Prof. Livio Sichirollo (1928 – 2002) STORIA UNIVERSALE E "FILOSOFIA DEL DIRITTO" 1 (appunti e qualche notizia bibliografica) Tema e opera lasciate in disparte dal clima postmoderno. E' bene ripensarci: abbiamo bisogno di ragioni forti. Mi fa piacere - così si vede come la pensa chi parla - ricordare l'ultimo intervento hegeliano di Massolo: "Una lettura di Hegel, una sua interpretazione, non è qualcosa che possa venire per così dire ricondotta alla fortuna di Hegel nel nostro tempo ... il dire che Hegel è ancora vivente non è un'affermazione che possa venire tranquillamente posta accanto alle altre. Non è soltanto questione di responsabilità, non è mai un fatto isolato, ma qualcosa che impegna anche politicamente" ("Entäusserung", "Entfremdung" nella Fenomenologia dello spirito, letto al Congresso Internazionale della Hegel-Vereinigung, Urbino 1965, in La storia della filosofia come problema, nuova ed. Vallecchi 1967, poi 1973). Se non sbaglio un solo contributo recente generale: F. Tessitore, Il senso della storia universale, Garzanti 1987. Un solo contributo specifico: G. Bonacina, Storia universale e filosofia del diritto. Commento a Hegel, Guerini 1989, poi il volume del 1991: Hegel, il mondo romano e la storiografia. Rapporti agrari, diritto, cristianesimo e tardo antico, La Nuova Italia 1991. 1 Appunti (messi a suo tempo a disposizione dell’Arifs dal Prof. Livio Sichirollo) della relazione tenuta - nel quadro dei Seminari su “Hegel: lettura dei testi” organizzati dall’Arifs – nella giornata del 14 settembre 1991 dedicata a “Le lezioni di filosofia della storia”, svoltasi a Verona nella Sala della Biblioteca Comunale. Battistrada: Pietro Rossi, Storia universale e geografia in Hegel, Sansoni per la scuola 1975. Rinuncio alla bibliografia: il meglio si trova nei volumi citati di Bonacina, e nell'ottima Introduzione a Hegel di V. Verra, Laterza 1988. Fonti dirette per lo studio del testo: la nuova edizione delle Grundlinien der Philos. d. Rechts (d'ora in poi FD), a cura di Hegel Klenner, Akademie Verlag 1981: importante anche per l'ampliamento delle aggiunte degli scolari (i c.d. Zusätze), e per l'utilizzazione delle redazioni, dei vari uditori, dei corsi sulla FD di recente pubblicati in Germania (a cura di K.-Hegel Ilting presso Frommann; di D. Henrich presso Suhrkamp e dello Hegel-Archiv presso Meiner). Una bella antologia di questi testi in italiano, nel fondamentale volume curato da D. Losurdo: Hegel. Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, partic. il cap. XIX, Leonardo 1989 (con bibliografia specifica). Con Lezioni o Lezioni WG intendo le Vorlesungen über die Philosophie der WG secondo la nota edizione G.Lasson (ed. Meiner): la tr. it. presso la Nuova Italia, 4 voll., riporta la paginazione di Lasson. Com'è noto Lasson ha utilizzato manoscritti hegeliani e le Nachschriften (lezioni messe per iscritto) degli scolari. Ora, K.R. Meist, Differenzen in Hegels Deutung der "Neuesten Zeit"innerhalb seiner Konzeption der WG (in Hegels Rechtsphilos. Im Zusammenhang der europäischen Verfassungsgeschichte, hrsg. HegelC. Lucas - 0. Pöggeler, Frommann 1986: importante raccolta di studi), riutilizza il ms di K.C.v. Griesheim (già in Lasson) e una Nachschrift inedita (1826-27) di J. Hube. L'autore prepara un libro sulla storia della WG nel pensiero di Hegel. ------------------=========================------------------- Storia universale, Weltgeschichte (d'ora in poi WG): il nome e la cosa. Non basterebbe una serie di conferenze. Parola antichissima, del 1000 circa, usata da un certo Notker, monaco benedettino di San Gallo - ma questo e altro va visto alle voci Geschichte e Historie dei fondamentali volumi Geschichtliche Grundbegriffe a cura di R. Koselleck e altri (ed. Klett-Cotta). Nome e cosa sono quasi esclusivi degli storici e dei giuristi tedeschi di Göttingen del '700 - in gran parte presenti fra i libri di Hegel [Problema della biblioteca di Hegel]. I libri di storia e i classici della storiografia antica e moderna, che si presumono presenti fra i libri posseduti da Hegel, sono elencati da D. Janicaud, Hegel et le destin de la Grèce, Vrin 1975; M. Hulin, Hegel et l'Orient, Vrin 1979 e Bonacina, cit. Un riassunto è complesso. Inutile una lista di nomi. I più importanti fra quelli che Hegel dovrebbe aver letto, del '700, sono C.D. Beck, K.F. Becker, C. Meiners, J. Moser, F.C. Schlosser e C. Ritter, il geografo, amico di A.v. Humboldt a Berlino - ma bisogna aggiungere A.L. Schlözer come anche C.v. Rottech e J.M. Schröckh, I. Iselin, non presenti tra i libri di Hegel Non sembra proprio che possano costituire precedenti di rilievo della visione hegeliana. Noterei qui 2 eccezioni: J.C. Adelung, Storia della cultura del genere umano, 1782: collega storia politica e storia della cultura, e parla di una età e di una evoluzione dei popoli e degli stati: infanzia, giovinezza, vecchiaia, tema, per altro, vecchissimo. K.F. Becker, che scrive una WG, IV ed. 1817-25, collega esplicitamente la storia del mondo, la vita dello stato e lo sviluppo della cultura. Ma restano, mi sembra, riferimenti esterni. Da Hegel stesso sappiamo che significativi furono per lui gli storici antichi, Machiavelli, Montesquieu, Gibbon, per non parlare di Herder, di Kant e Fichte, di Schelling e di Fr. Schlegel, questi ultimi in particolare, oggetto esplicito della sua polemica. Ma su tutto ciò si vedrà Tessitore in generale e Bonacina in particolare, già cit.; resta fondamentale L. Marino, I maestri della Germania. Göttingen 1770-1820, Einaudi 1975; infine, per il rapporto storia-diritto-società civile-costituzioni nel 700, si trova molto nella bella raccolta di scritti a cura di Z. Batscha, V o n der ständischen zur bürg. Gesellschaft, Suhrkamp 1981, ristampato. --------------=====================-------------------- Vediamo dunque qualche aspetto della WG della FD §§ 354-360. Bonacina (come anche Losurdo) sembrano d'accordo con me nel considerare eccezionale il contributo di E. Weil, La "Filosofia del diritto" e la filosofia della storia hegeliana, 1976, nella raccolta di suoi saggi, Dell'interesse per la storia, Bibliopolis 1983. Altro testo fondamentale (un precedente di Weil e una curiosa coincidenza di prospettiva) è in A. Massolo, Per una lettura della "Filosofia della storia", 1959, in La storia della filosofia come problema, Vallecchi 1967, poi 1973. Non è semplice. Per semplificare cominciamo dal punto d'arrivo - che è poi quello di Hegel E' della massima importanza. Certamente Hegel conosceva le lezioni sulla filosofia della storia di Schiller, 1789, con la celebre affermazione: gli eventi si svolgono dall'origine delle cose verso di noi - lo storico universale invece risale dalla più recente condizione del mondo verso l'origine delle cose stesse. Il che, più filosoficamente, è detto nell'altrettanto celebre verso, della poesia Rassegnazione del 1784: die WG ist das Weltgerichte: la storia del mondo è il tribunale del mondo, dunque anche giudizio universale, finale, sul mondo. Ossia, è la sentenza che giudica, chiarisce il processo (FD § 341, e poi nelle Lezioni Wannenmann, 1817-18, ed. Hegel Archiv, Meiner, p. 257 con citazione di Schiller: "la cosa più profonda che si potesse dire"). Sulla storia in Hegel di questa espressione, si può vedere un saggio di HegelC. Lucas, in "Hegel Jahrbuch" 1981-82. La storia é dunque regressiva, si intenda: storiografia e WG. La WG (vedremo: storia filosofica proprio perché storia politica, mondana), storia dello Stato e degli Stati (come dimostrano le esposizioni hegeliane), non è né tutta la storia né la storia di tutte le dimensioni del passato (mondana: quasi un gioco di parole da Welt: nell'antico alto tedesco Weralt-worolt: era, mondo, genere umano, dal radicale germanico wera = uomo e gotico alds = età, tempo). L'arte, la religione e la filosofia sono trattate a parte e figurano nella WG solo in quanto svolgono una funzione nella vita politica, fattori autonomi ma subordinati allo Stato. Questo indica il § 341 che apre la WG della FD: "lo spirito universale trova l'elemento della sua esistenza quando si tratta dell'arte nell'intuizione e nell'immagine; lo trova nel sentimento e rappresentazione quando si tratta di religione; con la filosofia nel pensiero libero e puro; nella WG [storia politica] questo elemento è la realtà intellettuale effettiva in tutta la sua estensione di interiorità ed esteriorità ..." (trad. Weil; identico concetto in Enc. § 552). Tutto appare dunque sul piano di questa storia, ma non tutto vi si rivela in tutto il suo essere. Lo spirito oggettivo non é lo spirito assoluto, ma questo non può essere, agire, farsi effettivamente reale se non a partire da quella base. Questa storia - nella quale, come nella natura, c'è qualcosa di fortuito e di casuale ineliminabile (l'esteriorità del § 341 cit. e i principi naturali immediati, l'esistenza geografica e antropologica dei popoli del § 346 = Enc. § 548) - non perviene alla pura coscienza di sé, anche se vi è una coscienza che agisce ed è efficace in essa. Vi perviene nella filosofia (spirito assoluto), dopo l'arte e la religione; quindi trascende la storia, ma si fa attraverso di essa. Ne consegue: 1) la storia ha un senso ed è morale (base della realizzazione dello spirito assoluto e della filosofia che la pensa); 2) d'altra parte, e insieme: la WG rende comprensibile non la filosofia in ciò che essa insegna, ma la possibilità e la realtà storica della sua apparizione. Fa parte del punto d'arrivo (nostro e hegeliano) la considerazione che questa WG ha un inizio, non è esistita da sempre: presuppone infatti la nascita dello Stato e degli Stati, come dice il § 349: "un popolo non è ancora uno stato"; famiglia, orda, stirpe sono sostanza etica, che però manca "dell'oggettività di avere nelle leggi ... un'esistenza universale e universalmente valida per sé e per gli altri ... non é sovranità"; si legge in nota: "Anche nella concezione comune una condizione patriarcale non è una costituzione". Di qui il motivo degli eroi fondatori (§ 348 e 350 : cfr. P. Salvucci, L'eroe in Hegel, Guida 1979). Se ha un inizio, questa WG non ha però una fine, non chiude, come si è preteso, la storia. Punto dolentissimo! Dai contemporanei di Hegel ai nostri postmoderni si è sostenuto il contrario. A nostro avviso, però, contro l'evidenza della lettera e dello spirito della pagina hegeliana. Anche noi potremmo discuterne a non finire. L'argomento fondamentale, sul quale invito a riflettere, sta già in quanto ho esposto qui sopra sul rapporto spirito oggettivo-WG-spirito assoluto. Tale relazione reca in sé almeno queste ulteriori considerazioni: non c'è incarnazione dello spirito del mondo in uno stato mondiale; lo spirito del mondo non coincide con qualche realizzazione finora visibile e non vi si esaurisce; c'è una conciliazione e una soddisfazione della coscienza e dello spirito nel corso della storia del mondo, ma restano quelle di una coscienza di sé situata, finita, sottoposta a quel contingente ineliminabile come tutto ciò che appartiene anche alla natura (non a caso Hegel ha più volte scritto e argomentato: "lo stato non è un'opera d'arte, é nel mondo, dunque nella sfera dell'arbitrio, dell'accidentalità e dell'errore";FD § 258 aggiunta); infine (anche per quest'ultima considerazione) c'è, sì, una comprensione ulteriore, ultima, che rende ragione della WG come "totalità dei punti di vista" (si confrontino l'inizio delle Vorlesungen W.G., p. 9 e il § 345), ma non definitiva: e si trova, come appunto abbiamo visto, su un altro piano: quello che la filosofia della storia rende possibile: lo spirito assoluto, la filosofia. E' bene leggere il § 345: "Giustizia e virtù, torto, violenza e vizio, i talenti e i rispettivi atti-fatti (ihre Taten), le passioni grandi e piccole, la colpa e l'innocenza, la gloria (die Herrlichkeit) della vita individuale e del popolo, l'indipendenza, la buona e cattiva sorte degli Stati e degli individui hanno nella sfera della realtà effettuale consapevole il loro significato e valore determinati, e trovano in essa il loro giudizio, e la loro giustizia, per quanto incompiuta (sottolineatura mia)". La WG cade fuori da questi punti di vista; in essa il momento dell'idea dello spirito universale, che è al presente il suo piano (seine Stufe), ottiene il suo diritto assoluto, e il popolo che vive in quel momento e i suoi atti-fatti ottengono il loro compimento, e fortuna e fama (ihre Vollführung, und Glück und Ruhm)" (sul complesso di queste motivazioni si vedano alcuni contributi, in particolare R. Polin, in Hegel. L'esprit objectif. L'unité de l'histoire, Actes du III Congrès intern. de la Hegel-Vereinigung, 1968, Publ. Fac. Lettres de Lille, 1970). Dovrebbe risultare abbastanza chiaro di per sé. Ma lo si può commentare con Hegel e inquadrarlo fra il § 343 e la chiusa del § 360. Paragrafo 343: la storia dello spirito è solo ciò che esso fa; il prender coscienza di ciò che fa, il suo comprendersi: "comprendere (erfassen) è l'essere e il principio dello spirito, e il compimento di un processo nel quale lo spirito si coglie é nello stesso tempo la sua alienazione e l'atto mediante il quale esso passa oltre" (che è poi il tema della prefazione alla FD). Quanto alla chiusa del § 360 (che vedremo meglio fra poco),mi limito a far notare: lo Stato è ora, qui, ragione effettivamente reale, ma per la coscienza di sé, che ha trovato la realtà effettuale del suo sapere e volere sostanziali (liberi) in uno sviluppo organico - quindi quella coscienza di sé finita, sottoposta, anche se non soggetta (come dice Weil), a quell'accidentale ineliminabile da tutto ciò che appartiene alla natura, di cui abbiamo parlato poco sopra. Certo, tutto questo avviene ora: "il presente si è spogliato della sua barbarie e del suo arbitrio ingiusto, e la verità del suo aldilà e della sua violenza (Gewalt, autorità, potere) accidentale". Ma il significato é chiaro, se si tengono presenti i contesti dei quali Hegel, pover'uomo, intendeva parlare per dire qualcosa di ragionevole ai suoi contemporanei nei suoi testi: l'ora e il qui sono i tempi nuovi, l'età aperta dalla Rivoluzione francese (inutile citare) e insieme dalla rivoluzione industriale (che corrisponde alla società civile della FD §§ 182-256), l'età della libertà di tutti e di ciascuno, ma non soltanto formale, quindi libertà come riconoscimento (come ha dimostrato J. Ritter, Hegel e la rivol. francese, Guida 1982², al seguito di E. Weil, Hegel e lo Stato, 1950, ora nel volume dallo stesso titolo che raccoglie tutti i suoi scritti hegeliani, presso Guerini, 1988). Se vogliamo proprio ricorrere a un'immagine, diciamo che sta tutto qui il "classicismo" di Hegel (come ha ben visto Bonacina): é il mondo della polis restituito, ma ora mediato dalla realtà e dalla presenza della coscienza individuale. Ancora qualche osservazione prima di vedere i 4 regni. Perché 4? Gli interpreti più accreditati rinviano al sogno di Nabucodonosor (Daniele 2, 37) e alla ben nota opera di Sleidanus, 1658, che Hegel aveva fra i suoi libri; poi si potrebbero fare confronti con filosofie della storia contemporanee (ma tutto questo è bene illustrato nel libro di Bonacina). Va solo ricordata qui la singolare posizione hegeliana: l'età dell'oro, se c'è, è davanti a noi, non alle nostre origini; il paradiso terrestre, se c'è o è stato, è bene averlo perduto. Non c'è uno stato d'innocenza dell'uomo. La nostra storia non è quella di una decadenza, ma di una conquista nella e della libertà, nel bene e nel male. I 4 momenti del processo corrispondono alle "determinazioni della riflessione" della Scienza della logica: identità-differenza come diversità o distinzione e antitesi-conciliazione (libro II, cap. II). Si veda il § 353: (oriente)-identità sostanziale, singolarità; (Grecia)-diversità della sostanza e del sapere, individualità bella; (Roma)-antitesi infinita di oggettività e soggettività, astratta universalità; (mondo moderno)-rovesciamento dell'antitesi, ritorno (della soggettività) nell'oggettività concreta, pensiero e mondo come realtà legale (gesetzliche Wirklichkeit). Non mi soffermo per il punto di vista logico, ma solo per sottolineare questi 4 concetti intorno ai quali Hegel lavora nei successivi paragrafi relativi ai 4 regni. Hegel riprende qui l'esposizione, diciamo ideal-tipica, della Fenomenologia. Questo è importante. I regni successione causali. non si Ciascuno succedono di essi secondo un rappresenta rapporto il o momento culminante, l'akmé di una formazione e di una evoluzione, visti e colti nel punto fermo del loro "principio" - successione configurabile unicamente "per noi", dal punto d'arrivo. Infine, Das Reich: Messineo traduce mondo, i francesi empire, Bonacina regno. Mondo non è corretto: Welt, lo spirituale effettuale concreto, compare alla fine (ultima riga dell'ultimo paragrafo: il mondo ideale reso possibile dalla realtà della WG). Reich in effetti è regno, ma come dominio, stato come potere, imperium; d'altra parte proviene da un radicale indogermanico che ha in sé l'idea di erigere, indirizzare, dominare. Quindi le nostre traduzioni, più o meno insoddisfacenti, si equivalgono, una volta compresa la parola e la cosa. ---------------======================------------------ § 355: Mondo orientale - "Questo primo regno è la visione del mondo sostanziale (substanzielle Weltanschauung)...": visione del mondo, parola che Hegel usa poco, se non nell'Estetica, e di solito con valore limitativo. quali è immersa Sostanza, identità , inconsapevoli, nelle (versenkt) e ingiustificata (unberechtigt) la persona. Quindi non c'è persona. La totalità Stato-teocrazia-natura è sublime: die Pracht (splendore) - qualcosa di inaccessibile. Non c'è diritto, quindi non c'è storia, ma poesia: la sola espressione di questo mondo, il solo documento, direi, che ci resta, considerato che ogni movimento è solo guerra, e la guerra è furore elementare (passionale, viscerale) e distruzione; oppure "la tranquillità interna è una vita privata e uno sprofondarsi nella debolezza e nella stanchezza". Hegel cita con lode Stuhr (Der Untergang der Naturstaaten), il quale però commentava la storia romana di Niebuhr. Certo, salvo le immagini concettualizzate, Hegel non innova gran che; c'è persino una sua fonte in un frammento di Francoforte, Spirito degli orientali: è l'immagine settecentesca delle comunità prestatali; con una importante novità, degna di Hegel: scompaiono dall'Oriente i connotati di crudeltà e capriccio, che ne avevano accompagnato la fortuna in Europa: dispotismo c'è, ma per noi (Bonacina, p. 192). Hegel non nomina neppure quel dispotismo orientale, che tanta fortuna avrebbe poi avuto, di cui parla nel § 270, nota, alla fine, e nelle Lezioni. Come si sa la formula non è hegeliana. Parlare qui della dialettica signoria-schiavitù, che deriverebbe da Iselin, come fa Haym, mi sembra improprio: tale dialettica presuppone o avviene in vista di uno Stato che qui non c'è. 5 356: Il mondo greco - E' un paragrafo paradigmatico, ricchissimo anche per le recenti ricerche sul mondo classico. La "unità sostanziale del finito e dell'infinito" è rappresentata, a mio avviso, dalla aristocrazia, pre-politica in senso stretto (cioè da polis), l'aristocrazia dei gene, sulla quale insiste giustamente la ricerca antropologica contemporanea. Così credo di interpretare il passo: "soltanto a fondamento misterioso (culti?), represso nel ricordo ottuso (dumpf, cioè sordo, che non ha risonanza), nelle caverne e nelle immagini della tradizione": è persino inutile ricordare Platone, ma quelle "immagini della tradizione" non possono che rinviare dello spirito all'aristocrazia di cui abbiamo fatto cenno. Di qui vien fuori una prima distinzione (unterscheidend, termine che compare per la prima volta e che ritroveremo con un segno leggermente diverso negli altri paragrafi), distinzione come qualcosa di individuale che sorge, che si affaccia (herausgebären, un hapax : cfr. Bonacina 209) - "il giorno del sapere" ma "commisurata e trasfigurata in eticità libera e serena": Sittlichkeit, una morale effettuale, concreta, presupposto di uno Stato, al quale si fa allusione poco dopo. Infatti, a) l'individualità che qui sorge è solo "ideale", non è ancora "compresa" (non "chiusa": befangen) in se stessa (è il motivo del ricordo ottuso); b) abbiamo una cerchia di spiriti del popolo particolari, che non sono ancora propriamente Stati; c) la "suprema volontà che decide" non è posta nella soggettività cosciente, ma in un potere (Macht) più elevato, esterno a essa: è la polis, che incarna la libertà degli antichi come libertà politica, cioè del corpo politico come potenza, non la libertà personale e civile dei moderni. A suo modo Hegel ha partecipato al celebre dibattito sulla libertà degli antichi e dei moderni: in più luoghi delle sue opere ha esplicitamente affermato che il mondo greco ha ignorato il nostro concetto di coscienza, libertà, pur tenendo fermo, com'è noto, il rapporto costituzioni libere – città - filosofia. Di solito si rinvia agli oracoli, all'interpretazione delle viscere, al bisogno del demone per prendere decisioni ultime, e d'altra parte è esplicito il rinvio di Hegel al § 279, nota. Ma, mi pare fondamentale che: se allusione alla polis c'è, la polis non è uno stato; d) il che sarebbe confermato dal riconoscimento che non c'è la "dignità di un lavoro libero, non servile: la condizione della schiavitù soddisfa il bisogno". Celebre la pagina delle Lezioni: democrazia bella - uguaglianza dei cittadini - schiavitù. Hegel ha messo fine al suo cosiddetto classicismo: non c'è più lo Stato come opera d'arte del 1802 (fine del saggio a stampa sul diritto naturale) come sostiene invece Haym: l'eticità bella, libera e serena, è semplicemente quella di una comunità che ignora la dialettica società civile-Stato, e ne è prova "lo stato" della schiavitù (Sklavenstand), al quale è riservato l'esercizio del lavoro. § 357: Il mondo romano - In realtà si tratta del mondo ellenistico-romano, dell'impero; la distinzione si compie ora in una lacerazione infinita della vita etica concreta (sittlich). Allora, qui c'è Sittlichkeit, ma lacerata, quindi non c'è in senso hegeliano. Non è una semplice curiosità notare che il termine Unterscheidung compare qui nella prima riga e condiziona l'intera esposizione. Il riassunto è semplice: apparizione del diritto privato e del soggetto isolato (la persona), sottomesso alla volontà arbitraria di un individuo onnipotente che rende tutti uguali e ugualmente abietti. E' la stessa immagine del saggio sul diritto naturale del 1802 (Schriften zur Politik..., ed, Lasson, p. 380-1; tr. it. Scritti di filos. d. diritto, Laterza 1962, p. 76-77), dove viene citato Gibbon. Hegel ha qui una grande intuizione: per il diritto privato la persona ha valore come tale, nella sua realtà, cioè nella proprietà (Lezioni WG, alla fine dell'Impero); solo il possesso dei beni distingue i liberi dagli schiavi; ma poiché ogni proprietà è esposta al capriccio dell'imperatore, il confine fra libertà e schiavitù si fa labile: "In questo principio ha il suo inizio esteriore il superamento della schiavitù. Nell'impero mondiale tutto si appiattisce ... questa uguaglianza però non è un'elevazione ma un abbassamento" (Lezioni 1818-1819: cfr. Bonacina, 235-6; Hegel-Losurdo, p. 500). Com'è noto il problema della fine della schiavitù nel mondo antico resta problema aperto, dibattutissimo. Hegel sembra procedere dall'astratto al concreto: la vita etica si spezza negli estremi di una coscienza di sé personale e privata (cioè separata), e dell'universalità astratta. Opposizione quindi tra l'unità sostanziale di un'aristocrazia (regnante) e il principio democratico che le sta di fronte; dall'evoluzione della prima deriva superstizione e dispotismo - dal secondo, la corruzione della plebe. E' interessante il confronto con il mondo greco dove l'unità sostanziale dava invece luogo a una eticità libera e serena. Nel mondo romano la vita etica muore nell'infelicità universale: è il motivo del dolore, sul quale Hegel ritornerà presto; l'unità di un pantheon incomprensibile e straniero rappresenta anche la fine delle individualità nazionali. "Il diritto formale che rende uguale tutti come privati, e quindi in qualche modo come persone, é tenuto insieme soltanto da un arbitrio astratto che giunge ad aspetti mostruosi". Hegel è molto incisivo, forse anche molto schematico. Ma bisogna cercare di penetrare questo schematismo. Anche qui non é una semplice curiosità notare che non si riesce a trovare traccia del cristianesimo: in ogni caso, si badi, esso non verrà mai nominato in questi paragrafi. Se allusione al cristianesimo c'è, é in quel "principio della personalità libera" e in quella "infelicità universale e morte della vita etica" di cui dice Hegel. Ma bisogna riconoscere che queste affermazioni potrebbero valere anche per altre correnti religiose, e la spia potrebbe essere la citazione del pantheon. Mi limiterei a riportare la tesi di Weil (nel saggio sulla Secolarizzazione..., nel citato volume Dell'interesse per la storia, pp. 245-6): l'allusione più importante al cristianesimo resta quella del § 358 relativa al passaggio dal mondo ebraico al Medioevo barbarico e quindi solo come elemento del mondo moderno e dello Stato ragionevole. Ritorneremo su questo punto, che comunque potrebbe essere discusso a lungo. Infine: secondo Brunstäd (nella sua edizione della II ed. delle Lezioni, Lipsia, nell'esposizione Reclam, del s.d. "principio" ma 1907, della p. grecità 580), Hegel mentre segue sostanzialmente le tesi dei suoi contemporanei, soprattutto Schiller, gli elementi del mondo romano sono individuati in modo del tutto originale, e "per la prima volta viene riconosciuta la completa eterogeneità del sostanziale romano di fronte alla cultura greca, soprattutto per quanto riguarda la religione e l'eticità" (come ora ha ampiamente dimostrato Bonacina nei suoi due volumi, citati). §§ 358-360: Il mondo germanico - Subito, il principio: "l'unità della natura divina e umana", "il punto di volta", cioè il passaggio dalla più assoluta negatività (l'infelicità universale, la morte della vita etica) a una positività infinita: riconciliazione che il principio nordico dei popoli germanici porterà a compimento. Non ha grande interesse il principio nordico, che è un luogo comune (Herder e Montesquieu). Se mai riprendiamo qui ciò che abbiano notato poco fa: se l'unità delle nature divina e umana é il cristianesimo, esso è collegato con la sua realizzazione affidata ai popoli germanici, allo Stato moderno. Ma vediamo l'attacco: "da questa rovina di se stesso e del suo mondo (Welt: quindi anche sociale) e dall'infinito dolore del medesimo, come quello a cui un popolo, l'israelitico, era stato tenuto pronto...", lo spirito comprende e procede dalla negatività alla positività di cui si è detto sopra. Intanto notiamo che l'infelicità universale è una vera e propria figura ideal-tipica della WG. Il dibattito sul mondo ebraico nella filosofia classica tedesca è ancora aperto (mi permetto di rinviare ad alcune mie pagine che si trovano nel volume, scritto in collaborazione con L. Parinetto: Marx e Shylock, Unicopli, Milano, 1982). E' veramente degna di nota la posizione di Hegel: non mi pare che sia stata notata, almeno relativamente a questo paragrafo (mentre ci si è scatenati sul preteso o presunto antisemitismo di Hegel negli scritti giovanili) (si veda invece 0. Pöggeler, L'interprétation hégélienne du Judaïsme, in "Archives de Philos.", 1981). Vediamo. L'infinito dolore: Hegel si è espresso chiaramente nelle Lezioni: è la conoscenza del bene e del male da cui ha origine la scissione del divino e dell'umano, è una "inquietudine", "nella quale i due lati dell'opposizione si riferiscono reciprocamente" e dalla quale "risulta l'unità di Dio e della realtà (Realität) posta come negativa, cioè la soggettività da lui separata" (Lezioni WG, p. 730: e qui c'è il lavoro dell'ebraismo all'interno del principio orientale). Di questo infinito dolore, di questa esistenza diasporica dell'uomo (così credo di interpretare "inquietudine"), simbolo è il popolo ebraico, che però salterebbe fuori come un deus ex machina (così Weil, art. cit., p. 249): esso "era tenuto pronto". Nello stesso anno, 1821, nelle Lezioni sulla filosofia della religione, alla fine del manoscritto sulla religione finita, Hegel diceva: "il principio orientale della pura unificarsi con la finitezza dell'occidente astrazione doveva (nelle religioni greca e romana). Geograficamente, tra le due parti del mondo - nel paese degli Ebrei. Del popolo ebreo, ho detto: Dio se l'è tenuto per sé come l'antico dolore del mondo..." (ed. K.-Hegel Ilting, vol. I, editore Bibliopolis, Napoli 1978, p. 489). Più esplicitamente: "un tempo lo spirito universale riservò al popolo ebraico l'altissima coscienza che esso sarebbe dovuto uscire rinnovato dal suo seno" (prolusione dell'ottobre del 1816 al corso di storia della filosofia a Heidelberg: tr. it. Introduz. alla storia della filos., Laterza 1982, p. 29). Tutto quello che possiamo dire è che Hegel fa del giudaismo il simbolo dell'esperienza del negativo e del dolore che è al fondo della sua visione della storia e della filosofia della storia. Fino a che punto si possa poi parlare di una figura ideal-tipica, di una condizione trascendentale della storia (WG) non è il caso di discutere in questa sede. All'esposizione del principio segue (§ 359) la configurazione degli elementi e dei momenti che si muovono nel suo interno. Anche se il cristianesimo non è nominato, si tratta della storia del Medioevo cristiano e barbarico, della Riforma, che pure non è nominata, e di quelle sue conseguenze che rendono possibile l'esposizione della filosofia hegeliana nell'Enciclopedia (ultima proposizione del § 360) per ciò che hanno reso possibile e comprensibile la realtà storica dell'apparizione della filosofia moderna stessa nel suo principio. Il principio nella sua interiorità (idea della libertà del cristianesimo) "esiste", ma soltanto "nel sentimento come fede, amore e speranza" e quindi è ancora "astratto" (forse c'è qui una allusione alla Chiesa primitiva non organizzata). Quella astrazione però è tale che sviluppa il suo contenuto "innalzandolo" a una realtà effettuale e ragionevolezza cosciente di sé..., a un regno mondano (weltliches Reich) che procede dal cuore, dalla fedeltà e dal sodalizio degli uomini liberi. Qualche nota: innalzandolo...: erheben, come in italiano vuol dire anche esaltare, dignificare, innalzare al pontificato; quel regno mondano indica, penso, le primitive comunità nazionali (i regni barbarici), quel mondo nel quale il cristianesimo è penetrato, ma non ha trasformato la realtà che ne è stata investita; una soggettività che è ancora, come dice Hegel, rozzo arbitrio e barbarie dei costumi. Insomma, l'alto Medioevo fino a Carlo Magno circa, quell'epoca che nelle Lezioni sarà indicata come: "la lunga, ricca di conseguenze, terribile notte del Medioevo"(Lezioni, 871). Di contro a tutto ciò abbiamo un aldilà, un regno intellettuale, vero, ma non ancora pensato, quindi racchiuso nella barbarie della rappresentazione: un potere spirituale che opprime il sentimento effettivo e quindi si comporta come violenza non libera. In sostanza abbiamo qui il feudalesimo e i suoi conflitti fra temporale e spirituale, con una precisa antitesi interna a ciascuno dei due elementi: il temporale non è ancora un "mondo" e lo spirituale è soltanto un "potere", violenza - la libertà del temporale è un "sentimento" e la verità del suo contenuto non è libera. La "barbarie della rappresentazione" può indicare anche quella teologia medioevale che o è filosofia oppure non è pensiero: il regno intellettuale non è ancora "pensato". Tutto questo troverà una felice formulazione nelle Lezioni (p. 840): "così contraddittorio, così carico di menzogna è questo Medioevo", dove vorrei notare che l'immagine della menzogna del medioevo si trova anche in Voltaire, Essai sur les moeurs, cap. XIII. Il § 360 è dedicato, si ritiene, alla nascita dell'età moderna (Fleischmann dice addirittura alla rivoluzione francese e a Napoleone che realizzò in terra la libertà del cristianesimo: (La philosophie politique de Hegel [commento alla FD], Plon 1964) e pertanto ripete, almeno in parte, il movimento precedente. Traduco (e seguo Weil, con qualche commento). Mentre (non poiché come di solito si traduce indem) nella dura lotta di questi mondi (regni: il mondano che procede dal cuore e l'aldilà intellettuale) che stanno in antitesi (o meglio: che stanno nella loro reciproca differenza: Unterschied), la quale ha conseguito qui la sua opposizione assoluta (il papato e l'impero, il loro esserci, il loro reciproco rapporto e la loro interna dialettica), e che a un tempo si radicano in una sola unità e idea (il principio della libertà-interiorità, l'unità delle nature divina e umana), l'ecclesiale (geistlich) degrada (degradiert, che è opposto a erheben del movimento del paragrafo precedente e a hinaufbildet, relativo al mondano di poche righe dopo) l'esistenza del suo cielo a un di qua terreno (irdisch: terrestre, ma anche secolare, mortale) e a comune mondanità nella realtà effettuale e nella rappresentazione (la nascita dello Stato e della nuova comunità religiosa; è la dottrina dei due regni di Lutero, prima contrapposti; qui è il momento nuovo, é la Riforma almeno nei suoi presupposti, la trascendenza che si fa immanente - e possono anche essere le operazioni dello spirituale/ecclesiale nel mondo dalla lotta per l'investiture alle crociate ecc.) -(mentre avviene tutto questo) il mondano invece innalza e forma (hinaufbildet) il suo astratto essere per sé, cioè la sua unilateralità (il mondano - soggettivo - dell'arbitrio del paragrafo 359) al pensiero e al principio dell'essere ragionevole e del sapere (l'altro aspetto della Riforma: il Cristianesimo nel suo principio ha lavorato a liberarsi dall'esteriorità, dalla schiavitù in rapporto a Dio, e quindi c'è un giusto rapporto uomo-Dio), alla ragionevolezza del diritto e della legge (la formazione delle monarchie e degli Stati nazionali), in sé (cioè per noi, ora che ripercorriamo un movimento realizzatosi nella realtà effettuale) l'antitesi è scomparsa in una figura debole (marklos: senza midollo: l'antitesi c'è, ma ora non agisce più: il presente non è più barbaro e ingiusto; il mondo terreno è penetrato da ciò che il Cristianesimo aveva affermato), sì che la vera riconciliazione è oggettivamente avvenuta (cioè si è istituzionalizzata, come infatti dice subito dopo), ed essa dispiega lo Stato a immagine e realtà effettuale della ragione, dove la coscienza di sé trova la realtà effettuale del suo sapere sostanziale e del suo volere organicamente sviluppata come trova nella religione il sentimento e la rappresentazione di questa sua verità come essenzialità ideale, ma trova nella scienza la conoscenza libera e compresa di questa verità, come una e la medesima nelle loro manifestazioni tra loro complementari, lo Stato, la natura, il mondo ideale. Ancora qualche chiarimento: l'annuncio, alla fine, dell'Enciclopedia: non c'è nell'ultima riga la religione che però è stata citata poco sopra ("come trova nella religione il sentimento ecc.") per indicare lo spirito assoluto secondo una formula che Hegel usa regolarmente (la sfera dello spirito assoluto può essere in generale chiamata religione). Abbiamo poi nella scienza l'ontologia della scienza della logica, e in questo quadro le relative manifestazioni, cioè lo spirito oggettivo, la filosofia della natura e quindi la filosofia. Quel mondo ideale, cioè la filosofia, che chiude il paragrafo, chiude la WG, e chiude, non dimentichiamolo, l'intera Filosofia del Diritto, è proprio lì ad indicare che, attraverso e solo grazie a questa filosofia della storia della filosofia del diritto, noi (il filosofo) arriviamo a comprendere non la filosofia in ciò che essa insegna (diciamo la storia della filosofia o le filosofie nella loro storia) ma la possibilità e la realtà storiche della sua apparizione, della sua apparizione come filosofia moderna - come abbiamo rilevato sopra anticipando il testo hegeliano. Per chiudere mette conto riprendere la figura dello Stato nella presente esposizione. Ripeto, è della massima importanza. Lo Stato è quella realtà che è, ragione effettivamente reale, ma per la coscienza-di-sé: come dice espressamente Hegel: il momento presente "dispiega lo Stato a una immagine ... della ragione, dove la coscienza-di-sè trova la realtà effettuale ...": e questo vale, si badi, per la WG come concetto e come realtà. Il che significa che lo Stato non è vissuto come la religione e non è compreso come la filosofia: è la soddisfazione della coscienza-di-sé dell'essere libero, è il positivo nato dalla negatività della libertà, in un mondo che non è più violento e non è nemmeno sopraterreno, irreale: "c'è una soddisfazione, ma resta quella di una coscienza-di-sé situata, finita, sottoposta (anche se non soggetta) a quell'accidentale che rimane ineliminabile da tutto ciò che appartiene alla natura" (Weil, cit.). Anche per questo, lo Stato, di cui qui parla Hegel, non è né il migliore né l'ultimo. La WG ha reso possibile la sua comprensione (filosofica) nella storia - ma la storia non è chiusa.