LE RECIPROCHE “INCIDENZE” TRA PROCESSO AMMINISTRATIVO E PROCESSO COSTITUZIONALE Nicola Pignatelli SOMMARIO: 1. Una ipotesi di incidenza “debole” del processo amministrativo sul processo costituzionale: il rinvio dell’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato. - 2. Una (diversa e) “problematica” incidenza sul processo costituzionale (in via incidentale): l’iniziativa giudiziale, i motivi del ricorso e l’affievolimento del principio iura novit curia nel processo amministrativo. - 3. Il sollevamento ex officio della questione di costituzionalità: l’eco di un trauma processuale. - 4. I limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità: l’incidenza del ricorso sulla rilevanza. - 5. Lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale. - 6. Talune ipotesi di cedimento delle limitazioni derivanti dal principio della domanda. - 7. Un riscontro: l’annullamento dell’atto amministrativo a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale. - 7.1. Ancora una volta il cedimento dei limiti. - 8. La questione di costituzionalità come motivo (unico) di ricorso e l’illegittimità soltanto sperata. - 9. La questione di costituzionalità proposta come eccezione al di là dei termini di decadenza. - 10. Una notazione di sintesi. 1. Una ipotesi di incidenza “debole” del processo amministrativo sul processo costituzionale: il rinvio dell’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato Il binomio “processo costituzionale-processo amministrativo” evoca con una certa immediatezza, passando in rassegna la letteratura, tre problematiche classiche sulle quali la dottrina costituzionalista da tempo si è soffermata: (a) la necessità di coordinamento tra il giudizio amministrativo e il conflitto intersoggettivo quando l’atto amministrativo impugnato sia il medesimo, (b) la praticabilità dell’attivazione incidentale del controllo di costituzionalità in sede cautelare(-sospensiva), (c) la definizione della natura del rinvio operato dall’art. 22 l. 87/1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato (r.d. 642/1907) come modello di disciplina del «procedimento» (giurisdizionale, rectius del processo costituzionale). Le prime due problematiche esulano dalla nostra indagine. Attraverso invece lo studio della terza si potrebbe pensare di misurare l’incidenza delle regole del processo del giudice amministrativo sul processo della Corte costituzionale, di apprezzare la intensità della compatibilità tra i due giudizi e quindi la resistenza della omogeneità presupposta dal legislatore del ’53; in definitiva si potrebbe andare alla ricerca di ciò che sopravvive del giudizio amministrativo (nel giudizio costituzionale1) dopo il trapianto delle regole attraverso il rinvio. Crediamo però che questa prospettiva, già battuta, ne offuschi un’altra, meno battuta, alla luce della quale sembra apprezzabile un impatto più incisivo (certamente peculiare) della struttura del processo amministrativo sull’altro. Tuttavia, andando per ordine, prima di affrontare le ragioni di tale incidenza (§ 2 ss.), diremo qualcosa sulle ragioni della incidenza “debole”. E’ noto come l’art. 14 e l’art. 22 l. 87/1953 concorrano a definire (anche se non a fondare2) il potere auto-regolamentare della Corte, la sua auto-nomia, prevedendo (la prima disposizione) in via generale che la Corte può disciplinare l’esercizio delle sue «funzioni» con regolamento approvato a maggioranza e (la seconda disposizione) in via particolare3 che norme ulteriori possono essere stabilite nel 1 La stessa l. 87/1953 sembra evocare una nozione sintetica, unitaria di processo costituzionale, alludendo nell’art. 22 ad un procedimento (unico) davanti alla Corte. Per quanto non sia «facile parlare di un processo costituzionale come dato unitario» tuttavia sembra possibile essendo rilevabili alcune «tendenze comuni» (così A. CERRI, Corte e processo costituzionale, in Foro it., 2006, V, 310), pur con l’«assillo di essere prudenti» (così V. ANGIOLINI, Processo giurisdizionale e processo costituzionale, ivi, 1995, I, 1085). 2 Prevale in dottrina l’idea che sussista un fondamento costituzionale implicito del potere regolamentare derivante dalla posizione della Corte costituzionale nel sistema; in questa logica la l. 87/1953 assume un valore meramente ricognitivodichiarativo di tale potestà (primaria). Così A. RUGGERI, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperineza costituzionale, I, L’ordinazione in sistema, Torino, 1993, 199. Per una sintesi delle posizioni della dottrina cfr. P. CARNEVALE, «Ecce iudex in ca(u)sa propria»: ovvero della Corte-legislatore dinanzi alla Corte-giudice (prime riflessioni sulla posizione della giurisprudenza della Corte costituzionale intorno al problema della natura delle norme di autoregolamentazione dei propri giudizi nel quadro del dibattito dottrinario), in P. COSTANZO (a cura di), L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, Torino, 1996, 35 ss. 3 Sul rapporto di genus et species intercorrente tra l’art. 14 e l’art. 22 cfr. S. PANUNZIO, I regolamenti della Corte costituzionale, Padova, 1970, 18 ss. 1 regolamento al fine di integrare (si legge nella lettera) la disciplina del «procedimento» del r.d. 642/1907, reso operativo attraverso il rinvio. Quanto a quest’ultimo profilo, la straordinarietà4 di un giudice che fissa (o concorre a fissare) le regole del proprio processo ha portato con sé un problema relativo alla definizione degli spazi rilasciati alle N.I. rispetto al contenuto del regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato, richiamato dall’art. 22, 1° comma. Sin dagli esordi della Corte costituzionale si è posta l’alternativa tra due antitetiche composizioni: l’una in cui le norme “ulteriori” (previste dall’art. 22, 2° comma) sarebbero integrative in senso stretto del r.d. 642/1907, che rappresenterebbe il modello esclusivo del processo costituzionale, sottoposto ad eventuali specificazioni, implementazioni disposte dallo stesso giudice costituzionale attraverso tali norme5; l’altra in cui le norme “ulteriori” sarebbero invece espressione di un potere regolamentare svincolato (o per lo meno svincolabile) dal r.d. 642/1907, soltanto cedevole e sussidiario alle mancanze della regolamentazione della Corte. Due ricostruzioni inverse alla luce delle quali l’innesto delle regole del giudizio innanzi al Consiglio di Stato è concepito alternativamente come “automatico” o come “eventuale”. Sembra evidente come la prima logica abbia ceduto (a favore della seconda) dinanzi alla interpretazione che la stessa Corte costituzionale ha dato del proprio potere di auto-regolamentazione esercitato peraltro non soltanto (come “legislatore”) attraverso l’approvazione a maggioranza delle N.I. ma anche (come “giudice”) attraverso la concreta gestione di taluni giudizi6 (dando vita ad un diritto giurisprudenziale processuale, integrativo delle stesse norme integrative). La Corte ha infatti valorizzato l’inciso «in quanto applicabili» contenuto nell’art. 22, 1° comma, e riferito alle norme del regolamento innanzi al Consiglio di Stato, esercitando la titolarità del giudizio di applicabilità, quindi un giudizio di comparazione tra la struttura del processo amministrativo e quella del processo costituzionale7; per altro lo stesso art. 22 contiene un’altra parola gravida di significati prevedendo infatti che «Nel procedimento davanti alla Corte costituzionale (…) si osservano, in quanto applicabili, anche le norme» del r.d. 642/907, ma non esclusivamente e non principalmente quelle. Così quando la Corte ha operato come «organo legislativo speciale»8, nel momento di approvazione delle N.I., è arrivata a disporre (anche) norme di contenuto difforme rispetto al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato9, affermando fattualmente la sua inapplicabilità; in alcuni casi peraltro ha riprodotto norme identiche, non richiamando mai il r.d. 642/190710. Le N.I. sono state così configurate come un sistema autonomo11 che appare integrativo (non del regolamento di procedura ma direttamente) della legge n. 87/195312; in questa logica «sono proprio le norme del regolamento sul Consiglio di Stato ad essere in posizione subordinata rispetto alle N.I., poiché possono avere vigenza 4 Cfr. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1974, 236; A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti al giudice a quo, Milano, 1965, 93. 5 In questo senso v. U. FRAGOLA, L’applicazione delle norme di procedura sul Consiglio di Stato ai giudizi davanti la Corte costituzionale, in Foro it., 1953, IV, 210 ss.; F. LUBRANO, Osservazioni in tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in Rass. dir. pubbl., 1967, 652 ss.; C. DELL’ACQUA, Considerazioni sul fondamento e sui limiti della potestà regolamentare della corte costituzionale, in Rass. dir. pubbl., 1968, 20 ss. 6 Sulla “doppia” anima della Corte (legislatore e giudice) relativamente all’esercizio del potere regolamentare (integrativo) v. P. CARNEVALE, «Ecce iudex in ca(u)sa propria», cit., 35 ss. 7 Cfr. E. CHELI, Sulla correzione degli errori materiali e sull’ammissibilità della revocazione delle sentenze della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1958, 302. 8 A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti, cit., 92. 9 Si mettano a confronto, ad esempio, quanto alle notificazioni gli artt. 3, 4, 7, 8 r.d. 642/1907 e 3, 5 e 23 N.I.; quanto alla fissazione delle udienze gli artt. 51 ss. r.d. e 8 N.I.; quanto ai termini di comunicazione alle parti della data di udienza gli artt. 54 r.d. e 8, 2° comma, N.I.; quanto alle spese per i mezzi di prova gli artt. 34 r.d. e 13 N.I. 10 ….«il che appare veramente singolare ove si ritenga le N.I. debbano integrare il regolamento stesso». Così S. PANUNZIO, I regolamenti della Corte, cit., 24. Cfr. ad esempio quanto alla direzione della discussione dell’udienza gli artt. 58 r.d. 642/1907 e 17, 3° comma, N.I.; quanto all’ordine di votazione in camera di consiglio gli artt. 63 r.d. e 18, 2° comma, N.I.; quanto alla sospensione degli atti pubblici gli artt. 36 r.d. e 28 N.I. 11 P.G. GRASSO, Prime osservazioni sulla potestà regolamentare della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, 923 parla di un «sistema a sé». 12 La stessa Corte cost. 88/1986 ha affermato che le N.I. sono «svolgimento e integrazione della l. 11 marzo 1953 n. 87». Sul tema, che porterebbe lontano dalla nostra indagine, del rapporto tra N.I. e legge 83/1957 v. D. NOCILLA, Aspetti del problema relativo ai rapporti tra le fonti che disciplinano la Corte costituzionale, in Giur. cost., 1968, 2014 ss.; ID., Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale e valore di legge in una insoddisfacente decisione di inammissibilità, ivi, 1990, 3222 ss; S. PANUNZIO, I regolamenti, cit., 15 ss.; F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004, 19. 2 nel processo costituzionale, in quanto la Corte non le abbia ritenute inapplicabili, emanando, mediante le N.I., delle disposizioni incompatibili con esse»13. Inoltre, come anticipato, il giudizio sulla (in-)idoneità delle regole del processo amministrativo ad essere trapiantate è praticato in concreto dalla Corte nei singoli giudizi, in cui certe volte si è negata l’applicabilità di talune norme del procedimento innanzi al Consiglio di Stato14 e certe altre si è esclusa (più in generale) la estensibilità di altre norme del processo amministrativo diverse dalle prime15 o (ancora più in generale) la fungibilità di taluni istituti della giustizia amministrativa16. A maggior ragione la Corte ha dimostrato di non sentire la necessità di ancorare talune soluzioni processuali alle norme del r.d. 642/1907 (magari richiamandolo esplicitamente) anche nelle ipotesi in cui avrebbe potuto farlo sussistendo in seno al processo Ancora S. PANUNZIO, I regolamenti della Corte, cit., 24. In senso analogo si era già espresso C. ESPOSITO, in Giur. cost., 1956, 166. 14 Cfr. ad esempio Corte cost., ord. 14 novembre 1956.; Id., 179/1987, relativamente alla inapplicabilità delle norme sul procedimento innanzi al Consiglio di Stato sulle modalità di costituzione delle parti (art. 37 T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, per quanto questa norma non sia stata formalmente richiamata), in riferimento rispettivamente alla presentazione delle deduzioni e alla individuazione del dies a quo del decorso dei termini; sulla estensione del rinvio ex art. 22 l. 87/1953 anche al T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato (e alle altre norme della giustizia amministrativa) v. note 14 e 15. Ancor più palese è la discrasia, pacifica e «consolidata» per la giurisprudenza della Corte, tra la natura perentoria dei termini di costituzione nei giudizi costituzionali e la natura ordinatoria dei termini di costituzione (delle parti diverse dal ricorrente) nel processo amministrativo. Cfr. in via esemplificativa Corte cost. 307/2003. Inoltre la Corte in taluni casi ha espressamente affermato che ai giudizi costituzionali, per la loro «particolare natura», è «estranea la figura del controinteressato» a cui notificare il ricorso -ex artt. 7 e 15 r.d. 642/1907, per quanto queste norme non siano state formalmente richiamate- (cfr. Id., 18/1957; 21/1966 relativamente ai conflitti intersoggettivi; cfr. Id, ord. 30 maggio 1956; 15 giugno 1957; 293/1987; 517/1987 relativamente al giudizio in via principale); in molti altri casi ha più generalmente negato l’intervento dei terzi interessati (sia ad adiuvandum che ad opponendum) nei giudizi costituzionali disapplicando l’art. 37 r.d. 642/1907, richiamato sistematicamente dalle difese degli aspiranti interventori. E’ così negata la mutuabilità dal processo amministrativo delle figure del controinteressato formale (parte necessaria), del controinteressato sostanziale e del cointeressato. Su questa giurisprudenza v. R. ROMBOLI (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2001-2004), Torino, 2005, 225 ss., 277 ss., e le precedenti edizioni dell’opera. In particolar modo sulla figura del controinteressato e su talune contraddizioni relative alla nozione utilizzata dalla Corte v. M. D’AMICO, Una novità nei giudizi per conflitto di attribuzione: compare il “controinteressato”, in Il diritto della Regione, 1989, 129 ss.; ID., I soggetti del processo costituzionale nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Torino, 1991, 85 ss.; V. ANGIOLINI, Conflitto costituzionale di attribuzioni e controinteressato: la Corte (forse) fa il primo passo, in Regioni, 1989, 1171 ss.; F. MARONE, Principio del contraddittorio e conflitti di attribuzioni tra Stato e Regioni, Tesi di dottorato di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Pisa, 2004, passim. 15 Cfr. Corte cost., ord. 30 maggio 1956; Id., 26 gennaio 1957; 18/1957; 548/89; 295/1993; 42/2004; 196/2004, relativamente alla inapplicabilità della l. 260/1958 in materia di notificazioni. In dottrina v. V. ANDRIOLI, Intorno alla applicabilità della l. 25 marzo 1958 n. 260 ai giudizi avanti alla Corte costituzionale, in Giur. cost., 1960, 124 ss.; A. PISANESCHI, Aspetti contraddittori del regime di notificazioni nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1988, 821 ss.; M. PEDETTA, La notifica del ricorso all’Avvocatura dello Stato anziché nella sede del governo, come irregolarità sanabile, ivi, 1994, 2229 ss.; G. PISTORIO, La Corte continua ad escludere la sanatoria dei vizi di notifica, ivi, 2004, 585 ss. Cfr. Corte cost., 15/1967; 18/1970; 30/1973; 130/1974; 174/1974; 109/1975; 239/1982; 386/1985; 233/1993; 126/1997; 35/1999; 88/2005; 304/2006, relativamente alla inapplicabilità delle leggi 818/1965 e 742/1969 in materia di sospensione dei termini processuali per le ferie giudiziarie. In dottrina v. V. ANDRIOLI, Inapplicabilità della l. 14 luglio 1965 n. 818 ai giudizi avanti la Corte costituzionale?, ivi, 1967, 123 ss.; F. LUBRANO, Osservazioni in tema di sospensione, cit., 1966, 652 ss. 16 Cfr. Corte cost. 44/1957; 54/1958; 77/1958; 30/1959; 13/1960; 40/1963; 36/1982; 49/1987; 633/1988; 991/88; 93/96; 243/96, 39/2003, relativamente alla inapplicabilità di istituti come la inammissibilità del ricorso per acquiscienza o per il carattere confermativo dell’atto impugnato. Sul tema v. A. M. SANDULLI, Il giudizio sulle leggi, Milano, 1967, 44 ss; S. GRASSI, Il giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni, Milano, 1985, 148 ss.; A.S. AGRÒ, Atto confermativo e acquiscienza nel ricorso in via principale, in Giur. it., 1968, I, 283 ss. Sulla necessità di prescindere dagli istituti del processo amministrativo v. anche L. PALADIN, In tema di atti esecutivi delle riforme economico-sociali, in Giur. cost., 1966, 1032 ss. Tuttavia il fatto stesso che la Corte abbia posto in essere in questi casi un giudizio sull’applicabilità (pur risolto negativamente) dimostra come il rinvio dell’art. 22 sia inteso non soltanto in riferimento (esplicito) al r.d. 642/1907 ma anche implicitamente alle altre norme ed istituti della giustizia amministrativa. La inapplicabilità infatti non è stata motivata alla luce dell’ambito (ristretto) di operatività del rinvio ma “in concreto”. Sulla incorporazione anche del T.U. sul Consiglio di Stato v. E. CHELI, Sulla correzione degli errori materiali, cit., 302 ed eloquentemente la stessa Corte cost. 87/1977; in senso contrario G. ZAGREBELSKY, Errore di fatto e sentenze della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1967, 1523. Sulla incorporazione di tutte le norme della giustizia amministrativa v. esplicitamente A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2004, 55, secondo cui «è probabile» che l’art. 22 «abbia inteso genericamente richiamare qualsiasi normativa disciplinante i giudizi dinanzi ai giudici amministrativi» quindi anche, ad esempio, la legge n. 1034/1971 che disciplina il processo davanti ai Tar. 13 3 costituzionale una situazione analoga a quelle contemplate dalle norme sul processo innanzi al Consiglio di Stato17. Da qui emerge una certa debolezza della omogeneità presupposta dall’art. 22 l. 87/1953 tra il processo davanti alla Corte e quello davanti al Consiglio di Stato o più generalmente davanti al giudice amministrativo. La giurisprudenza costituzionale “svela” infatti la instabilità delle argomentazioni poste a fondamento di tale presupposizone. In sede Costituente, in cui si «gridava» alla istituzione di una «giustizia nella legislazione» così come Spaventa nel 1880 gridò alla istituzione di una «giustizia nella amministrazione»18, sembrava prospettarsi un parallelismo con il sindacato del giudice amministrativo relativo alla nascita della giustizia sulle leggi; la contrapposizione, tra una visione antropocentrica-diffusa (funzionale alla tutela dei diritti fondamentali) e una visione statocentrica-accentrata (funzionale alla tutela della legalità costituzionale in senso oggettivo) rievocava e riproponeva una analoga antitesi, relativa alla genesi della giustizia amministrativa, tra un modello strumentale alla tutela effettiva dei cittadini e un modello strumentale alla tutela della legalità. La tensione tra interesse privato e interesse pubblico, che caratterizzò il dibattito sulla nascita del processo amministrativo, sembrava avere così una propria proiezione nel dibattito costituente intorno alla introduzione del sindacato sugli atti legislativi. Tuttavia quel parallelismo era certamente accentuato ed alimentato da un bisogno di attingere da «uno schema logico già predisposto e collaudato»19, da una esigenza di rassicurante continuità nella discontinuità, intimamente connessa al fine di rendere intelligibile il «nuovo» processo costituzionale20. Per altro la utilità dello strumentario ideologico del processo amministrativo non legittimava di per sé l’assimilazione delle strutture processuali. Le stesse affermazioni dell’on Teasuro -relatore alla Camera dei Deputati della l. 87/1953-, che aveva tentato di spiegare (in modo assai stringato) lo spirito del rinvio previsto dall’art. 22, valorizzando il fatto che entrambi i processi vertono su «atti pubblici»21, trascuravano la diversità della natura degli atti oggetto del sindacato e la problematicità dell’innesto di una struttura dispositiva-impugnatoria (quella del processo amministrativo) nel giudizio costituzionale che in realtà non è uno ma sottende una pluralità di strutture processuali quante sono le competenze funzionali22. Non vogliamo certamente negare che sussistano talune affinità e che il processo costituzionale sia permeabile alla tradizione della giustizia amministrativa. Anche quando nelle pronunce della Corte manca un rinvio formale all’articolato del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato o ad altre norme della giustizia amministrativa può comunque leggersi un’inevitabile eco dei principi generali e degli istituti del processo amministrativo in tema, ad esempio, di sospensione dell’atto origine del conflitto, di disponibilità del giudizio23, di interesse a ricorrere24, di giudicato25 o di fissazione del thema Ad esempio A. PIZZORUSSO, La restituzione degli atti, cit., 90, fa notare come la Corte non richiami espressamente l’art. 17, 2° comma, del regolamento di procedura (che prevede la rinnovazione degli atti processuali nulli) nelle ordinanze di restituzione degli atti al giudice a quo quando sussista un vizio dell’ordinanza di rimessione. 18 Atti Assemblea Costituente n. 4215, intervento dell’on. Codacci Pisanelli. 19 Così la suggestiva analisi di C. MEZZANOTTE, Il giudizio sulle leggi, I, Le ideologie del Costituente, Milano, 1979, 24 ss., 63 ss., 82 ss. Anche G. BERTI, Struttura del processo costituzionale e regime dei termini, in Regioni, 1981, 1058, mette in evidenza come il riferimento alla procedura amministrativa rappresenti «una rete protettiva» ancorata ad una solida tradizione processuale 20 In questo senso anche E. CATELANI, La determinazione della “questione di legittimità costituzionale” nel giudizio incidentale, Milano, 1993, 45. In questa logica vi è stata probabilmente una frattura tra il momento “genetico” del giudizio costituzionale, in cui i Costituenti scorsero un legame solido con il giudizio amministrativo, e il momento “dinamico”, in cui la Corte ha invece dimostrato la separatezza (almeno delle strutture processuali). 21 A.P. Camera, I legislatura, Disegni di legge-Relazioni-Documenti, VI, 469 A, 34. La Relazione può anche leggersi in M. BATTAGLINI, M. MININNI, Codice della Corte costituzionale, Padova, 1960, 224 ss. 22 E’ evidente come la possibilità di rilevare elementi comuni tra i giudizi costituzionali, tanto da poter parlare sinteticamente di un giudizio costituzionale (così A. CERRI, Corte e processo, cit., 310), non legittima certo la automatica applicabilità delle norme di giustizia amministrativa a tutte le tipologie di giudizio. Per altro in dottrina nel senso di una negazione netta della unitarietà strutturale v. G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, in Enc. dir., Milano, 1987, 522, secondo cui «che esista ‘un’ processo costituzionale e non ‘tanti’ processi costituzionali, quante sono le competenze della Corte, non si potrebbe certamente dire». 23 Cfr. S. GRASSI, Il giudizio costituzionale, cit., 148. 24 Cfr. G. CONTI, L’interesse al processo nella giustizia costituzionale, Torino, 2000, 8 e 75 ss. 25 Cfr. F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, 19 ss. 17 4 decidendum26; tra l’altro nel giudizio sulle leggi come nel processo amministrativo ci si deve «misurare con il problema di un rapporto tra regole non derogabili e discrezionalità, o comunque, valutazioni non sindacabili»27. Tuttavia l’affinità e i punti di contatto, come l’interesse pubblico che muove entrambi i processi28, non significano omogeneità e quindi assoluta fungibilità delle regole processuali. Per di più le affinità, guardando al governo del processo da parte della Corte costituzionale, sembrano talune volte perdersi nella specialità della struttura del giudizio costituzionale. Alla luce di come la Corte liberamente maneggia e dispone delle regole del processo amministrativo, che sembrano essere soltanto un canovaccio duttile e malleabile, appaiono ormai irrilevanti quelle divergenze in dottrina sulla definizione della natura del rinvio ex art. 22 l. 87/1953 come “formale” o “materiale”29. Sarebbe irragionevole (e lontano dalla giurisprudenza della Corte) pensare che il rinvio debba intendersi come rigorosamente limitato al r.d. 642/1907 ma allo stesso tempo neppure troppo decisivo affermare che debba intendersi esteso anche al T.U. sul Consiglio di Stato o a tutte le norme della giustizia amministrativa30 sul presupposto che il processo amministrativo rimane pur sempre una “traccia” e che tutte queste norme possono essere, come già detto, ritenute inapplicabili attraverso un giudizio concreto-giurisprudenziale o astratto-normativo (N.I.). In questo senso è costantemente ribadita la creatività della Corte31 che modella con originalità la struttura del giudizio e delle regole di quello, da padrona del proprio processo (anche dei processi costituzionali, come i conflitti, con maggiori similitudini con il giudizio amministrativo); attraverso questo «monopolio», soprattutto esercitato nella sua attività di giudice (più che di “legislatore”), ha «esasperato i caratteri distintivi»32, svuotando e vanificando l’effettività del rinvio ex art. 22 l. 87/1953. La omogeneità dei modelli processuali a cui pensò il legislatore del ’53 si dissolve dinanzi alla inevitabile valorizzazione da parte della Corte della sua posizione nel sistema costituzionale (certamente diversa dal giudice amministrativo) e della sue «supreme funzioni di tutela della legalità costituzionale ad ogni livello»33. Questa specialità funzionale rende, come ha detto chiaramente il Presidente Saja, «non praticabile la recezione automatica e tralaticia di alcune regole del processo (…) amministrativo»34; per altro questa affermazione non fa altro che ribadire quanto emerge diffusamente dalla giurisprudenza costituzionale in cui si legge che «non è consentita la trasposizione nel giudizio di costituzionalità (…) di istituti propri del processo ordinario»35 e che l’applicazione dei principi del diritto processuale comune non può «produrre alterazioni e distorsioni rispetto alla funzione»36. Sembra palese la consapevolezza della Corte che (il giudizio costituzionale, rectius) i giudizi costituzionali «presentano caratteri tipici corrispondenti a funzioni diverse da quelle dei giudizi propri delle giurisdizioni ordinaria Cfr. E. CATELANI, La determinazione, cit., 39 ss. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 55 ss. Nello stesso senso v. A. TESAURO, La Corte costituzionale, in Rass. dir. pubbl., 1950, 223; G. BERTI, Interpretazione costituzionale, Padova, 1987, 523 ss. 28 In questo senso P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950, 391. 29 Su questa alternativa v. D. NOCILLA, Aspetti del problema, cit., 2026. 30 Sul punto v. nota 16. 31 In dottrina v. F. MODUGNO, Riflessioni interlocutorie sull’autonomia del giudizio incidentale, in Rass. dir. pubbl., 1966, 275 ss.; C. MEZZANOTTE, Processo costituzionale e forma di governo, in AA.VV., Giudizio a “quo” e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, 69; G. BOGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, in AA.VV., Giudizio a “quo”, 230 ss. 32 Così suggestivamente G. D’ORAZIO, Soggetto privato e processo costituzionale, Torino, 1992, 157 ss. Inoltre questo svuotamento dovrebbe ritenersi fisiologico sul presupposto che il rinvio al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato aveva probabilmente, nella mente del legislatore, una funzione soltanto temporanea, provvisoria, «tendendo a consentire l’immediato inizio della attività della Corte» (così G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale italiano, I, Napoli, 1957, 21) in attesa delle norme integrative. 33 Corte cost., 142/1973. 34 F. SAJA, La giustizia costituzionale nel 1988, in Foro it., V, 174. Una maggiore valorizzazione della vicinanza del giudizio costituzionale ai processi comuni può invece leggersi in E. REDENTI, Legittimità delle leggi e Corte costituzionale, Milano, 1957, 55, secondo cui «non si può non notare anche nei suoi procedimenti» (quelli della Corte) «una certa similitudine di struttura con quelli giudiziarii. Per conseguenza è possibile, sia pure con qualche prudenza, una certa trasposizione delle nozioni e dei principii già elaborati negli studi di diritto processuale». 35 Corte cost., 49/1987. 36 Id., 15/1957. 26 27 5 e amministrativa»; altrettanto palese è la consapevolezza che lo stesso giudice costituzionale «non può essere qualificato come organo della giurisdizione amministrativa o speciale»37. Può in definitiva parlarsi di «autonomia»38 del processo costituzionale (insomma di una Corte che «subordina a sé qualunque regola procedurale»39), alla luce della quale l’affinità con il giudizio amministrativo è soltanto «di superficie» visto che le regole di questo «si flettono e subiscono quindi una perdita di tensione»40. Per altro una interpretazione restrittiva del rinvio non soltanto determinerebbe una assimilazione del giudizio costituzionale al giudizio amministrativo ed una conseguente neutralizzazione di quella specialità, di cui si è detto, strumentale alle funzioni della Corte ma anche la possibilità per il Governo di incidere sul funzionamento del controllo di costituzionalità potendo disporre del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato (r.d. n. 642/1907); l’autonomia relativa alla gestione del processo rappresenta così una garanzia ulteriore della autonomia costituzionale del giudice di quel processo dal potere esecutivo. Questa originalità del processo costituzionale porta però con sé un paradosso, una sorta di affinità di spirito con il processo amministrativo. Nel momento stesso infatti in cui la Corte decide che il proprio giudizio deve allontanarsi e discostarsi dalla struttura del giudizio amministrativo, il primo continua a somigliare al secondo (non evidentemente nelle sue regole ma) nella sua logica; come nel giudizio amministrativo è l’autorità dell’atto impugnato ad attrarre sé la disciplina processuale così nel giudizio costituzionale è l’autorità del giudice ad attrarre a sé la disciplina processuale41. Non può negarsi però come questa originalità, che si concretizza nel giudizio di (in-)adattabilità delle regole del processo amministrativo, non può legittimare un sacrificio della stabilità delle regole; è sì vero che la Corte costituzionale può scegliere, alla luce dell’art. 22 l. 87/1953, quali regole trapiantare tuttavia la scelta dovrà risultare certamente coerente, ripetuta, prevedibile42 (salvo motivati mutamenti giurisprudenziali)43. Ciò precisato, posta l’autonomia del processo costituzionale, la volatilità della omogeneità presupposta e quindi la debolezza della adattabilità del giudizio amministrativo attraverso il rinvio ex art. 22 l. 87/1953, poco utile sembra una disamina di ciò che rimane del processo amministrativo nel processo costituzionale, ossia dei “residui” (certamente variabili a seconda della tipologia dei giudizi costituzionali44) del processo amministrativo; tra l’altro poco utile sembra soffermarsi sulla Id., 13/1960. G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale, cit., 21; P. GIOCOLI NACCI, L’iniziativa nel processo costituzionale incidentale, Napoli, 1963, 54 ss. 39 C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica, Milano, 1984, 136. 40 Così G. BERTI, Struttura del processo costituzionale, cit., 1052. 41 Cfr. G. BERTI, Struttura del processo costituzionale, cit., 1055. 42 Non può negarsi come la inapplicabilità delle regole del processo amministrativo (relative al contraddittorio, al regime delle notificazioni, alla sospensione dei termini, all’acquiscienza, alla natura meramente confermativa dell’atto impugnato, alle modalità e alla ordinatorietà dei termini di costituzione) risulti ripetuta, fattualmente prevedibile, quindi coerente a se stessa. 43 La posizione della Corte costituzionale nel sistema non può risolversi in anarchia processuale. Sulla necessità di coerenza, di vincolatività e prevedibilità delle regole del “processo” cfr.. G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, in AA.VV., Giudizio a “quo”, cit., 105 ss.; A. PIZZORUSSO, Uso e abuso del diritto processuale costituzionale, in AA.VV., Diritto giurisprudenziale, Torino, 1996, 133 s.; V. ANGIOLINI, Processo giurisdizionale, cit., 1090; R. ROMBOLI, La Corte costituzionale e il suo processo, in Foro it., 1995, I, 1090 ss.; F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale, cit., 19 ss. In modo più aspro G. BERTI, Struttura del processo costituzionale, cit., 1060 critica l’«autoritaria giustificazione della disciplina processuale»; secondo questo Autore «la peculiarità del giudizio cela sempre un sentimento o una convinzione di prevalenza o di privilegio dell’organo sopra la funzione» ma il «giudice costituzionale, anche se altissimo come quello costituzionale» non dovrebbe «sentire le regole processuali come diminutive della sua posizione appunto costituzionale. Anzi il piegarsi alle regole del processo è il segno più nobile della fedeltà alle strutture più profonde e meno visibili dell’ordinamento costituzionale». Anche P. CARROZZA, Il processo costituzionale come processo, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale ad una svolta, Torino, 1991, 68, rileva un «malinteso principio di strumentalità delle regole processuali» alla luce del quale «la natura giurisdizionale del processo costituzionale non riesce quasi mai a manifestarsi compiutamente secondo l’insieme ormai consolidato di regole e principi elaborati dalla teoria generale del processo». V. ANGIOLINI, La Corte senza il “processo”, o il “processo” costituzionale senza processualisti?, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale ad una svolta, cit., 20 ss., parla in senso critico di «forzatura degli schemi processuali», di «uso disinvolto del processo costituzionale», mettendo in evidenza la contraddizione che si annida nell’utilizzo atipico di elementi richiamati per tipizzare. 44 L’adattabilità delle regole del processo amministrativo al processo costituzionale muti al variare della tipologia di quest’ultimo; certamente possono ravvisarsi tra il giudizio impugnatorio e i conflitti costituzionali maggiori similitudini 37 38 6 ragionevolezza della scelta di non trapiantare alcune regole, come quella contenuta nell’art. 37 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato in materia di intervento, visto che rischieremmo di invadere il campo di altra relazione. In questa sede intendiamo mutare prospettiva indagando (non l’innesto delle regole di uno nell’altro ma) un diverso tipo di incidenza; l’incidenza della struttura del giudizio amministrativo impugnatorio e in particolar modo della peculiare configurazione del principio della domanda in questo processo sul funzionamento del controllo di costituzionalità in via incidentale. Crediamo infatti di poter rilevare una “specialità” nei rapporti dinamici tra questo processo comune e il giudizio costituzionale in via incidentale. Inoltre proveremo a mettere in evidenza come l’impatto non sia esclusivamente a “a senso unico”, potendo essere rilevata all’inverso una influenza del controllo di costituzionalità sul giudizio amministrativo impugnatorio, a tratti alterato nella sua struttura originaria e nella configurazione classica di alcune sue regole processuali. 2. Una (diversa e) “problematica” incidenza sul processo costituzionale (in via incidentale): l’iniziativa giudiziale, i motivi del ricorso e l’affievolimento del principio iura novit curia nel processo amministrativo Una indagine sulle dinamiche processuali che caratterizzano i rapporti tra il giudizio costituzionale e il giudizio amministrativo deve essere ritagliata intorno al modello classico di quest’ultimo, ossia alla logica impugnatoria, sul presupposto che può essere apprezzata in relazione a tale modello una specialità rispetto al processo civile, una peculiare configurazione di una regola processuale propria dei due giudizi comuni, quella della domanda, secondo la quale il giudice non ha il potere di dare avvio al procedimento giurisdizionale né di pronunciarsi sulla sussunzione di una fattispecie concreta se non sia stato sollecitato da una parte (ne procedat iudex ex officio)45. E’ evidente come la titolarità dell’azione presupponga la titolarità (e quindi la disponibilità) di una situazione giuridica soggettiva (diritto soggettivo o interesse legittimo), che si assume lesa e la cui violazione l’attore o il ricorrente intendono rimuovere attraverso l’iniziativa giudiziale46. In questa logica presupposta il principio della domanda si atteggia (geneticamente) come potere di iniziativa della parte e (sostanzialmente) come principio dispositivo47 (rectius, di disposizione di interessi giuridici). In realtà il principio della domanda non si risolve nella iniziativa processuale ma si arricchisce di una forza performativa sul giudizio, sul thema decidendum48 della dialettica giurisdizionale, alla luce della quale il giudice (non soltanto non può dare avvio autonomamente ad un giudizio ma) è vincolato alle richieste rispetto a quelle sussistenti tra il primo e il giudizio in via incidentale. In questo senso già M. CAPPELLETTI, La pregiudizialità costituzionale nel processo civile, Milano, 1957, 20, il quale afferma che i limiti alla applicabilità delle norme sulla giustizia amministrativa al giudizio in via incidentale sono determinati dal carattere non contenzioso di quest’ultimo. Relativamente ai conflitti interorganici la Corte richiama il regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato in connessione con l’art. 36 del T.U. delle leggi sul Consiglio stesso (r.d. 1054/1924) desumendone la natura perentoria dei termini per la notifica del ricorso e della ordinanza di ammissibilità del conflitto. Cfr. Corte cost., 316/2006; 304/2006; 295/2006; 88/2005; 200/2001; 386/1985; 87/1977, per quanto in questi casi la dottrina (A. PIZZORUSSO, Conflitto di attribuzioni, in Noviss. dig., Torino, 1981, 698 ss.; D. NOCILLA, Brevi note in margine ad un conflitto fra poteri, in Giur. cost., 1978, 748 ss.; M. PERINI, Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali nei conflitti fra poteri dello Stato, Milano, 2003, 91 ss.) abbia rilevato un uso improprio delle norme di giustizia amministrativa. Sempre in sede di conflitti interorganici la Corte ha ritenuto applicabile l’art. 17 del r.d. 642/1907 al fine della sanabilità del vizio del ricorso presentato dal ministro in proprio o per delega del Presidente del Consiglio, proposto senza la previa deliberazione consiliare. Cfr. Id., 141/1980; 123/1979; la medesima norma è stata richiamata per motivare (ad abundantiam) la inammissibilità del ricorso per carenza del petitum. Cfr. Corte cost., 346/2001. Relativamente ai conflitti intersoggettivi la Corte ritiene applicabile l’art. 2 del r.d. 642/1907 in materia di pubblicazione di atti o provvedimenti amministrativi al fine di sindacare la tardività del ricorso. Cfr. Id., 611/1987; 158/1976; 132/1976; 104/1972; 74/1960. Relativamente al giudizio in via principale la Corte ritiene applicabile l’art. 6, n. 3 del r.d. 642/1907 in materia di motivazione del ricorso. Cfr. Id. 517/1987; 47/1973. 45 G. VERDE, Domanda (principio della), I) diritto processuale civile, in Enc. giur., Milano, 1989, 1 ss.; M. NIGRO, Domanda (principio della), II) diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., Milano, 1990, 1 ss. 46 Sul raccordo tra il sistema processuale e il sistema sostanziale v. S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1967, 137; A. PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I, Milano, 1962, 92. 47 E.T. LIEBMAN, Fondamento del principio dispositivo, in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, 4. 48 S. SATTA, Diritto processuale, cit., 115; T. CARNICINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore di Redenti, II, Milano, 1951, 56 ss. 7 delle parti, non potendo pronunciarsi oltre i limiti della domanda stessa, identificabile attraverso il profilo soggettivo, della causa petendi e del petitum49. La regola sull’impulso processuale porta con sé, come un corollario, il principio di corrispondenza tra ciò che è chiesto e ciò che è pronunciato, che introduce il complesso tema del “governo” del processo e delle relazioni che intercorrono tra i poteri delle parti e i poteri del giudice. Ai nostri fini però è necessario rilevare in una più specifica prospettiva come la natura del giudizio amministrativo incida su tale principio, rafforzandolo e specificandolo rispetto al processo civile fino a generare peculiari dinamiche relazionali con il processo costituzionale. Nel processo civile la necessità di corrispondenza tra la richiesta e il decisum, come ricostruibile alla luce dell’art. 112 c.p.c., impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e di non eccederne i limiti, come sarebbe se concedesse più di quanto richiesto dalla parte (ultrapetizione) o una cosa diversa (extrapetizione). Il provvedimento giurisdizionale si risolve così in una risposta ad una pluralità di domande sull’esistenza del fatto narrato, sulla esistenza di una norma sotto la quale sussumere quel fatto, sugli effetti della riconducibilità del fatto accertato ad un modello normativo e sulla individuazione dei soggetti destinatari degli effetti normativi50. Tuttavia il giudice civile per quanto sia vincolato alla allegazione dei fatti ha la libertà di ricercare le norme sotto le quali sussumerli; una libertà attraverso la quale può estrarre il fatto dalla causa petendi, arrivando, ad esempio, a riconoscere una servitù, non come legale secondo le deduzioni di parte, ma per destinazione del padre di famiglia. Il principio iura novit curia attribuisce al giudice uno spazio di disponibilità in seno alla causa petendi, pur nei limiti della ricostruzione del fatto e del petitum, con cui il decisum dovrà misurarsi51. Per quanto il principio della domanda, come già anticipato, valga anche per il giudizio amministrativo sia nel suo significato più immediato, connesso alla genesi del processo52, sia nel suo significato derivato, relativo alla definizione del thema decidendum e quindi alla corrispondenza tra petitum e decisum, non può negarsi come questo secondo profilo assuma un connotato distintivo e più stringente rispetto al processo civile53. Il giudice amministrativo può conoscere infatti soltanto i vizi dell’atto dedotti dal ricorrente principale ed eventualmente dal ricorrente incidentale, salvo lo spazio di incidenza dei motivi aggiunti, essendo così vincolato alla norma assunta come violata, che concorre con i fatti storici violatori a definire il vizio-motivo54. Da questa logica emerge una rigidità dell’oggetto e una riduzione degli spazi di manovra dell’organo giudicante, dinanzi al quale la soddisfazione del petitum, ossia dell’annullamento di un atto amministrativo, è indefettibilmente connessa alla fondatezza della causa petendi55, così come congegnata dal ricorrente56, al quale spetta indicare e specificare la digressione e l’allontanamento dell’atto dalla fattispecie normativa che lo prevede e che ne disciplina la funzione sottesa. La corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato si risolve così in un sindacato sulla E. GRASSO, La regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e la nullità da ultra e da extrapetizione, in Riv. dir. proc., 1965, 388. 50 Così suggestivamente v. E. GRASSO, sub art. 112, in E. ALLORIO (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, II, 1973. 51 Cfr. G.A. MICHELI, Iura novit curia, in Riv. dir. proc., 1961, 575 ss.; S. SATTA, Iura novit curia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 380 ss.; E. GRASSO, sub art. 112, cit., 1260 ss.; E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1968, 83 ss.; P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, Torino, 1920, passim; Id., Diritto consuetudinario in Cassazione, in Opere giuridiche, VIII, Napoli, 1979, 493 ss.; A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, in Enc. giur., 1990, 1 ss., il quale afferma che «il brocardo iura novit curia esprime la regola in base alla quale, anche nei processi ispirati al principio dispositivo (in virtù del quale la pronuncia giurisdizionale incontra limiti corrispondenti alle richieste avanzate dalle parti ed alle prove da esse prodotte o richieste) il giudice ha il potere-dovere di individuare, anche di sua iniziativa e di applicare ai fatti dedotti ed accertati le norme giuridiche che, secondo il diritto vigente ed in base alle regole sull’efficacia della legge nello spazio e nel tempo, debbano disciplinare i fatti stessi». 52 Dagli artt. 26, 33, 37 e 45 T.U. Cons. St. e dagli artt. 2, 3, 5, 6, 22 l. TAR può desumersi che il giudice amministrativo non può pronunciarsi d’ufficio, necessitando di un ricorso. 53 V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979, 261, afferma che «nel processo amministrativo il principio della iniziativa di parte è ancor più rigido». 54 A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, 326 ss.; M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288. 55 M. NIGRO, L’appello nel processo amministrativo, Milano, 1960, 302 ss. 56 R. JUSO, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, 2001, 258, definisce il ricorrente il «vero dominus della vicenda processuale da lui introdotta con l’atto di ricorso». 49 8 corrispondenza tra il vizio-motivo denunciato e il vizio-motivo utilizzato dal giudice come paradigma al fine di pronunciare o rifiutare l’invalidazione dell’atto57. Può così desumersi che il giudice amministrativo «non è affatto libero nella scelta della norma di legge da applicare»58. Nella vincolatività ai motivi di parte59 e nella rigorosità della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato può leggersi un affievolimento del principio iura novit curia60; «l’affermazione, ampia e pacifica per il processo civile, che il giudice non è vincolato alla scelta della norma e alla interpretazione giuridica dei fatti, fornite dalle parti, è valida nel processo amministrativo in misura molto attenuata. La scelta della norma spetta al ricorrente»61. Appare così limitato il potere del giudice, esercitabile nel processo civile, di estrarre il fatto dalla causa petendi per ricondurlo ad una fattispecie normativa diversa da quella prospettata dal ricorrente62; nel giudizio amministrativo di legittimità «l’oggetto del contendere rimane immutabilmente fissato dall’atto introduttivo del giudizio, con una tale rigida preclusione, quale non trova forse riscontro in alcun altro tipo di processo»63. Ai fini del presente lavoro ciò che rileva è la potenziale incidenza della natura del processo amministrativo di impugnazione sul funzionamento del sindacato incidentale di costituzionalità. La vincolatività del giudice amministrativo ai motivi del ricorso, la forza performativa della iniziativa giudiziale, l’affievolimento del principio iura novit curia sembrano essere fattori in grado di condizionare i rapporti tra il giudizio amministrativo e quello costituzionale, potendo attribuire a quei rapporti una configurazione peculiare. La delimitazione e la definizione dell’oggetto del processo attraverso la scrittura del ricorso sembrerebbero poter rappresentare un limite, una strettoia per l’attivazione del giudizio costituzionale. In tale logica sarà necessario verificare se la vincolatività del giudice amministrativo si risolva in una limitazione del potere di sollevare d’ufficio una questione di costituzionalità, la cui rilevanza sarebbe intimamente connessa alla fissazione dei motivi di parte. In questa prospettiva il dialogo tra il giudice amministrativo e la Corte costituzionale sarebbe fortemente condizionato dall’atto introduttivo del processo comune. In altre parole da questa indagine potrà desumersi se la natura del processo amministrativo abbia la forza di resistere alle dinamiche del controllo di costituzionalità, generando una strettoia all’entrata, o se tale natura ne esca stravolta e mutata, mostrando una cedevolezza rispetto al funzionamento del sindacato in via incidentale. Come detto tale prova di resistenza sarà effettuata intorno al perno del sollevamento della questione di costituzionalità, utilizzando come ulteriore riscontro quello della sorte M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000, 288. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 giugno, 2003, n. 3865, in Cons. Stato, 2003, 1918; Id., sez. IV, 8 giugno 2000, n. 3246, ivi, 2000, I, 1399; Id., sez. VI, 9 giugno 1994, n. 957, in Giur. it., III, 780.; Id., sez. V, 1 febbraio 1957, n. 9, in Foro amm., 1957, I, 491; Id., sez. V, 10 marzo 1962, n. 206, in Cons. St., 1962, I, 506. Quanto alla giurisprudenza più risalente cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 1916, in Giust. amm., 1916, I, 67. 58 A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo, cit., 215. 59 F. LA VALLE, Il vincolo del giudice amministrativo ai motivi di parte, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 20 ss.; F. BENVENUTI, La istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 19 ss.; V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, cit., 216 ss.; F. D’ALESSIO, Le parti nel giudizio amministrativo, Roma, 1915, 219 ss.; L. MIGLIORINI, L’istruzione nel processo amministrativo di legittimità, Padova, 1977, 23 ss.; F. SATTA, Giustizia amministrativa, Padova, 1993, 308 ss. 60 A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, cit., 3, afferma che «il limite derivante per il giudice dall’enunciazione dei motivi contenuti nel ricorso comporta indubbiamente un certo vincolo anche al suo potere di qualificazione giuridica dei fatti dedotti». In modo ancor più netto A. ROMANO, Pregiudizialità nel processo amministrativo, cit., 343, scrive che «il giudice amministrativo è vincolato alle indicazioni delle norme di legge che il ricorrente deve compiere, nel senso che egli può valutare solo alla luce di queste, la fattispecie concreta esposta nel ricorso; e, in questo si vede comunemente una limitazione dell’applicazione del principo iura novit curia, che domina incontrastato il processo civile (…). Non si può negare che un certo vincolo del potere di cognizione del giudice amministrativo, alle norme di legge dedotte dal ricorrente, sussita effettivamente». In modo assai suggestivo C. ANELLI, La rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale nel giudizio amministrativo, in Studi in memoria di Franco Piga, Milano, 1992, 86 ss., mette in evidenza come il principio della domanda si atteggi diversamente nel giudizio sugli interessi legittimi rispetto a quello sui diritti soggettivi, sul presupposto che tra diritto e norma sussiste una corrispondenza che non intercorre tra norma e interesse legittimo. L’interesse legittimo è infatti una situazione correlata al potere dell’Amministrazione disciplinato da una molteplicità di norme, la cui cattiva applicazione può impedire il soddisfacimento del bene della vita sotteso all’interesse legittimo. L’individuazione di tali norme non può che spettare allo stesso titolare dell’interesse legittimo, dato il carattere disponibile di quest’ultimo. 61 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288. 62 M. NIGRO, L’appello nel processo, cit., 328, mette in evidenza come «non è applicabile al processo amministrativo, nemmeno nella sua attenuata accezione, il principio che l’azione si individua per il fatto e non per la norma di legge». 63 F. LA VALLE, Il vincolo del giudice amministrativo, cit., 47. 57 9 di un provvedimento amministrativo impugnato in conseguenza di una sentenza di illegittimità che lo investa in via mediata (nella fase discendente del giudizio costituzionale). E’ proprio la specialità, connessa alla natura demolitoria del processo amministrativo (sugli atti), a generare una serie di tensioni peculiari con il giudizio costituzionale in via incidentale. La rigidità dell’oggetto e la stringente configurazione del principio della domanda (che derivano dalla natura impugnatoria) sembrano invece “diluirsi” (in giudizi amministrativi di diversa natura) non solo nella sfera di giurisdizione estesa al merito ma anche nella sfera della giurisdizione esclusiva, a seguito delle evoluzioni normative che hanno prodotto un ampliamento delle azioni processuali esperibili al di là di quella costitutiva ed un’implementazione dei poteri di istruzione, cognizione e decisioni, determinando un avvicinamento del giudice amministrativo (meno speciale) al giudice ordinario. In definitiva nei giudizi diversi da quelli “sull’atto” (rectius, esclusivamente tali) la vincolatività ai motivi del ricorso tende ad allentarsi (in modo inversamente proporzionale all’aumentare dei poteri del giudice) e con essa sembrerebbero affievolirsi i momenti di criticità che caratterizzano i rapporti tra processo costituzionale e processo amministrativo. 3. Il sollevamento ex officio della questione di costituzionalità: l’eco di un trauma processuale La natura del giudizio amministrativo sugli atti, come anticipato, genera un momento di criticità quanto alle dinamiche con il processo costituzionale nella fase di instaurazione di quest’ultimo. Il principio della domanda e la rigorosa configurazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sembrano doversi risolvere, per corollario, in una limitazione degli spazi entro i quali il giudice può sollevare ex officio una questione di costituzionalità, dovendo ritenersi vincolato, anche a tali fini, al contenuto e ai motivi del ricorso. In questa sede proveremo ad indagare le relazioni che intercorrono tra il ricorso, i motivi che lo sostengono, i poteri del giudice amministrativo e la pregiudizialità costituzionale, soffermandoci sulla “intensità” di tale relazione, sul presupposto che «la sollevabilità d’ufficio della questione (…) presenta più di una complicazione in riferimento ai giudizi di tipo radicalmente impugnatorio (quando il giudice è vincolato ai “motivi” di impugnazione)»64; già Andrioli, ancor prima che la Corte costituzionale iniziasse a funzionare, aveva lucidamente intuito che l’art. 1 della cost. n. 1/1948, in cui si legge che una questione di costituzionalità è sollevata «nel corso di un giudizio», non avrebbe fatto «male a nessuno» nel giudizio civile diversamente da quello che sarebbe potuto accadere nel giudizio amministrativo65. In una delle prime pronunce in cui sono state affrontate talune questioni relative alle tensioni tra il processo costituzionale e il processo amministrativo il Consiglio di Stato si è misurato con tale problematica affermando che attribuire al giudice il potere di sollevare d’ufficio una certa questione (nel caso di specie la questione di legittimità costituzionale) non avrebbe senso se non servisse alla definizione del giudizio; tale potere è così esercitabile non solo per risolvere dei dubbi sulla giurisdizione o sui presupposti processuali ma anche per risolvere quelli concernenti il merito della controversia, cioè la legittimità dell’atto impugnato. Il Consiglio di Stato proseguiva il proprio ragionamento affermando che poiché il potere è attribuito da una norma costituzionale (art. 1 l. cost. n. 1/1948, della quale l’art. 23, 3° comma, l. 87/1953 è «semplice reiterazione») «non si può ritenere che esso trovi ostacolo nei principi di legge ordinaria», secondo il quale il giudice amministrativo «può decidere solo su motivi dedotti dal ricorrente»66. Non può negarsi come il Consiglio di Stato si trovasse a fare tale precisazione all’alba del funzionamento della Corte costituzionale (quando per altro non erano stati ancora istituiti i Tribunali amministrativi regionali), sentendosi in dovere di legittimare una alterazione della natura del giudizio 64 Così A. CERRI, La “dialettica” del giudizio incidentale: rimeditazioni sul tema, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, 124 ss. Deve precisarsi come la criticità del sollevamento officioso della questione di costituzionalità emerge anche nel giudizio di cassazione, per la sua natura impugnatoria. In tal senso v. A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale, cit., 140; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 166. 65 V. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo giurisdizionale delle leggi, in Atti del I Convegno Internazionale di diritto processuale civile (1950), Padova, 1953, 53 dell’estratto. 66 Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, in Giur. Cost., 1963, 1219. 10 amministrativo consolidatasi negli anni e dovendo misurare questa tradizione processuale con il novello meccanismo di funzionamento del controllo di costituzionalità67. La deroga al principio della domanda, nella sua configurazione derivata di principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, veniva fatta risiedere in una interpretazione adeguatrice68 delle norme di rango ordinario disciplinanti il processo dinanzi al Consiglio di Stato all’art. 1 l. cost. 1/1948, che attribuisce al giudice il potere di sollevare d’ufficio una questione di legittimità; il mancato utilizzo della interpretazione “conforme” avrebbe potuto portare a sostenere, per paradosso, la illegittimità del sistema processuale amministrativo a tale norma di rango costituzionale. Tuttavia si annidava una forte problematicità nella affermazione secondo la quale il potere di sollevare d’ufficio una questione di costituzionalità fosse «senza limitazione alcuna»69. Tale assunto ha generato in dottrina due tipi di reazione critica, una radicale (a) ed una ragionevole (b), per quanto entrambe alimentate dalla medesima preoccupazione, quella di preservare la natura originaria del giudizio impugnatorio. Nella prospettiva più radicale (a) si sosteneva che la vincolatività del giudice ai motivi di parte dovesse risolversi in una negazione del sollevamento ex officio della questione di costituzionalità; secondo questa logica nel giudizio amministrativo l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale dovrebbe necessariamente essere subordinata ad una doglianza del ricorso (o magari, aggiungiamo, ad un dubbio di costituzionalità sollecitato da un controinteressato attraverso un ricorso incidentale). L’immissione dei poteri officiosi del giudice di attivazione del controllo di costituzionalità rischierebbe -secondo tale impostazione- di minare l’integrità del principio dispositivo nel processo amministrativo e l’indebito ampliamento del thema decidendum darebbe così vita (ad un vizio di extrapetizione e quindi) ad un «nuovo tipo di processo», più simile ad un controllo oggettivo esercitato nell’interesse dell’ordinamento giuridico e quindi in dissonanza con la natura del giudizio amministrativo attraverso il quale il ricorrente tutela le proprie situazioni giuridiche lese dall’esercizio di un potere70. In definitiva «nel processo rilevante non sarà, e dunque non potrà sollevarsi d’ufficio, quella questione di costituzionalità che condizioni elementi del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, quegli elementi nella cognizione dei quali il giudice è vincolato dai limiti della domanda della parte»71; un dubbio di costituzionalità, in questa prospettiva, sarebbe così rilevabile indipendentemente da una sollecitazione di parte soltanto quando la eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma di cui si dubita non dia vita ad un vizio diverso72 da quello lamentato dal ricorrente. Nella stessa giurisprudenza del Consiglio 67 Anche nelle parole del Presidente C. BOZZI, Relazione del Presidente del Consiglio di Stato al Presidente del Consiglio dei Ministri sull’attività svolta nel 1966, in Foro mm., 1967, III, 331, può scorgersi una lettura di quella pronuncia nel senso del bilanciamento tra tradizione e «lenta rivoluzione», tra principio dispositivo ed interesse pubblico. 68 Cfr. Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1228, secondo cui «non si può partire dal presupposto che il sistema del procedimento giurisdizionale costituisca un blocco, per dir così, chiuso ed impermeabile alle sopravvenute norme costituzionali. Si deve anzi ritenere che le norme in oggetto debbono essere interpretate ed integrate con quelle della Costituzione». 69 Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1229. 70 Così F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, in Giur. it., 1965, III, 203; lo stesso F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, in Giur. it., 1964, III, 75, parla del rischio di un processo amministrativo svincolato dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, corrispondenza riferita ai profili di legittimità del provvedimento (c.d. vizi-motivo). L’Autore mette anche in evidenza come la presentazione di un ricorso anche palesemente infondato consentirebbe ad un giudice di sollevare un dubbio di costituzionalità su una norma la cui caducazione determinerebbe l’illegittimità dell’atto impugnato per altri motivi; il ricorrente così si gioverebbe dei poteri officiosi del giudice indipendentemente dai motivi dedotti. Si darebbe così vita ad una tutela degli interessi legittimi per «impulso spontaneo» del giudice. In senso analogo v. E. GUICCIARDI, Nota a Cons. St., sez. VI, 18 marzo 1964, n. 247, in Giur. it., 1964, III, 70, secondo cui «un giudizio amministrativo, in cui il ricorrente fosse affrancato dall’onere della impugnazione, intesa non soltanto come generica affermazione di illegittimità, ma come precisa indicazione dei motivi della illegittimità e per l’annullamento, non appare in alcun modo configurabile nel nostro ordinamento». 71 F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, cit., 77. 72 N. LIPARI, Orientamenti in tema di effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Gius. civ., 1963, I, 2256, afferma che non si può sollevare «d’ufficio la questione di legittimità di una norma invalidante di riflesso un atto amministrativo il cui vizio non può essere rilevato d’ufficio dal giudice». 11 di Stato successiva alla Adunanza Plenaria n. 8 del 1963 è riemersa in modo contraddittorio questa resistenza delle regole processuali proprie della struttura impugnatoria73. In realtà una impermeabilità del processo amministrativo al controllo di costituzionalità (rectius, una subordinazione delle regole processuali del processo costituzionale a quelle del processo amministrativo) produrrebbe come conseguenza che il giudice, quando il ricorrente denunci una violazione di legge senza rilevare la illegittimità costituzionale del parametro legale dell’atto impugnato, non potrebbe, «anche se convinto» (o per lo meno ragionevolmente dubbioso) della incostituzionalità della stessa legge, sollevare d’ufficio la questione, dovendo invece applicare la norma alla fattispecie74. In questo modo una certa configurazione delle regole processuali si risolverebbe nella primazia del principio di legalità ordinaria su quello di legalità costituzionale. Il processo di impugnazione degli atti rappresenterebbe così non una semplice strettoia ma una immensa zona franca del controllo di legittimità costituzionale, la cui attivazione sarebbe rimessa in balia della sensibilità costituzionale e degli interessi sostanziali delle parti75. Per di più nella ricostruzione sopra esposta appare problematica la trattazione della questione di costituzionalità alle stregua di un qualsiasi motivo di parte76. La reazione invece più ragionevole (b) alla giurisprudenza del Consiglio di Stato (caratterizzata da una «formulazione troppo ampia e indiscriminata»77), pur non arrivando a sostenere la subordinazione dell’attivazione del controllo di costituzionalità ad una esplicita doglianza (come visto sopra), ha posto il reale problema del coordinamento e della armonizzazione78 tra giudizio impugnatorio e sollevamento d’ufficio della questione di legittimità, in altre parole il problema dei “limiti”, che l’Adunanza plenaria sembrava aver fatto saltare; «fuori da tali limiti, in un processo nel quale viga la Dispositionsmaxime, non c’è judicium». Tale precisazione «diminuisce il campo entro il quale il giudice amministrativo può sollevare d’ufficio la questione di costituzionalità ma non la elimina affatto»79. Evidentemente la ragione che muoveva queste considerazioni era sempre la medesima, ossia la preoccupazione di conservare la 73 Cfr. ad esempio Cons. st., sez. IV, 4 giugno 1969, n. 251, in Foro it., 1969, III, 98 ss.; Id., sez. VI, 18 novembre 1977 n. 871, in Foro amm., 1977, I, 2688 ss. In tale logica il giudice amministrativo potrebbe sollevare d’ufficio questione di costituzionalità esclusivamente (a) quando la sua definizione per accoglimento della Corte esplichi una influenza su profili rilevabili d’ufficio come le questioni che attengono al rito o a taluno dei presupposti processuali (cfr. F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, cit., 78 e più di recente v. A. CERRI, Gli effetti delle decisioni di accoglimento della corte costituzionale e le preclusioni processuali, in Foro it., 1993, I, 1206 ss., quando (b) tale questione abbia come oggetto una norma sulla attribuzione del potere stesso, sul presupposto che la dichiarazione di incostituzionalità produrrebbe (non una semplice illegittimità sopravvenuta ma) una nullità sopravvenuta dell’atto impugnato e quindi la potenziale reviviscenza di talune situazioni di diritto soggettivo temporaneamente affievolite, la cui giurisdizione non sarebbe più quella del giudice amministrativo ma quella del giudice ordinario (cfr. F. LA VALLE, La rilevanza nel giudizio amministrativo della incostituzionalità delle leggi, cit., 73; A. BERLIRI, Sulla proponibilità dinanzi al consiglio di Stato della eccezione di incostituzionalità di una legge, in Foro amm., 1964, II, 50 ss), quando (c) non si immetta nel giudizio un vizio diverso da quelli fatti valere, come nell’ipotesi in cui il dubbio di costituzionalità insista su una norma utilizzata come parametro di legittimità dell’atto impugnato e il suo accoglimento si limiti a determinare l’infondatezza del ricorso, giovando fattualmente al resistente (così ancora F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, cit., 211); questo è in definitiva il caso di un provvedimento impugnato per violazione di una norma, la cui caducazione si risolve in una eliminazione retroattiva di tale violazione e quindi del vizio fatto valere nei motivi del ricorso. 74 Sul punto v. A CERVATI, Gli effetti della pronuncia di incostituzionalità delle leggi sull’atto amministrativo, in Giur. cost., 1963, 1228; S. LESSONA, Riflessi sul giudizio amministrativo della «cessazione di efficacia» pronunciata dalla Corte costituzionale, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, Firenze, 1969, 353. 75 In questa logica, portata “per paradosso” alle estreme conseguenze, assumerebbe un plusvalore il Preambolo al Codice deontologico forense nella parte in cui dispone che l’avvocato «vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione», potendo ipotizzarsi la responsabilità disciplinare del difensore nel caso in cui non solleciti il sollevamento della questione su una norma (parametro dell’atto impugnato) palesemente incostituzionale. 76 C. D’ANTONE, «Motivi dedotti» e «rilevabilità d’ufficio» della questione di legittimità costituzionale nel processo ammnistrativo, in Foro amm., 1978, 2168 ss; C. ANELLI, La rilevanza, cit., 97; C. MIGNONE, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984, 115 ss. 77 A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale di una legge e motivo di ricorso giurisdizionale amministrativo, in Foro amm., 1964, 140. 78 S. LESSONA, Riflessi sul giudizio amministrativo, 353. 79 A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità, cit., 140; ID., Incidente di costituzionalità in giudizio amministrativo, in Foro it., 1970, III, 101. In senso analogo v. C. ANELLI, La rilevanza, cit., 93 ss.; N. LIPARI, Orientamenti in tema di effetti, cit., 2256. Anche A. CERRI, Gli effetti delle decisioni, cit., 1207, afferma che ogni giudizio impugnatorio comporta una «limitazione di competenza del giudice». 12 validità del principio dispositivo, visto che una volta dissolto il legame tra domanda di parte e cognizione del giudice potrebbe arrivare a sostenersi che il giudice amministrativo, quando la Corte costituzionale dichiara incostituzionale una norma, debba andare a caccia degli atti amministrativi emanati nel territorio della Repubblica per accertare se abbiano fatto applicazione proprio della norma caducata80. La problematica non è stata generalmente oggetto di attenzioni da parte degli studiosi del diritto processuale costituzionale81. Appare invece singolare come la giurisprudenza amministrativa, a cinquant’anni di distanza dalla nascita della Corte costituzionale, abbia ancora il bisogno di ribadire che il sistema processuale non può risolversi in una preclusione assoluta per l’attivazione d’ufficio del giudizio costituzionale. Nel 2002 il TAR della Lombardia, sezione di Brescia, ha continuato «preliminarmente» ad interrogarsi «circa la possibilità per il giudice amministrativo di sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale». A «tale interrogativo», così è definito presupponendo una (anacronistica) problematicità, «deve rispondersi affermativamente, posto che la previsione dell’art. 1 della L. cost. 9 febbraio 1948 n. 1 è molto ampia e non prevede distinzioni di sorta tra giudice ordinario e giudice amministrativo, stabilendo genericamente che la questione di legittimità costituzionale possa essere “rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio”»82. Lo stesso Consiglio di Stato ha riproposto il problema della legittimazione del giudice amministrativo a sollevare una questione di costituzionalità nell’ipotesi in cui tale vizio non sia stato prospettato nell’atto introduttivo del giudizio, non potendo che risolverlo in modo conforme83 alla propria e più risalente pronuncia, di cui si è detto. Da queste affermazioni e dalla “sopravvivenza” della problematica non può frettolosamente dedursi un sintomo di una latente diffidenza verso il funzionamento del sindacato di costituzionalità in via incidentale ma, più realisticamente, la prova che l’introduzione del sistema di giustizia costituzionale abbia generato un trauma nella cultura giuridica dei giudici amministrativi, dinanzi ai quali stava e sta il processo sugli atti, con le sue regole e i propri vincoli; la logica del sindacato in via incidentale ha richiesto al giudice di emanciparsi da quei vincoli (per quanto, come vedremo meglio, non in modo assoluto) e dai vizi specificamente dedotti dal dominus del thema decidendum (il ricorrente). Questa recente giurisprudenza rappresenta probabilmente un’eco di quel disorientamento iniziale, che non si è mai dissolto del tutto, pur essendo ormai pacifico che il giudice amministrativo, come qualsiasi altra autorità giurisdizionale, possa sollevare una questione di costituzionalità a prescindere e indipendentemente dalla sussistenza di uno specifico motivo del ricorrente (o da una eccezione di legittimità costituzionale fatta valere da un controinteressato). Nella sensibilità giuridica (verrebbe da dire processuale) dei giudici amministrativi è rimasto un residuo di quella innovazione che la rigidità della Costituzione (con le proprie garanzie) ha portato con sé; un residuo storico che come un fiume carsico talune volte affiora, come quando si afferma che è certamente possibile sollevare questione di legittimità ex officio per quanto tale potere rappresenti una «alterazione del principio della domanda»84 e per quanto «venga meno il principio della corrispondenza dell’oggetto del giudizio amministrativo con il contenuto del ricorso»85. Questa è la provocazione suggestiva di A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale di una legge, cit., 139. Fanno eccezione le considerazioni di A CERVATI, Gli effetti della pronuncia di incostituzionalità, cit., 1963, 1228 ss.; V. ONIDA, Pubblica amministrazione e costituzionalità delle leggi, Milano, 1967, 201 ss.; M. MAGRI, La legalità costituzionale dell’Amministrazione, Milano, 2002, 344 ss.; A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 166 ss.; ID., La “dialettica” del giudizio incidentale, cit., 124 ss.; ID., Gli effetti delle decisioni di accoglimento, cit., 1206 ss.; M. MASSA, Problemi e modelli del sindacato sui regolamenti ammnistrativi, Tesi di Dottorato di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Pisa, 2005, 202 ss. 82 Tar Lombardia, sez. Brescia, 21 ottobre 2002, n. 1510, in Trib. amm. reg., 2002, I, 4318 ss. 83 Cfr. Cons. St., sez. V, 6 febbraio 1999, n. 138, in Cons. St., 1999, I, 220 ss., secondo cui «deve escludersi che l’esercizio in concreto di tale potere, che ha fonte in una norma costituzionale trovi ostacolo nei principi di legge ordinaria, secondo i quali il giudice amministrativo decide solo sui moti dedotti dal ricorrente. Vero è, invece, che l’ambito dei poteri di cognizione del giudice amministrativo trova definizione nel quadro normativo complessivo, quale definito, in primo luogo, dalle norme di rango costituzionale». 84 Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, in Trib. amm. reg., 1980, I, 2308 ss.. Per altro appare sintomatico anche un inciso contenuto in un un’ordinanza di rinvio (Tar Lazio, 28 ottobre 1981, in Giur. cost., 1981, 194 ss.) in cui si legge che «all’occorrenza» il giudice può sollevare una questione di costituzionalità «anche d’ufficio». 85 Tar Toscana, 25 luglio 1985, n. 705, in Trib. amm. reg., 1985, I, 3383 ss. 80 81 13 In questa prospettiva può leggersi una forma di incidenza del processo costituzionale su quello amministrativo. Si potrebbe al contrario affermare che la sussistenza della rilevanza, necessaria al fine del sollevamento, esclude di per sé un ampliamento del thema decidendum essendo la questione di costituzionalità pregiudiziale e quindi contenuta in esso; in tale logica non sarebbe ravvisabile una alterazione del principio della domanda. Tuttavia questa affermazione sembra non valere nel giudizio amministrativo, in cui il giudice deve conoscere un vizio o quei vizi specificamente contenuti nei motivi del ricorso, sul presupposto che la questione di costituzionalità (sollevata d’ufficio) può generare un vizio dell’atto “nuovo”, alla luce del quale il principio della domanda appare affievolito. Infatti nell’ipotesi in cui un provvedimento sia impugnato per violazione di legge e in particolar modo per violazione della norma x, una dichiarazione di illegittimità costituzionale potrebbe incidere su tale norma conferendole un significato normativo diverso, magari un significato y, o eliminando assolutamente la norma dall’ordinamento. Rispetto a questa sopravvenienza l’atto impugnato potrebbe divenire legittimo (diversamente dalla sua illegittimità rispetto alla norma x ormai caducata)86 o potrebbe divenire illegittimo (diversamente dalla sua legittimità rispetto alla norma x ormai caducata). In questa seconda ipotesi il vizio immesso nel giudizio amministrativo sarebbe evidentemente un vizio “altro” rispetto a quello fatto valere nel ricorso. A questa ultima ipotesi è analogo il caso in cui un atto sia impugnato per violazione di una norma z e la dichiarazione di incostituzionalità di tale norma, sollecitata d’ufficio dal giudice amministrativo, renda applicabile una diversa norma k rispetto alla quale l’atto potrebbe risultare viziato per violazione di legge; è evidente che la violazione della norma z, originariamente invocata dal ricorrente, rappresenta un vizio diverso dalla violazione della norma k. In definitiva è certamente pacifico che il giudice amministrativo può sollevare d’ufficio una questione di costituzionalità ma sembra altrettanto pacifico che tale potere possa produrre una scossa, una alterazione della struttura impugnatoria. Non può negarsi però, come anticipato, che il potere officioso del giudice amministrativo nel sollevamento di un dubbio di costituzionalità assuma una configurazione peculiare. La giurisprudenza amministrativa ha infatti progressivamente definito gli spazi nell’ambito dei quali esercitare tale potere tentando un bilanciamento tra il funzionamento del sindacato in via incidentale e la natura del giudizio impugnatorio. 4. I limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità: l’incidenza del ricorso sulla rilevanza Nei motivi del ricorso il ricorrente indica le norme alla luce delle quali accertare la illegittimità dell’atto impugnato e necessarie per individuarne il vizio; tali norme rappresentano il modello legale sotto il quale sussumere i fatti, che con esse permettono di specificare la causa petendi. Evidentemente il potere del giudice amministrativo di sollevare una questione di costituzionalità è fortemente condizionato dalle scelte del ricorrente, sul presupposto che una questione di costituzionalità potrà essere sollevata soltanto sulla base delle norme fatte valere nell’atto introduttivo del processo e non su altre norme delle quali in tale atto non si fa menzione, non risultando necessarie al sindacato sul vizio dedotto. Non può negarsi infatti che la pienezza del principio iura novit curia, propria del processo civile, implica che il giudice possa scegliere le norme sulla base delle quali interpretare i fatti allegati dalle parti, avendo così un potere di sollevamento della questione di costituzionalità che è limitato, nella logica della rilevanza del sindacato in via incidentale, alle norme che esso stesso ha scelto al fine di decidere la causa. Al contrario nel processo amministrativo il potere di rilevare d’ufficio un dubbio di costituzionalità non sembra “auto-limitato” dalle norme individuate dallo stesso giudice ma “eterolimitato” e vincolato alle norme indicate dal ricorrente. In questa logica la nozione di rilevanza nel processo amministrativo può essere qualificata in modo peculiare come una rilevanza condizionata87. Come detto i più risalenti indirizzi del Consiglio di Stato ammettevano che il potere del giudice di sollevare una questione di legittimità costituzionale potesse essere esercitato «senza limitazione Cfr. ad esempio Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Cons. St., 1986, I, 1807. Secondo C. ANELLI, La rilevanza, cit., 82, la rilevanza nel giudizio amministrativo «non è indifferente alle caratteristiche strutturali e funzionali di questo». 86 87 14 alcuna»88, facendo così pensare ad un completo stravolgimento della natura del giudizio amministrativo e al superamento di quelle limitazioni che invece avrebbero potuto dedursi dal principio della domanda e dalla delimitazione del thema decidendum attraverso i motivi del ricorso. In realtà, la stessa giurisprudenza amministrativa89, ormai sottratta alle influenze del momento storico legato alla nascita del sistema di giustizia costituzionale, ha progressivamente tentato di definire e specificare i limiti al sollevamento della questione di costituzionalità, affermando che è pur vero che il dubbio di legittimità costituzionale può essere rilevato d’ufficio ma occorre che tale dubbio sia riferibile e ben ancorato ad un motivo del ricorso, tempestivamente presentato90. In questa prospettiva è certamente irrilevante la questione che non risulta avere un qualche collegamento con uno specifico motivo di gravame, rispetto al quale possa essere apprezzata la pregiudizialità, sul presupposto che una tale questione così esorbitante dalla domanda giudiziale determinerebbe un indebito ampliamento dell’oggetto del processo, che è invece indisponibile non solo al giudice ma anche al ricorrente (fatta salva la disciplina dei motivi aggiunti) nella fase successiva a quella di instaurazione del giudizio amministrativo. In definitiva il giudice amministrativo può sollevare questione di costituzionalità quando debba fare applicazione della stessa norma illegittima e nel processo amministrativo il giudice può fare applicazione di una norma esclusivamente quando abbia costituito oggetto di un dedotto vizio di legittimità. In questa logica una norma è indispensabile ai fini della definizione della controversia soltanto se costituisce un parametro (ordinario, nella gerarchia delle fonti) per l’esame della legittimità dell’atto, così come si evince dai motivi del ricorso; al contrario se la norma non è invocata in tali motivi (a prescindere evidentemente dalla deduzione espressa della sua illegittimità) il giudizio amministrativo potrà essere definito indipendentemente da quella91. Più in generale può dirsi che i limiti della rilevanza della questione di costituzionalità discendono dai limiti, propri del processo amministrativo, sulla conoscibilità da parte del giudice della res in iudicium deducta92. Il potere del giudice amministrativo di sollevare una questione di costituzionalità è così esercitabile nel rispetto non soltanto delle regole sulla giurisdizione e sulla competenza ma anche degli spazi di cognizione derivanti dalla natura impugnatoria del processo amministrativo. Deve però precisarsi come l’incidenza della natura del giudizio amministrativo sui poteri del giudice e l’indebolimento del principio iura novit curia in seno a quello di corrispondenza tra petitum e decisum non ne neutralizzano la funzione interpretativa. Se al ricorrente spetta la scelta delle norme, al giudice spetta «di riconoscere quale norma il ricorrente abbia scelto»93. La funzione di ricognizione si concretizza in una interpretazione del ricorso al fine di individuare il modello legale e la fattispecie normativa a cui fa riferimento il ricorrente, attraverso un’attività di “estrazione” sostanziale (quindi di identificazione) delle norme che si intendono violate94, non assumendo, di conseguenza, nessuna rilevanza l’errore di qualificazione formale del vizio posto in essere dalla parte. Inoltre non è escluso che l’attività anziché atteggiarsi come ricognitiva sia integrativa della fattispecie normativa soltanto parzialmente individuata dal ricorrente. In tale logica «il giudice non si sostituisce al ricorrente nella scelta della norma, ma 88 Così v. Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, cit., 1229. Nello stesso senso v. Id., sez. VI, 18 marzo 1964, n. 247, in Foro amm., 1964, 135 ss. 89 Cfr. Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2970, in Trib. amm. reg., 2003, I, 2134 ss.; Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1989, n. 268, in Foro amm., 1989, 960 ss.; Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, in Cons. St., 1987, I, 1779 ss.; Id., sez. VI, 13 febbraio 1984, n. 72, ivi, 1984, I, 187 ss.; Id., sez. VI, 19 luglio 1999, n. 973, ivi, 1999, I, 190; Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, in Trib. amm. reg., 1980, I, 2308 ss.; Cons. St., sez. IV, 10 luglio 1979, n. 599, in Foro amm., 1979, I, 1459 ss.; Id., sez. VI, 12 dicembre 1962, in Cons. St., 1962, 2080 ss. 90 Cfr. Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, cit., 2308 ss., in cui si legge espressamente che «il prevalente orientamento della giurisprudenza è invero, nel senso di ritenere che l’iniziativa d’ufficio non sia illimitata e che debba, anzi, in qualche modo, coordinarsi con i caratteri di impugnazione». 91 Assai significativa l’analisi di M. MASSA, Problemi e modelli, cit., 198 ss., che ricostruisce la problematica delle tensioni tra officiostà della disapllicazione dei regolamenti e principio dispositivo alla luce delle analoghe tensioni che intercorrono tra sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità e principio dispositivo, sul presupposto che la cognizione officiosa sulla incostituzionalità delle leggi e sulla illegittimità dei regolamenti «hanno in comune un’identica radice, cioè il principio iura novit curia». 92 F. LA VALLE, Annullamento d’ufficio da parte del Consiglio di Stato?, cit., 206. 93 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288. Cfr. anche Cons. St., sez. VI, 2 gennaio 1998, n. 97, in Cons. St., 1998, n. 798, ivi, 1998, I, 986; Id., 22 maggio 1998, n. 798, ivi, 1998, I, 986. 94 Cfr. Cons. St., VI, 2 gennaio 1998, n. 97, ivi, 1998, I, 95; Id., 22 maggio 1998, n. 798, ivi, 1998, I, 986. 15 sviluppa tutte le implicazioni della denuncia dello stesso ricorrente e mette allo scoperto l’intera trama del diritto di cui si richiede l’applicazione all’unitario episodio di vita esposto dal ricorrente»95. Ciò posto, ai fini del sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità, i limiti derivanti dalla natura impugnatoria devono essere definiti anche alla luce di queste considerazioni, non potendo essere ritenute applicabili soltanto le norme materialmente indicate nella redazione del ricorso. Inoltre come il principio della domanda conserva la propria vincolatività al di là del giudizio di primo grado96, allo stesso modo il sollevamento in appello della questione di costituzionalità (sia d’ufficio che su istanza di parte) incontra i limiti dei motivi del ricorso, non potendo né il giudice né le parti ampliare l’oggetto del giudizio amministrativo. Su questo presupposto è inammissibile la questione di legittimità costituzionale che venga dedotta o sollevata dal giudice in appello nei confronti di una norma rispetto alla quale il ricorso di primo grado non conteneva nessuna censura. Evidentemente anche nel processo amministrativo il giudice potrà sollevare un dubbio di legittimità “in ogni fase e grado” ma sempre riferibile ad un motivo tempestivamente proposto, non potendo infatti (a) esaminare la legittimità di norme non richiamate nei motivi del ricorso o (b) la legittimità di norme riguardanti un atto del procedimento che non sia stato in alcun modo oggetto di impugnazione. Quanto alla ipotesi sub a), appare significativo un caso in cui gli appellanti, dirigenti statali, chiedevano il riconoscimento del loro diritto ad ottenere che le dieci ore di lavoro settimanale -prestato sulla base di una previsione di legge (art. 20 D.P.R. n. 748/1972), in eccedenza rispetto all’orario previsto per gli altri dipendenti statali- fossero riconosciute come orario straordinario. Su tale norma si era nel frattempo pronunciata la Corte costituzionale97 secondo la quale doveva escludersi che la maggiorazione di orario potesse considerarsi lavoro straordinario, risultando al contrario parte integrante dell’orario di lavoro. La stessa Corte aveva affermato che la questione non investiva in realtà l’oggetto dell’incidente di costituzionalità (l’art. 20 del DPR citato) ma le norme che disciplinavano il trattamento economico dei dirigenti in relazione agli altri dipendenti. Alla luce delle indicazioni che potevano trarsi da quella pronuncia la difesa degli appellanti aveva tentato attraverso una memoria di congegnare in modo diverso la questione di costituzionalità spostando i dubbi di legittimità sulle altre norme indicate nella pronuncia della Corte costituzionale. Il Consiglio di Stato però in modo chiaro ha rilevato come tale memoria avrebbe introdotto surrettiziamente una questione di costituzionalità esorbitane dal petitum originario, non essendo infatti riferibile alle censure che formavano oggetto dei motivi 98. Quanto alla ipotesi sub b), lo stesso Consiglio di Stato, dinanzi ad una questione di costituzionalità eccepita su una norma riguardante un atto del procedimento disciplinare diverso da quello impugnato dal ricorrente, ha affermato, motivando la irrilevanza di tale questione, che se fosse affrontata si produrrebbe una elusione del termine decadenziale per la notifica del ricorso, con una palese violazione del diritto di difesa dell’Amministrazione resistente99. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 288. In dottrina v. R. VILLATA, Considerazioni sull’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2000, 398 ss.; M. NIGRO, Il Consiglio di Stato come giudice d’appello, in Atti del Convegno del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 279 ss. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 336 ss., mette in evidenza come il potere di cognizione, così come i limiti di esso, del Consiglio di Stato sia il medesimo dei Tar, sul presupposto che il nuovo giudizio cade sullo stesso oggetto del primo grado, ossia sulla impugnazione dell’atto. Lo stesso Autore afferma chiaramente come la vincolatività del principio della domanda e il divieto di mutamento dell’oggetto discendono «sia dalla caratteristica comune ad ogni gravame appellatorio di essere continuazione della precedente fase e riesame critico di quanto si è fatto, sia dalla rigidità dell’oggetto del giudizio amministrativo, caratteristica che preclude il mutamento dell’oggetto in primo grado, a maggior ragione in appello». Cfr. anche Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2001, n. 5471, in Foro amm., 2001, 2799 ss. secondo cui sono inammissibili per il princpio del divieto di ius novorum, le censure concretanti motivi muovi dedotti per la prima volta in appello. In senso analogo Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5950, in Cons. St., 2002, I, 2364 ss. 97 Corte cost., 244/1987. 98 Cfr. Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1989, n. 268, cit., 960 ss. Deve precisarsi che questa pronuncia non sia stata resa a seguito dell’esercizio di un’azione di impugnazione ma di un’azione di accertamento. Tuttavia il principio affermato dal Consiglio di Stato mantiene, evidentemente, la propria valenza anche nell’ipotesi in cui sia sollevata questione di costituzionalità su una norma “non richiamata” nel ricorso di primo grado come parametro di legalità del provvedimento impugnato. In questo senso v. Id., sez. VI, 19 luglio 1999, n. 973, in Cons. St., 1999, I, 1190. 99 Cfr. Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, ivi, 1987, I, 1179 ss. Nello stesso senso v. Id., 10 luglio, 1979, n. 599, ivi, 1979, I, 977 ss. 95 96 16 Sia nella ipotesi a) sia nella ipotesi b) il giudice amministrativo ha dichiarato irrilevante una eccezione di costituzionalità dedotta dalle parti, tuttavia da questa giurisprudenza può desumersi la medesima definizione dei limiti al sollevamento d’ufficio della questione di legittimità nel secondo grado del processo amministrativo. Deve inoltre precisarsi che il Consiglio di Stato, oltre ad incontrare i medesimi limiti dei Tribunali amministrativi regionali, ossia quelli che discendono dalla vincolatività del principio della domanda, incontra anche le limitazioni imposte dal principio devolutivo, secondo il quale potrà conoscere soltanto questioni risolte nei capi impugnati ed esclusivamente in questo ambito potrà vagliare i dubbi di costituzionalità di una norma. Al contrario, provando a schematizzare, risulterà irrilevante una questione di costituzionalità sollevata 1) su norme contenute in motivi del ricorso non decisi dai capi impugnati delle sentenza; 2) su norme non richiamate nei motivi decisi dai capi impugnati; 3) su norme relative ad un atto del procedimento non impugnato con il ricorso di primo grado. Non può tacersi come il modello impugnatorio oltre ad incidere fisiologicamente sull’accesso al giudizio costituzionale possa generare, a causa di una sorta di vizio psicologico degli operatori del processo amministrativo, delle strettoie “di fatto”; la struttura del ricorso può indurre a trattare la questione di costituzionalità come un motivo di parte. Il ricorrente infatti spesso impugna in prima battuta un atto per violazione di legge e soltanto in subordine (come secondo motivo) -nell’ipotesi in cui tale norma debba essere altrimenti interpretata- sollecita la questione di costituzionalità su di essa. Può succedere che il giudice, trattando e “rispondendo” ai motivi nell’ordine contenuto nel ricorso, dichiari infondato il primo (con una sentenza parziale) e rilevante (e non manifestamente infondata) la questione di costituzionalità100; in questa ipotesi la norma sospettata di incostituzionalità è già (non correttamente) applicata al fine di respingere il primo motivo. E’ noto però come la giurisprudenza costituzionale ritenga inammissibili questioni di costituzionalità sollevate su norme già applicate. L’assimilazione di tali questioni ai motivi del ricorrente rischia così di paralizzare l’attivazione del sindacato incidentale; ma questa è soltanto una deviazione che si annida nella pratica. 5. Lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale Verrebbe invece da chiedersi quale uso abbia fatto la Corte costituzionale proprio dei vincoli fisiologici imposti dalla natura del giudizio amministrativo al fine di vagliare la rilevanza di una questione di costituzionalità. In realtà nella giurisprudenza costituzionale si trovano tracce impercettibili di quella limitazione connessa al principio della domanda, potendo leggersi soltanto qualche breve passaggio sulla problematica101. Da una analisi sulle pronunce di inammissibilità ci pare di poter affermare che la Corte costituzionale arrivi assai raramente a dichiarare irrilevante una questione sul presupposto che il giudice amministrativo abbia valicato i limiti del ricorso, sollevando d’ufficio questione su una norma non richiamata nei motivi102. Provando a indagarne le ragioni può affermarsi che questo tipo di sindacato appare peculiare rispetto a quello sulla rilevanza proprio di altri giudizi a quibus o esercitato nello stesso processo amministrativo relativamente ad altri profili, presupponendo infatti che la Corte (a maggior ragione) non si limiti ad esaminare la questione attraverso lo studio dell’ordinanza di rinvio. Il rispetto dei limiti derivanti dal principio della domanda necessiterebbe infatti di un controllo effettivo sulla configurazione dello stesso ricorso (quindi sulle norme richiamate in questo), ossia anche sugli atti trasmessi. Al contrario la Corte costituzionale ha sostenuto che «gli elementi richiesti per l’ammissibilità della questione (…) debbono risultare esclusivamente dall’ordinanza di rimessione e non possono eventualmente essere tratti dagli atti del giudizio a quo»; infatti soltanto l’ordinanza, debitamente pubblicata, Cfr. Corte cost., 215/2003; 264/1998; 315/1992; 166/1992; 242/1990. Cfr. ad esempio Corte cost., 595/1990, in cui si legge che la questione deve essere «circoscritta sotto l’aspetto della rilevanza», facendo riferimento alle norme sulla base delle quali è stato emanato l’atto impugnato. 102 Cfr. ad esempio Corte cost. 139/1974. Nel caso di specie il ricorrente aveva lamentato la illegittimità di un provvedimento con cui il Comune di Bologna aveva sospeso ogni determinazione sulla domanda di licenza edilizia imponendo dei vincoli di edificabilità ed il Consiglio di Stato aveva sollevato questione di costituzionalità -non sulle norme indicate come violate dal ricorrente ma- sulle norme che non prevedevano un indennizzo in conseguenza di tale imposizione. 100 101 17 rende noto per ogni effetto alla generalità dei cittadini e agli organi giudiziari, la pendenza del giudizio costituzionale in tutti i suoi estremi»103. Proprio da questa discrasia tra la necessità che il rispetto del principio della domanda sia accertato attraverso l’esame del ricorso e la irrilevanza del fascicolo processuale, ai fini del sindacato sulla pregiudizialità costituzionale, può forse desumersi come la Corte costituzionale non pronunci mai l’inammissibilità di una questione di costituzionalità perché il giudice abbia tradito il vincolo derivante dall’impugnazione. Tuttavia non può negarsi come probabilmente la stessa cultura giuridica dei giudici amministrativi, sensibile alla natura del proprio processo e delle sue regole, rappresenti di per sé un filtro funzionante, idoneo ad impedire che giungano alla Corte costituzionale questioni esorbitanti i limiti del petitum. Il giudice amministrativo non soltanto, come abbiamo visto, impone a sé i limiti dell’impugnazione nel sollevamento ex officio ma sembra esercitare un vaglio stringente anche sulle eccezioni di parte. Anche se deve precisarsi, quanto a questa seconda ipotesi, come nella giurisprudenza amministrativa appaiono comunque non molti i casi, relativamente a questo profilo, in cui il giudice abbia dichiarato con ordinanza irrilevante una eccezione d’incostituzionalità104. Questo dato permette probabilmente di risalire alla stessa natura del giudizio di impugnazione e alla configurazione del ricorso la cui individuazione delle norme da assumere a parametro di legalità dell’atto impugnato rende più difficile che una questione di costituzionalità dedotta dalle parti (soprattutto dal ricorrente che tali norme richiama) sia irrilevante, essendo ridotto, per così dire, il “margine di errore”. In definitiva lo scarso contributo della giurisprudenza costituzionale ai limiti, imposti dal principio della domanda, al sollevamento della questione di costituzionalità da parte del giudice amministrativo può essere ricondotto non soltanto ad una certa irrilevanza degli atti trasmessi alla Corte costituzionale (quindi al non funzionamento nel giudizio costituzionale del controllo sulla rilevanza, sotto il profilo della vincolatività del ricorso) ma anche ad una serie di filtri strutturali connessi allo stesso giudizio amministrativo, ossia prima alla configurazione della impugnazione e poi alla sensibilità del giudice amministrativo nei confronti del principio della domanda. Può così essere confermato l’assunto secondo il quale la natura del giudizio amministrativo incide sul giudizio costituzionale e in particolar modo sull’accesso al giudizio costituzionale, per quanto una questione di costituzionalità, che sia riuscita a passare tra le maglie del processo amministrativo, non incontrerà nel giudizio costituzionale nessuna preclusione processuale, relativa al rispetto del principio della domanda, visto il carattere poco decisivo della trasmissione degli atti. 6. Talune ipotesi di cedimento delle limitazioni derivanti dal principio della domanda In questo quadro le tensioni e gli attriti tra il principio dispositivo e il potere officioso di attivazione del sindacato di costituzionalità sembrano essere riconducibili ad unità. Dalla definizione degli spazi nell’ambito dei quali il giudice amministrativo può rilevare un dubbio di legittimità costituzionale dovrebbe così dedursi che risulta irrilevante una questione di costituzionalità su una norma non richiamata nei motivi del ricorso (o comunque non riconoscibile da parte del giudice nella narrazione dei fatti storici che definiscono il petitum). Potrebbe così sostenersi che in un giudizio di impugnazione 103 Id., 451/1989. In senso critico v. R. ROMBOLI, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in R. ROMBOLI (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1993-1996), Torino, 1996, 95 ss., secondo cui «tale conclusione suscita qualche perplessità, se infatti appare giusto che l’ordinanza di rinvio debba contenere la motivazione sia in ordine alla rilevanza che alla non manifesta infondatezza, sembrerebbe altrettanto evidente che, allorché si tratti di accertare l’esistenza di un mero dato di fatto al fine di valutare un mero dato se l’eccezione debba ritenersi ammissibile o meno, la Corte possa, o meglio debba, far uso degli atti del processo principale. Qualora (…) l’invio e la presenza del fascicolo processuale non dovesse servire neppure a questo scopo, ma ogni accertamento dovesse intendersi limitato a quanto contenuto nell’ordinanza di rinvio, ci si potrebbe realisticamente chiedere perché mai la legge imponga al giudice a quo di trasmettere alla Corte, unitamente al provvedimento di rimessione, anche gli atti relativi al giudizio principale». Tuttavia sembra che la Corte non rispetti sempre le proprie affermazioni di principio spingendosi in alcuni casi anche a controllare gli atti di causa, come rileva A. CERRI, La «dialettica», cit., 124, nota 52. In tal senso già D. NOCILLA, Riflessioni sulla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di controllo della rilevanza, in Giur. cost., 1970, 637. 104 Cfr. ad esempio Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1989, n. 268, cit., 960 ss.; Id., sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 938, cit., 1779 ss. 18 di un atto per eccesso di potere (qualunque sia il sintomo di questo) sarebbe più improbabile che il giudice si imbatta in una norma su cui sollevare questione. In realtà l’interazione tra i due processi nella fase ascendente non può dirsi a senso unico, essendo infatti individuabili alcuni casi in cui il principio della domanda sembra cedere dinanzi a quella che potremmo definire una vis espansiva del sindacato in via incidentale. Infatti quando il ricorrente ha contestato soltanto il concreto esercizio del potere, facendo valere un vizio relativo ad un suo eccesso o alla violazione di una norma sulla funzione sottesa al provvedimento impugnato, il giudice amministrativo non si è sentito limitato dai motivi del ricorso giungendo a sollevare dubbi di costituzionalità sulla genesi stessa di quel potere e rendendo così oggetto di una questione di costituzionalità norme (a) sulla attribuzione della funzione105, (b) sulla composizione dell’organo che ha posto in essere l’atto impugnato106 o (c) ancora sulla istituzione della stessa Amministrazione resistente107. In questo senso la giurisprudenza amministrativa sembra smentire anche la dottrina più sensibile alla definizione dei limiti al sollevamento della questione di costituzionalità, secondo la quale nell’ipotesi in cui, ad esempio, il ricorrente lamenti l’illegittimità del punteggio assegnato in un concorso pubblico, il giudice non potrebbe rilevare d’ufficio l’illegittimità costituzionale della norma disciplinate la composizione della commissione giudicatrice108. Quanto alla ipotesi sub a) può dirsi che il giudice amministrativo ha sollevato questione di costituzionalità sulle norme attributive del potere non soltanto, come visto sopra, quando il ricorrente ha lamentato un eccesso di potere ma anche quando il vizio dedotto era quello della violazione di legge (ossia di una norma sul quomodo di esercizio del potere, diversa da quelle sulla genesi di questo). In un caso ad esempio la società ricorrente ha impugnato l’annullamento di talune diffide a trasmettere messaggi pubblicitari da due impianti di ripetizione di programmi televisivi e un ordine di disattivazione e sequestro dell’impianto emesso per l’inottemperanza della diffida, facendo valere un particolare profilo della illegittimità dei provvedimenti impugnati. I Tar invece, come giudici a quibus, hanno sollevato questione sulle norme sulle quali «si fonda il potere di emettere i provvedimenti impugnati»109. Quanto alla ipotesi sub b) appare significativo il caso in cui il ricorrente ha impugnato gli atti di un concorso a cattedra per eccesso di potere ed il Consiglio di Stato ha invece sollevato questione di costituzionalità sulle norme recanti i criteri per la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi, composte soltanto da professori universitari eletti dagli stessi appartenenti alla categoria e titolari di un potere privo di garanzie formali quanto ai criteri di giudizio. Per altro in questa vicenda processuale la difesa dei controinteressati dinanzi alla Corte costituzionale ha eccepito la irrilevanza della questione sul presupposto che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto decidere soltanto sul concreto uso da parte della Amministrazione del proprio potere discrezionale, esulando dal thema decidendum del processo di impugnazione ogni valutazione in merito alle disposizioni attributive del potere stesso, perché il giudice amministrativo non era chiamato ad applicare le norme oggetto del dubbio di costituzionalità. La Corte costituzionale in modo assai laconico si è limitata ad affermare che il modo di argomentare della difesa dei controinteressati avrebbe presupposto un «riesame del giudizio del Consiglio di Stato che ha espresso sulla rilevanza delle questioni proposte; e questo riesame non può farsi nella sede del processo costituzionale»110 Quanto alla ipotesi sub c), nel corso di un giudizio amministrativo instaurato per l’annullamento di un’ordinanza emessa dal Sindaco di un Comune, il Tar Campania ha sollevato questione sulla stessa legge istitutiva dell’ente locale per violazione dei limiti imposti dall’art. 133 Cost., argomentando che «dal riconoscimento della illegittimità della norma predetta dipende il giudizio sulla legittimità del 105 Cfr. Corte cost., 346/1991; 231/1985; 143/1972. In dottrina v. A. PIZZORUSSO, Questione di costituzionalità della legge e questione di legittimità dell’atto sindacato dal giudice “a quo”: applicazione della legge e pregiudizialità della questione, in Foro it., 1982, I, 337 ss. 106 Cfr. Id., 620/1987; 189/1986; 143/1972. 107 Cfr. Id., 204/1981. 108 L’esempio è formulato da C. ANELLI, La rilevanza, cit., 96. Tra l’altro sembra assai significativo come questa riflessione sia stata formulata da un mebro dell’organo di vertice della giustizia amministrativa. 109 Id., 231/1985. In senso analogo cfr. Corte cost. 346/1991. 110 Id., 143/1972. In senso analogo cfr. Id., 620/1987; 189/1986. 19 provvedimento impugnato»111. Anche in questo caso la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile la questione (ed è arrivata a dichiarare illegittima la legge regionale), per quanto nessuna parola sia stata spesa sulla rilevanza; tuttavia nel caso di specie la mancata argomentazione sulla ammissibilità era, per così dire, assecondata dal fatto che nessuna eccezione era stata fatta valere dall’Amministrazione resistente, come in altri giudizi costituzionali in cui è emersa una certa discrasia tra l’oggetto del giudizio di costituzionalità e l’oggetto del giudizio amministrativo. Da queste ipotesi, il cui profilo comune è la non coincidenza tra le norme, direttamente connesse al petitum, richiamate nel ricorso e quelle della cui legittimità costituzionale si dubita, emerge una nozione peculiare di rilevanza, elaborata dalla giurisprudenza amministrativa ed ammessa dalla Corte costituzionale. Come è noto invece la ricostruzione tradizionale112 della rilevanza è legata a due caratteri logicamente distinti: il primo connesso con l’origine del processo costituzionale, individuabile nel requisito della applicabilità, alla luce del quale la norma oggetto dell’ordinanza riguarda, in qualche modo, il processo comune e senza il quale vi è un difetto assoluto di rilevanza113; il secondo invece connesso al fine del processo costituzionale, che si concretizza (solitamente) nella disapplicazione della norma a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale e (in alcuni casi) in una generica influenza sul processo114. La mancanza di questo secondo requisito produce un difetto relativo, potendo concludersi che l’applicabilità sembrerebbe un requisito necessario ma non sufficiente ai fini della rilevanza, la cui sussistenza richiede anche l’influenza della decisione della Corte sul giudizio a quo. In questa logica la concretezza del sindacato in via incidentale sarebbe apprezzabile sia «in partenza», con riferimento all’origine di tale processo e alla applicabilità in questo della norma oggetto del dubbio di legittimità, sia «in arrivo», rispetto alla definizione del giudizio115. Le ipotesi esaminate in precedenza sembrerebbero discostarsi da questa ricostruzione, poiché potrebbe sostenersi, quasi per paradosso logico, che sussiste in tali casi il requisito della influenza ma non quello della diretta applicabilità della norma della cui costituzionalità si dubita, visto che una decisione di illegittimità costituzionale produrrebbe i propri effetti sull’atto impugnato, il cui vizio sarebbe un vizio derivato116, ma tale norma non sarebbe applicabile alla fattispecie concreta perché non indicata nei motivi del ricorso come parametro di legittimità dell’oggetto della impugnazione117. In realtà può escludersi in questi casi una applicabilità «in senso stretto», potendo essere tali esclusivamente quelle norme necessarie a definire il merito della causa (quindi, nel processo amministrativo, a soddisfare l’annullamento dell’atto come richiesto nel ricorso) ed idonee ad incidere direttamente sugli interessi materiali fatti valere nel giudizio ma non una applicabilità intesa «in senso lato», che si risolve invece in una incidenza soltanto mediata118. Tuttavia deve precisarsi che con la nozione di applicabilità «in senso lato» si è tradizionalmente fatto riferimento alle norme che il giudice ritenga incidentalmente di dover applicare e che attengono a profili processuali, come alla indipendenza e all’imparzialità del Id., 204/1981. A. PIZZORUSSO, sub art. 137, in Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1981, 245. 113 A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, 251 ss. 114 Cfr. G. DOLSO, Giudici e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, Mialno, 2003, 51 ss.; di F. DAL CANTO, La rilevanza e il valore del fatto nel giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Torino, 2002, 177 ss. Sulla nozione di influenza v. in particolar modo P. CARNEVALE, La disapplicazione dell’art. 22 delle «Norme integrative»: un fatto che era nell’aria, in Giur. it, 1998, I, 422; N. TROCKER, La pregiudiziliatà costituzionale, in Riv. dir. proc. civ., 1988, 836 ss.; F. MODUGNO, P. CARNEVALE, Sentenze additive, «soluzione costituzionalemente obbligata» e declaratoria di inammissibilità per mancata indicazione del «verso» della richiesta addziione, in AA.VV., Giudizio” a quo”, cit., 342; A. RUGGERI, A. SPADARO, Linemaneti di giustizia costituzionale, cit., 256 ss. 115 G. SILVESTRI, Controllo di costituzionalità delle leggi, in Dig. disc. pubbl., 1994, 148. 116 Come si evince in modo palese da Corte cost., 189/1986. 117 In realtà non del tutto irreale appare il caso in cui possa sussistere il requisito della influenza ma non quello della applicabilità. Cfr. Corte cost. 8/1993. Significativa questa vicenda processuale in cui era stata sollevata questione di legittimità costituzionale sulle norme che prescrivono la bollatura degli atti giudiziari. La Corte ha ritenuto irrilevante la questione affermando che si trattava di norme non applicabili ma ha affermato contestualmente che avrebbe potuto superare il vaglio di ammissibilità se il giudice a quo avesse argomentato le possibile incidenza negativa sul diritto di difesa. A tal proposito G. DOLSO, Giudici e Corte, cit., 84, mette in evidenza molto chiaramente come il caso sia assai singolare ma «sintomatico dell’importanza che la Corte sembra attribuire al requisito della “influenza”». 118 Cfr. G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, in AA.VV., Giudizio “a quo”, cit., 135 ss.; F. DAL CANTO, La rilevanza, cit., 170 ss. 111 112 20 giudice o alla composizione e alla formazione del collegio119. Nelle ipotesi rilevanti ai nostri fini può desumersi invece una ulteriore specificazione di quella categoria, posto che la incidenza mediata sul giudizio amministrativo non è determinata dalla applicazione incidentale di talune norme ma dal vincolo genetico indissolubile tra le norme direttamente applicabili (indicate nei motivi del ricorso), che regolano il potere, e le norme sulla base delle quali tale potere si fonda. La concomitanza del requisito della influenza con quello della applicabilità, seppur in senso lato (“presupposta”) si risolvono così in una rilevanza «indiretta»120 della questione di costituzionalità; in definitiva sembra che la rilevanza di una questione di costituzionalità sia in grado di “risalire” rispetto ad una certa norma e ad un certo rapporto processuale. Non può negarsi però come questa nozione di rilevanza, ampliando l’accesso al giudizio di costituzionalità, produca non un semplice affievolimento del principio della domanda ma una sua profonda alterazione. Sembra che un vizio diverso da quello lamentato possa essere immesso nel giudizio attraverso il sollevamento della questione di costituzionalità, con cui si realizza una dilatazione del thema decidendum. Infatti nell’ipotesi in cui venga sollevata questione, ad esempio, su una norma sulla attribuzione di una funzione all’amministrazione resistente, l’atto impugnato per una violazione di legge potrebbe essere annullato, se la Corte ritenga fondato il dubbio di costituzionalità, per un vizio diverso. Si potrebbe comunque eccepire a queste considerazioni che anche nelle ipotesi in cui sia sollevata questione di costituzionalità nei limiti delle norme indicate nel ricorso come parametro di legittimità dell’atto potrebbe generarsi un vizio non dedotto dalle parti. Tuttavia in questo caso il vizio sarebbe comunque connesso alla configurazione del petitum ed in particolare deriverebbe dalla dichiarazione di incostituzionalità di una delle norme assunte a parametro di legittimità del provvedimento impugnato. Invece quando un dubbio di costituzionalità è sollevato su una norma sulla genesi del potere il vizio immesso nel giudizio è estraneo all’ambito oggettivo delimitato dal ricorso, non derivando dalla eventuale dichiarazione di incostituzionalità di una delle norme contenute nei motivi di parte, e “autonomo” dal petitum per quanto presupposto da questo. Sembra in definitiva esservi una distorsione ancor più profonda del principio della domanda (pur, ancora una volta nel rispetto della rilevanza, per quanto -o proprio perché- intesa in una accezione assai ampia, “presupposta”); sembra in definitiva che la questione di costituzionalità porti ancora più lontano dai motivi del ricorso che non in altri casi. Questa affermazione è confermata dal fatto che il vizio “nuovo” immesso nel giudizio amministrativo attraverso il dubbio di costituzionalità potrebbe essere ricondotto con maggiore probabilità ad una diversa species; ad esempio nel caso in cui il ricorrente impugni un atto per violazione di legge e il giudice sollevi questione su una norma sulla stessa istituzione dell’organo che ha emanato l’atto, la eventuale dichiarazione di incostituzionalità potrebbe dar vita ad un vizio di incompetenza. In questi casi le limitazioni, connesse al principio della domanda, nel sollevamento ex officio di un dubbio di costituzionalità cedono dinanzi al bisogno, soddisfatto dai giudici amministrativi, del sindacato di costituzionalità di non residuare zone d’ombra strutturalmente connesse alle regole processuali di un giudizio. La valorizzazione del vincolo genetico tra le norme indicate nel ricorso e quelle oggetto della questione di costituzionalità, per quanto sia innegabile il profilo della concretezza legato al requisito della influenza come carattere (anche) della rilevanza «presupposta», mostrano al contempo un interesse astratto alla legalità costituzionale del fondamento dei poteri pubblici; la nozione stessa di applicabilità «in senso lato», relativa alle norme “sul” potere (e non “del” potere, ossia riguardanti il quomodo di esercizio di questo), porta con sé un profilo di astrattezza, apprezzabile nel superamento del principio della domanda. Quanto alla posizione della Corte costituzionale dinanzi a queste dinamiche non può dirsi molto visto che poco dice la Corte stessa anche sotto questo profilo. La giurisprudenza costituzionale nelle ipotesi in cui sia stata sollevata questione di costituzionalità su una norma “sul” potere diversa da quelle indicate nei motivi del ricorso si è limitata nella maggior parte dei casi a decidere nel merito e soltanto in poche ipotesi, in cui la difesa dei controinteressati ha eccepito la irrilevanza, ha affermato la 119 In argomento da ultimo in dottrina v. T. GIOVANNETTI, Riflessioni a margine di un caso di (presunta) irrilevanza di una complessa questione di legittimità costituzionale, in Giur. cost., 2004, 357 ss. 120 Su questa nozione v. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 160 ss. 21 insindacabilità della valutazione contenuta nell’ordinanza di rinvio121. Potrebbe spiegarsi questo atteggiamento facendo semplicemente riferimento al fatto che le vicende processuali ricordate appartengono ad una fase storica (precedente agli anni ’90) in cui la Corte aveva limitato il proprio sindacato sulla rilevanza assecondando la collaborazione con la magistratura e arrestando il controllo alla logicità e alla coerenza della motivazione dei giudici a quibus. In realtà non soltanto tale atteggiamento può scorgersi anche in pronunce successive a quella fase122 ma sembra che possa leggersi in questo una ragione diversa che attribuisce una specificità alla volontà della Corte di sottrarsi al controllo sulla rilevanza di una questione di costituzionalità. Probabilmente il silenzio sul rispetto dei vincoli derivanti dal principio della domanda, quanto alla questione di costituzionalità relativa alle norme sulla genesi del potere, è direttamente speculare al non funzionamento, di cui si è già detto, del sindacato sulla rilevanza di una questione di costituzionalità su una norma sul quomodo di esercizio. Sembra che la Corte abbia deciso di uniformare la propria giurisprudenza, evitando di porre in essere un sindacato sulla rilevanza soltanto nelle ipotesi in cui oggetto della questione di costituzionalità sia una norma “sul” potere, per quanto in questa ipotesi tale controllo risulterebbe probabilmente più immediato potendo essere esercitato prescindendo dal contenuto del ricorso e facendo riferimento al solo contenuto dell’ordinanza di rinvio. In un solo caso, a quanto ci consta, può leggersi anche nella giurisprudenza costituzionale una certa resistenza della struttura impugnatoria123. La Corte, dopo essersi posta il problema se la questione di costituzionalità della norma attributiva del potere sia pregiudiziale al sindacato del giudice sulla riconducibilità dell’atto alla stessa previsione normativa, sembra sostenere che «soltanto ove il giudice a quo affermi che l’atto è stato legittimamente emanato in base alla norma attributiva, la questione di costituzionalità (…) sarebbe rilevante, mentre se il giudice ritenesse che l’atto è stato emanato al di fuori dei poteri previsti dalla norma, egli debba dichiararlo illegittimo (…), senza poter esaminare la questione di costituzionalità»124. Questo modo di argomentare sembra fortemente condizionato dal peso della specialità del giudizio impugnatorio e dalla peculiarità della configurazione del ricorso, in cui è fatta valere come violata non una norma sul quomodo di esercizio del potere ma una norma attributiva. Tuttavia in questo modo vi sarebbe uno stravolgimento della logica della pregiudizialità perché il giudice amministrativo dovrebbe prima affrontare il merito (ossia la legittimità dell’atto) e soltanto in conseguenza del sindacato sulla legittimità dell’atto potrebbe sollevare questione di costituzionalità. In definitiva, a parte quest’ultimo caso, la sensazione è che sia il giudice amministrativo ad essere il padrone della rilevanza nel proprio processo, sia nelle ipotesi in cui decida di far valere le strettoie del principio della domanda (come regola), sia nelle ipotesi in cui decida di allargare le maglie del thema decidendum attraverso un dubbio di costituzionalità sulla genesi di un potere (come eccezione). La incidenza del giudizio amministrativo sul giudizio costituzionale (quanto alle limitazioni derivanti dai motivi del ricorso) e l’incidenza del giudizio costituzionale sul giudizio amministrativo (quanto al superamento dei motivi del ricorso) sono così nelle mani del giudice amministrativo e la Corte costituzionale sembra avergli riconosciuto questo ruolo. Questa peculiare configurazione del sindacato sulla rilevanza (tra giudizio amministrativo e giudizio costituzionale) è in dissonanza con la progressiva evoluzione della giurisprudenza costituzionale da cui è emerso un potere sempre più penetrante della Corte, che si è attribuita un controllo non più esterno ma diretto sulla sussistenza stessa della rilevanza125. Corte cost., 189/1996; 143/1972. Id., 346/1991. 123 Cfr. Corte cost., 203/1981. 124 Così A. PIZZORUSSO, Questione di costituzionalità, cit., 338. 125 E’evidente una discrasia tra la debolezza del sindacato della Corte sulla rilevanza e sui limiti connessi al principio della domanda nel giudizio amministrativo e il carattere forte che la stessa Corte ha generalmente riconosciuto al proprio controllo sulla rilevanza nell’ultima fase (1990-2006) della propria giurisprudenza. Su questa ultima stagione della rilevanza v. L. AZZENA, La rilevanza, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, Napoli-Roma, 2006, 26; R. ROMBOLI, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in R. ROMBOLI (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2002-2004), Torino, 2005, 71 ss.; P. VERONESI, A proposito di rilevanza: la Corte come giudice del modo di esercizio del potere, in Giur. cost., 1996, 478 ss.; M. D’AMICO, L’aberratio ictus quale elemento di una nozione autonoma di rilevanza per il giudice costituzionale, ivi, 1991, 2146 ss. 121 122 22 7. Un riscontro: l’annullamento dell’atto amministrativo a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale La tensione tra processo costituzionale e processo amministrativo e la ricerca di un punto di equilibrio da parte dei giudici amministrativi sembrano riproporsi, analogamente alla fase ascendente del giudizio sulle leggi, anche nella fase discendente, relativa agli effetti delle sentenze della Corte sui processi amministrativi pendenti (diversi da quello a quo). In tale fase è infatti necessario indagare la compatibilità tra la retroazione degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base della quale sia stato emanato un atto impugnato in un giudizio non ancora concluso e la non rilevabilità ex officio ai fini dell’annullamento di vizi estranei a quelli indicati dal ricorrente. Sembra porsi una problematica individuazione degli spazi entro cui sarebbe esercitabile da parte del giudice amministrativo il potere di annullamento dell’atto per un vizio “sopravvenuto” 126 ed in quanto tale non conosciuto (anche se prospettabile) e non dedotto; un potere di annullamento d’ufficio in stridente contrasto con la natura del processo amministrativo. Non può negarsi infatti che anche nella fase discendente si riproponga quella tensione tra i vincoli imposti dai motivi del ricorso, sulla base dei quali il giudice amministrativo potrebbe annullare l’atto, e una spinta espansiva del sindacato di costituzionalità che, investendo il fondamento normativo dell’atto o una norma che regola il quomodo di esercizio della funzione sottesa, sembrerebbe poter attribuire al giudice un potere eccezionale (officioso), al di là delle regole processuali del giudizio amministrativo. La problematica, con la quale si è misurata la stessa dottrina, di cui si è detto in relazione al sollevamento della questione di costituzionalità, si risolve nella necessità di verificare se in questi casi il potere di annullamento dell’atto trovi una preclusione assoluta nella regola processuale del principio 126 In realtà queste prime considerazioni danno per acquisito che il regime di un atto amministrativo emanato sulla base (quanto alla genesi del potere) o in conformità (quanto al quomodo del suo esercizio) di una legge dichiarata incostituzionale sia quello della annullabilità (e non della nullità), quindi della impugnabilità nelle forme del processo amministrativo. Tuttavia non può dimenticarsi come la definizione di tale regime sia stata assai travagliata, ponendo un problema «conturbante» e di «eccezionale gravità» (così F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità, cit., 889). Nella giurisprudenza amministrativa dopo la nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 8 del 1963, in cui si parlava di «vizio riflesso», è ormai consolidata la categoria della invalidità «sopravvenuta» o «derivata». Cfr. Cons. St., sez. IV, 11 febbraio 2004, n. 551, in Foro amm-Cons. St., 2004, 387; Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2970 in Trib. amm. reg., 2003, 2134 ss.; Cons. St., sez. VI, 7 luglio 1995, n. 663, in Cons. St., 1995, I, 1100; Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Foro amm., 1986, 2468 ss.; Tar Puglia, 30 settembre 1982, n. 410, in Foro amm., 1983, I, 2455; Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, cit., 2308 ss.; Cons. gius. amm., 11 luglio 1962, n. 281, in Foro it., 1962, III, 245 ss. Deve precisarsi come la retroazione degli effetti delle sentenze della Corte non dia vita ad un autonomo vizio di incostituzionalità dell’atto amministrativo, ad una sorta di quarta tipologia rispetto a quelle classiche (violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere) ma possa incidere sulla norma che rappresenta il parametro di legittimità dell’atto impugnato o su una norma sulla genesi del potere sotteso; proprio rispetto al sopravvenuto “significato” o alla sopravvenuta “caducazione” della norma-parametro o della norma attributiva dovrà essere qualificato (eventualmente) il vizio dell’atto. Ad esempio una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma attributiva del potere può generare un vizio di incompetenza dell’atto impugnato -in un giudizio pendente- (cfr. Cass., sez. I, 23 ottobre 1968, n. 3414, in Gius. civ., 1969, I, 909) così come una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma sul quomodo del potere può generare un vizio per violazione di legge (cfr. F. DELFINO, La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi, Napoli, 1970, 169). Per altro nulla esclude che la sentenza della Corte incida su una norma eliminando il vizio originario dell’atto amministrativo. Sulla autonomia dei vizi dell’atto amministrativo rispetto al regime della legge “incostituzionale” v. V. ONIDA, Pubblica amministrazione, cit., 192 ss. In dottrina cfr. M. MAGRI, La legalità costituzionale dell’Amministrazione, cit., 103 ss., 344 ss.; G. LAURICELLA, L’«incostituzionalità» dell’atto ammnistrativo, Milano, 1999, 43 ss.; F. DELFINO, La dichiarazione di illegittimità, cit., 1970, 147 ss.; V. ANDRIOLI, Incidenza della pronuncia di incostituzionalità della legge sul giudizio amministrativo pendente, in Dem. dir., 1962, 105; F. MODUGNO, Esistenza della legge incostituzionale e autonomia del potere esecutivo, in Giur. cost., 1963, 1724 ss.; A. ROMANO, Pronuncia di illegittimità costituzionale, cit., 139 ss.; V. ONIDA, Pubblica amministrazione, 209 ss.; ID., Conseguenze processuali della dichiarazione di ilegittimità costituzionale di una legge attributiva di potestà alla Pubblica amministrazione, in Giur. it., 1966, I, 1025 ss.; A. CERVATI, Gli effetti della pronuncia, cit. 1214 ss.; C. ESPOSITO, Inesistenza o illegittima inesistenza di uffici ed atti amministrativi per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme organizzatorie?, in Giur. cost., 1960, 330 ss.; F. FENUCCI, Giudicato implicito ed impliciti effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi sugli atti amministrativi, in Giur. cost., 1981, 1990 ss.; G. BORZELLINO, Illegittimità costituzionale di norme e validità di atti amministrativi, in Foro amm., 1962, 13 ss.; R. PEREZ, I vizi dell’atto amministrativo conseguenti alla pronuncia di incostituzionalità delle leggi, in Foro it., 1964, III, 364 ss.; C. ANELLI, Riflessi sul processo amministrativo della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi, in Rass. dir. pubbl., 1967, 358 ss.; A.M. SANDULLI, Illegittimità delle leggi e rapporti giuridici, in Stato sociale, 1966, 107 ss. 23 della domanda, nelle ipotesi in cui il vizio derivabile dalla pronuncia di illegittimità costituzionale non sia stato eccepito dalle parti127, potendo così parlarsi di una peculiare limitazione degli effetti erga omnes del sindacato di costituzionalità (esorbitante l’esaurimento dei rapporti giuridici), o se al contrario possa configurarsi un anomalo potere di annullamento d’ufficio dell’atto impugnato, al di fuori dei vizi dedotti dal ricorrente. In questo spazio tra la limitazione al sindacato in via incidentale e la configurazione di un potere di annullamento eccezionale rispetto alle regole processuali del giudizio amministrativo, è apprezzabile il grado di resistenza della natura originaria del processo impugnatorio e la forza espansiva del sindacato in via incidentale. In realtà dalla giurisprudenza amministrativa emerge come, anche quando in un giudizio amministrativo pendente il dubbio di costituzionalità non sia stato rilevato d’ufficio o sollecitato dalle parti, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, sulla base della quale (quanto alla genesi del potere) o in conformità della quale (quanto al quomodo del potere) è stato emanato l’atto impugnato, produce i propri effetti, andando evidentemente oltre «l’ambito processuale in cui è stata invocata ed ottenuta»128. Anche in questo caso il giudice amministrativo può esercitare il potere di annullamento dell’atto, avendo il potere, rectius, il «potere-dovere di trarre d’ufficio le conseguenze, ivi compresa quella dell’annullamento dell’atto»129 anche «indipendentemente dalla proposizione da parte del ricorrente dell’eccezione di costituzionalità»130. In questa logica, quando il fatto sopravvenuto è rappresentato da una sentenza della Corte e quando il fatto antecedente è rappresentato dalla mancata deduzione del vizio derivabile da una pronuncia di incostituzionalità in seno al ricorso introduttivo, tale omissione originaria non comporta né la preclusione della deduzione né la necessità di deduzione integrativa (dei motivi aggiunti)131. Può scorgersi così anche nella fase discendente la irruzione del sindacato di costituzionalità sulla natura del giudizio di impugnazione, in seno al quale viene immesso un potere officioso (e con esso un vizio “nuovo” dell’atto amministrativo) in stridente contrasto con la logica dispositiva; un potere caratterizzato da una legittimazione oggettiva, derivante dalla efficacia erga omnes delle sentenze di illegittimità costituzionale, in dissonanza con la dimensione soggettiva dei vizi-motivo e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 127 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, 1288, distingue tra annullamento d’ufficio e annullamento su apposita impugnativa dei ricorrenti in relazione alla natura della norma (rispettivamente riguardante la struttura organizzativa o il quomodo di esercizio del potere) dichiarata incostituzionale. Questa impostazione non ha trovato seguito nella giurisprudenza amministrativa. 128 Cons. St., sez VI, 21 gennaio 1993, n. 62, in Cons. St., 1993, I, 92, conforme allo storico precedente: Id., 10 aprile 1963, n. 8, cit., 1230. Cfr. anche Tar Lazio, sez. I, 22 ottobre 1997, n. 1591, in Foro amm., 1998, 1859 ss.; Cons. St., sez. VI, 16 settembre 1993, n. 621, in Cons. St., 1993, 345 ss. 129 Id., sez. V, 6 febbraio 1999, n. 138, ivi, 1999, I, 220. Cfr. in senso analogo Id., 21 gennaio 1993, n. 62 in Foro amm., 1993, 156; Tar Molise, 21 dicembre 1998, n. 418, in Trib. amm. reg., 1999, 1038 ss. 130 Cons. gius. amm., sez. giurisd., 2 giugno 1994, n. 148, in Giur. amm. sic., 1994, 256 ss. In senso analogo v. Tar Puglia, 25 ottobre 1996, n. 784, in Foro amm., 1997, 1507 ss.; Tar. Sicilia, sez. I, 2 giugno 1995, n. 1522, ivi, 1995, 455 ss.; Id, sez. II, 30 settembre 1993, n. 716, in Trib. amm. reg., 1993, 4299; Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855, in Cons. St., 1986, I, 1807 ss.; Tar. Toscana, 25 luglio 1985, n. 705, in Trib. amm. reg., 1985, I, 3383; Tar Puglia, 30 settembre 1982, n. 410, in Foro amm., 1982, 410 ss.; Cons. St., sez. IV, 20 ottobre 1964, n. 1044, in Cons. St., 1964, 1700 ss. Tuttavia non sono mancati indirizzi contrari. Cfr. Cons. St., IV sez., 4 giugno 1969, n. 251, in Foro it., 1970, III, 98; Id., V sez., 30 ottobre 1979, n. 653, in Rass. Cons. St., 1979, I, 1410. 131 In tal senso Tar Calabria, 12 febbraio 1996, n. 199, in Trib. amm. reg., 1996, I, 1604 ss., afferma una sorta di corollario secondo il quale «nel caso in cui una sentenza della corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità di una norma di legge assunta a fondamento di un atto amministrativo (…) non sussiste per il ricorrente l’onere di proporre uno specifico motivo aggiunto per denunciare l’illegittimità dell’atto stesso in conseguenza» della illegittimità costituzionale. A tal proposito v. l’analisi C. MIGNONE, I motivi aggiunti, 115 ss., secondo cui l’addizione in questo caso non è doverosa perché il motivo di incostituzionalità «non è un motivo in senso tecnico»; «non v’è onere di aggiunzione perché non v’è onere di motivazione originaria sul punto». Non a caso il motivo di invalidità “derivata” non viene presentato nelle forme dei motivi aggiunti (atto scritto notificato alle altre parti, depositato in segreteria) ma con una memoria o sollevato oralmente in udienza. Cfr. Tar Campania, 12 aprile 1983, n. 334, in Trib. amm. reg., 1983, I, 1669; Cons. St., sez. V, 30 ottobre 1979, n. 653, Rass. Cons. St., 1979, I, 1410; Id., sez. IV, 22 giugno 1962, n. 414, ivi, 1962, I, 1102. Tuttavia l’ambiguità della censura di invalidità riflessa dell’atto ammnistrativo (e la sua confusione con un qualsiasi motivo di parte) poteva leggersi già nella nota sentenza della Adunanza Plenaria (8/1963), in cui si parlava contarddittoriamente della questione di costituzionalità sia come «motivo di impugnazione» sia come questione che «non è censura di parte». 24 Tuttavia, a dimostrazione di come quella tensione tra i giudizi continui a vivere e ad aleggiare132, può ricordarsi una recente vicenda processuale in cui veniva impugnata una pronuncia del Tar Piemonte133, che aveva annullato il provvedimento con il quale il Sindaco di un Comune aveva dichiarato la decadenza del ricorrente dall’impiego. Il Tar aveva ritenuto illegittimo il provvedimento perché adottato in base ad una norma della quale la Corte costituzionale aveva in pendenza del giudizio dichiarato l’illegittimità costituzionale134. Dinanzi al Consiglio di Stato il Comune appellante ha sostenuto che gli effetti della sentenza di incostituzionalità non potevano essere estesi al giudizio pendente perché mancava una specifica censura nel ricorso giurisdizionale sulla illegittimità costituzionale della norma e quindi sulla illegittimità derivata dell’atto amministrativo. Evidentemente il Consiglio di stato ha disatteso l’eccezione, sentendo tuttavia il bisogno di giustificare diffusamente la ammissibilità di un potere di annullamento di natura officiosa (sganciato dai vizi-motivo indicati nel ricorso), pur a distanza di parecchi anni dal noto precedente della Adunanza plenaria n. 8/1963. La sensazione è che un tale potere-dovere del giudice, pur essendo ormai pacifica la sua legittimazione, continui a generare (talune volte) disorientamento nel sentire processuale degli operatori del processo amministrativo. In realtà anche in questo caso, come per il sollevamento della questione di costituzionalità, la giurisprudenza amministrativa ha progressivamente definito i limiti agli effetti dirompenti del sindacato in via incidentale sulla natura del giudizio di impugnazione, tentando una sorta di bilanciamento tra la natura officiosa del potere di annullamento e la delimitazione del thema decidendum derivante dai motivi del ricorso. Non può negarsi come la preoccupazione sia stata la medesima che si è palesata relativamente al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità, ossia quella del temperamento dei contenuti della sentenza della Adunanza plenaria n. 8/1963 che sembrò riconoscere un potere di annullamento «senza limiti», rischiando di configurare un potere assolutamente sganciato dal petitum. Una sorta di sintesi di tali limiti può desumersi da una decisione del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia135 nella parte in cui si afferma che le sentenze di illegittimità costituzionale sono produttive di effetti in un processo amministrativo pendente, anche indipendentemente dalla proposizione da parte del ricorrente dell’eccezione di incostituzionalità, quando (a) l’applicazione delle norme dichiarate incostituzionali rientri nelle questioni sottoposte al giudice amministrativo con i motivi del ricorso, quando (b) riguardi il potere sulla base del quale è stato emanato l’atto amministrativo, quando (c) interessi eccezioni rilevabili d’ufficio. Quanto alla ipotesi (c) possiamo rilevare come fosse pacifica anche per la dottrina che ha negato l’esercizio officioso del potere di annullamento136, sul presupposto che la natura di una questione attinente al rito o alla sussistenza di un presupposto processuale rientra nella disponibilità cognitiva del giudice senza nessun rischio per il principio della domanda. Quanto alla ipotesi b) diremo più avanti. Ciò che qui interessa è invece (a) la relazione che intercorre tra il potere di annullamento in un giudizio pendente e i motivi del ricorso. Sembra paradigmatica ed illuminante in tal senso una pronuncia del Tar Campania137, che a nostro avviso ha ricomposto tale problematica in modo puntuale. Nel caso di specie in pendenza di un giudizio amministrativo era sopravvenuta una sentenza della Corte costituzionale con cui si dichiarava illegittimo l’art. 6 della L. Reg. Campania n. 33 del 1993 recante norme sulla istituzione dei parchi e riserve naturali in quella Regione. In particolar modo si ritenne non soddisfatta la previsione, contenuta in una legge di principio dello Stato, di partecipazione degli Enti locali alla istituzione dell’Ente parco. Si trattava in definitiva di una dichiarazione di costituzionalità di una norma non sulla attribuzione del potere ma sul quomodo di esercizio di quello138. Proprio tale norma era stata Più rassicurante sembra la posizione di E. LAMARQUE, Il seguito giudiziario alle decisioni della Corte costituzionale, in E. MALFATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Torino, 2002, 224. 133 Tar Piemonte, sez. II, 15 luglio 1996, n. 447, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3077 ss. 134 Corte cost., 197/1993. 135 Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 2 giugno 1994, n. 148, in Giur. amm. sic., 1994, 256 ss. 136 Cfr. nota 72. 137 Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2975, in Trib. amm. reg., 2003, 2134 ss. Questa pronuncia sembra affinare e approfondire la problematica già affrontata dieci anni prima in Id., sez. IV, 28 luglio 1993, n. 301, in Trib. amm. reg., 1993, I, 3731 ss. 138 La norma in questione disciplina infatti il procedimento di esercizio di un potere istituitivo di una amministrazione e non è qiulaificabile come una norma direttamente istitutiva di una amministrazione. 132 25 applicata dal Presidente regionale nella emanazione del decreto impugnato dinanzi al giudice amministrativo. Così i ricorrenti, una volta presa conoscenza della sentenza della Corte, hanno depositato una memoria con cui si chiedeva al giudice amministrativo di dare seguito alla pronuncia di incostituzionalità e di annullare l’atto impugnato per illegittimità sopravvenuta. In particolar modo in tale memoria si affermava, in assonanza alla giurisprudenza amministrativa, la assoluta irrilevanza, al fine dell’annullamento dell’atto, della mancanza di un motivo di ricorso in tal senso, ossia di una specifica eccezione sulla illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge regionale. Il Tar Campania però pur condividendo le premesse del ricorrente è giunto a non condividerne le conclusioni, attraverso una logica argomentativa assolutamente parallela a quella utilizzata dalla giurisprudenza nella definizione dei limiti al sollevamento d’ufficio della questione di costituzionalità. Infatti, dopo aver precisato che nel giudizio impugnatorio l’esame della fondatezza della lesione dell’interesse legittimo del ricorrente avviene attraverso l’esame della legittimità dell’atto, si è affermato che tale giudizio non è condotto in «senso oggettivo e pieno» ma «attraverso e nei limiti dei vizi di legittimità» dedotti dal ricorrente attraverso specifici motivi di ricorso, così che per le eventuali illegittimità non rilevate con i mezzi di gravame l’atto è da considerarsi inoppugnabile. Al contrario se il giudice amministrativo, preso atto della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base del quale l’atto è stato emanato, annulla l’atto stesso, anche quando tale norma non sia «decisiva» (quindi rilevante nella prospettiva ascendente) per la decisione, si genera un’indebita dilatazione della giurisdizione amministrativa139. In altre parole sembra corretto affermare che «il giudice non può applicare di ufficio la intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale della norma, in ipotesi in cui, ex ante, non avrebbe potuto sollevare, di ufficio o su istanza di parte, la questione di legittimità costituzionale della norma predetta, per difetto di rilevanza»; nel caso di specie per quanto l’art. 6 della legge regionale fosse una norma certamente applicata dalla Amministrazione nell’emanazione dell’atto impugnato, in realtà non appariva nel ricorso come parametro di legittimità dell’atto, i cui vizi lamentati erano altri. Il Tar Campania così come non avrebbe potuto sollevare questione su tale norma perché irrilevante allo stesso modo ha deciso di non poter dar seguito alla dichiarazione di costituzionalità. Nè l’interesse generale (richiamato dai ricorrenti) «che norme dichiarate incostituzionali non trovino più applicazione da parte del giudice» può determinare lo stravolgimento della natura del giudizio amministrativo. Tale interesse legittima l’immissione del potere di annullamento ex officio ma questo elemento di novità e di tensione nel processo amministrativo deve rimanere pur sempre ancorato ai motivi del ricorso140. In questa logica la valorizzazione della nozione stessa di rilevanza, da cui può desumersi in modo speculare lo spazio per il potere di annullamento nella fase discendente, sembra essere la chiave di volta di queste interazioni e del delicato equilibrio tra retroazione delle sentenze di incostituzionalità e principio dispositivo del giudizio di impugnazione141. La pregiudizialità costituzionale, come paradigma dello stesso potere di annullamento d’ufficio, si risolve così in una preclusione processuale a facili ragioni “sostanzialistiche”. Non può negarsi che il nostro modello di giustizia costituzionale si poggi su una opzione fiduciaria nei confronti dei giudici nella fase ascendente, dell’accesso alla Corte; la medesima fiducia il sistema è costretto a riporre nei giudici nella fase discendente e quanto ai giudici amministrativi sembra che tale fiducia sia stata ben riposta, potendo leggersi nella giurisprudenza 139 Cfr. anche Cons. St., 16 gennaio 1997, n. 99, in Foro amm., 1997, 186 ss. Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza appellata con cui il Tar, dinanzi al quale era stato impugnato un provvedimento di dispensa dal servizio in impiego pubblico per incompetenza soggettiva, aveva dato seguito ad una sopravvenuta sentenza di illegittimità costituzionale di una norma diversa da quella fatta valere come parametro di legittimità dell’atto stesso. Nella pronuncia si legge che gli effetti delle sentenze della Corte operano retroattivamente «purché l’oggetto della contestazione giudiziale attenga all’ambito strettamente di applicazione della norma» dichiarata illegittima «e non a motivi di impugnazione estranei alla norma stessa». 140 In definitiva il giudice amministrativo può procedere all’annullamento dell’atto fondato su una norma dichiarata incostituzionale soltanto quando «attraverso un motivo del ricorso, il rapporto tra l’atto impugnato e la norma predetta sia portato a sua conoscenza e, quindi, l’esame della norma stessa sia necessario ai fini del decidere». Così Tar Campania, sez. III, 26 marzo 2003, n. 2970, cit., 2134 ss. 141 Sul parallelismo tra rilevanza e retroazione delle pronunce della Corte v. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, II, 385; A. PIZZORUSSO, sub art. 137, cit., 185; ID., I sistemi di giustizia costituzionale: dai modelli alla prassi, in Quad. cost., 1982, 526; A. CERRI, Gli effetti delle decisioni, cit., 1207. 26 amministrativa l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio e di composizione tra il funzionamento del controllo di costituzionalità e la natura del giudizio amministrativo. Per altro non sembra plausibile affermare che il potere di annullamento d’ufficio per vizi sopravvenuti di incostituzionalità (anche se assolutamente svincolato dai motivi di parte) non faccia correre nessun pericolo al principio dispositivo per il solo fatto che tale potere rappresenterebbe «una deroga talmente particolare e circoscritta da essere priva di qualunque effetto eversivo»142; in tal senso vi sarebbe una ambigua e anacronistica riemersione della giurisprudenza del Consiglio di Stato degli anni ’20 che ammetteva una deroga al principio della domanda in ossequio ai motivi di “ordine pubblico”. Tuttavia può riemergere in alcuni casi una resistenza del giudizio amministrativo e della natura originaria del principio delle domanda dinanzi al sindacato in via incidentale. Appare emblematica una vicenda processuale in cui, pur essendo la sentenza della Corte costituzionale stata resa a seguito di un conflitto tra enti, il problema dei limiti alla retroazione dell’annullamento dell’atto amministrativo posto in essere in tale giudizio è stato affrontato attraverso categorie analoghe a quelle viste relativamente al sindacato incidentale. Tuttavia il Consiglio di Stato143 nel caso di specie è giunto ad una conclusione assai restrittiva nei confronti della incidenza del giudizio costituzionale sul giudizio amministrativo. In particolar modo a seguito della diffusione di una infezione colerica in Puglia venivano emanati, in applicazione della l. n. 225/1992 recante norme urgenti, un D.P.C.M. con cui si dichiarava lo stato di emergenza (ed un’ordinanza del Presidente del Consiglio); in attuazione di tali norme la Prefettura di Bari aveva successivamente proceduto alla revoca di talune aggiudicazioni. La Società originaria aggiudicataria aveva così impugnato tale provvedimento lamentando -in sintesi- la violazione e la falsa applicazione del D.P.C.M. e l’eccesso di potere. Tuttavia in pendenza del giudizio amministrativo la Corte costituzionale144 ha deciso un conflitto tra enti annullando il D.P.C.M. sulla base del quale era stato emanato dalla Prefettura di Bari il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo. Così il Tar competente ha dato seguito alla pronuncia della Corte annullando l’atto amministrativo attuativo dell’atto oggetto del conflitto intersoggettivo. Questa vicenda non si è interrotta qui perché la sentenza di primo grado è stata appellata dalla Amministrazione sul presupposto che nel ricorso non vi era nessuna censura relativa alla illegittimità derivata dell’atto, impugnato per motivi diversi da quello “riflesso” dalla illegittimità del D.P.C.M. (oggetto del giudizio costituzionale). Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello affermando che «per assumere rilievo» una illegittimità derivata da una sentenza della Corte costituzionale (nel conflitto tra enti, di annullamento dell’atto amministrativo presupposto dell’atto impugnato davanti al Tar e nel giudizio incidentale di illegittimità costituzionale della norma sulla base della quale o in conformità della quale l’atto oggetto del giudizio amministrativo è stato emanato) «deve necessariamente essere censurata dal ricorrente mediante uno specifico motivo di ricorso», quindi non indipendentemente da una esplicita censura del vizio di “incostituzionalità” del provvedimento. In questa logica il Consiglio di Stato ha rilevato al contrario che nella impugnazione «nessun motivo del ricorso investiva la legittimità del D.P.C.M.». Non può negarsi come questo modo di ragionare sia in stridente contrasto con il quadro ricostruito fin qui, parallelo alla definizione dei limiti al sollevamento della questione di costituzionalità. In questa pronuncia riemerge una impermeabilità delle regole processuali del giudizio di impugnazione al funzionamento del giudizio costituzionale (indipendentemente dal fatto che si trattasse di un conflitto tra enti e non di un sindacato incidentale); una riaffermazione della logica assoluta dei motivi del ricorso in dissonanza con il ragionevole bilanciamento che più in generale la giurisprudenza amministrativa ha composto tra officiosità dei poteri del giudice e principio della domanda. Evidentemente questo indirizzo appare anacronistico ma sintomatico di una sopravvivenza (come un’eco) di quel trauma processuale derivato dalla introduzione del sistema di giustizia costituzionale e più in generale di come la composizione delle relazioni tra elementi di officiosità e motivi di parte sottenda una tensione mai sopita del tutto, in grado talune volte di riemergere (anche se irragionevolmente). C. MIGNONE, I motivi aggiunti, cit., 118. Cons. St., 20 marzo 2000, n. 1495, in Cons. St., 2000, 623 ss. 144 Corte cost., 14 aprile 1995, n. 127, in Cons. St., 1995, II, 634 ss. 142 143 27 7.1. Ancora una volta il cedimento dei limiti La distinzione tra le norme sul quomodo di esercizio del potere e quelle sulla genesi del potere non può non assumere una rilevanza propria anche nella fase discendente in modo analogo a quello che accede relativamente al sollevamento della questione di costituzionalità. Il potere di annullamento in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma sul quomodo di esercizio della funzione, magari sul procedimento di adozione di un atto, può essere esercitato nei limiti dei motivi del ricorso, ossia quando tale norma sia utilizzata dal ricorrente nel giudizio amministrativo pendente come un parametro di legittimità dell’atto impugnato; tuttavia (anche in questo caso) tali limiti cedono quando la Corte costituzionale dichiari illegittima una norma che attribuisce un potere, che ne è il fondamento necessario. In questo caso il giudice amministrativo, dinanzi al quale è radicato un giudizio di impugnazione di un atto emanato sulla base di quella norma espulsa dall’ordinamento, può esercitare un potere di annullamento d’ufficio, anche quando il ricorrente abbia assunto come violate tutt’altre norme145. E’ così evidente come l’equilibrio ed i limiti al potere saltino quando il controllo di costituzionalità sottende una maggiore astrattezza, connessa alla natura della norma oggetto del giudizio di costituzionalità. In questo caso i giudici amministrativi sono disposti ad accettare una più profonda alterazione del principio della domanda, fino a tollerare un sindacato che non può non essere definito pienamente oggettivo. Certamente sono rintracciabili anche questa volta degli indirizzi maggiormente impermeabili alle dinamiche espansive del sindacato in via incidentale. In un caso il Tar del Lazio ha ritenuto che anche nel caso in cui «venga dichiarata incostituzionale una norma attributiva di potere, l’atto che l’Amministrazione ha adottato in virtù del detto potere (…) è (…) annullabile» e «tale iniziativa d’ufficio non è senza limiti, in quanto è limitata dalla formulazione di censure che, sia pure a livello di legittimità ordinaria, investano la norma sospettata di legittimità costituzionale»146. Questa giurisprudenza si preoccupa di «coordinare» l’iniziativa di ufficio con i caratteri dell’impugnazione facendo valere quei limiti che in realtà sono connessi alle norme sul quomodo del potere e non sulla genesi di quello. In definitiva la irragionevole resistenza della natura del giudizio di impugnazione al controllo di costituzionalità sembra passare attraverso un arretramento dei presupposti del potere di annullamento. Quanto alle norme meramente regolatrici, il tentativo di conservazione si concretizza (come visto sopra) nella eliminazione stessa dei limiti e quindi nella negazione del potere officioso; quanto alle norme attributive, il tentativo di conservazione si concretizza nella applicazione di quei limiti al potere d’ufficio che in realtà, nella corretta ricostruzione giurisprudenziale, sono applicabili soltanto nelle ipotesi in cui sia dichiarata incostituzionale una norma regolatrice del potere. Non può negarsi come una limitazione del potere di annullamento d’ufficio (in un giudizio pendente) a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di una norma attributiva del potere darebbe vita ad un’irragionevole asimmetria rispetto a quanto visto nella fase ascendente, in cui il giudice amministrativo può sollevare questione di costituzionalità indipendentemente dal fatto che le norme sulla genesi del potere, sulla base del quale l’atto sia stato emanato, siano formalmente richiamate nel ricorso. Per di più è innegabile come questa soluzione produrrebbe uno sbarramento assai forte al seguito delle sentenze della Corte nel giudizio amministrativo, sul presupposto strutturale che è più difficile che una norma attributiva del potere (diversamente da una norma sul quomodo) venga utilizzata come parametro di legittimità dell’atto impugnato e quindi richiamata nel ricorso giurisdizionale. 8. La questione di costituzionalità come motivo (unico) di ricorso e l’illegittimità soltanto sperata Non può negarsi invece che per nulla traumatico per la natura del giudizio amministrativo e per l’effettività del principio della domanda appaia il caso in cui il ricorrente abbia rilevato un dubbio di legittimità costituzionale su una norma da applicare alla fattispecie dedotta, secondo la configurazione 145 Cfr. ad esempio Cons. St., sez. VI, 20 novebre 1986, n. 855, in Foro amm., 1986, 2468 ss.; Cons. St., sez. VI, 27 marzo 1990, n. 409, in Foro amm., 1990, 678. 146 Tar Lazio, sez. III, 9 giugno 1980, n. 583, in Cons. St., 1980, 2308 ss. 28 della causa petendi. L’ipotesi è quella della impugnazione di un atto amministrativo (non perché viola la legge ma) perché emanato in applicazione di una norma illegittima147, sia questa una norma sulla genesi o sul quomodo del potere amministrativo. In questo caso, in modo del tutto peculiare, la natura del giudizio amministrativo sembrerebbe prima facie imprimere la propria specialità sul giudizio costituzionale, per quanto in questo caso non sia il principio della domanda (e la sua vincolatività) a venire in rilievo (come per la potenziale limitazione del sollevamento ex officio della questione di costituzionalità) ma più in generale la logica impugnatoria del ricorso. Infatti la configurazione dell’atto giudiziale introduttivo sembra incidere sulla nozione di rilevanza dissolvendo la logica della pregiudizialità tra due questioni, l’una principale e l’altra strumentale, per generare una “coincidenza” tra il dubbio sulla legittimità di una norma e la risoluzione del merito della controversia dinanzi al giudice amministrativo; in questa ipotesi sembra quasi neutralizzata la possibilità che sia rilevata in limine litis la irrilevanza della questione. Questa peculiare logica di impugnazione può risolversi in un unico motivo di ricorso (per quanto non possa escludersi che accanto ad adesso siano fatti valere ulteriori vizi dell’atto); l’ipotesi che la lite (portata davanti al giudice a quo) consti della sola questione di legittimità costituzionale fu prospettata in dottrina per la prima volta da Andrioli148. L’Avvocatura dello Stato nei primi anni di funzionamento della Corte costituzionale, in cui tra la molteplicità dei problemi del sistema delle garanzie ciò che risultava certamente chiaro agli operatori giuridici era la mancanza di uno strumento di impugnazione delle leggi nella disponibilità dei cittadini149, tentò invece di qualificare come ricorsi in via principale le impugnazioni di un atto conforme ad una norma illegittima, al fine di vederli dichiarati inammissibili150. In realtà il Consiglio di Stato ebbe modo di precisare che tale peculiarità, che abbiamo definito “coincidenza” delle questioni (quella principale e quella pregiudiziale), non nega il carattere incidentale del dubbio di legittimità costituzionale sul presupposto che non rileva se l’eventuale decisione della Corte costituzionale «possa esaurire la materia sottoposta all’indagine del giudice che ha ordinato la trasmissione degli atti, vincolando completamente la sua pronuncia alla sentenza» della stessa Corte151. In questa logica una questione non perde la propria natura pregiudiziale o incidentale se fattualmente possa determinare la risoluzione della questione principale. La stessa Corte ha affermato chiaramente che anche la «circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislativa costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a Cfr. ad esempio Corte cost., 361/2004; 71/2001; 367/1991; 444/1990; 30/1987; 86/1982; 66/1970; 134/1963. Cfr. inoltre Cons. St., sez. IV, 19 maggio 2004, n. 3217, in Foro amm-Cons. St., 2004, 1379 ss., secondo cui «il proprium della funzione giurisdizionale amministrativa consiste nel controllo del corretto esercizio della funzione amministrativa: sussiste, pertanto, la giurisdizione dell’autorità giurisdizionale amministrativa tutte le volte in cui viene chiesto l’annullamento di un provvedimento amministrativo sull’assunto del cattivo esercizio del potere esercitato, anche quando si deduca l’illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere stesso». In dottrina v. G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale italiano, cit., 77; G. GUARINO, Profili costituzionali, amministrativi e processuali delle leggi per l’Altipiano silano e sulla riforma agraria e fondiaria, in Foro. it., 1952, IV, 87; F. MAZZIOTTI DI CELSO, Osservazioni sulla impugnabilità degli atti amministrativi per sole questioni di costituzionalità e sul presunto dovere della pubblica amministrazione di conformarsi alle leggi ritenute incostituzionali, in Rass. dir. pubbl., 1962, 569 ss.; E. GUICCIARDI, Nota a Cons. St., sez. IV, 3 aprile 1957, n. 395, in Giur. it., 1958, III, 93; R. JUSO, Sulla natura incidentale della eccezione di incostituzionalità di una legge, in Foro amm., 1957, I, 506; S. POMODORO, Di un sindacato degli organi amministrativi sulla costituzionalità delle leggi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, 535. 148 V. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo giurisdizionale delle leggi, in Atti del I Convegno internazionale di diritto processuale civile (1950), Padova, 1953, 53 dell’estratto. L’Autore mette in evidenza come una interpretazione meramente letterale dell’art. 1 l. cost. n. 1/1948, in cui si legge che la questione deve essere sollevata «nel corso di un giudizio», potrebbe portare a sostenere che non sarebbe ammissibile una questione sollevata invece nell’atto introduttivo del giudizio; questa interpretazione sarebbe «gravissima» e si risolverebbe in una compressione dell’art. 113 Cost. 149 Non poteva dirsi lo stesso quanto alla percezione della società civile come scrive P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, in Riv. dir. proc., 1956, 10, che ricorda talune vicende significative, come quella degli agenti di cambio che nella agitazione contro la legge di perequazione tributaria avevano creduto di poter dare mandato ai loro organi sindacali di impugnarla direttamente dinanzi alla Corte costituzionale. 150 Cfr. Corte cost. da 59 a 82/1959. Queste pronunce sono state rese a seguito di processi civili in cui erano stati censurati atti amministrativi per soli motivi di incostituzionalità delle leggi provvedimento (c.d. leggi di riforma fondiaria) sulla base delle quali tali atti erano stati emanati. In questi processi l’Avvocatura dello Stato, tentò di far riconoscere la natura “principale” delle questioni di costituzionalità. In senso analogo la difesa dell’INPS nel processo costituzionale deciso dalla Corte con la sentenza 24/1959. 151 Cons. St., sez. IV, 3 aprile 1957, n. 393, in Giur. it., 1953, III, 93. 147 29 quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza»152. Dalla stessa giurisprudenza costituzionale è emerso come la soluzione di una questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale su una norma possa esaurire contemporaneamente sia il processo costituzionale sia quello comune, come nell’ipotesi in cui oggetto del giudizio di costituzionalità sia una legge-provvedimento153. Tra l’altro la sussistenza della pregiudizialità e quindi la scindibilità della “coincidenza” tra le questioni è provata dal fatto che anche nell’ipotesi in cui la Corte arrivi a dichiarare illegittima la norma sulla base della quale (a vario titolo) è stato emanato l’atto impugnato, rimarrà il giudice amministrativo il padrone del proprio processo dovendo esercitare il potere di annullamento dell’atto; non può certo sostenersi infatti che la sentenza di illegittimità possa soddisfare direttamente il petitum del ricorso154. Per di più la questione di costituzionalità fatta valere in via di azione non paralizza i poteri del giudice amministrativo, che potrà decidere su tutte le questioni pregiudiziali al dubbio di costituzionalità; è evidente che prima di vagliare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di tale dubbio dovrà accertare la corretta instaurazione dello stesso processo amministrativo, la quale non può che condizionare anche la proponibilità dell’eccezione di legittimità costituzionale155. Il giudice amministrativo potrà non arrivare ad esaminare la questione pregiudiziale a quella di merito se rilevi questioni (processuali-) pregiudiziali alla prima, quali ad esempio il difetto di giurisdizione156, la nullità del ricorso, la violazione del termine di notifica al resistente e ai controinteressati. In queste ipotesi il giudizio amministrativo può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità157. In altre parole l’impatto della natura del giudizio amministrativo sul processo costituzionale è soltanto “apparente”, sul presupposto che apparente è la coincidenza della questione pregiudiziale con quella principale; la peculiare configurazione della rilevanza non si risolve (e non può risolversi) certo nella introduzione nel sistema costituzionale di un ricorso in via principale contro una legge o un atto avente forza di legge. Nelle ipotesi in cui la questione di costituzionalità sia fatta valere in via d’azione, l’intima connessione tra il dubbio di legittimità e l’impugnazione dell’atto158 non produce una neutralizzazione della autonomia del ricorso giurisdizionale; ed è proprio l’autonomia dell’azione processuale contro un provvedimento a negare qualsiasi fondatezza alla configurabilità di tali ipotesi come un ricorso in via principale. In definitiva può dirsi che il giudizio costituzionale non ha il medesimo petitum del giudizio amministrativo, per quanto possa esaurire il merito di quest’ultimo, sul presupposto che la questione di costituzionalità rappresenta la causa petendi della impugnazione dell’atto159. 152 Corte cost., 4/2000. Il medesimo principio è affermato, in riferimento all’impugnazione di atti, anche al di fuori della giurisdizione amministrativa. Cfr. Id., 128/1999; 263/1994. 153 La giurisprudenza costituzionale sul punto è stata univoca dai suoi esordi. Cfr. Corte cost. 7/1957. In senso analogo la giurisprudenza sviluppatasi intorno alle leggi di riforma fondiaria. In dottrina v. A. PACE, Espropri incostituzionali: restituzioni e responsabilità civili della Pubblica amministrazione per l’applicazione di leggi illegittime, in Giur. cost., 1959, 1228 ss. 154 Così v. E. GUICCIARDI, Nota a Cons. St., 3 aprile 1957, n. 393, cit., 93; in senso più problematico v. anche A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 148. 155 Cfr. Cons. St., 21 gennaio 1967, n. 233, in Cons. St., 1967, 1046, secondo cui «l’esame della rilevanza e in via subordinata della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale (art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87) presuppone, cioè, pur sempre che la questione stessa sia rituale e ammissibile». 156 Da subito la giurisprudenza del Consiglio di Stato è stata univoca nell’affermare la pregiudizialità delle questioni relative alla giurisdizione rispetto alle questioni di costituzionalità. Cfr. Cons. St, sez. IV, 22 marzo 1957, in Foro amm., 1957, I, 474 ss.; Cons. St., sez. IV, 30 ottobre 1959, in Giur. cost., 1959, 812 ss.; Cons. St., VI sez., 3 dicembre 1958, n. 887, in Giur cost., 1959, 108 ss. In una diversa prospettiva v. F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità sui provvedimenti e sugli adempimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 903, che ha invece individuato una ipotesi di inversione del rapporto tra questioni di costituzionalità e questioni sulla giurisdizione. 157 Cfr. B. CAVALLO, Rapporti di priorità tra questioni di legittimità costituzionale e questioni di inammissibilità e irricevibilità del ricorso del Consiglio di Stato, in Giur. it., 1963, IV, 20 ss. E’ per altro persuasuasiva l’affermazione di G. ABBAMONTE, Il processo costituzionale italiano, I, 42, secondo cui in termini logici la questione di costituzionalità occupa il posto, nell’ordine delle questioni da affrontare, occupato dalla norma a cui inserisce. Sulla problematica v. anche A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 162 ss. 158 A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 148, afferma che la lesione di un bene della vita, la cui tutela si vorrebbe soddisfatta nel giudizio di impugnazione, può coincidere con la violazione della norma parametro. 159 Cfr. Corte cost., 361/2004. In questa vicenda processuale l’Amministrazione resistente nel giudizio amministrativo costituitasi davanti alla Corte costituzionale aveva sollevato la eccezione di inammissibilità della questione proprio per 30 Per altro lo stesso Consiglio di Stato ha affermato in modo chiaro come la giurisdizione di legittimità si esplica sugli atti (e non sui rapporti), così che il soggetto titolare di un interesse giuridico qualificato, assunto come leso da parte dell’esercizio di un potere pubblico, «deve dedurre la questione di legittimità costituzionale di una norma con riferimento ad un provvedimento tempestivamente impugnato»160, risultando così inammissibile una questione di legittimità proposta in via principale (ossia svincolata da un provvedimento amministrativo)161 e potendo evidentemente dedursi a contrario la sussistenza della “incidentalità” quando ad essere impugnato sia un atto (anche se) conforme ad una norma illegittima162. Per di più l’autonomia delle questioni è confermata dal fatto che una volta instaurato il processo costituzionale dinanzi alla Corte, come è stato autorevolmente affermato, non si discuterà dell’interesse del ricorrente ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della legge che è stata applicata ai suoi danni e che egli ha denunciato come illegittima, ma si discuterà direttamente di quella legge in generale, potendo il ricorrente anche non costituirsi163. Se soltanto “apparente”, sotto questo profilo, risulta allora l’incidenza del processo amministrativo sul giudizio costituzionale164 non può dirsi il contrario. Può infatti leggersi nel caso di impugnazione di un atto conforme ad una norma illegittima (o presunta tale) un ulteriore sintomo della capacità del giudizio costituzionale di snaturare il modello classico del giudizio di impugnazione. Non può negarsi infatti che in questo peculiare modo di atteggiarsi del ricorso la causa petendi sia argomentata alla luce di un vizio dell’atto che è soltanto “sperato”, perché eventualmente derivato dall’accertamento successivo da parte della Corte costituzionale della illegittimità della norma sulla base della quale l’atto stesso è difetto del carattere incidentale. La Corte però ha respinto tale eccezione affermando infatti che «il petitum dell’azione proposta» dal ricorrente «è distinto e separato dalla questione di legittimità costituzionale». In una logica conforme v. Cons. St., sez. IV, 3 febbraio 1996, n. 109, in Giur. it., III, 1996, 630. Su questa pronuncia v. E. CANNADA BARTOLI, Rivalutazione dell’interesse legittimo, ivi, 1996, III, 625 ss. 160 Cons. St., 18 ottobre 1977, n. 805, in Cons. St., 1977, 1492 ss. In questo caso la censura di illegittimità costituzionale si ritiene che non possa entrare nel giudizio amministrativo sul presupposto che si riferisce ad atti non impugnati dal ricorrente. In senso analogo cfr. Cons. St., 21 giugno, 1967 n. 233, ivi, 1967, 1045 ss.; Id., 9 maggio 1967, n. 406, ivi, 880 ss. 161 Cfr. Cons. St., sez. IV, 3 febbraio 1996, n. 109, cit., 630 ss.; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 1968, in Cons. St., 1968, 1190 ss. La stessa Corte costituzionale (17/1999) ha avuto modo di affermare chiaramente che «la sollevata questione di legittimità costituzionale» non può presentarsi «impropriamente come azione diretta contro una legge»; questo accade quando l’«eventuale pronunzia di accoglimento» concreta «di per sé la tutela richiesta» e la esaurisce, «mentre il carattere di incidentalità presuppone necessariamente che il petitum del giudizio nel corso del quale viene sollevata la questione non coincida con la proposizione della questione stessa». Nel caso di specie non era «dato scorgere, una volta venute meno le norme censurate, quale provvedimento ulteriore» doveva essere emesso per rimuovere la denunciata turbativa a danno del ricorrente, «essendosi nel giudizio principale richiesto soltanto di stabilire “se fosse legittimo il disegno di legge regionale”». Cfr. anche Id., 175/2003; 214/1986. Sulla problematica più generale della lis ficta cfr. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., 148 ss.; A. RUGGEGRI, A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, 254 ss. 162 Cfr. Tar Basilicata, 18 dicembre 1984, n. 398, in Trib. amm. reg., 1984, 726, secondo cui «il principio che attribuisce al giudizio di legittimità costituzionale delle leggi carattere incidentale è fatto salvo anche quando il ricorso proposto nel giudizio a quo si regga esclusivamente sull’eccezione di incostituzionalità della legge che regola l’atto amministrativo impugnato». In senso analogo v. anche Tar Piemonte, 18 gennaio 1977, n. 12, ivi, 1977, 809 ss.; Id., 19 ottobre 1976, n. 285, ivi, 1976, I, 3800. Inoltre ciò che non potrà mancare nel giudizio amministrativo, ai fini della ammissibilità della questione, è un soggetto istituzionale che sia legittimato passivo, ossia un’Amministrazione resistente, non potendo prospettarsi «la eventualità di una lite tra il cittadino e il legislatore». Così P. CALAMANDREI, La legittimità costituzionale delle leggi ne processo civile, Padova, 1950, 64. 163 Così P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, cit., 10. 164 Non può negarsi però come nelle ipotesi di ricorso per soli motivi di costituzionalità possa comunque scorgersi un’incidenza sul giudizio costituzionale ed in particolar modo sul ruolo del giudice amministrativo come portiere del sindacato in via incidentale. Sembra infatti che la configurazione peculiare della impugnazione determini una riduzione di quel «monopolio» del giudice a quo, alla luce del quale quest’ultimo non sarebbe «mero organo di trasmissione o nuncius delle parti», non essendo vincolato alle istanze presentate (così G. D’ORAZIO, Presidente della Repubblica e Corte costituzionale: i rapporti nel sistema e nella prassi, in Giur. cost., I, 1982, 130). Infatti quando la causa petendi del ricorso si risolve nella questione di costituzionalità può apprezzarsi una neutralizzazione degli spazi di modificazione e di trasformazione che il giudice può solitamente esercitare (cfr. R. ROMBOLI, Il giudizio costituzionale incidentale come processo senza parti, Milano, 1985, 66 ss.). Infatti nella ipotesi in cui il dubbio di legittimità costituzionale è fatto valere in via d’azione i “soli” motivi di incostituzionalità conducono il giudice amministrativo alla alternativa più stringente tra (1) sollevamento della questione di costituzionalità e (2) rigetto del ricorso per manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, non essendovi nessuno spazio di disponibilità, visto che una manipolazione della questione di costituzionalità si risolverebbe in una diretta elusione del principio della domanda. 31 stato emanato165; l’impugnazione è infatti finalizzata a provocare i presupposti della illegittimità dell’atto che non è tale nel momento in cui è posto in essere in conformità ad una norma (ancora) costituzionalmente legittima. Lo stesso petitum (l’annullamento dell’atto impugnato) non è qualificabile come immediato ma soltanto come “mediato”, essendo condizionato all’esito del processo costituzionale, sul presupposto che la demolizione giuridica dell’oggetto del giudizio amministrativo presuppone la demolizione giuridica a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma applicata dall’Amministrazione nell’esercizio di una funzione166. In questa logica il requisito della utilità, come elemento connaturato all’interesse a ricorrere, sembra non aderire strettamente (rectius, immediatamente) al processo amministrativo, sul presupposto che il vantaggio per il ricorrente, la restituzione del bene della vita sacrificato dall’atto impugnato trova nel processo costituzionale il suo momento decisivo. Un altro elemento di incidenza sulla natura del giudizio amministrativo può essere scorto. Infatti la idoneità della questione di costituzionalità ad esaurire il merito del ricorso può generare un «danno per l’attore»167, sul presupposto che l’azione demolitoria dell’atto potrebbe non andare a buon fine a seguito di una ordinanza di manifesta infondatezza del giudice amministrativo. In questo caso il giudizio amministrativo si risolverebbe in un giudizio sommario, quale è quello espresso dalla delibazione sulla questione di costituzionalità. La logica di funzionamento del sindacato incidentale sembra così degradare la cognizione sull’esercizio dell’azione demolitoria, incidendo sulla effettività dell’art. 113 Cost., tanto che si è arrivati autorevolmente ad affermare che il giudice amministrativo in questi casi dovrebbe «senz’altro sospendere il giudizio», limitandosi a fare il «portacarte della Corte costituzionale»168. Non può negarsi però che in questo modo ad essere snaturato sarebbe l’accesso stesso al giudizio costituzionale, determinato da un portiere che dismetta i suoi abiti. Più ragionevole prospettare, e lo si faceva ancor prima che la Corte costituzionale iniziasse a funzionare, la introduzione di una «via diretta, senza affrontare il passaggio obbligato della giustizia amministrativa»169; ma questa è un’altra storia. 9. La questione di costituzionalità proposta come eccezione al di là dei termini di decadenza Mutando prospettiva, è necessario da ultimo soffermarci sull’ipotesi in cui la questione sia sollevata al di là dei termini di decadenza, su sollecitazione di parte. E’ pacifico che il giudice a quo possa sollevare un dubbio di costituzionalità sia d’ufficio sia su istanza di parte (v. art. 1 l. cost. n. 1/1948 e art. 23 l. n. 87/1953) in ogni fase e grado del processo170, anche in ogni fase e grado del processo amministrativo; nessuna limitazione sembra poter imporre infatti la perentorietà dei termini del giudizio amministrativo sull’accesso al giudizio costituzionale. Può così essere rilevato che il funzionamento del controllo di costituzionalità in via incidentale non soltanto attribuisce al giudice amministrativo un potere officioso (pur esercitabile soltanto nel rispetto dei limiti visti) ma anche alle parti la possibilità di ampliare il thema decidendum “al di là” delle normali preclusioni processuali. Tuttavia è singolare notare come quella stessa dottrina che aveva tentato di difendere la natura originaria del giudizio amministrativo dall’irruzione del sollevamento d’ufficio di un motivo di costituzionalità nulla abbia detto sulla possibile alterazione derivante dai poteri eccezionali spendibili dalle parti in appello o più semplicemente nella udienza di primo grado attraverso la sollecitazione di un nuovo vizio (potenziale, perché condizionato all’accoglimento del dubbio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale). Eppure il principio della domanda genera un vincolo non soltanto per il giudice ma anche per le parti171, che non possono introdurre motivi nuovi; avremmo dovuto attenderci che quella dottrina lo richiamasse anche in questa ulteriore accezione. Su talune contraddizioni che si annidano dietro tale logica v. V. ONIDA, Pubblica amministrazione, cit., 208 ss. Sul punto v. F. LA VALLE, La retroazione della pronuncia di incostituzionalità, cit., 902 ss. 167 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55. 168 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55. 169 V. ANDRIOLI, Profili processuali, cit., 55. 170 Già in Cons. St., Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8, cit., 1230, si legge che una questione di costituzionalità può essere sollevata «in qualsiasi momento del giudizio». 171 M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 229 ss. 165 166 32 In realtà qualche solitario sintomo di questa problematica, connessa quindi alla vincolatività del principio dispositivo (questa volta non nei confronti del giudice ma) nei confronti delle parti, può scorgersi nella giurisprudenza amministrativa; un tentativo di far resistere le regole processuali del giudizio all’impatto del sindacato incidentale. Il Consiglio di Stato recentemente è giunto a ritenere inammissibile una censura di costituzionalità eccepita da una parte su una norma indicata nel ricorso e quindi effettivamente utilizzata come parametro per la definizione dei vizi-motivo in primo grado, «in quanto posta per la prima volta» in appello172. In questa logica si è ritenuto di potere qualificare il dubbio di costituzionalità come un motivo nuovo per il fatto che la specifica censura non era stata posta in essere dinanzi al Tar, riaffermando una primazia assoluta del principio dispositivo. In realtà questo indirizzo si risolve in una forte limitazione al sollevamento della questione di costituzionalità che non potrebbe essere così sollecitata dalle parti (per la prima volta) nel secondo grado del giudizio amministrativo; per altro in coerenza a questo modo di argomentare, vista la “doppia” vincolatività del principio della domanda (sia nei confronti del giudice che delle parti) si dovrebbe così dedurre che il Consiglio di Stato non sarebbe in ogni caso legittimato d’ufficio a sottoporre una questione alla Corte (quindi in ogni fase e grado) ma soltanto quando vi sia stata una specifica censura nel grado precedente. Però la pronuncia oltre ad essere irragionevole non è neppure coerente visto che non giunge a tale conclusione, che dovrebbe desumersi dal principio di diritto espressamente affermato, ma riconosce il potere officioso del sollevamento della questione di costituzionalità. Si avrebbe così una alterazione del sistema di accesso alla giustizia costituzionale, poiché nel secondo grado del giudizio amministrativo assisteremmo in modo schizofrenico da una parte alla neutralizzazione della istanza di parte (salvo riproposizione di una censura già specificata in primo grado) e dall’altra alla affermazione della esclusiva legittimazione del sollevamento d’ufficio. Sembra che questo indirizzo ignori il delicato punto di equilibrio raggiunto dalla giurisprudenza amministrativa, riproponendo la (storica ma evidentemente mai sopita) problematica della incidenza del principio dispositivo sul giudizio costituzionale. Inoltre per addurre un’altra argomentazione (non relativa al modello di giustizia costituzionale ma interna al sistema di giustizia amministrativa) che dimostra la irragionevolezza di questa soluzione basta ricordare che lo stesso Consiglio di Stato ha affermato che il divieto di ius novorum in appello «non riguarda le eccezioni rilevabili d’ufficio»173, e quindi neppure la questione di costituzionalità, che potrà essere, come già detto, sollevata d’ufficio o su eccezione di parte anche nel secondo grado del giudizio (pur) nei limiti indagati sopra. Tra l’altro in sede di giudizio costituzionale, a quanto ci consta, neppure l’Avvocatura dello Stato, al fine di difendere la legittimità della legge, ha mai eccepito la irrilevanza della questione di costituzionalità perché inammissibile sotto tale profilo. Sono però individuabili taluni argini anche per i motivi di incostituzionalità fatti valere dalle parti oltre i termini di decadenza. Deve infatti ribadirsi quanto ha detto molto puntualmente la giurisprudenza amministrativa, secondo cui se è vero che l’eccezione di illegittimità costituzionale può introdurre nel giudizio «senza limitazioni di tempo» una questione «a sostegno di un motivo di illegittimità tempestivamente proposto», non può però «consentire di valicare i termini di decadenza entro i quali il provvedimento stesso deve essere impugnato mediante la deduzione di specifici vizi»174. Nel caso di specie il Consiglio di Stato aveva ritenuto irrilevante una questione di costituzionalità eccepita dal ricorrente su una norma che autorizzava la Pubblica Amministrazione ad imporre servitù militari senza previsione di un indennizzo, in un giudizio in cui il ricorso aveva ad oggetto un provvedimento di imposizione della servitù impugnato per motivi diversi da quello relativo alla mancanza dell’indennizzo stesso. 10. Una notazione di sintesi Siamo partiti da una disposizione rassicurante (art. 22 della l. 87/1953), da una armonica compatibilità delle strutture, presupposte come potenzialmente omogenee e somiglianti; da una logica di incidenza (del giudizio amministrativo sul giudizio costituzionale) risolvibile nella fungibilità delle regole Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5016, in Cons. St., 2004, I, 1488 ss. Cons. St., sez. V, 16 ottobre 2001, n. 5471, in Foro amm., 2001, 2799. 174 Cons. St., 4 giugno 1969, n. 251, in Cons. St., 1969, 814 ss. 172 173 33 processuali; siamo giunti invece a scorgere -in tal senso- una incidenza “debole”, alla luce dell’autonomia che la Corte riconosce al proprio giudizio, e una più peculiare incidenza reciproca (dinamica), fino a rilevare che il giudizio amministrativo, una volta venuto a contatto con il giudizio costituzionale in via incidentale, somiglia meno anche a se stesso. Abbiamo tentato così di mettere in evidenza come il tema più generale dell’“adattabilità” e della “contiguità” abbia lasciato in ombra le tensioni e le interazioni che si annidano tra i due giudizi, soprattutto tra il giudizio sugli atti e il giudizio in via incidentale, su cui il modello impugnatorio imprime una pressione costante. 34