le reciproche “incidenze” tra processo amministrativo e

LE RECIPROCHE “INCIDENZE” TRA PROCESSO AMMINISTRATIVO E
PROCESSO COSTITUZIONALE
Nicola Pignatelli
SOMMARIO: 1. Una ipotesi di incidenza “debole” del processo amministrativo sul processo costituzionale: il rinvio
dell’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato. - 2. Una (diversa e) “problematica”
incidenza sul processo costituzionale (in via incidentale): l’iniziativa giudiziale, i motivi del ricorso e l’affievolimento del
principio iura novit curia nel processo amministrativo. - 3. Il sollevamento ex officio della questione di costituzionalità: l’eco di
un trauma processuale. - 4. I limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità: l’incidenza del ricorso sulla
rilevanza. - 5. Lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale. - 6. Talune ipotesi di cedimento delle limitazioni
derivanti dal principio della domanda. - 7. Un riscontro: l’annullamento dell’atto amministrativo a seguito di una
dichiarazione di illegittimità costituzionale. - 7.1. Ancora una volta il cedimento dei limiti. - 8. La questione di costituzionalità
come motivo (unico) di ricorso e l’illegittimità soltanto sperata. - 9. La questione di costituzionalità proposta come eccezione
al di là dei termini di decadenza. - 10. Una notazione di sintesi.
1. Una ipotesi di incidenza “debole” del processo amministrativo sul processo costituzionale: il
rinvio dell’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato
Il binomio “processo costituzionale-processo amministrativo” evoca con una certa immediatezza,
passando in rassegna la letteratura, tre problematiche classiche sulle quali la dottrina costituzionalista da
tempo si è soffermata: (a) la necessità di coordinamento tra il giudizio amministrativo e il conflitto
intersoggettivo quando l’atto amministrativo impugnato sia il medesimo, (b) la praticabilità
dell’attivazione incidentale del controllo di costituzionalità in sede cautelare(-sospensiva), (c) la
definizione della natura del rinvio operato dall’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura
innanzi al Consiglio di Stato (r.d. 642/1907) come modello di disciplina del «procedimento»
(giurisdizionale, rectius del processo costituzionale).
Le prime due problematiche esulano dalla nostra indagine. Attraverso invece lo studio della terza si
potrebbe pensare di misurare l’incidenza delle regole del processo del giudice amministrativo sul
processo della Corte costituzionale, di apprezzare la intensità della compatibilità tra i due giudizi e
quindi la resistenza della omogeneità presupposta dal legislatore del ’53; in definitiva si potrebbe andare
alla ricerca di ciò che sopravvive del giudizio amministrativo (nel giudizio costituzionale1) dopo il
trapianto delle regole attraverso il rinvio. Crediamo però che questa prospettiva, già battuta, ne offuschi
un’altra, meno battuta, alla luce della quale sembra apprezzabile un impatto più incisivo (certamente
peculiare) della struttura del processo amministrativo sull’altro. Tuttavia, andando per ordine, prima di
affrontare le ragioni di tale incidenza (§ 2 ss.), diremo qualcosa sulle ragioni della incidenza “debole”.
E’ noto come l’art. 14 e l’art. 22 l. 87/1953 concorrano a definire (anche se non a fondare2) il potere
auto-regolamentare della Corte, la sua auto-nomia, prevedendo (la prima disposizione) in via generale
che la Corte può disciplinare l’esercizio delle sue «funzioni» con regolamento approvato a maggioranza
e (la seconda disposizione) in via particolare3 che norme ulteriori possono essere stabilite nel
1 La stessa l. 87/1953 sembra evocare una nozione sintetica, unitaria di processo costituzionale, alludendo nell’art. 22 ad
un procedimento (unico) davanti alla Corte. Per quanto non sia «facile parlare di un processo costituzionale come dato
unitario» tuttavia sembra possibile essendo rilevabili alcune «tendenze comuni» (così A. CERRI, Corte e processo costituzionale, in
Foro it., 2006, V, 310), pur con l’«assillo di essere prudenti» (così V. ANGIOLINI, Processo giurisdizionale e processo costituzionale, ivi,
1995, I, 1085).
2 Prevale in dottrina l’idea che sussista un fondamento costituzionale implicito del potere regolamentare derivante dalla
posizione della Corte costituzionale nel sistema; in questa logica la l. 87/1953 assume un valore meramente ricognitivodichiarativo di tale potestà (primaria). Così A. RUGGERI, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperineza costituzionale, I,
L’ordinazione in sistema, Torino, 1993, 199. Per una sintesi delle posizioni della dottrina cfr. P. CARNEVALE, «Ecce iudex in
ca(u)sa propria»: ovvero della Corte-legislatore dinanzi alla Corte-giudice (prime riflessioni sulla posizione della giurisprudenza della Corte
costituzionale intorno al problema della natura delle norme di autoregolamentazione dei propri giudizi nel quadro del dibattito dottrinario), in P.
COSTANZO (a cura di), L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, Torino, 1996, 35 ss.
3 Sul rapporto di genus et species intercorrente tra l’art. 14 e l’art. 22 cfr. S. PANUNZIO, I regolamenti della Corte
costituzionale, Padova, 1970, 18 ss.
1
regolamento al fine di integrare (si legge nella lettera) la disciplina del «procedimento» del r.d. 642/1907,
reso operativo attraverso il rinvio. Quanto a quest’ultimo profilo, la straordinarietà4 di un giudice che
fissa (o concorre a fissare) le regole del proprio processo ha portato con sé un problema relativo alla
definizione degli spazi rilasciati alle N.I. rispetto al contenuto del regolamento di procedura dinanzi al
Consiglio di Stato, richiamato dall’art. 22, 1° comma. Sin dagli esordi della Corte costituzionale si è
posta l’alternativa tra due antitetiche composizioni: l’una in cui le norme “ulteriori” (previste dall’art. 22,
2° comma) sarebbero integrative in senso stretto del r.d. 642/1907, che rappresenterebbe il modello
esclusivo del processo costituzionale, sottoposto ad eventuali specificazioni, implementazioni disposte
dallo stesso giudice costituzionale attraverso tali norme5; l’altra in cui le norme “ulteriori” sarebbero
invece espressione di un potere regolamentare svincolato (o per lo meno svincolabile) dal r.d.
642/1907, soltanto cedevole e sussidiario alle mancanze della regolamentazione della Corte. Due
ricostruzioni inverse alla luce delle quali l’innesto delle regole del giudizio innanzi al Consiglio di Stato è
concepito alternativamente come “automatico” o come “eventuale”.
Sembra evidente come la prima logica abbia ceduto (a favore della seconda) dinanzi alla
interpretazione che la stessa Corte costituzionale ha dato del proprio potere di auto-regolamentazione
esercitato peraltro non soltanto (come “legislatore”) attraverso l’approvazione a maggioranza delle N.I.
ma anche (come “giudice”) attraverso la concreta gestione di taluni giudizi6 (dando vita ad un diritto
giurisprudenziale processuale, integrativo delle stesse norme integrative). La Corte ha infatti valorizzato
l’inciso «in quanto applicabili» contenuto nell’art. 22, 1° comma, e riferito alle norme del regolamento
innanzi al Consiglio di Stato, esercitando la titolarità del giudizio di applicabilità, quindi un giudizio di
comparazione tra la struttura del processo amministrativo e quella del processo costituzionale7; per altro
lo stesso art. 22 contiene un’altra parola gravida di significati prevedendo infatti che «Nel procedimento
davanti alla Corte costituzionale (…) si osservano, in quanto applicabili, anche le norme» del r.d.
642/907, ma non esclusivamente e non principalmente quelle.
Così quando la Corte ha operato come «organo legislativo speciale»8, nel momento di approvazione
delle N.I., è arrivata a disporre (anche) norme di contenuto difforme rispetto al regolamento di
procedura innanzi al Consiglio di Stato9, affermando fattualmente la sua inapplicabilità; in alcuni casi
peraltro ha riprodotto norme identiche, non richiamando mai il r.d. 642/190710. Le N.I. sono state così
configurate come un sistema autonomo11 che appare integrativo (non del regolamento di procedura ma
direttamente) della legge n. 87/195312; in questa logica «sono proprio le norme del regolamento sul
Consiglio di Stato ad essere in posizione subordinata rispetto alle N.I., poiché possono avere vigenza
4 Cfr. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1974, 236; A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti al giudice a
quo, Milano, 1965, 93.
5 In questo senso v. U. FRAGOLA, L’applicazione delle norme di procedura sul Consiglio di Stato ai giudizi davanti la Corte
costituzionale, in Foro it., 1953, IV, 210 ss.; F. LUBRANO, Osservazioni in tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in
Rass. dir. pubbl., 1967, 652 ss.; C. DELL’ACQUA, Considerazioni sul fondamento e sui limiti della potestà regolamentare della corte
costituzionale, in Rass. dir. pubbl., 1968, 20 ss.
6 Sulla “doppia” anima della Corte (legislatore e giudice) relativamente all’esercizio del potere regolamentare (integrativo) v. P. CARNEVALE, «Ecce iudex in ca(u)sa propria», cit., 35 ss.
7 Cfr. E. CHELI, Sulla correzione degli errori materiali e sull’ammissibilità della revocazione delle sentenze della Corte costituzionale, in
Giur. cost., 1958, 302.
8 A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti, cit., 92.
9 Si mettano a confronto, ad esempio, quanto alle notificazioni gli artt. 3, 4, 7, 8 r.d. 642/1907 e 3, 5 e 23 N.I.; quanto
alla fissazione delle udienze gli artt. 51 ss. r.d. e 8 N.I.; quanto ai termini di comunicazione alle parti della data di udienza gli
artt. 54 r.d. e 8, 2° comma, N.I.; quanto alle spese per i mezzi di prova gli artt. 34 r.d. e 13 N.I.
10 ….«il che appare veramente singolare ove si ritenga le N.I. debbano integrare il regolamento stesso». Così S.
PANUNZIO, I regolamenti della Corte, cit., 24. Cfr. ad esempio quanto alla direzione della discussione dell’udienza gli artt. 58 r.d.
642/1907 e 17, 3° comma, N.I.; quanto all’ordine di votazione in camera di consiglio gli artt. 63 r.d. e 18, 2° comma, N.I.;
quanto alla sospensione degli atti pubblici gli artt. 36 r.d. e 28 N.I.
11 P.G. GRASSO, Prime osservazioni sulla potestà regolamentare della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, 923 parla di
un «sistema a sé».
12 La stessa Corte cost. 88/1986 ha affermato che le N.I. sono «svolgimento e integrazione della l. 11 marzo 1953 n.
87». Sul tema, che porterebbe lontano dalla nostra indagine, del rapporto tra N.I. e legge 83/1957 v. D. NOCILLA, Aspetti del
problema relativo ai rapporti tra le fonti che disciplinano la Corte costituzionale, in Giur. cost., 1968, 2014 ss.; ID., Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale e valore di legge in una insoddisfacente decisione di inammissibilità, ivi, 1990, 3222 ss; S. PANUNZIO,
I regolamenti, cit., 15 ss.; F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004, 19.
2
nel processo costituzionale, in quanto la Corte non le abbia ritenute inapplicabili, emanando, mediante le
N.I., delle disposizioni incompatibili con esse»13. Inoltre, come anticipato, il giudizio sulla (in-)idoneità
delle regole del processo amministrativo ad essere trapiantate è praticato in concreto dalla Corte nei
singoli giudizi, in cui certe volte si è negata l’applicabilità di talune norme del procedimento innanzi al
Consiglio di Stato14 e certe altre si è esclusa (più in generale) la estensibilità di altre norme del processo
amministrativo diverse dalle prime15 o (ancora più in generale) la fungibilità di taluni istituti della
giustizia amministrativa16. A maggior ragione la Corte ha dimostrato di non sentire la necessità di
ancorare talune soluzioni processuali alle norme del r.d. 642/1907 (magari richiamandolo
esplicitamente) anche nelle ipotesi in cui avrebbe potuto farlo sussistendo in seno al processo
Ancora S. PANUNZIO, I regolamenti della Corte, cit., 24. In senso analogo si era già espresso C. ESPOSITO, in Giur. cost.,
1956, 166.
14 Cfr. ad esempio Corte cost., ord. 14 novembre 1956.; Id., 179/1987, relativamente alla inapplicabilità delle norme sul
procedimento innanzi al Consiglio di Stato sulle modalità di costituzione delle parti (art. 37 T.U. delle leggi sul Consiglio di
Stato, per quanto questa norma non sia stata formalmente richiamata), in riferimento rispettivamente alla presentazione delle
deduzioni e alla individuazione del dies a quo del decorso dei termini; sulla estensione del rinvio ex art. 22 l. 87/1953 anche al
T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato (e alle altre norme della giustizia amministrativa) v. note 14 e 15. Ancor più palese è la
discrasia, pacifica e «consolidata» per la giurisprudenza della Corte, tra la natura perentoria dei termini di costituzione nei
giudizi costituzionali e la natura ordinatoria dei termini di costituzione (delle parti diverse dal ricorrente) nel processo
amministrativo. Cfr. in via esemplificativa Corte cost. 307/2003. Inoltre la Corte in taluni casi ha espressamente affermato
che ai giudizi costituzionali, per la loro «particolare natura», è «estranea la figura del controinteressato» a cui notificare il
ricorso -ex artt. 7 e 15 r.d. 642/1907, per quanto queste norme non siano state formalmente richiamate- (cfr. Id., 18/1957;
21/1966 relativamente ai conflitti intersoggettivi; cfr. Id, ord. 30 maggio 1956; 15 giugno 1957; 293/1987; 517/1987
relativamente al giudizio in via principale); in molti altri casi ha più generalmente negato l’intervento dei terzi interessati (sia
ad adiuvandum che ad opponendum) nei giudizi costituzionali disapplicando l’art. 37 r.d. 642/1907, richiamato sistematicamente
dalle difese degli aspiranti interventori. E’ così negata la mutuabilità dal processo amministrativo delle figure del
controinteressato formale (parte necessaria), del controinteressato sostanziale e del cointeressato. Su questa giurisprudenza
v. R. ROMBOLI (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2001-2004), Torino, 2005, 225 ss., 277 ss., e le
precedenti edizioni dell’opera. In particolar modo sulla figura del controinteressato e su talune contraddizioni relative alla
nozione utilizzata dalla Corte v. M. D’AMICO, Una novità nei giudizi per conflitto di attribuzione: compare il “controinteressato”, in Il
diritto della Regione, 1989, 129 ss.; ID., I soggetti del processo costituzionale nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in R. ROMBOLI
(a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Torino, 1991, 85 ss.; V. ANGIOLINI, Conflitto costituzionale di attribuzioni e
controinteressato: la Corte (forse) fa il primo passo, in Regioni, 1989, 1171 ss.; F. MARONE, Principio del contraddittorio e conflitti di
attribuzioni tra Stato e Regioni, Tesi di dottorato di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Pisa, 2004, passim.
15 Cfr. Corte cost., ord. 30 maggio 1956; Id., 26 gennaio 1957; 18/1957; 548/89; 295/1993; 42/2004; 196/2004,
relativamente alla inapplicabilità della l. 260/1958 in materia di notificazioni. In dottrina v. V. ANDRIOLI, Intorno alla
applicabilità della l. 25 marzo 1958 n. 260 ai giudizi avanti alla Corte costituzionale, in Giur. cost., 1960, 124 ss.; A. PISANESCHI,
Aspetti contraddittori del regime di notificazioni nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1988, 821 ss.; M. PEDETTA,
La notifica del ricorso all’Avvocatura dello Stato anziché nella sede del governo, come irregolarità sanabile, ivi, 1994, 2229 ss.; G. PISTORIO,
La Corte continua ad escludere la sanatoria dei vizi di notifica, ivi, 2004, 585 ss. Cfr. Corte cost., 15/1967; 18/1970; 30/1973;
130/1974; 174/1974; 109/1975; 239/1982; 386/1985; 233/1993; 126/1997; 35/1999; 88/2005; 304/2006, relativamente
alla inapplicabilità delle leggi 818/1965 e 742/1969 in materia di sospensione dei termini processuali per le ferie giudiziarie.
In dottrina v. V. ANDRIOLI, Inapplicabilità della l. 14 luglio 1965 n. 818 ai giudizi avanti la Corte costituzionale?, ivi, 1967, 123 ss.; F.
LUBRANO, Osservazioni in tema di sospensione, cit., 1966, 652 ss.
16 Cfr. Corte cost. 44/1957; 54/1958; 77/1958; 30/1959; 13/1960; 40/1963; 36/1982; 49/1987; 633/1988; 991/88;
93/96; 243/96, 39/2003, relativamente alla inapplicabilità di istituti come la inammissibilità del ricorso per acquiscienza o
per il carattere confermativo dell’atto impugnato. Sul tema v. A. M. SANDULLI, Il giudizio sulle leggi, Milano, 1967, 44 ss; S.
GRASSI, Il giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni, Milano, 1985, 148 ss.; A.S. AGRÒ, Atto
confermativo e acquiscienza nel ricorso in via principale, in Giur. it., 1968, I, 283 ss. Sulla necessità di prescindere dagli istituti del
processo amministrativo v. anche L. PALADIN, In tema di atti esecutivi delle riforme economico-sociali, in Giur. cost., 1966, 1032 ss.
Tuttavia il fatto stesso che la Corte abbia posto in essere in questi casi un giudizio sull’applicabilità (pur risolto
negativamente) dimostra come il rinvio dell’art. 22 sia inteso non soltanto in riferimento (esplicito) al r.d. 642/1907 ma
anche implicitamente alle altre norme ed istituti della giustizia amministrativa. La inapplicabilità infatti non è stata motivata
alla luce dell’ambito (ristretto) di operatività del rinvio ma “in concreto”. Sulla incorporazione anche del T.U. sul Consiglio
di Stato v. E. CHELI, Sulla correzione degli errori materiali, cit., 302 ed eloquentemente la stessa Corte cost. 87/1977; in senso
contrario G. ZAGREBELSKY, Errore di fatto e sentenze della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1967, 1523. Sulla incorporazione di
tutte le norme della giustizia amministrativa v. esplicitamente A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2004, 55,
secondo cui «è probabile» che l’art. 22 «abbia inteso genericamente richiamare qualsiasi normativa disciplinante i giudizi dinanzi ai
giudici amministrativi» quindi anche, ad esempio, la legge n. 1034/1971 che disciplina il processo davanti ai Tar.
13
3
costituzionale una situazione analoga a quelle contemplate dalle norme sul processo innanzi al
Consiglio di Stato17.
Da qui emerge una certa debolezza della omogeneità presupposta dall’art. 22 l. 87/1953 tra il processo
davanti alla Corte e quello davanti al Consiglio di Stato o più generalmente davanti al giudice
amministrativo. La giurisprudenza costituzionale “svela” infatti la instabilità delle argomentazioni poste
a fondamento di tale presupposizone. In sede Costituente, in cui si «gridava» alla istituzione di una
«giustizia nella legislazione» così come Spaventa nel 1880 gridò alla istituzione di una «giustizia nella
amministrazione»18, sembrava prospettarsi un parallelismo con il sindacato del giudice amministrativo
relativo alla nascita della giustizia sulle leggi; la contrapposizione, tra una visione antropocentrica-diffusa
(funzionale alla tutela dei diritti fondamentali) e una visione statocentrica-accentrata (funzionale alla
tutela della legalità costituzionale in senso oggettivo) rievocava e riproponeva una analoga antitesi,
relativa alla genesi della giustizia amministrativa, tra un modello strumentale alla tutela effettiva dei
cittadini e un modello strumentale alla tutela della legalità. La tensione tra interesse privato e interesse
pubblico, che caratterizzò il dibattito sulla nascita del processo amministrativo, sembrava avere così una
propria proiezione nel dibattito costituente intorno alla introduzione del sindacato sugli atti legislativi.
Tuttavia quel parallelismo era certamente accentuato ed alimentato da un bisogno di attingere da «uno
schema logico già predisposto e collaudato»19, da una esigenza di rassicurante continuità nella
discontinuità, intimamente connessa al fine di rendere intelligibile il «nuovo» processo costituzionale20.
Per altro la utilità dello strumentario ideologico del processo amministrativo non legittimava di per sé
l’assimilazione delle strutture processuali. Le stesse affermazioni dell’on Teasuro -relatore alla Camera
dei Deputati della l. 87/1953-, che aveva tentato di spiegare (in modo assai stringato) lo spirito del
rinvio previsto dall’art. 22, valorizzando il fatto che entrambi i processi vertono su «atti pubblici»21,
trascuravano la diversità della natura degli atti oggetto del sindacato e la problematicità dell’innesto di una
struttura dispositiva-impugnatoria (quella del processo amministrativo) nel giudizio costituzionale che
in realtà non è uno ma sottende una pluralità di strutture processuali quante sono le competenze
funzionali22.
Non vogliamo certamente negare che sussistano talune affinità e che il processo costituzionale sia
permeabile alla tradizione della giustizia amministrativa. Anche quando nelle pronunce della Corte
manca un rinvio formale all’articolato del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato o ad
altre norme della giustizia amministrativa può comunque leggersi un’inevitabile eco dei principi generali
e degli istituti del processo amministrativo in tema, ad esempio, di sospensione dell’atto origine del
conflitto, di disponibilità del giudizio23, di interesse a ricorrere24, di giudicato25 o di fissazione del thema
Ad esempio A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti, cit., 90, fa notare come la Corte non richiami espressamente l’art.
17, 2° comma, del regolamento di procedura (che prevede la rinnovazione degli atti processuali nulli) nelle ordinanze di
restituzione degli atti al giudice a quo quando sussista un vizio dell’ordinanza di rimessione.
18 Atti Assemblea Costituente n. 4215, intervento dell’on. Codacci Pisanelli.
19 Così la suggestiva analisi di C. MEZZANOTTE, Il giudizio sulle leggi, I, Le ideologie del Costituente, Milano, 1979, 24 ss., 63
ss., 82 ss. Anche G. BERTI, Struttura del processo costituzionale e regime dei termini, in Regioni, 1981, 1058, mette in evidenza come il
riferimento alla procedura amministrativa rappresenti «una rete protettiva» ancorata ad una solida tradizione processuale
20 In questo senso anche E. CATELANI, La determinazione della “questione di legittimità costituzionale” nel giudizio incidentale,
Milano, 1993, 45. In questa logica vi è stata probabilmente una frattura tra il momento “genetico” del giudizio
costituzionale, in cui i Costituenti scorsero un legame solido con il giudizio amministrativo, e il momento “dinamico”, in cui
la Corte ha invece dimostrato la separatezza (almeno delle strutture processuali).
21 A.P. Camera, I legislatura, Disegni di legge-Relazioni-Documenti, VI, 469 A, 34. La Relazione può anche leggersi in
M. BATTAGLINI, M. MININNI, Codice della Corte costituzionale, Padova, 1960, 224 ss.
22 E’ evidente come la possibilità di rilevare elementi comuni tra i giudizi costituzionali, tanto da poter parlare
sinteticamente di un giudizio costituzionale (così A. CERRI, Corte e processo, cit., 310), non legittima certo la automatica
applicabilità delle norme di giustizia amministrativa a tutte le tipologie di giudizio. Per altro in dottrina nel senso di una
negazione netta della unitarietà strutturale v. G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, in Enc. dir., Milano, 1987, 522, secondo
cui «che esista ‘un’ processo costituzionale e non ‘tanti’ processi costituzionali, quante sono le competenze della Corte, non
si potrebbe certamente dire».
23 Cfr. S. GRASSI, Il giudizio costituzionale, cit., 148.
24 Cfr. G. CONTI, L’interesse al processo nella giustizia costituzionale, Torino, 2000, 8 e 75 ss.
25 Cfr. F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, 19 ss.
17
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decidendum26; tra l’altro nel giudizio sulle leggi come nel processo amministrativo ci si deve «misurare con
il problema di un rapporto tra regole non derogabili e discrezionalità, o comunque, valutazioni non
sindacabili»27.
Tuttavia l’affinità e i punti di contatto, come l’interesse pubblico che muove entrambi i processi28,
non significano omogeneità e quindi assoluta fungibilità delle regole processuali. Per di più le affinità,
guardando al governo del processo da parte della Corte costituzionale, sembrano talune volte perdersi
nella specialità della struttura del giudizio costituzionale. Alla luce di come la Corte liberamente
maneggia e dispone delle regole del processo amministrativo, che sembrano essere soltanto un
canovaccio duttile e malleabile, appaiono ormai irrilevanti quelle divergenze in dottrina sulla definizione
della natura del rinvio ex art. 22 l. 87/1953 come “formale” o “materiale”29. Sarebbe irragionevole (e
lontano dalla giurisprudenza della Corte) pensare che il rinvio debba intendersi come rigorosamente
limitato al r.d. 642/1907 ma allo stesso tempo neppure troppo decisivo affermare che debba intendersi
esteso anche al T.U. sul Consiglio di Stato o a tutte le norme della giustizia amministrativa30 sul
presupposto che il processo amministrativo rimane pur sempre una “traccia” e che tutte queste norme
possono essere, come già detto, ritenute inapplicabili attraverso un giudizio concreto-giurisprudenziale
o astratto-normativo (N.I.).
In questo senso è costantemente ribadita la creatività della Corte31 che modella con originalità la
struttura del giudizio e delle regole di quello, da padrona del proprio processo (anche dei processi
costituzionali, come i conflitti, con maggiori similitudini con il giudizio amministrativo); attraverso
questo «monopolio», soprattutto esercitato nella sua attività di giudice (più che di “legislatore”), ha
«esasperato i caratteri distintivi»32, svuotando e vanificando l’effettività del rinvio ex art. 22 l. 87/1953.
La omogeneità dei modelli processuali a cui pensò il legislatore del ’53 si dissolve dinanzi alla inevitabile
valorizzazione da parte della Corte della sua posizione nel sistema costituzionale (certamente diversa dal
giudice amministrativo) e della sue «supreme funzioni di tutela della legalità costituzionale ad ogni
livello»33. Questa specialità funzionale rende, come ha detto chiaramente il Presidente Saja, «non
praticabile la recezione automatica e tralaticia di alcune regole del processo (…) amministrativo»34; per
altro questa affermazione non fa altro che ribadire quanto emerge diffusamente dalla giurisprudenza
costituzionale in cui si legge che «non è consentita la trasposizione nel giudizio di costituzionalità (…)
di istituti propri del processo ordinario»35 e che l’applicazione dei principi del diritto processuale
comune non può «produrre alterazioni e distorsioni rispetto alla funzione»36. Sembra palese la
consapevolezza della Corte che (il giudizio costituzionale, rectius) i giudizi costituzionali «presentano
caratteri tipici corrispondenti a funzioni diverse da quelle dei giudizi propri delle giurisdizioni ordinaria
Cfr. E. CATELANI, La determinazione, cit., 39 ss.
A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 55 ss. Nello stesso senso v. A. TESAURO, La Corte costituzionale, in Rass. dir.
pubbl., 1950, 223; G. BERTI, Interpretazione costituzionale, Padova, 1987, 523 ss.
28 In questo senso P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950, 391.
29 Su questa alternativa v. D. NOCILLA, Aspetti del problema, cit., 2026.
30 Sul punto v. nota 16.
31 In dottrina v. F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie sull’autonomia del giudizio incidentale, in Rass. dir. pubbl., 1966, 275 ss.;
C. MEZZANOTTE, Processo costituzionale e forma di governo, in AA.VV., Giudizio a “quo” e promovimento del processo costituzionale,
Milano, 1990, 69; G. BOGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, in AA.VV., Giudizio a “quo”, 230 ss.
32 Così suggestivamente G. D’ORAZIO, Soggetto privato e processo costituzionale, Torino, 1992, 157 ss. Inoltre questo
svuotamento dovrebbe ritenersi fisiologico sul presupposto che il rinvio al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di
Stato aveva probabilmente, nella mente del legislatore, una funzione soltanto temporanea, provvisoria, «tendendo a
consentire l’immediato inizio della attività della Corte» (così G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale italiano, I, Napoli, 1957,
21) in attesa delle norme integrative.
33 Corte cost., 142/1973.
34 F. SAJA, La giustizia costituzionale nel 1988, in Foro it., V, 174. Una maggiore valorizzazione della vicinanza del giudizio
costituzionale ai processi comuni può invece leggersi in E. REDENTI, Legittimità delle leggi e Corte costituzionale, Milano, 1957,
55, secondo cui «non si può non notare anche nei suoi procedimenti» (quelli della Corte) «una certa similitudine di struttura
con quelli giudiziarii. Per conseguenza è possibile, sia pure con qualche prudenza, una certa trasposizione delle nozioni e dei
principii già elaborati negli studi di diritto processuale».
35 Corte cost., 49/1987.
36 Id., 15/1957.
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5
e amministrativa»; altrettanto palese è la consapevolezza che lo stesso giudice costituzionale «non può
essere qualificato come organo della giurisdizione amministrativa o speciale»37.
Può in definitiva parlarsi di «autonomia»38 del processo costituzionale (insomma di una Corte che
«subordina a sé qualunque regola procedurale»39), alla luce della quale l’affinità con il giudizio
amministrativo è soltanto «di superficie» visto che le regole di questo «si flettono e subiscono quindi
una perdita di tensione»40. Per altro una interpretazione restrittiva del rinvio non soltanto
determinerebbe una assimilazione del giudizio costituzionale al giudizio amministrativo ed una
conseguente neutralizzazione di quella specialità, di cui si è detto, strumentale alle funzioni della Corte
ma anche la possibilità per il Governo di incidere sul funzionamento del controllo di costituzionalità
potendo disporre del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato (r.d. n. 642/1907); l’autonomia relativa alla gestione del processo rappresenta così una garanzia ulteriore della autonomia
costituzionale del giudice di quel processo dal potere esecutivo.
Questa originalità del processo costituzionale porta però con sé un paradosso, una sorta di affinità
di spirito con il processo amministrativo. Nel momento stesso infatti in cui la Corte decide che il
proprio giudizio deve allontanarsi e discostarsi dalla struttura del giudizio amministrativo, il primo
continua a somigliare al secondo (non evidentemente nelle sue regole ma) nella sua logica; come nel
giudizio amministrativo è l’autorità dell’atto impugnato ad attrarre sé la disciplina processuale così nel
giudizio costituzionale è l’autorità del giudice ad attrarre a sé la disciplina processuale41. Non può negarsi
però come questa originalità, che si concretizza nel giudizio di (in-)adattabilità delle regole del processo
amministrativo, non può legittimare un sacrificio della stabilità delle regole; è sì vero che la Corte
costituzionale può scegliere, alla luce dell’art. 22 l. 87/1953, quali regole trapiantare tuttavia la scelta
dovrà risultare certamente coerente, ripetuta, prevedibile42 (salvo motivati mutamenti
giurisprudenziali)43.
Ciò precisato, posta l’autonomia del processo costituzionale, la volatilità della omogeneità
presupposta e quindi la debolezza della adattabilità del giudizio amministrativo attraverso il rinvio ex art.
22 l. 87/1953, poco utile sembra una disamina di ciò che rimane del processo amministrativo nel
processo costituzionale, ossia dei “residui” (certamente variabili a seconda della tipologia dei giudizi
costituzionali44) del processo amministrativo; tra l’altro poco utile sembra soffermarsi sulla
Id., 13/1960.
G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale, cit., 21; P. GIOCOLI NACCI, L’iniziativa nel processo costituzionale incidentale,
Napoli, 1963, 54 ss.
39 C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica, Milano, 1984, 136.
40 Così G. BERTI, Struttura del processo costituzionale, cit., 1052.
41 Cfr. G. BERTI, Struttura del processo costituzionale, cit., 1055.
42 Non può negarsi come la inapplicabilità delle regole del processo amministrativo (relative al contraddittorio, al regime
delle notificazioni, alla sospensione dei termini, all’acquiscienza, alla natura meramente confermativa dell’atto impugnato, alle
modalità e alla ordinatorietà dei termini di costituzione) risulti ripetuta, fattualmente prevedibile, quindi coerente a se stessa.
43 La posizione della Corte costituzionale nel sistema non può risolversi in anarchia processuale. Sulla necessità di
coerenza, di vincolatività e prevedibilità delle regole del “processo” cfr.. G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, in
AA.VV., Giudizio a “quo”, cit., 105 ss.; A. PIZZORUSSO, Uso e abuso del diritto processuale costituzionale, in AA.VV., Diritto
giurisprudenziale, Torino, 1996, 133 s.; V. ANGIOLINI, Processo giurisdizionale, cit., 1090; R. ROMBOLI, La Corte costituzionale e il
suo processo, in Foro it., 1995, I, 1090 ss.; F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale, cit., 19 ss. In modo più aspro G. BERTI,
Struttura del processo costituzionale, cit., 1060 critica l’«autoritaria giustificazione della disciplina processuale»; secondo questo
Autore «la peculiarità del giudizio cela sempre un sentimento o una convinzione di prevalenza o di privilegio dell’organo
sopra la funzione» ma il «giudice costituzionale, anche se altissimo come quello costituzionale» non dovrebbe «sentire le
regole processuali come diminutive della sua posizione appunto costituzionale. Anzi il piegarsi alle regole del processo è il
segno più nobile della fedeltà alle strutture più profonde e meno visibili dell’ordinamento costituzionale». Anche P.
CARROZZA, Il processo costituzionale come processo, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale ad una svolta, Torino, 1991,
68, rileva un «malinteso principio di strumentalità delle regole processuali» alla luce del quale «la natura giurisdizionale del
processo costituzionale non riesce quasi mai a manifestarsi compiutamente secondo l’insieme ormai consolidato di regole e
principi elaborati dalla teoria generale del processo». V. ANGIOLINI, La Corte senza il “processo”, o il “processo” costituzionale senza
processualisti?, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale ad una svolta, cit., 20 ss., parla in senso critico di «forzatura
degli schemi processuali», di «uso disinvolto del processo costituzionale», mettendo in evidenza la contraddizione che si
annida nell’utilizzo atipico di elementi richiamati per tipizzare.
44 L’adattabilità delle regole del processo amministrativo al processo costituzionale muti al variare della tipologia di
quest’ultimo; certamente possono ravvisarsi tra il giudizio impugnatorio e i conflitti costituzionali maggiori similitudini
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ragionevolezza della scelta di non trapiantare alcune regole, come quella contenuta nell’art. 37 del T.U.
delle leggi sul Consiglio di Stato in materia di intervento, visto che rischieremmo di invadere il campo di
altra relazione. In questa sede intendiamo mutare prospettiva indagando (non l’innesto delle regole di
uno nell’altro ma) un diverso tipo di incidenza; l’incidenza della struttura del giudizio amministrativo
impugnatorio e in particolar modo della peculiare configurazione del principio della domanda in questo
processo sul funzionamento del controllo di costituzionalità in via incidentale. Crediamo infatti di poter
rilevare una “specialità” nei rapporti dinamici tra questo processo comune e il giudizio costituzionale in
via incidentale. Inoltre proveremo a mettere in evidenza come l’impatto non sia esclusivamente a “a
senso unico”, potendo essere rilevata all’inverso una influenza del controllo di costituzionalità sul
giudizio amministrativo impugnatorio, a tratti alterato nella sua struttura originaria e nella
configurazione classica di alcune sue regole processuali.
2. Una (diversa e) “problematica” incidenza sul processo costituzionale (in via incidentale):
l’iniziativa giudiziale, i motivi del ricorso e l’affievolimento del principio iura novit curia nel
processo amministrativo
Una indagine sulle dinamiche processuali che caratterizzano i rapporti tra il giudizio costituzionale e
il giudizio amministrativo deve essere ritagliata intorno al modello classico di quest’ultimo, ossia alla
logica impugnatoria, sul presupposto che può essere apprezzata in relazione a tale modello una specialità
rispetto al processo civile, una peculiare configurazione di una regola processuale propria dei due
giudizi comuni, quella della domanda, secondo la quale il giudice non ha il potere di dare avvio al
procedimento giurisdizionale né di pronunciarsi sulla sussunzione di una fattispecie concreta se non sia
stato sollecitato da una parte (ne procedat iudex ex officio)45. E’ evidente come la titolarità dell’azione
presupponga la titolarità (e quindi la disponibilità) di una situazione giuridica soggettiva (diritto
soggettivo o interesse legittimo), che si assume lesa e la cui violazione l’attore o il ricorrente intendono
rimuovere attraverso l’iniziativa giudiziale46. In questa logica presupposta il principio della domanda si
atteggia (geneticamente) come potere di iniziativa della parte e (sostanzialmente) come principio
dispositivo47 (rectius, di disposizione di interessi giuridici).
In realtà il principio della domanda non si risolve nella iniziativa processuale ma si arricchisce di una
forza performativa sul giudizio, sul thema decidendum48 della dialettica giurisdizionale, alla luce della quale
il giudice (non soltanto non può dare avvio autonomamente ad un giudizio ma) è vincolato alle richieste
rispetto a quelle sussistenti tra il primo e il giudizio in via incidentale. In questo senso già M. CAPPELLETTI, La pregiudizialità
costituzionale nel processo civile, Milano, 1957, 20, il quale afferma che i limiti alla applicabilità delle norme sulla giustizia
amministrativa al giudizio in via incidentale sono determinati dal carattere non contenzioso di quest’ultimo. Relativamente ai
conflitti interorganici la Corte richiama il regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato in connessione con l’art. 36
del T.U. delle leggi sul Consiglio stesso (r.d. 1054/1924) desumendone la natura perentoria dei termini per la notifica del
ricorso e della ordinanza di ammissibilità del conflitto. Cfr. Corte cost., 316/2006; 304/2006; 295/2006; 88/2005; 200/2001;
386/1985; 87/1977, per quanto in questi casi la dottrina (A. PIZZORUSSO, Conflitto di attribuzioni, in Noviss. dig., Torino, 1981,
698 ss.; D. NOCILLA, Brevi note in margine ad un conflitto fra poteri, in Giur. cost., 1978, 748 ss.; M. PERINI, Il seguito e l’efficacia delle
decisioni costituzionali nei conflitti fra poteri dello Stato, Milano, 2003, 91 ss.) abbia rilevato un uso improprio delle norme di
giustizia amministrativa. Sempre in sede di conflitti interorganici la Corte ha ritenuto applicabile l’art. 17 del r.d. 642/1907 al
fine della sanabilità del vizio del ricorso presentato dal ministro in proprio o per delega del Presidente del Consiglio,
proposto senza la previa deliberazione consiliare. Cfr. Id., 141/1980; 123/1979; la medesima norma è stata richiamata per
motivare (ad abundantiam) la inammissibilità del ricorso per carenza del petitum. Cfr. Corte cost., 346/2001. Relativamente ai
conflitti intersoggettivi la Corte ritiene applicabile l’art. 2 del r.d. 642/1907 in materia di pubblicazione di atti o
provvedimenti amministrativi al fine di sindacare la tardività del ricorso. Cfr. Id., 611/1987; 158/1976; 132/1976; 104/1972;
74/1960. Relativamente al giudizio in via principale la Corte ritiene applicabile l’art. 6, n. 3 del r.d. 642/1907 in materia di
motivazione del ricorso. Cfr. Id. 517/1987; 47/1973.
45 G. VERDE, Domanda (principio della), I) diritto processuale civile, in Enc. giur., Milano, 1989, 1 ss.; M. NIGRO, Domanda
(principio della), II) diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., Milano, 1990, 1 ss.
46 Sul raccordo tra il sistema processuale e il sistema sostanziale v. S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1967, 137; A.
PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I, Milano, 1962, 92.
47 E.T. LIEBMAN, Fondamento del principio dispositivo, in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, 4.
48 S. SATTA, Diritto processuale, cit., 115; T. CARNICINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore di Redenti, II,
Milano, 1951, 56 ss.
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delle parti, non potendo pronunciarsi oltre i limiti della domanda stessa, identificabile attraverso il
profilo soggettivo, della causa petendi e del petitum49. La regola sull’impulso processuale porta con sé,
come un corollario, il principio di corrispondenza tra ciò che è chiesto e ciò che è pronunciato, che
introduce il complesso tema del “governo” del processo e delle relazioni che intercorrono tra i poteri
delle parti e i poteri del giudice. Ai nostri fini però è necessario rilevare in una più specifica prospettiva
come la natura del giudizio amministrativo incida su tale principio, rafforzandolo e specificandolo
rispetto al processo civile fino a generare peculiari dinamiche relazionali con il processo costituzionale.
Nel processo civile la necessità di corrispondenza tra la richiesta e il decisum, come ricostruibile alla
luce dell’art. 112 c.p.c., impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e di non eccederne i
limiti, come sarebbe se concedesse più di quanto richiesto dalla parte (ultrapetizione) o una cosa diversa
(extrapetizione). Il provvedimento giurisdizionale si risolve così in una risposta ad una pluralità di
domande sull’esistenza del fatto narrato, sulla esistenza di una norma sotto la quale sussumere quel
fatto, sugli effetti della riconducibilità del fatto accertato ad un modello normativo e sulla
individuazione dei soggetti destinatari degli effetti normativi50. Tuttavia il giudice civile per quanto sia
vincolato alla allegazione dei fatti ha la libertà di ricercare le norme sotto le quali sussumerli; una libertà
attraverso la quale può estrarre il fatto dalla causa petendi, arrivando, ad esempio, a riconoscere una
servitù, non come legale secondo le deduzioni di parte, ma per destinazione del padre di famiglia. Il
principio iura novit curia attribuisce al giudice uno spazio di disponibilità in seno alla causa petendi, pur nei
limiti della ricostruzione del fatto e del petitum, con cui il decisum dovrà misurarsi51.
Per quanto il principio della domanda, come già anticipato, valga anche per il giudizio
amministrativo sia nel suo significato più immediato, connesso alla genesi del processo52, sia nel suo
significato derivato, relativo alla definizione del thema decidendum e quindi alla corrispondenza tra petitum
e decisum, non può negarsi come questo secondo profilo assuma un connotato distintivo e più stringente
rispetto al processo civile53. Il giudice amministrativo può conoscere infatti soltanto i vizi dell’atto
dedotti dal ricorrente principale ed eventualmente dal ricorrente incidentale, salvo lo spazio di incidenza
dei motivi aggiunti, essendo così vincolato alla norma assunta come violata, che concorre con i fatti
storici violatori a definire il vizio-motivo54. Da questa logica emerge una rigidità dell’oggetto e una
riduzione degli spazi di manovra dell’organo giudicante, dinanzi al quale la soddisfazione del petitum,
ossia dell’annullamento di un atto amministrativo, è indefettibilmente connessa alla fondatezza della
causa petendi55, così come congegnata dal ricorrente56, al quale spetta indicare e specificare la digressione e
l’allontanamento dell’atto dalla fattispecie normativa che lo prevede e che ne disciplina la funzione
sottesa. La corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato si risolve così in un sindacato sulla
E. GRASSO, La regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e la nullità da ultra e da extrapetizione, in Riv. dir. proc.,
1965, 388.
50 Così suggestivamente v. E. GRASSO, sub art. 112, in E. ALLORIO (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, II,
1973.
51 Cfr. G.A. MICHELI, Iura novit curia, in Riv. dir. proc., 1961, 575 ss.; S. SATTA, Iura novit curia, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1955, 380 ss.; E. GRASSO, sub art. 112, cit., 1260 ss.; E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1968, 83 ss.;
P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, Torino, 1920, passim; Id., Diritto consuetudinario in Cassazione, in Opere giuridiche, VIII,
Napoli, 1979, 493 ss.; A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, in Enc. giur., 1990, 1 ss., il quale afferma che «il brocardo iura novit curia
esprime la regola in base alla quale, anche nei processi ispirati al principio dispositivo (in virtù del quale la pronuncia
giurisdizionale incontra limiti corrispondenti alle richieste avanzate dalle parti ed alle prove da esse prodotte o richieste) il
giudice ha il potere-dovere di individuare, anche di sua iniziativa e di applicare ai fatti dedotti ed accertati le norme giuridiche
che, secondo il diritto vigente ed in base alle regole sull’efficacia della legge nello spazio e nel tempo, debbano disciplinare i
fatti stessi».
52 Dagli artt. 26, 33, 37 e 45 T.U. Cons. St. e dagli artt. 2, 3, 5, 6, 22 l. TAR può desumersi che il giudice amministrativo
non può pronunciarsi d’ufficio, necessitando di un ricorso.
53 V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979, 261, afferma che «nel processo amministrativo il
principio della iniziativa di parte è ancor più rigido».
54 A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, 326 ss.; M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288.
55 M. NIGRO, L’appello nel processo amministrativo, Milano, 1960, 302 ss.
56 R. JUSO, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, 2001, 258, definisce il ricorrente il «vero dominus della vicenda
processuale da lui introdotta con l’atto di ricorso».
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corrispondenza tra il vizio-motivo denunciato e il vizio-motivo utilizzato dal giudice come paradigma
al fine di pronunciare o rifiutare l’invalidazione dell’atto57.
Può così desumersi che il giudice amministrativo «non è affatto libero nella scelta della norma di legge da
applicare»58. Nella vincolatività ai motivi di parte59 e nella rigorosità della corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato può leggersi un affievolimento del principio iura novit curia60; «l’affermazione, ampia e
pacifica per il processo civile, che il giudice non è vincolato alla scelta della norma e alla interpretazione
giuridica dei fatti, fornite dalle parti, è valida nel processo amministrativo in misura molto attenuata. La
scelta della norma spetta al ricorrente»61. Appare così limitato il potere del giudice, esercitabile nel
processo civile, di estrarre il fatto dalla causa petendi per ricondurlo ad una fattispecie normativa diversa
da quella prospettata dal ricorrente62; nel giudizio amministrativo di legittimità «l’oggetto del contendere
rimane immutabilmente fissato dall’atto introduttivo del giudizio, con una tale rigida preclusione, quale
non trova forse riscontro in alcun altro tipo di processo»63.
Ai fini del presente lavoro ciò che rileva è la potenziale incidenza della natura del processo
amministrativo di impugnazione sul funzionamento del sindacato incidentale di costituzionalità. La
vincolatività del giudice amministrativo ai motivi del ricorso, la forza performativa della iniziativa
giudiziale, l’affievolimento del principio iura novit curia sembrano essere fattori in grado di condizionare i
rapporti tra il giudizio amministrativo e quello costituzionale, potendo attribuire a quei rapporti una
configurazione peculiare. La delimitazione e la definizione dell’oggetto del processo attraverso la
scrittura del ricorso sembrerebbero poter rappresentare un limite, una strettoia per l’attivazione del
giudizio costituzionale. In tale logica sarà necessario verificare se la vincolatività del giudice
amministrativo si risolva in una limitazione del potere di sollevare d’ufficio una questione di
costituzionalità, la cui rilevanza sarebbe intimamente connessa alla fissazione dei motivi di parte. In
questa prospettiva il dialogo tra il giudice amministrativo e la Corte costituzionale sarebbe fortemente
condizionato dall’atto introduttivo del processo comune.
In altre parole da questa indagine potrà desumersi se la natura del processo amministrativo abbia la
forza di resistere alle dinamiche del controllo di costituzionalità, generando una strettoia all’entrata, o se
tale natura ne esca stravolta e mutata, mostrando una cedevolezza rispetto al funzionamento del
sindacato in via incidentale. Come detto tale prova di resistenza sarà effettuata intorno al perno del
sollevamento della questione di costituzionalità, utilizzando come ulteriore riscontro quello della sorte
M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000, 288. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 giugno, 2003, n. 3865, in Cons.
Stato, 2003, 1918; Id., sez. IV, 8 giugno 2000, n. 3246, ivi, 2000, I, 1399; Id., sez. VI, 9 giugno 1994, n. 957, in Giur. it., III,
780.; Id., sez. V, 1 febbraio 1957, n. 9, in Foro amm., 1957, I, 491; Id., sez. V, 10 marzo 1962, n. 206, in Cons. St., 1962, I, 506.
Quanto alla giurisprudenza più risalente cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 1916, in Giust. amm., 1916, I, 67.
58 A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo, cit., 215.
59 F. LA VALLE, Il vincolo del giudice amministrativo ai motivi di parte, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 20 ss.; F. BENVENUTI, La
istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 19 ss.; V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, cit., 216 ss.; F.
D’ALESSIO, Le parti nel giudizio amministrativo, Roma, 1915, 219 ss.; L. MIGLIORINI, L’istruzione nel processo amministrativo di
legittimità, Padova, 1977, 23 ss.; F. SATTA, Giustizia amministrativa, Padova, 1993, 308 ss.
60 A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, cit., 3, afferma che «il limite derivante per il giudice dall’enunciazione dei motivi
contenuti nel ricorso comporta indubbiamente un certo vincolo anche al suo potere di qualificazione giuridica dei fatti
dedotti». In modo ancor più netto A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo amministrativo, cit., 343, scrive che «il giudice
amministrativo è vincolato alle indicazioni delle norme di legge che il ricorrente deve compiere, nel senso che egli può
valutare solo alla luce di queste, la fattispecie concreta esposta nel ricorso; e, in questo si vede comunemente una limitazione
dell’applicazione del principo iura novit curia, che domina incontrastato il processo civile (…). Non si può negare che un certo
vincolo del potere di cognizione del giudice amministrativo, alle norme di legge dedotte dal ricorrente, sussita
effettivamente». In modo assai suggestivo C. ANELLI, La rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale nel giudizio
amministrativo, in Studi in memoria di Franco Piga, Milano, 1992, 86 ss., mette in evidenza come il principio della domanda si
atteggi diversamente nel giudizio sugli interessi legittimi rispetto a quello sui diritti soggettivi, sul presupposto che tra diritto
e norma sussiste una corrispondenza che non intercorre tra norma e interesse legittimo. L’interesse legittimo è infatti una
situazione correlata al potere dell’Amministrazione disciplinato da una molteplicità di norme, la cui cattiva applicazione può
impedire il soddisfacimento del bene della vita sotteso all’interesse legittimo. L’individuazione di tali norme non può che
spettare allo stesso titolare dell’interesse legittimo, dato il carattere disponibile di quest’ultimo.
61 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288.
62 M. NIGRO, L’appello nel processo, cit., 328, mette in evidenza come «non è applicabile al processo amministrativo,
nemmeno nella sua attenuata accezione, il principio che l’azione si individua per il fatto e non per la norma di legge».
63 F. LA VALLE, Il vincolo del giudice amministrativo, cit., 47.
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di un provvedimento amministrativo impugnato in conseguenza di una sentenza di illegittimità che lo
investa in via mediata (nella fase discendente del giudizio costituzionale).
E’ proprio la specialità, connessa alla natura demolitoria del processo amministrativo (sugli atti), a
generare una serie di tensioni peculiari con il giudizio costituzionale in via incidentale. La rigidità
dell’oggetto e la stringente configurazione del principio della domanda (che derivano dalla natura
impugnatoria) sembrano invece “diluirsi” (in giudizi amministrativi di diversa natura) non solo nella
sfera di giurisdizione estesa al merito ma anche nella sfera della giurisdizione esclusiva, a seguito delle
evoluzioni normative che hanno prodotto un ampliamento delle azioni processuali esperibili al di là di
quella costitutiva ed un’implementazione dei poteri di istruzione, cognizione e decisioni, determinando
un avvicinamento del giudice amministrativo (meno speciale) al giudice ordinario.
In definitiva nei giudizi diversi da quelli “sull’atto” (rectius, esclusivamente tali) la vincolatività ai
motivi del ricorso tende ad allentarsi (in modo inversamente proporzionale all’aumentare dei poteri del
giudice) e con essa sembrerebbero affievolirsi i momenti di criticità che caratterizzano i rapporti tra
processo costituzionale e processo amministrativo.
3. Il sollevamento ex officio della questione di costituzionalità: l’eco di un trauma
processuale
La natura del giudizio amministrativo sugli atti, come anticipato, genera un momento di criticità
quanto alle dinamiche con il processo costituzionale nella fase di instaurazione di quest’ultimo. Il
principio della domanda e la rigorosa configurazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato
sembrano doversi risolvere, per corollario, in una limitazione degli spazi entro i quali il giudice può
sollevare ex officio una questione di costituzionalità, dovendo ritenersi vincolato, anche a tali fini, al
contenuto e ai motivi del ricorso. In questa sede proveremo ad indagare le relazioni che intercorrono
tra il ricorso, i motivi che lo sostengono, i poteri del giudice amministrativo e la pregiudizialità
costituzionale, soffermandoci sulla “intensità” di tale relazione, sul presupposto che «la sollevabilità
d’ufficio della questione (…) presenta più di una complicazione in riferimento ai giudizi di tipo
radicalmente impugnatorio (quando il giudice è vincolato ai “motivi” di impugnazione)»64; già Andrioli,
ancor prima che la Corte costituzionale iniziasse a funzionare, aveva lucidamente intuito che l’art. 1
della cost. n. 1/1948, in cui si legge che una questione di costituzionalità è sollevata «nel corso di un
giudizio», non avrebbe fatto «male a nessuno» nel giudizio civile diversamente da quello che sarebbe
potuto accadere nel giudizio amministrativo65.
In una delle prime pronunce in cui sono state affrontate talune questioni relative alle tensioni tra il
processo costituzionale e il processo amministrativo il Consiglio di Stato si è misurato con tale
problematica affermando che attribuire al giudice il potere di sollevare d’ufficio una certa questione (nel
caso di specie la questione di legittimità costituzionale) non avrebbe senso se non servisse alla
definizione del giudizio; tale potere è così esercitabile non solo per risolvere dei dubbi sulla
giurisdizione o sui presupposti processuali ma anche per risolvere quelli concernenti il merito della
controversia, cioè la legittimità dell’atto impugnato. Il Consiglio di Stato proseguiva il proprio
ragionamento affermando che poiché il potere è attribuito da una norma costituzionale (art. 1 l. cost. n.
1/1948, della quale l’art. 23, 3° comma, l. 87/1953 è «semplice reiterazione») «non si può ritenere che
esso trovi ostacolo nei principi di legge ordinaria», secondo il quale il giudice amministrativo «può
decidere solo su motivi dedotti dal ricorrente»66.
Non può negarsi come il Consiglio di Stato si trovasse a fare tale precisazione all’alba del
funzionamento della Corte costituzionale (quando per altro non erano stati ancora istituiti i Tribunali
amministrativi regionali), sentendosi in dovere di legittimare una alterazione della natura del giudizio
64 Così A. CERRI, La “dialettica” del giudizio incidentale: rimeditazioni sul tema, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini,
Milano, 1988, 124 ss. Deve precisarsi come la criticità del sollevamento officioso della questione di costituzionalità emerge
anche nel giudizio di cassazione, per la sua natura impugnatoria. In tal senso v. A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità
costituzionale, cit., 140; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 166.
65 V. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo giurisdizionale delle leggi, in Atti del I Convegno Internazionale di diritto processuale
civile (1950), Padova, 1953, 53 dell’estratto.
66 Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, in Giur. Cost., 1963, 1219.
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amministrativo consolidatasi negli anni e dovendo misurare questa tradizione processuale con il novello
meccanismo di funzionamento del controllo di costituzionalità67. La deroga al principio della domanda,
nella sua configurazione derivata di principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, veniva fatta
risiedere in una interpretazione adeguatrice68 delle norme di rango ordinario disciplinanti il processo dinanzi
al Consiglio di Stato all’art. 1 l. cost. 1/1948, che attribuisce al giudice il potere di sollevare d’ufficio una
questione di legittimità; il mancato utilizzo della interpretazione “conforme” avrebbe potuto portare a
sostenere, per paradosso, la illegittimità del sistema processuale amministrativo a tale norma di rango
costituzionale.
Tuttavia si annidava una forte problematicità nella affermazione secondo la quale il potere di
sollevare d’ufficio una questione di costituzionalità fosse «senza limitazione alcuna»69. Tale assunto ha
generato in dottrina due tipi di reazione critica, una radicale (a) ed una ragionevole (b), per quanto
entrambe alimentate dalla medesima preoccupazione, quella di preservare la natura originaria del
giudizio impugnatorio. Nella prospettiva più radicale (a) si sosteneva che la vincolatività del giudice ai
motivi di parte dovesse risolversi in una negazione del sollevamento ex officio della questione di
costituzionalità; secondo questa logica nel giudizio amministrativo l’ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale dovrebbe necessariamente essere subordinata ad una doglianza del ricorso (o magari,
aggiungiamo, ad un dubbio di costituzionalità sollecitato da un controinteressato attraverso un ricorso
incidentale). L’immissione dei poteri officiosi del giudice di attivazione del controllo di costituzionalità
rischierebbe -secondo tale impostazione- di minare l’integrità del principio dispositivo nel processo
amministrativo e l’indebito ampliamento del thema decidendum darebbe così vita (ad un vizio di
extrapetizione e quindi) ad un «nuovo tipo di processo», più simile ad un controllo oggettivo esercitato
nell’interesse dell’ordinamento giuridico e quindi in dissonanza con la natura del giudizio amministrativo
attraverso il quale il ricorrente tutela le proprie situazioni giuridiche lese dall’esercizio di un potere70. In
definitiva «nel processo rilevante non sarà, e dunque non potrà sollevarsi d’ufficio, quella questione di
costituzionalità che condizioni elementi del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, quegli elementi
nella cognizione dei quali il giudice è vincolato dai limiti della domanda della parte»71; un dubbio di
costituzionalità, in questa prospettiva, sarebbe così rilevabile indipendentemente da una sollecitazione
di parte soltanto quando la eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma di cui si dubita non
dia vita ad un vizio diverso72 da quello lamentato dal ricorrente. Nella stessa giurisprudenza del Consiglio
67 Anche nelle parole del Presidente C. BOZZI, Relazione del Presidente del Consiglio di Stato al Presidente del Consiglio dei
Ministri sull’attività svolta nel 1966, in Foro mm., 1967, III, 331, può scorgersi una lettura di quella pronuncia nel senso del
bilanciamento tra tradizione e «lenta rivoluzione», tra principio dispositivo ed interesse pubblico.
68 Cfr. Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1228, secondo cui «non si può partire dal presupposto che il sistema
del procedimento giurisdizionale costituisca un blocco, per dir così, chiuso ed impermeabile alle sopravvenute norme
costituzionali. Si deve anzi ritenere che le norme in oggetto debbono essere interpretate ed integrate con quelle della
Costituzione».
69 Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1229.
70 Così F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, in Giur. it., 1965, III, 203; lo stesso F. LA VALLE,
La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, in Giur. it., 1964, III, 75, parla del rischio di un processo
amministrativo svincolato dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, corrispondenza riferita ai profili di
legittimità del provvedimento (c.d. vizi-motivo). L’Autore mette anche in evidenza come la presentazione di un ricorso
anche palesemente infondato consentirebbe ad un giudice di sollevare un dubbio di costituzionalità su una norma la cui
caducazione determinerebbe l’illegittimità dell’atto impugnato per altri motivi; il ricorrente così si gioverebbe dei poteri
officiosi del giudice indipendentemente dai motivi dedotti. Si darebbe così vita ad una tutela degli interessi legittimi per
«impulso spontaneo» del giudice. In senso analogo v. E. GUICCIARDI, Nota a Cons. St., sez. VI, 18 marzo 1964, n. 247, in Giur.
it., 1964, III, 70, secondo cui «un giudizio amministrativo, in cui il ricorrente fosse affrancato dall’onere della impugnazione,
intesa non soltanto come generica affermazione di illegittimità, ma come precisa indicazione dei motivi della illegittimità e
per l’annullamento, non appare in alcun modo configurabile nel nostro ordinamento».
71 F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, cit., 77.
72 N. LIPARI, Orientamenti in tema di effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Gius. civ., 1963, I, 2256,
afferma che non si può sollevare «d’ufficio la questione di legittimità di una norma invalidante di riflesso un atto
amministrativo il cui vizio non può essere rilevato d’ufficio dal giudice».
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di Stato successiva alla Adunanza Plenaria n. 8 del 1963 è riemersa in modo contraddittorio questa
resistenza delle regole processuali proprie della struttura impugnatoria73.
In realtà una impermeabilità del processo amministrativo al controllo di costituzionalità (rectius, una
subordinazione delle regole processuali del processo costituzionale a quelle del processo
amministrativo) produrrebbe come conseguenza che il giudice, quando il ricorrente denunci una
violazione di legge senza rilevare la illegittimità costituzionale del parametro legale dell’atto impugnato,
non potrebbe, «anche se convinto» (o per lo meno ragionevolmente dubbioso) della incostituzionalità
della stessa legge, sollevare d’ufficio la questione, dovendo invece applicare la norma alla fattispecie74. In
questo modo una certa configurazione delle regole processuali si risolverebbe nella primazia del
principio di legalità ordinaria su quello di legalità costituzionale. Il processo di impugnazione degli atti
rappresenterebbe così non una semplice strettoia ma una immensa zona franca del controllo di
legittimità costituzionale, la cui attivazione sarebbe rimessa in balia della sensibilità costituzionale e degli
interessi sostanziali delle parti75. Per di più nella ricostruzione sopra esposta appare problematica la
trattazione della questione di costituzionalità alle stregua di un qualsiasi motivo di parte76.
La reazione invece più ragionevole (b) alla giurisprudenza del Consiglio di Stato (caratterizzata da
una «formulazione troppo ampia e indiscriminata»77), pur non arrivando a sostenere la subordinazione
dell’attivazione del controllo di costituzionalità ad una esplicita doglianza (come visto sopra), ha posto il
reale problema del coordinamento e della armonizzazione78 tra giudizio impugnatorio e sollevamento
d’ufficio della questione di legittimità, in altre parole il problema dei “limiti”, che l’Adunanza plenaria
sembrava aver fatto saltare; «fuori da tali limiti, in un processo nel quale viga la Dispositionsmaxime, non
c’è judicium». Tale precisazione «diminuisce il campo entro il quale il giudice amministrativo può
sollevare d’ufficio la questione di costituzionalità ma non la elimina affatto»79. Evidentemente la ragione
che muoveva queste considerazioni era sempre la medesima, ossia la preoccupazione di conservare la
73
Cfr. ad esempio Cons. st., sez. IV, 4 giugno 1969, n. 251, in Foro it., 1969, III, 98 ss.; Id., sez. VI, 18 novembre 1977
n. 871, in Foro amm., 1977, I, 2688 ss. In tale logica il giudice amministrativo potrebbe sollevare d’ufficio questione di
costituzionalità esclusivamente (a) quando la sua definizione per accoglimento della Corte esplichi una influenza su profili
rilevabili d’ufficio come le questioni che attengono al rito o a taluno dei presupposti processuali (cfr. F. LA VALLE, La
rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, cit., 78 e più di recente v. A. CERRI, Gli effetti delle decisioni di
accoglimento della corte costituzionale e le preclusioni processuali, in Foro it., 1993, I, 1206 ss., quando (b) tale questione abbia come
oggetto una norma sulla attribuzione del potere stesso, sul presupposto che la dichiarazione di incostituzionalità produrrebbe
(non una semplice illegittimità sopravvenuta ma) una nullità sopravvenuta dell’atto impugnato e quindi la potenziale
reviviscenza di talune situazioni di diritto soggettivo temporaneamente affievolite, la cui giurisdizione non sarebbe più quella
del giudice amministrativo ma quella del giudice ordinario (cfr. F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della
incostituzionalità delle leggi, cit., 73; A. BERLIRI, Sulla proponibilità dinanzi al consiglio di Stato della eccezione di incostituzionalità di una
legge, in Foro amm., 1964, II, 50 ss), quando (c) non si immetta nel giudizio un vizio diverso da quelli fatti valere, come
nell’ipotesi in cui il dubbio di costituzionalità insista su una norma utilizzata come parametro di legittimità dell’atto
impugnato e il suo accoglimento si limiti a determinare l’infondatezza del ricorso, giovando fattualmente al resistente (così
ancora F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, cit., 211); questo è in definitiva il caso di un
provvedimento impugnato per violazione di una norma, la cui caducazione si risolve in una eliminazione retroattiva di tale
violazione e quindi del vizio fatto valere nei motivi del ricorso.
74 Sul punto v. A CERVATI, Gli effetti della pronuncia di incostituzionalità delle leggi sull’atto amministrativo, in Giur. cost., 1963,
1228; S. LESSONA, Riflessi sul giudizio amministrativo della «cessazione di efficacia» pronunciata dalla Corte costituzionale, in Studi per il
XX anniversario dell’Assemblea costituente, Firenze, 1969, 353.
75 In questa logica, portata “per paradosso” alle estreme conseguenze, assumerebbe un plusvalore il Preambolo al Codice
deontologico forense nella parte in cui dispone che l’avvocato «vigila sulla conformità delle leggi ai principi della
Costituzione», potendo ipotizzarsi la responsabilità disciplinare del difensore nel caso in cui non solleciti il sollevamento
della questione su una norma (parametro dell’atto impugnato) palesemente incostituzionale.
76 C. D’ANTONE, «Motivi dedotti» e «rilevabilità d’ufficio» della questione di legittimità costituzionale nel processo ammnistrativo, in
Foro amm., 1978, 2168 ss; C. ANELLI, La rilevanza, cit., 97; C. MIGNONE, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova,
1984, 115 ss.
77 A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale di una legge e motivo di ricorso giurisdizionale amministrativo, in Foro amm.,
1964, 140.
78 S. LESSONA, Riflessi sul giudizio amministrativo, 353.
79 A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità, cit., 140; ID., Incidente di costituzionalità in giudizio amministrativo, in Foro it., 1970, III,
101. In senso analogo v. C. ANELLI, La rilevanza, cit., 93 ss.; N. LIPARI, Orientamenti in tema di effetti, cit., 2256. Anche A.
CERRI, Gli effetti delle decisioni, cit., 1207, afferma che ogni giudizio impugnatorio comporta una «limitazione di competenza
del giudice».
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validità del principio dispositivo, visto che una volta dissolto il legame tra domanda di parte e
cognizione del giudice potrebbe arrivare a sostenersi che il giudice amministrativo, quando la Corte
costituzionale dichiara incostituzionale una norma, debba andare a caccia degli atti amministrativi
emanati nel territorio della Repubblica per accertare se abbiano fatto applicazione proprio della norma
caducata80.
La problematica non è stata generalmente oggetto di attenzioni da parte degli studiosi del diritto
processuale costituzionale81. Appare invece singolare come la giurisprudenza amministrativa, a
cinquant’anni di distanza dalla nascita della Corte costituzionale, abbia ancora il bisogno di ribadire che
il sistema processuale non può risolversi in una preclusione assoluta per l’attivazione d’ufficio del
giudizio costituzionale. Nel 2002 il TAR della Lombardia, sezione di Brescia, ha continuato
«preliminarmente» ad interrogarsi «circa la possibilità per il giudice amministrativo di sollevare d’ufficio la
questione di legittimità costituzionale». A «tale interrogativo», così è definito presupponendo una
(anacronistica) problematicità, «deve rispondersi affermativamente, posto che la previsione dell’art. 1
della L. cost. 9 febbraio 1948 n. 1 è molto ampia e non prevede distinzioni di sorta tra giudice ordinario
e giudice amministrativo, stabilendo genericamente che la questione di legittimità costituzionale possa
essere “rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio”»82. Lo stesso Consiglio di
Stato ha riproposto il problema della legittimazione del giudice amministrativo a sollevare una
questione di costituzionalità nell’ipotesi in cui tale vizio non sia stato prospettato nell’atto introduttivo
del giudizio, non potendo che risolverlo in modo conforme83 alla propria e più risalente pronuncia, di
cui si è detto.
Da queste affermazioni e dalla “sopravvivenza” della problematica non può frettolosamente dedursi
un sintomo di una latente diffidenza verso il funzionamento del sindacato di costituzionalità in via
incidentale ma, più realisticamente, la prova che l’introduzione del sistema di giustizia costituzionale
abbia generato un trauma nella cultura giuridica dei giudici amministrativi, dinanzi ai quali stava e sta il
processo sugli atti, con le sue regole e i propri vincoli; la logica del sindacato in via incidentale ha
richiesto al giudice di emanciparsi da quei vincoli (per quanto, come vedremo meglio, non in modo
assoluto) e dai vizi specificamente dedotti dal dominus del thema decidendum (il ricorrente). Questa recente
giurisprudenza rappresenta probabilmente un’eco di quel disorientamento iniziale, che non si è mai
dissolto del tutto, pur essendo ormai pacifico che il giudice amministrativo, come qualsiasi altra autorità
giurisdizionale, possa sollevare una questione di costituzionalità a prescindere e indipendentemente
dalla sussistenza di uno specifico motivo del ricorrente (o da una eccezione di legittimità costituzionale
fatta valere da un controinteressato). Nella sensibilità giuridica (verrebbe da dire processuale) dei giudici
amministrativi è rimasto un residuo di quella innovazione che la rigidità della Costituzione (con le
proprie garanzie) ha portato con sé; un residuo storico che come un fiume carsico talune volte affiora,
come quando si afferma che è certamente possibile sollevare questione di legittimità ex officio per quanto
tale potere rappresenti una «alterazione del principio della domanda»84 e per quanto «venga meno il
principio della corrispondenza dell’oggetto del giudizio amministrativo con il contenuto del ricorso»85.
Questa è la provocazione suggestiva di A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale di una legge, cit., 139.
Fanno eccezione le considerazioni di A CERVATI, Gli effetti della pronuncia di incostituzionalità, cit., 1963, 1228 ss.; V.
ONIDA, Pubblica amministrazione e costituzionalità delle leggi, Milano, 1967, 201 ss.; M. MAGRI, La legalità costituzionale
dell’Amministrazione, Milano, 2002, 344 ss.; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 166 ss.; ID., La “dialettica” del giudizio
incidentale, cit., 124 ss.; ID., Gli effetti delle decisioni di accoglimento, cit., 1206 ss.; M. MASSA, Problemi e modelli del sindacato sui
regolamenti ammnistrativi, Tesi di Dottorato di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Pisa, 2005, 202 ss.
82 Tar Lombardia, sez. Brescia, 21 ottobre 2002, n. 1510, in Trib. amm. reg., 2002, I, 4318 ss.
83 Cfr. Cons. St., sez. V, 6 febbraio 1999, n. 138, in Cons. St., 1999, I, 220 ss., secondo cui «deve escludersi che l’esercizio
in concreto di tale potere, che ha fonte in una norma costituzionale trovi ostacolo nei principi di legge ordinaria, secondo i
quali il giudice amministrativo decide solo sui moti dedotti dal ricorrente. Vero è, invece, che l’ambito dei poteri di
cognizione del giudice amministrativo trova definizione nel quadro normativo complessivo, quale definito, in primo luogo,
dalle norme di rango costituzionale».
84 Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, in Trib. amm. reg., 1980, I, 2308 ss.. Per altro appare sintomatico anche un
inciso contenuto in un un’ordinanza di rinvio (Tar Lazio, 28 ottobre 1981, in Giur. cost., 1981, 194 ss.) in cui si legge che
«all’occorrenza» il giudice può sollevare una questione di costituzionalità «anche d’ufficio».
85 Tar Toscana, 25 luglio 1985, n. 705, in Trib. amm. reg., 1985, I, 3383 ss.
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In questa prospettiva può leggersi una forma di incidenza del processo costituzionale su quello
amministrativo. Si potrebbe al contrario affermare che la sussistenza della rilevanza, necessaria al fine
del sollevamento, esclude di per sé un ampliamento del thema decidendum essendo la questione di
costituzionalità pregiudiziale e quindi contenuta in esso; in tale logica non sarebbe ravvisabile una
alterazione del principio della domanda. Tuttavia questa affermazione sembra non valere nel giudizio
amministrativo, in cui il giudice deve conoscere un vizio o quei vizi specificamente contenuti nei motivi
del ricorso, sul presupposto che la questione di costituzionalità (sollevata d’ufficio) può generare un
vizio dell’atto “nuovo”, alla luce del quale il principio della domanda appare affievolito. Infatti nell’ipotesi
in cui un provvedimento sia impugnato per violazione di legge e in particolar modo per violazione della
norma x, una dichiarazione di illegittimità costituzionale potrebbe incidere su tale norma conferendole
un significato normativo diverso, magari un significato y, o eliminando assolutamente la norma
dall’ordinamento. Rispetto a questa sopravvenienza l’atto impugnato potrebbe divenire legittimo
(diversamente dalla sua illegittimità rispetto alla norma x ormai caducata)86 o potrebbe divenire
illegittimo (diversamente dalla sua legittimità rispetto alla norma x ormai caducata). In questa seconda
ipotesi il vizio immesso nel giudizio amministrativo sarebbe evidentemente un vizio “altro” rispetto a
quello fatto valere nel ricorso. A questa ultima ipotesi è analogo il caso in cui un atto sia impugnato per
violazione di una norma z e la dichiarazione di incostituzionalità di tale norma, sollecitata d’ufficio dal
giudice amministrativo, renda applicabile una diversa norma k rispetto alla quale l’atto potrebbe
risultare viziato per violazione di legge; è evidente che la violazione della norma z, originariamente
invocata dal ricorrente, rappresenta un vizio diverso dalla violazione della norma k.
In definitiva è certamente pacifico che il giudice amministrativo può sollevare d’ufficio una
questione di costituzionalità ma sembra altrettanto pacifico che tale potere possa produrre una scossa,
una alterazione della struttura impugnatoria. Non può negarsi però, come anticipato, che il potere
officioso del giudice amministrativo nel sollevamento di un dubbio di costituzionalità assuma una
configurazione peculiare. La giurisprudenza amministrativa ha infatti progressivamente definito gli spazi
nell’ambito dei quali esercitare tale potere tentando un bilanciamento tra il funzionamento del sindacato
in via incidentale e la natura del giudizio impugnatorio.
4. I limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità: l’incidenza del
ricorso sulla rilevanza
Nei motivi del ricorso il ricorrente indica le norme alla luce delle quali accertare la illegittimità
dell’atto impugnato e necessarie per individuarne il vizio; tali norme rappresentano il modello legale
sotto il quale sussumere i fatti, che con esse permettono di specificare la causa petendi. Evidentemente il
potere del giudice amministrativo di sollevare una questione di costituzionalità è fortemente
condizionato dalle scelte del ricorrente, sul presupposto che una questione di costituzionalità potrà
essere sollevata soltanto sulla base delle norme fatte valere nell’atto introduttivo del processo e non su
altre norme delle quali in tale atto non si fa menzione, non risultando necessarie al sindacato sul vizio
dedotto. Non può negarsi infatti che la pienezza del principio iura novit curia, propria del processo civile,
implica che il giudice possa scegliere le norme sulla base delle quali interpretare i fatti allegati dalle parti,
avendo così un potere di sollevamento della questione di costituzionalità che è limitato, nella logica
della rilevanza del sindacato in via incidentale, alle norme che esso stesso ha scelto al fine di decidere la
causa. Al contrario nel processo amministrativo il potere di rilevare d’ufficio un dubbio di
costituzionalità non sembra “auto-limitato” dalle norme individuate dallo stesso giudice ma “eterolimitato” e vincolato alle norme indicate dal ricorrente. In questa logica la nozione di rilevanza nel
processo amministrativo può essere qualificata in modo peculiare come una rilevanza condizionata87.
Come detto i più risalenti indirizzi del Consiglio di Stato ammettevano che il potere del giudice di
sollevare una questione di legittimità costituzionale potesse essere esercitato «senza limitazione
Cfr. ad esempio Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Cons. St., 1986, I, 1807.
Secondo C. ANELLI, La rilevanza, cit., 82, la rilevanza nel giudizio amministrativo «non è indifferente alle
caratteristiche strutturali e funzionali di questo».
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alcuna»88, facendo così pensare ad un completo stravolgimento della natura del giudizio amministrativo
e al superamento di quelle limitazioni che invece avrebbero potuto dedursi dal principio della domanda
e dalla delimitazione del thema decidendum attraverso i motivi del ricorso. In realtà, la stessa
giurisprudenza amministrativa89, ormai sottratta alle influenze del momento storico legato alla nascita
del sistema di giustizia costituzionale, ha progressivamente tentato di definire e specificare i limiti al
sollevamento della questione di costituzionalità, affermando che è pur vero che il dubbio di legittimità
costituzionale può essere rilevato d’ufficio ma occorre che tale dubbio sia riferibile e ben ancorato ad
un motivo del ricorso, tempestivamente presentato90. In questa prospettiva è certamente irrilevante la
questione che non risulta avere un qualche collegamento con uno specifico motivo di gravame, rispetto
al quale possa essere apprezzata la pregiudizialità, sul presupposto che una tale questione così
esorbitante dalla domanda giudiziale determinerebbe un indebito ampliamento dell’oggetto del
processo, che è invece indisponibile non solo al giudice ma anche al ricorrente (fatta salva la disciplina
dei motivi aggiunti) nella fase successiva a quella di instaurazione del giudizio amministrativo.
In definitiva il giudice amministrativo può sollevare questione di costituzionalità quando debba fare
applicazione della stessa norma illegittima e nel processo amministrativo il giudice può fare applicazione
di una norma esclusivamente quando abbia costituito oggetto di un dedotto vizio di legittimità. In
questa logica una norma è indispensabile ai fini della definizione della controversia soltanto se
costituisce un parametro (ordinario, nella gerarchia delle fonti) per l’esame della legittimità dell’atto, così come
si evince dai motivi del ricorso; al contrario se la norma non è invocata in tali motivi (a prescindere
evidentemente dalla deduzione espressa della sua illegittimità) il giudizio amministrativo potrà essere
definito indipendentemente da quella91.
Più in generale può dirsi che i limiti della rilevanza della questione di costituzionalità discendono dai
limiti, propri del processo amministrativo, sulla conoscibilità da parte del giudice della res in iudicium
deducta92. Il potere del giudice amministrativo di sollevare una questione di costituzionalità è così
esercitabile nel rispetto non soltanto delle regole sulla giurisdizione e sulla competenza ma anche degli
spazi di cognizione derivanti dalla natura impugnatoria del processo amministrativo.
Deve però precisarsi come l’incidenza della natura del giudizio amministrativo sui poteri del giudice
e l’indebolimento del principio iura novit curia in seno a quello di corrispondenza tra petitum e decisum non
ne neutralizzano la funzione interpretativa. Se al ricorrente spetta la scelta delle norme, al giudice spetta
«di riconoscere quale norma il ricorrente abbia scelto»93. La funzione di ricognizione si concretizza in una
interpretazione del ricorso al fine di individuare il modello legale e la fattispecie normativa a cui fa
riferimento il ricorrente, attraverso un’attività di “estrazione” sostanziale (quindi di identificazione) delle
norme che si intendono violate94, non assumendo, di conseguenza, nessuna rilevanza l’errore di
qualificazione formale del vizio posto in essere dalla parte. Inoltre non è escluso che l’attività anziché
atteggiarsi come ricognitiva sia integrativa della fattispecie normativa soltanto parzialmente individuata
dal ricorrente. In tale logica «il giudice non si sostituisce al ricorrente nella scelta della norma, ma
88 Così v. Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, cit., 1229. Nello stesso senso v. Id., sez. VI, 18 marzo 1964, n. 247, in Foro
amm., 1964, 135 ss.
89 Cfr. Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2970, in Trib. amm. reg., 2003, I, 2134 ss.; Cons. St., sez. IV, 27 aprile
1989, n. 268, in Foro amm., 1989, 960 ss.; Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, in Cons. St., 1987, I, 1779 ss.; Id., sez. VI, 13
febbraio 1984, n. 72, ivi, 1984, I, 187 ss.; Id., sez. VI, 19 luglio 1999, n. 973, ivi, 1999, I, 190; Tar Lazio, sez. III, 9 giugno
1980, n. 583, in Trib. amm. reg., 1980, I, 2308 ss.; Cons. St., sez. IV, 10 luglio 1979, n. 599, in Foro amm., 1979, I, 1459 ss.; Id.,
sez. VI, 12 dicembre 1962, in Cons. St., 1962, 2080 ss.
90 Cfr. Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, cit., 2308 ss., in cui si legge espressamente che «il prevalente
orientamento della giurisprudenza è invero, nel senso di ritenere che l’iniziativa d’ufficio non sia illimitata e che debba, anzi, in
qualche modo, coordinarsi con i caratteri di impugnazione».
91 Assai significativa l’analisi di M. MASSA, Problemi e modelli, cit., 198 ss., che ricostruisce la problematica delle tensioni
tra officiostà della disapllicazione dei regolamenti e principio dispositivo alla luce delle analoghe tensioni che intercorrono tra
sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità e principio dispositivo, sul presupposto che la cognizione officiosa
sulla incostituzionalità delle leggi e sulla illegittimità dei regolamenti «hanno in comune un’identica radice, cioè il principio
iura novit curia».
92 F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, cit., 206.
93 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288. Cfr. anche Cons. St., sez. VI, 2 gennaio 1998, n. 97, in Cons. St., 1998, n.
798, ivi, 1998, I, 986; Id., 22 maggio 1998, n. 798, ivi, 1998, I, 986.
94 Cfr. Cons. St., VI, 2 gennaio 1998, n. 97, ivi, 1998, I, 95; Id., 22 maggio 1998, n. 798, ivi, 1998, I, 986.
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sviluppa tutte le implicazioni della denuncia dello stesso ricorrente e mette allo scoperto l’intera trama
del diritto di cui si richiede l’applicazione all’unitario episodio di vita esposto dal ricorrente»95. Ciò
posto, ai fini del sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità, i limiti derivanti dalla natura
impugnatoria devono essere definiti anche alla luce di queste considerazioni, non potendo essere
ritenute applicabili soltanto le norme materialmente indicate nella redazione del ricorso.
Inoltre come il principio della domanda conserva la propria vincolatività al di là del giudizio di
primo grado96, allo stesso modo il sollevamento in appello della questione di costituzionalità (sia
d’ufficio che su istanza di parte) incontra i limiti dei motivi del ricorso, non potendo né il giudice né le
parti ampliare l’oggetto del giudizio amministrativo. Su questo presupposto è inammissibile la questione
di legittimità costituzionale che venga dedotta o sollevata dal giudice in appello nei confronti di una
norma rispetto alla quale il ricorso di primo grado non conteneva nessuna censura. Evidentemente
anche nel processo amministrativo il giudice potrà sollevare un dubbio di legittimità “in ogni fase e
grado” ma sempre riferibile ad un motivo tempestivamente proposto, non potendo infatti (a) esaminare
la legittimità di norme non richiamate nei motivi del ricorso o (b) la legittimità di norme riguardanti un
atto del procedimento che non sia stato in alcun modo oggetto di impugnazione.
Quanto alla ipotesi sub a), appare significativo un caso in cui gli appellanti, dirigenti statali,
chiedevano il riconoscimento del loro diritto ad ottenere che le dieci ore di lavoro settimanale -prestato
sulla base di una previsione di legge (art. 20 D.P.R. n. 748/1972), in eccedenza rispetto all’orario
previsto per gli altri dipendenti statali- fossero riconosciute come orario straordinario. Su tale norma si
era nel frattempo pronunciata la Corte costituzionale97 secondo la quale doveva escludersi che la
maggiorazione di orario potesse considerarsi lavoro straordinario, risultando al contrario parte
integrante dell’orario di lavoro. La stessa Corte aveva affermato che la questione non investiva in realtà
l’oggetto dell’incidente di costituzionalità (l’art. 20 del DPR citato) ma le norme che disciplinavano il
trattamento economico dei dirigenti in relazione agli altri dipendenti. Alla luce delle indicazioni che
potevano trarsi da quella pronuncia la difesa degli appellanti aveva tentato attraverso una memoria di
congegnare in modo diverso la questione di costituzionalità spostando i dubbi di legittimità sulle altre
norme indicate nella pronuncia della Corte costituzionale. Il Consiglio di Stato però in modo chiaro ha
rilevato come tale memoria avrebbe introdotto surrettiziamente una questione di costituzionalità
esorbitane dal petitum originario, non essendo infatti riferibile alle censure che formavano oggetto dei
motivi 98.
Quanto alla ipotesi sub b), lo stesso Consiglio di Stato, dinanzi ad una questione di costituzionalità
eccepita su una norma riguardante un atto del procedimento disciplinare diverso da quello impugnato
dal ricorrente, ha affermato, motivando la irrilevanza di tale questione, che se fosse affrontata si
produrrebbe una elusione del termine decadenziale per la notifica del ricorso, con una palese violazione
del diritto di difesa dell’Amministrazione resistente99.
M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288.
In dottrina v. R. VILLATA, Considerazioni sull’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2000,
398 ss.; M. NIGRO, Il Consiglio di Stato come giudice d’appello, in Atti del Convegno del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di
Stato, Milano, 1983, 279 ss. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 336 ss., mette in evidenza come il potere di cognizione,
così come i limiti di esso, del Consiglio di Stato sia il medesimo dei Tar, sul presupposto che il nuovo giudizio cade sullo
stesso oggetto del primo grado, ossia sulla impugnazione dell’atto. Lo stesso Autore afferma chiaramente come la
vincolatività del principio della domanda e il divieto di mutamento dell’oggetto discendono «sia dalla caratteristica comune
ad ogni gravame appellatorio di essere continuazione della precedente fase e riesame critico di quanto si è fatto, sia dalla
rigidità dell’oggetto del giudizio amministrativo, caratteristica che preclude il mutamento dell’oggetto in primo grado, a maggior ragione in
appello». Cfr. anche Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2001, n. 5471, in Foro amm., 2001, 2799 ss. secondo cui sono inammissibili
per il princpio del divieto di ius novorum, le censure concretanti motivi muovi dedotti per la prima volta in appello. In senso
analogo Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5950, in Cons. St., 2002, I, 2364 ss.
97 Corte cost., 244/1987.
98 Cfr. Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1989, n. 268, cit., 960 ss. Deve precisarsi che questa pronuncia non sia stata resa a
seguito dell’esercizio di un’azione di impugnazione ma di un’azione di accertamento. Tuttavia il principio affermato dal
Consiglio di Stato mantiene, evidentemente, la propria valenza anche nell’ipotesi in cui sia sollevata questione di
costituzionalità su una norma “non richiamata” nel ricorso di primo grado come parametro di legalità del provvedimento
impugnato. In questo senso v. Id., sez. VI, 19 luglio 1999, n. 973, in Cons. St., 1999, I, 1190.
99 Cfr. Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, ivi, 1987, I, 1179 ss. Nello stesso senso v. Id., 10 luglio, 1979, n. 599, ivi,
1979, I, 977 ss.
95
96
16
Sia nella ipotesi a) sia nella ipotesi b) il giudice amministrativo ha dichiarato irrilevante una
eccezione di costituzionalità dedotta dalle parti, tuttavia da questa giurisprudenza può desumersi la
medesima definizione dei limiti al sollevamento d’ufficio della questione di legittimità nel secondo grado
del processo amministrativo. Deve inoltre precisarsi che il Consiglio di Stato, oltre ad incontrare i
medesimi limiti dei Tribunali amministrativi regionali, ossia quelli che discendono dalla vincolatività del
principio della domanda, incontra anche le limitazioni imposte dal principio devolutivo, secondo il
quale potrà conoscere soltanto questioni risolte nei capi impugnati ed esclusivamente in questo ambito
potrà vagliare i dubbi di costituzionalità di una norma. Al contrario, provando a schematizzare, risulterà
irrilevante una questione di costituzionalità sollevata 1) su norme contenute in motivi del ricorso non
decisi dai capi impugnati delle sentenza; 2) su norme non richiamate nei motivi decisi dai capi
impugnati; 3) su norme relative ad un atto del procedimento non impugnato con il ricorso di primo
grado.
Non può tacersi come il modello impugnatorio oltre ad incidere fisiologicamente sull’accesso al
giudizio costituzionale possa generare, a causa di una sorta di vizio psicologico degli operatori del processo
amministrativo, delle strettoie “di fatto”; la struttura del ricorso può indurre a trattare la questione di
costituzionalità come un motivo di parte. Il ricorrente infatti spesso impugna in prima battuta un atto
per violazione di legge e soltanto in subordine (come secondo motivo) -nell’ipotesi in cui tale norma
debba essere altrimenti interpretata- sollecita la questione di costituzionalità su di essa. Può succedere
che il giudice, trattando e “rispondendo” ai motivi nell’ordine contenuto nel ricorso, dichiari infondato
il primo (con una sentenza parziale) e rilevante (e non manifestamente infondata) la questione di
costituzionalità100; in questa ipotesi la norma sospettata di incostituzionalità è già (non correttamente)
applicata al fine di respingere il primo motivo. E’ noto però come la giurisprudenza costituzionale
ritenga inammissibili questioni di costituzionalità sollevate su norme già applicate. L’assimilazione di tali
questioni ai motivi del ricorrente rischia così di paralizzare l’attivazione del sindacato incidentale; ma
questa è soltanto una deviazione che si annida nella pratica.
5. Lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale
Verrebbe invece da chiedersi quale uso abbia fatto la Corte costituzionale proprio dei vincoli
fisiologici imposti dalla natura del giudizio amministrativo al fine di vagliare la rilevanza di una
questione di costituzionalità. In realtà nella giurisprudenza costituzionale si trovano tracce impercettibili
di quella limitazione connessa al principio della domanda, potendo leggersi soltanto qualche breve
passaggio sulla problematica101. Da una analisi sulle pronunce di inammissibilità ci pare di poter
affermare che la Corte costituzionale arrivi assai raramente a dichiarare irrilevante una questione sul
presupposto che il giudice amministrativo abbia valicato i limiti del ricorso, sollevando d’ufficio questione
su una norma non richiamata nei motivi102.
Provando a indagarne le ragioni può affermarsi che questo tipo di sindacato appare peculiare
rispetto a quello sulla rilevanza proprio di altri giudizi a quibus o esercitato nello stesso processo
amministrativo relativamente ad altri profili, presupponendo infatti che la Corte (a maggior ragione)
non si limiti ad esaminare la questione attraverso lo studio dell’ordinanza di rinvio. Il rispetto dei limiti
derivanti dal principio della domanda necessiterebbe infatti di un controllo effettivo sulla
configurazione dello stesso ricorso (quindi sulle norme richiamate in questo), ossia anche sugli atti
trasmessi. Al contrario la Corte costituzionale ha sostenuto che «gli elementi richiesti per l’ammissibilità
della questione (…) debbono risultare esclusivamente dall’ordinanza di rimessione e non possono
eventualmente essere tratti dagli atti del giudizio a quo»; infatti soltanto l’ordinanza, debitamente pubblicata,
Cfr. Corte cost., 215/2003; 264/1998; 315/1992; 166/1992; 242/1990.
Cfr. ad esempio Corte cost., 595/1990, in cui si legge che la questione deve essere «circoscritta sotto l’aspetto della
rilevanza», facendo riferimento alle norme sulla base delle quali è stato emanato l’atto impugnato.
102 Cfr. ad esempio Corte cost. 139/1974. Nel caso di specie il ricorrente aveva lamentato la illegittimità di un
provvedimento con cui il Comune di Bologna aveva sospeso ogni determinazione sulla domanda di licenza edilizia
imponendo dei vincoli di edificabilità ed il Consiglio di Stato aveva sollevato questione di costituzionalità -non sulle norme
indicate come violate dal ricorrente ma- sulle norme che non prevedevano un indennizzo in conseguenza di tale
imposizione.
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rende noto per ogni effetto alla generalità dei cittadini e agli organi giudiziari, la pendenza del giudizio
costituzionale in tutti i suoi estremi»103. Proprio da questa discrasia tra la necessità che il rispetto del
principio della domanda sia accertato attraverso l’esame del ricorso e la irrilevanza del fascicolo
processuale, ai fini del sindacato sulla pregiudizialità costituzionale, può forse desumersi come la Corte
costituzionale non pronunci mai l’inammissibilità di una questione di costituzionalità perché il giudice
abbia tradito il vincolo derivante dall’impugnazione.
Tuttavia non può negarsi come probabilmente la stessa cultura giuridica dei giudici amministrativi,
sensibile alla natura del proprio processo e delle sue regole, rappresenti di per sé un filtro funzionante,
idoneo ad impedire che giungano alla Corte costituzionale questioni esorbitanti i limiti del petitum. Il
giudice amministrativo non soltanto, come abbiamo visto, impone a sé i limiti dell’impugnazione nel
sollevamento ex officio ma sembra esercitare un vaglio stringente anche sulle eccezioni di parte. Anche se
deve precisarsi, quanto a questa seconda ipotesi, come nella giurisprudenza amministrativa appaiono
comunque non molti i casi, relativamente a questo profilo, in cui il giudice abbia dichiarato con
ordinanza irrilevante una eccezione d’incostituzionalità104. Questo dato permette probabilmente di
risalire alla stessa natura del giudizio di impugnazione e alla configurazione del ricorso la cui
individuazione delle norme da assumere a parametro di legalità dell’atto impugnato rende più difficile che
una questione di costituzionalità dedotta dalle parti (soprattutto dal ricorrente che tali norme richiama)
sia irrilevante, essendo ridotto, per così dire, il “margine di errore”.
In definitiva lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale ai limiti, imposti dal principio
della domanda, al sollevamento della questione di costituzionalità da parte del giudice amministrativo
può essere ricondotto non soltanto ad una certa irrilevanza degli atti trasmessi alla Corte costituzionale
(quindi al non funzionamento nel giudizio costituzionale del controllo sulla rilevanza, sotto il profilo
della vincolatività del ricorso) ma anche ad una serie di filtri strutturali connessi allo stesso giudizio
amministrativo, ossia prima alla configurazione della impugnazione e poi alla sensibilità del giudice
amministrativo nei confronti del principio della domanda. Può così essere confermato l’assunto
secondo il quale la natura del giudizio amministrativo incide sul giudizio costituzionale e in particolar
modo sull’accesso al giudizio costituzionale, per quanto una questione di costituzionalità, che sia
riuscita a passare tra le maglie del processo amministrativo, non incontrerà nel giudizio costituzionale
nessuna preclusione processuale, relativa al rispetto del principio della domanda, visto il carattere poco
decisivo della trasmissione degli atti.
6. Talune ipotesi di cedimento delle limitazioni derivanti dal principio della domanda
In questo quadro le tensioni e gli attriti tra il principio dispositivo e il potere officioso di attivazione del
sindacato di costituzionalità sembrano essere riconducibili ad unità. Dalla definizione degli spazi
nell’ambito dei quali il giudice amministrativo può rilevare un dubbio di legittimità costituzionale
dovrebbe così dedursi che risulta irrilevante una questione di costituzionalità su una norma non
richiamata nei motivi del ricorso (o comunque non riconoscibile da parte del giudice nella narrazione
dei fatti storici che definiscono il petitum). Potrebbe così sostenersi che in un giudizio di impugnazione
103 Id., 451/1989. In senso critico v. R. ROMBOLI, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in R. ROMBOLI (a
cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1993-1996), Torino, 1996, 95 ss., secondo cui «tale conclusione suscita
qualche perplessità, se infatti appare giusto che l’ordinanza di rinvio debba contenere la motivazione sia in ordine alla
rilevanza che alla non manifesta infondatezza, sembrerebbe altrettanto evidente che, allorché si tratti di accertare l’esistenza
di un mero dato di fatto al fine di valutare un mero dato se l’eccezione debba ritenersi ammissibile o meno, la Corte possa, o
meglio debba, far uso degli atti del processo principale. Qualora (…) l’invio e la presenza del fascicolo processuale non
dovesse servire neppure a questo scopo, ma ogni accertamento dovesse intendersi limitato a quanto contenuto
nell’ordinanza di rinvio, ci si potrebbe realisticamente chiedere perché mai la legge imponga al giudice a quo di trasmettere
alla Corte, unitamente al provvedimento di rimessione, anche gli atti relativi al giudizio principale». Tuttavia sembra che la
Corte non rispetti sempre le proprie affermazioni di principio spingendosi in alcuni casi anche a controllare gli atti di causa,
come rileva A. CERRI, La «dialettica», cit., 124, nota 52. In tal senso già D. NOCILLA, Riflessioni sulla giurisprudenza della Corte
costituzionale in tema di controllo della rilevanza, in Giur. cost., 1970, 637.
104 Cfr. ad esempio Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1989, n. 268, cit., 960 ss.; Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, cit., 1779
ss.
18
di un atto per eccesso di potere (qualunque sia il sintomo di questo) sarebbe più improbabile che il
giudice si imbatta in una norma su cui sollevare questione.
In realtà l’interazione tra i due processi nella fase ascendente non può dirsi a senso unico, essendo
infatti individuabili alcuni casi in cui il principio della domanda sembra cedere dinanzi a quella che
potremmo definire una vis espansiva del sindacato in via incidentale. Infatti quando il ricorrente ha
contestato soltanto il concreto esercizio del potere, facendo valere un vizio relativo ad un suo eccesso o
alla violazione di una norma sulla funzione sottesa al provvedimento impugnato, il giudice
amministrativo non si è sentito limitato dai motivi del ricorso giungendo a sollevare dubbi di
costituzionalità sulla genesi stessa di quel potere e rendendo così oggetto di una questione di
costituzionalità norme (a) sulla attribuzione della funzione105, (b) sulla composizione dell’organo che ha
posto in essere l’atto impugnato106 o (c) ancora sulla istituzione della stessa Amministrazione
resistente107. In questo senso la giurisprudenza amministrativa sembra smentire anche la dottrina più
sensibile alla definizione dei limiti al sollevamento della questione di costituzionalità, secondo la quale
nell’ipotesi in cui, ad esempio, il ricorrente lamenti l’illegittimità del punteggio assegnato in un concorso
pubblico, il giudice non potrebbe rilevare d’ufficio l’illegittimità costituzionale della norma disciplinate
la composizione della commissione giudicatrice108.
Quanto alla ipotesi sub a) può dirsi che il giudice amministrativo ha sollevato questione di
costituzionalità sulle norme attributive del potere non soltanto, come visto sopra, quando il ricorrente
ha lamentato un eccesso di potere ma anche quando il vizio dedotto era quello della violazione di legge
(ossia di una norma sul quomodo di esercizio del potere, diversa da quelle sulla genesi di questo). In un
caso ad esempio la società ricorrente ha impugnato l’annullamento di talune diffide a trasmettere
messaggi pubblicitari da due impianti di ripetizione di programmi televisivi e un ordine di disattivazione
e sequestro dell’impianto emesso per l’inottemperanza della diffida, facendo valere un particolare
profilo della illegittimità dei provvedimenti impugnati. I Tar invece, come giudici a quibus, hanno
sollevato questione sulle norme sulle quali «si fonda il potere di emettere i provvedimenti impugnati»109.
Quanto alla ipotesi sub b) appare significativo il caso in cui il ricorrente ha impugnato gli atti di un
concorso a cattedra per eccesso di potere ed il Consiglio di Stato ha invece sollevato questione di
costituzionalità sulle norme recanti i criteri per la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi,
composte soltanto da professori universitari eletti dagli stessi appartenenti alla categoria e titolari di un
potere privo di garanzie formali quanto ai criteri di giudizio. Per altro in questa vicenda processuale la
difesa dei controinteressati dinanzi alla Corte costituzionale ha eccepito la irrilevanza della questione sul
presupposto che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto decidere soltanto sul concreto uso da parte della
Amministrazione del proprio potere discrezionale, esulando dal thema decidendum del processo di
impugnazione ogni valutazione in merito alle disposizioni attributive del potere stesso, perché il giudice
amministrativo non era chiamato ad applicare le norme oggetto del dubbio di costituzionalità. La Corte
costituzionale in modo assai laconico si è limitata ad affermare che il modo di argomentare della difesa
dei controinteressati avrebbe presupposto un «riesame del giudizio del Consiglio di Stato che ha
espresso sulla rilevanza delle questioni proposte; e questo riesame non può farsi nella sede del processo
costituzionale»110
Quanto alla ipotesi sub c), nel corso di un giudizio amministrativo instaurato per l’annullamento di
un’ordinanza emessa dal Sindaco di un Comune, il Tar Campania ha sollevato questione sulla stessa
legge istitutiva dell’ente locale per violazione dei limiti imposti dall’art. 133 Cost., argomentando che
«dal riconoscimento della illegittimità della norma predetta dipende il giudizio sulla legittimità del
105 Cfr. Corte cost., 346/1991; 231/1985; 143/1972. In dottrina v. A. PIZZORUSSO, Questione di costituzionalità della legge e
questione di legittimità dell’atto sindacato dal giudice “a quo”: applicazione della legge e pregiudizialità della questione, in Foro it., 1982, I, 337
ss.
106 Cfr. Id., 620/1987; 189/1986; 143/1972.
107 Cfr. Id., 204/1981.
108 L’esempio è formulato da C. ANELLI, La rilevanza, cit., 96. Tra l’altro sembra assai significativo come questa
riflessione sia stata formulata da un mebro dell’organo di vertice della giustizia amministrativa.
109 Id., 231/1985. In senso analogo cfr. Corte cost. 346/1991.
110 Id., 143/1972. In senso analogo cfr. Id., 620/1987; 189/1986.
19
provvedimento impugnato»111. Anche in questo caso la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile la
questione (ed è arrivata a dichiarare illegittima la legge regionale), per quanto nessuna parola sia stata
spesa sulla rilevanza; tuttavia nel caso di specie la mancata argomentazione sulla ammissibilità era, per
così dire, assecondata dal fatto che nessuna eccezione era stata fatta valere dall’Amministrazione
resistente, come in altri giudizi costituzionali in cui è emersa una certa discrasia tra l’oggetto del giudizio
di costituzionalità e l’oggetto del giudizio amministrativo.
Da queste ipotesi, il cui profilo comune è la non coincidenza tra le norme, direttamente connesse al
petitum, richiamate nel ricorso e quelle della cui legittimità costituzionale si dubita, emerge una nozione
peculiare di rilevanza, elaborata dalla giurisprudenza amministrativa ed ammessa dalla Corte
costituzionale. Come è noto invece la ricostruzione tradizionale112 della rilevanza è legata a due caratteri
logicamente distinti: il primo connesso con l’origine del processo costituzionale, individuabile nel
requisito della applicabilità, alla luce del quale la norma oggetto dell’ordinanza riguarda, in qualche
modo, il processo comune e senza il quale vi è un difetto assoluto di rilevanza113; il secondo invece
connesso al fine del processo costituzionale, che si concretizza (solitamente) nella disapplicazione della
norma a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale e (in alcuni casi) in una generica
influenza sul processo114. La mancanza di questo secondo requisito produce un difetto relativo, potendo
concludersi che l’applicabilità sembrerebbe un requisito necessario ma non sufficiente ai fini della
rilevanza, la cui sussistenza richiede anche l’influenza della decisione della Corte sul giudizio a quo. In
questa logica la concretezza del sindacato in via incidentale sarebbe apprezzabile sia «in partenza», con
riferimento all’origine di tale processo e alla applicabilità in questo della norma oggetto del dubbio di
legittimità, sia «in arrivo», rispetto alla definizione del giudizio115.
Le ipotesi esaminate in precedenza sembrerebbero discostarsi da questa ricostruzione, poiché
potrebbe sostenersi, quasi per paradosso logico, che sussiste in tali casi il requisito della influenza ma
non quello della diretta applicabilità della norma della cui costituzionalità si dubita, visto che una
decisione di illegittimità costituzionale produrrebbe i propri effetti sull’atto impugnato, il cui vizio
sarebbe un vizio derivato116, ma tale norma non sarebbe applicabile alla fattispecie concreta perché non
indicata nei motivi del ricorso come parametro di legittimità dell’oggetto della impugnazione117. In realtà
può escludersi in questi casi una applicabilità «in senso stretto», potendo essere tali esclusivamente
quelle norme necessarie a definire il merito della causa (quindi, nel processo amministrativo, a
soddisfare l’annullamento dell’atto come richiesto nel ricorso) ed idonee ad incidere direttamente sugli
interessi materiali fatti valere nel giudizio ma non una applicabilità intesa «in senso lato», che si risolve
invece in una incidenza soltanto mediata118. Tuttavia deve precisarsi che con la nozione di applicabilità
«in senso lato» si è tradizionalmente fatto riferimento alle norme che il giudice ritenga incidentalmente
di dover applicare e che attengono a profili processuali, come alla indipendenza e all’imparzialità del
Id., 204/1981.
A. PIZZORUSSO, sub art. 137, in Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1981, 245.
113 A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, 251 ss.
114 Cfr. G. DOLSO, Giudici e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, Mialno, 2003, 51 ss.; di F. DAL CANTO, La rilevanza
e il valore del fatto nel giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il
giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Torino, 2002, 177 ss. Sulla nozione di influenza v. in particolar modo P. CARNEVALE, La
disapplicazione dell’art. 22 delle «Norme integrative»: un fatto che era nell’aria, in Giur. it, 1998, I, 422; N. TROCKER, La pregiudiziliatà
costituzionale, in Riv. dir. proc. civ., 1988, 836 ss.; F. MODUGNO, P. CARNEVALE, Sentenze additive, «soluzione costituzionalemente
obbligata» e declaratoria di inammissibilità per mancata indicazione del «verso» della richiesta addziione, in AA.VV., Giudizio” a quo”, cit.,
342; A. RUGGERI, A. SPADARO, Linemaneti di giustizia costituzionale, cit., 256 ss.
115 G. SILVESTRI, Controllo di costituzionalità delle leggi, in Dig. disc. pubbl., 1994, 148.
116 Come si evince in modo palese da Corte cost., 189/1986.
117 In realtà non del tutto irreale appare il caso in cui possa sussistere il requisito della influenza ma non quello della
applicabilità. Cfr. Corte cost. 8/1993. Significativa questa vicenda processuale in cui era stata sollevata questione di
legittimità costituzionale sulle norme che prescrivono la bollatura degli atti giudiziari. La Corte ha ritenuto irrilevante la
questione affermando che si trattava di norme non applicabili ma ha affermato contestualmente che avrebbe potuto
superare il vaglio di ammissibilità se il giudice a quo avesse argomentato le possibile incidenza negativa sul diritto di difesa. A
tal proposito G. DOLSO, Giudici e Corte, cit., 84, mette in evidenza molto chiaramente come il caso sia assai singolare ma
«sintomatico dell’importanza che la Corte sembra attribuire al requisito della “influenza”».
118 Cfr. G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, in AA.VV., Giudizio “a quo”, cit., 135 ss.; F. DAL CANTO, La
rilevanza, cit., 170 ss.
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112
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giudice o alla composizione e alla formazione del collegio119. Nelle ipotesi rilevanti ai nostri fini può
desumersi invece una ulteriore specificazione di quella categoria, posto che la incidenza mediata sul
giudizio amministrativo non è determinata dalla applicazione incidentale di talune norme ma dal
vincolo genetico indissolubile tra le norme direttamente applicabili (indicate nei motivi del ricorso), che
regolano il potere, e le norme sulla base delle quali tale potere si fonda.
La concomitanza del requisito della influenza con quello della applicabilità, seppur in senso lato
(“presupposta”) si risolvono così in una rilevanza «indiretta»120 della questione di costituzionalità; in
definitiva sembra che la rilevanza di una questione di costituzionalità sia in grado di “risalire” rispetto
ad una certa norma e ad un certo rapporto processuale.
Non può negarsi però come questa nozione di rilevanza, ampliando l’accesso al giudizio di
costituzionalità, produca non un semplice affievolimento del principio della domanda ma una sua
profonda alterazione. Sembra che un vizio diverso da quello lamentato possa essere immesso nel
giudizio attraverso il sollevamento della questione di costituzionalità, con cui si realizza una dilatazione
del thema decidendum. Infatti nell’ipotesi in cui venga sollevata questione, ad esempio, su una norma sulla
attribuzione di una funzione all’amministrazione resistente, l’atto impugnato per una violazione di legge
potrebbe essere annullato, se la Corte ritenga fondato il dubbio di costituzionalità, per un vizio diverso.
Si potrebbe comunque eccepire a queste considerazioni che anche nelle ipotesi in cui sia sollevata
questione di costituzionalità nei limiti delle norme indicate nel ricorso come parametro di legittimità
dell’atto potrebbe generarsi un vizio non dedotto dalle parti. Tuttavia in questo caso il vizio sarebbe
comunque connesso alla configurazione del petitum ed in particolare deriverebbe dalla dichiarazione di
incostituzionalità di una delle norme assunte a parametro di legittimità del provvedimento impugnato.
Invece quando un dubbio di costituzionalità è sollevato su una norma sulla genesi del potere il vizio
immesso nel giudizio è estraneo all’ambito oggettivo delimitato dal ricorso, non derivando dalla
eventuale dichiarazione di incostituzionalità di una delle norme contenute nei motivi di parte, e
“autonomo” dal petitum per quanto presupposto da questo. Sembra in definitiva esservi una distorsione
ancor più profonda del principio della domanda (pur, ancora una volta nel rispetto della rilevanza, per
quanto -o proprio perché- intesa in una accezione assai ampia, “presupposta”); sembra in definitiva che
la questione di costituzionalità porti ancora più lontano dai motivi del ricorso che non in altri casi.
Questa affermazione è confermata dal fatto che il vizio “nuovo” immesso nel giudizio amministrativo
attraverso il dubbio di costituzionalità potrebbe essere ricondotto con maggiore probabilità ad una
diversa species; ad esempio nel caso in cui il ricorrente impugni un atto per violazione di legge e il giudice
sollevi questione su una norma sulla stessa istituzione dell’organo che ha emanato l’atto, la eventuale
dichiarazione di incostituzionalità potrebbe dar vita ad un vizio di incompetenza.
In questi casi le limitazioni, connesse al principio della domanda, nel sollevamento ex officio di un
dubbio di costituzionalità cedono dinanzi al bisogno, soddisfatto dai giudici amministrativi, del
sindacato di costituzionalità di non residuare zone d’ombra strutturalmente connesse alle regole
processuali di un giudizio. La valorizzazione del vincolo genetico tra le norme indicate nel ricorso e
quelle oggetto della questione di costituzionalità, per quanto sia innegabile il profilo della concretezza
legato al requisito della influenza come carattere (anche) della rilevanza «presupposta», mostrano al
contempo un interesse astratto alla legalità costituzionale del fondamento dei poteri pubblici; la nozione
stessa di applicabilità «in senso lato», relativa alle norme “sul” potere (e non “del” potere, ossia
riguardanti il quomodo di esercizio di questo), porta con sé un profilo di astrattezza, apprezzabile nel
superamento del principio della domanda.
Quanto alla posizione della Corte costituzionale dinanzi a queste dinamiche non può dirsi molto
visto che poco dice la Corte stessa anche sotto questo profilo. La giurisprudenza costituzionale nelle
ipotesi in cui sia stata sollevata questione di costituzionalità su una norma “sul” potere diversa da quelle
indicate nei motivi del ricorso si è limitata nella maggior parte dei casi a decidere nel merito e soltanto
in poche ipotesi, in cui la difesa dei controinteressati ha eccepito la irrilevanza, ha affermato la
119 In argomento da ultimo in dottrina v. T. GIOVANNETTI, Riflessioni a margine di un caso di (presunta) irrilevanza di una
complessa questione di legittimità costituzionale, in Giur. cost., 2004, 357 ss.
120 Su questa nozione v. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 160 ss.
21
insindacabilità della valutazione contenuta nell’ordinanza di rinvio121. Potrebbe spiegarsi questo
atteggiamento facendo semplicemente riferimento al fatto che le vicende processuali ricordate
appartengono ad una fase storica (precedente agli anni ’90) in cui la Corte aveva limitato il proprio
sindacato sulla rilevanza assecondando la collaborazione con la magistratura e arrestando il controllo
alla logicità e alla coerenza della motivazione dei giudici a quibus. In realtà non soltanto tale
atteggiamento può scorgersi anche in pronunce successive a quella fase122 ma sembra che possa leggersi
in questo una ragione diversa che attribuisce una specificità alla volontà della Corte di sottrarsi al
controllo sulla rilevanza di una questione di costituzionalità. Probabilmente il silenzio sul rispetto dei
vincoli derivanti dal principio della domanda, quanto alla questione di costituzionalità relativa alle
norme sulla genesi del potere, è direttamente speculare al non funzionamento, di cui si è già detto, del
sindacato sulla rilevanza di una questione di costituzionalità su una norma sul quomodo di esercizio.
Sembra che la Corte abbia deciso di uniformare la propria giurisprudenza, evitando di porre in essere
un sindacato sulla rilevanza soltanto nelle ipotesi in cui oggetto della questione di costituzionalità sia
una norma “sul” potere, per quanto in questa ipotesi tale controllo risulterebbe probabilmente più
immediato potendo essere esercitato prescindendo dal contenuto del ricorso e facendo riferimento al
solo contenuto dell’ordinanza di rinvio.
In un solo caso, a quanto ci consta, può leggersi anche nella giurisprudenza costituzionale una certa
resistenza della struttura impugnatoria123. La Corte, dopo essersi posta il problema se la questione di
costituzionalità della norma attributiva del potere sia pregiudiziale al sindacato del giudice sulla
riconducibilità dell’atto alla stessa previsione normativa, sembra sostenere che «soltanto ove il giudice a
quo affermi che l’atto è stato legittimamente emanato in base alla norma attributiva, la questione di
costituzionalità (…) sarebbe rilevante, mentre se il giudice ritenesse che l’atto è stato emanato al di fuori
dei poteri previsti dalla norma, egli debba dichiararlo illegittimo (…), senza poter esaminare la questione
di costituzionalità»124. Questo modo di argomentare sembra fortemente condizionato dal peso della
specialità del giudizio impugnatorio e dalla peculiarità della configurazione del ricorso, in cui è fatta
valere come violata non una norma sul quomodo di esercizio del potere ma una norma attributiva.
Tuttavia in questo modo vi sarebbe uno stravolgimento della logica della pregiudizialità perché il
giudice amministrativo dovrebbe prima affrontare il merito (ossia la legittimità dell’atto) e soltanto in
conseguenza del sindacato sulla legittimità dell’atto potrebbe sollevare questione di costituzionalità.
In definitiva, a parte quest’ultimo caso, la sensazione è che sia il giudice amministrativo ad essere il
padrone della rilevanza nel proprio processo, sia nelle ipotesi in cui decida di far valere le strettoie del
principio della domanda (come regola), sia nelle ipotesi in cui decida di allargare le maglie del thema
decidendum attraverso un dubbio di costituzionalità sulla genesi di un potere (come eccezione). La
incidenza del giudizio amministrativo sul giudizio costituzionale (quanto alle limitazioni derivanti dai
motivi del ricorso) e l’incidenza del giudizio costituzionale sul giudizio amministrativo (quanto al
superamento dei motivi del ricorso) sono così nelle mani del giudice amministrativo e la Corte
costituzionale sembra avergli riconosciuto questo ruolo.
Questa peculiare configurazione del sindacato sulla rilevanza (tra giudizio amministrativo e giudizio
costituzionale) è in dissonanza con la progressiva evoluzione della giurisprudenza costituzionale da cui
è emerso un potere sempre più penetrante della Corte, che si è attribuita un controllo non più esterno
ma diretto sulla sussistenza stessa della rilevanza125.
Corte cost., 189/1996; 143/1972.
Id., 346/1991.
123 Cfr. Corte cost., 203/1981.
124 Così A. PIZZORUSSO, Questione di costituzionalità, cit., 338.
125 E’evidente una discrasia tra la debolezza del sindacato della Corte sulla rilevanza e sui limiti connessi al principio
della domanda nel giudizio amministrativo e il carattere forte che la stessa Corte ha generalmente riconosciuto al proprio
controllo sulla rilevanza nell’ultima fase (1990-2006) della propria giurisprudenza. Su questa ultima stagione della rilevanza v.
L. AZZENA, La rilevanza, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello,
Napoli-Roma, 2006, 26; R. ROMBOLI, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in R. ROMBOLI (a cura di),
Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2002-2004), Torino, 2005, 71 ss.; P. VERONESI, A proposito di rilevanza: la Corte come
giudice del modo di esercizio del potere, in Giur. cost., 1996, 478 ss.; M. D’AMICO, L’aberratio ictus quale elemento di una nozione autonoma
di rilevanza per il giudice costituzionale, ivi, 1991, 2146 ss.
121
122
22
7. Un riscontro: l’annullamento dell’atto amministrativo a seguito di una dichiarazione di
illegittimità costituzionale
La tensione tra processo costituzionale e processo amministrativo e la ricerca di un punto di
equilibrio da parte dei giudici amministrativi sembrano riproporsi, analogamente alla fase ascendente del
giudizio sulle leggi, anche nella fase discendente, relativa agli effetti delle sentenze della Corte sui
processi amministrativi pendenti (diversi da quello a quo). In tale fase è infatti necessario indagare la
compatibilità tra la retroazione degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla
base della quale sia stato emanato un atto impugnato in un giudizio non ancora concluso e la non
rilevabilità ex officio ai fini dell’annullamento di vizi estranei a quelli indicati dal ricorrente. Sembra porsi
una problematica individuazione degli spazi entro cui sarebbe esercitabile da parte del giudice
amministrativo il potere di annullamento dell’atto per un vizio “sopravvenuto” 126 ed in quanto tale non
conosciuto (anche se prospettabile) e non dedotto; un potere di annullamento d’ufficio in stridente
contrasto con la natura del processo amministrativo. Non può negarsi infatti che anche nella fase
discendente si riproponga quella tensione tra i vincoli imposti dai motivi del ricorso, sulla base dei quali
il giudice amministrativo potrebbe annullare l’atto, e una spinta espansiva del sindacato di
costituzionalità che, investendo il fondamento normativo dell’atto o una norma che regola il quomodo di
esercizio della funzione sottesa, sembrerebbe poter attribuire al giudice un potere eccezionale (officioso), al di là delle regole processuali del giudizio amministrativo.
La problematica, con la quale si è misurata la stessa dottrina, di cui si è detto in relazione al
sollevamento della questione di costituzionalità, si risolve nella necessità di verificare se in questi casi il
potere di annullamento dell’atto trovi una preclusione assoluta nella regola processuale del principio
126 In realtà queste prime considerazioni danno per acquisito che il regime di un atto amministrativo emanato sulla base
(quanto alla genesi del potere) o in conformità (quanto al quomodo del suo esercizio) di una legge dichiarata incostituzionale
sia quello della annullabilità (e non della nullità), quindi della impugnabilità nelle forme del processo amministrativo. Tuttavia
non può dimenticarsi come la definizione di tale regime sia stata assai travagliata, ponendo un problema «conturbante» e di
«eccezionale gravità» (così F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità, cit., 889). Nella giurisprudenza
amministrativa dopo la nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 8 del 1963, in cui si parlava di «vizio riflesso», è ormai
consolidata la categoria della invalidità «sopravvenuta» o «derivata». Cfr. Cons. St., sez. IV, 11 febbraio 2004, n. 551, in Foro
amm-Cons. St., 2004, 387; Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2970 in Trib. amm. reg., 2003, 2134 ss.; Cons. St., sez. VI,
7 luglio 1995, n. 663, in Cons. St., 1995, I, 1100; Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Foro amm., 1986, 2468 ss.;
Tar Puglia, 30 settembre 1982, n. 410, in Foro amm., 1983, I, 2455; Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, cit., 2308 ss.;
Cons. gius. amm., 11 luglio 1962, n. 281, in Foro it., 1962, III, 245 ss. Deve precisarsi come la retroazione degli effetti delle
sentenze della Corte non dia vita ad un autonomo vizio di incostituzionalità dell’atto amministrativo, ad una sorta di quarta
tipologia rispetto a quelle classiche (violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere) ma possa incidere sulla norma che
rappresenta il parametro di legittimità dell’atto impugnato o su una norma sulla genesi del potere sotteso; proprio rispetto al
sopravvenuto “significato” o alla sopravvenuta “caducazione” della norma-parametro o della norma attributiva dovrà essere
qualificato (eventualmente) il vizio dell’atto. Ad esempio una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma attributiva
del potere può generare un vizio di incompetenza dell’atto impugnato -in un giudizio pendente- (cfr. Cass., sez. I, 23 ottobre
1968, n. 3414, in Gius. civ., 1969, I, 909) così come una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma sul quomodo del
potere può generare un vizio per violazione di legge (cfr. F. DELFINO, La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi,
Napoli, 1970, 169). Per altro nulla esclude che la sentenza della Corte incida su una norma eliminando il vizio originario
dell’atto amministrativo. Sulla autonomia dei vizi dell’atto amministrativo rispetto al regime della legge “incostituzionale” v.
V. ONIDA, Pubblica amministrazione, cit., 192 ss. In dottrina cfr. M. MAGRI, La legalità costituzionale dell’Amministrazione, cit., 103
ss., 344 ss.; G. LAURICELLA, L’«incostituzionalità» dell’atto ammnistrativo, Milano, 1999, 43 ss.; F. DELFINO, La dichiarazione di
illegittimità, cit., 1970, 147 ss.; V. ANDRIOLI, Incidenza della pronuncia di incostituzionalità della legge sul giudizio amministrativo
pendente, in Dem. dir., 1962, 105; F. MODUGNO, Esistenza della legge incostituzionale e autonomia del potere esecutivo, in Giur. cost.,
1963, 1724 ss.; A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale, cit., 139 ss.; V. ONIDA, Pubblica amministrazione, 209 ss.; ID.,
Conseguenze processuali della dichiarazione di ilegittimità costituzionale di una legge attributiva di potestà alla Pubblica amministrazione, in
Giur. it., 1966, I, 1025 ss.; A. CERVATI, Gli effetti della pronuncia, cit. 1214 ss.; C. ESPOSITO, Inesistenza o illegittima inesistenza di
uffici ed atti amministrativi per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme organizzatorie?, in Giur. cost., 1960, 330 ss.;
F. FENUCCI, Giudicato implicito ed impliciti effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi sugli atti amministrativi, in Giur.
cost., 1981, 1990 ss.; G. BORZELLINO, Illegittimità costituzionale di norme e validità di atti amministrativi, in Foro amm., 1962, 13 ss.;
R. PEREZ, I vizi dell’atto amministrativo conseguenti alla pronuncia di incostituzionalità delle leggi, in Foro it., 1964, III, 364 ss.; C.
ANELLI, Riflessi sul processo amministrativo della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi, in Rass. dir. pubbl., 1967, 358 ss.;
A.M. SANDULLI, Illegittimità delle leggi e rapporti giuridici, in Stato sociale, 1966, 107 ss.
23
della domanda, nelle ipotesi in cui il vizio derivabile dalla pronuncia di illegittimità costituzionale non
sia stato eccepito dalle parti127, potendo così parlarsi di una peculiare limitazione degli effetti erga omnes
del sindacato di costituzionalità (esorbitante l’esaurimento dei rapporti giuridici), o se al contrario possa
configurarsi un anomalo potere di annullamento d’ufficio dell’atto impugnato, al di fuori dei vizi dedotti
dal ricorrente. In questo spazio tra la limitazione al sindacato in via incidentale e la configurazione di un
potere di annullamento eccezionale rispetto alle regole processuali del giudizio amministrativo, è
apprezzabile il grado di resistenza della natura originaria del processo impugnatorio e la forza espansiva
del sindacato in via incidentale.
In realtà dalla giurisprudenza amministrativa emerge come, anche quando in un giudizio
amministrativo pendente il dubbio di costituzionalità non sia stato rilevato d’ufficio o sollecitato dalle
parti, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, sulla base della quale (quanto alla genesi del
potere) o in conformità della quale (quanto al quomodo del potere) è stato emanato l’atto impugnato,
produce i propri effetti, andando evidentemente oltre «l’ambito processuale in cui è stata invocata ed
ottenuta»128. Anche in questo caso il giudice amministrativo può esercitare il potere di annullamento
dell’atto, avendo il potere, rectius, il «potere-dovere di trarre d’ufficio le conseguenze, ivi compresa quella
dell’annullamento dell’atto»129 anche «indipendentemente dalla proposizione da parte del ricorrente
dell’eccezione di costituzionalità»130. In questa logica, quando il fatto sopravvenuto è rappresentato da
una sentenza della Corte e quando il fatto antecedente è rappresentato dalla mancata deduzione del
vizio derivabile da una pronuncia di incostituzionalità in seno al ricorso introduttivo, tale omissione
originaria non comporta né la preclusione della deduzione né la necessità di deduzione integrativa (dei
motivi aggiunti)131.
Può scorgersi così anche nella fase discendente la irruzione del sindacato di costituzionalità sulla
natura del giudizio di impugnazione, in seno al quale viene immesso un potere officioso (e con esso un
vizio “nuovo” dell’atto amministrativo) in stridente contrasto con la logica dispositiva; un potere
caratterizzato da una legittimazione oggettiva, derivante dalla efficacia erga omnes delle sentenze di
illegittimità costituzionale, in dissonanza con la dimensione soggettiva dei vizi-motivo e della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
127 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, 1288, distingue tra annullamento d’ufficio e annullamento su
apposita impugnativa dei ricorrenti in relazione alla natura della norma (rispettivamente riguardante la struttura organizzativa
o il quomodo di esercizio del potere) dichiarata incostituzionale. Questa impostazione non ha trovato seguito nella
giurisprudenza amministrativa.
128 Cons. St., sez VI, 21 gennaio 1993, n. 62, in Cons. St., 1993, I, 92, conforme allo storico precedente: Id., 10 aprile
1963, n. 8, cit., 1230. Cfr. anche Tar Lazio, sez. I, 22 ottobre 1997, n. 1591, in Foro amm., 1998, 1859 ss.; Cons. St., sez. VI,
16 settembre 1993, n. 621, in Cons. St., 1993, 345 ss.
129 Id., sez. V, 6 febbraio 1999, n. 138, ivi, 1999, I, 220. Cfr. in senso analogo Id., 21 gennaio 1993, n. 62 in Foro amm.,
1993, 156; Tar Molise, 21 dicembre 1998, n. 418, in Trib. amm. reg., 1999, 1038 ss.
130 Cons. gius. amm., sez. giurisd., 2 giugno 1994, n. 148, in Giur. amm. sic., 1994, 256 ss. In senso analogo v. Tar Puglia,
25 ottobre 1996, n. 784, in Foro amm., 1997, 1507 ss.; Tar. Sicilia, sez. I, 2 giugno 1995, n. 1522, ivi, 1995, 455 ss.; Id, sez. II,
30 settembre 1993, n. 716, in Trib. amm. reg., 1993, 4299; Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Cons. St., 1986, I,
1807 ss.; Tar. Toscana, 25 luglio 1985, n. 705, in Trib. amm. reg., 1985, I, 3383; Tar Puglia, 30 settembre 1982, n. 410, in Foro
amm., 1982, 410 ss.; Cons. St., sez. IV, 20 ottobre 1964, n. 1044, in Cons. St., 1964, 1700 ss. Tuttavia non sono mancati
indirizzi contrari. Cfr. Cons. St., IV sez., 4 giugno 1969, n. 251, in Foro it., 1970, III, 98; Id., V sez., 30 ottobre 1979, n. 653,
in Rass. Cons. St., 1979, I, 1410.
131 In tal senso Tar Calabria, 12 febbraio 1996, n. 199, in Trib. amm. reg., 1996, I, 1604 ss., afferma una sorta di corollario
secondo il quale «nel caso in cui una sentenza della corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità di una norma di legge
assunta a fondamento di un atto amministrativo (…) non sussiste per il ricorrente l’onere di proporre uno specifico motivo
aggiunto per denunciare l’illegittimità dell’atto stesso in conseguenza» della illegittimità costituzionale. A tal proposito v.
l’analisi C. MIGNONE, I motivi aggiunti, 115 ss., secondo cui l’addizione in questo caso non è doverosa perché il motivo di
incostituzionalità «non è un motivo in senso tecnico»; «non v’è onere di aggiunzione perché non v’è onere di motivazione
originaria sul punto». Non a caso il motivo di invalidità “derivata” non viene presentato nelle forme dei motivi aggiunti (atto
scritto notificato alle altre parti, depositato in segreteria) ma con una memoria o sollevato oralmente in udienza. Cfr. Tar
Campania, 12 aprile 1983, n. 334, in Trib. amm. reg., 1983, I, 1669; Cons. St., sez. V, 30 ottobre 1979, n. 653, Rass. Cons. St.,
1979, I, 1410; Id., sez. IV, 22 giugno 1962, n. 414, ivi, 1962, I, 1102. Tuttavia l’ambiguità della censura di invalidità riflessa
dell’atto ammnistrativo (e la sua confusione con un qualsiasi motivo di parte) poteva leggersi già nella nota sentenza della
Adunanza Plenaria (8/1963), in cui si parlava contarddittoriamente della questione di costituzionalità sia come «motivo di
impugnazione» sia come questione che «non è censura di parte».
24
Tuttavia, a dimostrazione di come quella tensione tra i giudizi continui a vivere e ad aleggiare132, può
ricordarsi una recente vicenda processuale in cui veniva impugnata una pronuncia del Tar Piemonte133,
che aveva annullato il provvedimento con il quale il Sindaco di un Comune aveva dichiarato la
decadenza del ricorrente dall’impiego. Il Tar aveva ritenuto illegittimo il provvedimento perché adottato
in base ad una norma della quale la Corte costituzionale aveva in pendenza del giudizio dichiarato
l’illegittimità costituzionale134. Dinanzi al Consiglio di Stato il Comune appellante ha sostenuto che gli
effetti della sentenza di incostituzionalità non potevano essere estesi al giudizio pendente perché
mancava una specifica censura nel ricorso giurisdizionale sulla illegittimità costituzionale della norma e
quindi sulla illegittimità derivata dell’atto amministrativo. Evidentemente il Consiglio di stato ha
disatteso l’eccezione, sentendo tuttavia il bisogno di giustificare diffusamente la ammissibilità di un
potere di annullamento di natura officiosa (sganciato dai vizi-motivo indicati nel ricorso), pur a distanza
di parecchi anni dal noto precedente della Adunanza plenaria n. 8/1963. La sensazione è che un tale
potere-dovere del giudice, pur essendo ormai pacifica la sua legittimazione, continui a generare (talune
volte) disorientamento nel sentire processuale degli operatori del processo amministrativo.
In realtà anche in questo caso, come per il sollevamento della questione di costituzionalità, la
giurisprudenza amministrativa ha progressivamente definito i limiti agli effetti dirompenti del sindacato
in via incidentale sulla natura del giudizio di impugnazione, tentando una sorta di bilanciamento tra la
natura officiosa del potere di annullamento e la delimitazione del thema decidendum derivante dai motivi
del ricorso. Non può negarsi come la preoccupazione sia stata la medesima che si è palesata
relativamente al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità, ossia quella del temperamento
dei contenuti della sentenza della Adunanza plenaria n. 8/1963 che sembrò riconoscere un potere di
annullamento «senza limiti», rischiando di configurare un potere assolutamente sganciato dal petitum.
Una sorta di sintesi di tali limiti può desumersi da una decisione del Consiglio di giustizia
amministrativa della Sicilia135 nella parte in cui si afferma che le sentenze di illegittimità costituzionale
sono produttive di effetti in un processo amministrativo pendente, anche indipendentemente dalla
proposizione da parte del ricorrente dell’eccezione di incostituzionalità, quando (a) l’applicazione delle
norme dichiarate incostituzionali rientri nelle questioni sottoposte al giudice amministrativo con i
motivi del ricorso, quando (b) riguardi il potere sulla base del quale è stato emanato l’atto
amministrativo, quando (c) interessi eccezioni rilevabili d’ufficio.
Quanto alla ipotesi (c) possiamo rilevare come fosse pacifica anche per la dottrina che ha negato
l’esercizio officioso del potere di annullamento136, sul presupposto che la natura di una questione
attinente al rito o alla sussistenza di un presupposto processuale rientra nella disponibilità cognitiva del
giudice senza nessun rischio per il principio della domanda. Quanto alla ipotesi b) diremo più avanti.
Ciò che qui interessa è invece (a) la relazione che intercorre tra il potere di annullamento in un giudizio
pendente e i motivi del ricorso. Sembra paradigmatica ed illuminante in tal senso una pronuncia del Tar
Campania137, che a nostro avviso ha ricomposto tale problematica in modo puntuale. Nel caso di specie
in pendenza di un giudizio amministrativo era sopravvenuta una sentenza della Corte costituzionale con
cui si dichiarava illegittimo l’art. 6 della L. Reg. Campania n. 33 del 1993 recante norme sulla istituzione
dei parchi e riserve naturali in quella Regione. In particolar modo si ritenne non soddisfatta la
previsione, contenuta in una legge di principio dello Stato, di partecipazione degli Enti locali alla
istituzione dell’Ente parco. Si trattava in definitiva di una dichiarazione di costituzionalità di una norma
non sulla attribuzione del potere ma sul quomodo di esercizio di quello138. Proprio tale norma era stata
Più rassicurante sembra la posizione di E. LAMARQUE, Il seguito giudiziario alle decisioni della Corte costituzionale, in E.
MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Torino, 2002, 224.
133 Tar Piemonte, sez. II, 15 luglio 1996, n. 447, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3077 ss.
134 Corte cost., 197/1993.
135 Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 2 giugno 1994, n. 148, in Giur. amm. sic., 1994, 256 ss.
136 Cfr. nota 72.
137 Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2975, in Trib. amm. reg., 2003, 2134 ss. Questa pronuncia sembra affinare e
approfondire la problematica già affrontata dieci anni prima in Id., sez. IV, 28 luglio 1993, n. 301, in Trib. amm. reg., 1993, I,
3731 ss.
138 La norma in questione disciplina infatti il procedimento di esercizio di un potere istituitivo di una amministrazione e
non è qiulaificabile come una norma direttamente istitutiva di una amministrazione.
132
25
applicata dal Presidente regionale nella emanazione del decreto impugnato dinanzi al giudice
amministrativo. Così i ricorrenti, una volta presa conoscenza della sentenza della Corte, hanno
depositato una memoria con cui si chiedeva al giudice amministrativo di dare seguito alla pronuncia di
incostituzionalità e di annullare l’atto impugnato per illegittimità sopravvenuta.
In particolar modo in tale memoria si affermava, in assonanza alla giurisprudenza amministrativa, la
assoluta irrilevanza, al fine dell’annullamento dell’atto, della mancanza di un motivo di ricorso in tal
senso, ossia di una specifica eccezione sulla illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge regionale. Il
Tar Campania però pur condividendo le premesse del ricorrente è giunto a non condividerne le
conclusioni, attraverso una logica argomentativa assolutamente parallela a quella utilizzata dalla
giurisprudenza nella definizione dei limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità.
Infatti, dopo aver precisato che nel giudizio impugnatorio l’esame della fondatezza della lesione
dell’interesse legittimo del ricorrente avviene attraverso l’esame della legittimità dell’atto, si è affermato
che tale giudizio non è condotto in «senso oggettivo e pieno» ma «attraverso e nei limiti dei vizi di legittimità»
dedotti dal ricorrente attraverso specifici motivi di ricorso, così che per le eventuali illegittimità non
rilevate con i mezzi di gravame l’atto è da considerarsi inoppugnabile. Al contrario se il giudice
amministrativo, preso atto della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base
del quale l’atto è stato emanato, annulla l’atto stesso, anche quando tale norma non sia «decisiva»
(quindi rilevante nella prospettiva ascendente) per la decisione, si genera un’indebita dilatazione della
giurisdizione amministrativa139.
In altre parole sembra corretto affermare che «il giudice non può applicare di ufficio la intervenuta pronuncia
di illegittimità costituzionale della norma, in ipotesi in cui, ex ante, non avrebbe potuto sollevare, di ufficio o su istanza di
parte, la questione di legittimità costituzionale della norma predetta, per difetto di rilevanza»; nel caso di specie
per quanto l’art. 6 della legge regionale fosse una norma certamente applicata dalla Amministrazione
nell’emanazione dell’atto impugnato, in realtà non appariva nel ricorso come parametro di legittimità
dell’atto, i cui vizi lamentati erano altri. Il Tar Campania così come non avrebbe potuto sollevare
questione su tale norma perché irrilevante allo stesso modo ha deciso di non poter dar seguito alla
dichiarazione di costituzionalità. Nè l’interesse generale (richiamato dai ricorrenti) «che norme dichiarate
incostituzionali non trovino più applicazione da parte del giudice» può determinare lo stravolgimento
della natura del giudizio amministrativo. Tale interesse legittima l’immissione del potere di
annullamento ex officio ma questo elemento di novità e di tensione nel processo amministrativo deve
rimanere pur sempre ancorato ai motivi del ricorso140.
In questa logica la valorizzazione della nozione stessa di rilevanza, da cui può desumersi in modo
speculare lo spazio per il potere di annullamento nella fase discendente, sembra essere la chiave di volta
di queste interazioni e del delicato equilibrio tra retroazione delle sentenze di incostituzionalità e
principio dispositivo del giudizio di impugnazione141. La pregiudizialità costituzionale, come paradigma
dello stesso potere di annullamento d’ufficio, si risolve così in una preclusione processuale a facili
ragioni “sostanzialistiche”. Non può negarsi che il nostro modello di giustizia costituzionale si poggi su
una opzione fiduciaria nei confronti dei giudici nella fase ascendente, dell’accesso alla Corte; la
medesima fiducia il sistema è costretto a riporre nei giudici nella fase discendente e quanto ai giudici
amministrativi sembra che tale fiducia sia stata ben riposta, potendo leggersi nella giurisprudenza
139 Cfr. anche Cons. St., 16 gennaio 1997, n. 99, in Foro amm., 1997, 186 ss. Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha
riformato la sentenza appellata con cui il Tar, dinanzi al quale era stato impugnato un provvedimento di dispensa dal
servizio in impiego pubblico per incompetenza soggettiva, aveva dato seguito ad una sopravvenuta sentenza di illegittimità
costituzionale di una norma diversa da quella fatta valere come parametro di legittimità dell’atto stesso. Nella pronuncia si
legge che gli effetti delle sentenze della Corte operano retroattivamente «purché l’oggetto della contestazione giudiziale
attenga all’ambito strettamente di applicazione della norma» dichiarata illegittima «e non a motivi di impugnazione estranei
alla norma stessa».
140 In definitiva il giudice amministrativo può procedere all’annullamento dell’atto fondato su una norma dichiarata
incostituzionale soltanto quando «attraverso un motivo del ricorso, il rapporto tra l’atto impugnato e la norma predetta sia
portato a sua conoscenza e, quindi, l’esame della norma stessa sia necessario ai fini del decidere». Così Tar Campania, sez.
III, 26 marzo 2003, n. 2970, cit., 2134 ss.
141 Sul parallelismo tra rilevanza e retroazione delle pronunce della Corte v. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale,
Padova, 1984, II, 385; A. PIZZORUSSO, sub art. 137, cit., 185; ID., I sistemi di giustizia costituzionale: dai modelli alla prassi, in Quad.
cost., 1982, 526; A. CERRI, Gli effetti delle decisioni, cit., 1207.
26
amministrativa l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio e di composizione tra il
funzionamento del controllo di costituzionalità e la natura del giudizio amministrativo. Per altro non
sembra plausibile affermare che il potere di annullamento d’ufficio per vizi sopravvenuti di
incostituzionalità (anche se assolutamente svincolato dai motivi di parte) non faccia correre nessun
pericolo al principio dispositivo per il solo fatto che tale potere rappresenterebbe «una deroga talmente
particolare e circoscritta da essere priva di qualunque effetto eversivo»142; in tal senso vi sarebbe una
ambigua e anacronistica riemersione della giurisprudenza del Consiglio di Stato degli anni ’20 che
ammetteva una deroga al principio della domanda in ossequio ai motivi di “ordine pubblico”.
Tuttavia può riemergere in alcuni casi una resistenza del giudizio amministrativo e della natura
originaria del principio delle domanda dinanzi al sindacato in via incidentale. Appare emblematica una
vicenda processuale in cui, pur essendo la sentenza della Corte costituzionale stata resa a seguito di un
conflitto tra enti, il problema dei limiti alla retroazione dell’annullamento dell’atto amministrativo posto
in essere in tale giudizio è stato affrontato attraverso categorie analoghe a quelle viste relativamente al
sindacato incidentale. Tuttavia il Consiglio di Stato143 nel caso di specie è giunto ad una conclusione
assai restrittiva nei confronti della incidenza del giudizio costituzionale sul giudizio amministrativo. In
particolar modo a seguito della diffusione di una infezione colerica in Puglia venivano emanati, in
applicazione della l. n. 225/1992 recante norme urgenti, un D.P.C.M. con cui si dichiarava lo stato di
emergenza (ed un’ordinanza del Presidente del Consiglio); in attuazione di tali norme la Prefettura di
Bari aveva successivamente proceduto alla revoca di talune aggiudicazioni. La Società originaria
aggiudicataria aveva così impugnato tale provvedimento lamentando -in sintesi- la violazione e la falsa
applicazione del D.P.C.M. e l’eccesso di potere. Tuttavia in pendenza del giudizio amministrativo la
Corte costituzionale144 ha deciso un conflitto tra enti annullando il D.P.C.M. sulla base del quale era
stato emanato dalla Prefettura di Bari il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo.
Così il Tar competente ha dato seguito alla pronuncia della Corte annullando l’atto amministrativo
attuativo dell’atto oggetto del conflitto intersoggettivo. Questa vicenda non si è interrotta qui perché la
sentenza di primo grado è stata appellata dalla Amministrazione sul presupposto che nel ricorso non vi
era nessuna censura relativa alla illegittimità derivata dell’atto, impugnato per motivi diversi da quello
“riflesso” dalla illegittimità del D.P.C.M. (oggetto del giudizio costituzionale).
Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello affermando che «per assumere rilievo» una illegittimità
derivata da una sentenza della Corte costituzionale (nel conflitto tra enti, di annullamento dell’atto
amministrativo presupposto dell’atto impugnato davanti al Tar e nel giudizio incidentale di illegittimità
costituzionale della norma sulla base della quale o in conformità della quale l’atto oggetto del giudizio
amministrativo è stato emanato) «deve necessariamente essere censurata dal ricorrente mediante uno
specifico motivo di ricorso», quindi non indipendentemente da una esplicita censura del vizio di
“incostituzionalità” del provvedimento. In questa logica il Consiglio di Stato ha rilevato al contrario che
nella impugnazione «nessun motivo del ricorso investiva la legittimità del D.P.C.M.». Non può negarsi
come questo modo di ragionare sia in stridente contrasto con il quadro ricostruito fin qui, parallelo alla
definizione dei limiti al sollevamento della questione di costituzionalità.
In questa pronuncia riemerge una impermeabilità delle regole processuali del giudizio di
impugnazione al funzionamento del giudizio costituzionale (indipendentemente dal fatto che si trattasse
di un conflitto tra enti e non di un sindacato incidentale); una riaffermazione della logica assoluta dei
motivi del ricorso in dissonanza con il ragionevole bilanciamento che più in generale la giurisprudenza
amministrativa ha composto tra officiosità dei poteri del giudice e principio della domanda.
Evidentemente questo indirizzo appare anacronistico ma sintomatico di una sopravvivenza (come
un’eco) di quel trauma processuale derivato dalla introduzione del sistema di giustizia costituzionale e
più in generale di come la composizione delle relazioni tra elementi di officiosità e motivi di parte
sottenda una tensione mai sopita del tutto, in grado talune volte di riemergere (anche se
irragionevolmente).
C. MIGNONE, I motivi aggiunti, cit., 118.
Cons. St., 20 marzo 2000, n. 1495, in Cons. St., 2000, 623 ss.
144 Corte cost., 14 aprile 1995, n. 127, in Cons. St., 1995, II, 634 ss.
142
143
27
7.1. Ancora una volta il cedimento dei limiti
La distinzione tra le norme sul quomodo di esercizio del potere e quelle sulla genesi del potere non può
non assumere una rilevanza propria anche nella fase discendente in modo analogo a quello che accede
relativamente al sollevamento della questione di costituzionalità. Il potere di annullamento in seguito
alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma sul quomodo di esercizio della funzione, magari sul
procedimento di adozione di un atto, può essere esercitato nei limiti dei motivi del ricorso, ossia
quando tale norma sia utilizzata dal ricorrente nel giudizio amministrativo pendente come un parametro
di legittimità dell’atto impugnato; tuttavia (anche in questo caso) tali limiti cedono quando la Corte
costituzionale dichiari illegittima una norma che attribuisce un potere, che ne è il fondamento
necessario. In questo caso il giudice amministrativo, dinanzi al quale è radicato un giudizio di
impugnazione di un atto emanato sulla base di quella norma espulsa dall’ordinamento, può esercitare un
potere di annullamento d’ufficio, anche quando il ricorrente abbia assunto come violate tutt’altre
norme145.
E’ così evidente come l’equilibrio ed i limiti al potere saltino quando il controllo di costituzionalità
sottende una maggiore astrattezza, connessa alla natura della norma oggetto del giudizio di
costituzionalità. In questo caso i giudici amministrativi sono disposti ad accettare una più profonda
alterazione del principio della domanda, fino a tollerare un sindacato che non può non essere definito
pienamente oggettivo. Certamente sono rintracciabili anche questa volta degli indirizzi maggiormente
impermeabili alle dinamiche espansive del sindacato in via incidentale. In un caso il Tar del Lazio ha
ritenuto che anche nel caso in cui «venga dichiarata incostituzionale una norma attributiva di potere,
l’atto che l’Amministrazione ha adottato in virtù del detto potere (…) è (…) annullabile» e «tale
iniziativa d’ufficio non è senza limiti, in quanto è limitata dalla formulazione di censure che, sia pure a
livello di legittimità ordinaria, investano la norma sospettata di legittimità costituzionale»146.
Questa giurisprudenza si preoccupa di «coordinare» l’iniziativa di ufficio con i caratteri
dell’impugnazione facendo valere quei limiti che in realtà sono connessi alle norme sul quomodo del
potere e non sulla genesi di quello. In definitiva la irragionevole resistenza della natura del giudizio di
impugnazione al controllo di costituzionalità sembra passare attraverso un arretramento dei presupposti
del potere di annullamento. Quanto alle norme meramente regolatrici, il tentativo di conservazione si
concretizza (come visto sopra) nella eliminazione stessa dei limiti e quindi nella negazione del potere
officioso; quanto alle norme attributive, il tentativo di conservazione si concretizza nella applicazione di
quei limiti al potere d’ufficio che in realtà, nella corretta ricostruzione giurisprudenziale, sono applicabili
soltanto nelle ipotesi in cui sia dichiarata incostituzionale una norma regolatrice del potere.
Non può negarsi come una limitazione del potere di annullamento d’ufficio (in un giudizio
pendente) a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di una norma attributiva del potere darebbe
vita ad un’irragionevole asimmetria rispetto a quanto visto nella fase ascendente, in cui il giudice
amministrativo può sollevare questione di costituzionalità indipendentemente dal fatto che le norme
sulla genesi del potere, sulla base del quale l’atto sia stato emanato, siano formalmente richiamate nel
ricorso. Per di più è innegabile come questa soluzione produrrebbe uno sbarramento assai forte al
seguito delle sentenze della Corte nel giudizio amministrativo, sul presupposto strutturale che è più
difficile che una norma attributiva del potere (diversamente da una norma sul quomodo) venga utilizzata
come parametro di legittimità dell’atto impugnato e quindi richiamata nel ricorso giurisdizionale.
8. La questione di costituzionalità come motivo (unico) di ricorso e l’illegittimità soltanto
sperata
Non può negarsi invece che per nulla traumatico per la natura del giudizio amministrativo e per
l’effettività del principio della domanda appaia il caso in cui il ricorrente abbia rilevato un dubbio di
legittimità costituzionale su una norma da applicare alla fattispecie dedotta, secondo la configurazione
145 Cfr. ad esempio Cons. St., sez. VI, 20 novebre 1986, n. 855, in Foro amm., 1986, 2468 ss.; Cons. St., sez. VI, 27 marzo
1990, n. 409, in Foro amm., 1990, 678.
146 Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, in Cons. St., 1980, 2308 ss.
28
della causa petendi. L’ipotesi è quella della impugnazione di un atto amministrativo (non perché viola la
legge ma) perché emanato in applicazione di una norma illegittima147, sia questa una norma sulla genesi o
sul quomodo del potere amministrativo.
In questo caso, in modo del tutto peculiare, la natura del giudizio amministrativo sembrerebbe prima
facie imprimere la propria specialità sul giudizio costituzionale, per quanto in questo caso non sia il
principio della domanda (e la sua vincolatività) a venire in rilievo (come per la potenziale limitazione del
sollevamento ex officio della questione di costituzionalità) ma più in generale la logica impugnatoria del
ricorso. Infatti la configurazione dell’atto giudiziale introduttivo sembra incidere sulla nozione di
rilevanza dissolvendo la logica della pregiudizialità tra due questioni, l’una principale e l’altra strumentale,
per generare una “coincidenza” tra il dubbio sulla legittimità di una norma e la risoluzione del merito
della controversia dinanzi al giudice amministrativo; in questa ipotesi sembra quasi neutralizzata la
possibilità che sia rilevata in limine litis la irrilevanza della questione. Questa peculiare logica di
impugnazione può risolversi in un unico motivo di ricorso (per quanto non possa escludersi che
accanto ad adesso siano fatti valere ulteriori vizi dell’atto); l’ipotesi che la lite (portata davanti al giudice
a quo) consti della sola questione di legittimità costituzionale fu prospettata in dottrina per la prima volta
da Andrioli148.
L’Avvocatura dello Stato nei primi anni di funzionamento della Corte costituzionale, in cui tra la
molteplicità dei problemi del sistema delle garanzie ciò che risultava certamente chiaro agli operatori
giuridici era la mancanza di uno strumento di impugnazione delle leggi nella disponibilità dei cittadini149,
tentò invece di qualificare come ricorsi in via principale le impugnazioni di un atto conforme ad una
norma illegittima, al fine di vederli dichiarati inammissibili150. In realtà il Consiglio di Stato ebbe modo
di precisare che tale peculiarità, che abbiamo definito “coincidenza” delle questioni (quella principale e
quella pregiudiziale), non nega il carattere incidentale del dubbio di legittimità costituzionale sul
presupposto che non rileva se l’eventuale decisione della Corte costituzionale «possa esaurire la materia
sottoposta all’indagine del giudice che ha ordinato la trasmissione degli atti, vincolando completamente
la sua pronuncia alla sentenza» della stessa Corte151. In questa logica una questione non perde la propria
natura pregiudiziale o incidentale se fattualmente possa determinare la risoluzione della questione
principale. La stessa Corte ha affermato chiaramente che anche la «circostanza che la dedotta
incostituzionalità di una o più norme legislativa costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a
Cfr. ad esempio Corte cost., 361/2004; 71/2001; 367/1991; 444/1990; 30/1987; 86/1982; 66/1970; 134/1963. Cfr.
inoltre Cons. St., sez. IV, 19 maggio 2004, n. 3217, in Foro amm-Cons. St., 2004, 1379 ss., secondo cui «il proprium della
funzione giurisdizionale amministrativa consiste nel controllo del corretto esercizio della funzione amministrativa: sussiste,
pertanto, la giurisdizione dell’autorità giurisdizionale amministrativa tutte le volte in cui viene chiesto l’annullamento di un
provvedimento amministrativo sull’assunto del cattivo esercizio del potere esercitato, anche quando si deduca l’illegittimità
costituzionale della norma attributiva del potere stesso». In dottrina v. G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale italiano, cit., 77;
G. GUARINO, Profili costituzionali, amministrativi e processuali delle leggi per l’Altipiano silano e sulla riforma agraria e fondiaria, in Foro.
it., 1952, IV, 87; F. MAZZIOTTI DI CELSO, Osservazioni sulla impugnabilità degli atti amministrativi per sole questioni di costituzionalità e
sul presunto dovere della pubblica amministrazione di conformarsi alle leggi ritenute incostituzionali, in Rass. dir. pubbl., 1962, 569 ss.; E.
GUICCIARDI, Nota a Cons. St., sez. IV, 3 aprile 1957, n. 395, in Giur. it., 1958, III, 93; R. JUSO, Sulla natura incidentale della
eccezione di incostituzionalità di una legge, in Foro amm., 1957, I, 506; S. POMODORO, Di un sindacato degli organi amministrativi sulla
costituzionalità delle leggi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, 535.
148 V. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo giurisdizionale delle leggi, in Atti del I Convegno internazionale di diritto processuale
civile (1950), Padova, 1953, 53 dell’estratto. L’Autore mette in evidenza come una interpretazione meramente letterale
dell’art. 1 l. cost. n. 1/1948, in cui si legge che la questione deve essere sollevata «nel corso di un giudizio», potrebbe portare a
sostenere che non sarebbe ammissibile una questione sollevata invece nell’atto introduttivo del giudizio; questa interpretazione
sarebbe «gravissima» e si risolverebbe in una compressione dell’art. 113 Cost.
149 Non poteva dirsi lo stesso quanto alla percezione della società civile come scrive P. CALAMANDREI, Corte costituzionale
e autorità giudiziaria, in Riv. dir. proc., 1956, 10, che ricorda talune vicende significative, come quella degli agenti di cambio che
nella agitazione contro la legge di perequazione tributaria avevano creduto di poter dare mandato ai loro organi sindacali di
impugnarla direttamente dinanzi alla Corte costituzionale.
150 Cfr. Corte cost. da 59 a 82/1959. Queste pronunce sono state rese a seguito di processi civili in cui erano stati
censurati atti amministrativi per soli motivi di incostituzionalità delle leggi provvedimento (c.d. leggi di riforma fondiaria)
sulla base delle quali tali atti erano stati emanati. In questi processi l’Avvocatura dello Stato, tentò di far riconoscere la natura
“principale” delle questioni di costituzionalità. In senso analogo la difesa dell’INPS nel processo costituzionale deciso dalla
Corte con la sentenza 24/1959.
151 Cons. St., sez. IV, 3 aprile 1957, n. 393, in Giur. it., 1953, III, 93.
147
29
quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza»152. Dalla stessa giurisprudenza
costituzionale è emerso come la soluzione di una questione di legittimità costituzionale sollevata in via
incidentale su una norma possa esaurire contemporaneamente sia il processo costituzionale sia quello
comune, come nell’ipotesi in cui oggetto del giudizio di costituzionalità sia una legge-provvedimento153.
Tra l’altro la sussistenza della pregiudizialità e quindi la scindibilità della “coincidenza” tra le
questioni è provata dal fatto che anche nell’ipotesi in cui la Corte arrivi a dichiarare illegittima la norma
sulla base della quale (a vario titolo) è stato emanato l’atto impugnato, rimarrà il giudice amministrativo
il padrone del proprio processo dovendo esercitare il potere di annullamento dell’atto; non può certo
sostenersi infatti che la sentenza di illegittimità possa soddisfare direttamente il petitum del ricorso154. Per
di più la questione di costituzionalità fatta valere in via di azione non paralizza i poteri del giudice
amministrativo, che potrà decidere su tutte le questioni pregiudiziali al dubbio di costituzionalità; è
evidente che prima di vagliare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di tale dubbio
dovrà accertare la corretta instaurazione dello stesso processo amministrativo, la quale non può che
condizionare anche la proponibilità dell’eccezione di legittimità costituzionale155. Il giudice
amministrativo potrà non arrivare ad esaminare la questione pregiudiziale a quella di merito se rilevi
questioni (processuali-) pregiudiziali alla prima, quali ad esempio il difetto di giurisdizione156, la nullità
del ricorso, la violazione del termine di notifica al resistente e ai controinteressati. In queste ipotesi il
giudizio amministrativo può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
costituzionalità157.
In altre parole l’impatto della natura del giudizio amministrativo sul processo costituzionale è
soltanto “apparente”, sul presupposto che apparente è la coincidenza della questione pregiudiziale con
quella principale; la peculiare configurazione della rilevanza non si risolve (e non può risolversi) certo
nella introduzione nel sistema costituzionale di un ricorso in via principale contro una legge o un atto
avente forza di legge. Nelle ipotesi in cui la questione di costituzionalità sia fatta valere in via d’azione,
l’intima connessione tra il dubbio di legittimità e l’impugnazione dell’atto158 non produce una
neutralizzazione della autonomia del ricorso giurisdizionale; ed è proprio l’autonomia dell’azione
processuale contro un provvedimento a negare qualsiasi fondatezza alla configurabilità di tali ipotesi
come un ricorso in via principale. In definitiva può dirsi che il giudizio costituzionale non ha il
medesimo petitum del giudizio amministrativo, per quanto possa esaurire il merito di quest’ultimo, sul
presupposto che la questione di costituzionalità rappresenta la causa petendi della impugnazione
dell’atto159.
152
Corte cost., 4/2000. Il medesimo principio è affermato, in riferimento all’impugnazione di atti, anche al di fuori della
giurisdizione amministrativa. Cfr. Id., 128/1999; 263/1994.
153 La giurisprudenza costituzionale sul punto è stata univoca dai suoi esordi. Cfr. Corte cost. 7/1957. In senso analogo
la giurisprudenza sviluppatasi intorno alle leggi di riforma fondiaria. In dottrina v. A. PACE, Espropri incostituzionali: restituzioni
e responsabilità civili della Pubblica amministrazione per l’applicazione di leggi illegittime, in Giur. cost., 1959, 1228 ss.
154 Così v. E. GUICCIARDI, Nota a Cons. St., 3 aprile 1957, n. 393, cit., 93; in senso più problematico v. anche A. CERRI,
Corso di giustizia costituzionale, cit., 148.
155 Cfr. Cons. St., 21 gennaio 1967, n. 233, in Cons. St., 1967, 1046, secondo cui «l’esame della rilevanza e in via
subordinata della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale (art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87)
presuppone, cioè, pur sempre che la questione stessa sia rituale e ammissibile».
156 Da subito la giurisprudenza del Consiglio di Stato è stata univoca nell’affermare la pregiudizialità delle questioni
relative alla giurisdizione rispetto alle questioni di costituzionalità. Cfr. Cons. St, sez. IV, 22 marzo 1957, in Foro amm., 1957,
I, 474 ss.; Cons. St., sez. IV, 30 ottobre 1959, in Giur. cost., 1959, 812 ss.; Cons. St., VI sez., 3 dicembre 1958, n. 887, in Giur
cost., 1959, 108 ss. In una diversa prospettiva v. F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità sui provvedimenti e
sugli adempimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 903, che ha invece individuato una ipotesi di inversione del
rapporto tra questioni di costituzionalità e questioni sulla giurisdizione.
157 Cfr. B. CAVALLO, Rapporti di priorità tra questioni di legittimità costituzionale e questioni di inammissibilità e irricevibilità del
ricorso del Consiglio di Stato, in Giur. it., 1963, IV, 20 ss. E’ per altro persuasuasiva l’affermazione di G. ABBAMONTE, Il processo
costituzionale italiano, I, 42, secondo cui in termini logici la questione di costituzionalità occupa il posto, nell’ordine delle
questioni da affrontare, occupato dalla norma a cui inserisce. Sulla problematica v. anche A. CERRI, Corso di giustizia
costituzionale, cit., 162 ss.
158 A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 148, afferma che la lesione di un bene della vita, la cui tutela si vorrebbe
soddisfatta nel giudizio di impugnazione, può coincidere con la violazione della norma parametro.
159 Cfr. Corte cost., 361/2004. In questa vicenda processuale l’Amministrazione resistente nel giudizio amministrativo
costituitasi davanti alla Corte costituzionale aveva sollevato la eccezione di inammissibilità della questione proprio per
30
Per altro lo stesso Consiglio di Stato ha affermato in modo chiaro come la giurisdizione di
legittimità si esplica sugli atti (e non sui rapporti), così che il soggetto titolare di un interesse giuridico
qualificato, assunto come leso da parte dell’esercizio di un potere pubblico, «deve dedurre la questione
di legittimità costituzionale di una norma con riferimento ad un provvedimento tempestivamente
impugnato»160, risultando così inammissibile una questione di legittimità proposta in via principale (ossia
svincolata da un provvedimento amministrativo)161 e potendo evidentemente dedursi a contrario la
sussistenza della “incidentalità” quando ad essere impugnato sia un atto (anche se) conforme ad una
norma illegittima162. Per di più l’autonomia delle questioni è confermata dal fatto che una volta
instaurato il processo costituzionale dinanzi alla Corte, come è stato autorevolmente affermato, non si
discuterà dell’interesse del ricorrente ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della legge che è stata
applicata ai suoi danni e che egli ha denunciato come illegittima, ma si discuterà direttamente di quella
legge in generale, potendo il ricorrente anche non costituirsi163.
Se soltanto “apparente”, sotto questo profilo, risulta allora l’incidenza del processo amministrativo
sul giudizio costituzionale164 non può dirsi il contrario. Può infatti leggersi nel caso di impugnazione di
un atto conforme ad una norma illegittima (o presunta tale) un ulteriore sintomo della capacità del
giudizio costituzionale di snaturare il modello classico del giudizio di impugnazione. Non può negarsi
infatti che in questo peculiare modo di atteggiarsi del ricorso la causa petendi sia argomentata alla luce di
un vizio dell’atto che è soltanto “sperato”, perché eventualmente derivato dall’accertamento successivo
da parte della Corte costituzionale della illegittimità della norma sulla base della quale l’atto stesso è
difetto del carattere incidentale. La Corte però ha respinto tale eccezione affermando infatti che «il petitum dell’azione
proposta» dal ricorrente «è distinto e separato dalla questione di legittimità costituzionale». In una logica conforme v. Cons. St.,
sez. IV, 3 febbraio 1996, n. 109, in Giur. it., III, 1996, 630. Su questa pronuncia v. E. CANNADA BARTOLI, Rivalutazione
dell’interesse legittimo, ivi, 1996, III, 625 ss.
160 Cons. St., 18 ottobre 1977, n. 805, in Cons. St., 1977, 1492 ss. In questo caso la censura di illegittimità costituzionale
si ritiene che non possa entrare nel giudizio amministrativo sul presupposto che si riferisce ad atti non impugnati dal
ricorrente. In senso analogo cfr. Cons. St., 21 giugno, 1967 n. 233, ivi, 1967, 1045 ss.; Id., 9 maggio 1967, n. 406, ivi, 880 ss.
161 Cfr. Cons. St., sez. IV, 3 febbraio 1996, n. 109, cit., 630 ss.; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 1968, in Cons. St., 1968, 1190
ss. La stessa Corte costituzionale (17/1999) ha avuto modo di affermare chiaramente che «la sollevata questione di
legittimità costituzionale» non può presentarsi «impropriamente come azione diretta contro una legge»; questo accade quando
l’«eventuale pronunzia di accoglimento» concreta «di per sé la tutela richiesta» e la esaurisce, «mentre il carattere di
incidentalità presuppone necessariamente che il petitum del giudizio nel corso del quale viene sollevata la questione non
coincida con la proposizione della questione stessa». Nel caso di specie non era «dato scorgere, una volta venute meno le
norme censurate, quale provvedimento ulteriore» doveva essere emesso per rimuovere la denunciata turbativa a danno del
ricorrente, «essendosi nel giudizio principale richiesto soltanto di stabilire “se fosse legittimo il disegno di legge regionale”».
Cfr. anche Id., 175/2003; 214/1986. Sulla problematica più generale della lis ficta cfr. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale,
cit., 148 ss.; A. RUGGEGRI, A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, 254 ss.
162 Cfr. Tar Basilicata, 18 dicembre 1984, n. 398, in Trib. amm. reg., 1984, 726, secondo cui «il principio che attribuisce al
giudizio di legittimità costituzionale delle leggi carattere incidentale è fatto salvo anche quando il ricorso proposto nel giudizio
a quo si regga esclusivamente sull’eccezione di incostituzionalità della legge che regola l’atto amministrativo impugnato». In senso
analogo v. anche Tar Piemonte, 18 gennaio 1977, n. 12, ivi, 1977, 809 ss.; Id., 19 ottobre 1976, n. 285, ivi, 1976, I, 3800.
Inoltre ciò che non potrà mancare nel giudizio amministrativo, ai fini della ammissibilità della questione, è un soggetto
istituzionale che sia legittimato passivo, ossia un’Amministrazione resistente, non potendo prospettarsi «la eventualità di una
lite tra il cittadino e il legislatore». Così P. CALAMANDREI, La legittimità costituzionale delle leggi ne processo civile, Padova, 1950, 64.
163 Così P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, cit., 10.
164 Non può negarsi però come nelle ipotesi di ricorso per soli motivi di costituzionalità possa comunque scorgersi
un’incidenza sul giudizio costituzionale ed in particolar modo sul ruolo del giudice amministrativo come portiere del
sindacato in via incidentale. Sembra infatti che la configurazione peculiare della impugnazione determini una riduzione di
quel «monopolio» del giudice a quo, alla luce del quale quest’ultimo non sarebbe «mero organo di trasmissione o nuncius delle
parti», non essendo vincolato alle istanze presentate (così G. D’ORAZIO, Presidente della Repubblica e Corte costituzionale: i rapporti
nel sistema e nella prassi, in Giur. cost., I, 1982, 130). Infatti quando la causa petendi del ricorso si risolve nella questione di
costituzionalità può apprezzarsi una neutralizzazione degli spazi di modificazione e di trasformazione che il giudice può
solitamente esercitare (cfr. R. ROMBOLI, Il giudizio costituzionale incidentale come processo senza parti, Milano, 1985, 66 ss.). Infatti
nella ipotesi in cui il dubbio di legittimità costituzionale è fatto valere in via d’azione i “soli” motivi di incostituzionalità
conducono il giudice amministrativo alla alternativa più stringente tra (1) sollevamento della questione di costituzionalità e
(2) rigetto del ricorso per manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, non essendovi nessuno spazio di
disponibilità, visto che una manipolazione della questione di costituzionalità si risolverebbe in una diretta elusione del
principio della domanda.
31
stato emanato165; l’impugnazione è infatti finalizzata a provocare i presupposti della illegittimità dell’atto
che non è tale nel momento in cui è posto in essere in conformità ad una norma (ancora)
costituzionalmente legittima. Lo stesso petitum (l’annullamento dell’atto impugnato) non è qualificabile
come immediato ma soltanto come “mediato”, essendo condizionato all’esito del processo
costituzionale, sul presupposto che la demolizione giuridica dell’oggetto del giudizio amministrativo
presuppone la demolizione giuridica a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale della
norma applicata dall’Amministrazione nell’esercizio di una funzione166. In questa logica il requisito della
utilità, come elemento connaturato all’interesse a ricorrere, sembra non aderire strettamente (rectius,
immediatamente) al processo amministrativo, sul presupposto che il vantaggio per il ricorrente, la
restituzione del bene della vita sacrificato dall’atto impugnato trova nel processo costituzionale il suo
momento decisivo.
Un altro elemento di incidenza sulla natura del giudizio amministrativo può essere scorto. Infatti la
idoneità della questione di costituzionalità ad esaurire il merito del ricorso può generare un «danno per
l’attore»167, sul presupposto che l’azione demolitoria dell’atto potrebbe non andare a buon fine a seguito
di una ordinanza di manifesta infondatezza del giudice amministrativo. In questo caso il giudizio
amministrativo si risolverebbe in un giudizio sommario, quale è quello espresso dalla delibazione sulla
questione di costituzionalità. La logica di funzionamento del sindacato incidentale sembra così
degradare la cognizione sull’esercizio dell’azione demolitoria, incidendo sulla effettività dell’art. 113
Cost., tanto che si è arrivati autorevolmente ad affermare che il giudice amministrativo in questi casi
dovrebbe «senz’altro sospendere il giudizio», limitandosi a fare il «portacarte della Corte
costituzionale»168. Non può negarsi però che in questo modo ad essere snaturato sarebbe l’accesso
stesso al giudizio costituzionale, determinato da un portiere che dismetta i suoi abiti. Più ragionevole
prospettare, e lo si faceva ancor prima che la Corte costituzionale iniziasse a funzionare, la introduzione
di una «via diretta, senza affrontare il passaggio obbligato della giustizia amministrativa»169; ma questa è
un’altra storia.
9. La questione di costituzionalità proposta come eccezione al di là dei termini di
decadenza
Mutando prospettiva, è necessario da ultimo soffermarci sull’ipotesi in cui la questione sia sollevata
al di là dei termini di decadenza, su sollecitazione di parte. E’ pacifico che il giudice a quo possa sollevare un
dubbio di costituzionalità sia d’ufficio sia su istanza di parte (v. art. 1 l. cost. n. 1/1948 e art. 23 l. n.
87/1953) in ogni fase e grado del processo170, anche in ogni fase e grado del processo amministrativo; nessuna
limitazione sembra poter imporre infatti la perentorietà dei termini del giudizio amministrativo
sull’accesso al giudizio costituzionale. Può così essere rilevato che il funzionamento del controllo di
costituzionalità in via incidentale non soltanto attribuisce al giudice amministrativo un potere officioso
(pur esercitabile soltanto nel rispetto dei limiti visti) ma anche alle parti la possibilità di ampliare il thema
decidendum “al di là” delle normali preclusioni processuali. Tuttavia è singolare notare come quella stessa
dottrina che aveva tentato di difendere la natura originaria del giudizio amministrativo dall’irruzione del
sollevamento d’ufficio di un motivo di costituzionalità nulla abbia detto sulla possibile alterazione
derivante dai poteri eccezionali spendibili dalle parti in appello o più semplicemente nella udienza di primo
grado attraverso la sollecitazione di un nuovo vizio (potenziale, perché condizionato all’accoglimento
del dubbio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale). Eppure il principio della domanda
genera un vincolo non soltanto per il giudice ma anche per le parti171, che non possono introdurre motivi
nuovi; avremmo dovuto attenderci che quella dottrina lo richiamasse anche in questa ulteriore accezione.
Su talune contraddizioni che si annidano dietro tale logica v. V. ONIDA, Pubblica amministrazione, cit., 208 ss.
Sul punto v. F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità, cit., 902 ss.
167 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55.
168 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55.
169 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55.
170 Già in Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1230, si legge che una questione di costituzionalità può essere
sollevata «in qualsiasi momento del giudizio».
171 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 229 ss.
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In realtà qualche solitario sintomo di questa problematica, connessa quindi alla vincolatività del
principio dispositivo (questa volta non nei confronti del giudice ma) nei confronti delle parti, può
scorgersi nella giurisprudenza amministrativa; un tentativo di far resistere le regole processuali del
giudizio all’impatto del sindacato incidentale. Il Consiglio di Stato recentemente è giunto a ritenere
inammissibile una censura di costituzionalità eccepita da una parte su una norma indicata nel ricorso e
quindi effettivamente utilizzata come parametro per la definizione dei vizi-motivo in primo grado, «in
quanto posta per la prima volta» in appello172. In questa logica si è ritenuto di potere qualificare il
dubbio di costituzionalità come un motivo nuovo per il fatto che la specifica censura non era stata posta in
essere dinanzi al Tar, riaffermando una primazia assoluta del principio dispositivo. In realtà questo
indirizzo si risolve in una forte limitazione al sollevamento della questione di costituzionalità che non
potrebbe essere così sollecitata dalle parti (per la prima volta) nel secondo grado del giudizio
amministrativo; per altro in coerenza a questo modo di argomentare, vista la “doppia” vincolatività del
principio della domanda (sia nei confronti del giudice che delle parti) si dovrebbe così dedurre che il
Consiglio di Stato non sarebbe in ogni caso legittimato d’ufficio a sottoporre una questione alla Corte
(quindi in ogni fase e grado) ma soltanto quando vi sia stata una specifica censura nel grado precedente.
Però la pronuncia oltre ad essere irragionevole non è neppure coerente visto che non giunge a tale
conclusione, che dovrebbe desumersi dal principio di diritto espressamente affermato, ma riconosce il
potere officioso del sollevamento della questione di costituzionalità. Si avrebbe così una alterazione del
sistema di accesso alla giustizia costituzionale, poiché nel secondo grado del giudizio amministrativo
assisteremmo in modo schizofrenico da una parte alla neutralizzazione della istanza di parte (salvo
riproposizione di una censura già specificata in primo grado) e dall’altra alla affermazione della esclusiva
legittimazione del sollevamento d’ufficio. Sembra che questo indirizzo ignori il delicato punto di
equilibrio raggiunto dalla giurisprudenza amministrativa, riproponendo la (storica ma evidentemente
mai sopita) problematica della incidenza del principio dispositivo sul giudizio costituzionale. Inoltre per
addurre un’altra argomentazione (non relativa al modello di giustizia costituzionale ma interna al
sistema di giustizia amministrativa) che dimostra la irragionevolezza di questa soluzione basta ricordare
che lo stesso Consiglio di Stato ha affermato che il divieto di ius novorum in appello «non riguarda le
eccezioni rilevabili d’ufficio»173, e quindi neppure la questione di costituzionalità, che potrà essere,
come già detto, sollevata d’ufficio o su eccezione di parte anche nel secondo grado del giudizio (pur) nei
limiti indagati sopra.
Tra l’altro in sede di giudizio costituzionale, a quanto ci consta, neppure l’Avvocatura dello Stato, al
fine di difendere la legittimità della legge, ha mai eccepito la irrilevanza della questione di
costituzionalità perché inammissibile sotto tale profilo. Sono però individuabili taluni argini anche per i
motivi di incostituzionalità fatti valere dalle parti oltre i termini di decadenza. Deve infatti ribadirsi
quanto ha detto molto puntualmente la giurisprudenza amministrativa, secondo cui se è vero che
l’eccezione di illegittimità costituzionale può introdurre nel giudizio «senza limitazioni di tempo» una
questione «a sostegno di un motivo di illegittimità tempestivamente proposto», non può però
«consentire di valicare i termini di decadenza entro i quali il provvedimento stesso deve essere
impugnato mediante la deduzione di specifici vizi»174. Nel caso di specie il Consiglio di Stato aveva
ritenuto irrilevante una questione di costituzionalità eccepita dal ricorrente su una norma che
autorizzava la Pubblica Amministrazione ad imporre servitù militari senza previsione di un indennizzo,
in un giudizio in cui il ricorso aveva ad oggetto un provvedimento di imposizione della servitù
impugnato per motivi diversi da quello relativo alla mancanza dell’indennizzo stesso.
10. Una notazione di sintesi
Siamo partiti da una disposizione rassicurante (art. 22 della l. 87/1953), da una armonica
compatibilità delle strutture, presupposte come potenzialmente omogenee e somiglianti; da una logica di
incidenza (del giudizio amministrativo sul giudizio costituzionale) risolvibile nella fungibilità delle regole
Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5016, in Cons. St., 2004, I, 1488 ss.
Cons. St., sez. V, 16 ottobre 2001, n. 5471, in Foro amm., 2001, 2799.
174 Cons. St., 4 giugno 1969, n. 251, in Cons. St., 1969, 814 ss.
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processuali; siamo giunti invece a scorgere -in tal senso- una incidenza “debole”, alla luce
dell’autonomia che la Corte riconosce al proprio giudizio, e una più peculiare incidenza reciproca (dinamica), fino a rilevare che il giudizio amministrativo, una volta venuto a contatto con il giudizio
costituzionale in via incidentale, somiglia meno anche a se stesso. Abbiamo tentato così di mettere in
evidenza come il tema più generale dell’“adattabilità” e della “contiguità” abbia lasciato in ombra le
tensioni e le interazioni che si annidano tra i due giudizi, soprattutto tra il giudizio sugli atti e il giudizio
in via incidentale, su cui il modello impugnatorio imprime una pressione costante.
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