Prof. Livio Sichirollo STORIA UNIVERSALE E "FILOSOFIA DEL

Prof. Livio Sichirollo
(1928 – 2002)
STORIA UNIVERSALE E "FILOSOFIA DEL DIRITTO"
1
(appunti e qualche notizia bibliografica)
Tema e opera lasciate in disparte dal clima postmoderno. E' bene
ripensarci: abbiamo bisogno di ragioni forti. Mi fa piacere - così
si vede come la pensa chi parla - ricordare l'ultimo intervento
hegeliano di Massolo: "Una lettura di Hegel, una sua interpretazione,
non è qualcosa che possa venire per così dire ricondotta alla fortuna
di Hegel nel nostro tempo ... il dire che Hegel è ancora vivente non
è un'affermazione che possa venire tranquillamente posta accanto alle
altre. Non è soltanto questione di responsabilità, non è mai un fatto
isolato,
ma
qualcosa
che
impegna
anche
politicamente"
("Entäusserung", "Entfremdung" nella Fenomenologia dello spirito,
letto al Congresso Internazionale della Hegel-Vereinigung, Urbino
1965, in La storia della filosofia come problema, nuova ed. Vallecchi
1967, poi 1973).
Se non sbaglio un solo contributo recente generale: F. Tessitore,
Il senso della storia universale, Garzanti 1987.
Un solo contributo specifico: G. Bonacina, Storia universale e
filosofia del diritto. Commento a Hegel, Guerini 1989, poi il volume
del 1991: Hegel, il mondo romano e la storiografia. Rapporti agrari,
diritto, cristianesimo e tardo antico, La Nuova Italia 1991.
1
Appunti (messi a suo tempo a disposizione dell’Arifs dal Prof. Livio Sichirollo)
della relazione tenuta - nel quadro dei Seminari su “Hegel: lettura dei testi”
organizzati dall’Arifs – nella giornata del 14 settembre 1991 dedicata a “Le lezioni
di filosofia della storia”, svoltasi a Verona nella Sala della Biblioteca Comunale.
Battistrada: Pietro Rossi, Storia universale e geografia in Hegel,
Sansoni per la scuola 1975. Rinuncio alla bibliografia: il meglio si
trova nei volumi citati di Bonacina, e nell'ottima Introduzione a
Hegel di V. Verra, Laterza 1988.
Fonti dirette per lo studio del testo: la nuova edizione delle
Grundlinien der Philos. d. Rechts (d'ora in poi FD), a cura di Hegel
Klenner, Akademie Verlag 1981: importante anche per l'ampliamento
delle aggiunte degli scolari (i c.d. Zusätze), e per l'utilizzazione
delle redazioni, dei vari uditori, dei corsi sulla FD di recente
pubblicati in Germania (a cura di K.-Hegel Ilting presso Frommann;
di D. Henrich presso Suhrkamp e dello Hegel-Archiv presso Meiner).
Una bella antologia di questi testi in italiano, nel fondamentale
volume curato da D. Losurdo: Hegel. Le filosofie del diritto. Diritto,
proprietà, questione sociale, partic. il cap. XIX, Leonardo 1989 (con
bibliografia specifica).
Con Lezioni o Lezioni WG intendo le Vorlesungen über die
Philosophie der WG secondo la nota edizione G.Lasson (ed. Meiner):
la tr. it. presso la Nuova Italia, 4 voll., riporta la paginazione
di Lasson.
Com'è
noto
Lasson
ha
utilizzato
manoscritti
hegeliani
e
le
Nachschriften (lezioni messe per iscritto) degli scolari. Ora, K.R.
Meist,
Differenzen in Hegels Deutung der "Neuesten Zeit"innerhalb
seiner Konzeption der WG (in Hegels Rechtsphilos. Im Zusammenhang der
europäischen
Verfassungsgeschichte,
hrsg.
HegelC.
Lucas
-
0.
Pöggeler, Frommann 1986: importante raccolta di studi), riutilizza
il ms di K.C.v. Griesheim (già in Lasson) e una Nachschrift inedita
(1826-27) di J. Hube. L'autore prepara un libro sulla storia della
WG nel pensiero di Hegel.
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Storia universale, Weltgeschichte (d'ora in poi WG): il nome e
la cosa. Non basterebbe una serie di conferenze. Parola antichissima,
del 1000 circa, usata da un certo Notker, monaco benedettino di San
Gallo - ma questo e altro va visto alle voci Geschichte e Historie
dei fondamentali volumi Geschichtliche Grundbegriffe a cura di R.
Koselleck e altri (ed. Klett-Cotta).
Nome e cosa sono quasi esclusivi degli storici e dei giuristi
tedeschi di Göttingen del '700 - in gran parte presenti fra i libri
di Hegel [Problema della biblioteca di Hegel]. I libri di storia e
i classici della storiografia antica e moderna, che si presumono
presenti fra i libri posseduti da Hegel, sono elencati da D. Janicaud,
Hegel et le destin de la Grèce, Vrin 1975; M. Hulin, Hegel et l'Orient,
Vrin 1979 e Bonacina, cit.
Un riassunto è complesso. Inutile una lista di nomi. I più
importanti fra quelli che Hegel dovrebbe aver letto, del '700, sono
C.D. Beck, K.F. Becker, C. Meiners, J. Moser, F.C. Schlosser e C. Ritter,
il geografo, amico di A.v. Humboldt a Berlino - ma bisogna aggiungere
A.L. Schlözer come anche C.v. Rottech e J.M. Schröckh, I. Iselin,
non presenti tra i libri di Hegel Non sembra proprio che possano
costituire precedenti di rilievo della visione hegeliana.
Noterei qui 2 eccezioni: J.C. Adelung, Storia della cultura del
genere umano, 1782: collega storia politica e storia della cultura,
e parla di una età e di una evoluzione dei popoli e degli stati:
infanzia, giovinezza, vecchiaia, tema, per altro, vecchissimo. K.F.
Becker, che scrive una WG, IV ed. 1817-25, collega esplicitamente la
storia del mondo, la vita dello stato e lo sviluppo della cultura.
Ma restano, mi sembra, riferimenti esterni. Da Hegel stesso sappiamo
che significativi furono per lui gli storici antichi, Machiavelli,
Montesquieu, Gibbon, per non parlare di Herder, di Kant e Fichte, di
Schelling e di Fr. Schlegel, questi ultimi in particolare, oggetto
esplicito della sua polemica.
Ma su tutto ciò si vedrà Tessitore in generale e Bonacina in
particolare, già cit.; resta fondamentale L. Marino, I maestri della
Germania. Göttingen 1770-1820, Einaudi 1975; infine, per il rapporto
storia-diritto-società civile-costituzioni nel 700, si trova molto
nella bella raccolta di scritti a cura di Z. Batscha, V o n
der
ständischen zur bürg. Gesellschaft, Suhrkamp 1981, ristampato.
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Vediamo dunque qualche aspetto della WG della FD §§ 354-360.
Bonacina
(come
anche
Losurdo)
sembrano
d'accordo
con
me
nel
considerare eccezionale il contributo di E. Weil, La "Filosofia del
diritto" e la filosofia della storia hegeliana, 1976, nella raccolta
di suoi saggi, Dell'interesse per la storia, Bibliopolis 1983. Altro
testo fondamentale (un precedente di Weil e una curiosa coincidenza
di prospettiva) è in A. Massolo, Per una lettura della "Filosofia
della storia", 1959, in La storia della filosofia come problema,
Vallecchi 1967, poi 1973.
Non è semplice. Per semplificare cominciamo dal punto d'arrivo
- che è poi quello di Hegel E' della massima importanza. Certamente
Hegel conosceva le lezioni sulla filosofia della storia di Schiller,
1789,
con
la
celebre
affermazione:
gli
eventi
si
svolgono
dall'origine delle cose verso di noi - lo storico universale invece
risale dalla più recente condizione del mondo verso l'origine delle
cose stesse.
Il che, più filosoficamente, è detto nell'altrettanto celebre
verso,
della
poesia
Rassegnazione
del
1784:
die
WG
ist
das
Weltgerichte: la storia del mondo è il tribunale del mondo, dunque
anche giudizio universale, finale, sul mondo. Ossia, è la sentenza
che giudica, chiarisce il processo (FD § 341, e poi nelle Lezioni
Wannenmann, 1817-18, ed. Hegel Archiv, Meiner, p. 257 con citazione
di Schiller: "la cosa più profonda che si potesse dire"). Sulla storia
in Hegel di questa espressione, si può vedere un saggio di HegelC.
Lucas, in "Hegel Jahrbuch" 1981-82.
La storia é dunque regressiva, si intenda: storiografia e WG.
La WG (vedremo: storia filosofica proprio perché storia politica,
mondana),
storia
dello Stato
e
degli
Stati
(come dimostrano le
esposizioni hegeliane), non è né tutta la storia né la storia di tutte
le dimensioni del passato (mondana: quasi un gioco di parole da Welt:
nell'antico alto tedesco Weralt-worolt: era, mondo, genere umano, dal
radicale germanico wera = uomo e gotico alds = età, tempo).
L'arte, la religione e la filosofia sono trattate a parte e
figurano nella WG solo in quanto svolgono una funzione nella vita
politica, fattori autonomi ma subordinati allo Stato.
Questo indica il § 341 che apre la WG della FD: "lo spirito
universale trova l'elemento della sua esistenza quando si tratta
dell'arte nell'intuizione e nell'immagine; lo trova nel sentimento
e rappresentazione quando si tratta di religione; con la filosofia
nel pensiero libero e puro; nella WG [storia politica] questo elemento
è la realtà intellettuale effettiva in tutta la sua estensione di
interiorità ed esteriorità ..." (trad. Weil; identico concetto in
Enc. § 552).
Tutto appare dunque sul piano di questa storia, ma non tutto vi
si rivela in tutto il suo essere. Lo spirito oggettivo non é lo spirito
assoluto, ma questo non può essere, agire, farsi effettivamente reale
se non a partire da quella base.
Questa storia - nella quale, come nella natura, c'è qualcosa di
fortuito e di casuale ineliminabile (l'esteriorità del § 341 cit.
e
i
principi
naturali
immediati,
l'esistenza
geografica
e
antropologica dei popoli del § 346 = Enc. § 548) - non perviene alla
pura coscienza di sé, anche se vi è una coscienza che agisce ed è
efficace in essa. Vi perviene nella filosofia (spirito assoluto),
dopo l'arte e la religione; quindi trascende la storia, ma si fa
attraverso di essa. Ne consegue: 1) la storia ha un senso ed è morale
(base della realizzazione dello spirito assoluto e della filosofia
che la pensa); 2) d'altra parte, e insieme: la WG rende comprensibile
non la filosofia in ciò che essa insegna,
ma la possibilità e la
realtà storica della sua apparizione.
Fa
parte
del
punto
d'arrivo
(nostro
e
hegeliano)
la
considerazione che questa WG ha un inizio, non è esistita da sempre:
presuppone infatti la nascita dello Stato e degli Stati, come dice
il § 349: "un popolo non è ancora uno stato"; famiglia, orda, stirpe
sono sostanza etica, che però manca "dell'oggettività di avere nelle
leggi ... un'esistenza universale e universalmente valida per sé e
per gli altri ... non é sovranità"; si legge in nota: "Anche nella
concezione comune una condizione patriarcale non è una costituzione".
Di qui il motivo degli eroi fondatori (§ 348 e 350 : cfr. P. Salvucci,
L'eroe in Hegel, Guida 1979).
Se ha un inizio, questa WG non ha però una fine, non chiude, come
si è preteso, la storia. Punto dolentissimo! Dai contemporanei di
Hegel ai nostri postmoderni si è sostenuto il contrario. A nostro
avviso, però, contro l'evidenza della lettera e dello spirito della
pagina hegeliana. Anche noi potremmo discuterne a non finire.
L'argomento fondamentale, sul quale invito a riflettere, sta già
in
quanto
ho
esposto
qui
sopra
sul
rapporto
spirito
oggettivo-WG-spirito assoluto. Tale relazione reca in sé almeno
queste ulteriori considerazioni: non c'è incarnazione dello spirito
del mondo in uno stato mondiale; lo spirito del mondo non coincide
con qualche realizzazione finora visibile e non vi si esaurisce; c'è
una conciliazione e una soddisfazione della coscienza e dello spirito
nel corso della storia del mondo, ma restano quelle di una coscienza
di sé situata, finita, sottoposta a quel contingente ineliminabile
come tutto ciò che appartiene anche alla natura (non a caso Hegel ha
più volte scritto e argomentato: "lo stato non è un'opera d'arte, é
nel mondo, dunque nella sfera dell'arbitrio, dell'accidentalità e
dell'errore";FD § 258 aggiunta);
infine (anche per quest'ultima
considerazione) c'è, sì, una comprensione ulteriore, ultima, che
rende ragione della WG come "totalità dei punti di vista" (si
confrontino l'inizio delle Vorlesungen W.G., p. 9 e il § 345), ma non
definitiva: e si trova, come appunto abbiamo visto, su un altro piano:
quello che la filosofia della storia rende possibile: lo spirito
assoluto, la filosofia.
E' bene leggere il § 345: "Giustizia e virtù, torto, violenza
e vizio, i talenti e i rispettivi atti-fatti (ihre Taten), le passioni
grandi e piccole, la colpa e l'innocenza, la gloria (die Herrlichkeit)
della vita individuale e del popolo, l'indipendenza, la buona e cattiva
sorte degli Stati e degli individui hanno nella sfera della realtà
effettuale consapevole il loro significato e valore determinati, e
trovano in essa il loro giudizio, e la loro giustizia, per quanto
incompiuta (sottolineatura mia)". La WG cade fuori da questi punti
di vista; in essa il momento dell'idea dello spirito universale, che
è al presente il suo piano (seine Stufe), ottiene il suo diritto
assoluto, e il popolo che vive in quel momento e i suoi atti-fatti
ottengono il loro compimento, e fortuna e fama (ihre Vollführung,
und Glück und Ruhm)" (sul complesso di queste motivazioni si vedano
alcuni contributi, in particolare R. Polin, in Hegel. L'esprit
objectif. L'unité de l'histoire, Actes du III Congrès intern. de la
Hegel-Vereinigung, 1968, Publ. Fac. Lettres de Lille, 1970).
Dovrebbe risultare abbastanza chiaro di per sé. Ma lo si può
commentare con Hegel e inquadrarlo fra il § 343 e la chiusa del §
360.
Paragrafo 343: la storia dello spirito è solo ciò che esso fa; il
prender coscienza di ciò che fa, il suo comprendersi: "comprendere
(erfassen) è l'essere e il principio dello spirito, e il compimento
di un processo nel quale lo spirito si coglie é nello stesso tempo
la sua alienazione e l'atto mediante il quale esso passa oltre" (che
è poi il tema della prefazione alla FD).
Quanto alla chiusa del § 360 (che vedremo meglio fra poco),mi
limito a far notare: lo Stato è ora, qui, ragione effettivamente
reale, ma per la coscienza di sé, che ha trovato la realtà effettuale
del suo sapere e volere sostanziali (liberi) in uno sviluppo organico
- quindi quella coscienza di sé finita, sottoposta, anche se non
soggetta (come dice Weil), a quell'accidentale ineliminabile da
tutto ciò che appartiene alla natura, di cui abbiamo parlato poco
sopra.
Certo, tutto questo avviene ora: "il presente si è spogliato della
sua barbarie e del suo arbitrio ingiusto, e la verità del suo aldilà
e della sua violenza (Gewalt, autorità, potere) accidentale". Ma il
significato é chiaro, se si tengono presenti i contesti dei quali
Hegel, pover'uomo, intendeva parlare per dire qualcosa di ragionevole
ai suoi contemporanei nei suoi testi: l'ora e il qui sono i tempi nuovi,
l'età aperta dalla Rivoluzione francese (inutile citare) e insieme
dalla rivoluzione industriale (che corrisponde alla società civile
della FD §§ 182-256), l'età della libertà di tutti e di ciascuno, ma
non soltanto formale, quindi libertà come riconoscimento (come ha
dimostrato J. Ritter, Hegel e la rivol. francese, Guida 1982², al
seguito di E. Weil, Hegel e lo Stato, 1950, ora nel volume dallo stesso
titolo che raccoglie tutti i suoi scritti hegeliani, presso Guerini,
1988). Se vogliamo proprio ricorrere a un'immagine, diciamo che sta
tutto qui il "classicismo" di Hegel
(come ha ben visto Bonacina):
é il mondo della polis restituito, ma ora mediato dalla realtà e dalla
presenza della coscienza individuale.
Ancora qualche osservazione prima di vedere i 4 regni.
Perché 4? Gli interpreti più accreditati rinviano al sogno di
Nabucodonosor (Daniele 2, 37) e alla ben nota opera di Sleidanus,
1658, che Hegel aveva fra i suoi libri; poi si potrebbero fare
confronti con filosofie della storia contemporanee (ma tutto questo
è
bene
illustrato
nel
libro
di
Bonacina).
Va
solo
ricordata
qui la singolare posizione hegeliana: l'età dell'oro, se c'è, è
davanti a noi, non alle nostre origini; il paradiso terrestre, se c'è
o è stato, è bene averlo perduto. Non c'è uno stato d'innocenza
dell'uomo. La nostra storia non è quella di una decadenza, ma di una
conquista nella e della libertà, nel bene e nel male. I 4 momenti
del processo corrispondono alle "determinazioni della riflessione"
della Scienza della logica: identità-differenza
come
diversità
o
distinzione
e antitesi-conciliazione (libro II, cap. II).
Si veda il § 353: (oriente)-identità sostanziale, singolarità;
(Grecia)-diversità della sostanza e del sapere, individualità bella;
(Roma)-antitesi infinita di oggettività e soggettività, astratta
universalità; (mondo moderno)-rovesciamento dell'antitesi, ritorno
(della soggettività) nell'oggettività concreta, pensiero e mondo
come realtà legale (gesetzliche Wirklichkeit).
Non mi soffermo per il punto di vista logico, ma solo per
sottolineare questi 4 concetti intorno ai quali Hegel lavora nei
successivi paragrafi relativi ai 4 regni. Hegel riprende qui
l'esposizione, diciamo ideal-tipica, della Fenomenologia. Questo è
importante.
I
regni
successione
causali.
non
si
Ciascuno
succedono
di
essi
secondo
un
rappresenta
rapporto
il
o
momento
culminante, l'akmé di una formazione e di una evoluzione, visti e
colti
nel
punto
fermo
del
loro
"principio"
-
successione
configurabile unicamente "per noi", dal punto d'arrivo.
Infine, Das Reich: Messineo traduce mondo, i francesi empire,
Bonacina regno. Mondo non è corretto: Welt, lo spirituale effettuale
concreto, compare alla fine (ultima riga dell'ultimo paragrafo: il
mondo ideale reso possibile dalla realtà della WG). Reich in effetti
è regno, ma come dominio, stato come potere, imperium; d'altra parte
proviene da un radicale indogermanico che ha in sé l'idea di erigere,
indirizzare, dominare. Quindi le nostre traduzioni, più o meno
insoddisfacenti, si equivalgono, una volta compresa la parola e la
cosa.
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§ 355: Mondo orientale - "Questo primo regno è la visione del
mondo sostanziale (substanzielle Weltanschauung)...": visione del
mondo, parola che Hegel usa poco, se non nell'Estetica, e di solito
con valore limitativo.
quali
è
immersa
Sostanza,
identità , inconsapevoli, nelle
(versenkt) e ingiustificata
(unberechtigt)
la
persona. Quindi non c'è persona. La totalità Stato-teocrazia-natura è
sublime: die Pracht (splendore) - qualcosa di inaccessibile. Non c'è
diritto, quindi non c'è storia, ma poesia: la sola espressione di questo
mondo, il solo documento, direi, che ci resta, considerato che ogni
movimento è solo guerra, e la guerra è furore elementare (passionale,
viscerale) e distruzione; oppure "la tranquillità interna è una vita
privata e
uno sprofondarsi nella debolezza e nella stanchezza".
Hegel cita con lode Stuhr (Der Untergang der Naturstaaten), il
quale però commentava la storia romana di Niebuhr. Certo, salvo le
immagini concettualizzate, Hegel non innova gran che; c'è persino una
sua fonte in un frammento di Francoforte, Spirito degli orientali:
è l'immagine settecentesca delle comunità prestatali; con una
importante
novità,
degna
di
Hegel:
scompaiono
dall'Oriente
i
connotati di crudeltà e capriccio, che ne avevano accompagnato la
fortuna in Europa: dispotismo c'è, ma per noi (Bonacina, p. 192).
Hegel non nomina neppure quel dispotismo orientale, che tanta fortuna
avrebbe poi avuto, di cui parla nel § 270, nota, alla fine, e nelle
Lezioni. Come si sa la formula non è hegeliana. Parlare qui della
dialettica signoria-schiavitù, che deriverebbe da Iselin, come fa
Haym, mi sembra improprio: tale dialettica presuppone o avviene in
vista di uno Stato che qui non c'è.
5 356: Il mondo greco - E' un paragrafo paradigmatico, ricchissimo
anche
per
le
recenti
ricerche
sul
mondo
classico.
La
"unità
sostanziale del finito e dell'infinito" è rappresentata, a mio avviso,
dalla aristocrazia, pre-politica in senso stretto (cioè da polis),
l'aristocrazia dei gene, sulla quale insiste giustamente la ricerca
antropologica contemporanea. Così credo di interpretare il passo:
"soltanto a fondamento misterioso (culti?), represso nel ricordo
ottuso (dumpf, cioè sordo, che non ha risonanza), nelle caverne e nelle
immagini della tradizione": è persino inutile ricordare Platone, ma
quelle
"immagini
della
tradizione"
non
possono
che
rinviare
dello
spirito
all'aristocrazia di cui abbiamo fatto cenno.
Di
qui
vien
fuori
una
prima
distinzione
(unterscheidend, termine che compare per la prima volta e che
ritroveremo con un segno leggermente diverso negli altri paragrafi),
distinzione come qualcosa di individuale che sorge, che si affaccia
(herausgebären, un hapax : cfr. Bonacina 209) - "il giorno del sapere"
ma
"commisurata
e
trasfigurata
in
eticità
libera
e
serena":
Sittlichkeit, una morale effettuale, concreta, presupposto di uno
Stato, al quale si fa allusione poco dopo. Infatti, a) l'individualità
che qui sorge è solo "ideale", non è ancora "compresa" (non "chiusa":
befangen) in se stessa (è il motivo del ricordo ottuso); b) abbiamo
una cerchia di spiriti del popolo particolari, che non sono ancora
propriamente Stati; c) la "suprema volontà che decide" non è posta
nella soggettività cosciente, ma in un potere (Macht) più elevato,
esterno a essa: è la polis, che incarna la libertà degli antichi come
libertà politica, cioè del corpo politico come potenza, non la libertà
personale e civile dei moderni. A suo modo Hegel ha partecipato
al celebre dibattito sulla libertà degli antichi e dei moderni:
in più luoghi delle sue opere ha esplicitamente affermato che il
mondo greco ha ignorato il nostro concetto di coscienza, libertà,
pur
tenendo
fermo,
com'è
noto,
il
rapporto
costituzioni
libere – città - filosofia. Di solito si rinvia agli oracoli,
all'interpretazione delle viscere, al bisogno del demone per prendere
decisioni ultime, e d'altra parte è esplicito il rinvio di Hegel al
§ 279, nota. Ma, mi pare fondamentale che: se allusione alla polis
c'è, la polis non è uno stato; d) il che sarebbe confermato dal
riconoscimento che non c'è la "dignità di un lavoro libero, non
servile: la condizione della schiavitù soddisfa il bisogno". Celebre
la pagina delle Lezioni: democrazia bella - uguaglianza dei cittadini
- schiavitù.
Hegel ha messo fine al suo cosiddetto classicismo: non c'è più
lo Stato come opera d'arte del 1802 (fine del saggio a stampa sul
diritto naturale) come sostiene invece Haym: l'eticità bella, libera
e serena, è semplicemente quella di una comunità che ignora la
dialettica società civile-Stato, e ne è prova "lo stato" della
schiavitù (Sklavenstand), al quale è riservato l'esercizio del
lavoro.
§ 357:
Il mondo romano - In realtà si tratta del mondo
ellenistico-romano, dell'impero; la distinzione si compie ora in una
lacerazione infinita della vita etica concreta (sittlich). Allora,
qui
c'è
Sittlichkeit,
ma
lacerata,
quindi
non
c'è
in
senso
hegeliano. Non è una semplice curiosità notare che il termine
Unterscheidung compare qui nella prima riga e condiziona l'intera
esposizione. Il riassunto è semplice: apparizione del diritto
privato
e
del
soggetto
isolato
(la
persona),
sottomesso
alla
volontà arbitraria di un individuo onnipotente che rende tutti
uguali e ugualmente abietti. E' la stessa immagine del saggio sul
diritto naturale del 1802 (Schriften zur Politik..., ed, Lasson,
p. 380-1; tr. it. Scritti di filos. d. diritto, Laterza 1962, p.
76-77), dove viene citato Gibbon.
Hegel ha qui una grande intuizione: per il diritto privato la
persona ha valore come tale, nella sua realtà, cioè nella proprietà
(Lezioni WG, alla fine dell'Impero); solo il possesso dei beni
distingue i liberi dagli schiavi; ma poiché ogni proprietà è esposta
al capriccio dell'imperatore, il confine fra libertà e schiavitù si
fa labile: "In questo principio ha il suo inizio esteriore il
superamento
della
schiavitù.
Nell'impero
mondiale
tutto
si
appiattisce ... questa uguaglianza però non è un'elevazione ma un
abbassamento"
(Lezioni
1818-1819:
cfr.
Bonacina,
235-6;
Hegel-Losurdo, p. 500). Com'è noto il problema della fine della
schiavitù nel mondo antico resta problema aperto, dibattutissimo.
Hegel sembra procedere dall'astratto al concreto: la vita etica
si spezza negli estremi di una coscienza di sé personale e privata
(cioè separata), e dell'universalità astratta. Opposizione quindi
tra l'unità sostanziale di un'aristocrazia (regnante) e il principio
democratico che le sta di fronte; dall'evoluzione della prima deriva
superstizione e dispotismo - dal secondo, la corruzione della plebe.
E' interessante il confronto con il mondo greco dove l'unità
sostanziale dava invece luogo a una eticità libera e serena. Nel mondo
romano la vita etica muore nell'infelicità universale: è il motivo
del dolore, sul quale Hegel ritornerà presto; l'unità di un pantheon
incomprensibile
e
straniero
rappresenta
anche
la
fine
delle
individualità nazionali. "Il diritto formale che rende uguale tutti
come privati, e quindi in qualche modo come persone, é tenuto insieme
soltanto da un arbitrio astratto che giunge ad aspetti mostruosi".
Hegel è molto incisivo, forse anche molto schematico. Ma bisogna
cercare di penetrare questo schematismo. Anche qui non é una semplice
curiosità notare che non si riesce a trovare traccia del cristianesimo:
in ogni caso, si badi, esso non verrà mai nominato in questi paragrafi.
Se allusione al cristianesimo c'è, é in quel "principio della
personalità libera" e in quella "infelicità universale e morte della
vita etica" di cui dice Hegel. Ma bisogna riconoscere che queste
affermazioni potrebbero valere anche per altre correnti religiose,
e la spia potrebbe essere la citazione del pantheon. Mi limiterei a
riportare la tesi di Weil (nel saggio sulla Secolarizzazione..., nel
citato volume Dell'interesse per la storia, pp. 245-6): l'allusione
più importante al cristianesimo resta quella del § 358 relativa al
passaggio dal mondo ebraico al Medioevo barbarico e quindi solo come
elemento del mondo moderno e dello Stato ragionevole. Ritorneremo su
questo punto, che comunque potrebbe essere discusso a lungo.
Infine: secondo Brunstäd (nella sua edizione della II ed. delle
Lezioni,
Lipsia,
nell'esposizione
Reclam,
del
s.d.
"principio"
ma
1907,
della
p.
grecità
580),
Hegel
mentre
segue
sostanzialmente le tesi dei suoi contemporanei, soprattutto Schiller,
gli elementi del mondo romano sono individuati in modo del tutto
originale, e "per la prima volta viene riconosciuta la completa
eterogeneità del sostanziale romano di fronte alla cultura greca,
soprattutto per quanto riguarda la religione e l'eticità" (come ora
ha ampiamente dimostrato Bonacina nei suoi due volumi, citati).
§§ 358-360: Il mondo germanico - Subito, il principio: "l'unità
della natura divina e umana", "il punto di volta", cioè il passaggio
dalla più assoluta negatività (l'infelicità universale, la morte
della vita etica) a una positività infinita: riconciliazione che il
principio nordico dei popoli germanici porterà a compimento. Non ha
grande interesse il principio nordico, che è un luogo comune (Herder
e Montesquieu). Se mai riprendiamo qui ciò che abbiano notato poco
fa: se l'unità delle nature divina e umana é il cristianesimo, esso
è collegato con la sua realizzazione affidata ai popoli germanici,
allo Stato moderno.
Ma vediamo l'attacco: "da questa rovina di se stesso e del suo
mondo (Welt: quindi anche sociale) e dall'infinito dolore del medesimo,
come quello a cui un popolo, l'israelitico, era stato tenuto
pronto...", lo spirito comprende e procede dalla negatività alla
positività di cui si è detto sopra. Intanto notiamo che l'infelicità
universale è una vera e propria figura ideal-tipica della WG. Il
dibattito sul mondo ebraico nella filosofia classica tedesca è ancora
aperto (mi permetto di rinviare ad alcune mie pagine che si trovano
nel volume, scritto in collaborazione con L. Parinetto: Marx e Shylock,
Unicopli, Milano, 1982). E' veramente degna di nota la posizione di
Hegel: non mi pare che sia stata notata, almeno relativamente a questo
paragrafo
(mentre
ci
si
è
scatenati
sul
preteso
o
presunto
antisemitismo di Hegel negli scritti giovanili) (si veda invece 0.
Pöggeler, L'interprétation hégélienne du Judaïsme, in "Archives de
Philos.", 1981).
Vediamo. L'infinito dolore: Hegel si è espresso chiaramente nelle
Lezioni: è la conoscenza del bene e del male da cui ha origine la
scissione del divino e dell'umano, è una "inquietudine", "nella quale
i due lati dell'opposizione si riferiscono reciprocamente" e dalla
quale "risulta l'unità di Dio e della realtà (Realität) posta come
negativa, cioè la soggettività da lui
separata"
(Lezioni
WG,
p.
730: e qui c'è il lavoro dell'ebraismo all'interno del principio
orientale).
Di
questo
infinito
dolore,
di
questa
esistenza
diasporica dell'uomo (così credo di interpretare "inquietudine"),
simbolo
è
il
popolo ebraico, che però salterebbe fuori come un
deus ex machina (così Weil, art. cit., p. 249): esso "era tenuto
pronto". Nello stesso anno, 1821, nelle Lezioni sulla filosofia della
religione, alla fine del manoscritto sulla religione finita, Hegel
diceva:
"il
principio
orientale
della
pura
unificarsi con la finitezza dell'occidente
astrazione
doveva
(nelle religioni greca
e romana). Geograficamente, tra le due parti del mondo - nel paese
degli Ebrei. Del popolo ebreo, ho detto: Dio se l'è tenuto per sé
come l'antico dolore del mondo..." (ed. K.-Hegel Ilting, vol. I,
editore Bibliopolis, Napoli 1978, p. 489). Più esplicitamente: "un
tempo lo
spirito universale riservò al popolo ebraico l'altissima
coscienza che esso sarebbe dovuto uscire rinnovato dal suo seno"
(prolusione
dell'ottobre
del
1816
al
corso di
storia della
filosofia a Heidelberg: tr. it. Introduz. alla storia della filos.,
Laterza 1982, p. 29). Tutto quello che possiamo dire è che
Hegel
fa del giudaismo il simbolo dell'esperienza del negativo e del
dolore che è al fondo della sua visione della storia e della filosofia
della storia. Fino a che punto si possa poi parlare di una figura
ideal-tipica, di una condizione trascendentale della storia (WG)
non è il caso di discutere in questa sede.
All'esposizione del principio segue (§ 359) la configurazione
degli elementi e dei momenti che si muovono nel suo interno. Anche
se il cristianesimo non è nominato, si tratta della storia del
Medioevo cristiano e barbarico, della Riforma, che pure non è nominata,
e di quelle sue conseguenze che rendono possibile l'esposizione della
filosofia hegeliana nell'Enciclopedia (ultima proposizione del § 360)
per ciò che hanno reso possibile e comprensibile la realtà storica
dell'apparizione della filosofia moderna stessa nel suo principio.
Il principio nella sua interiorità (idea della libertà del
cristianesimo) "esiste", ma soltanto "nel sentimento come fede, amore
e speranza" e quindi è ancora "astratto" (forse c'è qui una allusione
alla Chiesa primitiva non organizzata). Quella astrazione però è tale
che sviluppa il suo contenuto "innalzandolo" a una realtà effettuale
e ragionevolezza cosciente di sé..., a un regno mondano (weltliches
Reich) che procede dal cuore, dalla fedeltà e dal sodalizio degli
uomini liberi. Qualche nota: innalzandolo...: erheben, come in
italiano
vuol
dire
anche
esaltare,
dignificare,
innalzare
al
pontificato; quel regno mondano indica, penso, le primitive comunità
nazionali (i regni barbarici), quel mondo nel quale il cristianesimo
è penetrato, ma non ha trasformato la realtà che ne è stata investita;
una soggettività che è ancora, come dice Hegel, rozzo arbitrio e
barbarie dei costumi. Insomma, l'alto Medioevo fino a Carlo Magno
circa, quell'epoca che nelle Lezioni sarà indicata come: "la lunga,
ricca di conseguenze, terribile notte del Medioevo"(Lezioni, 871).
Di contro a tutto ciò abbiamo un aldilà, un regno intellettuale,
vero, ma non ancora pensato, quindi racchiuso nella barbarie della
rappresentazione: un potere spirituale che opprime il sentimento
effettivo e quindi si comporta come violenza non libera. In sostanza
abbiamo qui il feudalesimo e i suoi conflitti fra temporale e
spirituale, con una precisa antitesi interna a ciascuno dei due
elementi: il temporale non è ancora un "mondo" e lo spirituale è
soltanto un "potere", violenza - la libertà del temporale è un
"sentimento" e la verità del suo contenuto non è libera. La "barbarie
della
rappresentazione"
può
indicare
anche
quella
teologia
medioevale che o è filosofia oppure non è pensiero: il regno
intellettuale non è ancora "pensato". Tutto questo troverà una felice
formulazione nelle Lezioni (p. 840): "così contraddittorio, così
carico di menzogna è questo Medioevo", dove vorrei notare che
l'immagine della menzogna del medioevo si trova anche in Voltaire,
Essai sur les moeurs, cap. XIII.
Il § 360 è dedicato, si ritiene, alla nascita dell'età moderna
(Fleischmann dice addirittura alla rivoluzione francese e a Napoleone
che realizzò in terra la libertà del cristianesimo: (La philosophie
politique de Hegel [commento alla FD], Plon 1964) e pertanto ripete,
almeno in parte, il movimento precedente. Traduco (e seguo Weil, con
qualche commento).
Mentre (non poiché come di solito si traduce indem) nella dura
lotta di questi mondi (regni: il mondano che procede dal cuore e
l'aldilà intellettuale) che stanno in antitesi (o meglio: che stanno
nella loro reciproca differenza:
Unterschied),
la quale ha
conseguito qui la sua opposizione assoluta (il papato e l'impero, il
loro esserci, il loro reciproco rapporto e la loro interna dialettica),
e che a un tempo si radicano in una sola unità e idea (il principio
della libertà-interiorità, l'unità delle nature divina e umana),
l'ecclesiale (geistlich) degrada (degradiert, che è opposto a erheben
del movimento del paragrafo precedente e a hinaufbildet, relativo al
mondano di poche righe dopo) l'esistenza del suo cielo a un di qua
terreno (irdisch: terrestre, ma anche secolare, mortale) e a comune
mondanità nella realtà effettuale
e nella rappresentazione
(la
nascita dello Stato e della nuova comunità religiosa; è la dottrina
dei due regni di Lutero, prima contrapposti; qui è il momento nuovo,
é la Riforma almeno nei suoi presupposti, la trascendenza che si fa
immanente
-
e
possono
anche
essere
le
operazioni
dello
spirituale/ecclesiale nel mondo dalla lotta per l'investiture alle
crociate ecc.) -(mentre avviene tutto questo) il mondano invece
innalza e forma (hinaufbildet) il suo astratto essere per sé, cioè
la sua unilateralità (il mondano - soggettivo - dell'arbitrio del
paragrafo 359) al pensiero e al principio dell'essere ragionevole e
del sapere (l'altro aspetto della Riforma: il Cristianesimo nel suo
principio ha lavorato a liberarsi dall'esteriorità, dalla schiavitù
in rapporto a Dio, e quindi c'è un giusto rapporto uomo-Dio), alla
ragionevolezza del diritto e della legge (la formazione delle
monarchie e degli Stati nazionali), in sé (cioè per noi, ora che
ripercorriamo un movimento realizzatosi nella realtà effettuale)
l'antitesi è scomparsa in una figura debole (marklos: senza midollo:
l'antitesi c'è, ma ora non agisce più: il presente non è più barbaro
e ingiusto; il mondo terreno è penetrato da ciò che il Cristianesimo
aveva affermato), sì che la vera riconciliazione è oggettivamente
avvenuta (cioè si è istituzionalizzata, come infatti dice subito dopo),
ed essa dispiega lo Stato a immagine e realtà effettuale della ragione,
dove la coscienza di sé trova la realtà effettuale del suo sapere
sostanziale e del suo volere organicamente sviluppata come trova nella
religione il sentimento e la rappresentazione di questa sua verità
come essenzialità ideale, ma trova nella scienza la conoscenza libera
e compresa di questa verità, come una e la medesima nelle loro
manifestazioni tra loro complementari, lo Stato, la natura, il mondo
ideale.
Ancora
qualche
chiarimento:
l'annuncio,
alla
fine,
dell'Enciclopedia: non c'è nell'ultima riga la religione che però è
stata citata poco sopra ("come trova nella religione il sentimento
ecc.") per indicare lo spirito assoluto secondo una formula che Hegel
usa regolarmente (la sfera dello spirito assoluto può essere in
generale chiamata religione). Abbiamo poi nella scienza l'ontologia
della
scienza
della
logica,
e
in
questo
quadro
le
relative
manifestazioni, cioè lo spirito oggettivo, la filosofia della natura
e quindi la filosofia.
Quel mondo ideale, cioè la filosofia, che chiude il paragrafo,
chiude la WG, e chiude, non dimentichiamolo, l'intera Filosofia del
Diritto, è proprio lì ad indicare che, attraverso e solo grazie a
questa filosofia della storia della filosofia del diritto, noi (il
filosofo) arriviamo a comprendere non la filosofia in ciò che essa
insegna (diciamo la storia della filosofia o le filosofie nella loro
storia) ma la possibilità e la realtà storiche della sua apparizione,
della sua apparizione come filosofia moderna - come abbiamo rilevato
sopra anticipando il testo hegeliano.
Per chiudere mette conto riprendere la figura dello Stato nella
presente esposizione. Ripeto, è della massima importanza. Lo Stato
è quella realtà che è, ragione effettivamente reale, ma per la
coscienza-di-sé: come dice espressamente Hegel: il momento presente
"dispiega lo Stato a una immagine ... della ragione, dove la
coscienza-di-sè trova la realtà effettuale ...": e questo vale, si
badi, per la WG come concetto e come realtà. Il che significa che lo
Stato non è vissuto come la religione e non è compreso come la
filosofia: è la soddisfazione della coscienza-di-sé dell'essere
libero, è il positivo nato dalla negatività della libertà, in un mondo
che non è più violento e non è nemmeno sopraterreno, irreale: "c'è
una soddisfazione, ma resta quella di una coscienza-di-sé situata,
finita, sottoposta (anche se non soggetta) a quell'accidentale che
rimane ineliminabile da tutto ciò che appartiene alla natura" (Weil,
cit.). Anche per questo, lo Stato, di cui qui parla Hegel, non è né
il migliore né l'ultimo. La WG ha reso possibile la sua comprensione
(filosofica) nella storia - ma la storia non è chiusa.