Capitolo 2 (ricci) - ASSOCIAZIONE ETABETAGAMMA

Capitolo 2
Le condizioni di equilibrio aziendale
Ogni azienda attua un processo di trasformazione nel tempo e nello spazio cha parte dall’acquisto di fattori produttivi e che
si conclude con la vendita dei beni e servizi prodotti. Obiettivo fondamentale per vivere in condizioni di durabilità è il
conseguimento di un incremento del capitale investito. Per determinare un utile o una perdita ogni azienda deve mettere in
relazione i costi sostenuti e i ricavi conseguiti. Tale correlazione risulta sempre incerta, ed è in questa incertezza che trova
fondamento il rischio generale d’impresa. Tale rischio è il rischio economico che ricade sul capitale proprio o appunto
capitale di rischio e di conseguenza sul soggetto o sui soggetti tra i quali è condiviso tale capitale, e su tutti i soggetti che a
vario titolo e misura partecipano all’iniziativa aziendale.
Per comprendere la relazione tra il rischio e i soggetti aziendali è opportuno distinguere i fattori produttivi in due categorie.
Abbiamo i fattori produttivi in posizione contrattuale e i fattori produttivi in posizione residuale. I fattori produttivi in
posizione contrattuale sono tutti quei fattori a cui compete una remunerazione fissa, predeterminata (stabilita prima che la
gestione abbia inizio), certa e prioritaria (liquidata prima di remunerare i fattori produttivi in posizione residuale). A tale
categoria appartengono tutti i soggetti legati all’azienda da un contratto o da altra obbligazione giuridica come banche,
finanziatori, impiegati e operari. La remunerazione di tali fattori è la prima operazione da effettuare con i ricavi conseguiti
durante la gestione. Tale remunerazione avverrà certamente con un equilibrio economico e con un disequilibrio positivo. In
caso di disequilibrio negativo solo parte dei fattori produttivi in posizione contrattuale potrà essere remunerata, ciò significa
una evidente situazione di perdita che porterà alla chiusura dell’azienda. I fattori produttivi in posizione residuale sono tutti
quei fattori a cui compete una remunerazione variabile, successiva (avviene dopo alla remunerazione dei fattori produttivi
in posizione contrattuale) ed eventuale. Si tratta della remunerazione dei soggetti aziendali che hanno in mano la gestione
dell’azienda. Tale remunerazione può avvenire soltanto in caso di disequilibrio positivo, nelle altre due ipotesi infatti tutti i
ricavi sono stati utilizzati per remunerare gli altri fattori produttivi. Secondo questa classificazione il rischio è maggiore per
i dirigenti dell’azienda.
Un ragionamento diverso va effettuato per le aziende senza scopo di lucro, infatti per tali il rischio generale d’impresa
consiste nel non utilizzare nel modo più conveniente i fattori produttivi combinati e quindi di chiudere la gestione in perdita.
In partenza ogni imprenditore deve comprendere se è conveniente o meno avviare un attività. Il criterio, comune a tutte le
aziende, che assicura il conveniente svolgimento e la durabilità nel tempo è l’economicità. L’economicità svolge una
duplice funzione; da un lato permette all’imprenditore di indirizzare l’attività aziendale nel modo ritenuto più razionale in
un contesto economico, dall’altro rappresenta appunto il fattore con cui valutare la convenienza di avviare un azienda.
L’economicità è l’insieme delle condizioni economiche cha l’azienda deve soddisfare per durare nel tempo. Una delle prime
condizioni è l’equilibrio economico d’esercizio. Possiamo definire l’autosufficienza economica come l’attitudine di un
azienda a remunerare tutti i fattori produttivi impiegati in un periodo amministrativo. Tale capacità è connessa alla capacità
di investimento dell’impresa. Possiamo distinguere infatti dall’autosufficienza economica, l’autosufficienza finanziaria
intesa come la capacità di un azienda di trovare i finanziamenti necessari all’interno dell’azienda stessa senza dover
ricorrere a finanziamenti esterni. Un azienda se non presenta condizioni di economicità per un periodo di tempo definito
non è detto che non possa durare nel tempo, infatti bisogna sempre osservare la gestione nel lungo periodo. Esistono infatti
tempi di attesa richiesti dalla gestione, e tanto più sono lunghi tanto maggiore è la potenza finanziaria dell’impresa
(capacità di far fronte ai bisogni monetari in attesa di nuovi frutti economici). Si può infine distinguere l’economicità
aziendale nel gruppo, che si verifica quando un azienda da sola non è in grado di soddisfare i principi dell’economicità (
disequilibrio d’esercizio negativo e scarsa potenza finanziaria) ma se posta in un gruppo riesce a soddisfare tali principi
grazie ai benefici derivanti dall’effetto sinergico che si compie all’interno del gruppo stesso, dall’economicità aziendale in
funzione del gruppo, che si verifica quando un azienda in un gruppo non è in grado di soddisfare i principi d’economicità,
ma che è mantenuta in vita dal gruppo stesso per ragioni di convenienza economica e sociale.
Per misurare il grado di economicità sono dunque indispensabili due elementi quali l’equilibrio economico d’esercizio e la
potenza finanziaria.
Il primo si verifica quando l’azienda riesce a remunerare i fattori produttivi impiegati, il secondo quando un azienda riesce a
soddisfare i bisogni che derivano dallo sfasamento tra entrate e uscite.
Efficienza ed efficacia aziendali.
Condizioni rilevanti per conseguire l’economicità aziendale sono l’efficienza e l’efficacia.
L’efficienza è l’espressione della capacità di attuare i processi tecnici-economici della gestione. L’efficienza è quindi il
miglior risultato ottenibile in termini di rapporto tra quantità prodotta e quantità consumata: output/input. L’efficienza è
maggiore se i rendimenti sono maggiori e i costi minori. L’efficienza è misurabile confrontandosi con se stessi (analizzando
le gestioni precedenti) o con altre aziende (confrontando rendimenti standard).
È possibile esprimere i rendimenti ottenuti e gli oneri sopportati in relazione dei beni prodotti.
Il rendimento rappresenta la misurazione della capacità produttiva di un fattore produttivo utilizzato.
Il rendimento di un fattore produttivo è dato dalla quantità prodotta per una data quantità di materia utilizzata, se aumenta
tale quantità aumenta anche il rendimento. L’espressione monetaria del rendimento è il costo relativo all’impiego del fattore
produttivo. Amministrare con criteri di economicità vuol dire ricercare attentamente e continuamente i migliori rendimenti
idonei per ridurre i costi. Effettuando una misurazione del rendimento di ogni fattore produttivo impiegato e riunendo tutte
queste misurazioni è possibile esprimere un giudizio complessivo di efficienza aziendale.
La produttività è invece l’efficienza misurata in base ad un singolo fattore produttivo. Quando aumenta il rendimento di un
singolo fattore produttivo aumenta anche la produttività e di conseguenza migliorano le condizioni di vita dell’azienda.
Un indicatore di efficienza è il rapporto tra la quantità fisica prodotta e la quantità di fattore impiegata.
L’efficacia è invece l’attitudine di conseguire le proprie finalità assicurando la razionale soddisfazione dei bisogni
umani. Quindi è la capacità di conseguire gli obiettivi prefissati in maniera tale da produrre beni in grado di dare
soddisfazione massima ai bisogni dei clienti.
Efficacia = output programmato/output conseguito.
Una volta portato a termine un ciclo amministrativo l’imprenditore deve effettuare quindi una remunerazione dei fattori
produttivi impiegati. Dopo aver remunerato i fattori produttivi in posizione contrattuale, l’imprenditore può decidere varie
politiche sulla remunerazione del capitale investito.
Secondo la politica dei dividendi il soggetto economico sceglie le modalità e i tempi di distribuzione dell’utile conseguito
tra i vari soci.
Secondo la politica dell’autofinanziamento il soggetto economico decide di non dividere l’utile conseguito ma di usarlo
come finanziamento interno per la successiva gestione.
Secondo la politica salariale il soggetto economico può usare questo utile per incentivare la forza lavoro tramite premi.
La remunerazione congrua del capitale investito.
La remunerazione congrua si determina definendo il tasso ir, tasso di compenso del capitale proprio.
Ir è dato dalla somma di tre compensi:
- il compenso per puro investimento;
- il compenso per il rischio;
- il compenso per il lavoro direzionale;
Questi compendi si esprimono per mezzo di tassi, si misurano cioè in termini di percentuale.
Calcolo dei tre tassi : i1, i2, i3.
- i1 esprime il tasso di rendimento dei titoli del debito pubblico.
Esso si calcola sottraendo al rendimento lordo dei titoli di Stato le ritenute fiscali, le altre spese di gestione titoli (otteniamo
il rendimento netto) e il tasso di inflazione.
- i3 esprime il tasso ottenuto dal rapporto tra compenso per l’attività prestata e il capitale investito.
Esso si calcola effettuando un rapporto tra lo Stipendio medio dirigenti e il capitale proprio da investire
- i2 esprime il tasso del premio per il rischio e si calcola tramite il metodi empirici.
Metodo del rischio di settore:
Si calcola effettuando un prodotto tra l’incidenza perdite su netto e la probabilità di perdita.
L’incidenza perdite su netto è data dal rapporto tra il totale perdite di settore e il capitale proprio delle aziende in perdita. La
probabilità di perdita è data dal rapporto tra il numero di aziende in perdita e il numero di iniziative di settore.
Una volta effettuato il calcolo di ir bisogna calcolare il Roe (reddito netto/capitale proprio) e confrontare i due valori:
Se il Roe è maggiore di ir avremo una remunerazione congrua;
Se il Roe è minore si ir avremo una remunerazione non congrua.
Valutazione di un azienda:
- metodo del rischio di settore
Si calcola tramite il rapporto del Reddito medio presunto futuro e Ir
- metodo Ufficio Prezzo di Berlino
Si sottrae al Reddito medio presunto futuro l’1% dei ricavi medi presunti futuri e l’1% dei ricavi (capitale investito
operativo) e si divede per (i1+i3)
- metodo Comitato per l’economia di Vienna
Si sottrae al Reddito medio presunto futuro o il 2% dei ricavi medi presunti futuri o il 4% dell’attivo
operativo) e si divede per (i1+i3)
(capitale investito
- metodo del procedimento di Stoccarda
Si sottrae al Reddito medio presunto futuro il 30% (abbattimento per rischio) e si divede per (i1+i3);
Una variante di tale metodo consiste nel dividere per (i1+i3) + 50%
Il ciclo di vita del prodotto
1 Introduzione
In questa fase l’azienda vive in condizioni di disequilibrio negativo. La cosa che conta di più è la qualità del prodotto poiché
questo viene testato dai consumatori. L’azienda deve ottenere l’opinione positiva dei “pionieri”.
2 Sviluppo
In questa fase gioca un ruolo fondamentale la pubblicità. Aumentano i ricavi fino ad ottenere un disequilibrio positivo.
3 Maturità
Il prodotto oramai messo sul mercato inizia a registrare una riduzione del tasso di crescita delle vendite. Gioca un ruolo
fondamentale il prezzo del prodotto.
4 Saturazione
Il livello delle vendite si stabilizza definitivamente. L’azienda cerca di andare incontro al consumatore poiché il mercato è
saturo, ovvero non è più capace di assorbire il prodotto.
5 Declino
In questa fase si presentano tre alternative:
- abbandono del prodotto; si blocca la produzione
- pietrificazione; si cerca di stabilizzare la domanda, e quindi l’offerta tramite campagne promozionali
- rivitalizzazione; si attuano modifiche e miglioramenti del prodotto, si cercano nuovi mercati di sbocco.