TRA IMPRESE E ISTITUZIONI 100 ANNI DI ASSONIME Sintesi Volume 5 (a cura di Fulvio Coltorti) Grandi gruppi e informazione finanziaria nel Novecento Questo libro si occupa della finanza e cioè del capitale che l’impresa assorbe per la sua fondazione ed il suo funzionamento. Esso è costituito nelle due forme elementari dei mezzi versati dai soci e di quelli ottenuti dai creditori. L’uso del capitale attiene alla governance ovvero al complesso delle regole che disciplinano la gestione ed i rapporti con gli stakeholders. Il contenuto del volume ruota attorno a questi aspetti. Esso è strutturato in tre parti: 1) L’informazione finanziaria negli ultimi 100 anni: un profilo storico, autore Fulvio Coltorti (Area studi Mediobanca e Università di Firenze); 2) I grandi gruppi nel capitalismo italiano del 900, autori Andrea Colli (Università Bocconi di Milano) e Michelangelo Vasta (Università di Siena); 3) L’annuario dell’Assonime, a cura di Fulvio Coltorti e dell’area studi Mediobanca, contenuta nel DVD allegato al volume. La prima parte si occupa della produzione e diffusione dell’informazione finanziaria che coinvolge tre principali protagonisti: i) l’impresa, quale “sorgente” dell’informazione, regolata dalle norme codificate e dagli usi che stabiliscono che cosa debba essere reso pubblico e come; ii) i “canali di trasmissione”, ovvero i modi nei quali l’informazione prodotta dalla sorgente viene trattata adattandola alle esigenze operative dei vari stakeholders. Si tratta di coloro che filtrano i dati grezzi, li trattano e li integrano in insiemi atti a soddisfare determinati fabbisogni di conoscenza; sono gli analisti indipendenti e gli specialisti che lavorano all’interno di enti finanziari e istituzioni; iii) gli “interpreti”, che usano le informazioni integrate proponendosi scopi di politica economica, di analisi sociale o semplicemente di comunicazione al pubblico indistinto (economisti, politici, pubblicisti). I tre angoli visuali vengono sviluppati tenendo un filo rosso che prende lo spunto dalle norme dettate con le leggi nazionali e le direttive comunitarie. Sono così individuate quattro fasi sviluppate in altrettanti capitoli. La prima fase copre il secolo scorso fino agli anni Quaranta; prevaleva l’ “oscurantismo” poiché le informazioni finanziarie erano considerate alla stregua di segreti il cui svelamento metteva in pericolo la stessa sopravvivenza della società. La seconda fase iniziò con l’emanazione del nuovo Codice civile che nel 1942 impose una maggiore informativa senza risolvere il problema della significatività dei bilanci pubblicati dalle imprese. Nacque un nuovo importante giornale economico, 24Ore. Il maggior ruolo assunto dalla finanza risvegliò le attenzioni sulla stampa. Dopo un maldestro tentativo di presa di controllo da parte dei “politici”, la Confindustria decise di concentrare le principali testate all’inizio degli anni ‘50. Il gruppo del settimanale Il Mondo prese a contestare il potere monopolistico delle grandi società. Memorabili gli scontri tra Ernesto Rossi e il presidente di Confindustria Angelo Costa. Nella terza fase, il problema della veridicità dei bilanci venne risolto con le riforme all’inizio degli anni ’70. La riforma tributaria prima, e quella delle società poi, produssero una nuova “stagione”. Questo periodo, che comprende la profonda crisi dei grandi gruppi negli anni ’70, vide svilupparsi l’analisi finanziaria ed una nuova ed “illuminata” politica delle imprese nella divulgazione delle notizie rilevanti. Emersero i revisori professionali. Nel 1986 fu pure la volta di una nuova testata, Italia Oggi, che ruppe gli schemi del passato che avevano visto i giornali economici sempre relativamente vicini agli imprenditori. Scelse di stare dalla parte dei compratori dei titoli anziché da quella dei 1 venditori: una mission affascinante quanto impossible tanto che dopo nemmeno un anno i problemi finanziari imposero il cambio di rotta. L’ultima fase è quella dagli anni Novanta ad oggi. L’informazione finanziaria è aumentata notevolmente alla fonte perché sono cresciuti gli obblighi per le società, specie per quelle quotate. Direttive europee e azione della Consob hanno prodotto risultati impensabili all’inizio della nostra storia; le innovazioni tecnologiche aumentano la potenziale capacità di usare quei documenti. Ma nel contempo si sono sviluppati di numero e di importanza i “canali di trasmissione” il cui effetto è divenuto sempre più quello di “deformare” il segnale all’origine. Si decide di assumere una governance dei mercati basata sul neoliberismo di fede anglosassone. La finanza guadagna il centro dell’attenzione e l’informazione su di essa diventa cruciale. Il contesto in cui tutto ciò avviene è quello dei conflitti d’interesse. Essi nascono ab initio: nel momento in cui il revisore viene chiamato a certificare i conti dell’impresa che lo paga per farlo e quando le agenzie che valutano il merito finanziario dei titoli che le società emettono sono anch’esse pagate da quelle stesse emittenti. Gli analisti che elaborano quelle informazioni dimenticano i fondamentali e diffondono essenzialmente predizioni; essi sono dipendenti degli intermediari finanziari che traggono profitti dal collocamento dei titoli studiati. Scopriamo che è ancora possibile falsificare i bilanci tornando ai problemi di un secolo fa: ma la situazione pare aggravata perché allora si usava occultare utili e riserve, oggi perdite e deficit patrimoniali. Quanto alla governance della grande impresa, il neoliberismo chiede che la mission degli amministratori sia volta alla creazione di valore per gli azionisti; ma pochi si curano dei risultati. I cinque capitoli presentano una ricostruzione, arricchita di inediti, delle vicende e dei protagonisti dell’informazione. Dalla prima “luce”, accesa nel 1908 dall’annuario del Credito Italiano, ripreso nel 1928 dall’Assonime, alle degenerazioni di Enron, Parmalat e degli analisti americani negli anni 2000, passando per le scalate bancarie degli anni ’20 e i libri “cult” della finanza. La seconda parte del volume è dedicata all'approfondimento delle caratteristiche strutturali dei grandi gruppi industriali italiani. La fase più intensa dello sviluppo del Paese, a partire dagli anni successivi al primo conflitto mondiale, ha infatti visto l’affermazione di tale forma organizzativa, attraverso una rete di partecipazioni azionarie tra società, generalmente corroborate dall'interscambio di consiglieri d'amministrazione (interlocking directorates). Il gruppo industriale presenta una struttura apparentemente diversa da quella che distingue, nel medesimo periodo storico, le dinamiche di crescita delle grandi imprese verticalmente e orizzontalmente integrate, presenti soprattutto oltreoceano. Queste si sono avvalse di organizzazioni di matrice funzionale e successivamente multi divisionale in capo ad una singola persona giuridica (la corporation) e governate da un'ampia gerarchia manageriale che risponde delle proprie azioni a un board eletto dagli azionisti. Nel caso del gruppo industriale la crescita è invece perseguita tramite la progressiva aggregazione di unità giuridiche separate, legate fra loro da rapporti di partecipazione azionaria, il cui top management è caratterizzato da una indipendenza formale maggiore di quella dei dirigenti delle grandi corporation statunitensi. Lo strumento del gruppo, che risponde ad una serie di altre finalità di matrice ad esempio fiscale, appare storicamente diffuso nella maggioranza dei Paesi non anglosassoni, Asia compresa, dove costituisce ancora oggi la forma prevalente di evoluzione della grande impresa industriale. Nel caso italiano, il fenomeno assume, nel corso del Novecento e fino ad oggi, un rilievo in termini di diffusione e peso economico difficilmente rintracciabile altrove. Lo strumento del gruppo è stato, ad esempio, ampiamente utilizzato nel processo di costruzione della grande architettura del capitalismo industriale a controllo pubblico, secondo dinamiche sorprendentemente analoghe a quelle che caratterizzano oggi l'espansione delle imprese pubbliche cinesi. A tale rilevanza non corrisponde, tuttavia, un adeguato approfondimento della ricerca storica. In parte ciò deriva dalla cronica e irreparabile assenza di informazioni che consentano di stabilire con certezza il raggio e l'intensità dei rapporti azionari che legano le imprese appartenenti al medesimo raggruppamento. Come mostrato nella prima parte a proposito dell'informazione finanziaria, è infatti possibile disporre di conoscenze 2 adeguate sulla composizione dei grandi gruppi italiani solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso: tutta la fase precedente, che coincide peraltro con l'affermazione in Italia dei settori di grande impresa, soffre di una grave carenza di informazioni. In questa seconda parte ci si è proposti di superare le lacune informative attraverso un processo induttivo, ricostruendo la composizione dei principali gruppi industriali del Paese mediante la tecnica degli interlocking directorates. Ciò è stato fatto per anni benchmark (1921, 1936, 1951, 1961, 1971 e 1983) utilizzando il database Imita.db, costituito presso l’Università di Siena acquisendo i contenuti dell’annuario Assonime (illustrato in dettaglio nella terza parte di questo stesso volume). Imita.db rende disponibili via internet i dati di bilancio e la composizione dei consigli d'amministrazione delle principali società per azioni italiane; a valere su queste informazioni, per la prima volta, è stata operata una ricostruzione su base scientifica dei perimetri dei gruppi italiani analizzando i legami "forti" segnalati dalla compresenza in più società di figure apicali (quelle che ricoprivano la carica di presidente e amministratore delegato). E’ stato così possibile riesporre negli anni benchmark la lista dei gruppi di maggiore rilevanza con le grandezze di bilancio disponibili (in particolare, il totale degli attivi). Il loro peso in termini economici sul totale del settore manifatturiero descrive una sorta di parabola: tende prima a crescere e poi a mantenersi elevato sino al 1960; nel 1972 e nel 1983 è già evidente un forte ridimensionamento. A tale fase analitica, gli autori fanno seguire considerazioni qualitative classificando tipologie e categorie all'interno delle quali vengono posizionati tali gruppi: la proprietà familiare e pubblica, la monosettorialità, le forme miste, i gruppi piramidali e diversificati; a ciascuna di tali tipologie sottostanno differenti strategie di crescita e di gestione. La terza parte, compresa nel DVD allegato al volume, ripercorre la storia dell’annuario dell’Assonime, nato dall’iniziativa del Credito Italiano nel 1908. Esso da un lato racconta le persone e le ragioni che hanno distinto quella pubblicazione, tenuta come principale opera di riferimento da diverse generazioni di banchieri, analisti, studiosi e politici. Dall’altro lato riepiloga i dati delle oltre 200 principali società italiane dell’ultimo dopoguerra (1949-1984). Ne viene fornita la lista accurata che comprende nomi storici e blasonati come l’Edison e gli altri grandi elettrici, la Montecatini, l’Ansaldo, la Fiat e l’Alfa Romeo, le grandi società di navigazione progressivamente sostituite dagli altri mezzi di trasporto, la Breda, l’Ilva, le grandi società dell’Iri e dell’Eni; molte di loro erano a capo dei maggiori gruppi individuati nella seconda parte del volume. Per la prima volta, un DVD rende disponibili informazioni di grande interesse su questi 200 “grandi”: le schede originarie pubblicate nei repertori annuali dell’Assonime ed una banca dati di bilancio estraibile e lavorabile. E’ possibile individuare le imprese sulla base di numerosi parametri, digitando parte della denominazione oppure richiamando il settore di appartenenza. L’intera base dati è estraibile ed esportabile in un foglio elettronico. Particolare cura è stata dedicata ai “numeri” di questi bilanci, i quali sono stati rivisitati ex-novo dagli specialisti dell’area studi di Mediobanca. E poiché nelle schede pubblicate il dare e l’avere non sempre quadravano, si è cercato di risalire ai documenti originali correggendo ove possibile i refusi di stampa. Il tasso di errore è stato così ridotto a meno del 3%. Una sezione del DVD riporta infine l’elenco integrale delle cariche sociali che l’Assonime pubblicò nel suo ultimo repertorio, quello del 1984. Si tratta di un Chi è che rappresenta un unicum: vi furono registrati oltre 43.000 nominativi di amministratori, sindaci e direttori generali. Essi sono rintracciabili digitando tutto o parte del nome oppure la denominazione della società nella quale avevano cariche. In sintesi, questo quinto volume soddisfa numerose finalità: in primo luogo quelle della ricerca storica attraverso la riesposizione di un contesto informativo di grande qualità, spesso inedito, e la prima individuazione “scientifica” dei maggiori gruppi italiani e delle rispettive modalità operative. In secondo luogo quelle della ricerca economica poiché consente di valutare a fondo le dinamiche evolutive delle grandi società italiane e di capirne i percorsi di crescita e di regresso. Infine, il libro vuol proporre un contributo per la revisione critica della governance delle grandi imprese italiane; senza tale revisione riteniamo difficile recuperare un ruolo delle big firms che appare sempre più mancante nel quadro dello sviluppo economico e sociale del Paese. 3 4