Viaggio d’istruzione a BOLOGNA RAVENNA FERRARA 15 e 16 aprile ‘13 Ciceroni: Bologna Ravenna Ferrara classi 2A 2B 2C guida turistica classi 2A 2B 2C Docenti accompagnatori: Bellorini Chiara Bossi Emilia Ciminelli Francesco Di Giuseppe Davide PROGRAMMA 15 APRILE Ci ritroviamo alle h 6.45 a Cunardo, davanti alla pasticceria Belli. Partiamo in pullman per Bologna facendo una sosta lungo il percorso. Arriviamo verso le 10.30 a Bologna e abbiamo tempo a disposizione per la visita libera dell’antichissima città universitaria nota per le sue torri ed i suoi lunghi portici. Possiede un ben conservato centro storico, in virtù di un'attenta politica di restauro e conservazione avviata dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso. Visitiamo molti luoghi interessanti come Piazza Maggiore, le Torri Pendenti, Piazza di Porta Ravegnana, ecc. In serata ci trasferiamo a Cervia e ci sistemiamo in albergo, dove ceniamo e andiamo a dormire. 16 APRILE Dopo la prima colazione in albergo partiamo in pullman per Ravenna. Lì c'è la guida che ci aspetta e ci mostra, per tutta la mattinata, questa bella città. Ci racconta di come conobbe un periodo di eccezionale splendore nel V-VI secolo, quando fu la capitale dell'Impero d'Occidente e un ponte di passaggio tra il mondo bizantino e quello romano. Galla Placidia, Odoacre, Teodorico la arricchirono di superbi edifici. Ravenna è una città d'arte e di cultura, è la città del mosaico; l'arte del mosaico non è nata a Ravenna, ma qui ha trovato la sua più ampia espressione: qui è nata l'iconologia cristiana, un misto di simbolismo e realismo. Proseguiamo la nostra visita e verso le 12.30 pranziamo, per poi proseguire per Ferrara. La città di Ferrara assume con l'età estense contorni di grande prestigio e ancora oggi è un mirabile esempio di armonia e di equilibrio conservato attraverso i secoli. Ovunque si coglie lo spirito del Rinascimento, nei colori splendenti dei soffitti cinquecenteschi del Castello Estense, tra gli affreschi di Palazzo Schifanoia, tra le strade della città costellate da decine di edifici e chiese monumentali, tra chiostri e giardini. Dopo aver ammirato le bellezze di questa città, è giunta l'ora di tornare purtroppo a casa! Riprendiamo il pullman e prendiamo l'autostrada per Milano. Verso le 21 ritorniamo a Cunardo... la nostra gita è terminata! 2A BOLOGNA PIAZZA DI PORTA RAVEGNANA Passa quasi inosservata poiché non sembra una piazza, ma piazza di Porta Ravegnana è il luogo simbolo della città in quanto è qui che si ergono le due Torri, dette degli Asinelli e Garisenda. Oggi la piazza, a seguito delle rivoluzioni urbanistiche e per motivi legati alla viabilità cittadina, assume quasi il ruolo di snodo viario in quanto collega diverse vie: via Rizzoli, via Castiglione, via Zamboni, via San Vitale e Strada Maggiore. Le due torri testimoniano il passato tumultuoso che ha vissuto la città in epoca medievale quando le famiglie, in perenne lotta tra loro, costruivano torri fortificate a ridosso delle proprie abitazioni per far capire ai nemici la propria forza e importanza. Alle spalle delle due torri si trova la chiesa di San Bartolomeo con il suo portico che lambisce il lato orientale della piazza. Proprio sotto le due torri, invece, trova spazio la statua di San Petronio, patrono della città. LE TORRI Simbolo comunemente riconosciuto di Bologna, queste due torri sono collocate strategicamente nel punto d’ingresso in città dell'antica via Emilia. L'attuale isolamento in cui ci appaiono oggi al centro dello slargo di piazza di Porta Ravegnana non corrisponde ovviamente all'originaria sistemazione con costruzioni lignee intorno e passaggi sospesi di collegamento. Realizzate in muratura come poche altre costruzioni, svolgevano importanti funzioni militari (di segnalazione e di difesa) oltre a rappresentare con la loro imponenza il prestigio sociale della famiglia. Alla fine del XII secolo se ne contavano in città un centinaio di cui solo una ventina, sopravvissute ad incendi, guerre e fulmini, sono oggi ancora visibili. Recente è la ricollocazione dinanzi alle torri di una statua di San Petronio di Gabriele Brunelli del 1670, che era stata rimossa nel 1871 "per motivi di traffico". TORRE DEGLI ASINELLI La Torre viene costruita tra il 1109 -19 dalla famiglia omonima e passa al Comune già nel secolo successivo. Alta 97,20 m. presenta uno strapiombo di 2,23 m. e una scalinata interna di 498 gradini terminata nel 1684. Il basamento è circondato da una “rocchetta” realizzata nel 1488 per ospitare i soldati di guardia. Oggi sotto il portico sono state ricollocate alcune botteghe di artigianato a ricordo della funzione commerciale svolta dal medievale 'mercato di mezzo'. La Torre degli Asinelli è attualmente in fase di restauro. I lavori, voluti dal Comune di Bologna e finanziati dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, dureranno un anno e prevedono anche un intervento conservativo del parafulmine ottocentesco. TORRE GARISENDA La vicina Torre Garisenda, coeva alla precedente, si differenzia visivamente per la minore altezza di soli 47 m. e il forte strapiombo (3,22 m.) dovuto ad un precoce e maggiore cedimento del terreno e delle fondamenta. Dante che la vide ancora integra la paragona ad Anteo chinato nel XXXI Canto dell'Inferno. A metà del XIV secolo si rese necessario l'abbassamento. Il rivestimento in bugne di selenite alla base risale invece alla fine del XIX secolo. STATUA DI S. PETRONIO In piazza di Porta Ravegnana, sotto le due imponenti torri (simbolo della città), dal 4 ottobre 2001 è stato ricollocato questo monumento dedicato a Petronio, vescovo che il comune di Bologna a metà del XIII secolo decise di elevare a principale patrono della città. La statua, realizzata nel 1683 dallo scultore Gabriele Brunelli, era stata rimossa da questa posizione originaria nel 1871 e a lungo custodita in una cappella della basilica di piazza Maggiore. Petronio è attestato in forma documentata come ottavo vescovo di Bologna nell'Elenco Renano, un'antica lista dei vescovi bolognesi. In base a considerazioni storiche, il suo episcopato va collocato tra il 431 e il 449. Nel 1388 si decise di innalzare in Piazza Maggiore la grande basilica a lui intitolata. Qui fu traslato il capo del Santo per volere di papa Benedetto XIV (il concittadino Prospero Lambertini), che accettò la richiesta dei canonici di San Petronio. Solo nel 2000 anche il resto del corpo del patrono è stato traslato in San Petronio. La ricostruzione della città nella sua consistenza fisica oltre che spirituale è ben simboleggiata dalle croci che Petronio avrebbe posto ai margini della nuova città murata in funzione apotropaica: le quattro croci a lui attribuite sono tuttora conservate, nei rifacimenti successivi, nella basilica di San Petronio. Nell'iconografia tradizionale Petronio viene raffigurato in vesti episcopali ed in età matura, seguendo l'immagine del vescovo con barba bianca e di aspetto saggio e paterno: viene contraddistinto dalla presenza di un modellino della città di Bologna in mano, ai suoi piedi o sorretto da angeli. BASILICA DI SAN PETRONIO la Basilica di San Petronio fu iniziata nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo e mai terminata. I lavori della basilica iniziarono elevando i primi due pilastri destinati a sostenere la cupola, ma poi si arrestarono: il progetto troppo grandioso complicava straordinariamente la struttura della chiesa e prospettava un’esecuzione lunga e di enorme dispendio. A metà del Cinquecento appariva ormai chiaro che la basilica non si sarebbe mai compiuta, cosicché quando nel 1562 il Papa fece erigere il Palazzo dell’Archiginnasio come sede stabile e unica dell’Università, si scelse proprio un’area adiacente alla basilica, occupando parte dello spazio su cui avrebbe dovuto estendersi il braccio orientale per il transetto della basilica. Tra il 1653 e il 1663 si decise di terminare l’edificazione della basilica rinunciando ad ogni ulteriore ampliamento della chiesa. Si costruì una grande abside semicircolare, fu collocato l’altare maggiore, le navate minori furono chiuse con muri rettilinei. In tal modo l’impressione d’incompiutezza della basilica al suo interno fu sostanzialmente annullata e l’edificio risultò lungo 132 metri, largo 60, alto 44,27. Tra gli avvenimenti storici che hanno segnato la vita della basilica, emergono l'incoronazione imperiale di Carlo V (1530) e la celebrazione della IX e X sessione del Concilio di Trento (1547). L’esterno Già nella struttura esterna la basilica appare come simbolo della Chiesa pellegrina nella storia, tempio di pietre vive in cui l’uomo può fare esperienza della piena comunione con Dio. Nella parte inferiore del mirabile basamento della facciata e sulle possenti fiancate sono, infatti, raffigurati coloro che hanno preannunciato la Chiesa (sibille e profeti), coloro che l’hanno fondata (apostoli ed evangelisti), coloro che nella storia ne rappresentano nel modo più trasparente la realtà (santi). Il portale centrale, capolavoro quattrocentesco di Jacopo della Quercia (1374– 1438), è sovrastato nella lunetta dalla statua della Madonna col Bambino e presenta, sull’architrave sottostante, episodi della vita di Gesù. La venuta del Figlio di Dio, preannunciata dai trentadue profeti scolpiti negli archivolti e stipiti, è il cuore della storia della salvezza dell’umanità rappresentata a sua volta sui pilastri del portale. Proprio l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo apre all’uomo la possibilità dell’esperienza della comunione con Dio, che lo attende oltre la soglia. Il messaggio del portale centrale è completato da quello delle due porte minori, che presentano nelle lunette il Cristo deposto dalla croce e sostenuto da Giuseppe d’Arimatea, opera di Amico Aspertini (1474-1552), e il Cristo risorto e un soldato della guardia, di Alfonso Lombardi (1497-1537). A oriente, verso il lato che guarda verso l’Archiginnasio, notiamo, nella seconda finestra, una lapide con la scritta Pone lapidem Felsinae thesaurus (dietro questa pietra sta il tesoro di Bologna) che segnala la nicchia dove è custodito all’interno il reliquiario col capo di San Petronio. L’interno La struttura della basilica è a tre navate, di cui la centrale a pianta quadrata e le laterali a pianta rettangolare, sulle quali si aprono ai lati, in ciascuna campata, due cappelle pure a pianta quadrata. Appena entrati, lo sguardo si fissa sull’altare maggiore, sovrastato da un monumentale crocifisso del XV secolo, di autore ignoto, all’interno di una grande tribuna. Nel fondo dell’abside il gigantesco affresco che raffigura la Vergine con il Bambino e San Petronio eseguito, nel 1672, su cartoni di Carlo Cignani, da Marcantonio Franceschini e Luigi Quaini (di Giacomo Alboresi è l’ornato che lo incornicia). Sul pavimento della basilica, nella navata sinistra, l’astronomo pontificio Giandomenico Cassini nel 1655 ampliò, adattandola alle nuove dimensioni dell’edificio ormai definitivamente completato, la linea meridiana già realizzata un secolo prima dal domenicano Danti. Si tratta della più lunga meridiana del mondo (in luogo chiuso) e corrisponde esattamente alla seicentomillesima parte del meridiano terrestre. Ogni giorno, entrando dal foro posto a 27 metri di altezza nella volta, un raggio di sole interseca la linea, realizzata sul pavimento della navata sinistra, segnando così il trascorrere lento e inesorabile dei giorni e delle stagioni. Effettuando molte osservazioni, Cassini determinò l'istante in cui il centro del Sole sfiorava la facciata esterna della Basilica; calcolò quindi il valore angolare che l'Astro faceva rispetto all'istante del Mezzogiorno Vero locale e lo riportò su una precisa pianta della chiesa. Risultò che, sebbene con un margine molto limitato, era possibile tracciare una Linea Meridiana che sfiorando a destra e a sinistra due colonne lungo la navata, arrivasse completa sino alla sua massima estensione, cioè nel punto del Solstizio d'Inverno. Da una parte la verticalità della struttura gotica, che eleva lo spirito verso l’alto facendo sentire il fascino dell’eterno, e dall’altra il senso della precarietà della vita richiamato dalla meridiana. 2B BOLOGNA PIAZZA MAGGIORE Piazza Maggiore è la piazza principale di Bologna, misura 115 metri in lunghezza e 60 metri in larghezza, ed è circondata dai più importanti edifici della città medievale. Il più antico è il Palazzo del Podestà, che chiude la piazza a nord; risale al 1200 ed è sormontato dalla Torre dell'Arengo, che sonando la sua campana chiamava il popolo a raccolta. A questo fu aggiunto in breve il Palazzo Re Enzo, sotto al quale si apre la volta a crociera di un quadrivio pedonale. Descrizione La piazza è chiusa ad ovest dal Palazzo Comunale (o d'Accursio), un monumentale complesso architettonico di origine trecentesca, attualmente sede del Comune di Bologna, delle Collezioni Comunali d'Arte e del Museo Morandi, che costeggia anche l'attigua Piazza del Nettuno, al centro della quale sorge la fontana omonima (detta anche del Gigante) realizzata nel 1565 dal Giambologna. Una lapide in marmo sul Palazzo Comunale riporta le antiche unità di misura utilizzate a Bologna (la più importante delle quali era il piede bolognese, di circa 38 centimetri). Queste misure erano esposte pubblicamente di modo che tutti potessero verificarle, peraltro la piazza fu sede del più grande mercato cittadino fino al 1877. Sopra a questa lapide si trovano due aquilotti in terracotta. Secondo una tradizione non comprovata dai documenti, uno di questi aquilotti (non è chiaro quale) sarebbe stato realizzato dal giovane Michelangelo durante il suo soggiorno bolognese, ma quello che si vede oggi sarebbe una copia, dato che gli originali sono andati distrutti in una sommossa popolare del 1511. A sud, di fronte al Palazzo del Podestà, costruito nel 1201 e ampiamente ristrutturato fra il 1472 ed il 1484 dai signori Bentivoglio, si eleva la facciata incompiuta della Basilica di San Petronio, un esempio di gotico italiano, iniziata sul finire del Trecento e mai terminata. Tra la Basilica e il palazzo dell’Accursio si affaccia il palazzo dei Notai, costruito tra il 1384 ed il 1422, su progetto di Antonio di Vincenzo. Chiude infine a est il Palazzo dei Banchi, dove operavano cambiavalute e banchieri, in realtà una semplice facciata eretta tra il 1565 e il 1568 su disegno di Giacomo Barozzi detto il Vignola, che sostituì elegantemente le povere costruzioni preesistenti che si affacciavano sulla piazza, rispettando gli sbocchi delle vecchie strade ivi confluenti. La prosecuzione del portico del Palazzo dei Banchi è il portico dell'Archiginnasio, sede medievale dell'Università di Bologna, ora una delle più fornite biblioteche italiane ed europee; questo portico è comunemente chiamato "il Pavaglione" (da una voce dialettale che significa "padiglione") e per secoli fu la sede dei commerci dei bachi da seta. La parte centrale della piazza è caratterizzata da una piattaforma pedonale, soprannominata "il crescentone", costruita nel 1934. Sul lato orientale, si notano alcuni danni visibili al crescentone. Si tratta dei danni provocati da un carrarmato americano il 21 aprile 1945, giorno della liberazione della città, che non sono mai stati restaurati perché considerati una vestigia storica. Diversamente da come alcuni credono, la canzone Piazza Grande (1971) dedicata a un senzatetto, cantata dal bolognese Lucio Dalla, non si riferisce né a Piazza Maggiore e nemmeno all'omonima Piazza Grande di Modena, bensì a Piazza Cavour, sempre a Bologna dove il cantautore ha anche abitato da giovane. Un attento ascolto della canzone parla infatti di panchine, che in Piazza Maggiore, non ci sono. Nel mese di luglio in Piazza Maggiore ha luogo una rassegna cinematografica promossa dalla Cineteca di Bologna e dal Comune, intitolata “Sotto le stelle del Cinema”. La piazza medioevale diventa uno dei più grandi cinema all'aperto d'Italia, con oltre 3000 posti a sedere. Storia L'area che adesso conosciamo come Piazza Maggiore si sviluppò nel XIII secolo, quando i bolognesi sentirono l'esigenza di avere spazio da adibire a mercato. Molti edifici popolari che sorgevano nella zona furono acquistati dal Comune e poi abbattuti. Solo nel Quattrocento la piazza assunse la forma attuale mentre nel XVI secolo l'intera area fu risistemata per volontà papale tramite il Cardinale Legato Carlo Borromeo: vennero costruite le adiacenti Piazza Nettuno con la splendida fontana del Giambologna ed il Palazzo dell'Archiginnasio. Nel 1860 Piazza Maggiore fu intitolata a Vittorio Emanuele II fino al 1943 quando il monumento equestre del re fu trasferito ai Giardini Margherita (dov'è tuttora). Dal 1943 al 1945 cambiò nome in Piazza della Repubblica e prese il nome attuale dal giugno 1945. PALAZZO DELLA MERCANZIA Il Palazzo della Mercanzia di Bologna, anche detto Loggia dei Mercanti o Palazzo del Carrobbio, si affaccia sull'omonima piazza. Dalla fine del XIV secolo alla fine del XVIII è stato la sede dell'Universitas mercatorum (Foro dei Mercanti) e di alcune Corporazioni. Dal 1797, con l'occupazione francese, diviene la sede della Camera di Commercio. Il palazzo fu probabilmente costruito a completamento degli edifici che circondavano il foro di antica origine romana, formatosi spontaneamente all'incrocio tra l'antica via Emilia, oggi strada Maggiore, e l'antica via Salaria, che corrisponde all'odierna strada San Vitale. In seguito alla conquista della città per mano dei Longobardi, avvenuta nell'VIII secolo, sorse, nell'area dove nel XIV secolo verrà innalzato il palazzo della Mercanzia, un borgo abitato da una piccola comunità di Longobardi le cui strade andranno a convergere nell'attuale piazza di Porta Ravegnana formando un “carrobbio”, incrocio, da cui il termine con il quale a volte viene designato il palazzo. L’esterno Il Palazzo della Mercanzia presenta nel complesso un eclettismo stilistico caratterizzato dalla compresenza di stilemi romanico-lombardi, riscontrabili nella serie di archetti pensili che sottendono gli stemmi delle Compagnie delle Arti, gotici, di cui è esempio il balcone con baldacchino, e classico-naturalistici, come nei capitelli decorati con elementi floreali. Questa eterogeneità stilistica è probabilmente dovuta al contributo di artisti provenienti da scuole diverse a cui fu affidata la realizzazione delle decorazioni e delle sculture. Partendo dal basso, la facciata principale dell'edificio presenta una loggia sostenuta da pilastri che reggono delle volte a sesto acuto. Tre nicchie contenenti delle statue in marmo, di cui quella centrale raffigura la giustizia, caratterizzano la facciata esterna nella parte superiore agli archi. Procedendo verso l'alto incontriamo in posizione centrale la tribuna col baldacchino a cuspide, affiancata da ambo i lati da due bifore con colonnette a spirale. Nella parte superiore della facciata troviamo una cornice, che racchiude i già citati stemmi delle Compagnie delle Arti, sormontata da una serie di alti merli. Le facciate di via Castiglione e via Santo Stefano sono ugualmente impreziosite da nicchie, bifore e motivi ornamentali. Le decorazioni dell'edificio sono arricchite dalle statue di sei santi di cui quattro raffigurano i protettori della città (San Domenico, San Zama, San Floriano e San Petronio) e le altre due San Pietro e Sant'Antonio da Padova. Particolare menzione meritano la lunetta decorata a intarsio, che sormonta la porta d'accesso e presenta gli stemmi del Comune di Bologna e della famiglia Bentivoglio, e l'orologio posto nel 1889 sopra l'arco del portale che ricorda quello presente nel XV sec. all'esterno del Palazzo della Signoria a Siena. L’interno Fino agli inizi del Novecento l'edificio coincideva con lo stabile antistante l'omonima piazza, strutturato su due piani diversamente disposti rispetto all'attuale collocazione. Al piano superiore si trovava la sede del Tribunale dove, in seguito, si stabilì la Compagnia dei cambiatori, ma non è chiaro come fossero distribuite le sale. Con l'istituzione della Camera di commercio in epoca napoleonica, il Tribunale e la Cancelleria furono ospitati al piano inferiore, dove, date le ridotte dimensioni dei locali, fu necessario affittare tre stanze dell'attiguo Palazzo Sampieri collegandole all'edificio tramite aperture interne. In occasione dei restauri del 1837, fu realizzata una più efficiente disposizione degli spazi interni che comportò anche il rifacimento dell'atrio e la costruzione della scala, la cui completa realizzazione risale al 1857. 2C BOLOGNA FONTANA DEL NETTUNO La fontana del Nettuno è una fontana monumentale che si trova a Bologna in piazza Nettuno (adiacente a Piazza Maggiore). Fulcro dell'omonima piazza fu realizzata nel 1564 con l'atterramento di un gruppo di case e di botteghe adiacenti. Per via delle dimensioni della statua, i bolognesi la chiamano familiarmente "il Gigante" (al Żigànt in dialetto bolognese). La statua fu promossa dal Cardinale Legato di Bologna Carlo Borromeo, il quale volle risistemare l'area di Piazza Maggiore, con l'aiuto del vescovo Pier Donato Cesi. Essa avrebbe dovuto simboleggiare il felice governo del neo eletto papa, e zio materno di Borromeo, Pio IV. L'opera fu progettata dall'architetto e pittore palermitano Tommaso Laureti nel 1563 e venne sormontata dalla imponente statua in bronzo del dio Nettuno dello scultore fiammingo manierista Jean de Boulogne di Douai in Fiandra, detto il Giambologna che, desideroso di rifarsi dopo la sconfitta al concorso per la Fontana del Nettuno di Piazza della Signoria a Firenze, venne a Bologna (scelto come scultore) e lì con l'aiuto di un noto fonditore "Zanobio Portigiani" della Fabbriceria di San Petronio, (dopo avervi litigato) fuse da solo il bronzo per la statua in una stanza al piano terra nell'attuale Piazza Galvani, dove una lapide ancor oggi ricorda l'impresa. Il monumento sorge nella piazza aperta nel 1564, per la costruzione della fontana (terminata nel 1565) fu abbattuto un intero isolato e la spesa fu ripartita tra le case e le botteghe adiacenti. La statua del dio Nettuno fu collocata esattamente nel punto d’intersezione tra il cardo e il decumano, le antiche vie di età romana, che determinavano il centro dell'area urbana. L'alimentazione idrica della fontana, che vanta ben novanta zampilli, era fornita dalle acque di Valverde e avvenne con la costruzione dell'opera di captazione dei bagni di Mario (cisterna sotterranea con decori rinascimentali, oggi assai deteriorati) e potenziata ristrutturando l'antica fonte Remonda (che è ancora funzionante e si trova sotto il convento di San Michele in Bosco) e convogliando le sue acque verso la piazza. La leggenda narra che prima di un importante esame lo studente che voglia avere la fortuna dalla sua parte debba girare due volte in senso antiorario attorno alla fontana, così come due volte il Giambologna girò attorno al piedistallo riflettendo sul progetto di realizzazione del Nettuno, dando così inizio alla sua fortuna e al suo riscatto dalla "sconfitta fiorentina". Il tridente simbolo della Maserati, casa automobilistica fondata a Bologna, riprende quello della fontana. Posta su tre gradini, la fontana s'innalza su una vasca quadrata con spezzature angolari, ed è realizzata in macigno locale con rivestimenti esterni in marmo veronese. L'opera mostra attorno al piedistallo centrale vari bronzi, ispirati a figure appartenenti al regno marino di Nettuno e tutti predisposti per l'emissione dell'acqua: animano, infatti, l'intera fonte con zampilli e getti d'acqua sirene, delfini, divinità ed esseri mostruosi, distribuiti tra i catini semicircolari e gli stemmi araldici delle autorità pontificie. In sommità tra i quattro putti abbracciati ai delfini, si erge, armato di tridente e in atto di placare le onde, il dio Nettuno, poderosa figura che, per la complessa posa serpentinata e per il senso di espansione nello spazio, rappresentò il nuovo ideale di statuaria monumentale. Se può apparire strano che una statua del Dio del mare rappresenti un simbolo per una città circondata solo da colline e pianure, occorre ricordare che nei tempi antichi le vie d’acqua create dai tanti torrenti e canali artificiali che attraversavano Bologna, la caratterizzavano come una vera e propria città d’acqua. Da queste origini traggono il nome anche alcune zone di Bologna come il quartiere “Porto”, il “Navile” ed il “Savena” (dall’omonimo torrente). 2A FERRARA CASTELLO ESTENSE Un castello come difesa dal proprio popolo Questo splendido castello, che con la sua bellezza corona la città di Ferrara, emblema di cui i ferraresi vanno fieri, fu costruito contro gli stessi cittadini. Nel 1385 la folla, stremata dalla fame e dalla povertà, insorse in massa uccidendo Tommaso da Tortona, un detestato magistrato dei Giudici dè Savi. Il popolo così galvanizzato cercò di soffocare la monarchia della famiglia d’Este, padrona di Ferrara. Nicolò II nonostante fu terrorizzato per come stava mutando il destino della sua casata, ebbe la freddezza di prendere tempo e nel contempo fece costruire un castello per difendersi dalla furia cittadina. Il compito fu affidato all’architetto Bartolino da Novara che iniziò i lavori inglobando la Torre dei Leoni, a nord, concludendo l’edificazione in pochissimo tempo, solo due anni. Il castello ha pianta quadrata e quattro torri quadrate angolari. Possiede un fossato ancora oggi ricolmo d’acqua... strano pensare che servisse ad allontanare il proprio popolo! Possedeva ogni tipo d’innovativa tecnologia volta alla difesa, ponti levatoi e apparati difensivi moderni per l’epoca, questo fa pensare quanto il duca doveva essere spaventato! Come rocca difensiva era un vero e proprio modello e fu studiato e ammirato da molti architetti, tra i quali lo stesso Michelangelo. Subì fino ad oggi diversi restauri, il più importante avvenne in seguito ad un incendio nel 1554 e a un devastante terremoto nel 1570. Nel 1476, quando il castello fu in mano a Ercole I e alla moglie Eleonora d’Aragona, fu internamente restaurato e impreziosito, lavoro che fu continuato dai successori che ben volentieri ingaggiarono artisti del calibro di Tiziano, Raffaello, Giovanni Bellini. Poi con Ercole II, verso la metà del '500, il castello si trasformò definitivamente in palazzo di corte, assimilando l'aspetto che possiamo vedere ancora oggi. Accadde il 27 ottobre 1597 che l’ultimo erede degli Estensi, Alfonso II, morì senza figli. Avvenne il caos e Ferrara fu fortemente contesa tra il cugino Cesare e il Papa Clemente VIII che riuscì a cacciare Cesare dal castello usando come arma la minaccia della scomunica, oltre che il pericolo che correva il figlio Alfonso ostaggio dello stesso pontefice. Così Cesare con tutta la sua famiglia si trasferì a malincuore a Modena non più di tre mesi dopo e non senza lasciare una piccola vendetta. Oltre a spogliare il castello di averi e ricchezze fece liberare tutti i carcerati che sicuramente avrebbero dato il benvenuto al Papa. Il castello divenne residenza di cardinali e ausiliari vaticani ma nulla di più, mai conoscerà in futuro lo splendore e l’importanza che conobbe con gli estensi, di cui oggi naturalmente ne conserva il nome e la propria personalità. I fantasmi dei due amanti Il Castello estense conserva una triste storia d’amore accaduta nella Torre dei Leoni che vide protagonista la tragica fine di Ugo e Parisina. Nel 1418 fu celebrato il matrimonio d’interesse tra Parisina Malatesta (15 anni) e Niccolò III d’Este (35 anni). Uno dei suoi figli avuto con un’altra moglie, Stella Tolomei dell’Assassino, dal nome di Ugo, di soli 14 anni, iniziò ad avere un duro rapporto di antipatia con la matrigna Parisina. Niccolò preoccupato per questi continui litigi ordinò, non senza fatica, alla propria moglie di farsi accompagnare da Ugo in una visita ai genitori a Loreto. Purtroppo accadde che, come tutte le storie tra adolescenti, l’odio si trasformò in amore appassionato che naturalmente tennero nascosto, ma apertamente non riuscirono più a dimostrare l'odio di un tempo. Niccolò contento del cambiamento non mancò di lasciarli spesso da soli, dato che ormai si sentiva tranquillo… anzi, in occasione dello scoppio della peste nel 1418, decise di proteggere i due ragazzini facendoli soggiornare in una villa di campagna. Purtroppo, nonostante si tennero discreti, non sfuggirono agli occhi della servitù e le voci del tradimento giunsero ben presto al diretto interessato che, precipitandosi sul luogo, li sorprese in flagranza di reato. Furioso li fece imprigionare e condannare a morte. Vennero condotti nella cella della Torre dei Leoni per 12 ore, perchè dovevano essere gli ultimi di una lunga lista di omicidi che quel giorno Niccolò non esentò dal commettere. Radunò e uccise tutte le donne adultere di Ferrara e alla fine delle esecuzioni condusse i due amanti e li decapitò sullo stesso ceppo di legno. I loro fantasmi piangono ancora all'interno di quella cella insieme alle anime delle donne morte per causa loro. L’ACQUEDOTTO L'Acquedotto di Ferrara o Serbatoio dell'Acquedotto è una costruzione architettonica situata a Ferrara e ubicata in Piazza XXIV maggio. La costruzione è stata eretta dall'ingegnere Carlo Savonuzzi fra il 1930 e il 1932, avvalendosi dei precedenti progetti avanzati dall'ingegnere Adamo Boari, nell'area dell'ex "Rione Giardino". L'acquedotto ferrarese appare come una struttura moderna ma che allo stesso tempo richiama ad interventi risalenti al periodo rinascimentale. La costruzione è stata concepita quasi interamente in cemento armato e appare a prima vista piuttosto imponente ma grazie alle intuizioni dei suoi realizzatori l'acquedotto ha assunto una propria maestosità e leggiadria estetica, inserito in una vasta piazza circondata dal verde e da alti alberi che ne testimoniano le grandi dimensioni. La struttura è alta circa 37 metri e poggia su di una base tendenzialmente circolare assimilabile agli antichi templi cinquecenteschi. Dalla base a dodecaedro si diramano due scalinate, una delle quali porta ad un'imponente fontana e si innalzano dodici colonne alte 12 metri che sorreggono il grande serbatoio pensile della capienza di 2.500 mc. Termina la struttura una grande cupola a gradoni. Di rilevante effetto e importanza appare la fontana realizzata da Arrigo Minerbi in contemporanea con l'acquedotto che ritrae il fiume Po e i suoi affluenti: infatti i pioppi che circondano la costruzione sono un riferimento al mito classico di Fetonte e alle sue sorelle, le Eliadi, trasformate proprio in pioppi quando il fratello, colpito da Zeus per punirlo della sua incapacità di guidare il carro che trainava il Sole, cadde precipitosamente nella Pianura Padana trasformandosi nel fiume Eridano, l'odierno Po. 2B FERRARA PALAZZO DEI DIAMANTI La leggenda del diamante nascosto E’ un palazzo in stile rinascimentale con la facciata costituita da migliaia di piccole piramidine a forma di diamante. Nessuno le ha mai contate e un conteggio approssimativo va dagli 8.500 ai 12.000. Pare che una sola di esse contenga un autentico diamante nascosto da Ercole I d’Este. Addirittura sembra si trattasse dello stesso diamante della sua corona. Solo lui e il capomastro addetto ai lavori ne conoscevano l’esatta posizione, questione questa che non faceva dormire tranquillo il duca. Possiamo bene immaginare che neppure il capomastro dormisse profondamente la notte, nella consapevolezza di essere l'unico conoscitore di questo gran segreto. Infatti, non passò molto tempo e lo sventurato fu convocato in gran segreto dal duca che gli fece tagliare la lingua e lo accecò, cosicché nessun altro si sarebbe impossessato del prezioso gioiello. Si dice che secondo la nuova piantina della città lo stesso palazzo dei diamanti sia stato posizionato in un punto particolare, come ad indicare una stella di grande luminosità in terra. Il tutto è rapportato alla presenza del diamante con il quale si voleva ricopiare la mappa celeste in terra. Vi ricorda qualcosa? Forse gli egizi con le piramidi di Giza hanno ispirato qualcuno? Il Palazzo fu innalzato nel 1493, per Sigismondo d'Este, fratello del duca, e rappresenta sicuramente il capolavoro dell'architetto e urbanista di corte, Biagio Rossetti. Agli inizi del Cinquecento i lavori s’interruppero per essere ripresi sessant'anni dopo dal cardinale Luigi d'Este. Passato poi sotto proprietà della famiglia Villa, il palazzo subì alcuni ritocchi. La stupenda facciata è composta da pietre sbozzate a diamante inclinate verso il basso nella zona inferiore, verso il centro nella zona mediana e verso l'alto nella parte superiore, creando così un effetto di luce particolare. Naturalmente, il Palazzo prende il nome dagli 8.500 "diamanti" che compongono il bugnato marmoreo dell'originale rivestimento. Posto all'incrocio delle due arterie principali della cosiddetta “addizione erculea”, l'edificio simboleggia il prestigio e la gloria degli Estensi, ma è anche inteso a sottolineare l'importanza dell'incrocio stesso. Esso fu progettato per una visione diagonale e il suo punto focale è quindi l'angolo, impreziosito dalle splendide candelabre scolpite da Gabriele Frisoni e dal grazioso balconcino, di poco posteriore. Il Palazzo dei Diamanti è ubicato in modo da accentuare la direttrice visiva verso Piazza Ariostea. Quest’effetto è potenziato dalla presenza del Palazzo Turchi-Di Bagno e del Palazzo Prosperi-Sacrati: le cui masse imponenti si oppongono al "vuoto" dell'angolo nord-est, sul quale il Palazzo insiste in posizione arretrata. Il motivo angolare del pilastro decorativo è presente in tutti e tre i palazzi: nel Palazzo dei Diamanti e in quello Prosperi-Sacrati è interrotto da un balconcino d'angolo, costituendo così un arresto visuale, mentre nel Palazzo Turchi-Di Bagno l'assenza del balcone è il segno di un invito a procedere. Dopo la mostra avvenuta nel 1933, che vide esposte le opere di Cosmè Tura, Ercole de' Roberti e Francesco del Cossa, il palazzo divenne sede della Pinacoteca Nazionale, che è ospitata al piano nobile. Al pianterreno, il Palazzo ospita la Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, sede di prestigiose esposizioni. E’ presente anche un laboratorio per le operazioni di restauro. CASA DI ARIOSTO Un anno dopo la pubblicazione dell’Orlando Furioso (1516), Ludovico Ariosto oppone al Cardinale Ippolito d’Este un risoluto rifiuto di seguirlo in Ungheria, adducendo a motivazione la salute cagionevole. Ma nel 1522, nonostante la fama acquisita con il Furioso, non può declinare l’incarico di governatore della Garfagnana, conferitogli da Alfonso d’Este per sedare il brigantaggio e le liti fra i valligiani, incarico che lo tiene lontano da Ferrara per tre anni. Al ritorno da Castelnuovo il poeta ha cinquantadue anni e avverte il forte bisogno di ritirarsi in un ambiente domestico rassicurante, che possa ricompensarlo del forzato allontanamento da Alessandra Benucci. Ariosto vi si trasferisce con il figlio Virginio il giorno di San Michele 1529. Alessandra Benucci, di Tito Vespasiano Strozzi, diviene moglie del Poeta fra il 1528 e il 1530 ma resta a vivere nella sua casa in Contrada di Santa Maria in Vado, dove il marito la raggiunge di frequente attraversando la città. Ormai dispensato da incarichi gravosi, Ariosto può dedicarsi alla terza edizione del Furioso, uscita nel 1532 dai torchi tipografici di Francesco Rosso da Valenza con l’aggiunta di sei canti. Assistito da Virginio e dalla moglie, qui si spegne il 6 luglio 1533, all’età di 58 anni. La casa si trova proprio in Via Ariosto ed è qui che il poeta trascorse i suoi ultimi anni di vita, mentre terminava “l'Orlando Furioso” pubblicato in edizione definitiva nel 1532, anno precedente alla sua morte. Lo scrittore si trasferì a Ferrara nel 1484 e qui svolse i suoi studi, lavorò anche per il cardinale Ippolito d'Este, fratello del duca Alfonso I, fu poi allontanato per qualche anno per incarichi di lavoro e poi tornò definitivamente a Ferrara. Sul marcapiano della casa è iscritta la frase: “parva sed apta mihi, sed nulli obnoxia sed non sordida, parta meo sed tamen aere domus” (piccola ma adatta per me, a nessuno soggetta e fatta col mio denaro). La casa fu venduta a metà del Settecento al municipio di Ferrara dai discendenti di Ariosto e fu restaurata agli inizi dell'Ottocento. All'interno la casa appare spoglia: rimane solo qualche tavolo e qualche sedia, ma nel visitarla è suggestivo il pensiero di un grandissimo poeta che lì ha scritto un capolavoro immortale della letteratura italiana. 2C FERRARA PALAZZO SCHIFANOIA Storia Palazzo Schifanoia fu eretto nel 1385 per volere di Alberto V d’Este, signore di Ferrara fino al 1393. L'edificio costituisce l’unico esempio ancora oggi esistente di dimora destinata alla rappresentanza e allo svago, un tempo denominato "delizia": il termine "schifanoia" deriva, infatti, da Schifar ovvero Schivar la noia, allontanare il tedio dei pressanti impegni richiesti dal governo. L’edificio, costruito a un solo piano, fu ampliato nel 1391 ma è sotto la signoria di Borso d’Este (marchese e poi duca di Ferrara tra il 1450 e il 1471) che il palazzo assume le forme attuali. Nel 1465, infatti, Borso ordina all’architetto Pietro Benvenuti degli Ordini di prolungare il corpo di fabbrica verso oriente e di sopraelevare il fabbricato con un piano nobile destinato ad accogliere gli appartamenti ducali e un ampio salone di rappresentanza: il Salone dei Mesi, terminato, come le altre parti dell'edificio, nel 1469-70. In quest’ambiente, Borso chiamerà a raccolta molti fra gli artisti attivi a Ferrara, fra i quali Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, al fine di creare uno dei più stupefacenti capolavori dell'arte del Rinascimento italiano: la decorazione del salone con il ciclo dei Mesi, celebrazione della sua casata in chiave astrologica e mitologica. Ornata di un coronamento di merli dipinti, la facciata dell’edificio era in origine decorata con motivi geometrici che simulavano rilievi marmorei policromi. Contribuì alla valorizzazione dell'esterno l’imponente portale marmoreo, recentemente restaurato e che gli studiosi attribuiscono ad Ambrogio di Giacomo da Milano e Antonio di Gregorio, sovrastato dal grande stemma estense e dall’Unicorno, simbolo assai caro a Borso che se ne fregiò a ricordo delle bonifiche del territorio estense da lui promosse. Sul finire del secolo nel 1493, Schifanoia subisce l’ultimo ampliamento ad opera del celebre autore della Addizione Erculea, il grande Biagio Rossetti che, su incarico di Ercole I – successore di Borso e duca della città fino al 1505 – prolungò di altri sette metri verso est il palazzo al fine di creare un nuovo ambiente. Anche la facciata fu interessata da un rinnovamento: la merlatura di coronamento fu eliminata e sostituita con un cornicione in cotto che, nelle metope, presenta a rilievo l’impresa del diamante, simbolo del duca. Con l'abbandono di Ferrara da parte degli Estensi nel 1598 inizia la decadenza del palazzo. La proprietà passa a un ramo cadetto della famiglia e, attraverso Marfisa d’Este, va in eredità ai Cybo, duchi di Massa e Carrara. Nel 1703 Palazzo Schifanoia è ceduto alla famiglia Tassoni: dopo questa data l'antica delizia subisce i danni più rilevanti allorché vengono demolite la loggia che collegava il corpo di fabbrica tardo trecentesco al giardino e lo scalone d’onore che Borso aveva fatto costruire all'esterno, sul fronte nord, per accedere al Salone dei Mesi. Anche quest'ultimo subisce ferite gravissime: la cessione in subaffitto di parte dell’edificio a una manifattura di tabacco porta, infatti, a coprire con intonaci bianchi le decorazioni, cancellando la memoria dei fasti dell'età estense. A partire dal 1821, grazie alla curiosità e alla caparbietà del restauratore e pittore Giuseppe Saroli, dallo scialbo cominciano a riemergere le decorazioni quattrocentesche. La scoperta genera nuovo interesse attorno a Schifanoia e negli anni successivi a Saroli si affiancano Luigi Caroli e Francesco Avventi. Nel 1840 le pareti, settentrionale ed orientale, sono pienamente visibili ma, a seguito delle roventi polemiche relative al metodo da seguire nelle delicate operazioni di restauro, il Comune affida al pittore bolognese Alessandro Compagnoni l’incarico di proseguire e completare i lavori. La riscoperta delle decorazioni borsiane ebbe un grande impatto sulla città, al punto da indurre il Comune a intervenire per recuperare gli affreschi e il Palazzo. Nella seduta del Consiglio Comunale del 6 novembre 1897 fu approvato il progetto per l’adattamento dei locali di Palazzo Schifanoia e il trasferimento di parte delle collezioni civiche: l'anno successivo, il 20 Novembre, l'antica delizia degli Estensi diventa ufficialmente il Civico Museo Schifanoia. CATTEDRALE DI S. GIORGIO La Cattedrale risale al 1135, è in stile romanico nella parte inferiore della facciata e gotico in quella superiore ed è consacrata a San Giorgio. Sulla facciata è presente molta vegetazione che richiama la vita; il suo intreccio, che spesso ricopre l’intero edificio cristiano, riporta l’Eden sulla Terra. Vi sono parecchi animali che si intravedono tra le foglie di vite, simboli del creato. La chiesa è così la metafora di un immenso Albero della Vita. La Natura è l’origine dell’esistenza, attraverso la quale la materia si trasforma. E’ lei la testimonianza in terra che ci conferma in ogni momento, che nulla muore senza poi rinascere a nuova vita. Ecco perché l’Albero della Vita è sempre rigoglioso, perché è il riassunto della vita stessa. Le foglie non sono casuali: vi è della vite che richiama il vino e cioè il sangue di Cristo, l’acanto che ci lega a un passato egizio attraverso i templari, le palme che ricordano il martirio dei santi. L’albero connette il cielo con la terra ed è speculare, cioè l’alto è identico al basso… i rami sono come radici estese nel cielo e le radici sono come rami diffusi nel suolo. E’ simbolo dell’elevazione verso il cielo, verso la spiritualità, verso la conoscenza. Si nutre di acqua (elemento materiale) e di luce (elemento spirituale) dando come somma dei due nutrimenti fiori e frutti di cui beneficia l’uomo. Soffermandoci all’entrata della Cattedrale non possiamo non notare quanto spaventose siano le creature mostruose sulla facciata. Perché esseri così immondi si trovavano a guardia di un luogo cristiano? Forse per spaventare e intimorire il credente oltre che per ricordargli che il male era sempre in agguato, pronto a corromperlo e a rubargli l’anima? Dopotutto le creature, i mostri, gli esseri oscuri e maligni sono concreti, reali, a volte anche più vicini a noi perché in agguato nell’ombra. Sono spesso immagini di un trascorso pagano e ricordano antichi dei distrutti dal Cristianesimo, che ha saputo trasformarli, rendendoli demoniaci e malvagi. Dopotutto per essere degni di entrare nel luogo sacro di una chiesa, bisogna anche essere in grado di sconfiggerli. Sulla facciata vi è anche la rappresentazione dell’inferno, dove un mostruoso Lucifero inghiotte l’anima dei dannati, ciò da sempre richiama in un certo qual senso il giudizio di Osiride egizio, dove un mostro inghiotte il cuore (anima) del Faraone che non ha saputo passare la prova della pesatura delle anime (anche se solitamente nel Libro dei Morti il Faraone la passava sempre). Il Giudizio Universale è posizionato sotto il timpano di una delle entrate. Vi è il corteo dei dannati verso la bocca dell’inferno e dalla parte opposta il corteo dei beati verso Abramo. Questi mostri di derivazione orientale identificavano la capacità di ragionare con il ventre, con la parte bestiale dell’uomo. Le chiese sono architettonicamente perfette, perché dovevano rappresentare la casa di Dio in terra, perchè qui lo si poteva incontrare misticamente. Tutto ciò che era strutturalmente imperfetto, storto, asimmetrico era “opera del diavolo”. La chiesa era metafora del mondo intero, perché lo suddivideva nella sua stessa struttura in celeste, terrestre e sotterraneo corrispondenti a zona alta, pianterreno e cripta. La cripta è dedicata al riposo del corpo, il pianterreno al cammino dell’anima verso Dio e il resto della chiesa all’assunzione in cielo. Purtroppo nel Duomo di Ferrara non è presente la cripta per via dell’impossibilità di creare un vano sotterraneo a causa dell’instabilità geologica del terreno, ma anche perché non vi erano particolari reliquie da venerare. La facciata è molto interessante, perché la sua realizzazione è unica nel suo genere. Essa è stata costruita basando la geometria sul cerchio diviso in dieci parti uguali. Il dieci aveva un grande valore simbolico essendo la somma dei primi quattro numeri: 1+2+3+4, il cosmo più il dualismo più la trinità più la terra = il tutto assoluto. E’ identificato non a caso con la X dai romani, cioè l’unione del principio maschile /\ con quello femminile V che dà la vita senza la quale non vi è nulla. Ai lati del portale vi sono delle sculture a bassorilievo raffiguranti a sinistra l’Arcangelo Gabriele e a destra Maria, vi sono anche i quattro profeti che predissero l’Annunciazione: Daniele, Geremia, Isaia ed Ezechiele. Sopra il portale si può vedere un'interessante loggia del 1250 ove si sviluppa il Giudizio Universale, di autore ignoto, che è un esempio unico in Italia di architettura gotico-francese. Sui pennacchi degli archi è possibile osservare il tema della Resurrezione con i morti che risorgono dalle proprie tombe. Il fregio sopra gli archetti raffigura l’arcangelo Gabriele con in mano la bilancia per la pesatura delle anime. Sopra nel timpano vi è il Cristo nella mandorla con ai lati due angeli con in mano i simboli della passione e Maria e Giuseppe che inginocchiati chiedono perdono per l’umanità. Sui lati del timpano i vegliardi, testimoni di tutto ciò che avviene. Ai lati vi sono due statue, una raffigura San Giovanni Battista, l’altra San Giovanni Evangelista, entrambe rappresentano due momenti molto significativi legati alla simbologia del tempo. Inoltre vi sono due leoni a guardia e che sovrastano un toro e un agnello. Per la religione greca il leone che attacca un toro rappresenta l’inizio della primavera, mentre il leone sull’agnello introdurrebbe l’autunno. Queste rappresentazioni sono pagane e sarebbero in questo caso “cristianizzate”. Così avremmo nel complesso inverno, primavera, estate e autunno. Il completo ciclo delle stagioni in questo caso è rappresentato in maniera decisamente innovativa. Un altro elemento che sottolinea quanto scritto è il fatto che un telamone è giovane mentre l’altro è anziano, elemento aggiuntivo al cerchio della vita. Le anomale colonnine del Duomo, impossibile non notarle perché strane, uniche e bizzarre, sono quelle poste sul lato destro della cattedrale e non mancano di incuriosire con le loro svariate forme. Perché sono state fatte in questo modo? Uno scherzo o un messaggio simbolico? E per finire clicchiamo sui link per fare un giro virtuale nelle tre città: Ferrara http://www.youtube.com/watch?v=_w9m-9Q8Jc8 Ravenna http://www.youtube.com/watch?v=7_JNVGsW9XY Bologna http://www.youtube.com/watch?v=MQr_xl15Luk