05 febbraio 2016 delle ore 19:03
Lunga vita a Dada!
Ludico, paradossale, rivoluzionario. Il movimento nato a Zurigo compie un secolo. E la città si
prepara a celebrarne le provocazioni. Che coinvolgeranno anche Manifesta
Dada non significa nulla. Così, un secolo fa, in
un locale malfamato di Zurigo frequentato da
artisti, scrittori, attori e altri spiantati, iniziò
l’incredibile avventura dell’Avanguardia più
radicale che sia mai esistita. Arrivando a
contraddire anche la propria esistenza, Dada
negava tutto ciò che era possibile smentire, il
presente e il futuro, il senso stesso dell’esistere
storico, l’arte e la società intera. «Non voglio
nemmeno sapere se sono esistiti uomini prima
di me», scriveva Samuel Rosenstock, in arte
Tristan Tzara, ebreo rumeno in fuga
dall’antisemitismo della sua patria e tra i
fondatori del gruppo. Il paradosso delle origini
è affrontato anche da Hans Arp che, al quesito
se sia nato prima il Dada o il dadaismo,
rispondeva senza tema di smentita: «eravamo
tutti dadaisti prima dell’esistenza del Dadaismo
». Eppure, oltre al rompicapo circolare, una
logica doveva esserci, perché Tzara stava
scientemente citando René Descartes, il padre
del razionalismo. E questa logica era fondata
sull’ironia totale, su un raffinato gusto per la
contraddizione palese e l’iperbole, figure
retoriche visive che non hanno perso smalto e,
pur storicizzate, continuano a far discutere
schiere di critici e artisti, coinvolgendo anche
il pubblico di non addetti ai lavori, in un raro
momento di contatto tra i linguaggi.
Nella capitale elvetica, il centenario Dada sarà
celebrato con un lungo calendario che scandirà
un 2016 di appuntamenti eterogenei,
disorganici, dalla serata danzante all’opera
lirica, dalla mostra che mette a confronto l’arte
dadaista e quella africana, alla retrospettiva su
Francis Picabia. Gli eventi interesseranno
l’intera città, arrivando a coinvolgere anche
Manifesta 11 ma, ovviamente, l’epicentro sarà
il Cabaret Voltaire, al numero 1 di Spiegelgasse.
Il luogo dove tutto ebbe inizio, il 5 febbraio
1916. Sarebbe piaciuto molto ai suoi adepti
essere nati dal nulla cosmico, in un eterno mai,
invece, il Dada muoveva i suoi primi passi in
tempi storicamente densi, quando divampava il
terribile fuoco della Grande Guerra e nella
Svizzera neutrale avevano trovato rifugio molti
intellettuali pacifisti. Nei pressi di Lugano, già
dal 1914, avevano iniziato a riunirsi, in una
strana accozzaglia di teorie e con modi molto
simili alle future comuni hippy, nutriti gruppi
di antroposofisti, guidati da Rudolf Steiner, e di
anarchici, tra cui Bakunin. Vivevano in
primitive colonie agricole sul Monte Verità,
giravano seminudi, danzavano in cerchio
davanti al fuoco, rigettavano ogni tipo di
autorità costituita e attiravano la curiosità
dell’intellighenzia dell’epoca, da Carl Gustav
Jung a Hermann Hesse. Lì, ora, c’è un albergo
con sala da tè giapponese, giardino Zen e
parcheggio.
Insomma, in Svizzera, in quegli anni, non solo
non c’era da annoiarsi, ma vi si poteva trovare
una relativa tolleranza. Doveva pensarla così
Hugo Ball, scrittore tedesco amico di
Kandinskij, riformato al servizio militare,
ammiratore di Kropotkin e dei mistici cristiani,
quando decise di stabilirsi a Zurigo, dopo aver
passato non più di un paio di notti al fresco per
essere stato scoperto senza documenti dalla
polizia svizzera. Portamento elegante, ben
vestito, padrone di una cultura profonda ed
eccentrica, prese in affitto una stamberga e,
insieme alla compagna, il 5 febbraio 1916, aprì
il Cabaret Voltaire. «Un pandemonio totale. La
gente intorno a noi urla, ride e gesticola. Le
nostre risposte sono sospiri d'amore, raffiche di
singhiozzi, poemi, versi», questa è la
descrizione di una tipica serata, nelle parole di
Jean Arp, assiduo frequentatore del locale,
dove, poco dopo, arrivò anche Tzara. Strano a
dirsi ma, in questa confusione, Ball riusciva
anche a organizzare conferenze, incontri,
concerti di musica sperimentale e spettacoli di
teatro d’avanguardia. Fuori, le trincee
trasformavano gli uomini in soldati. Il 21
febbraio 1916, a Verdun, in Francia, a poco più
di 400 chilometri da Zurigo, ebbe inizio una
delle più violente battaglie moderne, entrata nei
modi di dire francesi per indicare eroismo e
sofferenza. Tra le pareti del Cabaret, gli echi
della guerra arrivavano e incutevano un terrore
che, attraverso il confronto di idee, doveva
essere sublimato, convertito, non tanto in arte
e poesia, quanto in un modo di vivere. Impulsi
e materiali venivano cannibalizzati proattivamente,
parole, forme e colori erano strumenti da
combinare, per gestire un cambiamento di cui,
al tempo stesso, si rigettava la pianificazione,
sostituendo la follia del tempo con un’altra
follia, in grado di abbattere la storia.
Celebre fu la disputa con il Futurismo, bollato
da Richard Huelsenbeck, nel Manifesto
Dadaista, come una «tendenza artistica del
passato». Così, al grido disperato e sorridente
di «Abbasso il futuro!», in un misto di
nichilismo e divertimento, partì la storia del
Dada che si diffuse subito a Berlino e Parigi,
fino a New York. Scrittori, registi, artisti furono
coinvolti, George Grosz, Marcel Duchamp,
Kurt Schwitters, Man Ray, Francis Picabia,
André Breton, John Heartfield, Raoul
Hausmann, ne seguirono le orme e rilanciarono
il gioco con soluzioni diverse e applicazioni
anche molto distanti, ognuno contribuendo a far
perdere l’orientamento. In seguito, tutti se ne
allontanarono, il Dada sembrò estinguersi ma
niente fu più come prima. Il Dadaismo,
completamente slegato da tutto e anche da se
stesso, senza proporre teorie tranne l’estetica
della negazione assoluta, agì in modo ancor più
radicale delle altre Avanguardie coeve,
rimanendo vitale su un livello di latenza,
mimetizzandosi nella cultura percettiva non
solo europea. A questa permanenza farà
riferimento, presumibilmente, anche Manifesta
11. Non si conoscono ancora i particolari
sull’edizione svizzera della biennale itinerante
che, però, già presenta molti elementi ascrivibili
a una poetica dadaista. Dalla scelta di Christian
Jankowski come curatore, una singolare figura
di artista, instancabile decostruttore di ruoli e
funzioni, al titolo stesso, una domanda con
risposta multipla, "What People Do For
Money”, cosa fanno le persone per guadagnare
soldi, fino al Padiglione delle Riflessioni, una
grande piattaforma galleggiante sul lago a
sudest della città che, progettata da un team di
trenta studenti del Politecnico di Zurigo, sarà
un nuovo ed effimero punto di riferimento nel
paesaggio urbano.
Punto forte di tutta la rassegna saranno le
esposizioni. Alcune saranno dedicate alle figure
eponime del Dada, come "Dada anders”,
visitabile alla Haus Konstruktiv dal 25 febbraio
e incentrata su Sophie Taeuber-Arp, Hannah
Höch ed Elsa von Freytag-Loringhoven, o come
la grande retrospettiva su Francis Picabia, alla
Kunsthaus Zürich dal 3 giugno e in
collaborazione con il Museum of Modern Art
di New York. Altre affronteranno argomenti
ancora poco analizzati, come "Dada Afrika”, al
Museum Rietberg dal 18 marzo, che mette a
confronto l’arte dadaista con le culture
extraeuropee. Luogo cardine della kermesse
sarà il Cabaret Voltaire, riaperto nel 2004, con
"165 Feiertage – Dada 100”, 165 giorni di festa
che saranno dedicati ad altrettanti dadaisti e alla
storia, alla filosofia e all’eredità del movimento.
Il Dada sconfinava spesso e volentieri dalla
cornice, infatti, come si legge nel programma, «
momento clou» di queste giornate sarà la
Benedizione dada, una speciale messa celebrata
da Lady Gaga che, c’è da scommetterci, per
l’occasione sfoggerà una mise più che
memorabile. L’attitudine al travestimento era
chiara fin dagli esordi, quando Ball recitava le
sue poesie fonetiche in costume, e sarà
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rievocata nella serata danzante alla Kunsthaus,
il 13 febbraio, con un ballo in maschera, in un
mix di performance, a cura del gruppo Les
Reines Prochaines, e dj set, con tanto di
premiazione dell’abito più bizzarro. È chiaro
che, se volessimo spiegare cos’è il Dada, non
potremmo fare a meno di arrossire.
Mario Francesco Simeone
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