tali istituti è quella di assicurare la tutela dei cittadini nei confronti dell’amministrazione.
Specificamente, per garanzie giustiziali si intende il complesso degli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale, ordinaria e amministrativa, riconosciuto ai soggetti, titolari di interessi protetti, avverso atti e comportamenti contra jus rispettivamente illegittimi e illeciti
della P.A. Essi, per essere operativi, presuppongono un atto propulsivo dell’interessato in base al principio nemo judex sine actore.
Le garanzie giustiziali vanno tenute distinte dalle:
a) garanzie politiche: consistenti nei controlli parlamentari sull’attività del potere esecutivo ed ispirati da considerazioni politiche e/o giuridiche di ordine generale e non
finalizzati, pertanto, alla tutela di singole situazioni private;
b) garanzie amministrative: consistenti nei controlli amministrativi di ufficio preventivi e successivi (visti, approvazioni etc.) sugli atti di amministrazione attiva da parte di
organi a cui è attribuita tale funzione ed in manifestazioni di autotutela amministrativa (es.: annullamento d’ufficio) da parte degli stessi organi.
150 Quale è il sistema di giurisdizione vigente in
Italia?
Con il riconoscimento della natura giurisdizionale della IV sezione del
Consiglio di Stato e della tutelabilità dei cd. diritti minori, nel nostro or-
138
Parte Decima
dinamento è stato accolto un sistema di giustizia nei confronti della P.A.
basato sulla cd. doppia giurisdizione o cd. doppio binario: esso,
infatti, coinvolge due ordini di giurisdizione, quella ordinaria e quella
amministrativa.
In particolare, tale sistema attribuisce, in linea generale, al giudice ordinario la competenza in ordine alle controversie aventi a oggetto la
lesione di un diritto soggettivo, con il riconoscimento del potere di
disappplicare l’atto illegittimo e di dichiararne la illegittimità, e al giudice amministrativo la competenza in ordine alle controversie aventi
a oggetto la lesione di un interesse legittimo, con il riconoscimento
del potere di annullare un atto amministrativo illegittimo.
151 Qual è la ratio dell’emanazione del nuovo Codice del processo amministrativo?
In attuazione della delega contenuta nella L. 69/2009 è stato emanato il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, recante il Codice del processo
amministrativo.
La codificazione, da un punto di vista formale, nasce da esigenze di
semplificazione normativa e, dunque, di unificazione, chiarificazione
e coordinamento delle norme processuali, fino a questo momento sparse in una molteplicità di testi normativi, non sempre coordinati tra di loro.
Per una scelta di coerenza sistematica il Codice contiene numerosi rinvii al codice di procedura civile, facendo, dunque, proprie le regole di quest’ultimo che sono espressione di principi generali.
Da un punto di vista sostanziale, il Codice si è reso necessario a seguito della evoluzione sia normativa sia della giurisprudenza costituzionale, indirizzata ad un riconoscimento al giudice amministrativo
degli stessi strumenti di tutela di cui dispone il giudice ordinario.
Il Codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16 settembre 2010, si colloca, infatti, a fianco dei quattro codici fondamentali
dell’ordinamento italiano (civile, penale, di procedura civile e di procedura penale). Esso consta di cinque Libri, recanti, rispettivamente, le
disposizioni di carattere generale, la disciplina del processo di primo
grado, la disciplina delle impugnazioni, la disciplina dell’ottemperanza
e dei riti speciali, le disposizioni finali.
La giustizia amministrativa
139
Tra le linee di fondo che caratterizzano il nuovo Codice si segnalano:
a) la puntuale definizione della giurisdizione del giudice amministrativo e la
specificazione delle azioni esperibili innanzi al G.A.;
b) la compiuta disciplina dell’azione risarcitoria;
c) l’allineamento agli strumenti del processo civile del bagaglio di mezzi di prova utilizzabili nel processo amministrativo;
d) il recepimento della disciplina della translatio judicii relativamente al processo
amministrativo, assicurando pienamente la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda rispetto al momento in cui la stessa è stata proposta, anche se
erroneamente introdotta dinanzi al giudice sfornito di giurisdizione;
e) l’allineamento dei mezzi di impugnazione a quelli previsti dal codice di procedura
civile;
f) l’introduzione di un’armonica disciplina relativa al procedimento cautelare;
g) il definitivo acclaramento della natura giurisdizionale del Consiglio di Stato,
quale organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa.
152 Come si caratterizza la tutela amministrativa?
La tutela in sede amministrativa è attuata dalla stessa amministrazione, attraverso un procedimento amministrativo che viene instaurato a seguito di un ricorso dell’interessato: la questione è,
dunque, risolta nell’ambito della P.A. senza alcun intervento giurisdizionale, né del G.O., né del G.A.
Alla tutela in sede amministrativa si riconoscono le seguenti funzioni:
a) ricercare una soluzione alle controversie che coinvolgono gli interessi della P.A., evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali;
b) consentire alla P.A., in seguito al ricorso, di riesaminare la questione ed, eventualmente, correggere i propri errori;
c) favorire, in sede di riesame dell’atto, quel contraddittorio che può
essere mancato in sede di deliberazione dell’atto, sebbene, con la L.
241/1990, il contraddittorio è divenuto un momento indefettibile
del procedimento amministrativo.
153 Quali sono i tipi di ricorso amministrativo previsti dalla legge?
I ricorsi amministrativi si possono classificare secondo una duplice categoria: in relazione all’oggetto del ricorso e alla definitività o meno
del provvedimento che si impugna.
140
Parte Decima
Con riferimento all’oggetto, i ricorsi amministrativi si distinguono in impugnatori e non impugnatori, a seconda che si impugni o meno un
provvedimento amministrativo.
Con i primi si impugna un provvedimento amministrativo per vizi di legittimità e/o di merito al fine di ottenerne l’annullamento, la revoca o
la riforma.
Con i ricorsi amministrativi non impugnatori, invece, il privato non impugna alcun provvedimento amministrativo, rivolgendosi alla P.A. al
fine di risolvere una controversia insorta con la stessa o con altri privati che in qualche modo incide sugli interessi dell’amministrazione. Tale
rimedio è esperibile solo in casi tassativamente indicati dalla legge ed è
finalizzato a ottenere una pronuncia di tipo dichiarativo o costitutivo.
In relazione al carattere definitivo o meno del provvedimento impugnato, si distingue tra ricorsi ordinari e straordinari, a seconda che il
provvedimento sia o meno rivisitabile dalla P.A.
I ricorsi ordinari (ricorso gerarchico proprio e improprio e ricorso in opposizione) sono quelli proposti avverso un provvedimento
non definitivo della P.A., ossia rivisitabile dalla stessa autorità che lo ha
adottato o da quella gerarchicamente sovraordinata.
Il ricorso straordinario (ricorso al Presidente della Repubblica)
è, invece, esperibile solo nei confronti di provvedimenti definitivi, come
tali non rivisitabili da alcuna autorità amministrativa, e soltanto per vizi
di legittimità e non anche di merito.
154 Quali sono le differenze tra il ricorso gerarchico proprio e ricorso gerarchico improprio?
Avverso i provvedimenti non definitivi della P.A. è proponibile il cd.
ricorso gerarchico all’autorità amministrativa gerarchicamente superiore a quella che ha emanato l’atto impugnato.
Il ricorso gerarchico proprio è un rimedio di carattere generale e presuppone un rapporto di gerarchia e/o di subordinazione tra l’autorità
che ha emanato l’atto gravato e l’autorità chiamata a decidere il ricorso.
Il ricorso gerarchico improprio è, invece, un rimedio di carattere eccezionale, proponibile — in casi tassativamente previsti dalla legge — a
un’autorità che non è legata da un rapporto di superiorità gerarchica
con quella che ha emanato il provvedimento, ma è titolare di un potere
generale di vigilanza sugli atti di quest’ultima.
La giustizia amministrativa
141
Per quanto riguarda il ricorso gerarchico improprio, con questo normalmente è possibile dedurre solo vizi di legittimità e non anche di merito e si tratta di ricorsi di carattere
impugnatorio contro provvedimenti emessi da organi collegiali o da amministrazioni diverse da quella cui appartiene l’organo decidente.
Le disposizioni procedurali sono stabilite nelle norme che prevedono i singoli ricorsi gerarchici impropri. Le previsioni del D.P.R. n. 1199/1971 relative al cd. ricorso gerarchico proprio trovano, invece, applicazione solo in via analogica e in mancanza di una
espressa previsione nella normativa speciale.
155 In quali casi è proponibile il ricorso in opposizione?
Il ricorso in opposizione è un rimedio di carattere eccezionale, proponibile solo in caso di espressa previsione di legge ed è un rimedio ordinario e a carattere rinnovatorio.
Il ricorso va proposto entro trenta giorni dalla comunicazione e/o conoscenza dell’atto, salve diverse previsioni espresse di legge, alla stessa autorità che ha emanato l’atto impugnato e può avere ad oggetto
censure relative sia a vizi di legittimità che di merito, per la tutela tanto di diritti soggettivi che di interessi legittimi.
Per gli aspetti non espressamente disciplinati dalla legge istitutiva trovano applicazione le norme dettate per il ricorso gerarchico (art. 7
D.P.R. n. 1199/1971).
La ratio della limitazione della esperibilità del ricorso in opposizione ai
soli casi indicati dalla legge consiste nella eccezionalità della attribuzione di un potere giustiziale ad una autorità che non è terza rispetto alle
parti contendenti.
156 Che cos’è il ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica?
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio amministrativo consistente nell’impugnativa di un atto amministrativo definitivo, proposta dal soggetto interessato direttamente al Capo
dello Stato. Esso è ammesso soltanto per motivi di legittimità (art. 8,
comma 1, D.P.R. 1199/1971), mai per vizi di merito e può essere proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
142
Parte Decima
Si rileva che il Codice del processo amministrativo, all’art. 7, comma 8, ha circoscritto l’ammissibilità del ricorso straordinario unicamente alle controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. L’art.
128 del medesimo provvedimento, inoltre, ha disposto l’inammissibilità del ricorso in esame in materia elettorale.
157 Qual è l’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario in relazione agli atti amministrativi?
La giurisdizione del G.O., in relazione agli atti amministrativi, è determinata dall’art. 2 della L. 2248/1865, allegato E (L.A.C. Legge abolitrice del contenzioso). In base a tale articolo, sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la P.A., e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa.
Tale norma si deve considerare attualmente in vigore, nella parte in cui
non è stata abrogata, per incompatibilità, dalle successive leggi che hanno istituito la giurisdizione del G.A.
Rientrano nella giurisdizione della A.G.O.:
a) le cause per contravvenzioni, ovvero tutte le violazioni della legge penale. Le
questioni in materia di delitti, già prima della legge del 1865, si ritenevano di competenza dei giudici penali ordinari;
b) tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico: l’espressione diritto politico va intesa nel senso di diritto pubblico. Di conseguenza la cognizione del G.O. si estende a tutti i diritti soggettivi, siano essi pubblici o privati; fanno eccezione le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R.;
c) comunque vi possa essere interessata la P.A.: il G.O. è competente non solo
nell’ipotesi in cui la P.A. sia parte attrice, ma anche quando essa è convenuta (ossia
chiamata in giudizio);
d) ancorché siano stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa: la giurisdizione del G.O. non è preclusa dal fatto che la P.A.
abbia emanato un atto di autorità; ciò trova conferma negli artt. 4 e 5 della legge
abolitrice del contenzioso, che disciplinano i poteri del G.O. in presenza di un atto
amministrativo, nonché nell’art. 113 Cost., che espressamente prevede la cognizione del G.O. per gli atti amministrativi lesivi di diritti.
La giustizia amministrativa
143
158 Quali sono i poteri del G.O. in merito all’atto
amministrativo?
Mentre l’art. 2 della L. 2248/1865, all. E, individua l’ambito di giurisdizione spettante al G.O. in ordine alle controversie in cui sia coinvolta una P.A., i successivi artt. 4 e 5 individuano i poteri che spettano
al G.O. in relazione all’atto amministrativo ritenuto lesivo di una posizione giuridica qualificata.
In particolare, al G.O. spettano sia poteri di cognizione che poteri
di decisione nei limiti stabiliti dal legislatore, per cui:
— può conoscere degli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio;
— non può incidere sull’atto amministrativo, essendogli precluso il
diritto di annullarlo e/o revocarlo;
— può solo dichiarare l’illegittimità dell’atto, e quindi disapplicarlo, con una decisione che non assume la forza esterna del giudicato (la pronuncia ha dunque effetti inter partes, in quanto il giudice si limita a conoscere gli effetti dell’atto solo in relazione alla rilevanza che lo stesso assume nel giudizio in corso).
La giurisprudenza più recente, distaccandosi dall’orientamento tradizionale che riduceva fortemente i poteri del G.O., in tal modo preservando l’azione amministrativa dall’ingerenza del giudice, ha ristretto l’ambito dei divieti di cui all’art. 4 della L.A.C., escludendone l’applicazione nei confronti degli atti meramente dichiarativi e delle attività materiali della P.A. che non siano espressione dei fini istituzionali dell’ente
e della potestà discrezionale della P.A.
159 In cosa consiste il potere di disapplicazione
dell’atto amministrativo da parte del G.O.?
L’art. 5 della L. 2248/1865, all. E, dispone, genericamente, che «le
autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
Da tale previsione, deriva che il G.O., accertata l’illegittimità dell’atto,
dovrà disapplicarlo in relazione al caso concreto e dovrà «rico-
144
Parte Decima
struire il rapporto prescindendo dagli effetti da esso prodotti e, quindi,
giudicare come se questi non sussistessero» (CASETTA).
Il potere di disapplicazione non è subordinato ad apposita richiesta di
parte, ben potendo il G.O. esercitarlo d’ufficio.
In ordine all’ambito di operatività del potere di disapplicazione, la dottrina e la giurisprudenza prevalente affermano che l’atto amministrativo possa essere disapplicato quando sia affetto da qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere, con esclusione dei soli vizi di merito.
160 Qual è il giudice competente a decidere sulle
controversie insorte nell’ambito di un rapporto
di pubblico impiego?
Una delle principali innovazioni introdotte dal D.Lgs. 3-2-1993, n. 29,
recante Norme in materia di organizzazione del pubblico impiego
(confluito nel D.Lgs. 165/2001), è sicuramente costituita dalla devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, del cospicuo contenzioso relativo al rapporto di lavoro tra P.A. e dipendenti
pubblici, precedentemente riservato alla giurisdizione esclusiva del G.A.
Al G.O. sono devolute dal 30 giugno 1998 tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro, incluse quelle relative all’assunzione, alle
indennità di fine rapporto, al conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali e alla responsabilità dirigenziale. Sono devolute al G.O. anche le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni e quelle promosse da organizzazioni sindacali,
dall’ARAN e dalle pubbliche amministrazioni relative alle procedure di
contrattazione collettiva.
Restano devolute al G.A., invece, le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni nonché quelle relative ai dipendenti esclusi dalla privatizzazione, indicati dall’art. 3 D.Lgs. 165/2001, ivi comprese quelle attinenti a diritti patrimoniali connessi, in sede di giurisdizione esclusiva.
La L. 311/2004 (Finanziaria 2005), ha aggiunto l’art. 63bis al D.Lgs. 165/2001. Tale
disposizione prevede l’intervento dell’ARAN nei giudizi innanzi al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, aventi ad oggetto le controversie relative ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, e 70, comma 4, al
fine di garantire la corretta interpretazione e l’uniforme applicazione dei contratti collettivi.
La giustizia amministrativa
145
161 Qual è l’oggetto della tutela giurisdizionale
amministrativa?
In base al sistema della doppia giurisdizione, la cognizione generale in materia di diritti soggettivi spetta al G.O., mentre quella generale in materia di interessi legittimi compete al G.A.
Specificamente, quest’ultima è attribuita ai Tribunali Amministrativi
Regionali in primo grado e al Consiglio di Stato nel giudizio di appello; tali organi costituiscono un unico ordine giurisdizionale, insieme
con il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia.
Il Codice del processo amministrativo, recato dal D.Lgs. 4 luglio 2010, n. 104, all’art. 7, individua specificamente la tipologia
di controversie che possono essere conosciute dal G.A.
In via generale, si tratta di controversie nelle quali si faccia questione di
interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del
potere amministrativo ed aventi ad oggetto provvedimenti, atti,
accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente
all’esercizio di tale potere.
Ulteriore requisito richiesto dal legislatore perché si possa chiedere tutela al giudice amministrativo è che i provvedimenti, gli atti, gli accordi o i comportamenti in relazione ai quali è sorta una contestazione, siano stati posti in essere da una pubblica amministrazione ovvero da soggetti ad essa equiparati o comunque tenuti al rispetto
dei principi del procedimento amministrativo.
Pertanto, sono impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa soltanto quegli atti che, in senso oggettivo, siano esplicazione di pubblica potestà, ed, in senso soggettivo, promanino da una autorità
amministrativa e siano lesivi di interessi legittimi del privato.
162 Come si articola la giurisdizione amministrativa?
Il Codice del processo amministrativo, all’art. 7 individua il contenuto delle tre diverse tipologie in cui la giurisdizione amministrativa può articolarsi, e precisamente:
— giurisdizione generale di legittimità: il giudice valuta la sola legittimità dell’atto amministrativo, cioè verifica la conformità del-
146
Parte Decima
lo stesso ai principi dell’ordinamento giuridico e la sua immunità dai
tre vizi di legittimità (eccesso di potere, incompetenza e violazione di
legge). Si parla anche di giurisdizione di annullamento perché il
giudice può disporre l’annullamento dell’atto giudicato illegittimo. In
tali ipotesi il giudice conosce, quindi, dei soli interessi legittimi;
— giurisdizione esclusiva: il giudice, in deroga al principio del riparto delle giurisdizioni, ha cognizione anche in materia di diritti soggettivi;
— giurisdizione di merito: il giudice può, non solo annullare l’atto
amministrativo, ma sindacare anche l’opportunità o la convenienza dello stesso, e, conseguentemente, sostituirsi all’amministrazione.
Relativamente alla giurisdizione esclusiva e di merito, le ipotesi in cui si realizzano devono essere tassativamente indicate dal legislatore, comportando, sotto aspetti diversi, delle deroghe alla giurisdizione di legittimità.
Con riferimento al contenuto e all’oggetto delle pronunce del G.A., si osserva che
il giudizio innanzi all’autorità giurisdizionale amministrativa può essere (NIGRO):
— di cognizione: è volto a stabilire la fondatezza della pretesa vantata dal ricorrente, per stabilire quale sia la volontà dell’ordinamento riguardo l’attività dell’amministrazione. Il processo amministrativo di cognizione si presenta prevalentemente,
nella giurisdizione di legittimità, come giudizio d’impugnazione di un atto amministrativo finalizzato alla sua eliminazione. Con il Codice del processo, il legislatore è,
però, intervenuto a dettare una disciplina organica delle azioni esperibili innanzi al
giudice amministrativo;
— cautelare: ha una funzione accessoria e strumentale rispetto al processo di cognizione,
in quanto è teso all’adozione di misure preventive volte a preservare le utilità fornite dalla eventuale sentenza favorevole di cognizione da eventi che possono manifestarsi durante il corso del processo. In tale ipotesi processuale, il G.A. conosce dell’atto impugnato limitatamente agli effetti dannosi che dallo stesso possono scaturire per il ricorrente;
— di esecuzione: ha la funzione di assicurare anche coattivamente l’attuazione concreta della pronuncia di cognizione. Al pari di quello cautelare, tale tipologia di giudizio, definito giudizio di ottemperanza, è fortemente tipizzato dal legislatore agli
artt. 112 e ss. del Codice del processo amministrativo.
163 Cosa si intende per giurisdizione esclusiva?
La giurisdizione esclusiva è caratterizzata, ai sensi dell’art. 7, comma 5, del Codice del processo dalla circostanza per cui al giudice amministrativo è attribuita, pure ai fini risarcitori, la cognizione, in via principale, sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi.
La giustizia amministrativa
147
Essa si distingue, pertanto, dalla giurisdizione di legittimità, che è generale in quanto
concernente ogni controversia relativa alla legittimità di un atto amministrativo, e dalla giurisdizione di merito, che, invece, si ha quando il G.A. esamina l’atto impugnato con cognizione stesa al merito dello stesso, sostituendosi, perciò, all’amministrazione medesima.
La giurisdizione esclusiva presenta i seguenti caratteri:
— è eccezionale, poiché limitata a quei soli casi indicati dalla legge;
— non ammette concorrenza con altre giurisdizioni, sia ordinaria che amministrativa: quindi nell’ambito della giurisdizione esclusiva non ha ragione di essere la distinzione diritti soggettivi - interessi legittimi;
— si può ricorrere al giudice per la lesione sia di diritti soggettivi che
di interessi legittimi;
— è soggetta ai principi generali che regolano la giurisdizione amministrativa, laddove si verta in tema di interessi legittimi;
— se oggetto del ricorso è la violazione di diritti soggettivi, il ricorrente può esperire oltre all’azione di annullamento dell’atto lesivo del
diritto, anche autonoma azione di condanna (art. 30 del Codice).
Per controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, deve segnalarsi il dettato dell’art. 118 del Codice del processo, il quale prevede l’applicazione delle norme processual-civilistiche relative al procedimento di ingiunzione (artt.
633 ss. c.p.c.). Inoltre, può essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.
Normalmente oggetto dell’impugnativa è un atto amministrativo.
Ma l’azione può avere ad oggetto oltre che un atto, anche un rapporto. Pertanto, nel caso di giurisdizione esclusiva del T.A.R. può parlarsi non più di sola giurisdizione su atti, ma anche di giurisdizione
su rapporti.
Le materie su cui il giudice esercita giurisdizione esclusiva sono indicate dall’art. 133
del Codice del processo amministrativo. Tra le tante, si ricordano: la giurisdizione
in tema di risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento amministrativo; quella in relazione agli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento ed agli accordi fra PP.AA.; quella in materia di accesso ai documenti amministrativi; in materia di urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio; di espropriazione per pubblica utilità, nel qual caso sono sindacabili gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti
delle PP.AA., riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere; di
servizi pubblici; di rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico; di
concessione di beni pubblici, con l’eccezione delle controversie relative ad indennità, canoni o altri corrispettivi e quelle attribuite ad altra autorità giurisdizionale.
148
Parte Decima
164 Quali azioni il privato può esperire dinanzi al
giudice amministrativo?
Prima dell’introduzione del Codice del processo amministrativo, il quadro delle azioni amministrative che il privato poteva attivare innanzi al
giudice amministrativo era alquanto articolato ed il processo amministrativo era, per lo più, incentrato sulla richiesta di annullamento
del provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo.
Il Codice ha introdotto nell’ordinamento una disciplina organica delle azioni esperibili innanzi al G.A. che, in modo più o meno completo, ricalca il sistema delle tradizionali azioni di cognizione (costitutive, di accertamento e di condanna), in ossequio a quanto previsto nella legge delega n. 69/2009.
Pertanto, tali azioni sono:
— l’azione di annullamento, disciplinata dall’art. 29 del Codice, diretta alla demolizione dell’atto impugnato per i tradizionali vizi di
violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza;
— l’azione di condanna, disciplinata dall’art. 30 del Codice, che può
essere proposta contestualmente ad un’altra azione o, nei soli casi
di giurisdizione esclusiva e nei casi previsti ex art. 30 cit., anche in
via autonoma.
Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria.
Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da
lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica;
— l’azione avverso il silenzio della P.A., disciplinata dall’art. 31 del
Codice, ed altre azioni di accertamento (decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere).
165 Quali sono le misure cautelari e di quali presupposti necessitano?
La fase cautelare rappresenta un momento solo eventuale del processo amministrativo, la cui finalità è quella di evitare che il decorso del
La giustizia amministrativa
149
tempo pregiudichi la completa soddisfazione della pretesa fatta valere in giudizio.
I presupposti per il ricorso alla misura cautelare sono il:
a) periculum in mora, ossia il rischio che, nelle more del giudizio,
dall’esecuzione dell’atto impugnato derivino danni gravi ed irreparabili per il ricorrente;
b) fumus boni juris, e cioè un giudizio positivo, di carattere sommario, in merito alla fondatezza del ricorso.
Prima che la L. 205/2000 riformasse il sistema della giustizia amministrativa, l’unica misura cautelare conosciuta prevista dall’art. 21 della L. 1034/1971 era quella della sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato. Con la novella introdotta con la
L. 205/2000, il legislatore ha ampliato il novero delle misure cautelari introducendo le
misure cautelari «atipiche», sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 700 c.p.c., in
tema di tutela d’urgenza nel processo civile. A seguito di tale riforma, come osservato dalla dottrina (DE NICTOLIS), le misure cautelari tipiche sono state ricondotte: alla sospensione dell’atto impugnato; all’ingiunzione di pagamento di somme e alla cauzione. Tra le misure cautelari atipiche, poi, è stato rilevato che la prassi ha indicato: le
ammissioni con riserva a procedure concorsuali e le sospensive propulsive, che possono estrinsecarsi in un ordine all’amministrazione di riesaminare una determinata questione ovvero in un ordine specifico di rinnovare una procedura o una parte di essa. In tale
contesto si è inserita la L. 69/2009 ed il Codice del processo amministrativo.
Con l’approvazione del Codice del processo amministrativo, il legislatore ha proceduto ad una sistemazione organica della tutela
cautelare, dedicando alla stessa il Titolo II del Libro II, e, pur confermando i tradizionali presupposti delle misure cautelari, ha proceduto
ad una suddivisione tra le tipologie delle misure medesime, articolate a seconda del grado di urgenza in:
— misure cautelari collegiali, nel caso in cui il ricorrente alleghi di
subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo
necessario per giungere alla decisione del ricorso;
— misure cautelari monocratiche, ossia richieste ed eventualmente concesse dal Presidente del T.A.R. dinanzi a cui pende il relativo
ricorso, in ipotesi di estrema gravità ed urgenza tali da non
consentire neppure la dilazione fino alla camera di consiglio;
— misure cautelari anteriori alla causa, previste in caso di eccezionale gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure
la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure provvisorie con decreto presidenziale.
150
Parte Decima
166 A quali principi è ispirato il processo amministrativo?
Il processo amministrativo, che si inserisce nell’ambito dei mezzi di giustizia amministrativa, ha, nel tempo, subito un’evoluzione mirata a imprimere una maggiore celerità al giudizio e a realizzare una pienezza della tutela del cittadino nei confronti della pubblica
amministrazione. Tali direttive sono state, nel tempo, confermate a
partire dalla legge di riforma del processo amministrativo, la L.
205/2000, fino alla L. 69/2009 ed al D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, recante il Codice del processo amministrativo.
Il processo amministrativo è regolato dai seguenti principi generali,
indicati espressamente nel Libro I del Codice:
— innanzitutto, viene sancito che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo (art. 1 del Codice);
— è previsto che il processo amministrativo attui i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo, ex
art. 111, comma 1, Cost. Inoltre, il giudice e le parti cooperano per
la realizzazione della ragionevole durata del processo (art. 2);
— importante anche il richiamo al dovere di motivazione e di sinteticità degli atti (art. 3): è stabilito, difatti, che ogni provvedimento del giudice deve essere motivato e che il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica.
Pertanto, appare evidente che il processo amministrativo si presenta come processo di
parti, caratterizzato dal principio della domanda e dal dovere di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.
Occorre precisare, inoltre, che, in virtù del rinvio (esterno) operato dall’art. 39 del Codice, per quanto non disciplinato dallo stesso si applicano le disposizioni del codice
di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali.
167 Qual è la ratio del giudizio di ottemperanza?
I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti (spontaneamente) dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti del giudizio: con questo principio generale si apre l’art.
La giustizia amministrativa
151
112 del Codice del processo amministrativo, contenuto nel Titolo I del
Libro IV, dedicato al giudizio di ottemperanza.
Quando, però, una pronuncia giudiziale non viene spontaneamente
portata ad esecuzione dal soggetto a tanto obbligato, è la parte risultata vittoriosa nel giudizio di merito che ha l’onere di attivarsi per veder
soddisfatta una propria, riconosciuta, pretesa. A tal fine il legislatore ha
previsto il cd. giudizio di ottemperanza, ossia la possibilità di adire
l’autorità giurisdizionale amministrativa con un ricorso diretto ad ottenere l’esecuzione, da parte della P.A., delle sentenze non
spontaneamente eseguite.
Anche alla luce della nuova disciplina di cui al Codice del processo, si
può affermare che il giudizio di ottemperanza costituisce l’ipotesi più
importante di giurisdizione di merito del giudice amministrativo (v. art. 134 del Codice) e che, per l’intera durata dello stesso, un
ruolo fondamentale è rivestito dal giudice, stante il suo compito di dare
attuazione concreta ai precetti contenuti nella decisione che deve essere eseguita.
I presupposti essenziali dell’azione di ottemperanza sono:
a) un giudicato o una pronuncia esecutiva ovvero un lodo arbitrale esecutivo
divenuto inoppugnabile: in particolare, per l’esecuzione delle sentenze del giudice
ordinario, o del giudice speciale e dei lodi arbitrali esecutivi è necessario che una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparato sia stata parte del giudizio;
b) la necessità di un provvedimento della P.A. successivo alla pronuncia: allorché per l’esecuzione del provvedimento giurisdizionale non occorre alcun atto della P.A., il ricorso stesso non ha ragione di essere (cd. sentenze autoesecutive);
c) l’inottemperanza della P.A. successiva alla decisione non eseguita: non è,
infatti, ammissibile il giudizio di ottemperanza ove l’esecuzione sia già avvenuta.
168 Chi è il commissario ad acta?
Il giudizio di ottemperanza, in quanto ipotesi di giurisdizione di merito, comporta che il giudice amministrativo ha il potere di sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio della sua attività: ciò significa che il giudice può modificare o revocare un atto in contrasto con
il giudicato, ovvero determinare il contenuto del provvedimento necessario per dare esecuzione alla decisione da attuare o, ancora, sostituirsi all’amministrazione nell’adozione dell’atto stesso.
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Parte Decima
Già da tempo, però, nella prassi accade che il giudice amministrativo
anziché emettere egli stesso il provvedimento, ordini alla P.A. l’ottemperanza, assegnandole un termine per provvedere e contestualmente
nomini un commissario ad acta, il quale, scaduto il detto termine
senza che l’amministrazione abbia provveduto, si surroga ad essa ed
adotta il provvedimento.
Tale pratica è, oggi, positivizzata dall’art. 21 del Codice del processo, il quale stabilisce che in tutte le ipotesi in cui il giudice amministrativo deve sostituirsi all’amministrazione, può agire direttamente ovvero nominare, come «proprio ausiliario», un commissario ad acta.
Quanto alla sorte degli atti del commissario ad acta, il legislatore, all’art. 114, comma
6, del Codice, ha previsto che di tutte le questioni inerenti agli stessi conosce lo stesso
giudice dell’ottemperanza, in ossequio al principio generale secondo il quale l’organo legittimato ad avere cognizione degli incidenti verificatisi in sede esecutiva è lo stesso deputato a dirigere l’esecuzione.
169 Quali mezzi di impugnazione sono esperibili
avverso le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali?
I tipici mezzi di impugnazione avverso le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali sono: l’appello; la revocazione; l’opposizione di terzo e il ricorso per Cassazione per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.
In particolare:
— l’appello, in base all’art. 100 del Codice del processo amministrativo, si propone contro le sentenze dei T.A.R. al Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del
T.A.R. Sicilia. Il relativo giudizio presenta i seguenti caratteri: è giudizio di secondo grado; è devolutivo: a seguito dell’appello, la cognizione della questione si trasferisce integralmente al Consiglio di
Stato. Il giudizio di appello, pertanto, ha la stessa estensione del giudizio di primo grado; non è sospensivo: le sentenze dei T.A.R. sono
esecutive, dal momento che il ricorso in appello avanti al Consiglio di
Stato non sospende l’esecuzione della sentenza impugnata;
La giustizia amministrativa
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— la revocazione: le sentenze dei T.A.R. e del Consiglio di Stato sono
impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli artt.
395 e 396 del codice di procedura civile (art. 106 del Codice);
— l’opposizione di terzo, ammessa nel processo amministrativo solo
a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 1995 e,
successivamente, positivizzata dall’art. 108 Codice del processo amministrativo, è esperibile dal terzo pregiudicato che sia rimasto estraneo al processo ma che subisca gli effetti della sentenza di primo grado passata in giudicato o della sentenza del Consiglio di Stato;
— il ricorso per Cassazione (ex art. 111, comma 8, Cost., secondo cui contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei
conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti
alla giurisdizione), ripreso nell’art. 110 del Codice del processo amministrativo, che ammette il relativo ricorso contro le sentenze del
Consiglio di Stato per i soli motivi riguardanti la giurisdizione.
170 Cosa sono i riti speciali?
Con la locuzione «riti speciali» si intende fare riferimento a «forme
processuali particolari, coordinate in un rito unitariamente considerato, che il legislatore ha approntato con riferimento alla particolarità di talune controversie che necessitano di una disciplina processuale in parte differente per poter garantire una tutela adeguata alla
situazione di fatto nella quale intervengono» (GALLO).
La L. 205/2000, con l’introduzione dell’art. 23bis nel corpo della L.
1034/1971, aveva previsto una particolare disciplina relativamente a determinate materie che necessitavano di una celere decisione laddove fosse sorta una controversia in merito. Con l’approvazione del Codice del
processo si è proceduto, in seguito, ad una riorganizzazione degli stessi mediante riduzione ed unificazione dei riti speciali disciplinati dalla legislazione vigente e l’eliminazione di quelli superflui o desueti.
Secondo la classificazione contenuta nel Codice, può dirsi che, attualmente, sono stati confermati i seguenti riti speciali:
— in materia di accesso ai documenti amministrativi;
— in materia di tutela contro l’inerzia della P.A. (ricorso avverso
il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione);
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Parte Decima
— il rito per decreto ingiuntivo. In particolare, l’art. 118 del Codice prevede che nelle materie di giurisdizione esclusiva e per le controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale,
si applica il Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura
civile, disciplinante il procedimento di ingiunzione. Per l’ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato. L’opposizione al decreto ingiuntivo, a differenza del rito civile (nel quale
è esperibile mediante atto di citazione), si propone con ricorso;
— rito abbreviato comune a determinate materie ex art. 119
del Codice;
— in materia di procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture;
— in materia di operazioni elettorali relativamente alle elezioni
di Regioni, Province, Comuni e dei membri spettanti all’Italia nel Parlamento europeo.
Di nuova introduzione è, poi, il rito avverso gli atti del procedimento
elettorale preparatorio, limitatamente alle elezioni regionali, provinciali e comunale.
171 In quali materie giudica la Corte dei conti?
La Corte dei conti giudica nelle seguenti materie:
1. responsabilità degli impiegati dello Stato: in questo contesto
si collocano sia i giudizi di responsabilità contabile, nella quale possono incorrere tutti coloro che, a qualunque titolo («di fatto», ossia senza autorizzazione, o «di diritto» perché investiti di tali
compiti) hanno il maneggio del denaro pubblico, nonché tutti i
magazzinieri e consegnatari di valori, merci, appartenenti alla
P.A. (cd. agenti contabili), che i giudizi di responsabilità amministrativa, che si configura quando funzionari, impiegati, agenti civili e militari (compresi quelli dell’ordine giudiziario e quelli dipendenti da amministrazioni, aziende e gestioni statali ad ordinamento autonomo) nell’esercizio delle loro funzioni, per azione o
omissione imputabile anche solo a colpa o negligenza, cagionino danno allo Stato o ad altra amministrazione, dalla quale dipendono» (art. 52 R.D. 1214/1934);
La giustizia amministrativa
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2. responsabilità degli amministratori e dipendenti delle Regioni e degli altri enti pubblici. La materia è disciplinata dall’art.
33 del D.Lgs. 76/2000, che ne circoscrive l’imputabilità ai soli casi
e negli stessi limiti di cui alla L. 20/1994. Oltre che nei confronti
dei dipendenti statali e regionali, la giurisdizione della Corte dei
conti si estende ormai anche ai dipendenti degli altri enti pubblici. Per quanto riguarda gli enti parastatali, l’art. 8 della L. 20-31975, n. 70 (legge sul parastato) dispone che in materia di responsabilità dei dipendenti per i danni arrecati all’amministrazione o ai
terzi, si applicano le disposizioni stabilite per gli impiegati civili dello Stato. Da questa disposizione si deduce l’estensione a tale responsabilità della giurisdizione della Corte. Per gli altri enti pubblici, è stata la stessa Corte ad affermare la propria giurisdizione, ponendo a
fondamento di tale soluzione l’art. 103 Cost., secondo il quale essa
ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica.
Va, infine, ricordato che la Corte dei conti esercita la giurisdizione contabile nei
confronti degli amministratori e del personale degli enti locali (Province, Comuni, Consorzi, istituzioni di assistenza e beneficenza e altri enti minori cui si riferiscono leggi speciali);
3. giudizi ad istanza di privati. Le tipologie dei detti giudizi possono essere previste espressamente dalla legge oppure create dalla
giurisprudenza in applicazione di generiche prescrizioni normative;
4. giudizi in materia di pensioni. La competenza della Corte sussiste qualora si impugni un provvedimento amministrativo definitivo, avente ad oggetto il diritto alla pensione degli impiegati, il
cui trattamento di quiescenza sia a carico totale o parziale dello
Stato.
Indice
Parte Prima: Il diritto amministrativo: nozione e fonti... Pag. 5
Parte Seconda: Le situazioni giuridiche soggettive......
» 15
Parte Terza: L’organizzazione amministrativa: lo Sta to, le autonomie territoriali e gli enti pubblici........
» 25
Parte Quarta: Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche
Amministrazioni........................................................
» 53
Parte Quinta: L’attività della P.A.: il provvedimento
amministrativo e la patologia dell’atto....................
» 71
Parte Sesta: Il procedimento amministrativo e il dirit to di accesso.............................................................
» 95
Parte Settima: I beni pubblici e la disciplina della pro prietà privata. L’espropriazione per pubblica utilità.. » 109
Parte Ottava: I contratti della Pubblica Amministra zione..........................................................................
Parte Nona: La responsabilità della P.A. e verso la P.A.. Parte Decima: La giustizia amministrativa....................
» 121
» 131
» 137
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