Redditi Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 d’impresa Società di comodo e beni ai soci: i chiarimenti di Assonime di Gianfranco Ferranti La circolare Assonime n. 17 del 2013 ha esaminato alcune problematiche che si pongono per la compilazione di UNICO 2013 in materia di società di comodo e di beni assegnati dall’impresa in godimento ai soci e loro familiari. Sono state affrontate, in particolare, le questioni riguardanti le «holding», l’impugnabilità della risposta negativa all’interpello e l’inerenza dei costi dei beni utilizzati a titolo personale dai soci. L’Assonime ha esaminato, nella circolare n. 17 del 2013, dedicata all’illustrazione delle novità riguardanti i modelli di dichiarazione, anche alcune problematiche concernenti le società di comodo e la disciplina dei beni concessi dall’impresa in godimento ai soci e ai familiari. In merito all’estensione della disciplina delle società di comodo anche a quelle in perdita sistematica la detta Associazione ha rilevato che suscita perplessità la scelta di desumere automaticamente la non operatività di una società dal fatto che essa abbia conseguito perdite in più esercizi, «soprattutto nell’attuale fase di crisi economica finanziaria, nella quale i risultati negativi delle imprese dipendono sempre più spesso, non tanto dall’utilizzo strumentale dello schermo societario, bensì dall’impossibilità reale di conseguire il quantum di proventi richiesti dal legislatore». In merito alla disciplina dei beni assegnati in godimento ai soci l’Associazione ha, invece, osservato che la stessa ha la finalità di scoraggiare l’abuso dello schermo societario «tanto nell’ipotesi in cui sia la società, come tale, a celare un’attività di mero godimento quanto nella diversa ipotesi in cui sia da ritenere “di comodo” l’intestazione all’impresa di uno o più beni destinati al consumo privato». Tale regime costituisce sia uno strumento di recupero della base imponibile non dichiarata dalle persone fisiche, attraverso la mappatura completa dei consumi e del patrimonio a loro disposizione, che un istituto di «chiusura» delle regole di determinazione del reddito d’impresa. Viene, in tal modo, «colmata una lacuna del sistema, che si limitava a collegare le implicazioni fiscali derivanti dalla “destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio d’impresa” solo con gli atti di dismissione e fuoriuscita dei beni dal regime giuridico d’impresa, mentre ora vengono regolate in modo più puntuale anche le operazioni attraverso cui i beni, senza distaccarsi dal patrimonio dell’impresa, sono destinati, in modo permanente o temporaneo, al consumo o al godimento della sfera privata dei soci». Le «holding» Tra le cause di disapplicazione previste dal provvedimento direttoriale 11 giugno 2012 è stata prevista quella riguardante le società e gli enti che detengono partecipazioni, iscritte esclusivamente tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore è prevalentemente riconducibile a società: – non considerate in perdita sistematica; – escluse dall’applicazione della disciplina in esame, anche in conseguenza dell’accoglimento dell’istanza di disapplicazione; – collegate residenti all’estero cui si applica il regime CFC dell’art. 168 del T.U.I.R. Si tratta di un criterio analogo a quello previsto dall’art. 87, comma 5, del T.U.I.R. ai fini della Gianfranco Ferranti - Responsabile Dipartimento scienze tributarie - Scuola superiore dell’Economia e delle Finanze 27/2013 2119 Redditi d’impresa Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 disciplina della participation exemption, in relazione alla quale era stato affermato, nella circolare n. 36/E del 2004 (1), che la quantificazione del valore del patrimonio sociale delle partecipate deve essere effettuata a valori correnti e non a quelli contabili. È stato, in pratica, affermato il principio che la verifica dei requisiti previsti dalla disciplina in esame non va effettuata in capo alla holding bensì nei riguardi delle società dalla stessa partecipate. Tale criterio opera, però, soltanto se la società non svolge attività diverse da quelle strettamente funzionali alla gestione delle partecipazioni (tra le quali dovrebbe rientrare anche quella di finanziamento). Nella circolare n. 1/E del 2013 (1) l’Agenzia delle entrate ha dato risposta al quesito se una società in perdita sistematica che detiene partecipazioni immobilizzate nelle dette società «ma che non è in grado di utilizzare la causa di disapplicazione ivi prevista (in quanto svolge attività diverse da quelle strettamente funzionali alle partecipazioni), può, nel calcolo del reddito minimo previsto dall’art. 30 della legge n. 724/1994, non considerare il valore di tali partecipazioni, analogamente a quanto stabilito per le società non operative dalla lett. e) del provvedimento direttoriale 14 febbraio 2008 e dalla circolare 9/E del 2008 (1)». L’Agenzia ha, al riguardo, affermato che la causa di disapplicazione in esame non opera in modo «parziale». Se sussistono i detti presupposti si disapplica, quindi, totalmente la disciplina delle società di comodo nei riguardi delle società in perdita sistematica. Ciò in quanto occorre, come detto, verificare la prevalenza o meno del valore delle partecipazioni immobilizzate, che è inconciliabile con la disapplicazione parziale. Invece nei confronti delle società considerate di comodo per non aver superato il test di operatività l’analoga causa di disapplicazione opera limitatamente alle partecipazioni immobilizzate, il cui valore non va considerato nel calcolo del reddito minimo. Al riguardo era stato osservato (2) che una società potrebbe risultare contemporaneamente di comodo sia perché in perdita sistematica sia per mancato superamento del test di operatività. In tale caso è stato ritenuto che, ai fini del calcolo 2120 27/2013 del reddito minimo, si dovrebbe «neutralizzare dette partecipazioni, pur trattandosi di società che soggiace anche alle disposizioni delle società di comodo per perdite sistemiche. Infatti, l’art. 2, comma 36-decies ... stabilisce che «restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto articolo 30 della legge n. 724/1994». Fra tali cause vi sono anche, stante il richiamo contenuto nel comma 4-ter dell’art. 30, quelle di disapplicazione parziale (ai fini del calcolo del reddito minimo) delle partecipazioni in società che si considerano operative (in quanto superano il test dei ricavi). Le istruzioni ministeriali al modello UNICO 2013, ... in riferimento ai righi RS 11 e seguenti, sembrerebbero confermare le conclusioni raggiunte (si veda la compilazione della casella “Casi particolari” in caso di possesso dei soli beni di cui all’articolo 1, lett. e), del citato provvedimento del 2008)». Di conseguenza, per evitare che il reddito minimo sia calcolato in modo più favorevole quando la società, oltre a essere in perdita sistemica, non abbia superato il test dei ricavi minimi, «la neutralizzazione delle partecipazioni in società operative ai fini del calcolo del reddito minimo dovrebbe ritenersi ammessa anche nell’ipotesi in cui una società risulti di comodo solo per perdite sistemiche e non anche per insufficienza di ricavi». In merito l’Assonime ha sottolineato che nel quesito posto all’Agenzia erano stati richiesti dei chiarimenti non tanto in merito all’operatività o meno della causa di disapplicazione, bensì in relazione alla determinazione del reddito minimo ed in particolare se, come nel caso delle società di comodo, anche la società in perdita sistematica, una volta ritenuta non operativa, potesse non tener conto delle partecipazioni in esame. La detta Associazione ha ritenuto che, «analogamente a quanto previsto per le società ritenute di comodo per mancato superamento del test di Note: (1) In Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (2) Da A. Di Bartolomeo e M. Piazza, «Quote incluse nel reddito», in Il Sole - 24 Ore del 6 marzo 2013, pag. 21. Redditi Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 d’impresa IL PARERE DI ASSONIME crediti infruttiferi vantati operatività, alle società in Crediti infragruppo nei confronti della società perdita sistematica dovrebe «test» di operatività partecipata possano essere be essere consentito, in sede L’Assonime ritiene che i crediti esclusi dal novero degli asdi determinazione del cd. infruttiferi vantati dalla «holding» nei set di cui si deve tener conreddito minimo, di non teconfronti della società partecipata to al fine del test di operatiner conto degli asset che, possano essere esclusi dal novero vità. seppur al ricorrere di un dedegli «asset» di cui si deve tener L’Assonime ha rilevato che terminato requisito quantitaconto al fine del «test» di operatività, «la migliore dottrina ritiene tivo, precludono l’applicaperché hanno la natura di apporti di che i crediti in esame assuzione della presunzione di capitale e non sono idonei a generare mono sostanzialmente la non operatività». Ciò in ricavi. Tale interpretazione è natura di un apporto a titolo quanto, tenendo conto anche confermata anche dai chiarimenti di conferimento e, dunque, dell’identicità dei detti asset forniti dall’Agenzia delle entrate in che ci troviamo di fronte ad presi in considerazione da merito alla disciplina degli interessi un asset che, rappresentanentrambi i provvedimenti, passivi delle banche e degli altri enti do il tantundem del capitale «parrebbe quanto meno inufinanziari. di rischio apportato, ha la suale ritenere che la determedesima natura di una minazione del cd. reddito minimo delle società di comodo varia a seconda partecipazione». È stato, quindi, ritenuto che andell’innesco che ha determinato l’applicazione che tale asset debba essere escluso dai beni di di tale regime di determinazione presuntiva del cui si deve tener conto ai fini del test di operatività, anche perché nemmeno astrattamente è in reddito». Al riguardo è stato rilevato (3) che in base alla grado di generare ricavi, analogamente a quanto lettera della circolare dell’Agenzia «pareva do- avviene per gli apporti di capitale. Sono stati, inoltre, richiamati i chiarimenti resi versi giungere a una conclusione opposta». dall’Agenzia delle entrate in merito al regime di deducibilità degli interessi passivi riservato alle La rilevanza dei crediti banche e agli altri enti finanziari, secondo cui nel «test» di operatività L’Assonime ha affrontato anche un’altra que- gli interessi sono deducibili nei limiti del 96% stione concernente le società holding che non del loro ammontare. Da tale regime sono esclusuperano il test di operatività, riguardante la ri- se, tra l’altro, le società che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di levanza dei crediti nell’ambito del detto test. È stato prospettato il caso di una holding che de- partecipazioni in società esercenti attività divertiene la partecipazione totalitaria di un’altra so- sa da quelle creditizia o finanziaria e l’Agenzia cietà, nei cui confronti esercita attività di dire- delle entrate ha precisato che: zione e coordinamento ex artt. 2497 ss. c.c. La – tale esercizio esclusivo o prevalente sussiste detta holding ha erogato in favore dell’altra so- «quando il valore contabile delle partecipazioni cietà finanziamenti infruttiferi, il cui rimborso, in società industriali risultante dal bilancio di ai sensi dell’art. 2497-quinquies c.c., è posterga- esercizio ecceda il 50% del totale dell’attivo pato rispetto alla soddisfazione degli altri credito- trimoniale»; ri. La società partecipata risulta esclusa dalla di- – il detto valore deve «essere verificato tenendo sciplina delle società di comodo, in quanto ri- conto non solo del valore di bilancio delle partecorre una causa di esclusione e, di conseguenza, cipazioni in società industriali ma anche del vala società partecipante, stante l’apposita causa di lore contabile degli altri elementi patrimoniali disapplicazione, può escludere la relativa partecipazione dagli asset di cui si deve tener conto ai fini del test di operatività e della determina- Nota: zione del reddito minimo. (3) Da L. Gaiani, «Holding in rosso con reddito minimo leggero», In questa situazione è stato ritenuto che anche i in Il Sole - 24 Ore del 12 giugno 2013, pag. 21. 27/2013 2121 Redditi d’impresa Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 della holding relativi a rapporti intercorrenti con le medesime società (quali, ad esempio, i crediti derivanti da finanziamenti)». È stato, inoltre, precisato, con riguardo ai rapporti di finanziamento intercorrente nell’ambito di un consolidato, che «il predetto criterio di prevalenza va applicato tenendo conto anche delle poste patrimoniali relative a rapporti intercorrenti tra le società partecipate facenti parte del consolidato fiscale diverse dalla holding o dalla sub-holding». L’impugnabilità della risposta all’interpello L’Assonime ha affrontato, nella circolare n. 17 del 2013 in commento, la questione concernente la natura dell’interpello che le società ritenute di comodo possono presentare al fine di ottenere la disapplicazione della disciplina in esame. È stato ricordato che l’Agenzia delle entrate ha modificato la sua posizione originaria nella circolare n. 32/E del 2010 (4), nella quale è stato affermato che la risposta resa in sede di interpello non è un atto autonomamente impugnabile e che la mancata presentazione dell’interpello disapplicativo produce effetti solo a livello sanzionatorio, senza precludere ai contribuenti la possibilità di fornire la prova contraria circa la presunzione di non operatività anche in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento. È stato poi sottolineato che la giurisprudenza non si è espressa in modo univoco sulla questione. Esistono, infatti, sia sentenze della Cassazione secondo le quali le risposte negative agli interpelli rappresentano atti impugnabili, con la conseguenza che l’omessa impugnazione della risposta negativa precluderebbe definitivamente ai contribuenti la possibilità di disapplicare la disciplina antielusiva, sia sentenze che affermano che l’impugnazione delle dette risposte negative rappresenta una mera facoltà e che, pertanto, rimane impregiudicato il diritto dei contribuenti di dimostrare la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento. Al riguardo appare opportuno ricostruire analiticamente il complesso susseguirsi delle prese di posizione della prassi e della giurisprudenza. Nelle circolari n. 5/E e n. 14/E del 2007 (5) l’Agenzia aveva affermato che l’eventuale prov- 2122 27/2013 vedimento di rigetto del Direttore regionale non può essere impugnato immediatamente in quanto non rientra tra gli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma il contribuente potrà far valere le proprie ragioni dinanzi alla Commissione tributaria mediante impugnazione dell’eventuale avviso di accertamento notificato a seguito del provvedimento di rigetto del Direttore regionale. Tale posizione era stata ribadita nella circolare n. 32/E del 2010, cit., in cui era stato affermato che, «la risposta resa in sede di interpello non è un atto impugnabile in quanto, stante la natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente; tale soluzione è stata recentemente confermata anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Dec. 26 gennaio 2009, n. 414) (6) secondo cui la disciplina vigente, che non contempla le risposte all’interpello tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, “in nulla pregiudica il diritto” del contribuente “di impugnare, tempestivamente ed a tempo debito, gli eventuali atti rientranti nella previsione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato”, appunto, attraverso la risposta all’interpello. Tale conclusione, come si desume chiaramente anche dalla richiamata pronuncia, resta valida non solo nei casi degli interpelli ordinari, ma anche nei casi degli altri interpelli (nella specie, all’interpello obbligatorio di cui all’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973 al quale si riferisce la citata decisione)». La Corte di cassazione ha, però, successivamente affermato, nella sentenza 15 aprile 2011, n. 8663 (7), che il provvedimento del direttore regionale dell’Agenzia delle entrate che contiene il diniego della disapplicazione è da considerare alla stregua di un provvedimento di diniego di un’agevolazione e lo stesso risulta, quindi, autonomamente impugnabile dinanzi agli organi del contenzioso tributario. Note: (4) In Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (5) Entrambe in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (6) In Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (7) In GT - Riv. giur. trib. n. 8/2011, pag. 676, con commento di R. Lunelli, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. Redditi Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 d’impresa IL PARERE DI ASSONIME te risolvano il contrasto Da tale principio la SupreImpugnabilità giurisprudenziale, appare ma Corte ha fatto discendedella risposta all’interpello opportuno che i contribuenre l’ulteriore e importante L’Assonime ha evidenziato che la ti interessati impugnino i conseguenza che l’impugnagiurisprudenza della Corte di provvedimenti di rigetto, al zione del detto provvedicassazione non si è espressa in modo fine di evitare un’eventuale mento direttoriale diventa univoco sulla questione concernente la preclusione dell’impugnatiindispensabile al fine di far possibilità di impugnare le risposte va del successivo avviso di valere la sussistenza dei negative alle istanze disapplicative accertamento. presupposti per la disapplidella disciplina delle società di comodo In merito alla questione incazione, che non sarebbe e sulle conseguenze della mancata terpretativa in esame è stato possibile in sede di ricorso impugnazione. In attesa che le osservato (11) che «la dotavverso il successivo atto di Sezioni Unite della Corte risolvano il accertamento. trina tributaristica appare contrasto giurisprudenziale, appare Si ritiene che tale consedivisa, con un ventaglio di opportuno che i contribuenti interessati guenza non si dovrebbe, peprospettazioni molto ampio, impugnino i provvedimenti di rigetto, al rò, verificare per le mancate suscettibile di evidenziare fine di evitare un’eventuale impugnazioni dei provvediopposte soluzioni. preclusione dell’impugnativa del menti di rigetto emanati priSecondo una parte degli ausuccessivo avviso di accertamento. ma della pronuncia della tori, il diniego rispetto alCassazione, proprio in l’istanza di interpello cd. quanto l’Agenzia ha affermato la non impugna- disapplicativo è un atto non autonomamente imbilità di tali provvedimenti, peraltro ribadita in pugnabile, ma sindacabile esclusivamente in via calce a questi ultimi (8). differita (12), non potendo essere equiparato ai I principi affermati nella detta sentenza n. 8663 del 2011 sono stati confermati nella sentenza 13 Note: (8) Cfr., in tal senso, Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, Sez. IV, 21 aprile 2012, n. 5843 (9), nella quale è stato pre- settembre 2011, n. 154, in Dialoghi Tributari n. 1/2012, pag. 41, con cisato che la cognizione del giudice tributario ri- commenti di M. Voltolina e D. Stevanato, e in Banca Dati BIG Suite, spetto al diniego non è limitata alla legittimità IPSOA. formale dell’atto ma è estesa al merito della pre- (9) In GT - Riv. giur. trib. n. 10/2012, pag. 789, con commento di A. e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. tesa. La Suprema Corte è, però, giunta con que- Comelli, (10) In Banca Dati BIG Suite, IPSOA. sta sentenza a concludere che il provvedimento (11) Da A. Comelli, «È impugnabile il diniego opposto all’istanza dichiarativo dell’improcedibilità dell’istanza di interpello cd. disapplicativo?», in GT - Riv. giur. trib. n. 10/2012, non è autonomamente impugnabile, perché lo pag. 789, commento a Cass., 13 aprile 2012, n. 5843, cit., e Comm. prov. di Milano, 7 maggio 2012, n. 181, anche in Banca Dati stesso non può qualificarsi come definitivo di- trib. BIG Suite, IPSOA. niego della richiesta di disapplicazione ma come (12) È critico rispetto alla strada dell’interesse a ricorrere non tiprovvedimento «sostanzialmente interlocuto- pizzato ex lege, comprensiva, sia degli atti istruttori, sia degli interpelli, oltre alle risoluzioni e circolari, G. Tabet, «Diritto vivente rio». Nella sentenza 5 ottobre 2012, n. 17010 (10), la e tutela anticipata nei confronti di atti atipici», in GT - Riv. giur. trib. n. 4/2011, pag. 281, in quanto produrrebbe «una ingestibile Cassazione si è, invece, pronunciata a favore dilatazione del contenzioso». Si vedano i rilievi critici di D. Stevadella non obbligatorietà per il contribuente del- nato, «Quale tutela avverso il diniego di disapplicazione di norme l’impugnativa del provvedimento di diniego, antielusive?», ivi n. 4/2005, pag. 349, commento a Cass., 21 dicemtrattandosi di un atto diverso da quello che nega bre 2004, n. 23731, anche in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; Id., «Il diniego di disapplicazione delle norme antielusive: assenza di “effiil riconoscimento di un’agevolazione. cacia preclusiva” e superfluità di una tutela giurisdizionale», in Nell’ordinanza 29 novembre 2012, n. 20394 Dialoghi dir. trib., 2005, pag. 29. Secondo F. Pistolesi, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, pag. 100, il contribuente potrà sindacare il di(10), la Corte è, però, tornata sui suoi passi, affermando che la risposta negativa dell’Agenzia niego innanzi alla Commissione tributaria con riferimento alla «pretesa impositiva che la disapplicazione “non consentita” con delle entrate deve essere impugnata dal contri- ogni probabilità susciterà». Cfr. anche Id., «Impugnazione della ribuente che intenda evitare la sua definitività. sposta negativa all’istanza di interpello: condizioni ed effetti», in Quindi, in attesa che le Sezioni Unite della Cor- Riv. dir. trib., 2011, II, pag. 365. 27/2013 2123 Redditi d’impresa Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 dinieghi espressamente contemplati dall’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 (13). Peraltro, l’immediata impugnazione del diniego non sarebbe una forma di tutela proficua, laddove il contribuente non otterrebbe una risposta definitiva in tempo utile, vale a dire prima della presentazione della dichiarazione periodica. Al contrario, secondo altri autori è pienamente giustificata l’impugnabilità immediata della risposta sfavorevole all’istanza in questione, essendo «quasi irrilevante» la differenza tra quest’ultima ed il diniego di agevolazioni, almeno con riferimento alle esigenze di tutela che tali atti pongono (14). Secondo questa prospettiva, la risposta all’interpello si configurerebbe come un atto costitutivo di fattispecie, suscettibile di riflettersi sulla determinazione della base imponibile e/o dell’imposta dovuta per una pluralità di esercizi successivi (15). Altri studiosi, viceversa, formulano in proposito considerazioni non poco problematiche e, almeno in parte, sfumate quanto all’impugnabilità autonoma innanzi alle Commissioni tributarie dei dinieghi in questione» (16). Si condivide, al riguardo, l’osservazione secondo la quale «l’assimilazione dei dinieghi opposti alle istanze cd. disapplicative ai dinieghi di agevolazioni è non poco forzata, non trattandosi nel caso del riconoscimento di regimi agevolativi (17), ma, più esattamente, della presentazione di un’istanza nella quale il contribuente, dopo aver descritto l’operazione che intende porre in essere, indica le disposizioni normative (di cui domanda la disapplicazione) che «limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario» (art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973). Conseguentemente, non sussiste alcun vulnus alla tutela giurisdizionale della posizione giuridica soggettiva del contribuente, rinviata al momento in cui viene notificato l’avviso di accertamento (18). Inoltre, non convince l’ipotesi di un’impugnazione facoltativa del diniego opposto, che non pregiudicherebbe l’impugnazione del successivo avviso di accertamento notificato al contribuente. Se essa fosse ammessa, sarebbe consentito un duplice accesso al controllo giurisdizionale sulla base di una scelta rimessa esclusivamente al contribuen- 2124 27/2013 te ed alla sua strategia processuale, con una serie di delicati profili, non solamente teorici, collegati ad una possibile diversità di giudizio». L’assegnazione dei beni in godimento ai soci Nel D.L. n. 138/2011 è stabilito che qualora l’impresa conceda dei beni in godimento ai soci o ai familiari la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la detta Note: (13) In tal senso F. Tesauro, «Gli atti impugnabili ed i limiti della giurisdizione tributaria», in Giust. trib., 2007, pag. 15; Id., Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 91. È contrario alla tesi dell’autonoma impugnabilità del diniego di disapplicazione di norme di natura antielusiva anche F. Tundo, «Impugnabile il diniego di disapplicazione delle norme antielusive?», in GT - Riv. giur. trib. n. 8/2011, pag. 1701, commento a Comm. trib. reg. Lombardia 30 giugno 2010, n. 82, anche in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (14) Cfr. P. Russo, «Giustizia tributaria (linee di tendenza)», in Enc. dir., Annali, II, t. II, Milano, 2008, pag. 640, secondo cui, ai fini della disapplicazione di norme antielusive, occorre la verificazione necessaria di una fattispecie la quale include, tra i suoi elementi costitutivi, un atto dell’Agenzia delle entrate, che verifichi l’esistenza di determinate condizioni; Id., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, pag. 109. (15) P. Russo, Manuale di diritto tributario, cit., pag. 110. Sottolinea G. Fransoni, «Efficacia e impugnabilità degli interpelli fiscali con particolare riguardo all’interpello disapplicativo», in AA.VV., Elusione ed abuso del diritto tributario, a cura di G. Maisto, Milano, 2009, pag. 109 ss., spec. pag. 112, che, almeno in via astratta, non sembra potersi mettere in discussione l’immediata impugnabilità della risposta negativa all’interpello, la quale inciderebbe negativamente ed immediatamente nella sfera giuridica altrui. Secondo questo autore, la configurazione di tale azione si estrinsecherebbe in «un mezzo per poter agire immediatamente al fine della rimozione di uno stato di incertezza in ordine alla propria situazione giuridica e, al tempo stesso, idonea a procurare una pronuncia che dispiega comunque i propri effetti rispetto a tutti i periodi d’imposta per i quali è stata richiesta l’applicazione di uno specifico regime». Cfr. anche Id., «L’Agenzia delle entrate illustra la non impugnabilità delle risposte agli interpelli», in Corr. Trib. n. 14/2009, pag. 1131 ss. (16) Cfr., se si è ben inteso, M. Beghin, «Commento sub art. 37bis», in G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie, Padova, 2011, II, a cura di F. Moschetti, pag. 225; G. Ragucci, «Commento sub art. 19», in Codice commentato del processo tributario, a cura di F. Tesauro, Torino, 2011, pag. 319 ss.; R. Schiavolin, «Commento sub art. 19», in C. Consolo, C. Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2008, pag. 244. (17) M. Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2009, pag. 47. (18) Sulla tecnica di tutela cd. differita, cfr., per tutti, M. Basilavecchia, op. loc. cit., pag. 50, il quale sottolinea che la regola vale fondamentalmente per gli atti istruttori o preparatori rispetto agli atti dichiarati autonomamente impugnabili. Redditi Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 d’impresa IL PARERE DI ASSONIME avrebbe potuto, prima delconcessione concorre alla Beni in godimento ai soci l’intervento normativo in formazione del reddito come principio di inerenza esame, accertare un magplessivo del socio o familiaL’Assonime ha osservato che il comma gior componente di reddito re quale reddito diverso. 5 dell’art. 109 del T.U.I.R. è una norma in capo all’impresa, appliInoltre i costi relativi ai detgià di per sé idonea a escludere che cando il principio, affermati beni concessi per un corripossano essere computati in to dalla giurisprudenza delspettivo annuo inferiore al deduzione costi relativi a beni la Corte di cassazione, sevalore di mercato del diritto d’impresa destinati ad utilizzi condo il quale è possibile di godimento «non sono in personali e che la relativa disciplina si sindacare la congruità dei ogni caso ammessi in dedupone in rapporto di specialità con il componenti di reddito risulzione dal reddito imponibigenerale principio di inerenza, con lo tanti dalla contabilità e dalle». scopo di renderne più semplice e le dichiarazioni, in presenza L’Assonime ha osservato, immediata l’applicazione, regolandone di comportamenti antieconella circolare in esame, che in dettaglio il presupposto e il nomici dei contribuenti tra i soggetti concedenti non meccanismo di calcolo. Per i beni per rientrano quelli non residen(19). Con la nuova disciplii quali il T.U.I.R. già prevede ti, i quali possono, però, «rina si è inteso, evidentemenspecifiche regole che pongono limiti sultare intestatari di beni, te, eliminare dubbi e contealla deducibilità dei relativi costi magari situati nello stesso stazioni al riguardo e stabitrovano applicazione solo queste territorio nazionale, e funlire, in luogo della imponiultime. gere da “schermo” nei conbilità della differenza tra il fronti dei soci qui residenti corrispettivo e il valore norche possono continuare a beneficiare delle rela- male, la indeducibilità «in ogni caso» dell’intero tive utilità, senza incorrere nei rigori di queste ammontare dei costi sostenuti dalla società. nuove disposizioni e, soprattutto, senza “rivelar- Al riguardo è stato affermato (20) che «se un besi” al Fisco. Il problema naturalmente non ri- ne dell’impresa viene utilizzato dai soci o dai guarda il concedente estero, ma l’utilizzatore la familiari, vuol dire che non è inerente. Ciò sicui capacità contributiva resta “inespressa” (al- gnifica che, per principio generale, le spese e i meno per la parte riconducibile alla disponibilità costi che si riferiscono al bene non inerente sodel bene) e non potrà emergere neppure attraver- no indeducibili. Fare una norma come quella del so l’accertamento, ai sensi dell’art. 38 del decreto di Ferragosto 2011 vuol dire correre il D.P.R. n. 600/1973, di un maggior reddito sinte- rischio che beni assolutamente non inerenti ticamente determinato, tenuto conto che non so- dell’impresa (ad esempio, uno yacht intestato a stiene direttamente le spese relative al bene in una società che vende immobili) lo diventino ex godimento». lege» e sia, di conseguenza, consentita la deduÈ stato, inoltre, sollecitato l’intervento di chiari- zione delle spese se i soci pagano un corrispettimenti ufficiali in merito al caso delle società che vo «congruo». gestiscono porti turistici, nel quale normalmente Va, tuttavia, tenuto presente che qualora a fronte i soggetti interessati acquistano un pacchetto di dell’attribuzione del diritto di godimento del beazioni della società, che rappresenta uno specifi- ne venga conseguito dall’impresa un corrispettico posto ormeggio. In tal caso, l’utilizzo gratui- vo, la concorrenza di quest’ultimo alla formato del detto posto ormeggio sostituisce la distri- zione del reddito d’impresa impone di considebuzione degli utili che la società non realizzerà rare inerenti anche i relativi costi. mai, perché per sua natura avrà solo costi che i Note: soci dovranno coprire. Il principio di inerenza In presenza di un corrispettivo inferiore al valore del diritto di godimento del bene l’Ufficio (19) Si veda, al riguardo, G. Ferranti, «La prova dell’inerenza e le risultanze delle scritture contabili», in Corr. Trib. n. 36/2010, pag. 2929. (20) Da D. Deotto, «Le rettifiche non superano gli errori di fondo», in Il Sole - 24 Ore del 25 settembre 2012, pag. 21. 27/2013 2125 Redditi d’impresa Assonime, Circ. n. 17 dell’11 giugno 2013 L’Assonime ha osservato, nella circolare n. 17 del 2013 in commento (21) , che il comma 5 dell’art. 109 è una norma già di per sé idonea ad escludere che possano essere computati in deduzione costi relativi a beni d’impresa destinati ad utilizzi personali e che la disciplina in esame si pone, piuttosto, in un rapporto di specialità con il generale principio di inerenza, con lo scopo di renderne più semplice e immediata l’applicazione, regolandone in dettaglio il presupposto e il meccanismo di calcolo. Per beni per i quali il T.U.I.R. già prevede, invece, specifiche regole che pongono limiti alla deducibilità dei relativi costi trovano applicazione soltanto queste ultime. La comunicazione L’impresa concedente ovvero il socio o il familiare dell’imprenditore devono comunicare all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento, al fine di garantire l’attività di controllo. Il provvedimento direttoriale 16 novembre 2011, n. 166485, ha stabilito le modalità e i termini della comunicazione dei dati. L’Assonime ha osservato che la comunicazione 2126 27/2013 è divenuta un ulteriore strumento per la mappatura completa dei consumi e del patrimonio effettivamente a disposizione delle persone fisiche, utilizzabile ai fini della ricostruzione sintetica del loro reddito. Ciò in quanto l’Amministrazione finanziaria, «che pure già era in grado di conoscere, da altre banche dati, l’intestazione societaria di determinati beni (ad esempio automezzi, natanti, aeromobili, immobili), non conosceva tuttavia l’identità del beneficiario e la comunicazione colma questa lacuna». Sempre a fini conoscitivi, in ipotesi di quote intestate a una fiduciaria o a un trust, è necessario, pertanto, indicare come beneficiario del bene il fiduciante o il disponente trattandosi di ipotesi di detenzione indiretta di quote. È stato, inoltre, evidenziato che «fonti autorevoli dell’Agenzia hanno annunciato che vi sarebbe l’intenzione di escludere l’adempimento per i periodi precedenti a quello di prima applicazione della norma, ma si è ancora in attesa di chiarimenti ufficiali». Nota: (21) Par. 2.4.3.