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FONDAZIONE INSIEME
Da il corriere della sera del 3/2/2017, <<DIGITALE A SCUOLA ANTI
DISLESSIA. QUANDO L’AIUTO DIVENTA UN LIMITE?>>, di Simone Fanti,
giornalista.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al quotidiano citato.
Tecnologia alleata dell’apprendimento. Ma c’è chi frena: ogni
caso è diverso.
La scheda.
• Vengono definitivi Disturbi Specifici dell’Apprendimento —Dsa — la dislessia (difficoltà nella
decodifica del testo), la disortografia (difficoltà nella competenza ortografica e fonografica),
disgrafia (difficoltà nell'abilità motoria della scrittura) e discalculia (difficoltà a comprendere e
operare con i numeri).
• In Italia le stime parlano di almeno 1.900.000 persone con dislessia evolutiva.
<<Tsate Drofando Artivicialnete Buelo Ce Aqituanlente Drovano
I Ragazi Qislesici NI Lerege>>.
Non è un errore di stampa, ma la rappresentazione di quello
che vede una persona con difficoltà a decodificare il testo nella
frase «State provando artificialmente quello che abitualmente
provano i ragazzi dislessici nel leggere».
La dislessia, ovvero la difficoltà nel trasformare le lettere
in suoni, la disgrafia, il disturbo che rende faticoso scrivere in
maniera corretta ed intellegibile, e la discalculia, le
problematicità con il mondo dei numeri, sono molto più frequenti
di quello che si pensi.
Questi disturbi specifici dell’apprendimento o Dsa sono
diagnosticati nel 2,59% della popolazione scolastica italiana: gli
alunni dai 6 ai 18 anni con certificazione Dsa sono 186.290 su un
totale di 7.184.070 studenti iscritti.
Si tratta di patologie più maschili che femminili e si
presentano in soggetti con quoziente intellettivo nella norma o
alto.
Niente a che vedere, quindi con un ritardo.
Le persone con dislessia evolutiva possono leggere e scrivere
(a seconda del grado più o meno accentuato di questo), ma riescono
a farlo solo impegnando molte risorse ed energie mentali.
Ne deriva una lentezza nella comprensione, maggiore stanchezza
ed errori frequenti.
«Con la conseguenza che questi bambini hanno fortissime cadute
di autostima —racconta Carlotta Jesi, autrice del libro
autobiografico I miei bambini hanno i superpoteri. Storia della
nostra dislessia —.
Si sentono “stupidi” perché commettono più errori dei
compagni.
E spesso non vengono capiti dagli insegnanti.
In realtà il loro cervello lavora in maniera diversa,
rappresentando le lettere come immagini tridimensionali.
Mio figlio dice —prosegue la giornalista madre di due ragazzi
con dislessia— che gli sembra di vivere nel mondo di Minecraft (un
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videogame in cui la realtà sembra costruita con mattoncini lego
tridimensionali)».
Le difficoltà incontrate da queste persone possono essere
compensate attraverso l’uso di tecnologie, come prevede una legge
del 2010.
Questi strumenti compensativi sono —spiega il sito dell’Aid,
associazione italiana dislessia —software di sintesi vocale dei
testi (il testo da studiare non deve più essere letto, ma
ascoltato), oppure il registratore, che consente allo studente di
non prendere appunti, e ancora i programmi di video scrittura con
correttore ortografico, che garantiscono la produzione di testi
sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura,
fino a programmi che trasformano i libri in mappe concettuali,
ovvero scompongono i testi in immagini e li collegano tra loro in
un ordine logico.
II progetto: <<Dislessia 2.0>> sfrutta la tecnologia per diagnosi precoci e per formare gli
insegnanti.
Soluzioni efficaci?
Sì.
«Un dato empirico dell’effettivo funzionamento di questi
strumenti —spiega Flavio Fogarolo consulente del centro studi
Erickson— è il numero, in forte crescita, di studenti con Dsa che
riescono ad accedere all’università.
Se i software non fossero
efficaci i ragazzi non riuscirebbero a giungere ai più alti
livelli d’istruzione».
Un altro dato indiretto dell’efficacia di questi strumenti è
fornito dal numero crescente di libri scolastici disponibili in
formato audio.
«L’importante —prosegue Fogarolo— è che si apprenda ad usare
questi strumenti al massimo della loro potenzialità. Compito
della scuola è insegnarlo e definire un progetto personalizzato
che sia costruito sulle capacità dello studente e sul suo grado di
dislessia».
Strumenti efficaci. Il numero di studenti che riescono ad accedere all'università è in forte
crescita.
Dello stesso parere anche Jesi che, come racconta nel suo
libro, ha usato la tecnologia «al bisogno»:
«Non volevamo che questi strumenti compensativi spegnessero
l’impegno e lo sforzo per raggiungere un obiettivo.
Uno dei miei
figli soffre di discalculia leggera, sarebbe stato facile dargli
fin da subito una calcolatrice.
Abbiamo preferito, invece, che
si sforzasse a raggiungere i suoi limiti e supplire solo a quel
punto.
Oggi utilizza solo una tavola pitagorica, che gli risparmia la
fatica di calcolo delle tabelline e gli consente di sfruttare la
sua energia mentale, per esempio, sull’espressione che sta
completando».
Ma la tecnologia non è solo quella degli strumenti usati a
scuola.
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Lo dimostra il progetto «Dislessia 2.0 soluzione digitale»,
(finanziato dalla fondazione Tim e sviluppato dall’Istituto
Superiore di Sanità, dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
e dall’Aid) che si articola in tre proposte:
-- una Smart@pp, per lo screening precoce dei disturbi della
comunicazione e del neurosviluppo dai 6 ai 36 mesi.
-- Poi, con lo stesso obiettivo, una seconda iniziativa, Dislessia
online, che prevede lo sviluppo di prove di lettura online
gratuite per «scremare» i pazienti e per una diagnosi più veloce.
-- Infine Dislessia amica, una piattaforma di e learning per
docenti e operatori della scuola.
1881
L'anno in cui il medico Oswald Berkhan ha diagnosticato per la prima volta i
sintomi della dislessia.
Il termine è stato poi coniato nel 1887. Circa il 3-7% della popolazione mondiale soffre del
disturbo, ma la percentuale sale al 20% se si considerano tutti coloro che potrebbero avere
uno dei sintomi.
Il disturbo, nella maggior parte dei casi, si manifesta nell'infanzia e può
essere causato da fattori genetici o ambientali.