Presentazione dell`antigene

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Immunologia
Immunità:esenzione, protezione nei confronti della malattia.
Parassiti, batteri, funghi, virus, agenti patogeni possono arrecare danno all'ospite, fino alla
morte. Le infezioni sono limitate: nonostante siamo circondati da questi tipo di sostanze, non ci
ammaliamo frequentemente, in quanto siamo dotati di un sistema di immunizzazione ai
patogeni.
Studieremo, infatti, i meccanismi di sorveglianza che costituiscono il sistema di immunizzazione,
network tra le cellule, tessuti e agenti patogeni.
L'immunologia è la scienza che studia le modalità con cui la cellula e le molecole del sistema
interagiscono tra loro e con le strutture bersaglio. Possiamo raggruppare l' evoluzione del sistema
di immunizzazione in 4 stadi:
1) FAGOCITOSI, presente già nei protozoi, capacità di inglobare i patogeni ed eliminarli. È
presente fino ai giorni nostri, l'unica forma di immunizzazione che si è conservata.
2) RICONOSCIMENTO ALLOGENICO, capacità di riconoscere ciò che ci appartiene da ciò che è
estraneo. Presente nelle spugne e nei metalli. Le spugne si difendono incestandosi. Rigettano
ciò che non è proprio. È ciò che succede nei trapianti.
3) Nel caso dell'evoluzione fino ai vertebrati si sono sviluppate le MOLECOLE DI
ISTOCOMPATIBILITÀ, presenti già nelle forme primordiali di vita.
4) Sviluppo di tutti e tre i precedenti meccanismi d'immunità.
L'immunità è un concetto ancestrale. Già Tucidide parlava, nella peste di Atene, di immunità ,a
era solo un concetto, che a partire dal XV secolo si è tradotto in pratica clinica, con la prima
TECNICA DI IMMUNIZ-ZAZIONEinduzione deliberata di una risposta da parte dell'organismo. I
cinesi presero le croste del vaiolo e dopo averle essiccate le sniffavano. Si resero conto che ciò
creava protezione contro il vaioloVARIOLIZZAZIONE. Soltanto nel 1798, Edward Jenner notò che
le mungitrici di vacca non contraevano il vaiolo umano. Inoculando in altri animali il liquido
prelevato dalle pustole di vaiolo, essi divenivano immuni dal vaiolo umano.
100 anni dopo Pasteur introdusse la teoria del germe. Un tempo si riteneva che le malattie
fossero dovute al disequilibrio degli umori, mentre Pasteur sosteneva che fossero dovute alla
presenza di patogeni, in seguito ai suoi esperimenti sui pulcini riguardo al colera: i pulcini in cui
veniva iniettato un ceppo invecchiato, detto ceppo attenuato, ossia che ha perso la virulenza,
erano immuni dal colera. Pasteur chiamò il ceppo attenuato col termine di vaccino. La
VACCINAZIONE induce una risposta nei confronti del patogeno, capace di difenderci. Si hanno vari
tipi di vaccini:
 Vaccini vivi e attenuati: la virulenza si perde con l’aumento della temperatura o con
l’invecchiamento del ceppo. Il vaccino antipolio, con la zolletta di zucchero data ai neonati,
protegge le mucose dal virus. I bacilli sono vivi e fabbricano le risposte anticorpali.
Normalmente occorre solo un richiamo, mentre il vaccino antipolio fa eccezione in quanto
richiede 3 richiami, dato che è formato da 3 ceppi (A, B, C), ognuno dei quali predomina
sull’altro. Il rischio è che il bacillo diventi nuovamente virulento.
 Vaccini uccisi: ad esempio il vaccino di Salk, un altro tipo di vaccino antipolio, ma la
miglior protezione dalla poliomielite viene data dal vaccino attenuato. Occorrono più richiami.
 Vaccini glicoconiugati: bacilli a subunità
 Vaccini a DNA, ricombinanti.
Pasteur non aveva però capito il meccanismo. Von Behrinhìg e Kitasato (Nobel nel 1901),
scoprirono che nel siero sono presenti sostanze capaci di proteggerci, gli anticorpi, che
forniscono la cosiddetta RISPOSTA UMORALE, detta così perché un tempo i liquidi biologici
venivano chiamati umori. Studiando la difterite, presero i bacilli e infettarono un coniglio. Il
siero di questo venne inoculato in un altro coniglio e poi lo infettarono. Quest’ultimo coniglio
non muore, dunque nel siero sono presenti gli anticorpi. Contemporaneamente Metchnikoff capì
che a fornirci la protezione sono le cellule, i FAGOCITI, i monofagi, i neutrofili, in grado di
fagocitare il patogeno. Dunque c’era chi sosteneva la risposta umorale e chi la RISPOSTA
CELLULARE, ma inizialmente non s’intuì che i due processi erano tra loro collegati e che una sola
cellula, il LINFOCITA, scoperto nel’90 da Ovans, è responsabile di entrambe la risposte.
I linfociti B sono le cellule che producono gli anticorpi. L’immunità umorale è data dagli
anticorpi prodotti dai linfociti B. l’organismo deve fabbricare un’enorme quantità per contrastare
1
i patogeni, detti ANTIGENIqualunque sostanza estranea con cui l’organismo viene a contatto.
Delle piccole porzioni dell’antigene interagiscono con l’anticorpo, dette EPITOPI.
Cominciarono a sorgere delle teorie. Ad esempio, la TEORIA SELETTIVA sosteneva che gli antigeni
reagiscono specificamente con gli anticorpi: su queste cellule, i linfociti B, sono presenti tante
catene laterali dette ACTOFORI, ognuna delle quali è dotata di una specificità, recettori, con cui
interagiscono gli antigeni. Questo legame porta al rilascio di un gran numero di catene laterali
che vanno in circolo. Insomma, secondo la teoria selettiva la specificità è già insita nella cellula.
Questa teoria fu presto abbandonata, in quanto considerata troppo “futurista”.
Successivamente si affermò un’altra teoria, la TEORIA ISTRUTTIVA, secondo la quale non esistono
catene laterali predeterminate, ossia non esiste una specificità predeterminata, ma già l’antigene
è istruito, per cui l’anticorpo si modifica a seguito del legame con l’antigene, che funge da
stampo. Questa teoria fu presto considerata erronea quando venne scoperta la struttura a
doppia elica del DNA: si capisce che è impossibile che le proteine antigeniche fungano da
stampo alle proteine anticorpali.
Nel 1900 Paul Ehrlich riprese la teoria selettiva, individuando un errore di questa: il linfocita in
realtà ha un’unica catena specifica per l’antigene grazie a ciò propose la TEORIA DELLA SELEZIONE
CLONALE: ciascun clone di cellula B ha un solo recettore. L’interazione dell’antigene con il
recettore specifico per esso, attiva la proliferazione delle cellule, dando vita ad un clone di cellule
figlie dotate di uno stesso tipo di recettore tipico della cellula madre. Su questa teoria si basa
tutta l’immunologia.
Il clone si espande e si differenzia in 2 tipi di cellula:
a) cellule effettrici
b) cellule della memoria.
Gli stimoli che inducono questo clone a differenziarsi nei 2 tipi non si conoscono, ma si sa che le
cellule effettrici si legano all’antigene, bloccandolo, e poi muoiono per apoptosi (morte
programmata), mentre le cellule della memoria sono cellule vergini, a lunga vita, che hanno
acquisito una memoria immunologia. Aggrediscono l’antigene bloccandolo con una risposta più
duratura, rapida ed ampia rispetto a quella delle cellule effettrici. È proprio sulla presenza di
queste cellule che si basa la vaccinazione. Questa monospecificità è frutto di meccanismi
genomici. Se la specificità si acquisisce durante la maturazione delle cellule B, si possono
formare recettori per gli antigeni, meccanismi genomici casuali. Tra le diverse varianti di
recettori, vi sono anche cellule che con recettori per antigeni self, ossia propri del nostro
organismomeccanismo di AUTOIMMUNIZZAZIONE. Questo tipo di cellula che contiene antigeni self
viene distrutto prima della maturazioneDELEZIONE CLONALE a livello centrale, ossia negli organi
linfoidi primari: timo e midollo osseo.
TEORIA DELLA SELEZIONE CLONALE: interazioni tra molecole estranee ed io recettore clonale
porta all’attivazione del linfocita che dà origine ad un clone di cellule figlie. Le cellule effettrici
differenziate portano lo stesso recettore della cellula parentale. Su questo principio si poggia
l’IMMUNITÀ ACQUISITA o adattativi, che si differenzia da quella innata in quanto si tratta di un
insieme di meccanismi specifici indotti dalle cellule B e T, che si verificano nel corso della vita,
mentre l’IMMUNITÀ INNATA è costitutiva, nasce con noi: ad esempio, la fagocitosi, che risponde
indifferentemente a tutti i patogeni. L’immunità acquisita è specifica, mentre l’immunità
innata è aspecifica. La prima arma che l’organismo mette in atto è quella innata, per fornire
una difesa durante il periodo di latenza (4-10 giorni) necessario per innescare l’immunità
acquisita.
Umorale  Anticorpi
Attiva (l’organismo costruisce anticorpi da sé) Naturale e
artificiale
Immunità
Passiva (indotta dagli anticorpi formati in un
altro animale)
Cellulare  Linfociti 
Innata
Immunità
Acquisita
Umorale
Cellulare
2
3
La somministrazione di un antisiero (siero che contiene anticorpi) in un individuo rappresenta
un’immunizzazione passiva, come nel caso del colostro, in gravidanza. Su questo principio
poggia l’immunità acquisita, che ha 4 cardini (pag.10 UTET):
1- specificità antigenica
2- diversità (1011 tipologue di anticorpi)
3- memoria
4- discriminazione ra ciò che è proprio dell’organismo (self) e ciò che non lo è (non-self).
Il merito di aver individuato la frazione sierica che contiene la funzione anticorpale (pag.83
UTET) va a Tiselius e Kabat. Presero un coniglio, prelevarono il siero, immunizzarono il coniglio
con l’antigene, prelevarono altro siero, inocularono solfato di ammonio per bloccare gli anticorpi,
prelevarono il siero per la terza volta e praticarono l’elettroforesi in tutti e 3 i prelievi di siero:
SIERO PREIMMUNE
+
Albumine




SIERO IMMUNE





Albumine

SIERO IMMUNE ANTICORPI RIMOSSI

Albumine


 
Col termine di IMMUNOGLOBULINE si intendono glicoproteine plasmatiche la cui sintesi può essere
indotta dall’introduzione nell’organismo di una sostanza estranea (antigene) e sono dotate della
proprietà fondamentale di reagire specificamente con l’Ag (antigene). Il merito di aver individuato
la struttura delle immunoglobuline va a Porter ed Edelman (pag.85 UET). Il primo utilizzò enzimi
proteolitici, mentre Edelman distrusse i legami disolfuro. Prsero la formazione delle -globuline e
ottennero 2 frazioni: una a basso PM, di 8 S e 250 dalton, ed una ad alto PM, di 19 S.
utilizzarono quella a basso PM e la chiamarono IgG.
Porter usò la papaina, che agisce sopra il ponte disolfuro rompendo le molecole in 3 frammenti:
2 frammenti Fab (fragment antigen-binding) ed un frammento Fc (fragmnet crystallizable). La
pepsina, invece, agendo sotto il ponte disolfuro, rompe l’immunoglobulina in 2 frammenti:
 F(ab’)2
 FC, frammentato in tanti piccoli frammenti.
Edelman, invece, utilizzo il -mercaptoetanolo, in grad di rompere i legame disolfuro. Lo
iodoacetamide impedisce che i gruppi sulfidrilici si potessero ricompattare e la cromatografia
ruppe la molecola in 4 catene, 2 pesanti e 2 leggere. Potter inoculò Fab e FC nella cavia e questa
sviluppò anticorpi. Mettendo a contatto catene leggere e pesanti con gli anticorpi antiFab e
antiFc: le prime riconoscono l’intera catena leggera e parte delle catene pesanti, ossia il gruppo
N-terminale), mentre le seconde riconoscono la restante parte delle catene pesanti.
Regione variabile: zona che si lega all’antigene.
Le immunoglobuline sono eterogenee. L’analisi della sequenza delle immunoglobuline divenne
possibile in seguito alla scoperta del MIELOMA MULTIPLO, una neoplasia di plasmacellule
secernenti anticorpi. La plasmacellula ha una emivita limitata, mentre la plasmacellula
neoplastica, detta cellula mielomatosa, produce una quantità illimitata di anticorpi, tutti
identici, detti proteine mielomatose, delle catene leggere, avendo una vita illimitata. Tali
proteine vennero dette proteine di Bence-Jones, la cui presenza nelle urine dà diagnosi certa di
mieloma multiplo. L’unica differenza tra gli anticorpi prodotti dalle plasmacellule normali e quelli
prodotti dalle cellule mielomatose è che i primi sono eterogenei, mentre i secondi somo omogenei,
tutti uguali. Ancora non si conosce cosa abbia indotto la plasmacellula a trasformarsi in cellula
neoplastica.
I vari plasmocitomi hanno i primi 100 amminoacidi di tutte le catene leggere diversi, mentre i
restanti sono uguali. Quindi, nell’ambito dell’immunoglobulina distinguiamo 2 regioni:
 Regione variabile: nella terminazione N-terminale
 Regione costante: nella terminazione C-terminale.
Struttura di tipo dominiale: la struttura tipica delle immunoglobuline. Nell’ambito delle catene
leggere e pesanti sono presenti regioni di omologia, chiamate DOMINI. Ogni dominio è formato da
100-110 amminoacidi. Ha una formazione che conferisce una forma a loop. Ognuno di questi
domini ha una propria funzione.
 Nella catena leggera: 1 dominio variabile, 1 dominio costante
 Nella catena pesante: 1 dominio variabile e 4 domini costanti.
Ognuno di questi domini è formato da 2 foglietti, con struttura -planare, uno con 4 nastri e
l’altro con 3 nastri, che presentano un’alternanza di amminoacidi idrofobici (all’interno) e
idrofilici (all’esterno). Questi foglietti sono stabilizzati da interazioni idrofobiche e legami
disolfuro (stuzzicadenti del sandwich).
Catene leggere: Si distinguono 2 tipi di catene leggere,  e : quest’ultimo consta di 4 sottotipi
1,2,3,4. i due tipi si differenziamo per il 70%, mentre tra i vari sottotipi si ha una differenza di
1-2 amminoacidi. Non esistono catene anticorpali con tutti e 2 i tipi: o solo  o solo . Il clone
produce anticorpi tutti uguali.
cosa sono le catene leggere? PROTEINE
cosa sono le catene pesanti? GLICOPROTEINE.
Catene pesanti: esistono ben 5 forme di catene pesanti (mentre dui catene leggere se ne hanno
2 tipi), dette classi:
1. : formazione dell’IgA
2. : formazione dell’IgG
3. : formazione dell’IgD
4. : formazione dell’IgE
5. : formazione dell’IgM.
Ognuna di queste classi si differenziano tra loro per circa il 78%.
Esistono poi le sottoclassi: ad esempio, le IgG hanno 4 sottoclassi e le IgA 2. non esistono catene
ibride. Le sottoclassi si differenziano tra loro per 3-4 amminoacidi. Si tratta di glicoproteine,
ossia dotate di residui carboidratici, non presenti, invece, nelle catene leggere. Molteplici sono
le funzioni di questi residui: stabilizzano la struttura, favoriscono la secrezione di anticorpi,
proteggono la catena dagli enzimi proteolitici, favoriscono il catabolismo da parte degli epatociti,
che hanno il recettore per l’Fc.
(la differenza tra immunità attiva e quella passiva è che quest’ultima non ci conferisce memoria).
La variabilità delle immunoglobuline non è segregata solo nella porzione variabile, ma è anche
intercalata nelle porzioni più conservate, dette framework (cornice) (pag.88 UTET). Le parti
altamente variabili sono CDR1, CDR2 e CDR3 (Complementarity-Determining Regions),
perfettamente adattabili all’antigene. Quando la molecola assume una forma tridimensionale si
crea una tasca caratterizzata da CDR, che prendono contatto con l’antigene. Tale tasca viene
chiamata anche SITO COMBINATORIO, dove si lega l’antigene, mentre il framework rappresenta
un’intelaiatura.
Avvallamenti dell’antigene corrispondono alla protrusione degli anticorpi. Non sempre tutte e 6
le CDR prendono contatto con l’antigene voluminoso, ma sicuramente prenderanno contatto 3
CDR della catena pesante. Quello altamente variabile è proprio il CDR 3, dove avviene la
maggior parte dei fenomeni gnomici.
4
REGIONE COSTANTE: è caratterizzata da domini CH1, CH2, CH3 e CH4
1) la funzione del CH1 è quella di amplificare e allungare le braccia, in modo da collocare
l’antigene nella tasca.
2) Il dominio CH2 della IgG e della IgA è il sito di attivazione del complemento.
3) CH3 è la porzione Fc che interagisce con i recettori per l’Fc, presente su tante cellule
(macrofagi, mastociti, ecc.).
4) Il CH4 è un dominio aggiuntivo perché solo le IgM e le IgE le contengono (IgA, IgD e IgG
hanno solo 3 domini).
Il dominio CH2 dell’IgE serve da cerniera. Delle immunoglobuline esistono non solo forme
secrete, con il peptide S nella porzione C terminale, ma anche una forma di membrana. Si
differenzia solo per il peptide S, che viene sostituito da una sequenza amminoacidica divisibile
in 3 parti:
1) extracellulare, variabile, idrofilica
2) transcellulare, di 26 amminoacidi, idrofobica
3) coda, di 3 amminoacidi, idrofilica.
Solitamente la cellule possiede code molto piccole, che non si prestano bene alla funzione
recettoriale. Dunque, la cellula è in grado di riconoscere l’antigene ma non trasmette
l’informazione alla cellula. Un eterodimero  fiancheggia la catena immunoglobulinica ai due
lati. Ha sempre struttura dominiale, legame disolfuro, code molto lunghe, ricche di tirosina,
fosforilata tramite l’enzima tirosina chinasi, quindi in grado di trasmettere il messaggio alla
cellula (BCR: B-Cell receptorimmunuglobulina fiancheggiata da etrodimeri in grado di
tradurre il messaggio (pag.103).
È indispensabile il CROSSING-LINKAGE per innescare la risposta immunitaria: 2 immunoglobuline
che legano l’antigene, 2 epitopi legano 2 immunoglobuline a ponte.
Poiché la natura dell’antigene è glicoproteica, oltre a produrre anticorpi, può anche comportarsi da
ottimo antigene.
Definiamo ISOTIPI determinanti antigenici presenti nella regione costante che permettono di
classificare le catene pesanti e leggere di una data specie animale in classi e sottoclassi. Ogni
isotipo viene codificato da un gene. Differenze presenti nella regione costante sia delle catene
pesanti che delle leggere (classe o isotipo indicano la stessa cosa).
Gli isotipi sono codificati da un gene. Ogni individuo eredita l’interno setting di geni (si hanno
tutti i tipi e sottotipi delle catene leggere e pesanti). La somministrazione di un isotipo di una
specie in un’altra porta alla formazione di anticorpi antiisotipo, per la diagnostica, per verificare
se si abbiano acquisito determinati tipi di anticorpo.
Sempre nella regione costante, si possono avere alleli multipli, differenze amminoacidiche,
presenti in alcuni individui e non in altri, al contrario che l’isotipia, presente in tutti gli
individui. Si tratta di ALLOTIPIA. Gli allotipi interessano soprattutto le classi IgG (25 tipi), IgA 2 e
le catene leggere del tipo .
REGIONE VARIABILE: è ricca di glicoproteine. Si comporta non solo da sito
combinatorio, ma anche da antigene. L’intero setting variabile si chiama IDIOTIPOl’intera
quantità di epitopi dentro e fuori la cellula. L’idiotopo è il singolo epitopo presente fuori o dentro
la tasca, ogni porzione variabile.
Lerner (pag.109) avanzò una teoria secondo la quale l’idiotipo serve per regolare la funzione
immunitaria. Esiste un sistema che mantiene i cloni in equilibrio. C’è sempre un anticorpo che è
immagine speculare dell’antigene e che mantiene il sistema in equilibrio (l’idiotopo fa produrre un
anticorpo antiidiotopo, identico all’antigene).
ISOTIPIAdifferenze nella regione costante
ALLOTIPIA differenze nella regione costante
IDIOTIPIAdifferenze nella regione variabile.
IMMUNOGLOBULINE G: (pag.98)è l’Ig più rappresentativa del siero (80%). È una molecola
piccola, monomerica, di 150 kdalton, con costante di sedimentazione di 8S. E’ talmente piccola
che passa dal sangue ai tessuti e viceversa, fornendo risposte immunitarie di ogni tipo,
soprattutto contro sostanze extracellulare.
TOSSOIDI: altro tipo di vaccino, tossine private della parte patologica ma in grado di stimolare la
risposta immunitaria, come il vaccino antitetanico e antidifterico.
La risposta B si esplica contro tutti questi antigeni, come tossine, batteri. Le IgG possiedono 4
sottoclassi: Ig1, Ig2, Ig3 e Ig4, che differiscono soprattutto per la lunghezza della regione
5
cerniera (pag.94), che si trova tra CH1 e CH2. non ha struttura dominiale ed è formata da residui
di prolina (10-60) e serina. Questa regione massimalizza le funzioni dell’anticorpo, movendo l’Ig.
Fc=responsabile della funzione specifica dell’anticorpo
Regione Fab variabile=responsabile del riconoscimento e del legame con l’antigene.
Le sottoclassi si differenziano dunque per la lunghezza della regione hinge (cerniera) e per il
numero di legami disolfuro intercatena. Le IgG3 sono dotate della maggiore flessibilità, in
quanto la regione hinge è più lunga. È una regione suscettibile agli attacchi proteolitici, in
quanto i residui di prolina la distendono.
Le IgG rappresentano l’unica classe capace di attraversare la placenta, soprattutto le IgG1 e le
IgG3.
Altra funzione delle IgG è quella dell’attivazione del complemento, un sistema di ben 20
proteine, indicate con i numeri c1, c2,….cn. Il complemento rappresenta una barriera fisiologica,
naturale e solubile, facente parte dell’immunità innata. La sua funzione più importante è quella
di lisare la cellula bersaglio. Le IgG attivano il complemento. La sola molecola dell’IgG non riesce
in questo intento, a causa della sua forma monomerica, troppo piccola: ne occorrono almeno
due, che legano l’antigene attraverso il crosing linkage, modificando il dominio CH 2, sito di
attivazione del complemento. Un’altra importante funzione è quella di OPSONIZZAZIONE (pag.95)
atto di “imburrare” il patogeno rendendolo più appetibile per i fagociti, che presentano il
recettore per questi. Le opsonine per eccellenza sono le immunoglobuline. Dunque, le 3 funzioni
più importanti delle IgG somno:
1. passaggio placentare
2. attivazione del complemento
3. opsonizzazione.
IMMUNOGLOBULINE M: (pag.99) rappresentano il 5-10% del totale delle Ig. Le IgM si
distinguono in 2 forme:
 di membrana, monomerica [recettore immunoglobulinico]
 secretoria (in circolo), pentamerica: 5 monomeri sono tenuti insieme da 5 legami disolfuro.
Ad indurre la polimerizzazione si ha una piccola catena, la catena J (di giunzione).
1° funzione delle IgM: attivazione del complemento. È la classe anticorpale che maggiormente
attiva il complemento, grazie alla struttura pentamerica. È la 1° molecola anticorpale che viene
coinvolta nel neonato, ha una valenza di 5 o di 10: VALENZA ANTICORPALE: numero di siti che
interagisce con l’antigene). Se l’antigene è piccolo (ad es. monomerico) vengono esposti 10 siti,
mentre se è più voluminoso, si espongono solo 5 siti, a causa dell’ingombro. L’IgM induce
l’aggregazione degli eritrociti (agglutinazione), proprio per il suo alto PM (1000 kdalton),
segregato nel distretto sanguigno.
IMMUNOGLOBULINE A: rappresentano il 10-15% delle Ig totali. Si può comportare come
molecola monomerica, dimerica o tetramerica. Le troviamo soprattutto nelle mucose (soprattutto
nelle sottomucose). Le IgA secretorie hanno una fromazione per l più dimerica. La IgA dimerica
viene a contatto con la cellule epiteliale della mucosa, che ha il recettore poli-Ig, che riconosce la
catena J, componente della IgA dimerica. Una volta che l’ha legata, per endocitosi si porta nella
zona luminale. Si ha una scissione enzimatica (pag.100).
Le IgA secretorie si differenziano per la componente secretoria, che ha due funzioni:
1) induce la secrezione
2) protegge la regione hinge dall’azione degli enzimi proteolitici.
Le IgA prevengono la colonizzazione batterica proteggendo la mucosa dal fibrocolera, salmonella,
poliomielite (la zolletta di zucchero induce la formazione di IgA).
Le cellule M della mucosa presentano all’interno una tasca ricca di linfociti e di macrofagi, che
attiva le cellule B.
IMMUNOGLOBULINE D: si sa molto poco. È monomerica, caratterizzata da una zona
cerniera molto grande, ricca di carboidrati che proteggono le regioni hinge, come avviene anche
nelle IgA. L’unica cosa certa è che è il recettore immunoglobulinico, insieme alle IgM e allle IgD.
Il marcatore per eccellenza delle IgD sono le immunoglobuline. Anche il recettore delle cellule T ha
una struttura di tipo dominiale. Tutte quelle molecole che hanno struttura dominiale appartengono
alla superfamiglia delle immunoglobuline, in quanto provengono da una comune cellule
progenitrice.
La coesistenza in un’immunoglobulina di una egione variabile ed una costante fa pensare ad
un’organizzazione genomica, infatti nel DNA sono presenti segmenti genici che codificano per
6
catene leggere e pesanti, che per tradurre la catena e dare vita alla proteina devono
riaarangioarsi e divenire funzionali. A tal proposito soo state proposte 2 teorie (pag.117):
 TEORIA GERMINATIVA: l’intero setting di geni che codificano per l’Ig si trovano nel
genoma e viene ereditato dai genitori. La cellula linfoide (B e T) è cellula somatica, ma è
sde di meccanismi genici che non avvengono mai in tutte le altre cellule somatiche. Data
la grandissima varietà di Ig,
dovremmo avere 100.000.000 di geni solo per la
codificazione di tutta la vasta gamma delle Ig, quando in realtà l’intero genoma umano è
composto di migliaia di geni. Dunque, questa teroia si è verificata erronea.
 TEORIA SOMATICA: secondo tale teoria, ampiamente dimostrata, in realtà solo pochi
geni codificano per le Ig, che vanno incontro nella cellula somatica B (o T) ad un
meccanismo genico casuale.
Secondo il modello di Dreyer e Bennet: 2 geni codificano per una catena polipetidica, di cui uno
per la regione variabile, l’altro per la regione costante, geni distanti, che nella cellula linfoide si
riuniscono per dare origine ad un solo trascritto.
Famiglie multigeniche che costituiscono tanti segmenti genici codificano per la porzione
variabile, mentre pochissimi geni codificano per la porzione costante.
Quello che è stato avanzato da Dreyer e Bennet è stato poi confermato da Tonegawa (Nobel nel
1987): prese una cellula embrionale somatica, non linfoide, ed una cellula mielomatosa
(linfoide). Prelevò il DNA di queste cellule, quindi attraverso enzimi di restrizione frammentò il
DNA in un gel di agarosio. Una volta che la molecola del DNA è stata frammentata si fa
l’elettroforesi. Poi sono stati messi a contatto l’mRNA marcato con P 32 e viene eseguita
l’ibridoizzazione, ossia viene riformata la doppia elica: questa ci rivela nella cellula somatica
embrionale la presenza di 2 bande molto distanti, che non s’incntrano mai, mentre nella cellula
mielomatosa si ottiene una sola banda, per cui i 2 geni si sono uniti, a seguito del meccanismo
di riarrangiamento. Le catene leggere e pesanti vengono codificate da superfamiglie collocate su
diversi cromosomi:
 Catena leggera di tipo cromosoma 2
 Catena leggera di tipo cromosoma 22
 Catena pesantecromosoma 14.
Queste famiglie multigeniche sono formate da sequenze codificanti(esoni) e non codificanti
(introni). Ogni sequenza codificante è repceduta da un segmento leader, che guida le catene. Le
catene leggere sono codificate dalla sequenza VJC (Variability Junction Constant). I segmenti
genici codificanti le catene pesanti sono invece VDJC (D=Diversity).
Il riarrangiamento, che avviene nel DNA, è del tutto casuale e ordinato:
1°codificate catene pesanti
2°codificate catene leggere.
Nel DNA germinativo si hanno vari esoni (1000 per la porzione variabile, 150 per la
porz.costante, 4 segmenti J, 14 segmenti D). Attraverso il loro riarrangioamento
(=ricombinazione genica) viene fuori quell’ampia diversità e dunque specificità verso gli antigeni.
1° riarrangiamento: un esone D si riarrangia con J. Tutto ciò che è intercalato tra J 1 e D1 viene
deleto, tagliato, in modo da avere l’unità DJ. Si ha un primo DNA riarrangiato. Successivamente
il DJ sceglie une sone variabile, dando origine a VDJ, ossia dando origine ad un gene funzionale.
La parte costante è separata da quella variabile tramite un introne. Poi si ha lo splicing, ossia la
processazione dell’mRNA primario, in seguito al quale si perde l’introne, dunque si origina
VDJC, che dà origine ad una catena : l’esone più grosso vicino alla regione variabile è ,
seguito da quello . Questa catena svolge 2 importanti funzioni:
1. regola la specificità
2. regola il riarrangiamento delle catene allelicheESCLUSIONE ALLELICA (pag.127).
La cellula B è diploide ma, a differenza di tutte le altre cellule somatiche, solo un allele viene
riarrangiato, in modo da mantenere la MONOSPECIFICITÀ per un dato antigene. Nel 1°
riarrangiamento si possono formare anche codoni stop, per cui il riarrangiamento si arresta. Se
entrambi i riarrangiamenti non sono produttivi, la cellula va in apoptosi, mentre se uno è
produttivo, la catena  manda un messaggio nel cromosoma 2. Anche per le catene leggere si ha
il meccanismo di esclusione allelica; nell’eventualità che il 1° riarrangiamento sia produttivo si
forma IgM; se, invece, è produttivo il 2° riarrangiamento, sul cromosoma 22 si forma la catena .
La monospecificità è frutto dell’esclusione allelica.
Questo riarrangiamento (delezione) avviene attraverso meccanismi di stelo ed ansa. Questa
scissione (delezione, taglio) avviene ad opera delle ricombinasi (pag.123), enzimi che
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riconoscono sequenze palindromiche conservate eptameriche e nonameriche. Gli esoni variabili
in posizione 3’ sono affianxcati da nonameri. A livello J in posizione 5’ si trova: eptamero—
spaziatore di 23 nucleotidi—nonamero.
Se dobbiamo formare DJ e dobbiamo legarlo al J5, proprio perché le strutture sono
palindromiche…nell’ansa è compreso tutto ciò che si trova tra Vj e V 1000, ossia tutto ciò che è
intercalato (da V2 a J4 [?]).
Gli enzimi ricombiansi sono sotto il controllo di 2 regioni, RAG-1 e RAG-2 (pag.123) (Geni
Attivanti la Ricombinazione). La ricombinazione non basta ad intensificare la specificità
anticorpale, ai quali concorrono. Dunque, la specificità è data anche da questi fenomeni:
flessibilità giunzionale: il taglio non avviene sempre nello stesso punto. Il taglio è
impreciso, non avviene sempre nello stesso punto e non coinvolge sempre le stesse triplette.
aggiunta di nucleotidi N (da 1 a 15) ad opera della desossiribonucleotide transferasi a
livello della catena pesante, che si aggiunge ai lati del segmento D.
assemblaggio delle catene leggere e pesanti
mutazione somatica: fino ad ora si tratta di antigeni indipendenti e di antigeni dipendenti.
Regione costante: presenta tanti esoni quanti sono i domini dell’Ig, quanti sono gli isotipi.
Fiancheggiati da questi esoni, si hanno le REGIONI DI SWITCH (pentameri) (pag.133): nel momento
in cui si richiede la formazione, ad esempio, delle IgA, gli enzimi ricombinasi o le citochine
provvedono alla delezione di tutto ciò che è intercalato, agendo sulla regioni di switch, attivando
gli esoni che codificano per quel particolare tipo di Ig richiesto dall’organismo. Ad esempio,
l’interleuchina 4 manda un messaggio per la codificazione dell’IgE, mentre l’interleuchina 5 per
l’IgA.
Le difese dell’organismo
Meccanismi di difesa specifici
1° linea di difesa
2° linea di difesa
Cute
Membrana mucose
Secrezioni
Cellule fagiche
Proteine
antimicrobiche
Risposta
infiammatoria
Meccanismi di difesa aspecifici
3° linea di difesa
Linfociti
Anticorpi
Le secrezioni, presenti sulla cute e sulla membrana, fanno anch’essi protezione, come il sudore,
agendo da fattore diluente dei batteri. Questi hanno una crescita velocissima. Il pH del sudore
non si presta alla moltiplicazione batterica. Il liquido lacrimale è anch’esso un fattore diluente e
protettivo. Il lisozima ha un’attività batteriostatica e a volte anche batteriolitica. Anche i succhi
gastrici hanno una n notevole azione protettiva.
Nella 2° linea di difesa ci sono elementi del sangue, della linfa, componenti umorali o cellulari.
Le cellule fagiche intervengono anche a distanza, dato che hanno un ottima motilità che
permette loro, attraverso movimenti ameboidi, di raggiungere l’elemento estraneo, richiamati da
una serie di fattori chimici, e cercano di fagocitarlo. Sono cellule ultraspecializzate. Le proteine
antimicrobiche sono componenti non lesive, ma la loro presenza può essere motivo di
distruzione. Un esempio è l’interferon. La risposta infiammatoria o flogosi interviene quando il
patogeno scatena con la sua presenza una serie di eventi che coinvolgono cellule e tessuti. La
flogosi si manifesta anche tramite la presenza di materiale inerte, non necessariamente
biologicamente attivo. La risposta infiammatoria lascia, però, dei danni, ossia non si attua una
guarigione totale nel punto in cui è avvenuta: è necessaria la sostituzione di parte del tessuto,
ed il tessuto di riparazione non è del tutto efficiente al pari del tessuto funzionale.
La 1° e la 2° linea di difesa fanno parte di un meccanismo di difesa aspecifico: le difese che si
approntano sono rivolte indiscriminatamente a tutte le cellule estranee, come le mucose, la
pelle. La 3° linea di difesa è specifica. Queste cellule (linfociti) e molecole (anticorpi)
costituiscono delle “armi tagliate su misura”. Si organizza una serie di meccanismi per l’impiego
di linfociti che in prima persona aggrediscono l’elemento estraneo, che può essere rappresentato
anche da cellule che devono essere distrutte, come quelle tumorali, da non considerare più
materiale self: la cellule si è modificata, è diversa strutturalmente, soprattutto in superficie,
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prodotto di un cambiamento casuale, non normale. Se queste cellule non vengono distrutte si
può determinare un tumore, evento relativamente raro. Il tumore ha un’incidenza maggiore
nell’anziano, dato che con l’età si abbassano le linee di difesa. I linfociti costruiscono una linea
di difesa contro molecole che sono “sopravvissute” alle linee di difesa aspecifiche. Gli anticorpi
sono molecole formate dalle plasmacellule, componenti che rientrano nella difesa specifica,
rispondendo a qualcosa di veramente pericoloso. Gli anticorpi ed il linfociti risponderanno
esclusivamente ad un solo tipo di batterio. Qualsiasi cellula ha delle componenti superficiali che
lo differenziano dagli altri tipi cellulari.
Esempio di 3° linea di difesa è rappresentato dalle cellule T citotossiche; certi batteri riescono
ad immettersi all’interno di una cellula, in modo da non essere disturbati o aggrediti. Certe
cellule, quando vengono infettate internamente, riportano all’esterno un frammento del
materiale di cui il batterio è costituito. L’espressione in superficie di questo materiale permette
di poter interpretare, leggere, questa cellula estranea. Il linfocita, dopo aver riconosciuto il
materiale estraneo, decide di sacrificare la cellula, uccidendola, in modo da evitare la
trasmissione dell’infezione ad altre cellule, utilizzando delle molecole altamente corrosive, le
perforine. La cellula scoppia, uccisa dal linfocita citotossico.
I linfociti
Sulla superficie del batterio si trovano siti specifici che lo distinguono dagli altri batteri. Un
batterio può essere aggredito da più tipi di anticorpi, che leggono diverse componenti del
batterio.
I linfociti, come anche le cellule del sangue, sono prodotti nel midollo osseo. Poi vengono
rilasciati nei vari distretti, attraverso il sistema linfatico, che va infine a confluire nel sangue,
nella rete ematica. Il timo provvede alla specializzazione del linfocita T, prodotto nel midollo
osseo. Anche il linfocita B è prodotto dal midollo osseo; si fa carico della risposta umorale di tipo
specifico. Si chiamano B perché negli uccelli sono formati nella borsa di Fabrizio. Le adenoidi,
tonsille, appendici, milza, sono punti di stazione importanti per i linfociti. I linfonodi sono
presenti su tutta la rete linfatica, organuli molto piccoli, punto d’incontro e scontro tra il
materiale estraneo, ossia l’antigene, e l’anticorpo.
Linfociti B:
B cellule:
risposta immune umorale (non realizzano una “battaglia corpo a corpo”)
produzione di anticorpi (Ab)
batteri, antigeni batterici (Ags), virus
circolano liberamente nei fluidi biologici
scarso citoplasma, nucleo voluminoso
morfologicamente molto simili ai linfociti T.
Linfociti T:
Linfociti che migrano al timo e maturano in cellule T
T cellule:
immunità cellulo-mediata
organismi estranei: funghi, protozoi, elminti
tessuti estranei (trapianto). Il rigetto del trapianto avviene quando non c’è compatibilità tra
donatore e ricevente: la mente organizzativa di una risposta autoimmune è la cellula T.
regolano il sistema immune
eliminano cellule infettate (batteri/virus).
Immunita’ innata
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Sviluppo del Sistema Immune: cellule staminali localizzate nel midollo osseo si specializzano in
cellule finali, soprattutto in elementi del sangue. In particolare, la linea mieloide forma i
neutrofili (polimorfonu-cleati) e monoliti. Questi due tipi di elementi sono accomunati dalla
capacità fagica: vengono anche indicati come FAGOCITI. La linea linfoide si caratterizza in stadi
maturativi che portano alla formazione di linfociti.
linfocita T, linfocita che formandosi come precursore nel midollo osseo si trasloca nel
timo, dove viene specializzato, per renderlo capace di riconoscere il self dal non self. Viene
denominato T proprio perché il processo di specializzazione avviene nel timo.
linfocita B, in parallelo matura nel midollo osseo, elabora come risposta immunitaria delle
moleco-le importanti: gli anticorpi. Dunque elaborano una risposta umorale.
Una volta dato l’avvio alla competenza di questi elementi, maturano poi in plasmacellule, capaci
di rilasciare gli anticorpi. La popolazione dei linfociti B è chiamata così da Borsa di Fabrizio,
organo in cui maturano negli uccelli, mentre nei mammiferi tale borsa è stata sostituita dalle
placche del Peyer, e da altre strutture appartenenti soprattutto al tubo digerente. Il sisteme
immune ha dunque 2 linee:
Mieloidi
Dendritiche ?
Granulociti
Linfoidi
Monociti
Linfociti T
Linfociti B
Cell.
Neutrofili
Basofili
Eosinofili
Macrofagi
Helper
Plasmacellule
Langerhans e
Citotossici
Kupffer
Soppressori
Cell.dendritiche ?
I neutrofili riescono a migrare nella zona da aggredire.
La FAGOCITOSI si continua all’interno del fagocita con un’azione di distruzione. I monociti
possono avere aspetti diversi, a seconda della zona di allocazione: quando misero in evidenza tali
cellule nei vari tessuti, non si pensava fossero lo stesso tipo di cellule, per cui venne dato loro
un nome diverso per ogni organo. Nel sangue vengono dette monociti, mentre nei tessuti
assume una denominazione ed una morfologia diversa, ma il cambiamento della sue forma non
cambia la loro capacità di fagocitosi. Queste cellule non si limitano a distruggere ciò che hanno
fagocitato, ma espongono sulla superficie delle componenti di ciò che hanno fagocitato.
L’esposizione in superficie ha lo scopo di indurre una presa di conoscenza, da parte delle altre
cellule, dell’invasione di estranei, innescando una risposta da parte dei linfociti. Questa funzione
di esporre il materiale estraneo all’esterno è posseduta dalle cosiddette cellule Apc (Cellule che
Presentano l’Antigene). Antigene= materiale non self, estraneo.
I neutrofili non possiedono la capacità di esporre fuori l’antigene.
Linfocita T helperelemento che dirige la risposta immunitaria.
Linfocita T citotossicocapace di determinare un danno alle altre cellule, aggredisce cellule
che devono essere eliminate, in quanto non più riconosciute come self.
Linfocita T soppressoreblocca la risposta immunitaria, una volta che è stato distrutto
l’agente estraneo, dopo il quale si ha il blocco. Pone dunque un freno alla costruzione di
molecole di difesa.
I linfociti B si trasformano in plasmacellule, rilasciando gli anticorpi.
Le cellule dendritiche hanno una struttura cellulare molto filamentosa, caratteristica che non
ha permesso fino a poco tempo fa di studiarle. Non facilmente classificabili. Recentemente sono
state isolate integre ed è stato possibile studiare le loro funzioni, tra cui la principale è quella di
legare il materiale estraneo, e poi presentare l’antigene all’esterno, ossia ai linfociti. Dunque, le
cellule dendriti-che sono delle cellule Apc in piena regola.
DIFESA IMMUNITARIA
Non specifica
Specifica
10
11
Umorale
Cellulare
Complemento
T, altre
Interferon
effettrici
TNF
Cellulare
Umorale
Macrofagi
Anticorpi
Cellule
Neutrofili
cellule
L’interferon ha un’ottima attività antivirale, ma non mirata ad uno specifico virus: per tale
motivo è considerato elemento della difesa aspecifica.
TNF (Fattore di Necrosi Tumorale): stimola i fagociti nella loro azione antimicrobica.
Per arrivare a formare anticorpi (non sono preformati), dopo la conoscenza dell’antigene, con cui
deve completarsi, è necessario un tempo di latenza, che decorre dai 5 ai 10 giorni. Nel frattempo,
nella fase iniziale, le risorse più efficaci sono demandate alla difesa non specifica; nel frattempo
viene elaborata una risposta specifica.
I linfociti T attaccano fisicamente a stretto contatto l’anticorpo, determinando un danno che gli
permette di ucciderlo. Nel contatto si formano molecole con attività lesive sulla membrana
cellulare.
Risposta alle infezioni
InfezioneImmunità Innata
Immunità acquisita
Non malattia
No malattia
Reinfezione
Malattia
Ricovero
Muore
Possono presentarsi 2 casi:
1) Superare la malattia senza la necessità di una risposta specifica
2) La difesa specifica è necessaria per contrastare l’infezione.
Può succedere che nel tempo l’agente infettivo venga di nuovo a contatto con l’organismo. In tal
caso il nostro organismo presenta una MEMORIA IMMUNOLOGIA: riesce a debellare l’infezione
lasciando in eredità, a generazione di cellule successive, l’informazione sulla struttura
dell’agente infettivo. Nel caso di una ripetizione dell’infezione, non si ha più la necessità del
periodo di latenza per ricostruire gli anticorpi specifici, in quanto già si possiedonosono le
cellule della memoria, di tipo B o T, che si mantengono con una crescita lenta, ma continua nel
tempo, mantenendo la linea cellulare specifica per quell’anticorpo. Nel momento della
reinfezione non ci si rende conto di essere sotto un’infezione, dato che immediatamente le cellule
della memoria aggrediscono l’antigene, evitando la sintomatologia tipica dell’infezione. La difesa
dagli agenti patogeni dev’essere sempre garantita, perché la mancanza della difesa anche da un
patogeno blando potrebbe essere letale.
Vantaggi del sistema immune:
Protezione dalle infezioni
Eliminazione di cellule alterate
Svantaggi del sistema immune
Alterazioni (infiammazione)
Danno del self (autoimmunità)*
*:è il caso di alcune malattie come l’artrite reumatoide ed il diabete di tipo giovanile.
Caratteristiche dell’immunita’ innata ed acquisita
IMMUNITÀ INNATA
IMMUNITÀ SPECIFICA
Antigene indipendente
Antigene dipendente
No tempo di latenza
Periodo di latenza
No specificità antigene
Antigene specifico
No memoria immunologia
Memoria immunologia
BARRIERE FISICHE
Cute , mucose, ciglia, ecc.
Nessuna
FATTORI SOLUBILI
Alcune secrezioni: lisozima,
Immunoglobuline
Interferone, Complemento
(Anticorpi)
CELLULE
Fagociti, NK*, eosinofili
Te B linfociti
* : agiscono in maniera aspecifica

: fanno parte dei granulociti, efficaci soprattutto sui parassiti, come sugli elminti.
Meccanismi effettori dell’immunita’ innata
Sito
Cute
Tratto digerente
Componente
Cellule squamose
Sudore
Cellule colonnari
Polmone
Ciglia tracheali
Naso, faringe, occhi
Sangue ed organi linfoidi
Muco, saliva, lacrime
Fagociti
F, NK. e LAK
Siero ed altri fluidi biologici
Lactoferrina, transferrina
Interferon, TNF
Lisozima
Fibronectina complemento
Funzioni
Desquamazione, diluizione,
acidi grassi, pH
Peristalsi, basso pH, bile, acidi
biliari
Elevatore mucociliare
Surfattante
Lavaggio, lisozima (batteriostatico)
Fagocitosi e killing
intracellulare
Diretta e citolisi anticorpodipend
Deprivazione di ferro
Proteine antivirali, attivazione
fagocitosi
Idrolisi peptoglicani
Opsonizzazione, stimolazione,
fagocitosi, infiammazione
Le opsonine fanno parte del complemento, anticorpi che attirano il linfocita.
: LAK: qualcuno sostiene che si tratti di particolari stadi maturativi dei linfociti, altri che siano
delle cellule diverse.
Il macrofago è una cellula grossa, nucleo vistoso, ha la proprietà di presentare all’esterno
l’antigene.
Lezione del 31/10/03-Mazzarino
Il sistema immunologico protegge e difende l’unicità (univocità) molecolare e cellulare
dell’individuo e ne regola le funzioni in armonia con gli altri due sistemi di regolazione quali il
sistema nervoso ed endocrino. Quando questa triade viene alterata si passa dall’immunità
fisiologica ad un’immunità patologica.
Il network neuro-immuno-endocrino è costituito da un insieme di segnali e messaggi diretti
verso terminali e recettori disseminati su cellule immunocompetenti, cellule nervose, cellule
endocrine (Anche la psiche ricade sul sistema immunitario).
12
Le cellule immuno-competenti possono essere paragonate a veri e propri computers con sensori
e trasmettitori.
Il sistema immune è nel suo insieme un sistema di riconoscimento mobile con cellule e
mediatori solubili (anticorpi) che sono ovunque per:
 Riconoscere
 Accettare
molecole e/o cellule estranee o ritenute tali
 Respingere
Il sistema immunitario
Quando perfettamente efficiente, quando perfettamente organizzato riconosce, nei confronti
dell’antige-ne che viene a turbare l’equilibrio dinamico che lo caratterizza, diversi “steps” (fasi),
che sono alla base della:
Organizzazione del sistema immune
1)
2)
3)
4)
Tutte
a)
b)
c)
d)
Riconoscimento dello stimolo
Produzione di una risposta adatta
Regolazione della risposta
Memoria
queste fasi sono permesse da un:
LINGUAGGIO (per lo più molecolare)
di riconoscimento
di attivazione (proliferazione cellulareselezione clonale)
di inibizione
di memorizzazione (vaccino)
Meccanismi immunitari
1) Innati (naturali)
complemento, inter-
a)
fattori
umorali:
enzimi,
proteine
reattive,
fattori
del
feroni
b) cellule ad attività
fagocitaria (PMN, macrofagi)
citotossica
(cellule
NK,
eosinofili).
Cellule NK= linfociti né T né B. dotati di attività citotossica naturale, ossia non anticorpodipendente.
2) Adattativi:
Linfociti T
Linfociti B elevata specificità ed efficienza
Macrofagi
Le risposte che ne conseguono sono di 2 tipi:
a) cellulari
b) umorali
FUNZIONE
NATURA DELLO STIMOLO
IMMUNOLOGICO
ESEMPIO
Difesa
Esogena
Microorganismi
ABERRAZIONI
Iper-
Ipo-
Allergia
Disordini da
deficit
immunologic
i
13
Omeostasi
Endogena o esogena
Sorveglianza
Endogena o esogena
** riconoscimento
** attivazione
** inibizione
Rimozione di cellule
Malattie
non più efficienti o
autoimmun
danneggiate
i
Rimozione di mutanti
cellulari
14
Tumori
LINGUAGGIO.
Immunodeficit
Ipersensibilità
RISPOSTA IMMUNITARIA
Autoimmunità
Malattie linfoproliferative
Differenze:
ASPECIFICA (innata)
Risposta rapida (ore)
Invariabile
Numero limitato di specificità
Costante durante la risposta
SPECIFICA (acquisita)
Risposta lenta (da giorni a
settimane)
Variabile
Numerose specificità
altamente selettive
Si perfeziona durante la
risposta
Meccanismi effettori in comune per la distruzione di patogeni.
Il sistema immunitario svolge 2 principali funzioni:
1- riconoscimento e difesa nei confronti di sostanze estranee
2- immunosorveglianza.
I componenti della immunità innata interna ed esterna sono preformati, standardizzati, senza
memoria e non specifici. Quando le difese esterne come pelle, secrezione e membrane mucose
non riescono a prevenire l’invasione dei patogeni, le difese innate interne come temperatura
(iperpilessia), tensione di ossigeno, fagocitosi e infiammazione intervengono nel controllo delle
infezioni. Nell’insieme, l’iimunità innata riduce il carico di lavoro alle difese specifiche del
sistema immunitario.
L’immunità acquisita, sia essa umorale o cellulare, permette la distruzione di tutte le sostanze
(viventi e non) che nel corpo non vengono riconosciute come self. Le sei principali caratteristiche
dell’immunità acquisita sono:
1- specificità
2- inducibilità
3- diversità
4- memoria
5- distinzione self dal non-self
6- autoinibizione del self.
Le cellule principali del sistema immunitario sono:
 linfociti B
 linfociti T
 macrofagi.
I linfociti B sono responsabili dell’immunità umorale, mentre le cellule T conferiscono immunità
cellulare. Diversamente dai linfociti, le cellule fagocitiche (come i macrofagi) non rispondono
specificamente a sostanze estranee, ma rivestono un importante ruolo ausiliare (APC).
L’immunità acquisita può essere suddivisa in passiva ed attiva, e ulteriormente in forma
naturale e artificiale. La teoria della selezione clonale spiega come il sistema immunitario dei
vertebrati possa riconoscere specificamente milioni di antigeni differenti. La teoria è valida per i
linfociti B e T e spiega la diversità, la memoria e la specificità immunologia. La storia dello
sviluppo dei linfociti B e T può essere divisa in filogenesi e ontogenesi.
Conte cellulari in condizioni normali nel sangue periferico:
Cell/mm
%
3
Globuli rossi
Piastrine
Leucociti o
GB:
Neutrofili
Linfociti
Monociti
Eosinofili
Basofili
5,0 x 106
2,5 x 105
58 x 103
5070%
2040%

16%
14%
<1%
: nel bambino arriva anche al 50%.
: il basofilo non è in circolo, ma dislocato nei distretti in forma di mastcellula. Aumenta nel
caso di tumori.
Emopoiesi
Cellula staminale primordiale
Cellula pluripotente
Progenitore mieloide
linfoide
Eritroidi
Megacariociti
Natural Killer
CFU
(LGL)
Eritrociti
Piastrine
Progenitore
TIMO
Basofili
Eosinofili
GranulocitiCFU
Basofili
Linfociti B
CFU
Linfociti T
Monociti CFU
Eosinofili Granulociti Monociti
 Il timo attua l’immunocompetenza cellulo-mediataselezione clonale: solo 1/3 raggiunge il
livello maturativo.
Ontogenesi
2x1012 cellule
1% del peso corporeo
Cellula staminale pluripotentesi trasforma in varie cellule finali, ad esempio, la cellula pre-T
si forma nel midollo osseo, si differenzia nel timo e può essere marcata da:
 CD4+ e CD8-helper
 CD4- e CD8+citotossiche, citolitiche non naturali: ossia necessitano del contatto con
l’antigene.
CD=Cluster of Differentaction.
L’identificazione di questi marcatori superficiali prevede l’uso di anticorpi monoclonali che
legano un solo epitopo. Mediante la fluorescenza veiene espressa la presenza del marcatore.
Cellula pre-Bcellula B maturaplasmacellula, finalizzata alla secrezione di anticorpi.
TTCR
BBCR.
Cellula T
Cellula B
Cellula NK
Macrofago
15
16
Recettore per
l’antigene
Marcatori
caratteristici
di membrana
TCR
TCR
CD3, CD4 O CD8
Ig (di superficie):
BCR
Ig, CD5, CD9,
CD10, CD20
Funzioni
Secrezione di
citochine
Secrezione di Ig,
presentazione
dell’antigene,
secrezione di
citochine
?
Nessuno
CD16, CD56
Molecola di classe
I e II. Recettori del
complemento
(CD11b, CD35)
CD14, CD68
Fagocitosi,
presentazione
dell’antigene,
secrezioen di
citochine.
Secrezione di
citochine,
ADCC:
citotossicità
diretta
: ADCC=Antibody Dipendent Cellular Citotossicity.
Il monocita è in circolo, mentre il macrofago è distrettualizzato.
La plasmacellula non si dovrebbe trovare mai in circolo. Se la trovassimo, potremmo pensare ad
una caso di MIELOMA MULTIPLO, malattia linfoproliferativa, ossia un tumore. È una cellula ricca
di reticolo endoplasmico, nucleo periferico “a ruota dentata”.
Il basofilo è caratterizzato da granulazioni blu. Mastcellula=basofilo che ha lasciato la sua sede
ematica.
Cellule dendritiche: sono pochissime (0,1%), importanti a livello dei distretti. Sono cellule Apc.
Oggi vengono utilizzate nell’immunità attiva dei tumori. Se ne conoscono varie forme:
Cellule di Langerhans (cute)
Cellule dendritiche interstiziali (organi splancnici)
Cellule dendritiche interdigitate (organi linfatici secondari [linfonodi, milza, cute] e
midollari del timo).
Cellule dendritiche circolanti [0,1% dei leucociti circolanti] e nella linfa (cellule VELATE).
Attraverso le loro propaggini, le cellule dendritiche hanno un ruolo fondamentale nel rpesentare
l’antigene.
Il monocita ha un nucleo reniforme, diametro di 12 micron, mentre il macrofago è più piccolo e
dotato di potere fagocitico. I microfagi o polimorfonucleati ,macrofagi (PMN) hanno un nucleo
polilobato.
Immunofenotipizzare tali cellule è importante, primum movens per orientarci ed individuare
patologie immunologiche.
Cellule B: allo stato G0: LINFOCITI VERGINIha un nucleo che occupa i 2/3 della sua
superficie.
La cellula B presenta una serie eterogenea di Ig di superficie e molti CD: CD35, CD40, CD21,
CD32, CD35.
Cellula T: anch’essa molto poliedrica. Importante il complesso TCR-CD3, pentamero, tipico ed
esclusivo della cellula T. Poi presenta dei cofattoriCD4, CD8, CTLA-4, CD25.
La cellula CD4+ viene considerata la “direttrice“di tutto il sistema immunitario, in quanto coopera
con:
Macrofagi attivati
Cellule NK, indotte
Produzione di citochine che influenzano le cellule linfoidi
Produzione di fattori stimolanti colonie
Produzione di citochine che influenzano le cellule non linfoidi (dinamica intersistemica)
Cellule soppressor, indotte
Cellule T, citotossiche, indotte.
TH1secerne interleuchine.
TH0TH
TH2secerne interleuchine 4,5,13.
C’è un balance tra i 2 tipi di cellule TH (T helper).
I linfociti sono apparentemente tutti più o meno uguali tra loro dal punto di vista morfologico.
In realtà, malgrado questa apparente omogeneità, si possono distinguere nel loro ambito
numerose sottopopolazioni, dotate di differenti attività funzionali.
La principale suddivisione funzionale distingue i linfociti T (timo dipendenti), i linfociti B
(Precursori delle Plasmacellule Secernenti Anticorpi) e le cellule non-T e non-B o della 3°
popolazione. Ne loro ambito si possono riconoscere ulteriori specializzazioni funzionali:
cellule T70%
cellule non T e non B20%
cellule B10%.
Le varie attività funzionali sono legate alla presenza di molecole glicoproteiche sulla superficie
cellulare, sono in genere strutture recettoriali o antigeniche, indispnesabili allo svolgimento
delle particolari funzioni di una data sottopopolazione.
Queste strutture prendono il nome di marcatori di superficie, in quanto permetono di
“etichettare” lo stipite di appartenenza o l’attività funzioanle di una cellula in base alla
presenza/assenza di una o più di queste molecole.
Il riconoscimento dei marcatori di superficie mediante anticorpi monoclonali e
immunofluorescenza (analisi del fenotipo o tipizzazione) permette di enumerare rapidamente ed
accuratamente le diverse popolazioni cellulari o di valutarne i rapporti relativi, che possono
essere preofondamente mutanti in numerose condizioni patologiche (immunopatologia).
Inoltre, in condizioni di trasformazione neoplastica delle cellule immunocompetenti (leucemie,
linfomi) si assiste alla comparsa di cloni cellulari dotati di tipici fenotipi.
Caratteristiche generali dei subsets linfocitari
Alcune sottoclassi linfocitarie che esercitano particolari attività funzionali possono essere
distinte mediante l’analisi di marcatori di superficie.
Si distinguono i marcatori stabili (o strutturali), che ogni cellula esprime normalmente, dai
marcatori che la cellula esprime solo in particolari condizioni (per esempio, attivazione).
Nell’uomo si impone la combinazione di più marcatori per suddividere meglio le varie sottoclassi
linfocitarie.
Applicazioni (in vitro) dell’analisi dei marcatori cellulari di superficie
1) IMMUNOPATOLOGIA
Studio e classificazione delle immunodeficienza congenite relative soprattutto al comparto
linfoide.
AIDS e sindromi correlate:
(Stadiazione della malattia in base al numero delle cellule CD4+).
Distribuzione numerica sottoclassi linfocitarie a significato regolatorio o effettore
(Correlazione con il meccanismo patogenetico)
(Es. LES, Sarcoidosi, Artrite Reumatoide, ecc.)
2) TRAPIANTO D’ORGANO
Monitoraggio immunologico del ricevente
Valutazione degli effetti della terapia immunosoppressiva
(Deplezione T, sottoclassi T).
Variazioni legate agli eventi immuni (rigetto, infezioni)
Attecchimento del trapianto del midollo, reazione Graft-Versus-Host: si può avere un trapianto
allogenico od un autotrapianto. Comunque, nel 1° caso accade che il trapianto rigetta l’ospite,
non il contrario, come di solito accade.
3) EMATOLOGIA-ONOCOLOGIA
Caratterizzazione e classificazione delle leucemie acute, delle leucemie croniche, dei linfomi e del
plasmocitomi.
Analisi su sangue periferico, midollo, linfonodi o tessuto infiltrato.
(Leucemie acute, croniche, linfomi, mielomi)
Studio dei fenomeni associati alle leucemie ed ai linfomi
(alterazioni ematologiche indotte, studio delle popolazioni residue)
4) IN ASSOCIAZIONE ALLA CITOLOGIA CONVENZIONALE
17
Analisi cellule ricavate da altri liquidi corporei
(essudati, liquido pleurico, ascite, liquor, ecc.).
Le cellule T non producono anticorpi, ma sono responsabili della piena espressione
dell’immunità a molti antigeni. Le cellule T sono cellule effettrici e regolatrici ed esprimono
marcatori che permettono la loro suddivisione in sottopopolazioni:
1- cellule TH (ristrette alla classe II e CD4+)
4 x 2=8 x 1: fenomeno di
restrizione
2- Cellule TC [citotosiche] (ristrette alla classe I e CD8+)
MHC
I linfociti pre-T del midollo osseo migrano nel timo e si sviluppano in cellule T mature (selezione
positiva o negativa).
Monociti macrofagici: a cavallo tra immunità innata e specifica.
Tessuto emopoietico
Timo
Cellule B
Borsa di Fabrizio (negli uccelli)
Placche del Peyer
Milza
Linfonodi
TESSUTO LINFOIDE PRIMARIO (O CENTRALE)
TESSUTO LINFOIDE SECONDARIO (O PERIFERICO)
MALAPONTE, 5/11/2003
(Capitolo 9: Il recettore dei linfociti T)
La cellula T ed il TCR
La cellula T assomiglia molto alla cellula B. è dotata di un recettore. È stato possibile isolare il
TCR utilizzando anticorpi monoclonali, ossia prodotti da un solo clone, anticorpi omogenei, con
stessa struttura e specificità, detti anche anticorpi clonotipici (pag.218). Sono stati identificati 2
tipi di recettore:
, per il 95%
, per il 5%.
Tale recettore somiglia moltissimo all’Immunoglobulina di membrana, ha un dominio variabile,
N-terminale, a cui è legata la specificità nei confronti dell’antigene, ed uno costante. La
variabilità è data dai CDR. Si hanno 3 CDR nella porzione variabile. Le CDR si appaiano con
quelli creando una strutture in grado di riconoscere e accogliere gli anticorpi.
La catena  nella porzione variabile ha anche un CDR4, che non partecipa alla riposta agli
antigeni convenzionali, bensì rappresenta il sito di riconoscimento di alcuni agenti microbici:
SUPERANTIGENI (pag.258): si tratta di enterossintine baterriche, prodotte da batteri Gram positivi,
dati dallo Stafilocco aureo e dallo Streptococco responsabili delle intossificazioni alimentari. La
sindrome da shock tossico è un altro esempio delle conseguenze indotte dall’iperproduzione di
citochine indotta da superantigeni. Tale sindrome è associata per lo più all’utilizzo di tamponi
interni vaginali. Sono superantigeni tossine che si comportano da attivatori policlonali, anche in
piccole concentrazioni, ossia inducono una massiva proliferazione di cellule T,
indipendentemente dalla specificità del TCR, e dunque un’iperproduzione di citochine con
conseguente tossicità sistemica. Queste enterotossine si legano al dominio variabile della catena
, al di fuori della tasca di riconosci-mento antigenico. Funzionano da ponte tra TCR ed MHC
(molecole di istocompatibilità) di classe II, espresse dalla cellula Apc, dunque non discende dal
polimorfismo delle molecole di istocompatibilità. Dunque, il legame tra queste due strutture
avviene al di fuori della tasca.
Il superantigene non va incontro a degradazione. Le cellule T, dotate di quella particolare catena
, sono responsive a tali superantigeni. Questi fanno produrre molte citochine infiammatorie,
causando:
 Febbre
 Coagulazione intravasalecollasso circolatorioshock
 Insufficienza renalemorte.
Le porzioni di cui è costituito un TCR sono le seguenti (pag.219):
18
dominio variabile, simile al dominio immunoglobulinico
dominio costante, il quale ha diverse funzioni
porzione d’aggancio alla membrana
porzione transmembrana, idrofobica, fatta di 22 amminoacidi
code formate da 5-12 amminoacidi.
Nella porzione transmembrana il TCR è caricato positivamente:
 Catena arginina
 Catena lisina.
Questa cappa positiva destabilizza la struttura di tale recettore. Un organizzazione simile fa
pensare ad un’identica organizzazione genomica, dove si ha molta analogia con l’Ig di
membrana, ma i geni sono completamente diversi: Hedrick e Davis (pag.220) scoprirono che
l’mRNA che codifica per i TCR si trova attaccato ai poliribosomi associati alla membrana e non
ai ribosomi liberi nel citoplasma. Isolarono e purificarono questo mRNA di membrana e
utilizzarono la trascrittasi inversa per sintetizzare sonde di cDNA marcate con 32P. Poiché solo il
3% dell’mRNA dei linfociti è presente nella frazione poliribosomiale, questa procedura
permetteva di eliminare il 97% dei messaggeri non codificanti proteine di membrana.
Successivamente Hedrick e Davis utilizzarono una tecnica chiamata IBRIDIZZAZIONE PER
SOTTRAZIONE DEL DNA, che permise di eliminare dalla preparazione di cDNA tutti i cDNA
marcati con 32P non specifici delle cellule T. ola base razionale per questo tipo di approccio era
che i linfociti B e T derivano da una stessa cellula progenitrice ed esprimono quindi molti geni in
comune. In esperimenti precedenti Davis aveva dimostrato che il 98% dei geni espressi nei
linfociti era comune ai linfociti B e T. dunque, Hedrick e Davis cercarono di arricchire la piccola
percentuale (2%) di geni espressi selettivamente dai linfociti T, che doveva comprendere i geni
del TCR. Ibridizzando i messaggeri dei linfociti B con i cDNA [ 32P] ottenuti dai linfociti TH, essi
riuscirono a rimuovere, o a sottrarre, tutti i cDNA comuni ai linfociti B e T. I cDNA rimasti non
ibridzzati rappresentavano presumibilmente gli mRNA poliribosomiali espressi unicamente dal
clone TH, incluso l’mRNA codificante il suo TCR. Restava soltanto il 2% dei geni. I geni che
codificano per il TCR sono dunque distinti da quelli che codificano per l’Ig di membrana, e tali geni
codificano per le varie catene pesanti, sottoforma di famiglie multigeniche (fatte di segmenti
genomici codificanti e non, ossia esoni ed introni), collocati però in cromosomi diversi:
Gene
Catena
Catena
Catena
Catena




Localizzazione cromosomica
14
7
7
14
Segmenti genici
VJ
VDJ
VJ
VDJ
Nella porzione costante mancano i segmenti di switch isotipico, a differenza che nelle Ig.
L’organizzazione induce la delezione di tutto ciò che è interposto: non si potranno mai formare
contemporaneamente 2 tipi di catene: il codificamento dell’una esclude l’altra: ecco perché si
trovano nello stesso locus: o si forma  o si forma .
Il meccanismo genomico è identico tra  e . Un qualsiasi esone variabile della catena a si
appaia con la catena Jdà origine a VJsi forma il trascritto primariosplicingformazione di
mRNA: anche nella formazione del TCR, come nel caso dell’Ig, si trova un segmento leader che
trasporta il trascritto al RE:
1° riarrangiamentocatene 
2° riarrangiamentoVJ si unisce a DVDJcatena splicingVJCcatena .
Sono presenti 2 esoni costanti (segmenti C) nella catena  e uno solo nella catena  (pag.223). La
scelta dell’una o dell’altra non influenza la specificità perché la porzione costante del recettore è
solo un dominio strutturale, che non influisce sulla specificità del recettore. Tali esoni costanti
codificano per tutte quelle porzioni che permettono di ancorare la molecola al recettore, ossia:
tratto di giunzione
dominio costante
porzione transmembrana
coda.
L’esone variabile è invece responsabile della formazione di CDR1, CDR2 e CDR3.
19
Ci dovremo chiedere cosa differenzia una cellula T da una cellula B dal punto di vista della
struttura (recettori), dei marcatori di superficie, della funzione e dell’organizzazione genomica.
Le ricombinasi riconoscono sequenze palindromiche di ottameri e nonameri, andando a
compiere la delezione di tutto ciò che è intercalato. Il meccanismo di riarrangiamento è molto
delicato, perché il genoma durante questo riarrangiamento è esposto alla TRASLOCAZIONE
CROMOSOMICA (pag.549): di solito la cromatina è addensata,inattivando i geni RAG1 e RAG2, ma
quando la cromatina è aperta può aver luogo una traslocazione cromosomica. Ad esempio, il cmyc, che codifica per la proliferazione della cellula, quando è incontrollato porta a diventare un
oncogenetrasformazione neoplasticaLINFOMA DI BURKITT: le cellule neoplastiche di alcuni
pazienti affetti da tale linfoma presentano una traslocazione che sposta una parte del
cromosoma 8 sul cromosoma 14. il 90% di queste ricombinazioni porta le cellule B e T
all’apoptosi.
(pag.227) Vari meccanismi operanti durante il riarrangiamento del TCR contribuiscono a
originare una diversità molto elevata nel TCR:
1. FLESSIBILITÀ GIUNZIONALE
2. AGGIUNTA DI NUCLEOTIDI, che si affiancano nella catena pesante.
Il TCR, nonostante il numero dei geni variabile sia minore rispetto a quello delle Ig di membrana
(300 vs 1000), presenta una variabilità più alta di quella delle Ig (dell’ordine di 10 18 vs 1011)
perché:
3. un minor numero di geni variabili viene soppiantato da un maggior numero di geni J (500
vs 5)
4. si possono verificare RICOMBINAZIONI ALTERNATIVE: anche la catena b può essere formata dal
VJ o dal VDDJ, VDDDJ, o dal D (nel caso della catena ).
5. aggiunta di nucleotidi N e P ad opera delle desossiribonucleotide trasferasi sia nelle catene
 che nelle catene  (sia  sia ), mentre nelle Ig ciò avviene solo nelle catene pesanti.
6. MUTAZIONE SOMATICA: meccanismo antigene dipendente, non avviene mai nel TCR!!La
specificità che si è sviluppata nel timo è la stessa per la cellule T in circolo, al contrario delle
cellule B.
Se è vero che la mutazione somatica può aumentare la variabilità, come nel caso delle cellule B,
è anche vero che nella cellula T potrebbe avere delle conseguenze letali: la cellula B autoreattiva,
per produrre anticorpi autoreattivi, necessita della cellula T autoreattiva (è la cellula T a guidare
la risposta immuni-taria, umorale e celulare ): quest’ultima, fortunatamente (pag.229) non si
forma, perché i geni del TCR non vanno incontro a mutazione somatica. Un raro processo di
mutazione somatica potrebbe rendere la cellula iporeattiva, in quanto non è in grado di
riconoscere la molecola d’istocompatibilità.
Confronto tra le proprietà strutturali e i meccanismi genici
principali delle Ig e del recettore della cellula T: TCR
Geni
Proteine
Ig TCR
Ig
TCR
Molti VDJs, pochi Cs
Riarrangiamenti VDJ
Appaiamenti V per il sito di
riconoscimento dell’antigene
Ipermutazione somatica
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
No
Forme di membrana
Forme secrete
Isotipi con funzioni
distinte
Valenza
Sì
Sì
Sì
Sì
No
No
2
1
La coda del TCR è simile a quella dell’Ig e presenta la PROTEINA CD3 (pag.229). Il TCR ed il
CD3 sono molto vicini sulla membrana dei linfociti T. Il CD3 è necessario per l’espressione in
membrana dei TCR ab e gd: la pdita dei geni che codificano il CD3 o le catene del TCR causa la
macata espressione in membrana di tutto il complesso molecolare. L’anticorpo monoclonale
anti-TCR riconosce anche la proteina CD3, formata da 5 catene polipeptidiche monomorfiche
che si associano a formare 3 dimeri:
 Eterodimero 
 Eterodimero  e Omodimero 
 Eterodimero .
Circa il 90% dei complessi CD3 presenta omodimeri ed il rimante 10% contiene eterodimeri
. Il complesso del TCR può quindi essere visto come un complesso costituito da 4 dimeri:
 L’eterodimero o determina la specificità di legame con l’antigene
20
 I 3 dimeri del CD3 sono necessari per l’espressione del TCR e per la traduzione del
segnale.
La porzione transmembrana del CD3 contiene è carica negativamente in quanto è ricco di
residui di acido aspartico, che si lega all’arginina e alla lisina del TCR, dunque funziona da
stabilizzante della struttura del TCR, di per sé instabile. Il vantaggio del DC3 è di avere code
molto lunghe (anche di 114 amminoacidi) in cui sono presenti le sequenze ITAM
(Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif=motivo contenente tirosina coinvolto
nell’attivazione dell’immunorecettore), motivi a mò di salsicciotto (le catene ,  ed  del CD3
contengono una singola copia di ITAM, mentre le catene ed  ne contengono 3 copie). Il CD3
non è polimorfo, ma è identico in tutte le cellule T della stessa specie.
Anche nelle code del TCR sono presenti le sequenze ITAM, motivi di riconoscimento di recettori
tirosini-ci, che vengono fosforilati dalla tirosin chiansi a tirosina, che attiva le proteine chinasi,
ad esempio le ZAP-70 (pag.255)fosforilano tantissimi substrati, attivandoli, ad esemopio
enzimi come la fosfolipasi C, incrementando la formazione del Ca2+attivazione dei fattori di
trascrizione, traslocati da citoplasma l nucleocodificazione per le varie proteine, come le
citochine.
Il TCR ha un’affinità molto bassa per l’antigene ed ha una costante di dissociazione molto
rapida: l’interazione tra cellula T e cellula Apc si dissocia nel giro di qualche secondo, dunque la
cellula T non avrebbe il tempo di discriminare l’antigene: intervengono le MOLECOLE ACCESSORIE,
che interagiscono su:
 Matrice extracellulare
 Cellula epiteliale
 Cellula Apc.
La funzione delle molecole accessorie è quella di facilitare l’adesione tra cellule T e cellule Apc. Due
di queste molecole, oltre a comportarsi da molecole di adesione, sono anche dei corecettori
(pag.230). Essi favoriscono una maggior adesività e partecipano alla traduzione del segnale alla
cellula:
CD4: monomerica. Presenta 4 domini, appartiene alla superfamiglia delle Ig. Interagisce
con la cellula Apc (molecola di istocompatibilità) e tale interazione avviene tra D1 e D2.
CD8: eterodimero , tenuto insieme da un ponte disolfuro. Anch’esso appartiene alla
superfamiglia delle Ig.
CD4 e CD8 prendono contatto con la molecola d’istocompatibilità e partecipano alla trasduzione
del messaggio, insieme al CD3.
Delle proteine chinasi attivano le ZAP70, e delle chinasi CD4 e CD8 portano alla fosforilazione di
molti substrati.
MALAPONTE, 7/11/2003
(le due principali barriere epiteliali sono le giunzioni a stretto contatto tra le cellule e lo strato
corneo, che impediscono il passaggio degli antigeni).
(I residui di mannosio sono gli elementi presenti sulla superficie dei patogeni che vengono
riconosciuti dai macrofagi, permettendo il loro attacco da parte di questi ultimi).
(CD25=marcatore di superficie specifico della cellula T attivata).
(SWITCH ISOTIPICO= meccanismo antigene dipendente in cui la cellula B matura presenta in
seguito all’incontro con l’antigene: la stessa variabilità che si sviluppa si può accoppiare con altri
isotipi, ossia, in base alla funzione che la cellula deve svolgere, pur mantenendo la stessa
variabilità, dunque lo stesso VDJ, si sviluppano classi diverseciò vuol dire che può variare la C
che corrisponde ad un’altra immunoglobulina (e la C precedente, più vicina a VDJ, viene
inglobata nel “loop” e viene deleta): a livello 5’ della regione costante sono presenti regioni di
switch conservate dove agiscono le ricombinasi, che svolgono la delezione col meccanismo di
“stand and loop”, e le citochine, presenti nel microambiente, che favoriscono lo switch.
Maturazione dei linfociti T
(capitolo 10, pag.241)
Ha aspetti comuni alle cellule B: entrambi risentono dell’influsso stromale, entrambi subiscono
il riarrangiamento.
21
Il timo (pag.47) costituito da epitelio corticale, epitelio midollare e connettivo che insieme
costituiscono lo stroma timico.
Corticale: contiene cellule epiteliali timiche e timociti immaturi
Midollare: contiene cellule dendritiche, timociti maturi e macrofagi.
La centralità del ruolo del timo nella funzione immunitaria è dimostrata da alterazioni congenite
umane come la sindrome di Digeorge: si tratta di una ipoplasia timica dovuta ad un’alterata
formazione del timo a carico della 3° e della 4° tasca branchiale. I bambini che ne sono affetti
sono soggetti ad infezioni ricorrenti. Nonostante la cellula B sia presente, a causa dell’assenza
della cellula T non può esplicare la propria funzione. Stesse caratteristiche presenta la cosiddetta
sindrome da topo nudo, e inoltre, in seguito alla timectomia, non ha luogo alcuna risposta
immunitaria.
I progenitori midollari entrano nel timo, dopo essere stati prodotti dal midollo osseo. Alla loro
superficie non esprimono alcun marcatore, ma sono attratti da fattori chemiotattici, di natura
ormonale, prodotti dalle cellule stremali, quali, ad esempio:
 Timopentina
 Timulina
 Timopoietina
 Interleuchina 7
La maturazione della cellula T consta di 3 stadi:
1. Attivazione
2. Proliferazione
3. Selezione.
Successivamente alla comparsa di 2 primi marcatori, CD7 e CD2, presenti nei progenitori
midollari, contemporanemante comincia ad aver luogo il riarrangiamento del DNA germinale,
con geni DOPPI NEGATIVI, ossia che non presentano né CD4 né CD8. non si sa se questi
precursori siano già istruiti nel fabbricare  o , ma è sicuro che esistono dei segnali regolatori
che agiscono sui geni . Quindi i progenitori  presentano una proteina silenziatore, che agisce
deprimendo i geni , mentre le cellule destinate a produrre  non presentano tale proteina. Le
prime cellule ad essere prodotte sono le , con una specificità limitata, in quanto manca ancora
la desossiribonucleotide trasferasi e dunque non avviene l’aggiunta di nucleotidi.
 Se viene riarrangiato l’esone 5il linfocita migra verso l’epidermide
 Se viene riarrangiato l’esone 6il linfocita migra verso l’epitelio riproduttivo.
I linfociti che derivano dal riarrangiamento degli altri esoni migrano nei restanti tessuti. Infatti, i
linfociti restano fissi nei tessuti, non circolano. Hanno azione simile alle cellule NK, ossia sono
dotati di un’attività citotossica non ristretta alle molecole di istocompatibilità. Secondo altri studiosi,
essi rappresentano un primordiale sistema di sorveglianza agente sull’epidermidi, evitando che i
patogeni passino attraverso la lamina basale.
Alla nascita la linea principale diventa l’ (95%), mentre le cellule  acquisiscono l’ampia
variabilità che li caratterizza, grazie alla comparsa della desossossiribonucleotide trasferasi. Le
prime catene ad essere riarrangiate sono le catene  . Il riarrangiamento di tale catena nel
linfocita pro-TVJVDJ sintetizzata nel citoplasma. Dunque, il linfocita pro-T presenta una
catena  intracitoplasmatica. Il linfocita pre-T è invece caratterizzato dallo spostamento della
catena , che da intracitoplasmatico diventa di superficie, e dall’espressione delle molecole CD4,
CD8 e CD3DOPPIO POSITIVO. Inoltre, comincia ad essere presente un surrogato di catena . A
questo punto, parte il riarrangiamento della catena .
 Nella cellula pro-Tcatena b intracitoplasmatica
 Nella cellula pre-Tcatena b di superficie.
Nei linfociti immaturi si completa il riarrangiamento, il cui meccanismo è identico nei 2 tipi di
cellula,  e , per cui si realizza il controllo dell’autoreattività. Avverrà la formazione delle
cellule T che hanno un recettore capace di riconoscere MHC self.
Selezione timica dei linfociti T (pag.244): In entrambe le selezioni, positiva e negativa, le
cellule stremali hanno un ruolo importantissimo, in quanto presentano ,molte molecole
d’istocompatibilità (di MHC) di I e II classe. Quindi, la selezione positiva,che avviene nella
corticale del timo, elimina le cellule T il cui recettore non riconosce l’MHC self: ossia, fa
maturare tutte le cellule T con bassa affinità per l’MHC self ed alta affinità per il non self.
22
Movendosi verso la midollare, s’incontrano cellule con lunghi processi. Se il recettore non
riconosce l’MHC self presente nella cellula stromale, la cellula T va in apoptosi: la SELEZIONE
POSITIVA ci assicura la restrizione della risposta.
Si realizza anche una tipizzazione fenotipica che ci assicura l’espressione di CD4 o di CD8: in tal
modo si assicura la specificità che il recettore deve avere per molecole di I o di II classe, a
seconda che esprimano CD8 o CD4.
Ma ci chiediamo, mediante quale processo i timociti doppi positivi decidono di diventare linfociti
T CD4+CD8- o CD4-CD8+? Per spiegare la trasformazione di un timocita doppio positivo in uno
dei due possibili singoli positivi sono stati proposti 2 diversi meccanismi (pag.250):
MECCANISMO STOCASTICO: afferma che l’inattivazione di CD4 o di CD8 è regolata in modo
casuale, senza alcuna relazione con la specificità del TCR. In questo caso maturano
solamente i timociti in cui il TCR ed il corecettore riconoscono la stessa classe di MHC.
MECCANISMO ISTRUTTIVO: sostiene che interazioni ripetute tra il TCR, i corecettori CD8+ o
CD4+ e le molecole di classa I o classe II istruiscano la cellula a diventare singola positiva
rispettivamente per CD8 o CD4. Questo modello prevede che un TCR associato ad un MHC di
classe I e al corecettore CD8 trasduca un segnale diverso rispetto a quello generato dal
complesso TCR-MHC di classe II e dal corecettore CD4.
A livello della giunzione cortico-midollare avviene la selezione negativa. In questo meccanismo
sono molto importanti i macrofagi e le cellule dendritiche, presenti sia a livello centrale, cioè nel
timo, sia a livello periferico. Attraverso la SELEZIONE NEGATIVA vengono eliminati tutti i timociti che
esprimono alta affinità per l’MHC self e per gli autoantigeni, in modo da garantire
l’autotolleranza.
SELEZIONE POSITIVAgarantisce la restrizione,proprietà che differenzia la cellula B dalla
cellula T
SELEZIONE NEGATIVAgarantisce l’autotolleranza.
I singoli positivi migrano dal timo agli organi linfoidi secondari. Dunque, ricapitolando:
Timociti immaturi doppiamente negativi CD3, CD4, CD8
Nella corticale
Timociti immaturi doppiamente positivi CD3, CD4, CD8
Nella midollare
Timociti maturi CD4+CD8- e CD4-CD8+
Matureranno solo antigeni che hanno bassa affinità per autoantigeni ed alta affinità per gli antigeni
non self.
Risposta della cellula t
(Capitolo 7l’MHC; Capitolo 8Processazione presentazione dell’antigene)
La risposta della cellula T prevede che l’antigene venga processato (degradato) all’interno della
cellula Apc e sia esposto sulla superficie nel contesto della molecola di istocompatibilità. Ciò
significa che:
 il TCR, oltre a funzionare da recettore per l’antigene, funziona da recettore per la cellula
Apc
 la molecola dell’MHC funge da recettore per l’antigene.
Infatti, la struttura della molecola dell’MHC è capace di accogliere l’antigene in una nicchia,in
una tasca, con la struttura -planare, con foglietti  aventi 8 nastri paralleli che fanno da
pavimento a questa nicchia, mentre le pareti sono date da catene .
Una struttura simile, nonché il POLIMORFISMO, ossia la presentazione di più alleli in uno stesso
locus nella stessa specie, assicura la variabilità della molecola dell’MHC, cellula poligenica e
polimorfica. Nell’uomo i geni che codificano per tale molecola si trovano sul cromosoma 6. ogni
individuo ha una diversa struttura della molecola dell’MHC. L’elevato polimorfismo comporta:
 l’insuccesso del trapianto
23
 gran successo della presentazione dell’antigene alla cellula T, dotata del TCR.
La lunghezza di questa nicchia condiziona la lunghezza del peptide antigenico, ma è necessario
analizzare separatamente la molecola di classe I e quella di classe II (pag.180):
STRUTTURA DELLA MOLECOLA DI CLASSE I:
Espressa su tutte le cellule nucleate, è dotata di catena , che si risolve in 3 domini, legata non
covalentemente alla  2-microglobulina. Tasca 12. Segmento transmembranario, coda
citoplasmatica. La tasca della molecola di classe I è chiusa. Ciò significa che il fetide deve
contrarre legami con l’MHC ai 2 estremi, amino e carbossiterminale. Per lo più coinvolge 1 o più
amminoacidi. Se isoliamo il complesso peptide+MHC, la lunghezza del peptide, ancorato nella
tasca, è dell’ordine di 8-9 amminoacidi. Tale peptide presenta sequenze di ancoraggio che vanno
a legare in modo complementare motif presenti nella molecola dell’MHC, mentre catene laterali,
diverse da peptide a peptide, sporgono al di fuori della tasca. Il segmento ancorato sulla tasca è
lineare, disteso, mentre tutto ciò che sporge al di fuori interagisce col TCR. Dunque,
1) l’unità di base viene riconosciuta dall’MHC
2) tutto ciò che sporge dalla tasca interagisce specificamente col TCR.
STRUTTURA DELLA MOLECOLA DI CLASSE II:
12  1 2. La tasca è data da 1 1. il segmento che si ancora è più lungo (fino a 30 amminoacidi),
in quanto l’interazione avviene solo ad un estremo, di solito nell’ammino terminale. Ciò è dovuto
al fatto che la tasca della molecola di classe II è aperta. Antigene—molecola dell’MHC—TCR
formano un sistema trimolecolare. Il TCR deve riconoscere sia l’MHC che il peptide. Il legame
che il recettore stabilisce con l’MHC è dato da CDR1 e CDR2. il peptide deve presentare due
facce, una esposta all’MHC e l’altra esposta al TCR:
 FACCIA ESPOSTA AL RECETTOREidrofilica, detta epitopo, interagisce col CD3
 faccia esposta all’MHCidrofobica, detta agretopo.
Cosa differenzia la cellula B dalla cellula T? La cellula B
riconosce gli antigeni extracellulari allo stato nativo,
qualunque sia la loro natura; riconosce per lo più epitopi
mobili, in superficie, solubili, contigui e idrofilici. Gli epitopi
(determinanti antigenici) B linfocitari possono essere contigui
o discontinui (sequenziali o non sequenza-li). Se gli epitopi
sono discontinui nel contesto dell’antigene, ossia non sono
vicini, ne momento in cui tale proteina si ripiega, legandosi
all’immunoglobulina, gli epitopi si giustappongono, in modo
da essere contigui
Immunoglobulina
epitopo lineare
epitopo discontinuo
La cellula T, invece, riconosce antigeni intracellulari, con epitopi anfipatici, lineari (entra la B
riconosce anche gli epitopi non lineari). Infatti, la cellula T ha il compito di preservare il self,
dunque non è in grado di riconoscere batteri e virus liberi, mobili: la cellula T riconosce antigeni
di superficie, non solubili, presentati dalle cellule. Il fatto che antigeni solubili non possono
interagire con le cellule T ha lo scopo di concentrare l’attenzione delle cellule T esclusivamente
sulle cellule affette da patogeni. Proprio a tal scopo le cellule T sono state rese in grado di
riconoscere antigeni processati (degradati) in catene polipetidiche, presentate al di fuori di una
cellula infetta. Dunque:
Cellula Briconosce antigeni extracellulari
Cellula Triconosce antigeni intracellulari.
Più precisamente, le cellule T riconoscono l’MHC: ciò che guida la cellula T all’antigene bersaglio
è l’MHC, per massimalizzare la sua funzione, ossia per concentrare la sua azione sulla
preservazione di tutto il self invaso da patogeni (cellule infettate-allogeniche-senescentineoplastiche, ecc).
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La funzione della cellula T è MHC ristretta: CD4 e CD8 sono ristretti (pag.203). Affinché la cellula
T risponda all’antigene espresso dalla cellula Apc, è necessario che la cellula T e la cellula Apc
condividano lo stesso aplotipo MHC, gli stessi alleli MHC. Vediamo sperimentalmente questi
aspetti: la funzionalità della cellula T viene indicata dalla quantità di reattività espressa dalla
timidina triziata, che si lega al DNA: più radioattivitàmaggiore attività mitotica della cellula T.
negli anni ’70 Rosenthal e Shevach dimostrarono che la proliferazione antigene-specifica dei
linfociti TH (cellule CD4) avveniva solo in risposta all’antigene presentato da macrofagi
esprimenti lo stesso aplotipo MHC. Essi prelevarono delle cellule di essudato peritoneale
(costituito per il 90% da macrofagi) e le misero su una piastra di plastica o di vetro, su cui i
macrofagi aderiscono strettamente. Preleviamo anche delle cellule linfonodali. Stimolando i
macrofagi con gli antigeni non si ha mitosi (non si ha radioattività della timidina triziata). Anche
le cellule T, da sole, non esprimono attività mitotica (non proliferation: 1200 corpi/minuto), ma
quando si mischiano cellule T e macrofagi si ha proliferazione (180.000 corpi/minuto). La stessa
tecnica, detta di BLASTILIZZAZIONE, viene utilizzata nella diagnostica dell’AIDS: in caso di
malattia, la cellula CD4 non presenta attività proliferativail sistema immunitario è deficitario).
Eseguendo il test su due cavie diverse, ci si rende conto che, affinché si verifichi una risposta,
ossia venga espressa un’attività proliferativa, è necessario che macrofagi e cellule T appartengano
allo stesso individuo, ossia abbiano lo stesso aplotipo MHC.
La restrizione immunitaria determinata dal MHC per i linfociti T CD8 venne inizialmente
dimostrata da Zinkernagel e Doherty (Nobel 1996), analizzando l’ATTIVITÀ CITOTOSSICA delle CD8
(pag.204), saggiata attraverso il rilascio di cromo 51 (avente una semivita di circa 21 giorni,
dunque molto meno pericoloso del trizio, che ha un tempo di decadimento di parecchi anni): un
topo viene infettato da un virus qualsiasi. Dopo 7 guiorni il tipo viene sacrificato, si asporta la
milza, viene collocata su una piastra e spremuta allo scopo di prelevare le CTL (linfociti T
citotossici specifici) specifiche per il virus. Poi incubiamo queste CTl con fibroblasti infettati da
virus e li marchiamo con il cromo 51. Le CTL rompono i fibroblasti, rilasciando il Cr51: dalla
quantità di cromo 51 rilasciato si valuta l’attività citotossica delle CTL. Anche in questo caso è
necessario che i fibroblasti e le CTL abbiano lo stesso aplotipo MHC perché si verifichi la risposta.
Cellule Apc
(pag. 205) In realtà, tutte le cellule del corpo, dato che esprimono MHC, sono potenzialmente
tutte cellule Apc, ma per convenzione chiamiamo cellule bersaglio quelle che esprimono MHC di
I classe, le cellule nucleate, che le presentano alle cellule CD8. Le classiche cellule Apc
interagiscono, invece, con i CD4, presentando MHC di II classe. Ecco quali sono:
Macrofagi
Cellule dendritiche
Cellule di Langerhans
Cellule epiteliali timiche
Linfociti B
Cellule endoteliali vascolari.
Mentre nella cellule B la captazione dell’antigene avviene grazie al recettoreglobulinico, nel
macrofago il processo avviene tramite la fagocitosi, internalizzando l’antigene. L’antigene viene
processato dentro le CTL, dopo essere state esposte sottoforma di catene peptidiche e
riconosciute dalle cellule T. Le cellule B e i macrofagi sono le uniche cellule Apc ad essere anche
cellule effettrici.
Dunque, la cellula bersaglio è qualunque cellula dell’organismo che, infettata, espone MHC di I
classe, mentre la cellula CD8 lisa la cellula bersaglio. La processazione dell’antigene avviene
all’interno della cellula Apc e della cellula bersaglio. È indispensabile l’Apc: se blocchiamo il
macrofago con la gluteraldeide, la processazione dell’antigene, e dunque la risposta
immunitaria, non hanno luogo.
Processazione dell’antigene
CICLO CITOSOLICO: per gli antigeni intracellulari, che
seguono un destino simile a quello delle proteine.
Processazione dell’antigene
CICLO ENDOCITICO: per gli antigeni extracellulari.
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A seconda della provenienza dell’antigene, la cellula risponde:
Cellula Bper gli antigene extracellulari
Cellula Tper gli antigeni intracellulari.
CICLO ENDOCITICO:
Una volta che l’antigene viene internalizzato, si dirige nel COMPARTIMENTO MICROSOMIALE, fatto di
endosomi ad acidità crescente: si tratta di una serie di enzimi litici, dove l’antigene viene
degradato a frammenti peptidici di 15-22 amminoacidi, in modo da essere ancorato alla tasca
della cellula MHC di II classe. Ecco la struttura del compartimento endosomico:
1. endosomi precoci
2. endosomi tardivi: pH=5-6
3. endolisosomi: pH=3
4. lisosomi
CICLO citosolico:
Gli antigeni intracellulari seguono lo stesso destino delle proteine: tutto ciò avviene nel
compartimento proteolitico, detto PROTEASOMA (pag.208) La proteina che deve essere degradata è
bollata dall’ubiquitina, che entra nel proteosoma. La degradazione avviene al centro di questa
struttura cilindrica, fatta di 26 unità, definibile come una “palla di enzimi” proteolitici. È un
polipeptide a basso PM. Le subunità 2 e 7 del proteasoma provvedono a degradare gli antigeni
intracellulari. Queste due subunità, dette LMP (polipeptidi a basso PM),si trovano in un locus
vicno al gene che codfica per l’MHC. I frammenti petidici prodotti dal proteasoma sono costituiti
di 8-9 amminoacidi e vengono trasportati al Reticolo Endoplasmatico Rugoso (RER) dal TAP,
eterodimero  codificato dai geni TAP1 e TAP2, anch’essi posti in vicinanza dei geni che
codificano per il MHC e dunque per l’LMP.
Presentazione dell’antigene
Nel RE vengono sintetizzate anche le MHC; a stabilizzare queste proteine intervengono le
chaperonine (pag.210). La prima di queste ad intervenire è la calnessina, la quale stabilizza le
catene a dell’MHC di I classe. Poi la calreticolina stabilizza l’intero complesso di catene  e
mantiene ripiegate le molecole. La tapasina collega il trasportatore TAP all’MHC ed alla catena
, permettendogli di legare il peptide.
Successivamente, le chaperonine abbandonano l’MHC e la tasca viene denaturata se non arreca
almeno un peptide. Poi l’MHC, con il peptide, si presenta alla superficie della cellula Apc.
Nel RER si forma anche l’MHC di II classe. Come mai i peptidi del RER non se ne vanno sulla
tasca dell’MHC di II classe? Perché nel RER sono presenti le cosiddette catene invarianti
(pag.212), che svolgono 2 importanti funzioni:
1) occupano la tasca, in modo che i fetidi non si collochino in tasca MHC di II classe, ma nella
tasca dell’MHC di I classe.
2) Guidano l’MHC di II classe verso il compartimento endosomico dove si sta sviluppando il
peptide. Qui anche la catena invariante viene digerita. Di questa rimane solo un piccolo
frammento, detto CLIP.
Quando nel compartimento endosomico si formano i peptidi, essi devono andare ad occupar la
tasca, che adesso è occupata da CLIP. L’HLA-DM (piccola proteina non polimorfa, somigliante
all’MHC), libera il CLIP dalla tasca dell’MHC di II classe ed il peptide si va ad ancorare lì.
CORDOPATRI, 12/11/2003
Complemento
Il complemento è uno dei componenti dell'immunità innata, umorale, aspecifica. Fondamentale
per la comprensione di tante attività specifiche di difesa, si tratta di una serie di 30 componenti
proteiche. Tali componenti si attivano tra loro e interagiscono.
BREVE STORIA:
Il complemento fu scoperto nel 1894 da Bordet.
Dimostra l'attività litica del siero fresco.
L'attività litica viene distrutta dal riscaldamento a 56° C per 30 minuti.
In una delle sue prove, l'agglutinazione, ossia la lisi batterica, non avvenne: il siero, riscaldato a
56°, contiene degli anticorpi ancora non denaturati, dunque Bordet non continuava a spiegarsi
la mancata avvenuta di agglutinazione. Con l'aggiunta di siero fresco privo di anticorpi, la lisi si
verificò: evidentemente nel siero c'è qualcosa che fa avvenire in modo completo l'incontro tra Ag
(antigene) ed Ab (anticorpo): un componente aggiuntivo, il COMPLEMENTO, permette il completarsi
della reazione Ag-Ab. Si tratta di tante molecole connesse tra loro da un'attivazione reciproca.
FUNZIONI DEL COMPLEMENTO
Il complemento non è solo finalizzato ad unirsi ad Ag ed Ab.
Benefici per l'ospite:
OPSONIZZAZIONE PER FACILITARE LA FAGOCITOSI: le opsonine hanno l'abilità di legarsi
chimicamente a materiale estraneo (microrganismi, soprattutto). Le opsonine rivestono i
batteri, facilitando l'attrazione ed il legame dei fagociti. Sono dei recettori a rendere "più
appetibile" l'antigene per i fagociti: questi ultimi, infatti, riconoscono le opsononine e le
fagocitano; insomma, ciò che riconosco-no dell'antigene sono le opsonine. Alcuni componenti
del complemento sono anche delle opsonine.
ATTRAZIONE ED ATTIVAZIONE FAGOCITI: CHEMIOTASSIattrazione per gradiente chimico. Nel
punto in cui entrano i batteri si ha esigenza di richiamare i fagociti.
LISI DEI BATTERI E CELLULE INFETTATE: il complemento spacca la cellula da distruggere.
REGOLAZIONE RISPOSTA ANTICORPALE
CLEARANCE DI IMMUNO-COMPLESSI: quando questi si formano, devono essere allontanati,
non eliminati. Il complemento si lega agli immuno-complessi, che vengono poi attaccati dai
fagociti. I globuli rossi hanno un recettore per il complemento, così agganciano l'immunocomplesso, portandolo alla milza.
CLEARANCE DI CELLULE APOPTOTICHE, "invitate al suicidio", ormai morte. Devono essere
allontana-te, dopo essere agganciate al complemento.
Svantaggi per l'ospite:
INFIAMMAZIONE, ANAFILASSI. Il danno residuo è anche frutto del complemento, "arma
esplosiva", spacca le cellule estranee, quindi deve essere ben controllato. In concentrazioni
elevate (come nel sito flogistico) si può verificare un danno alle cellule self.
DEFINIZIONI
 C-attivazione: alterazioni di proteine del C in modo da poter agire sul componente
successivo. Il complemento è un fenomeno "a cascata piramidale", ossia, dal 1°
componente attivato, ci sarà un'azione amplificata sui componenti successivi.
 C-fissazione: utilizzazione di C da complesso Ag-Ab.
 Unità emolitica: diluizione di siero che lisa una proporzione (50%) di Ab-legato r.b.c.
(CH50)
 C-inattivazione: denaturazione (da calore) di un componente iniziale del C. se la
denaturazione avviene sul 1° componente, si blocca tutto il sistema del complesso.
 Convertasi/esterasi: alterazione di proteine del C che agiscono come enzimi rpoteolitici
per latri componenti del C.
Un componente attiva il successivo attaccandolo enzimaticamente, e dunque trasformandolo ad
enzima che può attivare il complemento a lui successivo.
PROTEINE DEL SISTEMA DEL COMPLEMENTO
 C1 (qrs), C2, C3, C4, C5, C6, C7, C8, C9. Questo è un percorso di attivazione del
complemento, ma la serie numerata non rispetta la cronologia dell'attivazione.
 Fattori B, D, H e I o properdina (P)
 Mannose Binding Lectin (MBL), MBL associated serine proteases (MASP-1, MASP-2).
Il complemento si attiva con 3 percorsi diversi, in modo indipendente o assieme, a seconda dei
casi.
 C1 inibitore (C1-INH, serpin), C4-binding protein (C4-BP), decay accelerating factor (DAF)
 C1 recettore (CR1), proteina-S (vibronectina).
COMPONENTI ATTIVANTI IL COMPLEMENTO
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Componenti attivati sono sopralineati es.: c1 qrs
Quando enzimaticamente olivati, la componente più pesante si legherà al complesso di
attivazione o alla membrana ed il peptide più leggero viene rilasciato nel microambiente.
L'enzima taglia il componente successivo, ottenendo 2 parti della molecola: la componente più
pesante di queste 2 continua nell'attività della cascata complementare, mentre quello più
leggero va nel microambiente.
La lettera "b" è usualmente addizionata alla componente pesante legante la membrana, e "a" al
peptide più leggero (es. C3b/C3a, C4b/C4a, C5b/C5a, eccetto C2C2a: pesante, C2b: leggera).
VIE D'ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO
VIA CLASSICA
VIA LECTINICA
ALTERNATIVA
ANTICORPO DIPENDENTE
Questa via, per partire, necessita
ANTICORPO INDIPENDENTE
VIA
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