l`architettura, la decorazione ei restauri

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LUOGHI D’ARTE
L’Oratorio di N.S. Assunta
di Coronata: l’architettura,
la decorazione e i restauri
di Gianni Bozzo
Le prime notizie sull’oratorio di Coronata,
quelle relative alla visita apostolica
di Mons. Francesco Bossio, del 1582, possono
essere ricollegate al bel portale in marmo
e pietra rosa di Finale, tuttora presente,
che può così essere datato.
L’
eleganza della fattura del portale, con lesene di ordine ionico in marmo e pietra
rosa, è ribadita dalla ricercatezza di taluni dettagli, come ad esempio, le multiple
profilature a voluta che raccordano inferiormente la nicchia all’architrave. Le
molte modifiche subite dall’edificio non hanno mutato in nulla questo elemento, che a noi
piace ricondurre alle costruzioni cinquecentesche presenti sulla collina di Coronata, come
la villa Asplanati Morselli, la villa Guelfi Serena Custo, dal portale a bozze a diamante, sempre in pietra rosa. Sappiamo che l’oratorio fu ricostruito completamente nella prima metà
del secolo XVII, evidentemente col reimpiego del portale precedente, che, per la sua natura,
ben si prestava ad essere smontato e ricollocato. Nel compromesso, stilato il 29 settembre
del 1643, tra i fabbricieri e il Marchese Raffaele De Ferrari, può leggersi, tra l’altro, che fu
demolita la parte anteriore dell’oratorio. Artefice fu l’architetto sampierdarenese Michele
Scaniglia1. L’architettura dell’oratorio è semplice ed essenziale; l’ambiente, ad aula unica,
presenta pareti portanti da cui si dipartono gli arconi in mattoni (o di pietra e mattoni) sottesi da catene che costituiscono l’ossatura strutturale dell’edificio e tra cui si distendono le
finte volte in canniccio sostenute da centinature in legno. Nel 1705, come ricorda una lapide sopra il portale laterale, l’oratorio può dirsi concluso e decorato, almeno in una sua
prima fase. Alla seconda metà del Seicento, sono certamente da riferire i resti di affreschi, al
di sotto del dipinto di Badaracco raffigurante la Flagellazione nella parete dell’oratorio, con
scene della Passione di Cristo; difficile individuare l’autore dei dipinti, ma non il momento
in cui collocarli, come già detto, nè il gusto che li pervade, ancora prossimo alle tipologie
decorative del Tavarone dell’oratorio pegliese dei Santi Nazario e Celso. Significativa la notizia che nel 1724, mediante apposito atto notarile, i marchesi De Ferrari cedono alla confraternita le stanze sottostanti la fabbrica allo scopo di risolvere i fenomeni di umidità che coinvolgevano il presbiterio. In realtà, la questione della dislocazione nel tempo degli interventi
decorativi dell’oratorio non è così semplice; Caminata e Benozzi2 argomentano che, essendo morto Gio. Raffaele Badaracco nel 1717 e non come tradizionalmente si riteneva nel
A fronte
Foto d’epoca
che documenta i gravi
danni subiti
dall’Oratorio a seguito
del bombardamento
del 4 giugno del 1944
(Archivio SBAP).
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LUOGHI D’ARTE
L’Oratorio di N.S.
Assunta di Coronata
in una foto storica
(Archivio SBAP).
In basso
L’elegante portale
cinquecentesco.
1726, e dovendo le cornici a stucco essere state predisposte prima della collocazione dei quadri, le decorazioni devono essere anticipate di un decennio rispetto a quel 1726-1728, che è
data che tutti gli autori assumono come quella della verosimile conclusione delle ornamentazioni dell’edificio. Ora, il ciclo del Badaracco è opera complessa, capitale per il pittore, ma,
proprio per questo, è impresa tale da aver assorbito l’artista abbastanza a lungo e, è lecito
supporre, non negli estremi anni di vita; abbiamo di ciò conferma puntuale in un documento, che riferisce il ciclo al 1697. Questa è data estremamente precoce per le decorazioni,
che, sulla scorta di un’analisi stilistica, devono farsi risalire alla metà del secolo XVIII o al
sesto decennio. Difficile anche ipotizzare un’esecuzione posticipata degli stucchi rispetto
alle tele, perchè l’ardita e ricercata centinatura di queste ultime deve leggersi come «predisposizione» o ripercussione in esse dell’avvolgente e capziosa decorazione che interessa tutte
le pareti. Ed è questione dalla quale non è facile uscire, a meno di non voler ipotizzare un’azzardata (ma non assurda, nè illogica) operazione di risagomatura delle grandi tele a seguito del trafugamento degli Austriaci, in coincidenza del ritorno delle stesse e di attestati lavori di ridecorazione del complesso dopo il 1747, che è riferimento cronologico più congruo
con gli stucchi medesimi, anzi il solo che consenta di far tornare i conti e le date.
Si postula, in altri termini, un’originaria configurazione rettangolare delle tele, da cui, con
un’abile e ardita operazione di ritaglio, si sarebbero ricavate le attuali silhouette che sono
diverse tra loro, più prossime all’originario formato quelle maggiori, più articolate e audaci
quelle più piccole, tra cui il Compianto e la Preghiera nell’Orto.
In fondo, nulla si oppone a questa operazione, che risulterebbe analoga a quella che, in
numerosi edifici, si è attuata, in questo stesso momento storico, su cicli di affreschi antichi,
mediante, appunto, il ridisegno dei profili e le nuove dinamiche cornici rococò: possono
citarsi, a mo’ di confronto, gli affreschi di Luca Cambiaso in palazzo Doria di Via Garibaldi,
quelli dello stesso pittore in palazzo Lercari nella stessa strada, alcuni affreschi del Fiasella in
palazzo Lomellini Patrone e la serie potrebbe continuare.
Negli stucchi della prima metà del secolo XVIII, è da riconoscere una struttura architettonica più lineare e «costruita», laddove in quelli della metà o della seconda metà del secolo, si
accentua la libertà esecutiva e d’invenzione, che talvolta addirittura si libera dai lacci della
simmetria si badi, rispettata ed anzi postulata, per solito, dalla trama degli ornati, per attin22
LUOGHI D’ARTE
gere esiti di assoluta frantumazione delle linee e delle superfici nell’andamento, apparentemente arbitrario, delle «pelacette».
L’invasione austriaca della Valpolcevera del 1746 ha avuto per il nostro oratorio effetti dirompenti; le tele del Badaracco furono trafugate e l’interno dell’edificio devastato. Il Ratti ricorda come i confratelli, con grandi spese e fatiche, riuscissero a riaverle, estremamente guaste e
malconce e come le facessero male restaurare da «pennello poco esperto».
In realtà, noi dobbiamo riconnettere al saccheggio austriaco e al trafugamento dei dipinti un
generale processo di ridecorazione dell’interno, che può aver comportato, come già detto, la
risagomatura delle tele del Badaracco, il nuovo assetto decorativo degli stucchi delle pareti e
la ridefinizione delle quadrature e degli stucchi che circondano il grande affresco di Giuseppe
Palmieri col Giudizio Universale.
Un documento rileva, nel 1776, un debito onerosissimo per la confraternita, destinato a trasferirsi a vari successivi priori e che il nostro sodalizio fatica in modo evidente a rifondere; pur
in assenza di espliciti riferimenti, dobbiamo assumere tale notizia come riscontro di questi
generali, onerosi lavori di ridecorazione interna, in cui sono all’opera maestranze, attive in
questi stessi anni al santuario e collegabili agli artefici che operano nei complessi di villa Della
Rovere Gavotti e Durazzo Faraggiana ad Albisola, nonchè nella Cappella Sistina a Savona. Ora,
in particolare, possono istituirsi confronti tra la cantoria dell’oratorio e quella della cappella
Gli affreschi nella volta
del presbiterio durante
i restauri 1995-97.
della villa Gavotti; l’andamento lievemente mosso del parapetto imprime alle specchiature
quell’impronta dinamica che si ripercuote nel vivacissimo movimento degli stucchi.
Rileviamo, tra l’altro, che il motivo decorativo dei parapetti è pressoché identico nei due edifici: si tratta di trofei di strumenti musicali sospesi al bordo superiore delle specchiature,
mediante vaghissimi nastri accartocciati. Questo elemento può valere ad indicare una identità di maestranze ideatrici ed esecutrici delle decorazioni. In realtà, il motivo diviene, nei decenni seguenti, assolutamente tipico, almeno dell’ambito lombardo e, a tale proposito, si considerino i disegni di G. Maggiolini, G. Levati, A. Appiani, R. Albertolli, conservati nella Civica
Raccolta di Stampe «A. Bertarelli» di Milano. Per il nostro oratorio, si dovrà ricordare la presenza a Cornigliano dell’importante cantiere di villa Durazzo Bombrini, a proposito del quale
scrive la Collu: «Con evidente riferimento stilistico e cronologico, ci sembra, in particolare, di
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LUOGHI D’ARTE
In queste pagine
Ignoto plastificatore
del secolo XVIII,
Angeli della parete
abisdale prima e dopo
il restauro.
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poter stabilire precisi punti di confronto nella decorazione
interna di entrambi gli edifici; infatti, gli aerei trofei con elementi vegetali che sottendono, sospesi a nastri, strumenti
musicali della camera degli stucchi di Albissola sono evidentemente ispirati dagli stessi modelli e repertori decorativi
della decorazione plastica dell’atrio della Villa di Cornigliano
e non è improbabile che fossero eseguiti dagli stessi plasticatori attivi per i Durazzo»3. Il restauro degli stucchi, ma ancor
prima l’attento esame delle superfici degradate, ha consentito di svolgere alcune osservazioni sulla loro tecnica esecutiva,
che riteniamo di notevole interesse. Gli stuccatori, operata
una generale squadratura della parete, (asse centrale di simmetria e linee rette in corrispondenza dei riquadri) provvedevano a tracciare, con grafite o carboncino molto morbido,
i motivi ornamentali veri e propri, cioè le cosiddette «pelacette»; in un momento immediatamente successivo, venivano stese le cornici rettilinee con l’aiuto di una modina in
metallo, mentre gli ornati più capziosi erano realizzati, in
malta di calce, con le dita e la stecca, dal maestro, veramente
qui nei panni di un virtuoso musicista, esecutore, hic et nunc,
del suo pezzo di bravura. Non necessariamente gli stucchi
erano dorati, anzi, il confronto istituito con le grandi ville
albissolesi dice che, di norma, gli stucchi erano policromi,
con sporadici rialzi dorati; qui propendiamo per ritenere originali le dorature, in quanto l’opera dei plasticatori interviene in un contesto già definito, per cui, oltre ai vertiginosi frastagli del modellato, si confidava sull’effetto amplificante
delle dorature. Il recente restauro degli affreschi e degli stucchi ha permesso di appurare, a proposito della compagine
decorativa della volta, che le quadrature a corredo e incorniciatura degli affreschi sono state completamente ridipinte,
con modifiche sostanziali nell’andamento delle partiture, di
cui ancora affiorano le incisioni sull’intonaco. In particolare,
le finte architetture costituenti i troni delle figure allegoriche, poste in coincidenza delle quattro introflessioni dell’allungato e complesso campo ospitante il Giudizio, risultavano totalmente alterate, da motivi apparentemente tardosettecenteschi ma probabilmente risalenti al
secolo successivo; comunque, al di sotto di tali ridipinture, affiorava chiaro il segno dell’incisione originale sull’intonaco, tanto, che, anche in relazione alla maggior robustezza del buon
fresco, è stato possibile recuperare le quadrature primitive, composte, tra l’altro, da splendide
e carnose volute che concludono i finti piedistalli su cui le figure sono assise e che ricordano
assai da presso quelli delle immagini allegoriche di Francesco Maria Schiaffino nel deposito di
Santa Caterina Fieschi Adorno nell’Annunziata di Portoria in Genova. Le figure allegoriche
sono in numero di otto e sono poste in corrispondenza degli innesti degli archi strutturali nei
muri perimetrali, giunto sottolineato dalle catene in ferro di rinforzo. La complessa compagine iconografica prevede una Gloria d’angeli al di sopra della parete absidale, quindi un grande arcone intensamente decorato con tre monocromi in finto bronzo raffiguranti la Fede e la
Speranza nonchè Giuditta con la testa di Oloferne. Ricordiamo che il tema della ghirlanda di
angeli in volo appartiene al novero delle più felici invenzioni di Domenico Piola, che propone tale soggetto nella cappella dell’Immacolata nella SS. Annunziata del Vastato, nel catino di
LUOGHI D’ARTE
San Luca e nel piccolo, delizioso affresco della volta della
cappella del palazzo di Domenico Grillo in piazza delle
Vigne 6, a Genova.4 Abbiamo poi la grande medaglia centrale col Giudizio Universale già ricordato e quindi un altro
arcone con altri tre monocromi, di carattere simbolico. Sul
pittore Giuseppe Palmieri, si sono avuti importanti e recenti contributi ad opera di Rita Dugoni, esiti di una tesi sul pittore, risalente all’anno accademico 1987-19885. I connotati
artistici del pittore, particolarmente gradito ai Cappuccini
ed autore di numerose opere nelle loro chiese, sono sostanzialmente riconducibili all’influsso su di lui esercitato da
Domenico Piola, rafforzato ed arricchito dalla conoscenza
approfondita della pittura classicista del coevo ambiente
romano, Maratta innanzitutto, di cui non pochi pittori liguri di fine Seicento hanno subito il fascino. Convincenti e
suggestive appaiono le argomentazioni di Dugoni allorchè
mette in rapporto la chiarezza compositiva del Palmieri e la
quasi didattica evidenziazione dei moti delle immagini con
le esigenze catechistiche dei Cappuccini, rivolte ad un
«volgo» di scarsa istruzione, facile alla suggestione e, come
tale, da ammaestrare con discorsi semplici. Non diverso il
giudizio sulla produzione ad affresco del Palmieri, in cui il
pittore si avvale dell’esperienza «scenografica», maturata
nella consuetudine con il quadraturista Aldovrandini, di
origine emiliana e classicista egli stesso.
Le vicende conservative dell’Oratorio
Come già detto, all’Ottocento risalgono essenzialmente gli
interventi di parziale ridipintura di molte parti dei complementi decorativi della volta, in cui si nota una profusione di
fiori, ghirlande ed altri elementi decorativi, di non eccelsa
esecuzione e aventi un evidente valore di riempitivo. Il
Novecento, oltre alla dispersione di non pochi arredi originali, deve registrare i gravissimi
danni subiti dall’edificio nella seconda Guerra Mondiale. A seguito del bombardamento
aereo del 4 giugno 1944, infatti, i locali annessi all’oratorio, sul lato destro, sono crollati e lo
stesso muro risulta colpito con tale violenza da strapiombare verso l’interno, per cui è stato
necessario puntellarlo immediatamente. Impossibile un recupero della compagine decorativa interna, che infatti è stata rifatta, utilizzando il sistema della calcatura in gesso; la ricostruzione, curata da Carlo Ceschi, era già conclusa, per le parti strutturali, nel 1945; con l’occasione, l’oratorio fu completamente ridipinto, già in precedenza privato del colore originale, tanto che, nel corso dell’ultimo intervento, si è faticato non poco a rinvenire minuscoli
lacerti della coloritura settecentesca, allo scopo di riproporla. Le tonalità scelte nei ripristini
del dopoguerra hanno fatto salve, in senso molto lato, le cromie trasformandole però, di
fatto, in tutt’altro registro. Ulteriori problemi statici si sono determinati, nell’oratorio, tra il
1960 e il 1963, a seguito della realizzazione della galleria autostradale che sottopassa la collina di Coronata. In conseguenza di ciò, il Provveditorato alle Opere Pubbliche della Liguria
ha attuato un consolidamento fondale, mediante una serie di micropali (1978), operando
altresì il rifacimento del manto di copertura (1980). In anni recenti, si collocano gli interventi
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LUOGHI D’ARTE
della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Liguria, che, su progetto e
direzione lavori dell’arch. Maria Di Dio6, sono valsi a restaurare gli esterni dell’edificio, a
bonificare dall’umidità il substrato del pavimento e a rifare quest’ultimo con marmi simili
agli originali. Purtroppo, nel 1982, ignoti ladri si introducevano nell’oratorio, rubando il
grande dipinto con l’Assunta del Badaracco e altre due tele dello stesso artista, poste verso
l’ingresso, raffiguranti la Deposizione e l’Orazione nell’orto, provocando un gravissimo
danno alla compagine decorativa dell’edificio.
Descrizione dello stato di conservazione e considerazioni sul restauro
I lavori di restauro degli affreschi sono stati eseguiti dalla Ditta «Patrizia De Valle» di Savona,
mentre il restauro degli stucchi si deve alla Ditta «Boj Restauri Snc» di Genova. I dipinti del
Badarocco sono stati restaurati da Nino Silvestri, mentre sulle parti lignee sono intervenuti
Franco Aguzzi e Maria Prifumo. L’affresco della volta si presentava assai degradato, principalmente per la grande quantità ed estensione delle fratture, alcune con un forte dislivello tra
i due lati, degrado cui si aggiungeva, in certe zone, la totale perdita di pellicola pittorica e di
intonaco, tuttavia anche altre parti, nonostante un apparente discreto stato di conservazione,
celavano pesanti interventi di ridipintura. Completamente rifatta, con cambiamenti notevoli nella composizione originale, risulta la zona più scura con figure, dalle tonalità disarmoniche rispetto alle autentiche, con aggiunte a secco, senza disegno preparatorio. In questo caso
è risultato impossibile recuperare la pittura autentica. Altre ridipinture negli angeli tubicini,
a destra, con aggiunte nelle tonalità verde oliva e terra di Siena, assolutamente spurie e qui si
è attuato un alleggerimento, essendo impossibile un recupero totale; aggiunte probabilmente ottocentesche, sono risultati i due angioletti a destra della croce, mentre rifatti e di pessima esecuzione sono i tre puttini a fianco. Sotto il primo strato, si intravede l’affresco originale con il disegno da cartone, con figurazione diversa a testimonianza che questa zona è
stata modificata, fino ai piedi delle figure di santi e sante, che risultano invece autentiche,
come l’arcangelo Michele, l’angelo a fianco, la croce, Dio Padre e qualche altra figura solo
parzialmente ritoccata.
NOTE
1. Sugli Scaniglia architetti, cfr. E. Poleggi – P.
Cevini, Le città nella Storia d’Italia. Genova, Bari,
1981, fig. 75 si tratta della riproduzione del
Modello o sia pianta di Genova, del 1656 opera di
G.B. Garrè, Stefano Scaniglia, Pietro Antonio
Corradi, Gio Battista Bianco, Antonio Torriglia,
Gio Battista Ghiso, Gio Battista Storasio, Gio
Battista Torriglia. (La planimetria, conservata presso la Collezione Topografica del Comune di
Genova è stata riprodotta, nel 1786, dall’arch.
Giacomo Brusco).
2. P. Benozzi – A.M. Caminata, L’oratorio di N.
Signora Assunta, Genova, 1999, pp. 27-35.
3. Per una panoramica di questa produzione, è
ancora valido: G. Morazzoni, Stucchi italiani.
Maestri genovesi dei sec. XVI-XIX, Milano, 1959,
tavv. IV-XCV, in particolare, tavv. LXXXIX, XC,XCI.
Cfr R. Collu, Villa Durazzo Faraggiana Albisola
Marina, Genova, 1992, pp. 30-31. Su villa Durazzo,
cfr. F. Bonora, Il palazzo Durazzo Bombrini in
Cornigliano, un’architettura francese a Genova,
Genova 1991, in part. p. 116 e nota 50.
4. Cfr. E. Gavazza, Il momento della grande decorazione, in AA.VV, La pittura a Genova e in Liguria dal
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Seicento al primo Novecento, Genova, 1971, pp.
257-261, fig. 181
5. R. Dugoni, Giuseppe Palmieri: ricerche per un
catalogo dell’opera pittorica, tesi di laurea, Università
di Genova, anno acc. 1987/88; id. Di Giuseppe
Palmieri (1677-1740): pittor dei Cappuccini, in
Quaderni Franzoniani. Studi in onore di P. Cassiano
da Langasco, anno II, n. 2, luglio-dicembre 1989, pp.
107-120; ead. Una tessera nella pittura del Settecento
a Genova: gli affreschi di Giuseppe Palmieri, in
Bollettino Ligustico per la storia e la cultura regionale, anno III, 1991, pp. 21-30.
6. Cfr. M. Di Dio, Oratorio di Nostra Signora
Assunta di Coronata, in L. Pittarello (a cura di),
Relazione su cento lavori. L’attività di cantiere della
Sorpintendenza per i Beni Ambientali e
Architettonici della Liguria, 1982-1993, GenovaBologna, 1996, p. 69.
Per riassumere la situazione di spesa e dar conto dei
finanziamenti impiegati, forniamo il seguente schema:
1982, L. 46.000.000; 1983, L. 25.000.000;
1985, L. 25.000.000; 1987, L. 100.000.000;
1994, L. 200.000.000; 1994, L. 13.000.000;
1995, L. 100.000.000; 1996, L. 150.000.000;
1997, L. 200.000.000; 1998, L. 80.000.000;
1999, L. 80.000.000.
LUOGHI D’ARTE
Gio Raffaele Badaracco,
Flagellazione di Cristo,
dopo il restauro.
Gio Raffaele Badaracco,
L’istituzione
dell’Eucarestia,
dopo il restauro.
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