I FORMULE PSEUDO ANTROPOLOGICHE Può succedere che

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FORMULE PSEUDO ANTROPOLOGICHE
Può succedere che alcune classiche definizioni dell’antropologia
conducano a confusione a causa della errata interpretazione del simbolismo descritto.
Ci sono alcuni concetti antropologici fondamentali che gli studenti di questa
disciplina apprendono fin dai primi momenti dei loro studi, e dei quali si vantano
immediatamente nelle loro discussioni con gli amici, citandoli di continuo per far capire
che non solo gli studenti di medicina, di scienze sociali, o di chimica possono utilizzare
termini difficili.
I termini “tribale”, “totemico”, “sincretico”, si sprecano in queste discussioni.
Due di quelli più usati sono indubbiamente “logica simpatico – imitativa” e “logica
apotropaica”1, detti anche “logica di magia per contatto”.
Al di là della convenienza sull’uso eccessivo di certi termini, che attiene più al saper
conversare in italiano corretto che al buon uso dell’antropologia (ma questo vale
ovviamente anche per qualsiasi altra disciplina) l’utilizzo di formule preconfezionate
corre il rischio di far dimenticare il corretto percorso mentale per cui tali formule sono
state inventate.
Questo può condurre a falsare completamente il concetto originario sotteso a questa
pratica.
Per illustrare meglio il concetto di cui si vuole parlare in questo lavoro prenderemo
in considerazione proprio due termini fra quelli che abbiamo citato: i concetti di “logica
simpatico – imitativa” e “logica apotropaica”.
1
L’utilizzo, spesso spropositato, che si fa di questi termini è una cosa che risulta evidente appena si forma un gruppo di
studio interdisciplinare, ad esempio tra studenti di antropologia e di storia. E’ un atteggiamento a volte divertente ed a
volte un po’ comico, che testimonia comunque dell’amore che ognuno porta alla propria professione.
I
L’uso di utilizzare un simbolo, una definizione o un segno grafico al posto di un
ragionamento complesso è nato con la matematica.
E’ evidente che è più facile (e soprattutto fa perdere meno tempo) dire (e scrivere) π
piuttosto che ciò che lo stesso simbolo rappresenta.
Se volessimo spiegare in termini verbali il significato di π dovremmo dire che è “il
rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio”; se volessimo esprimerla in
termini matematici più consueti dovremmo dire che π rappresenta:
C/2R, dove C è la circonferenza di un cerchio ed R il suo raggio.
L’uno e l’altro metodo sono lunghi e fanno perdere tempo.
Altro esempio: quando i matematici del medioevo rappresentavano le prime radici
quadrate usavano scrivere l’intera notazione:
Radix di “n”
Ad un certo momento cominciarono a scrivere solo “R” di “n”, quindi passarono
alla lettera minuscola “r”, infine stilizzarono la lettera “r” nel termine corsivo (r)
allungandone poi la parte terminale per contenere il numero di cui si ricerca la radice,
quadrata arrivando così al simbolo che tutto oggi conoscono.
Un classico della magia simpatico –
imitativa: il fantoccio con gli spilloni, reso
famoso dalla religione voodoo.
Tutti questi sono metodi che permettono
di scrivere in maniera più spedita, evitando
lungaggini verbali e di scrittura. Naturalmente
si da per scontato che chi legge le formule
matematiche sia perfettamente al corrente del
significato del simbolo, condizione senza la
quale il sistema, evidentemente, non regge2.
Il metodo fu poi adottato da tutte quelle
discipline che avevano bisogno di esprimere
lunghi concetti già acquisiti in maniere breve,
tra cui anche la logica simbolica, la logica
matematica, l’epistemologia e la stessa
filosofia.
L’antropologia usa raramente i simboli; qualche traccia si può trovare soprattutto in
testi di autori francesi (specialmente dopo che Levi-Strauss consigliò caldamente ai suoi
colleghi l’uso della matematica statistica e dell’insiemistica) ma generalmente questa
disciplina preferisce usare la “parafrasi simbolica”, ossia indicare un concetto acquisito
con un termine, o gruppo di termini, che ne sottintendono il concetto.
2
Sarebbe un interessante esercizio, per gli studenti di antropologia, analizzare le origini dei meccanismi che stanno alla
base dell’evoluzione grafica dei quattro segni relativi alle operazioni base della matematica.
II
Il cornetto rosso, altro elemento
tipico di questi riti. Il colore
“suggerisce” la forza vitale del
sangue, la punta invece è l’arma che
si oppone all’aspetto negativo
della sfortuna o alla malignità
dei nemici.
E’ il caso, appunto, delle locuzioni “magia simpatico – imitativa” e “magia
apotropaica”3 per indicare ciò che, con frasi molto più lunghe, dovremmo descrivere
rispettivamente come:
- “atti che, applicando un’azione, intendono suggerire ad una entità di tipo
spirituale, un comportamento similare all’azione applicata”.
- “atti che, applicando un’azione, intendono suggerire ad una entità di tipo
spirituale, un comportamento contrario all’azione applicata”4.
L’esempio tipico è quello delle “fatture” attuate da certi stregoni delle civiltà
contadine, o dalle mammane: estratti i cuori da due polli
- legandoli insieme, l’intervento magico suggerisce all’entità spirituale che due
persone sono costrette a vivere in coppia (rito di innamoramento che sfrutta la “magia
simpatico imitativa”).
- legandoli insieme, ma separati da un elemento solido (ad esempio una pietra)
l’intervento magico suggerisce all’entità spirituale che due persone sono costrette a non
potersi mai incontrare (rito di separazione che sfrutta la “magia apotropaica”).
Un altro esempio di elemento utilizzato nei riti
suggeritori: su di un frutto che apparteneva alla
persona alla quale veniva applicata la fattura,
gli spilli suggerivano le ferite, il cordone
applicato ad uno di essi (rosso nella foto
originale)stava ad indicare il sangue che doveva
sgorgare dalle ferite stesse.
3 dal greco αποτρέπειν, apotrépein = allontanare
4
Entrambe le definizioni non sono evidentemente di tipo canonico, ma solo definizioni di chi scrive per illustrare
concetti che potrebbero essere esplicitati in tanti altri modi diversi.
III
Il primo rito si attua “perché un fatto avvenga”, il secondo perché “lo stesso fatto
non avvenga, o, se utilizziamo un’altra allocuzione, una cosa “deve essere”, l’altra “non
deve essere”.
Se cercassimo di esprimere in maniera “grafica” gli stessi concetti (altro modo di
affrontare il simbolismo) potremmo indicarli nel modo illustrato nella figura che segue.
Questa interpretazione dei due riti è quella generalmente accettata, e continuamente
utilizzata.
Eppure, a ben guardare, il meccanismo che si utilizza nei due casi è sempre lo stesso,
ossia esclusivamente quello della “magia simpatico – imitativa”.
Infatti se la logica del primo rito è chiara (la magia deve suggerire che un evento venga
“copiato”) nel secondo caso non si fa altro che suggerire, ancora una volta, che l’evento
venga “copiato” (ossia si utilizza ancora la magia simpatico – imitativa) solo che ora
l’evento da copiare contiene già la negazione dell’evento direttamente nell’oggetto sul
quale si attua il rito.
In altre parole se nel primo caso si suggerisce di copiare la vicinanza delle due persone
(rappresentati dalla vicinanza dei due cuori di pollo), nel secondo caso di copiare la loro
impossibilità di restare uniti.
Ma “copiare” significa utilizzare la logica simpatico – imitativa (come è ben suggerito
dal termine), e poiché in entrambi i casi viene suggerito di “copiare”, si sta utilizzando
sempre la stessa logica.
IV
Il metodo è molto simile a quando, nel discorrere comune, si utilizza una doppia
negazione; se dire “SI” significa asserire una cosa, dire “NO” alla negazione di quella
stessa cosa, significa, ancora una volta, dire “SI”.
Utilizzando ancora una volta la rappresentazione grafica del fenomeno, possiamo
renderla con la figura che segue.
Un esempio corretto di logica apotropaica è invece quello del rumore che allontana il
pericolo. Sono numerosi i casi di rituali per l’allontanamento della malignità ottenuto con
il suono di campanelli, tamburi, sonagli, scoppio di mortaretti, percussioni di bastoni od
ossa animali.
In questi casi, infatti, non c’è un fenomeno di negazione che agisce sull’oggetto
utilizzato, ma la stessa azione diretta suggerisce la negazione e l’allontanamento.
Occorre quindi porre una particolare attenzione sull’uso di certe logiche, per non
ampliare in maniera eccessiva (ed inutile) l’uso di tecniche simboliche di parafrasi.
Per ricordare come il fenomeno della “logica magica suggeritoria” sia universale e
transculturale, vale la pena di notare come anche nell’Islam si riscontrano esempi di logica
apotropaica: le sure 113 e 114 del Corano (dette rispettivamente “sura dell’alba” e “sura
degli uomini) vengono utilizzate con questo scopo.
Ancora: l’uso dei chicchi di riso come elementi di buona fortuna, o i grilli vivi tenuti in
gabbie di vimini nella cultura cinese; il kimiyah della tradizione ebraica (testi della Torah
scritti su pergamene e portati al collo dentro sacchettini in pelle); sacchetti contenenti
V
oggetti magici con funzione suggeritoria sono presenti anche nel voodoo haitiano (in quel
paese chiamati gris-gris); a volte nei sacchetti sono contenuti disegni o simboli anziché
frasi; simboli runici assumevano questo ruolo nelle culture alto – tedesche.
Forse inutile ricordare il quadrifoglio, il ferro di cavallo, le campanelle e tanti altri
elementi che, originari di culture antiche, sono rimaste nella cultura popolare odierna.
Tra gli elementi che dal passato sono rimasti nelle nostre tradizioni popolari
romagnole (almeno fino a qualche tempo fa) ricorderemo la “bulla” indossata dai bambini
degli antichi latini.
Era un amuleto metallico, che spesso conteneva un elemento sul quale era stata
eseguita una operazione di “fatturazione” atta a conferire una valenza di protezione;
questa tradizione si è mantenuta nel tempo, sostituendo all’elemento magico un foglietto
di carta su cui era vergata un’orazione, il tutto contenuto in un sacchettino da portare al
colle, come abbiamo visto in innumerevoli altre culture, e fatte indossare dai bambini
molto piccoli.
Dal nome che il catechismo cristiano dava a queste “brevi” preghiere (“breve”) finì per
essere chiamato allo stesso modo l’amuleto nella sua completezza.
Tali “brevi” venivano sepolti assieme al bambino nel caso di morte prematura; alcuni
di questi oggetti sono stati rintracciati in sepolture infantili e conservati in musei
etnografici.
VI
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